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Visualizza Versione Completa : L'insostenibile leggerezza di chi parla per slogan



Davide (POL)
27-01-04, 20:09
C’è tutta una serie di termini, in materia di agricoltura e più in generale di produzione del cibo, che riscuotono un certo successo. L’uso continuato e ossessivo di queste parole spesso ne fa perdere di vista il vero significato e così diventano più un modo per infarcire un bel discorso piuttosto che per parlare di programmi concreti e d’intenzioni da realizzare.
bR>Mi riferisco a parole come «qualità», «tracciabilità», «biologico» e lo stesso «gusto». Un termine che comincia a essere molto utilizzato, ma che spesso non risulta ancora molto chiaro, è «sostenibile» o «sostenibilità». Cosa si intende quando si parla di agricoltura sostenibile, di produzione sostenibile, di consumo sostenibile? Come facciamo a giudicare se un prodotto è sostenibile o insostenibile? Dovremmo sapere quali sono le conseguenze ecologiche di questo prodotto, dal campo fino alla tavola; dovremmo riuscire ad avere la garanzia che sia sano e sicuro; dovremmo capire se la sua produzione assicura posti di lavoro e mezzi di sostentamento, se non danneggia le economie dei Paesi più poveri. Non è facile: spesso queste informazioni non sono reperibili o sono travisate. Ma non è facile neanche realizzare questa sostenibilità perché impone a noi occidentali un serio confronto con i nostri stili di vita e le nostre abitudini, che non riusciamo a considerare in un ottica di tipo sostenibile, per l’appunto. Ma andiamo per ordine. Innanzi tutto, va detto che c’è un bisogno urgente di «sostenibilità». Anche questo non è scontato: l’umanità continua ad eccedere del 30-50 per cento nell’uso della biosfera e il 20 per cento della popolazione mondiale consuma l’80 per cento delle risorse mondiali.
È il caso di continuare a far finta di niente? Secondo, l’informazione: è più sostenibile una banana biologica del Costa Rica, le carote biologiche venete vendute a bancali in Germania o il pane del panettiere del proprio territorio? Le banane fanno migliaia di chilometri, ma in nave, che inquina meno dei tir che portano le carote in Germania. Il piccolo panettiere magari non sfrutta a fondo il suo forno e questo crea addirittura un dispendio di energie maggiore. Ma i lavoratori del Costa Rica, come sono trattati? E le carote biologiche, se diventano monocoltura estesa, sono più sostenibili di quelle magari un po’ trattate dal contadino che le coltiva soltanto per sé stesso?
L’informazione gioca un ruolo fondamentale e i tre pilastri della sostenibilità, che dovrebbero avere tutti lo stesso peso e dovrebbero essere chiari ai consumatori sono: tutela ambientale, giustizia sociale e fattibilità economica. Spesso ambiente e equilibri sociali sono sacrificati in nome del vil denaro; spesso in nome della tutela ambientale si sacrifica il benessere e la gratificazione dei lavoratori. Terzo: siamo sicuri che l’idea di una produzione sostenibile si sia fatta tanta strada nelle menti degli agricoltori del mondo? Se guardiamo al futuro, possiamo immaginare tre tipi di scenario. Potrebbe essere plausibile una polarizzazione ancora più marcata tra un segmento di massa e uno di altissima qualità. La produzione di massa spopola, cresce mentre i processi di trasformazione restano nell’ombra, regna l’informazione pubblicitaria, trionfa il gusto omologato. Oppure potrebbe succedere che i metodi di produzione si mescolino con i segmenti di mercato, e allora trionfa il biologico che negli ultimi anni ha avuto un buon successo: vero o falso che sia, più che altro come immagine. Tutto biologico; monoculture per la grande distribuzione che riducono la biodiversità e deturpano i paesaggi anche se non inquinano; si vende di più un’idea di stile di vita che un effettivo metodo produttivo sostenibile.
Infine, ed è ciò che sarebbe auspicabile, se si comincia a dire la «verità sui costi», si assisterà a grandi cambiamenti nel settore agroalimentare. Se nei costi di un prodotto si cominceranno a inserire e a calcolare l’inquinamento chimico, la riduzione di biodiversità, l’impatto sociale e culturale sulle nostre campagne e nei confronti dei paesi più in difficoltà, i consumatori non saranno tanto disposti a sobbarcarseli. A quel punto saremo in grado di decidere se è più «sostenibile» il pane del panettiere locale o quello in cassetta industriale. Perché in fondo la sostenibilità è una questione di giudizio e di coscienza e, informati, dobbiamo poter esercitare questo diritto.

Carlo Petrini
Tratto da Agricoltura - La Stampa del 25/01/2003
www.slowfood.it
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