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Visualizza Versione Completa : 7 dicembre - S. Ambrogio, Vescovo e Dottore della Chiesa



Augustinus
07-12-03, 08:07
Il 7 dicembre la Chiesa celebra la memoria di S. Ambrogio di Milano, dottore della Chiesa. Nacque a Treviri intorno al 340 d.C. Compì i suoi studi giuridici a Roma e fu creato vescovo di Milano il 7 dicembre 374 (ecco il significato della data odierna). Fu intrepido difensore della fede contro l'arianesimo (ecco perchè compare, solitamente, con il flagello in mano). Aiutò e favorì la conversione di S. Agostino. Morì il sabato santo, il 4 aprile 397.
In suo onore apro questo thread.
Cordialmente

Augustinus

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Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=25500):

Sant' Ambrogio Vescovo e dottore della Chiesa

7 dicembre - Memoria

Treviri, Germania, c. 340 - Milano, 4 aprile 397

Di famiglia romana cristiana, governatore delle province del nord Italia, fu acclamato vescovo di Milano il 7 dicembre 374. Rappresenta la figura ideale del vescovo, pastore, liturgo e mistagogo. Le sue opere liturgiche, i commentari sulle Scritture, i trattati ascetico-morali restano memorabili documenti del magistero e dell'arte di governo. Guida riconosciuta nella Chiesa occidentale, in cui trasfonde anche la ricchezza della tradizione orientale, estese il suo influsso in tutto il mondo latino. In epoca di grandi traformazioni culturali e sociali, la sua figura si impose come simbolo di libertà e di pacificazione. Diede particolare risalto pastorale ai valori della verginità e del martirio. Autore di celebri testi liturgici, è considerato il padre della liturgia ambrosiana. (Mess. Rom.)

Patronato: Apicoltori, Vescovi, Lombardia, Milano e Vigevano

Etimologia: Ambrogio = immortale, dal greco

Emblema: Api, Bastone pastorale, Gabbiano, Flagello

Martirologio Romano: Memoria di sant’Ambrogio, vescovo di Milano e dottore della Chiesa, che si addormentò nel Signore il 4 aprile, ma è venerato in particolare in questo giorno, nel quale ricevette, ancora catecumeno, l’episcopato di questa celebre sede, mentre era prefetto della città. Vero pastore e maestro dei fedeli, fu pieno di carità verso tutti, difese strenuamente la libertà della Chiesa e la retta dottrina della fede contro l’arianesimo e istruì nella devozione il popolo con commentari e inni per il canto.
(4 aprile: A Milano, deposizione di sant’Ambrogio, vescovo, che, nel giorno del Sabato Santo andò incontro a Cristo vincitore della morte. La sua memoria si celebra il 7 dicembre nel giorno della sua ordinazione).

Martirologio tradizionale (7 dicembre): Sant'Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, il quale si riposò nel Signore il quattro Aprile, ma si festeggia specialmente in questo giorno, in cui assunse il governo della Chiesa di Milano.

(4 aprile): A Milano la deposizione di sant’Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, per il cui zelo, fra le altre opere meravigliose per dottrina e per miracoli, al tempo dell’eresia Ariana, quasi tutta l’Italia ritornò alla fede cattolica. La sua festa si celebra il sette Dicembre, giorno nel quale fu ordinato Vescovo di Milano.

La memoria di Sant'Ambrogio è obbligatoria per tutta la Chiesa, secondo il nuovo Calendario, ed è particolarmente solenne a Milano, che in questo giorno onora il suo grande Vescovo e amatissimo Patrono.
Ambrogio non era nato a Milano, ma a Treviri, nella Gallia, verso il 339. Era figlio di un funzionario romano in servizio al di là delle Alpi, e dopo la morte del padre la famiglia rientrò a Roma. Ambrogio studiò diritto e retorica, e intraprese la carriera giuridica.
Si trovava a Milano, quando il Vescovo morì, e da buon funzionario imperiale, cercò che fossero evitati quei disordini spesso provocati dalle tumultuose elezioni ecclesiastiche. Parlò con senno e fermezza nelle adunanze dei fedeli, perché tutto fosse fatto secondo coscienza e nel rispetto della libertà. Fu in seguito a questi suoi giudiziosi discorsi che dall'assemblea si alzò un grido: " Ambrogio Vescovo! ".
Ambrogio, che si trovava in quell'assemblea come funzionario imperiale, non era neppure battezzato, essendo soltanto catecumeno. Sorpreso e anche spaventato, proclamò dunque la sua indegnità; si professò peccatore, tentò perfino di fuggire. Tutto fu inutile.
Ricevette così il Battesimo, e, subito dopo, la consacrazione episcopale. " Tolto dai tribunali e dall'amministrazione pubblica - dirà il nuovo Vescovo - per passare all'episcopato, ho dovuto cominciare a insegnare quello che non avevo mai imparato ". Si diede perciò alla lettura dei Libri sacri, poi studiò i Padri della Chiesa e i Dottori, tra i quali sarebbe stato incluso anche lui, insieme con un giovane retore che, dopo dieci anni, egli stesso avrebbe battezzato: Agostino da Tagaste. L'opera di Ambrogio fu così vasta, profonda e importante, che difficilmente può essere riassunta. Basti dire che fu considerato quasi un secondo Papa, in un'epoca nella quale certo non mancarono alla Chiesa grandi figure di Vescovi.
Ma Sant'Ambrogio appariva più alto di tutti per la sua opera apostolica, benché fosse piccolo e delicato nel fisico quant'era grande nello spirito.
Egli, che veniva dalla carriera dei dignitari imperiali, sostenne dinanzi all'Imperatore, non solo i diritti della Chiesa, ma l'autorità dei suoi pastori. " Sono i Vescovi che devono giudicare i laici, e non il contrario " diceva, e tra i laici metteva, per primo, l'imperatore.
Un'altra massima dell'ex funzionario imperiale era questa: " L'Imperatore è nella Chiesa, non al disopra della Chiesa ". E le contingenze portarono Sant'Ambrogio ad applicare tale massima nei riguardi del grande e intollerante Imperatore Teodosio.
Quando Teodosio, in seguito all'uccisione del comandante del presidio di Tessalonica, fece trucidare - almeno così si disse - 7000 abitanti innocenti, il Vescovo non solo gli rimproverò il massacro, ma gl'impose una pubblica penitenza. Teodosio cercò di resistere. Infine cedé. Nuovo David, fece penitenza dall'ottobre al Natale.
L'iconografia ambrosiana si è compiaciuta di rappresentare Sant'Ambrogio che scaccia dalla soglia della cattedrale l'Imperatore pubblico peccatore: in realtà l'azione del Vescovo si svolse tramite lettere e intermediari, ma il gesto resta ugualmente significativo, per indicare che né corona né scettro esonerano l'uomo dalla legge morale, uguale per tutti, e di cui sono giudici autorevoli soltanto i ministri di Dio e i pastori di anime.

Fonte: Archivio Parrocchia

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http://www.wga.hu/art/s/subleyra/ambrose.jpg Pierre Subleyras (nato il 1699, Saint-Gilles-du-Gard; morto il 1749), S. Ambrogio assolve Teodosio, 1745, Galleria Nazionale, Perugia

http://img207.imageshack.us/img207/3848/ambrogioiq2.jpg http://utenti.romascuola.net/bramarte/romanico/img/arc1.jpg Basilica romanica di S. Ambrogio a Milano. La basilica di S. Ambrogio, regina del romanico lombardo,fu Innalzata nel 379 come "basilica Martyrum" sul sepolcro dei Santi Gervaso e Protasio, vi fu poi sepolto S. Ambrogio nel 397. Trasformata nei sec. IX-X fu ricostruita tra i sec. X-XII, e da allora si sono susseguiti interventi di completamento e di ristrutturazione (nel IX sec. l'abside e tra il X e il XII le navate, mentre l'atrio è del 1150) sino all'aspetto attuale. Sul portale sinistro un rilievo preromanico raffigura S. Ambrogio. L'interno, a tre navate divise da pilastri e coperte da ampie volte a crociera, contiene varie opere d'arte; Al centro del presbiterio, su quattro colonne di porfido di età romana, si trova il ciborio, ornato nel baldacchino di stucchi policromi (sec. X), sormonta l'altare d'Oro un'opera d'oreficeria di età carolingia in lamine d'oro e argento che, lavorate a cesello, raffigurano storie di Cristo e di S. Ambrogio,; nell'abside un coro ligneo intagliato con forme gotiche (1469-1471), nella cripta l'urna argentea (1897) con i corpi dei Santi Ambrogio, Gervaso e Protasio. Il Museo raccoglie, nelle sei sale, preziosi cimeli della storia della basilica: oreficerie, tessuti, arazzi, marmi e dipinti. Colpisce subito la grandezza del quadriportico, pari a quella della chiesa

http://img99.exs.cx/img99/8438/d2p29929.jpg Mattia Preti (attr.), Il Battesimo di S. Agostino da parte di S. Ambrogio, Museo Nazionale dell'Abruzzo, L'Aquila

Augustinus
07-12-03, 08:21
http://www.wga.hu/art/b/bergogno/ambrose.jpg Ambrogio Bergognone, S. Ambrogio con Santi, 1514, Certosa, Pavia

http://www.wga.hu/art/m/master/xunk_it/xunk_it3/ma_child.jpg Maestro sconosciuto italiano, Madonna con Bambino, Santi e donatori, 1496, Pinacoteca di Brera, Milano (S. Ambrogio è il primo vescovo a destra, riconoscibile dal frustino che ha in mano. Gli altri santi, a seguire, sono S. Agostino, Girolamo e Giovanni Crisostomo. I donatori in ginocchio sono Ludovico il Moro, duca di Milano, sua moglie Beatrice d'Este, ed i loro bambini, Ercole Massimiliano e Francesco)

http://www.wga.hu/art/v/vivarini/alvise/ambrose.jpg Alvise Vivarini, Il trionfo di S. Ambrogio con Santi, 1503, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia. Tra i santi è possibile riconoscere, a destra, S. Giovanni Battista, S. Sebastiano, S. Luigi IX; a sinistra, S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Girolamo

http://www.wga.hu/art/v/vivarini/bartolom/ambrose.jpg Alvise Vivarini, Polittico di S. Ambrogio con Santi, 1477, Gallerie dell'Accademia, Venezia. I santi sono, a destra di S. Ambrogio in trono: S. Luigi IX e S. Pietro; a sinistra, S. Paolo e S. Giorgio

http://goya.unizar.es/InfoGoya/Obrasjpg/Pintura/35.jpg Francisco Goya, I Padri della Chiesa: S. Ambrogio, 1772-1782, Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista, Remolinos, Saragozza, Spagna

http://goya.unizar.es/InfoGoya/Obrasjpg/Pintura/31.jpg Francisco Goya, I Padri della Chiesa: S. Ambrogio, 1772, Santuario della Vergine della Fuente , Muel, Saragozza, Spagna

http://goya.unizar.es/InfoGoya/Obrasjpg/Pintura/310.jpg Francisco Goya, I Padri della Chiesa: S. Ambrogio, 1796-1799, Museum of Art, Cleveland, USA

Augustinus
07-12-03, 08:43
Relazione di Giovanni Vianini direttore della Schola Gregoriana Mediolanensis sul canto Ambrosiano

1 - SANT'AMBROGIO IL SUO INVENTORE E INIZIATORE

Per togliere a questo argomento ogni astrazione, diciamo che non si può parlare di canto ambrosiano senza accennare, sia pur brevemente, a Sant'Ambrogio. Questa figura, infatti, è talmente importante per la storia della chiesa e per il canto che porta il suo nome da non permettere di essere trascurata o sottintesa.

Ambrogio nacque nel 340 d.C. a Treviri, importante città dell'impero romano, oggi in Germania, figlio di un funzionario romano, rimase presto orfano di madre e di lui e del fratello Satiro, poi santificato, si occupò la sorella Marcellina. Fu educato a Roma, divenne avvocato e governatore della Liguria - Emilia con sede a Milano. In quel momento la città e l'intera regione era dilaniata dalla lotta con gli ariani, seguaci di una delle eresie più significative del secolo. Ario nega la divinità di Cristo, la sua consustanzialità con il Padre, quindi il valore della redenzione.

Ambrogio, dice la tradizione, giunto a placare gli animi infervorati dei cittadini, sentì la voce di un bambino che proponeva di eleggerlo Vescovo. Era il 374 d.C. ed Ambrogio si trovava nella condizione di catecumeno, quindi non era neppure battezzato. Questo fatto non ci deve stupire, sia perché spesso i Vescovi erano eletti dai cittadini, dato che li rappresentavano e svolgevano compiti di amministratori civici, sia perché il battesimo era spesso concesso dopo un lunghissimo catecumenato, in età non più giovanissima. Ambrogio, sempre seguendo il racconto tradizionale, rappresentato anche nelle formelle dell'altare d'oro di Volvinio nella chiesa a lui dedicata a Milano, scappò, vagò per tutta la notte per sfuggire dalla città, ma misteriosamente si ritrovò all'alba alle porte di Milano e capì che questo era il suo compito.

Ricevette il battesimo, l'ordine, offrì i suoi beni alla chiesa, iniziò una vita di apostolato, fu ammirato da tutti, perché fondeva la speculazione filosofica greca con l'equilibrio romano, fu legislatore, consigliere di vescovi ed imperatori, difensore del papato e dell'ortodossia, scrisse importanti trattati, opere di esegesi e fu l'iniziatore del canto che porta il suo nome. Siamo certi di questa informazione? Perché il canto per la chiesa, che solo dal 313 - editto di Costantino - poteva esprimersi liberamente, era così importante?

2 - L'AFFERMAZIONE DEL CANTO AMBROSIANO

Già San Paolo citava: " In gratia cantantes in cordibus vestris Deo" - cantando a Dio nei vostri cuori in grazia - (Efesini, 5,18 - 20 ) perché la parola di Dio è sacra, il canto preghiera.

Il canto con il fascino della sua arte valorizzava la parola di Dio, le voci rappresentavano la comunità in preghiera.
Dal tempo di Paolo, morto nel 68 d.C. durante la persecuzione neroniana, ad Ambrogio erano passati più di tre secoli e non è possibile, visto quanto detto prima, che non si fossero sviluppate altre forme di canto; si svilupparono infatti in oriente (bizantino - siriaco - armeno - copto - etiopico) sia in occidente (romano - aquileiese - beneventano - slavo - celtico - gallicano - mozarabico) ognuno di questi usava categorie estetiche loro proprie.
Perché però il canto ambrosiano si mantenne così a lungo? Perché era un fattore tipico ed inseparabile del rito stesso, fu quindi il rito ambrosiano a mantenere vivo il canto ambrosiano e queste due realtà furono sempre parallele e complementari.
Probabilmente quindi Ambrogio non inventò del tutto il canto liturgico, ma gli fece compiere un notevole salto qualitativo, soprattutto verso tre direzioni: l'introduzione dell'innodia - il canto antifonato - il canto responsoriale.

Dopo di lui infatti queste novità si diffusero in tutta Europa, ce lo testimoniano Sant'Agostino nel nono libro delle Confessioni e Paolino, segretario di Ambrogio, nel tredicesimo capitolo sulla vita del santo.
Dei tredici inni attribuiti ad Ambrogio, quattro sono certamente suoi (Aeterne rerum conditor - Deus creator omnium - Jam surgit hora tertia - Intende qui regis Israel) e nove sono quasi certamente autentici per la loro identità strutturale e stilistica.
Nei suoi inni Ambrogio dimostra grande abilità lessicale, uno stile attento alla prosodia classica, ma anche grande sensibilità ritmica. Gli inni hanno forma strofica, con versi isosillabici (uguali numero di sillabe) ed omotonici (gli accenti tonici sempre nella stessa posizione), i moderni musicologi attribuiscono anche la musica ad Ambrogio, infatti, anticamente il compositore di un testo poetico componeva anche la musica con cui era proposto, perché l'essere musico e poeta coincidevano, Ambrogio, inoltre nei suoi scritti parla di musica con estrema competenza, cita la scala musicale completa e si riferisce all'arte della musica in ogni sua opera. Potrebbe essere definito il primo "cantautore ", perché con il canto degli inni introdusse nella controversia religiosa contro Ario, allora in atto, un elemento decisivo di larga presa su vasti strati dell'opinione pubblica.
Questo fatto fu constatabile proprio nel 386 quando Sant'Ambrogio si rifiutò di consegnare agli ariani le chiese milanesi, disobbedendo all'imperatrice Giustina, che gliel'aveva imposto, ma non solo, con tutto il popolò occupò la basilica Porziana e mentre le milizie imperiali cingevano d'assedio la chiesa, Ambrogio all'interno, insegnava alla folla dei fedeli gli inni da lui composti, facendo nascere così il canto popolare occidentale. Dopo di lui, due grandi vescovi milanesi, Eusebio e Lorenzo, composero inni e fecero trascrivere quelli di Ambrogio.

3 - IL CANTO AMBROSIANO DAL V° SECOLO FINO AL 1400

Dal quinto secolo, Milano conobbe incredibili invasioni barbariche, fu distrutta dai Goti, occupata dai Longobardi, che finalmente alla fine del settimo secolo, si convertirono e favorirono la ripresa religiosa a Milano, ma la convivenza con i Franchi, a loro subentrati, non fu certo facile ed i milanesi si schierarono non direttamente in difesa della loro terra, perché non esistevano per motivi storici ideali nazionalistici in cui identificarsi, ma nella difesa del loro rito e del loro canto, in cui vedevano la propria sopravvivenza spirituale.

Nella testimonianza di un anonimo poeta milanese nel "versum de Mediolano civitate" viene mostrato come motivo di orgoglio che i salmi erano cantati con opportuni moduli al suono dell'organo.
Pochi sono i codici che sono arrivati a noi, Carlomagno con l'intento di favorire l'unità liturgica fece distruggere i codici di canto ambrosiano.

Nel secolo nono, Milano vide ben due officine librarie, una arcivescovile e l'altra presso il Monastero di Sant'Ambrogio, che producevano cultura finalizzata al rinnovamento liturgico. Fra i codici a noi rimasti citiamo il Trotti, perché contiene frammenti di notazione ambrosiana, mentre tra il codice di Busto Arsizio e il codice A28 dell'Ambrosiana, che pure furono redatti a trent'anni di distanza, troviamo nel primo una stesura retrospettiva e nel secondo una innovativa con ritocchi ed aggiornamenti.

Perché però l'attività musicale di San Gallo e Rouen nello stesso periodo era più famosa?

Perché Milano era sempre legata al suo rito, quindi aveva un raggio d'azione limitato, mentre la liturgia romana con il suo Canto Gregoriano ebbe maggior estensione ed esecuzione. Anche a Milano dal decimo secolo troviamo influssi del Canto Gregoriano, che però venne assimilato "more Ambrosiano", cioè secondo i parametri con cui la città aveva da secoli accompagnato la liturgia. Se abbiamo poche testimonianze, lo dobbiamo al fatto che si preferiva imprimere il canto nella memoria dei cantori, accennando sui codici solo i punti difficili o controversi.

Il Vescovo Ariberto da Intimiano, ben noto come difensore della città nell'undicesimo secolo, volle la creazione di una "Schola puerorum" condotta da musici competenti e da lui personalmente sovvenzionata, per mantenere il canto liturgico ambrosiano ad un buon livello esecutivo. Dicono i documenti che presenziasse alle lezioni ed intervenisse con opportuni consigli.

Dal dodicesimo secolo la tradizione del Canto Ambrosiano è testimoniata in parecchi manoscritti e qui l'elenco dei notatori (il primo fu Magister Cesarinus, nella prima metà del tredicesimo secolo) è molto lungo e forse conviene trascurarlo, perché interessa soprattutto la paleografia musicale.

Tra i più importanti codici consultati dal Benedettino Don Gregorio Suñol per le pubblicazioni dell'Antifonale (1935) e del Vesperale (1939) sono due volumi scritti dal Prete Fatius DeCastoldis nel 1387/88 per la Chiesa di Vendrogno (Lecco).

4 - IL CANTO AMBROSIANO DAL 1400 FINO AD OGGI

Verso la fine del quattrocento inizia la decadenza del canto ambrosiano, sia per la tradizione grafica, sia per quella esecutiva.
Citiamo comunque Giovanni da Olmutz, che scrisse "Palma choralis" la prima grammatica di canto ambrosiano nel 1405.
Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo, nel 1500, nella "Pratica musicae" fornisce interessanti notizie sul canto Ambrosiano (assenza della cadenza mediana nel canto dei Salmi, il modo di cantare l'Alleluja, l'uso dei bemolli e dei bequadri).
Camillo Perego nel 1574, durante il tempo di San Carlo Borromeo, scrisse "Regola del canto fermo ambrosiano", che fu pubblicata solo nel 1622. Questa è anche l'epoca nella quale prima della nomina a Parroco si chiedeva al candidato di sostenere un esame sul "canto fermo ambrosiano".

Fino all'inizio del diciannovesimo secolo il Canto Ambrosiano ebbe un periodo di oscura decadenza, anche se in Duomo e in altri centri importanti fu sempre praticato.

Mons. Guerrino Amelli, pioniere della riforma della musica sacra in Italia, si interessò molto al canto ambrosiano, ma fu il Canonico del Duomo di Milano Mons. Emilio Garbagnati ad utilizzare criteri storico-paleografici per restaurare il canto gregoriano ed ambrosiano, come facevano contemporaneamente i monaci di Solesmes.

Agli inizi del ventesimo secolo si ricordano tra gli studiosi Don Ascanio Andreoni, Mons. Luigi Mambretti, Mons. Magistretti, Prof. Giulio Bas, autori di due grammatiche del Canto Ambrosiano e , per le sue importanti pubblicazioni - antifonale e vesperale ambrosiano - il monaco Dom Gregorio Maria Suñol.

Ai nostri giorni, il Canto Ambrosiano torna ad essere preso in considerazione perché un così grande patrimonio di arte e di fede non può essere dimenticato.

Qual è la caratteristica fondamentale del Canto Ambrosiano e la sua specificità rispetto al canto gregoriano?

Il Canto Ambrosiano è più arcaico, perché, la risposta è sempre la stessa, ancorato alla sua liturgia, non fu coinvolto nell'opera di rinnovamento e rimaneggiamento di cui fu oggetto il Canto Gregoriano dal nono secolo.
Così il Canto Ambrosiano salvò la purezza delle sue matrici originarie e le sue istanze modali, quindi lo studio del Canto Ambrosiano porta alle soglie del linguaggio musicale occidentale e rivela così il patrimonio a noi lasciato da due millenni da uomini che hanno proposto un modo, una strada, un sistema con cui una comunità si possa rivolgere a Dio in preghiera.

Fonte: GUIDE DI SUPEREVA (http://guide.supereva.it/religione_cattolica/interventi/2001/08/61790.shtml)

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Augustinus
07-12-03, 08:47
(Lett. 2, 1-2. 4-5, in PL 16, 847-881)

Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbare il suo corso. Il mare è davvero grande, sconfinato; ma non aver paura, perché «è lui che l’ha fondata sui mari, e sui fiumi l’ha stabilita« » (Sal 23, 2).

Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l’infuriare del mare in tempesta. E’ battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è affaticato. Se tuttavia essa è sbattuta dai flutti sul mare, pure sui fiumi corre, su quei fiumi soprattutto di cui è detto: «Alzano i fiumi la loro voce» (Sal 92,3). Vi sono infatti fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi, quando ridondano di grazia spirituale, alzano la loro voce.

Vi è poi un fiume che si riversa sui suoi santi come un torrente. Chiunque abbia ricevuto dalla pienezza di questo fiume, come l’evangelista Giovanni, come Pietro e Paolo, alza la sua voce; e come gli apostoli hanno diffuso la voce della predicazione evangelica con festoso annunzio sino ai confini della terra, così anche questo fiume incomincia ad annunziare il Signore. Ricevilo dunque da Cristo, perché anche la tua voce si faccia sentire.

Raccogli l’acqua di Cristo, quell’acqua che loda il Signore. Raccogli da più luoghi l’acqua che lasciano cadere le nubi dei profeti. Chi raccoglie acqua dalle montagne e la convoglia verso di sé, o attinge alle sorgenti, lui pure come le nubi la riversa su altri. Riempine dunque il fondo della tua anima, perché il tuo terreno sia innaffiato e irrigato da proprie sorgenti. Si riempie chi legge molto e penetra il senso di ciò che legge; e chi si è riempito può irrigare altri. La Scrittura dice: «Se le nubi sono piene di acqua, la rovesciano sopra la terra» (Qo 11,3).

I tuoi sermoni siano fluenti, puri, cristallini, si che il tuo insegnamento morale suoni dolce alle orecchie della gente e la grazia delle tue parole conquisti gli ascoltatori, perché ti seguano docilmente dove tu li conduci. Il tuo dire sia pieno di sapienza. Anche Salomone afferma: Le labbra del sapiente sono le armi della Sapienza (cfr. Prv 15, 7), e altrove: Le tue labbra siano ben aderenti all’idea: vale a dire, l’esposizione dei tuoi discorsi sia lucida, splenda chiaro il senso senza bisogno di spiegazioni aggiunte; il tuo discorso si sappia sostenere e difendere da se stesso e non esca da te parola vana o priva di senso.

Augustinus
07-12-03, 11:41
Nell’agosto del 390 un fantino dei giochi circensi di Salonicco fu imprigionato per comportamento immorale. Una legge di Graziano dell’8 maggio 381 (Cod. Theod. XV 7,7) faceva divieto al prefetto dell’urbe di punire gli agitatores, ossia gli aurighi che conducevano i cavalli forniti dall’imperatore o dai magistrati, per evitare disordini pubblici. Infatti, per liberare il suo idolo la folla inferocita prese a sassate Bauterico, capo del servizio d’ordine cittadino e, dopo averlo ucciso, ne trascinò il cadavere per le vie della città. Teodosio fu molto impressionato da tale sommossa e dall’ostilità che si era evidenziata contro le truppe barbariche a guardia della città e accondiscese a dare una dimostrazione di potere agli abitanti. La rappresaglia gli sfuggì però di mano, perché le truppe pensarono di saldare il conto accumulato in anni di intolleranza dei greci nei loro confronti e fecero una vera strage, che neppure l’imperatore sgomento fu più in grado di fermare. Il contrordine dell'imperatore, infatti, arrivò troppo tardi.

L’evento colpì molto l’opinione pubblica per la sproporzione della punizione e per l’assenso del pio imperatore nel compierla. Ne esistono diverse versioni.
Rufino d’Aquileia ambienta (probabilmente in maniera poco credibile) la strage nel circo, dove gli spettatori sarebbero rimasti bloccati e trucidati dalle truppe. Teodoreto fornisce la cifra dei morti: circa settemila, saliti già a quindicimila con Giovanni Malala.

Come scrisse nell’omelia funebre Ambrogio, Teodosio aveva compiuto quella scelta “quasi a sua insaputa, ingannato da altri”, probabilmente fidandosi del suo stato maggiore che gli aveva proposto una rappresaglia su un numero limitato di persone, ma poi aveva perso il controllo.

Ambrogio si dovette in questa circostanza far interprete dell'umanità tutta, e, non potendo ammettere che la comunità ecclesiale assolvesse un simile comportamento dell'imperatore, e nello stesso tempo non volendo assumere un atteggiamento troppo rigido, decise di non intervenire pubblicamente, ma di lasciare la città per evitare di incontrarlo al suo rientro.
Non solo. Gli fece pervenire una una importante e riservatissima lettera, con cui lo voleva preparare all'inevitabile richiamo, invitandolo a far penitenza. In tale lettera Ambrogio dispiega le sue grandi doti di mediatore, di abilissimo politico, rivelandosi innanzitutto animato da una grande sensibilità pastorale nei confronti dell'imperatore stesso.
Tale missiva restò fuori collezione, e dunque fu conosciuta solo nel IX sec. e fu divulgata nell’860 da Icmaro di Reims.

Teodosio si sottopose (probabilmente senza fatica) alla penitenza pubblica, depose le insegne regali e “pianse pubblicamente nella Chiesa il suo peccato... e con lamenti e lacrime invocò il perdono”, ci informa Ambrogio, mentre Agostino ricorda: “Fece penitenza con tale impegno che il popolo in preghiera per lui ebbe più dolore nel vedere umiliata la maestà dell’imperatore che timore nel saperla sdegnata per la loro colpa” (La città di Dio).

Teodoreto di Ciro, vescovo e storico bizantino del V secolo, presentò l'episodio con evidenti forzature a tutto favore di Ambrogio, mentre per una corretta interpretazione e valutazione storica della vicenda occorre rifarsi agli stessi scritti di Ambrogio.

Nella versione di Teodoreto, Teodosio appare quale umile servitore di Dio: “Quando l’imperatore venne a Milano e come di consueto volle entrare nel tempio sacro, (Ambrogio) fattoglisi incontro dinanzi all’ingresso non gli permise di accedere all’atrio del tempio...
- Vattene da qui e non voler aggiungere nuova iniquità a quella che hai commesso, ma accetta le catene della penitenza.
Teodosio accetta una durissima penitenza.
E con le mani si strappava i capelli e si percuoteva il volto, e con le lacrime che versava inzuppava la terra, supplicando di ottenere il perdono”.

Il vescovo bizantino scriveva mezzo secolo dopo questi eventi e doveva difendersi da Teodosio II, per cui non fece che proiettare i suoi desideri di rivalsa su personaggi del passato coi quali s’identificava.

Ambrogio chiese, in realtà, all'imperatore, come a un qualunque fedele incorso in un grave peccato, il pentimento e la penitenza. La lettera di cui abbiamo detto costituì indubbiamente un primo passo del vescovo, nell'indicare al penitente la via da seguire: non avveniva sempre in questo modo, ma data la posizione del penitente in questa occasione, si comprende bene la delicatezza e la cautela con cui il vescovo agì. Tuttavia, anche in questa vicenda, egli diede prova di straordinaria coerenza, esigendo l'atto di sottomissione dell'imperatore alla chiesa in campo spirituale, e riservandosi con fermezza il diritto di esprimere quei giudizi morali, che il suo ministero gli imponeva, a tutti i membri della sua chiesa, anche se si trattava di un "cristianissimo imperatore". Un evento come la pubblica penitenza di un imperatore è del tutto nuovo e innovativo della prassi imperiale del tempo: soprattutto inconcepibile nell'ottica ariana, e nella concezione ancora assai vicina dell'imperatore come "divus", cioè personaggio divino egli stesso.

http://www.storiadimilano.it/Personaggi/vescovi_famosi/ambrogio_teodosio.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/02/9931_-_Milano_-_Sant%27Ambrogio_-_Camillo_Procaccini_-_Ambrogio_ferma_Teodosio_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_25-Apr-2007_-_retouched.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/05/9931_-_Milano_-_Sant%27Ambrogio_-_Camillo_Procaccini_-_Ambrogio_ferma_Teodosio_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_25-Apr-2007.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/bd/9933_-_Milano_-_Sant%27Ambrogio_-_Camillo_Procaccini_-_Ambrogio_ferma_Teodosio_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_25-Apr-2007.jpg Camillo Procaccini, S. Ambrogio impedisce all'imperatore Teodosio I di entrare nella Basilica dopo il massacro di Tessalonica, Cappella della deposizione, Basilica di S. Ambrogio, Milano

Augustinus
07-12-03, 11:48
IOANNIS PAULI PP. II
SUMMI PONTIFICIS
EPISTULA APOSTOLICA

«OPEROSAM DIEM»

ARCHIEPISCOPO CARDINALI
ET CLERO CONSECRATIS PERSONIS
ET FIDELIBUS LAICIS ARCHIDIOECESIS MEDIOLANENSIS
ANNIS MDC AB OBITU ELAPSIS
SANCTI AMBROSII EPISCOPI
ATQUE ECCLESIAE DOCTORIS

INDEX

I. Episcopus Ambrosius . . . . . . . . . . . . . .

II. «Interiorum oculorum in Verbum Dei ... Intendebat obtutus»

III. «Omnia Christus est nobis» . . . . . . . . . . . .

IV. «Bibamus sobriam ebrietatem spiritus» . . . . . . . .

V. In Unitatis Ministerium . . . . . . . . . . . . . .

VI. «Sit in singulis Mariae anima» . . . . . . . . . . .

*****
Venerabili Fratri Nostro
Carolo Mariae S.R.E. Cardinali Martini
Archiepiscopo Mediolanensi

1. Operosam diem suam terrestrem Ecclesiae in ministerium magno quidem animo impensam quarto mensis Aprilis die anno trecentesimo nonagesimo septimo absolvit Ambrosius Mediolanensis. Postremis aetatis suae diebus — quemadmodum librarius ipsius vitaeque narrator Paulinus meminit — «viderat Iesum advenisse ad se et arridentem sibi... Sed eodem tempore quo a nobis migravit ad Dominum, ab hora circiter undecima diei usque ad illam horam qua emisit spiritum, expansis manibus in modum crucis oravit». (1) Aurora iam sabbati sancti illucescebat. Hanc terram ut cum Christo Domino sese coniungeret, quem concupiverat vehementer ac dilexerat, Episcopus deserebat.

Decima sexta eius diei accedente centenaria recordatione, a Nobis, Venerabilis Frater Noster, petivisti ut eximii Pastoris commemoraretur mors «Anno Sancti Ambrosii» celebrando utque huic ipsi eventui peculiaris inscriberetur apostolica epistula.

Tuo eiusmodi optato obsequi perplacet Nobis quandoquidem, perinde ac scripsisti, fuit Sanctus Ambrosius estque adhuc universae Ecclesiae donum, cui locupletem insigniter doctrinae ac sanctimoniae reliquit thesaurum.

2. Omnia in illo consonantia quadam componebantur et cohaerentiam inveniebant in ministerio episcopali, quod nullis condicionibus deditaque mente explebat. «De forensium strepitu iurgiorum et a publicae terrore administrationis ad sacerdotium vocatus», (2) suam conformavit vitam postulatis illius ministerii quod Providentia deponebat ei in manibus et in animo; vires suas eidem dedicavit suaque rerum experimenta et suas pariter uberes dotes ac facultates. Fortis pastor ac mitis, homo ad monendum simul idoneus atque ad ignoscendum, contra errores obfirmatus cum errantibus tamen tollerans, erga principes imperiosus ac civitatem observans, cum imperatoribus coniunctus et suo tamen populo proximus, altiore ratione studiosus et indefatigabilis actionis vir, eminet Ambrosius in eventuum tumultuosorum sui temporis scaena veluti singularis dignitatis persona cuius, transactis licet saeculis, vivit etiam hodie impulsio. (3)

Incohata proximi mensis Decembris sexto die centenaria mortis eius commemoratio cum ipso anno MCMXCVII congruet cui, secundum principia in Epistula Apostolica Tertio millennio adveniente tradita, secundum aperit praeparationis gressum Magni Iubilaei anni MM. (4) Hoc nos in rerum prospectu versari diutius volumus ut de persona sancti Ambrosii et navitate deliberemus, unde plura etiam spiritualia ducantur incitamenta quod ad eventum illum historicum pertinet. Futurum quidem esse confidimus ut adeo excitata singularis pastoris memoria sollemnibus «Anni Sancti Ambrosii», dilectissimam istam Archidioecesim adiuvet quo ipsa interiore usque modo affectum ingrediatur illius praeparandi eventus duorum videlicet milium annorum a Christo nato.

I

EPISCOPUS AMBROSIUS

3. Laetandi profecto dabitur Ecclesiae Mediolanensi causa si novo quodam studio antiquum suum auscultabit Pastorem et rursus idem experietur quod innumeri illi christifideles — humili altove orti loco, sine nomine aut cum fama — qui ipsius se siverunt sermonibus illustrari ab eoque deducti Christum Dominum attigerunt. Aetates prior ac praesens in viva cuiusque ecclesialis communitatis congrediuntur fide. Sanctorum enim reapse est arcano modo omnibus saeculis «aequales» persistere: hoc inde fluit consectarium quod in praesenti Dei aeternitate radices agunt. Eloquitur quadamtenus etiam nunc Mediolanensi de cathedra Ambrosius, cuius auditur et quaeritur vox ab universa Ecclesia. Hac permoti conscientia, studemus ipsius capita eminentiora colligere quo ad eius testimonium melius nos aperiamus adque eius nuntium. Ad hanc praeterea inquisitionem amor pariter ille nos impellit quem Ecclesia erga eos inculcat qui, primis a christiani nominis temporibus ob sanctitatem elucentes et eruditionem, merito dicuntur et sunt re vera fidei «Patres». Peculiari omnino titulo talis exsistit Ambrosius.

4. Unica fere eius electionis condicio omnibus iam innotuit, quam pueruli cuiusdam caelesti instinctui adscribit vitae narrator Paulinus, quam populus ceteroqui ac clerus plena fiducia accepit deindeque imperator ipse contentus agnovit. (5) Parentibus christianis natus, sed adhuc catechumenus secundum non raram domorum illius aetatis nobilium consuetudinem, Ambrosius honorifice emensus erat politicum honorum curriculum, primum apud Sirmionem in Italiae, Illyrici et Africae Praefectura, postmodum vero uti consularis Mediolani officio perfungens provinciae gubernandae Aemiliae — Liguriae. Ibi praesens comperire potuit adversum Mediolanensis Ecclesiae statum, ferme viginti annorum regimine episcopi ariani Auxentii conturbatae, divisae vehementerque illius haeresis disseminatione conflictatae.

5. Cum episcopali absolvendo muneri se imparem arbitraretur, saepius illam subterfugere conatus est nominationem, verum instanti populo tandem concessit, qui eius aequanimitatem gubernatorisque in statione rectitudinem aestimans, non sine causa posse eum fidebat sapienter ecclesialem regere communitatem; quapropter baptismum recipere consensit, quem ei Episcopus catholicus die tricesimo Novembris mensis anno trecentesimo septuagesimo quarto impertivit. Sicque subsequenti Decembris septimo die Episcopus ordinatus est. (6)

Primis quidem annis intus dolens vereque humilis agnoscere debuit quantum suam inter imperitiam propriam interesset et gravem aliunde necessitatem fideles docendi opportunaque capiendi pastoralia consilia. (7) Cupit nihilominus fundamenta confestim alicuius institutionis theologicae diligenter ordinatae iacere et, monente sustinenteque Simpliciano sacerdote qui ei postmodum in Sedem Mediolanensem successit, impense studiis se dedidit biblicis et theologicis, Sacras Litteras perscrutatus fontesque magnorum Patrum maximae auctoritatis nec non scriptorum ecclesiasticorum ex antiquitate cum Latinorum tum Graecorum, inter quos omnes Origenes exstitit perpetuus eius magister et instinctor.

In concionibus maximam partem et scriptionibus ea repetebat Ambrosius quae suo pro ingenio perceperat, sed locupletabat ea suis sententiis, explicationem illustrans et formulas compressas insignite efficaces condens et applicationes inducens utiles suorum auditorum ac lectorum statui. Ita profecto, de studio continenter catholicae doctrinae renovato, copiosa oriebatur frugiferaque doctrina eodemque tempore pastoralis industria bene disposita explicabatur.

6. Protinus voluit eos omnes Ambrosius colligere quotquot post Arianismum vagi erraverant. Plerumque non contendebat ut violenter illi tortuosis haeresis flexibus eriperentur, ne tum quidem cum de clericis causa ageretur, (8) atque id non imprudenti quodam faciebat compromisso, verum laudabili plane proposito perficiendi ut ex animo permoti ad rectam trinitariam fidem per solidam et ordinatam praedicationem adhaererent. Atque inter annum trecentesimum septuagesimum octavum et trecentesimum octogesimum alterum proventus magisterii sui in tractatibus protulit De fide, De Spiritu Sancto, De incarnationis dominicae sacramento.

Solidi huius consilii pastoralis effectus iam veluti manu tacti sunt cum, verno tempore anno trecentesimo octogesimo quinto ac praesertim proximi anni vere, repugnationem arianam concitarunt imperii auctoritates, cuius rei causa etiam sibi ut basilica concederetur ipsi postulaverunt. Suum tunc circa episcopum homines se conglobaverunt, simul demonstrantes quam fuisset efficiens eius sermo simulque quam falso conflata postulatio esset a regia aula delata. His in angustiis mercatores etiam vectigalia perferebant idcirco eis iniuncta ut ab episcopo seiungerentur: at eum destituere propriis subsidiis recusaverunt. (9) Cum eo quidem progressa res esset ut Ambrosio minarentur templaque circumdarent, vigilavit populus suo una cum pastore, eius sollicitudinem communicans et pugnam et precationem. Concessit tandem imperialis auctoritas potuitque Marcellinae sorori suae nuntiare: «Quae tunc plebis totius laetitia fuit, qui totius populi plausus, quae gratia!». (10) Firma Mediolanensium electus voluntate, novit altam consensionem excolere Ambrosius sua cum communitate, cum catholicae fidei principiis mirabiliter eam simul stabiliendo.

7. Romana in societate collabente, quam vetera non iam suffulciebant instituta, necesse praeterea erat adiuncta moralia et socialia redintegrare quae illud magni periculi vacuum explerent quod interea exortum erat. Gravibus hisce necessitatibus respondere Mediolanensis Episcopus cupivit, non solum intra ecclesialem communitatem operatus, sed latius oculos suos ad quaestiones iaculatus quas universa societatis renovatio movebat. Renovatricem Evangelii vim expertus, solida inde et robusta vitae hauriebat indeque fidelibus suis proposita, ut propria eorum vita aleretur ipsique vicissim efficerent ut hoc pacto germana hominum et societatis bona omnium in emolumentum exsisterent.

Quocirca clarissimam suam testificari repugnantiam nihil dubitavit, cum ab imperatore Valentiniano II anno trecentesimo octogesimo quarto praefectus Urbi Simmachus petivit ut deae Victoriae simulacrum in senatu reponeretur. Iis quotquot servare «Romanitatem» cogitabant signis usibusque iam inutilibus et mortuis revocandis, obiecit Ambrosius Romanam traditionem, suis cum antiquis virtutibus fortitudinis, dediti animi probitatisque suscipi omnino posse et refocilari christiana religione. Vetustus paganorum cultus — prout Mediolanensis Episcopi anima indicabat — barbaris consociabat Romam sola ipsa Dei ignorantia; (11) gratia vero inter populos tandem disseminata «quod erat verum iure praelatum». (12)

8. Manifesta apparuit renovans Evangelii virtus iis in consiliis quae cepit Episcopus ad socialem iustitiam tutandam ac praesertim tribus in libellis De Nabuthae, De Tobia, De Helia et ieiunio. Immoderatum divitiarum usum notat; damnat inaequalitates dominationesque quibus pauci possessores suam ad utilitatem condicionibus abutuntur oeconomicae difficultatis et caritatis; eos repudiat qui, se caritate alios adiuvare fingentes, pecunias vicissim mutuo tribuunt gravissimo foenere. Super omnia et super omnes resonare voluit admonitiones suas: «Eadem enim natura omnium mater est hominum, et ideo fratres sumus omnes una atque eadem matre generati cognationisque eodem iure devincti». (13) «Non de tuo largiris pauperi, sed de suo reddis». (14) De usura autem interrogat: «Quid durius quam ut des pecuniam tuam non habenti et ipse duplum exigas?» (15) Ipsam ad populorum salutem, qui saepe debitorum opprimuntur pondere, episcopos censebat Ambrosius oportere operam dare talia ut tollerentur vitia caritatisque actuose impetus propellerentur.

Magnitudo proinde eius laetitiae facile intellegitur et ut ita dicamus humilis patris superbia, cum filium praestantem suum spiritualem, Paulinum Burdigalensem, quondam senatorem atque episcopum futurum Nolanum, decrevisse cognovit bona sua pauperibus tradere ut cum uxore Terasia secederet illa in Campaniensi urbe, asceticam vitam ducturus. Huius quidem modi specimina — prout quibusdam suis Ambrosius declaravit in litteris (16) — clamorem provocatura erant atque in societate voluptatis serva offensionem, verumtamen efficacia quadam testimonii, cui nihil substitui potest, in sese permagnam illam christianae professionis moralem complectebantur provocationem.

9. Evangelii fermento erat vita tota reficienda. Qua in re fidelibus suis exponit Ambrosius elucens ac vinciens itinerarium spiritale quod verbi Dei constat auditione, sacramentorum communicatione precisque liturgicae, voluntatis motu qui ad cotidianam mandatorum observationem dirigitur. Quisquis sancti episcopi scripta legit, haec elementa animadvertit simplicia esse et necessaria, eaque sine intermissione sua inculcabat oratione suaque pastorali navitate. His in veris fundamentis in dies exstruit paulatim Ambrosius vivam communitatem, principiis nutritam Evangelicis atque signum indubium factam ipsi societati temporis illius.

Plane hinc inter alios, commotus est Augustinus cum Mediolanum autumnali tempore anni trecentesimi octogesimi quarti advenit. Licet a principio solo oratorio episcopi genere adduceretur, citius tamen solidam veritatem et fascinationem Ecclesiae Mediolanensis probavit: «Videbam enim plenam ecclesiam, et alius sic ibat, alius autem sic», (17) recordabitur multis post annis valde admiratus. Impetrare nequierat ab episcopo longiores congressus ac secretiores, viderat tamen in gubernata ab eo Ecclesia eloquentem pastoralis ipsius sapientiae demonstrationem reque vera comprobare potuerat spiritalis magisterii eius efficacitatem. Merito idcirco Ambrosium, a quo etiam baptismum recepit, suae patrem fidei aestimavit.

10. Recensere minutatim haud licet omnia Pastoris indefatigabilis, opera quae multipliciter adiuverunt ut et communitas ipsa vivificaretur et novae fervidaeque vires in societatem insinuarentur. Praecipua saltem indicare convenit.

Curationem primo loco ponimus quam de presbyterorum ac diaconorum institutione is gessit. Esse illos Christo plane conformes volebat ut essent penitus eius possessio, (18) nec non solidissimis humanitatis exornatos virtutibus: hospitalitate, affabilitate, fidelitate, probitate, deinde magnanimitate avaritiam refugiente, tum deliberatione, intaminato pudore, aequabilitate, amicitia. Tam imperiosus quam paternus eius erga sacerdotes affectus, re vera erat abundantissimus: «neque enim minus vos diligo, quos in Evangelio genui, quam si coniugio suscepissem». (19)

Similiter vehemens, iam inde prima ab eius oratione nobis tradita in opere De virginibus, fuit consecratarum virginum cura. Earum enim vocationem Ambrosius vidit in mysterio ipso Verbi incarnati inhaerentem: «Atque eius auctorem quem possumus aestimare nisi immaculatum Dei Filium, cuius caro non vidit corruptionem, divinitas non est experta contagionem?»; (20) atque in virginum testificatione responsionem solidam indicavit commoventem et provocantem partibus illis deicientibus, in quas delapsa societas Romana feminam ipsam depresserat.

Continuata etiam fuit Ambrosii diligentia colendorum martyrum. Erutis eorum reliquiis et veneratione instituta, credentibus in animo specimina proposuit sequelae Christi imperterritae et animosae; non tamen omisit fideles admonere contra temporum pacis pericula, quando violentioribus persecutoribus astutiores sufficiuntur, «qui sine gladii terrore mentem hominis frequenter elidunt, qui illecebris magis quam terroribus animos expugnant fidelium». (21)

Liturgici ritus quoque, quos catecheticae Episcopi explicationes alebant eiusque poeticum incendebat ingenium, tempora fiebant efficacissimae instructionis et penetrantis testificationis pro tota communitate. Cogitare sufficiat hymnos quos contexuit ille et in diutinis vigiliis cum templa oppugnarentur comprobavit: «Hymnorum quoque meorum carminibus deceptum populum ferunt» accusantibus Arianis obiciebat. «Plane nec hoc abnuo. Grande carmen istud est quo nihil potentius; quid enim potentius quam confessio Trinitatis, quae cotidie totius populi ore celebratur? Certatim omnes student fidem fateri, Patrem et Filium et Spiritum Sanctum norunt versibus praedicare. Facti sunt igitur omnes magistri, qui vix poterant esse discipuli». (22)

11. Impigerrimus pastor certissime fuit nihilominus Ambrosius vir intimi recessus altaeque contemplationis. Poterat sese penitus colligere: quapropter investigationes eius illum adeo brevi spatio ad ministerium comparare valuerunt interque tam multa incepta. Silentium diligebat; atque Augustinus ipse, qui illum studio offendit abreptum, neque alloqui eum est ausus: «Quis enim tam intento esse oneri auderet?». (23) Ex hac animi collectione acutissimus eius nascebatur Scripturarum intuitus atque earum explicationes quas praebebat suis in orationibus et commentationibus.

Hinc intima etiam exoriebatur Episcopi spiritualitas. Vitae enim narrator Paulinus asceticam ipsius effert disciplinam: «Ipse autem vir venerabilis Episcopus erat multae abstinentiae et multarum vigiliarum vel laborum, quotidiano ieiunio macerans corpus... Orandi etiam assiduitas magna die ac nocte». (24) Medium in spirituali eius ratione occupabat locum Christus, conquisitus atque vehementi impetu perdilectus. Ad illum usque revolvebatur suo in magisterio. Ad Christi imaginem caritas etiam conformabatur illa quam fidelibus proponebat quamque ipse iam ex se testificabatur excipiens catervas «negotiosorum hominum, quorum infirmitatibus serviebat», prout Augustinus ipse commemorat. (25)

12. Propria pars huic etsi velocissimae hominis atque Episcopi descriptioni deerit nisi parumper saltem oculos in eius necessitudines cum civilibus auctoritatibus coniecerimus. Vigebat etiam tum memoria incursuum in vitam ac in Ecclesiae doctrinam quos prioribus decenniis christiani susceperant imperatores qui factionem Arianam sustinebant atque, utcumque, magna incommoda provocaverant et discidia in credentium communitate. Ambrosius exin Episcopus creatus multis in causis confirmavit suam erga Statum praecipuam fidelitatem, verumtamen sibi provehendam etiam esse sensit aequiorem inter Ecclesiam et Imperium necessitudinis rationem, (26) cum illi distinctam sui iuris condicionem propria in provincia postularet. Hoc quidem pacto non solum libertatis Ecclesiae iura defendebat, sed infinito auctoritatis imperialis modo limitem statuebat efficiebatque ita simul ut secundum optimas Romanorum traditiones antiquae renascerentur civiles libertates.

Perdifficilis haec percurrenda erat via, ex integro reperienda; et pro singulis occasionibus melius definire debuit Ambrosius condicionem et morem agendi. Etiamsi firmitatem coniungere potuit et aequabilitatem in actibus iam memoratis — in quaestione videlicet arae Victoriae et quando Ariani basilicam sibi poposcerunt — ipsius tamen iudicium imperfectum emersit in Callinici negotio, cum anno ineunte CCCLXXXVIII synagoga longinqui illius oppidi in Euphratis ripa vastata est. Cum enim christianum imperatorem haud debere is arbitraretur reos punire neque cogere (27) remedium adferre damno illato, longe praetergrediebatur ecclesialis libertatis tutelam inficiens aliorum ius ad libertatem adque iustitiam.

Mirandus ex altera vero parte fuit animus eius erga Theodosium ipsum, duobus post annis, peracta nempe Thessalonicae caede quam ut interfectus quidam dux vindicaretur fieri iusserat. Imperatori qui tam gravi se polluerat culpa Episcopus prudenter ac firmiter indicavit omnino esse necesse (28) paenitentiae se subicere et Theodosius hortationem amplexus «deflevit in ecclesia publice peccatum suum... gemitu et lacrimis oravit veniam». (29) Notissimo hoc eventu noverat Ambrosius quam optima forma moralem Ecclesiae auctoritatem vestire, hinc ipsius errantis conscientiam mordens nulla habita potestatis eius ratione, illinc vero se sanguinis vindicem efferens per iniuriam et crudelitatem effusi.

13. Praestans reapse huius sancti Episcopi figura singulariterque efficax industria quam pro Ecclesia et sui temporis societate ipse explevit! Optamus Nos ut ipsius exemplar hominis et sacerdotis et pastoris impulsionem renovatam subiciat conscientiae illius, qua omnes aetatis nostrae fideles — episcopi et presbyteri, consecratae personae et laici christiani — egent, ut suam vitam ad Evangelium adcommodent seseque ad limen iam tertii millennii christiani ferventiores usque reddant apostolos.

II

«INTERIORUM OCULORUM IN VERBUM DEI ... INTENDEBAT OBTUTUS» (30)

14. Cum Hieronymo, Augustino, Gregorio Magno sanctus Mediolanensis Episcopus unus quattuor doctorum est quos peculiari cum veneratione respicit Ecclesia Latina. Quapropter animum nunc convertere cupimus in hoc personae eius latus ex proximi Iubilaei prospectu.

Pars ante omnia illa nobis ob oculos obversatur quam in Ambrosii vita habuit Dei verbum. «Ut vere quis sit Christus perspiciatur», — sic quidem scripsimus in Tertio millennio adveniente — «temporis spatium ... oportet a christianis renovato studio in sacra Biblia transigatur». (31) Magister nobis hic et dux valet esse Ambrosius: namque insignis exegeta fuit Bibliorum quae ille tamquam consuetum catechesis suae argumentum adhibebat. Scripta eius universa sunt explicatio Librorum inspiratorum.

Integram quandam sanctus Episcopus expositionem Evangelio secundum Lucam dedicavit multisque in aliis scriptionibus, praesertim quibusdam in litteris, libenter epistolarium Paulinum explanat ubi vivo studio Apostoli sententias refert. Verum maxime in libris Antiqui Testamenti versatur ille peculiari cum amore. Ibidem longam et fervidam detegit ad adventum Christi praeparationem veluti «umbram» quae, modo adhuc mutilo sed iam sapienter delineato, plenam Evangelii revelationem praenuntiat.

Biblicas altius legens utriusque Testamenti paginas, secundum consentientem patristicam traditionem, hortatur Ambrosius ut, praeter litterarum sensum, tum percipiatur moralis intellectus quo mores collustrantur, tum vis allegorico-mystica quae in imaginibus ipsis eventibusque narratis rursus detegi sinit Christi atque Ecclesiae mysterium. Ita nominatim Veteris Testamenti complures homines veluti «typi» comparent atque praenuntii figurae ipsius Christi. Scripturarum lectio ipsa est Christi lectio. Quocirca Scripturarum lectionem completam vehementer Ambrosius commendat: «Utrumque ergo poculum bibe Veteris et Novi Testamenti, quia in utroque Christum bibis. Bibe Christum, quia vitis est, bibe Christum, quia petra est quae vomuit aquam, bibe Christum, quia fons vitae est, bibe Christum, quia flumen est cuius impetus laetificat civitatem Dei, bibe Christum, quia pax est». (32)

15. Difficiliorem esse Scripturarum cognitionem non ignorat Ambrosius. In Vetere Testamento paginae insunt quae Novo in Testamento suam consequuntur lucem plenam. Earum Christus est clavis, ipse Revelator: «Multa obscuritas est in Scripturis propheticis. Sed si manu quadam mentis tuae Scripturarum ianuam pulses et ea quae sunt occulta diligenter examines, paulatim incipies rationem colligere dictorum et aperietur tibi non ab alio, sed a Dei Verbo... quia solus Dominus Iesus in Evangelio suo prophetarum enigmata et Legis mysteria revelavit, solus scientiae clavem detulit et dedit aperire nobis». (33)

Etenim «mare est Scriptura divina, habens in se sensus profundos et altitudinem propheticorum aenigmatum, in quod mare plurima introierunt flumina». (34) Haec cum eius sit indoles tamquam vivi simul et implicati sermonis, non licet Scripturam quadam cum animi levitate delibari. Suos enim aperit thesauros ei qui viva accedit cum cupiditate atque reapse avida mente lucis secundum orantis illius in Psalmo CXVIII specimen: «?Defecerunt oculi mei in verbum tuum' (v. 82)». Quemadmodum uxor tenerae aetatis — sic explicat imagine vivida usus Ambrosius — ad mare decurrit et de specula litorali, indefessa expectatione viri praestolatur adventum; ut quamcumque navim viderit, illic putet coniugem navigare, sic psalmista «curis exutus saecularibus interiorum oculorum in Verbum Dei pervigil custos usque ad defectionem sui intendebat obtutus». (35) Huius orantis desiderio pleni hominis personam Episcopus ipse gerebat suosque obstringebat fideles idem vicissim ut facerent.

Verbum «ruminare» eos iussit, quandoquidem cibus est alicuius substantiae, dignus quidem saepius qui patienter constanterque repetatur perpetua veluti in meditatione: ita dumtaxat nutrimenta inexhausta quae inibi continentur profundi possunt: «Hunc cibum menti nostrae deferamus, qui multa attritus meditatione ac politus cor hominis sicut illud caeleste manna confirmet. Quod non otiose tritum ac politum accepimus, eo quod caelestium Scripturarum alloquia diu terere ac polire debemus toto animo et corde versantes, ut sucus ille spiritalis cibi in omnes se venas animae diffundat». (36) Et alibi: «Tota ergo die in Lege meditare... Adhibe tibi consiliarios Moysen Esaiam Hieremiam Petrum Paulum Iohannem, ipsum magnum consiliarium Iesum Dei Filium, ut acquiras Patrem. Cum his tractandum, cum his tota conferendum est tibi, tota meditandum die». (37)

16. Recitatas in sacris ritibus Scripturas Ambrosius suis fidelibus continenter explanat. Tamquam lumen ac fundamentum totius suae praedicationis suarumque scriptionum eas tenet: nempe commentationum biblicarum, epistolarum, funebrium sermonum, tractatuum, de re sociali operum cum doctrinis proprie spiritalibus. Pervaditur imaginibus locutionibusque biblicis eius scribendi genus: dici is potest non tantum de Bibliis loqui verum Biblia loqui ipsa, utpote quae intimus cogitationis eius et orationis facta sint sucus. Ita Sacris Textibus aluntur audientes qui intellegentiores usque evadunt eorundem aestimatores. Videtur nobis Ecclesia ab Ambrosio gubernata conformari re vera et Verbo Dei confingi.

Exoptamus maxime ut exemplum ipsius homines inducat qui magis ac magis in medio quasi vitae christianae loco Biblia collocent eaque tali fide atque altitudine lectitent quarum Mediolanensis Episcopus specimen egregium fuit certusque magister.

III

«OMNIA CHRISTUS EST NOBIS» (38)

17. Consonat Sancti Ambrosii annus cum illo intervallo quod, in itinere Iubilaeum ad parandum, tanget «de Christo cogitationem, qui est Verbum Patris, per Spiritum Sanctum homo factus. Nam Iubilaei natura omnino christologica est efferenda, cum Incarnatio et in orbem Filii Dei adventus celebrentur, mysterium scilicet salutis omni hominum generi deferendae». (39)

Post Concilium Nicaenum, cuius ipse fuit defensor strenuus, agnitus est Ambrosius doctrinae christologicae ac trinitariae praeceptor excellens. In Christo enim Episcopi Mediolanensis magisterium suam mediam reperit sedem unitatis; nitorem suum theologicum ab eo percipit atque suam simul vim homines ad spiritalem vitam alliciendi. Praecipuis igitur capitibus summatim perstrictis multum etiam ad venturum comparandum Millennium conferetur.

18. Pluribus suis in scriptis, iam inde a triade illa De fide, De Spiritu Sancto, De incarnationis Dominicae sacramento, persequitur Ambrosius suam de Trinitate sententiam, de qua perlucidas profert disceptationes quae claro erunt postea exemplo in theologia trinitaria Occidentis ulterius enucleanda, quin tamen obliviscatur Dei mysterium nostrae excedere mentis captum ac nostras etiam affirmationes. (40) «Distinctionem etenim accepimus Patris et Filii et Spiritus Sancti, non confusionem,distinctionem, non separationem, distinctionem, non pluralitatem. Divino itaque admirandoque mysterio manentem semper accepimus Patrem, semper Filium, semper Spiritum Sanctum... Distinctionem scimus, secreta nescimus, causas non discutimus, sacramenta servamus». (41)

Super Filio autem adseverat Ambrosius ut «cum Patre semper et in Patre semper est»; (42) a Patre, vitae fonte ipsius, ille generatur: «Haec indicia ita Dei Filium signant, ut ex his et sempiternum Patrem esse cognoscas nec ab eo Filium discrepantem ... ex Patre Filius, ex Deo Verbum splendor gloriae, character substantiae, speculum Dei maiestatis, imago bonitatis; de sapiente sapientia, de forti virtus, de vero veritas, de vivente vita». (43)

In orbem venit Christus Patrem revelaturus: «Est enim fulgor aeternus animorum, quem ideo Pater misit in terras, ut in eius illuminati vultu aeterna et caelestia spectare possemus, qui ante terrena caligine tenebamur». (44)

19. Divinum salutis procurandae consilium uno conspectu ac iudicio contemplatur sanctus Ambrosius: quod Antiquo in Foedere Deus praenuntiavit, in Novo complevit Christi adventus qui vultum Patris hominibus patefecit lucemque Trinitatis. Immo vero iam tecto modo indicatur Christus redemptor in ipso opere creationis, in illa nempe requie, quam condito homine Deus sibi concedit. «Et tunc — ait Ambrosius — requieverit habens cui peccata dimitteret. Aut forte tunc iam futurae Dominicae passionis praecessit mysterium, quo revelatum est quia requiesceret Christus in homine, qui requiem sibi praedestinabat in corpore pro hominis redemptione». (45) Dei requies, Christi in cruce requiem praefigurabat, nempe in eius morte redimente; ita a principio Domini passio intra universalis cuiusdam propositum misericordiae reponebatur tamquam significatio ipsiusque creationis finis.

20. Loquitur ardenter quidem Ambrosius de Incarnationis ac Redemptionis arcano sicut ille qui a Christo omnino comprehenditur cunctaque conspicit eius in lumine. Quam ipse enodat cogitationem ex amanti promanat contemplatione saepiusque in preces erumpit quae sunt verae animae elationes intra tractatus graviores: in mundum venit Salvator «pro me», «pro nobis» — hae dictiones crebro exsistunt in illius scriptis. (46)

In singulis antiquae Scripturae libris quadamtenus iam nuntiatum, (47) ex Patris sinu Verbum descendit suumque munus sequentibus deinde gressibus exsequitur, quos Canticum Canticorum imitatus Episcopus cum saltibus comparat cervi amore erga homines et Ecclesiam permoti. (48) Per Incarnationem Verbum «formam servi accepit, id est plenitudinem perfectionis humanae»; (49) in se assumpsit, suam videlicet in carnem, totam humanitatem cui privilegium tribuit ne angelis quidem concessum. (50)

Si vero in ipsa Incarnatione Christus nobiscum amoris vinculis coniungitur, (51) vicissim in illius passione propter hominum Redemptionem tolerata emicuit idem hic amor inter maximas humiliationis exaltationisque Crucifixi discrepantias; (52) opprobria omnium abstulit eius opprobrium; (53) nos ab eo profusae in Cruce lacrimae abluerunt. (54) Universalis est Christi Redemptio: (55) «Non unus homo, sed totus in omnium redemptore mundus intrabat»; (56) «Ille se humiliavit, ut tu exaltareris». (57)

21. Hinc in Ambrosii operibus universae illae enascuntur definitiones atque Redemptoris appellationes quibus nobis describitur sua in maiestate et bonitate. Christus «omnia pro te factus est»; (58) «ubi plenitudo, ibi etiam latitudo»; (59) legis finis est; (60) «ipse est omnium fundamentum et ipse est caput Ecclesiae»; (61) «fons vitae irriguus»; (62) «ipsius mors vita est, ipsius vulnus vita est, ipsius sanguis est vita, ipsius sepultura est vita, ipsius resurrectio vita est universorum». (63) «Propitiatio omnium Christus est et ipse est universorum redemptio», (64) rex et mediator, (65) sol iustitiae, (66) lux, (67) ignis, (68) via, (69) laetitia, (70) unus in quo gloriari licet quantumvis magna sint peccata nostra; (71) qui pro nobis pauper est factus, (72) humilis nos ut humilitatem doceret, (73) consors et particeps nostri; (74) bonus Is est, quin immo bonitas ipsa: (75) «Hoc ?bonum' veniat in animam nostram, in nostrae mentis viscera... Hic est thesaurus noster, hic est via nostra, hic est sapientia nostra, iustitia nostra, pastor noster et pastor bonus, hic est vita nostra. Vides quanta bona in uno bono». (76)

22. Christi demonstrans figuram Ambrosius Episcopus argumenta praecipit immensa quae proximis suscipientur saeculis in magnis Conciliis christologicis pertractanda; incredibili quodam usus verborum compendio loquitur de unico Christo Domino nobis duplici in ipsius divina humanaque natura. Esto hoc inter multa praestans aliquod exemplum ex altero De fide libro deductum: «Servemus distinctionem divinitatis et carnis. Unus in utraque loquitur Dei Filius, quia in eodem utraque natura est; etsi idem loquitur, non uno semper loquitur modo. Intende in eo nunc gloriam Dei, nunc hominis passiones. Quasi Deus loquitur quae sunt divina, quia Verbum est, quasi homo dicit quae sunt humana, quia in mea substantia loquebatur». (77) Suam ob perfectionem atque subtilitatem locus idem hic in documentis Concilii Ephesini (CCCCXXXI) et Chalcedonensis (CCCCLI) nec non Lateranensis Synodi (DCXXXXIX) iteratur. At iis in disputationibus complures Mediolanensis Episcopi adductae sunt affirmationes atque diligenter ponderatae, initio quidem facto a scriptione De incarnationis Dominicae sacramento in Graecam linguam paucis post Ambrosii mortem annis conversa, usque ad longiora excerpta de Expositione Evangelii secundum Lucam quae lecta sunt ac Graece reddita in Con- cilio III Constantinopolitano anno DCLXXXI.

Sic Ambrosii sermo Christi Domini amore capti sustentare potuit et animare excelsas christologicas Ecclesiae antiquae definitiones.

IV

«BIBAMUS SOBRIAM EBRIETATEM SPIRITUS» (78)

23. Omnem ultra locupletissimum suum doctrinarum proventum in primis fuit Ambrosius pastor spiritalisque ductor. Adiuvant nos ipsius de vita consiliis, quo liberius ad illud progrediamur propositum quod uti primarium indicavimus in celebratione primi anni ad praeparandum tertium Millennium: nempe fidei excitationem christianorumque testificationem. Scripsimus enim hac de re: «Oportet, ergo, concitetur in unoquoque fideli vehemens sanctitatis impetus, flagrans in conversionem et sui ipsius renovationem desiderium, dum precationis usque ardentioris sensus acuitur dumque proximus, indigentissimus praesertim, comiter suscipitur». (79)

Huius autem sublimis perfectionis propositi gratia, ad quod invitantur omnes, nunc singillatim elaborare cupimus in spiritalibus Mediolanensis Episcopi doctrinis.

24. Ut Ecclesiae et cuique christiano expositum spiritale iter congruenter illuminet, utitur Ambrosius uberibus imaginibus quas prae se fert Canticum Canticorum: tum enim Christi cum Ecclesia coniugium ipse discernit in duorum amantium amore tum animae coniunctionem cum Deo. Hoc nominatim argumentum binae eius scriptiones respiciunt: fuse prolata Expositio Psalmi CXVIII ac minor De Isaac vel anima disceptatio. In priore illa, dum coniunctim simul exponit Psalmum CXVIII, simul ampliorem de Lege divina deliberationem enucleans, simul longiores Cantici Canticorum locos, docet Episcopus mysticam rationem sponsalis iunctionis cum Deo esse disciplina virtutum vitae parandam, eodemque tempore morale christianorum officium haud in se concludi, verum ad mysticam cum Deo destinari congressionem.

Quapropter incrementi spiritalis gressus in opere De Isaac vel anima emetiens, necessitatem indicat Ambrosius longi quidem ac difficilis curriculi asceseos ac purificationis, quod ceterum in omnibus suis scriptis continenter commendat. Eodem autem tempore docet continuam de gradu in gradum progressionem ad illum cum Sponso divino tendere congressum, ubi cognitionis coniunctionisque plenitudinem experiatur anima in amore. Tunc enim Cantici sponsa suam in domum amatum perducens (cfr Ct 8, 2), «Verbum assumit, ut assumendo doceatur» (80) et cum eo pariter ascendens eique innixa familiaritatem plenam cum Verbo divino experitur: «Ita ergo haec — sanctus inquit Episcopus — vel incumbebat in Christo vel supra ipsum sese reclinabat aut certe, quoniam de nuptiis loquimur, iam quasi tradita in Christi dexteram in thalamum ducebatur sponso». (81)

25. Qui sicut sponsa sponso adhaesit Christo, Deum in sua anima adesse sibi conscius est, (82) ab eo vires percipit ut ipsum conquirat cum eoque coniungatur. (83) Numquam solus restat quandoquidem vivit cum illo. (84) Nos enim Christus sitit (85) qui, pro eo facti ac pro Deo Trinitate, invitamur ut per eius in nobis commorationem unum quiddam cum eo efficiamur: (86) «Intret in animam tuam Christus, inhabitet in tuis Iesus mentibus, ut in tabernaculo virtutis peccato locus esse non possit». (87)

Hoc itaque pacto necessitudo cum Christo usque artior explicatur: ab ascesi facto initio, quae necessaria omnino condicio est ut quis intimam cum eo coniunctionem assequatur, (88) oportet Christum exoptare, (89) eumque imitari, (90) ipsius personam perpendere atque exempla, (91) sine intermissione eum precari, (92) diu illum exquirere, (93) de ipso sermocinari (94) eique in omnibus subici, (95) cunctos dolores atque aerumnas illi offerre, (96) solacium in illo ac firmamentum invenire. (97)

Verum ita etiam Christum inquirentes nihil ex nobis perficere valemus quoniam mediator dux et via dumtaxat Christus est. «Omnia Christus est nobis» quapropter «si vulnus curare desideras, medicus est; si febribus aestuas, fons est; si gravaris iniquitate, iustitia est; si auxilio indiges, virtus est; si mortem times, vita est; si caelum desideras, via est; si tenebras fugis, lux est; si cibum quaeris, alimentum est». (98) Ad congressionem cum Christo tota nostra vita accedere debet: «Ibimus eo ubi servulis suis Dominus Iesus mansiones paravit, ut ubi ille est et nos simus: sic enim voluit». (99) Hac de causa cum sancto Ambrosio possumus exclamare: «Sequimur te, Domine Iesu: sed ut sequamur accerse, quia sine te nullus ascendet. Tu enim via es, veritas vita possibilitas fides praemium. Suscipe tuos quasi via, confirma quasi veritas, vivifica quasi vita». (100)

26. Luculenter persuadet sanctus Ambrosius simile singulis christifidelibus ipsique universae ecclesiali communitati proponi curriculum. Non paucis electis reservatur propositum sic etiam excelsum, sed permittitur illud attingere omnibus Iesu discipulis Verbum Dei auscultantibus, Sacramenta fructuose percipientibus, mandata custodientibus. Vitae spiritalis hi sunt cardines quibus intima instituitur communicatio cum Deo qui credentis vitam sua locupletat gratia.

Idcirco Episcopi sacri sermones abundant monitis moralibus, quae cum vehementia et vi et magna suadendi efficacia audientibus exponuntur. Suis in orationibus ipse se obligat erga eos qui ad initiationis christianae Sacramenta instituuntur. Momentum Baptismatis illis explanat eiusque firmam cum Christi morte ac resurrectione consociationem demonstrat, dum simul commemorat officia moralia inde manantia. «Ut, quomodo Christus mortuus est, sic et tu mortem degustes, quomodo Christus mortuus est peccato et Deo vivit, ita et tu superioribus illecebris peccatorum mortuus sis per baptismatis sacramentum, et resurrexeris per gratiam Christi. Mors ergo est, sed non in mortis corporalis veritate, sed in similitudine. Cum enim emergis, mortis suscipis et sepulturae similitudinem: crucis illius accipis sacramentum, quod in cruce Christus pependit et clavis confixum est corpus. Tu ergo concrucifigeris, Christo adhaeres, clavis Domini nostri Iesu Christi adhaeres, ne te diabolus inde possit abstrahere. Teneat te clavus Christi, quem revocat humanae condicionis infirmitas». (101)

27. Perscrutatio doctrinarum sancti Ambrosii de Baptismate peropportune in illud inseritur «sacramentorum recipiendorum opus» quod in itinere ad Iubilaeum pariter signare debebit annum MCMXCVII, innitens quidem «in Baptismi vi confirmanda ... qui fundamentum habetur vitae christianae». (102) Haud vero minus ferax et fecunda comprobabitur uberrima de Eucharistia doctrina: est enim illa Christi corpus, praesens reapse redditum efficaci sacramenti verbo, eodem divino Verbo quo potenter res sunt sub orbis principium effectae. «Post consecrationem dico tibi quia iam corpus est Christi. Ipse dixit et factum est, Ipse mandavit et creatum est». (103) Christianorum Eucharistia est cotidianum alimentum quod sic consociatur quotidie cum salutis sacrificio: «Accipe quotidie, quod quotidie tibi prosit! Sic vive, ut quotidie merearis accipere! ... Ergo tu audis, quod, quotiescumque offertur sacrificium, mors Domini, resurrectio Domini, elevatio Domini significetur et remissio peccatorum, et panem istum vitae non quotidianum assumis?». (104)

28. In carmine suo Splendor paternae gloriae ad canendum nos cohortatur Ambrosius: «Christusque nobis sit cibus potusque noster sit fides: laeti bibamus sobriam ebrietatem Spiritus». (105) In scriptione De sacramentis, quasi carminis illius voces illuminans, monet Episcopus ut panis eucharisticus degustetur in quo «nulla sit amaritudo, sed omnis suavitas sit», ac vinum tale quod infert laetitiam «quae nullius peccati sordibus polluatur». Namque quotiens calix Christi ebibitur, peccatorum accipitur remissio et spiritu ipso quis inebriatur: «Vino enim qui inebriatur, vacillat et titubat, Spiritu qui inebriatur, radicatus in Christo est. Et ideo praeclara ebrietas, quae sobrietatem mentis operatur». (106) Locutione illa «sobriam ebrietatem Spiritus» suam videtur de vita spiritali notionem Ambrosius velle breviter perstringere. Sic enim nos intellegere sinit esse eam ebrietatem, laetitiam communionisque cum Christo plenitudinem; similiter nos docet non transire illam in furorem quendam incompositum et ardentem, sed potius operosam deposcere sobrietatem; commonefacit in primis Dei Spiritus munus esse illam. Qui Sacris Litteris diligenter usi sunt, hanc perceperunt ebrietatem «quae sobriae stabiliret mentis incessum... quae vitae munus rigaret aeternae». (107)

Quam suis fidelibus tradit Pastor Mediolanensis spiritalem vitam, ea simul multum postulat et inflammat, concretam habet speciem et in mysterium etiam immergitur. Ecclesiae etiam hodiernae volumus hanc eius invitationem vehementem et omnia amplectentem clarissime resonet.

V

IN UNITATIS MINISTERIUM

29. Imperiosum spiritale iter, ab Ambrosio adumbratum, credentem ipsum ad maiorem usque cum Christo provehit communionem. Haec, ceterum, necessario sese declaret oportet in coniunctione animorum et affectuum (cfr Act 4, 32) cum fratribus sororibusque in fide. Illud perbene novit Episcopus Mediolanensis suisque testatur inscriptis. Quae quidem doctrinae eius ratio magnopere quidem eos incitat qui in oecumenismi occupantur provincia. Porro quomodo quis oblivisci potest tam in Oriente quam in Occidente Ambrosium excultum esse unum praestantium Patrum Ecclesiae nondum divisae? Profecto, ut superius videre fuit, suo etiam tempore dissensiones instabant late patentes graviterque nocentes, quae doctrinarum adscribebantur erroribus aliisque causis diversis. Verum instans simul necessitas sentiebatur ut ad fidei ac vitae ecclesialis communionem rediretur. Ambrosii testificatio, hoc modo etiam percepta, plurimum potest unitatis causae conferre. Eius itaque concelebratio cum aliquo proposito proprio consonat in peregrinatione ad anni MM Iubilaeum. (108)

Oecumenicum personae eius pondus revera plures exhibet partes quae utiliter expendantur. In regione magis proprie doctrinarum satis est lucidas cogitare Mediolanensis Pastoris christologicas formas, quas Ecclesia Graeca reddidit magnique aestimavit sicut et Concilia saeculi V et VII, et quae explicant cur hodie pariter apud Orientis fratres et sorores tanti Ambrosius aestimetur. Illius similiter firmissima species Episcopi in urbe imperiali, in affectione fideli at numquam potentium auctoritati subdita, diligentem curam etiam explicat quam illi historiographia Byzantina dedicavit et quae, una cum eius magisterii aestimatione magna, adiuvit ut in Orientis christiani Ecclesiis nostros usque ad dies eius persistat cultus.

Nec praeterit Nos quomodo, in locis Reformationis protestantium, admirantes semper Mediolanensis praesulis scripta respexerint in eoque magistrum agnoverint tum doctrinae gratia ditatum tum humanitate eximia.

30. At plus etiam subest: luculenta reliquit Ambrosius praecepta de familiaritate quam colere debet Ecclesia in diverbio cum iis omnibus qui non sunt christiani. Multum lucis hac in re importat admonitio illa quam fidelibus inscribit ubi iubentur «non refugere eos, qui a nostra fide et consortio separati sint, eo quod et gentilis, qui fuerit acquisitus, quo gravior fuerit assertor erroris, eo vehementior possit fidei defensor exsistere». (109) Variae huius quaestionis partes insigniter in Expositione Evangelii secundum Lucam pertractantur, ubi perspicua praebetur modorum evangelizationis illius temporis summa quod pertinet ad paganos et Hebraeos et catechumenos. (110)

Has quidem normas sectabatur Mediolanensis Episcopus sua etiam in catechesi, quae singulari omnino vi audientes captabat. Eam plures sunt experti. Longinqua illa regina Marcomannorum Fritigil, ipsius fama adducta, scripsit ei ut super catholica religione informaretur recepitque vicissim «epistulam ... praeclaram in modum catechismi». (111)

Quantumvis alia hodie tempora sint, studium tamen concitare adhuc eius exemplum potest hominesque allicere de futura hominum generis aetate cogitantes, etiam extra Ecclesias ac confessiones christianas, propter illam eruditionis sacrae ac profanae excellentiam, propter praestantiam amoris erga hominem firmitudinisque contra iniurias et oppressiones nec non solidissimam in doctrinis ac moribus congruentiam quae illi etiam viventi indubiam meruerunt aestimationem.

VI

«SIT IN SINGULIS MARIAE ANIMA» (112)

31. Iubilaeum iam praeparantes, suasimus ut anno MCMXCVII etiam divinae Mariae maternitatis ponderaretur arcanum, quoniam affirmatio «Christum in medio esse» non potest «disiungi a comprobatione partium quas Sanctissima Mater eius egit». (113) Illius theologus subtilis et indefatigabilis praeco fuit Ambrosius.

Imaginem eius accuratam ille praestat et amantem et minutatim descriptam, cuius pariter morales virtutes is delineat vitamque interiorem nec non in opere et oratione sedulitatem. Quamvis scribendi genus sit plane sobrium, inde tamen fervida eius erga Virginem pietas elucet, Christi matrem Ecclesiae speciem vitaeque christianorum specimen. In gaudio carminis eius «Magnificat» ipsam contemplatus, clamat Mediolanensis Episcopus: «Sit in singulis Mariae anima, ut magnificet Dominum, sit in singulis spiritus Mariae, ut exsultet in Deo». (114)

32. Quemadmodum tradit Ambrosius, salutis historiae Maria tota admiscetur velut Mater ac Virgo. Quia nimirum aeternum Patris unguentum Christus est, «hoc unguento uncta est Maria et virgo concepit, virgo peperit bonum odorem, Dei Filium». (115) Cum Christo coniuncta, quando Filius se ex amore offerens «affixus ad lignum ... bonum odorem mundanae fundebat redemptionis», (116) Maria quoque illam communicabat amoris profusionem: «Stabat ante crucem Mater, et fugientibus viris stabat intrepida... Spectabat piis oculis Filii vulnera, per quem sciebat omnibus futuram redemptionem ... Pendebat in cruce Filius, Mater se persecutoribus offerebat ... quae publico usui impendi mortem Filii noverat, praestolabatur si forte etiam sua morte publico muneri aliquid adderetur. Sed Christi passio adiutorio non eguit». (117) Hoc Mariae simulacrum est mulieris animosae ac magnanimae, sibi partium consciae in salutis historia concreditarum et prompta ad suum exsequendum munus usque ad ipsius vitae oblationem. Verumtamen Mediolanensis Episcopus qui eam tantopere celebrat tantumque amat numquam obliviscitur eam totam Christo unico Redemptori subdi et ad illum referri.

33. Carissime et Venerabilis Frater Noster, commendare Nos iuvat Mariae sanctissimae, cuius beatae Nativitati Cathedrale istud dicatum est templum, prosperum Anni Sancti Ambrosii eventum, quem iamiam Mediolanensis catholica communitas celebrare est aggressura. Confidimus fidelibus ipsis eundem annum spatium praebere plenissimum interiorum fidei spei caritatis progressuum in Episcopi Sancti ac Patroni vestigiis, sicque simul adiuturum ut cuiusque in vita uberes christianae testificationis fructus maturescant. Hoc etiam beneficia spiritualia illa propria spectant quae celebrationem ipsam locupletant quaeque poterunt statis sub condicionibus impetrare fideles, corda sua Domini gratiis patefacientes.

Iisdem has Litteras Nostras definire cupimus vocibus, quas Ecclesiae Vercellensi sanctus quondam perscripsit: «Ad summam convertimini omnes ad Dominum Iesum. Sit in vobis vitae huius delectatio in bona conscientia, patientia mortis cum spe immortalitatis, confirmatio resurrectionis cum Christi gratia, veritas cum simplicitate, fides cum confidentia, abstinentia cum sanctitate, industria cum sobrietate, conversatio cum modestia, eruditio sine vanitate, sobrietas doctrinae fidelis sine haeresis temulentia». (118)

His cum votis et optatis perquam libentes Tibimet, Venerabilis Frater Noster, tuisque Episcopis adiutoribus, presbyteris et diaconis, consecratis viris ac mulieribus, perinde ac universis Archidioecesis illius christifidelibus laicis, quae nomen suum suo accipit a caelesti Patrono, omnium gratiarum optabilium supernarum conciliatricem transmittimus Apostolicam Benedictionem Nostram.

E Civitate Vaticana, die I mensis Decembris, anno MCMXCVI.
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(1) Paulinus, Vita Ambrosii, 47, 1, 2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, pp. 112-114.

(2) De paenitentia, II, 8, 67: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano Roma 1977-1994 (= Saemo) 17, p. 264; cfr etiam De officiis, I, 1, 4: Saemo 13, p. 24.

(3) Perpetuum illud studium, quod excitat ipse, ex plurimis etiam colligitur investigationibus illi destinatis quemadmodum ex multis pariter scriptorum eius editionibus et interpretationibus. Mentionem peculiarem iam memorata editio bilinguis meretur quam bibliotheca Ambrosiana nuperius curavit: Saemo.

(4) Cfr nn. 40-43: AAS 87 (1995), 31-33.

(5) Paulinus, Vita Ambrosii, 6, 1-2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 60.

(6) Cfr ibid., 9, 2-3: l.m., p. 64.

(7) Cfr De virginibus, I, 1, 1: Saemo 14I, p. 100; De officiis, I, 1, 4: Saemo 13, p. 24.

(8) Cfr Theophilus Alexandrinus, Ep. ad Flavianum, fragm. 1: Saemo 24I, p. 213.

(9) Cfr Ep. LXXVI, 6: Saemo 21, pp. 138-140.

(10) Ibid., 26: l.m., p. 152.

(11) Cfr Ep. LXXIII, 7: Saemo 21, p. 66.

(12) Ibid., 29: l.m., p. 78.

(13) De Noe, 26, 94: Saemo 2I, p. 484.

(14) De Nabuthae, 12, 53: Saemo 6, p. 172; cfr Expositio ev. sec. Lucam, VII, 124: Saemo 12, p. 184.

(15) Ep. LXII, 4: Saemo 20, p. 148; cfr De Tobia, 14, 50: Saemo 6, p. 246.

(16) Cfr Ep. XXVII, 1-3: Saemo 19, p. 252.

(17) Confessiones, VIII, 1-2: CCL 27, 113.

(18) Cfr Ep. XVII, 14: Saemo 19, p. 176; Ep. XXIV, 13: Saemo 19, p. 244.

(19) De officiis, I, 7, 24: Saemo 13, p. 36.

(20) De virginibus, I, 5, 21: Saemo 14I, pp. 122-124.

(21) Expositio ps. CXVIII, XX, 46: Saemo 10, p. 358.

(22) Contra Auxentium = Ep. LXXVa, 34: Saemo 21, p. 134.

(23) Confessiones, VI, 3, 3: CCL 27, 75.

(24) Paulinus, Vita Ambrosii, 38, 1.2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, pp. 100-102.

(25) Confessiones, VI, 3, 3: CCL 27, 75.

(26) Cfr Contra Auxentium = Ep. LXXVa, 36: Saemo 21, p. 136.

(27) Cfr Ep. extra coll. I, 27-28: Saemo 21, p. 188.

(28) Cfr Ep. extra coll. XI, l.m., pp. 230-240.

(29) De obitu Theodosii, 33: Saemo 18, p. 234.

(30) Cfr Expositio ps. CXVIII, XI, 9: Saemo 9, p. 458.

(31) N. 40: AAS 87 (1995), 31.

(32) Cfr Explanatio ps. I, 33: Saemo 7, p. 80.

(33) Expositio ps. CXVIII, VIII, 59: Saemo 9, p. 374; cfr ibid., 60, l.m., p. 376.

(34) Ep. XXXVI, 3: Saemo 20, p. 24.

(35) Expositio ps. CXVIII, XI, 9: Saemo 9, p. 458.

(36) De Cain et Abel, II, 6, 22: Saemo 2I, p. 282; cfr Expositio ps. CXVIII, VIII, 59: Saemo 9, p. 374.

(37) Expositio ps. CXVIII, XIII, 7: Saemo 10, p. 66; cfr Explanatio ps. I, 31: Saemo 7, p. 76.

(38) De virginitate, 16, 99: Saemo 14II, p. 80.

(39) Ioannes Paulus PP. II, Epist. Ap. Tertio millennio adveniente (10 Novembris 1994), 40: AAS 87 (1995), 31.

(40) 40 Cfr De fide, V, 19, 228: Saemo 15, pp. 446-448.

(41) Ibid., IV, 8, 91: Saemo 15, p. 296; cfr Explanatio ps. XXXV, 22: Saemo 7, p. 138.

(42) De fide, IV, 8, 88: Saemo 15, p. 294.

(43) Ibid., II, Prol. 3: l.m., p. 128; cfr ibid., I, 10, 67; II, 6, 50: l.m., pp. 88; 150.

(44) Explanatio ps. XLIII, 87: Saemo 8, p. 188.

(45) Exameron, VI, 10, 76: Saemo 1, p. 418.

(46) Cfr De fide, II, 7, 53; 11, 93: Saemo 15, pp. 150-152; 170-172; De interpell. Iob et David, IV (II), 4, 17: Saemo 4, p. 238; De Iacob et vita beata, I, 6, 26: Saemo 3, p. 256; Expositio ev. sec. Lucam, II, 41: Saemo 11, pp. 182-184 et al.

(47) Cfr Explanatio ps. XXXIX, 6-15: Saemo 8, pp. 14-18.

(48) Cfr De Isaac vel anima, 4, 31: Saemo 3, pp. 68-69; Expositio ps. CXVIII, VI, 6: Saemo 9, p. 244.

(49) De fide, V, 8, 109: Saemo 15, p. 386.

(50) Cfr Expositio ps. CXVIII, X, 14: Saemo 9, p. 412.

(51) Cfr ibid., III, 8: l.m., p. 130.

(52) Cfr ibid., l.m., p. 132.

(53) Cfr ibid., V, 42: l.m., p. 234.

(54) Cfr De fide, II, 11, 95: Saemo 15, p. 172.

(55) Cfr Explanatio ps. XLVIII, 2: Saemo 8, pp. 252-254; De paradiso, 10, 47: Saemo 2I, p. 114.

(56) De fide, IV, 1, 7: Saemo 15, p. 260.

(57) Explanatio ps. XLIII, 76: Saemo 8, p. 178.

(58) Cfr Expositio ev. sec. Lucam, IV, 6: Saemo 11, pp. 302-304.

(59) Cfr Explanatio ps. XLIII, 94: Saemo 8, p. 194.

(60) Cfr Expositio ps. CXVIII, V, 24: Saemo 9, p. 216.

(61) De fide, V, 14, 181: Saemo 15, p. 420.

(62) Cfr Explanatio ps. XXXV, 22: Saemo 7, p. 138.

(63) Enarratio in Psalmum XXXVI, 36: Saemo 7, p. 194; cfr De fide, V, 18, 222: Saemo 15, p. 444.

(64) Explanatio ps. XLVIII, 15: Saemo 8, p. 264.

(65) Cfr De fide, V, 12, 150: Saemo 15, p. 404; ibid., V, 7, 90, l.m., p. 376.

(66) Cfr Expositio ps. CXVIII, XIX, 5: Saemo 10, p. 288.

(67) Cfr Expositio ps. CXVIII, XIV, 6: Saemo 10, p. 90; Explanatio ps. I, 56: Saemo 7, p. 108; Explanatio ps. XXXVII, 41: l.m., p. 304; Explanatio ps. XLIII, 89: Saemo 8, p. 188.

(68) Cfr Expositio ps. CXVIII, XVIII, 20: Saemo 10, p. 260.

(69) Cfr ibid., XI, 6: Saemo 9, p. 454.

(70) Cfr Explanatio ps. XLVII, 10: Saemo 8, p. 236.

(71) Cfr De Iacob et vita beata, I, 6, 21: Saemo 3, p. 250.

(72) Cfr De patriarchis, 9, 38: Saemo 4, p. 50.

(73) Cfr Explanatio ps. XLIII, 78: Saemo 8, p. 178.

(74) Cfr Expositio ps. CXVIII, VIII, 53: Saemo 9, pp. 366-368.

(75) Cfr De Isaac vel anima, 8, 79: Saemo 3, p. 124; De fide, II, 2, 25: Saemo 15, p. 140.

(76) Ep. XI, 6: Saemo 19, p. 118; cfr De bono mortis, 12, 55: Saemo 3, pp. 204-206.

(77) De fide, II, 9, 77: Saemo 15, p. 164.

(78) Hymni, II, «Splendor paternae gloriae»: Saemo 22, p. 38; cfr De Noe 29, 111: Saemo 2I, p. 502.

(79) Epist. Ap. Tertio millennio adveniente (10 Novembris 1994), 42: AAS 87 (1995), 32.

(80) De Isaac vel anima, 8, 71: Saemo 3, p. 114.

(81) Ibid., 8, 72: l.m.

(82) Cfr De Iacob et vita beata, I, 8, 39: Saemo 3, p. 272.

(83) Cfr Explanatio ps. XLIII, 28: Saemo 8, pp. 120-122.

(84) Cfr De officiis, III, 1, 7: Saemo 13, p. 276.

(85) Cfr Explanatio ps. LXI, 14: Saemo 8, p. 294.

(86) Cfr De fide, IV, 3, 35: Saemo 15, p. 272.

(87) «Inhabitet in tuis Iesus membris»: Expositio ps. CXVIII, IV, 26: Saemo 9, p. 192.

(88) Cfr Explanatio ps. XLVII, 10: Saemo 8, pp. 223-236; Explanatio ps. XXXVI, 12: Saemo 7, p. 160.

(89) Cfr Expositio ps. CXVIII, XI, 4: Saemo 9, p. 450.

(90) Cfr Explanatio ps. XXXVII, 5: Saemo 7, p. 260.

(91) Cfr Explanatio ps. XL, 4: Saemo 8, p. 40.

(92) Cfr Expositio ps. CXVIII, XIX, 16; 18; 30; 32: Saemo 10, pp. 296; 298; 310; 312; Explanatio ps. XXXVIII, 11: Saemo 7, p. 340.

(93) Cfr De Isaac vel anima, 4, 33: Saemo 3, p. 70.

(94) Cfr Explanatio ps. XXXVI, 65: Saemo 7, p. 232.

(95) Cfr ibid., 16: l.m., pp. 164-166.

(96) Cfr Explanatio ps. XXXVII, 32: Saemo 7, pp. 292-294; De Iacob et vita beata, I, 7, 27: Saemo 3, p. 256.

(97) Cfr De fide, II, 11, 95: Saemo 15, p. 172.

(98) De virginitate, 16, 99: Saemo 14II, p. 80.

(99) De bono mortis, 12, 53: Saemo 3, p. 202.

(100) Ibid., 12, 55: l.m., p. 204.

(101) De sacramentis, II, 7, 23: Saemo 17, p. 70.

(102) Ioannes Paulus PP. II, Epist. Ap. Tertio millennio adveniente (10 Novembris 1994), 41: AAS 87 (1995), 32.

(103) De sacramentis, IV, 4, 16: Saemo 17, p. 94; cfr Explanatio ps. XXXVIII, 25: Saemo 7, p. 358.

(104) Ibid., V, 4, 25: l.m., p. 114.

(105) Hymni, II: Saemo 22, pp. 36-38.

(106) De sacramentis, V, 3, 17: Saemo 17, p. 108.

(107) Explanatio ps. I, 33: Saemo 7, p. 80.

(108) Cfr Ioannes Paulus PP. II, Epist. Ap. Tertio millennio adveniente (10 Novembris 1994), 41: AAS 87 (1995), 32.

(109) Exameron, III, XIII, 55: Saemo 1, p. 170.

(110) Cfr VI, 104-105 (pagani); 106 (Hebraei); 107-109 (catechumeni): Saemo 12, pp. 86-92.

(111) Paulinus, Vita Ambrosii, 36, 1-2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 100.

(112) Expositio ev. sec. Lucam, II, 26: Saemo 11, p. 168.

(113) Ioannes Paulus PP. II, Epist. Ap. Tertio millennio adveniente (10 Novembris 1994), 43: AAS 87 (1995), 32.

(114) Expositio ev. sec. Lucam, II, 26: Saemo 11, p. 168.

(115) De virginitate, 65: Saemo 14II, p. 56.

(116) Expositio ps. CXVIII, V, 9: Saemo 9, p. 204; cfr ibid., III, 8: l.m., pp. 130-132; Expositio ev. sec. Lucam, VI, 32-33: Saemo 12, pp. 32-34.

(117) De institutione virginis, 7, 49: Saemo 14II, p. 148; cfr Ep. extra coll. 14, 110: Saemo 21, p. 320.

(118) Ep. extra coll. 14, 113: Saemo 21, p. 320.

Augustinus
07-12-03, 11:52
GIOVANNI PAOLO II

EPISTOLA APOSTOLICA
OPEROSAM DIEM

AL CARDINALE ARCIVESCOVO E AL CLERO ALLE PERSONE CONSACRATE E AI FEDELI LAICI
DELL'ARCIDIOCESI MILANESE
NEL XVI CENTENARIO DELLA MORTE DI
SANT'AMBROGIO VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA

INDICE

I. Ambrogio Vescovo . . . . . .

II. « Lo sguardo fisso sulla Parola di Dio »

III. « Cristo è tutto per noi » . . . . .

IV. « La sobria ebbrezza dello Spirito » .

V. Al servizio dell'unità . . . . . .

VI. « Sia in ciascuno l'anima di Maria » .
*******
Al Venerato Fratello
Carlo Maria Cardinale Martini
Arcivescovo di Milano

1. Il 4 aprile 397 Ambrogio di Milano concludeva la sua laboriosa giornata terrena generosamente spesa a servizio della Chiesa. Negli ultimi giorni, ricorda il suo segretario e biografo Paolino, « aveva visto il Signore Gesù venire a lui e sorridergli... E proprio quando ci lasciò per volare al Signore, dalle ore cinque del pomeriggio fino all'ora in cui rese l'anima, pregò con le braccia aperte in forma di croce ». (1) Era l'alba del Sabato Santo. Il Vescovo lasciava questa terra per unirsi a Cristo Signore, che egli aveva intensamente desiderato e amato.

Avvicinandosi la XVI ricorrenza centenaria di quel giorno, Ella, signor Cardinale, mi ha chiesto che la morte del grande Pastore possa essere commemorata con la celebrazione di un « Anno Santambrosiano », e che all'evento sia dedicata una speciale Lettera apostolica.

Mi è assai gradito accedere al Suo desiderio, perché, come Ella ha scritto, sant'Ambrogio è stato ed è un dono per l'intera Chiesa, alla quale ha lasciato un tesoro singolarmente ricco di dottrina e di santità.

2. Tutto in lui si compose in armonia e trovò unità nel servizio episcopale, compiuto con dedizione senza riserve. « Chiamato all'episcopato dal frastuono delle liti del foro e dal temuto potere della pubblica amministrazione », (2) Ambrogio modellò la sua vita sulle esigenze di quel ministero che la Provvidenza gli poneva nelle mani e nel cuore; ad esso dedicò le sue energie, la sua esperienza e le sue ricche doti e capacità. Pastore forte e mite insieme, uomo del monito e uomo del perdono, deciso contro l'errore e paziente con gli erranti, esigente coi sovrani e rispettoso dello Stato, in rapporto con gli imperatori e vicino al suo popolo, studioso profondo e instancabile uomo d'azione, Ambrogio si staglia sullo sfondo delle tormentate vicende del suo tempo come figura di straordinario rilievo, il cui influsso, valicati i secoli, permane vivo anche oggi. (3)

La commemorazione centenaria della sua morte, iniziando il 6 dicembre prossimo, coinciderà praticamente con l'anno 1997 che, secondo le indicazioni date nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, apre la seconda fase preparatoria del grande Giubileo del 2000. (4) È in questa prospettiva che vorrei soffermarmi a riflettere sulla persona e sull'opera di sant'Ambrogio per trarne ulteriori stimoli spirituali in vista di quella storica scadenza. Confido infatti che il ricordo di così insigne Pastore, ravvivato dalla celebrazione dell'« Anno Santambrosiano », aiuti codesta diletta Arcidiocesi ad entrare in modo sempre più profondo nello spirito della preparazione della ricorrenza due volte millenaria della nascita di Cristo.

I

AMBROGIO VESCOVO

3. Per la Chiesa di Milano sarà certamente motivo di gioia mettersi in ascolto con rinnovato interesse del suo antico Pastore, e quasi rifare l'esperienza di quegli innumerevoli fedeli — umili o altolocati, anonimi o illustri — che si lasciarono illuminare dalla sua parola e, guidati da lui, raggiunsero Cristo. Passato e presente si intrecciano nella fede vissuta di ciascuna comunità ecclesiale. È proprio dei Santi, infatti, restare misteriosamente « contemporanei » di ogni generazione: è la conseguenza del loro profondo radicarsi nell'eterno presente di Dio. Ambrogio, in qualche modo, parla ancora dalla cattedra milanese, e la sua voce è accolta e desiderata da tutta la Chiesa. Mossi da questa consapevolezza, vogliamo cercare di raccoglierne i tratti salienti, per meglio aprirci alla sua testimonianza e al suo messaggio. A questa riscoperta ci spinge anche l'amore che la Chiesa inculca verso coloro che, eminenti per santità e dottrina nei primi secoli cristiani, a ragione vengono chiamati e sono « padri » nella fede. Ambrogio lo è a titolo davvero speciale.

4. È a tutti nota la singolarità della sua elezione, che il biografo Paolino attribuisce all'ispirata iniziativa di un fanciullo, a cui peraltro corrispose la piena fiducia del popolo e del clero e, successivamente, la soddisfazione dello stesso imperatore. (5) Ambrogio, nato da genitori cristiani, ma rimasto catecumeno secondo un uso non infrequente nelle famiglie ragguardevoli del tempo, aveva percorso con onore la carriera politica, prima a Sirmio nella prefettura d'Italia, di Illirico e d'Africa, quindi a Milano come consularis, con la responsabilità di governo della provincia di Emilia - Liguria. Qui aveva potuto constatare la grave situazione della Chiesa milanese, disorientata dal governo quasi ventennale del Vescovo ariano Aussenzio, divisa e fortemente provata dal diffondersi di questa eresia.

5. Ritenendosi impreparato ad assumere l'ufficio episcopale, egli tentò ripetutamente di sottrarsi a quella nomina, ma alla fine si piegò all'insistenza del popolo che, avendolo apprezzato per l'equanimità e la dirittura nell'incarico di governatore, nutriva fondata fiducia nella sua capacità di guidare con saggezza la comunità ecclesiale. Accettò quindi di ricevere il battesimo, che gli fu amministrato da un Vescovo cattolico il 30 novembre 374; e il 7 dicembre successivo fu ordinato Vescovo. (6)

Nei primi anni, con intima sofferenza e schietta umiltà, dovette riconoscere il contrasto fra la sua impreparazione specifica e il dovere impellente di insegnare ai fedeli e di operare le necessarie scelte pastorali. (7) Ma volle subito gettare le basi di un'accurata preparazione teologica e, con il consiglio e il sostegno del presbitero Simpliciano, che fu poi suo successore nella sede di Milano, si dedicò con cura allo studio biblico e teologico, approfondendo le Scritture e attingendo alle fonti più autorevoli dei grandi Padri e scrittori ecclesiastici antichi, sia latini che greci, primo fra tutti Origene, suo costante maestro e ispiratore.

Nelle omelie e negli scritti Ambrogio in gran parte riproponeva quanto aveva intelligentemente assimilato, ma insieme lo arricchiva col suo genio, rinvigorendo l'esposizione, coniando formule sintetiche particolarmente efficaci e introducendo concreti adattamenti alla situazione dei suoi ascoltatori e lettori. Così, dallo studio costantemente ravvivato della dottrina cattolica, nasceva un ricco e fruttuoso insegnamento e insieme si dispiegava un'articolata azione pastorale.

6. Subito Ambrogio volle accogliere quanti si erano sbandati dietro all'arianesimo. Di regola non cercava di strapparli bruscamente alle spire dell'eresia, neppure quando si trattava di membri del clero, (8) e ciò non per un improvvido compromesso, ma con il lodevole intento di promuovere un'adesione convinta alla retta fede trinitaria attraverso una predicazione rigorosa e articolata. E fra il 378 e il 382 divulgò il frutto di quegli insegnamenti nei trattati De fide, De Spiritu Sancto e De incarnationis dominicae sacramento.

Gli esiti positivi di questa strategia pastorale si toccarono con mano quando, nella primavera del 385 e soprattutto in quella dell'anno seguente, l'autorità imperiale fomentò l'opposizione ariana e pretese per essa la cessione di una basilica. La gente allora si strinse attorno al Vescovo, mostrando quanto efficace fosse stata la sua parola e, al tempo stesso, quanto falsamente gonfiata fosse l'esigenza avanzata dalla corte. In quei frangenti i commercianti sopportarono persino tasse imposte proprio con l'intento di staccarli dal Vescovo: ma non lo vollero privare del proprio sostegno. (9) E quando si giunse a minacciare Ambrogio e ad accerchiare le chiese, il popolo vegliò insieme al suo Pastore, condividendone la trepidazione, la lotta, la preghiera. Alla fine l'autorità imperiale cedette, e il Vescovo poteva confidare alla sorella Marcellina: « Quale fu, allora, l'allegrezza di tutta la gente, quale il plauso di tutto il popolo, quale la riconoscenza! ». (10) Eletto per la decisa volontà dei Milanesi, Ambrogio seppe coltivare un'intesa profonda con la sua comunità, mirabilmente ancorandola ai princìpi della fede cattolica.

7. Nella società romana in disfacimento, non più sorretta dalle antiche tradizioni, era inoltre necessario ricostruire un tessuto morale e sociale che colmasse il pericoloso vuoto di valori che si era venuto creando. Il Vescovo di Milano volle dar risposta a queste gravi esigenze, non operando soltanto all'interno della comunità ecclesiale, ma allargando lo sguardo anche ai problemi posti dal risanamento globale della società. Consapevole della forza rinnovatrice del Vangelo, vi attinse concreti e forti ideali di vita e li propose ai suoi fedeli, perché ne nutrissero la propria esistenza e facessero così emergere, a servizio di tutti, autentici valori umani e sociali.

Non esitò quindi a manifestare la sua chiara opposizione, quando nel 384 il praefectus Urbi Simmaco avanzò all'imperatore Valentiniano II la domanda di ripristinare in Senato la statua della dea Vittoria. A chi pensava di salvare la « romanità » facendo ritorno a simboli e pratiche ormai desuete e senza vita, Ambrogio obiettò che la tradizione romana, con i suoi antichi valori di coraggio, di dedizione e di onestà, poteva essere assunta e rivitalizzata proprio dalla religione cristiana. Il vecchio culto pagano — notava il Vescovo di Milano — accomunava Roma ai barbari proprio e solo nell'ignoranza di Dio; (11) ma ora che finalmente la grazia si è diffusa tra i popoli, « a buon diritto è stata preferita la verità ». (12)

8. La forza rinnovatrice del Vangelo apparve evidente negli interventi dedicati dal Vescovo alla difesa della giustizia sociale, in particolare nei tre libretti De Nabuthae, De Tobia, De Helia et ieiunio. Ambrogio stigmatizza l'abuso delle ricchezze, denuncia le sperequazioni e i soprusi con cui i pochi abbienti sfruttano a proprio vantaggio le situazioni di disagio economico e di carestia, condanna coloro che, fingendo di aiutare per carità, dànno poi a prestito con una pesantissima usura. Su tutto e su tutti fa riecheggiare i suoi moniti: « Una medesima natura è madre di tutti gli uomini, e perciò siamo tutti fratelli generati da un'unica e medesima madre, legati da un medesimo vincolo di parentela »; (13) « tu non dài del tuo al povero, ma gli rendi il suo ». (14) Specificamente riguardo all'usura si domanda: « Che c'è di più crudele del dare il tuo denaro a chi non ne ha ed esigerne il doppio? » (15) Per la salvezza stessa dei popoli, spesso schiacciati dal peso dei debiti, Ambrogio riteneva dovere dei Vescovi adoperarsi ad estirpare tali vizi e a promuovere gli slanci di un'operosa carità.

Comprensibile dunque il suo impeto di gioia, e si direbbe la sua umile fierezza di padre, quando gli giunse notizia che un suo eminente figlio spirituale, Paolino da Bordeaux, ex senatore e futuro Vescovo di Nola, aveva deciso di lasciare i suoi beni ai poveri, per ritirarsi, insieme con la moglie Terasia, a condurre vita ascetica nella cittadina campana. Esempi come questo — osservava Ambrogio in una sua lettera (16) — erano destinati a produrre clamore e scandalo in una società prigioniera dell'edonismo, ma incarnavano, con l'efficacia insostituibile della testimonianza, la grande sfida morale del cristianesimo.

9. Tutta la vita doveva essere rinnovata dal lievito del Vangelo. Al riguardo Ambrogio prospetta ai suoi fedeli un itinerario spirituale chiaro ed impegnativo, fatto di ascolto della Parola di Dio, di partecipazione ai Sacramenti e alla preghiera liturgica, di sforzo morale ispirato alla concreta osservanza dei comandamenti. Chi legge gli scritti del santo Vescovo si accorge che questi sono gli elementi, semplici e necessari, continuamente richiamati nella sua predicazione e nella sua attività pastorale. Su queste realtà Ambrogio viene costruendo giorno per giorno una comunità viva, nutrita dei valori evangelici e segno non equivoco per la società del suo tempo.

Ne fu vivamente impressionato, tra gli altri, Agostino, giunto a Milano nell'autunno del 384. Pur inizialmente attratto soltanto dallo stile oratorio del Vescovo, ben presto sperimentò la concretezza e il fascino della vita della Chiesa di Milano: « Vedevo la chiesa piena, e in essa l'uno avanzare in un modo, l'altro in un altro », ricorderà con ammirazione molti anni dopo. (17) Non era riuscito ad ottenere dal Vescovo incontri prolungati e confidenziali, ma aveva visto nella Chiesa da lui guidata una manifestazione eloquente della sua saggezza pastorale e aveva potuto compiere una verifica convincente della validità del suo insegnamento spirituale. Giustamente perciò considerò Ambrogio, dal quale ricevette anche il Battesimo, padre della sua fede.

10. Non è possibile passare in rassegna dettagliatamente tutti gli interventi dell'infaticabile Pastore, che in vario modo contribuirono a vivificare la comunità e ad immettere energie nuove e vigorose nella società. Ma è almeno opportuno elencarne i più significativi.

Al primo posto porrei la premura che egli ebbe per la formazione dei sacerdoti e dei diaconi. Li voleva pienamente conformati a Cristo, posseduti totalmente da Lui (18) e corredati delle più solide virtù umane: l'ospitalità, l'affabilità, la fedeltà, la lealtà, una generosità che aborrisse l'avarizia, la riflessività, un pudore incontaminato, l'equilibrio, l'amicizia. Esigente quanto paterno, il suo affetto per i sacerdoti era davvero traboccante: « Per voi, che ho generato nel Vangelo, non nutro minor amore che se vi avessi avuto nel matrimonio ». (19)

Ugualmente intensa, fin dalla sua prima predicazione giunta a noi nel De virginibus, fu la cura delle vergini consacrate. Ambrogio vedeva la loro vocazione radicata nel mistero stesso del Verbo Incarnato: « E chi possiamo credere che ne sia il suo autore, se non l'immacolato Figlio di Dio, la cui carne non ha visto la corruzione, la cui divinità non ha conosciuto contaminazione? »; (20) e nella testimonianza delle vergini segnalava una risposta provocatoria, forte e concreta, al ruolo umiliante in cui la decadente società romana aveva relegato la donna.

Costante fu pure l'attenzione di Ambrogio per il culto dei martiri. Con il rinvenimento delle loro reliquie e la venerazione ad essi tributata egli intendeva proporre ai credenti modelli di una sequela di Cristo impavida e generosa; e non mancava di metterli in guardia contro i pericoli dei tempi di pace, quando ai persecutori violenti si sostituiscono quelli più subdoli che « senza ricorrere alla minaccia della spada, stritolano spesso lo spirito dell'uomo, quelli che espugnano l'animo dei credenti più con le lusinghe che con le minacce ». (21)

Anche le celebrazioni liturgiche, nutrite dalle spiegazioni catechetiche del Vescovo e animate dalla sua genialità poetica, diventavano momento comunitario di validissima formazione e di incisiva testimonianza. Basti pensare agli inni, da lui composti e sperimentati nelle lunghe ore di veglia durante l'accerchiamento delle chiese: « Dicono che il popolo è stato abbindolato dall'incantesimo dei miei inni », ribatteva agli ariani che lo accusavano. « Proprio così: non lo nego. È un grande incantesimo, il più potente di tutti. Che c'è infatti di più potente del confessare la Trinità, che ogni giorno viene esaltata dalla bocca di tutto il popolo? A gara, tutti vogliono proclamare la loro fede, tutti hanno imparato a lodare in versi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Sono dunque diventati tutti maestri, quelli che a malapena potevano essere discepoli ». (22)

11. Pastore attivissimo, Ambrogio fu certamente uomo di intenso raccoglimento e di profonda contemplazione. Era capace di grande concentrazione: per questo le sue letture poterono prepararlo al ministero in così breve tempo e fra attività tanto numerose. Amava il silenzio; e Agostino, che lo trovò assorto nello studio, non ardì neppure parlargli: « Chi infatti avrebbe osato disturbarlo nella sua concentrazione? ». (23) Da quel raccoglimento nasceva la sua penetrazione delle Scritture e la spiegazione che ne offriva nelle omelie e nei commentari.

Da lì nasceva anche la profonda spiritualità del Vescovo. Il biografo Paolino ne sottolinea l'ascesi: « Era uomo di grande astinenza e di molte veglie e fatiche, e macerava il corpo con quotidiano digiuno... Grande era anche l'assiduità alla preghiera, di notte e di giorno ». (24) Al centro della sua spiritualità stava Cristo, ricercato e amato con intenso trasporto. A Lui tornava continuamente nel suo insegnamento. Su Cristo si modellava pure la carità che egli proponeva ai fedeli e che testimoniava di persona accogliendo « caterve di gente affannata che soccorreva nell'angustia », come ci ricorda Agostino. (25)

12. Mancherebbe un elemento caratteristico a questo pur rapido ritratto dell'uomo e del Vescovo, se non gettassimo almeno uno sguardo al suo rapporto con l'autorità civile. Era ancora vivo il ricordo delle intromissioni nella vita e nella dottrina della Chiesa compiute nei decenni precedenti dagli imperatori cristiani, che talora avevano sostenuto la parte ariana e in ogni caso avevano creato gravi disagi e spaccature nella comunità dei credenti. Fatto Vescovo, Ambrogio confermò in molte situazioni il suo spiccato lealismo nei confronti dello Stato, ma sentì anche il dovere di promuovere un più corretto rapporto tra Chiesa e Impero, (26) reclamando per la prima una precisa autonomia nel suo proprio ambito. In questo modo egli non solo difendeva i diritti di libertà della Chiesa, ma poneva anche un argine all'assolutismo senza limiti dell'autorità imperiale, favorendo così la rinascita delle antiche libertà civili, nell'alveo della migliore tradizione romana.

Era una strada difficile da percorrere, tutta da inventare; ed Ambrogio dovette di volta in volta precisare meglio modalità e stile. Se gli riuscì di coniugare fermezza ed equilibrio negli interventi già menzionati — nella questione cioè dell'altare della Vittoria e quando fu richiesta una basilica per gli ariani — inadeguato si rivelò invece il suo giudizio nell'affare di Callinico, quando nel 388 venne distrutta la sinagoga di quel lontano borgo sull'Eufrate. Ritenendo infatti che l'imperatore cristiano non dovesse punire i colpevoli e neppure obbligarli a porre rimedio al danno arrecato, (27) andava ben oltre la rivendicazione della libertà ecclesiale, pregiudicando l'altrui diritto alla libertà e alla giustizia.

Fu all'opposto mirabile il suo atteggiamento nei confronti dello stesso Teodosio, due anni più tardi, all'indomani della strage di Tessalonica, ordinata per vendicare l'uccisione di un comandante. All'imperatore, che si era macchiato di una colpa tanto grave, il Vescovo indicò, con tatto e fermezza, la necessità di sottoporsi a penitenza, (28) e Teodosio, accogliendo l'invito, « pianse pubblicamente nella Chiesa il suo peccato » e « con lamenti e lacrime invocò il perdono ». (29) In questo celebre episodio Ambrogio aveva saputo incarnare al meglio l'autorità morale della Chiesa, facendo appello alla coscienza dell'errante, senza riguardo al suo potere, ed ergendosi a vindice del sangue ingiustamente e crudelmente versato.

13. Veramente grande la figura di questo santo Vescovo, e straordinariamente efficace l'opera che egli svolse per la Chiesa e la società del suo tempo! Auspico che il suo esempio di uomo, di sacerdote, di pastore dia rinnovato impulso alla presa di coscienza di cui tutti i fedeli del nostro tempo — Vescovi, presbiteri, anime consacrate e laici cristiani — hanno bisogno per ispirare la propria vita al Vangelo, e farsene apostoli sempre più ardenti alle soglie ormai del terzo millennio cristiano.

II

« LO SGUARDO FISSO SULLA PAROLA DI DIO » (30)

14. Insieme con Gerolamo, Agostino e Gregorio Magno, il santo Vescovo di Milano è uno dei quattro Dottori, a cui la Chiesa latina guarda con particolare venerazione. Desidero perciò portare speciale attenzione a questo versante della sua personalità accostandolo nella prospettiva del prossimo Giubileo.

Una prima indicazione ci viene offerta dal ruolo che ebbe nella vita di Ambrogio la parola di Dio. « Per conoscere la vera identità di Cristo — ho scritto nella Tertio millennio adveniente — occorre che i cristiani [...] tornino con rinnovato interesse alla Bibbia ». (31) Ambrogio può esserci maestro e guida: egli fu, infatti, un cospicuo esegeta della Bibbia, che assumeva come oggetto abituale della sua catechesi. Tutte le sue opere sono una spiegazione dei Libri ispirati.

Il santo Vescovo ha dedicato un'intera Expositio al Vangelo secondo Luca e in molti suoi scritti, soprattutto in alcune lettere, ama commentare l'epistolario paolino riproponendo con viva partecipazione il pensiero dell'Apostolo. Ma è soprattutto sui libri dell'Antico Testamento che egli si sofferma con particolare predilezione. In essi trova una lunga e ardente preparazione alla venuta di Cristo, come un'« ombra » che, in modo ancora imperfetto ma già sapientemente tratteggiato, preannuncia la rivelazione piena del Vangelo.

Leggendo in profondità le pagine bibliche dell'uno e dell'altro Testamento, sulla scia della concorde tradizione patristica, Ambrogio invita a raccogliere, oltre il senso letterale, sia un senso morale, che illumina il comportamento, sia un senso allegorico-mistico, che permette di rinvenire nelle immagini e negli episodi narrati il mistero di Cristo e della Chiesa. Così, in particolare, molti personaggi dell'Antico Testamento appaiono « tipi » e anticipazioni della figura di Cristo. Leggere le Scritture è leggere Cristo. Per questo Ambrogio raccomanda vivamente la lettura integrale della Scrittura: « Bevi dunque tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo. Bevi Cristo, che è la vite; bevi Cristo, che è la pietra che ha sprizzato l'acqua; bevi Cristo, che è la fontana della vita; bevi Cristo, che è il fiume la cui corrente feconda la città di Dio; bevi Cristo che è la pace ». (32)

15. Ambrogio sa che la conoscenza delle Scritture non è facile. Nell'Antico Testamento vi sono pagine oscure che ricevono piena luce solo nel Nuovo. Cristo ne è la chiave, il rivelatore: « Grande è l'oscurità delle Scritture profetiche! Ma se tu bussassi con la mano del tuo spirito alla porta delle Scritture, e se esaminassi con scrupolosità ciò che vi è nascosto, a poco a poco cominceresti a raccogliere il senso delle parole, e ti sarebbe aperto non da altri, ma dal Verbo di Dio [...] perché solo il Signore Gesù nel suo Vangelo ha tolto il velo degli enigmi profetici e dei misteri della Legge; egli solo ci ha fornito la chiave del sapere e ci ha dato la possibilità di aprire ». (33)

La Scrittura è un « mare, che racchiude in sé sensi profondi e abissi di enigmi profetici: in questo mare si sono riversati moltissimi fiumi ». (34) Dato questo suo carattere di parola viva e insieme complessa, la Scrittura non può essere letta con superficialità. Essa schiude i suoi tesori a chi la accosta con vivo desiderio, con animo veramente assetato di luce, seguendo l'esempio dell'orante descritto nel Salmo 118: « Si consumano i miei occhi dietro la tua Parola » (v. 82). Come la giovane sposa — commenta Ambrogio con vivida immagine — corre alla riva del mare scrutando ogni nave che possa recarle il suo sposo, così il salmista « abbandonava tutte le preoccupazioni di questo tempo e, da custode sempre all'erta, teneva fisso lo sguardo degli occhi interiori, in vista della parola di Dio ». (35) Lo stesso Vescovo impersonava questo orante colmo di desiderio; e impegnava i suoi fedeli a fare altrettanto.

Chiedeva loro anche di « ruminare » la Parola, perché essa è cibo sostanzioso, che esige di essere ripreso più volte con pazienza e costanza, in una continua meditazione: solo così potrà sprigionare le inesauribili sostanze nutritive che racchiude. « Procuriamo alla nostra mente questo cibo che, triturato e reso farinoso da una lunga meditazione, dia forza al cuore dell'uomo, come la manna celeste: cibo che non abbiamo ricevuto già triturato e farinoso, senza aver fatto fatica. Per ciò è necessario triturare e rendere farinose le parole delle Scritture celesti, impegnandoci con tutto l'animo e con tutto il cuore, affinché la linfa di quel cibo spirituale si diffonda in tutte le vene dell'anima ». (36) E ancora: « Rifletti dunque tutto il giorno sulla Legge [...] Prenditi come consiglieri Mosè, Isaia, Geremia, Pietro, Paolo, Giovanni, e lo stesso eccelso consigliere Gesù, se vuoi acquistare il Padre. Con loro devi trattare, con loro devi confrontarti tutto il giorno, devi tutto il giorno riflettere ». (37)

16. Ambrogio spiega costantemente ai suoi fedeli le Scritture proclamate nella liturgia. Egli le pone ad ispirazione e a fondamento dell'intera sua predicazione e dei suoi scritti: dei commentari biblici, delle lettere, dei discorsi esequiali, dei trattati a sfondo sociale, delle opere di contenuto spiccatamente spirituale. Il suo stile è impregnato di immagini e di espressioni bibliche: si direbbeche egli non soltanto parli della Bibbia, ma parli la Bibbia, divenuta come la sostanza intima del suo pensiero e della sua parola. Così i Sacri Testi nutrono gli ascoltatori, che ne diventano conoscitori sempre più competenti. La Chiesa guidata da Ambrogio ci appare veramente formata e plasmata dalla Parola di Dio.

Desidero vivamente che il suo esempio spinga a porre la Bibbia sempre più al centro della vita cristiana e a leggerla con quella fede e con quella profondità di cui il Vescovo di Milano è stato esimio modello e sicuro maestro.

III

« CRISTO E TUTTO PER NOI » (38)

17. L'Anno Santambrosiano coincide con il periodo che, nell'itinerario di preparazione al Giubileo, sarà « dedicato alla riflessione su Cristo, Verbo del Padre, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo. Occorre infatti porre in luce il carattere spiccatamente cristologico del Giubileo, che celebrerà l'Incarnazione del Figlio di Dio, mistero di salvezza per tutto il genere umano ». (39)

Nella scia del Concilio di Nicea, di cui fu energico difensore, sant'Ambrogio è stato un riconosciuto maestro della dottrina cristologica e trinitaria. L'insegnamento del Vescovo di Milano ha in Cristo il suo centro unificante; da Lui riceve il suo splendore teologico e la sua forza di attrazione per la vita spirituale. Ripercorrerne i punti salienti è perciò di particolare significato anche per la preparazione al Millennio che viene.

18. In molti suoi scritti, a partire dalla triade De fide, De Spiritu Sancto e De incarnationis dominicae sacramento, Ambrogio espone il suo insegnamento sulla Trinità, sulla quale propone lucide considerazioni che serviranno da modello nell'ulteriore sviluppo della teologia trinitaria in Occidente, senza tuttavia dimenticare che il mistero di Dio supera sempre la nostra comprensione e le nostre affermazioni. (40) « Abbiamo infatti appreso che vi è una distinzione tra "il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo" (Mt 28, 19), non una confusione; una distinzione, non una separazione; una distinzione, non una pluralità; [...] per divino e mirabile mistero il Padre sussiste sempre, sempre sussiste il Figlio, sempre lo Spirito Santo [...]. Conosciamo la distinzione, ma ignoriamo i segreti; non indaghiamo le cause, custodiamo i misteri ». (41)

Riguardo al Figlio, Ambrogio ricorda che egli « è sempre col Padre, sempre nel Padre »; (42) dal Padre, fonte dell'essere, egli viene generato: « Questi segni caratterizzano il Figlio di Dio in modo tale che da essi tu ricavi che il Padre è eterno, e ugualmente il Figlio non è diverso da lui; dal Padre è il Figlio; da Dio è il Verbo; riflesso della sua gloria, impronta della sua sostanza, specchio della maestà di Dio, immagine della sua bontà; sapienza che proviene da colui che è sapiente; potenza da colui che è forte; verità da colui che è vero; vita da colui che è vivo ». (43)

Cristo viene nel mondo per rivelare il Padre: « Egli è l'eterno splendore dell'anima, che il Padre ha mandato sulla terra proprio per questo: per darci la possibilità di contemplare, nella luce del suo volto, le realtà eterne e celesti, prima a noi precluse dalla caligine che ci opprimeva ». (44)

19. Sant'Ambrogio ha una visione unitaria del piano divino della salvezza: preannunziato da Dio nell'Antico Patto, esso è stato realizzato nel Nuovo con la venuta di Cristo, che ha rivelato al mondo il volto del Padre e la luce della Trinità. Il Cristo Redentore è anzi già velatamente significato nell'opera stessa della creazione, in quel riposo che Dio si concede dopo aver creato l'uomo. « A questo punto, osserva Ambrogio, Dio si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati. O forse già allora si preannunciò il mistero della futura passione del Signore, col quale si rivelò che Cristo avrebbe riposato nell'uomo, egli che predestinava a se stesso un corpo umano per la redenzione dell'uomo ». (45) Il riposo di Dio prefigurava quello di Cristo in croce nella morte redentrice; e la passione del Signore veniva così a collocarsi dall'inizio, in un progetto di universale misericordia, come il senso e il fine della creazione stessa.

20. Del mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l'ardore di uno che è stato letteralmente afferrato da Cristo, e tutto vede nella sua luce. La riflessione che egli sviluppa sgorga dalla contemplazione affettuosa e spesso prorompe in preghiere, vere elevazioni dell'anima nel bel mezzo di trattazioni impegnative: il Salvatore è venuto nel mondo « per me », « per noi », sono espressioni che ritornano con frequenza nelle sue opere. (46)

Annunciato, in qualche modo, in tutti i Libri dell'antica Scrittura, (47) il Verbo scende dal seno del Padre e adempie la sua missione in successive tappe, che il Vescovo, ispirandosi al Cantico dei cantici, paragona ai salti di un cerbiatto mosso dall'amore per l'umanità e per la Chiesa. (48) Con l'Incarnazione, il Verbo prende « l'aspetto di servo, cioè la pienezza della perfezione umana »; (49) ed assume in sé, nella sua carne, tutta l'umanità, conferendole un privilegio di cui nemmeno gli angeli partecipano. (50)

Se nell'Incarnazione il Cristo si è legato a noi con vincoli d'amore, (51) nella sua Passione, subìta per la Redenzione del mondo, questo amore ha brillato in mezzo ai contrasti più profondi di umiliazione-esaltazione del Crocifisso; (52) il suo obbrobrio ha tolto gli obbrobri di tutti, (53) le lacrime, da lui versate sulla Croce, ci hanno lavati. (54) La Redenzione di Cristo è universale: (55) « Nel Redentore di tutti non entrava un solo uomo, ma tutto quanto il mondo »; (56) « Lui si è umiliato, perché tu fossi esaltato ». (57)

21. Di qui fioriscono nelle opere di Ambrogio tutte quelle definizioni e appellativi del Redentore, che ce lo tratteggiano nella sua grandezza e benevolenza. Cristo si è fatto tutto a tutti; (58) egli è la pienezza e l'ampiezza; (59) è il fine della Legge; (60) il fondamento di tutte le cose e il capo della Chiesa, (61) la sorgente della vita; (62) « la sua morte è vita, la sua ferita è vita, il suo sangue è vita, la sua sepoltura è vita, la sua risurrezione è vita di tutti ». (63) Egli è « l'espiazione universale, il riscatto universale », (64) il re e mediatore, (65) il sole di giustizia, (66) luce, (67) fuoco, (68) via, (69) gioia, (70) l'unico in cui gloriarci nonostante i nostri peccati; (71) si è fatto povero per noi, (72) umile per insegnarci l'umiltà, (73) nostro compagno; (74) Egli è buono, anzi la bontà stessa: (75) « Questo "bene" venga nella nostra anima, nell'intimo della nostra mente [...] Questi è il nostro tesoro, questi è la nostra via, questi è la nostra sapienza, la nostra giustizia, il nostro pastore e il buon pastore, questi è la nostra vita. Tu vedi quanti beni ci sono in un solo bene ». (76)

22. Nel presentare la figura di Cristo, il Vescovo Ambrogio anticipa le formidabili tematiche che nei secoli successivi verranno affrontate nei grandi Concili cristologici; e con magistrale sintesi ci parla dell'unico Cristo Signore, nella duplice natura divina e umana. Ecco un esempio fra i molti, tratto dal secondo libro del De fide: « Manteniamo la distinzione tra la natura divina e la carne! In entrambe parla il solo Figlio di Dio, poiché nel medesimo si trova l'una e l'altra natura; anche se è il medesimo a parlare, non parla però sempre in un solo modo. Osserva in lui ora la gloria di Dio, ora le passioni dell'uomo. In quanto Dio, dice le cose che sono di Dio, poiché è il Verbo; in quanto uomo, dice le cose che sono dell'uomo, poiché parla nella mia sostanza ». (77) Per la sua completezza e precisione questo brano fu ripreso negli atti dei Concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451) e nel Sinodo Lateranense del 649. Ma numerosi testi del Vescovo di Milano vennero citati e meditati in quei frangenti, a partire dal De incarnationis dominicae sacramento tradotto in greco già pochi decenni dopo la morte di Ambrogio, per giungere ai larghi estratti dell'Expositio evangelii secundum Lucam letti e tradotti durante il III Concilio di Costantinopoli del 681.

Così la parola di Ambrogio, appassionato di Cristo Signore, entrava a sostenere e a vivificare le grandi definizioni cristologiche della Chiesa antica.

IV

« LA SOBRIA EBBREZZA DELLO SPIRITO » (78)

23. Al di là del suo ricco apporto dottrinale, Ambrogio fu soprattutto pastore e guida spirituale. Le sue indicazioni di vita ci aiutano anche a muoverci più speditamente verso l'obiettivo che ho indicato come prioritario nella celebrazione del primo anno di preparazione al terzo Millennio: il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani. Ho scritto al riguardo: « È necessario, pertanto, suscitare in ogni fedele un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo ». (79)

E in funzione di questo esigente ideale di perfezione, a cui tutti siamo chiamati, che desidero soffermarmi ora specificamente sull'insegnamento spirituale del Vescovo di Milano.

24. Per illustrare il cammino spirituale proposto alla Chiesa e a ciascun cristiano, sant'Ambrogio fa uso delle ricche immagini offerte nel Cantico dei cantici: nell'amore dei due sposi vede infatti rappresentato sia il matrimonio di Cristo con la Chiesa, sia l'unione dell'anima con Dio. Due scritti sono, in particolare, dedicati a questo tema: l'ampia Expositio psalmi CXVIII e il piccolo trattato De Isaac vel anima. Nel primo di essi, commentando in stretta connessione sia il Salmo 118, con la sua prolungata meditazione sulla Legge divina, sia ampie sezioni del Cantico dei cantici, il Vescovo insegna che la mistica dell'unione sponsale con Dio deve essere preparata dalla disciplina di una vita virtuosa e che, allo stesso tempo, l'impegno morale del cristiano non è chiuso in sé stesso ma finalizzato all'incontro mistico con Dio.

Per questo, ripercorrendo nel De Isaac le tappe della crescita spirituale, Ambrogio addita la necessità di un lungo e impegnativo cammino di ascesi e di purificazione, raccomandato del resto senza sosta in tutti i suoi scritti. Egli segnala insieme che il progredire di tappa in tappa mira a quell'incontro con lo Sposo divino in cui l'anima sperimenta la pienezza di conoscenza e di unione nell'amore. Allora infatti la sposa del Cantico, conducendo l'amato nella sua casa (cfr Ct 8, 2), « prende dentro di sé il Verbo, per esserne ammaestrata »; (80) e, salendo appoggiata a lui (cfr Ct 8, 5), sperimenta un'intimità totale con il Verbo divino: « Costei, commenta il santo Vescovo, o era adagiata su Cristo o si appoggiava su di lui o certamente, siccome stiamo parlando delle nozze, era stata ormai consegnata alla destra di Cristo e veniva condotta dallo sposo nel talamo ». (81)

25. Chi ha aderito a Cristo, come la sposa allo sposo, è consapevole della presenza di Dio nella sua anima, (82) prende da lui la forza per cercarLo ed entrare in comunione con Lui. (83) Non è mai solo, perché vive con Lui. (84) Cristo infatti ha sete di noi (85) che, fatti per Lui e per Dio Trinità, siamo chiamati a diventare una sola cosa con Lui, mediante la sua inabitazione in noi: (86) « Entri nella tua anima Cristo, abbia dimora nei tuoi pensieri Gesù, per precludere ogni spazio al peccato nella sacra tenda della virtù ». (87)

Così viene sviluppandosi un rapporto sempre più profondo col Cristo: partendo dall'ascesi, condizione ineliminabile per giungere all'intimità con Lui, (88) occorre desiderare Cristo, (89) imitarLo, (90) meditare sulla sua Persona ed i suoi esempi, (91) pregarLo continuamente, (92) cercarLo a lungo, (93) parlare di Lui, (94) esserGli sottomessi in tutto, (95) offrirGli le nostre sofferenze e le nostre prove, (96) trovando in Lui conforto e sostegno. (97)

Ma anche in questa ricerca di Lui, nulla potremmo da noi stessi, perché unicamente Cristo è il mediatore, la guida, la via. « Cristo è tutto per noi » e quindi: « se vuoi curare una ferita, egli è medico; se sei riarso dalla febbre, è fontana; se sei oppresso dall'iniquità, è giustizia; se hai bisogno di aiuto, è forza; se temi la morte, è vita; se desideri il cielo, è via; se fuggi le tenebre, è luce; se cerchi cibo, è alimento ». (98) All'incontro con Cristo è chiamata ad approdare la nostra esistenza: « Andremo là dove ai suoi poveri servi il Signore Gesù ha preparato le dimore, per essere anche noi dove è lui: questo egli ha voluto ». (99) Per questo con sant'Ambrogio possiamo invocare: « Noi ti seguiamo, Signore Gesù: ma chiamaci, perché ti seguiamo: senza di te nessuno potrà salire. Tu infatti sei la via, la verità, la vita, la possibilità, la fede, il premio. Accogli i tuoi: sei la via; confermali: sei la verità; vivificali: sei la vita ». (100)

26. Sant'Ambrogio sottolinea con chiarezza che un simile cammino è proposto a ciascun fedele e alla comunità ecclesiale nel suo insieme. La meta, pur così elevata, non è riservata a pochi eletti, ma tutti i discepoli di Gesù la possono raggiungere, ascoltando la Parola di Dio, partecipando con frutto ai Sacramenti, osservando i comandamenti. Questi sono i cardini della vita spirituale, attraverso i quali si stabilisce quell'intima comunione con Dio che ricolma di grazia la vita del credente.

Per questo le omelie del Vescovo sono colme di spunti morali, proposti agli ascoltatori con passione, incisività e intensa forza di persuasione. Egli si impegna personalmente nella predicazione a coloro che si preparano ai Sacramenti dell'iniziazione cristiana. Spiega loro il valore del Battesimo, mostrandone il nesso profondo con la morte e risurrezione di Cristo e insieme richiamando l'impegno morale che ne deriva: « Come è morto Cristo, così anche tu gusti la morte; come Cristo è morto al peccato e vive per Dio, così anche tu, mediante il sacramento del Battesimo, devi essere morto alle precedenti lusinghe dei peccati ed essere risorto mediante la grazia di Cristo. È una morte, ma non nella realtà d'una morte fisica, bensì in un simbolo. Quando t'immergi nel fonte, assumi la somiglianza della sua morte e della sua sepoltura, ricevi il sacramento della sua croce, perché Cristo fu appeso in croce e il suo corpo fu trafitto dai chiodi. Tu sei crocifisso con lui, sei attaccato a Cristo, sei attaccato ai chiodi di nostro Signore Gesù Cristo, perché il diavolo non ti possa strappare da lui. Mentre la debolezza della natura umana vorrebbe allontanartene, ti trattenga il chiodo di Cristo ». (101)

27. L'approfondimento della dottrina di sant'Ambrogio sul Battesimo ben s'inserisce in quell'« impegno di attualizzazione sacramentale » che, nel cammino verso il Giubileo, dovrà ugualmente distinguere l'anno 1997, facendo leva appunto « sulla riscoperta del Battesimo come fondamento dell'esistenza cristiana ». (102) Ma non meno feconda si rivelerà la ricchissima dottrina sull'Eucarestia: essa è corpo di Cristo, fatto realmente presente dalla parola efficace del sacramento, quella stessa Parola divina che con potenza creò le cose all'inizio del mondo. « Dopo la consacrazione ti dico che ormai c'è il corpo di Cristo. Egli parlò, e fu fatto; egli comandò, e fu creato ». (103) L'Eucarestia è sostentamento quotidiano del cristiano, che ogni giorno viene così unito al sacrificio di salvezza: « Ricevi ogni giorno ciò che ogni giorno ti giova! Vivi in modo da essere degno di riceverlo ogni giorno! [...] Tu senti ripetere che ogni volta che si offre il sacrificio, si annuncia la morte del Signore, la risurrezione del Signore, l'ascensione del Signore e la remissione dei peccati, e tuttavia non ricevi ogni giorno questo pane di vita? ». (104)

28. Nell'inno Splendor paternae gloriae Ambrogio invita a cantare: « Cristo sia nostro cibo, nostra bevanda sia la fede; lieti beviamo la sobria ebbrezza dello Spirito ». (105) Nel De sacramentis, come a commentare le parole dell'inno, il Vescovo incita a gustare il pane eucaristico, in cui « non c'è amarezza, ma ogni soavità », e il vino, che arreca una gioia che « non può essere contaminata dalla sozzura di nessun peccato ». Infatti ogni volta che si beve il calice di Cristo, si riceve la remissione dei peccati e si è inebriati dello Spirito: « Chi si ubriaca di vino, barcolla e tentenna; chi si inebria dello Spirito, è radicato in Cristo. Perciò è un'eccellente ebbrezza, perché produce la sobrietà della mente ». (106) Con l'espressione « sobria ebbrezza dello Spirito », Ambrogio sembra voler sintetizzare la sua concezione della vita spirituale. Ci fa comprendere così che essa è ebbrezza, gaudio e pienezza di comunione con Cristo; ci insegna altresì che non si traduce in una esaltazione scomposta ed entusiasta, ma esige piuttosto una sobrietà operosa; ricorda soprattutto che essa è dono dello Spirito di Dio. Coloro che attingono diligentemente alle Sacre Scritture, ricevono questa ebbrezza che « rinsalda i passi di una mente sobria » e che « irriga il terreno della vita eterna che ci è stato donato ». (107)

La vita spirituale che il Pastore di Milano insegna ai suoi fedeli è insieme esigente e attraente, concreta e immersa nel mistero. Anche per la Chiesa di oggi desidero che risuoni questo suo invito forte e coinvolgente.

V

AL SERVIZIO DELL'UNITA'

29. L'esigente cammino spirituale, tracciato da Ambrogio, porta il credente ad una crescente comunione con Cristo. Questa, peraltro, non può non esprimersi anche in comunione d'anima e di cuore (cfr At 4,32) con i fratelli nella fede. Il Vescovo di Milano lo sa e lo testimonia nei suoi scritti. E, questo, un aspetto del suo insegnamento singolarmente stimolante per quanti sono impegnati sul fronte dell'ecumenismo. Come dimenticare che Ambrogio, venerato ad Occidente come ad Oriente, è uno dei grandi Padri della Chiesa ancora indivisa? Certo anche al suo tempo, come abbiamo visto, erano tutt'altro che assenti contrasti anche ampi e laceranti, dovuti ad errori dottrinai e a diversi altri fattori. Ma era insieme forte il bisogno di tornare alla comunione di fede e di vita ecclesiale. La testimonianza di Ambrogio, letta in questa chiave, può offrire un contributo notevole alla causa dell'unità. Anche in questo peraltro la sua commemorazione coincide con uno degli obiettivi qualificanti nel cammino verso il Giubileo dell'Anno 2000. (108)

In effetti, la valenza ecumenica della sua personalità presenta diversi aspetti degni di considerazione. Basta pensare, per la dimensione più propriamente dottrinale, alle nitide formulazioni cristologiche del Pastore di Milano, tradotte e apprezzate anche in ambito greco e nei concili del V e del VII secolo, e che spiegano la stima che Ambrogio gode a tutt'oggi presso i nostri fratelli d'Oriente. Anche la sua adamantina figura di Vescovo della città imperiale, in atteggiamento leale ma non mai succube nei confronti dei potenti, spiega l'attenzione che la storiografia bizantina gli ha riservato e che, unita alla stima per i suoi insegnamenti ha favorito il permanere del suo culto nelle Chiese dell'Oriente cristiano, fino ai nostri giorni.

Né dimentichiamo come anche nell'ambito della Riforma protestante si continuò a guardare con ammirazione agli scritti del Vescovo di Milano, riconoscendo in lui un maestro dotato e della grazia dell'insegnamento e di grande cultura.

30. Vi è di più: Ambrogio ha lasciato un chiaro insegnamento circa i rapporti che la Chiesa deve intrattenere nel dialogo con chi non è cristiano. Illuminante al riguardo è l'ammonizione che egli rivolge ai suoi fedeli raccomandando loro di « non fuggire quelli che sono separati dalla nostra fede e dalla comunione con noi, perché anche il pagano, una volta convertito, può diventare un difensore della fede ». (109) Un'interessante trattazione dei vari aspetti del problema si trova nell'Expositio evangelii secundum Lucam, ove è una chiara sintesi dei metodi di evangelizzazione del suo tempo, in relazione ai pagani, agli Ebrei, ai catecumeni. (110)

A questi criteri il Vescovo di Milano si atteneva nella sua catechesi, che esercitava sugli ascoltatori una singolare forza di attrazione. Tanti ne fecero esperienza. La lontana Fritigil, regina dei Marcomanni, attratta dalla sua fama, gli scrisse per essere da lui istruita nella religione cattolica, ricevendone in cambio una « splendida lettera a forma di catechismo ». (111)

Benché altri siano oggi i tempi, il suo esempio può ancora suscitare interesse ed attrarre personalità pensose del futuro dell'umanità, anche fuori delle Chiese e denominazioni cristiane, per quel prestigio di cultura sacra e profana, di amore all'uomo, di fermezza contro le ingiustizie e le oppressioni, di coerenza granitica nella dottrina e nella prassi che, ancora in vita, gli ottennero un indiscusso riconoscimento.

VI

« SIA IN CIASCUNO L'ANIMA DI MARIA » (112)

31. Nell'ottica della preparazione al Giubileo, ho suggerito che nel 1997 si contempli anche il mistero della divina maternità di Maria, giacché « l'affermazione della centralità di Cristo non può essere disgiunta dal riconoscimento del ruolo svolto dalla sua Santissima Madre ». (113) Di Lei Ambrogio è stato il teologo raffinato e il cantore inesausto.

Egli ne offre un ritratto attento, affettuoso, particolareggiato, tratteggiandone le virtù morali, la vita interiore, l'assiduità al lavoro e alla preghiera. Pur nella sobrietà dello stile, traspare la sua calda devozione alla Vergine, Madre di Cristo, immagine della Chiesa e modello di vita per i cristiani. Contemplandola nel giubilo del Magnificat, il santo Vescovo di Milano esclama: « Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio ». (114)

32. Maria, insegna Ambrogio, è tutta coinvolta nella storia di salvezza, come Madre e Vergine. Se Cristo è il profumo eterno del Padre, « di esso fu cosparsa Maria e, da vergine, concepì; da vergine, generò il buon odore: il Figlio di Dio ». (115) Unita a Cristo, quando il Figlio, offrendosi per amore, « appeso al tronco... spandeva il profumo della redenzione del mondo », (116) anche Maria condivideva quell'effusione d'amore: « Davanti alla croce stava in piedi la madre, e mentre gli uomini fuggivano, lei restava intrepida... Osservava con occhi pietosi le ferite del Figlio, per il quale sapeva che sarebbe giunta a tutti la redenzione... Il Figlio pendeva sulla croce, la madre si offriva ai persecutori... Sapendo che il Figlio moriva per l'utilità di tutti, lei era pronta, nel caso che anche con la sua morte avesse potuto aggiungere qualcosa al bene di tutti. Ma la passione di Cristo non ebbe bisogno di aiuto ». (117) E, questa di Maria, l'immagine di una donna forte e generosa, consapevole del ruolo a lei affidato nella storia della salvezza, pronta a compiere la sua missione fino all'offerta della vita. Ma il Vescovo di Milano, che tanto la celebra e la ama, in nessun momento dimentica che ella è tutta subordinata e relativa a Cristo, unico Salvatore.

33. Carissimo e Venerato Fratello, a Maria Santissima, alla cui nascita benedetta è dedicata codesta cattedrale, mi è gradito affidare la riuscita dell'Anno Santambrosiano, che l'illustre Chiesa di Milano si appresta a celebrare. Confido che esso costituisca per i fedeli un intenso periodo di interiore progresso nella fede, nella speranza e nella carità, sulle orme del santo Vescovo e Patrono, contribuendo così a far maturare nella vita di ciascuno copiosi frutti di testimonianza cristiana. A ciò mirano anche gli speciali favori spirituali che ne arricchiscono la celebrazione e che i fedeli potranno conseguire a determinate condizioni, aprendosi di cuore alla grazia del Signore.

Vorrei chiudere questa mia Lettera con le stesse parole, che il Santo scrisse alla Chiesa in Vercelli: « Convertitevi tutti al Signore Gesù. Sia in voi la gioia di questa vita in una coscienza senza rimorsi, l'accettazione della morte con la speranza dell'immortalità, la certezza della risurrezione con la grazia di Cristo, la verità con la semplicità, la fede con la fiducia, il disinteresse con la santità, l'attività con la sobrietà, la vita tra gli altri con la modestia, la cultura senza vanità, la sobrietà di una dottrina fedele senza lo stordimento dell'eresia ». (118)

Con questi auspici ben volentieri imparto a Lei, Venerato Fratello, ai Vescovi suoi collaboratori, ai sacerdoti e ai diaconi, ai consacrati ed alle consacrate, come pure a tutti i fedeli laici di codesta Arcidiocesi, che dal suo Patrono prende nome, una speciale Benedizione Apostolica, propiziatrice di ogni desiderata grazia celeste.

Dal Vaticano, il 1° Dicembre 1996.
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(1) Paolino, Vita Ambrosii, 47, 1, 2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, pp. 112-114.

(2) De paenitentia, II, 8, 67: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano - Roma, 1977-1994 (= SAEMO) 17, p. 264; cfr anche De officiis, I, 1, 4: SAEMO 13, 24.

(3) Il costante interesse che egli suscita emerge anche dai numerosi studi a lui dedicati, come pure dalle molte edizioni e traduzioni dei suoi scritti. Particolare menzione merita la citata edizione bilingue, recentemente curata dalla Biblioteca Ambrosiana, SAEMO.

(4) Cfr nn. 40-43: AAS 87 (1995), 31-33.

(5) Cfr Paolino, Vita Ambrosii, 6, 1-2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 60.

(6) Cfr ibid., 9, 2-3: l.c., p. 64.

(7) Cfr De virginibus, I, 1, 1: SAEMO 14I, p. 100; De officiis, I, 1, 4: SAEMO 13, p. 24.

(8) Cfr Teofilo d'Alessandria, Ep. ad Flavianum, framm. 1: SAEMO 24I, p. 213.

(9) Cfr Ep. LXXVI, 6: SAEMO 21, pp. 138-140.

(10) Ibid., 26: l.c., p. 152.

(11) Cfr Ep. LXXIII, 7: SAEMO 21, p. 66.

(12) Ibid., 29: l.c., p. 78.

(13) De Noe, 26, 94: SAEMO 2I, p. 484.

(14) De Nabuthae, 12, 53: SAEMO 6, p. 172; cfr Expositio ev. sec. Lucam, VII, 124: SAEMO 12, p. 184.

(15) Ep. LXII, 4-5: SAEMO 20, p. 148; cfr De Tobia, 14, 50: SAEMO 6, p. 246.

(16) Cfr Ep. XXVII, 1-3: SAEMO 19, p. 252.

(17) Confessiones, VIII, 1,2: CCL 27, 113.

(18) Cfr Ep. XVII, 14: SAEMO 19, p. 176; Ep. XXIV, 13: SAEMO 19, p. 244.

(19) « Neque enim minus vos diligo, quos in Evangelio genui, quam si coniugio suscepissem », De officiis, I, 7, 24: SAEMO 13, p. 36.

(20) De virginibus, I, 5, 21: SAEMO 14I, p. 122.

(21) Expositio ps. CXVIII, XX, 46: SAEMO 10, p. 358.

(22) Contra Auxentium = Ep. LXXVa, 34: SAEMO 21, p. 134.

(23) Confessiones, VI, 3, 3: CCL 27,75.

(24) Paolino, Vita Ambrosii, 38, 3: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 102.

(25) Confessiones, VI, 3, 3: CCL 27,75.

(26) Cfr Contra Auxentium = Ep. LXXVa, 36: SAEMO 21, p. 136.

(27) Cfr Ep. extra coll. I, 27-28: SAEMO 21, p. 188.

(28) Cfr Ep. extra coll. XI, l.c., pp. 230-240.

(29) De obitu Theodosii, 33: SAEMO 18, p. 234.

(30) Cfr Expositio ps. CXVIII, XI, 9: SAEMO 9, p. 458.

(31) N. 40: AAS 87 (1995), 31.

(32) Explanatio ps. I, 33: SAEMO 7, p. 80.

(33) Expositio ps. CXVIII, VIII, 59: SAEMO 9, p. 374; cfr ibid., 60, l.c., p. 376.

(34) Ep. XXXVI, 3: SAEMO 20, p. 24.

(35) Expositio ps. CXVIII, XI, 9: SAEMO 9, p. 458.

(36) De Cain et Abel, II, 6, 22: SAEMO 2I, p. 282; cfr Expositio ps. CXVIII, VIII, 59: SAEMO 9, p. 374.

(37) Expositio ps. CXVIII, XIII, 7: SAEMO 10, p. 66; cfr Explanatio ps. I, 31: SAEMO 7, p. 76.

(38) De virginitate, 16, 99: SAEMO 14II, p. 80.

(39) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 40: AAS 87 (1995), 31.

(40) Cfr De fide, V, 19, 228: SAEMO 15, pp. 446-448.

(41) Ibid., IV, 8, 91: SAEMO 15, p. 296; cfr Explanatio ps. XXXV, 22: SAEMO 7, p. 138.

(42) De fide, IV, 8, 88: SAEMO 15, p. 294.

(43) Ibid., II, Prol. 3: l.c., p. 128; cfr ibid., I, 10, 67; II, 6, 50: l.c., pp. 88; 150.

(44) Explanatio ps. XLIII, 89: SAEMO 8, p. 188.

(45) Exameron, VI, 10, 76: SAEMO 1, p. 418.

(46) Cfr De fide, II, 7, 53; 11, 93: SAEMO 15, pp. 150-152; 170-172; De interpell. Iob et David, IV (II), 4, 17: SAEMO 4, p. 238; De Iacob et vita beata, I, 6, 26: SAEMO 3, p. 256; Expositio ev. sec. Lucam, II, 41: SAEMO 11, pp. 182-184 et al.

(47) Cfr Explanatio ps. XXXIX, 6-15: SAEMO 8, pp. 14-18.

(48) Cfr De Isaac vel anima, 4, 31: SAEMO 3, pp. 68-69; Expositio ps. CXVIII, VI, 6: SAEMO 9, p. 244.

(49) De fide, V, 8, 109: SAEMO 15, p. 386.

(50) Cfr Expositio ps. CXVIII, X, 14: SAEMO 9, p. 412.

(51) Cfr ibid., III, 8: l.c., p. 130.

(52) Cfr ibid., l.c., p. 132.

(53) Cfr ibid., V, 42: l.c., p. 234.

(54) Cfr De fide, II, 11, 95: SAEMO 15, p. 172.

(55) Cfr Explanatio ps. XLVIII, 2: SAEMO 8, pp. 252-254; De paradiso, 10, 47: SAEMO 2I, p. 114.

(56) De fide, IV, 1, 7: SAEMO 15, p. 260.

(57) Explanatio ps. XLIII, 78: SAEMO 8, p. 178.

(58) Cfr Expositio ev. sec. Lucam, IV, 6: SAEMO 11, pp. 302-304.

(59) Cfr Explanatio ps. XLIII, 94: SAEMO 8, p. 194.

(60) Cfr Expositio ps. CXVIII, V, 24: SAEMO 9, p. 216.

(61) Cfr De fide, V, 14, 181: SAEMO 15, p. 420.

(62) Cfr Explanatio ps. XXXV, 22: SAEMO 7, p. 138.

(63) Ibid., 36, l.c., p. 194; cfr De fide, V, 18, 222: SAEMO 15, p. 444.

(64) Explanatio ps. XLVIII, 15: SAEMO 8, p. 264.

(65) Cfr De fide, V, 12, 150: SAEMO 15, p. 404; ibid., V, 7,90, l.c., p. 376.

(66) Cfr Expositio ps. CXVIII, XIX, 5: SAEMO 10, p. 288.

(67) Cfr Expositio ps. CXVIII, XIV, 6: SAEMO 10, p. 90; Explanatio ps. I, 56: SAEMO 7, p. 108; Explanatio ps. XXXVII, 41: l.c., p. 304; Explanatio ps. XLIII, 89: SAEMO 8, p. 188.

(68) Cfr Expositio ps. CXVIII, XVIII, 20: SAEMO 10, p. 260.

(69) Cfr ibid., XI, 6: SAEMO 9, p. 454.

(70) Cfr Explanatio ps. XLVII, 10: SAEMO 8, p. 236.

(71) Cfr De Iacob et vita beata, I, 6, 21: SAEMO 3, p. 250.

(72) Cfr De patriarchis, 9, 38: SAEMO 4, p. 50.

(73) Cfr Explanatio ps. XLIII, 78: SAEMO 8, p. 178.

(74) Cfr Expositio ps. CXVIII, VIII, 53: SAEMO 9, pp. 366-368.

(75) Cfr De Isaac vel anima, 8, 79: SAEMO 3, p. 124; De fide, II, 2, 25: SAEMO 15, p. 140.

(76) Ep. XI, 6: SAEMO 19, p. 118; cfr De bono mortis, 12, 55: SAEMO 3, pp. 204-206.

(77) De fide, II, 9, 77: SAEMO 15, p. 164.

(78) Hymni, II, « Splendor paterne gloriae »: SAEMO 22, p. 38; cfr De Noe 29, 111: SAEMO 2I, p. 502.

(79) Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 42: AAS 87 (1995), 32.

(80) De Isaac vel anima, 8, 71: SAEMO 3, p. 114.

(81) Ibid., 8, 72: l.c.

(82) Cfr De Iacob et vita beata, I, 8, 39: SAEMO 3, p. 272.

(83) Cfr Explanatio ps. XLIII, 28: SAEMO 8, pp. 120-122.

(84) Cfr De officiis, III, 1, 7: SAEMO 13, p. 276.

(85) Cfr Explanatio ps. LXI, 14: SAEMO 8, p. 294.

(86) Cfr De fide, IV, 3, 35: SAEMO 15, p. 272.

(87) « Inhabitet in tuis Iesus membris ». Expositio ps. CXVIII, IV, 26: SAEMO 9, p. 192.

(88) Cfr Explanatio ps. XLVII, 10: SAEMO 8, pp. 223-236; Explanatio ps. XXXVI, 12: SAEMO 7, p. 160.

(89) Cfr Expositio ps. CXVIII, XI, 4: SAEMO 9, p. 450.

(90) Cfr Explanatio ps. XXXVII, 5: SAEMO 7, p. 260.

(91) Cfr Explanatio ps. XL, 4: SAEMO 8, p. 40.

(92) Cfr Expositio ps. CXVIII, XIX, 16; 18; 30; 32: SAEMO 10, pp. 296; 298; 310; 312; Explanatio ps. XXXXVIII, 11: SAEMO 7, p. 340.

(93) Cfr De Isaac vel anima, 4, 33: SAEMO 3, p. 70.

(94) Cfr Explanatio ps. XXXVI, 65: SAEMO 7, p. 232.

(95) Cfr ibid., 16: l.c., pp. 164-166.

(96) Cfr Explanatio ps. XXXVII, 32: SAEMO 7, pp. 292-294; De Iacob et vita beata, I, 7, 27: SAEMO 3, p. 256.

(97) Cfr De fide, II, 11, 95: SAEMO 15, p. 172.

(98) De virginitate, 16, 99: SAEMO 14II, p. 80.

(99) De bono mortis, 12, 53: SAEMO 3, p. 202.

(100) Ibid., 12, 55: l.c., p. 204.

(101) De sacramentis, II, 7, 23: SAEMO 17, p. 70.

(102) Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 41: AAS 87 (1995), 32.

(103) De sacramentis, IV, 4, 16: SAEMO 17, p. 94; cfr Explanatio ps. XXXVIII, 25: SAEMO 7, p. 358.

(104) Ibid., V, 4, 25: l.c., p. 114.

(105) « Christusque nobis sit cibus potusque noster sit fides: laeti bibamus sobriam ebrietatem Spiritus »: Hymni, II: SAEMO 22, pp. 36-38.

(106) De Sacramentis, V, 3, 17: SAEMO 17, p. 108.

(107) Explanatio ps. I, 33: SAEMO 7, p. 80.

(108) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 41: AAS 87 (1995), 32.

(109) Exameron, III, XIII, 55: SAEMO 1, p. 170.

(110) Cfr VI, 104-105 (pagani); 106 (Ebrei); 107-109 (catecumeni): SAEMO 12, pp. 86-92.

(111) Paolino, Vita Ambrosii, 36, 1-2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 100.

(112) Expositio ev. sec. Lucam, II, 26: SAEMO 11, p. 168.

(113) Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 43: AAS 87 (1995), 32.

(114) Expositio ev. sec. Lucam, II, 26: SAEMO 11, p. 168.

(115) De virginitate, 65: SAEMO 14II, p. 56.

(116) Expositio ps. CXVIII, V, 9: SAEMO 9, p. 204; cfr. ibid., III, 8: l.c., pp. 130-132; Expositio ev. sec. Lucam, VI, 32-33: SAEMO 12, pp. 32-34.

(117) De institutione virginis, 7, 49: SAEMO 14II, p. 148; cfr Ep. extra coll. 14, 110: SAEMO 21, p. 320.

(118) Ep. extra coll. XIV, 113: SAEMO 21, p. 320.

Augustinus
06-12-04, 20:25
S. Gregorio Magno, dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=117810)

S. Girolamo, dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=122570)

S. Agostino d'Ippona, vescovo e dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=116833)

S. Paolino da Nola (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=353909)

S. Carlo Borromeo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=72531), degno successore sulla cattedra di S. Ambrogio

Beato Alfredo Ildefonso Schuster (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=117154), altro degno successore di Ambrogio

Link esterni:

Epistole di S. Ambrogio (http://www.tertullian.org/fathers/ambrose_letters_00_intro.htm) (in inglese)

Opere di S. Ambrogio (http://www.jesusmarie.com/ambroise.html) (in francese)

Augustinus
06-12-05, 17:41
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 272-280

7 DICEMBRE

SANT'AMBROGIO, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA

Questo illustre Pontefice figura degnamente a fianco del grande Vescovo di Mira. Questi ha confessato a Nicea, la divinità del Redentore degli uomini; quegli, in Milano, è stato alle prese con tutto il furore degli Ariani, e con coraggio invincibile ha riportato il trionfo sui nemici di Cristo. Che unisca la sua voce di dottore a quella di san Pier Crisologo, e ci annunci le grandezze e le umiliazioni del Messia. Ma questa è in particolare la gloria di Ambrogio, come Dottore: che se, fra i luminosi astri della Chiesa latina, quattro insigni Maestri della Dottrina camminano in testa al corteo dei divini interpreti della Fede, il glorioso Vescovo di Milano completa, insieme con Gregorio, Agostino, e Girolamo, il mistico numero.

Ambrogio deve l'onore di occupare un posto così nobile in questi giorni, all'antica usanza della Chiesa che, nei primi secoli, escludeva dalla quaresima le feste dei Santi. Il giorno della sua dipartita da questo mondo ed il suo ingresso in cielo fu il 4 aprile; ora, l'anniversario di quel felice trapasso si ritrova, per la maggior parte del tempo, nel corso della sacra quarantena. Si fu dunque costretti a scegliere il sette dicembre, anniversario dell'Ordinazione episcopale di Ambrogio.

Del resto, il ricordo di Ambrogio è uno dei più dolci profumi di cui possa essere adorna la strada che conduce a Betlemme. Quale più gloriosa e insieme più affascinante memoria di quella di questo santo e amabile Vescovo in cui la forza del leone si uni alla dolcezza della colomba? Invano sono passati i secoli su questa memoria: essi non hanno fatto che renderla più viva e più cara. Come si potrebbe dimenticare il giovane governatore della Liguria e dell'Emilia, così saggio, così erudito, che fa il suo ingresso a Milano ancora semplice catecumeno, e si vede d'un tratto elevato per acclamazione del popolo fedele, sul trono episcopale di quella grande città? E quei dolci presagi della sua eloquenza affascinante, nello sciame di api che secondo la leggenda, quando un giorno dormiva, lo circondò e penetrò fin nella sua bocca, come per annunciare la dolcezza della sua parola! e quella gravità profetica con la quale l'amabile adolescente presentava la mano al bacio della madre e della sorella, perché - diceva - quella mano sarebbe stata un giorno quella d'un Vescovo.

Ma quante battaglie aspettavano il neofita di Milano, presto rigenerato nell'acqua battesimale, e presto consacrato sacerdote e vescovo! Bisognava che si desse senza indugio allo studio assiduo delle sacre lettere, per accorrere come dottore in difesa della Chiesa, attaccata nel suo dogma fondamentale dalla falsa scienza degli Ariani; è fu tale in poco tempo la pienezza e la sicurezza della sua dottrina che non soltanto essa oppose un valido baluardo ai progressi dell'errore del tempo, ma in più i libri scritti da Ambrogio meriteranno di essere segnalati dalla Chiesa sino alla fine dei secoli, come uno degli arsenali della verità.

Ma l'arena della controversia non era la sola in cui dovesse scendere il nuovo Dottore; la sua vita doveva essere minacciata più d'una volta dai seguaci dell'eresia da lui combattuta. Quale sublime spettacolo vedere questo Vescovo bloccato nella sua chiesa dalle truppe dell'imperatrice Giustina, e difeso notte e giorno dal suo popolo! Quale pastore, e quale gregge! Una vita interamente spesa per la città e la provincia, aveva meritato ad Ambrogio quella fedeltà e quella fiducia da parte del suo popolo. Con il suo zelo, la sua dedizione, il suo costante oblio di se stesso, era l'immagine del Cristo che annunciava.

In mezzo ai pericoli che lo circondano, la sua grande anima rimane calma e tranquilla. E sceglie appunto questo momento per istituire, nella chiesa di Milano, il canto alternato dei Salmi. Fino allora la sola voce del lettore faceva risuonare dall'alto d'un ambone il divino Cantico; ma bastarono pochi istanti per organizzare in due cori l'assemblea, felice di poter d'ora in poi unire la sua voce ai canti ispirati del regale profeta. Nata così nel pieno della tempesta e in mezzo ad una fede eroica, la salmodia alternata è ormai di dominio per i popoli fedeli d'Occidente. Roma adotterà l'istituzione di Ambrogio, quella istituzione che accompagnerà la Chiesa sino alla fine dei secoli. In quelle ore di lotta, il grande Vescovo ha ancora un dono da fare ai fedeli cattolici che gli hanno eretto un baluardo con i loro corpi. È un poeta, e spesso ha cantato in versi pieni di dolcezza e di maestà le grandezze del Dio dei cristiani e i misteri della salvezza dell'uomo. Dedica al suo popolo devoto quei nobili inni, che non aveva ancora destinati all'uso pubblico, e presto le basiliche di Milano risuonano della loro melodia. Più tardi si udranno in tutta la Chiesa latina; e in onore del santo Vescovo, che aprì in tal modo una delle più ricche sorgenti della sacra Liturgia, si chiamerà per lungo tempo ambrosiano ciò che in seguito è stato designato con il nome di Inno. La Chiesa Romana accetterà nei suoi Uffici questa variazione della lode divina, che costituisce per la Sposa di Cristo una nuova effusione dei sentimenti che l'animano.

Così dunque, il nostro canto alternato dei salmi e i nostri stessi Inni sono altrettanti trofei della vittoria di Ambrogio. Egli era stato suscitato da Dio non soltanto per il suo tempo, ma per i secoli futuri. È così che lo Spirito Santo gli diede il sentimento del diritto cristiano con la missione di sostenerlo, fin da quell'epoca in cui il paganesimo abbattuto respirava ancora, e in cui il cesarismo in decadenza conservava ancora troppi istinti del suo passato. Ambrogio vegliava fermo sul Vangelo. Non intendeva che l'autorità imperiale potesse a suo arbitrio consegnare agli Ariani, per il bene della pace, una basilica in cui si erano radunati i cattolici. Per difendere l'eredità della Chiesa era pronto a versare il sangue. Alcuni cortigiani ardirono accusarlo di tirannide presso il principe. Rispose: "No; i vescovi non sono tiranni, ma piuttosto da parte dei tiranni essi hanno dovuto spesso soffrire persecuzioni". L'eunuco Calligone, ciambellano di Valentiniano II, osò dire ad Ambrogio: "Come, me vivente, tu osi disprezzare Valentiniano? Io ti spaccherò il capo". - "Che Dio te lo permetta! - rispose Ambrogio: "Io soffrirò allora ciò che soffrono i Vescovi e tu avrai fatto ciò che sanno fare gli eunuchi".

Questa nobile costanza nel difendere i diritti della Chiesa apparve ancora con più splendore quando il Senato Romano, o piuttosto la minoranza del senato rimasta pagana, tentò, per istigazione del Prefetto di Roma Simmaco, di ottenere la ricostruzione dell'altare della vittoria in Campidoglio, con il vano pretesto di opporre un rimedio ai disastri dell'impero. Ambrogio, che diceva: "Io detesto la religione dei Neroni" si oppose come un leone a questa pretesa del politeismo agli estremi.

In eloquenti memoriali diretti a Valentiniano, protestò contro il tentativo che mirava a portare un principe cristiano a riconoscere diritti all'errore, e a distruggere le conquiste di Cristo unico maestro dei popoli. Valentiniano si arrese alle forti rimostranze del Vescovo, il quale gli aveva insegnato che "un imperatore cristiano doveva saper rispettare soltanto l'altare di Cristo", e rispose ai senatori pagani che amava Roma come la madre sua, ma doveva obbedire a Dio come all'autore della salvezza.

Si può credere che se i decreti divini non avessero irrevocabilmente condannato l'impero a perire, influenze come quelle esercitate da Ambrogio su principi dal cuore retto, lo avrebbero preservato dalla rovina. La sua massima era ferma; ma non doveva essere applicata che nelle società nuove le quali sorgevano dopo la caduta dell'impero, e che il Cristianesimo costituì secondo la sua mente. Egli diceva ancora: "Non vi è titolo più onorevole per un imperatore che quello di Figlio della Chiesa. L'Imperatore è nella Chiesa non già al disopra di essa".

Che cosa è più commovente del patrocinio esercitato con tanta sollecitudine da Ambrogio sul giovane Imperatore Graziano, la cui morte gli fece spargere tante lacrime?! E Teodosio, questo sublime prototipo del principe cristiano, Teodosio, in favore del quale Dio ritardò la caduta dell'impero concedendo sempre la vittoria alle sue armi, con quanta tenerezza non fu amato dal Vescovo di Milano? Un giorno, è vero, il Cesare pagano sembrò riapparire in questo figlio della Chiesa; ma Ambrogio, con una severità tanto inflessibile quanto profondo era il suo attaccamento al colpevole, restituì Teodosio a se stesso e a Dio. "Sì - disse il santo Vescovo nell'elogio funebre del grande principe - ho amato questo uomo che preferì ai suoi adulatori colui che lo riprendeva. Gettò a terra tutte le insegne delle dignità imperiali, pianse pubblicamente nella Chiesa il peccato nel quale lo si era perfidamente trascinato, e ne implorò il perdono con lacrime e gemiti. Semplici cortigiani si lasciano distogliere dalla vergogna, e un Imperatore non ha arrossito di compiere la penitenza pubblica, e da allora in poi non un sol giorno passò per lui senza che avesse deplorato la sua mancanza". Come sono magnifici nello stesso amore della giustizia questo Cesare e questo Vescovo! Il Cesare sostiene l'Impero presso a finire, e il Vescovo sostiene il Cesare.

Ma non si creda che Ambrogio aspiri soltanto alle cose alte e risonanti. Sa essere il pastore attento ai minimi bisogni delle pecore del gregge. Possediamo la sua vita intima scritta dal suo diacono Paolino. Questo testimone ci rivela che Ambrogio quando ascoltava la confessione dei peccatori versava tante lacrime che costringeva a piangere insieme con lui chi era venuto a confessare le proprie colpe. "Sembrava - dice il biografo - che egli stesso fosse caduto insieme con chi era venuto meno". È noto con quale commovente e paterno interessamento accolse Agostino ancora prigioniero nei lacci dell'errore e delle passioni; e chi voglia conoscere Ambrogio, può leggere nelle Confessioni del Vescovo di Ippona le effusioni della sua ammirazione e della sua riconoscenza. Ambrogio aveva già accolto Monica, la madre afflitta di Agostino; l'aveva consolata e fortificata nella speranza del ritorno del figlio. Giunse il giorno atteso con tanto ardore; e fu la mano di Ambrogio che immerse nelle acque purificatrici del battesimo colui che doveva essere il principe dei Dottori.

Un cuore così fedele ai suoi affetti non poteva mancare di effondersi su coloro che i legami del sangue gli avevano uniti. È nota l'amicizia che unì Ambrogio al fratello Satiro, del quale ha narrato le virtù con accenti di una tenerezza così commovente nel duplice elogio funebre che gli consacrò. La sorella Marcellina non gli fu meno cara. Fin dalla prima giovinezza la nobile patrizia aveva sdegnato il mondo e i suoi piaceri. Sotto il velo della verginità che aveva ricevuto dalle mani del papa Liberto, abitava in Roma in seno alla famiglia. Ma l'affetto di Ambrogio non conosceva distanze; le sue lettere andavano a cercare la serva di Dio nel suo misterioso asilo. Egli non ignorava quale zelo nutrisse la sorella per la Chiesa, con quale ardore si associasse a tutte le opere del fratello, e parecchie delle lettere che le indirizzava ci sono state con*servate. Si rimane commossi a leggere la sola intestazione di quelle epistole: "il fratello alla sorella" oppure: "A Marcellina sorella mia, a me più cara dei miei occhi e della mia stessa vita". Segue quindi il testo della lettera, rapido, animato, come le lotte che egli descrive. Ce n'è una che fu scritta proprio nelle ore in cui imperversava la bufera, mentre il coraggioso vescovo era assediato nella sua basilica dalle truppe di Giustina. I suoi discorsi al popolo di Milano, i suoi successi come le sue prove, gli eroici sentimenti della sua anima episcopale, tutto è descritto in quei fraterni dispacci, tutto vi rivela la forza e la santità del legame che unì Ambrogio a Marcellina, La basilica ambrosiana custodisce ancora la tomba del fratello e della sorella; sull'una e sull'altra viene offerto ogni giorno il divino sacrificio.

Questo fu Ambrogio, del quale Teodosio diceva un giorno: "Non c'è che un vescovo al mondo". Glorifichiamo lo Spirito Santo che si è degnato di produrre un modello così sublime nella Chiesa, e chiediamo al santo vescovo che si degni di ottenerci una parte di quella fede viva, di quell'amore così ardente che protesta nei suoi dolci ed eloquenti scritti per il mistero della divina Incarnazione. In questi giorni che debbono condurci a quello in cui apparirà il Verbo fatto carne, Ambrogio è uno dei nostri più potenti intercessori.

La sua pietà verso Maria c'insegna anche quale ammirazione e quale amore dobbiamo avere per la Vergine benedetta. Insieme con sant'Efrem il vescovo di Milano è quello tra i Padri del IV secolo che ha più vivamente espresso le grandezze del ministero e della persona di Maria. Egli ha tutto conosciuto, tutto provato, tutto testimoniato. Maria esente per grazia da ogni macchia di peccato, Maria ai piedi della croce che si unisce al suo Figliuolo per la salvezza del genere umano, Gesù risorto che appare innanzitutto alla Madre, e tanti altri punti sui quali Ambrogio è l'eco della credenza anteriore, gli danno uno dei primi posti tra i testimoni della tradizione sui misteri della Madre di Dio.

Questa tenera predilezione per Maria spiega l'entusiasmo di cui è ripieno Ambrogio per la verginità cristiana della quale merita di essere considerato come il Dottore speciale. Nessuno dei Padri l'ha uguagliato nel fascino e nell'eloquenza con cui ha proclamato la dignità e la felicità dei vergini. Quattro dei suoi scritti sono consacrati a glorificare quello stato sublime, di cui il paganesimo morente tentava ancora un'estrema contraffazione nelle sue vestali, scelte in numero di sette, ricolme di onori e di ricchezze, e dichiarate libere dopo un certo tempo. Ambrogio oppone loro l'innume*revole stuolo delle vergini cristiane, che riempiono il mondo intero del profumo della loro umiltà, della loro costanza e della loro dedizione. Ma a questo proposito la sua parola era ancora più attraen*te della penna, e sappiamo, dai racconti del tempo, che, nelle città da lui visitate quando faceva risuonare la sua voce, le madri trattenevano le figlie in casa, nel timore che i discorsi di un così santo e irresistibile seduttore le persuadesse a non aspirare più ad altro se non alle nozze eterne.

VITA. - Ambrogio nacque nella prima metà del IV secolo. Il padre era prefetto della Gallia Cisalpina. Fu istruito a Roma nelle arti liberali, ed ebbe il governo della Liguria e dell'Emilia. All'atto in cui si trovava nella basilica di Milano per mantenere la calma durante l'elezione del vescovo, un fanciullo esclamò: "Ambrogio vescovo!". Il grido fu ripetuto da tutta la folla e l'imperatore, lusingato di veder innalzato all'episcopato uno dei suoi prefetti, lo costrinse ad accettare.

Da vescovo, fu l'intrepido campione della fede e della disciplina ecclesiastica, convertì molti ariani alla verità e battezzò sant'Agostino. Amico e consigliere dell'imperatore Teodosio, non esitò ad imporgli una penitenza pubblica dopo il massacro di Tessalonica. Morì infine a Milano il quattro aprile del 397. Sant'Ambrosio è uno dei quattro grandi Dottori della Chiesa latina.

Noi ti lodiamo, benché indegni, o immortale Ambrogio, ed esaltiamo i doni magnifici che il Signore ha posti in te. Tu sei la Luce della Chiesa e il Sale della terra, con la tua dottrina celeste; sei il Pastore vigilante, il Padre tenero, il Pontefice invincibile: ma quanto il tuo cuore amò il Signore Gesù che noi aspettiamo! Con quale indomito coraggio sapesti a rischio della tua vita, opporti a coloro che bestemmiavano questo Verbo divino! Perciò hai meri*tato di essere scelto per iniziare, ogni anno, il popolo fedele alla conoscenza di Colui che è il Salvatore e il Capo. Fa' dunque pe*netrare fino al nostro occhio il raggio della verità che ti illuminava quaggiù; fa' gustare alla nostra bocca il sapore dolce della tua parola; tocca il nostro cuore d'un vero amore per Gesù che si avvicina di ora in ora. Ottieni, che sul tuo esempio, prendiamo con forza in mano la sua causa contro i nemici della fede, contro gli spiriti delle tenebre e contro noi stessi. Che tutto ceda, che tutto si annienti, che si pieghi ogni ginocchio, e che ogni cuore si confessi vinto, lavanti a Gesù Cristo Verbo del Padre, Figlio di Dio e figlio di Maria, nostro Redentore, nostro Giudice, nostro sommo bene.

Glorioso Ambrogio, umiliaci come hai umiliato Teodosio; rialzacì contriti e mutati, come rialzasti lui nella tua pastorale carità. prega anche per il sacerdozio cattolico, di cui sarai per sempre una delle più nobili glorie. Chiedi a Dio per i Sacerdoti e i Vescovi della Chiesa quell'umile e inflessibile vigore con il quale debbono esistere alle potenze del secolo, quando queste abusano dell'autorità che Dio ha posto nelle loro mani. Che la loro fronte - secondo s parole del Signore - sia dura come il diamante; che sappiano opporsi come un muro per la casa d'Israele, e che stimino come il supremo onore, come la più felice sorte, di poter esporre i loro beni, loro riposo, la loro vita per la libertà della Sposa di Cristo.

Valente campione della verità, armati di quella verga venditrice che la Chiesa ti ha data per attributo; e scaccia lontano dal regge di Gesù Cristo i resti impuri dell'Arianesimo che, sotto diversi nomi, si mostrano ancora ai nostri tempi. Che le nostre orecchie non siano più rattristate dalle bestemmie degli insipienti che osano misurare secondo la loro statura, giudicare, assolvere e condannare come loro simile il Dio terribile che li ha creati e che, solo per un motivo di amore per la sua creatura, si è degnato di discendere e di avvicinarsi all'uomo a rischio di esserne disprezzato.

Allontana dalle nostre menti, o Ambrogio, quelle false e imprudenti teorie che fanno dimenticare ai cristiani che Gesù è il Re di questo mondo, e li portano a pensare che una legge umana, la quale riconoscesse uguali diritti all'errore e alla verità, potrebbe essere il più alto progresso della società. Fa' che essi comprendano, sul tuo esempio, che se i diritti del Figlio di Dio e della sua Chiesa possono essere calpestati, non per questo cessano di esistere; che la promiscuità di tutte le religioni sotto una eguale protezione è il più sanguinoso oltraggio verso Colui "al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra"; che i periodici disastri della società sono la risposta che dà dall'alto del cielo agli sprezzatori del Diritto cristiano, di quel Diritto che egli ha acquistato morendo sulla croce per gli uomini; che infine, se non dipende da noi di ristabilire quel sacro Diritto presso le genti che hanno avuto la disgrazia di rinnegarlo, è nostro dovere confessarlo coraggiosamente, sotto pena di essere complici di coloro i quali non hanno voluto più che Gesù regnasse su di loro.

Infine in mezzo alle ombre che gravano sul mondo, consola, o Ambrogio, la santa Chiesa che è ormai come una estranea, una pellegrina attraverso le genti di cui fu la madre che hanno rinnegata; che essa colga ancor sulla sua strada, in mezzo ai suoi fedeli, i fiori della verginità; che sia l'amante delle anime nobili le quali comprendono la dignità della sposa di Cristo. Se fu così nei tempi gloriosi delle persecuzioni che segnalarono l'inizio del suo ministero, le sia dato ancora, nella nostra epoca di umiliazioni e di diserzioni, di consacrare al suo sposo una numerosa schiera di cuori puri e generosi, affinché la sua fecondità le sia di rivincita su quanti l'hanno respinta come madre sterile, ma della quale un giorno sentiranno crudelmente l'assenza.

Consideriamo l'ultimo visibile preparativo alla venuta del Messia sulla terra: la pace universale. Al rumore delle armi è succeduto d'un tratto il silenzio, e il mondo si raccoglie nell'attesa. "Ora, ci dice san Bonaventura in uno dei suoi Sermoni sull'Avvento, dobbiamo enumerare tre specie di silenzio: il primo al tempo di Noè, dopo che tutti i peccatori furono sommersi; il secondo al tempo di Cesare Augusto, quando tutte le genti furono sottomesse; infine il terzo che avrà luogo alla morte dell'Anticristo, quando gli ebrei si saranno convertiti". O Gesù, Re pacifico, tu vuoi che il mondo sia in pace quando discenderai. L'hai annunciato per bocca del Salmista, il tuo avo secondo la carne, allorché egli ha detto parlando di te: "Farà cessare la guerra nell'universo intero; spezzerà l'arco, infrangerà le armi e getterà al fuoco gli scudi" (Sal 45,10). Che cosa significa tutto questo o Gesù? Significa che tu ti compiaci di trovare silenziosi e attenti i cuori che visiti. Significa che prima di venire tu stesso in un'anima, tu l'agiti nella tua misericordia come fu agitato il mondo prima di quella pace universale, e presto le rendi la calma che precede il tuo possesso. Oh! vieni subito a sottomettere le nostre potenze ribelli, ad abbattere le alture della nostra mente, a crocifiggere la nostra carne, a risvegliare la debolezza della nostra volontà, affinché il tuo ingresso in noi sia solenne al pari di quello di un conquistatore nella piazzaforte che ha conquistato dopo un lungo assedio. O Gesù, Principe della Pace, donaci la pace; prendi stabile sede nei nostri cuori, come ti sei stabilito nella tua creazione, in seno alla quale il tuo regno non avrà mai più fine.

Augustinus
06-12-07, 15:28
St. Ambrose

Bishop of Milan from 374 to 397; born probably 340, at Trier, Arles, or Lyons; died 4 April, 397. He was one of the most illustrious Fathers and Doctors of the Church, and fitly chosen, together with St. Augustine, St. John Chrysostom, and St. Athanasius, to uphold the venerable Chair of the Prince of the Apostles in the tribune of St. Peter's at Rome.

The materials for a biography of the Saint are chiefly to be found scattered through his writings, since the "Life" written after his death by his secretary, Paulinus, at the suggestion of St. Augustine, is extremely disappointing. Ambrose was descended from an ancient Roman family, which, at an early period had embraced Christianity, and numbered among its scions both Christian martyrs and high officials of State. At the time of his birth his father, likewise named Ambrosius, was Prefect of Gallia, and as such ruled the present territories of France, Britain, and Spain, together with Tingitana in Africa. It was one of the four great prefectures of the Empire, and the highest office that could be held by a subject. Trier, Arles, and Lyons, the three principal cities of the province, contend for the honour of having given birth to the Saint. He was the youngest of three children, being preceded by a sister, Marcellina, who become a nun, and a brother Satyrus, who, upon the unexpected appointment of Ambrose to the episcopate, resigned a prefecture in order to live with him and relieve him from temporal cares. About the year 354 Ambrosius, the father, died, whereupon the family removed to Rome. The saintly and accomplished widow was greatly assisted in the religious training of her two sons by the example and admonitions of her daughter, Marcellina, who was about ten years older than Ambrose. Marcellina had already received the virginal veil from the hands of Liberius, the Roman Pontiff, and with another consecrated virgin lived in her mother's house. From her the Saint imbibed that enthusiastic love of virginity which became his distinguishing trait. His progress in secular knowledge kept equal pace with his growth in piety. It was of extreme advantage to himself and to the Church that he acquired a thorough mastery of the Greek language and literature, the lack of which is so painfully apparent in the intellectual equipment of St. Augustine and, in the succeeding age, of the great St. Leo. In all probability the Greek Schism would not have taken place had East and West continued to converse as intimately as did St. Ambrose and St. Basil. Upon the completion of his liberal education, the Saint devoted his attention to the study and practice of the law, and soon so distinguished himself by the eloquence and ability of his pleadings at the court of the praetorian prefect, Anicius Probus, that the latter took his into his council, and later obtained for him from the Emperor Valentinian the office of consular governor of Liguria and Æmilia, with residence in Milan. "Go", said the prefect, with unconscious prophecy, "conduct thyself not as a judge, but as bishop". We have no means of ascertaining how long he retained the civic government of his province; we know only that his upright and gently administration gained for him the universal love and esteem of his subjects, paving the way for that sudden revolution in his life which was soon to take place. This was the more remarkable, because the province, and especially the city of Milan, was in a state of religious chaos, owing to the persistent machinations of the Arian faction.

Bishop of Milan

Ever since the heroic Bishop Dionysius, in the year 355, had been dragged in chains to his place of exile in the distant East, the ancient chair of St. Barnabas had been occupied by the intruded Cappadocian, Auxentius, an Arian filled with bitter hatred of the Catholic Faith, ignorant of the Latin language, a wily and violent persecutor of his orthodox subjects. To the great relief of the Catholics, the death of the petty tyrant in 374 ended a bondage which had lasted nearly twenty years. The bishops of the province, dreading the inevitable tumults of a popular election, begged the Emperor Valentinian to appoint a successor by imperial edict; he, however, decided that the election must take place in the usual way. It devolved upon Ambrose, therefore, to maintain order in the city at this perilous juncture. Proceeding to the basilica in which the disunited clergy and people were assembled, he began a conciliatory discourse in the interest of peace and moderation, but was interrupted by a voice (according to Paulinus, the voice of an infant) crying, "Ambrose, Bishop". The cry was instantly repeated by the entire assembly, and Ambrose, to his surprise and dismay, was unanimously pronounced elected. Quite apart from any supernatural intervention, he was the only logical candidate, known to the Catholics as a firm believer in the Nicene Creed, unobnoxious to the Arians, as one who had kept aloof from all theological controversies. The only difficulty was that of forcing the bewildered consular to accept an office for which his previous training nowise fitted him. Strange to say, like so many other believers of that age, from a misguided reverence for the sanctity of baptism, he was still only a catechumen, and by a wise provision of the canons ineligible to the episcopate. That he was sincere in his repugnance to accepting the responsibilities of the sacred office, those only have doubted who have judged a great man by the standard of their own pettiness. Were Ambrose the worldly-minded, ambitious, and scheming individual they choose to paint him, he would have surely sought advancement in the career that lay wide open before him as a man of acknowledged ability and noble blood. It is difficult to believe that he resorted to the questionable expedients mentioned by his biographer as practised by him with a view to undermining his reputation with the populace. At any rate his efforts were unsuccessful. Valentinian, who was proud that his favourable opinion of Ambrose had been so fully ratified by the voice of clergy and people, confirmed the election and pronounced severe penalties against all who should abet him in his attempt to conceal himself. The Saint finally acquiesced, received baptism at the hands of a Catholic bishop, and eight day later, 7 December 374, the day on which East and West annually honour his memory, after the necessary preliminary degrees was consecrated bishop.

He was now in his thirty-fifth year, and was destined to edify the Church for the comparatively long space of twenty-three active years. From the very beginning he proved himself to be that which he has ever since remained in the estimation of the Christian world, the perfect model of a Christian bishop. There is some truth underlying the exaggerated eulogy of the chastened Theodosius, as reported by Theodoret (v, 18), "I know no bishop worthy of the name, except Ambrose". In him the magnanimity of the Roman patrician was tempered by the meekness and charity of the Christian saint. His first act in the episcopate, imitated by many a saintly successor, was to divest himself of his worldly goods. His personal property he gave to the poor; he made over his landed possessions to the Church, making provision for the support of his beloved sister. The self-devotion of his brother, Satyrus, relieved him from the care of the temporalities, and enabled him to attend exclusively to his spiritual duties. In order to supply the lack of an early theological training, he devoted himself assiduously to the study of Scripture and the Fathers, with a marked preference for Origen and St. Basil, traces of whose influence are repeatedly met with in his works. With a genius truly Roman, he, like Cicero, Virgil, and other classical authors, contented himself with thoroughly digesting and casting into a Latin mould the best fruits of Greek thought. His studies were of an eminently practical nature; he learned that he might teach. In the exordium of his treatise, "De Officiis", he complains that, owing to the suddenness of his transfer from the tribunal to the pulpit, he was compelled to learn and teach simultaneously. His piety, sound judgment, and genuine Catholic instinct preserved him from error, and his fame as an eloquent expounder of Catholic doctrine soon reached the ends of the earth. His power as an orator is attested not only by the repeated eulogies, but yet more by the conversion of the skilled rhetorician Augustine. His style is that of a man who is concerned with thoughts rather than words. We cannot imagine him wasting time in turning an elegant phrase. "He was one of those", says St. Augustine, "who speak the truth, and speak it well, judiciously, pointedly, and with beauty and power of expression" (De doct. christ., iv,21).

His Daily Life

Through the door of his chamber, wide open the livelong day, and crossed unannounced by all, of whatever estate, who had any sort of business with him, we catch a clear glimpse of his daily life. In the promiscuous throng of his visitors, the high official who seeks his advice upon some weighty affair of state is elbowed by some anxious questioner who wishes to have his doubts removed, or some repentant sinner who comes to make a secret confession of his offenses, certain that the Saint "would reveal his sins to none but God alone" (Paulinus, Vita, xxxix). He ate but sparingly, dining only on Saturdays and Sundays and festivals of the more celebrated martyrs. His long nocturnal vigils were spent in prayer, in attending to his vast correspondence, and in penning down the thoughts that had occurred to him during the day in his oft-interrupted readings. His indefatigable industry and methodical habits explain how so busy a man found time to compose so many valuable books. Every day, he tells us, he offered up the Holy Sacrifice for his people (pro quibus ego quotidie instauro sacrificium). Every Sunday his eloquent discourses drew immense crowds to the Basilica. One favorite topic of his was the excellence of virginity, and so successful was he in persuading maidens to adopt the religious profession that many a mother refused to permit her daughters to listen to his words. The saint was forced to refute the charge that he was depopulating the empire, by quaintly appealing to the young men as to whether any of them experienced any difficulty in finding wives. He contends, and the experience of ages sustains his contention (De Virg., vii) that the population increases in direct proportion to the esteem in which virginity is held. His sermons, as was to be expected, were intensely practical, replete with pithy rules of conduct which have remained as household words among Christians. In his method of biblical interpretation all the personages of Holy Writ, from Adam down, stand out before the people as living beings, bearing each his distinct message from God for the instruction of the present generation. He did not write his sermons, but spoke them from the abundance of his heart; and from notes taken during their delivery he compiled almost all the treatises of his that are extant.

Ambrose and the Arians

It was but natural that a prelate so high-minded, so affable, so kind to the poor, so completely devoting his great gifts to the service of Christ and of humanity, should soon win the enthusiastic love of his people. Rarely, if ever, has a Christian bishop been so universally popular, in the best sense of that much abused term, as Ambrose of Milan. This popularity, conjoined with his intrepidity, was the secret of his success in routing enthroned iniquity. The heretical Empress Justina and her barbarian advisers would many a time fain have silenced him by exile or assassination, but, like Herod in the case of the Baptist, they "feared the multitude". His heroic struggles against the aggressions of the secular power have immortalized him as the model and forerunner of future Hildebrands, Beckets, and other champions of religious liberty. The elder Valentinian died suddenly in 375, the year following the consecration of Ambrose, leaving his Arian brother Valens to scourge the East, and his oldest son, Gratian, to rule the provinces formerly presided over by Ambrosius, with no provision for the government of Italy. The army seized the reins and proclaimed emperor the son of Valentinian by his second wife, Justina, a boy four years old. Gratian good-naturally acquiesced, and assigned to his half-brother the sovereignty of Italy, Illyricum, and Africa. Justina had prudently concealed her Arian view during the lifetime of her orthodox husband, but now, abetted by a powerful and mainly Gothic faction at court, proclaimed her determination to rear her child in that heresy, and once more attempt to Arianize the West. This of necessity brought her into direct collision with the Bishop of Milan, who had quenched the last embers of Arianism in his diocese. That heresy had never been popular among the common people; it owed its artificial vitality to the intrigues of courtiers and sovereigns. As a preliminary to the impending contest, Ambrose, at the request of Gratian, who was about to lead an army to the relief of Valens, and wished to have at hand an antidote against Oriental sophistry, wrote his noble work, "De Fide ad Gratianum Augustum", afterwards expanded, and extant in five books. The first passage at arms between Ambrose and the Empress was on the occasion of an episcopal election at Sirmium, the capital of Illyricum, and at the time the residence of Justina. Notwithstanding her efforts, Ambrose was successful in securing the election of a Catholic bishop. He followed up this victory by procuring, at the Council of Aquilein, (381), over which he presided, the deposition of the only remaining Arianizing prelates of the West, Palladius and Secundianus, both Illyrians. The battle royal between Ambrose and the Empress, in the years 385,386, has been graphically described by Cardinal Newman in his "Historical Sketches". The question at issue was the surrender of one of the basilicas to the Arians for public worship. Throughout the long struggle Ambrose displayed in an eminent degree all the qualities of a great leader. His intrepidity in the moments of personal danger was equalled only by his admirable moderation; for, at certain critical stages of the drama one word from him would have hurled the Empress and her son from their throne. That word was never spoken. An enduring result of this great struggle with despotism was the rapid development during its course of the ecclesiastical chant, of which Ambrose laid the foundation. Unable to overcome the fortitude of the Bishop and the spirit of the people, the court finally desisted from its efforts. Ere long it was forced to call upon Ambrose to exert himself to save the imperilled throne.

Already he had been sent on an embassy to the court of the usurper, Maximus, who in the year 383 had defeated and slain Gratian, and now ruled in his place. Largely through his efforts an understanding had been reached between Maximus and Theodosius, whom Gratian had appointed to rule the East. It provided that Maximus should content himself with his present possessions and respect the territory of Valentinian II. Three years later Maximus determined to cross the Alps. The tyrant received Ambrose unfavourably and, on the plea, very honourable to the Saint, that he refused to hold communion with the bishops who had compassed the death of Priscillian (the first instance of capital punishment inflicted for heresy by a Christian prince) dismissed him summarily from his court. Shortly after, Maximus invaded Italy. Valentinian and his mother fled to Theodosius, who took up their cause, defeated the usurper, and put him to death. At this time Justina died, and Valentinian, by the advice of Theodosius, abjured Arianism and placed himself under the guidance of Ambrose, to whom he became sincerely attached. It was during the prolonged stay of Theodosius in the West that one of most remarkable episodes in the history of the Church took place; the public penance inflicted by the Bishop and submitted to by the Emperor. The long-received story, set afoot by the distant Theodoret, which extols the Saint's firmness at the expense of his equally pronounced virtues of prudence and meekness - that Ambrose stopped the Emperor at the porch of the church and publicly upbraided and humiliated him - is shown by modern criticism to have been greatly exaggerated. The emergency called into action every episcopal virtue. When the news reached Milan that the seditious Thessalonians had killed the Emperor's officials, Ambrose and the council of bishops, over which he happened to be presiding at the time, made an apparently successful appeal to the clemency of Theodosius. Great was their horror, when, shortly after Theodosius, yielding to the suggestions of Rufinose and other courtiers, ordered an indiscriminate massacre of the citizens, in which seven thousand perished. In order to avoid meeting the blood-stained monarch or offering up the Holy Sacrifice in his presence, and, moreover, to give him time to ponder the enormity of a deed so foreign to his character, the Saint, pleading ill-health, and sensible that he exposed himself to the charge of cowardice, retired to the country, whence he sent a noble letter "written with my own hand, that thou alone mayst read it", exhorting the Emperor to repair his crime by an exemplary penance. With "religious humility", says St. Augustine (De Civ. Dei., V, xxvi), Theodosius submitted; "and, being laid hold of by the discipline of the Church, did penance in such a way that the sight of his imperial loftiness prostrated made the people who were interceding for him weep more than the consciousness of offence had made them fear it when enraged". "Stripping himself of every emblem of royalty", says Ambrose in his funeral oration (c. 34), "he publicly in church bewailed his sin. That public penance, which private individuals shrink from, an Emperor was not ashamed to perform; nor was there afterwards a day on which he did not grieve for his mistake." This plain narrative, without theatrical setting, is much more honourable both to the Bishop and his sovereign.

Last Days of Ambrose

The murder of his youthful ward, Valentinian II, which happened in Gaul, May, 393, just as Ambrose was crossing the Alps to baptize him plunged the Saint into deep affliction. His eulogy delivered at Milan is singularly tender; he courageously described him as a martyr baptized in his own blood. The usurper Eugenius was, in fact, a heathen at heart, and openly proclaimed his resolution to restore paganism. He reopened the heathen temples, and ordered the famous altar of Victory, concerning which Ambrose and the prefect Symmachus had maintained a long and determined literary contest, to be again set up in the Roman senate chamber. This triumph of paganism was of short duration. Theodosius in the spring of 391 again lead his legions into the West, and in a brief campaign defeated and slew the tyrant. Roman heathenism perished with him. The Emperor recognized the merits of the great Bishop of Milan by announcing his victory on the evening of the battle and asking him to celebrate a solemn sacrifice of thanksgiving. Theodosius did not long survive his triumph; he died at Milan a few months later (January 395) with Ambrose at his bedside and the name of Ambrose on his lips. "Even while death was dissolving his body", says the Saint, "he was more concerned about the welfare of the churches than about his personal danger". "I loved him, and am confident that the Lord will hearken to the prayer I send up for his pious soul" (In obitu Theodosii, c. 35). Only two years elapsed before a kindly death reunited these two magnanimous souls. No human frame could long endure the incessant activity of an Ambrose. One instance, recorded by his secretary, of his extraordinary capacity for work is significant. He died on Good Friday. The following day five bishops found difficulty in baptizing the crowd to which he had been accustomed to administer the sacrament unaided. When the news spread that he was seriously ill, Count Stilicho, "fearing that his death would involve the destruction of Italy", despatched an embassy, composed of the chief citizens, to implore him to pray God to prolong his days. The response of the Saint made a deep impression on St. Augustine: "I have not so lived amongst you, that I need be ashamed to live; nor do I fear to die, for we have a good Lord". For several hours before his death he lay with extended arms in imitation of his expiring Master, who also appeared to him in person. The Body of Christ was given him by the Bishop of Vercelli, and, "after swallowing It, he peacefully breathed his last". It was the fourth of April, 397. He was interred as he had desired, in his beloved basilica, by the side of the holy martyrs, Gervasius and Protasius, the discovery of whose relics, during his great struggle with Justina, had so consoled him and his faithful adherents. In the year 835 one of his successors, Angilbert II, placed the relics of the three saints in as porphyry sarcophagus under the altar, where they were found in 1864. The works of St. Ambrose were issued first from the press of Froben at Basle, 1527, under the supervision of Erasmus. A more elaborate edition was printed in Rome in the year 1580 and following. Cardinal Montalto was the chief editor until elevation to the papacy as Sixtus V. It is in five volumes and still retains a value owing to the prefixed "Life" of the Saint, composed by Baronius. Then came the excellent Maurist edition published in two volumes at Paris, in 1686 and 1690; reprinted by Migne in four volumes. The career of St. Ambrose occupies a prominent place in all histories, ecclesiastical and secular, of the fourth century. Tillemont's narrative, in the tenth volume of his "Memoirs", is particularly valuable. The question of the genuineness of the so-called eighteen Ambrosian Hymns is of secondary importance. The great merit of the Saint in the field of hymnology is that of laying the foundations and showing posterity what ample scope there existed for future development.

Writings of Saint Ambrose

The special character and value of the writings of St. Ambrose are at once tangible in the title of Doctor of the Church, which from time immemorial he has shared in the West with St. Jerome, St. Augustine, and St. Gregory. He is an official witness to the teaching of the Catholic Church in his own time and in the preceding centuries. As such his writings have been constantly invoked by popes, councils and theologians; even in his own day it was felt that few could voice so clearly the true sense of the Scriptures and the teaching of the Church (St. Augustine, De doctrinâ christ., IV,46,48,50). Ambrose is pre-eminently the ecclesiastical teacher, setting forth in a sound and edifying way, and with conscientious regularity, the deposit of faith as made known to him. He is not the philosophic scholar meditating in silence and retirement on the truths of the Christian Faith, but the strenuous administrator, bishop, and statesman, whose writings are only the mature expression of his official life and labours. Most of his writings are really homilies, spoken commentaries on the Old and New Testaments, taken down by his hearers, and afterwards reduced to their present form, though very few of these discourses have reached us exactly as they fell from the lips of the great bishop. In Ambrose the native Roman genius shines out with surpassing distinctness; he is clear, sober, practical, and aims always at persuading his hearers to act at once on the principles and arguments he has laid down, which affect nearly every phase of their religious or moral life. "He is a genuine Roman in whom the ethico-practical note is always dominant. He had neither time nor liking for philosophico-dogmatic speculations. In all his writings he follows some practical purpose. Hence he is often content to reproduce what has been already treated, to turn over for another harvest a field already worked. He often draws abundantly from the ideas of some earlier writer, Christian or pagan, but adapts these thoughts with tact and intelligence to the larger public of his time and his people. In formal perfection his writings leave something to be desired; a fact that need not surprise us when we recall the demands on the time of such a busy man. His diction abounds in unconscious reminiscences of classical writers, Greek and Roman. He is especially conversant with the writings of Virgil. His style is in every way peculiar and personal. It is never wanting in a certain dignified reserve; when it appears more carefully studied than is usual with him, its characteristics are energetic brevity and bold originality. Those of his writings that are homiletic in origin and form betray naturally the great oratorical gifts of Ambrose; in them he rises occasionally to a noble height of poetical inspiration. His hymns are a sufficient evidence of the sure mastery that he possessed over the Latin language." (Bardenhewer, Les pères de l'église, Paris, 1898, 736 -737; cf. Pruner, Die Theologie des heil. Ambrosius, Eichstadt, 1864.) For convenience sake his extant writings may be divided into four classes: exegetical, dogmatic, ascetico-moral, and occasional. The exegetical writings, or scripture-commentaries deal with the story of Creation, the Old Testament figures of Cain and Abel, Noah, Abraham and the patriarchs, Elias, Tobias, David and the Psalms, and other subjects. Of his discourses on the New Testament only the lengthy commentary on St. Luke has reached us (Expositio in Lucam). He is not the author of the admirable commentary on the thirteen Epistles of St. Paul known as "Ambrosiaster". Altogether these Scripture commentaries make up more than one half of the writings of Ambrose. He delights in the allegorico-mystical interpretation of Scripture, i.e. while admitting the natural or literal sense he seeks everywhere a deeper mystic meaning that he converts into practical instruction for Christian life. In this, says St. Jerome (Ep.xli) "he was disciple of Origen, but after the modifications in that master's manner due to St. Hippolytus of Rome and St. Basil the Great". He was also influenced in this direction by the Jewish writer Philo to such an extent that the much corrupted text of the latter can often be successfully corrected from the echoes and reminiscences met with in the works of Ambrose. It is to be noted, however, that in his use of non-Christian writers the great Doctor never abandons a strictly Christian attitude (cf. Kellner, Der heilige Ambrosius als Erklärer das Alten Testamentes, Ratisbon, 1893).

The most influential of his ascetico-moral writings is the work on the duties of Christian ecclesiastics (De officiis ministrorum). It is a manual of Christian morality, and in its order and disposition follows closely the homonymous work of Cicero. "Nevertheless", says Dr. Bardenhewer, "the antitheses between the philosophical morality of the pagan and the morality of the Christian ecclesiastic is acute and striking. In his exhortations, particularly, Ambrose betrays an irresistible spiritual power" (cf. R. Thamin, Saint Ambroise et la morale chrétienne at quatrième siècle, Paris, 1895). He wrote several works on virginity, or rather published a number of his discourses on that virtue, the most important of which is the treatise "On Virgins" addressed to his sister Marcellina, herself a virgin consecrated to the divine service. St. Jerome says (Ep. xxii) that he was the most eloquent and exhaustive of all the exponents of virginity, and his judgment expresses yet the opinion of the church. The genuineness of the touching little work "On the Fall of a Consecrated Virgin" (De lapsu virginis consecratæ) has been called in question, but without sufficient reason. Dom Germain Morin maintains that it is a real homily of Ambrose, but like so many more of his so-called "books", owes its actual form to some one of his auditors. His dogmatic writings deal mostly with the divinity of Jesus Christ and of the Holy Ghost, also with the Christian sacraments. At the request of the young Emperor Gratian (375-383) he composed a defence of the true divinity of Jesus Christ against the Arians, and another on the true divinity of the Holy Ghost against the Macedonians; also a work on the Incarnation of Our Lord. His work "On Penance" was written in refutation of the rigoristic tenets of the Novatians and abounds in useful evidences of the power of the Church to forgive sins, the necessity of confession and the meritorious character of good works. A special work on Baptism (De sacramento regenerationis), often quoted by St. Augustine, has perished. We possess yet, however, his excellent treatise (De Mysteriis) on Baptism, Confirmation, and the Blessed Eucharist (P.L. XVI, 417-462), addressed to the newly baptized. Its genuineness has been called in doubt by opponents of Catholic teaching concerning the Eucharist, but without any good reason. It is highly probable that the work on the sacraments (De Sacramentis, ibid.) is identical with the preceding work; only, says Bardenhewer, "indiscreetly published by some hearer of Ambrose". Its evidences to the sacrificial character of the Mass, and to the antiquity of the Roman Canon of the Mass are too well known to need more than a mention; some of them may easily be seen in any edition of the Roman Breviary (cf. Probst, Die Liturgie des vierten Jahrhunderts und deren Reform, Münster, 1893, 232-239). The correspondence of Ambrose includes but a few confidential or personal letters; most of his letters are official notes, memorials on public affairs, reports of councils held, and the like. Their historical value is, however, of the first order, and they exhibit him as a Roman administrator and statesman second to none in Church or State. If his personal letters are unimportant, his remaining discourses are of a very high order. His work on the death (378) of his brother Satyrus (De excessu fratris sui Satyri) contains his funeral sermon on his brother, one of the earliest of Christian panegryics and a model of the consolatory discourses that were henceforth to take the place of the cold and inept declamations of the Stoics. His funeral discourses on Valentinian II (392), and Theodosius the Great (395) are considered models of rhetorical composition; (cf. Villemain, De l'éloquence chrétienne, Paris, ed. 1891); they are also historical documents of much importance. Such, also, are his discourse against the Arian intruder, Auxentius (Contra Auxentium de basilicis tradendis) and his two discourses on the finding of the bodies of the Milanese martyrs Gervasius and Protasius.

Not a few works have been falsely attributed to St. Ambrose; most of them are found in the Benedictine Edition of his writings (reprinted in Migne) and are discussed in the manuals of patrology(e.g. Bardenhewer). Some of his genuine works appear to have been lost, e.g. the already mentioned work on baptism. St. Augustine (Ep. 31, 8) is loud in his praise of a (now lost) work of Ambrose written against those who asserted an intellectual dependency of Jesus Christ on Plato. It is not improbable that he is really the author of the Latin translation and paraphrase of Josephus (De Bell. Judaico), known in the Middle Ages as Hegesippus or Egesippus, a distortion of the Greek name of the original author (Iosepos). Mommsen denies (1890) his authorship of the famous Roman law text known as the "Lex Dei, sive Mosaicarum et Romanarum Legum Collatio", an attempt to exhibit the law of Moses as the historical source whence Roman criminal jurisprudence drew its principal dispositions.

Editions of his Writings

The literary history of the editions of his writings is a long one and may be seen in the best lives of Ambrose. Erasmus edited them in four tomes at Basle (1527). A valuable Roman edition was brought out in 1580, in five volumes, the result of many years' labour; it was begun be Sixtus V, while yet the monk Felice Peretti. Prefixed to it is the life of St. Ambrose composed by Baronius for his Ecclesiastical Annals. The excellent Benedictine edition appeared at Paris (1686-90) in two folio volumes; it was twice reprinted at Venice (1748-51, and 1781-82). The latest edition of the writings of St. Ambrose is that of P.A. Ballerini (Milan, 1878) in six folio volumes; it has not rendered superfluous the Benedictine edition of du Frische and Le Nourry. Some writings of Ambrose have appeared in the Vienna series known as the "Corpus Scriptorum Classicorum Latinorum" (Vienna, 1897-1907). There is an English version of selected works of St. Ambrose by H. de Romestin in the tenth volume of the second series of the "Select Library of Nicene and Post-Nicene Fathers" (New York, 1896). A German version of selected writings in two volumes, executed by Fr. X. Schulte, is found in the "Bibliothek der Kirchenväter" (Kempten, 1871-77).

Bibliography

For exhaustive bibliographies see Chevalier, Répertoire, etc., Bio-Bibliographie (2d ed., Paris, 1905), 186-89; Bardenhewer, Patrologie (2d ed. Freiburg, 1901), 387-89. Da Broglie, Les Saints, St. Ambroise (Paris, 1899); Davies in Dict. of Christ. Biogr., s.v., I, 91-99; BUTLER, Lives of the Saints, 7 Dec.; Förster, Ambrosius, Bischof von Mailand (Halle, 1884); Imm, Studia Ambrosiana (Leipzig, 1890); FERRARI, Introduction to Ambrosiana, a collection of learned studies published (Milan 1899) on accasion of the fifteenth centenary of his death. The introduction mentioned is by CARDINAL FERRARI, Archbishop of Milan.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. I, New York, 1907 (http://www.newadvent.org/cathen/01383c.htm)

Augustinus
07-12-07, 08:22
BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 24 ottobre 2007

Sant'Ambrogio

Cari fratelli e sorelle,

il santo Vescovo Ambrogio - del quale vi parlerò quest'oggi - morì a Milano nella notte fra il 3 e il 4 aprile del 397. Era l'alba del Sabato santo. Il giorno prima, verso le cinque del pomeriggio, si era messo a pregare, disteso sul letto, con le braccia aperte in forma di croce. Partecipava così, nel solenne triduo pasquale, alla morte e alla risurrezione del Signore. «Noi vedevamo muoversi le sue labbra», attesta Paolino, il diacono fedele che su invito di Agostino ne scrisse la Vita, «ma non udivamo la sua voce». A un tratto, la situazione parve precipitare. Onorato, Vescovo di Vercelli, che si trovava ad assistere Ambrogio e dormiva al piano superiore, venne svegliato da una voce che gli ripeteva: «Alzati, presto! Ambrogio sta per morire...». Onorato scese in fretta - prosegue Paolino - «e porse al santo il Corpo del Signore. Appena lo prese e deglutì, Ambrogio rese lo spirito, portando con sé il buon viatico. Così la sua anima, rifocillata dalla virtù di quel cibo, gode ora della compagnia degli angeli» (Vita 47). In quel Venerdì santo del 397 le braccia spalancate di Ambrogio morente esprimevano la sua mistica partecipazione alla morte e alla risurrezione del Signore. Era questa la sua ultima catechesi: nel silenzio delle parole, egli parlava ancora con la testimonianza della vita.

Ambrogio non era vecchio quando morì. Non aveva neppure sessant'anni, essendo nato intorno al 340 a Treviri, dove il padre era prefetto delle Gallie. La famiglia era cristiana. Alla morte del padre, la mamma lo condusse a Roma quando era ancora ragazzo, e lo preparò alla carriera civile, assicurandogli una solida istruzione retorica e giuridica. Verso il 370 fu inviato a governare le province dell'Emilia e della Liguria, con sede a Milano. Proprio lì ferveva la lotta tra ortodossi e ariani, soprattutto dopo la morte del Vescovo ariano Aussenzio. Ambrogio intervenne a pacificare gli animi delle due fazioni avverse, e la sua autorità fu tale che egli, pur semplice catecumeno, venne acclamato dal popolo Vescovo di Milano.

Fino a quel momento Ambrogio era il più alto magistrato dell'Impero nell'Italia settentrionale. Culturalmente molto preparato, ma altrettanto sfornito nell'approccio alle Scritture, il nuovo Vescovo si mise a studiarle alacremente. Imparò a conoscere e a commentare la Bibbia dalle opere di Origene, il maestro indiscusso della «scuola alessandrina». In questo modo Ambrogio trasferì nell'ambiente latino la meditazione delle Scritture avviata da Origene, iniziando in Occidente la pratica della lectio divina. Il metodo della lectio giunse a guidare tutta la predicazione e gli scritti di Ambrogio, che scaturiscono precisamente dall’ascolto orante della Parola di Dio. Un celebre esordio di una catechesi ambrosiana mostra egregiamente come il santo Vescovo applicava l’Antico Testamento alla vita cristiana: «Quando si leggevano le storie dei Patriarchi e le massime dei Proverbi, abbiamo trattato ogni giorno di morale - dice il Vescovo di Milano ai suoi catecumeni e ai neofiti - affinché, formati e istruiti da essi, voi vi abituaste ad entrare nella via dei Padri e a seguire il cammino dell'obbedienza ai precetti divini» (I misteri 1,1). In altre parole, i neofiti e i catecumeni, a giudizio del Vescovo, dopo aver imparato l’arte del vivere bene, potevano ormai considerarsi preparati ai grandi misteri di Cristo. Così la predicazione di Ambrogio - che rappresenta il nucleo portante della sua ingente opera letteraria - parte dalla lettura dei Libri sacri («i Patriarchi», cioè i Libri storici, e «i Proverbi», vale a dire i Libri sapienziali), per vivere in conformità alla divina Rivelazione.

E' evidente che la testimonianza personale del predicatore e il livello di esemplarità della comunità cristiana condizionano l'efficacia della predicazione. Da questo punto di vista è significativo un passaggio delle Confessioni di sant'Agostino. Egli era venuto a Milano come professore di retorica; era scettico, non cristiano. Stava cercando, ma non era in grado di trovare realmente la verità cristiana. A muovere il cuore del giovane retore africano, scettico e disperato, e a spingerlo alla conversione definitivamente, non furono anzitutto le belle omelie (pure da lui assai apprezzate) di Ambrogio. Fu piuttosto la testimonianza del Vescovo e della sua Chiesa milanese, che pregava e cantava, compatta come un solo corpo. Una Chiesa capace di resistere alle prepotenze dell'imperatore e di sua madre, che nei primi giorni del 386 erano tornati a pretendere la requisizione di un edificio di culto per le cerimonie degli ariani. Nell’edificio che doveva essere requisito - racconta Agostino - «il popolo devoto vegliava, pronto a morire con il proprio Vescovo». Questa testimonianza delle Confessioni è preziosa, perché segnala che qualche cosa andava muovendosi nell'intimo di Agostino, il quale prosegue: «Anche noi, pur ancora spiritualmente tiepidi, eravamo partecipi dell'eccitazione di tutto il popolo» (Confessioni 9,7).

Dalla vita e dall'esempio del Vescovo Ambrogio, Agostino imparò a credere e a predicare. Possiamo riferirci a un celebre sermone dell'Africano, che meritò di essere citato parecchi secoli dopo nella Costituzione conciliare Dei Verbum: «E' necessario - ammonisce infatti la Dei Verbum al n. 25 - che tutti i chierici e quanti, come i catechisti, attendono al ministero della Parola, conservino un continuo contatto con le Scritture, mediante una sacra lettura assidua e lo studio accurato, “affinché non diventi - ed è qui la citazione agostiniana - vano predicatore della Parola all'esterno colui che non l'ascolta di dentro”». Aveva imparato proprio da Ambrogio questo “ascoltare di dentro”, questa assiduità nella lettura della Sacra Scrittura in atteggiamento orante, così da accogliere realmente nel proprio cuore ed assimilare la Parola di Dio.

Cari fratelli e sorelle, vorrei proporvi ancora una sorta di «icona patristica», che, interpretata alla luce di quello che abbiamo detto, rappresenta efficacemente «il cuore» della dottrina ambrosiana. Nel sesto libro delle Confessioni Agostino racconta del suo incontro con Ambrogio, un incontro certamente di grande importanza nella storia della Chiesa. Egli scrive testualmente che, quando si recava dal Vescovo di Milano, lo trovava regolarmente impegnato con catervae di persone piene di problemi, per le cui necessità egli si prodigava. C’era sempre una lunga fila che aspettava di parlare con Ambrogio per trovare da lui consolazione e speranza. Quando Ambrogio non era con loro, con la gente (e questo accadeva per lo spazio di pochissimo tempo), o ristorava il corpo con il cibo necessario, o alimentava lo spirito con le letture. Qui Agostino fa le sue meraviglie, perché Ambrogio leggeva le Scritture a bocca chiusa, solo con gli occhi (cfr Confess. 6,3). Di fatto, nei primi secoli cristiani la lettura era strettamente concepita ai fini della proclamazione, e il leggere ad alta voce facilitava la comprensione pure a chi leggeva. Che Ambrogio potesse scorrere le pagine con gli occhi soltanto, segnala ad Agostino ammirato una capacità singolare di lettura e di familiarità con le Scritture. Ebbene, in quella «lettura a fior di labbra», dove il cuore si impegna a raggiungere l'intelligenza della Parola di Dio - ecco «l'icona» di cui andiamo parlando -, si può intravedere il metodo della catechesi ambrosiana: è la Scrittura stessa, intimamente assimilata, a suggerire i contenuti da annunciare per condurre alla conversione dei cuori.

Così, stando al magistero di Ambrogio e di Agostino, la catechesi è inseparabile dalla testimonianza di vita. Può servire anche per il catechista ciò che ho scritto nella Introduzione al cristianesimo, a proposito del teologo. Chi educa alla fede non può rischiare di apparire una specie di clown, che recita una parte «per mestiere». Piuttosto - per usare un'immagine cara a Origene, scrittore particolarmente apprezzato da Ambrogio - egli deve essere come il discepolo amato, che ha poggiato il capo sul cuore del Maestro, e lì ha appreso il modo di pensare, di parlare, di agire. Alla fine di tutto, il vero discepolo è colui che annuncia il Vangelo nel modo più credibile ed efficace.

Come l'apostolo Giovanni, il Vescovo Ambrogio - che mai si stancava di ripetere: «Omnia Christus est nobis!; Cristo è tutto per noi!» - rimane un autentico testimone del Signore. Con le sue stesse parole, piene d'amore per Gesù, concludiamo così la nostra catechesi: «Omnia Christus est nobis! Se vuoi curare una ferita, egli è il medico; se sei riarso dalla febbre, egli è la fonte; se sei oppresso dall'iniquità, egli è la giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è la forza; se temi la morte, egli è la vita; se desideri il cielo, egli è la via; se sei nelle tenebre, egli è la luce... Gustate e vedete come è buono il Signore: beato è l'uomo che spera in lui!» (De virginitate 16,99). Speriamo anche noi in Cristo. Saremo così beati e vivremo nella pace.

Augustinus
07-12-07, 08:34
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/de/9862_-_Milano_-_Sant%27Ambrogio_-_Cripta_-_Urna_%281897%29_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_25-Apr-2007.jpg http://img205.imageshack.us/img205/4517/ambrose5wr8.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/cc/9865_-_Milano_-_Sant%27Ambrogio_-_Cripta_-_Urna_%281897%29_-_Foto_Giovanni_Dall%27Orto_25-Apr-2007.jpg Giovanni Lomazzi (su disegno di Ippolito Marchetti), Urna d'argento sbalzato con i resti dei SS. Gervasio, Protasio ed Ambrogio, 1897, Cripta, Basilica di S. Ambrogio, Milano

Augustinus
07-12-07, 09:26
Sant'Ambrogio

di Maria Grazia Tolfo

La magistratura accanto a Sesto Petronio Probo

Aurelio Ambrogio nacque a Treviri nel 339-340 ultimo di tre figli. Suo padre ricopriva nelle Gallie la magistratura suprema dell’impero, la prefettura del pretorio, agli ordini di Costantino II. Il prefetto delle Gallie dal suo palazzo di Treviri controllava l’amministrazione giudiziaria e civile di mezza Europa, dal vallo di Antonino fino al Marocco, dal Reno all’Atlantico. Il prefetto rappresentava l’imperatore, ne promulgava le leggi, vigilava sui governatori delle province in cui era divisa la prefettura, accoglieva gli appelli dei tribunali provinciali, provvedeva alla manutenzione delle strade e al servizio delle poste imperiali, pagava il soldo all’esercito e procurava le vettovaglie.

Non disponiamo di notizie dirette riguardanti il padre di Ambrogio, tranne che apparteneva a una famiglia consolare, probabilmente di origine greco-orientale, come lascerebbe intendere il suo nomen, Uranius; il cognomen è invece ignoto: chi lo dice Ambrosius, chi Satyrus.
La madre apparteneva alla gens Aurelia e possedeva vasti appezzamenti in Sicilia e nel Nord-Africa. Dalla seconda metà del II secolo, in seguito alle invasioni barbariche e alle carestie conseguenti le difficoltà di lavorare i campi, l’Africa proconsolare aveva ricevuto una quantità enorme d’investimenti in tenute agricole per compensare la produzione decimata delle province occidentali. Possedere terreni in Africa era quindi segno di distinzione e di benessere economico.
Sembra probabile che il prefetto venisse coinvolto nelle lotte tra i figli di Costantino per la supremazia in Occidente, morendo nel colpo di stato tentato da Costantino II e che la sua persona sia stata colpita dalla damnatio memoriae, dal momento che neppure suo figlio lo ricorda mai e non compare citato negli atti ufficiali finora noti.

Dopo la morte del padre, la famiglia da Treviri si spostò a Roma. Qui Ambrogio fu educato ed entrò nella carriera amministrativa; dopo essere stato a Sirmio dal 365 col fratello maggiore Satiro, dove entrambi ricoprivano l’incarico di funzionari presso la prefettura del pretorio Italiae, Illyrici et Africae con Vulcacio Rufino, fu promosso nel 368 a membro del consiglio privato di Sesto Petronio Probo, che si alternava fra Sirmio e Milano.

Sesto Anicio Petronio Probo, un veronese immensamente ricco, discendente per parte materna dalla gens Anicia, viene dipinto da Ammiano Marcellino con pochi ma feroci tratti, mettendo in risalto soprattutto l’esorbitanza delle riscossioni che avevano prostrato l’Illirico più delle razzie dei barbari, costringendo molti patrizi al suicidio o alla fuga. Probo era un vero padrino, capo di un forte clan di fedeli. La sua potenza era nota a tutti: una delegazione di Persiani, venuti a Milano quando Ambrogio era già vescovo, chiese di incontrare Ambrogio e il suo protettore; per loro il vescovo e il prefetto riassumevano il prestigio di Milano.

Nel 371 Probo tenne il consolato insieme all’imperatore Graziano e approfittò della carica per nominare consularis il suo protetto Ambrogio, cioè governatore della provincia Liguria et Aemilia. La Liguria comprendeva Bergamo, Brescia, Como, Lodi, Milano, Novara, Pavia, Vercelli, Torino; l’Aemilia Bologna, Faenza, Forlì, Imola, Modena, Parma, Piacenza, Reggio. E così ebbe inizio la strana avventura di Ambrogio a Milano.

Per quanto riguarda l’aspetto fisico di Ambrogio, il mosaico di S. Vittore in Ciel d’oro ce lo mostra piccolo e gracile, con capelli scuri e un po’ ricci, barba e baffi e una leggera asimmetria nel volto, con un occhio leggermente più basso e chiuso dell’altro. Un ritratto virile dipinto su vetro (al Museo di Arezzo) sembra adattarsi perfettamente a questo identikit, anche se non è mai stata fatta l’identificazione ufficiale con Ambrogio.

L’analisi del suo scheletro ha rivelato che Ambrogio era alto ca. 1,63 m, che soffriva di una grave forma di artrite cronica della colonna vertebrale, uno stato di infiammazione che conduce gradualmente a un irrigidimento della persona e alla paralisi del tronco e del capo, con la sola mobilità degli arti. Tale affezione è spesso accompagnata da un reuma alla faringe, che impedisce di parlare a lungo. Sembra probabile che la morte sia avvenuta per insufficienza cardio-respiratoria.

La malattia dovette manifestarsi in giovane età, perché già nel 378, in occasione del discorso funebre per la morte del fratello Satiro, Ambrogio fa riferimento a una grave malattia che l’aveva colpito e “disgraziatamente” non l’aveva ucciso per risparmiargli lo strazio della morte dell’inseparabile Satiro. In una lettera del 383 ai Tessalonicesi il vescovo si scusa per la grave infermità che gli aveva impedito di andare incontro al loro vescovo in visita a Milano. Ancora nel 390, nella lettera privata inviata a Teodosio per la strage di Salonicco (che analizzeremo nella prossima lezione), Ambrogio adduce come motivo ufficiale della sua assenza da Milano una malattia fisica, per altro “realmente grave”.

Il vescovo, lavoratore instancabile, che dettava anche di notte lettere e prediche ai suoi segretari e stenografi, non si risparmiò mai nonostante questa terribile infermità.

I fratelli Marcellina e Satiro

Marcellina era la sorella maggiore, nata intorno al 335 probabilmente a Roma, luogo d’origine della famiglia materna.

Alla vigilia di Natale del 353 (o all’Epifania del 354) Marcellina prese il velo dalle mani di papa Liberio. La preparazione a questo evento e la cerimonia colpì il tredicenne Ambrogio, che durante la sua vita episcopale dedicò molti studi e prediche alla verginità e alla consacrazione femminile di vergini e vedove. Come d’uso a quei tempi, Marcellina continuò a vivere a casa sua, affiancata da un’amica con la quale condivideva la preghiera, ricevendo molte visite di personalità religiose. Il biografo Paolino racconta che da ragazzino Ambrogio voleva farsi baciare la mano destra, come vedeva fare ai vescovi che venivano a far visita alla famiglia, perché da grande voleva diventare vescovo. L’aneddoto ci serve anche per farci conoscere le alte frequentazioni cristiane della famiglia di Ambrogio molto prima che l’ultimogenito accedesse agli onori ecclesiastici.

Marcellina trascorse la maggior parte della sua vita a Roma, trasferendosi solo negli ultimi anni dell’episcopato di Ambrogio a Milano. In una lettera a Siagrio di Verona scritta verso il 395-6 Marcellina appare accanto al fratello quale sua consigliera nella delicata questione concernente Iudicia, una vergine veronese accusata d’infanticidio (Ep. 56). Gli atti dei santi registrano la morte di Marcellina al 17 luglio 397 o 398.

Ambrogio nutrì un grandissimo amore anche verso il fratello, del quale ci ha lasciato un intrigante ritratto nella prima versione De excessu fratris. Innanzi tutto colpisce l’identificazione tra i due fratelli, quasi fossero gemelli (ipotesi avvalorata dall’analisi dello scheletro di Satiro, di costituzione esile, alto 1,62 cm e con un infossamento maggiore sotto l’osso zigomatico sinistro, difetto identico a quello riscontrato in Ambrogio):

“Non so per quale atteggiamento dell’animo, per quale somiglianza fisica sembravamo essere uno nell’altro. Chi ti vedeva e non credeva di aver visto me? La nostra condizione di vita non fu mai troppo diversa, buona salute e malattia ci furono sempre comuni, così che quando l’uno era ammalato, cadeva ammalato anche l’altro, e quando uno guariva, anche l’altro si alzava dal letto.”

Per proprietà transitiva, dobbiamo allora dedurre che anche Ambrogio si comportasse nei confronti del sesso femminile come Satiro? “Amò a tal punto la castità, che non prese nemmeno moglie... Con la faccia soffusa di una verecondia verginale, se per caso incontrava sulla sua strada una parente, si chinava quasi a toccare il suolo e di rado sollevava la faccia, alzava gli occhi, rispondeva a ciò che gli veniva detto. E questo faceva per un delicato pudore dell’animo, con il quale si accordava la castità del corpo”.

Anche per quanto riguarda la severità di costumi l’identificazione doveva essere pressoché totale: “Perché parlare della sua parsimonia e, starei per dire, della sua castità nel possedere? Non volle però essere defraudato del suo, perché chiamava giustamente “avvoltoi del denaro” coloro che bramano i beni altrui. Non amò mai banchetti troppo raffinati o troppo abbondanti. Certamente non era povero di mezzi, ma tuttavia povero di spirito.”

La vicinanza dell’inseparabile Satiro dovette essere di grande conforto per il neo-eletto vescovo, quanto il vuoto per la sua perdita incolmabile, fino a perdere l’equilibrio che l’aveva contraddistinto nelle sue decisioni politiche: “Nel legame di un’unica parentela, tu mi rendevi i servigi di molti parenti, tanto che io rimpiango in te la perdita non di una sola, ma di più persone amate. Mi eri di conforto in casa, onore in pubblico; approvavi le mie decisioni, condividevi le mie inquietudini, allontanavi le mie angustie. Nella costruzione delle chiese spesso ho temuto di non avere la tua approvazione...”.

Venne sepolto accanto alle reliquie di S. Vittore nel sacello di S. Vittore in Ciel d’oro. Ambrogio compose questo epitaffio, copiato all’inizio del IX secolo dal monaco irlandese Dungolo:

“A Uranio Satiro il fratello accordò l’onore supremo, deponendolo alla sinistra del martire. Questa sia ricompensa ai suoi meriti: l’onda del sacro sangue infiltrandosi irrori le vicine spoglie”.

Il culto ufficiale di Satiro e Marcellina, come del resto quello di S. Ambrogio, si attesta in età carolingia a partire dal IX secolo per difendere le prerogative e le peculiarità della Chiesa ambrosiana intesa come milanese.

L’elezione

“Io sono stato chiamato all’episcopato dal frastuono delle liti del foro e dal temuto potere della pubblica amministrazione” (La penitenza, II, 8, ca. 390).

...liti del foro... temuto potere... danno un’idea della vita milanese e non solo. Il governatore Ambrogio si adoperò nel 374 per sedare i tumulti scoppiati a Milano per la successione del vescovo ariano Aussenzio; la sua opera fu così apprezzata che proprio lui fu designato “a furor di popolo” quale successore del vescovo. Il suo equilibrio, la sua equidistanza fra le due parti avranno fatto ritenere la sua persona la più idonea - magari in via transitoria - a ricoprire una carica al momento piuttosto problematica, senza scontentare nessuno. Non è escluso che a guidare la scelta popolare sia stato il prefetto dell’Illirico, Africa e Italia Sesto Petronio Probo, che piazzava in posizione strategica un valido alleato.

C’era però un problema: Ambrogio non solo era un laico, ma non era neppure stato battezzato, dal momento che il battesimo lo prendevano coloro che intendevano seguire la carriera religiosa. Poiché nelle comunità cristiane, soprattutto nei centri più importanti, era invalsa la tendenza a scegliere come vescovi persone ricche o influenti (avvocati, funzionari..), la legislazione ecclesiastica, espressa nei canoni dei concili di Nicea (325) e di Serdica (343), sottoscritti dall’imperatore come capo della Chiesa cristiana, vietava l’accesso agli ordini sacri dei funzionari pubblici, con la scusa che potevano aver versato sangue e essere stati ingiusti, ma in realtà per non trasferire il potere acquisito nel pubblico all’interno della gestione della Chiesa.

Ambrogio non dovette essere molto lusingato della designazione e non stentiamo a credere che volesse sottrarsi a un tale onere: “Cosa non feci per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l’ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami”. (Lettera fuori coll. 14 ai Vercellesi). Il tema della fuga per indegnità nel caso che l’eletto sia un laico è un topos e lo si ritrova nelle agiografie di Cipriano di Cartagine, di papa Cornelio e di Martino di Tours, ma si può immaginare che Ambrogio si sentisse come una pedina da sacrificare e quindi fosse un po’ recalcitrante.

Per essere escluso dall’incarico Ambrogio sottopone degli accusati alla tortura, s’incontra con delle prostitute e cita i filosofi platonici, infine scappa due volte, ma non c’è niente da fare, la scelta è stata fatta. Valentiniano I, che risiede a Treviri, dà il suo assenso e il vicario imperiale, che risiede a Milano, pubblica un editto per rintracciare e consegnare Ambrogio: un po’ forte come sostegno imperiale neutro.

I vescovi suffraganei come reagirono all’acclamazione popolare? Provenivano da un ventennio di gestione ariana. Il clero milanese era diviso fra preti niceni, come Filastrio, capo del gruppo niceno milanese, che diverrà vescovo di Brescia o come il diacono Sabino, in relazione con Basilio di Cesarea, presente al concilio di Roma del 370 e poi vescovo di Piacenza, e quelli consacrati dall’ariano Aussenzio.

Anche sulla data dell’acclamazione popolare a vescovo - a imitazione dell’esercito che acclamava l’imperatore - non ci sono notizie. Sappiamo che Ambrogio fu battezzato domenica 30 novembre (eccezionalmente fuori dal turno della vigilia di Pasqua) e fu consacrato il 7 dicembre 374 da un vescovo anonimo. Secondo la tradizione della Chiesa di Vercelli, si tratterebbe di S. Limenio, vescovo di quella città, ma Ambrogio non lo cita mai, sembra anzi esercitare nei suoi confronti una sorta di censura.

Come si comportò Ambrogio, almeno inizialmente, nei confronti degli ariani? Teofilo d’Alessandria ci informa intorno al 400 che “Ambrogio accolse quanti avevano ricevuto l’ordinazione da Aussenzio, suo predecessore”, ovvero si fece una sorta di sanatoria in attesa di meglio ordinare l’organico. Nei suoi discorsi il neo vescovo si astenne da polemiche antiariane per mantenere la precaria unità nella comunità cristiana milanese, almeno fino alla morte del fratello Satiro (gennaio 378); già nel febbraio 378 Ambrogio introduceva accenni antiariani nelle sue prediche.

Appena consacrato offrì alla Chiesa milanese l’oro e l’argento che possedeva, i poderi di sua proprietà in Sicilia e nell’Africa proconsolare, riservandone l’usufrutto alla sorella. Questi beni terrieri costituiranno il patrimonio della Chiesa milanese fino all’occupazione dei Vandali in Nordafrica e degli Arabi in Sicilia.

Il neo-vescovo viene istruito da Simpliciano che, nato intorno al 325, aveva quindi quasi 50 anni quando Ambrogio fu consacrato e ne avrà 72 quando sarà eletto a succedere ad Ambrogio. L’anziano diacono è autore di una Lettera con testi da sviluppare che usa per l’educazione il metodo maieutico.

Dal dicembre 374 al febbraio 378 la vita di Ambrogio vescovo dovette procedere con fatica, se si tiene conto che il suo potente sostenitore, Probo, era stato licenziato da Graziano alla fine del 375, perdendo ogni incarico politico. A macchinare contro di lui ci si era messo il temibile Leone, magister officiorum dal 370, un illirico che si era prefisso lo scopo ambizioso di ottenere il posto di Probo, senza riuscirci. A confortare Ambrogio erano rimasti Satiro e Simpliciano, poi, con la morte del fratello, l’equilibrio si ruppe ed iniziarono i guai, che si chiamavano Giustina...

Compagine socio-religiosa dei milanesi

Quando Ambrogio fu proposto come vescovo a Milano (120.000 abitanti) erano presenti tre fazioni rilevanti: i conservatori, gli ariani e i cattolici. Al partito dei conservatori aderiva la maggioranza della popolazione fedele alle tradizioni pagane romane; non compaiono negli scritti se non per essere irrisi (i costumi effemminati di certi adepti, la loro reazione ai riti cattolici, ecc.). Gli ariani, sostenuti dall’esercito per lo più barbarico e dalla corte, erano il gruppo per consistenza più vicino a quello cattolico e in certi periodi, come durante il ventennale episcopato di Aussenzio da cui usciva la città, senz’altro predominante. Gli ariani contestavano il primato pietrino, il culto delle reliquie e le gerarchie ecclesiastiche, auspicando una chiesa di popolo con un governo affidato ai vescovi. Venivano quindi i cattolici, che all’elezione di Ambrogio erano all’opposizione.

Sulla sociologia della comunità cristiana i pareri erano discordi anche fra gli osservatori contemporanei. Secondo Celso i cristiani erano reclutati soprattutto fra gli strati inferiori della popolazione, cioè fra schiavi e nullatenenti. Secondo altri appartenevano al ceto medio, per cui il cristianesimo era un movimento sociale urbano che aveva nella borghesia cittadina la sua base sociale. In realtà il sodalizio cristiano era molto selettivo ed escludeva i tenutari di postriboli, gli scultori (per via degli idoli), gli attori, i maestri, gli atleti e gli aurighi, i soldati, i magistrati, i maghi, gli astrologi e i falsari. Tutti loro potevano diventare catecumeni purché rinunciassero al lavoro. I soldati cristiani potevano fare obiezione di coscienza e farsi assegnare al servizio pubblico, come i vigiles, i beneficiarii (truppe che aiutavano il governatore ad amministrare il territorio), i protectores e i domestici; vi erano centurioni passati alla sorveglianza dell’imperatore, dei prigionieri, dei trasporti pubblici e della posta, alla supervisione dei rifornimenti e anche a compiti di segreteria militare e civile.

Al momento dell’elezione di Ambrogio sembra che il gruppo cattolico contasse soprattutto i ceti insoddisfatti del governo: i mercatores che dovevano pagare un forte gettito fiscale a favore dell’apparato statale e gli apparitores, cioè i subalterni addetti ai magistrati (littori, araldi, scrivani, ecc.), che diedero come “martiri” locali i cosiddetti SS. Innocenti.

Giustina guida la riscossa ariana

Alla fine del 378 la corte di Sirmio, dove risiedeva l’imperatrice-madre Giustina col figlioletto Valentiniano II, si sposta per motivi di sicurezza a Milano e per Ambrogio comincia un periodo di rapporti difficili con la corte prevalentemente ariana, controllata dal violento e corrotto Calligonus, praepositus sacri cubiculi.

Il vescovo si era già scontrato con Giustina a Sirmio, in occasione della consacrazione del vescovo nel 376, riuscendo ad imporre un prelato di sua scelta nonostante l’imperatrice fosse scesa apertamente in campo contro di lui. Possiamo immaginare come si sentisse il vescovo alla notizia che la terribile imperatrice era arrivata a Milano... Di origine siciliana, figlia di un governatore del Piceno, Giustina era una donna bella ed ambiziosa. Aveva sposato in prime nozze l’usurpatore Magnenzio e quindi Valentiniano I, che per lei aveva ripudiato nel 364 la prima moglie, Marina Severa.

Paolino così narra la scontro tra i due: “Giustina, trasferita la corte a Milano nel 378, sobillava il popolo con l’offerta di doni e di onori. Gli animi dei deboli erano accalappiati da tali promesse: assegnava infatti tribunati e diverse dignità a coloro che avessero rapito il vescovo dalla chiesa e condotto in esilio”.

In effetti Giustina richiese per il culto ariano l’assegnazione di una basilica e, di fronte al netto rifiuto del vescovo, la fece occupare. Graziano dovette intervenire ordinando ufficialmente il sequestro della basilica per garantirne l’officiatura da parte ariana. L’imperatrice-madre tentò di sostituire Ambrogio con Giuliano Valente, vescovo cattolico ma con aperture verso l’arianesimo. Negli atti del concilio di Aquileia del 381 Ambrogio lo accusa di indossare collana e braccialetti come i Goti, cosa doppiamente empia, e di turbare la chiesa milanese provocando tumulti sia davanti alla sinagoga, sia nelle case degli ariani. Questa associazione tra ebrei ed ariani, tipica nei cristiani dell’epoca, favorirà la visione antigiudaica che il medioevo avrà della missione ambrosiana.

La durezza dello scontro dovette non poco sconcertare il giovane imperatore, che chiese ad Ambrogio un fidei libellus e il vescovo compose per lui il De fide, un’amplissima confutazione dell’arianesimo, che vedremo meglio nella terza lezione. A sostenere Ambrogio nella sua missione antiariana fu il giovane imperatore Graziano, che dal marzo 381 operò in materia religiosa in pieno accordo col vescovo. Giustina, stizzita, si spostò ad Aquileia e allora Ambrogio andò a portare guerra anche in quella città, facendo indire con lettere di Graziano un sinodo provinciale che inquisisse gli ariani. Come si direbbe oggi, era un processo chiaramente politico e anche la lettura degli asettici atti processuali ci fa piombare in un clima cupo che prelude ai processi dell’inquisizione. Da parte sua Giustina continuava a intralciare il vescovo a Milano grazie a Macedonio, il magister officiorum che controllava diversi uffici del palazzo imperiale, dalla segreteria alla scuola di agentes in rebus, che si opponeva all’ingerenza di Ambrogio nelle questioni civili.

L’accanimento di Ambrogio contro gli ariani può considerarsi come un tentativo di tutela dell’ordine pubblico, retaggio del suo ruolo di governatore. Voleva probabilmente evitare che la città si dividesse in fazioni e che, come aveva denunciato quasi due secoli prima Tertulliano, “rancori e passioni di parte gettino facilmente il disordine nei comizi, nelle assemblee, nelle curie, nelle adunanze popolari e persino negli spettacoli”. L’imperatore Graziano dovette recepire queste preoccupazioni di Ambrogio e assecondarlo. Graziano viene descritto come un giovane istruito, allievo di Ausonio, garbato, di una austerità e parsimonia persino eccessive (ma non per Ambrogio), educato alla guerra dal padre sin dalla più tenera età. Egli stesso si definiva “infirmus et fragilis”.

La prima vittoria contro gli ariani: il concilio di Aquileia

Il 3 novembre 381 si ebbe il primo grande intervento dottrinale di Ambrogio. Il concilio preparato da Ambrogio con l’approvazione di Graziano voleva colpire due vescovi della Chiesa illirica, Palladio di Ratiaria e Secondiniano di Singidunum, entrambi filo-ariani. Ambrogio fece sì che la convocazione non pervenisse ai vescovi orientali e procedette con piglio inquisitorio nei loro confronti per farli espellere dalla Chiesa. Siccome Teodosio aveva appena convocato un concilio a Costantinopoli nel maggio di quel anno, si capisce che la diocesi dell’Illirico era ancora sotto la tutela dell’augusto d’occidente e quindi del vescovo che risiedeva dov’era la sede imperiale, nel nostro caso il vescovo di Milano.

Ambrogio pretendeva che i due vescovi firmassero una condanna nei confronti del prete alessandrino Ario, che per altro era stato riammesso alla comunione di fede nicena in un precedente concilio orientale. Non sussistono dubbi sul fatto che Ambrogio in questa occasione si comportò con un’intolleranza più consona a un inquisitore che a un pastore d’anime. Palladio lo accusò di arroganza impudente, sfrenata ed esageratamente empia: “Tu non hai considerato...che gli uomini religiosi non possono essere giudicati da un malvagio, i difensori della verità da un bestemmiatore, i confessori della fede da un rinnegato, gli amici della pace da un sedizioso, gli uomini tranquilli da un rivoltoso, gli innocenti da un malfattore, i fedeli da un catecumeno ...; coloro che intentano un processo in modo ossequiente alla legge e che sostengono una giusta causa non possono essere giudicati dall’avversario che è allo stesso tempo malamente implicato nel processo: poiché tutti sanno con certezza solare che un processo fra interessi contraddittori richiede il giudizio non della parte avversa ma di un magistrato che faccia da arbitro”.

Palladio chiese allora che le due parti contendenti s’impegnassero a presentare al senato romano dei trattati con le proprie argomentazioni fondate sulle Scritture e che tali trattati per ordine imperiale fossero fatti conoscere in città attraverso pubblica lettura e venissero pure inviati alle Chiese dell’ecumene, così tutti, cristiani, pagani, giudei, sarebbero potuti intervenire nella discussione. Qui c’è tutta la visione diversa tra ariani, più legati alla tradizione dello stato e quindi favoriti da molti imperatori, e cattolici, che miravano invece a crearsi un’indipendenza dai poteri secolari. Ambrogio infatti affermava a questo proposito: “I vescovi devono giudicare i laici, non i laici i vescovi”.

Il trionfo cattolico con Graziano

Nel 382 Ambrogio sembra comunque segnare parecchi punti a suo vantaggio grazie alle disposizioni in materia religiosa di Graziano. Viene abolita la nomina per il mantenimento delle Vestali; sono confiscati i beni a tutti i collegi sacerdotali pagani e viene rimosso l’altare della Vittoria nel senato romano, sul quale giuravano fedeltà i senatori. Graziano dispone inoltre che i sussidi tolti ai sacerdoti e alle vestali vadano a favore dei baiuli (facchini), vespilliones (becchini) e tabellari (postini). La legge era in un certo senso ingiusta, perché per la loro nomina i sacerdoti municipali erano obbligati a versare alla cassa civica, l’arca, le summae honorariae, una tariffa proporzionale al livello della funzione rivestita. In cambio i sacerdoti erano autorizzati a raccogliere fondi dai fedeli. Il cristianesimo aveva apportato una rivoluzione, perché i seniores (presidenti della comunità cristiana) non pagavano le summae, ma erano eletti dall’assemblea dei fratelli. Graziano sopprime il titolo di pontefice massimo agli imperatori, staccando la suprema gerarchia religiosa dal potere temporale.

Da parte sua Ambrogio vieta i refrigeria, i banchetti che si celebravano sulla tomba nell’anniversario della nascita di un defunto. Questi attacchi alla tradizione religioso-politico romana, nonché la lontananza dalle bellicose frontiere del nord contribuirono a decretare la prematura fine di Graziano: il 25 agosto 383 moriva assassinato a ventiquattro anni, nel corso di un banchetto a Lione offertogli dall’usurpatore Massimo dopo che l’aveva catturato. Giustina è terrorizzata per la sorte del figlio, più che per quella dell’impero; il dodicenne Valentiniano II vive nel timore che Massimo elimini anche lui, come asserisce il testimone Rufino d’Aquileia, per cui per un certo periodo Ambrogio può atteggiarsi persino a protettore dell’imperatrice.

Magno Massimo è invece legato a Teodosio, ispanico come lui, amico da antichissima data. Teodosio lo riconosce subito come augusto, tanto più che Massimo è un fervente cattolico.

Il vescovo ariano Aussenzio II

Quando il panico si acquieta, verso la fine del 384, Giustina torna all’attacco e fa venire a Milano Aussenzio, vescovo goto e ariano di Durostorum (Silistra al delta del Danubio), deposto da Teodosio. Giustina tenta di organizzare una chiesa ariana da contrapporre a quella cattolica, aprendo le ostilità con Ambrogio e provocando così l’isolamento del figlio sia nei confronti di Teodosio sia di Massimo.

Di Aussenzio II Ambrogio fornisce il seguente ritratto: “Fuori è una pecora, dentro è un lupo che non ha limiti alle sue rapine e si aggira correndo di notte, la bava insanguinata, cercando chi divorare. Non è mai sazio per l’indigestione di sangue umano... ulula e coi suoi discorsi sacrileghi stride con suono di una voce belluina...”. Comunque sia, per almeno tre anni Aussenzio è il vescovo ariano di Milano in contrapposizione ad Ambrogio. Valentiniano II stabilisce alla fine del 384 che vengano restituiti i beni sottratti ai templi pagani, ma Ambrogio riesce a fermare la pubblicazione dell’editto.

Nella primavera 385, in preparazione della Pasqua, gli uffici di corte chiedono ad Ambrogio di mettere a disposizione la basilica ecclesìa per la celebrazione delle feste, ossia la maior. Il vescovo si reca subito a corte (Ep. 75A, 23): “Quando il popolo seppe che mi ero recato a palazzo, vi fece irruzione con tale impeto che non furono in grado di tener testa alla sua violenza; il conte militare uscì con le truppe leggere per mettere in fuga la folla e io fui pregato di placare il popolo promettendo che nessuno avrebbe invaso la basilica ecclesìa”.

Il risentimento di Giustina è enorme: “L’imperatore non deve ricevere una basilica in cui recarsi e Ambrogio vuole essere più potente dell’imperatore?”. Valentiniano assegna allora d’ufficio agli ariani la basilica Portiana extra muros (la cui identificazione è rimasta un enigma irrisolto in tutti questi secoli), ma i cattolici la occupano. Le truppe imperiali circondano allora sia la Portiana, sia la basilica ecclesìa e la vetus, ma di fronte alla resistenza inflessibile di Ambrogio, onde evitare spargimenti di sangue, le truppe si ritirano. Giustina si sposta allora da luglio a dicembre 385 ad Aquileia per preparare il contrattacco.

L’occupazione delle basiliche

Il 23 gennaio 386 Valentiniano II emana da Milano una costituzione rivolta al prefetto pretorio Eusiginio che condanna l’integralismo di Ambrogio e in cui si concede diritto di culto pubblico agli ariani, pena di morte a chi si opponeva. Contro Ambrogio lo stesso imperatore lancia l’accusa di comportarsi come un tyrannus, ossia un sovversivo che, con attenta regia, sa mobilitare il popolo per rovesciare il trono. Ambrogio viene invitato a lasciare Milano e a trovarsi una sede di sua scelta. Rufino nella sua Storia della Chiesa ha immortalato Benevolo, uno dei funzionari imperiali incaricati di redigere il decreto, che fece obiezione di coscienza “gettando la cintura dinanzi ai piedi di coloro che gli comandavano empie azioni”.

La reazione di Giustina, per mano del figlio, non tarda a farsi sentire: Ambrogio deve presentarsi con giudici di sua scelta davanti al consistoro per sostenere un contraddittorio con Aussenzio. Ambrogio rifiuta e invita provocatoriamente il giovane imperatore a trasferirlo pure d’ufficio se non teme la guerra civile. L’esistenza del vescovo si fa durissima, seguito a vista dalla polizia imperiale.

Per la Pasqua la corte chiede la basilica ecclesìa, ma i fedeli cattolici occupano già dalle Palme le tre basiliche, nova, vetus e Portiana. Per tenere svegli ed emotivamente eccitati i fedeli, Ambrogio introduce a Milano i salmi antifonati e compone lui stesso degli inni, che rimarranno nella tradizione liturgica ambrosiana. L’occupazione comincia venerdì 27 marzo; il 29, domenica delle Palme, nella Portiana il vescovo pronuncia il sermone contro il rivale Aussenzio, nel quale si trova la celebre sentenza “Imperator enim intra Ecclesiam, non supra Ecclesiam est”; l’occupazione si protrae fino a giovedì 2 aprile, poi Giustina demorde e decide di andare a festeggiare la Pasqua nella più tollerante Aquileia.

A giugno è la volta di Ambrogio a sferrare un colpo basso: in maggio aveva consacrato la basilica degli Apostoli; il mese dopo, dovendo consacrare anche la basilica ambrosiana, deve accontentare i fedeli trovando delle reliquie idonee. Il 17 giugno 386 inviene presso la basilica dei SS. Nabore e Felice i corpi di due decapitati anonimi, che chiameranno Gervasio e Protasio, e li farà seppellire accanto alla tomba che aveva predisposto per sé sotto l’altare maggiore. La provocazione verso gli ariani era scoperta, perché l’arianesimo negava il culto dei martiri o dei santi o più in generale delle reliquie. In occasione delle “invenzioni” si alzavano le grida degli invasati dai demoni, che in questo modo attestavano l’autenticità dei corpi dei martiri. Dopo la “confessione” demoniaca, gli invasati erano liberati dagli spiriti immondi. Gli ariani si facevano beffe di tutto questo trambusto: “Nella corte una moltitudine di ariani, che attorniavano Giustina, derideva la grazia divina che il signore Gesù mediante le reliquie dei suoi martiri s’era degnato di conferire alla Chiesa cattolica, e andava raccontando che Ambrogio s’era procacciato con denaro alcuni uomini che fingessero d’essere vessati da spiriti immondi e tormentati da Ambrogio stesso e dai martiri. E così parlavano gli Ariani con linguaggio di giudei, certo loro consimili” (Paolino, 15, 1-2). Il modello dell’invenzione è quello usato dall’imperatrice Elena, madre di Costantino, nel ritrovare sul Golgota la S. Croce, avvenimento celebrato da Ambrogio nell’orazione funebre per Teodosio.

Giustina è esasperata: nel novembre 386 si trasferisce temporaneamente ad Aquileia e intanto studia le modalità per il passaggio definitivo della capitale da Milano a Roma. Il vuoto di Milano provoca la fatale discesa di Massimo, stanco anche lui della scomoda sede di Treviri. Giustina coi figli fugge a Salonicco nell’estate del 387, richiedendo l’intervento armato di Teodosio. Il prezzo preteso da Teodosio è alto: prima di tutto Giustina e i regali rampolli devono abbracciare il cattolicesimo, poi, quale garanzia, gli deve essere concessa Galla, appena pubere. Giustina sarebbe passata attraverso le fiamme del fuoco eterno pur di conservare l’impero al figlio e accetta senza troppe riflessioni tutte le condizioni. Ricevuta una flotta per tornare in Italia, s’imbarca sulla nave col figlio pronta a dar battaglia, ma non rivedrà più le coste italiane perché una provvidenziale morte le impedì di assistere anche alla rovina dell’amato Valentiniano II.

Le accuse contro Giustina continueranno anche dopo la sua morte. Paolino ci informa infatti che un tale Innocenzo, sottoposto a tortura dal giudice in un processo di stregoneria, confessò che i maggiori tormenti gli venivano inflitti dall’angelo custode di Ambrogio, perché ai tempi di Giustina era salito di notte sul tetto della chiesa per aizzare gli odi della gente contro il vescovo e ivi aveva compiuto sacrifizi. Aveva anche mandato demoni a ucciderlo, ma non erano neppure riusciti ad avvicinarsi a lui, perché una barriera di fuoco difendeva la casa; un altro era arrivato armato fino alla camera, ma il braccio si era paralizzato finché non aveva confessato che il mandante era stata Giustina (Paolino, 20).

L’apogeo della Chiesa milanese. Intromissione nelle Chiese d’Oriente

Teodosio scese in campo contro l’ex amico Massimo, sconfiggendolo. La prossima mossa fu di relegare Valentiniano II a Treviri e di insediare sul trono milanese il figlio Onorio, di cinque anni. Era una mossa diplomatica per tenere il controllo di tutto l’impero. Gli storici ci descrivono Teodosio, nato l’11 gennaio 347 presso Segovia, come timido, collerico, malaticcio e sedentario.

A partire da questo momento Milano diventa la vera capitale della cristianità occidentale fino all’inizio del V secolo. Ambrogio seppe sfruttare in maniera persino eccessiva e a volte decisamente inopportuna questa nuova possibilità, intervenendo più volte per dire la sua circa l’elezione dei vescovi orientali. Sozomeno racconta un episodio curioso occorso a Geronzio, un diacono di Ambrogio divenuto vescovo di Nicomedia. “Costui... aveva detto a certuni di aver preso di notte un’onoscelide, di averle rasato il capo e di averla gettata tra le macine di un mulino”. Un’onoscelide era un essere mostruoso nato dall’unione di un uomo e di un’asina, dal corpo femminile con gli arti inferiori asinini, mentre l’onocentauro era la versione maschile. “Ambrogio, giudicando indegni di un diacono quei discorsi, gli ingiunse di rimanere un certo tempo in solitudine e di espiare il suo peccato. Egli, però, poiché era medico eccellente ed era pure accorto nel parlare e nel convincere, quasi intendesse beffarsi di Ambrogio si recò a Costantinopoli. In poco tempo si fece amici alcuni fra i personaggi potenti del palazzo e non molto tempo dopo ottenne l’ufficio episcopale nella sede di Nicomedia (...) Come Ambrogio lo venne a sapere, scrisse a Nettario di Costantinopoli di togliere a Geronzio l’ufficio episcopale, ma i fedeli di Nicomedia si opposero in massa con tutte le loro forze enumerando i servizi di Geronzio: i copiosi vantaggi derivanti dalla scienza medica e la solerzia verso tutti, ricchi e poveri. E similmente a quanto accade in occasione di terremoti o di siccità, girando per le strade e percorrendo la loro città e la stessa Costantinopoli, cantavano salmi e supplicavano Dio di averlo ancora come vescovo.

Lo scontro con Teodosio: la sinagoga di Callinicum

Non meno incisivo fu il suo intervento a favore delle comunità cristiane d’oriente che avevano problemi con altre comunità religiose, che fossero ebrei o gnostici, al punto di pretendere pubblicamente che l’imperatore prendesse provvedimenti ad esclusivo vantaggio dei cristiani. Questi ultimi, infatti, forti dell’appoggio loro garantito da un imperatore cattolicissimo, si erano scatenati incendiando luoghi di culto delle altre confessioni, come nel caso della sinagoga di Callinicum, un presidio nel nord della Mesopotamia (attuale Raqqa). L’imperatore aveva deliberato che i cristiani risarcissero i danni agli ebrei, ricostruendo a proprie spese gli edifici distrutti, ma ecco che insorse Ambrogio: che male avevano fatto coloro che lottavano per eliminare le deviazioni nella fede e per imporre quella giusta? Scrive il vescovo all’imperatore: “Il luogo che ospita l’incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? Il patrimonio acquistato dai cristiani con la protezione di Cristo sarà trasmesso ai templi degli increduli?... Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga: - Tempio dell’empietà ricostruito col bottino dei cristiani -... Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi...”. L’imperatore però rimase fermo sulla sua posizione, forse caricando le spese della ricostruzione sul bilancio cittadino, ma vigilando che gli ebrei avessero la loro nuova sinagoga.

Ambrogio non incassò la sconfitta e attese il momento in cui poteva avere l’imperatore sotto la sua influenza per fargliela pagare. L’occasione si presentò durante una funzione liturgica verso la fine del 388, dove Ambrogio utilizzò tutti gli strumenti della predicazione, dall’omelia al commento alla pericope evangelica, per far recedere l’imperatore dal suo provvedimento. E’ Ambrogio stesso che racconta il dialogo che ne scaturì con Teodosio alla sorella Marcellina:

Teodosio: “Hai parlato chiaramente di me”

Ambrogio: “Ho trattato un argomento che riguardasse la tua utilità”

Teodosio: “In realtà la mia decisione di far restaurare la sinagoga dal vescovo era piuttosto severa, ma è già stata modificata”

Ma Ambrogio insiste perché venga annullata ogni inchiesta e i cristiani siano lasciati in pace. L’imperatore, pur di farla finita con quest’inchiesta pubblica imprevista, promette anche questo, ma Ambrogio incalza: “Mi fido della tua parola” e solo quando Teodosio ebbe finalmente risposto “Fidati!”, ritorna sull’altare e riprende la funzione.

Questa era apparentemente la seconda vittoria su Teodosio dopo che era riuscito a scacciarlo dal presbiterio e a farlo sedere al primo posto nell’assemblea dei fedeli. Lo scopo di Ambrogio era quello di affermare l’indipendenza della Chiesa dallo Stato e, spingendosi un po’ oltre, di avvalorare addirittura la tesi della superiorità della Chiesa sullo Stato in quanto emanazione di una legge superiore alla quale tutti dobbiamo inchinarci.

La strage di Salonicco

Nell’agosto del 390 un fantino dei giochi circensi di Salonicco fu imprigionato per comportamento immorale. Una legge di Graziano dell’8 maggio 381 (Cod. Theod. XV 7,7) faceva divieto al prefetto dell’urbe di punire gli agitatores, ossia gli aurighi che conducevano i cavalli forniti dall’imperatore o dai magistrati, per evitare disordini pubblici. Infatti, per liberare il suo idolo la folla inferocita prese a sassate Bauterico, capo del servizio d’ordine cittadino e, dopo averlo ucciso, ne trascinò il cadavere per le vie della città. Teodosio fu molto impressionato da tale sommossa e dall’ostilità che si era evidenziata contro le truppe barbariche a guardia della città e accondiscese a dare una dimostrazione di potere agli abitanti. La rappresaglia gli sfuggì però di mano, perché le truppe pensarono di saldare il conto accumulato in anni di intolleranza dei greci nei loro confronti e fecero una vera strage, che neppure l’imperatore sgomento fu più in grado di fermare.

L’evento colpì molto l’opinione pubblica per la sproporzione della punizione e per l’assenso del pio imperatore nel compierla. Rufino d’Aquileia ambienta la strage nel circo, dove gli spettatori sarebbero rimasti bloccati e trucidati dalle truppe. Teodoreto fornisce la cifra dei morti: circa settemila, saliti già a quindicimila con Giovanni Malala.

Come ben conosciamo da episodi a noi più vicini nel tempo, è difficile raccapezzassi nelle stragi di stato, ma la storia del circo è poco credibile; come scrive nell’omelia funebre Ambrogio, Teodosio aveva compiuto quella scelta “quasi a sua insaputa, ingannato da altri”, probabilmente fidandosi del suo stato maggiore che gli aveva proposto una rappresaglia su un numero limitato di persone, ma poi aveva perso il controllo.

Ambrogio, che dopo l’umiliazione gratuita imposta in chiesa a Teodosio per i fatti di Callinicum, era caduto in disgrazia agli occhi dell’imperatore, ritenne prudente non incontrarlo di persona e lasciargli una letterina diplomatica ed affettuosa con cui lo esortava a una penitenza per poter essere riammesso nella comunione coi fedeli. La lettera rimase sconosciuta ai biografi e agli storici della Chiesa e fu divulgata nell’860 da Icmaro di Reims.

Teodosio si sottopose (probabilmente senza fatica) alla penitenza pubblica, depose le insegne regali e “pianse pubblicamente nella Chiesa il suo peccato... e con lamenti e lacrime invocò il perdono”, ci informa Ambrogio, mentre Agostino ricorda: “Fece penitenza con tale impegno che il popolo in preghiera per lui ebbe più dolore nel vedere umiliata la maestà dell’imperatore che timore nel saperla sdegnata per la loro colpa” (La città di Dio).

Teodoreto di Ciro, vescovo e storico bizantino del V secolo, strumentalizzò questo episodio ad esclusivo vantaggio di Ambrogio, trasformando Teodosio in un umile servitore di Dio: “Quando l’imperatore venne a Milano e come di consueto volle entrare nel tempio sacro, (Ambrogio) fattoglisi incontro dinanzi all’ingresso non gli permise di accedere all’atrio del tempio...
"Vattene da qui e non voler aggiungere nuova iniquità a quella che hai commesso, ma accetta le catene della penitenza”.
Teodosio accetta una durissima penitenza: “E con le mani si strappava i capelli e si percuoteva il volto, e con le lacrime che versava inzuppava la terra, supplicando di ottenere il perdono”. Il vescovo bizantino scriveva mezzo secolo dopo questi eventi e doveva difendersi da Teodosio II, per cui non fece che proiettare i suoi desideri di rivalsa su personaggi del passato coi quali s’identificava. Ma tanto bastò perché questa versione avesse la meglio in certi periodi, nei quali l’autorità vescovile faticava a mantenersi indipendente da quella imperiale.

L’imperatore penitente per imposizione di un vescovo fece scalpore in tutto l’ecumene romano: era la prima volta che l’imperatore, da capo religioso qual era sempre stato, da rappresentante di Cristo in terra, era sceso al livello di un semplice fedele, pronto ad umiliarsi per ricevere il perdono.

FONTE (http://www.storiadimilano.it/Personaggi/vescovi_famosi/ambrogio.htm)

Augustinus
07-12-08, 08:42
http://www.mainlesson.com/books/horne/statesmen/zpage068.gif

Augustinus
07-12-08, 13:32
http://www.wga.hu/art/s/stom/ambrose.jpg Matthias Stom, S. Ambrogio, XVII sec., Öffentliche Kunstsammlung, Basilea

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/10G1Z6/05-509918.jpg Matthias Stom, S. Ambrogio, XVII sec., musée des Beaux-Arts, Rennes

Augustinus
07-12-08, 13:41
Il santo vescovo di Milano e la confutazione degli ariani

Ambrogio e il segreto della libertà

di Inos Biffi

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/286q04a1.jpg

Gran parte delle più note e talora drammatiche scelte di sant'Ambrogio trovarono la loro origine e la loro forza nella sua coscienza di vescovo, libera da qualsiasi condizionamento che non fosse quello della verità, cioè di Dio, che in tale coscienza traspare con la sua legge.
Ed è, così, subito menzionata la relazione "teologica", che per Ambrogio istituisce e fonda la stessa coscienza con i suoi imperativi e la sua indipendenza; o, più concretamente, la relazione cristologica, cioè la signoria di Cristo.
Egli afferma: "Cristo solo è il Signore" (De Ioseph Patriarca, 9, 49); "Chi ha molti padroni non può dire a uno solo: "Signore Gesù, io appartengo a te" (Explanatio ps. 118, 12, 41).
E, d'altra parte, proprio questa appartenenza esclusiva, mentre lo vincolava interiormente, lo liberava da ogni potere esteriore, fosse pure quello degli imperatori e della loro corte, che pretendesse di contrastare alle ragioni di verità della sua "coscienza interiore (interior coscientia)".
Un vescovo ariano, che non riconosceva la divinità di Gesù e quindi la sua assoluta signoria su ogni potere umano, non poteva che essere cortigiano, e per ciò non libero, come il predecessore di Ambrogio, Aussenzio.
Il vescovo di Milano dichiarerà senza timore alcuno: "Per quanto grande sia il potere imperiale, considera, o imperatore, quanto sia grande Dio: egli vede i cuori di tutti, interroga la coscienza interiore, conosce tutte le cose prima che avvengano, conosce l'intimo del tuo cuore" (Epistula extra collectionem, 10, 7).
"È indegno di un imperatore - asseriva Ambrogio - soffocare la libertà di parola, ma è indegno di un vescovo tacere il proprio pensiero" (Epistula extra collectionem, 1a, 2). La coscienza è una luce che rischiara nell'intimo: "La tua coscienza, che bene riluce in questo corpo, è la luce della lampada: essa stessa è il tuo occhio" (Explanatio ps. 118, 14, 7); "Il tuo cubicolo è il segreto delle tue cose interiori: esso è la tua coscienza" (De institutione Virginis, 1, 7), la quale rimane infrangibile di fronte a tutti e solo giudicabile da Dio, che vede nel segreto.
Nella "coscienza interiore" - come Ambrogio amava chiamarla - echeggia la voce di Dio, al quale essa è primariamente aperta e trasparente, al quale ultimamente risponde, con la conseguente libertà rispetto a qualsiasi altro giudizio: la legge e la presenza di Dio nella "retta coscienza dell'uomo" (De apologia David, 14, 66) generano l'incondizionabile e infrangibile libertà dell'uomo, che ritrova la garanzia di Dio.
Per questa illustrazione della coscienza, Ambrogio torna spesso alla vicenda di Susanna. Egli osserva: di fronte ai lacci della falsa testimonianza "solo la sua coscienza restava libera in Dio" (Explanatio ps. 118, 17, 25).
La coscienza sa parlare anche là dove non se ne sente in maniera sonora la voce; essa non chiede il giudizio dell'uomo, avendo la testimonianza e l'arbitrio del Signore. Susanna, "tacendo davanti agli uomini, parlò a Dio. (...) Parlava con la sua coscienza là dove non si udiva la sua voce" (De officis, i, 3, 9); e "sola, priva di ogni aiuto, in mezzo a uomini, nella coscienza della propria onestà, invocava Dio come giudice. (...) Accusata, taceva, e, condannata, stava silenziosa, contenta del giudizio della propria coscienza" (De Spiritu Sancto, III, 40-41). Sono ancora parole di sant'Ambrogio: "La buona coscienza non ha bisogno della difesa delle parole: fondata sulla propria testimonianza, è giudice di se stessa" (Explanatio Ps. XII, 38, 13, 1), e "lieta rifulge della sua luce (laeta lucet conscientia)" (ibidem 37, 38, 2).
Per Ambrogio "la disgrazia più grande" sarebbe "la coscienza incatenata" (Epistula extra collectionem, XIi, 3). "Libero - insegnava sant'Ambrogio - è colui che lo è dentro di sé" (Epistula 7, 17) ; "schiavo chi non possiede la forza di una coscienza pura" (De Iacob et vita beata, II, 3).
E ancora una vòlta alla radice della libertà sta Gesù Cristo, il quale ha redento l'uomo, e, sciogliendolo dalla schiavitù e affrancandolo per sé, lo ha reso suo liberto, "liberto di Cristo" (De Iacob et vita beata,II, 12).

Fonte: L'Osservatore Romano, 7.12.2008

Augustinus
07-12-08, 18:05
DIE 7 DECEMBRIS

SANCTI AMBROSII

EPISCOPI, CONFESSORIS ET ECCLESIAE DOCTORIS

Duplex

Introitus

Eccli. 15, 5

IN MÉDIO Ecclésiæ apéruit os ejus: et implévit eum Dóminus spíritu sapiéntiæ et intelléctus: stolam glóriæ índuit eum. Ps. 91, 2. Bonum est confitéri Dómino: et psállere nómini tuo, Altíssime. V/. Glória Patri. In médio.

Oratio

DEUS, qui pópulo tuo ætérnæ salútis beátum Ambrósium minístrum tribuísti: praésta, quaésumus; ut, quem Doctórem vitæ habúimus in terris, intercéssorem habére meréamus in cælis. Per Dóminum.

Et, in Missis non conventualibus, fit Commemoratio Feriæ, et Vigiliæ, ut in Missa sequenti.

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Timótheum

II Tim. 4, 1-8

CARÍSSIME: Testíficor coram Deo, et Jesu Christo, qui judicatúrus est vivos, et mórtuos, per advéntum ipsíus et regnum ejus: praédica verbum, insta opportúne, importúne: árgue, óbsecra, íncrepa in omni patiéntia, et doctrína. Erit enim tempus, cum sanam doctrínam non sustinébunt, sed ad sua desidéria coacervábunt sibi magístros, pruriéntes áuribus, et a veritáte quídem audítum avértent, ad fábulas autem converténtur. Tu vero vígila, in ómnibus labóra, opus fac evangelístæ, ministérium tuum ímple. Sóbrius esto. Ego enim jam delíbor, et tempus resolutiónis meæ instat. Bonum certámen certávi, cursum consummávi, fidem servávi. In réliquo repósita est mihi coróna justítiæ, quam reddet mihi Dóminus in illa die, justus judex: non solum autem mihi, sed et iis qui díligunt advéntum ejus.

Graduale. Eccli. 44, 16. Ecce sacérdos magnus, qui in diébus suis plácuit Deo. V/. Ibid., 20. Non est inventus símilis illi, qui conserváret legem Excélsi.

Allelúja, allelúja. V/. Ps. 109, 4. Jurávit Dóminus, et non pœnitébit eum: Tu es sacérdos in ætérnum, secúndum órdinem Melchísedech. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaéum

Matth. 5, 13-19

IN ILLO témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vos estis sal terræ. Quod si sal evanúerit, in quo saliétur? Ad níhilum valet ultra, nisi ut mittátur foras, et conculcétur ab homínibus. Vos estis lux mundi. Non potest cívitas abscóndi supra montem pósita. Neque accéndunt lucérnam, et ponunt eam sub módio, sed super candelábrum, ut lúceat ómnibus qui in domo sunt. Sic lúceat lux vestra coram homínibus, ut vídeant ópera vestra bona, et gloríficent Patrem vestrum, qui in cælis est. Nolíte putáre, quóniam veni sólvere legem aut prophétas: non veni sólvere, sed adimplére. Amen, quippe dico vobis, donec tránseat cælum et terra, jota unum aut unus apex non præteríbit a lege, donec ómnia fiant. Qui ergo sólverint unum de mandátis istis mínimis, et docúerit sic hómines, mínimus vocábitur in regno cælórum: qui autem fécerit et docúerit, hic magnus vocábitur in regno cælórum.

Credo.

Offertorium. Ps. 88, 25. Véritas mea et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.

Secreta

OMNÍPOTENS sempitérne Deus, múnera tuæ majestáti obláta, per intercessiónem beáti Ambrósii Confessóris tui atque Pontíficis, ad perpétuam nobis fac proveníre salútem. Per Dóminum.

Et, in Missis non conventualibus, fit Commemoratio Feriæ, et Vigiliæ, ut in Missa sequenti.

Communio. Ps. 88, 36-38. Semel jurávi in sancto meo: Semen ejus in ætérnum manebit, et sedes ejus sicut sol in conspéctu meo, et sicut luna perfécta in ætérnum, et testis in cælo fidélis.

Postcommunio

SACRAMÉNTA salútis nostræ suscipiéntes, concéde, quaésumus, omnípotens Deus: ut beáti Ambrósii Confessóris tui atque Pontíficis nos ubíque orátio ádjuvet; in cujus veneratióne hæc tuæ obtúlimus majestáti. Per Dóminum.

Et, in Missis non conventualibus, fit Commemoratio Feriæ, et Vigiliæ, ut in Missa sequenti; ac legitur Evangelium ejusdem Vigiliæ in fine.

¶ Ubi adest obligatio Chori, lecta post Tertiam extra Chorum Missa de Festo sine Commemoratione Feriæ et Vigiliæ, et sine ejusdem Evangelio in fine, in Choro post Nonam dicitur Missa de ipsa Vigilia, ut infra; quæ item sumi potest pro Missis privatis, sed cum 2ª Oratione Festi, 3ª Feriæ.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-7dec=lat.htm)

Holuxar
07-12-16, 17:32
7 dicembre 2016: Sant’Ambrogio e vigilia dell'Immacolata Concezione…









Festa dell'Immacolata: catechismo e orario delle S. Messe - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/festa-dellimmacolata-catechismo-orario-delle-s-messe/)


Sant'Ambrogio - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santambrogio/)
http://www.sodalitium.biz/santambrogio/
“7 dicembre, Sant’Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore (Treviri, 340 ca – Milano, 397), tra i quattro principali Dottori della Chiesa d’Occidente.
O glorioso Sant’Ambrogio, volgete uno sguardo pietoso alla nostra Diocesi di cui voi siete il Patrono; dissipate da essa l’ignoranza delle cose di religione; impedite all’errore ed all’eresia di diffondersi; affezionateci sempre più alla Santa Sede; otteneteci la vostra fortezza cristiana, affinchè, ricchi di meriti ci troviamo un giorno vicino a voi in Cielo. Così sia.”


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/7c4bee2c7eb308715410e57e03d2f25e-171x300.jpg



“Novena all’Immacolata (dal 29 novembre al 7 dicembre):
Novena all'Immacolata (29/11 - 7/12) - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/novena-allimmacolata-2911-712/)”











“Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/)
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare Sant’Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Dottore, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, Sant’Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr (https://www.facebook.com/hashtag/sdgcdpr)”



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Radio Spada (https://www.facebook.com/radiospadasocial/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf)
"Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com"

“7 dicembre 2016: VIGILIA dell'immacolata Concezione”


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“7 DICEMBRE 2016: SANT'AMBROGIO, VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA (patrono principale della città e della diocesi di Milano) / mercoledì' della II settimana di Avvento”


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“il 7 dicembre 283 muore San Eutichiano, Sommo Pontefice”
“Il 7 dicembre 1254 muore Papa Innocenzo IV Fieschi dei conti di Lavagna, gloria del Papato romano”












Sant'Ambrogio, vescovo e dottore, 7 dicembre (http://www.unavoce-ve.it/pg-7dic.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-7dic.htm
Guéranger, L'anno liturgico - Sant'Ambrogio, Vescovo e Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-7dic.htm)
"7 DICEMBRE
SANT'AMBROGIO, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA.
Questo illustre Pontefice figura degnamente a fianco del grande Vescovo di Mira. Questi ha confessato a Nicea, la divinità del Redentore degli uomini; quegli, in Milano, è stato alle prese con tutto il furore degli Ariani, e con coraggio invincibile ha riportato il trionfo sui nemici di Cristo. Che unisca la sua voce di dottore a quella di san Pier Crisologo, e ci annunci le grandezze e le umiliazioni del Messia. Ma questa è in particolare la gloria di Ambrogio, come Dottore: che se, fra i luminosi astri della Chiesa latina, quattro insigni Maestri della Dottrina camminano in testa al corteo dei divini interpreti della Fede, il glorioso Vescovo di Milano completa, insieme con Gregorio, Agostino, e Girolamo, il mistico numero.
Ambrogio deve l'onore di occupare un posto così nobile in questi giorni, all'antica usanza della Chiesa che, nei primi secoli, escludeva dalla quaresima le feste dei Santi. Il giorno della sua dipartita da questo mondo ed il suo ingresso in cielo fu il 4 aprile; ora, l'anniversario di quel felice trapasso si ritrova, per la maggior parte del tempo, nel corso della sacra quarantena. Si fu dunque costretti a scegliere il sette dicembre, anniversario dell'Ordinazione episcopale di Ambrogio.
Del resto, il ricordo di Ambrogio è uno dei più dolci profumi di cui possa essere adorna la strada che conduce a Betlemme. Quale più gloriosa e insieme più affascinante memoria di quella di questo santo e amabile Vescovo in cui la forza del leone si uni alla dolcezza della colomba? Invano sono passati i secoli su questa memoria: essi non hanno fatto che renderla più viva e più cara. Come si potrebbe dimenticare il giovane governatore della Liguria e dell'Emilia, così saggio, così erudito, che fa il suo ingresso a Milano ancora semplice catecumeno, e si vede d'un tratto elevato per acclamazione del popolo fedele, sul trono episcopale di quella grande città? E quei dolci presagi della sua eloquenza affascinante, nello sciame di api che secondo la leggenda, quando un giorno dormiva, lo circondò e penetrò fin nella sua bocca, come per annunciare la dolcezza della sua parola! e quella gravità profetica con la quale l'amabile adolescente presentava la mano al bacio della madre e della sorella, perché - diceva - quella mano sarebbe stata un giorno quella d'un Vescovo.
Ma quante battaglie aspettavano il neofita di Milano, presto rigenerato nell'acqua battesimale, e presto consacrato sacerdote e vescovo! Bisognava che si desse senza indugio allo studio assiduo delle sacre lettere, per accorrere come dottore in difesa della Chiesa, attaccata nel suo dogma fondamentale dalla falsa scienza degli Ariani; è fu tale in poco tempo la pienezza e la sicurezza della sua dottrina che non soltanto essa oppose un valido baluardo ai progressi dell'errore del tempo, ma in più i libri scritti da Ambrogio meriteranno di essere segnalati dalla Chiesa sino alla fine dei secoli, come uno degli arsenali della verità.
Ma l'arena della controversia non era la sola in cui dovesse scendere il nuovo Dottore; la sua vita doveva essere minacciata più d'una volta dai seguaci dell'eresia da lui combattuta. Quale sublime spettacolo vedere questo Vescovo bloccato nella sua chiesa dalle truppe dell'imperatrice Giustina, e difeso notte e giorno dal suo popolo! Quale pastore, e quale gregge! Una vita interamente spesa per la città e la provincia, aveva meritato ad Ambrogio quella fedeltà e quella fiducia da parte del suo popolo. Con il suo zelo, la sua dedizione, il suo costante oblio di se stesso, era l'immagine del Cristo che annunciava.
In mezzo ai pericoli che lo circondano, la sua grande anima rimane calma e tranquilla. E sceglie appunto questo momento per istituire, nella chiesa di Milano, il canto alternato dei Salmi. Fino allora la sola voce del lettore faceva risuonare dall'alto d'un ambone il divino Cantico; ma bastarono pochi istanti per organizzare in due cori l'assemblea, felice di poter d'ora in poi unire la sua voce ai canti ispirati del regale profeta. Nata così nel pieno della tempesta e in mezzo ad una fede eroica, la salmodia alternata è ormai di dominio per i popoli fedeli d'Occidente. Roma adotterà l'istituzione di Ambrogio, quella istituzione che accompagnerà la Chiesa sino alla fine dei secoli. In quelle ore di lotta, il grande Vescovo ha ancora un dono da fare ai fedeli cattolici che gli hanno eretto un baluardo con i loro corpi. È un poeta, e spesso ha cantato in versi pieni di dolcezza e di maestà le grandezze del Dio dei cristiani e i misteri della salvezza dell'uomo. Dedica al suo popolo devoto quei nobili inni, che non aveva ancora destinati all'uso pubblico, e presto le basiliche di Milano risuonano della loro melodia. Più tardi si udranno in tutta la Chiesa latina; e in onore del santo Vescovo, che aprì in tal modo una delle più ricche sorgenti della sacra Liturgia, si chiamerà per lungo tempo ambrosianociò che in seguito è stato designato con il nome di Inno. La Chiesa Romana accetterà nei suoi Uffici questa variazione della lode divina, che costituisce per la Sposa di Cristo una nuova effusione dei sentimenti che l'animano.
Così dunque, il nostro canto alternato dei salmi e i nostri stessi Inni sono altrettanti trofei della vittoria di Ambrogio. Egli era stato suscitato da Dio non soltanto per il suo tempo, ma per i secoli futuri. È così che lo Spirito Santo gli diede il sentimento del diritto cristiano con la missione di sostenerlo, fin da quell'epoca in cui il paganesimo abbattuto respirava ancora, e in cui il cesarismo in decadenza conservava ancora troppi istinti del suo passato. Ambrogio vegliava fermo sul Vangelo. Non intendeva che l'autorità imperiale potesse a suo arbitrio consegnare agli Ariani, per il bene della pace, una basilica in cui si erano radunati i cattolici. Per difendere l'eredità della Chiesa era pronto a versare il sangue. Alcuni cortigiani ardirono accusarlo di tirannide presso il principe. Rispose: "No; i vescovi non sono tiranni, ma piuttosto da parte dei tiranni essi hanno dovuto spesso soffrire persecuzioni". L'eunuco Calligone, ciambellano di Valentiniano II, osò dire ad Ambrogio: "Come, me vivente, tu osi disprezzare Valentiniano? Io ti spaccherò il capo". - "Che Dio te lo permetta! - rispose Ambrogio: "Io soffrirò allora ciò che soffrono i Vescovi e tu avrai fatto ciò che sanno fare gli eunuchi".
Questa nobile costanza nel difendere i diritti della Chiesa apparve ancora con più splendore quando il Senato Romano, o piuttosto la minoranza del senato rimasta pagana, tentò, per istigazione del Prefetto di Roma Simmaco, di ottenere la ricostruzione dell'altare della vittoria in Campidoglio, con il vano pretesto di opporre un rimedio ai disastri dell'impero. Ambrogio, che diceva: "Io detesto la religione dei Neroni" si oppose come un leone a questa pretesa del politeismo agli estremi.
In eloquenti memoriali diretti a Valentiniano, protestò contro il tentativo che mirava a portare un principe cristiano a riconoscere diritti all'errore, e a distruggere le conquiste di Cristo unico maestro dei popoli. Valentiniano si arrese alle forti rimostranze del Vescovo, il quale gli aveva insegnato che "un imperatore cristiano doveva saper rispettare soltanto l'altare di Cristo", e rispose ai senatori pagani che amava Roma come la madre sua, ma doveva obbedire a Dio come all'autore della salvezza.
Si può credere che se i decreti divini non avessero irrevocabilmente condannato l'impero a perire, influenze come quelle esercitate da Ambrogio su principi dal cuore retto, lo avrebbero preservato dalla rovina. La sua massima era ferma; ma non doveva essere applicata che nelle società nuove le quali sorgevano dopo la caduta dell'impero, e che il Cristianesimo costituì secondo la sua mente. Egli diceva ancora: "Non vi è titolo più onorevole per un imperatore che quello di Figlio della Chiesa. L'Imperatore è nella Chiesa non già al disopra di essa".
Che cosa è più commovente del patrocinio esercitato con tanta sollecitudine da Ambrogio sul giovane Imperatore Graziano, la cui morte gli fece spargere tante lacrime?! E Teodosio, questo sublime prototipo del principe cristiano, Teodosio, in favore del quale Dio ritardò la caduta dell'impero concedendo sempre la vittoria alle sue armi, con quanta tenerezza non fu amato dal Vescovo di Milano? Un giorno, è vero, il Cesare pagano sembrò riapparire in questo figlio della Chiesa; ma Ambrogio, con una severità tanto inflessibile quanto profondo era il suo attaccamento al colpevole, restituì Teodosio a se stesso e a Dio. "Sì - disse il santo Vescovo nell'elogio funebre del grande principe - ho amato questo uomo che preferì ai suoi adulatori colui che lo riprendeva. Gettò a terra tutte le insegne delle dignità imperiali, pianse pubblicamente nella Chiesa il peccato nel quale lo si era perfidamente trascinato, e ne implorò il perdono con lacrime e gemiti. Semplici cortigiani si lasciano distogliere dalla vergogna, e un Imperatore non ha arrossito di compiere la penitenza pubblica, e da allora in poi non un sol giorno passò per lui senza che avesse deplorato la sua mancanza". Come sono magnifici nello stesso amore della giustizia questo Cesare e questo Vescovo! Il Cesare sostiene l'Impero presso a finire, e il Vescovo sostiene il Cesare.
Ma non si creda che Ambrogio aspiri soltanto alle cose alte e risonanti. Sa essere il pastore attento ai minimi bisogni delle pecore del gregge. Possediamo la sua vita intima scritta dal suo diacono Paolino. Questo testimone ci rivela che Ambrogio quando ascoltava la confessione dei peccatori versava tante lacrime che costringeva a piangere insieme con lui chi era venuto a confessare le proprie colpe. "Sembrava - dice il biografo - che egli stesso fosse caduto insieme con chi era venuto meno". È noto con quale commovente e paterno interessamento accolse Agostino ancora prigioniero nei lacci dell'errore e delle passioni; e chi voglia conoscere Ambrogio, può leggere nelle Confessioni del Vescovo di Ippona le effusioni della sua ammirazione e della sua riconoscenza. Ambrogio aveva già accolto Monica, la madre afflitta di Agostino; l'aveva consolata e fortificata nella speranza del ritorno del figlio. Giunse il giorno atteso con tanto ardore; e fu la mano di Ambrogio che immerse nelle acque purificatrici del battesimo colui che doveva essere il principe dei Dottori.
Un cuore così fedele ai suoi affetti non poteva mancare di effondersi su coloro che i legami del sangue gli avevano uniti. È nota l'amicizia che unì Ambrogio al fratello Satiro, del quale ha narrato le virtù con accenti di una tenerezza così commovente nel duplice elogio funebre che gli consacrò. La sorella Marcellina non gli fu meno cara. Fin dalla prima giovinezza la nobile patrizia aveva sdegnato il mondo e i suoi piaceri. Sotto il velo della verginità che aveva ricevuto dalle mani del papa Liberto, abitava in Roma in seno alla famiglia. Ma l'affetto di Ambrogio non conosceva distanze; le sue lettere andavano a cercare la serva di Dio nel suo misterioso asilo. Egli non ignorava quale zelo nutrisse la sorella per la Chiesa, con quale ardore si associasse a tutte le opere del fratello, e parecchie delle lettere che le indirizzava ci sono state con­servate. Si rimane commossi a leggere la sola intestazione di quelle epistole: "il fratello alla sorella" oppure: "A Marcellina sorella mia, a me più cara dei miei occhi e della mia stessa vita". Segue quindi il testo della lettera, rapido, animato, come le lotte che egli descrive. Ce n'è una che fu scritta proprio nelle ore in cui imperversava la bufera, mentre il coraggioso vescovo era assediato nella sua basilica dalle truppe di Giustina. I suoi discorsi al popolo di Milano, i suoi successi come le sue prove, gli eroici sentimenti della sua anima episcopale, tutto è descritto in quei fraterni dispacci, tutto vi rivela la forza e la santità del legame che unì Ambrogio a Marcellina, La basilica ambrosiana custodisce ancora la tomba del fratello e della sorella; sull'una e sull'altra viene offerto ogni giorno il divino sacrificio.
Questo fu Ambrogio, del quale Teodosio diceva un giorno: "Non c'è che un vescovo al mondo". Glorifichiamo lo Spirito Santo che si è degnato di produrre un modello così sublime nella Chiesa, e chiediamo al santo vescovo che si degni di ottenerci una parte di quella fede viva, di quell'amore così ardente che protesta nei suoi dolci ed eloquenti scritti per il mistero della divina Incarnazione. In questi giorni che debbono condurci a quello in cui apparirà il Verbo fatto carne, Ambrogio è uno dei nostri più potenti intercessori.
La sua pietà verso Maria c'insegna anche quale ammirazione e quale amore dobbiamo avere per la Vergine benedetta. Insieme con sant'Efrem il vescovo di Milano è quello tra i Padri del IV secolo che ha più vivamente espresso le grandezze del ministero e della persona di Maria. Egli ha tutto conosciuto, tutto provato, tutto testimoniato. Maria esente per grazia da ogni macchia di peccato, Maria ai piedi della croce che si unisce al suo Figliuolo per la salvezza del genere umano, Gesù risorto che appare innanzitutto alla Madre, e tanti altri punti sui quali Ambrogio è l'eco della credenza anteriore, gli danno uno dei primi posti tra i testimoni della tradizione sui misteri della Madre di Dio.
Questa tenera predilezione per Maria spiega l'entusiasmo di cui è ripieno Ambrogio per la verginità cristiana della quale merita di essere considerato come il Dottore speciale. Nessuno dei Padri l'ha uguagliato nel fascino e nell'eloquenza con cui ha proclamato la dignità e la felicità dei vergini. Quattro dei suoi scritti sono consacrati a glorificare quello stato sublime, di cui il paganesimo morente tentava ancora un'estrema contraffazione nelle sue vestali, scelte in numero di sette, ricolme di onori e di ricchezze, e dichiarate libere dopo un certo tempo. Ambrogio oppone loro l'innume­revole stuolo delle vergini cristiane, che riempiono il mondo intero del profumo della loro umiltà, della loro costanza e della loro dedizione. Ma a questo proposito la sua parola era ancora più attraen­te della penna, e sappiamo, dai racconti del tempo, che, nelle città da lui visitate quando faceva risuonare la sua voce, le madri trattenevano le figlie in casa, nel timore che i discorsi di un così santo e irresistibile seduttore le persuadesse a non aspirare più ad altro se non alle nozze eterne.


VITA. - Ambrogio nacque nella prima metà del IV secolo. Il padre era prefetto della Gallia Cisalpina. Fu istruito a Roma nelle arti liberali, ed ebbe il governo della Liguria e dell'Emilia. All'atto in cui si trovava nella basilica di Milano per mantenere la calma durante l'elezione del vescovo, un fanciullo esclamò: "Ambrogio vescovo!". Il grido fu ripetuto da tutta la folla e l'imperatore, lusingato di veder innalzato all'episcopato uno dei suoi prefetti, lo costrinse ad accettare.
Da vescovo, fu l'intrepido campione della fede e della disciplina ecclesiastica, convertì molti ariani alla verità e battezzò sant'Agostino. Amico e consigliere dell'imperatore Teodosio, non esitò ad imporgli una penitenza pubblica dopo il massacro di Tessalonica. Morì infine a Milano il quattro aprile del 397. Sant'Ambrosio è uno dei quattro grandi Dottori della Chiesa latina.



Noi ti lodiamo, benché indegni, o immortale Ambrogio, ed esaltiamo i doni magnifici che il Signore ha posti in te. Tu sei la Luce della Chiesa e il Sale della terra, con la tua dottrina celeste; sei il Pastore vigilante, il Padre tenero, il Pontefice invincibile: ma quanto il tuo cuore amò il Signore Gesù che noi aspettiamo! Con quale indomito coraggio sapesti a rischio della tua vita, opporti a coloro che bestemmiavano questo Verbo divino! Perciò hai meri­tato di essere scelto per iniziare, ogni anno, il popolo fedele alla conoscenza di Colui che è il Salvatore e il Capo. Fa' dunque pe­netrare fino al nostro occhio il raggio della verità che ti illuminava quaggiù; fa' gustare alla nostra bocca il sapore dolce della tua parola; tocca il nostro cuore d'un vero amore per Gesù che si avvicina di ora in ora. Ottieni, che sul tuo esempio, prendiamo con forza in mano la sua causa contro i nemici della fede, contro gli spiriti delle tenebre e contro noi stessi. Che tutto ceda, che tutto si annienti, che si pieghi ogni ginocchio, e che ogni cuore si confessi vinto, lavanti a Gesù Cristo Verbo del Padre, Figlio di Dio e figlio di Maria, nostro Redentore, nostro Giudice, nostro sommo bene.
Glorioso Ambrogio, umiliaci come hai umiliato Teodosio; rialzacì contriti e mutati, come rialzasti lui nella tua pastorale carità. prega anche per il sacerdozio cattolico, di cui sarai per sempre una delle più nobili glorie. Chiedi a Dio per i Sacerdoti e i Vescovi della Chiesa quell'umile e inflessibile vigore con il quale debbono esistere alle potenze del secolo, quando queste abusano dell'autorità che Dio ha posto nelle loro mani. Che la loro fronte - secondo s parole del Signore - sia dura come il diamante; che sappiano opporsi come un muro per la casa d'Israele, e che stimino come il supremo onore, come la più felice sorte, di poter esporre i loro beni, loro riposo, la loro vita per la libertà della Sposa di Cristo.
Valente campione della verità, armati di quella verga venditrice che la Chiesa ti ha data per attributo; e scaccia lontano dal regge di Gesù Cristo i resti impuri dell'Arianesimo che, sotto diversi nomi, si mostrano ancora ai nostri tempi. Che le nostre orecchie non siano più rattristate dalle bestemmie degli insipienti che osano misurare secondo la loro statura, giudicare, assolvere e condannare come loro simile il Dio terribile che li ha creati e che, solo per un motivo di amore per la sua creatura, si è degnato di discendere e di avvicinarsi all'uomo a rischio di esserne disprezzato.
Allontana dalle nostre menti, o Ambrogio, quelle false e imprudenti teorie che fanno dimenticare ai cristiani che Gesù è il Re di questo mondo, e li portano a pensare che una legge umana, la quale riconoscesse uguali diritti all'errore e alla verità, potrebbe essere il più alto progresso della società. Fa' che essi comprendano, sul tuo esempio, che se i diritti del Figlio di Dio e della sua Chiesa possono essere calpestati, non per questo cessano di esistere; che la promiscuità di tutte le religioni sotto una eguale protezione è il più sanguinoso oltraggio verso Colui "al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra"; che i periodici disastri della società sono la risposta che dà dall'alto del cielo agli sprezzatori del Diritto cristiano, di quel Diritto che egli ha acquistato morendo sulla croce per gli uomini; che infine, se non dipende da noi di ristabilire quel sacro Diritto presso le genti che hanno avuto la disgrazia di rinnegarlo, è nostro dovere confessarlo coraggiosamente, sotto pena di essere complici di coloro i quali non hanno voluto più che Gesù regnasse su di loro.
Infine in mezzo alle ombre che gravano sul mondo, consola, o Ambrogio, la santa Chiesa che è ormai come una estranea, una pellegrina attraverso le genti di cui fu la madre che hanno rinnegata; che essa colga ancor sulla sua strada, in mezzo ai suoi fedeli, i fiori della verginità; che sia l'amante delle anime nobili le quali comprendono la dignità della sposa di Cristo. Se fu così nei tempi gloriosi delle persecuzioni che segnalarono l'inizio del suo ministero, le sia dato ancora, nella nostra epoca di umiliazioni e di diserzioni, di consacrare al suo sposo una numerosa schiera di cuori puri e generosi, affinché la sua fecondità le sia di rivincita su quanti l'hanno respinta come madre sterile, ma della quale un giorno sentiranno crudelmente l'assenza.
Consideriamo l'ultimo visibile preparativo alla venuta del Messia sulla terra: la pace universale. Al rumore delle armi è succeduto d'un tratto il silenzio, e il mondo si raccoglie nell'attesa. "Ora, ci dice san Bonaventura in uno dei suoi Sermoni sull'Avvento, dobbiamo enumerare tre specie di silenzio: il primo al tempo di Noè, dopo che tutti i peccatori furono sommersi; il secondo al tempo di Cesare Augusto, quando tutte le genti furono sottomesse; infine il terzo che avrà luogo alla morte dell'Anticristo, quando gli ebrei si saranno convertiti". O Gesù, Re pacifico, tu vuoi che il mondo sia in pace quando discenderai. L'hai annunciato per bocca del Salmista, il tuo avo secondo la carne, allorché egli ha detto parlando di te: "Farà cessare la guerra nell'universo intero; spezzerà l'arco, infrangerà le armi e getterà al fuoco gli scudi" (Sal 45,10). Che cosa significa tutto questo o Gesù? Significa che tu ti compiaci di trovare silenziosi e attenti i cuori che visiti. Significa che prima di venire tu stesso in un'anima, tu l'agiti nella tua misericordia come fu agitato il mondo prima di quella pace universale, e presto le rendi la calma che precede il tuo possesso. Oh! vieni subito a sottomettere le nostre potenze ribelli, ad abbattere le alture della nostra mente, a crocifiggere la nostra carne, a risvegliare la debolezza della nostra volontà, affinché il tuo ingresso in noi sia solenne al pari di quello di un conquistatore nella piazzaforte che ha conquistato dopo un lungo assedio. O Gesù, Principe della Pace, donaci la pace; prendi stabile sede nei nostri cuori, come ti sei stabilito nella tua creazione, in seno alla quale il tuo regno non avrà mai più fine.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 272-280"










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7 dicembre - S. Ambrogio, Vescovo e Dottore della Chiesa (https://forum.termometropolitico.it/274962-7-dicembre-s-ambrogio-vescovo-e-dottore-della-chiesa.html)






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