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Visualizza Versione Completa : 17 gennaio - S. Antonio, abate



Augustinus
18-01-04, 13:44
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/dettaglio/22300):

Sant' Antonio, Abate

17 gennaio - Memoria

Coma, Egitto, 250 ca. – Tebaide (Alto Egitto), 17 gennaio 356

Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell'Egitto, intorno al 250, a vent'anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l'Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l'esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea. Nell'iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore. (Avvenire)

Si sentì chiamato a seguire il Signore nel deserto udendo nella liturgia il Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri” (Mt 19, 21); “Non affannatevi per il domani” (Mt 6, 34). Il suo esempio ebbe vasta risonanza e fu segnalato a tutta la Chiesa da sant’Atanasio. E’ considerato il padre di tutti i monaci e di ogni forma di vita religiosa. Sensibile ai problemi del suo tempo, collaborò per il bene comune con i responsabili della vita ecclesastica e civile. (Mess. Rom.)

Patronato: Eremiti, Monaci, Canestrai

Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco

Emblema: Bastone pastorale, Maiale, Campana, Croce a T

Martirologio Romano: Memoria di sant’Antonio, abate, che, rimasto orfano, facendo suoi i precetti evangelici distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si ritirò nel deserto della Tebaide in Egitto, dove intraprese la vita ascetica; si adoperò pure per fortificare la Chiesa, sostenendo i confessori della fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, e appoggiò sant’Atanasio nella lotta contro gli ariani. Tanti furono i suoi discepoli da essere chiamato padre dei monaci.

Martirologio tradizionale (17 gennaio): Nella Tebaide sant'Antonio Abate, il quale, padre di molti Monaci, visse celeberrimo per la vita e miracoli; le sue gesta furono descritte da sant'Atanasio in un celebre volume. Il suo sacro corpo però, sotto l'Imperatore Giustiniano, fu ritrovato per divina rivelazione, portato ad Alessandria e sepolto nella chiesa di san Giovanni Battista.

Del monaco più illustre della Chiesa antica, morto ultra centenario (250-356), ci è pervenuto uno dei più begli esempi di biografia. Ne è autore S. Atanasio, che di Antonio era amico e zelante discepolo. Il biografo non ha trascurato alcun particolare che potesse illuminare sulla personalità, le abitudini, il carattere, le opere e il pensiero del caposcuola del monachesimo. Nato a Come nel cuore dell'Egitto, a vent'anni Antonio aveva abbandonato ogni cosa per seguire alla lettera il consiglio di Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai...". Si rifugiò dapprima in una plaga deserta e inospitale tra antiche tombe abbandonate e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse per ottant'anni vita di anacoreta.
L'esperienza del "deserto", in senso reale o figurato, è ormai un metodo di vita ascetica, fatto di austerità, di sacrificio e di estrema solitudine: S. Antonio, se non l'iniziatore, ne fu l'esempio più insigne e stimolante. Infatti, pur non avendo redatto alcuna regola di vita monastica o aver incoraggiato altri a seguirlo nel deserto, Antonio esercitò un grande influsso dapprima tra i suoi conterranei, e poi in tutta la Chiesa.
Il richiamo della sua straordinaria avventura spirituale, pur in assenza dei mass media e delle rapide comunicazioni moderne, si propagò a tal punto che da tutto l'Oriente monaci, pellegrini, sacerdoti, vescovi, e anche infermi e bisognosi, accorrevano a lui per ricevere consigli o conforto. Lo stesso Costantino e i suoi figli si mantennero in contatto con il santo anacoreta. Pur prediligendo la solitudine e il silenzio, Antonio non si sottrasse ai suoi obblighi di cristiano impegnato a riversare sugli altri i doni con cui Dio aveva ricolmato la sua anima: due volte egli lasciò il suo eremitaggio per recarsi ad Alessandria, sapendo che la sua presenza avrebbe infuso coraggio ai cristiani perseguitati da Massimino Daia. La seconda volta vi si recò dietro invito di S. Atanasio, per esortare i cristiani a mantenersi fedeli alla dottrina sancita nel concilio di Nicea (325).
Non è possibile parlare di questo illuminato "contestatore" senza accennare alle tentazioni che turbarono la sua solitudine nel deserto e che fornirono a pittori come Domenico Morelli il pretesto per ritrarlo tra donne procaci: S. Antonio fu infatti bersaglio di molteplici tentazioni del maligno che gli appariva sotto sembianze angeliche, umane e bestiali. Questo santo umanissimo, pur nell'austera immagine dell'anacoreta, è veneratissimo come protettore degli animali domestici, umile ruolo che lo rende tuttora popolare ed amato.

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Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico:

Dopo la pace costantiniana, il martirio cruento dei cristiani diventò molto raro; a questa forma eroica di santità dei primi tempi del cristianesimo, subentrò un cammino di santità professato da una nuovo stuolo di cristiani, desiderosi di una spiritualità più profonda, di appartenere solo a Dio e quindi di vivere soli nella contemplazione dei misteri divini.
Questo fu il grande movimento spirituale del ‘Monachesimo’, che avrà nei secoli successivi varie trasformazioni e modi di essere; dall’eremitaggio alla vita comunitaria; espandendosi dall’Oriente all’Occidente e diventando la grande pianta spirituale su cui si è poggiata la Chiesa, insieme alla gerarchia apostolica.
Anche se probabilmente fu il primo a instaurare una vita eremitica e ascetica nel deserto della Tebaide, s. Antonio ne fu senz’altro l’esempio più stimolante e noto, ed è considerato il caposcuola del Monachesimo.
Conoscitore profondo dell’esperienza spirituale di Antonio, fu s. Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria, suo amico e discepolo, il quale ne scrisse una bella e veritiera biografia.
Antonio nacque verso il 250 da una agiata famiglia di agricoltori nel villaggio di Coma, attuale Qumans in Egitto e verso i 18-20 anni rimase orfano dei genitori, con un ricco patrimonio da amministrare e con una sorella minore da educare.
Attratto dall’ammaestramento evangelico “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”, e sull’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nei dintorni dei villaggi egiziani, in preghiera, povertà e castità, Antonio volle scegliere questa strada e venduto i suoi beni, affidata la sorella a una comunità di vergini, si dedicò alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese.
Alla ricerca di uno stile di vita penitente e senza distrazione, chiese a Dio di essere illuminato e così vide poco lontano un anacoreta come lui, che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva si alzava e pregava, poi di nuovo a lavorare e di nuovo a pregare; era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera, che sarà due secoli dopo, la regola benedettina “Ora et labora” del Monachesimo Occidentale.
Parte del suo lavoro gli serviva per procurarsi il cibo e parte la distribuiva ai poveri; dice s. Atanasio, che pregava continuamente ed era così attento alla lettura delle Scritture, che ricordava tutto e la sua memoria sostituiva i libri.
Dopo qualche anno di questa edificante esperienza, in piena gioventù cominciarono per lui durissime prove, pensieri osceni lo tormentavano, dubbi l’assalivano sulla opportunità di una vita così solitaria, non seguita dalla massa degli uomini né dagli ecclesiastici, l’istinto della carne e l’attaccamento ai beni materiali che erano sopiti in quegli anni, ritornavano prepotenti e incontrollabili.
Chiese aiuto ad altri asceti, che gli dissero di non spaventarsi, ma di andare avanti con fiducia, perché Dio era con lui e gli consigliarono di sbarazzarsi di tutti i legami e cose, per ritirarsi in un luogo più solitario.
Così ricoperto appena da un rude panno, si rifugiò in un’antica tomba scavata nella roccia di una collina, intorno al villaggio di Coma, un amico gli portava ogni tanto un po’ di pane, per il resto si doveva arrangiare con frutti di bosco e le erbe dei campi.
In questo luogo, alle prime tentazioni subentrarono terrificanti visioni e frastuoni, in più attraversò un periodo di terribile oscurità spirituale, ma tutto superò perseverando nella fede in Dio, compiendo giorno per giorno la sua volontà, come gli avevano insegnato i suoi maestri.
Quando alla fine Cristo gli si rivelò illuminandolo, egli chiese: “Dov’eri? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le mie sofferenze?”. Si sentì rispondere: “Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua lotta…”.
Scoperto dai suoi concittadini, che come tutti i cristiani di quei tempi, affluivano presso gli anacoreti per riceverne consiglio, aiuto, consolazione, ma nello stesso tempo turbavano la loro solitudine e raccoglimento, allora Antonio si spostò più lontano verso il Mar Rosso.
Sulle montagne del Pispir c’era una fortezza abbandonata, infestata dai serpenti, ma con una fonte sorgiva e qui nel 285 Antonio si trasferì, rimanendovi per 20 anni.
Due volte all’anno gli calavano dall’alto del pane; seguì in questa nuova solitudine l’esempio di Gesù, che guidato dallo Spirito si ritirò nel deserto “per essere tentato dal demonio”; era comune convinzione che solo la solitudine, permettesse alla creatura umana di purificarsi da tutte le cattive tendenze, personificate nella figura biblica del demonio e diventare così uomo nuovo.
Certamente solo persone psichicamente sane potevano affrontare un’ascesi così austera come quella degli anacoreti; non tutti ci riuscivano e alcuni finivano per andare fuori di testa, scambiando le proprie fantasie per illuminazioni divine o tentazioni diaboliche.
Non era il caso di Antonio; attaccato dal demonio che lo svegliava con le tentazioni nel cuore della notte, dandogli consigli apparentemente di maggiore perfezione, spingendolo verso l’esaurimento fisico e psichico e per disgustarlo della vita solitaria; invece resistendo e acquistando con l’aiuto di Dio, il “discernimento degli spiriti”, Antonio poté riconoscere le apparizioni false, compreso quelle che simulavano le presenze angeliche.
E venne il tempo in cui molte persone che volevano dedicarsi alla vita eremitica, giunsero al fortino abbattendolo e Antonio uscì come ispirato dal soffio divino; cominciò a consolare gli afflitti ottenendo dal Signore guarigioni, liberando gli ossessi e istruendo i nuovi discepoli.
Si formarono due gruppi di monaci che diedero origine a due monasteri, uno ad oriente del Nilo e l’altro sulla riva sinistra del fiume, ogni monaco aveva la sua grotta solitaria, ubbidendo però ad un fratello più esperto nella vita spirituale; a tutti Antonio dava i suoi consigli nel cammino verso la perfezione dello spirito uniti a Dio.
Nel 307 venne a visitarlo il monaco eremita s. Ilarione (292-372), che fondò a Gaza in Palestina il primo monastero, scambiandosi le loro esperienze sulla vita eremitica; nel 311 Antonio non esitò a lasciare il suo eremo e si recò ad Alessandria, dove imperversava la persecuzione contro i cristiani, ordinata dall’imperatore romano Massimino Daia († 313), per sostenere e confortare i fratelli nella fede e desideroso lui stesso del martirio.
Forse perché incuteva rispetto e timore reverenziale anche ai Romani, fu risparmiato; le sue uscite dall’eremo si moltiplicarono per servire la comunità cristiana, sostenne con la sua influente presenza l’amico vescovo di Alessandria, s. Atanasio che combatteva l’eresia ariana, scrisse in sua difesa anche una lettera a Costantino imperatore, che non fu tenuta di gran conto, ma fu importante fra il popolo cristiano.
Tornata la pace nell’impero e per sfuggire ai troppi curiosi che si recavano nel fortilizio del Mar Rosso, decise di ritirarsi in un luogo più isolato e andò nel deserto della Tebaide, dove prese a coltivare un piccolo orto per il suo sostentamento e di quanti, discepoli e visitatori, si recavano da lui per aiuto e ricerca di perfezione.
Visse nella Tebaide fino al termine della sua lunghissima vita, poté seppellire il corpo dell’eremita s. Paolo di Tebe con l’aiuto di un leone, per questo è considerato patrono dei seppellitori.
Negli ultimi anni accolse presso di sé due monaci che l’accudirono nell’estrema vecchiaia; morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.
La sua presenza aveva attirato anche qui tante persone desiderose di vita spirituale e tanti scelsero di essere monaci; così fra i monti della Tebaide (Alto Egitto) sorsero monasteri e il deserto si popolò di monaci; primi di quella moltitudine di uomini consacrati che in Oriente e in Occidente, intrapresero quel cammino da lui iniziato, ampliandolo e adattandolo alle esigenze dei tempi.
I suoi discepoli tramandarono alla Chiesa la sua sapienza, raccolta in 120 detti e in 20 lettere; nella Lettera 8, s. Antonio scrisse ai suoi “Chiedete con cuore sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto, ed esso vi sarà dato”.
Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore.
In questa chiesa a venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata per fare il pane.
Il morbo era conosciuto sin dall’antichità come ‘ignis sacer’ per il bruciore che provocava; per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’; il villaggio prese il nome di Saint-Antoine di Viennois.
Il papa accordò loro il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio” (herpes zoster); per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi fu considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.
Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau’ ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici; in alcuni paesi di origine celtica, s. Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, LUG, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali, così s. Antonio venne rappresentato in varie opere d’arte con ai piedi un cinghiale.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato; è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster, ma anche in base alla leggenda popolare che narra che s. Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo e mentre il suo maialino sgaiattolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a ‘tau’ e lo portò fuori insieme al maialino recuperato e lo donò all’umanità, accendendo una catasta di legna.
Per millenni e ancora oggi, si usa nei paesi accendere il giorno 17 gennaio, i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di s. Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Le ceneri poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e con apposita campana fatta con listelli di legni per asciugare i panni umidi.
È invocato contro tutte le malattie della pelle e contro gli incendi. Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo, anche se poi nella devozione onomastica è stato soppiantato dal XIII sec. dal grande omonimo santo taumaturgo di Padova.
Nell’Italia Meridionale per distinguerlo è chiamato “Sant’Antuono”.

Autore: Antonio Borrelli

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Augustinus
18-01-04, 13:45
Vita S. Antonii, 2-5.7, in PG 26, 842.843.846.847.851.854. Traduzione a cura di L.Cremaschi, ed. Paoline, 1984, 99-104.107-109.

Dopo la morte dei genitori, Antonio rimase solo con una sorella ancora molto piccola. Aveva diciotto o vent'anni e si prendeva cura egli stesso della casa e della sorella. Non erano ancora passati sei mesi dalla morte dei genitori e, come al solito, andava in chiesa; mentre camminava e meditava fra sé e sé, pensava a come gli apostoli avessero lasciato tutto per seguire il Salvatore; rifletteva come quelli di cui si parla negli Atti (Cf At 4,35‑37), venduti i propri beni, portassero il ricavato e lo deponessero ai piedi degli apostoli perché fosse distribuito a chi ne aveva bisogno e quale e quanto grande fosse la speranza riservata loro nei cieli. Pensando a queste cose, entrò in chiesa e avvenne che proprio in quel momento venisse letto l'Evangelo e sentì il Signore che diceva al ricco: Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Antonio, come se il ricordo dei santi fosse stato ispirato in lui da Dio stesso e come se la lettura dell'Evangelo fosse proprio per lui, subito uscì dalla chiesa, donò alla gente del suo villaggio i beni che aveva ereditato dai genitori; si trattava di trecento arure, cioè quasi tre mila metri quadri, di terra fertile e buonissima - perché quella proprietà non creasse fastidi né a lui né alla sua sorella. Vendette poi tutti gli altri beni mobili che possedeva, ne ricavò una considerevole somma di denaro e la diede ai poveri, riservandone una piccola parte per la sorella.

Entrando di nuovo in chiesa, Antonio, come sentì il Signore che diceva nell'Evangelo: Non affannatevi per il domani (Mt 6,34), non poté restare più oltre, ma uscì e distribuì anche quei pochi beni ai poveri. Poi affidò la sorella a vergini fedeli che conosceva e la lasciò perché fosse allevata nella verginità. Egli stesso si dedicò a vita ascetica davanti a casa sua, vigilando su se stesso e sottoponendosi a una dura disciplina. Allora, infatti, non c'erano ancora in Egitto tanti monasteri e i monaci non conoscevano ancora il grande deserto; chi voleva vigilare sulla propria vita si dedicava all'ascesi in solitudine non lontano dal proprio villaggio. Vi era al tempo di Antonio nel villaggio vicino un vecchio che dalla giovinezza si era esercitato nella vita in solitudine. Antonio lo vide e gareggiò con lui nel bene. In un primo tempo cominciò anch'egli ad abitare nei dintorni del villaggio e, quando sentiva parlare di qualcuno che era pieno di fervore, andava a cercarlo come una saggia ape; non faceva ritorno a casa sua prima di averlo visto e di aver ricevuto una sorta di viatico per perseverare nella via della virtù. Qui, dunque, trascorse i primi tempi e si confermava nel suo proposito per non volgersi di nuovo al pensiero dei beni terreni, né al ricordo dei parenti, ma ogni sua cura e desiderio erano volti all'ascetismo.

Antonio lavorava con le proprie mani, poiché aveva udito: Chi non vuol lavorare, neppure mangi (2 Ts 3,10). Parte del suo lavoro gli serviva per procurarsi il pane, parte lo distribuiva ai poveri. Pregava continuamente sapendo che bisogna pregare in disparte senza interruzione, ed era così attento alla lettura delle Scritture che nulla di quanto vi è scritto cadeva a terra, ma ricordava tutto e la memoria stava al posto dei libri. Così viveva Antonio e per questo era amato da tutti. Il diavolo, nemico del bene e invidioso, non sopportò di vedere in un giovane tale proposito di vita e incominciò a mettere in opera anche contro di lui quel che aveva concepito di fare. Per prima cosa cercò di distoglierlo dalla vita ascetica ispirandogli il ricordo delle ricchezze, la sollecitudine per la sorella, l'affetto per i parenti. Destava in lui anche l'amore per il denaro, il desiderio di gloria, il piacere di un cibo svariato e ogni altro godimento della vita. Infine gli suggeriva il pensiero di come sia aspra la via della virtù e quali fatiche richieda e gli metteva dinanzi la debolezza del corpo e la lunghezza del tempo. Insomma risvegliò nella sua mente una tempesta di pensieri perché voleva distoglierlo dalla sua giusta decisione.

Antonio, che aveva appreso dalle Scritture che molte sono le insidie del Nemico, si dedicava intensamente all'ascesi, pensando che anche se il diavolo non era riuscito a ingannare il suo cuore mediante il piacere del corpo, avrebbe cercato di tendergli qualche altro genere di insidie; il demonio è amico del peccato. Antonio, dunque, trattava sempre più duramente il suo corpo e lo riduceva in schiavitù (Cf 1 Cor 9,27), perché, dopo aver riportato la vittoria su alcune tentazioni, non soccombesse in altre. Decise dunque di abituarsi a un regime di vita più duro. Molti si meravigliavano, ma Antonio sopportava sempre più facilmente la fatica, perché il suo zelo perseverante aveva generato in lui buone abitudini. Antonio non si ricordava del tempo trascorso, ma ogni giorno, come se incominciasse la vita d'ascesi in quel momento, si sforzava sempre di più per progredire e ripeteva continuamente le parole di Paolo: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta (Fil 3,13) . Ricordava anche le parole del profeta Elia che dice: E' vivente il Signore degli eserciti alla cui presenza io oggi sto (Cf 1 Re 17,1; 18,15).

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Augustinus
18-01-04, 13:56
http://img145.imageshack.us/img145/6127/hamme2020st20paul20and2ii7.jpg Justus van Hamme, S. Paolo eremita con S. Antonio abate

http://www.wga.hu/art/g/gossaert/1/anthony.jpg Jan (Mabuse) Gossaert, S. Antonio abate con un benefattore, 1508, Galleria Doria-Pamphili, Roma

http://www.wga.hu/art/l/lotto/1521-23/03madonn.jpg Lorenzo Lotto, Madonna con Bambino e Santi (Caterina di Alessandria, Agostino, Sebastiano, Antonio abate ed un giovane Giovanni Battista), 1521, Chiesa di S. Spirito, Bergamo

http://www.wga.hu/art/l/lotto/1521-23/02berga1.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/8NS4GY/08-503036.jpg Lorenzo Lotto, Madonna con Bambino con angeli e Santi (Giuseppe, Bernardino da Siena, Giovanni Battista ed Antonio abate), 1521, Chiesa di S. Bernardino in Pignolo, Bergamo

http://www.wga.hu/art/s/sassetta/various/5meeting.jpg Sassetta, Incontro tra i santi Antonio abate e Paolo, 1440 circa, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/v/vos/marten/s_antony.jpg Marten de Vos, Le tentazioni di S. Antonio, 1591-94, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp

Augustinus
18-01-04, 14:48
http://www.cattolicesimo.com/immsacre/zur.jpg http://img156.imageshack.us/img156/259/antonioabate2ue6.jpg Francisco de Zurbarán, S. Antonio abate, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Firenze

http://img150.imageshack.us/img150/7834/antonioabateov8.jpg Francisco de Zurbarán, S. Antonio abate, 1636, collezione privata, Barcellona

http://www.wga.hu/art/v/velazque/03/0313vela.jpg http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/P01169.jpg http://img237.imageshack.us/img237/1161/02paulheec4.jpg Diego Velázquez, S. Antonio abate e S. Paolo eremita, 1635-38, Museo del Prado, Madrid

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/carr.jpg Annibale Carracci, Tentazioni di S. Antonio abate, 1598 circa, National Gallery, Londra

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/angel.jpg Beato Angelico, S. Antonio abate tentato da una zolla d'oro, 1430, Museum of Fine Arts, Houston

Augustinus
18-01-04, 15:02
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 332-338

17 GENNAIO

SANT'ANTONIO, ABATE

Oggi, l'Oriente e l'Occidente si uniscono per celebrare il Patriarca dei Cenobiti, il grande Antonio. Prima di lui, la professione monastica già esisteva, come dimostrano irrefutabili documenti; ma egli appare come il primo degli Abati, perché costituì per primo sotto una forma permanente le famiglie dei monaci, consacrati al servizio di Dio sotto la guida d'un pastore.

Dapprima ospite della solitudine e famoso per le sue lotte con i demoni, ha accolto attorno a sé i discepoli che le sue opere meravigliose e il fascino della perfezione gli avevano acquistati; e il deserto ha visto, con lui, iniziare la vita monastica. L'era dei Martiri volge alla fine; la persecuzione di Diocleziano sarà l'ultima; è tempo per la Provvidenza, che veglia sulla Chiesa, d'inaugurare una nuova milizia. È tempo che si riveli pubblicamente nella società cristiana il carattere del monaco; gli Asceti, anche consacrati, non bastano più. Sorgeranno da ogni parte i monasteri, nei deserti e finanche nelle città, ed i fedeli avranno d'ora in poi sotto gli occhi, come un incoraggiamento ad osservare i precetti di Cristo, la pratica devota e letterale dei suoi consigli. Le tradizioni apostoliche della preghiera continua e della penitenza non si spegneranno più, la dottrina sacra sarà coltivata con amore, non passerà tempo che la Chiesa andrà a cercare in quelle roccaforti spirituali i suoi più validi difensori, i suoi più santi Pontefici e i suoi più generosi Apostoli.

L'esempio d'Antonio ispirerà infatti i secoli avvenire; ci si ricorderà che le attrattive della solitudine e le dolcezze della contemplazione non poterono trattenerlo nel deserto, e che egli venne ad Alessandria, nel cuore della persecuzione pagana, per incoraggiare i cristiani nel martirio. Non si dimenticherà nemmeno che in un'altra lotta ancora più terribile, quella contro l'Arianesimo, egli riapparve nella grande città per predicarvi il Verbo consustanziale al Padre, confessarvi la fede di Nicea e sostenere il coraggio degli ortodossi. Chi potrebbe mai ignorare i legami che univano Antonio al grande Atanasio, o non ricordare che questo illustre campione del Figlio di Dio visitava l'altro Patriarca nel profondo del deserto, procurava in tutti i modi l'avanzamento dell'opera monastica, poneva nella fedeltà dei monaci la speranza della salvezza della Chiesa e volle scrivere egli stesso la vita dell'amico?

È in questo meraviglioso racconto che si impara a conoscere Antonio; è qui che si rivela la grandezza e la semplicità di quell'uomo che fu sempre così vicino a Dio. A diciotto anni, già erede d'una considerevole fortuna, sente leggere in chiesa un passo del Vangelo in cui nostro Signore consiglia a chi vuol tendere alla vita perfetta di disfarsi di tutti i beni terreni. Non gli occorre altro: egli si libera subito di tutto ciò che possiede e si fa povero volontario per tutta la vita.

Lo Spirito Santo lo spinge allora verso la solitudine, dove le potenze infernali hanno piazzato tutte le loro batterie per far retrocedere il soldato di Dio; si direbbe che Satana abbia compreso che il Signore ha deciso di costruirsi una città nel deserto e che Antonio è inviato per eseguirne i piani. Comincia la lotta corpo a corpo con gli spiriti maligni, e il giovane Egiziano rimane vincitore a forza di sofferenze. Egli ha conquistato quella nuova arena nella quale si compirà la vittoria del cristianesimo sul Principe del mondo.

Dopo venti anni di lotte che l'hanno agguerrito, la sua anima si è fissata in Dio; e allora appunto è rivelato al mondo. Malgrado i suoi sforzi per restare nascosto, bisogna che risponda agli uomini che vengono a consultarlo e a chiedere le sue preghiere. Si raccolgono attorno a lui dei discepoli, ed egli diventa il primo degli Abati. Le sue lezioni sulla perfezione cristiana sono accolte con avidità; il suo insegnamento è tanto semplice quanto profondo, e non scende dalle altezze sublimi della contemplazione se non per incoraggiare le anime. Se i suoi discepoli gli chiedono quale è la virtù più adatta per sventare i disegni dei demoni, e per condurre sicuramente l'anima alla perfezione, risponde che la virtù principale è la discrezione.

I cristiani d'ogni condizione accorrono per contemplare questo anacoreta la cui santità e i cui miracoli sono famosi in tutto l'Oriente. Si aspettano qualche cosa di emozionante, e non vedono invece che un uomo dall'aspetto tranquillo, di umore dolce e gradevole. La serenità del volto rispecchia quella dell'anima. Non rivela né inquietudine nel vedersi circondato dalla folla, né vana compiacenza ai disegni di stima e di rispetto che gli si offrono, poiché la sua anima, le cui passioni sono tutte soggiogate, è diventata la dimora di Dio.

Non è fatto per i filosofi che vogliono esplorare la meraviglia del deserto. Vedendoli giungere, Antonio rivolge loro per primo la parola: "Perché dunque, o filosofi, vi siete preoccupati tanto per venire a visitare un insensato?". Sconcertati per tale accoglienza, quegli uomini gli risposero che non lo credevano tale, ma che erano al contrario convinti della sua grande sapienza. "Quand'è così, riprese Antonio, se mi credete savio, imitate la mia saggezza". Sant'Atanasio non ci dice se quella visita li portò alla conversione. Ma ne vennero altri che ardirono attaccare, in nome della ragione, il mistero di un Dio incarnato e crocifisso. Antonio sorrise sentendoli spacciare i loro sofismi e finì per dire loro: "Poiché siete così ben ferrati nella dialettica, rispondetemi, di grazia: A che cosa si deve maggiormente credere quando si tratta della conoscenza di Dio, all'azione efficace della fede o agli argomenti della ragione?". - "All'azione efficace della fede", risposero. - "Ebbene, riprese Antonio, per mostrarvi la potenza della nostra fede, ecco qui degli indemoniati: guariteli con i vostri sillogismi; se poi non vi riuscite e io vi riuscirò invece per opera della fede, e in nome di Gesù Cristo, confessate l'impotenza dei vostri ragionamenti e glorificate la croce che avete osato disprezzare". Antonio fece tre volte il segno della croce su quegli indemoniati, invocò il nome di Gesù su di essi, e subito furono liberati.

I filosofi erano sbalorditi e rimanevano muti. "Non crediate disse il santo Abate, che io abbia liberato per mia virtù questi indemoniati, ma unicamente per virtù di Gesù Cristo. Credete anche voi in lui, e proverete che non già la filosofia, bensì una fede semplice e sincera fa compiere i miracoli". Non si sa se quegli uomini finirono per abbracciare il cristianesimo, ma l'illustre biografo ci dice che se ne andarono, pieni di stima e d'ammirazione per Antonio, e confessarono che la loro visita al deserto non era stata inutile.

Frattanto, il nome di Antonio diventava sempre più celebre e giungeva fino alla corte imperiale. Costantino e i due principi suoi figli gli scrissero come a un padre, implorando da lui il favore d'una risposta. Il santo dapprima non volle; ma avendogli i suoi discepoli mostrato che gli imperatori dopo tutto erano cristiani e che avrebbero potuto ritenersi offesi del suo silenzio, scrisse che era lieto di sapere che essi adoravano Gesù Cristo, e li esortò a non abusare del loro potere così da dimenticare che erano uomini. Raccomandò la clemenza, l'esattezza nell'amministrare la giustizia, l'assistenza ai poveri e di ricordare sempre che Gesù Cristo è l'unico re vero ed eterno.

Così scriveva quest'uomo che era nato sotto la persecuzione di Decio, e che aveva sfidato quella di Diocleziano: sentir parlare di Cesari cristiani era per lui una cosa nuova. A proposito delle lettere della corte di Costantinopoli diceva: "I re della terra ci hanno scritto; ma che significa ciò per un cristiano? Se la loro dignità li ha elevati al disopra degli altri, la nascita e la morte non li rendono forse uguali a tutti? Ciò che deve commuoverci maggiormente e intensificare il nostro amore per Dio è il pensiero che questo sommo Maestro si è non solo degnato di scrivere una legge per gli uomini, ma anche parlato ad essi per mezzo del suo Figliuolo".

Tuttavia, tanta pubblicità data alla sua vita stancava Antonio, ed egli non vedeva l'ora di andarsi a sprofondare nuovamente nel deserto e ritrovarsi a faccia a faccia con Dio. I discepoli ormai erano formati: la sua parola e le sue opere li avevano ammaestrati; li lasciò dunque segretamente, e dopo aver camminato per tre giorni e per tre notti, giunse al monte Colzim, dove riconobbe la dimora che Dio gli aveva destinata. San Girolamo ci offre, nella Vita di sant'Ilarione, la descrizione di quella solitudine. "La roccia, egli dice, si staglia per un'altezza di mille passi: alla sua base sgorgano acque che la terra assorbe in parte; il resto scende a modo di ruscello, e il suo corso è fiancheggiato da un gran numero di palme che ne fanno un'oasi tranquilla e piacevole alla vista". Un'angusta anfrattuosità della roccia serviva di riparo all'uomo di Dio contro le intemperie.

L'amore dei suoi discepoli lo perseguitò, e lo scoprì ancora in quel lontano rifugio. Essi venivano spesso a visitarlo e a recargli del pane. Volendo risparmiar loro quella fatica, Antonio li pregò di procurargli una vanga, una scure e un po' di frumento, che seminò in un piccolo terreno. Sant'Ilarione, che visitò quei luoghi dopo la morte del grande patriarca, era accompagnato dai discepoli di Antonio che gli dicevano con rimpianto: "Qui egli cantava i salmi; là s'intratteneva con Dio nella preghiera; qui lavorava; là si riposava quando si sentiva stanco; egli stesso ha piantato questa vite e questi arbusti, egli stesso ha formato quest'aia, e ha costruito con fatica questo serbatoio per innaffiare l'orto". A proposito dell'orto, raccontarono al santo, che un giorno alcuni asini selvatici venuti a bere al serbatoio si misero a devastare le piantagioni. Antonio ordinò al primo di fermarsi, e colpendolo leggermente con il bastone al fianco, gli disse: "Perché mangi ciò che non hai seminato?". Le bestie si fermarono d'improvviso, e da allora non fecero più alcun danno.

Noi ci abbandoniamo al fascino di questi racconti. Ci vorrebbe un intero volume per riportarli tutti. Di tanto in tanto, Antonio scendeva dalla montagna, e veniva ad incoraggiare i suoi discepoli nelle diverse stazioni che avevano nel deserto. Una volta andò anche a visitare la sorella in un monastero di vergini, dove l'aveva messa, prima di lasciare egli stesso il mondo. Infine, essendo giunto ai cento e cinque anni, volle vedere ancora una volta i monaci che abitavano la prima montagna della catena di Colzim, e annunziò loro la sua prossima dipartita per la patria. Appena tornato al suo eremo, chiamò i due discepoli che lo servivano da quindici anni a causa dell'indebolimento delle sue forze, e disse loro: "Diletti figli, ecco l'ora in cui, secondo il linguaggio della sacra Scrittura, io entrerò nella via dei miei padri. Vedo che il Signore mi chiama, e il mio cuore brucia dal desiderio di unirsi a lui nel cielo. Ma voi, figli miei, viscere dell'anima mia, non perdete, per un dannoso rilassamento, il frutto del lavoro al quale vi siete dedicati da tanti anni. Immaginate ogni giorno di non fare altro che entrare al servizio di Dio e compierne gli esercizi: in questo modo, la vostra buona volontà sarà più forte e andrà sempre aumentando. Sapete bene quali inganni ci tendano i demoni. Siete stati testimoni dei loro furori ed anche delle loro debolezze. Legatevi inscindibilmente all'amore di Gesù Cristo; affidatevi completamente a lui e vincerete la malizia di quegli spiriti perversi. Non dimenticate mai i vari insegnamenti che vi ho dati; ma vi raccomando soprattutto di pensare che ogni giorno potete morire".

Ricordò quindi l'obbligo di non avere alcuna relazione con gli eretici, e chiese che il suo corpo fosse sepolto in un luogo segreto e noto soltanto ad essi. "Quanto agli abiti che io lascio - aggiunse - ecco come li destinerete: darete al vescovo Atanasio una delle mie tuniche insieme con il mantello che egli mi aveva portato nuovo e che gli restituisco usato". Era un secondo mantello che il grande dottore aveva donato ad Antonio, avendo quest'ultimo usato il primo per seppellire il corpo dell'eremita Paolo. "Darete - riprese il santo - la seconda tunica al vescovo Serapione, e terrete per voi il mio cilicio". Quindi, sentendo che era giunto l'ultimo istante, volse lo sguardo ai due discepoli: "Addio - disse loro - figli diletti, il vostro Antonio se ne va, e non è più con voi".

Con questa semplicità e con questa grandezza si inaugurava la Vita monastica nei deserti dell' Egitto, per irradiarsi di lì in tutta la Chiesa; ma a chi renderemo gloria per una simile istituzione alla quale saranno d'ora in poi legati i destini della Chiesa, sempre forte quando trionfa l'elemento monastico e sempre debole quando esso è in decadenza? Chi ispirò ad Antonio e ai suoi discepoli l'amore di quella vita nascosta e povera ma insieme feconda, se non ancora una volta il mistero degli abbassamenti del Figlio di Dio? Torni dunque tutto l'onore dall'Emmanuele umiliatosi sotto i suoi miseri panni e tuttavia ripieno della forza di Dio.

VITA. - Sant'Antonio nacque a Comon, in Egitto, nel 251. Avendo sentito leggere le parole del Vangelo: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri", le seguì immediatamente alla lettera e si ritirò nella solitudine. Vi subì gli attacchi dei demoni che superò con la penitenza e l'invocazione del nome di Gesù. Morì nel 356 sul monte Kolzim, presso il Mar Rosso. La sua vita fu scritta dal vescovo sant'Atanasio e le sue reliquie sono conservate a S. Giuliano d'Arles.

Noi ci uniamo alla Chiesa intera, o beato Antonio, per offrirti gli omaggi della nostra venerazione e per esaltare i doni che l'Emmanuele ti ha prodigati. Come è stata sublime la tua vita, e come feconde le tue opere! Tu sei veramente il padre d'un gran popolo e uno dei più potenti ausiliari della Chiesa di Dio. Prega dunque per l'Ordine Monastico, e ottieni che esso rinasca e si rigeneri nella società cristiana. Prega anche per ciascuno dei membri della grande famiglia della Chiesa. Spesso, la tua grande intercessione è stata utile ai nostri corpi, spegnendo gli ardori esiziali che li consumavano; degnati di continuare ad esercitare questo benefico potere. Ma guarisci soprattutto le nostre anime, troppo spesso consumate da fiamme ancora più pericolose. Veglia su di noi nelle tentazioni che il nemico non cessa di suscitarci; rendici vigilanti contro i suoi attacchi, prudenti nel prevenire le occasioni funeste, fermi nella lotta, umili nella vittoria. L'angelo delle tenebre appariva a te sotto forme sensibili; per noi, troppo spesso, egli simula i suoi colpi. Che non abbiamo ad essere vittima dei suoi inganni! Il timore dei giudizi di Dio e il pensiero dell'eternità dominino tutta la nostra vita; sia la preghiera il nostro frequente ricorso, e la penitenza la nostra difesa. Infine e soprattutto, secondo il tuo consiglio, o Pastore delle anime, ci riempia in misura sempre più grande l'amore di Gesù; di Gesù che si è degnato di nascere quaggiù per salvarci e per meritarci le grazie per mezzo delle quali vinceremo, di Gesù che si è degnato di soffrire la tentazione, per insegnarci come vi si debba resistere.

Augustinus
17-01-05, 09:40
Vita Antonii, 14-17.19-21.42.44.67, in PG XXVI, 863-939.

Antonio passò quasi vent'anni, da solo, nella vita ascetica; non usciva e si faceva vedere raramente. Poi, siccome molti desideravano ardentemente imitare la sua vita di ascesi, e poiché erano venuti altri suoi amici e avevano forzato e abbattuto la porta, Antonio uscì come un iniziato ai misteri da un santuario e come ispirato dal soffio divino. Allora per la prima volta apparve fuori del fortino a quelli che erano venuti a trovarlo.
Ed essi, quando lo videro, rimasero meravigliati osservando che il suo corpo aveva l'aspetto abituale e non era né ingrassato per mancanza di esercizio fisico, né dimagrito a causa dei digiuni e della lotta contro i demoni. Era tale e quale l'avevano conosciuto prima che si ritirasse in solitudine. E anche il suo spirito era puro; non appariva triste, né svigorito dal piacere, né dominato dal riso o dall'afflizione. Non provò turbamento al vedere la folla; non gioiva perché salutato da tanta gente, ma era in perfetto equilibrio, governato dal Verbo, nella sua condizione conforme alla natura ricevuta da Dio.

Antonio convinse molti ad abbracciare la vita solitaria. E così apparvero dimore di solitari sui monti ed egli guidava tutti come un padre. Un giorno uscì e tutti i monaci gli vennero incontro e lo pregarono di tener loro un discorso. Ed egli rivolse loro queste parole in lingua egiziana. "Le Scritture sono sufficienti alla nostra istruzione, ma è bello esortarci vicendevolmente nella fede e incoraggiarci con le nostre parole. Voi, dunque, come figli, portate al padre quello che sapete e ditemelo; io più anziano di voi, vi affiderò quello che so e che ho imparato dall'esperienza. Per prima cosa sia questo lo sforzo comune a tutti: non cedere all'indolenza dopo che abbiamo iniziato, non scoraggiarci nelle fatiche e non dire: Da molto tempo pratichiamo l'ascesi; piuttosto, accresciamo il nostro zelo come se incominciassimo ogni giorno. L'intera vita dell'uomo è brevissima a paragone dei secoli futuri, tutto il nostro tempo è niente di fronte alla vita eterna.

Ogni cosa nel mondo viene venduta secondo il suo prezzo e scambiata con altre cose di pari valore, ma la promessa della vita eterna si compra a un bassissimo prezzo. Sta scritto: Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore [Sal 89,10]. Quand'anche avessimo perseverato nell'ascesi tutti gli ottanta o i cento anni, non regneremo per cento anni, ma, invece di cento anni, regneremo nei secoli dei secoli; dopo aver lottato sulla terra, non è sulla terra che otterremo l'eredità, ma riceveremo la promessa nei cieli e, deposto il corpo corruttibile, ne riceveremo uno incorruttibile.
E così, figli miei, non scoraggiamoci e non pensiamo di dar prova di perseveranza o di fare grandi cose. Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi [Rm 8,18]. Non crediamo, guardando al mondo, di aver rinunciato a grandi cose: la terra intera è piccolissima a confronto di tutto il cielo. Se anche fossimo padroni di tutta la terra e vi avessimo rinunciato, neppur questo sarebbe degno del regno dei cieli.

Figli, dedichiamoci all'ascesi e non lasciamoci vincere dallo scoraggiamento. Abbiamo il Signore quale nostro aiuto in questa lotta, come sta scritto: Tutto concorre al bene di coloro che scelgono il bene [Rm 8,28]. E per non perderci d'animo è bene meditare la parola dell'Apostolo: Ogni giorno io affronto la morte [1 Cor 15,31]. Se vivremo così anche noi, come se ogni giorno dovessimo morire, non peccheremo.
Questo significa che ogni giorno, quando ci svegliamo, dobbiamo pensare che non arriveremo fino a sera, e di nuovo, al momento di coricarci, dobbiamo pensare che non ci sveglieremo più. La nostra vita è incerta per natura ed è misurata giorno per giorno dalla Provvidenza.
Se ci comporteremo così e se così vivremo giorno per giorno, non peccheremo, non proveremo desiderio di nulla, non ci adireremo con nessuno né accumuleremo tesori sulla terra, ma, aspettandoci di morire ogni giorno, non possederemo nulla e perdoneremo tutto a tutti. Non saremo dominati dalla concupiscenza per la donna o da altro piacere impuro, ma ce ne allontaneremo come da cose destinate a passare, lottando sempre e tenendo davanti agli occhi il giorno del giudizio. Sempre, infatti, un gran timore e il pericolo dei tormenti dissolvono la dolcezza del piacere e rinsaldano l’anima vacillante. Dal momento che abbiamo cominciato a percorrere la via della virtù, tendiamo verso la mèta.

Lottiamo per non essere dominati dall’ira, né posseduti dalla concupiscenza. Sta scritto infatti: L’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio [Gc 1,20]. Poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, produce la morte [Gc 1,15].
Comportandoci in questo modo, vegliamo attentamente e, come sta scritto, custodiamo con ogni cura il nostro cuore [Cf Prv 4,23]. Abbiamo dei nemici terribili e pieni di risorse, i demoni malvagi: contro di loro è la nostra lotta, come ha detto l'Apostolo: La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti [Ef 6,12].
Numerosa è la moltitudine di queste potenze dell'aria che ci circonda; essi non sono lontano da noi. Fra di loro vi è grande varietà. Si potrebbe parlare a lungo della loro natura e della loro diversità, ma un tale discorso si addice ad altri più grandi di noi. Quel che ora è necessario e indispensabile è soltanto conoscere gli espedienti che utilizzano contro di noi.

Non scoraggiamoci, non meditiamo dentro di noi pensieri di viltà, non creiamoci tante paure dicendo: Forse il demonio verrà e mi abbatterà, forse mi solleverà e mi getterà a terra oppure mi assalirà all'improvviso per spaventarmi.
Non pensiamo per nulla a queste cose, non rattristiamoci come se dovessimo perire, facciamoci coraggio piuttosto e siamo sempre pieni di gioia pensando che siamo salvati. Nella nostra anima pensiamo che il Signore è con noi, lui che ha messo in fuga i demoni e li ha annientati. Meditiamo e riflettiamo sempre che, se il Signore è con noi, i nemici non potranno farci nulla. Quando arrivano, infatti, adeguano il loro comportamento a quello che trovano in noi e creano immagini conformi ai pensieri che trovano in noi".

Tutti gioivano all'udire le parole di Antonio. In alcuni cresceva l'amore per la virtù; altri, negligenti, venivano rafforzati, altri ancora mutavano convinzioni. Tutti poi erano persuasi di poter disprezzare le insidie del demonio e ammiravano il dono del discernimento degli spiriti che il Signore aveva concesso ad Antonio.
Sui monti le abitazioni dei solitari erano come dimore piene di cori divini che cantavano i salmi, studiavano la parola di Dio, digiunavano, pregavano, esultavano nella speranza dei beni futuri, lavoravano per fare l'elemosina, vivevano in amore e concordia vicendevole.
Si poteva vedere veramente una regione solitaria tutta consacrata al servizio di Dio e alla giustizia. Non c'era là nessuno che patisse ingiustizia o si lamentasse degli agenti del fisco, ma vi era una moltitudine di asceti e in tutti l'unica preoccupazione era quella della virtù. E così chi vedeva le loro dimore e tale schiera di monaci poteva esclamare: Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Sono come torrenti che si diramano, come giardini lungo un fiume, come aloe, che il Signore ha piantati, come cedri lungo le acque [Nm 24,5-6].
Antonio, ritiratosi nella sua dimora, come era sua abitudine, intensificava l'ascesi. Ogni giorno sospirava pensando alle dimore celesti, ne aveva desiderio e meditava sulla breve durata della vita umana.

Il volto di Antonio era pieno di grazia. Aveva ricevuto inoltre questo dono straordinario da parte del Salvatore: se anche si trovava in mezzo a una folla di monaci e qualcuno che non lo conosceva ancora desiderava vederlo, questi lasciava gli altri e correva subito da lui, come attirato dai suoi occhi.
Non si distingueva dagli altri, perché fosse più alto o più forte, ma per la disposizione del suo carattere e per la purezza dell'anima. La sua anima, infatti, era in pace e quindi anche il suo comportamento esterno era tranquillo; la gioia del cuore rendeva lieto il suo volto e i movimenti del corpo lasciavano intuire e percepire lo stato della sua anima, come sta scritto: Un cuore lieto rende ilare il volto, ma, quando il cuore è triste, lo spirito è depresso [Prv 15,13]. Fu così che Giacobbe comprese che Labano stava macchinando insidie e disse alle donne: Io mi accorgo dal volto di vostro padre che egli verso di me non è più come prima [Gn 31,5]. Così si poteva riconoscere anche Antonio; non era mai turbato, la sua anima era in pace, non era mai triste, perché la sua anima era piena di gioia.

Augustinus
17-01-05, 09:42
Sermon pour le dimanche de la Sexagésime. Œuvres complètes de Jean Tauler. Trad. Noël, Tralin, Paris, 1911, t. II, pp. 77-79.82-83.

Se mai aspiri, o uomo, a diventare un perfetto cristiano, devi uscire completamente. Tu mi dirai: "Uscire da dove?". Dalla tua volontà propria, dal tuo giudizio soggettivo, dal tuo modo proprio di vedere e sentire. Questa è la strada, non ce ne sono altre. Avrai Dio per unico scopo di tutta la tua esistenza, amerai lui solo, bramando il suo onore e la sua gloria. Ossèrvati con cura minuziosa e se scorgi in te, nell'anima o nel corpo, un angolino in cui ti ritrovi e ti possiedi, sappi che da lì tu devi uscire. Qualora la società oppure qualcosa di creato, non solo materiale ma anche bene dello spirito, ti stia a cuore e in esso ti ricerchi, è assolutamente necessario staccarti da ciò. Occorre sottrarsi dalla dispersione della molteplicità se vuoi che Dio operi in te con efficacia. Ma non basta: esaminerai attentamente l'attività che ti è propria, le tue facoltà e abitudini inveterate e malsane, gli atteggiamenti, ciò che vincola l'affettività, in una parola quanto ti avvolge e ti blocca: tutto questo lo devi piegare, ridurre, spezzare, abbandonare virilmente.

Quando la formica non vuole che il grano germogli ai fini di conservare per sé quel cibo, rosicchia la cima da dove dovrebbe spuntare il fusto. Anche tu fa lo stesso con quello che attira il tuo cuore in modo eccessivo, sollecita troppo vivamente il tuo affetto umano, ti avvince con gusto e piacere esagerato: rodilo, abbandonalo. Altrimenti ti esporrai a gravi cadute proprio quando ti sentirai più al sicuro. Occorre perciò che tu esca da tutto.
Gli studiosi ci insegnano che l'uomo esce da se stesso mediante la volontà illuminata dall'intelletto. Quando conosco qualcosa, l'attiro dentro di me; allora la volontà trova che è un bene, vi si slancia e vuole raggiungerlo per trovare in esso quiete.

Quando la volontà ama, è attirata dalla bontà dell'oggetto amato, per cui esce e si protende su ciò che ama con quanto in essa e nelle creature vi è di bene. Se, però, è attirata da un amore impuro e fallace, non esce né si diffonde, resta chiusa in se stessa, paga di raggiungere questo o quello mediante l'intenzione.
Proprio così entrano, ma non escono, tutti coloro che cercano il proprio interesse in Dio o nelle creature: il loro è un amore fittizio, un amore interessato, che non vale un soldo.
Il vero fedele, nel suo amore per Dio, si sforzerà di uscire da se stesso: avendo di mira unicamente lui, non cercherà il proprio piacere, la propria ricompensa o qualche altro vantaggio personale. Tutto invece farà, patirà, lascerà esclusivamente per amor di Dio e per la sua gloria, quand'anche non dovesse mai riceverne in cambio la minima ricompensa. Senz'altro sa bene, può contare che non sarà così, ma il pensiero, il desiderio della ricompensa devono rimanere nell'ombra, non assurgere a motivazione intenzionale.

Quando ti sentirai abbandonato da tutte le creature, sprofóndati nell'immensa povertà di Cristo, rimetti il tuo libero arbitrio all'Onnipotente con totale rinuncia della tua volontà: essa è troppo nobile perché Dio le faccia violenza. E poiché nulla è più caro all'uomo della volontà e del libero arbitrio, nessun sacrificio sarà più gradito a Dio di questo.
Non esiste opera, non c'è povertà di Cristo o di un uomo qualsiasi, che riesca più gradita a Dio e più utile a chi la compie, dell'abnegazione della volontà. La buona volontà è una virtù così grande e così nobile che attraverso un desiderio perfetto può acquisire una certa conformità con le opere esterne di Cristo stesso. Per povero che uno sia, ha sempre la possibilità di possedere e quindi potrà abbandonare tutte le ricchezze dell'uomo più facoltoso, se abbandona tutto quello che ha.

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Augustinus
17-01-05, 09:46
Lettera IV, 1-3.8-10.12, in S. Atanasio, "Vita di Antonio, Apoftegmi , Lettere", a cura di L. Cremaschi, ed. Paoline, 1984, 215-217.221-226.

Antonio saluta nel Signore tutti i suoi cari fratelli della regione di Arsinoe e dei suoi dintorni e tutti quelli che stanno con loro. Saluto nel Signore voi tutti, miei cari, che vi siete preparati ad andare verso Dio, saluto voi tutti piccoli e grandi, uomini e donne che, per la vostra natura spirituale, siete figli santi di Israele.
Figlioli, davvero grande è la beatitudine che vi è stata donata e la grazia concessa a questa vostra generazione. A motivo di Colui che vi ha visitati, è bene che non vi lasciate vincere dalla fatica della lotta, fino al momento in cui potrete offrire voi stessi in tutta purezza quali vittime a Dio; senza purezza nessuno può ricevere l'eredità. Miei cari, è importante che vi interroghiate sulla natura spirituale in cui non vi è più né maschio né femmina, ma solo quella natura immortale che ha un inizio, ma non avrà mai una fine. Bisogna sapere per quale motivo è caduta a tal grado di abiezione e di vergogna; nessuno è stato risparmiato.

Bisogna conoscere il motivo della caduta, perché la nostra natura è immortale e non si dissolverà insieme con il corpo. Dio vide che la ferita dell'uomo era incurabile e profondissima e nella sua misericordia visitò le sue creature. Nella sua bontà, dopo un certo tempo, diede loro la legge e le aiutò servendosi di Mosè perché consegnasse loro la legge. Mosè pose loro le fondamenta della dimora della verità e voleva curare questa profonda ferita, ma non poté portare a compimento la costruzione della casa. Poi si radunò tutta l'assemblea dei santi ed essi chiedevano al Padre per la sua bontà che venisse il nostro Salvatore per la salvezza di noi tutti perché, egli è il nostro sommo sacerdote fedele, vero medico in grado di guarire la nostra grande ferita. Per volontà del Padre egli si privò della sua gloria; era Dio e prese la forma di servo consegnando se stesso per i nostri peccati (Cf Fil 2, 6‑7). I nostri peccati lo hanno umiliato, ma per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53, 5).

Figli miei, amati nel Signore, voglio che sappiate che a causa della nostra stoltezza il nostro Salvatore ha assunto la forma della debolezza, a causa della nostra povertà ha assunto la forma della povertà, a causa della nostra morte ha assunto la forma mortale; tutto questo ha sopportato per noi. In verità, amati nel Signore, non dobbiamo concedere sonno ai nostri occhi né riposo alle nostre palpebre, ma preghiamo e facciamo violenza alla bontà del Padre, finché non venga in nostro aiuto; così potremo consolare Gesù nella gioia della sua venuta, potremo rendere efficace il ministero dei santi che operano in nostro favore supplendo alla nostra negligenza qui sulla terra ed esortarli ad aiutarci nel tempo della nostra tribolazione. Allora insieme gioiranno chi semina e chi miete (Cf Gv 4, 36).

Figli miei carissimi, vi supplico, non vi sia faticoso né gravoso l'amore vicendevole. Prendete questo corpo di cui siete rivestiti e fatene un altare; su di esso deponete ogni vostro pensiero e alla presenza del Signore abbandonate ogni proposito malvagio. Innalzate a Dio le mani del vostro cuore, cioè lo spirito che agisce in voi e supplicate Dio che vi faccia dono del suo grande fuoco invisibile. Esso dal cielo discenda tra di voi e consumi l'altare e tutto quanto è deposto sopra di esso. Tutti i sacerdoti di Balaal, i vostri nemici e le loro opere malvage, abbiano timore e fuggano davanti a voi come davanti al profeta Elia (Cf 1 Re 18, 38-40). Allora vedrete emergere dalle acque della fonte divina un uomo che farà piovere per voi una pioggia spirituale, lo Spirito Paraclito. Figli miei carissimi nel Signore, stirpe di Israele, non è necessario proclamare beati e ricordare i nomi del vostro essere di carne destinato alla morte. Voi conoscete l'amore che provo per voi e non è un amore carnale, ma un amore spirituale, opera di Dio.

Credo che sia una grande beatitudine per voi l'aver cercato di conoscere la vostra miseria e l'aver reso salda in voi quella natura invisibile che non è destinata a passare insieme con il corpo. Perciò ritengo che la beatitudine vi sia stata accordata in questa vita. Sappiate questo: non pensate che sia opera vostra intraprendere l'opera di Dio, il progredire in essa, ma è frutto di una potenza divina che sempre vi aiuta. Aspirate sempre ad offrire voi stessi quali vittime a Dio e accogliete con fervore la potenza che viene in vostro aiuto. Offrirete così consolazione a Cristo Gesù quando farà ritorno, a tutta l'assemblea dei santi e anche a me, povero uomo, che dimoro in questo corpo di fango e di tenebra. Vi dico questo per consolarvi e vi prego perché noi tutti siamo stati creati da un'unica natura invisibile che ha un inizio ma non ha una fine. Chi conosce se stesso, sa che la natura che ci unisce è immortale.

Voglio che sappiate che il nostro Signore Gesù Cristo è il vero intelletto del Padre, da lui furono create tutte le nostre nature spirituali a immagine della sua Immagine, perché egli è il capo di tutta la creazione e del corpo che è la Chiesa. Così dunque noi tutti siamo membra gli uni degli altri e corpo di Cristo (1 Cor 12, 27); la testa non può dire ai piedi: non mi siete necessari, e se un membro soffre. tutte le membra soffrono insieme (1 Cor 12, 26). E così se un membro si rende estraneo al corpo e non comunica con la testa, compiacendosi nelle passioni del corpo, è colpito da una ferita incurabile e ha dimostrato qual è il suo principio e quale la sua fine. Per questo il Padre della creazione fu mosso a pietà per questa nostra ferita che non poteva essere guarita da nessuna creatura, ma solamente dalla bontà del Padre. Ci mandò allora il suo Figlio unigenito che a motivo della nostra schiavitù ha assunto la condizione di servo e ha consegnato se stesso per i nostri peccati. Le nostre iniquità lo hanno umiliato, ma per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Ci ha radunato da tutte le nazioni per far risorgere i nostri cuori dalla terra e per insegnarci che noi tutti facciamo parte di un'unica natura e siamo membra gli uni degli altri. Per questo dobbiamo amarci profondamente gli uni gli altri perché chi ama il suo prossimo amerà Dio e chi ama Dio ama se stesso.

Vi sia ben chiaro anche questo, figli miei che io amo nel Signore, santa stirpe di Israele. Siate pronti ad andare al Signore e ad offrire voi stessi quali vittime a Dio in tutta purezza, quella purezza che nessuno potrà ricevere in eredità se già non la possiede. Carissimi, non sapete che i nemici del bene meditano sempre disegni malvagi a danno della verità? Perciò, carissimi, siate vigilanti, non concedete sonno ai vostri occhi né riposo alle vostre palpebre; invocate il vostro Creatore giorno e notte perché venga in vostro aiuto dall'alto e custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri. In verità, figlioli, abitiamo nella dimora di un ladro e siamo incatenati con vincoli di morte. Noi siamo negligenti, siamo caduti in uno stato deplorevole e ci siamo resi estranei al bene; in verità vi dico, tutto questo non solo costituisce la nostra rovina, ma è anche motivo di sofferenza per tutti gli angeli e i santi di Cristo; in realtà non abbiamo ancora offerto loro un motivo di consolazione.

In verità, figli miei nel Signore, io supplico giorno e notte il mio Creatore dal quale ho ricevuto lo Spirito, di aprire gli occhi del vostro cuore perché conosciate l'amore che vi porto e di aprire anche gli orecchi del vostro cuore perché possiate vedere la vostra miseria. Chi ha coscienza del suo disonore cerca subito la grazia a cui è stato chiamato e chi percepisce il suo stato di morte comprende anche la vita eterna. Parlo con voi come a sapienti (Cf 1 Cor 10, 15), figli miei. In verità temo che lungo il cammino vi colga la fame in un posto in cui avreste dovuto essere nell'abbondanza. Avrei desiderato vedere personalmente i vostri volti, ma aspetto il tempo ormai vicino in cui potremo vederci a faccia a faccia, quando saranno passati il dolore, la tristezza e il pianto, quando felicità perenne splenderà sul vostro capo (Cf Is 35, 10). Volevo raccontarvi molte altre cose, ma se offrirete al saggio un'occasione di saggezza, diventerà ancora più saggio (Cf Prv 9, 9). Figli amatissimi, vi saluto tutti uno per uno.

http://www.certosini.info/immaginicertosine/albums/lezionari/paolo_antonio/p_er_a_ab_bh_07.jpg S. Antonio attaccato dai diavoli

http://www.certosini.info/immaginicertosine/albums/lezionari/paolo_antonio/p_er_a_ab_bh_08.jpg Morte di S. Antonio

Augustinus
17-01-06, 14:12
http://www.wga.hu/art/s/savoldo/abbot.jpg http://img301.imageshack.us/img301/4998/abbotua2vo3.jpg http://www.cattolicesimo.com/immsacre/savoldo.jpg Giovanni Girolamo Savoldo, SS. Antonio abate e Paolo eremita, 1510 circa, Gallerie dell'Accademia, Venezia

http://www.abruzzoeappennino.com/public/feste/tradizionali/1152007182054.jpg Anonimo marchigiano, S. Antonio abate, XVIII sec., Chiesa di Castello, S. Giorgio di Pesaro

http://img258.imageshack.us/img258/9695/1712009171952b6523mf8.jpg Alessandro Bonvicino, detto Il Moretto, Madonna col Bambino e S. Antonio abate, 1540-45, Liechtenstein Museum, Liechtenstein

http://img145.imageshack.us/img145/1083/morelli08tz4.jpg http://www.2blowhards.com/Morelli%20-%20Le%20tentazioni%20di%20Sant'Antonio%20-%201878.jpg Domenico Morelli, La tentazione di Sant'Antonio abate, 1878

Augustinus
17-01-06, 14:27
http://www.wga.hu/art/t/teniers/jan2/2/temptati.jpg David Teniers il giovane, La tentazione di S. Antonio abate, 1640, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

http://www.wga.hu/art/t/teniers/jan2/2/temptatx.jpg David Teniers il giovane, La tentazione di S. Antonio abate, Museum Mayer van den Bergh, Antwerp

http://www.bildindex.de/bilder/gg3355_036b.jpg David Teniers il giovane, La tentazione di S. Antonio abate, XVII sec.

http://www.nuovaricerca.org/album_tentazioni/images/fig_01big_%20Tentazione%20di%20Sant'Antonio-Museo%20del%20Louvre,%20Parigi-acquisito%20nel%201861_jpg.jpg David Teniers il giovane, La tentazione di Sant'Antonio abate, Musée du Louvre, Parigi

http://img158.imageshack.us/img158/7214/me000005893639yy.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/ZE9CA/02-012036.jpg David Teniers il giovane, La tentazione di Sant'Antonio abate, Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
17-01-06, 15:30
http://www.getty.edu/art/collections/images/l/10869701.jpg Lelio Orsi, La tentazione di S. Antonio abate, 1570 circa.

http://www.artunframed.com/images/artmis16/isabey88.jpg Eugene Isabey, La tentazione di S. Antonio abate, 1869, Musee d'Orsay, Parigi

http://img407.imageshack.us/img407/5351/veronese08uz5.jpg http://img145.imageshack.us/img145/2842/temptationofstanthony42vp4.jpg Paolo Veronese, La tentazione di S. Antonio abate, 1552-53, Musée des Beaux-Arts, Caen

http://img160.imageshack.us/img160/1677/antonioabate8wb.jpg Lovis Corinth, La tentazione di S. Antonio abate, 1908,Tate Gallery, Londra

Augustinus
17-01-07, 14:55
http://cgfa.sunsite.dk/p/pisanello2.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d6/Pisanello_014.jpg Pisanello, Vergine con Bambino con i Santi Giorgio ed Antonio abate, metà 1440-45 circa, National Gallery, Londra

http://www.olindoweb.it/images/quadri/san%20ba.jpg Giuseppe Bernardino Bison, La tentazione di Sant'Antonio abate, XVIII-XIX sec.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4a/Jacopo_Pontormo_041.jpg Jacopo Pontormo, S. Antonio abate, 1519, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://cgfa.sunsite.dk/o/osservanza1.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/4ZAD3S/97-011166.jpg Maestro dell'Osservanza, S. Antonio abate, 1425 circa, Musée du Louvre, Parigi

http://cgfa.sunsite.dk/o/osservanza2.jpg Maestro dell'Osservanza, S. Antonio abate durante la Messa dedica la sua vita a Dio, 1435, Gemäldegalerie, Berlino

http://cgfa.sunsite.dk/pinturicchio/pinturicchio14.jpg Pinturicchio, S. Antonio abate incontra S. Paolo l'eremita, Appartamenti Borgia, Sala dei Santi, Vaticano

Augustinus
17-01-08, 10:19
St. Anthony

Founder of Christian monasticism.

The chief source of information on St. Anthony is a Greek Life attributed to St. Athanasius, to be found in any edition of his works. A note of the controversy concerning this Life is given at the end of this article; here it will suffice to say that now it is received with practical unanimity by scholars as a substantially historical record, and as a probably authentic work of St. Athanasius.

Valuable subsidiary information is supplied by secondary sources: the "Apophthegmata", chiefly those collected under Anthony's name (at the head of Cotelier's alphabetical collection, P.G. LXV, 7]); Cassian, especially Coll. II; Palladius, "Historica Lausiaca", 3,4,21,22 (ed. Butler). All this matter may probably be accepted as substantially authentic, whereas what is related concerning St. Anthony in St. Jerome's "Life of St. Paul the Hermit" cannot be used for historical purposes.

Anthony was born at Coma, near Heracleopolis Magna in Fayum, about the middle of the third century. He was the son of well-to-do parents, and on their death, in his twentieth year, he inherited their possessions. He had a desire to imitate the life of the Apostles and the early Christians, and one day, on hearing in the church the Gospel words, "If thou wilt be perfect, go and sell all thou hast", he received them as spoken to himself, disposed of all his property and goods, and devoted himself exclusively to religious exercises.

Long before this it had been usual for Christians to practice asceticism, abstain from marriage and exercising themselves in self-denial, fasting, prayer, and works of piety; but this they had done in the midst of their families, and without leaving house or home. Later on, in Egypt, such ascetics lived in huts, in the outskirts of the towns and villages, and this was the common practice about 270, when Anthony withdrew from the world. He began his career by practising the ascetical life in this fashion without leaving his native place. He used to visit the various ascetics, study their lives, and try to learn from each of them the virtue in which he seemed to excel. Then he took up his abode in one of the tombs, near his native village, and there it was that the Life records those strange conflicts with demons in the shape of wild beasts, who inflicted blows upon him, and sometimes left him nearly dead.

After fifteen years of this life, at the age of thirty-five, Anthony determined to withdraw from the habitations of men and retire in absolute solitude. He crossed the Nile, and on a mountain near the east bank, then called Pispir, now Der el Memum, he found an old fort into which he shut himself, and lived there for twenty years without seeing the face of man, food being thrown to him over the wall. He was at times visited by pilgrims, whom he refused to see; but gradually a number of would-be disciples established themselves in caves and in huts around the mountain, Thus a colony of ascetics was formed, who begged Anthony to come forth and be their guide in the spiritual life. At length, about the year 305, he yielded to their importunities an emerged from his retreat, and, to the surprise of all, he appeared to be as when he had gone in, not emaciated, but vigorous in body and mind.

For five or six years he devoted himself to the instruction and organization of the great body of monks that had grown up around him; but then he once again withdrew into the inner desert that lay between the Nile and the Red Sea, near the shore of which he fixed his abode on a mountain where still stands the monastery that bears his name, Der Mar Antonios. Here he spent the last forty-five years of his life, in a seclusion, not so strict as Pispir, for he freely saw those who came to visit him, and he used to cross the desert to Pispir with considerable frequency. The Life says that on two occasions he went to Alexandria, once after he came forth from the fort at Pispir, to strengthen the Christian martyrs in the persecution of 311, and once at the close of his life (c. 350), to preach against the Arians. The Life says he died at the age of a hundred and five, and St. Jerome places his death in 356-357. All the chronology is based on the hypothesis that this date and the figures in the Life are correct. At his own request his grave was kept secret by the two disciples who buried him, lest his body should become an object of reverence.

Of his writings, the most authentic formulation of his teaching is without doubt that which is contained in the various sayings and discourses put into his mouth in the Life, especially the long ascetic sermons (16-43) spoken on his coming forth from the fort at Pispir. It is an instruction on the duties of the spiritual life, in which the warfare with demons occupies the chief place. Though probably not an actual discourse spoken on any single occasion, it can hardly be a mere invention of the biographer, and doubtless reproduces St. Anthony's actual doctrine, brought together and co-ordinated. It is likely that many of the sayings attributed to him in the "Apophthegmata" really go back to him, and the same may be said of the stories told of him in Cassian and Palladius. There is a homogeneity about these records, and a certain dignity and spiritual elevation that seem to mark them with the stamp of truth, and to justify the belief that the picture they give us of St Anthony's personality, character, and teaching is essentially authentic.

A different verdict has to be passed on the writings that go under his name, to be found in P.G., XL. The Sermons and twenty Epistles from the Arabic are by common consent pronounced wholly spurious. St. Jerome (De Viris Ill., lxxxviii) knew seven epistles translated from the Coptic into Greek; the Greek appears to be lost, but a Latin version exists (ibid.), and Coptic fragments exist of three of these letters, agreeing closely with the Latin; they may be authentic, but it would be premature to decide. Better is the position of a Greek letter to Theodore, preserved in the "Epistola Ammonis ad Theophilum", sect. 20, and said to be a translation of a Coptic original; there seems to be no sufficient ground for doubting that it really was written by Anthony (see Butler, Lausiac History of Palladius, Part I, 223). The authorities are agreed that St. Anthony knew no Greek and spoke only Coptic. There exists a monastic Rule that bears St. Anthony's name, preserved in Latin and Arabic forms (P.G., XL, 1065). While it cannot be received as having been actually composed by Anthony, it probably in large measure goes back to him, being for the most part made up out of the utterances attributed to him in the Life and the "Apophthegmata"; it contains, however, an element derived from the spuria and also from the "Pachomian Rules". It was compiled at an early date, and had a great vogue in Egypt and the East. At this day it is the rule followed by the Uniat Monks of Syria and Armenia, of whom the Maronites, with sixty monasteries and 1,100 monks, are the most important; it is followed also by the scanty remnants of Coptic monachism.

It will be proper to define St. Anthony's place, and to explain his influence in the history of Christian monachism. He probably was not the first Christian hermit; it is more reasonable to believe that, however little historical St. Jerome's "Vita Pauli" may be, some kernel of fact underlies the story (Butler, op. cit., Part I, 231,232), but Paul's existence was wholly unknown unknown till long after Anthony has become the recognized leader of Christian hermits. Nor was St. Anthony a great legislator and organizer of monks, like his younger contemporary Pachomius; for, though Pachomius's first foundations were probably some ten or fifteen years later than Anthony's coming forth from his retreat at Pispir, it cannot be shown that Pachomius was directly influenced by Anthony, indeed his institute ran on quite different lines. And yet it is abundantly evident that from the middle of the fourth century throughout Egypt, as elsewhere, and among the Pachomian monks themselves, St. Anthony was looked upon as the founder and father of Christian monachism.

This great position was no doubt due to his commanding personality and high character, qualities that stand out clearly in all the records of him that have come down. The best study of his character is Newman's in the "Church of the Fathers" (reprinted in "Historical Sketches"). The following is his estimate: "His doctrine surely was pure and unimpeachable; and his temper is high and heavenly, without cowardice, without gloom, without formality, without self-complacency. Superstition is abject and crouching, it is full of thoughts of guilt; it distrusts God, and dreads the powers of evil. Anthony at least had nothing of this, being full of confidence, divine peace, cheerfulness, and valorousness, be he (as some men may judge) ever so much an enthusiast" (op. cit., Anthony in Conflict). Full of enthusiasm he was, but it did not make him fanatical or morose; his urbanity and gentleness, his moderation and sense stand out in many of the stories related of him. Abbot Moses in Cassian (Coll. II) says he had heard Anthony maintaining that of all virtues discretion was the most essential for attaining perfection; and the little known story of Eulogius and the Cripple, preserved in the Lausiac History (xxi), illustrates the kind of advice and direction he gave to those who sought his guidance.

The monasticism established under St. Anthony's direct influence became the norm in Northern Egypt, from Lycopolis (Asyut) to the Mediterranean. In contradistinction to the fully coenobitical system, established by Pachomius in the South, it continued to be of a semi-eremetical character, the monks living commonly in separate cells or huts, and coming together only occasionally for church services; they were left very much to their own devices, and the life they lived was not a community life according to rule, as now understood (see Butler, op. cit., Part I, 233-238). This was the form of monastic life in the deserts of Nitria and Scete, as portrayed by Palladius and Cassian. Such groups of semi-independent hermitages were later on called Lauras, and have always existed in the East alongside of the Basilian monasteries; in the West St. Anthony's monachism is in some measure represented by the Carthusians. Such was St. Anthony's life and character, and such his role in Christian history. He is justly recognized as the father not only of monasticism, strictly so called, but of the technical religious life in every shape and form. Few names have exercised on the human race an influence more deep and lasting, more widespread, or on the whole more beneficent.

It remains to say a word on the controversy carried on during the present generation concerning St. Anthony and the Life. In 1877 Weingarten denied the Athanasian authorship and the historical character of the Life, which he pronounced to be a mere romance; he held that up to 340 there were no Christian monks, and that therefore the dates of the "real" Anthony had to be shifted nearly a century. Some imitators in England went still further and questioned, even denied, that St. Anthony had ever existed. To anyone conversant with the literature of monastic Egypt, the notion that the fictitious hero of a novel could ever have come to occupy Anthony's position position in monastic history can appear nothing less than a fantastic paradox. As a matter of fact these theories are abandoned on all hands; the Life is received as certainly historical in substances, and as probably by Athanasius, and the traditional account of monastic origins is reinstated in its great outlines. The episode is now chiefly of interest as a curious example of a theory that was broached and became the fashion, and then was completely abandoned, all within a single generation. (on the controversy see Butler, op. cit. Part I, 215-228, Part II, ix-xi).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. I, New York, 1907 (http://www.newadvent.org/cathen/01553d.htm)

Augustinus
17-01-09, 09:13
http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M1982/M1982_1_2_258.jpg Jacques Callot, S. Antonio, abate, 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

Augustinus
17-01-09, 09:34
DIE 17 JANUARII

SANCTI ANTONII
ABBATIS

Duplex

Introitus

Ps. 36, 30-31

OS JUSTI meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium: lex Dei ejus in corde ipsíus. Ps. ibid., 1. Noli æmulári in malignántibus: neque zeláverís faciéntes iniquitátem. V/. Glória Patri. Os justi..

Oratio

INTERCÉSSIO nos, quaésumus, Dómine, beáti Antónii Abbátis comméndet: ut, quod nostris méritis non valémus, ejus patrocínio assequámur. Per Dóminum.

Léctio libri Sapiéntiæ

Eccli. 45, 1-6

DILECTUS Deo et homínibus, cujus memória in benedictióne est. Símilem illum fecit in glória sanctórum, et magnificávit eum in timóre inimicórum, et in verbis suis monstra placávit. Glorificávit illum in conspéctu regum, et jussit illi coram pópulo suo, et osténdit illi glóriam suam. In fide et lenitáte ipsíus sanctum fecit illum, et elégit eum ex omni carne. Audívit enim eum et vocem ípsíus, et indúxit illum in nubem. Et dedit illi coram præcépta, et legem vitæ et disciplínæ.

Graduale. Ps. 20, 45. Dómine, prævenísti eum in benedictiónibus dulcédinis: posuísti in cápite ejus corónam de lápide pretióso. V/. Vitam pétiit a te, et tribuísti ei longitúdinem diérum in saéculum saéculi.

Allelúja, allelúja. V/. Ps. 91, 13. Justus ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam

Luc. 12, 35-40

IN ILLO témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Sint lumbi vestri præcíncti, et lucérnæ ardéntes in mánibus vestris, et vos símiles homínibus exspectántibus dóminum suum, quando revertátur a núptiis; ut, cum vénerit et pulsáverit, conféstim apériant ei. Beáti servi illi, quos, cum vénerit dóminus, invénerit vigilántes: amen dico vobis, quod præcínget se, et fáciet illos discúmbere, et tránsiens ministrábit illis. Et si vénerit in secúnda vigília, et si in tértia vigília vénerit, et ita invénerit, beáti sunt servi illi. Hoc autem scitóte, quóniam, si sciret paterfamílias, qua hora fur veníret, vigiláret útique, et non síneret pérfodi domum suam. Et vos estóte paráti: quia, qua hora non putátis, Fílius hóminis véniet.

Offertorium. Ps. 20, 3 et 4. Desidérium ánimæ ejus tribuísti ei, Dómine, et voluntáte labiórum ejus non fraudásti eum: posuísti in cápite ejus corónam de lápide pretióso.

Secreta

SACRIS altáribus, Dómine, hóstias superpósitas sanctus Antónius Abbas, quaésumus, in salútem nobis proveníre depóscat. Per Dóminum.

Communio. Luc. 12, 42. Fidélis servus et prudens, quem constítuit dóminus super famíliam suam: ut det illis in témpore trítici mensúram.

Postcommunio

PRÓTEGAT nos, Dómine, cum tui perceptióne sacraménti beátus Antónius Abbas, pro nobis intercedéndo: ut et conversatiónis ejus experiámur insígnia, et intercessiónis percipiámus suffrágia. Per Dóminum.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-17jan=lat.htm)

Augustinus
17-01-09, 17:16
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/75UMQ8/06-502827.jpg Sebastiano del Piombo, S. Antonio abate, XVI sec., castello, Compiègne

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/NYWY52/07-536666.jpg Salvatore Rosa, Tentazioni di S. Antonio, XVII sec., Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Firenze

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/T7OZ4U/84-000359.jpg Paolo Veronese, S. Antonio tormentato dai demoni, XVI sec., musée du Louvre, Parigi

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/H67MF/08-509512.jpg Grégoire Huret, S. Antonio scaccia i demoni con la Croce, XVII sec., The Metropolitan Museum of Art, New York

http://www.wga.hu/art/a/angeli/immacula.jpg Giuseppe Angeli, L'Immacolata Concezione tra i SS. Antonio abate, Lorenzo Giustiniani, Agostino e Bernardo di Mentone, 1765, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia

http://img53.imageshack.us/img53/1215/slika407hg.jpg Antonio Paroli, SS. Antonio abate ed Antonio di Padova, XVIII sec., Narodni galeriji, Lubiana

http://img115.imageshack.us/img115/6500/lanfrancoschleier015806et2.jpg Giovanni Lanfranco, Madonna col Bambino con i SS. Antonio abate e Giacomo Maggiore, 1622-23 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Augustinus
17-01-09, 18:38
http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.ALI.816630.7055475/33439.JPG Paolo Veronese, SS. Antonio abate, Cornelio e Cipriano con un paggio, Pinacoteca di Brera, Milano

http://www.aiwaz.net/uploads/gallery/holy-family-with-st-anthony-abbot,-st-catherine-and-the-infant-john-the-baptist-4286-mid.jpg Paolo Veronese, Sacra Famiglia con i SS. Caterina, Giovannino ed Antonio abate, detta anche Pala Giustiani, 1551, chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/MUSEIL20/Budrio/BO015/BO015_01/0035.JPG Ludovico Carracci, La Madonna col Bambino in gloria ed i SS. Antonio abate, Giovanni Evangelista (?), Andrea, Benedetto e Luigi re, 1600-49, Pinacoteca Civica "Domenico Inzaghi", Budrio

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/piacenza/farnese/10593273/1332/IMG0039.JPG Giovan Battista Trotti detto il Malosso, Madonna con Bambino, ed i SS. Antonio Abate e Giovanni evangelista, 1599, Musei Civici di Palazzo Farnese, Piacenza

http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/museil20/Rimini/RN028/RN028_01/100PQ.JPG Guido Cagnacci, S. Antonio abate tra i SS. Pantaleone e Giovanni Ospitaliere, XVII sec., Museo della Città, Rimini

Holuxar
17-01-17, 21:15
17 gennaio 2017: Sant’Antonio Abate…








Sant'Antonio Abate - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santantonio-abate/)
http://www.sodalitium.biz/santantonio-abate/
“17 gennaio, Sant’Antonio Abate (+357). Anacoreta vissuto e morto nel deserto della Tebaide.
Ci rallegriamo con voi, o glorioso S. Antonio, che dopo di aver servito Dio nelle solitudini dell’Egitto tanti anni, fra tentazioni e penitenze, meritaste di fare una morte preziosa al cospetto del Signore. Noi, incerti della nostra eterna salvezza, ricorriamo al vostro aiuto per eccitare in noi il divino timore e lo spirito della santa orazione, disponendoci così a conseguire dalla misericordia di Dio la grazia di santamente morire. Così sia.”


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/Amiens-Bibl.-mun.-ms.-Lescalopier-017-215x300.jpg











“Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/)
Nella Tebàide sant’Antonio Abate, il quale, padre di molti Monaci, visse celeberrimo per la vita e miracoli; le sue gesta furono descritte da sant’Atanasio in un celebre volume. Il suo sacro corpo però, sotto l’imperatore Giustiniano, fu ritrovato per divina rivelazione, portato ad Alessandria e sepolto nella chiesa di san Giovanni Battista.
Vita e detti dei Padri del deserto (http://www.sursumcorda.cloud/component/tags/tag/18-vita-e-detti-dei-padri-del-deserto.html)
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare sant’Antonio Abate e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Abate, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, sant’Antonio Abate possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr (https://www.facebook.com/hashtag/sdgcdpr)”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/15978067_1244245815611825_3473651727243104208_n.jp g?oh=1148a462bec760078c9d9223cecad46a&oe=590DBC6E






"Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/)
Sant'Antonio Abate pregate per tutti noi e benedite i nostri animali. Così sia."



https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/16114603_1244692872233786_4912469493052047176_n.jp g?oh=0d208f41276a0b86739e410c9da4bea1&oe=58D88B0F













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“17 GENNAIO 2017: SANT'ANTONIO, ABATE E CONFESSORE”


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Guéranger, L'anno liturgico - 17 gennaio. Sant'Antonio, Abate (http://www.unavoce-ve.it/pg-17gen.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-17gen.htm

"17 GENNAIO

SANT'ANTONIO, ABATE

Oggi, l'Oriente e l'Occidente si uniscono per celebrare il Patriarca dei Cenobiti, il grande Antonio. Prima di lui, la professione monastica già esisteva, come dimostrano irrefutabili documenti; ma egli appare come il primo degli Abati, perché costituì per primo sotto una forma permanente le famiglie dei monaci, consacrati al servizio di Dio sotto la guida d'un pastore.

Dapprima ospite della solitudine e famoso per le sue lotte con i demoni, ha accolto attorno a sé i discepoli che le sue opere meravigliose e il fascino della perfezione gli avevano acquistati; e il deserto ha visto, con lui, iniziare la vita monastica. L'era dei Martiri volge alla fine; la persecuzione di Diocleziano sarà l'ultima; è tempo per la Provvidenza, che veglia sulla Chiesa, d'inaugurare una nuova milizia. È tempo che si riveli pubblicamente nella società cristiana il carattere del monaco; gli Asceti, anche consacrati, non bastano più. Sorgeranno da ogni parte i monasteri, nei deserti e finanche nelle città, ed i fedeli avranno d'ora in poi sotto gli occhi, come un incoraggiamento ad osservare i precetti di Cristo, la pratica devota e letterale dei suoi consigli. Le tradizioni apostoliche della preghiera continua e della penitenza non si spegneranno più, la dottrina sacra sarà coltivata con amore, non passerà tempo che la Chiesa andrà a cercare in quelle roccaforti spirituali i suoi più validi difensori, i suoi più santi Pontefici e i suoi più generosi Apostoli.

L'esempio d'Antonio ispirerà infatti i secoli avvenire; ci si ricorderà che le attrattive della solitudine e le dolcezze della contemplazione non poterono trattenerlo nel deserto, e che egli venne ad Alessandria, nel cuore della persecuzione pagana, per incoraggiare i cristiani nel martirio. Non si dimenticherà nemmeno che in un'altra lotta ancora più terribile, quella contro l'Arianesimo, egli riapparve nella grande città per predicarvi il Verbo consustanziale al Padre, confessarvi la fede di Nicea e sostenere il coraggio degli ortodossi. Chi potrebbe mai ignorare i legami che univano Antonio al grande Atanasio, o non ricordare che questo illustre campione del Figlio di Dio visitava l'altro Patriarca nel profondo del deserto, procurava in tutti i modi l'avanzamento dell'opera monastica, poneva nella fedeltà dei monaci la speranza della salvezza della Chiesa e volle scrivere egli stesso la vita dell'amico?

È in questo meraviglioso racconto che si impara a conoscere Antonio; è qui che si rivela la grandezza e la semplicità di quell'uomo che fu sempre così vicino a Dio. A diciotto anni, già erede d'una considerevole fortuna, sente leggere in chiesa un passo del Vangelo in cui nostro Signore consiglia a chi vuol tendere alla vita perfetta di disfarsi di tutti i beni terreni. Non gli occorre altro: egli si libera subito di tutto ciò che possiede e si fa povero volontario per tutta la vita.

Lo Spirito Santo lo spinge allora verso la solitudine, dove le potenze infernali hanno piazzato tutte le loro batterie per far retrocedere il soldato di Dio; si direbbe che Satana abbia compreso che il Signore ha deciso di costruirsi una città nel deserto e che Antonio è inviato per eseguirne i piani. Comincia la lotta corpo a corpo con gli spiriti maligni, e il giovane Egiziano rimane vincitore a forza di sofferenze. Egli ha conquistato quella nuova arena nella quale si compirà la vittoria del cristianesimo sul Principe del mondo.

Dopo venti anni di lotte che l'hanno agguerrito, la sua anima si è fissata in Dio; e allora appunto è rivelato al mondo. Malgrado i suoisforzi per restare nascosto, bisogna che risponda agli uomini che vengono a consultarlo e a chiedere le sue preghiere. Si raccolgono attorno a lui dei discepoli, ed egli diventa il primo degli Abati. Le sue lezioni sulla perfezione cristiana sono accolte con avidità; il suo insegnamento è tanto semplice quanto profondo, e non scende dalle altezze sublimi della contemplazione se non per incoraggiare le anime. Se i suoi discepoli gli chiedono quale è la virtù più adatta per sventare i disegni dei demoni, e per condurre sicuramente l'anima alla perfezione, risponde che la virtù principale è la discrezione.

I cristiani d'ogni condizione accorrono per contemplare questo anacoreta la cui santità e i cui miracoli sono famosi in tutto l'Oriente. Si aspettano qualche cosa di emozionante, e non vedono invece che un uomo dall'aspetto tranquillo, di umore dolce e gradevole. La serenità del volto rispecchia quella dell'anima. Non rivela né inquietudine nel vedersi circondato dalla folla, né vana compiacenza ai disegni di stima e di rispetto che gli si offrono, poiché la sua anima, le cui passioni sono tutte soggiogate, è diventata la dimora di Dio.

Non è fatto per i filosofi che vogliono esplorare la meraviglia del deserto. Vedendoli giungere, Antonio rivolge loro per primo la parola: "Perché dunque, o filosofi, vi siete preoccupati tanto per venire a visitare un insensato?". Sconcertati per tale accoglienza, quegli uomini gli risposero che non lo credevano tale, ma che erano al contrario convinti della sua grande sapienza. "Quand'è così, riprese Antonio, se mi credete savio, imitate la mia saggezza". Sant'Atanasio non ci dice se quella visita li portò alla conversione. Ma ne vennero altri che ardirono attaccare, in nome della ragione, il mistero di un Dio incarnato e crocifisso. Antonio sorrise sentendoli spacciare i loro sofismi e finì per dire loro: "Poiché siete così ben ferrati nella dialettica, rispondetemi, di grazia: A che cosa si deve maggiormente credere quando si tratta della conoscenza di Dio, all'azione efficace della fede o agli argomenti della ragione?". - "All'azione efficace della fede", risposero. - "Ebbene, riprese Antonio, per mostrarvi la potenza della nostra fede, ecco qui degli indemoniati: guariteli con i vostri sillogismi; se poi non vi riuscite e io vi riuscirò invece per opera della fede, e in nome di Gesù Cristo, confessate l'impotenza dei vostri ragionamenti e glorificate la croce che avete osato disprezzare". Antonio fece tre volte il segno della croce su quegli indemoniati, invocò il nome di Gesù su di essi, e subito furono liberati.

I filosofi erano sbalorditi e rimanevano muti. "Non crediate disse il santo Abate, che io abbia liberato per mia virtù questi indemoniati, ma unicamente per virtù di Gesù Cristo. Credete anche voi in lui, e proverete che non già la filosofia, bensì una fede semplice e sincera fa compiere i miracoli". Non si sa se quegli uomini finirono per abbracciare il cristianesimo, ma l'illustre biografo ci dice che se ne andarono, pieni di stima e d'ammirazione per Antonio, e confessarono che la loro visita al deserto non era stata inutile.

Frattanto, il nome di Antonio diventava sempre più celebre e giungeva fino alla corte imperiale. Costantino e i due principi suoi figli gli scrissero come a un padre, implorando da lui il favore d'una risposta. Il santo dapprima non volle; ma avendogli i suoi discepoli mostrato che gli imperatori dopo tutto erano cristiani e che avrebbero potuto ritenersi offesi del suo silenzio, scrisse che era lieto di sapere che essi adoravano Gesù Cristo, e li esortò a non abusare del loro potere così da dimenticare che erano uomini. Raccomandò la clemenza, l'esattezza nell'amministrare la giustizia, l'assistenza ai poveri e di ricordare sempre che Gesù Cristo è l'unico re vero ed eterno.

Così scriveva quest'uomo che era nato sotto la persecuzione di Decio, e che aveva sfidato quella di Diocleziano: sentir parlare di Cesari cristiani era per lui una cosa nuova. A proposito delle lettere della corte di Costantinopoli diceva: "I re della terra ci hanno scritto; ma che significa ciò per un cristiano? Se la loro dignità li ha elevati al disopra degli altri, la nascita e la morte non li rendono forse uguali a tutti? Ciò che deve commuoverci maggiormente e intensificare il nostro amore per Dio è il pensiero che questo sommo Maestro si è non solo degnato di scrivere una legge per gli uomini, ma anche parlato ad essi per mezzo del suo Figliuolo".

Tuttavia, tanta pubblicità data alla sua vita stancava Antonio, ed egli non vedeva l'ora di andarsi a sprofondare nuovamente nel deserto e ritrovarsi a faccia a faccia con Dio. I discepoli ormai erano formati: la sua parola e le sue opere li avevano ammaestrati; li lasciò dunque segretamente, e dopo aver camminato per tre giorni e per tre notti, giunse al monte Colzim, dove riconobbe la dimora che Dio gli aveva destinata. San Girolamo ci offre, nella Vita di sant'Ilarione, la descrizione di quella solitudine. "La roccia, egli dice, si staglia per un'altezza di mille passi: alla sua base sgorgano acque che la terra assorbe in parte; il resto scende a modo di ruscello, e il suo corso è fiancheggiato da un gran numero di palme che ne fanno un'oasi tranquilla e piacevole alla vista". Un'angusta anfrattuosità della roccia serviva di riparo all'uomo di Dio contro le intemperie.

L'amore dei suoi discepoli lo perseguitò, e lo scoprì ancora in quel lontano rifugio. Essi venivano spesso a visitarlo e a recargli del pane. Volendo risparmiar loro quella fatica, Antonio li pregò di procurargli una vanga, una scure e un po' di frumento, che seminò in un piccolo terreno. Sant'Ilarione, che visitò quei luoghi dopo la morte del grande patriarca, era accompagnato dai discepoli di Antonio che gli dicevano con rimpianto: "Qui egli cantava i salmi; là s'intratteneva con Dio nella preghiera; qui lavorava; là si riposava quando si sentiva stanco; egli stesso ha piantato questa vite e questi arbusti, egli stesso ha formato quest'aia, e ha costruito con fatica questo serbatoio per innaffiare l'orto". A proposito dell'orto, raccontarono al santo, che un giorno alcuni asini selvatici venuti a bere al serbatoio si misero a devastare le piantagioni. Antonio ordinò al primo di fermarsi, e colpendolo leggermente con il bastone al fianco, gli disse: "Perché mangi ciò che non hai seminato?". Le bestie si fermarono d'improvviso, e da allora non fecero più alcun danno.

Noi ci abbandoniamo al fascino di questi racconti. Ci vorrebbe un intero volume per riportarli tutti. Di tanto in tanto, Antonio scendeva dalla montagna, e veniva ad incoraggiare i suoi discepoli nelle diverse stazioni che avevano nel deserto. Una volta andò anche a visitare la sorella in un monastero di vergini, dove l'aveva messa, prima di lasciare egli stesso il mondo. Infine, essendo giunto ai cento e cinque anni, volle vedere ancora una volta i monaci che abitavano la prima montagna della catena di Colzim, e annunziò loro la sua prossima dipartita per la patria. Appena tornato al suo eremo, chiamò i due discepoli che lo servivano da quindici anni a causa dell'indebolimento delle sue forze, e disse loro: "Diletti figli, ecco l'ora in cui, secondo il linguaggio della sacra Scrittura, io entrerò nella via dei miei padri. Vedo che il Signore mi chiama, e il mio cuore brucia dal desiderio di unirsi a lui nel cielo. Ma voi, figli miei, viscere dell'anima mia, non perdete, per un dannoso rilassamento, il frutto del lavoro al quale vi siete dedicati da tanti anni. Immaginate ogni giorno di non fare altro che entrare al servizio di Dio e compierne gli esercizi: in questo modo, la vostra buona volontà sarà più forte eandrà sempre aumentando. Sapete bene quali inganni ci tendano i demoni. Siete stati testimoni dei loro furori ed anche delle loro debolezze. Legatevi inscindibilmente all'amore di Gesù Cristo; affidatevi completamentea lui e vincerete la malizia di quegli spiritiperversi. Non dimenticate maii vari insegnamenti che vi ho dati; ma vi raccomando soprattutto di pensare che ogni giorno potete morire".
Ricordò quindi l'obbligo di non avere alcuna relazione con gli eretici, e chiese che il suo corpo fosse sepolto in un luogo segreto e noto soltanto ad essi. "Quanto agli abiti che io lascio - aggiunse - ecco come li destinerete: darete al vescovo Atanasio una delle mie tuniche insieme con il mantello che egli mi aveva portato nuovo e che gli restituisco usato". Era un secondo mantello che il grande dottore aveva donato ad Antonio, avendo quest'ultimo usato il primo per seppellire il corpo dell'eremita Paolo. "Darete - riprese il santo - la seconda tunica al vescovo Serapione, e terrete per voi il mio cilicio". Quindi, sentendo che era giunto l'ultimo istante, volse lo sguardo ai due discepoli: "Addio - disse loro - figli diletti, il vostro Antonio se ne va, e non è più con voi".

Con questa semplicità e con questa grandezza si inaugurava la Vita monastica nei deserti dell' Egitto, per irradiarsi di lì in tutta la Chiesa; ma a chi renderemo gloria per una simile istituzione alla quale saranno d'ora in poi legati i destini della Chiesa, sempre forte quando trionfa l'elemento monastico e sempre debole quando esso è in decadenza? Chi ispirò ad Antonio e ai suoi discepoli l'amore di quella vita nascosta e povera ma insieme feconda, se non ancora una volta il mistero degli abbassamenti del Figlio di Dio? Torni dunque tutto l'onore dall'Emmanuele umiliatosi sotto i suoi miseri panni e tuttavia ripieno della forza di Dio.


VITA. - Sant'Antonio nacque a Comon, in Egitto, nel 251. Avendo sentito leggere le parole del Vangelo: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri", le seguì immediatamente alla lettera e si ritirò nella solitudine. Vi subì gli attacchi dei demoni che superò con la penitenza e l'invocazione del nome di Gesù. Morì nel 356 sul monte Kolzim, presso il Mar Rosso. La sua vita fu scritta dal vescovo sant'Atanasio e le sue reliquie sono conservate a S. Giuliano d'Arles.

Noi ci uniamo alla Chiesa intera, o beato Antonio, per offrirti gli omaggi della nostra venerazione e per esaltare i doni che l'Emmanuele ti ha prodigati. Come è stata sublime la tua vita, e come feconde le tue opere! Tu sei veramente il padre d'un gran popolo e uno dei più potenti ausiliari della Chiesa di Dio. Prega dunque per l'Ordine Monastico, e ottieni che esso rinasca e si rigeneri nella società cristiana. Prega anche per ciascuno dei membri della grande famiglia della Chiesa. Spesso, la tua grande intercessione è stata utile ai nostri corpi, spegnendo gli ardori esiziali che li consumavano; degnati di continuare ad esercitare questo benefico potere. Ma guarisci soprattutto le nostre anime, troppo spesso consumate da fiamme ancora più pericolose. Veglia su di noi nelle tentazioni che il nemico non cessa di suscitarci; rendici vigilanti contro i suoi attacchi, prudenti nel prevenire le occasioni funeste, fermi nella lotta, umili nella vittoria. L'angelo delle tenebre appariva a te sotto forme sensibili; per noi, troppo spesso, egli simula i suoi colpi. Che non abbiamo ad essere vittima dei suoi inganni! Il timore dei giudizi di Dio e il pensiero dell'eternità dominino tutta la nostra vita; sia la preghiera il nostro frequente ricorso, e la penitenza la nostra difesa. Infine e soprattutto, secondo il tuo consiglio, o Pastore delle anime, ci riempia in misura sempre più grande l'amore di Gesù; di Gesù che si è degnato di nascere quaggiù per salvarci e per meritarci le grazie per mezzo delle quali vinceremo, di Gesù che si è degnato di soffrire la tentazione, per insegnarci come vi si debba resistere.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 332-338"







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17 gennaio - S. Antonio, abate (https://forum.termometropolitico.it/279026-17-gennaio-s-antonio-abate.html)





Luca, Sursum Corda!

Holuxar
17-01-18, 23:26
17 GENNAIO 2018: SANT'ANTONIO, ABATE E CONFESSORE…



"Sant’Antonio Abate, 17 gennaio"
"Guéranger, L'anno liturgico - 17 gennaio. Sant'Antonio, Abate"
Guéranger, L'anno liturgico - 17 gennaio. Sant'Antonio, Abate (http://www.unavoce-ve.it/pg-17gen.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-17gen.htm
“17 GENNAIO SANT'ANTONIO, ABATE.”





http://www.sodalitium.biz/santantonio-abate/
“17 gennaio, Sant’Antonio Abate (+357). Anacoreta vissuto e morto nel deserto della Tebaide.
“Nella Tebàide sant’Antonio Abate, il quale, padre di molti Monaci, visse celeberrimo per la vita e miracoli; le sue gesta furono descritte da sant’Atanasio in un celebre volume. Il suo sacro corpo però, sotto l’imperatore Giustiniano, fu ritrovato per divina rivelazione, portato ad Alessandria e sepolto nella chiesa di san Giovanni Battista”.
Ci rallegriamo con voi, o glorioso S. Antonio, che dopo di aver servito Dio nelle solitudini dell’Egitto tanti anni, fra tentazioni e penitenze, meritaste di fare una morte preziosa al cospetto del Signore. Noi, incerti della nostra eterna salvezza, ricorriamo al vostro aiuto per eccitare in noi il divino timore e lo spirito della santa orazione, disponendoci così a conseguire dalla misericordia di Dio la grazia di santamente morire. Così sia.”


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www.sursumcorda.cloud
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"+ Gloriosissimo S. Antonio, esempio luminoso di penitenza e di fortezza cristiana, ardente di zelo per la salvezza delle anime e di carità per il bene del prossimo, Voi che otteneste da Dio la speciale virtù di liberare l'aria, la terra, il fuoco e gli animali da ogni morbo e da ogni malefica influenza, fate che con una santa vita imitiamo le vostre eroiche virtù e che anche quaggiù in terra sperimentiamo il vostro valevole patrocinio, ricevendo copiosissime le vostre benedizioni su tutto ciò che serve
per la nostra alimentazione e pei nostri lavori, sui corpi e sulle anime nostre. Così sia. +"


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Ligue Saint Amédée (http://www.saintamedee.ch/)
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17 janvier : Saint Antoine, Abbé, Premier Père des Solitaires d'Égypte (251-356) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/17-janvier-saint-antoine-abbe)
“17 janvier : Saint Antoine, Abbé, Premier Père des Solitaires d'Égypte (251-356).”


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17 janvier : Apparition de Notre-Dame de Pontmain :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/notre-dame-de-pontmain)
“17 janvier _ Apparition de Notre-Dame de Pontmain. L’histoire de l’Apparition Pontmain le 17 janvier 1871.”


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17 Gennaio - Sant'Antonio Abate (http://www.preghiereperlafamiglia.it/sant-antonio-abate.htm)
http://www.preghiereperlafamiglia.it/sant-antonio-abate.htm
“17 GENNAIO SANT'ANTONIO ABATE
Coma, Egitto, 250 ca. – Tebaide (Alto Egitto), 17 gennaio 356.
Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell'Egitto, intorno al 250, a vent'anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l'Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l'esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea. Nell'iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore. (Avvenire)
TRIDUO a SANT' ANTONIO ABATE.
I.Glorioso S. Antonio, nostro potente avvocato, ci prostriamo innanzi a voi. Sono innumerevoli i mali, le angustie che da ogni parte ci affliggono. Siate voi pertanto, o grande S. Antonio, il nostro consolatore; liberateci da tutte le afflizioni che continuamente ci tormentano. E, mentre la pietà dei fedeli vi scelse a protettore contro le infermità che possono colpire ogni genere di animali, fate che questi siano sempre liberi da ogni disgrazia, affinché prestandosi ai nostri bisogni temporali possiamo essere più spediti a raggiungere la nostra Patria celeste. Pater, Ave, Gloria.
Il. Glorioso S. Antonio, che arricchito fin dall'infanzia delle benedizioni del cielo, vi distaccaste da tutto quello che sa di terra, e, seguendo i consigli del vangelo, voleste condurre la vita nel silenzio dei deserti; impetrate anche a noi la ritiratezza e la solitudine del cuore, per disporci a ricevere da Dio il dono della grazia e gli aiuti necessari per migliorare la nostra vita. Fate ancora, o benignissimo Santo, che sia allontanata dai nostri animali ogni malattia e disgrazia; così potremo sempre più lodarvi, ringraziarvi ed imitarvi. Pater, Ave, Gloria.
III. Ci rallegriamo con voi, o glorioso S. Antonio, che dopo di aver servito Dio nelle solitudini dell'Egitto tanti anni, fra tentazioni e penitenze, meritaste di fare una morte preziosa al cospetto del Signore. Noi, incerti della nostra eterna salvezza, ricorriamo al vostro aiuto per eccitare in noi il divino timore e lo spirito della santa orazione, disponendoci così a conseguire dalla misericordia di Dio la grazia di santamente morire. Così sia.
Pater, Ave, Gloria.”







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“17 GENNAIO 2018: SANT'ANTONIO, ABATE E CONFESSORE.”


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https://www.radiospada.org/2018/01/santantonio-abate-in-sardegna-il-santo-del-fuoco/
“Sant’Antonio abate in Sardegna: il Santo del fuoco di Giuliano Zoroddu
Il 17 gennaio, dall’Oriente all’Occidente, è sacro alla memoria di sant’Antonio Abate.
La vicenda di questo Patriarca del deserto inizia quando, rimasto orfano ancora adolescente e con una sorella a carico, ascolta in chiesa le parole del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi quanto hai, e dallo ai poveri» (Matth. XIX, 21). Come se in quel momento il Signore le rivolgesse a lui, il giovanotto vendette ogni suo possesso e, provveduto al mantenimento della sorella in un monastero femminile, si ritirò nel deserto a condurre sulla terra un genere di vita celeste. Qui divenne padre e maestro di molti altri monaci, nonché sostegno per i Martiri durante la persecuzione di Massimino Daia e conforto per i Confessori della Fede Cattolica al tempo in cui Ario devastava con la sua eresia la vigna del Signore. Dopo ottantasette anni di lotta col demonio e di intima vita con Dio, Antonio spirò la bell’anima a centocinque anni d’età, il 17 febbraio 356.
La sua vita, scritta da sant’Atanasio (che ebbe modo di frequentarlo), diventò ben presto un best seller in tutta la Cristianità, anche grazie agli spostamenti continui che il santo Vescovo d’Alessandria dovette sopportare a motivo della persecuzione di cui lo facevano oggetto gli Ariano in odio alla fede cattolica.
Ma la diffusione massima del culto e della devozione verso sant’Antonio abate la si ebbe a partire dall’XI secolo in concomitanza con la diffusione del morbo dell’Herpes zoster detto anche “fuoco sacro” e noto ai più come “fuoco di sant’Antonio”, che i Canonici Ospedalieri Antoniani usavano curare con balsami prodotti col grasso dei maiali – un maialino sempre accompagna il Santo nell’iconografia – le cui carni servivano inoltre per sostentare gli infermi.
Su questa base storica si svilupparono lungo i secoli le varie tradizioni dei popoli cristiani, fra le quali quelle dei fuochi che vengono accesi il 16 gennaio, ai primi vespri di sant’Antonio. Chi scrive è sardo e ben consoce quest’usanza, diffusa anche altrove (si pensi alla imponente Fòcara di Novoli, in provincia di Lecce).
Dice la leggenda, insegnata ad ogni bimbo, che essendo ancora la terra tutta ghiacciata a causa della mancanza del fuoco, sant’Antonio, pieno d’amore per gli uomini decise di discendere all’Inferno per strappare al Diavolo quest’elemento. Riuscito con l’astuzia e con l’aiuto del fido porcellino a nascondere dentro una canna di ferula una scintilla del fuoco infernale, fece ritorno sulla terra. Quindi il Santo agitò il bastone dicendo: «Focu focu, peri su locu, peri su mundu, focu iucundu» (Fuoco, fuoco, in ogni luogo, in tutto il mondo, fuoco giocondo) e così i mortali ebbero il fuoco. Un sant’Antonio prometeico insomma. Per questo motivo è una costante di tutta l’Isola, seppur nelle differenti declinazioni locali, innalzare in onore del Santo – invocato appunto come “Sant’Antoni ‘e su fogu” (sant’Antonio del fuoco) – dei falò attorno ai quali si accende oltre alla sentita devozione verso il Taumaturgo, la gioviale fraternità: al cibo spirituale per l’anima segue quello materiale per il corpo. Il Cattolicesimo Romano dopotutto non è una religione spiritualista, gnostica, ma la religione del Verbo Incarnato, del Dio che salva l’uomo nell’anima e nel corpo. E sempre per lo stesso motivo Iddio, che per la salvezza del genere umano si degnò assumere la natura umana e un vero corpo di carne, si serve anche della materia per porgere la grazia ai suoi fedeli, la materia – il fuoco, i carboni che ne rimangono, i pani, i dolci – benedetta e purgata da eventuali presenze diaboliche funge quasi da sacramentale per fugare il diavolo che come leone ruggente cerca costantemente di farci soccombere. Ma per evitare le fiamme dell’Inferno non bastano i sacramentali o gli oggetti benedetti! Lo stesso Santo ce lo ricorda: «Credete a me, fratelli – diceva – Satana teme le pie veglie, le preghiere, i digiuni, la povertà volontaria, la misericordia e l’umiltà, massimamente poi l’amore ardente a Cristo Signore, al cui solo segno della santissima Croce fugge spossato» (Lectio VI ad Matutinum). Invochiamo quindi sant’Antonio perché ci scampi dalle malattie, dal fuoco e dagli altri mali, ma ancor di più perché ci assista nell’evitare il fuoco eterno con una vita santa. Perciò vogliamo concludere con una strofa dei gosos (lodi) cantati in onore del Santo nel paese di chi scrive:
Ca sedes de grande fama
Contra su focu infernale,
In custa vida mortale
Contra su focu Bos giamant
Dogni babbu e dogni mama
Ca sedes miraculosu.
De sos dimonios turmentu
Sant’Antoni gloriosu!
Traduzione: Poiché grande è la vostra fama
Contro il fuoco infernale,
In questa vita mortale
Vi invoca contro il fuoco
Ogni padre e ogni madre
Poiché siete miracoloso.
Dei demoni tormento,
sant’Antonio glorioso!”




Luca, Sursum Corda!