PDA

Visualizza Versione Completa : 2 novembre (o 3 novembre, se il 2 è domenica) - Commemorazione dei fedeli defunti



Affus
28-12-02, 02:06
IL TRATTATO DEL PURGATORIO

di Santa Caterina da Genova*

INDICE del TRATTATO DEL PURGATORIO

I. - Perfetta uniformità delle Anime purganti al volere di Dio.

II. - Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio. L'esempio della ruggine.

III. - Pene delle Anime del Purgatorio. La separazione da Dio, loro maggior pena.

IV. - Differenza tra dannati ed Anime purganti.

V. - Dio mostra la sua bontà anche verso i dannati.

VI. - Purificate dal peccato, le Anime purganti scontano giocondamente le pene.

VII. - Con quale violenza d'amore le Anime del Purgatorio bramano di godere Iddio. L'esempio del pane e dell'affamato.

VIII. - L'Inferno e il Purgatorio rivelano la mirabile sapienza di Dio.

IX. - Necessità del Purgatorio.

X. - Natura terribile del Purgatorio.

XI. - L'amore di Dio che attrae a sé le Anime sante e l'impedimento che esse trovano nel peccato, genera la pena del Purgatorio.

XII. - Come Dio purifica le Anime. L'esempio dell'oro nel crogiuolo.

XIII. - Desiderio ardente delle Anime di trasformarsi in Dio, e sapienza di Dio nell'occultare ad esse le loro imperfezioni.

XIV. - Gioia e dolore delle anime purganti.

XV. - Le Anime purganti non possono più meritare. Come è disposta la loro volontà verso le opere offerte in questo mondo a loro suffragio.

XVI. - Le Anime vogliono la perfetta purificazione.

XVII. - Esortazioni e rimproveri ai viventi. E così quell'anima benedetta, vedendo le sopradette cose nel divin lume, disse:

XVIII. - Sofferenza spontanea e lieta delle Anime purganti.

XIX. - La Santa conclude la sua dottrina sulle anime del Purgatorio coll'applicazione di ciò che esperimenta nell'anima sua.
-------------------------------------------------------------------------
Come per comparazione del divino fuoco quale in sé sentiva, comprendeva come era il Purgatorio, e in che modo vi stanno le anime contente e tormentate.

Quest' anima santa ancora in carne, trovandosi posta nel Purgatorio de l'affocato amore di Dio, il quale tutta la bruciava e purificava di quanto aveva da purificare, acciocché passando da questa vita, potesse essere presentata innanzi al cos petto del suo dolce amore Iddio; per mezzo di questo amoroso fuoco, comprendeva nell'anima sua, come stavano le anime dei fedeli nel luogo del Purgatorio, per purgare ogni ruggine e macchia di peccato, che in questa vita ancora non avessero purgato.

E siccome essa, posta nel Purgatorio amoroso del divin fuoco, stava unita a esso divino Amore, e contenta di tutto quello che Egli in lei operava, così comprendeva delle anime che sono nel Purgatorio e diceva:

I. - Perfetta uniformità delle Anime purganti al volere di Dio.

Le anime che sono nel Purgatorio (secondo che mi par comprendere) non possono avere altra elezione che di essere in esso luogo, e questo è per l'ordinazione di Dio, il quale ha fatto questo giustamente. Né si possono più voltare verso se stesse, né dire: "Io ho fatto tali peccati per i quali merito di star qui". Né possono dire: "Non li vorrei aver fatti perché andrei ora in paradiso". Né dire ancora: "Quegli ne esce più presto di me" ovvero: "Io ne uscirò più presto di lui".

2. Non possono avere alcuna memoria propria, né d'altri parimenti, in bene né in male che in loro faccia maggior afflizione del suo ordinario. Ma hanno un tanto contento di essere nella ordinazione di Dio, e che Egli adoperi tutto quello che gli piace, e come gli piace, che di sé medesime non ne possono pensare con maggior loro pena.

3. E solamente vedono l'operazione della divina bontà, la quale ha tanta misericordia all'uomo per condurlo a sé, che di pena, né di bene che possa accadere in proprietà, non se ne può niente da esse vedere, e se lo potessero vedere non sarebbero in carità pura.

4. Non possono vedere neppure che siano in quelle pene per i loro peccati, e non possono tenere quella vista nella mente; imperocché vi sarebbe una imperfezione attiva, la quale non può essere in esso luogo, perché non vi si può più attualmente peccare.

5. La causa del Purgatorio che hanno in loro, la vedono una sol volta nel passare da questa vita, e poi mai più la vedono; imperocché altrimenti vi sarebbe una proprietà.

6. Essendo dunque esse in carità, e da quella non potendo più deviare con attuale difetto, non possono più volere né desiderare se non il puro volere della pura carità; ed essendo in quel fuoco purgatorio, sono nella ordinazione divina: (la quale è carità pura), e non possono più in alcuna cosa da quella deviare: perché sono private così di attualmente peccare, come sono pure di attualmente meritare.

II. - Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio. L'esempio della ruggine.

Non credo che si possa trovare contentezza da comparare a quella di un'anima del Purgatorio, eccetto quella dei santi del Paradiso.
E ogni giorno questa contentezza cresce, per l'influsso di Dio in esse anime, il quale va crescendo, siccome va consumando l'impedimento dell'influsso.

2. La ruggine del peccato è l'impedimento, e il fuoco va consumando la ruggine; e così l'anima sempre più si va discoprendo al divino influsso. Siccome una cosa coperta non può corrispondere alla riverberazione del sole, non per difetto del sole, che di continuo luce, ma per l'opposizione della copertura: se si consumerà dunque la copertura, si discoprirà la cosa al sole; e tanto più corrisponderà alla riverberazione, quanto la copertura più si andrà consumando.

3. Così la ruggine (cioè il peccato) è la copertura delle anime, e nel Purgatorio si va consumando per il fuoco; e quanto più consuma, tanto più sempre corrisponde al vero sole Iddio. Però tanto cresce la contentezza, quanto manca la ruggine e si discopre l'anima al divin raggio. E così l'un cresce e l'altro manca, sin che sia finito il tempo.

4. Non manca però la pena, ma solo il tempo di stare in essa pena. E quanto alla volontà, non possono mai dire che quelle pene siano pene, tanto si contentano dell'ordinazione di Dio, con la quale è unita la loro volontà in pura carità.

III. - Pene delle Anime del Purgatorio. La separazione da Dio, loro maggior pena.

Dell altra parte poi hanno una pena tanto estrema, che non si trova lingua che la possa narrare, né intelletto che possa capirne una minima scintilla, se Dio non gliela mostrasse per grazia speciale.

2. La quale scintilla Dio per grazia la mostrò a quest'anima; ma con la lingua non la posso esprimere. E questa vista che mi mostrò il Signore, mai più s'è partita dalla mente mia; e ve ne dirò quello che potrò, e intenderanno quelli, ai quali il Signore si degnerà l'intelletto aprire.

3. Il fondamento di tutte le pene è il peccato originale o attuale. Dio ha creata l'anima, pura, semplice, e netta di ogni macchia di peccato, con un certo istinto beatifico verso di lui, dal quale istinto il peccato originale, che essa trova, l'allontana: poi quando vi si aggiunge l'attuale, ancora più se ne allontana, e quanto più se ne fa lontana, tanto più diventa maligna; imperocché Dio meno le corrisponde.

4. E perché tutte le bontà che possano essere, sono per la partecipazione di Dio; il quale corrisponde nelle creature irrazionali, come vuole e come ha ordinato, e non manca loro mai; e nell'anima razionale corrisponde più e meno, secondo che la trova purificata dall'impedimento del peccato; perciò, quando si trova un'anima che si accosti alla sua prima creazione pura e netta, quello istinto beatifico se la va discoprendo e crescendo tuttavia, con tanto impeto e furor di fuoco di carità (il quale la tira al suo ultimo fine) che le par cosa insopportabile di essere impedita; e quanto più vede, tanto le è più estrema pena.

IV. - Differenza tra dannati ed Anime purganti.

E perché le anime che sono nel Purgatorio, sono senza colpa di peccato, sono senza colpa di peccato, perciò non hanno impedimento tra Dio e loro, salvo quella pena la quale le ha ritardate, sicché l'istinto non ha potuto avere la sua perfezione.

2. E vedendo per certezza quanto importi ogni minimo impedimento, ed essere per necessità di giustizia ritardato esso istinto, di qui nasce in loro un estremo fuoco, simile a quello dell'Inferno, eccetto la colpa, la quale è quella che fa la volontà maligna ai dannati dell'Inferno; ai quali Dio non corrisponde la sua bontà: e perciò restano in quella disperata, maligna volontà contro la volontà di Dio.

3. Di qui si vede esser manifesto, che la perversa volontà contro la volontà di Dio, è quella che fa la colpa; e perseverando la mala volontà, persevera la colpa.

4. E per esser quelli dell'Inferno passati di questa vita con la mala volontà, la loro colpa non è rimessa, né si può rimettere; perché più non si possono mutare di volontà, poiché con quella son passati di questa vita; nel qual passo si stabilisce l'anima in bene o in male, come si trova con la volontà deliberata; siccome è scritto: Ubi te invenero, cioè nell'ora della morte, con qual volontà, o di peccare, o mal contento e pentito del peccato: Ibi te judicabo.

5. Al qual giudizio non è poi remissione: imperocché dopo la morte, la libertà del libero arbitrio non è più vertibile; ma sta fermata in quello, in che si trova al punto della morte.

6. Quelli dell'Inferno, per essere trovati al punto della morte con la volontà di peccare, hanno con seco la colpa infinitamente, e la pena, non però tanta quanta meritano; ma pur quella che hanno è senza fine.

7. Ma quelli del Purgatorio han solamente la pena, perciocché la colpa fu cancellata nel punto della morte, essendo stati trovati mal contenti dei peccati loro, e pentiti d'aver offeso la divina bontà; e così essa pena è finita, e va sempre mancando, quanto al tempo, com'è detto.
Oh miseria sopra ogni miseria, e tanto più, quanto non è considerata dall'umana cecità!

V. - Dio mostra la sua bontà anche verso i dannati.

La pena dei dannati non è già infinita in quantità; imperocché la dolce bontà di Dio, spande il raggio della sua misericordia ancora nell'Inferno.

2. Perché l'uomo, morto in peccato mortale, merita pena infinita e tempo infinito; ma la misericordia di Dio ha fatto solo il tempo infinito, e la pena terminata in quantità: imperocché giustamente avrebbe potuto dar loro molto maggior pena, che non ha dato.

3. Oh quanto è pericoloso il peccato fatto con malizia: perché l'uomo difficilmente se ne pente, e non pentendosi, sempre sta la colpa; la quale tanto persevera, quanto l'uomo sta nella volontà del peccato commesso o di commetterlo!

VI. - Purificate dal peccato, le Anime purganti scontano giocondamente le pene.

Ma le anime del Purgatorio hanno in tutto conforme la loro volontà con quella di Dio: e però Dio corrisponde loro con la sua bontà, ed esse restano contente (quanto alla volontà) e purificate dal peccato originale e attuale, quanto alla colpa.

2. Restano così quelle anime purificate come quando Dio le creò: e per essere passate di questa vita mal contente e confessate di tutti i loro peccati commessi, con volontà di non più commetterne, Iddio subito perdona loro la colpa, e non resta loro se non la ruggine del peccato, della quale poi si purificano nel fuoco con pena.

3. E così purificate d'ogni colpa, e unite a Dio per volontà, vedono chiaramente Dio, secondo il grado che fa loro conoscere; e vedono ancora quanto importi la fruizione di Dio, e che le anime sono state create a questo fine.

VII. - Con quale violenza d'amore le Anime del Purgatorio bramano di godere Iddio. L'esempio del pane e dell'affamato.

Trovano ancora una conformità tanto unitiva con esso loro Dio, la quale tira tanto a sé (per l'istinto naturale di Dio con l'anima), che non se ne può dare ragioni, figure, 0 esempi, che siano sufficienti a chiarire questa cosa, siccome la mente la sente in effetto e comprende per interiore sentimento. Non di meno dirò un esempio che alla mente si presenta.

2. Se in tutto il mondo non vi fosse se non un pane, il quale dovesse levare la fame a tutte le creature, e che solamente vedendolo, le creature si saziassero; e avendo l'uomo, per natura, quando è sano, istinto di mangiare, se non mangiasse, e non si potesse infermare, né morire, quella fame sempre crescerebbe, perché l'istinto di mangiare mai gli verrebbe meno.

E sapendo che solo il detto pane lo potrebbe saziare, e non avendolo, la fame non si potrebbe levare: però resterebbe in pena intollerabile. Ma quanto più l'uomo se gli avvicinasse, e non potendolo vedere, tanto più gli si accenderebbe il desiderio naturale, il quale per suo istinto è tutto raccolto verso il pane, dove consiste tutto il suo contento.

3. E se fosse certo di giammai veder pane, in quel punto avrebbe l'inferno compito, come le anime dannate, le quali sono private d'ogni speranza di mai poter vedere il pane Dio, vero Salvatore.

4. Ma le anime del Purgatorio hanno speranza di vedere il pane, e in tutto saziarsene. Perciò tanto patiscono fame e tanto stanno in pena, quanto staranno a potersi saziare di quel pane, Gesù Cristo, vero Dio Salvatore, Amor nostro.

VIII. - L'Inferno e il Purgatorio rivelano la mirabile sapienza di Dio.

Siccome lo spirito netto e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, per essere stato a questo fine creato, così l'anima in peccato, altro luogo non ha salvo l'Inferno, avendole ordinato Dio quel luogo per fine suo.

2. Però in quell'istante che lo spirito è separato dal corpo, l'anima va all'ordinato luogo suo senz'altra guida, eccetto quella che ha la natura del peccato; partendosi però l'anima dal corpo in peccato mortale.

3. E se l'anima non trovasse in quel punto quella ordinazione (procedente dalla giustizia di Dio) rimarrebbe in maggior Inferno che non è quello; per ritrovarsi fuori di essa ordinazione, la quale partecipa della divina misericordia, perché non le dà tanta pena quanto merita. Perciò non trovando luogo più conveniente, né di minor male per lei, per l'ordinazione di Dio, vi si getta dentro, come nel suo proprio luogo.

4. Così, al proposito nostro del Purgatorio, l'anima separata dal corpo, la quale non si trova in quella nettezza, come fu creata, vedendo in sé l'impedimento, e che non le può esser levato, salvo che per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri.

5. E se non trovasse questa ordinazione, atta a levarle quell'impaccio, in quell'istante, in lei si genererebbe un Inferno peggiore del Purgatorio, vedendo di non poter giungere, per l'impedimento, al suo fine Dio; il quale importa tanto, che in comparazione il Purgatorio non è da stimare; benché, come è detto, sia simile all'Inferno: ma in quella comparazione è quasi niente.

IX. - Necessità del Purgatorio.

Più ancora dico ch'io vedo, quanto per parte di Dio, il Paradiso non aver porta: ma chi vi vuole entrare vi entra; perché Dio è tutto misericordia, e sta verso di noi con le braccia aperte per riceverne nella sua gloria.

2. Ma ben vedo quella divina essenza di essere di tanta purità e nettezza, (e molto più che immaginar si possa) che l'anima, la quale in sé abbia tanta imperfezione, quanta sarebbe un minimo bruscolo, si getterebbe più presto in mille Inferni, che trovarsi in presenza della divina maestà con quella macchia.

3. E perciò vedendo il Purgatorio ordinato per levarle esse macchie, vi si getta dentro, e le par trovare una gran misericordia, per potersi levar quell'impedimento.

X. - Natura terribile del Purgatorio.

Di quanta importanza sia il Purgatorio, né lingua lo può esprimere, né mente capire, salvo che lo vedo esser di tanta pena come l'Inferno: e nientedimeno io vedo l'anima la quale in sé sente una minima macchia d'imperfezione, riceverlo per misericordia (come si è detto), non facendo in un certo modo stima, in comparazione di quella macchia impeditiva del suo amore.

2. E parmi vedere la pena delle anime del Purgatorio esser più, per veder di avere in sé cosa che dispiaccia a Dio, e averla fatta volontariamente contro tanta bontà, che di niuna altra pena che sentano in esso Purgatorio. Questo è perché essendo in grazia, vedono la verità e l'importanza dell'impedimento, il quale non le lascia avvicinare a Dio.

3. Tutte queste cose che son dette, per comparazione di quello che io ne sono certificata nella mente mia (per quanto ne ho potuto comprendere in questa vita), son di tanta estremità, che ogni vista, ogni parola, ogni sentimento, ogni immaginazione, ogni giustizia, ogni verità, mi paiono bugie e cose da niente.

Resto ancora confusa per non saper trovare vocaboli più estremi.

XI. - L'amore di Dio che attrae a sé le Anime sante e l'impedimento che esse trovano nel peccato, genera la pena del Purgatorio.

Io vedo sì gran conformità di Dio con l'anima, che quando la vede in quella purità nella quale Sua Maestà le creò, le dà un certo modo attrattivo di affocato amore, sufficiente per annichilarla, benché sia immortale.

2. E la fa stare tanto trasformata in sé suo Dio, che non si vede esser altro che Dio, il quale continuamente la va tirando e affogando, né mai lasciandola, finché l'abbia condotta a quell'essere donde è uscita, cioè in quella pura nettezza in cui fu creata.

3. Quando l'anima, per interior vista, si vede così da Dio tirar con tanto amoroso fuoco, allora per quel calore dell'affocato amore del suo dolce Signore e Dio, che sente ridondar nella sua mente, tutta si liquefa.

4. Vedendo poi nel divino lume, siccome Dio non cessa mai di tirarla e amorosamente condurla all'intera sua perfezione, con tanta cura e continua provvisione; e che lo fa solo per puro amore; ed essa per aver l'impedimento del peccato, non poter seguire quel tirare fatto da Dio, cioè quell'unitivo sguardo, che Dio le ha dato per tirarla a sé: vedendo ancora, quanto le importi l'esser ritardata di non poter vedere il divino lume: aggiuntovi l'istinto dell'anima, la quale vorrebbe esser senza impedimento, per esser tirata da esso unitivo sguardo: dico la vista delle predette cose esser quella, che genera alle anime la pena la quale hanno nel Purgatorio.

5. Non che facciano stima della lor pena (benché sia però grandissima), ma fanno più stima assai dell'opposizione che si trovano aver contro la volontà di Dio, il quale vedono chiaramente acceso d'un estremo e puro amore verso di loro.

6. Questo amore, con quell'unitivo sguardo, tira sì forte di continuo, come se altro che questo non avesse a fare.

Perciò l'anima, questo vedendo, se trovasse un altro Purgatorio sopra quello, per potersi levar più presto tanto impedimento, presto vi si getterebbe dentro, per l'impeto di quell'amor conforme tra Dio e l'anima.

XII. - Come Dio purifica le Anime. L'esempio dell'oro nel crogiuolo.

Vedo ancora procedere da quel divino amore verso l'anima certi raggi e lampi affocati, tanto penetranti e forti, che pare debbano annichilare non solo il corpo, ma ancora essa anima, se fosse possibile.

2. Questi raggi fanno due operazioni: per la prima purificano, con la seconda annichilano.

3. Vedi l'oro: quanto più tu lo fondi, tanto più divien migliore, e tanto lo potresti fondere, che annichileresti in esso ogni imperfezione.

Questo effetto fa il fuoco nelle cose materiali; ma l'anima non si può annichilare in Dio, ma sibbene in sé propria: e quanto più la purifichi, tanto più in sé l'annichili, e alfine in Dio resta purificata.

4. L'oro quando è purificato per fino a ventiquattro carati, non si consuma poi più, per fuoco che tu gli possa dare; perché non si può consumare se non la sua imperfezione.

Così fa il divin fuoco nell'anima. Dio la tiene tanto al fuoco, che le consuma ogni imperfezione, e la conduce alla perfezione di ventiquattro carati (ognuna però in suo grado): e quando è purificata resta tutta in Dio, senza alcuna cosa in sé propria e il suo essere è Dio.

5. Il quale quando ha condotta a sé l'anima così purificata, allora l'anima resta impassibile, perché più non le resta da consumare. E se pur così purificata fosse tenuta al fuoco, non le sarebbe penoso; anzi le sarebbe fuoco di divino amore, come vita eterna, senz'alcuna contrarietà.

XIII. - Desiderio ardente delle Anime di trasformarsi in Dio, e sapienza di Dio nell'occultare ad esse le loro imperfezioni.

L'anima è stata creata con tutte quelle buone condizioni, delle quali era capace, per pervenire alla perfezione: vivendo però come Dio le ha ordinato, non contaminandosi d'alcuna macchia di peccato.

2. Ma essendosi contaminata per il peccato originale, perde i suoi doni e grazie, e resta morta, né si può risuscitare, se non da Dio. E quando è risuscitata per il Battesimo, le resta la mala inclinazione, la quale la inclina e conduce (se non fa resistenza) al peccato attuale, per il quale di nuovo muore.

3. Dio poi ancora la risuscita con un'altra grazia speciale; imperocché resta così imbrattata e conversa verso se stessa, che per rivocarla al suo primo stato, come Dio la creò, le bisognano tutte le sopraddette divine operazioni, senza le quali giammai vi potrebbe ritornare.

4. E quando l'anima si trova in via di ritornare a quel suo primo stato, tanto è l'accendimento di doversi trasformare in Dio, che quello è il suo Purgatorio.

Non che possa guardare al Purgatorio, siccome a Purgatorio; ma quello istinto acceso e impedito, è quello che le fa il Purgatorio.

5. Quest'ultimo atto di amore è quello che fa quest'opera senza l'uomo; trovandosi nell'anima tante imperfezioni occulte, che se le vedesse vivrebbe disperata, ma quest'ultimo stato le va consumando tutte.

E poiché sono consumate Dio le mostra all'anima, acciocché essa veda l'operazione divina, che le causa il fuoco d'amore, il quale consuma quelle imperfezioni che sono da consumare.

XIV. - Gioia e dolore delle anime purganti.

Sappi che quello che l'uomo giudica in sé perfezione, innanzi a Dio è difetto: imperocché tutto quello che opera di cose le quali abbiano apparenza di perfezione, come pur le vede, le sente, le intende, le vuole, ovvero ne ha memoria, senza riconoscerle da Dio, in tutte si contamina e imbratta.

2. Perché, dovendo le operazioni essere perfette, bisogna che siano operate in noi senza noi, quanto come agenti principali: e che l'operazione di Dio sia in Dio, senza l'uomo primo operante.

3. Queste tali operazioni sono quelle, che fa Dio nell'ultima operazione dell'amor puro e netto, da sé solo, senza merito nostro: le quali sono tanto penetranti e affocate all'anima, che il corpo il quale le è intorno, par che si consumi in quel modo come chi stesse in un gran fuoco; perché non quieterebbe giammai fino alla morte.

4. È vero che l'amor di Dio, il quale ridonda nell'anima (secondo ch'io vedo) le dà una contentezza sì grande, che non si può esprimere; ma questa contentezza, alle anime che sono in Purgatorio, non leva scintilla di pena.

5. Anzi quell'amore il quale si trova ritardato, è quello che fa loro la pena; e tanto fa pena maggiore, quanta è la perfezione dell'amore del quale Iddio le ha fatte capaci.

6. Sicché le anime in Purgatorio hanno contento grandissimo e pena grandissima, e l'una cosa non impedisce l'altra.

XV. - Le Anime purganti non possono più meritare. Come è disposta la loro volontà verso le opere offerte in questo mondo a loro suffragio.

Se le anime del Purgatorio potessero purgarsi per contrizione, in un istante pagherebbero tutto il loro debito; tanto affocato impeto di contrizione verrebbe loro; e questo per il chiaro lume che hanno dell'importanza di quell'impedimento, il quale non le lascia congiungere con il loro fine e Amore Dio.

2. E sappi certo, che del pagamento a quelle anime, pure un minimo danaio non si perdona, essendo così stato stabilito dalla divina giustizia; e questo è quanto per parte di Dio.

3. Per parte poi delle anime, esse non hanno più propria elezione, e non possono più vedere, se non quanto vuole Dio, né altro vorrebbero, imperocché così sono stabilite.

4. E se alcuna elemosina è fatta loro da quelli che sono nel mondo, la quale diminuisca loro il tempo, non si possono più voltare con affetto per vederla, eccetto sotto quella giustissima bilancia della volontà divina, in tutto ciò lasciando fare a Dio, il quale si paga come alla sua infinita bontà piace. E se si potessero voltare a vedere esse limosine fuori di essa divina volontà, sarebbe loro una proprietà che leverebbe loro la vista del divino volere; il che sarebbe loro un Inferno.

5. Perciò stanno immobili a tutto quello che Dio dà loro, così di piacere e contentezza, come di pena: e mai più a sé proprie si possono voltare, tanto sono intime e trasformate nella volontà di Dio, e si contentano in tutto dell'ordinazione sua santissima.

XVI. - Le Anime vogliono la perfetta purificazione.

E quando un'anima fosse presentata alla visione di Dio, avendo ancora un poco da purgare, se le farebbe una grande ingiuria, e le sarebbe passione maggiore che dieci Purgatorii.

2. Perciocché quella pura bontà e somma giustizia non la potrebbe sopportare, e sarebbe cosa inconveniente da parte di Dio.

3. Ed a quell'anima che vedesse Iddio non essere pienamente da sé ancora soddisfatto, in modo che le mancasse pure un sol batter d'occhio di purgazione, le sarebbe cosa intollerabile, e per levarsi quella poco ruggine, andrebbe più presto in mille Inferni (quando se li potesse eleggere), che star innanzi alla divina presenza, non purificata in tutto ancora.

XVII. - Esortazioni e rimproveri ai viventi.

E così quell'anima benedetta, vedendo le sopradette cose nel divin lume, disse:

1. Viemmi voglia di gridar un sì forte grido, che spaventasse tutti gli uomini che sono sopra la terra, e dir loro: O miseri, perché vi lasciate così accecare da questo mondo, che a una tanta e così importante necessità, come troverete al punto della morte, non date provvisione alcuna?

2. Tutti state coperti sotto la speranza della misericordia di Dio, la quale dite essere tanto grande; ma non vedete che tanta bontà di Dio vi sarà in giudizio, per avere fatto contro la volontà di un tanto buon Signore?

3. La sua bontà vi dovrebbe costringere a far tutta la sua volontà, e non darvi speranza di far male; perciocché la sua giustizia non ne può ancora mancare, ma bisogna che in alcun modo sia soddisfatta appieno.

4. Non ti confidare dicendo: Io mi confesserò, e poi prenderò l'Indulgenza Plenaria, e sarò in quel punto purgato di tutti i miei peccati, e così sarò salvo.

5. Pensa che la confessione e contrizione la quale è di bisogno per essa Indulgenza Plenaria, è cosa tanto difficile di avere, che se tu lo sapessi, tremeresti per gran paura, e saresti più certo di non averla, che di poterla avere.

XVIII. - Sofferenza spontanea e lieta delle Anime purganti.

Io vedo quelle anime stare nelle pene del Purgatorio con la vista di due operazioni.

2. La prima è, che patiscono volentieri quelle pene, e par loro vedere che Dio abbia lor fatto gran misericordia, considerando quello che meritavano, e conoscendo quanto importa Dio. Imperocché se la sua bontà non temperasse la giustizia con la misericordia, (soddisfacendola con il prezioso sangue di Gesù Cristo), un sol peccato meriterebbe mille perpetui Inferni.

3. E perciò patiscono questa pena così volentieri, che non se ne leverebbero un sol carato, conoscendo di giustissimamente meritarla, ed essere bene ordinata: in modo che tanto si lamentano di Dio (quanto alla volontà) come se fossero in vita eterna.

4. L'altra operazione è un contento, il quale hanno vedendo l'ordinazione di Dio con l'amore e misericordia che opera verso le anime.

5. Queste due viste Iddio le imprime in quelle menti in un istante; e perché sono in grazia, le intendono e capiscono così come sono, secondo la loro capacità; e perciò dan loro un gran contento, il quale non manca mai; anzi va loro crescendo tanto, quanto più si approssimano a Dio.

6. E quelle anime non lo vedono in loro, né per loro proprie, ma in Dio; nel quale sono assai più intente, che nelle patite pene, e del quale fanno assai più stima senza comparazione. Perciocché ogni poca vista che si possa aver di Dio, eccede ogni pena e ogni gaudio, che l'uomo può capire: e benché la ecceda, non leva loro però una scintilla di gaudio o di pena.

XIX. - La Santa conclude la sua dottrina sulle anime del Purgatorio coll'applicazione di ciò che esperimenta nell'anima sua.

Questa forma purgativa ch'io vedo delle anime del Purgatorio, la sento nella mente mia, massimamente da due anni in qua; e ogni giorno la sento e vedo più chiara.

2. Vedo star l'anima mia in questo corpo, come in un Purgatorio, conforme e consimile al vero Purgatorio, con la misura però che il corpo può sopportare, acciocché non muoia, sempre non di meno crescendo a poco a poco, sino a tanto che pur muoia.

3. Vedo lo spirito alienato da tutte le cose, anche spirituali, che gli possono dare nutrimento, come sarebbe allegrezza, dilettazione, o consolazione; e non ha la possanza di gustare alcuna cosa sia temporale o spirituale, per volontà, per intelletto, né per memoria, in tal modo ch'io possa dire: Mi contento più di questa cosa, che di quell'altra.

4. Trovasi l'interior mio in modo assediato, che di tutte quelle cose, dove si refrigerava la vita spirituale e corporale, tutte a poco a poco gli sono state levate: e poiché gli sono levate, conosce tutte essere state cose da pascersi e confortarsi; ma come sono dallo spirito conosciute, tanto sono odiate e abborrite, che se ne vanno tutte senza alcun riparo.

5. Questo è perché lo spirito ha in sé l'istinto di levarsi ogni cosa impeditiva alla sua perfezione, e con tanta crudeltà, che quasi permetterebbe mettersi nell'Inferno per venir al suo intento.

E perciò va levando tutte le cose, onde l'uomo interiore si possa pascere; e l'assedia tanto sottilmente, che non vi può passar così minimo bruscolo d'imperfezione, che non sia da lui veduto e abborrito.

6. Quanto alla parte esteriore, perché lo spirito non le corrisponde, resta ancor essa tanto assediata, che non trova cosa in terra, dove si possa refrigerare secondo il suo umano istinto.

Non le resta altro conforto che Dio, il quale opera tutto questo per amore e con gran misericordia, per soddisfare alla giustizia sua.

7. Questa vista le dà gran pace e contentezza; ma questa contentezza non diminuisce però la pena, né l'assedio; né se le potrebbe dar sì gran pena, che volesse uscir di quella divina ordinazione. Non si parte di prigione, né ancor cerca di uscirne, fino a tanto che Dio faccia tutto quello che sarà bisogno. Il mio contento è che Dio sia soddisfatto; né potrei trovare maggior pena, come di uscir fuori dell'ordinazione di Dio: tanto la vedo giusta e con gran misericordia.

8. Tutte le predette cose le vedo e tocco, ma non so trovar vocaboli convenienti per esprimere quanto vorrei dire; e quello che ne ho detto, lo sento operar dentro spiritualmente, e però l'ho detto.

9. La prigione nella quale mi par essere, è il mondo; il legame, il corpo. E l'anima illuminata dalla grazia, è quella che riconosce l'importanza di essere ritenuta o ritardata, per qualche impedimento, di non poter conseguire il fine suo: e però le dà gran pena, per essere molto delicata.

10. Riceve ancor da Dio per grazia una certa dignità, la quale la fa simile ad esso Dio; anzi la fa con seco una cosa medesima per partecipazione della sua bontà. E siccome a Dio è impossibile che accader possa alcuna pena, così interviene alle anime che si approssimano a lui; e quanto più se gli approssimano, tanto più della sua proprietà ricevono.

11. La ritardazione dunque che trova l'anima, le causa pena intollerabile: la pena e il ritardo, la fanno disforme da quelle proprietà, che essa ha per natura, e che per grazia le son mostrate; e non potendole avere, ed essendone capace, resta con la pena tanto grande, quanto ella stima Dio. La stima è tanto maggiore poi, quanto più conosce; e tanto più conosce quanto più è senza peccato; e l'impedimento resta più terribile, massime che l'anima resta tutta raccolta in Dio, e per non avere alcun impedimento, conosce senza errore.

12. Siccome l'uomo che si lascia ammazzare, prima che offender Dio, sente il morire e gli dà pena; ma il lume di Dio gli dà uno zelo, il quale gli fa più stimare il divino onore che la morte corporale; così l'anima conoscendo l'ordinazione di Dio, stima più quella ordinazione, che non fa tutti i tormenti interiori ed esteriori per terribili che possano essere; e questo perché Dio, per il quale si fa questa opera, eccede ogni cosa che sentire e immaginare si possa.

13. E conciossiaché l'occupazione che Dio dà all'anima di sé, per poca che sia, la tenga tanto in sua Maestà occupata, che di altro non può far stima, perciò perde ogni proprietà, né più vede, parla, né conosce danno o pena in sé propria; ma il tutto, come di sopra è detto, conosce in un istante, quando passa di questa vita.

E finalmente, per conclusione, intendiamo, che Dio fa perdere tutto quello che è dell'uomo, e il Purgatorio lo purifica.

Augustinus
02-11-03, 12:41
http://santiebeati.it/immagini/Original/20550/20550F.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/20550/20550E.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/20550/20550D.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/20550/20550G.JPG

http://www.agisoftware.it/arte/3/p/bg/p3c71000.jpg http://www.wga.hu/art/b/bosch/6venice/1paradi1.jpg http://www.wga.hu/art/b/bosch/6venice/1paradi2.jpg http://www.anthroposophie.net/bilder/Bosch_Ascent_of_the_Blessed.jpg Hieronymus Bosch, Ascesa dei Beati, Palazzo Ducale, Venezia

Augustinus
02-11-03, 13:31
In questo giorno di commemorazione dei fedeli che ci hanno preceduto, è bello rileggere le parole del Grande Padre della Chiesa Agostino nelle sue Confessioni laddove rievoca il ricordo del sereno trapasso della madre, S. Monica, da questa vita alla Patria Celeste.

Augustinus

Confessioni, IX, 10-13

10. 23. All’avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare. Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi (Fil 3. 13), cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu (Cf. Gv 14. 6), quale sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse in cuore d’uomo (1 Cor 2. 9; cf. Is 64. 4). Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te (Sal 35. 10), per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà così alta.
10. 24. Condotto il discorso a questa conclusione: che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione; elevandoci con più ardente impeto d’amore verso l’Essere stesso (Sal 4. 9), percorremmo su su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole e la luna e le stelle brillano sulla terra. E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l’esaltazione, l’ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch’esse superammo per attingere la plaga dell’abbondanza inesauribile (Cf. Ez 34. 14), ove pasci Israele (Sal 79. 2. Cf. Aug., En. in ps. 79. 2: NBA 26, 1094) in eterno col pascolo della verità, ove la vita è la Sapienza, per cui si fanno tutte le cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l’essere passato e l’essere futuro non sono in lei, ma solo l’essere, in quanto eterna, poiché l’essere passato e l’essere futuro non è l’eterno. E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito (Rm 8. 23), per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine. E cos’è simile alla tua Parola, il nostro Signore, stabile in se stesso senza vecchiaia e rinnovatore di ogni cosa (Cf. Sap 7. 27)?
10. 25. Si diceva dunque: "Se per un uomo tacesse il tumulto della carne, tacessero le immagini della terra, dell’acqua e dell’aria, tacessero i cieli, e l’anima stessa si tacesse e superasse non pensandosi, e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che nasce per sparire se per un uomo tacesse completamente, sì, perché, chi le ascolta, tutte le cose dicono: "Non ci siamo fatte da noi, ma ci fece (Cf. Sal 99. 3) Chi permane eternamente" (Sal 32. 11. Cf. Aug., En. in ps. 32, 2. 14: NBA 25, 594); 116. 2; Is 40. 8; Gv 12. 34); se, ciò detto, ormai ammutolissero, per aver levato l’orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne o voce d’angelo o fragore di nube (Cf. Sal 76. 18) o enigma (Cf. 1 Cor 13. 12) di parabola, ma lui direttamente, da noi amato in queste cose, lui direttamente udissimo senza queste cose, come or ora protesi con un pensiero fulmineo cogliemmo l’eterna Sapienza stabile sopra ogni cosa, e tale condizione si prolungasse, e le altre visioni, di qualità grandemente inferiore, scomparissero, e quest’unica nel contemplarla ci rapisse e assorbisse e immergesse in gioie interiori, e dunque la vita eterna somigliasse a quel momento d’intuizione che ci fece sospirare: non sarebbe questo l’"entra nel gaudio del tuo Signore" (Mt 25. 21)? E quando si realizzerà? Non forse il giorno in cui tutti risorgiamo, ma non tutti saremo mutati (1 Cor 15. 51)?".
10. 26. Così dicevo, sebbene in modo e parole diverse. Fu comunque, Signore, tu sai (Tb 8. 7; Gv 21. 15 s.), il giorno in cui avvenne questa conversazione, e questo mondo con tutte le sue attrattive si svilì ai nostri occhi nel parlare, che mia madre disse: "Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c’era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui?".

Malattia e morte di Monica

11. 27. Cosa le risposi, non ricordo bene. Ma intanto, entro cinque giorni o non molto più, si mise a letto febbricitante e nel corso della malattia un giorno cadde in deliquio e perdette la conoscenza per qualche tempo. Noi accorremmo, ma in breve riprese i sensi, ci guardò, mio fratello e me, che le stavamo accanto in piedi, e ci domandò, quasi cercando qualcosa: "Dov’ero?"; poi, vedendo il nostro afflitto stupore: "Seppellirete qui, soggiunse, vostra madre". Io rimasi muto, frenando le lacrime; mio fratello invece pronunziò qualche parola, esprimendo l’augurio che la morte non la cogliesse in terra straniera, ma in patria, che sarebbe stata migliore fortuna. All’udirlo, col volto divenuto ansioso gli lanciò un’occhiata severa per quei suoi pensieri, poi, fissando lo sguardo su di me, esclamò: "Vedi cosa dice", e subito dopo, rivolgendosi a entrambi: "Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore". Espressa così come poteva a parole la sua volontà, tacque. Il male aggravandosi la faceva soffrire.
11. 28. Io, al pensiero dei doni che spargi, Dio invisibile (Col 1. 15), nei cuori dei tuoi fedeli, e che vi fanno nascere stupende messi, gioivo e a te rendevo grazie (Cf. Lc 18. 11), ricordando ciò che sapevo, ossia quanto si era sempre preoccupata e affannata per la sua sepoltura, che aveva provvista e preparata accanto al corpo del marito. La grande concordia in cui erano vissuti le faceva desiderare, tanto l’animo umano stenta a comprendere le realtà divine, anche quest’altra felicità, e che la gente ricordasse come dopo un soggiorno di là dal mare avesse ottenuto che una polvere congiunta coprisse la polvere di entrambi i congiunti. Quando però la piena della tua bontà (Cf. Sal 103. 28; 2 Ts 1. 11) avesse eliminato dal suo cuore questi pensieri futili, io non sapevo; ma ero pervaso di gioia e ammirazione che mia madre mi fosse apparsa così. Invero anche durante la nostra conversazione presso la finestra, quando disse: "Ormai cosa faccio qui?", era apparso che non aveva il desiderio di morire in patria. Più tardi venni anche a sapere che già parlando un giorno in mia assenza, durante la nostra dimora in Ostia, ad alcuni amici miei con fiducia materna sullo spregio della vita terrena e il vantaggio della morte, di fronte al loro stupore per la virtù di una femmina, che l’aveva ricevuta da te, e alla loro domanda, se non l’impauriva l’idea di lasciare il corpo tanto lontano dalla sua città, esclamò: "Nulla è lontano da Dio, e non c’è da temere che alla fine del mondo egli non riconosca il luogo da cui risuscitarmi". Al nono giorno della sua malattia, nel cinquantaseiesimo anno della sua vita, trentatreesimo della mia, quell’anima credente e pia fu liberata dal corpo.

Un trapasso non funesto

12. 29. Le chiudevo gli occhi, e una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un fiotto di lacrime. Ma contemporaneamente i miei occhi sotto il violento imperio dello spirito ne riassorbivano il fonte sino a disseccarlo. Fu una lotta penosissima. Il giovane Adeodato al momento dell’estremo respiro di lei era scoppiato in singhiozzi, poi, trattenuto da noi tutti, rimase zitto: allo stesso modo anche quanto vi era di puerile in me, che si scioglieva in pianto, veniva represso e zittito dalla voce adulta della mente. Non ci sembrava davvero conveniente celebrare un funerale come quello fra lamenti, lacrime e gemiti. Così si suole piangere in chi muore una sorta di sciagura e quasi di annientamento totale; ma la morte di mia madre non era una sciagura e non era totale. Ce lo garantivano la prova della sua vita e una fede non finta (1 Tm 1. 5) e ragioni sicure.

Sforzi di Agostino per reprimere le lacrime

12. 30. Ma cos’era dunque, che mi doleva dentro gravemente, se non la recente ferita, derivata dalla lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune? Mi confortavo della testimonianza che mi aveva dato proprio durante la sua ultima malattia, quando, inframezzando con una carezza i miei servigi, mi chiamava buono e mi ripeteva con grande effusione d’affetto di non aver mai udito una parola dura o offensiva al suo indirizzo scoccata dalla mia bocca; eppure, Dio mio, creatore nostro (Cf. Sal 99. 3; Bar 4. 7), come assomigliare, come paragonare il rispetto che avevo portato io per lei, alla servitù che aveva sopportato lei per me? Privata della grandissima consolazione che trovava in lei, la mia anima rimaneva ferita e la mia vita, stata tutt’una con la sua, rimaneva come lacerata.
12. 31. Soffocato dunque il pianto del fanciullo, Evodio prese il salterio e intonò un salmo. Gli rispondeva tutta la casa: "La tua misericordia e la tua giustizia ti canterò, Signore" (Sal 100. 1). Alla nuova, poi, dell’accaduto, si diedero convegno molti fratelli e pie donne; e mentre gli incaricati si occupavano dei funerali secondo le usanze, io mi appartavo in un luogo conveniente con gli amici, che ritenevano di non dovermi abbandonare, e mi trattenevo con loro su temi adatti alla circostanza. Il balsamo della verità leniva un tormento che tu conoscevi, essi ignoravano. Mi ascoltavano attentamente e pensavano che non provassi dolore. Invece al tuo orecchio, ove nessuno di loro udiva, mi rimproveravo la debolezza del sentimento e trattenevo il fiotto dell’afflizione, che per qualche tempo si ritraeva davanti ai miei sforzi, ma per essere sospinto di nuovo dalla sua violenza. Non erompeva in lacrime né alterava i tratti del viso, ma sapevo ben io cosa tenevo compresso nel cuore. Il vivo disappunto, poi, che provavo di fronte al grande potere su me di questi avvenimenti umani, inevitabili nell’ordine naturale delle cose e nella condizione che abbiamo sortito, era un nuovo dolore, che mi addolorava per il mio dolore, cosicché mi consumavo d’una duplice tristezza.

Le esequie

12. 32. Alla sepoltura del suo corpo andai e tornai senza piangere. Nemmeno durante le preghiere che spandemmo innanzi a te mentre veniva offerto in suo suffragio il sacrificio del nostro riscatto, col cadavere già deposto vicino alla tomba, prima della sepoltura, come vuole l’usanza del luogo, ebbene, nemmeno durante quelle preghiere piansi. Ma per tutta la giornata sentii una profonda mestizia nel segreto del cuore e ti pregai come potevo, con la mente sconvolta, di guarire il mio dolore. Non mi esaudisti, per imprimere, credo, nella mia memoria almeno con quest’unica prova come sia forte il legame di qualsiasi abitudine anche per un’anima che già si nutre della parola non fallace. Pensai di andare a prendere anche un bagno, avendo sentito dire che i bagni furono così chiamati perché i greci dicono balanion, in quanto espelle l’affanno dall’animo. Ma ecco, confesso anche questo alla tua misericordia, Padre degli orfani (Sal 67. 6): che dopo il bagno stavo come prima del bagno, poiché non avevo trasudato dal cuore l’amarezza dell’afflizione. In seguito dormii. Al risveglio notai che il dolore si era non poco mitigato. Solo, nel mio letto, mi vennero alla mente i versi così veri del tuo Ambrogio: tu sei proprio
Dio creatore di tutto,
reggitore del cielo,
che adorni il dì di luce,
e di sopor gradito
la notte, sì che il sonno
sciolga e ristori gli arti,
ricrei le menti stanche,
disperda ansie e dolori (Ambr., Hymn. 4. 1-8 [ed.W. Bulst]; 2 Mac 1. 24).

Lacrime per la madre

12. 33. Poi tornai insensibilmente ai miei pensieri antichi sulla tua ancella, al suo atteggiamento pio nei tuoi riguardi, santamente sollecito e discreto nei nostri. Privato di lei così, all’improvviso, mi prese il desiderio di piangere davanti ai tuoi occhi (Sal 18. 15) su di lei e per lei, su di me e per me; lasciai libere le lacrime che trattenevo di scorrere a loro piacimento, stendendole sotto il mio cuore come un giaciglio, su cui trovò riposo. Perché ad ascoltarle c’eri tu, non un qualsiasi uomo, che avrebbe interpretato sdegnosamente il mio compianto. Ora, Signore, ti confesso tutto ciò su queste pagine. Chi vorrà le leggerà, e le interpreti come vorrà. Se troverà che ho peccato a piangere mia madre per piccola parte di un’ora, la mia madre frattanto morta ai miei occhi, che per tanti anni mi aveva pianto affinché vivessi ai tuoi, non mi derida. Piuttosto, se ha grande carità, pianga anch’egli per i miei peccati davanti a te, Padre di tutti i fratelli del tuo Cristo.

Speranza e fiducia nella misericordia di Dio

13. 34. Io per mio conto, ora che il cuore è guarito da quella ferita, ove si poteva condannare la presenza di un affetto carnale, spargo davanti a te, Dio nostro, per quella tua serva un ben altro genere di lacrime: sgorgano da uno spirito sconvolto dalla considerazione dei pericoli cui soggiace ogni anima morente in Adamo. Certo, vivificata in Cristo (Cf. 1 Cor 15. 22; Ef 2. 5) prima ancora di essere sciolta dalla carne, mia madre visse procurando con la sua fede e i suoi costumi lodi al tuo nome; tuttavia non ardisco affermare che da quando la rigenerasti col battesimo (Cf. Tt 3. 5), nemmeno una parola uscì dalla sua bocca contro il tuo precetto. Dalla Verità, da tuo Figlio (Cf. Gv 14. 6), fu proclamato: "Se qualcuno avrà detto a suo fratello: "Sciocco", sarà soggetto al fuoco della geenna" (Mt 5. 22); sventurata dunque la più lodevole delle vite umane, se la frughi accantonando la misericordia. Ma no, tu non frughi le nostre malefatte con rigore; perciò noi speriamo con fiducia di ottenere un posto accanto a te. Eppure chi aduna innanzi a te i suoi autentici meriti, che altro ti aduna, se non i tuoi doni? Oh, se gli uomini si conoscessero quali uomini, e chi si gloria, si gloriasse nel Signore (1 Cor 1. 31; 2 Cor 10. 17)!

Supplica a Dio per la madre pia

13. 35. Perciò, mio vanto (Es 15. 2; Sal 117. 14; Is 12. 2) e mia vita, Dio del mio cuore (Sal 72. 26), trascurando per un istante le sue buone opere, di cui a te rendo grazie con gioia (Lc 18. 11), ora ti scongiuro per i peccati di mia madre. Esaudiscimi (Gdt 9. 17), in nome di Colui che è medico delle nostre ferite, che fu sospeso al legno della croce (Cf. Dt 21. 23 (= Gal 3. 13)), e seduto alla tua destra intercede per noi (Rm 8. 34) presso di te. So che fu misericordiosa in ogni suo atto, che rimise di cuore i debiti ai propri debitori: dunque rimetti anche tu a lei i propri debiti (Cf. Mt 6. 12; 18. 35), se mai ne contrasse in tanti anni passati dopo ricevuta l’acqua risanatrice; rimettili, Signore, rimettili, t’imploro (Nm 14. 19), non entrare in giudizio contro di lei (Sal 142. 2). La misericordia trionfi sulla giustizia (Gc 2. 13). Le tue parole sono veritiere, e tu hai promesso misericordia ai misericordiosi (Cf. Mt 5. 7). Furono tali in grazia tua, e tu avrai misericordia di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso (Cf. Rm 9. 15).
13. 36. Credo che tu abbia già fatto quanto ti chiedo. Pure, gradisci, Signore, la volontaria offerta della mia bocca (Sal 118. 108). All’approssimarsi del giorno della sua liberazione (Cf. 2 Tm 4. 6), mia madre non si preoccupò che il suo corpo venisse composto in vesti suntuose o imbalsamato con aromi, non cercò un monumento eletto, non si curò di avere sepoltura in patria. Non furono queste le disposizioni che ci lasciò. Ci chiese soltanto di far menzione di lei davanti al tuo altare, cui aveva servito infallibilmente ogni giorno, conscia che di là si dispensa la vittima santa, grazie alla quale fu distrutto il documento che era contro di noi, e si trionfò sul nemico (Col 2. 14 s.) che, per quanto conteggi i nostri delitti e cerchi accuse da opporci, nulla trova in Colui (Cf. Gv 14. 30; Lc 23. 4; Gv 18. 38; 19. 4), nel quale siamo vittoriosi. A lui chi rifonderà il sangue innocente? chi gli ripagherà il prezzo con cui ci acquistò (Cf. 1 Cor 6. 20; 7. 23), per toglierci a lui? Al mistero di questo prezzo del nostro riscatto la tua ancella legò la propria anima col vincolo della fede. Nessuno la strappi alla tua protezione, non si frapponga tra voi né con la forza né con l’astuzia il leone e dragone (Cf. Sal 90. 13). Ella non risponderà: "Nulla devo", per timore di essere confutata e assegnata a un inquisitore scaltro. Risponderà però che i suoi debiti le furono rimessi da Colui, cui nessuno potrà restituire quanto restituì per noi senza nulla dovere.

Richiesta di suffragi per i genitori

13. 37. Sia dunque in pace col suo uomo, prima del quale e dopo il quale non fu sposa d’altri (Cf. 1 Tm 5. 9); che servì offrendoti il frutto della sua pazienza (Lc 8. 15) per guadagnare anche lui a te (Cf. 1 Pt 3. 1). Ispira, Signore mio e Dio mio (Gv 20. 28), ispira i servi tuoi, i fratelli miei, i figli tuoi, i padroni miei, che servo col cuore e la voce e gli scritti, affinché quanti leggono queste parole si ricordino davanti al tuo altare di Monica, tua serva, e di Patrizio, già suo marito, mediante la cui carne mi introducesti in questa vita, non so come. Si ricordino con sentimento pietoso di coloro che in questa luce passeggera furono miei genitori, e miei fratelli sotto di te, nostro Padre, dentro la Chiesa cattolica, nostra madre, e miei concittadini nella Gerusalemme eterna, cui sospira il tuo popolo durante il suo pellegrinaggio dalla partenza al ritorno. Così l’estrema invocazione che mi rivolse mia madre sarà soddisfatta, con le orazioni di molti, più abbondantemente dalle mie confessioni che dalle mie orazioni.

http://www.kfki.hu/~arthp/art/g/gozzoli/4gimigna/2/13scene.jpg Benozzo Gozzoli, Morte di S. Monica (1464-1465), S. Gimignano

http://www.kfki.hu/~arthp/art/g/gozzoli/4gimigna/saints/1monica.jpg Benozzo Gozzoli, S. Monica (1464-1465), S. Gimignano

Colombo da Priverno
02-11-03, 19:06
http://img286.imageshack.us/img286/6562/nicola285pg.jpg S. Nicola da Tolentino celebra la Messa per le anime purganti

PREGANDO
"Egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perchè fossero assolti dal peccato" (2 Mac 12,45)

CON LA SANTA MESSA
"Per ogni Messa celebrata, molte anime escono dal Purgatorio. Esse non provano nessun tormento durante la Messa offerta per loro" (S. Girolamo)

CON LA SANTA COMUNIONE
"La S. Comunione, dopo il Sacrificio dell'altare, è l'atto più sublime della religione, meritorio per i vivi e per i defunti" (S. Agostino)

FACENDO ELEMOSINE
"L'elemosina purifica da ogni peccato (Tb 12,9). "Conviene soccorrere i morti non con le lacrime, ma con le elemosine" (S. Giovanni Crisostomo).

CON L'ATTO EROICO
E' l'intenzione di offrire il bene che possiamo fare a vantaggio delle anime del Purgatorio.

SANTE MESSE GREGORIANE
Celebrazione di trenta Sante Messe consecutive per una sola persona defunta.

Colombo da Priverno
02-11-03, 21:00
http://www.cattolicesimo.com/immsacre/parroco.jpg

Il thread resterà in rilievo per tutto il mese di novembre, mese che per la Chiesa è tradizionalmente dedicato alla preghiera per i defunti. Proprio oggi il Santo Padre ci ha ricordato che: "è’ importante e doveroso pregare per i defunti, perché anche se morti nella grazia e nell’amicizia di Dio, essi forse abbisognano ancora di un’ultima purificazione per entrare nella gioia del Cielo (cfr Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1030). Il suffragio per loro si esprime in vari modi, tra i quali anche la visita ai cimiteri. Sostare in questi luoghi sacri costituisce un’occasione propizia per riflettere sul senso della vita terrena e per alimentare, al tempo stesso, la speranza nell'eternità beata del Paradiso".

Maria, Porta del cielo, ci aiuti a non dimenticare e a non perdere mai di vista la Patria celeste, meta ultima del nostro pellegrinaggio qui sulla Terra

Augustinus
03-11-03, 11:51
http://img163.imageshack.us/img163/2372/nicola306om.jpg S. Nicola da Tolentino intercede per le anime purganti

Colombo da Priverno
08-11-03, 22:53
Dal secondo libro dei Maccabei 12, 32-46

Dopo la festa chiamata Pentecoste, Giuda e i suoi uomini mossero contro Gorgia, stratega dell'Idumea. Questi avanzò con tremila fanti e quattrocento cavalieri. Schieratisi in combattimento, caddero un piccolo numero di Giudei. Un certo Dositeo, degli uomini di Bacenore, abile nel cavalcare e valoroso, si attaccò a Gorgia e, afferratolo per la clamide, lo trascinava a gran forza volendo prendere vivo quello scellerato; ma uno dei cavalieri traci si gettò su di lui tagliandogli la spalla e Gorgia poté fuggire a Maresa. Poiché gli uomini di Esdrin combattevano da lungo tempo ed erano stanchi, Giuda supplicò il Signore che si mostrasse loro alleato e guida nella battaglia. Poi, intonato nella lingua paterna il grido di guerra che si accompagnava agli inni, diede un assalto improvviso alle truppe di Gorgia e le mise in fuga.
Giuda poi radunò l'esercito e venne alla città di Odollam; poiché si compiva la settimana, si purificarono secondo l'uso e vi passarono il sabato. Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia. Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Perciò tutti, benedicendo l'operato di Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti. Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.

Colombo da Priverno
08-11-03, 23:01
http://santiebeati.it/immagini/Original/22250/22250A.JPG

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 7 per il fratello Cesare, 23-24; PG 35, 786-787)

«Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi?» (Sal 8, 5). Qual nuovo e grande mistero avvolge la mia esistenza? Perché sono piccolo e insieme grande, umile eppure eccelso, mortale e immortale, terreno ma insieme celeste? La prima condizione viene dal mondo inferiore, l'altra da Dio; quella dalla sfera materiale, questa dallo spirito.
E' necessario che io sia sepolto con Cristo, che risorga con Cristo, che sia coerede di Cristo, che diventi figlio di Dio, anzi che diventi come lo stesso Dio.
Ecco la profonda realtà che è racchiusa in questo nuovo e grande mistero. Dio ha assunto in pieno la nostra umanità ed è stato povero per far risorgere la carne, salvarne l'immagine primitiva e restaurare così l'uomo perché diventiamo una cosa sola con Cristo. Egli si è comunicato interamente a noi. Tutto ciò che egli è , è diventato completamente nostro. Sotto ogni aspetto noi siamo lui. Per lui portiamo in noi l'immagine di Dio dal quale e per il quale siamo stati creati. La fisionomia e l'impronta che ci caratterizza è quella di Dio. Perciò solo lui può riconoscerci per quel che siamo. Conseguentemente passano in seconda linea le differenze e le distinzioni fisiche e sociali, che pur certamente esistono fra gli uomini. Per questo si può dire che non c'è più né maschio né femmina, né barbaro né scita, né schiavo né libero (cfr. Col 3, 11).
Dio voglia che anche nel futuro riusciamo a diventare quello che speriamo di essere e che l'amore di Dio ci ha preparato! Egli esige poco da noi, però ora e sempre fa grandi doni a coloro che lo amano. E allora, pieni di speranza in lui, soffriamo tutto e sopportiamo tutto lietamente. Abbiamo il coraggio di rendergli grazie sempre e dappertutto, nella gioia e nel dolore. Convinciamoci che le tribolazioni sono strumento di salvezza. E poi non dimentichiamoci di raccomandare al Signore le anime nostre e anche quelle di coloro che ci hanno preceduto nel comune viaggio verso la casa paterna.
O Signore, sei tu che hai creato tutte le cose, tu che hai plasmato il mio essere. Tu sei Dio, Padre e guida di tutti gli uomini. Sei il sovrano della vita e della morte. Sei la difesa e la salvezza delle nostre anime. Sei tu che fai tutto. Sei tu che dirigi il progresso di tutte le cose, scegliendo le scadenze più opportune e ubbidendo alla tua infinita sapienza e provvidenza e sempre attraverso la tua parola.

Accogli fra le tue braccia, o Signore, il mio fratello maggiore che ci ha lasciati. A suo tempo accogli anche noi, dopo che ci avrai guidati lungo il pellegrinaggio terreno fino alla meta da te stabilita. Fà che ci presentiamo a te ben preparati e sereni, non sconvolti dal timore, non in stato di inimicizia verso di te, almeno nell'ultimo giorno, quello della nostra dipartita. Fà che non ci sentiamo come strappati e sradicati per forza dal mondo e dalla vita e non ci mettiamo quindi contro voglia in cammino. Fà invece che veniamo sereni e ben disposti, come chi parte per la vita felice che non finisce mai, per quella vita che è in Cristo Gesù, Signore Nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Augustinus
09-11-03, 17:50
La morte, per i grandi Santi, non è mai stata vista come un qualcosa da temere: essa era patrimonio stesso della natura umana. Lo ricorda S. Ambrogio in un passo de La fede nell'immortalità:

Non dobbiamo piangere la morte dei nostri cari. In effetti, non è giusto che si pianga come particolare disgrazia ciò che, lo sappiamo, tocca a tutti. ... . Cosa c'è di più stolto che disconoscere ciò che si è, e voler sembrare ciò che non si è? ... La morte è, infatti, comune a tutti, senza distinzione per i poveri, senza eccezione per i ricchi. ... La morte è un debito comune; tutti perciò ne devono sopportare il pagamento. Reputo addirittura un oltraggio che si fa alla pia memoria dei defunti, se li si considera perduti e si preferisce dimenticarli, piuttosto che confortarli con suffragi; se si pensa a loro per paura, piuttosto che con amore e benevolenza ... se si nutre per essi più timore che speranza e si ritiene che i nostri cari abbiano avuto il castigo piuttosto che l'immortalità.

I Padri sapevano bene che, come diceva S. Cipriano, ne La mortalità, 26,

quando ci tocca morire, passiamo attraverso la morte all'immortalità; e la vita eterna non può succedere se prima non usciamo dalla vita di quaggiù. Non è, dunque, una dipartita questa, ma un passaggio, un trasferimento all'eternità, dopo aver percorso tutta la nostra strada nel tempo.

L'immagine che ispirava i Padri era insieme positiva e bucolica, segno della permanenza dell'amore per la cultura classica e del loro radicarsi nel contesto culturale della loro terra. Gustiamo allora uno splendido passo dell'Omelia sulla Prima lettera ai Corinzi di S. Giovanni Crisostomo (41, 4):

L'agricoltore non si lamenta quando vede il frumento dissolversi; ma fino a quando lo vede restare immutato nel terreno, teme e trema; se poi lo vede dissolversi, si rallegra. La dissoluzione, infatti, è il principio della futura messe. Così anche noi rallegriamoci quando cade la nostra casa corruttibile, quando l'uomo viene seminato nel terreno. Non meravigliarti se l'Apostolo chiama seminagione la sepoltura: anzi questa è la migliore seminagione dell'uomo. A quell'altra seminagione (la nascita, ndr) seguono la morte, la fatica, i pericoli e le preoccupazioni; a questa, se viviamo rettamente, la corona ed il premio.

In questo mese di novembre siano essi i santi pensieri che ci guidino.

Augustinus

http://www.preghiereagesuemaria.it/immaginisacre/anime_del_purgatorio.jpg

Augustinus
09-11-03, 18:01
La Beata Anna Maria Taigi era devotissima delle Anime del Purgatorio. Nella sua pietà amava suffragarle con la recita di cento requiem. Ella testimoniò di aver ottenuto da Dio molti celesti favori nelle circostanze più diverse e nei bisogni più gravi, spirituali e temporali. Sull'esempio della beata Anna Maria anche noi possiamo praticare la devozione delle cento requiem per le Anime del Purgatorio.

Augustinus

******

Si può anche utilizzare una comune corona del Santo Rosario e percorrerla tutta due volle.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. Gloria al Padre

CREDO Simbolo degli Apostoli - Indulgenza plenaria

Io Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, (tutti si inchinano) il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, pati sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

MISERERE Indulgenza parziale

Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nel tuo grande amore cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto; perciò sei giusto quando parli retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell'intimo m'insegni la sapienza. Purificami con issopo e sarò mondato: lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode; poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito e sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, tu non disprezzi. Nel tuo amore fa' grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici prescritti, + l'olocausto e l'intera oblazione, allora immoleranno viffime sopra il tuo altare.

L'ETERNO RIPOSO Indulgenza parziale, applicabile soltanto alle anime del Purgatorio

L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen.

DE PROFUNDIS Si concede l'indulgenza parziale al fedele che piamente recita il salmo De Profundis. (Dal profondo: Salmo 130).

Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera. Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono: perciò avremo il tuo timore. Io spero nel Signore, l'anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l'aurora. Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, in aiuto delle anime del Purgatorio, i meriti dei patimenti e dei dolori da te sofferti per la nostra redenzione; e incomincio dal contemplare quel Sangue, che trasudò dal tuo Corpo per la tristezza e l'angoscia che ti assalì nell'Orto degli Ulivi.

Sui grani dell'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, la somma afflizione che ti strinse il cuore nel vedere un tuo discepolo, Giuda, da te amato e beneficato, il quale, fattosi persecutore, con bacio sacrilego ti tradì per consegnarti nelle mani di crudeli nemici.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L'Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, la mirabile pazienza con cui sopportasti tanti oltraggi dai vili soldati che ti trascinarono da Anna a Caifa, da Pilato ad Erode, il quale, per maggior disprezzo, facendoti indossare la veste dei folli, tra le beffe e le derisioni del popolo, ti rimandò al governatore romano.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, l'amarezza che turbò il tuo spirito allorché i Giudei preferirono Barabba, sedizioso ed omicida, a Te, giusto e innocente; poi, legato alla colonna, senza alcuna pietà, fosti percosso con innumerevoli frustate.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, l'umiliazione da te tollerata, quando, per trattarti da finto re, ti posero sulle spalle un cencio di porpora, ti diedero per scettro una canna, ti cinsero il capo con la tormentosa corona di spine, e così Pilato ti mostrò al popolo con le parole: Ecce Homo!

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, l'ineffabile rammarico che provasti quando contro di te si gridò: Crocifiggilo, crocifiggilo! ed il penoso peso sostenuto con sublime rassegnazione lungo la via del Calvario, col pesante legno della croce sulle spalle.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L'Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, la compassione pietosa, e il dolore profondo da te interamente sentito, allorquando dalla tua diletta Madre, venuta ad incontrarti e ad abbracciarti, fosti con tanta violenza separato.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L'Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, gli inauditi tormenti che patisti quando, disteso sulla croce il tuo corpo sanguinante, fosti orribilmente trafitto con chiodi nelle mani e nei piedi, e innalzato sopra l'infamante patibolo.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio le angosce e le pene che, per tre ore continue, sopportasti pendente dalla croce, e gli spasimi che soffristi in tutte le membra, accresciuti dalla presenza della tua addolorata Madre, testimone di una simile straziante agonia.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

Sui grani del Padre nostro si recita la preghiera:

Ti offro, adorato mio Gesù, per le anime del Purgatorio, la desolazione da cui fu oppressa la Vergine Santissima nell'assistere alla tua morte, e lo schianto del suo tenero cuore nell'accoglierti esanime, deposto dalla croce, tra le sue braccia.

Sui grani dell 'Ave Maria si recita la preghiera:

10 L’Eterno riposo

Al posto del Gloria al Padre si recita la preghiera:

Anime sante, Anime del Purgatorio, pregate Dio per me, ch'io pregherò per voi, perché vi doni la gloria del Paradiso.

De Profundis

LITANIE PER LE ANIME NEL PURGATORIO

Signore, pietà Signore, pietà

Cristo, pietà Cristo, pietà

Signore, pietà Signore, pietà

O Dio Padre, Creatore del mondo abbi pietà dei fedeli defunti

O Dio Figlio, Redentore del mondo libera i fedeli defunti

O Dio Spirito Santo, Santificatore degli eletti compi il desiderio dei fedeli defunti

Santa Trinità, tre persone in un solo Dio da' pace ai fedeli defunti

Vergine Maria, assunta in cielo in anima e corpo prega per i fedeli defunti

Angeli benedetti, che contemplate il volto di Dio e servite il suo progetto di salvezza pregate per i fedeli defunti

O Santi Patriarchi e Profeti, che godete la chiara visione di Dio pregate per i fedeli defunti

O Santi Apostoli, che giudicherete le dodici tribù d'Israele pregate per i fedeli defunti

Dalle pene inflitte per l'attaccamento al peccato liberali o Signore

Per la Tua misericordia che ti ha portato ad avere sempre compassione della fragilità umana liberali o Signore

Per i meriti della tua morte in croce con la quale hai riconciliato il mondo con il Padre liberali o Signore

Per la Tua risurrezione da morte, con cui apristi il regno dei Cieli ai Tuoi credenti liberali o Signore

Per la Tua gloriosa ascensione al Cielo dove promettesti di preparare un posto ai tuoi servi liberali o Signore

Per la Tua venuta gloriosa alla fine dei tempi liberali o Signore

Noi peccatori, Ti preghiamo ascoltaci

Degnati di affrettare il giorno della piena comunione con Te ai fedeli che stanno purificandosi noi Ti preghiamo ascoltaci

O Santi Discepoli del Salvatore, che giungeste alla celeste Gerusalemme pregate per i fedeli defunti

O Santi Martiri, che con il sacrificio del vostro sangue siete arrivati al pieno possesso dei beni del Regno pregate per i fedeli defunti

O Sante Vergini, che foste pronte alla prima voce dello Sposo divino pregate per i fedeli defunti

O Santi tutti, che godete la piena comunione con Dio pregate per i fedeli defunti

Abbi misericordia o Signore e perdona i loro peccati

Abbi misericordia o Signore e ascolta le loro preghiere

Dall'angoscia meritata con le loro negligenze ed ingratitudini liberali o Signore

Dalla prigionia che subiscono per il disordine dei loro affetti terreni liberali o Signore

Per le preghiere della Chiesa e specialmente per i meriti del tuo sacrificio pasquale, degnati di introdurli nell'eterna gioia noi Ti preghiamo, ascoltaci

La Tua visione li conforti e la gloriosa luce della Croce risplenda su di loro noi Ti preghiamo, ascoltaci

Il collegio degli Apostoli apra loro le porte del Regno e la vittoriosa schiera dei Martiri li conduca accanto a Te noi Ti preghiamo, ascoltaci

Tutta la Gerusalemme celeste celebri la loro liberazione ed il corodegli Angeli canti l’inno di gioia per la loro eterna felicità noi ti preghiamo, ascoiltaci

Figlio di Dio noi Ti preghiamo, ascoltaci

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, perdona loro o Gesù.

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, esaudisci loro o Gesù.

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, accorda a questi poveri defunti il riposo eterno.

Preghiamo:

Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore Risorto e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

PREGHIERE PER TUTTI I DEFUNTI
L'invocazione seguente é rivolta a Dio Misericordioso per tutte le anime del Purgatorio.

O Dio, onnipotente ed eterno, Signore dei vivi e dei morti, pieno di misericordia verso tutte le tue creature, concedi il perdono e la pace a tutti i nostri fratelli defunti, perché immersi nella tua beatitudine ti lodino senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen.

http://santiebeati.it/immagini/Original/33200/33200.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/33200/33200A.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/33200/33200C.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/33200/33200D.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/33200/33200E.JPG

http://santiebeati.it/immagini/Original/33200/33200H.JPG

http://www.trinitari.org/Italiano/L'ordine/Gallery/Beata%20anna%20maria%20teigi/4.jpg

Augustinus
02-11-04, 17:24
Lib. 2, 40.41.46.47.132.133; CSEL 73, 270-274, 323-324

Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte corporale?
Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l'anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l'anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7, 24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7, 25 ss.).
Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo.
Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia.
Il mondo è stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte è la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte; quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte è vittoria, la sua morte è sacramento, la sua morte è l'annuale solennità del mondo.
E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l'esempio divino che la morte sola ha conseguito l'immortalità e che la morte stessa si è redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare.
A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisce quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio.
L'anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.
Arrivarvi è proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d'arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15, 3-4).
L'anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa è accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64, 3).
Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26, 4).

Augustinus
02-11-04, 17:27
dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=20550):

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

2 novembre - Solennità

Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali. La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Nei riti funebri la chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.

Martirologio tradizionale (2 novembre): Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti.

A quanti sono morti "nel segno della fede" la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il "memento" dei morti, e nell'Ufficio divino con la breve preghiera "Fidelium animae", e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti. La commemorazione dei defunti, dovuta all'iniziativa dell'abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti. Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti.
Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l'esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, "dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno", secondo l'efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l'immagine di un edificio in costruzione.
I predicatori sono gli operai che edificano sulle fondamenta poste dai primi inviati di Cristo, gli apostoli. Vi sono coloro che compiono un lavoro accurato e la loro opera risulta priva di difetti; altri invece al buon materiale frammischiano materiale corruttibile, legno e paglia, cioè vanagloria o indifferenza. Poi al collaudo, che S. Paolo chiama "il giorno di Cristo, il giorno del fuoco", la prova saggerà l'opera di ciascuno. Alcuni vedranno il loro edificio resistere, altri lo vedranno crollare in parte. Orbene - soggiunge l'apostolo Paolo - "se l'opera che uno ha edificato rimarrà in piedi, egli riceverà la ricompensa; se l'opera sua sarà arsa, egli ne avrà danno; quanto a lui sarà salvo, però come di mezzo alle fiamme".
A queste anime, che la prova del fuoco obbliga alla purificazione in attesa della piena letizia del Paradiso, la Chiesa dedica oggi una memoria particolare, per rinsaldare, mediante la carità del suffragio, quel vincolo d'amore che la lega perennemente a tutti coloro che sono morti nel segno della fede e sono destinati alla comunione eterna con Dio.

Autore: Piero Bargellini

*****
Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello di suffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l’ottavario, le preghiere al cimitero. Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi ne avvertiamo un altro altrettanto urgente: creare nel corso dell’anno un’occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa.
Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero, forse vivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l’unica cosa assolutamente certa della vita. Quando sentiamo che qualcuno è malato di idropisia (al tempo del santo, questa era la malattia incurabile), diciamo: "Poveretto, deve morire; è condannato, non c’è rimedio! ". Ma non dovremmo, aggiunge, dire la stessa cosa di ogni uomo che nasce: "Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento, Gustavo Bécquer, paragona la vita umana all’onda che il vento spinge sul mare e che avanza vorticosamente senza sapere su quale spiaggia andrà a infrangersi; a una candela prossima a esaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti, ignorando quale di essi per ultimo brillerà; e conclude: "Così sono io che mi aggiro per il mondo, senza pensare, da dove vengo, né dove i miei passi mi condurranno".

Questa percezione mesta, a volte tragica, della morte è comune a tutti, credenti e non, ma la fede cristiana ha una parola nuova e risolutiva, che oggi dovrebbe risuonare nella Chiesa e nei cuori, una cosa semplice e grandiosa: che la morte c’è, che è il più grande dei nostri problemi, ma che Cristo ha vinto la morte! La morte non è più la stessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto. Essa ha perso il suo pungiglione, come un serpente il cui veleno è capace solo di addormentare la vittima per qualche ora, ma non di ucciderla. "La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?" (1Cor 15,55).
Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla. Ai cristiani angustiati per la morte di alcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui... Confortatevi, dunque, a vicenda con queste parole" (1Tes 4,13ss).
Ma come ha vinto la morte Gesù? Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare. Ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza. Non abbiamo davvero un sommo sacerdote che non sappia compatire la nostra paura della morte! Tre volte nei vangeli si legge che Gesù pianse e, di queste, due furono per un morto. Nel Getsemani egli ha provato, come noi, “paura e angoscia” di fronte alla morte.

Che cosa è successo, una volta che Gesù ha varcato la soglia della morte? L’uomo mortale nascondeva dentro di sé il Verbo di Dio, che non può morire. Una breccia è stata aperta per sempre attraverso il muro della morte. Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ponte dei sospiri”, attraverso il quale si entra nella vita vera, quella che non conosce la morte. Confortiamoci a vicenda, anche noi, con queste parole.

Autore: Domenico Agasso

http://www.holy-souls.com/00bf3a90.jpg

http://img218.imageshack.us/img218/9144/carmel80ne.jpg

Augustinus
02-11-04, 17:40
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1234-1245

2 NOVEMBRE

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (1Ts 4,12). La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l'Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l'accordo della giustizia e della bontà di Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. La fede ci insegna che esiste un purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, Sess. xxv) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.

L'espiazione del peccato.

Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l'anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l'uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un'eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel battesimo e nel martirio, sommergere nell'abisso dell'oblio divino anche l'ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell'altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.

Il merito.

In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l'anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto.

Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, - chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell'altro - alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (1Cor 12,27).

Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed è accettata secondo tutto il suo valore e secondo l'intenzione di colui che l'applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all'anima per la quale mi piace offrirla (De suffragiis, sectio iv).

Le indulgenze.

È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono a quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l'Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell'efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita.

Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? È così pungente che nessuna miseria della terra l'uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il "fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all'oceano del paradiso" (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt 5,26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare i piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me almeno voi che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Gb 19,21).

La preghiera per le anime del Purgatorio.

Lo Spirito santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il purgatorio rigurgiti più che mai per l'affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l'approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l'unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. In quest'opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli, rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva (propagato nel secolo XVIII dai Chierici Regolari Teatini e arricchito di favori spirituali dai Papi Benedetto XIII, Pio VI e Pio IX), perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo nella felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria.

Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell'oblazione dell'augusto sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (2Mac 12,46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell'anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l'anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant'Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura pro mortuis, iv).

Sant'Odilone.

Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l'istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l'attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l'abate di Cluny, sant'Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell'inferno che, con visioni - che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2,13) - accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell'inferno avessero a tenere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di sant'Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina.

I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.

MESSA DEI MORTI

La Chiesa Romana raddoppiava una volta in questo giorno la fatica del suo quotidiano servizio verso la Maestà divina. Il ricordo dei morti non escludeva l'Ottava dei santi e faceva precedere all'Ufficio dei morti l'Ufficio del secondo giorno dell'Ottava. Recitata Terza di Ognissanti, si celebrava la Messa corrispondente e, solo dopo Nona dello stesso Ufficio, si celebrava il Sacrificio dell'altare per i defunti. Oggi la Chiesa, consacra loro tutta la giornata.

Quanto all'obbligo di considerare di precetto nel giorno delle anime, gli usi erano diversi. In Inghilterra il giorno era di mezzo precetto e i lavori più necessari erano permessi; in molti altri luoghi il precetto terminava a mezzogiorno; in altri era prescritta soltanto l'assistenza alla Messa. Parigi osservò per qualche tempo la festa come una di quelle di primaria obbligazione e nel 1673 l'arcivescovo Francesco di Harlay prescriveva ancora di osservare il precetto fino a mezzogiorno. Ora anche a Roma il precetto più non esiste.

EPISTOLA (1Cor 15,51-57). - Fratelli: Ecco vi rivelo un mistero: risorgeremo certamente tutti, ma non tutti saremo trasformati, in un attimo, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Suonerà la tromba, e i morti risorgeranno incorrotti, e noi saremo cangiati. Perché è necessario che questo corpo corruttibile si rivesta d'incorruttibilità, e che questo corpo mortale si rivesta d'immortalità. Quando poi questo corpo mortale sarà rivestito d'immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: La morte è stata assorbita nella vittoria. Dov'è o morte, la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? Or il pungiglione della morte è il peccato, e la potenza del peccato viene dalla legge. Ma eleviamo i nostri inni di ringraziamento a Dio, il quale ci ha dato la vittoria, mediante il Signor nostro Gesù Cristo.

Morte e Risurrezione.

Mentre l'anima, uscita dalla vita presente, supplisce nel purgatorio l'insufficienza delle sue espiazioni, il corpo, che ha abbandonato, ritorna alla terra, in esecuzione della sentenza inflitta ad Adamo e alla sua discendenza all'inizio del mondo (Gen 3,19). Ma la giustizia è anche amore per il corpo del fedele, come lo è per l'anima. L'umiliazione del sepolcro è giusto castigo del primo peccato, ma san Paolo ci fa vedere in questo ritorno dell'uomo al fango dal quale è stato tratto una seminagione necessaria alla trasformazione del grano predestinato, che deve un giorno riprendere vita in condizioni ben diverse. In effetti, la carne e il sangue non potrebbero possedere il regno di Dio, né potrebbero gli organi destinati a dissolversi, raggiungere l'immortalità. Frumento di Cristo, secondo la espressione di Ignazio di Antiochia, il corpo dei cristiani è gettato nel solco della tomba, per lasciarvi alla corruzione la forma del primo Adamo con il suo peso e le sue infermità; ma per virtù del nuovo Adamo, che lo riforma a propria immagine, dalla tomba uscirà tutto celeste, spiritualizzato, agile, impassibile e glorioso. Onore a Colui che volle morire come noi, per distruggere la morte e fare della sua vittoria la nostra vittoria.

Una volta la Chiesa non escludeva l'Alleluia nelle funzioni funebri dei suoi figli ed esprimeva con esso la sua allegrezza, che trova il motivo della speranza che una morte santa ha assicurato al cielo un nuovo eletto, anche se il cristiano, per il quale la prova della vita è terminata, debba per qualche tempo prolungare la sua espiazione. L'adattamento della Liturgia dei morti ai riti degli ultimi giorni della Settimana santa modificò l'uso antico e parve allora che la Sequenza, sviluppo festivo e all'origine seguito dell'Alleluia, non potesse conservare il suo posto nella Messa per i defunti. Roma tuttavia, a questo riguardo faceva una eccezione alle regole tradizionali, in favore del poema attribuito (a torto) a Tommaso da Celano. Il Dies irae cantato in Italia fin dal secolo XIV, nel XVI fu adottato da tutta la Chiesa.

SEQUENZA

Giorno dell'ira sarà quello: il fuoco distruggerà il mondo come disse David con la Sibilla (1).

Qual terrore vi sarà, quando verrà il giudice ad esaminare tutto con rigore!

La tromba spanderà il suono mirabile sulle fosse della terra, radunerà tutti presso il trono.

Stupirà morte e la natura, quando la creatura risorgerà per rispondere al Giudice.

Sarà aperto il libro scritto, dove è tutto quello riguardo a cui il mondo sarà giudicato.

Quando il Giudice si assiderà, tutto ciò che è occulto sarà svelato: niente resterà segreto.

Misero che sono! che dirò allora? A chi mi raccomanderò se appena il giusto sarà sicuro?

Re di tremenda maestà, che salvi gratuitamente gli aletti, salvami, o fonte di pietà.

Ricorda, o Gesù pio, che io son la causa della tua venuta: non mi dannare in quel giorno.

Ti affaticasti a cercarmi, per salvarmi hai sofferto la croce: non sia vano tanto lavoro.

Giusto giudice vendicatore, dammi la grazia del perdono avanti il giorno dei conti.

Come reo gemo, la colpa copre di rosso il mio volto, o Dio, perdona a chi ti supplica.

Tu che assolvesti la Maddalena ed esaudisti il ladrone, da' anche a me la speranza.

Le mie preghiere non son degne, ma tu buono e pietoso fa' che non bruci nel fuoco eterno.

Mettimi tra le pecorelle, e separami dai capretti, ponendomi dalla parte destra.

Condannati i maledetti, e consegnatili alle orribili fiamme, chiama me coi benedetti.

Ti prego supplice e prosteso, col cuore contrito come la cenere, abbi cura del mio fine.

Giorno di lacrime sarà quello in cui dalla cenere l'uomo reo risusciterà per essere giudicato. A lui dunque perdona, o Dio. O pio Signore Gesù, dona loro il riposo. Così sia.

VANGELO (Gv 5,25-30). - In quel tempo: Disse Gesù alle turbe dei Giudei: In verità vi dico: Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e chi l'avrà ascoltata vivrà. Perché come il Padre ha in sé la vita, così pure ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso. E gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non vi meravigliate di questo, perché vien l'ora in cui tutti, nei sepolcri, udranno la voce del Figlio di Dio; e ne usciranno quanti fecero il bene, alla risurrezione della vita; quanti poi fecero il male, alla risurrezione della condanna.

La voce del giudice.

Il Purgatorio non è eterno e la sentenza del giudizio particolare, che segue subito la morte, varia in modo infinito quanto alla durata. Può durare per secoli per anime particolarmente colpevoli o per anime, che, essendo escluse dalla comunione della Chiesa cattolica, restano prive dei suffragi della Chiesa stessa, sebbene la misericordia di Dio le abbia strappate all'inferno. Tuttavia la fine del mondo e di quanto esiste nel tempo deve porre fine all'espiazione temporanea e Dio saprà conciliare la sua giustizia e la sua grazia per la purificazione degli ultimi uomini e supplire con l'intensità della pena espiatrice a quanto potrebbe mancare nella durata. Per quanto riguarda il corpo la sentenza del giudizio particolare è sospensiva e dilatoria e lascerà il corpo del giusto come quello del reprobo alla comune sorte della tomba. Il giudizio finale invece avrà carattere definitivo e registrerà per il cielo o per l'inferno soltanto sentenze assolute, immediatamente e totalmente esecutorie. Viviamo dunque nell'attesa dell'ora solenne in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Colui che deve venire verrà, non può tardare, ci ricorda il Dottore delle genti (Ebr 10,37; Ab 2,3). Il suo giorno verrà all'improvviso come un ladro, ci dicono come lui (1Ts 5,2) il Principe degli Apostoli (2Pt 3,10) e Giovanni, il prediletto (Ap 16,15) facendo eco alla parola del Signore stesso (Mt 24,43): come il lampo esce dall'oriente e brilla già fino all'occidente, così sarà l'arrivo del Figlio dell'uomo (ivi 27).

Facciamo nostri i sentimenti che ispira l'Offertorio dei defunti. Sebbene l'eterna beatitudine resti finalmente assicurata alle anime purganti ed esse abbiano di questo coscienza, il cammino, ancora più o meno lungo, che conduce al cielo, si apre tuttavia nel pericolo di un supremo assalto diabolico e l'angoscia del giudizio. La Chiesa, estendendo la sua preghiera a tutte le tappe di questa via dolorosa, non si preoccupa di custodirne l'inizio e non ha paura di mostrarsi qui tardiva. Per Dio, che con uno sguardo solo abbraccia tutti i tempi, la tua supplica di oggi, già presente all'ora del terribile passaggio, procura alle anime il soccorso implorato. Questa supplica le segue nelle peripezie della lotta contro le potenze dell'abisso, quando Dio permette che esse pure servano la sua giustizia per espiazione, come più volte hanno sperimentato i Santi. In questo momento solenne in cui la Chiesa offre i suoi doni per l'augusto e onnipotente Sacrificio, moltiplichiamo anche noi le nostre preghiere per i defunti. Imploriamo la loro liberazione dalle fauci del leone, otteniamo dal glorioso Arcangelo, preposto al Paradiso, appoggio delle anime all'uscita da questo mondo, loro guida inviata da Dio (Antif. e Respons. della festa di san Michele), che le conduca alla luce, alla vita, a Dio, promesso come ricompensa ai credenti nella persona di Abramo, loro padre (Gen 15,1).

Le tre Messe.

Abbiamo dato il solo testo della Messa per tutti i defunti e ciascuno potrà trovare nel suo messale il testo delle altre due Messe. I sacerdoti possono infatti dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all'intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti.

L'intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione e dalla confisca dei beni ecclesiastici.

Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

ALLA SERA

I VESPRI DEL MORTI

Eloquenza e scienza non raggiungeranno mai l'altezza e la potenza di supplica che regna nell'Ufficio dei Morti. Solo la Chiesa conosce i segreti dell'altra vita e la via del cuore di Cristo, solo la Madre può avere il tatto supremo che le permette di consolare gli orfani, gli abbandonati, quelli che sono rimasti sulla terra in lacrime, alleggerendo la purificazione dolorosa ai figli che l'hanno lasciata.

Primo salmo.

DILEXI: il primo canto del purgatorio è un canto di amore. Le angosce di quaggiù sono finite, sono lontani i pericoli dell'inferno e, confermata in grazia, l'anima non pecca più ed ha in sé soltanto riconoscenza per la misericordia che l'ha salvata, per la giustizia che la purifica e la rende degna di Dio. Il suo stato di quiete assoluta e di attesa fiduciosa è tale che la Chiesa lo chiama "un sonno di pace" (Canone della Messa).

Piacere a Dio, un giorno, senza riserve! Separata dal corpo che l'appesantiva, la distraeva con mille futili preoccupazioni (Sap 9,15) l'anima si immerge in questa unica aspirazione e converge tutte le sue energie, tutti i tormenti, dei quali ringrazia il cielo, perché aiuta la sua debolezza a soddisfare tale aspirazione. O crogiolo benedetto nel quale si consumano i resti del peccato, in cui si paga ogni debito! Dalle sue fiamme soccorritrici, sparita ogni traccia dell'antica sozzura, l'anima piglierà il volo verso lo Sposo veramente felice, sicura che le compiacenze del Diletto non avranno per essa limitazioni.

Secondo salmo.

Come però si prolunga il suo esilio doloroso! Se è in comunione con gli abitanti del cielo per mezzo della carità, il fuoco che la castiga non è materialmente diverso da quello dell'inferno. Il suo soggiorno confina con quello dei maledetti, deve sopportare la vicinanza del Cedar infernale, dei nemici di ogni pace, dei demoni, che perseguitarono la sua vita mortale con assalti, con insidie, che al tribunale di Dio ancora l'accusavano con bocche ingannatrici. La Chiesa si appresta a supplicare: Strappatela alle porte dell'inferno.

Terzo Salmo.

Tuttavia l'anima non vien meno e, levando i suoi occhi verso le montagne, sa che può contare sul Signore, che non è abbandonata dal cielo che l'attende, né dalla Chiesa della quale è figlia. Per quanto sia vicino alla regione del pianto eterno, il purgatorio, in cui giustizia e pace si abbracciano (Sal 84,11), non è inaccessibile agli Angeli. Questi augusti messaggeri portano il conforto di divine comunicazioni alle quali si aggiunge l'eco delle preghiere dei beati e dei suffragi della terra. L'anima è ormai sovrabbondantemente assicurata che il solo male, il peccato, non la può più toccare.

Quarto Salmo.

L'uso del popolo cristiano dedica alla preghiera per i morti il Salmo 129 in modo particolare: è un grido di angoscia e, nello stesso tempo, di speranza.

La privazione cui sono sottoposte le anime nel purgatorio deve toccare profondamente il nostro cuore. Non hanno ancora raggiunto il cielo, ma ormai hanno cessato di appartenere alla terra e hanno con ciò perduto i favori con i quali Dio compensa i pericoli del viaggio in questo mondo di prove e, per quanto siano perfetti i loro atti di amore, di fede e di speranza, esse non meritano più. Delle sofferenze, che accettate come sono, varrebbero a noi la ricompensa di mille martiri, nulla rimane a queste anime, nulla fuorché il fatto del regolamento di un conto, che la sentenza del giudice ha appurato.

Come non possono meritare, non possono neppure soddisfare come noi alla giustizia per mezzo di equivalenze da Dio accettate, La loro impotenza a giovare a se stesse è più radicale di quella del paralitico di Betsaida (Gv 5) perché la piscina della salvezza la possiede la terra con l'augusto Sacrificio, i Sacramenti e l'uso delle chiavi onnipotenti affidate alla Chiesa.

Ora la Chiesa, che non ha più giurisdizione su di esse, conserva però la sua tenerezza di Madre e la sua potenza presso lo Sposo non è diminuita e quindi fa sue le loro preghiere, apre tesori, che la sovrabbondante redenzione del Signore le ha procurati, paga con il suo fondo dotale Colui che le ha costituito il fondo stesso, perché liberi le anime o allevii le loro pene e in questo modo, senza ledere alcun diritto, la misericordia si apre il passo e raggiunge l'abisso in cui regnava soltanto la giustizia.

Quinto Salmo.

Ti loderò, perché mi hai esaudito. La Chiesa non prega mai invano e l'ultimo salmo dice la sua riconoscenza e la riconoscenza delle anime che l'Ufficio che sta per terminare ha liberate dall'abisso o per lo meno avvicinate al cielo. Grazie a quell'Ufficio e cioè alla Chiesa, più d'una delle anime ancora prigioniere è entrata nella luce. Seguiamo col pensiero e con il cuore i nuovi eletti, che sorridendo e ringraziando noi, loro fratelli o figli, si elevano radiosi dalla regione delle ombre e cantano: Ti glorificherò, o Signore, davanti agli Angeli, ti adorerò, finalmente, nel tuo santo tempio! No, il Signore non disprezza le opere delle sue mani.

Il Magnificat.

Ma, siccome ogni grazia di Gesù in questo mondo ci viene per mezzo di Maria, oltre la vita mortale ancora per Maria si compie ogni liberazione e si ottiene ogni beneficio. Dove si estende la redenzione del Figlio si esercita l'impero della Madre. Le visioni dei santi ce la mostrano veramente Regina nel purgatorio, sia che vi si faccia benignamente rappresentare dagli Angeli della sua corte o si degni penetrare lei stessa sotto le oscure volte (Eccli 24,8) come l'aurora del giorno che non ha fine, per spargervi abbondante la rugiada del mattino. Mancherà forse la neve del Libano, dice lo Spirito Santo, alla pietra del deserto? e chi impedirà alle fresche acque di scendere alla vallata? (Ger 18,14). Comprendiamo ora il perché del canto del Magnificat all'Ufficio dei defunti: è l'omaggio delle anime, che arrivano al cielo, è la dolce speranza di quelle che restano ancora nel luogo di espiazione.

Conclusione.

Ogni anima si raccoglie così nel culto delle persone più care e dei più nobili ricordi. È la festa dei nostri cari morti e prestiamo allora l'orecchio alle loro voci, che di campanile in campanile in tutto il mondo cristiano si fa supplichevole e dolce in queste prime notti di novembre. Per tutto l'ottavario facciamo la visita delle tombe in cui riposano in pace i loro resti mortali. Preghiamo per loro e preghiamoli: non abbiamo paura di parlare con essi degli interessi che davanti a Dio loro furono cari, perché Dio li ama e, per una specie di soddisfazione alla sua bontà, le ascolta meglio, se implorano per altri, mentre la sua giustizia li mantiene in una condizione di assoluta impotenza per se stessi.
_________________________________________________

NOTE

[1] Propagato nel secolo XVIII dai Chierici Regolari Teatini e arricchito di favori spirituali dai Papi Benedetto XIII, Pio VI e Pio XI.

[2] Allusione al celebre oracolo della Sibilla Eritrea circa la fine del mondo, citato da sant'Agostino nel libro xviii (c. 23) della Città di Dio: le prime lettere di ogni verso formano in greco, se riunite, la formola: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.

Augustinus
01-11-05, 18:31
INDULGENZE PER I DEFUNTI

La Sacra Penitenzieria Apostolica, il 29 giugno 1968, ha emanato l’«Enchiridium Indulgentiarum», tutt'ora valido. Da questo «Documento» riportiamo quanto crediamo utile per i fedeli circa le Indulgenze applicabili per i nostri defunti.

I - Norme generali a) L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. b) Le indulgenze sia parziali che plenarie possono sempre essere applicate ai defunti a modo di suffragio. c) L'indulgenza plenaria può essere acquisita una sola volta al giorno.

Il - Indulgenze plenarie giornaliere: a) L'adorazione del S.mo Sacramento per almeno mezz'ora. b) La pia lettura della S. Scrittura per almeno mezz'ora. c) Il pio esercizio della Via Crucis. d) La recita del Rosario (anche una terza parte) in chiesa o in famiglia. e) Al fedele che devotamente visita il cimitero e prega, anche soltanto mentalmente per i defunti, si concede l'indulgenza, applicabile solo ai defunti... dal primo giorno di novembre fino al giorno ottavo dello stesso mese.

III - Indulgenze plenarie annuali o occasionali a) Si concede l'indulgenza plenaria al fedele che piamente e devotamente riceve, sia pur soltanto per mezzo della radio, la benedizione impartita dal Sommo Pontefice al Mondo. b) Si concede l'indulgenza plenaria a chi partecipa agli esercizi spirituali almeno per tre giorni. c) Si concede l'indulgenza plenaria al fedele che piamente visita la chiesa parrocchiale nella festa del titolare o il giorno due agosto, in cui ricorre l'indulgenza della «Porziuncola» (il Perdono d'Assisi). d) Si concede l'indulgenza plenaria al fedele che rinnova le promesse battesimali la "vigilia di Pasqua e nell’anniversario del proprio battesimo. e) Vi sono anche altre indulgenze plenarie per circostanze particolari.

IV - Condizioni per l'acquisto dell'indulgenza plenaria a) Confessione sacramentale (che si può fare anche nei giorni precedenti o seguenti) b) Comunione eucaristica (che si può fare anche nei giorni precedenti o seguenti). c) Con una confessione sacramentale si possono acquistare più indulgenze plenarie. d) Quando l'indulgenza plenaria richiede la visita a una chiesa si deve recitare in essa il “Padre nostro”e il “Credo” e pregare per il Papa.

V - Le indulgenze «parziali» Le indulgenze «parziali» sono molte e ordinariamente unite alla recita di una determinata preghiera o giaculatoria.

Augustinus
02-11-05, 08:45
De profundis (http://www.vatican.va/roman_curia/institutions_connected/sacmus/sound/Quaresima/TractDeprofundis.mp3)

Augustinus
02-11-05, 13:30
SEQUENZA

DIES IRAE

Dies irae, dies illa
solvet saeclum in favilla:
teste David cum Sibylla.

Quantus tremor est futurus,
quando judex est venturus,
cuncta stricte discussurus!

Tuba mirum spargens sonum
per sepulcra regionum,
coget omnes ante thronum.

Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.

Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.

Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet apparebit:
nil inultum remanebit.

Quid sum miser tunc dicturus?
Quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?

Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me fons pietatis.

Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae:
ne me perdas illa die.

Quaerens me, sedisti lassus:
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.

Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.

Ingemisco, tamquam reus:
culpa rubet vultus meus:
supplicanti parce, Deus.

Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.

Preces meae non sunt dignae:
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.

Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.

Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis:
voca me cum benedictis.

Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.

Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.

Huic ergo parce, Deus:
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.

Augustinus
02-11-05, 13:35
http://www.wga.hu/art/v/valdes/2allegor.jpg Juan de Valdés Leal, Finis Gloriae Mundi, 1670-72, Ospedale de la Caridad, Siviglia

http://www.wga.hu/art/v/valdes/1allegor.jpg http://img223.imageshack.us/img223/4645/mementomori25rs4.jpg http://www.msjhs.org/staff/mitchell/4barroco/SpanartLeal.JPG Juan de Valdés Leal, In Ictu Oculi, 1670-72, Ospedale de la Caridad, Siviglia

http://www.worcesterart.org/Hope/images/l_640_martinelli.jpg Giovanni Martinelli, Memento mori, 1635 circa, Museum of Art, New Orleans

http://www.artunframed.com/images/1bouguereau/bouguereau234.jpg http://img149.imageshack.us/img149/4190/bouguereau25xv1.jpg http://www.chass.utoronto.ca/epc/langueXIX/images/bouguer2.jpg William-Adolphe Bouguereau, L'anima portata in Cielo, 1878, Musee du Perigord

Augustinus
02-11-05, 21:04
Tutti i Santi (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=72136)

Meditazioni sulla Passione di N. S. Gesù Cristo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149185)

L'Inferno esiste e molti si dannano (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=251264)

L’INFERNO ESISTE!... GESU’ NE HA PARLATO MOLTISSIME VOLTE (Lc. 16, 19-31) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=237500)

Meditazioni Sull'Inferno (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=1239941)

Meditazioni cattoliche sulla Morte (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=46541)

L'inferno (http://politicaonline.net/forum/showthread.php?p=3988056)

Il limbo e la salvezza (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=33502)

Fra due anni abolizione del limbo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=291887&page=6), dove si parla dell'Inferno e delle teorie neo-origeniste

Abolizione del limbo? (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=209602)

Benedetto XVI ha abolito il limbo? Una sana catechesi sul tema (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=339357)

Giuda... l'Iscariota (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=265947)

Le Indulgenze: tesoro prezioso anche per i nostri Defunti (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=297759&referrerid=10150")

Impronte di fuoco, ovvero il Museo delle Anime del Purgatorio (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=18381&referrerid=10150)

Un'anima defunta appare ad un' ex amica ed afferma: "sono dannata!" (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=25523)

Link esterni:

PER LE ANIME DEL PURGATORIO (http://www.preghiereagesuemaria.it/anime%20del%20purgatorio.htm)

SULL'INFERNO (http://www.preghiereagesuemaria.it/sull'inferno.htm)

Augustinus
06-11-05, 12:21
RICOMPENSA E PUNIZIONI NELL’ALTRA VITA

Nelle Visioni che seguono Anna Katharina Emmerich fu guidata dal beato Nicola di Flùe . Nell’anno 1819, nella notte precedente la l9 domenica, dopo Pentecoste, ricorrendo la narrazione del Vangelo relativa al banchetto nuziale. Vidi il beato Claus, uomo grande e vecchio, con i capelli come l’argento cinti da una bassa corona lucente costellata di pietre preziose. Aveva in mano una corona di pietre preziose, indossava una camicia color neve fino alla caviglia. Gli domandai perché invece delle erbe avesse nelle mani solo una corona luccicante. Egli allora prese a parlare, conciso e serio, sulla mia morte e sul mio destino. Inoltre mi disse che voleva guidarmi ad una grande festa nuziale. Mi mise la corona in testa ed io mi librai in alto con lui. Entrammo in un palazzo sospeso nell’aria. Qui avrei dovuto essere una sposa ma mi vergognavo ed ero spaventata. Non riuscivo a rendermi conto della situazione, mi sentivo in un forte imbarazzo. Nel palazzo c’era una festa nuziale insolita e meravigliosa. Sembrava come se io dovessi prendere atto e vedere nei partecipanti i rappresentanti di tutte le condizioni e livelli sociali del mondo, e cosa facessero di bene e di male. Per esempio il Papa avrebbe rappresentato tutti i Papi della storia, i vescovi ivi presenti, tutti i vescovi della storia, ecc. Dapprima era stata apparecchiata una tavola per i religiosi, che partecipavano al banchetto nuziale. Vidi il Papa e i vescovi sedere con i loro pastorali e cinti con i loro paramenti. Con loro molti altri religiosi di rango alto e basso, Circondati da un coro di Beati e di Santi della loro stirpe, i loro progenitori e patroni, che agivano su di loro, giudicavano, influenzavano e decidevano. A questo tavolo c’erano anche sposi religiosi del rango più nobile e io fui invitata a sedermi tra questi, come una loro pari, con la mia corona. Lo feci nonostante mi vergognassi molto. Costoro non erano veri viventi e non avevano corone. Siccome io mi trovavo nell’imbarazzo, chi mi aveva invitata agì al mio posto. Le vivande sulla tavola erano figure simboliche, non pietanze alimentari terrene. Compresi a chi appartenevano tutte le cose e lessi in tutti i cuori. Dietro la sala da pranzo c’erano molte altre stanze e sale di ogni genere nelle quali entrava e si fermava altra gente. Molti tra i religiosi vennero espulsi dalla tavola nuziale. Erano immeritevoli di restare perché si erano mischiati con i laici e li avevano serviti più della Chiesa stessa. Vennero prima puniti poi allontanati dalla tavola e riuniti in altre stanze vicine o lontane. Il numero dei giusti rimase molto piccolo. Questa era la prima tavola e la prima ora, I religiosi andarono via. Venne preparata poi un’altra tavola alla quale io non mi sedetti ma restai tra gli spettatori. Il beato Claus restò sempre sospeso sopra di me per darmi assistenza. Giunsero una gran quantità. di imperatori, re e uomini di governo. Si sedettero a questa seconda tavola, alla quale servivano altri grandi signori. Su questa tavola apparivano i Santi, con i loro progenitori. Alcuni reggenti prendevano informazioni da me. Io ero stupita e Claus rispondeva sempre per me. Non stettero seduti per molto. La massima parte dei convitati apparteneva allo stesso genere ed il loro agire era non buono, ma debole e confuso. Molti non sedettero nemmeno a tavola e furono condotti subito fuori. Mi ricordo, particolarmente di aver visto la famiglia Croysche, che tra i suoi progenitori aveva una santa stimmatizzata.

Quindi apparve la tavola di un nobile distinto, e vidi tra gli altri la pia donna della famiglia menzionata. Poi apparì la tavola dei ricchi borghesi. Non posso dire quanto la medesima fosse disgustosa. La maggior parte ne furono scacciati e con i nobili loro pari furono relegati in un buco pieno di sterchi, come in una cloaca. Apparve un’altra tavola in buone condizioni, dove sedevano vecchi, sinceri borghesi e contadini. C’era tanta brava gente, anche i miei parenti e conoscenti. Riconobbi tra questi anche mio padre e mia madre. Allora apparvero anche i discendenti di fratello Claus, gente veramente brava e forte appartenente alla schietta borghesia. Giunsero i poveri e gli storpi, tra i quali c’erano molti devoti, ma anche dei cattivi che furono rimandati indietro. Ebbi molto da fare con loro. Quando i banchetti delle sei tavole ebbero termine il Santo mi portò via. Mi condusse fin nel mio letto dal quale mi aveva presa. Ero molto stremata e senza coscienza, non mi potevo muovere e neppure svegliarmi, non davo nessun segno, mi sentivo come se fossi paralizzata. Il beato Claus mi apparve soltanto una volta, ma la sua visita ebbe nella mia vita un grande significato, anche se non riesco a comprenderlo e non ne conosco il motivo preciso.

L’ inferno

Dell’inferno, Anna Katharina ebbe la seguente visione: Quando venivo afferrata da molte pene e disturbi diventavo veramente pusillanime e sospiravo. Dio forse mi avrebbe potuto regalare solo un giorno tranquillo. Vivo come nell’inferno. Ebbi allora un severo rimprovero dalla mia guida, che mi disse:
“Per fare in modo da non paragonare più così la tua condizione voglio mostrarti veramente l’inferno”. Così essa mi guidò verso l’estremo settentrione, dalla parte dove la terra diviene più ripida, poi più distante dalla terra. Ricevetti l’impressione di essere giunta in una località terribile. Discesi attraverso i sentieri di un deserto di ghiaccio, in una regione sopra all’emisfero terrestre, dalla parte più settentrionale del medesimo. La via era deserta e nel percorrerla notai che si faceva sempre più scura e ghiacciata. Al solo ricordo di ciò che vidi sento tutto il mio corpo tremare. Era una terra di infinite sofferenze, cosparsa da macchie nere, qua e là carbone e un fumo denso si levava dal suolo; il tutto era avvolto in una profonda oscurità, come una notte eterna”. Alla pia suora, successivamente fu mostrato, in una visione abbastanza chiara, come Gesù, immediatamente dopo la sua separazione dal corpo, scese nel Limbo.Finalmente Lo vidi (il Signore), procedere con grande gravità verso il centro dell’abisso e avvicinarsi all’inferno. Aveva la forma di una roccia gigantesca, illuminata da una luce metallica, terribile e nera. Un portone immane e scuro serviva da ingresso. Era veramente spaventoso, chiuso con chiavistelli e catenacci incandescenti che stimolavano una sensazione d’orrore. Improvvisamente udii un ruggito, un urlo orrendo, i portoni furono aperti e apparve un mondo terribile e sinistro. Tale mondo corrispondeva per l’appunto all’esatto contrario di quello della Gerusalemme celeste e delle innumerevoli condizioni di beatitudini, la città con i giardini più diversi, pieni di frutta e fiori meravigliosi, e gli alloggi dei Santi. Tutto quello che mi apparve era l’opposto della beatitudine. Tutto portava il marchio della maledizione, delle pene e delle sofferenze. Nella Gerusalemme celeste tutto appariva modellato dalla permanenza dei Beati e organizzato secondo le ragioni ed i rapporti della pace infinita dell’armonia eterna; qui invece tutto appare nella discrepanza, nella disarmonia, immerso nella rabbia e disperazione. In cielo si possono contemplare gli edifici indescrivibili belli e limpidi della gioia e dell’adorazione, qui invece l’esatto opposto: carceri innumerevoli e sinistre, caverne della sofferenza, della maledizione, della disperazione; là in paradiso, si trovano i più meravigliosi giardini pieni di frutta per un pasto divino, qui odiosi deserti e paludi pieni di sofferenze e pene e tutto quello che di più orrendo si possa in-iniaginare. All’amore, alla contemplazione, alla gioia e alla beatitudine, ai templi, agli altari, ai castelli, ai torrenti, ai fiumi, ai laghi, ai campi meravigliosi e alla comunità beata e armonica dei Santi, si sostituisce nell’inferno lo specchio contrapposto del pacifico Regno di Dio, il dilaniante, eterno disaccordo dei dannati. Tutti gli errori umani e le bugie, erano concentrate in questo stesso luogo e apparivano in innumerevoli rappresentazioni di sof— ferenze e pene. Niente era giusto, non esisteva nessun pensiero tranquillizzante, come quello della giustizia divina. Vidi delle colonne di un tempio tenebroso e orribile.
Poi improvvisamente qualcosa cambiò, vennero aperti i portoni dagli Angeli, ci fu un contrasto, fughe, offese, urla e lamenti. Angeli singoli sconfissero schiere intere di spiriti cattivi. Tutti dovevano riconoscere Gesù e adorano. Questo era il tormento dei dannati. Una grande quantità di costoro fu incatenata in cerchio intorno agli altri. Al centro del tempio si trovava un abisso avvolto nelle tenebre, Lucifero fu incatenato e gettato dentro mentre si innalzava un nero vapore. Tali avvenimenti accadevano in seguito a determinate leggi divine.
Se non sbaglio sentii che Lucifero sarà liberato e gli verranno tolte le catene, cinquanta o sessant’anni prima degli anni 2000 dopo Cristo, per un certo tempo. Sentii che altri avvenimenti sarebbero accaduti in tempi determinati, ma che ho dimenticato. Alcune anime dannate dovevano essere liberate per continuare a subire la punizione di essere indotte in tentazione e sterminare i mondani. Io credo, che ciò avvenga nella nostra epoca, almeno per alcuni di essi; altri saranno liberati in futuro”.

L’8 gennaio del 1820 in Mtinster, Overberg diede al cappellano Niesing di Diilmen un vasetto a forma di torre contenente delle reliquie per Anna Katharina, che partì da Mùnster diretto a DUlmen con il vasetto sotto il braccio. Sebbene la suora Emmerich non ne sapesse nulla dell’intenzione di Overberg, cioè quella di inviarle le reliquie, vide il cappellano ritornare a Dtilmen con una fiamma bianca sotto il braccio. Più tardi disse: «Mi meravigliai di come non si bruciasse, e mi venne quasi da sorridere vedendo che camminava senza notare affatto la luce delle fiamme dal colore dell’arcobaleno. Io vidi al principio solo queste fiamme colorate, ma quando si avvicinò alla mia abitazione riconobbi anche il vasetto. L’uomo passò davanti a casa mia proseguendo oltre. Non potetti ricevere le reliquie. Fui veramente dispiaciuta al pensiero che egli le avesse portate dall’altra parte della cittadina. Questo fatto mi rese molto inquieta. Il giorno dopo Niesing le consegnò il vasetto. Fu molto felice. Il 12 gennaio raccontò al “pellegrino” la visione sulla reliquia: «Vidi l’anima di un giovinotto avvicinarsi in sembianze ricche di splendore, e in una veste simile a quella della mia guida. Sul suo capo splendeva un aureola bianca e mi disse che aveva superato la tirannia dei sensi e di conseguenza aveva ricevuto la salvezza. La vittoria sulla natura era avvenuta progressivamente. Da fanciullo nonostante l’istinto gli dicesse di strappare le rose egli non lo faceva, così iniziò a superare la tirannia dei sensi. Dopo questo colloquio entrai in estasi, e ricevetti una nuova Visione: vidi quest’anima, come un ragazzo tredicenne, affaccendarsi in svariati giochi in un giardino dei divertimenti bello e grande; aveva un cappello bizzarro, una giacca gialla, aperta e attillata, che gli scendeva fino ai pantaloni, sulle cui maniche vicino alla mano c’era un pizzo di stoffa. I pantaloni erano allacciati in un modo molto stretto tutti da una parte. La parte allacciata era di un’altro colore. Le ginocchia dei pantaloni erano colorate, le scarpe erano strette e allacciate con nastri. Il giardino aveva graziose siepi rasate e molte capanne e case di giochi, le quali dentro erano rotonde e all’esterno apparivano come quadrangolari. C’erano anche campi con molti alberi, dove lavorava della gente. Questi lavoratori erano vestiti come i pastori del presepe del convento. Mi ricordai quando mi curvavo su di loro per guardarli o sistemarli. Il giardino apparteneva a gente distinta che viveva nella stessa importante citti di quel fanciullo. Nel giardino era concesso passeggiare. Vidi i fanciulli che saltavano allegri e spezzavano rose bianche e rosse. Il beato giovinetto superò i suoi istinti nonostante che gli altri gli mettessero i grandi cespugli di rose davanti al naso. A questo punto quest’anima beata mi disse: “Imparai a vincere me stesso attraverso altre difficolti:
tra i vicini si trovava una fanciulla mia compagna di giochi, di grande bellezza, l’amai di grande amore innocente. I miei genitori erano devoti e imparavano molto dalle prediche ed io, che ero con loro, avevo udito spesso prima di tutto in chiesa, quanto fosse importante vegliare sulle tentazioni. Solo con grande violenza e superamento di me stesso potei evitare il rapporto con la fanciulla, così come poi fu per la rinuncia verso le rose”. Quando egli finì di parlare vidi questa vergine, molto graziosa e fiorente come una rosa, dirigersi in citti. La bella casa dei genitori del fanciullo si trovava nella grande piazza del mercato, era di forma quadrangolare. Le case erano costruite su delle arcate. Suo padre era un ricco commerciante. Giunsi nella casa e vidi i genitori, e altri bambini. Era una bella famiglia, cristiana e devota. Il padre commerciava vino e tessuti; era vestito con gran sfoggio e aveva un portamonete di pelle appeso ad un fianco. Era un uomo grande e grosso. Anche la madre era una donna forte, aveva una folta e meravigliosa capigliatura. Il giovinetto era il maggiore tra i figli di questa brava gente. Fuori dalla casa stavano carrozze cariche di merce. Al centro del mercato si trovava una fontana meravigliosa circondata da una grata artistica in ferro con figure tratteggiate di uomini famosi; al centro della fontana faceva spicco una artistica figura che versava l’acqua.
Ai quattro angoli del mercato si trovavano piccoli edifici come garitte. La città, che sembrava trovarsi in Germania, era situata in una zona tre-menda; da una parte era circondata da un fossato, dall’altra scoeva un fiume abbastanza grande; aveva sette chiese, ma nessuna torre d’importanza significativa. I tetti erano pendenti, a punta, ma la parte anteriore della casa del giovinetto era quadrangolare. Vidi quest’ultimo giungere in un convento isolato per studiare. Il convento era situato su una montagna dove cresceva l’uva ed era a circa dodici ore dalla città paterna. Egli era molto diligente e molto fervido e fiducioso verso la Santa Madre di Dio. Quando non capiva qualcosa dai libri, parlava all’immagine di Maria dicendole: “Tu hai insegnato al tuo Bambino, tu sei anche mia madre insegna anche me!” Così accadde che un giorno gli apparve personalmente Maria e prese a dargli insegnamenti. Egli era interamente innocente, semplice e disinvolto con Lei e non voleva divenire sacerdote per umiltà, ma veniva apprezzato per la sua devozione. Restò tre anni in convento, poi si ammalò gravemente e mori a soli ventitré anni. Fu anche sotterrato nello stesso luogo. Un suo conoscente pregò molto sulla sua tomba, per più anni. Costui non riusciva a superare le sue passioni e spesso cadeva nei peccati; egli riponeva grande fiducia nel defunto e pregava per lui ininterrottamente. Infine gli apparve l’anima del giovinetto e gli disse che avrebbe dovuto rendere pubblico un segno circolare sul suo dito formato da un anello, che aveva ricevuto durante il suo matrimonio mistico con Gesù e Maria. Il conoscente avrebbe dovuto rendere nota questa visione, e il relativo colloquio in modo che tutti, dopo aver trovato il segno sulla sua salma, si convincessero della veridicità di questa visione.
L’amico così fece, e rese nota la visione. La salma venne riesumata e si constatò l’esistenza del segno sul dito. Il giovine defunto non fu santificato, ma mi richiamò chiaramente alla mente la figura di san Luigi.

L’anima di questo giovinetto mi condusse in un luogo simile alla Gerusalemme celeste. Tutto sembrava splendente e diafano. Giunsi ad una grande piazza circondata da palazzi bellissimi e lucenti dove, al centro, c’era una tavola lunga e coperta di indescrivibili portate. Vidi fuoriuscire dai quattro palazzi antistanti archi di fiori che arrivavano fino al centro della tavola, sulla quale si univano incrociandosi e formando un’unica corona adornata. Intorno a questa meravigliosa corona vidi luccicare i nomi di Gesù e Maria. Gli archi erano confezionati con fiori di moltissime varietà, di frutta e figure splendenti. Io riconobbi il significato di tutto e di ogni cosa, in quanto quella natura era da sempre dentro di me, come del resto in tutte le creature umane. Nel nostro mondo terreno questo non si può esprimere in parole. Più discostate dai palazzi, in un solo lato, c’erano due chiese dalla forma ottagonale, una dedicata a Maria, l’altra al Bambino Gesù. In quel luogo, vicino ai palazzi luminosi, si libravano nell’aria le anime di bambini beati. Indossavano gli abiti di quando erano in vita e tra loro riconobbi molti dei miei compagni di giochi. Quelli che erano morti prematuramente. Le anime mi vennero incontro per darmi il benvenuto. Prima li vidi sotto questa forma, poi presero consistenza corporale così come erano stati realmente in vita. Tra’ tutti riconobbi subito Gasparino, il fratellino di Dierik, un fanciullo malizioso negli scherzi ma non cattivo, il quale morì a soli undici anni in seguito ad una lunga e dolorosa malattia. Costui mi venne incontro e guidandomi mi spiegò ogni cosa, mi meravigliai nel vedere il maleducato Gasparino così fine e bello. Quando gli spiegai la mia meraviglia per essere giunta in questo posto mi rispose: “Qui non vieni con i piedi ma con l’anima”. Questa costatazione mi diede molta gioia. Poi enumerò alcuni ricordi e mi disse: “Una volta ti affilai il coltello per aiutarti a tua insaputa. Allora ho superato i miei istinti con mio profitto. Tua madre ti aveva dato qualcosa da tagliare, ma non potevi farlo perché il coltello non era affilato, allora ti disperasti e piangesti. Avevi paura che tua madre ti rimproverasse. Io vidi e dissi: “Voglio vedere se la madre grida; poi però superando questo basso istinto pensai: “Voglio affilare il vecchio coltello”. Lo feci e ti aiutai, ne venne a profitto alla mia anima. Una volta, vedendo come gli altri bambini giocavano in modo screanzato, non volesti più giocare con noi dicendo che quelli erano giochi cattivi, e andasti a sedere sopra una tomba piangendo. Ti venni dietro per domandarti il motivo, mi dicesti che qualcuno ti aveva mandato via, dandomi l’opportunità di farmi riflettere e, superando il mio istinto, smisi di giocare. Anche questa cosa mi portò un buon profitto. Un altro ricordo sui nostri giochi è quando ci lanciavamo l’uno contro l’altro le mele cadute, e tu dicesti che non avremmo dovuto farlo. Mia mia risposta, che se non l’avessimo fatto gli altri ci avrebbero provocati, tu dicesti “noi non dovremmo mai dare agli altri la possibiltà di provocarci e farci arrabbiare,” e non lanciasti alcuna mela, così feci anch’io e ne trassi profitto. Solo una volta ti tirai contro un osso e il dispìacere di quest’azione mi rimase nel cuore. Di questi ricordi parlai piuttosto a lungo con Gasparino.

Sospesi nell’aria ci accostammo alla tavola posta nel mercato ricevendo una qualità di cibo in relazione alle prove superate e lo potevamo gustare solo in virtù di quello che abbiamo compreso. Poi si levò una voce: “Solo chi può capire queste pietanze le può gustare”. Le pietanze erano per la maggior parte fiori, frutta, pietre lucenti, figure ed erbe, che avevano una sostanza spirituale diversa da quella che materialmente hanno sulla terra. Queste pietanze erano circondate da uno splendore del tutto indescrivibile ed erano contenute su piatti immersi in un’energia mistica meravigliosa. ii tavolo era occupato anche da bicchierini di cristallo con figure piriformi, nei quali un tempo contenevo i medjcmali Una delle prime portate consisteva in mirre dosate meravigliosamente Da una scodella dorata emergeva un piccolo calice, il cui coperchio aveva un pomo e sullo stesso un crocefisso piccolo e fine. Intorno al margine c’erano lettere lucenti di un colore violetto blu. Non potevo ricordare l’iscrizione che conobbi solo in futuro. Dalle scodelle fuoriuscivano in forma piramidale gialla e verde i più bei mazzi di mirra che andavano fin dentro i calici. Questa mirra si presentava come un insieme di foglioline dai fiori bizzarri come chiodi di garofano di immensa bellezza; sopra c’era un bocciolo rosso intorno al quale spiccava un bel blu-viola. L’amarezza di questa mirra donava un meraviglioso e rinforzante aroma per lo spirito. Io ricevetti questa pietanza perché portavo segretamente, in silenzio, tanta amarezza nel cuore. Per quelle mele che non raccolsi per lanciarle contro gli altri, ebbi il godimento delle mele luminose. Ce n’erano molte, tutte insieme su un solo ramo.
Ricevetti pure una pietanza in relazione al pane duro che avevo suddiviso con i poveri, sotto forma di un pezzo di pane duro ma lucente come un cristallo multicolore che si rispecchiava sul piatto cristallino. Per aver evitato il gioco maleducato ricevetti un abito bianco. Gasparino mi spiegò tutto. Così ci accostammo sempre più al tavolo e vidi un sassolino nel mio piatto, come lo ebbi in passato nel convento. Allora mi sentii dire che prima della morte avrei ricevuto un abito e una pietra bianca, sulla quale stava un nome che solo io potevo leggere. Alla fine della tavola veniva ricambiato l’amore per il prossimo, rappresentato da abiti, frutta, composizioni, rose bianche e tutto bianco, con pietanze dalle forme meravigliose. Non posso descrivere il tutto nella maniera giusta. Gasparino mi disse: “Adesso vogliamo mostrarti anche il nostro piccolo presepe, perché tu hai sempre giocato volentieri con i presepi”. Così andammo tutti verso le chiese entrando subito nella chiesa della Madre di Dio nella quale si trovava un coro permanente ed un altare sul quale erano esposte tutte le immagini della vita di Maria; intorno si potevano vedere i cori degli adoratori. Attraverso questa chiesa si giungeva al presepe posto nell’altra chiesa, dove c’era un altare con sopra una rappresentazione della nascita del Signore e tutte le immagini della sua vita fino a quella dell’ultima Cena; così come l’avevo vista sempre nelle Visioni.
A questo punto Anna Katharina si interruppe per avvertire con grande ansia il “pellegrino” di lavorare per la sua salvezza, di farlo oggi e non domani. La vita è breve e il giudizio del Signore molto severo.

Poi continuò: «Giunsi in un luogo elevato, ebbi l’impressione di salire in un giardino dove si mostrava tanta magnifica frutta, e alcune tavole erano riccamente adornate, con sopra molti doni. Vidi provenire da tutte le parti anime che si libravano intorno. Alcune di queste avevano preso parte all’attività del mondo con i loro studi e il loro lavoro, e aiutato gli altri. Queste anime, appena giunte, presero a sparpagliarsi nel giardino. Poi si presentavano una dopo l’altra, per ricevere un tavolo e prendere la loro ricompensa. Al centro del giard0 stava un piedistallo mezzo rotondo a forma di scale, pieno delle più belle delizie. Davanti e ad entrambi i lati del giardino premevano i poveri che reclamavano qualcosa mostrando dei libri. Questo giardino aveva qualcosa di simile ad un bellissimo portone, da dove si intravedeva una via. Da questo portone vidi giungere un corteo composto dalle anime dei presenti che formarono fila su due lati, per accogliere e dare il benvenuto ai sopraggiunti fra i quali si trovava il beato Stolberg . Si muovevano in una processione ordinata e avevano con loro bandiere e corone di fiori. Quattro di essi portavano sulle spalle una lettiga d’onore, sulla quale era adagiato il Santo mezzo sdraiato, sembrava che gli stessi non trasportassero alcun peso. Gli altri lo seguivano e coloro che attendevano il suo arrivo avevano fiori e corone. Una di queste era anche sul capo del defunto, intrecciata di rose bianche, pietruzze e stelle luccicanti. La corona non era posata sul suo capo, ma si librava sul medesimo, restando sospesa. All’inizio queste anime mi apparvero tutte simili, come fu per i bambini, ma poi sembrò che ognuna avesse una propria condizione, e vidi che erano coloro che con il lavoro e l’insegnamento avevano guidato gli altri alla salvezza. Vidi Stolberg librarsi in aria sulla sua lettiga, la quale scomparve mentre lui si avvicinava ai suoi doni. Dietro la colonna mezza rotonda apparve un Angelo mentre al terzo gradino della medesima, pieno di frutta preziosa, vasi e fiori, fuoriuscì un braccio che porse ai circostanti un libro aperto. L’Angelo riceveva a sua volta anime circostanti, dei libri, dentro i quali egli segnava qualcosa e li poneva sul secondo gradino della colonna, dalla sua parte; poi consegnava alle anime delle scritte grandi e piccole, le quali passando mano per mano si dilatavano. Io vidi dalla parte dov’era Stolberg, scorrere tante piccole scritte. Mi sembrò che queste fossero state una testimonianza della continuazione celeste dell’opera terrena di tali anime.
Il beato Stolberg ricevè, dal “braccio” fuoriuscito dalla colonna, un grande piatto trasparente, nel cui centro appariva un bel calice e intorno a questo uva, piccoli pani, pietre preziose e bottigliette di cristallo. Le anime bevevano dalle bottigliette e godevano tutto. Stolberg suddivideva il tutto, uno ad uno. Le anime comunicavano tra di loro tendendosi la mano, infine tutti furono condotti più in alto per ringraziare il Signore.
Dopo questa visione la mia guida mi disse che dovevo recarmi dal Papa a Roma e indurlo alla preghiera; egli mi avrebbe detto tutto quello che avrei dovuto fare’.

Augustinus
05-11-06, 14:13
BENEDETTO XVI

ANGELUS

Domenica, 5 novembre 2006

Cari fratelli e sorelle,

in questi giorni, che seguono la commemorazione liturgica dei fedeli defunti, si celebra in molte parrocchie l’ottavario dei defunti. Un’occasione propizia per ricordare nella preghiera i nostri cari e meditare sulla realtà della morte, che la cosiddetta "civiltà del benessere" cerca spesso di rimuovere dalla coscienza della gente, tutta presa dalle preoccupazioni della vita quotidiana. Il morire, in realtà, fa parte del vivere, e questo non solo alla fine, ma, a ben vedere, in ogni istante. Nonostante tutte le distrazioni, però, la perdita di una persona cara ci fa riscoprire il "problema", facendoci sentire la morte come una presenza radicalmente ostile e contraria alla nostra naturale vocazione alla vita e alla felicità.

Gesù ha rivoluzionato il senso della morte. Lo ha fatto con il suo insegnamento, ma soprattutto affrontando Lui stesso la morte. "Morendo ha distrutto la morte", ripete la Liturgia nel tempo pasquale. "Con lo Spirito che non poteva morire – scrive un Padre della Chiesa – Cristo ha ucciso la morte che uccideva l’uomo" (Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 66). Il Figlio di Dio ha voluto in questo modo condividere sino in fondo la nostra condizione umana, per riaprirla alla speranza. In ultima analisi, Egli è nato per poter morire, e così liberare noi dalla schiavitù della morte. Dice la Lettera agli Ebrei: "Egli ha provato la morte a vantaggio di tutti" (Eb 2,9). Da allora, la morte non è più la stessa: è stata privata, per così dire, del suo "veleno". L’amore di Dio, operante in Gesù, ha dato infatti un senso nuovo all’intera esistenza dell’uomo, e così ne ha trasformato anche il morire. Se in Cristo la vita umana è "passaggio da questo mondo al Padre" (Gv 13,1), l’ora della morte è il momento in cui questo si attua in modo concreto e definitivo. Chi si impegna a vivere come Lui, viene liberato dalla paura della morte, che non mostra più il ghigno beffardo di una nemica ma, come scrive san Francesco nel Cantico delle creature, il volto amico di una "sorella", per la quale si può anche benedire il Signore: "Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale". Della morte del corpo non c’è da aver paura, ci ricorda la fede, perché è un sonno da cui saremo un giorno risvegliati. La vera morte, che invece bisogna temere, è quella dell’anima, che l’Apocalisse chiama "seconda morte" (cfr Ap 20,14-15; 21,8). Infatti chi muore in peccato mortale, senza pentimento, chiuso nell’orgoglioso rifiuto dell’amore di Dio, si autoesclude dal regno della vita.

Per intercessione di Maria Santissima e di San Giuseppe, invochiamo dal Signore la grazia di prepararci serenamente a partire da questo mondo, quando Egli vorrà chiamarci, nella speranza di poter dimorare eternamente con Lui, in compagnia dei santi e dei nostri cari defunti.

Augustinus
01-11-07, 22:11
All Souls' Day

The commemoration of all the faithful departed is celebrated by the Church on 2 November, or, if this be a Sunday or a solemnity, on 3 November. The Office of the Dead must be recited by the clergy and all the Masses are to be of Requiem, except one of the current feast, where this is of obligation.

The theological basis for the feast is the doctrine that the souls which, on departing from the body, are not perfectly cleansed from venial sins, or have not fully atoned for past transgressions, are debarred from the Beatific Vision, and that the faithful on earth can help them by prayers, almsdeeds and especially by the sacrifice of the Mass. (See PURGATORY.)

In the early days of Christianity the names of the departed brethren were entered in the diptychs. Later, in the sixth century, it was customary in Benedictine monasteries to hold a commemoration of the deceased members at Whitsuntide. In Spain there was such a day on Saturday before Sexagesima or before Pentecost, at the time of St. Isidore (d. 636). In Germany there existed (according to the testimony of Widukind, Abbot of Corvey, c. 980) a time-honoured ceremony of praying to the dead on 1 October. This was accepted and sanctified by the Church. St. Odilo of Cluny (d. 1048) ordered the commemoration of all the faithful departed to he held annually in the monasteries of his congregation. Thence it spread among the other congregations of the Benedictines and among the Carthusians.

Of the dioceses, Liège was the first to adopt it under Bishop Notger (d. 1008). It is then found in the martyrology of St. Protadius of Besançon (1053-66). Bishop Otricus (1120-25) introduced it into Milan for the 15 October. In Spain, Portugal, and Latin America, priests on this day say three Masses. A similar concession for the entire world was asked of Pope Leo XIII. He would not grant the favour but ordered a special Requiem on Sunday, 30 September, 1888.

In the Greek Rite this commemoration is held on the eve of Sexagesima Sunday, or on the eve of Pentecost. The Armenians celebrate the passover of the dead on the day after Easter.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. I, New York, 1907 (http://www.newadvent.org/cathen/01315b.htm)

Augustinus
01-11-07, 22:20
Purgatory

The subject is treated under these heads:

I. Catholic Doctrine
II. Errors
III. Proofs
IV. Duration and Nature
V. Succouring the Dead
VI. Indulgences
VII. Invocation of Souls
VIII. Utility of Prayer for the Departed

I. CATHOLIC DOCTRINE

Purgatory (Lat., "purgare", to make clean, to purify) in accordance with Catholic teaching is a place or condition of temporal punishment for those who, departing this life in God's grace, are, not entirely free from venial faults, or have not fully paid the satisfaction due to their transgressions.

The faith of the Church concerning purgatory is clearly expressed in the Decree of Union drawn up by the Council of Florence (Mansi, t. XXXI, col. 1031), and in the decree of the Council of Trent which (Sess. XXV) defined:

"Whereas the Catholic Church, instructed by the Holy Ghost, has from the Sacred Scriptures and the ancient tradition of the Fathers taught in Councils and very recently in this Ecumenical synod (Sess. VI, cap. XXX; Sess. XXII cap.ii, iii) that there is a purgatory, and that the souls therein are helped by the suffrages of the faithful, but principally by the acceptable Sacrifice of the Altar; the Holy Synod enjoins on the Bishops that they diligently endeavor to have the sound doctrine of the Fathers in Councils regarding purgatory everywhere taught and preached, held and believed by the faithful" (Denzinger, "Enchiridon", 983).

Further than this the definitions of the Church do not go, but the tradition of the Fathers and the Schoolmen must be consulted to explain the teachings of the councils, and to make clear the belief and the practices of the faithful.

Temporal Punishment

That temporal punishment is due to sin, even after the sin itself has been pardoned by God, is clearly the teaching of Scripture. God indeed brought man out of his first disobedience and gave him power to govern all things (Wisdom 10:2), but still condemned him "to eat his bread in the sweat of his brow" until he returned unto dust. God forgave the incredulity of Moses and Aaron, but in punishment kept them from the "land of promise" (Numbers 20:12). The Lord took away the sin of David, but the life of the child was forfeited because David had made God's enemies blaspheme His Holy Name (2 Samuel 12:13-14). In the New Testament as well as in the Old, almsgiving and fasting, and in general penitential acts are the real fruits of repentance (Matthew 3:8; Luke 17:3; 3:3). The whole penitential system of the Church testifies that the voluntary assumption of penitential works has always been part of true repentance and the Council of Trent (Sess. XIV, can. xi) reminds the faithful that God does not always remit the whole punishment due to sin together with the guilt. God requires satisfaction, and will punish sin, and this doctrine involves as its necessary consequence a belief that the sinner failing to do penance in this life may be punished in another world, and so not be cast off eternally from God.

Venial Sins

All sins are not equal before God, nor dare anyone assert that the daily faults of human frailty will be punished with the same severity that is meted out to serious violation of God's law. On the other hand whosoever comes into God's presence must be perfectly pure for in the strictest sense His "eyes are too pure, to behold evil" (Habakkuk 1:13). For unrepented venial faults for the payment of temporal punishment due to sin at time of death, the Church has always taught the doctrine of purgatory.

So deep was this belief ingrained in our common humanity that it was accepted by the Jews, and in at least a shadowy way by the pagans, long before the coming of Christianity. ("Aeneid," VI, 735 sq.; Sophocles, "Antigone," 450 sq.).

II. ERRORS

Epiphanius (Haer., lxxv, P.G., XLII, col. 513) complains that Aërius (fourth century) taught that prayers for the dead were of no avail. In the Middle Ages, the doctrine of purgatory was rejected by the Albigenses, Waldenses, and Hussites. St. Bernard (Serm. lxvi in Cantic., P. L. CLXXXIII, col. 1098) states that the so-called "Apostolici" denied purgatory and the utility of prayers for the departed. Much discussion has arisen over the position of the Greeks on the question of purgatory. It would seem that the great difference of opinion was not concerning the existence of purgatory but concerning the nature of purgatorial fire; still St. Thomas proves the existence of purgatory in his dissertation against the errors of the Greeks, and the Council of Florence also thought necessary to affirm the belief of the Church on the subject (Bellarmine, "De Purgatorio," lib. I, cap. i). The modern Orthodox Church denies purgatory, but is rather inconsistent in its way of putting forth its belief.

At the beginning of the Reformation there was some hesitation especially on Luther's part (Leipzig Disputation) as to whether the doctrine should be retained, but as the breach widened, the denial of purgatory by the Reformers became universal, and Calvin termed the Catholic position "exitiale commentum quod crucem Christi evacuat . . . quod fidem nostram labefacit et evertit" (Institutiones, lib. III, cap. v, 6). Modern Protestants, while they avoid the name purgatory, frequently teach the doctrine of "the middle state," and Martensen ("Christian Dogmatics," Edinburgh, 1890, p. 457) writes: "As no soul leaves this present existence in a fully complete and prepared state, we must suppose that there is an intermediate state, a realm of progressive development, (?) in which souls are prepared for the final judgment" (Farrar, "Mercy and Judgment," London, 1881, cap. iii).

III. PROOFS

The Catholic doctrine of purgatory supposes the fact that some die with smaller faults for which there was no true repentance, and also the fact that the temporal penalty due to sin is it times not wholly paid in this life. The proofs for the Catholic position, both in Scripture and in Tradition, are bound up also with the practice of praying for the dead. For why pray for the dead, if there be no belief in the power of prayer to afford solace to those who as yet are excluded from the sight of God? So true is this position that prayers for the dead and the existence of a place of purgation are mentioned in conjunction in the oldest passages of the Fathers, who allege reasons for succouring departed souls. Those who have opposed the doctrine of purgatory have confessed that prayers for the dead would be an unanswerable argument if the modern doctrine of a "particular judgment" had been received in the early ages. But one has only to read the testimonies hereinafter alleged to feel sure that the Fathers speak, in the same breath, of oblations for the dead and a place of purgation; and one has only to consult the evidence found in the catacombs to feel equally sure that the Christian faith there expressed embraced clearly a belief in judgment immediately after death. Wilpert ("Roma Sotteranea," I, 441) thus concludes chapter 21, "Che tale esaudimento", etc.:

Intercession has been made for the soul of the dear one departed and God has heard the prayer, and the soul has passed into a place of light and refreshment." "Surely," Wilpert adds, "such intercession would have no place were there question not of the particular, but of the final judgment.

Some stress too has been laid upon the objection that the ancient Christians had no clear conception of purgatory, and that they thought that the souls departed remained in uncertainty of salvation to the last day; and consequently they prayed that those who had gone before might in the final judgment escape even the everlasting torments of hell. The earliest Christian traditions are clear as to the particular judgment, and clearer still concerning a sharp distinction between purgatory and hell. The passages alledged as referring to relief from hell cannot offset the evidence given below (Bellarmine, "De Purgatorio," lib. II, cap. v). Concerning the famous case of Trajan, which vexed the Doctors of the Middle Ages, see Bellarmine, loc. cit., cap. Viii.

Old Testament

The tradition of the Jews is put forth with precision and clearness in 2 Maccabees. Judas, the commander of the forces of Israel,

making a gathering . . . sent twelve thousand drachmas of silver to Jerusalem for sacrifice to be offered for the sins of the dead, thinking well and religiously concerning the resurrection (For if he had not hoped that they that were slain should rise again, it would have seemed superfluous and vain to pray for the dead). And because he considered that they who had fallen asleep with godliness, had great grace laid up for them. It is therefore a holy and wholesome thought to pray for the dead, that they may be loosed from sins. (2 Maccabees 12:43-46)

At the time of the Maccabees the leaders of the people of God had no hesitation in asserting the efficacy of prayers offered for the dead, in order that those who had departed this life might find pardon for their sins and the hope of eternal resurrection.

New Testament

There are several passages in the New Testament that point to a process of purification after death. Thus, Jesus Christ declares (Matthew 12:32): "And whosoever shall speak a word against the Son of man, it shall be forgiven him: but he that shall speak against the Holy Ghost, it shall not be forgiven him, neither in this world, nor in the world to come." According to St. Isidore of Seville (Deord. creatur., c. xiv, n. 6) these words prove that in the next life "some sins will be forgiven and purged away by a certain purifying fire." St. Augustine also argues "that some sinners are not forgiven either in this world or in the next would not be truly said unless there were other [sinners] who, though not forgiven in this world, are forgiven in the world to come" (De Civ. Dei, XXI, xxiv). The same interpretation is given by Gregory the Great (Dial., IV, xxxix); St. Bede (commentary on this text); St. Bernard (Sermo lxvi in Cantic., n. 11) and other eminent theological writers.

A further argument is supplied by St. Paul in 1 Corinthians 3:11-15:

"For other foundation no man can lay, but that which is laid; which is Christ Jesus. Now if any man build upon this foundation, gold, silver, precious stones, wood, hay stubble: Every man's work shall be manifest; for the day of the Lord shall declare it, because it shall be revealed in fire; and the fire shall try every man's work, of what sort it is. If any man's work abide, which he hath built thereupon, he shall receive a reward. If any man's work burn, he shall suffer loss: but he himself shall be saved, yet so as by fire."

While this passage presents considerable difficulty, it is regarded by many of the Fathers and theologians as evidence for the existence of an intermediate state in which the dross of lighter transgressions will be burnt away, and the soul thus purified will be saved. This, according to Bellarmine (De Purg., I, 5), is the interpretation commonly given by the Fathers and theologians; and he cites to this effect:

St. Ambrose (commentary on the text, and Sermo xx in Ps. cxvii),
St. Jerome, (Comm. in Amos, c. iv),
St. Augustine (Comm. in Ps. xxxvii),
St. Gregory (Dial., IV, xxxix), and
Origen (Hom. vi in Exod.).

See also St. Thomas, "Contra Gentes,", IV, 91. For a discussion of the exegetical problem, see Atzberger, "Die christliche Eschatologie", p. 275.

Tradition

This doctrine that many who have died are still in a place of purification and that prayers avail to help the dead is part of the very earliest Christian tradition. Tertullian "De corona militis" mentions prayers for the dead as an Apostolic ordinance, and in "De Monogamia" (cap. x, P. L., II, col. 912) he advises a widow "to pray for the soul of her husband, begging repose for him and participation in the first resurrection"; he commands her also "to make oblations for him on the anniversary of his demise," and charges her with infidelity if she neglect to succour his soul. This settled custom of the Church is clear from St. Cyprian, who (P. L. IV, col. 399) forbade the customary prayers for one who had violated the ecclesiastical law. "Our predecessors prudently advised that no brother, departing this life, should nominate any churchman as his executor; and should he do it, that no oblation should be made for him, nor sacrifice offered for his repose." Long before Cyprian, Clement of Alexandria had puzzled over the question of the state or condition of the man who, reconciled to God on his death-bed, had no time for the fulfilment of penance due his transgression. His answer is: "the believer through discipline divests himself of his passions and passes to the mansion which is better than the former one, passes to the greatest torment, taking with him the characteristic of repentance for the faults he may have committed after baptism. He is tortured then still more, not yet attaining what he sees others have acquired. The greatest torments are assigned to the believer, for God's righteousness is good, and His goodness righteous, and though these punishments cease in the course of the expiation and purification of each one, "yet" etc. (P. G. IX, col. 332).

In Origen the doctrine of purgatory is very clear. If a man departs this life with lighter faults, he is condemned to fire which burns away the lighter materials, and prepares the soul for the kingdom of God, where nothing defiled may enter. "For if on the foundation of Christ you have built not only gold and silver and precious stones (1 Corinthians 3); but also wood and hay and stubble, what do you expect when the soul shall be separated from the body? Would you enter into heaven with your wood and hay and stubble and thus defile the kingdom of God; or on account of these hindrances would you remain without and receive no reward for your gold and silver and precious stones? Neither is this just. It remains then that you be committed to the fire which will burn the light materials; for our God to those who can comprehend heavenly things is called a cleansing fire. But this fire consumes not the creature, but what the creature has himself built, wood and hay and stubble. It is manifest that the fire destroys the wood of our transgressions and then returns to us the reward of our great works." (P. G., XIII, col. 445, 448).

The Apostolic practice of praying for the dead which passed into the liturgy of the Church, is as clear in the fourth century as it is in the twentieth. St. Cyril of Jerusalem (Catechet. Mystog., V, 9, P.G., XXXIII, col. 1116) describing the liturgy, writes: "Then we pray for the Holy Fathers and Bishops that are dead; and in short for all those who have departed this life in our communion; believing that the souls of those for whom prayers are offered receive very great relief, while this holy and tremendous victim lies upon the altar." St. Gregory of Nyssa (P. G., XLVI, col. 524, 525) states that man's weaknesses are purged in this life by prayer and wisdom, or are expiated in the next by a cleansing fire. "When he has quitted his body and the difference between virtue and vice is known he cannot approach God till the purging fire shall have cleansed the stains with which his soul was infested. That same fire in others will cancel the corruption of matter, and the propensity to evil." About the same time the Apostolic Constitution gives us the formularies used in succouring the dead. "Let us pray for our brethren who sleep in Christ, that God who in his love for men has received the soul of the departed one, may forgive him every fault, and in mercy and clemency receive him into the bosom of Abraham, with those who in this life have pleased God" (P. G. I, col. 1144). Nor can we pass over the use of the diptychs where the names of the dead were inscribed; and this remembrance by name in the Sacred Mysteries--(a practice that was from the Apostles) was considered by Chrysostom as the best way of relieving the dead (In I Ad Cor., Hom. xli, n. 4, G., LXI, col. 361, 362).

The teaching of the Fathers, and the formularies used in the Liturgy of the Church, found expression in the early Christian monuments, particularly those contained in the catacombs. On the tombs of the faithful were inscribed words of hope, words of petition for peace and for rest; and as the anniversaries came round the faithful gathered at the graves of the departed to make intercession for those who had gone before. At the bottom this is nothing else than the faith expressed by the Council of Trent (Sess. XXV, "De Purgatorio"), and to this faith the inscriptions in the catacombs are surely witnesses.

In the fourth century in the West, Ambrose insists in his commentary on St. Paul (1 Corinthians 3) on the existence of purgatory, and in his masterly funeral oration (De obitu Theodosii), thus prays for the soul of the departed emperor: "Give, O Lord, rest to Thy servant Theodosius, that rest Thou hast prepared for Thy saints. . . . I loved him, therefore will I follow him to the land of the living; I will not leave him till by my prayers and lamentations he shall be admitted unto the holy mount of the Lord, to which his deserts call him" (P. L., XVI, col. 1397). St. Augustine is clearer even than his master. He describes two conditions of men; "some there are who have departed this life, not so bad as to be deemed unworthy of mercy, nor so good as to be entitled to immediate happiness" etc., and in the resurrection he says there will be some who "have gone through these pains, to which the spirits of the dead are liable" (De Civ. Dei, XXI, 24). Thus at the close of the fourth century:

not only were prayers for the dead found in all the Liturgies, but the Fathers asserted that such practice was from the Apostles themselves;
those who were helped by the prayers of the faithful and by the celebration of the Holy Mysteries were in a place of purgation;
from which when purified they "were admitted unto the Holy Mount of the Lord".

So clear is this patristic Tradition that those who do not believe in purgatory have been unable to bring any serious difficulties from the writings of the Fathers. The passages cited to the contrary either do not touch the question at all, or are so lacking in clearness that they cannot offset the perfectly open expression of the doctrine as found in the very Fathers who are quoted as holding contrary opinions (Bellarmine "De Purg.", lib. I, cap. xiii).

IV. DURATION AND NATURE

Duration

The very reasons assigned for the existence of purgatory make for its passing character. We pray, we offer sacrifice for souls therein detained that "God in mercy may forgive every fault and receive them into the bosom of Abraham" (Const. Apost., P. G., I col. 1144); and Augustine (De Civ. Dei, lib. XXI, cap.xiii and xvi) declares that the punishment of purgatory is temporary and will cease, at least with the Last Judgment. "But temporary punishments are suffered by some in this life only, by others after death, by others both now and then; but all of them before that last and strictest judgment."

Nature of Punishment

It is clear from the Liturgies and the Fathers above cited that the souls for whose peace sacrifice was offered were shut out for the time being from the sight of God. They were "not so good as to be entitled to eternal happiness". Still, for them "death is the termination not of nature but of sin" (Ambrose, "De obitu Theodos."); and this inability to sin makes them secure of final happiness. This is the Catholic position proclaimed by Leo X in the Bull "Exurge Domine" which condemned the errors of Luther.

Are the souls detained in purgatory conscious that their happiness is but deferred for a time, or may they still be in doubt concerning their ultimate salvation? The ancient Liturgies and the inscriptions of the catacombs speak of a "sleep of peace", which would be impossible if there was any doubt of ultimate salvation. Some of the Doctors of the Middle Ages thought uncertainty of salvation one of the severe punishments of purgatory. (Bellarmine, "De Purgat." lib. II, cap. iv); but this opinion finds no general credit among the theologians of the medieval period, nor is it possible in the light of the belief in the particular judgment. St. Bonaventure gives as the reason for this elimination of fear and of uncertainty the intimate conviction that they can no longer sin (lib. IV, dist. xx, p.1, a.1 q. iv): "Est evacuatio timoris propter confirniationem liberi arbitrii, qua deinceps scit se peccare non posse" (Fear is cast out because of the strengthening of the will by which the soul knows it can no longer sin), and St. Thomas (dist. xxi, q. i, a.1) says: "nisi scirent se esse liberandas suffragia non peterent" (unless they knew that they are to be delivered, they would not ask for prayers).

Merit

In the Bull "Exurge Domine" Leo X condemns the proposition (n. 38) "Nec probatum est ullis aut rationibus aut scripturis ipsas esse extra statum merendi aut augendae caritatis" (There is no proof from reason or Scripture that they [the souls in purgatory] cannot merit or increase in charity). For them "the night has come in which no man can labour", and Christian tradition has always considered that only in this life can man work unto the profit of his own soul. The Doctors of the Middle Ages while agreeing that this life is the time for merit and increase of grace, still some with St. Thomas seemed to question whether or not there might be some non-essential reward which the souls in purgatory might merit (IV, dist. xxi, q. i, a. 3). Bellarmine believes that in this matter St. Thomas changed his opinion and refers to a statement of St. Thomas ("De Malo", q. vii, a. 11). Whatever may be the mind of the Angelic Doctor, theologians agree that no merit is possible in purgatory, and if objection be urged that the souls there merit by their prayers, Bellarmine says that such prayers avail with God because of merit already acquired "Solum impetrant ex meritis praeteritis quomodo nunc sancti orando) pro nobis impetrant licet non merendo" (They avail only in virtue of past merits as those who are now saints intercede for us not by merit but by prayer). (loc. cit. II, cap. iii).

Purgatorial Fire

At the Council of Florence, Bessarion argued against the existence of real purgatorial fire, and the Greeks were assured that the Roman Church had never issued any dogmatic decree on this subject. In the West the belief in the existence of real fire is common. Augustine in Ps. 37 n. 3, speaks of the pain which purgatorial fire causes as more severe than anything a man can suffer in this life, "gravior erit ignis quam quidquid potest homo pati in hac vita" (P. L., col. 397). Gregory the Great speaks of those who after this life "will expiate their faults by purgatorial flames," and he adds "that the pain be more intolerable than any one can suffer in this life" (Ps. 3 poenit., n. 1). Following in the footsteps of Gregory, St. Thomas teaches (IV, dist. xxi, q. i, a.1) that besides the separation of the soul from the sight of God, there is the other punishment from fire. "Una poena damni, in quantum scilicet retardantur a divina visione; alia sensus secundum quod ab igne punientur", and St. Bonaventure not only agrees with St. Thomas but adds (IV, dist. xx, p.1, a.1, q. ii) that this punishment by fire is more severe than any punishment which comes to men in this life; "Gravior est omni temporali poena. quam modo sustinet anima carni conjuncta". How this fire affects the souls of the departed the Doctors do not know, and in such matters it is well to heed the warning of the Council of Trent when it commands the bishops "to exclude from their preaching difficult and subtle questions which tend not to edification', and from the discussion of which there is no increase either in piety or devotion" (Sess. XXV, "De Purgatorio").

V. SUCCOURING THE DEAD

Scripture and the Fathers command prayers and oblations for the departed, and the Council of Trent (Sess. XXV, "De Purgatorio") in virtue of this tradition not only asserts the existence of purgatory, but adds "that the souls therein detained are aided by the suffrages of the faithful and principally by the acceptable sacrifice of the altar." That those on earth are still in communion with the souls in purgatory is the earliest Christian teaching, and that the living aid the dead by their prayers and works of satisfaction is clear from the tradition above alleged. That the Holy Sacrifice was offered for the departed was received Catholic Tradition even in the days of Tertullian and Cyprian, and that the souls of the dead, were aided particularly "while the sacred victim lay upon the altar" is the expression of Cyril of Jerusalem quoted above. Augustine (Serm.. clxii, n. 2) says that the "prayers and alms of the faithful, the Holy Sacrifice of the altar aid the faithful departed and move the Lord to deal with them in mercy and kindness, and," he adds, "this is the practice of the universal Church handed down by the Fathers." Whether our works of satisfaction performed on behalf of the dead avail purely out of God's benevolence and mercy, or whether God obliges himself in justice to accept our vicarious atonement, is not a settled question. Francisco Suárez thinks that the acceptance is one of justice, and alleges the common practice of the Church which joins together the living and the dead without any discrimination (De poenit., disp. xlviii, 6, n. 4).

VI. INDULGENCES

The Council of Trent (Sess. XXV) defined that indulgences are "most salutary for Christian people" and that their "use is to be retained in the Church". It is the common teaching of Catholic theologians that

indulgences may be applied to the souls detained in purgatory; and
that indulgences are available for them "by way of suffrage" (per modum suffragii).

(1) Augustine (De Civ. Dei, XX, ix) declares that the souls of the faithful departed are not separated from the Church, which is the kingdom of Christ, and for this reason the prayers and works of the living are helpful to the dead. "If therefore", argues Bellarmine (De indulgentiis, xiv) "we can offer our prayers and our satisfactions in behalf of those detained in purgatory, because we are members of the great body of Christ, why may not the Vicar of Christ apply to the same souls the superabundant satisfaction of Christ and his saints--of which he is the dispenser?" This is the doctrine of St. Thomas (IV, Sent., dist. xlv, q. ii, a. 3, q. 2) who asserts that indulgences avail principally for the person who performs the work for which the indulgence is given, if they but secondarily may avail even for the dead, if the form in which the indulgence is granted be so worded as to be capable of such interpretation, and he adds "nor is there any reason why the Church may not dispose of its treasure of merits in favour of the dead, as it surely dispenses it in favour of the living".

(2) St. Bonaventure (IV, Sent., dist. xx, p. 2, q. v) agrees with St. Thomas, but adds that such "relaxation cannot be after the manner of absolution as in the case of the living but only as suffrage (Haec non tenet modum judicii, sed potius suffragii). This opinion of St. Bonaventure, that the Church through its Supreme Pastor does not absolve juridically the souls in purgatory from the punishment due their sins, is the teaching of the Doctors. They point out (Gratian, 24 q. ii, 2, can.1) that in case of those who have departed this life, judgment is reserved to God; they allege the authority of Gelasius (Ep. ad Fausturn; Ep. ad. Episcopos Dardaniae) in support of their contention (Gratian ibid.), and they also insist that the Roman Pontiffs, when they grant indulgences that are applicable to the dead, add the restriction "per modum suffragii et deprecationis". This phrase is found in the Bull of Sixtus IV "Romani Pontificis provida diligentia", 27 Nov. 1447.

The phrase "per modum suffragi et deprecationis" has been variously interpreted by theologians (Bellarmine, "De indulgentiis", p.137). Bellarmine himself says: "The true opinion is that indulgences avail as suffrage, because they avail not after the fashion of a juridical absolution 'quia non prosunt per modum juridicae absolutionis'." But according to the same author the suffrages of the faithful avail at times "per modum meriti congrui" (by way of merit), at times "per modum impetrationis" (by way of supplication) at times "per modum satisfactionis" (by way of satisfaction); but when there is question of applying an indulgence to one in purgatory it is only "per modum suffragii satisfactorii" and for this reason "the pope does not absolve the soul in purgatory from the punishment due his sin, but offers to God from the treasure of the Church whatever may be necessary for the cancelling of this punishment".

If the question be further asked whether such satisfaction is accepted by God out of mercy and benevolence, or "ex justitia", theologians are not in accord — some holding one opinion, others the other. Bellarmine after canvassing both sides (pp. 137, 138) does not dare to set aside "either opinion, but is inclined to think that the former is more reasonable while he pronounces the latter in harmony with piety ("admodum pia").

Condition

That an indulgence may avail for those in purgatory several conditions are required:

The indulgence must be granted by the pope.
There must be a sufficient reason for granting the indulgence, and this reason must be something pertaining to the glory of God and the utility of the Church, not merely the utility accruing to the souls in purgatory.
The pious work enjoined must be as in the case of indulgences for the living.

If the state of grace be not among the required works, in all probability the person performing the work may gain the indulgence for the dead, even though he himself be not in friendship with God (Bellarmine, loc. cit., p. 139). Francisco Suárez (De Poenit., disp. Iiii, s. 4, n. 5 and 6) puts this categorically when he says: "Status gratiae solum requiritur ad tollendum obicem indulgentiae" (the state of grace is required only to remove some hindrance to the indulgence), and in the case of the holy souls there can be no hindrance. This teaching is bound up with the doctrine of the Communion of Saints, and the monuments of the catacombs represent the saints and martyrs as interceding with God for the dead. The prayers too of the early liturgies speak of Mary and of the saints interceding for those who have passed from this life. Augustine believes that burial in a basilica dedicated to a holy martyr is of value to the dead, for those who recall the memory of him who has suffered will recommend to the martyr's prayers the soul of him who has departed this life (Bellarmine, lib. II, xv). In the same place Bellarmine accuses Dominicus A Soto of rashness, because he denied this doctrine.

VII. INVOCATION OF SOULS

Do the souls in purgatory pray for us? May we call upon them in our needs? There is no decision of the Church on this subject, nor have the theologians pronounced with definiteness concerning the invocation of the souls in purgatory and their intercession for the living. In the ancient liturgies there are no prayers of the Church directed to those who are still in purgatory. On the tombs of the early Christians nothing is more common than a prayer or a supplication asking the departed to intercede with God for surviving friends, but these inscriptions seem always to suppose that the departed one is already with God. St. Thomas (II-II:83:11) denies that the souls in purgatory pray for the living, and states they are not in a position to pray for us, rather we must make intercession for them. Despite the authority of St. Thomas, many renowned theologians hold that the souls in purgatory really pray for us, and that we may invoke their aid. Bellarmine (De Purgatorio, lib. II, xv,) says the reason alleged by St. Thomas is not at all convincing, and holds that in virtue of their greater love of God and their union with Him their prayers may have great intercessory power, for they are really superior to us in love of God, and in intimacy of union with Him. Francisco Suárez (De poenit., disp. xlvii, s. 2, n. 9) goes farther and asserts "that the souls in purgatory are holy, are dear to God, love us with a true love and are mindful of our wants; that they know in a general way our necessities and our dangers, and how great is our need of divine help and divine grace".

When there is question of invoking the prayers of those in purgatory, Bellarmine (loc. cit.) says it is superfluous, ordinarily speaking, for they are ignorant of our circumstances and condition. This is at variance with the opinion of Francisco Suárez, who admits knowledge at least in a general way, also with the opinions of many modern theologians who point to the practice now common with almost all the faithful of addressing their prayers and petitions for help to those who are still in a place of purgation. Scavini (Theol. Moral., XI, n. l74) sees no reason why the souls detained in purgatory may not pray for us, even as we pray for one another. He asserts that this practice has become common at Rome, and that it has the great name of St. Alphonsus in its favour. St. Alphonsus in his work the "Great Means of Salvation", chap. I, III, 2, after quoting Sylvius, Gotti, Lessius, and Medina as favourable to his opinion, concludes: "so the souls in purgatory, being beloved by God and confirmed in grace, have absolutely no impediment to prevent them from praying for us. Still the Church does not invoke them or implore their intercession, because ordinarily they have no cognizance of our prayers. But we may piously believe that God makes our prayers known to them". He alleges also the authority of St. Catharine of Bologna who "whenever she desired any favour had recourse to the souls in purgatory, and was immediately heard".

VIII. UTILITY OF PRAYER FOR THE DEPARTED

It is the traditional faith of Catholics that the souls in purgatory are not separated from the Church, and that the love which is the bond of union between the Church's members should embrace those who have departed this life in God's grace. Hence, since our prayers and our sacrifices can help those who are still waiting in purgatory, the saints have not hesitated to warn us that we have a real duty toward those who are still in purgatorial expiation. Holy Church through the Congregation of Indulgences, 18 December 1885, has bestowed a special blessing on the so-called "heroic act" in virtue of which "a member of the Church militant offers to God for the souls in purgatory all the satisfactory works which he will perform during his lifetime, and also all the suffrages which may accrue to him after his death" (Heroic Act, vol. VII, 292). The practice of devotion to the dead is also consoling to humanity and eminently worthy of a religion which seconds all the purest feelings of the human heart. "Sweet", says Cardinal Wiseman (lecture XI), "is the consolation of the dying man, who, conscious of imperfection, believes that there are others to make intercession for him, when his own time for merit has expired; soothing to the afflicted survivors the thought that they possess powerful means of relieving their friend. In the first moments of grief, this sentiment will often overpower religious prejudice, cast down the unbeliever on his knees beside the remains of his friend and snatch from him an unconscious prayer for rest; it is an impulse of nature which for the moment, aided by the analogies of revealed truth, seizes at once upon this consoling belief. But it is only a flitting and melancholy light, while the Catholic feeling, cheering though with solemn dimness, resembles the unfailing lamp, which the piety of the ancients is said to have hung before the sepulchres of their dead."

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XII, New York, 1911 (http://www.newadvent.org/cathen/12575a.htm)

Augustinus
01-11-07, 22:23
La morte vista dagli uomini e dalle donne giusti

«O GIORNO LUMINOSO E BELLO»

L’ATTEGGIAMENTO profondo di santa Faustina Kowalska (1905-1938) di fronte alla morte è quello di una creatura che sente il dolore e la gravità di questa ultima prova. Tuttavia, se la natura umana indietreggia davanti a questo momento cruciale, suor Faustina, sorretta dall’incrollabile fede in Cristo, è colma di speranza che la morte non avrà l’ultima parola.

La sua fiducia si fonda sulla risurrezione di Cristo, sul suo amore, sulla sua volontà di salvare l’umanità. Per questo nel suo Diario afferma: «La morte stessa deve piegare la testa di fronte a Lui». È questa certezza che sgorga dal profondo del cuore e le fa esclamare che solo in Dio possiamo trovare la vera vita che non ci verrà mai tolta: «O Dio misericordioso che mi permetti ancora di vivere, dammi la forza di iniziare una vita nuova sulla quale la morte non ha potere».

http://santiebeati.it/immagini/Original/73200/73200K.JPG Santa Faustina Kowalska.

È quindi in Cristo che all’umanità è offerta la possibilità di rinascere a vita nuova e di non temere più la morte corporale. La morte non è solo il termine della nostra vita terrena, ma è anche il momento in cui il nostro essere incontrerà il Risorto per congiungersi con lui.

Per questo, suor Faustina, se da un lato come creatura aborrisce la morte, dall’altro la vive come un passaggio indispensabile per unirsi al suo Amato. In quest’ottica, il giorno del distacco dalla terra sarà anche un giorno di gaudio: «O giorno luminoso e bello, nel quale si adempiranno tutti i miei desideri! O giorno agognato che sarai l’ultimo della mia vita!».

La confidenza della Santa nell’infinita misericordia divina non le fa temere il giudizio di Dio, ma le fa ripetere: «So che sei il Salvatore misericordioso e so che non cambierai per me nell’ora della morte». Impariamo a confidare nell’infinita misericordia di Dio che sola può salvarci dal morire in eterno.

Nicola Gori

Fonte: la Domenica, 1.11.2007 (http://www.stpauls.it/domenica/0759do/0759dohp.htm)

Augustinus
03-11-07, 20:30
Istruzione sopra le feste del Signore,
della B. Vergine e dei Santi

Parte seconda: Delle feste solenni della B. Vergine
e delle feste dei Santi

Della commemorazione de' fedeli defunti

212. Perché dopo la festa di tutti i Santi si fa dalla Chiesa la commemorazione di tutti i fedeli defunti?
Dopo la festa di tutti i Santi si fa dalla Chiesa la commemorazione di tutti i fedeli defunti che sono in purgatorio, perché è conveniente che la Chiesa militante, dopo avere onorato e invocato con una festa generale e solenne, il patrocinio della Chiesa trionfante, venga in soccorso della Chiesa purgante con un generale e solenne suffragio.

213. Come possiamo noi suffragare le anime dei fedeli defunti?
Noi possiamo suffragare le anime dei fedeli defunti colle preghiere, colle limosine e con tutte le altre buone opere, ma sopratutto col santo sacrifizio della Messa.

214. Per quali anime dobbiamo noi nella commemorazione de' fedeli defunti applicare i nostri suffragi, secondo la mente della Chiesa?
Nella commemorazione di tutti i fedeli defunti noi dobbiamo applicare i nostri suffragi, non solamente per le anime de' nostri parenti, amici e benefattori, ma anche per tutte le altre che si trovano nel purgatorio.

215. Qual frutto dobbiamo noi ricavare dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti?
Dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti dobbiamo ricavare questo frutto:

pensare che anche noi dovremo morir presto, e presentarci al tribunale di Dio per rendergli conto di tutta la nostra vita;
concepire un grande orrore al peccato, considerando quanto rigorosamente Iddio lo punisca nell'altra vita, e soddisfare in questa alla sua giustizia colle opere di penitenza per i peccati commessi.
S. Pio X, Catechismo Maggiore (http://it.wikisource.org/wiki/Catechismo_Maggiore/Feste/Parte_seconda/Defunti)

Augustinus
03-11-07, 20:44
Catechismo del concilio di Trento

Parte I, Articolo 11: La Risurrezione della carne

128. Significato dell'articolo

Che questo articolo abbia molto valore per rafforzare la verità della nostra fede è ben chiaro dal fatto che è non solo proposto ai fedeli dalle Sacre Scritture perché lo credano, ma viene anche confermato con molti argomenti. Questo raramente accade per gli altri articoli del Simbolo; si può quindi comprendere come su di esso poggi la speranza della nostra salvezza, come su solidissimo fondamento. Infatti, argomenta l'Apostolo, "Se non vi è la risurrezione dei morti, neppure Cristo è risorto e se Cristo non è risorto, è inutile la nostra predicazione, come inutile è la vostra fede" (1 Cor 15,14).

Nello spiegarlo dunque il parroco non porrà minore impegno di quanto si affaticarono molti empi nel distruggerlo. Sarà dimostrato fra poco come dalla sua conoscenza ridondino a vantaggio dei fedeli grandi e segnalate utilità.

129. Perché si dice: "la risurrezione della carne"

Si dovrà osservare anzitutto che la risurrezione degli uomini in questo articolo è detta "risurrezione della carne". Ciò non è stato fatto senza ragione; poiché gli Apostoli vollero insegnare così una verità che è necessario ammettere: l'immortalità dell'anima. E, perché nessuno credesse che l'anima muore con il corpo e fossero poi entrambi richiamati alla vita, mentre da moltissimi luoghi delle Sacre Scritture l'anima risulta certamente immortale, nell'articolo si fa menzione solamente della risurrezione della carne. E sebbene spesso, anche nelle Sacre Scritture, la parola carne significhi tutto l'uomo, come per esempio in Isaia: "Ogni carne è come fieno" (40,6) e in san Giovanni: "II Verbo si fece carne" (1,14), tuttavia in questo luogo essa significa il corpo, per farci comprendere che delle due parti, anima e corpo, di cui è composto l'uomo, la seconda sola, cioè il corpo, si corrompe e ritorna nella polvere della terra, dalla quale fu tratto, mentre l'anima rimane incorrotta. Ma poiché nessuno è richiamato alla vita, se prima non sia morto, dell'anima non si può dire propriamente che risorge.

Si fa menzione della carne anche per confutare l'eresia propagata da Imeneo e Fileto (2 Tm 2,17), mentre ancora viveva l'Apostolo. Costoro asserivano che la risurrezione menzionata nelle Sacre Scritture non è la corporea, ma la spirituale, per la quale si risorge dalla morte del peccato alla vita della grazia. Con le parole dell'articolo evidentemente si esclude quell'errore e si conferma la risurrezione del corpo.

130. La risurrezione della carne si deve illustrare con le Scritture

Sarà cura del parroco illustrare questa verità con esempi tolti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento e da tutta la storia ecclesiastica. Vi furono infatti dei richiamati a vita da Elia (1 Re 17,22) e da Eliseo (2 Re 4,34) nell'Antico Testamento; oltre quelli che risuscitò da morte nostro Signore Gesù Cristo (Mt 9,25), alcuni furono risuscitati dai santi Apostoli (At 9,40) e da altri moltissimi. Ora queste risurrezioni confermano l'insegnamento dell'articolo. Come infatti crediamo che molti furono risuscitati da morte, così deve credersi che tutti saremo richiamati alla vita. Anzi il miglior frutto che dobbiamo ricavare da questi miracoli è appunto di credere con la fede più grande questo articolo.

Sono molti i testi di cui i parroci che posseggano una conoscenza pur mediocre delle Sacre Scritture potranno servirsi. 1 più notevoli sono nel Vecchio Testamento e si possono leggere: in Giobbe, dove dice che egli, nella sua carne, vedrà il suo Dio (19,26); in Daniele, dove parla di quelli che dormono nella polvere della terra, per svegliarsi, altri alla vita eterna, altri all'eterno obbrobrio (12,2). Nel Nuovo Testamento poi abbiamo quel che san Matteo riferisce circa la disputa che ebbe il Signore con i Sadducei (Mt 22,23) e quello che narrano gli Evangelisti intorno all'ultimo giudizio (Mt 25,31). Si aggiunga anche quel che espone con tanta acutezza l'Apostolo, scrivendo ai fedeli di Corinto e di Tessalonica (1 Cor 15,12; 1 Ts 4,13).

131. Utilità degli esempi

Ma sebbene questa verità sia certissima per fede, gioverà molto mostrare, con esempi e con ragionamenti, che quanto la fede propone di credere, non è contrario alla natura e alla ragione umana. Difatti l'Apostolo così risponde a chi domandi come possano risorgere i morti: "O sciocco, quel che tu stesso semini, non nasce se prima non muore. E seminandolo, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, per esempio di grano o di altro genere. Dio poi gli da il corpo come vuole". E poco dopo dice: "Si semina nella corruzione, risorgerà nella incorruzione" (1 Cor 15,36.38.42). A questa similitudine san Gregorio mostra che se ne possono aggiungere molte altre. "La luce" egli scrisse "ogni giorno sparisce dai nostri occhi come se morisse e ritorna di nuovo come se risorgesse; gli alberi perdono il verde e di nuovo lo riacquistano, come se risorgessero; i semi muoiono imputridendo e risorgono di nuovo germinando" (Gregorio, Moralia, 14, 55).

132. Si deve dimostrare con argomenti

Anche le ragioni che vengono addotte dagli scrittori ecclesiastici possono essere adatte a provare questa verità. In primo luogo, essendo l'anima immortale e avendo una propensione naturale, come parte dell'uomo, al corpo umano, si dovrà ritenere che non sia naturale per essa restare sempre divisa dal corpo. E poiché ciò che è contrario alla natura ed è violento non può durare a lungo, sembra ragionevole che si ricongiunga al corpo; ne segue che vi sarà la risurrezione dei corpi. Di questo argomento il nostro Salvatore si servì quando, disputando con i Sadducei, dall'immortalità delle anime dedusse la risurrezione dei corpi (Mt 22,32). Secondo, Dio, che è sommamente giusto, ha apparecchiato supplizi per i cattivi e premi per i buoni. Moltissimi però muoiono senza aver scontato la pena e più ancora senza aver ricevuto il premio delle loro virtù. Dunque le anime dovranno ricongiungersi necessariamente ai loro corpi, perché questi, di cui gli uomini si servono per peccare, ricevano il castigo o il premio delle loro azioni. Questo argomento è stato trattato con molta cura da san Giovanni Crisostomo in un'omelia al popolo di Antiochia (Hom. Ad pop. Ant., 1, 9).

Ecco perché l'Apostolo, parlando della risurrezione, dice: "Se per questa vita sola speriamo in Cristo, siamo i più miserabili degli uomini" (1 Cor 15,19). Tali parole nessuno vorrà riferirle alla miseria dell'anima, che è immortale e, se anche i corpi non risorgessero, pure nella vita futura potrebbe godere la beatitudine, ma bisogna intenderle come riferite a tutto l'uomo. Se infatti al corpo non fossero dati i premi condegni per le sue pene, ne seguirebbe che coloro i quali, come gli Apostoli, hanno sopportato nella vita tante disgrazie e travagli sarebbero i più miseri dei mortali. La stessa cosa, ma molto più chiaramente, è insegnata da san Paolo con queste parole ai Tessalonicesi: "Noi stessi ci gloriarne di voi nelle chiese di Dio, della vostra pazienza e fede in mezzo a tutte le persecuzioni e tribolazioni da voi sopportate: indizio del giusto giudizio di Dio, perché siate ritenuti degni del regno di Dio, per cui anche patite. E giusto che Dio renda tribolazioni a coloro che vi affliggono; e a voi tribolati dia riposo con noi, all'apparire che farà dal cielo il Signore Gesù coi potenti suoi angeli, in un incendio di fiamme, per fare vendetta di coloro che non han riconosciuto Dio e non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù Cristo" (2 Ts 1,4-8).

Inoltre gli uomini, fintantoché l'anima è separata dal corpo, non possono raggiungere la felicità piena, ricolma di ogni bene. Infatti, come ogni parte separata dal tutto è imperfetta, così è anche l'anima che non sia unita al corpo. Perciò ne segue che è necessaria la risurrezione dei corpi perché nulla manchi alla completa felicità dell'anima. Con queste ragioni e con altre simili il parroco potrà istruire i fedeli su questo articolo.

133. Tutti gli uomini risorgeranno

Sarà inoltre necessario spiegare, secondo la dottrina dell'Apostolo, quali debbano essere i risuscitati alla vita; poiché, scrivendo ai Corinzi, egli dice: "Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati" (1 Cor 15,22). Prescindendo dunque da qualsiasi differenza di buoni e cattivi, tutti, pur non avendo la stessa sorte, risorgeranno da morte: quanti fecero il bene, in risurrezione di vita; quanti fecero il male, in risurrezione di condanna (Gv 5,29).

Quando diciamo tutti vogliamo indicare tanto quelli che al momento del giudizio saranno già morti, quanto quelli che moriranno. San Girolamo infatti scrive che la Chiesa ammette l'opinione che tutti dovranno morire, nessuno eccettuato, e che questa è più vicina al vero (Epist. ad Minerv., 119); la stessa opinione è anche quella di sant'Agostino (De civit. Dei, 20, 20). Né a essa contraddice quel che l'Apostolo scrive ai Tessalonicesi: "Quelli che morirono in Cristo, risorgeranno i primi; in seguito, noi che viviamo, che siamo rimasti, verremo rapiti nell'aria, insieme con quelli, incontro a Cristo" (1 Ts 4,16). Sant'Ambrogio infatti spiegando questo passo, dice: "Nello stesso rapimento verrà prima la morte come in un sopore, di modo che l'anima uscita ritorna in un attimo. Nell'essere sollevati moriranno, affinché giungendo presso il Signore ricevano la vita per la presenza del Signore; perché con il Signore non possono esserci morti" (Comm. in 1 epist. ad Thes., 4, 16). Tale opinione viene approvata dall'autorità di sant'Agostino nella Città di Dio (ibid.).

134. Risorgerà il corpo di ciascuno

Ma poiché è molto importante la certezza che sia lo stesso e identico corpo di ciascuno di noi, quantunque corrotto e ridotto in polvere, a risuscitare alla vita, il parroco deve accuratamente spiegarlo. Tale è il pensiero dell'Apostolo quando dice: "Quest'essere corruttibile deve rivestirsi di incorruzione" (1 Cor 15,53), volendo manifestamente indicare con il termine questo, il proprio corpo. Anche Giobbe profetizzò di esso in modo chiarissimo dicendo: "E nella carne mia vedrò il mio Dio; lo vedrò io stesso, i miei occhi lo mireranno e non un altro" (19,26). Ciò risulta dalla stessa definizione della risurrezione; infatti essa, secondo il Damasceno, è un richiamo a quello stato dal quale sei caduto (Exp. fidei, 4, 27).

Finalmente, se consideriamo la ragione già sopra indicata per cui avverrà la risurrezione, non ci può essere alcun dubbio in proposito. Dicemmo infatti che i corpi saranno resuscitati, affinchè abbia ciascuno quel che è dovuto al suo corpo, secondo quel che operò, sia di bene, sia di male (2 Cor 5,10). L'uomo deve dunque necessariamente risorgere nello stesso corpo, con cui servì a Dio o al demonio, per ricevere con il medesimo corpo le corone del trionfo e i premi o per soffrire le pene e i supplizi.

135. Il corpo risorgerà integro

E non risorgerà solo il corpo; ma anche tutto ciò che è parte della sua vera natura, del decoro e ornamento dell'uomo, deve ritornare a lui. Abbiamo uno splendido argomento di sant'Agostino: "Non vi sarà allora nei corpi ombra di difetto; se alcuni furono troppo obesi e grassi per la pinguedine, non prenderanno tutta la massa del corpo; ma quel che supererà la misura normale, sarà considerato superfluo. Al contrario, tutto quello che nel corpo sarà consumato da malattia o vecchiaia, sarà ridonato da Cristo per virtù divina, come a coloro che furono gracili per magrezza Cristo riparerà non solo il corpo, ma tutto quello che fu tolto dalla miseria di questa vita" (De civit. Dei, 22,19). Così in un altro luogo: "Non riprenderà l'uomo i capelli che aveva, ma quelli che gli stavano bene, secondo il passo: "Tutti i capelli del vostro capo sono numerati"; essi devono ripararsi secondo la divina sapienza" (ibid.). Anzitutto ci saranno ridonate tutte le membra che fanno parte della completa natura umana. Chi dalla nascita sia stato privo degli occhi o li abbia perduti per qualche malattia, gli zoppi, gli storpi e i minorati risorgeranno con il corpo intero e perfetto; altrimenti non sarebbe soddisfatto il desiderio dell'anima, la quale tende all'unione con il corpo. Tale desiderio tutti crediamo con certezza che debba essere appagato.

Inoltre è certo che la risurrezione, appunto come la creazione, va annoverata fra le migliori opere di Dio. Come dunque tutte le cose dal principio della creazione uscirono perfette dalle mani di Dio, così dovrà avvenire anche nella risurrezione. Né ciò si deve dire solo dei martiri, dei quali sant'Agostino afferma: "Non saranno senza quelle membra: poiché la mutilazione non potrebbe non essere un difetto del corpo; altrimenti quelli che furono decapitati, dovrebbero risorgere senza la testa. Però rimarranno nelle loro membra le cicatrici della spada, più risplendenti dell'oro e di qualsiasi pietra preziosa, come le cicatrici delle piaghe di Cristo" (ibid.). Ciò si afferma con verità anche dei cattivi, anche se le loro membra siano state amputate per una colpa personale; poiché l'acutezza del dolore sarà in ragione delle membra che essi avranno.

Perciò una tale restituzione delle membra non ridonderà a loro felicità, ma disgrazia e miseria, poiché i meriti non vengono attribuiti alle membra, bensì alla persona alla quale sono unite. A quelli che fecero penitenza saranno restituite per premio; a quelli invece che aborrirono la penitenza, per supplizio.

Se i parroci considereranno attentamente tutto questo, non mancheranno loro i fatti e i pensieri per muovere e infiammare all'amore della religione gli animi dei fedeli, affinché considerando i fastidi e le afflizioni di quaggiù, dirigano i loro ardenti desideri verso la gloria beata della risurrezione, preparata per i giusti e per i pii.

136. Immortalità dei corpi risorti

Rimane ora da far comprendere ai fedeli che, sebbene per quanto ne costituisce la sostanza debba resuscitare l'identico corpo che ha subito la morte, il suo stato però sarà molto differente. A parte infatti le altre circostanze in questo sta la differenza dei corpi risuscitati da quel che erano prima: mentre allora erano soggetti alle leggi della morte, dopo richiamati a vita, a prescindere dalle differenze tra buoni e cattivi, tutti saranno immortali. Questa meravigliosa reintegrazione della natura fu meritata dalla grande vittoria che Cristo riportò sulla morte, come ci insegnano le Sacre Scritture. Sta scritto infatti: "Egli precipiterà la morte in sempiterno" (Is 25,8); e altrove: "Sarò la tua morte, o morte" (Os 13,14). Spiegando tali parole, l'Apostolo dice: "La morte, l'ultima nemica, sarà distrutta" (1 Cor 15,26). E in san Giovanni leggiamo: "D'ora in poi non vi sarà più la morte" (Ap 21,4).

Era molto conveniente che il peccato di Adamo fosse del tutto vinto per merito di Cristo nostro Signore, il quale distrusse l'impero della morte. E questo è anche conforme alla divina giustizia, perché i buoni potessero godere per sempre una vita beata; i cattivi invece, dovendo scontare pene eterne, pur cercando la morte, non la potessero trovare; desiderassero di morire, e la morte ostinatamente fuggisse loro (Ap 9,6). Questa immortalità sarà comune ai buoni e ai cattivi.

137. Doti dei corpi risorti

I corpi redivivi dei santi avranno fulgide e meravigliose facoltà, per le quali diverranno molto più nobili di quello che furono. Le più notevoli sono quelle quattro, che son dette "doti", e sono rilevate dai Padri, sulle orme dell'Apostolo.

La prima è l'"impassibilità"; dono e dote, la quale farà sì che essi non possano soffrire niente di molesto o essere colpiti da dolori o incomodi. Infatti non potranno a essi nuocere né la violenza del freddo, né l'ardore del fuoco, né l'impeto delle acque. "Viene seminato" dice l'Apostolo "nella corruzione; risorgerà nella incorruzione" (1 Cor 15,42). Gli Scolastici la chiamarono impassibilità invece che "incorruzione", per esprimere quel che è proprio del corpo glorioso; poiché i beati non hanno l'impassibilità in comune coi dannati, perché i corpi di questi, sebbene incorruttibili, possono patire caldo, freddo e ogni dolore.

Viene poi lo "splendore", per il quale i corpi dei santi rifulgeranno come il sole. Lo attesta, in san Matteo, il nostro Salvatore: "I giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre" (13,43). E perché nessuno dubitasse di questa promessa, la confermò con l'esempio della sua trasfigurazione (Mt 17,2). Questa dote l'Apostolo la chiama ora "gloria", ora splendore. "Riformerà" dice "il corpo nostro umile, rassomigliandolo al corpo del suo splendore" (Fil 3,21 ); e di nuovo: "È seminato nella miseria, sorgerà nella gloria" (1 Cor 15,43). Di questa gloria vide un'immagine il popolo d'Israele nel deserto, quando la faccia di Mosè, di ritorno dal colloquio avuto con Dio sul Sinai, risplendeva talmente che i figli d'Israele non vi potevano fissare gli occhi (Es 34,29). Questo splendore è un fulgore speciale che viene al corpo dalla somma felicità dell'anima ed è come un riflesso della beatitudine di cui gode l'anima: come la stessa anima diventa beata, in quanto su di essa si posa una parte della felicità divina. Non si creda però che tutti si abbelliscano di tal privilegio in ugual misura, come del primo; saranno, si, tutti egualmente impassibili i corpi dei santi, ma non avranno un uguale splendore; poiché, come assicura l'Apostolo, altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Una stella infatti differisce dall'altra per lo splendore; così nella risurrezione dei morti (1 Cor 15,41).

A questa dote va congiunta quella che chiamano "agilità", per cui il corpo sarà liberato dal peso, che ora l'affatica e con grandissima facilità potrà muoversi verso quella parte dove l'anima vorrà, così che nulla potrà esservi di più celere di quel movimento, come insegnano apertamente sant'Agostino nella Città di Dio (13,18 e 20) e san Girolamo nel commento a Isaia (cap. 40). Perciò l'Apostolo dice: "Viene seminato nella debolezza, risorgerà nella forza" (1 Cor 15,43).

A queste doti va aggiunta la sottilità o "sottigliezza", la quale pone il corpo completamente sotto l'impero dell'anima così da servirla con immediatezza, come mostrano le parole dell'Apostolo: "Si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale" (1 Cor 15,44). Questi sono quasi tutti i punti principali da illustrare nella spiegazione dell'articolo.

138. Frutti salutari dell'articolo

Ma perché i fedeli sappiano quale frutto possono ricavare dalla conoscenza di sì numerosi e grandi misteri, si dovrà prima inculcare che dobbiamo ringraziare Dio, il quale ha nascosto queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli. Quanti uomini infatti, illustri per prudenza o per singolare dottrina, non furono completamente all'oscuro di questa verità così certa? L'averla dunque Dio manifestata a noi, che non potevamo aspirare a comprenderla, ci deve fare eternamente lodare la sua benignità e clemenza.

Con il meditare quest'articolo, coglieremo anche il grande frutto che, nella morte di quanti per natura o benevolenza furono a noi congiunti, potremo facilmente consolare sia gli altri che noi stessi; consolazione di cui si servì l'Apostolo scrivendo ai Tessalonicesi intorno ai defunti (1 Ts 4,13). Ma anche in tutti gli altri affanni e disgrazie, il pensiero della futura risurrezione ci darà gran sollievo nel dolore. Ricordiamo il santo Giobbe, il quale sollevava l'animo afflitto e addolorato con questa sola speranza, che avrebbe finalmente potuto contemplare nella risurrezione Iddio suo signore (Gb 19,26s).

Oltre a ciò, questo pensiero sarà molto efficace nel persuadere i fedeli a mettere ogni diligenza nel menare una vita retta, integra, pura da ogni macchia di peccato. Se infatti penseranno che le immense ricchezze, successive alla risurrezione, sono preparate per loro, facilmente s'innamoreranno della virtù e della pietà. D'altro canto nessuna cosa potrà avere maggiore efficacia a sedare le passioni dell'animo e a ritrarre gli uomini dal peccato, che ammonirli spesso di quali mali e dolori saranno colpiti i cattivi che nell'ultimo giorno andranno alla risurrezione del giudizio (Gv 5,29).

FONTE (http://it.wikisource.org/wiki/Catechismo_del_concilio_di_Trento/Parte_I/Articolo_11)

Augustinus
03-11-07, 20:47
Catechismo del concilio di Trento

Parte I, Articolo 12: La vita eterna

139. Significato dell'articolo

I santi Apostoli, nostre guide, vollero chiudere il Simbolo, compendio della nostra fede, con l'articolo riguardante la "vita eterna", sia perché dopo la risurrezione della carne i fedeli non devono aspettare che il premio della vita eterna; sia perché la felicità perfetta e piena di ogni bene deve essere sempre dinanzi ai nostri occhi e apprendessimo che la mente e i pensieri nostri devono essere tutti fissi in essa. Perciò i parroci, istruendo i fedeli, non lasceranno mai di accenderne gli animi con il proporre loro i premi della vita eterna. Così tutto quello che essi avranno insegnato, anche se sommamente grave a sopportare per il nome cristiano, lo crederanno leggero e giocondo e diverranno più pronti e alacri nell'obbedire a Dio.

140. La vita eterna è una beatitudine perpetua

Sotto queste parole, che qui servono a spiegare la nostra beatitudine, sono nascosti molti misteri. E perciò necessario spiegarli in modo che siano a tutti noti, secondo la capacità di ciascuno. Si deve dunque far notare ai fedeli che la vita eterna significa non tanto la perpetuità della vita, alla quale partecipano anche i demoni e gli uomini cattivi, quanto la perpetuità della beatitudine, capace di soddisfare appieno il desiderio dei beati. Così la intendeva quel dottore della Legge, che nel Vangelo chiese al Signore nostro salvatore che cosa dovesse fare per possedere la vita eterna (Mt 19,16; Mc 10,17; Lc 18,18), ossia: "Che cosa devo fare per poter giungere a quel luogo dove è dato godere della felicità perfetta?". In questo senso le Sacre Scritture intendono tali parole, come si può osservare in molti luoghi (Mt 25,46; Gv 3,15; Rm 6,23).

141. Natura della beatitudine eterna

È stato dato appunto questo appellativo a tale beatitudine, perché non la si credesse consistere in cose materiali e caduche, le quali non possono essere eterne. Infatti questa stessa parola "beatitudine" non poteva bene esprimere quel che si voleva indicare, soprattutto perché vi sono stati certuni che, gonfi di fatua sapienza, han posto il sommo bene in quelle cose che si percepiscono coi sensi. Mentre queste periscono e invecchiano, la beatitudine non si può circoscrivere con limiti di tempo; che anzi le cose terrene sono del tutto aliene dalla vera felicità, dalla quale si allontana moltissimo chi è trasportato dall'amore e dal desiderio del mondo. Sta scritto infatti: "Non amate il mondo, ne quel che è nel mondo. Se qualcuno ama il mondo, in lui non è la carità del Padre". E poco appresso: "II mondo passa e insieme con esso la sua concupiscenza" (1 Gv 2,15.17). Questo dunque avranno cura i parroci di fissare nella mente dei fedeli, per persuaderli a disprezzare le cose del mondo e a non credere che si possa ottenere felicità quaggiù, dove non siamo cittadini, ma ospiti (1 Pt 2,11).

Tuttavia anche in questa vita potremo ben dirci beati per la virtù della speranza, purché, rigettando l'empietà e i desideri mondani, viviamo con sobrietà, con giustizia e con pietà, aspettando che si realizzi la speranza beata e la venuta della gloria del grande Dio e di Gesù Cristo nostro salvatore (Tt 2,13).

Moltissimi però, i quali credevano di esser sapienti, non avendo compreso queste cose, credettero doversi cercare la felicità in questa vita; divennero stolti e caddero nelle miserie più gravi (Rm 1,22). Ma dal significato dell'espressione "vita eterna" impariamo anche che questa felicità, una volta raggiunta, non può più perdersi, come erroneamente alcuni supposero. Infatti la felicità risulta dall'unione di tutti i beni, senza mescolanza di alcun male: la quale felicità per appagare il desiderio dell'uomo, deve consistere necessariamente nella vita eterna. Non potrebbe infatti il beato non volere che gli sia dato di godere per sempre di quei beni che ha ottenuto. Se dunque tale possesso non fosse stabile e certo, sarebbe tormentato dall'angoscia del timore.

142. Ineffabilità della beatitudine eterna

Queste stesse parole però, "vita beata", mostrano a sufficienza che la grandezza della felicità dei beati nella patria celeste da essi solamente e da nessun altro può esser compresa. Infatti se noi, per significare una cosa, facciamo uso di un nome comune anche a molte altre, è chiaro che per esprimere esattamente quella cosa manca la parola propria. Poiché dunque la felicità viene espressa con voci tali che convengono egualmente ai beati e a tutti coloro che vivono una vita eterna, si può allora capire che essa è una realtà troppo alta e preclara, per poterne esprimere perfettamente la sostanza con una parola propria. Infatti nelle Sacre Scritture si danno a questa beatitudine celeste moltissimi altri nomi, come per esempio: "regno di Dio", "di Cristo", "dei cieli", "Paradiso", "Città santa", "nuova Gerusalemme", "casa del Padre" (Mc 9,46; At 14,21; 1 Cor 6,9; Ef5,5; 2 Pt 1,11; Mt 7,21; Le 23,43; Ap 3,12; 21,2.10). Tuttavia è chiaro che nessuno di essi vale a esprimerne la grandezza.

143. La fede nella beatitudine promuove la pietà

I parroci non si lascino qui sfuggire l'occasione di richiamare i fedeli, con la visuale dei premi tanto grandi racchiusi nel nome di vita eterna, alla pietà, alla giustizia e a tutti i doveri della religione cristiana. È noto infatti che si suole valutare la vita tra i beni più grandi cui si tende per natura. A ragione quindi la suprema felicità è stata significata mediante l'idea di vita eterna. Che se nulla è più amato, nulla può esservi di più caro o di più giocondo di questa piccola nostra vita piena di affanni, la quale va soggetta a sì numerose e varie miserie, che si dovrebbe con più verità chiamare morte; con quale ardore dell'animo, con quale impegno non dovremo desiderare la vita eterna che, distrutti tutti i mali, contiene la ragione perfetta e assoluta di tutti i beni? Poiché, come tramandarono i santi Padri, la felicità della vita eterna si deve definire come liberazione da tutti i mali e acquisto di tutti i beni. Circa i mali vi sono chiarissime testimonianze nelle Sacre Scritture. E detto infatti nell'Apocalisse: "Non avranno più né fame, né sete; né cadrà sopra essi il caldo del sole, né altro ardore" (7,16). E di nuovo: "Asciugherà Iddio dai loro occhi ogni lacrima e non vi sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore, perché le vecchie cose sparirono" (ibid. 21,4). Invece si avrà per i beati un'immensa gloria, con infinite specie di stabile letizia e di godimento. Ma la grandezza di questa gloria non può essere compresa dall'animo nostro, né può penetrare nel nostro spirito; sicché dovremo necessariamente penetrare in essa, cioè nel gaudio del Signore, affinché da esso circonfusi, sia soddisfatto perfettamente il desiderio del nostro cuore.

144. Duplice beatitudine: "essenziale" e "accessoria"

Quantunque, come scrive sant'Agostino, sembri che possano essere enumerati più facilmente i mali di cui mancheremo, che i beni e i piaceri che godremo (Sermo, 127, 2, 3), pure si dovrà spiegare brevemente e con chiarezza quanto varrà a infiammare i fedeli alla brama di conseguire quell'immensa felicità. Ma prima si dovrà notare la distinzione, insegnata dai più autorevoli scrittori di argomenti soprannaturali. Essi infatti stabiliscono che vi sono due generi di beni, di cui uno spetta alla natura della beatitudine, l'altro ne discende. Per ragioni pedagogiche, chiamarono i primi "beni essenziali", gli altri "accessori".

145. Beatitudine essenziale

La beatitudine sostanziale, che con un termine comune può dirsi "essenziale", consiste nel vedere Dio e godere della sua bellezza; perché qui è la fonte e il principio di ogni bontà. "Questa è la vita eterna" dice Cristo nostro Signore "che conoscano te, solo vero Dio, e Gesù Cristo, che tu hai mandato" (Gv 17,3). San Giovanni sembra voglia spiegare codesta frase quando dice: "Carissimi, ora siamo figli di Dio; ma ancora non è manifesto quel che saremo; sappiamo però che quando lo sarà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo quale è" (1 Gv 3,2). Il che vuoi dire che la beatitudine consiste in queste due cose: che vedremo Dio come è nella sua natura e nella sua sostanza e che diverremo come dei. Infatti chi gode di lui, sebbene ritenga la propria sostanza, riveste tuttavia una forma mirabile e quasi divina, in modo che sembri più un dio che un uomo.

Come poi questo possa avvenire si spiega dal fatto che ciascuna cosa è conosciuta o per la sua essenza o per una sua immagine che la rappresenti. Ma poiché non vi è nessuna cosa simile a Dio, per la cui sola somiglianza si possa giungere alla perfetta conoscenza di lui, ne segue che nessuno può vedere la natura ed essenza di lui, se la stessa essenza divina non si congiunge a noi. Questo vogliono significare le parole dell'Apostolo: "Ora vediamo attraverso uno specchio, in enigma; allora invece, faccia a faccia" (1 Cor 13,12). Quando dice in enigma, come spiega sant'Agostino, intende un'idea o immagine adatta a far conoscere Dio (De Trinit, 15, 9). Lo stesso mostra chiaramente san Dionigi, quando dice che per nessuna sembianza di cose inferiori si possono conoscere quelle superiori (De div. nomin., cap. 1). Infatti con la sembianza di nessuna cosa corporea si può conoscere l'essenza e la sostanza di ciò che non ha corpo, specialmente se consideriamo che le idee o immagini delle cose devono essere meno materiali e più spirituali delle cose stesse, che rappresentano. Lo possiamo facilmente constatare nella conoscenza di tutte le cose. Ma poiché è impossibile che di una cosa creata esista un'idea così pura e spirituale, quale è Dio stesso, da una tale immagine non potremo mai conoscere perfettamente l'essenza divina. Si aggiunga che tutte le cose sono circoscritte da determinati limiti di perfezione, mentre Dio è infinito e nessuna somiglianza di cosa creata può racchiudere la sua immensità.

Non rimane dunque altro modo per conoscere l'essenza divina che essa stessa si congiunga a noi, innalzando in una maniera meravigliosa più in alto la nostra intelligenza; cosi diveniamo idonei a contemplare la bellezza della sua natura. Questo lo otterremo con il lume della gloria, quando, illuminati dal suo splendore, vedremo nel suo lume il vero lume di Dio; poiché i beati sempre intuiranno Dio presente. Con questo dono, il più grande e il migliore di tutti, fatti partecipi i beati dell'essenza divina, godono la vera e permanente beatitudine (2 Pt 1,4). E noi dobbiamo crederlo con tanta certezza, che è perfino definito nel Simbolo dei Padri (niceni), doverla noi per benignità divina aspettare con sicura speranza. Vi si dice infatti: "Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà ".

Queste cose sono del tutto divine, né possono essere spiegate a parole o comprese con il pensiero. Nondimeno possiamo scorgere un'immagine di questa beatitudine anche nelle cose percepite dai sensi. Come il ferro, se accostato al fuoco, assimila il fuoco e, sebbene la sua sostanza non muti, tuttavia sembra qualche cosa di differente, cioè fuoco, allo stesso modo quelli che sono ammessi alla gloria celeste, infiammati dall'amore di Dio, vengono così trasformati, pur non cessando di essere ciò che sono, da poter dire che differiscono da quelli che sono in questa vita, molto più che il ferro incandescente dal ferro normale (Anselmo, Lib. de simil., cap. 56). Per dirla in breve: la somma e assoluta beatitudine che diciamo essenziale deve porsi nel possesso di Dio. Infatti cosa può mancare per la felicità perfetta a chi possiede Dio ottimo e perfettissimo?

146. Beatitudine accidentale

Alla beatitudine essenziale s'aggiungono degli abbellimenti comuni a tutti i beati che, essendo meno lontani dalla ragione umana, sogliono commuovere ed eccitare con maggior forza gli animi nostri. A questo genere appartengono quelli a cui sembra alludere l'Apostolo scrivendo ai Romani: "Gloria e onore e pace a ognuno che fa il bene (Rm 2,10). Infatti i beati non godono solo di quella gloria, che mostrammo essere in fondo la beatitudine essenziale di Dio, ovvero congiunta strettissimamente con la sua natura; ma anche di quella che risulta dalla conoscenza chiara e precisa che ciascuno dei beati avrà dell'eccellente e splendida dignità degli altri. Ma pure quanto grande non si dovrà stimare l'onore che Dio loro concede, essendo essi chiamati non più servi, ma amici, fratelli e figli di Dio? Perciò con queste amorosissime e onorevolissime parole il nostro Salvatore inviterà i suoi eletti: "Venite benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi" (Mt 25,34). Cosicché a buon diritto si può esclamare: "I tuoi amici, o Dio, sono stati troppo onorificati" (Sal 138,17). Ma saranno lodati anche da Cristo signore dinanzi al Padre celeste e ai suoi angeli.

Inoltre, se è vero che la natura ingenerò in tutti gli uomini il desiderio di essere onorati da quelli che sono illustri per sapienza, ritenendosi che tali attestati di considerazione siano le più efficaci prove del merito, quanto non dovrà credersi grande la gloria dei beati, professando l'uno verso l'altro la stima più profonda.

Sarebbe infinita l'enumerazione di tutti i godimenti di cui sarà ripiena la gloria dei beati e non possiamo immaginarceli neppure. Tuttavia i fedeli devono persuadersi che di tutto quel che di giocondo può toccarci o desiderarsi in questa vita, sia che si riferisca alla conoscenza dell'intelletto, sia alla perfezione del corpo, di tutto la vita beata dei celesti ridonderà, sebbene in un modo più alto di quel che l'occhio possa vedere, l'orecchio possa udire o che comunque possa penetrare nel cuore dell'uomo, come afferma l'Apostolo (2 Cor 2,9). Il corpo, che prima era grossolano e materiale, quando nel cielo, tolta la mortalità, sarà diventato tenue e spirituale, non avrà più bisogno di alimenti; l'anima poi si satollerà di quel pascolo eterno di gloria, che sarà offerto a tutti dall'Autore di quel grande convito (Lc 12,37).

Chi mai potrà desiderare preziose vesti ovvero ornamenti regali per il corpo lassù dove non si avrà bisogno di tali cose e tutti saranno coperti di immortalità e di splendore, insigniti della corona della gloria eterna? Ma se è parte della felicità umana anche il possesso di una casa vasta e sontuosa, che cosa si può concepire di più vasto e sontuoso dello stesso cielo, che è illuminato in ogni parte dallo splendore divino? Perciò il profeta, ponendosi dinanzi agli occhi la bellezza di tale dimora e ardendo della brama di giungere a quella beata sede, dice: "Come sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore delle virtù! Anela e si strugge l'anima mia per il desiderio degli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente" (Sal 83,2s).

147. Come si acquista sicuramente la beatitudine

I parroci devono ardentemente desiderare e cercare con ogni studio che questo sia il volere di tutti i fedeli, questa la voce comune di tutti, "Poiché nella casa del Padre mio" dice il Signore "vi sono molte dimore (Gv 14,2) nelle quali saranno dati premi maggiori e minori, secondo che ognuno avrà meritato. Infatti chi semina con parsimonia, mieterà con parsimonia (2 Cor 9,6) e chi semina largamente mieterà pure largamente". Perciò non solo spingeranno i fedeli verso la beatitudine, ma li avvertiranno spesso che il modo certo per ottenerla è di istruirsi nella fede e nella carità, perseverando nella preghiera e nella salutare frequenza dei sacramenti, esercitandosi in tutte le opere caritatevoli verso il prossimo. Allora la misericordia di Dio, il quale preparò quella gloria beata a chi lo ama, farà sì che si avveri un giorno il detto del profeta: "Starà il mio popolo nella bellezza della pace, nei tabernacoli della fiducia e nella quiete opulenta" (Is 32,18).

FONTE (http://it.wikisource.org/wiki/Catechismo_del_concilio_di_Trento/Parte_I/Articolo_12)

Augustinus
01-11-08, 21:30
"O anime sante, che libere d'ogni affanno, già vi state beando in Cielo in quel torrente di sovrane dolcezze, oh, quanto io invidio la vostra felicità! Deh, per pietà, poichè voi siete sì presso alla fontana di vita, poichè voi mi vedete morir di sete in questo basso mondo, siatemi propizie di un poco di cotesta freschissima acqua ... siatemi cortesi di un po' di aiuto" (Padre Pio).

Augustinus
02-11-08, 08:36
http://www.cattolicesimo.com/ImmSacre/boug.jpg http://www.repro-tableaux.com/kunst/william_adolphe_bouguereau/le_jour_des_morts_saints_day_hi.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.XIR.1668020.7055475/205482.JPG William Bouguereau, Le jour des morts, olio su tavola, 1859, Musée des Beaux-Arts, Bordeaux

Augustinus
02-11-08, 10:45
http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M1982/M1982_1_2_628.jpg Jacques Callot, Commemorazione dei fedeli defunti, 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

Augustinus
02-11-08, 13:38
http://www.oilpaintingshop.com/cole/17.jpg Thomas Cole, Croce al tramonto, 1848 circa, collezione Thyssen-Bornemisza, Madrid

Augustinus
02-11-08, 20:33
BENEDETTO XVI

ANGELUS

Domenica, 2 novembre 2008

Cari fratelli e sorelle!

Ieri la festa di Tutti i Santi ci ha fatto contemplare "la città del cielo, la Gerusalemme celeste che è nostra madre" (Prefazio di Tutti i Santi). Oggi, con l’animo ancora rivolto a queste realtà ultime, commemoriamo tutti i fedeli defunti, che "ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace" (Preghiera eucaristica I). E’ molto importante che noi cristiani viviamo il rapporto con i defunti nella verità della fede, e guardiamo alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione. Già l’apostolo Paolo, scrivendo alle prime comunità, esortava i fedeli a "non essere tristi come gli altri che non hanno speranza". "Se infatti – scriveva – crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti" (1 Ts 4,13-14). E’ necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere.

Nella mia Enciclica sulla speranza cristiana, mi sono interrogato sul mistero della vita eterna (cfr Spe salvi, 10-12). Mi sono chiesto: la fede cristiana è anche per gli uomini di oggi una speranza che trasforma e sorregge la loro vita (cfr ivi, 10)? E più radicalmente: gli uomini e le donne di questa nostra epoca desiderano ancora la vita eterna? O forse l’esistenza terrena è diventata l’unico loro orizzonte? In realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la "vita beata", la felicità. Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa. E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi. L’espressione "vita eterna" vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile: non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia: è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo (cfr ivi, 12).

Rinnoviamo quest’oggi la speranza della vita eterna fondata realmente nella morte e risurrezione di Cristo. "Sono risorto e ora sono sempre con te", ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce. La speranza cristiana non è però mai soltanto individuale, è sempre anche speranza per gli altri. Le nostre esistenze sono profondamente legate le une alle altre ed il bene e il male che ciascuno compie tocca sempre anche gli altri. Così la preghiera di un’anima pellegrina nel mondo può aiutare un’altra anima che si sta purificando dopo la morte. Ecco perché oggi la Chiesa ci invita a pregare per i nostri cari defunti e a sostare presso le loro tombe nei cimiteri. Maria, stella della speranza, renda più forte e autentica la nostra fede nella vita eterna e sostenga la nostra preghiera di suffragio per i fratelli defunti.

Augustinus
02-11-08, 20:44
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/BFVUYL/02-002923.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.XIL.7928610.7055475/165118.JPG Victor Mottez, La resurrezione dei morti, 1870, Palais des Beaux-Arts, Lille

Augustinus
02-11-08, 20:49
DIE 2 NOVEMBRIS

vel, si in Dominicam inciderit, die 3 sequenti

IN COMMEMORATIONE

OMNIUM FIDELIUM DEFUNCTORUM

Duplex

¶ Hac die quivis Sacerdos tres Missas celebrare potest. Qui unam dumtaxat Missam celebrat, primam legit: eandem adhibet qui Missam cum cantu celebrat, facta ei potestate anticipandæ secundæ ac tertiæ.

Tres Missæ in extenso habentur in Missis Defunctorum 1° loco, quibus addatur Præfatio propria.[/SIZE]

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-2nov=lat.htm)

Augustinus
02-11-08, 21:37
http://img230.imageshack.us/img230/7222/omniumsanctorumit6.jpg

MISSÆ DEFUNCTORUM

I

DIE 2 NOVEMBRIS

vel, si in Dominicam inciderit, die 3 sequenti


IN COMMEMORATIONE

OMNIUM FIDELIUM DEFUNCTORUM

¶ Hac die quivis Sacerdos tres Missas celebrare potest. Qui unam dumtaxat Missam celebrat, primam legit : eandem adhibet qui Missam cum cantu celebrat, facta ei potestate anticipandæ secundæ ac tertiæ.


AD PRIMAM MISSAM

Introitus

IV Esdr. 2, 34 et 35

RÉQUIEM ætérnam dona eis Dómine: et lux perpétua lúceat eis. Ps. 64, 2-3. Te decet hymnus Deus in Sion; et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam; ad te omnis caro véniet.

Deinde absolute repetitur Réquiem ætérnam usque ad Psalmum.

Oratio

FIDÉLIUM, Deus, ómnium cónditor et redémptor: animábus famulórum famularúmque tuárum remissiónem cunctórum tríbue peccatórum; ut indulgéntiam, quam semper optavérunt, piis supplicatiónibus consequántur: Qui vivis.

Lectio Epístolæ beáti Páuli Apóstoli ad Corínthios

I Cor. 15, 51-57

FRATRES: Ecce mystérium vobis dico: Omnes quidem resurgémus, sed non omnes immutábimur. In moménto, in ictu óculi, in novíssima tuba: canet enim tuba, et mórtui resúrgent incorrúpti: et nos immutábimur. Opórtet enim corruptíbile hoc indúere incorruptiónem: et mortále hoc indúere immortalitátem. Cum autem mortále hoc indúerit immortalitátem, tunc fiet sermo, qui scriptus est: Absórpta est mors in victória. Ubi est, mors, victória tua? Ubi est, mors, stímulus tuus? Stímulus autem mortis peccátum est: virtus vero peccáti lex. Deo autem grátias, qui dedit nobis victóriam per Dóminum nostrum Jesum Christum.

Graduale. IV Esdr. 2, 34 et 35. Réquiem ætérnam dona eis Dómine: et lux perpétua luceat eis. V/. Ps. 111, 7. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.

Tractus. Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium defunctórum ab omni vínculo delictórum. V/. Et grátia tua illis succurénte, mereántur evádere judícium ultiónis. V/. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.


SEQUENTIA

Dies iræ, dies illa,
Solvet sæclum in favílla :
Teste David cum Sibýlla.

Quantus tremor est futúrus,
Quando judex est ventúrus,
Cuncta stricte discussúrus!

Tuba mirum spargens sonum
Per sepúlcra regiónum,
Coget omnes ante thronum,

Mors stupébit, et natúra,
Cum resúrget creatúra,
Judicánti responsúra.

Liber scriptus proferétur,
In quo totum continétur,
Unde mundus judicétur.

Judex ergo cum sedébit,
Quidquid latet, apparébit :
Nil inúltum remanébit.

Quid sum miser tunc dictúrus?
Quem patrónum rogatúrus,
Cum vix justus sit secúrus?

Rex treméndæ majestátis,
Qui salvándos salvas gratis,
Salva me, fons pietátis,

Recordáre, Jesu pie,
Quod sum causa tuæ viæ:
Ne me perdas illa die.

Quærens me, sedísti lassus:
Redemísti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.

Juste judex ultiónis,
Donum fac remissiónis
Ante diem ratiónis.

Ingemísco, tamquam reus:
Culpa rubet vultus meus:
Supplicánti parce, Deus.

Qui Maríam absolvísti,
Et latrónem exaudísti,
Mihi quoque spem dedísti.

Preces meæ non sunt dignæ:
Sed tu bonus fac benígne,
Ne perénni cremer igne.

Inter oves locum præsta,
Et ab hædis me sequéstra,
Státuens in parte dextra.

Confutátis maledíctis,
Flammis ácribus addíctis:
Voca me cum benedíctis.

Oro supplex, et acclínis,
Cor contrítum quasi cinis:
Gere curam mei finis.

Lacrimósa dies illa,
Qua resúrget ex favílla,
judicándus homo reus:

Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Dómine,
Dona eis réquiem. Amen.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann. 5, 25-29

IN ILLO témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Amen, amen dico vobis: quia venit hora, et nunc est, quando mórtui áudient vocem Fílii Dei: et qui audíerint, vivent. Sicut enim Pater habet vitam in semetípso, sic dedit et Fílio habére vitam in semetípso: et potestátem dedit ei judícium fácere, quia Fílius hóminis est. Nolíte mirári hoc, quia venit hora, in qua omnes, qui in monuméntis sunt, áudient vocem Fílii Dei: et procédent, qui bona fecérunt, in resurrectiónem vitæ : qui vero mala egérunt, in resurrectiónem judícii.

Offertorium. Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni, et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum; sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam: * Quam olim Abrahæ promisísti, et sémini ejus. V/. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam. Quam olim Abrahæ promisísti, et sémini ejus.

Secreta

HÓSTIAS, quaésumus, Dómine, quas tibi pro animábus famulórum famularúmque tuárum offérimus, propitiátus inténde: ut, quibus fídei christiánæ méritum contulísti, dones et prǽmium. Per Dóminum.

Præfatio Defunctorum

VERE dignum et iústum est, ǽquum et salutáre, nos tibi semper, et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut quos contrístat certa moriéndi condítio, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur, et dissolúta terréstris huius incolátus domo, ætérna in coelis habitátio comparátur. Et ideo com Ángelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus, cumque omni milítia coeléstis exércitus, hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: † Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli, et terra glória tua. Hosánna in excélsis. † Benedíctus qui venit, in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

¶ In prima et secunda Missa, si Sacerdos aliam Missam sit celebraturus, sumpto divino Sanguine, non purificat neque abstergit Calicem, sed eum ponit super Corporale, et Palla tegit; dein, junctis manibus, dicit in medio Altaris: Quod ore súmpsimus, etc., et subinde in vase cum aqua parato digitos abluit, dicens: Corpus tuum, Dómine, etc., et abstergit. Hisce peractis, Calicem super Corporale adhuc manentem, deducta Palla, iterum disponit et cooperit, uti mos est, scilicet primum Purificatorio linteo, deinde Patena cum Hostia consecranda et Palla, ac demum Velo.

Communio. IV Esdr. 2, 34 et 35. Lux ætérna lúceat eis, Dómine: * Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es. V/. Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis. Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

Postcommunio

ANIMÁBUS, quaésumus, Dómine, famulórum, famularúmque tuárum orátio profíciat supplicántium: ut eas et a peccátis ómnibus éxuas, et tuæ redemptiónis fácias esse partícipes: Qui vivis.

¶ Debet Sacerdos ante sequentes Missas Confessionem dicere. In fine autem cujuslibet Missæ, dicto Dóminus vobíscum, dicitur: Requiéscant in pace. R/. Amen.

¶ Et non datur benedictio: sed, dicto secreto Pláceat tibi, sancta Trínitas, etc., et osculato Altari, legitur Evangelium S. Joannis In princípio erat Verbum, etc., ut moris est.


AD SECUNDAM MISSAM

Introitus

IV Esdr. 2, 34 et 35

RÉQUIEM ætérnam dona eis Dómine: et lux perpétua lúceat eis. Ps. 64, 2-3. Te decet hymnus Deus in Sion; et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam; ad te omnis caro véniet. Requiem.

Oratio

DEUS, indulgentiárum Dómine: da animábus famulórum, famularúmque tuárum refrigérii sedem, quiétis beatitúdinem, et lúminis claritátem. Per Dóminum.

Lectio libri Machabæórum

II Mach. 12, 43-46

IN DIEBUS illis: Vir fortíssimus Judas, facta collatióne, duódecim míllia drachmas argénti misit Jerosólimam, offérri pro peccátis mortuórum sacrifícium, bene et religióse de resurrectióne cógitans (nisi enim eos, qui cecíderant, resurrectúros speráret, supérfluum viderétur, et vanum oráre pro mórtuis): et quia considerábat quod hi, qui cum pietáte dormitiónem accéperant, óptimam habérent repósitam grátiam. Sancta ergo, et salúbris est cogitátio pro defúnctis exoráre, ut a peccátis solvántur.

Graduale. IV Esdr. 2, 34 et 35. Réquiem ætérnam dona eis Dómine: et lux perpétua luceat eis. V/. Ps. 111, 7. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.

Tractus. Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium defunctórum ab omni vínculo delictórum. V/. Et grátia tua illis succurénte, mereántur evádere iudícium ultiónis. V/. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.

Sequentia Dies iræ, dies illa, ut supra.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann. 6, 37-40

IN ILLO témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Omne, quod dat mihi Pater, ad me véniet: et eum, qui venit ad me, non ejíciam foras: quia descéndi de cælo, non ut fáciam voluntátem meam, sed voluntátem ejus, qui misit me. Hæc est autem volúntas ejus, qui misit me, Patris: ut omne, quod dedit mihi, non perdam ex eo, sed resúscitem illud in novíssimo die. Hæc est autem volúntas Patris mei, qui misit me: ut omnis, qui videt Fílium, et credit in eum, hábeat vitam ætérnam, et ego resuscitábo eum in novíssimo die.

Offertorium. Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni, et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum; sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam: * Quam olim Abrahæ promisísti, et sémini ejus. V/. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam. Quam olim Abrahæ promisísti, et sémini ejus.

¶ In secunda et tertia Missa Sacerdos, si primam Missam celebraverit, ad Offertorium deveniens, ablato Velo de Calice, hunc parumper versus cornu Epistolæ collocat, sed non extra Corporale; factaque Hostiæ oblatione, non abstergit Calicem Purificatorio, sed eum intra Corporale relinquens leviter elevat, vinum et aquam eidem caute infundit, ipsum Calicem, nullatenus ab intus abstersum, more solito offert.

Secreta

PROPITIÁRE, Dómine, supplicatiónibus nostris, pro animábus famulórum, famularúmque tuárum, pro quibus tibi offérimus sacrifícium laudis: ut eas Sanctórum tuórum consórtio sociáre dignéris. Per Dóminum.

Præfatio Defunctorum.

Communio. IV Esdr. 2, 34 et 35. Lux ætérna lúceat eis, Dómine: * Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es. V/. Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis. Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

Postcommunio

PRÆSTA, quaésumus, Dómine: ut ánimæ famulórum, famularúmque tuárum, his purgátæ sacrificiis, indulgéntiam páriter et réquiem cápiant sempitérnam. Per Dóminum.


AD TERTIAM MISSAM

Introitus

IV Esdr. 2, 34 et 35

RÉQUIEM ætérnam dona eis Dómine: et lux perpétua lúceat eis. Ps. 64, 2-3. Te decet hymnus Deus in Sion; et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam; ad te omnis caro véniet. Requiem.

Oratio

DEUS, véniæ largítor et humánæ salútis amátor: quaésumus cleméntiam tuam; ut ánimas famulórum famularúmque tuárum, quæ ex hoc saéculo transiérunt, beáta María semper Vírgine intercedénte cum ómnibus Sanctis tuis, ad perpétuæ beatitúdinis consórtium perveníre concédas. Per Dóminum.

Lectio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli

Apoc. 14, 3

IN DIÉBUS illis: Audívi vocem de cælo, dicéntem mihi: Scribe, Beáti mórtui, qui in Dómino moriúntur. Amodo jam dicit Spíritus, ut requiéscant a labóribus suis: ópera enim illórum sequúntur illos.

Graduale. IV Esdr. 2, 34 et 35. Réquiem ætérnam dona eis Dómine: et lux perpétua luceat eis. V/. Ps. 111, 7. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.

Tractus. Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium defunctórum ab omni vínculo delictórum. V/. Et grátia tua illis succurénte, mereántur evádere iudícium ultiónis. V/. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.

Sequentia Dies iræ, dies illa, ut supra.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann. 6, 51-55

IN ILLO témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Ego sum panis vivus, qui de cælo descéndi. Si quis manducáverit ex hoc pane, vivet in ætérnum: et panis, quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita. Litigábant ergo Judaéi ad ínvicem, dicéntes: Quómodo potest hic carnem suam dare ad manducándum? Dixit ergo eis Jesus: Amen, amen dico vobis: Nisi manducavéritis carnem Fílii hóminis, et bibéritis ejus sánguinem, non habébitis vitam in vobis. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, habet vitam ætérnam: et ego resuscitábo eum in novíssimo die.

Offertorium. Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni, et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum; sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam: * Quam olim Abrahæ promisísti, et sémini ejus. V/. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam. Quam olim Abrahæ promisísti, et sémini ejus.

Secreta

DEUS, cujus misericórdiæ non est númerus, súscipe propítius preces humilitátis nostræ: et animábus ómnium fidélium defunctórum, quibus tui nóminis dedísti confessiónem, per hæc sacraménta salútis nostræ, cunctórum remissiónem tríbue peccatórum. Per Dóminum.

Præfatio Defunctorum.

Communio. IV Esdr. 2, 34 et 35. Lux ætérna lúceat eis, Dómine: * Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es. V/. Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis. Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

Postcommunio

PRÆSTA, quaésumus, omnípotens et miséricors Deus: ut ánimæ famulórum famularúmque tuárum, pro quibus hoc sacrifícium laudis tuæ obtúlimus majestáti; per hujus virtútem sacraménti a peccátis ómnibus expiátæ, lucis perpétuæ, te miseránte, recípiant beatitúdinem. Per Dóminum.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-def1=lat.htm)

Holuxar
02-11-16, 18:44
2 novembre 2016: COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI…RIP!





"Requiem aeternam
Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace.
http://www.preghiamo.org/img/grafiche/croce-greca-r.png Amen."





Solennità di Tutti i Santi ed altre ricorrenze del mese di Novembre... (https://forum.termometropolitico.it/683854-solennita-di-tutti-i-santi-ed-altre-ricorrenze-del-mese-di-novembre.html)






Commemorazione dei fedeli defunti - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/commemorazione-dei-fedeli-defunti/)
http://www.sodalitium.biz/commemorazione-dei-fedeli-defunti/
“2 novembre, Commemorazione dei Fedeli Defunti.
De profùndis clamàvi ad te, Dòmine;
Dòmine, exàudi vocem meam.
Fiant àures tuae intendèntes
in vocem deprecatiònis meae.
Si iniquitàtes observàveris, Dòmine,
Dòmine, quis sustinèbit?
Quia apud te propitiàtio est
et propter legem tuam sustìnui te, Dòmine.
Sustìnuit ànima mea in verbo ejus,
speràvit ànima mea in Dòmino.
A custòdia matutìna usque ad noctem,
speret Ìsraël in Dòmino,
quia apud Dòminum misericòrdia,
et copiòsa apud eum redèmptio.
Et ipse rèdimet Ìsraël
ex òmnibus iniquitàtibus ejus.”



http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-4-2-216x300.jpg (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/?fref=nf)








Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 2 novembre. Commemorazione dei defunti (http://www.unavoce-ve.it/pg-2nov.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-2nov.htm
MISSALE ROMANUM - Die 2 Novembris In Commemoratione Omnium Fidelium Defunctorum (http://www.unavoce-ve.it/mr-def1=lat.htm)
http://www.unavoce-ve.it/mr-def1=lat.htm
“DIE 2 NOVEMBRIS
VEL, SI IN DOMINICAM INCIDERIT, DIE 3 SEQUENTI
IN COMMEMORATIONE
OMNIUM FIDELIUM DEFUNCTORUM”





You Can Still Enroll Departed in Our Holy Souls Masses (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=25854)
http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=25854
http://sggresources.org/products/webcasting-the-traditional-liturgy-to-the-world





Oggi, il ?Giorno dei Morti?. Conoscete la Devozione dei Cento Requiem? | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2013/11/oggi-il-giorno-dei-morti-conoscete-la-devozione-dei-cento-requiem/)
http://www.radiospada.org/2013/11/oggi-il-giorno-dei-morti-conoscete-la-devozione-dei-cento-requiem/

Normativa generale e per il mese di Novembre | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2014/11/indulgenze-per-i-defunti-normativa-generale-e-per-il-mese-di-novembre/)
http://www.radiospada.org/2014/11/indulgenze-per-i-defunti-normativa-generale-e-per-il-mese-di-novembre/


http://i1.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/11/Purgatory.jpg



[Immagini e riflessioni] Per le anime sante detenute nel carcere del Purgatorio | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2012/11/immagini-e-riflessioni-per-le-anime-sante-detenute-nel-carcere-del-purgatorio/)
“Novembre è tradizionalmente il mese dedicato alle care anime che ancora giacciono tra le fiamme purificatrici del Purgatorio. Vi è più che mai la necessità di diffondere la devozione del Purgatorio e di pregare e suffragare (tramite le indulgenze, le sante messe e le opere pie) le anime che sono lì detenute dopo il Giudizio particolare (possono esserci anche i nostri parenti e amici che sono già morti) affinché possano presto raggiungere la gioia eterna del Paradiso. Cosa fare dunque e come farlo? Parlare sempre del Purgatorio, diffondere buoni libri sull’argomento e, soprattutto, pregare! Pregare, lucrare il maggior numero di indulgenze nei giorni prescritti, offrire le proprie opere buone, qualche fioretto, qualche sofferenza per le anime purganti, recitare spesso il “De profundis”, fare celebrare tante Messe (Cattoliche) in suffragio dei defunti. Mai come oggi, in cui il Modernismo ha tentato di cancellare l’esistenza stessa di quel regno ultramondano, bisogna pregare per i fedeli defunti. Mai come oggi bisogna ricordare i Novissimi come ad esempio qui.
[IMMAGINI E RIFLESSIONI] Memento mori! Quando morirai? Come? Dove? | Radio Spada (http://radiospada.org/2012/11/01/immagini-e-riflessioni-memento-mori-quando-morirai-come-dove/)
Testo a cura di Marco Massignan e Piergiorgio Seveso.”




Radio Spada (https://www.facebook.com/radiospadasocial/?fref=nf)
“EPISTOLA (I Cor 15, 51-57). - Fratelli: Ecco vi rivelo un mistero: risorgeremo certamente tutti, ma non tutti saremo trasformati, in un attimo, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Suonerà la tromba, e i morti risorgeranno incorrotti, e noi saremo cangiati. Perché è necessario che questo corpo corruttibile si rivesta d'incorruttibilità, e che questo corpo mortale si rivesta d'immortalità. Quando poi questo corpo mortale sarà rivestito d'immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: La morte è stata assorbita nella vittoria. Dov'è o morte, la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? Or il pungiglione della morte è il peccato, e la potenza del peccato viene dalla legge. Ma eleviamo i nostri inni di ringraziamento a Dio, il quale ci ha dato la vittoria, mediante il Signor nostro Gesù Cristo.
Morte e Risurrezione.
Mentre l'anima, uscita dalla vita presente, supplisce nel purgatorio l'insufficienza delle sue espiazioni, il corpo, che ha abbandonato, ritorna alla terra, in esecuzione della sentenza inflitta ad Adamo e alla sua discendenza all'inizio del mondo (Gen 3,19). Ma la giustizia è anche amore per il corpo del fedele, come lo è per l'anima. L'umiliazione del sepolcro è giusto castigo del primo peccato, ma san Paolo ci fa vedere in questo ritorno dell'uomo al fango dal quale è stato tratto una seminagione necessaria alla trasformazione del grano predestinato, che deve un giorno riprendere vita in condizioni ben diverse. In effetti, la carne e il sangue non potrebbero possedere il regno di Dio, né potrebbero gli organi destinati a dissolversi raggiungere l'immortalità. Frumento di Cristo, secondo la espressione di Ignazio di Antiochia, il corpo dei cristiani è gettato nel solco della tomba, per lasciarvi alla corruzione la forma del primo Adamo con il suo peso e le sue infermità; ma per virtù del nuovo Adamo, che lo riforma a propria immagine, dalla tomba uscirà tutto celeste, spiritualizzato, agile, impassibile e glorioso. Onore a Colui che volle morire come noi, per distruggere la morte e fare della sua vittoria la nostra vittoria.
Una volta la Chiesa non escludeva l'Alleluia nelle funzioni funebri dei suoi figli ed esprimeva con esso la sua allegrezza, che trova il motivo nella speranza che una morte santa ha assicurato al cielo un nuovo eletto, anche se il cristiano, per il quale la prova della vita è terminata, debba per qualche tempo prolungare la sua espiazione. L'adattamento della Liturgia dei morti ai riti degli ultimi giorni della Settimana santa modificò l'uso antico e parve allora che la Sequenza, sviluppo festivo e all'origine seguito dell'Alleluia, non potesse conservare il suo posto nella Messa per i defunti. Roma tuttavia, a questo riguardo faceva una eccezione alle regole tradizionali, in favore del poema attribuito (a torto) a Tommaso da Celano. Il Dies irae cantato in Italia fin dal secolo XIV, nel XVI fu adottato da tutta la Chiesa.
SEQUENZA
Giorno d'ira sarà quello: il fuoco distruggerà il mondo come disse David con la Sibilla.
Qual terrore vi sarà, quando verrà il giudice ad esaminare tutto con rigore!
La tromba spanderà il suono mirabile sulle fosse della terra, radunerà tutti presso il trono.
Stupirà morte e la natura, quando la creatura risorgerà per rispondere al Giudice.
Sarà aperto il libro scritto, dove è tutto quello riguardo a cui il mondo sarà giudicato.
Quando il Giudice si assiderà, tutto ciò che è occulto sarà svelato: niente resterà segreto.
Misero che sono! che dirò allora? A chi mi raccomanderò se appena il giusto sarà sicuro?
O Re di tremenda maestà, che salvi gratuitamente gli aletti, salvami, o fonte di pietà.
Ricorda, o Gesù pio, che io son la causa della tua venuta: non mi dannare in quel giorno.
Ti affaticasti a cercarmi, per salvarmi hai sofferto la croce: non sia vano tanto lavoro.
Giusto giudice vendicatore, dammi la grazia del perdono avanti il giorno dei conti.
Come reo gemo, la colpa copre di rosso il mio volto, o Dio, perdona a chi ti supplica.
Tu che assolvesti la Maddalena ed esaudisti il ladrone, da' anche a me la speranza.
Le mie preghiere non son degne, ma tu buono e pietoso fa' che non bruci nel fuoco eterno.
Mettimi tra le pecorelle, e separami dai capretti, ponendomi dalla parte destra.
Condannati i maledetti, e consegnatili alle orribili fiamme, chiama me coi benedetti.
Ti prego supplice e prosteso, col cuore contrito come la cenere, abbi cura del mio fine.
Giorno di lacrime sarà quello in cui dalla cenere l'uomo reo risusciterà per essere giudicato. A lui dunque perdona, o Dio. O pio Signore Gesù, dona loro il riposo. Così sia.
VANGELO (Gv. 5, 25-30). - In quel tempo: Disse Gesù alle turbe dei Giudei: In verità vi dico: Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e chi l'avrà ascoltata vivrà. Perché come il Padre ha in sé la vita, così pure ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso. E gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non vi meravigliate di questo, perché vien l'ora in cui tutti, nei sepolcri, udranno la voce del Figlio di Dio; e ne usciranno quanti fecero il bene, alla risurrezione della vita; quanti poi fecero il male, alla risurrezione della condanna.
La voce del giudice.
Il Purgatorio non è eterno e la sentenza del giudizio particolare, che segue subito la morte, varia in modo infinito quanto alla durata. Può durare per secoli per anime particolarmente colpevoli o per anime, che, essendo escluse dalla comunione della Chiesa cattolica, restano prive dei suffragi della Chiesa stessa, sebbene la misericordia di Dio le abbia strappate all'inferno. Tuttavia la fine del mondo e di quanto esiste nel tempo deve porre fine all'espiazione temporanea e Dio saprà conciliare la sua giustizia e la sua grazia per la purificazione degli ultimi uomini e supplire con l'intensità della pena espiatrice a quanto potrebbe mancare nella durata. Per quanto riguarda il corpo la sentenza del giudizio particolare è sospensiva e dilatoria e lascerà il corpo del giusto come quello del reprobo alla comune sorte della tomba. Il giudizio finale invece avrà carattere definitivo e registrerà per il cielo o per l'inferno soltanto sentenze assolute, immediatamente e totalmente esecutorie. Viviamo dunque nell'attesa dell'ora solenne in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Colui che deve venire verrà, non può tardare, ci ricorda il Dottore delle genti (Ebr. 10, 37; Abac. 2, 3). Il suo giorno verrà all'improvviso come un ladro, ci dicono come lui (I Tess. 5, 2) il Principe degli Apostoli (II Piet. 3, 10) e Giovanni, il prediletto (Apoc. 16, 15) facendo eco alla parola del Signore stesso (Mt. 24, 43): come il lampo esce dall'oriente e brilla già fino all'occidente, così sarà l'arrivo del Figlio dell'uomo (ivi 27).
Facciamo nostri i sentimenti che ispira l'Offertorio dei defunti. Sebbene l'eterna beatitudine resti finalmente assicurata alle anime purganti ed esse abbiano di questo coscienza, il cammino, ancora più o meno lungo, che le conduce al cielo, si apre tuttavia nel pericolo di un supremo assalto diabolico e l'angoscia del giudizio. La Chiesa, estendendo la sua preghiera a tutte le tappe di questa via dolorosa, non si preoccupa di custodirne l'inizio e non ha paura di mostrarsi qui tardiva. Per Dio, che con uno sguardo solo abbraccia tutti i tempi, la tua supplica di oggi, già presente all'ora del terribile passaggio, procura alle anime il soccorso implorato. Questa supplica le segue nelle peripezie della lotta contro le potenze dell'abisso, quando Dio permette che esse pure servano la sua giustizia per espiazione, come più volte hanno sperimentato i Santi. In questo momento solenne in cui la Chiesa offre i suoi doni per l'augusto e onnipotente Sacrificio, moltiplichiamo anche noi le nostre preghiere per i defunti. Imploriamo la loro liberazione dalle fauci del leone, otteniamo dal glorioso Arcangelo, preposto al Paradiso, appoggio delle anime all'uscita da questo mondo, loro guida inviata da Dio (Antifona e Responsorio della festa di san Michele), che le conduca alla luce, alla vita, a Dio, promesso come ricompensa ai credenti nella persona di Abramo, loro padre (Gen. 15, 1).
Le tre Messe.
Abbiamo dato il solo testo della Messa per tutti i defunti e ciascuno potrà trovare nel suo messale il testo delle altre due Messe. I sacerdoti possono infatti dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all'intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti.
L'intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione e dalla confisca dei beni ecclesiastici.
Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.”



“2 NOVEMBRE 2016: COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI
Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (1Ts 4,12). La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l'Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l'accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, Sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.
L'espiazione del peccato.
Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l'anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l'uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un'eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel battesimo e nel martirio, sommergere nell'abisso dell'oblio divino anche l'ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell'altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.
Il merito.
In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l'anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto.
Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, - chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell'altro - alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (1Cor 12,27).
Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed è accettata secondo tutto il suo valore e secondo l'intenzione di colui che l'applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all'anima per la quale mi piace offrirla (De suffragiis, sectio iv).
Le indulgenze.
È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono a quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l'Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell'efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita.
Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? È così pungente che nessuna miseria della terra l'uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il "fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all'oceano del paradiso" (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt 5,26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare i piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me almeno voi che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Gb 19,21).
La preghiera per le anime del Purgatorio.
Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il purgatorio rigurgiti più che mai per l'affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l'approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l'unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. In quest'opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli, rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [1], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo nella felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria.
Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell'oblazione dell'augusto sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (2Mac 12,46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell'anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l'anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant'Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura pro mortuis, iv).
Sant'Odilone.
Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l'istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l'attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l'abate di Cluny, sant'Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell'inferno che, con visioni - che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2,13) - accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell'abisso avessero a tenere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di sant'Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina.
I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.
MESSA DEI MORTI
La Chiesa Romana raddoppiava una volta in questo giorno la fatica del suo quotidiano servizio verso la Maestà divina. Il ricordo dei morti non escludeva l'Ottava dei santi e faceva precedere all'Ufficio dei morti l'Ufficio del secondo giorno dell'Ottava. Recitata Terza di Ognissanti, si celebrava la Messa corrispondente e, solo dopo Nona dello stesso Ufficio, si celebrava il Sacrificio dell'altare per i defunti. Oggi la Chiesa, consacra loro tutta la giornata.
Quanto all'obbligo di considerare di precetto nel giorno delle anime, gli usi erano diversi. In Inghilterra il giorno era di mezzo precetto e i lavori più necessari erano permessi; in molti altri luoghi il precetto terminava a mezzogiorno; in altri era prescritta soltanto l'assistenza alla Messa. Parigi osservò per qualche tempo la festa come una di quelle di primaria obbligazione e nel 1673 l'arcivescovo Francesco de Harlay prescriveva ancora di osservare il precetto fino a mezzogiorno. Ora anche a Roma il precetto più non esiste.”






Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/?fref=nf)
“In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare San Vittorino, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, San Vittorino possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr (https://www.facebook.com/hashtag/sdgcdpr?source=feed_text&story_id=1163509387018802)”




https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/14681867_1163509387018802_963515382119611858_n.jpg ?oh=e5dd2af3fbdedde5fa6fc721ced2d369&oe=58D4924B






(https://forum.termometropolitico.it/271369-2-novembre-o-3-novembre-se-il-2-e-domenica-commemorazione-dei-fedeli-defunti.html)


https://forum.termometropolitico.it/236268-novembre-per-le-anime-sante-detenute-nell-orrendo-carcere-del-purgatorio.html


Anche per i morti c'è ancora speranza (https://forum.termometropolitico.it/104299-anche-per-i-morti-c-e-ancora-speranza.html)
https://forum.termometropolitico.it/104299-anche-per-i-morti-c-e-ancora-speranza.html
“Anche per i morti c'è ancora speranza
Lo dò come consiglio soprattutto alle persone che hanno avuto genitori, nonni, avi e in generale parenti ed amici che sono morti (per quanto a noi consta) lontani da Dio e dalla Chiesa. Preghiamo per la salvezza di questi morti. Preghiamo perchè Dio, che conosce le nostre preghiere da tutta l'eternità, abbia concesso loro - grazie alla nostra preghiera - di riconciliarsi a Lui anche solo col pensiero, magari con il loro ultimo pensiero. Anche per i morti c'è ancora speranza. Noi possiamo fare molto per loro. Possiamo ottenere la loro conversione e la loro salvezza. Chi può, faccia celebrare delle Messe per la salvezza dei propri cari già morti. Anche per i morti c'è ancora speranza. Grande è la miseria degli uomini, ma grandissima è la misericordia di Dio.
Queste persone potrebbero essere salve grazie alla preghiera e ai sacrifici che noi oggi possiamo fare per loro, anche se sono già morti. Il buon Dio, grazie alla nostra penitenza e alle nostre preghiere di oggi o di domani, potrebbe aver già concesso a questi morti la grazia di essersi riconciliati con Lui almeno qualche istante prima di morire.
Faccio un esempio. Io ho entrambi i nonni che sono morti senza sacramenti. Persone che non andavano a Messa, che non seguivano i precetti della Chiesa, ecc. E' difficile pensare che si siano salvati. Eppure sono sicuro che sarebbe bastato loro (in via straordinaria) chiedere perdono a Dio prima di morire per evitare la dannazione. Ebbene se hanno chiesto aiuto è perchè lo Spirito Santo ha fatto loro questa grazia. Ecco questa grazia potrebbe essere il frutto delle preghiere che noi possiamo dire oggi. Dio già sapeva da tutta l'eternità che le avremmo dette. Il mio nonno paterno è morto nel 1981. Non l'ho mai conosciuto. Se io oggi prego Dio perchè conceda a mio nonno di convertirsi e salvarsi perché Dio non dovrebbe ascoltarmi? Il fatto che mio nonno sia già morto non conta, perchè Dio conosceva la mia preghiera da tutta l'eternità. Non so se mi sono spiegato.”

https://forum.termometropolitico.it/271369-2-novembre-o-3-novembre-se-il-2-e-domenica-commemorazione-dei-fedeli-defunti.html (https://forum.termometropolitico.it/271369-2-novembre-o-3-novembre-se-il-2-e-domenica-commemorazione-dei-fedeli-defunti.html)
2 novembre (o 3 novembre, se il 2 è domenica) - Commemorazione dei fedeli defunti (https://forum.termometropolitico.it/271369-2-novembre-o-3-novembre-se-il-2-e-domenica-commemorazione-dei-fedeli-defunti.html)








Luca, [I]Sursum Corda!

Holuxar
07-11-18, 02:49
2 NOVEMBRE 2018: COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI…



«2 NOVEMBRE COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI.»
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 2 novembre. Commemorazione dei defunti (http://www.unavoce-ve.it/pg-2nov.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-2nov.htm




https://www.agerecontra.it/2017/11/santorale-del-mese-di-novembre/
"A cura di Padre Romualdo Maria Lafitte O.S.B.
Pregare per le anime del Purgatorio e chiedere le Grazie in questo mese importante per le anime dei defunti, che tanto possono ricevere da noi e tanto possono intercedere per noi."
https://www.agerecontra.it/2018/11/indulgenze-per-i-defunti-2/




SANTE MESSE per i defunti celebrate da Don Floriano Abrahamowicz alla "Domus Marcel Lefebvre" di Paese (TV) dalle ore 18.30 il giorno 2 NOVEMBRE 2018:


«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
"Comm. di tutti i fedeli defunti (Sante Messe)"
https://www.youtube.com/watch?v=OWkdw8y7WGM
Ognissanti (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=0trr3eCI4GM
Ognissanti (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=hQ6zag9y9Oo
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»




SANTE MESSE ed omelie dei Sacerdoti dell’ “Istituto Mater Boni Consilii” (I.M.B.C.):


"Sante Messe - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11)”


Indulgenze per i defunti - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/indulgenze-per-i-defunti/)
http://www.sodalitium.biz/indulgenze-per-i-defunti/
«INDULGENZE PER I DEFUNTI
condizioni per l’Indulgenza Plenaria [abbreviazione: CC]
1 – Adempiere l’opera prescritta, con l’intenzione (almeno abituale e generale) di guadagnare l’indulgenza.
2 – Confessione (anche nella settimana che precede o segue l’opera prescritta) e comunione (la vigilia o la settimana che segue l’opera prescritta).
3 – Visita, se richiesta, di una Chiesa o Oratorio pubblico; si può fare dal mezzogiorno del giorno precedente.
4 – Pregare in qualunque modo, secondo le intenzioni dei SS. Pontefici, cioè:
Esaltazione della Fede;
Estirpazione delle eresie;
Conversione dei peccatori
Pace tra i principi cristiani
5 – Essere in stato di grazia.

I – Tutto l’anno
1 – Requiem æternam… : 300 giorni o.v. (ogni volta)
2 – Pie Jesu Domine, dona eis requiem sempiternam: 300 giorni o.v.
3 – Mattutino e Lodi dell’Ufficio dei Morti: 7 anni, Plenaria se durante un mese. CC
4 – Un Notturno e Lodi dell’Ufficio dei Morti: 5 anni, Plenaria se durante un mese. CC
5 – Vespro dell’Ufficio dei Morti anni: 5 anni.
6 – De profundis: 3 anni [5 durante il mese di Novembre], Plenaria se durante un mese. CC
7 – Pater- Ave- Requiem: 3 anni, Plenaria se durante un mese. CC
8 – Miserere: 3 anni, Plenaria se durante un mese. CC
9 – Dies Iræ: 3 anni, Plenaria se durante un mese. CC
10 – Visita di un cimitero, con qualunque orazione, anche mentale, per i defunti: 7 anni.
11 – Recita di qualunque orazione o esercizio di pietà per i defunti con l’intenzione di proseguire durante 7 o 9 giorni successivi: 3 anni, 1 volta al giorno. Plenaria se durante 7 o 9 giorni successivi alle consuete condizioni.


II – Mese di novembre
Qualunque orazione o esercizio di pietà in suffragio dei defunti: 3 anni, 1 volta al giorno. Plenaria se ogni giorno del mese, alle consuete condizioni.
III – Durante l’Ottava della Commemorazione dei defunti
(dal 2 al 9 Novembre), Indulgenza Plenaria per la visita a un cimitero con un’orazione qualunque, anche mentale, per i defunti. Una volta al giorno alle consuete condizioni.
IV – Il 2 novembre e la Domenica successiva
(dunque nell’Ottava) Indulgenza Plenaria per la visita di una chiesa o oratorio pubblico recitando 6 Pater-Ave-Gloria. Ogni volta.

V – Per i fedeli che hanno fatto l’Atto eroico di carità per le
anime del Purgatorio
_57-14
Indulgenza Plenaria, alle consuete condizioni:
– tutto l’anno ad ogni comunione fatta in una chiesa o oratorio
pubblico.
– ogni lunedì – e, se non si può, la domenica successiva – nell’assistere ad una Messa per le anime del Purgatorio.
Per i sacerdoti che hanno fatto l’Atto eroico di carità, altare privilegiato.

Note
CC = Consuete condizioni o.v. = ogni volta
Tratto da: Enchiridion indulgentiarum, Poliglotte Vaticane 1950.»


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-7-1-188x300.jpg

http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-7-1-188x300.jpg


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-14-177x300.jpg


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/57-14-177x300.jpg







https://tradidiaccepi.blogspot.com/


https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45180254_1589896774444972_9034457208850481152_n.jp g?_nc_cat=107&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=ab1410ad2d9fec8df181c88279f19b93&oe=5C84F88F


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45180254_1589896774444972_9034457208850481152_n.jp g?_nc_cat=107&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=ab1410ad2d9fec8df181c88279f19b93&oe=5C84F88F



“MESE DI NOVEMBRE: MESE DEDICATO SPECIALMENTE ALLA COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.
In questo mese di Novembre, mediteremo con l'ausilio del libro "Chi morrà, vedrà... Il Purgatorio e il Paradiso" (Napoli, agosto 1959) di don Dolindo Ruotolo, che fu sacerdote napoletano, morto in odore di santità, strenuo difensore della dottrina cattolica contro gli errori del modernismo ed autore di diversi testi esegetici e pastorali.”


«MESSA PER TUTTI I FEDELI DEFUNTI E ABSOLUTIO SUPER TUMULUM
Paramenti neri.
"Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all'altare del Signore" (S. Agostino, Confessioni, IX, 11. 27). Con questa parole santa Monica lasciava questa valle di lacrime, affidando la sua anima ai suffragi della Chiesa. E la piissima Madre Chiesa non dimentica alcuna delle anime dei suoi fedeli che si purificano nelle fiamme del Purgatorio, e oltre a ricordarle quotidianamente nel Canone - “Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve, che ci hanno preceduto col segno della fede e dormono il sonno di pace. Ad essi, o Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo, noi ti supplichiamo di concedere, benigno, il luogo del refrigerio, della luce e della pace” - pone nelle mani dei suoi Sacerdoti specifici formulari di Messe per i defunti. I paramenti sono neri, colore che esprime la mestizia che avvolge il momento tremendo e solenne della morte, ma nondimeno la speranza anima la liturgia, la speranza che ai morti venga concessa la beatitudine del Paradiso.
https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/11/messa-per-tutti-i-defunti.html?m=1
• Terminata la Santa Messa per tutti i fedeli defunti, segue l'Absolutio super tumulum.»
https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/11/absolutio-super-tumulum.html?m=1
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45304336_1591351104299539_4055688032215367680_n.jp g?_nc_cat=111&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=821c4379b5e62b287b484ed02a711e3b&oe=5C81A6EC


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45304336_1591351104299539_4055688032215367680_n.jp g?_nc_cat=111&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=821c4379b5e62b287b484ed02a711e3b&oe=5C81A6EC


"Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace.
✠ Amen.

L'eterno riposo dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la luce perpetua.
Riposino in pace.
✠ Amen."
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45206445_1589656294469020_515152971781111808_n.jpg ?_nc_cat=107&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=8fed9e2768d543d56e40b50b81d34f55&oe=5C88745B


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45206445_1589656294469020_515152971781111808_n.jpg ?_nc_cat=107&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=8fed9e2768d543d56e40b50b81d34f55&oe=5C88745B


"Ego sum * resurréctio et vita: qui credit in me, étiam si mórtuus fúerit, vivet; et omnis qui vivit et credit in me, non moriétur in ætérnum.
Io sono * la resurrezione e la vita: chi crede in me, benché morto, vivrà, e chi vive e crede in me, non morrà in eterno."
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45238230_1589656357802347_6931536526606073856_n.jp g?_nc_cat=103&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=40ba672b8931cce5898c46c6281ead54&oe=5C410CE3


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45238230_1589656357802347_6931536526606073856_n.jp g?_nc_cat=103&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=40ba672b8931cce5898c46c6281ead54&oe=5C410CE3


"CATECHISMO MAGGIORE DI SAN PIO X
Della commemorazione de’ fedeli defunti.
212 D. Perché dopo la festa di tutti i Santi si fa dalla Chiesa la commemorazione di tutti i fedeli defunti?
R. Dopo la festa di tutti i Santi si fa dalla Chiesa la commemorazione di tutti i fedeli defunti che sono in Purgatorio, perché è conveniente che la Chiesa militante, dopo avere onorato e invocato con una festa generale e solenne, il patrocinio della Chiesa trionfante, venga in soccorso della Chiesa purgante con un generale e solenne suffragio.
213 D. Come possiamo noi suffragare le anime dei fedeli defunti?
R. Noi possiamo suffragare le anime dei fedeli defunti colle preghiere, colle limosine e con tutte le altre buone opere, ma sopratutto col santo sacrifizio della Messa.
214 D. Per quali anime dobbiamo noi nella commemorazione de’ fedeli defunti applicare i nostri suffragi, secondo la mente della Chiesa?
R. Nella commemorazione di tutti i fedeli defunti noi dobbiamo applicare i nostri suffragi, non solamente per le anime de’ nostri parenti, amici e benefattori, ma anche per tutte le altre che si trovano nel Purgatorio.
215 D. Qual frutto dobbiamo noi ricavare dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti?
R. Dalla commemorazione di tutti i fedeli defunti dobbiamo ricavare questo frutto:
1. pensare che anche noi dovremo morir presto, e presentarci al tribunale di Dio per rendergli conto di tutta la nostra vita;
2. concepire un grande orrore al peccato, considerando quanto rigorosamente Iddio lo punisca nell’altra vita, e soddisfare in questa alla sua giustizia colle opere di penitenza per i peccati commessi."
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45256740_1589666744467975_578571166088691712_n.jpg ?_nc_cat=104&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=042e43d97b08a87a5db48db2619e7bb6&oe=5C70187A


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45256740_1589666744467975_578571166088691712_n.jpg ?_nc_cat=104&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=042e43d97b08a87a5db48db2619e7bb6&oe=5C70187A


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45208164_1589790921122224_6897359732370046976_n.jp g?_nc_cat=111&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=a679d7d19cf4f8ec0000e8093601ea8e&oe=5C79644C


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45208164_1589790921122224_6897359732370046976_n.jp g?_nc_cat=111&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=a679d7d19cf4f8ec0000e8093601ea8e&oe=5C79644C







Siria cristiana: la ricostruzione dopo i lutti - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/siria-cristiana-la-ricostruzione-dopo-i-lutti/)
“Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 83/18 del 2 novembre 2018, Commemorazione dei Defunti.”







http://www.sursumcorda.cloud/
https://www.sursumcorda.cloud/sostienici/libri.html
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/
«Carlo Di Pietro - Sursum Corda.»
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45400800_1940525042650562_235833458767691776_n.jpg ?_nc_cat=105&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=0a644cb76e97cd7a99e2e477772f8bdb&oe=5C7FF7D9


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45400800_1940525042650562_235833458767691776_n.jpg ?_nc_cat=105&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=0a644cb76e97cd7a99e2e477772f8bdb&oe=5C7FF7D9


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45412832_1940530482650018_4991283178032332800_n.jp g?_nc_cat=108&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=e625db2d063c9bb4db045f3d10456899&oe=5C7A3580


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45412832_1940530482650018_4991283178032332800_n.jp g?_nc_cat=108&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=e625db2d063c9bb4db045f3d10456899&oe=5C7A3580







«Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org/ e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com/
https://www.facebook.com/radiospadasocial/ »


"2 NOVEMBRE 2018: COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (prima parte)."
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45314988_2369894066373582_516266399102926848_n.jpg ?_nc_cat=110&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=7db1cf8aea3b1a8b1ae1ee228a647ab2&oe=5C3DBF19


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45314988_2369894066373582_516266399102926848_n.jpg ?_nc_cat=110&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=7db1cf8aea3b1a8b1ae1ee228a647ab2&oe=5C3DBF19


2 novembre 2018 (seconda parte)
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45257889_2370452522984403_5247473493292875776_n.jp g?_nc_cat=101&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=6cef9ce9914cd1eabf06f5f639b3cf05&oe=5C89F8A3


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/45257889_2370452522984403_5247473493292875776_n.jp g?_nc_cat=101&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=6cef9ce9914cd1eabf06f5f639b3cf05&oe=5C89F8A3


“Il 2 novembre 676 Papa Dono viene esaltato al Sommo Pontificato.”

“Il 2 novembre 1389 Papa Bonifacio IX Tomacelli viene esaltato al Sommo Pontificato.”


Normativa generale e per il mese di Novembre | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2014/11/indulgenze-per-i-defunti-normativa-generale-e-per-il-mese-di-novembre/)
https://i1.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/11/Purgatory-234x300.jpg?resize=522%2C669

[Immagini e riflessioni] Per le anime sante detenute nel carcere del Purgatorio | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2012/11/immagini-e-riflessioni-per-le-anime-sante-detenute-nel-carcere-del-purgatorio/)
"Novembre è tradizionalmente il mese dedicato alle care anime che ancora giacciono tra le fiamme purificatrici del Purgatorio. Vi è più che mai la necessità di diffondere la devozione del Purgatorio e di pregare e suffragare (tramite le indulgenze, le sante messe e le opere pie) le anime che sono lì detenute dopo il Giudizio particolare (possono esserci anche i nostri parenti e amici che sono già morti) affinché possano presto raggiungere la gioia eterna del Paradiso. Cosa fare dunque e come farlo? Parlare sempre del Purgatorio, diffondere buoni libri sull’argomento e, soprattutto, pregare! Pregare, lucrare il maggior numero di indulgenze nei giorni prescritti, offrire le proprie opere buone, qualche fioretto, qualche sofferenza per le anime purganti, recitare spesso il “De profundis”, fare celebrare tante Messe (Cattoliche) in suffragio dei defunti. Mai come oggi, in cui il Modernismo ha tentato di cancellare l’esistenza stessa di quel regno ultramondano, bisogna pregare per i fedeli defunti. Mai come oggi bisogna ricordare i Novissimi come ad esempio qui."
[IMMAGINI E RIFLESSIONI] Memento mori! Quando morirai? Come? Dove? | Radio Spada (http://radiospada.org/2012/11/01/immagini-e-riflessioni-memento-mori-quando-morirai-come-dove/)

https://www.radiospada.org/tag/anime-purganti/
[CHI MORRA?, VEDRA?] Il suffragio alle anime purganti | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/03/chi-morra-vedra-il-suffragio-alle-anime-purganti/)
[CHI MORRA?, VEDRA?] Le anime del Purgatorio ci proteggono | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/03/chi-morra-vedra-le-anime-del-purgatorio-ci-proteggono/)


https://www.radiospada.org/2018/11/re-midas-metafora-del-giudizio-di-dio/
https://www.radiospada.org/2018/11/lo-svilimento-della-morte-nei-riti-funebri-conciliari/
https://www.radiospada.org/2018/11/difunde-tu-fe-catolica-reina-del-bendito-purgatorio/








Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch)
http://liguesaintamedee.ch
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
2 novembre : La Commémoration des Fidèles Trépassés :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/2-novembre-la-commemoration-des-fideles-trepasses)
“2 novembre : La Commémoration des Fidèles Trépassés.”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/3815/4058/0166/11_02_fideles_trepasses.jpg


http://liguesaintamedee.ch/application/files/3815/4058/0166/11_02_fideles_trepasses.jpg




[I]Réquiem aetérnam dona eis, Dómine, et lux perpétua lúceat eis. Requiéscant in pace. Amen.
Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis!!!
Regina Sacratissimi Rosarii Ora Pro Nobis!!!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!