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Visualizza Versione Completa : 29 dicembre - S. Tommaso Becket, Vescovo e martire



Augustinus
29-12-03, 19:17
La Chiesa oggi celebra la memoria di un vescovo martire, intrepido difensore della Chiesa e dei suoi diritti dinanzi alla prepotenza del potere civile, Thomas Becket.
Tommaso Becket non nasce certo con la stoffa del santo e dovra' lottare duramente non solo contro i nemici esterni, ma anche contro se' stesso per seguire la via del Vangelo. Nato intorno al 1118 da una famiglia nobile di quei normanni che da cinquant'anni governavano l'Inghilterra, Tommaso apprese dalla madre l'amore per Dio. Terminatii gli studi, insoddisfatto della carriera che stava per intraprendere, diventò quindi chierico, seguendo il suggerimento dell'arcivescovo di Canterbury, che aveva notato in lui un ingegno non comune. Proseguiti gli studi ecclesiasitici a Roma, Bologna e Auxerre, fu promosso arcidiacono e capo della curia. Consacrato Arcivescovo di Canterbury, Tommaso avvertì, però, la necessita' di dedicarsi a una vita più interiore e meno mondana: iniziò quindi ad usare il cilicio, a raccogliersi in preghiera per notti intere e a praticare atti di umiltà. La sua conversione fu lenta e faticosa, ma nel cammino intrapreso non sarebbe più tornato indietro. E' considerato protettore dell'Inghilterra, ed il luogo della sua tomba e' il santuario più importante del paese. La sua figura inoltre ha ispirato un celebre dramma del commediografo Samuel Beckett.
In onore di questo Santo, che subì il martirio nella sua stessa cattedrale, per mano di quattro cavalieri, colpito a morte davanti all’altare, e che, prima di spirare, disse: "Accetto la morte in nome di Gesù e della Chiesa", apro questo thread.

Augustinus

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dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/dettaglio/30550):

San Tommaso Becket (o di Canterbury), Vescovo e martire

29 dicembre - Memoria Facoltativa

Londra, Inghilterra, c. 1118 - Canterbury, 23 (29?) dicembre 1170

Uomo di grande tempra morale e di governo, divenne cancelliere del re Enrico II e poi arcivescovo di Canterbury (1162). Strenuo difensore della libertà della Chiesa contro le ingerenze del potere civile, soffrì molte prove e fu esiliato in Francia per sei anni. Tornato in patria subì il martirio nella sua stessa cattedrale. (Mess. Rom.)

Nato a Londra verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, Tommaso fu nominato cancelliere da Enrico II, con il quale fu sempre in rapporto di amicizia. Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Ma occupando questo posto Tommaso si trasformò in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa, inimicandosi il sovrano. Fu ordinato sacerdote e vescovo nel 1162. Dopo aver rifiutato di riconoscere le «Costituzioni di Clarendon» del 1164, però, Tommaso fu costretto alla fuga in Francia, dove visse sei anni di esilio. Ma al rientro come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, il quale, si dice, arrivò a esclamare: «Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?». Fu così che quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto; accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri e si lasciò pugnalare senza opporre resistenza. Era il 23 dicembre del 1170. (Avvenire)

Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: San Tommaso Beckett, vescovo e martire, che per avere difeso la giustizia e la Chiesa fu costretto all’esilio dalla sua sede di Canterbury e dal regno stesso d’Inghilterra e, tornato in patria dopo sei anni, patì ancora molto, finché passò a Cristo, trafitto con la spada dalle guardie del re Enrico II nella cattedrale.

Martirologio tradizionale (29 dicembre): A Canterbury, in Inghilterra, il natale di san Tommaso, Vescovo e Martire, il quale, per la difesa della giustizia e dell'immunità ecclesiastica, nella sua Basilica, percosso colla spada da una fazione di uomini empi, Martire passò al Signore.

Una delle scelte più indovinate del grande sovrano inglese Enrico II fu quella del suo cancelliere nella persona di Tommaso Becket, nato a Londra da padre normanno verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo. Nelle vesti del cancelliere del regno, Tommaso si sentiva perfettamente a proprio agio: possedeva ambizione, audacia, bellezza e uno spiccato gusto per la magnificenza. All'occorrenza sapeva essere coraggioso, particolarmente quando si trattava di difendere i buoni diritti del suo principe, del quale era intimo amico e compagno nei momenti di distensione e di divertimento.
L'arcivescovo Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Nessuno, e tanto meno il re, prevedeva che un personaggio tanto "chiacchierato" si trasformasse subito in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa e in uno zelante pastore d'anime. Ma Tommaso aveva avvertito il suo re: "Sire, se Dio permette che io diventi arcivescovo di Canterbury, perderò l'amicizia di Vostra Maestà".
Ordinato sacerdote il 3 giugno 1162 e consacrato vescovo il giorno dopo, Tommaso Becket non tardò a mettersi in urto col sovrano. Le "Costituzioni di Clarendon" del 1164 avevano ripristinato certi abusivi diritti regi decaduti. Tommaso Becket rifiutò perciò di riconoscere le nuove leggi e si sottrasse alle ire del re fuggendo in Francia, dove visse sei anni di esilio, conducendo vita ascetica in un monastero cistercense.
Conclusa con il re una pace formale, grazie ai consigli di moderazione di papa Alessandro III, col quale si incontrò, Tommaso poté far ritorno a Canterbury, accolto trionfalmente dai fedeli, che egli salutò con queste parole: "Sono tornato per morire in mezzo a voi". Come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, accettando le "Costituzioni", e il re questa volta perse la pazienza, lasciandosi sfuggire una frase incauta: "Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?".
Ci fu chi si prese questo incarico. Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto: "La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia". Egli accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri. Si lasciò pugnalare senza opporre resistenza, mormorando: "Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa". Era il 23 dicembre del 1170. Fu sepolto con la cocolla cistercense. Tre anni dopo, il 21 febbraio 1173, papa Alessandro III iscrisse il suo nome nell'albo dei santi ed il 12 luglio 1174, re Enrico II fece pubblica penitenza per la morte di Tommaso.
Secondo alcune fonti, la sua tomba fu distrutta e le reliquie disperse da Enrico VIII nel settembre 1538, per evitare che le stesse rappresentassero ed assurgessero a simbolo della resistenza cattolica. Nel gennaio 1888, tuttavia, pare che la sua tomba fosse riscoperta in una cripta della Cattedrale di Canterbury, alimentandosi così un mistero sulla sorte delle sue reliquie.

http://www.claudette.shalfleet.net/stthomaschurch/saintthomas.jpg

http://img140.exs.cx/img140/1913/t1nar5aimage4xw.jpg Morte di Becket, in un'antica incisione

http://www.wsu.edu:8080/~hanly/chaucer/images/becketsite2.jpg Luogo del martirio di S. Thomas Becket nella Cattedrale di Canterbury. L'iscrizione che si vede reca inciso "St. Thomas Becket/ Archbishop - Saint - Martyr / Died Here / Tuesday 29th December / 1170"

http://www.peterpaul.org.uk/images/Mvc-018f.jpg

http://www.holte.org/europepics/Img_2596m.jpg Luogo della sepoltura di S. Tommaso contrassegnato dalla presenza di un cero prima della profanazione anglicana nella cattedrale di Canterbury

Augustinus
29-12-03, 19:25
NEL NOME DI DIO ONNIPOTENTE

Chiudiamo l’agenda con San Tommaso Becket, inglese, cancelliere del re (cioè il numero due), vescovo della Chiesa e martire. Non c’è una motivazione precisa per concludere l’anno con un martire, ma è bene di tanto in tanto ricordare qualcuno dei nostri fratelli e sorelle, non solo vissuti nella fede ma anche morti a causa di essa. Nel secolo scorso sono stati milioni in tutte le parti del mondo i caduti, martiri delle persecuzioni contro la fede cristiana. E questo martirologio già di per sé tragicamente lungo viene arricchito continuamente. Sono nostri fratelli e sorelle, vicini o lontani nel tempo, ma uniti a noi dalla medesima fede, che ci spronano e ci richiamano con il loro esempio a tenere “fisso lo sguardo su Gesù Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede” e a superare le prove piccole e grandi della nostra vita spirituale per essere fedeli discepoli dell’unico Maestro e Salvatore. E nel momento per noi della “crisi” cioè delle scelte decisive per Dio o contro di Lui, teniamo presente la stupenda e consolante immagine descritta nella Lettera agli Ebrei (Eb 12) quando si parla di una immensa schiera di fratelli e sorelle che assistono dalle tribune di un immaginario stadio spirituale (il paradiso): “Eccoci dunque posti di fronte a questa grande folla di testimoni (martyres, in greco). Corriamo decisamente la corsa che Dio ci propone” nell’immenso stadio del mondo dove siamo chiamati a vivere la nostra vita. Un famoso cantautore italiano in una canzone ripete continuamente il ritornello “Siamo soli, siamo soli”. È un richiamo alla solitudine esistenziale, che tutti, anche se abitiamo in città, un po’ sentiamo. Ma non siamo soli nel vivere la nostra fede: la folla descritta dalla Lettera agli Ebrei assiste, ricorda i buoni esempi, incoraggia, e applaude. Chi? Ciascuno di noi, ancora nella fase di “viatori” che cammina o corre verso la Città Celeste, cioè verso Dio.
Anche Thomas Becket è uno di questi testimoni, anch’egli ebbe il suo carico di sofferenze e difficoltà (chi non le ha?) lungo la sua vita a causa della propria fede. Ma perseverò fino alla fine, coronandola con il sigillo del proprio sangue. È un martire della Chiesa, ed un testimone di coraggio e di coerenza di fronte alle prepotenze del potere politico.

Thomas, uomo di stato

Thomas nacque a Londra nel 1118 da Gilberto e Matilde, ambedue appartenenti alla borghesia di origine normanna. Tuttavia alla morte dei propri genitori rimase quasi nullatenente, e per anni dovette lavorare come impiegato. Ricevette un’educazione liberale presso i canonici di Merton, nel Surrey. Più tardi intraprese gli studi di diritto canonico prima ad Auxerre e quindi a Bologna, la prima delle università, già allora famosa in tutta Europa.
Entrò poi a far parte del gruppo di collaboratori dell’arcivescovo Teobaldo di Canterbury. Questi lo mandò in diverse occasioni a Roma per svolgere missioni importanti e delicate.
Finalmente nel 1154 diventò arcidiacono della diocesi e nel 1155 il neo re Enrico II lo nominò cancelliere del regno. Era arrivato al top della carriera: numero 2, dopo il re. I due inoltre erano legati da sincera amicizia e collaborazione.
Nella sua nuova carica Thomas si trovava a proprio agio e lavorava volentieri, anche perché ad essa era legato un grande potere, che significava immancabilmente un lungo e piacevole corollario di onori, lusso, magnificenza, divertimenti. Non disdegnava di andare a caccia, era infatti un abile falconiere. Ed era diventato anche, provetto nell’uso delle armi.
Thomas era generoso negli intrattenimenti per sé (la carica lo esigeva), ma lo era anche con i poveri. Da vero uomo di potere lavorò molto e con competenza per restaurare la sovranità dell’Inghilterra nelle mani del re Enrico, sovranità che era stata compromessa dal precedente regno di Stefano di Blois. Egli fu in questi anni il vero braccio destro del sovrano e il vero restauratore della monarchia, non senza attirarsi le immancabili critiche, anche da parte della Chiesa.
Morto nel 1161 l’arcivescovo Teobaldo, re Enrico, per porre fine alla resistenza della Chiesa contro l’usurpazione reale dei propri diritti e privilegi avuti nei secoli precedenti, pose la candidatura del suo cancelliere. Chi c’era più degno di lui? Davanti a tanto sponsor poteva il suo numero due dirgli di no? Thomas infatti gli disse: “Se Dio mi permettesse di essere arcivescovo di Canterbury, perderei la benevolenza di vostra maestà, e l’affetto di cui mi onorate si trasformerebbe in odio, giacché diverse vostre azioni volte a pregiudicare i diritti della Chiesa mi fanno temere che un giorno potreste chiedermi qualcosa che non potrei accettare, e gli invidiosi non mancherebbero di considerarlo un segno di conflitto senza fine tra di noi”. Parole profetiche. Ma il re Enrico non diede loro importanza e insistette. Thomas declinò lo stesso l’invito regale, finché non intervenne il nunzio apostolico il card. Enrico di Pisa. Questi, non il re, lo convinse ad accettare il prestigioso incarico a vescovo di Canterbury.

Thomas, uomo di Chiesa

Come primo atto egli si trasferì da Londra a Canterbury: iniziava così con un gesto concreto e ben visibile la sua nuova missione e il proprio cambiamento. Che fu coraggioso e totale. Era diventato un uomo di Chiesa, cioè di servizio, non più uomo di potere, secondo la logica di questo mondo. Non ci fu un semplice “lifting” per così dire, andò molto più in profondità: voleva rappresentare Gesù Cristo come pastore del proprio gregge, e volle assomigliargli più possibile nella propria vita quotidiana.
Sobrietà nel mangiare e vestire, preghiera e meditazione della Scrittura ogni giorno, distribuzione ai poveri delle elemosine che furono più abbondanti che quelle del predecessore, visite agli ammalati e agli ospedali. Dalla sua elezione condusse quasi una vita monastica.
Ma ben presto vennero a galla i conflitti con il re. L’occasione furono le Costituzioni di Clarendon. Nella storia inglese, queste sono un capitolo molto importante. Di che si trattava? Era il tentativo di codificazione, per iscritto, di antiche usanze e consuetudini del regno, che qualche volta erano in contrasto con la legislazione canonica che ne limitavano la libertà e l’indipendenza di azione. La polemica che ne scaturì era di ordine giuridico: l’arcivescovo difendeva le posizioni acquisite dalla Chiesa, secondo il diritto canonico. Il re e i suoi giuristi facevano riferimento a consuetudini feudali, che andavano a beneficio del potere regale (nascita del diritto civile). Queste Costituzioni si possono considerare anche la prima dichiarazione legale della Common Law (Legge Comune) inglese. Thomas all’inizio fu conciliante, poi appresi i dettagli (il diavolo si nasconde sempre nelle clausole) le respinse affermando: “Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo”. Era come una dichiarazione di ostilità nei riguardi del re, e l’inizio del confronto tra i due. Finalmente arrivò anche il sostegno da Roma: il papa Alessandro III respinse vari provvedimenti dell’assise di Clarendon, e nello stesso tempo pregò Thomas, che aveva dato le dimissioni, di continuare. Durante le trattative tra papa e re, fu ospite in un monastero cistercense e poi anche del re di Francia. Il suo soggiorno all’estero (era un vero esilio) durò sei anni.
Tornato a Canterbury fu bene accolto dalla popolazione, ma non dalla corte e dal re, ormai diventato suo nemico. Questi un giorno esclamò ad alta voce che qualcuno lo liberasse da quel vescovo. Non si conoscono le parole esatte, ma sembra che non intendesse o ancor meno che ordinasse, indirettamente, la sua eliminazione fisica. Invece quattro cavalieri che lo sentirono pensarono di avere avuto mano libera. E partirono alla volta di Canterbury, per la soluzione finale del confronto. Entrarono in chiesa con la forza gridando “Dov’è Thomas il traditore?”. Questi rispose: “Sono qui, ma non sono un traditore, bensì un vescovo e sacerdote di Dio”. E fu brutalmente ucciso a coltellate. L’assassinio si consumava nella cattedrale (episodio questo che fu fonte di ispirazione e rievocazione letteraria per molti artisti, tra i più famosi T. S. Eliot col suo Assassinio nella cattedrale). L’orrenda notizia si sparse velocemente per tutta l’Europa. Il re Enrico II ne fu profondamente addolorato e digiunò per molti giorni in segno di sincero dolore. “Thomas non aveva vissuto come un santo, ma morì come tale, un uomo dai molti aspetti che cercava la gloria, che trovò alla fine, con coraggio e abnegazione” (A. Butler).
La sua fama di santo martire varcò ben presto i confini di Canterbury. Alessandro III la sancì canonizzandolo nel 1173. All’intercessione del nuovo martire si attribuirono molti miracoli, e la sua tomba diventò meta di numerosi pellegrinaggi.

Autore: MARIO SCUDU

http://www.donbosco-torino.it/image/02-03/11-San_Tommaso_Becket.jpg

http://www.earlybritishkingdoms.com/adversaries/bios/images/tabecket.jpg

Fonte: Rivista Maria Ausiliatrice, 2003, fasc. n. 11 (http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/11-Dicembre/11-San_Tommaso_Becket.html)

Lollo87Lp
29-12-03, 20:03
Augustinus, tu sei per il riconoscimento del potere temporale alla Chiesa?

Augustinus
29-12-03, 20:25
Originally posted by Lollo87Lp
Augustinus, tu sei per il riconoscimento del potere temporale alla Chiesa?

Perchè mi fai questa domanda? Non ne capisco il senso!
Comunque, io sono convinto che omnia potestas a Deo. Tuttavia ammetto una legittima potestas indirecta in temporalibus da parte della Chiesa (non più quella directa, perchè storicamente non più realizzabile ... putroppo), come sosteneva nel XVII sec. il Bellarmino e che oggi è quella comunemente accettata dalla Chiesa.

Augustinus

Lollo87Lp
30-12-03, 13:14
Originally posted by Augustinus
Perchè mi fai questa domanda? Non ne capisco il senso!
Comunque, io sono convinto che omnia potestas a Deo. Tuttavia ammetto una legittima potestas indirecta in temporalibus da parte della Chiesa (non più quella directa, perchè storicamente non più realizzabile ... putroppo), come sosteneva nel XVII sec. il Bellarmino e che oggi è quella comunemente accettata dalla Chiesa.

Augustinus

Ti chiedevo una cosa inerente all’argomento della discussione. ;)

Che cosa pensi della Donazione di Costantino?

Augustinus
30-12-03, 13:21
Originally posted by Lollo87Lp
Ti chiedevo una cosa inerente all’argomento della discussione. ;)

Che cosa pensi della Donazione di Costantino?

Anche se documento apocrifo, lo trovo pienamente corretto nella sostanza. Anche se purtroppo non realizzabile oggi.

Augustinus
29-12-04, 12:33
L’omicidio di Thomas Becket: tra storia e mito

Un saggio re-amministratore

Enrico II sale al trono nel 1154. Dal padre Goffredo eredita i titoli di duca di Normandia, signore dell’Angiò, del Maine e della Turenne. Il matrimonio con Eleonora d’Aquitania gli consente di estendere il suo potere anche sui territori francesi del Poitou, della Guienna e della Guascogna. Malgrado l’ampia estensione territoriale del suo regno, riesce a imporre un’organizzazione di governo che ha nella centralizzazione dei poteri il suo principale carattere.

Il territorio è diviso in contee, ognuna delle quali è governata da sceriffi. Si tratta di semplici funzionari, incaricati di amministrare la giustizia, di far eseguire gli ordini del sovrano e di assicurare il mantenimento della pace. Londra controlla con fermezza il loro operato e interviene direttamente quando si tratta di affrontare questioni di un certo rilievo. Lo dimostra l’istituzione dei giustizieri (justiciars), giudici itineranti che, a scadenza fissa, il re invia nelle contee per dirimervi le controversie di maggior importanza.

Per assicurare la centralizzazione dei suoi poteri, Enrico II tenta di coinvolgere – riuscendovi – i grandi feudatari ecclesiastici e laici nell’amministrazione e nel governo del Paese. Se altrove le assemblee dei vassalli si risolvono in questioni mera ritualità, in Inghilterra svolgono invece un’importante funzione di sostegno politico al sovrano e rappresentano un decisivo fattore di coesione e di rafforzamento. Da buon sovrano, Enrico non manca di circondarsi di consiglieri politici di sua fiducia. Tra questi emerge Thomas Becket, nominato Cancelliere del Regno nel 1154.

Fonte: SAPERE.IT (http://www.sapere.it/tc/storia/percorsi/GrandiOmicidi/Becket/Thomas1.jsp)

Augustinus
29-12-04, 12:34
... continuazione ...

Una carriera fulminante

All’importante carica Becket arriva su segnalazione del primate della Chiesa inglese, l’arcivescovo Teobaldo, che lo conosce da quando a 24 anni, nel 1142, Thomas entra nel novero dei suoi assistenti. Da bambino non dimostra una spiccata attitudine allo studio. Più grande, pur avendo ricevuto una buona istruzione nel convento di Merton e nelle scuole di Londra e Parigi, non ha premura di raccogliere i frutti della sua formazione, preferendo dedicare il suo tempo alla caccia e al divertimento.

Ma è una breve parentesi, che precede l’impiego presso il justiciar di Londra, Osbert Huit-Deniers. Lavora sodo, e si guadagna una piccola fama che giunge all’orecchio di Teobaldo, che lo prende con sé. Gli anni spesi accanto al primate di Canterbury giocano un ruolo decisivo nella formazione culturale e mentale di Becket, che ha l’occasione di studiare diritto civile e canonico negli atenei di Bologna e Auxerre e di incrementare la sua preparazione. Nel 1154 diventa arcidiacono di Canterbury, ufficio che ricopre solo per pochi mesi, prima di passare alla Cancelleria del Regno.

In qualità di Cancelliere, gli compete la custodia del sigillo reale e la costante assistenza al sovrano. Ma tra questi e Becket nasce un’amicizia personale che oltrepassa la rigidità dei ruoli e consente al Cancelliere di esercitare un potere ben più ampio di quello che le consuetudini giuridiche gli assegnano. Egli è quasi sempre l’unico testimone dei documenti e degli atti formati da Enrico II; assume compiti politici di restaurazione dell’ordine, di amministrazione della giustizia e di cura degli affari diplomatici presso la corte francese; inoltre, con un suo mandato, può autorizzare un pagamento con denaro prelevato dal tesoro, privilegio che in seguito sarà consentito solo al justiciar.

Fonte: SAPERE.IT (http://www.sapere.it/tc/storia/percorsi/GrandiOmicidi/Becket/Thomas2.jsp)

Augustinus
29-12-04, 12:36
... continuazione ...

Militare e arcivescovo

L’amicizia con il re gli permette anche di vivere un’interessante e proficua vita di corte, arricchita dai contatti con personalità quali Giovanni di Salisbury e Arnolfo, vescovo di Lisieux. Si distingue anche sul piano militare. Nel 1159 organizza la campagna di Tolosa; dirige, sul confine normanno, le operazioni contro i francesi; arriva a battersi personalmente contro i cavalieri nemici; conduce i negoziati per il trattato di pace del 1160. Non è un Mazarino o un Richelieu ante litteram, ma poco ci manca. Una frase dell’abate Pietro di La Celle de Troyes traccia un disegno fedele del ruolo del Cancelliere alla corte di Londra: "Chi non sa che voi siete secondo al re in quattro regni?".

Da questo stato di fatto, matura nella testa di Enrico l’idea di farne il successore di Teobaldo sullo scranno di Canterbury. La vicenda presenta qualche punto oscuro. Non è chiaro, infatti, se quel che spinge il re alla nomina sia esclusivamente sincera amicizia o, al contrario, il desiderio di assoggettare il culto religioso al potere laico sfruttando il rapporto che lo lega a Becket. Così come non sono chiare le reazioni del neo-primate alla notizia della nomina. La vulgata tradizionale racconta di una sua riluttanza, ma c’è motivo di ritenerla una voce sorta dall’esigenza di inquadrare nella narrazione storica il contrasto che sorgerà tra i due, e che stride con il carattere decisamente ambizioso di Becket.

Una volta nominato Arcivescovo di Canterbury (1162), Becket si dimette dal cancellierato, ma non dal rigore con cui ha vestito quei panni. Interpretando con massimo zelo il ruolo di capo della chiesa anglicana, da subito ostenta ferma intransigenza su ogni diritto che la chiesa possa rivendicare nei confronti del sovrano, e si dà da fare per riportare a Canterbury diritti e terre perduti in passato. Di più: toglie ai funzionari del re i privilegi di cui godono nella sua contea e pretende i diritti di patronato su tutti i possedimenti dei signori del luogo.

Fonte: SAPERE.IT (http://www.sapere.it/tc/storia/percorsi/GrandiOmicidi/Becket/Thomas3.jsp)

Augustinus
29-12-04, 12:37
... continuazione ...

In tensione con la Corona

La tensione con Enrico II cresce e sfocia in un primo, aperto scontro al concilio di Westminster nel 1163. In discussione è la responsabilità del clero per abuso di poteri, e il re chiede che gli imputati rispondano degli addebiti davanti a due corti: quella civile, per l’introduzione della causa e l’esecuzione della sentenza; quella ecclesiastica per lo svolgimento del processo. La proposta nasce da un’interpretazione delle regole di diritto canonico, della quale Becket riconosce la validità ma alla quale si oppone affermando che «Dio non giudicherà un uomo due volte per la stessa colpa», così enunciando – suo malgrado – un principio giuridico sul quale si incardinerà la scienza giuridica moderna.

Per fondare la sua proposta, quindi, Enrico ricorre alle regole consuetudinarie inglesi; ma quando chiede ai prelati se siano disposti ad accettarle, la risposta è "Al di fuori del nostro ordine". La chiesa, insomma, affermava una propria giurisdizione esclusiva di diritto canonico. La reazione del sovrano è tutta contro l’arcivescovo, al quale sottrae il potere di cura dell’erede al trono (che gli spetta per consuetudine). Inoltre, sollecita l’intervento diretto del Papa, Alessandro III, al quale chiede ripetutamente di assentire alla sua interpretazione delle consuetudini. Prima che l’avvallo pontificio giunga a Londra, Becket, psicologicamente pressato, accorda il suo consenso al re.

Dal Concilio di Westminster sorge un problema di certezza del diritto che Enrico II intende risolvere una volta per tutte. L’anno successivo promuove un nuovo concilio, a Clarendon, per discutere l’approvazione di sedici clausole – passate alla storia come le Costituzioni di Clarendon –, riproduttive del diritto consuetudinario anglosassone. Dieci di esse sono oggetto di controversia tra il potere secolare e quello religioso. Quattro definiscono i confini della giurisdizione laica ed ecclesiastica, riproponendo il punto già controverso a Westminster sulla doppia giurisdizione per i chierici; sei assicurano al re l’ingerenza nelle elezioni del clero e un potere di veto, in determinate circostanze, all’esercizio dell’autorità ecclesiastica.

Disposizioni che, malgrado il loro tenore letterale, non sanciscono un tentativo del re di intervenire in questioni di chiesa, ma semplicemente esprimono la volontà di fissare definitivamente le regole vigenti fino a quel momento. Non uno scontro tra poteri, quindi, ma un più modesto regolamento di competenze. Becket, tuttavia, non appone il suo sigillo sul testo delle Costituzioni, e dà il via ad un ennesimo scontro – questa volta definitivo – con il sovrano.

Fonte: SAPERE.IT (http://www.sapere.it/tc/storia/percorsi/GrandiOmicidi/Becket/Thomas4.jsp)

Augustinus
29-12-04, 12:39
... continuazione ...

Morte e leggenda

La questione si trascina per sei anni, durante i quali si scatena una vera e propria guerra di scomuniche religiose e sentenze civili. Rifugiatosi in Francia, prima nell’abbazia di cistercense di Pontigny, quindi in quella benedettina di Sainte-Colombe a Sens, Becket approfondisce lo studio del diritto canonico e chiama in causa più volte Alessandro III affinché scomunichi Enrico II. Ma Il papa, impegnato ad arginare l’esercito del Barbarossa che sta calando in Italia, non interviene se non concedendo all’arcivescovo ampi poteri in materia di censure ecclesiastiche. Questi non si risparmia e arriva a bollare due suoi influenti colleghi quali gli arcivescovi di Salisbury e di Londra. Ma da Roma vien meno il sostegno alla sua azione: con una manovra ambigua, Alessandro III annulla gli effetti di tutte le sentenze pronunciate dall’arcivescovo, ormai sempre più solo nella sua battaglia personale contro Enrico II.

Il quale affonda un nuovo colpo nel 1170, quando assegna all’arcivescovo di York il diritto di officiare la cerimonia di incoronazione dell’erede al trono, così esautorando l’autorità di Canterbury in uno dei suoi poteri più consolidati. Il Papa comprende che la tensione è massima e decide per un intervento: minaccia di interdetto il sovrano, ma al contempo promuove una conciliazione tra questi e Becket, guidata dall’arcivescovo di Rouen e dal vescovo di Nevers. È tuttavia una pace di facciata, che non risolve le questioni sorte dalle Costituzioni di Clarendon. L’ultimo atto della tragedia vede il pontefice inviare a Londra le lettere di sospensione per quei prelati che avevano preso parte all’incoronazione dell’erede di Enrico, e l’arcivescovo di Canterbury denunciare pubblicamente nella cattedrale i suoi nemici durante la celebrazione del Natale. Quattro giorni dopo, verrà ucciso.

Su quanto accaduto durante quei quattro giorni, la storia non ha mai fatto molta luce. Si sa per certo che Enrico, appresa la notizia il 2 gennaio successivo, si chiude in tre mesi di drammatico silenzio, cosa che indurrebbe a considerare l’iniziativa dei quattro cavalieri come un gesto isolato e non come un omicidio su commissione. Inoltre, non mancano fonti che raccontino di come Becket, negli ultimi tempi, avesse maturato la convinzione che solo la propria morte avrebbe potuto porre fine alla vicenda. Ma sono supposizioni. Quel che non è ipotesi, bensì un’incredibile realtà storica, è lo smodato culto del quale la figura dell’arcivescovo diviene oggetto. La sua tomba diventa meta di pellegrinaggi, e in molti dichiarano che Becket è autore di miracoli postumi, quali numerose guarigioni dalla lebbra. Il Papa, in forza di questi miracoli, lo canonizza nel 1173.

L’anno dopo il re fa pubblica penitenza, e incoraggia apertamente il culto dell’arcivescovo, malgrado questi, in vita, non si sia comportato in modo tale da meritarsi tanto. La sua bruciante passione per il senso di giustizia, la sua fervida difesa delle libertà della Chiesa non sono frutto di un’ideologia ben precisa, ma di una semplice obbedienza alle regole e agli oneri legati alla sua posizione di arcivescovo. La sua inesistente predisposizione al compromesso si scontra con la tendenza alla vendetta di un re che si sente tradito dal suo atteggiamento. Ciononostante, Becket diventa il simbolo della resistenza cattolica all’assolutismo politico, tanto da indurre Enrico VIII, nel 1538, a distruggere la sua tomba e a proibirne il culto.

Fonte: SAPERE.IT (http://www.sapere.it/tc/storia/percorsi/GrandiOmicidi/Becket/Thomas5.jsp)

Augustinus
29-12-04, 21:24
http://www.lamp.ac.uk/history/Images/becket%5B1%5D.jpg

Augustinus
28-12-06, 21:13
http://www.library.nd.edu/medieval_library/facsimiles/laypi/legen/70r-1E.jpg Elevazione di S. Tommaso Becket, Legendarium, Biblioteca Apostolica Vaticana (Città del Vaticano), Vat. lat. 8541, fol. 70r

http://www.library.nd.edu/medieval_library/facsimiles/laypi/legen/71v-1E.jpg Visione di S. Tommaso Becket della Vergine Maria e del suo martirio, Legendarium, Biblioteca Apostolica Vaticana (Città del Vaticano), Vat. lat. 8541, fol. 71v

Augustinus
28-12-06, 21:18
http://www.stthomasabecketparish.org/Images/becketCircular.GIF

Augustinus
28-12-06, 21:24
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7d/Meister_Francke_007.jpg Maestro Francke o Meister Francke, Entrata a Canterbury, 1424, Kunsthalle, Amburgo

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/86/Meister_Francke_011.jpg Maestro Francke o Meister Francke, Martirio di san Tommaso Becket, 1424, Kunsthalle, Amburgo

Augustinus
28-12-06, 21:55
http://www.sapere.it/tca/minisite/scuola/insegnanti/arte_becket/imgs/Enrico.jpg Enrico II d'Inghilterra, responsabile morale dell'uccisione di Becket

Augustinus
29-12-06, 17:06
da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 160-163

29 DICEMBRE

SAN TOMMASO, VESCOVO DI CANTORBERY E MARTIRE

Il Martire della libertà della Chiesa.

Un nuovo Martire viene a reclamare il suo posto presso la culla del Dio-Bambino. Non appartiene ai primi tempi della Chiesa; il suo nome non è scritto nei libri del Nuovo Testamento, come quelli di Stefano, di Giovanni e dei bambini di Betlemme. Tuttavia, egli occupa uno dei primi ranghi in quella legione di Martiri che non ha mai cessato di crescere lungo i secoli, e che attesta la fecondità della Chiesa e la forza immortale di cui l'ha dotata il suo divino autore. Questo glorioso Martire non ha versato il sangue per la fede; non è stato condotto davanti ai pagani o agli eretici, per confessare i dogmi rivelati da Gesù Cristo e proclamati dalla Chiesa. L'hanno immolato mani cristiane; un re cattolico ha pronunciato il suo arresto di morte; è stato abbandonato e maledetto dalla maggior parte dei suoi fratelli, nel suo stesso paese: come è dunque Martire? come ha meritato la palma di Stefano? Perché è stato il Martire della Libertà della Chiesa.

La vocazione al martirio.

Infatti, tutti i fedeli di Gesù Cristo sono chiamati all'onore de martirio, per confessare i dogmi di cui hanno ricevuto l'iniziazione nel Battesimo. I diritti di Cristo che li ha adottati come fratelli si estendono fino ad una testimonianza non richiesta a tutti; ma tutti devono essere pronti a renderla, sotto pena della morte eterna da cui la grazia del Salvatore li ha riscattati. Questo dovere è, a maggior ragione, imposto ai pastori della Chiesa; è la garanzia dell'insegnamento che essi impartiscono al gregge: e gli annali della Chiesa sono pieni, ad ogni pagina, dei nomi trionfanti di molti santi Vescovi che hanno, come estrema dedizione, irrorato col proprio sangue il campo che le loro mani aveva fecondato, e attribuito in tal modo il supremo grado di autorità alla loro parola.

Ma se i semplici fedeli sono tenuti a soddisfare il grande debito della fede con l'effusione del proprio sangue; se hanno verso la Chiesa, attraverso ogni sorta di pericoli, il dovere di confessare i sacri legami che li uniscono ad essa e per essa a Gesù Cristo, i pastori hanno un dovere in più da compiere, cioè il dovere di confessare la Libertà della Chiesa. Le parole Libertà della Chiesa suonano male all'orecchio dei politici. Essi vi scorgono subito il pericolo d'una cospirazione; il mondo, da parte sua, vi trova un motivo di scandalo e ripete le altisonanti parole di ambizione clericale; le persone timide cominciano a tremare, e vi dicono che fino a quando la fede non è attaccata, nulla è in pericolo. Malgrado tutto ciò, la Chiesa pone sugli altari e associa a santo Stefano, a san Giovanni e ai santi Innocenti, questo Arcivescovo inglese del XII secolo, ucciso nella sua stessa Cattedrale per la difesa dei diritti esteriori del sacerdozio. Essa ama la bella massima di sant'Anselmo, uno dei predecessori di san Tommaso, secondo cui Dio non ama nulla al mondo quanto la libertà della sua Chiesa; e nel secolo XIX, come nel XII, la Sede Apostolica esclama per bocca di Pio VIII, come avrebbe fatto per bocca di san Gregorio VII: È per istituzione stessa di Dio che la Chiesa, Sposa intemerata dell'Agnello immacolato Gesù Cristo, è LIBERA, e non è sottomessa ad alcuna potenza terrena [1].

La libertà della Chiesa.

Ora, questa sacra Libertà consiste nella completa indipendenza della Chiesa riguardo a qualunque potenza secolare, nel ministero della Parola ch'essa deve poter predicare - come dice l'Apostolo - opportunamente e inopportunamente, ad ogni sorta di persone, senza distinzione di genti, di razze, di età o di sesso; nell'amministrazione dei suoi Sacramenti, ai quali deve chiamare tutti gli uomini senza eccezione, per salvarli tutti; nella pratica, senza controllo estraneo, dei consigli come dei precetti evangelici; nelle relazioni, libere da ogni ostacolo, fra i diversi gradi della sua divina gerarchia; nella pubblicazione e nell'applicazione delle disposizioni della sua disciplina; nel mantenimento e nello sviluppo delle istituzioni che ha create; nella conservazione e nell'amministrazione del suo patrimonio temporale e infine nella difesa dei privilegi che l'autorità secolare stessa le ha riconosciuti, per assicurare lo svolgimento e la considerazione del suo nuovo ministero di pace e di carità sui popoli.

Questa è la Libertà della Chiesa: e chi non vede che essa è il centro del santuario stesso; che ogni colpo vibrato ad essa può mettere allo scoperto la gerarchia, e finanche lo stesso dogma? Il Pastore deve difenderla d'ufficio, questa santa Libertà: non deve né fuggire come il mercenario né tacere come i cani muti che non sanno abbaiare dei quali parla Isaia (56,10). Egli è la sentinella d'Israele; non deve aspettare che il nemico sia entrato nel recinto per lanciare il grido d'allarme, e per offrire i polsi alle catene e il capo alla spada. Il dovere di dare la vita per il proprio gregge comincia per lui dal momento in cui il nemico assedia quegli avamposti la cui libertà assicura il riposo dell'intera città.

Se poi questa resistenza porta gravi conseguenze, allora bisogna ricordare le belle parole di Bossuet nel suo sublime Panegirico di san Tommaso di Cantorbery, che vorremmo qui citare interamente: "È una legge inderogabile - egli dice - che la Chiesa non possa godere di alcun vantaggio che non le costi la morte dei suoi figli, e che per far valere i suoi diritti bisogna che versi il proprio sangue. Il suo Sposo l'ha riscattata con il sangue per lei versato, e vuole che essa acquisti a pari prezzo le grazie che le concede. Così il sangue dei Martiri ha esteso le sue conquiste molto al di là dell'impero romano; il suo sangue le ha procurato la pace che ha goduto sotto gli imperatori cristiani e la vittoria che ha riportato sugli imperatori infedeli. Sembra dunque che dovesse versare il sangue per il consolidamento della sua autorità come l'aveva versato per il consolidamento della sua dottrina; e così anche la disciplina, come la fede della Chiesa, ha dovuto avere i suoi Martiri".

L'elemento del martirio.

Non si è trattato dunque per san Tommaso e per tanti altri Martiri della Libertà della Chiesa, di considerare la debolezza dei mezzi che si potrebbero opporre alle violazioni dei diritti della Chiesa. L'elemento del martirio è la semplicità unita alla forza; e non è forse per questo che sono state colte così splendide palme da semplici fedeli, da giovani vergini e da fanciulli? Dio ha posto nel cuore del cristiano un elemento di resistenza umile e inflessibile che spezza sempre qualunque forza. Quale inviolabile fedeltà non ispira lo Spirito Santo all'anima dei suoi pastori stabiliti da lui come gli sposi della sua Chiesa, e come altrettante mura insormontabili della sua diletta Gerusalemme? "Tommaso - dice ancora il Vescovo di Meaux - non cede all'iniquità, con il pretesto che è armata e sostenuta da una mano regale; al contrario, vedendola partire da un luogo eminente dal quale può diffondersi con maggior forza, si crede ancor più obbligato a levarsi contro di essa, come una diga che venga innalzata man mano che si vedono crescere le acque".

Ma in questa lotta potrebbe perire il Pastore? Certo, potrà ottenere questo insigne onore. Cristo, nella lotta contro il mondo, nella vittoria riportata per noi, ha versato il proprio sangue, è morto su una croce; e i Martiri pure sono morti; ma la Chiesa, irrorata dal sangue di Gesù Cristo, cementata dal sangue dei Martiri, potrà trascurare per sempre questo bagno salutare che rianima il suo vigore e forma la sua porpora regale? Tommaso l'ha compreso; e quest'uomo i cui sensi sono mortificati da un'assidua penitenza, i cui affetti in questo mondo sono crocifissi da tutte le privazioni e da tutte le avversità, ha nel cuore quel coraggio pieno di calma, quella pazienza inaudita che preparano al martirio. In una parola, ha ricevuto lo Spirito di forza, e gli è stato fedele.

La Forza.

"Secondo il linguaggio ecclesiastico - continua Bossuet - la forza ha un significato diverso da quello che ha nel linguaggio del mondo. La forza secondo il mondo giunge fino all'impresa; la forza secondo la Chiesa non va più in là della sofferenza: questi sono i limiti ad essa prescritti. Udite l'Apostolo san Paolo: Nondum usque ad sanguinem resististis; come se dicesse: Non avete resistito fino in fondo, perché non vi siete difesi fino al sangue. Non dice già fino ad attaccare, fino a versare il sangue dei vostri nemici, ma fino a versare il vostro.

Del resto, san Tommaso non abusa di queste forti massime. Non prende con fierezza le armi apostoliche, per farsi valere nel mondo: se ne serve come d'uno scudo necessario nell'estremo bisogno della Chiesa. La forza del santo Vescovo non dipende dunque dal concorso dei suoi amici, né da un intrigo condotto con astuzia. Non sa ostentare al mondo la sua pazienza, per rendere più odioso il suo persecutore; né impiegare segrete risorse per sollevare gli spiriti. Non ha per sé che la preghiera dei poveri, i gemiti delle vedove e degli orfani. Ecco - dice sant'Ambrogio - i difensori dei Vescovi; ecco le loro guardie, ecco la loro armata. Egli è forte, perché ha uno spirito incapace tanto di timore che di cattiveria. Può dire veramente ad Enrico, re d'Inghilterra, ciò che diceva Tertulliano in nome di tutta la Chiesa a un magistrato dell'Impero, feroce persecutore della Chiesa stessa: Non te terremus, qui nec timemus. Impara a conoscere quali noi siamo, e osserva che uomo è un cristiano: Non pensiamo di farti paura, e siamo incapaci di temerti. Non siamo né temibili né vili: non siamo temibili, perché non sappiamo congiurare; e non siamo vili, perché sappiamo morire".

Il martirio di san Tommaso e le sue conseguenze.

Ma lasciamo ancora la parola all'eloquente prelato della Chiesa di Francia, il quale fu appunto chiamato agli onori dell'episcopato nell'anno seguente a quello in cui pronunciò questo discorso; sentiamolo raccontare la vittoria della Chiesa per mezzo di san Tommaso di Cantorbery:

"Cristiani, udite bene: se vi fu mai un martirio che somigliasse perfettamente a un sacrificio, è quello che devo rappresentarvi. Osservate i preparativi: il Vescovo è nella chiesa con il suo clero, e sono già tutti vestiti. Non occorre cercare molto lontano la vittima: il santo Pontefice è preparato, ed è la vittima che Dio ha scelta. Così tutto è pronto per il sacrificio, e vedo entrare nella chiesa quelli che debbono fare l'esecuzione. Il santo uomo va loro incontro, sull'esempio di Gesù Cristo; e per imitare in tutto il divino modello, proibisce al suo clero qualunque resistenza, e si contenta di chiedere sicurezza per i suoi. Se è me che cercate - disse Gesù - lasciate andare costoro. Dopo di ciò, essendo ormai giunta l'ora del sacrificio, osservate come san Tommaso ne inizia la cerimonia. Vittima e Pontefice insieme, presenta il capo e prega. Ecco i solenni voti e le mistiche parole di tale sacrificio: Et ego pro Deo mori paratus sum, et pro assertione iustitiae, et pro Ecclesiae libertate; dummodo effusione sanguinis mei pacem et libertatem consequatur. Sono pronto a morire - egli dice - per la causa di Dio e della sua Chiesa; e tutto quello che chiedo è che il mio sangue le dia la pace e la libertà che le si vuol togliere. Si inginocchia quindi davanti a Dio; e come nel solenne Sacrificio noi chiamiamo i santi nostri intercessori, egli non omette una parte così importante di tale sacra cerimonia: chiama i santi Martiri e la santa Vergine in aiuto della Chiesa oppressa; non parla che della Chiesa; non ha che la Chiesa nel cuore e nella bocca; e, abbattuto dal colpo, la sua lingua fredda e inanimata sembra nominare ancora la Chiesa".

Così questo grande Martire, vero tipo dei Pastori della Chiesa, ha consumato il suo sacrificio; così ha riportato la vittoria; e questa vittoria andrà fino alla completa abrogazione della delittuosa legislazione che doveva ostacolare la Chiesa e umiliarla agli occhi dei popoli. La tomba di Tommaso diventerà un altare; e ai piedi di questo altare, si vedrà presto un Re penitente chiedere umilmente grazia. Che cos'è dunque avvenuto? La morte di Tommaso ha forse eccitato i popoli alla ribellione? Il Martire ha trovato forse dei vendicatori? Nulla di tutto ciò; non è accaduto questo. Il suo sangue è bastato a tutto. Lo si comprenda bene: i fedeli non vedranno mai a sangue freddo la morte d'un pastore immolatesi per i propri doveri; e i governi che osano fare dei Martiri ne sconteranno sempre la pena. È per averlo compreso istintivamente, che le astuzie della politica si sono rifugiate nei sistemi d'oppressione amministrativa, per camuffare abilmente il segreto della guerra intrapresa contro la Libertà della Chiesa. Per questo sono state forgiate quelle catene non meno deboli che insopportabili, che legano oggi tante Chiese. Ora, non è nella natura di queste catene di sciogliersi; possono soltanto essere spezzate; ma chiunque le spezzerà, grande sarà la sua gloria nella Chiesa della terra ed in quella del cielo; poiché la sua gloria sarà quella del martirio. Non si tratterà di combattere né con il ferro né di negoziare con la politica; ma di resistere e di soffrire con pazienza fino in fondo.

Ascoltiamo un'ultima volta il nostro grande oratore, il quale mette in evidenza questo sublime elemento il quale ha assicurato la vittoria alla causa di san Tommaso:

"Osservate, o fratelli, quali difensori trova la Chiesa nella sua debolezza, e come ha ragione di dire con l'Apostolo: Cum infirmar, tunc potens sum. Sono queste beate debolezze che le danno l'invincibile aiuto e che armano in suo favore i più valorosi soldati e i più potenti conquistatori del mondo, cioè i santi Martiri. Chiunque non accetta l'autorità della Chiesa, tema questo sangue prezioso dei Martiri che la consacra e la protegge".

Ora, tutta questa forza e tutta questa vittoria emanano dalla culla del divino Bambino; per questo insieme con Stefano vi si incontra Tommaso. Occorreva un Dio umiliato, una così alta manifestazione di umiltà, di costanza e di debolezza secondo la carne, per aprire gli occhi degli uomini sulla natura della vera forza. Fin qui non si era sospettata altra forza che quella dei conquistatori armati di spada, altra grandezza che la ricchezza, altro onore che il trionfo; ed ora, poiché il Dio che viene in questo mondo è apparso disarmato, povero e perseguitato, tutto ha cambiato aspetto. Si sono incontrati dei cuori che hanno voluto amare, malgrado tutto, le umiliazioni della mangiatoia; e vi hanno attinto il segreto d'una grandezza d'animo che il mondo, pur rimanendo qual è, non ha potuto fare a meno di sentire e di ammirare.

È dunque giusto che la corona di Tommaso e quella di Stefano, unite insieme, appaiano come un duplice trofeo presso la culla del Bambino di Betlemme; e quanto al santo Arcivescovo, la Provvidenza di Dio ha segnato divinamente il suo posto sul Calendario, permettendo che la sua immolazione si compisse l'indomani della festa dei santi innocenti, affinché la santa Chiesa non provasse alcuna incertezza circa il giorno che avrebbe dovuto assegnare alla sua memoria. Conservi egli dunque quel posto così glorioso e cosi caro a tutta la Chiesa di Gesù Cristo; e il suo nome resti, sino alla fine dei tempi, come il terrore dei nemici della Libertà della Chiesa, la speranza e la consolazione di quelli che amano questa Libertà che Cristo ha acquistata con il proprio sangue.

VITA. - San Tommaso Becket nacque a Londra il 21 dicembre 1117. Arcidiacono di Cantorbery e quindi Cancelliere d'Inghilterra nel 1154, succedette, nel 1162, all'arcivescovo Thibaut. Si oppose energicamente alla cupidigia del re Enrico II che voleva emanare leggi contrarie agli interessi e alla dignità della Chiesa e dovette fuggire nel 1164. Dopo un soggiorno a Pontigny dove ricevette l'abito cistercense, e a Sens, potè - dietro richiesta del Papa Alessandro III - rientrare in Inghilterra nel 1170, ma solo per ricevervi la palma del martirio nella sua chiesa cattedrale, il 29 dicembre 1170. Alessandro III lo canonizzò il 21 febbraio 1173.

Il secolo XVI venne ad accrescere la gloria di san Tommaso, quando il nemico di Dio e degli uomini, Enrico VIII d'Inghilterra, ebbe l'ardire di perseguitare con la sua tirannide il Martire della Libertà della Chiesa nel suo stesso sepolcro dove riceveva da quasi quattro secoli gli omaggi della venerazione del mondo cristiano. Le sacre reliquie del Pontefice ucciso per la giustizia furono strappate dall'altare; si istruì un processo mostruoso contro il Padre della patria, e un'empia sentenza dichiarò Tommaso reo di lesa maestà nella persona del re. I preziosi resti furono messi su un rogo; e in questo secondo martirio, il fuoco divorò le gloriose spoglie dell'uomo semplice e forte la cui intercessione attirava sull'Inghilterra gli sguardi e la protezione del cielo. Ed era giusto che quella nazione, la quale doveva perdere la fede con una desolante apostasia, non custodisse più nel suo seno un tesoro che non era più stimato nel suo giusto prezzo; e d'altronde la sede di Cantorbery era contaminata.

Invitto difensore della Chiesa del tuo Maestro, glorioso Martire Tommaso, noi veniamo a te, in quésto giorno della tua festa, per onorare i doni meravigliosi che il Signore ha deposti nella tua persona. Figli della Chiesa, ci piace contemplare colui che tanto l'ha amata, e che ha avuto in sì alto pregio l'onore della Sposa di Cristo, che non ha avuto timore di dare la propria vita per assicurarle l'indipendenza. Poiché hai amato così la Chiesa, a discapito del tuo riposo, della tua felicità temporale, della tua vita stessa; poiché il tuo sublime sacrificio è stato il più disinteressato di tutti, la lingua degli empi e quella dei vili si sono acuite contro di te, e il tuo nome è stato spesso bestemmiato e calunniato. O vero Martire, degno di ogni fede nella sua testimonianza, poiché parli e resisti unicamente contro i suoi interessi terreni. O Pastore associato a Cristo nell'effusione del sangue e nella liberazione del gregge, noi ti veneriamo per tutto il disprezzo che hanno nutrito per te i nemici della Chiesa; ti amiamo per tutto l'odio che essi hanno riversato su di te, nella loro impotenza. Ti chiediamo perdono per quelli che hanno arrossito del tuo nome, e hanno considerato il tuo martirio come un incomodo negli Annali della Chiesa.

Quanto è grande la tua gloria, o Pontefice fedele, per essere stato scelto ad accompagnare con Stefano, Giovanni e gl'Innocenti, Cristo nostro Signore, nel momento del suo ingresso in questo mondo! Disceso nell'arena sanguinosa all'undicesima ora, non sei stato privato del pregio che hanno ricevuto i tuoi fratelli della prima ora; al contrario, tu sei grande fra i Martiri. Sei dunque potente sul cuore del divino Bambino che nasce in questi medesimi giorni per essere il Re dei Martiri. Permetti dunque che, sotto il tuo sguardo, penetriamo fino a lui. Come te, noi vogliamo amare la sua Chiesa, questa diletta Chiesa il cui amore l'ha forzato a scendere dal cielo; questa Chiesa che ci prepara così dolci consolazioni nella celebrazione dei grandi misteri ai quali il tuo nome si trova sì gloriosamente unito. Ottienici quella forza che non ci faccia indietreggiare davanti a nessun sacrificio quando si tratta di onorare il nostro glorioso titolo di Cattolici.

Assicura il nato Bambino, che deve portare sulle spalle la Croce come segno del suo principato, che noi mediante la sua grazia, non ci scandalizzeremo mai né della sua causa né dei suoi difensori e che, nella semplicità del nostro attaccamento verso la santa Chiesa che ci ha data per Madre, metteremo sempre i suoi interessi al di sopra di tutti gli altri; poiché essa sola ha le parole della vita eterna, essa sola ha il segreto e l'autorità di condurre gli uomini verso quel mondo migliore che è l'unico nostro termine, il solo che non passi, mentre tutti gl'interessi della terra non sono che vanità, illusione, e il più delle volte ostacoli all'unico fine dell'uomo e dell'umanità.

Ma, affinché questa santa Chiesa possa compiere la sua missione e uscire vittoriosa da tante insidie che le vengono tese in tutti i sentieri del suo pellegrinaggio, ha bisogno soprattutto di Pastori che somigliano a te, o Martire di Cristo! Prega dunque affinché il Padrone della vigna mandi operai, capaci non solo di coltivarla e d'innaffiarla, ma anche di difenderla insieme dalla volpe e dal cinghiale che, come ci ammonisce la sacra Scrittura, cercano di penetrarvi per derubarla. Che la voce del tuo sangue diventi sempre più risonante in questi giorni di anarchia, in cui la Chiesa è asservita in tanti luoghi della terra che è venuto a riscattare. Ricordati della Chiesa d'Inghilterra che fece così triste naufragio, tre secoli or sono, per l'apostasia di tanti prelati caduti vittime delle stesse massime contro le quali tu avevi resistito fino al sangue. Oggi che essa sembra risollevarsi dalle rovine, tendile la mano, e dimentica gli oltraggi che furono fatti al tuo nome nel momento in cui l'Isola dei Santi stava per perdersi nell'abisso dell'eresia. Ricordati anche della Chiesa di Francia che ti ricevette nell'esilio, e nel cui seno il tuo culto fu un tempo così fiorente. Ottieni per i suoi Pastori lo spirito che animò te; rivestili di quell'armatura che ti rese invulnerabile nei duri combattimenti da te sostenuti contro i nemici della Libertà della Chiesa. E infine, in qualunque parte, in qualunque modo questa Libertà sia in pericolo, accorri in aiuto, e le tue preghiere e il tuo esempio assicurino una completa vittoria alla Sposa di Gesù Cristo.

* * *

Consideriamo il nostro neonato Re, sul suo trono, in questo quinto giorno dalla sua Nascita. La sacra Scrittura ci dice che il Signore è assiso sui Cherubini nel cielo; sulla terra, nel tempo della legge delle figure, scelse come propria sede l'Arca della sua alleanza. Gloria a lui per averci così rivelato il mistero del suo trono! Ma il Salmista ci aveva annunciato anche un altro luogo della sede del Signore. Adorate - ci aveva detto - lo sgabello dei suoi piedi (Sal 98). Questa adorazione che ci è richiesta non più soltanto per Dio ma anche per il luogo sul quale si posa la sua Maestà, sembrava in contrasto con tanti altri passi dei Libri sacri nei quali il grande Dio si mostra geloso di avere per sé solo la nostra adorazione. In questi giorni, come ci insegnano i Padri, il mistero è svelato. Il Figlio di Dio si è degnato di assumere la nostra umanità, l'ha unita alla sua natura divina in una sola persona, e vuole che noi adoriamo quella stessa umanità, quel corpo e quell'anima simile ai nostri, che sono il trono della sua gloria, lo sgabello sublime dei suoi piedi.

Ma questa umanità ha anche il suo trono. Ecco che la purissima Maria toglie dalla mangiatoia il divino Bambino; se lo stringe al cuore, lo pone sulle sue ginocchia materne, e l'Emmanuele ci appare mentre posa con amore e maestà i suoi santi piedi sull'Arca della nuova legge. Come è sorpassata allora la gloria di quel trono vivente che offrivano al Verbo eterno le ali tremanti dei Cherubini! E l'Arca di Mosè, formata d'un legno immarcescibile, coperta di lamine d'oro e che racchiudeva la Manna, la Verga dei prodigi e le Tavole della legge, non scompare anch'essa davanti alla santità e alla dignità di Maria, Madre di Dio?

Quanto sei grande su questo trono, o Gesù; ma quanto sei anche amabile e accogliente! Le tue piccole braccia protese ai peccatori, il sorriso di Maria, trono vivente, tutto ci attira, e ci sentiamo felici di essere i sudditi d'un Re così potente e così dolce insieme. Maria è Sede della Sapienza, perché tu ti appoggi così sopra di essa, o Sapienza del Padre! Siedi sempre su questo trono, o Gesù! Sii il nostro Re, dominaci, regna, come canta Davide, con la tua gloria, con la tua bellezza, con la tua mansuetudine (Sal 44). Noi siamo i tuoi sudditi: a te il nostro servizio e il nostro amore; a Maria, che ci hai data come Regina, i nostri omaggi e la nostra tenerezza!

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NOTE

[1] Libera est institutione divina, nullique obnoxia terrenae potestati, Ecclesia intemerata sponsa immaculati Agni Christi Jesu (Litterae Apostolicae ad Episcopos provinciae Renanae, 30 Junii 1830).

Diaconus
16-12-07, 20:23
Agustinus, grazie per quanto metti a nostra disposizione.
Diaconus

Augustinus
28-12-07, 18:35
St. Thomas Becket

Martyr, Archbishop of Canterbury, born at London, 21 December, 1118 (?); died at Canterbury, 29 December, 1170. St. Thomas was born of parents who, coming from Normandy, had settled in England some years previously. No reliance can be placed upon the legend that his mother was a Saracen. In after life his humble birth was made the subject of spiteful comment, though his parents were not peasants, but people of some mark, and from his earliest years their son had been well taught and had associated with gentlefolk. He learned to read at Merton Abbey and then studied in Paris. On leaving school he employed himself in secretarial work, first with Sir Richer de l'Aigle and then with his kinsman, Osbert Huitdeniers, who was "Justiciar" of London. Somewhere about the year 1141, under circumstances that are variously related, he entered the service of Theobald, Archbishop of Canterbury, and in that household he won his master's favour and eventually became the most trusted of all his clerks. A description embodied in the Icelandic Saga and derived probably from Robert of Cricklade gives a vivid portrait of him at this period.

To look upon he was slim of growth and pale of hue, with dark hair, a long nose, and a straightly featured face. Blithe of countenance was he, winning and loveable in his conversation, frank of speech in his discourses, but slightly stuttering in his talk, so keen of discernment and understanding that he could always make difficult questions plain after a wise manner.

Theobald recognized his capacity, made use of him in many delicate negotiations, and, after allowing him to go for a year to study civil and canon law at Bologna and Auxerre, ordained him deacon in 1154, after bestowing upon him several preferments, the most important of which was the Archdeaconry of Canterbury (see Radford, "Thomas of London", p. 53).

It was just at this period that King Stephen died and the young monarch Henry II became unquestioned master of the kingdom. He took "Thomas of London", as Becket was then most commonly called, for his chancellor, and in that office Thomas at the age of thirty-six became, with the possible exception of the justiciar, the most powerful subject in Henry's wide dominions. The chroniclers speak with wonder of the relations which existed between the chancellor and the sovereign, who was twelve years his junior. People declared that "they had but one heart and one mind". Often the king and his minister behaved like two schoolboys at play. But although they hunted or rode at the head of an army together it was no mere comradeship in pastime which united them. Both were hard workers, and both, we may believe, had the prosperity of the kingdom deeply at heart. Whether the chancellor, who was after all the elder man, was the true originator of the administrative reforms which Henry introduced cannot now be clearly determined. In many matters they saw eye to eye. The king's imperial views and love of splendour were quite to the taste of his minister. When Thomas went to France in 1158 to negotiate a marriage treaty, he travelled with such pomp that the people said: "If this be only the chancellor what must be the glory of the king himself?".

In 1153 Thomas acted as justice itinerant in three counties. In 1159 he seems to have been the chief organizer of Henry's expedition to Toulouse, upon which he accompanied him, and though it seems to be untrue that the impost of "scutage" was called into existence for that Occasion (Round, "Feudal England", 268-73), still Thomas undoubtedly pressed on the exaction of this money contribution in lieu of military service and enforced it against ecclesiastics in such a way that bitter complaints were made of the disproportionately heavy burden this imposed upon the Church. In the military operations Thomas took a leading part, and Garnier, a French chronicler, who lived to write of the virtues of St. Thomas and his martyrdom, declares that in these encounters he saw him unhorse many French knights. Deacon though he was, he lead the most daring attacks in person, and Edward Grim also gives us to understand that in laying waste the enemy's country with fire and sword the chancellor's principles did not materially differ from those of the other commanders of his time. But although, as men then reported, "he put off the archdeacon", in this and other ways, he was very far from assuming the licentious manners of those around him. No word was ever breathed against his personal purity. Foul conduct or foul speech, lying or unchastity were hateful to him, and on occasion he punished them severely. He seems at all times to have had clear principles with regard to the claims of the Church, and even during this period of his chancellorship he more than once risked Henry's grievous displeasure. For example, he opposed the dispensation which Henry for political reasons extorted from the pope, and strove to prevent the marriage of Mary, Abbess of Romsey, to Matthew of Boulogne. But to the very limits of what his conscience permitted, Thomas identified himself with his master's interests, and Tennyson is true to history when he makes the archbishop say:

I served our Theobald well when I was with him:
I served King Henry well as Chancellor:
I am his no more, and I must serve the Church.

Archbishop Theobald died in 1161, and in the course of the next year Henry seems to have decided that it would be good policy to prepare the way for further schemes of reform by securing the advancement of his chancellor to the primacy. Our authorities are agreed that from the first Thomas drew back in alarm. "I know your plans for the Church," he said, "you will assert claims which I, if I were archbishop, must needs oppose." But Henry would not be gainsaid, and Thomas at the instance of Cardinal Henry of Pisa, who urged it upon him as a service to religion, yielded in spite of his misgivings. He was ordained priest on Saturday in Whitweek and consecrated bishop the next day, Sunday, 3 June, 1162. It seems to have been St. Thomas who obtained for England the privilege of keeping the feast of the Blessed Trinity on that Sunday, the anniversary of his consecration, and more than a century afterwards this custom was adopted by the papal Court, itself and eventually imposed on the whole world.

A great change took place in the saint's way of life after his consecration as archbishop. Even as chancellor he had practised secret austerities, but now in view of the struggle he clearly saw before him he gave himself to fastings and disciplines, hair shirts, protracted vigils, and constant prayers. Before the end of the year 1162 he stripped himself of all signs of the lavish display which he had previously affected. On 10 Aug. he went barefoot to receive the envoy who brought him the pallium from Rome. Contrary to the king's wish he resigned the chancellorship. Whereupon Henry seems to have required him to surrender certain ecclesiastical preferments which he still retained, notably the archdeaconry, and when this was not done at once showed bitter displeasure. Other misunderstandings soon followed. The archbishop, having, as he believed, the king's express permission, set about to reclaim alienated estates belonging to his see, a procedure which again gave offence. Still more serious was the open resistance which he made to the king's proposal that a voluntary offering to the sheriffs should be paid into the royal treasury. As the first recorded instance of any determined opposition to the king's arbitrary will in a matter of taxation, the incident is of much constitutional importance. The saint's protest seems to have been successful, but the relations with the king only grew more strained.

Soon after this the great matter of dispute was reached in the resistance made by Thomas to the king's officials when they attempted to assert jurisdiction over criminous clerks. The question has been dealt with in some detail in the article ENGLAND. That the saint himself had no wish to be lenient with criminous clerks has been well shown by Norgate (Angevin Kings, ii, 22). It was with him simply a question of principle. St. Thomas seems all along to have suspected Henry of a design to strike at the independence of what the king regarded as a too powerful Church. With this view Henry summoned the bishops at Westminster (1 October, 1163) to sanction certain as yet unspecified articles which he called his grandfather's customs (avitæ consuetudines), one of the known objects of which was to bring clerics guilty of crimes under the jurisdiction of the secular courts. The other bishops, as the demand was still in the vague, showed a willingness to submit, though with the condition "saving our order", upon which St. Thomas inflexibly insisted. The king's resentment was thereupon manifested by requiring the archbishop to surrender certain castles he had hitherto retained, and by other acts of unfriendliness. In deference to what he believed to be the pope's wish, the archbishop in December consented to make some concessions by giving a personal and private undertaking to the king to obey his customs "loyally and in good faith". But when Henry shortly afterwards at Clarendon (13 January, 1164) sought to draw the saint on to a formal and public acceptance of the "Constitutions of Clarendon", under which name the sixteen articles, the avitæ consuetudines as finally drafted, have been commonly known, St. Thomas, though at first yielding somewhat to the solicitations of the other bishops, in the end took up an attitude of uncompromising resistance.

Then followed a period of unworthy and vindictive persecution. When opposing a claim made against him by John the Marshal, Thomas upon a frivolous pretext was found guilty of contempt of court. For this he was sentenced to pay £500; other demands for large sums of money followed, and finally, though a complete release of all claims against him as chancellor had been given on his becoming archbishop, he was required to render an account of nearly all the moneys which had passed through his hands in his discharge of the office. Eventually a sum of nearly £30,000 was demanded of him. His fellow bishops summoned by Henry to a council at Northampton, implored him to throw himself unreservedly upon the king's mercy, but St. Thomas, instead of yielding, solemnly warned them and threatened them. Then, after celebrating Mass, he took his archiepiscopal cross into his own hand and presented himself thus in the royal council chamber. The king demanded that sentence should be passed upon him, but in the confusion and discussion which ensued the saint with uplifted cross made his way through the mob of angry courtiers. He fled away secretly that night (13 October, 1164), sailed in disguise from Sandwich (2 November), and after being cordially welcomed by Louis VII of France, he threw himself at the feet of Pope Alexander III, then at Sens, on 23 Nov. The pope, who had given a cold reception to certain episcopal envoys sent by Henry, welcomed the saint very kindly, and refused to accept his resignation of his see. On 30 November, Thomas went to take up his residence at the Cistercian Abbey of Pontigny in Burgundy, though he was compelled to leave this refuge a year later, as Henry, after confiscating the archbishop's property and banishing all the Becket kinsfolk, threatened to wreak his vengeance on the whole Cistercian Order if they continued to harbour him.

The negotiations between Henry, the pope, and the archbishop dragged on for the next four years without the position being sensibly changed. Although the saint remained firm in his resistance to the principle of the Constitutions of Clarendon, he was willing to make any concessions that could be reasonably asked of him, and on 6 January, 1169, when the kings of England and France were in conference at Montmirail, he threw himself at Henry's feet, but as he still refused to accept the obnoxious customs Henry repulsed him. At last in 1170 some sort of reconciliation was patched up. The question of the customs was not mentioned and Henry professed himself willing to be guided by the archbishop's council as to amends due to the See of Canterbury for the recent violation of its rights in the crowning of Henry's son by the Archbishop of York. On 1 December, 1170, St. Thomas had brought with him, as well as over the restoration by the de Broc family of the archbishop's castle at Saltwood. How far Henry was directly responsible for the tragedy which soon after occurred on 20 December is not quite clear. Four knights who came from France demanded the absolution of the bishops. St. Thomas would not comply. They left for a space, but came back at Vesper time with a band of armed men. To their angry question, "Where is the traitor?" the saint boldly replied, "Here I am, no traitor, but archbishop and priest of God." They tried to drag him from the church, but were unable, and in the end they slew him where he stood, scattering his brains on the pavement. His faithful companion, Edward Grim, who bore his cross, was wounded in the struggle.

A tremendous reaction of feeling followed this deed of blood. In an extraordinary brief space of time devotion to the martyred archbishop had spread all through Europe. The pope promulgated the bull of canonization, little more than two years after the martyrdom, 21 February, 1173. On 12 July, 1174, Henry II did public penance, and was scourged at the archbishop's tomb. An immense number of miracles were worked, and for the rest of the Middle Ages the shrine of St. Thomas of Canterbury was one of the wealthiest and most famous in Europe. The martyr's holy remains are believed to have been destroyed in September, 1538, when nearly all the other shrines in England were dismantled; but the matter is by no means clear, and, although the weight of learned opinion is adverse, there are still those who believe that a skeleton found in the crypt in January, 1888, is the body of St. Thomas. The story that Henry VIII in 1538 summoned the archbishop to stand his trial for high treason, and that when, in June, 1538, the trial had been held and the accused pronounced contumacious, the body was ordered to be disinterred and burnt, is probably apocryphal.

Bibliography

By far the best English life is MORRIS, The Life of St. Thomas Becket (2nd ed., London, 1885); there is a somewhat fuller work of L'HUILLIER, Saint Thomas de Cantorbery (2 vols., Paris, 1891); the volume by DEMIMUID, St. Thomas Becket (Paris, 1909), in the series Les Saints is not abreast of modern research. There are several excellent lives by Anglicans, of which HUTTON, Thomas Becket (London, 1900), and the account by NORGATE in Dict. Nat. Biog., s. v. Thomas, known as Thomas a Becket, are probably the best. The biography by ROBERTSON, Becket, Archbishop of Canterbury (London, 1859), is not sympathetic. Nearly all the sources of the Life, as well as the books of miracles worked at the shrine, have been edited in the Rolls Series by ROBERTSON under the title Materials for the History of Thomas Becket (7 vols., London, 1875-1883). The valuable Norse saga is edited in the same series by MAGNUSSON, Thomas Saga Erkibyskups (2 vols., London, 1884). The chronicle of GARNIER DE PONT S. MAXENCE, Vie de St. Thomas Martyr, has been edited by HIPPEAU (Paris, 1859). The miracles have been specially studied from an agnostic standpoint by ABBOT, Thomas of Canterbury, his death and miracles (2 vols., London, 1898). Some valuable material has been collected by RADFORD, Thomas of London before his Consecration (Cambridge, 1894). On the relics see MORRIS, Relics of St. Thomas (London, 1888); THORNTON, Becket's Bones (Canterbury, 1900); WARD, The Canterbury Pilgrimages (London, 1904); WARNER in Eng. Hist. Rev., VI (1891), 754-56.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIV, New York, 1912 (http://www.newadvent.org/cathen/14676a.htm)

Augustinus
28-12-07, 18:49
http://www.copia-di-arte.com/kunst/timoteo_viti/thomas_becket_martin_tours_ar_hi.jpg Timoteo Viti, SS. Thomas Becket e Martino di Tours con l'arcivescovo Giovanni Pietro Arrivabene e Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino, XV sec., Palazzo Ducale, Urbino

Augustinus
29-12-07, 09:37
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=74789)

S. Pietro, apostolo e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=108019)

S. Paolo, apostolo e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=444471)

S. Gregorio VII, Papa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=347204)

S. Giosafat Kuncewycz (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=383048), altro martire dell'unità della Chiesa

Santi e Beati Martiri della Gran Bretagna (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=164403)

Santi e Beati Certosini di Londra, Monaci e Martiri (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=164399)

S. Tommaso Moro, martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=107017)

S. Giovanni Fisher, vescovo e cardinale, martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=442884)

Chiesa e Stato (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=327918)

Augustinus
29-12-08, 09:23
http://www.jesus-passion.com/saint_thomas_becket4.jpg

Augustinus
29-12-08, 09:24
http://bestesfam.com/Images%20-%20Public/Saint_Thomas_a_Becket.jpg http://img154.imageshack.us/img154/4097/saintthomasabecketjy0.jpg

Augustinus
29-12-08, 09:39
http://img261.imageshack.us/img261/1429/61451075df0.jpg http://www.cin.org/images/thomas-becket-murder.jpg

http://img126.imageshack.us/img126/7403/c2ix6.jpg

http://img126.imageshack.us/img126/4650/c3dm8.jpg http://img354.imageshack.us/img354/5016/2638296fd2.jpg

http://img126.imageshack.us/img126/3389/c4sy1.jpg http://img120.imageshack.us/img120/2564/51239556ny5.jpg

Augustinus
30-12-08, 09:10
DIE 29 DECEMBRIS

SANCTI THOMÆ
EPISCOPI ET MARTYRIS

Duplex

Introitus

GAUDEÁMUS omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beáti Thomæ Mártyris: de cujus passióne gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei. Ps. 32, 1. Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio. V/. Glória Patri. Gaudeámus.

Oratio

DEUS, pro cujus Ecclésia gloriósus Póntifex Thomas gládiis impiórum occúbuit: præsta, quaésumus; ut omnes, qui ejus implórant auxílium, petitiónis suæ salutárem consequántur efféctum. Per Dóminum.

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebraéos

Hebr. 5, 1-6

FRATRES: Omnis póntifex ex homínibus assúmptus, pro homínibus constitúitur in iis, quæ sunt ad Deum: ut ófferat dona, et sacrifícia pro peccátis: qui condolére possit iis, qui ígnorant et errant: quóniam et ipse circúmdatus est infirmitáte: et proptérea debet, quemádmodum pro pópulo, ita étiam et pro semetípso offérre pro peccátis. Nec quisquam sumit sibi honórem, sed qui vocátur a Deo, tamquam Aaron. Sic et Christus non semetípsum clarificávit, ut Póntifex fíeret: sed qui locútus est ad eum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Quemádmodum et in álio loco dicit: Tu es sacérdos in ætérnum, secúndum órdinem Melchísedech.

Graduale. Eccli. 44, 16. Ecce sacérdos magnus, qui in diébus suis plácuit Deo. V/. Ibid., 20. Non est invéntus símilis illi, qui conserváret legem Excélsi.

Allelúja, allelúja. V/. Joann. 10, 14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann. 10, 11-16

IN ILLO témpore: Dixit Jesus pharisaéis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercennárius autem, et qui non est pastor, cujus non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves; mercennárius autem fugit, quia mercennárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et álias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovíli: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor.

Credo, ratione Octavæ.

In Missis votivis post Septuagesimam in fine sequentis Offertorii Allelúja omittitur.

Offertorium. Ps. 20, 4-5. Posuísti, Dómine, in cápite ejus corónam de lápide pretióso: vitam pétiit a te, et tribuísti ei, allelúja.

Secreta

MÚNERA tibi, Dómine, dicáta sanctífica: et, intercedénte beáto Thoma Mártyre tuo atque Pontífice, per éadem nos placátus inténde. Per Dóminum.

¶ Præfatio et Communicantes de Nativitate, ratione Octavæ.

Communio. Joann. 10, 14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ.

Postcommunio

HÆC nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáto Thoma Mártyre tuo atque Pontífice, cæléstis remédii fáciat esse consórtes. Per Dóminum.

¶ Pro votiva dicitur Missa ut supra, sed Introitus, et post Septuagesimam etiam Tractus, sumuntur ex Missa Státuit, de Communi unius Martyris 1° loco; Tempore autem Paschali, Introitus item sumitur ex Missa Protexísti, de Communi Martyrum 1° loco, et post Epistolam, omisso Graduali, dicitur:

Allelúja, allelúja. V/. Joann. 10, 14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ. Allelúja. V/. Ps. 109, 4. Tu es sacérdos in ætérnum, secúndum órdinem Melchísedech. Allelúja.

_______________
¶ Ab hac die usque ad diem 2 Februarii inclusive, quando dicendæ sint, juxta Rubricas, Orationes pro diversitate Temporum assignatæ, etiam in Vigiliis et infra Octavas, erunt sequentes, excepta tamen 2. Oratione, quæ in Missis de beata Maria Virgine, et in iis, in quibus de eadem fit Commemoratio, necnon in Missa votiva de Omnibus Sanctis, dicitur de Spiritu Sancto.

Oratio

2ª de S. Maria

DEUS, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praémia præstitísti: tríbue, quaésu¬mus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: (Qui tecum.)

3ª contra persecutores Ecclesiæ

ECCLÉSIÆ tuæ, quaésumus, Dómine, preces placátus admítte: ut, destrúctis adversitátibus et erróribus univérsis, secúra tibi sérviat libertáte. Per Dóminum.

Vel 3ª pro Papa

DEUS, ómnium fidélium pastor et rector, fámulum tuum N., quem pastórem Ecclésiæ tuæ præésse voluísti, propítius réspice: da ei, quaésumus, verbo et exémplo, quibus præest, profícere; ut ad vitam, una cum grege sibi crédito, pervéniat sempitérnam. Per Dóminum.

Secreta

2ª de S. Maria

TUA, Dómine, propitiatióne, et beátæ Maríæ semper Vírginis intercessióne, ad perpétuam atque præséntem hæc oblátio nobis profíciat prosperitátem et pacem. (Per Dóminum.)

3ª contra persecutores Ecclesiæ

PRÓTEGE nos, Dómine, tuis mystériis serviéntes: ut, divínis rebus inhæréntes, et córpore tibi famulémur, et mente. Per Dóminum.

Vel 3ª pro Papa

OBLÁTIS, quaésumus, Dómine, placáre munéribus: et fámulum tuum N., quem pastórem Ecclésiæ tuæ præésse voluísti, assídua protectióne gubérna. Per Dóminum.

Postcommunio

2ª de S. Maria

HÆC nos cómmunio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes. (Per eúndem Dóminum.)

3ª contra persecutores Ecclesiæ

QUAÉSUMUS, Dómine, Deus noster: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis. Per Dóminum.

Vel 3ª pro Papa

HÆC nos, quaésumus, Dómine, divini sacraménti percéptio prótegat: et fámulum tuum N., quem pastórem Ecclésiæ tuæ præésse voluísti; una cum commísso sibi grege, salvet semper et múniat. Per Dóminum.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-29dec=lat.htm)