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Davide (POL)
15-02-04, 20:09
Agricoltura Cibo e petrolio

"Il grano sta al mondo vegetale come un barile di petrolio raffinato sta al mondo degli idrocarburi: la forma più concentrata di autentica ricchezza che esista sul pianeta”, scrive Richard Manning su Harper’s.

Non a caso “di questi tempi è quasi scontato dire che ricorriamo alle armi per difendere il petrolio, non il cibo. Ma questo giudizio contiene una componente paradossale”. Infatti, spiega Manning, “non appena ci allontaniamo dalla terra coltivabile, il cibo è petrolio. Nel senso che dietro a ogni singola caloria che mangiamo c’è almeno una caloria di petrolio. Ma si può arrivare a un rapporto di uno a dieci”. Perché? “La coltura principale dell’America, il mais, è del tutto immangiabile”. Dev’essere lavorato per poterlo utilizzare. E questo richiede petrolio: “L’agricoltura, in questo paese, non riguarda direttamente il cibo; riguarda beni che richiedono un consumo di quantità sempre maggiori di energia per diventare cibo”.

Da qui all’interpretazione in chiave energetica e alimentare della guerra in Iraq il passo è breve. Manning la suggerisce scegliendo come epigrafe una frase di Honoré de Balzac: “Dietro una grande ricchezza di cui non si conosce la fonte è nascosto un crimine dimenticato, dimenticato perché è stato compiuto in modo pulito”.

Harper's Magazine
Stati Uniti
febbraio 2004


Nella vecchia fattoria

Due miliardi e mezzo di persone, nel mondo, vivono di agricoltura. Tra loro 900 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Quattro multinazionali controllano più dell’80 per cento del mercato dei semi e il 75 per cento del mercato agro-chimico mondiale. Sei compagnie controllano il commercio del grano e altre quindici il 90 per cento delle vendite di caffè.

Cosa sta succedendo? La nascita dell’“agribusiness” – la conquista del mercato agricolo da parte di grandi gruppi industriali – ha rovinato migliaia di piccoli contadini, non solo nei paesi in via di sviluppo. “La crisi è globale”. scrive New Internationalist, “Anche l’ultimo simbolo dell’individualismo più ruvido, il cow boy, è una specie in via di estinzione.

La maggior parte dei ranchers del Nebraska sono sulla via del fallimento e svendono terra e bestiame per sopravvivere. Nel 1935 negli Stati Uniti c’erano 6,8 milioni di lavoratori agricoli; oggi non arrivano a 1,9 milioni. E la principale causa di morte tra gli agricoltori è il suicidio”. Ma la nuova “rivoluzione verde” riguarda tutti, non solo i produttori. Perché la catena alimentare comincia nei campi, ma finisce sulle nostre tavole.

New Internationalist
Gran Bretagna
febbraio 2003


Agricoltura Intensiva e costosa

Il sistema agricolo statunitense fondato sull’agricoltura industriale ha un impatto pesante sull’ambiente e sulla società a livello globale. A questa conclusione giunge il libro Fatal harvest: the tragedy of industrial agricolture edito della Deep Ecology attualmente impegnata in una campagna per lo sviluppo delle colture biologiche. I dati presentati dalla fondazione prospettano un futuro poco rassicurante.

Il processo di industrializzazione rilascia nell’ambiente pesticidi e sostanze tossiche che poi ritroviamo nel nostro piatto: secondo l’agenzia per la protezione ambientale statunitense, più di un milione di cittadini americani beve acqua contaminata dai pesticidi e 165 di queste sostanze sembrano essere cancerogene. I danni non si fermano qui. L’impiego diffuso di antibiotici negli allevamenti sta aggravando il problema della resistenza ai farmaci dei batteri patogeni. La catena industriale che prevede ampio uso di veicoli per il trasporto contribuisce all’inquinamento atmosferico. Infine, esaminando anche i costi a lungo termine il quadro non migliora.

Gli americani spendono miliardi di dollari in tasse, per le cure mediche e per disinquinare l’ambiente: una spesa in continua crescita che la società continuerà a pagare per alimentare l’agricoltura intensiva.


The Ecologist
Gran Bretagna
novembre 2002