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Visualizza Versione Completa : Questioni di rito



Ferrer
19-09-02, 21:07
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Padre Pierre Blet, sj., professore di storia della Chiesa all'Università Gregoriana, noto per la sua apologia di papa Pio XII contro l'accusa di antisemitismo, ha rilasciato una intervista a proposito dei rapporti tra Roma e la Fraternità San Pio X, fondata da mons. Lefebvre, e sull'atteggiamento della Santa Sede nei confronti della messa tradizionale. L'intervista è riportata nella rivista di Una Voce-Francia ("Una voce", Paris, luglio-agosto 2002). Padre Blet ritiene che al presente esistano indicazioni che una intesa possa essere raggiunta. Padre Blet osserva che membri della Fraternità sono stati ricevuti assai calorosamente in occasione dell'anno santo, anche se poi le trattative hanno trovato impedimenti, dovuti soprattutto alla questione dell'accettazione del Vaticano II.

Sul problema della messa, alcuni cardinali di Curia, e non tra i meno importanti, sarebbero pronti ad accettare la messa di san Pio V. Alcuni di loro l'hanno anche celebrata pubblicamente. Il padre Blet rende nota una informazione rimasta finora confidenziale: "Il Papa stesso ha celebrato questa messa durante le sue ultime vacanze". Riporta altresì l'osservazione di un cardinale secondo il quale in una città del Medio Oriente, ove era stato in missione, la messa è celebrata in una decina di riti diversi. "In tali circostanze - si chiedeva il porporato - perché non si può accettare che in Occidente vi siano due riti?". Padre Blet aggiunge: "La Curia è pronta a fare concessioni in questo campo".

tranensis
20-09-02, 12:59
Ringrazio molto il carissimo Ferrer per l'importante notizia riportata. Si tratterebbe in effetti, soprattutto se il fatto venisse in qualche modo confermato a livello "ufficiale", di un ulteriore inequivocabile segno di quella "volontà correttiva" che il Santo Padre, sostenuto dal Cardinale Prefetto, sta manifestando con particolare vigore in quest' ultima parte del Pontificato.

Preghiamo dunque il Signore affinchè, per intercessione della Sua Santissima Madre, dalla Santa Sede possano provenire ulteriori atti di coraggio nella decisiva battaglia per la permanenza e la continuità della Santa Fede Cattolica.

Saluti affettuosi.

In Jesu et Maria.

Tranensis

cm814
20-09-02, 15:51
Non credo basti permettere la messa in rito tridentino..... almeno a me non basta. Io vorrei che, andando a Catania, la domenica, io possa trovare una chiesa in cui si celebri in tal modo, senza spettare che, alla tua questua, il vescovo risponda positivamente. Insomma, deve essere la Chiesa ad assumersi in carico il rito tridentino, deve essere una cosa normale..... non deve essere una "concessione". Si era fatto qualche passo con Ecclesia Dei, ma non capisco per quale ragione, poi, le direttive papali siano state disattese.

Bellarmino
20-09-02, 19:05
Mi auguro vivamente e pregherò, affinchè il rito di San Pio V non sia mai celebrato nelle chiese wojtyliane!
Non sono diventato pazzo e non sono neppure ubriaco.
Meglio che le gerarchie materialiter continuino a distribuire l'ostia sulla mano ai fedeli "consacrata" col nuovo rito in volgare, ovvero invalidamente, piuttosto che assistere al compimento di un'infinità di sacrilegi a causa della distribuzione sulle mani di ostie validamente consacrate durante il rito di San Pio V.
Dalla peste modernista libera nos, Domine.
Bellarmino

cm814
21-09-02, 10:08
Originally posted by Bellarmino
Mi auguro vivamente e pregherò, affinchè il rito di San Pio V non sia mai celebrato nelle chiese wojtyliane!
Non sono diventato pazzo e non sono neppure ubriaco.
Meglio che le gerarchie materialiter continuino a distribuire l'ostia sulla mano ai fedeli "consacrata" col nuovo rito in volgare, ovvero invalidamente, piuttosto che assistere al compimento di un'infinità di sacrilegi a causa della distribuzione sulle mani di ostie validamente consacrate durante il rito di San Pio V.
Dalla peste modernista libera nos, Domine.
Bellarmino

Non credo ciò accadrà.... se permettono il rito, devono rispettarlo in tutto. E quel rito, lo sappiamo, non lo permetteva. Deo gratias!!!! ;)

Ferrer
12-10-02, 20:52
SESSIONE XXII (17 settembre 1562) del Concilio Ecumenico di Trento.

Capitolo II

E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si immolò una sola volta cruentemente sull’altare della croce, il santo sinodo insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio, e che per mezzo di esso - se di vero cuore e con retta fede, con timore e riverenza ci avviciniamo a Dio contriti e pentiti - noi possiamo ottenere misericordia e trovare grazia in un aiuto propizio (340).

Placato, infatti, da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe anche gravi. Si tratta, infatti, della stessa, identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per mezzo dei sacerdoti, egli che un giorno si offrì sulla croce. Diverso è solo il modo di offrirsi. E i frutti di quella oblazione (di quella cruenta) vengono percepiti abbondantemente per mezzo di questa, incruenta, tanto si è lontani dal pericolo che con questa si deroghi a quella.

È per questo motivo che giustamente, secondo la tradizione degli apostoli, essa viene offerta non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni ed altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per i fedeli defunti in Cristo, non ancora del tutto purifrcati.

Capitolo III

E quantunque la chiesa usi talvolta offrire messe in onore e in memoria dei santi, essa, tuttavia, insegna che non ad essi viene offerto il sacrificio, ma solo a Dio, che li ha coronati.

Per cui, il sacerdote non è solito dire: Offro a te il sacrificio, Pietro e Paolo (341); ma ringrazio Dio per le loro vittorie, chiede il loro aiuto: perché vogliano intercedere per noi in cielo, coloro di cui celebriamo la memoria qui, sulla terra (342).

Capitolo IV

E poiché le cose sante devono essere trattate santamente, e questo è il sacrificio più santo, la chiesa cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro canone (343), talmente puro da ogni errore, da non contenere niente, che non profumi estremamente di santità e di pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com’è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli apostoli e istituito piamente anche i santi pontefici.

Capitolo V

E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.

Capitolo VI

Desidererebbe certo, il sacrosanto sinodo, che in ogni messa i fedeli che sono presenti si comunicassero non solo con l’affetto del cuore, ma anche col ricevere sacramentalmente l’eucarestia, perché potesse derivarne ad essi un frutto più abbondante di questo santissimo sacrificio.

E tuttavia, se ciò non sempre avviene, non per questo essa condanna come private e illecite quelle messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, ma le approva e quindi le raccomanda, dovendo ritenersi anche quelle, messe veramente comuni, sia perché il popolo in esse si comunica spiritualmente, sia perché vengono celebrate dal pubblico ministro della chiesa, non solo per sé, ma anche per tutti i fedeli, che appartengono al corpo di Cristo.

Capitolo VII

Il santo sinodo ricorda poi, che la chiesa ha comandato che i sacerdoti mischiassero dell’acqua col vino, nell’offrire il calice, sia perché si ritiene che Cristo signore abbia fatto così e poi anche perché dal suo fianco uscì insieme acqua e sangue (344): mistero che si commemora con questa mescolanza.

E poiché con le acque, nell’apocalisse del beato Giovanni vengono indicati i popoli (345), con ciò viene rappresentata l’unione dello stesso popolo fedele col capo, Cristo.

Capitolo VIII

Anche se la messa contiene abbondante materia per l’istruzione del popolo cristiano, tuttavia non è sembrato opportuno ai padri che dovunque essa fosse celebrata nella lingua del popolo.

Pur ritenendo, quindi, dappertutto l’antico rito di ogni chiesa, approvato dalla santa chiesa Romana, madre e maestra di tutte le chiese, perché, però, le pecore di Cristo non muoiano di fame, e i fanciulli chiedano il pane senza che vi sia chi possa loro spezzarlo (346), il santo sinodo comanda ai pastori e a tutti quelli che hanno la cura delle anime, di spiegare frequentemente, durante la celebrazione delle messe, personalmente o per mezzo di altri, qualche cosa di quello che si legge nella messa e, tra le altre cose, qualche verità di questo santissimo sacrificio, specie nei giorni di domenica e festivi.

Capitolo IX

Ma poiché in questo tempo sono stati disseminati molti errori, e molte cose si insegnano e vengano disputate da molti contro questa antica fede, fondata nel sacrosanto vangelo, sulle tradizioni degli apostoli e sulla dottrina dei santi padri, il sacrosanto sinodo, dopo molte e gravi discussioni su queste questioni, fatte con matura riflessione, per consenso unanime di tutti i padri ha stabilito di condannare ciò che è contrario a questa purissima fede e sacra dottrina e di eliminarlo dalla chiesa, con i canoni che seguono.



CANONI SUL SANTISSIMO SACRIFICIO DELLA MESSA

1. Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che con quelle parole: Fate questo in memoria di me (347), Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o che non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo corpo e il suo sangue, sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che col sacrificio della messa si bestemmia contro il sacrificio di Cristo consumato sulla croce; o che con esso si deroga all’onore di esso, sia anatema.

5. Chi dirà che celebrare messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la chiesa intende, è un’impostura, sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che il canone della messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo, sia anatema.

7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, le vesti e gli altri segni esterni, di cui si serve la chiesa cattolica nella celebrazione delle messe, siano piuttosto elementi adatti a favorire l’empietà, che manifestazioni di pietà, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che le messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, sono illecite e, quindi, da abrogarsi, sia anatema.

9. Se qualcuno dirà che il rito della chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la messa debba essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema.

cm814
13-10-02, 02:38
BEI TEMPI!!!!
Grazie Ferrer per queste belle pagine... per questa boccata di malinconia. :( :( :(

theophilus
13-10-02, 14:32
Una boccata di malinconia, ma soprattutto d'ortodossia.

Colombo da Priverno
03-03-03, 12:56
27-2-2003 - Corriere della Sera

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO - Il Papa vuole che nelle chiese torni «la bellezza della musica e del canto»: ne ha parlato ieri all’udienza generale, precisando che è necessario un «esame di coscienza» da parte dei responsabili, teso a «purificare» il culto da musiche e parole «sciatti» o non «consoni» alle celebrazioni. Giovanni Paolo II ha fatto questo richiamo commentando il salmo 150, che dice: «Lodate il Signore con l’arpa e con la cetra». «Bisogna pregare Dio - ha detto Wojtyla - non solo con formule teologicamente esatte, ma anche in modo bello e dignitoso». «A questo proposito - ha continuato - la comunità cristiana deve fare un esame di coscienza perché ritorni sempre più nella liturgia la bellezza della musica e del canto. Occorre purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti e poco consoni all’atto che si celebra». La questione è antica. Il Papa stesso ha citato questo brano della lettera dell’apostolo Paolo, che chiedeva agli Efesini di evitare «intemperanze e sguaiatezze», per lasciare spazio alla «purezza» degli inni sacri: «Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo».
Una questione antica che ha avuto grande attualità negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, quando - a seguito della riforma liturgica del Vaticano II - furono composti nuovi canti nelle lingue moderne ed entrarono nelle chiese strumenti musicali prima proibiti, a partire dalle chitarre.
Per mettere un freno all’uso liturgico di musiche e testi inadatti - si ascoltano, nelle parrocchie, canti alla Vergine tratti dalla «Buona Novella» di Fabrizio de Andrè - la Conferenza episcopale italiana due anni addietro aveva diffuso un repertorio doc di 360 «testi», selezionati secondo tre criteri: «pertinenza rituale, verità dei contenuti, qualità della composizione».
Quanto all’«esame di coscienza» suggerito dal Papa, l’agosto scorso Giuseppe Liberto, direttore della Cappella Sistina, tracciava per «Avvenire» questo bilancio su quanto avvenuto - in fatto di musica liturgica - dopo la riforma conciliare: «Non tutto è valido, non tutto è da buttare». Liberto se la prendeva soprattutto con il «minimalismo musicale, che spesso significa sciatteria». Ma non era tenero neanche con la «musica sacra» del passato, che «in moltissimi casi non è affatto adatta alla liturgia». Come capolavori «ineseguibili in chiesa», citava la Missa solemnis di Beethoven e la Messa da Requiem di Verdi.
Tra gli invasori musicali delle chiese, il Papa non ha citato il rock, che nella liturgia - almeno in Italia - non ha messo quasi mai piede. Ma certo esso dovrebbe essere classificato tra le forme «poco consone» al culto. Una volta il cardinale Ratzinger - in un libro sullo «spirito della liturgia» - lo descrisse come «espressione di passioni elementari, che nei grandi raduni di musica hanno assunto caratteri cultuali, cioè di controculto, che si oppone al culto cristiano».
Luigi Accattoli

vescovosilvano
03-03-03, 17:13
Scusate la mia intromissione "ortodossa" sul forum, ma devo fare una osservazione più che altro di storia del culto.
La liturgia romana, come d'altronde qualla ambrosiana, qualla gallicana e quella alessandrina, sono molto sobrie rispetto a quelle più "esuberanti" siriaca, armena,bizantina.

La Messa Romana era organizzata da sempre sul canto di tre Salmi che accompagnavano tre processioni e che venivano antifonati: Introitus che accompagnava l'ingresso del Clero celebrante, Offertorium che accompagnava la processione delle oblazioni e Comunnio che accompagnava la processionbe dei comunicanti. Inoltre si trovavano altri canti: il Gloria, il Credo,il Sanctus e l'Agnius Dei, fissi - oltre al Salmo Graduale che è un solenne responsorio cantato dopo l'Apostolo e l'Alleluia che precede il Vangelo ed accompagna la processione del Diacono all'Ambone. A parte i canti fissi, tutti gli altri canti sono salmi con le loro antifone che avevano, nel Gregoriano, fatto fiorire una tradizione melodica magnifica.
Con la riforma, essendo variata in fretta, questi testi sono praticamente scomparsi oppure rimasti come letture di poco senso nelle "Messe" lette. Questo ha fatto sì che si provvedesse a sostituire questi canti "portanti" la struttura liturgica romana con altri di vario genere ma che comunque non avevano nulla a che fare con quelli riportati a suo luogo nel Messale. Di qui il Disastro. Gli unici che avevano preparato qualcosa che avrebbe, almeno un po', parato il colpo, erano stati i Benedettini dell'Abbazia di Sant'Andrè de Bruges in Belgio col famoso Messale dell'Assemblea Cristiana, che conteneva gli Introiti tradotti in modo cantabile, breve e facile, ed i Salmi nella versione cantabile con le musiche di Gelinau. NOn era certo la soluziione ottimale, specie per chi era abituato al sobrio splendore del canto gregoriano, ma aveva il grande pregio di salvare la struttura della Messa Romana e, più che altro, di impedire che il canto diventasse vuoro riempimento ed ornamento e restasse, come la tradizione voleva, parte integrante del proprio della Messa.
Preti raffazzoni che avevano più a cuore di dire tante messe, piuttosto che una sola ma che fosse "degna di Dio" ritennero più facile, visto che non venne imposto (come si sarebbe dovuto fare) il canto dei salmi prescritti dal Messale con le loro antifone, trovare canticelli orecchiabili e spesso schiocchi, sostituiti - nella migliore delle ipotesi, da corali protestanti, o da blues.... o chi più ce ne ha più ce ne metta.
Impoverita nel canto la Liturgia anzichè risollevarsi da quel decadimendo in cui le Messe piane la avevano condannata già da prima di Trento, anzichè risorgere ebbe il colpo mortale.
Tanto è che la tradizione romana è contraria a canti non salmici lo dice il fatto che a Trento dove non si fece una riforma ma si cercò di arrestare quanto le riforme spontanee stavano imbarbarendo del Rito romano, si ridussero drasticamente le "Sequenze", gli unici canti non salmici che avevano preso posto nella Liturgia romana.
Credo che l'artefice di tutto questo disastro che ha anche ulteriormente allontanato dall'ortodossia la chiesa romana, sia mons.Bugnini di infausta memoria che - preso non si sa come il posto del cardinale Lercaro nell'attuazione dell a riforma liturgica, ha distrutto il rito romano componendo di sana pianta preghiere che non hanno fondamento nella tradizione (si bensi a quelle due "perle" (!!!) che sono le due benedizioni giudaiche alla presentazione delle oblazioni), e consentì lo sfacelo di cui oggi vediamo i postumi.
Ammesso che non siano irreversibili faccio una proposta "seria" dall'esterno articolata in due punti:
1 - ai preti cattolici. Buttate via tutti i sussidi, sussidini e varie riviste "liturgiche si fa per dire" e prendete in mano un messale: trovate melodie decenti in cui cantare i testi propri e quelli comuni, rintroducete i salmi appropriati ai momenti appropriati intercalandoli con quei testi. Buttate via le sciocchezze, i taviolini da bouffet al posto del Sacro Altare e cominciate a fare Messe decenti, magari con incenso e ceri e con prediche di taglio patristico più che giornalistico. Ne guadagneremo tutti (anche noi ortodossi che forse troveremo una generazione seria con cui poter dialogare in un modo che non sia quello a cui questo sciatto ecumenismo ci ha abituato). E meglio se farete una Messa sola, magari preceduta dalle Ore come si usa, la sera fate il Vespro solenne e magari una bella Veglia con Mattutuno (o come si chiama ora) e Lodi.
2 - alle gerarchie (ma so che non verrebbe ascoltata. Azzerata questa specie di imbroglio che ha voluto essere l'applicazione del Vaticano II ma che è stata la "riforma Bugnini", prparate nuovi testi rispettosi della tradizione, metteteci magari degli anni, predisponete le musiche etc. e imponeteli. Sarà una bella "conversione"

Colombo da Priverno
03-03-03, 21:41
Reverendo Padre,
la ringrazio per l'interessante intervento ricco di notizie storiche riguardanti la Messa Romana ed anche per la saggia proposta "esterna". Mi auguro che vescovi e presbiteri vogliano aderire a questa proposta "ortodossa". Sarebbe anche occasione per fare buon ecumenismo.

Nebbia
14-03-03, 00:09
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=46337

Colombo da Priverno
12-04-03, 14:58
http://fssp2.free.fr/albums/photos3/Hoyos%20Wigratzbad%2003.jpg

Sabato 24 maggio 2003, a. D.,
festa di Maria SS. Ausiliatrice,

alle ore 15,30, a Roma,
nell'Arcibasilica di Santa Maria Maggiore,

il Card. Darìo Castrillon Hoyos,

Prefetto della Congregazione per il Clero e
Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”

dirigerà la recita del S. Rosario e

officierà la S. Messa tradizionale detta “di San Pio V”




-

Montebardosu
23-05-03, 00:34
Originally posted by Lepanto
http://fssp2.free.fr/albums/photos3/Hoyos%20Wigratzbad%2003.jpg

Sabato 24 maggio 2003, a. D.,
festa di Maria SS. Ausiliatrice,

alle ore 15,30, a Roma,
nell'Arcibasilica di Santa Maria Maggiore,

il Card. Darìo Castrillon Hoyos,

Prefetto della Congregazione per il Clero e
Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”

dirigerà la recita del S. Rosario e

officierà la S. Messa tradizionale detta “di San Pio V”
-



Censura inevitabile. Certe insinuazioni non sono accettabili in questo forum pur aperto ad interventi civili e non provocatori di non cattolici.

25-05-03, 23:12
Le INSINUAZIONI mai son materia manifestante onestà intellettuale od intenzioni rette.

Se si nutrono perplessità o dubbi li si veicolino in privato, con rispetto ed umiltà, in attesa di risposta.

Quant' altro è da ritenersi mera polemica ed opera di disturbo.

Montebardosu
26-05-03, 19:23
Originally posted by sosunturzos
Censura inevitabile. Certe insinuazioni non sono accettabili in questo forum pur aperto ad interventi civili e non provocatori di non cattolici.


Mi pare che abbiate la coda di paglia....di quali insinuazioni parlate? Non ho fatto altro che esprimere il mio pensiero e i miei sentimenti.

Piuttosto dovreste guardarvi da certi "difensori d'ufficio": nel buio delle loro coscienze sì che si nascondono insinuazioni e depravazioni!

theophilus
29-05-03, 21:56
http://www.unavoce-ve.it/smm-04.jpg

theophilus
29-05-03, 21:59
PROPOSTA DI TORNARE AL RITO ANTICO

MESSA latina anche a Mantova?

Raccolta di firme per presentare la petizione al vescovo Caporello. Le motivazioni della richiesta



Tornare alla messa recitata in latino anche a Mantova? Una provocazione, ma con un intento ben preciso: quello di arrivare all'obbiettivo. Così il 24 e il 25 maggio in piazza Mantegna (dalle ore 10.30 alle 18.30) e l'1 e 2 giugno in piazza Broletto (negli stessi orari) verrà effettuata una raccolta di firme tra i mantovani. Iniziativa promossa dal Coordinamento di Una Voce delle Venezie Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana. La delegazione mantovana che si occupa di questa raccolta ha sede in via Valsesia 4.

"Firma anche tu la richiesta al tuo vescovo": questo la slogan che accompagna l'iniziativa con lo scopo, appunto, di tornare alla Santa Messa in lingua latina in rito romano antico. Perché i cristiani chiedono la messa latina antica? La fede nella presenza reale e nel sacrificio eucaristico è la principale ragione di questo desiderio. E in marito a tale proposta, pubblichiamo un testo, a firma di Fabio Marino, che specifica i contenuti della richiesta.



"In epoche come la nostra, in cui la fede è minacciata da molteplici fattori, appare in modo particolarmente evidente che tutto ciò che si fa in favore della liturgia autentica, si fa anche in difesa della fede". Il card. Alfons Stickler, uno dei maggiori canonisti viventi, pronunciava queste parole a un convegno di studi sulla liturgia romana antica: con esse è chiaramente indicata la ragione profonda per cui gruppi di cristiani chiedono ai loro Pastori la messa detta "tridentina". Si tratta essenzialmente di una ragione di fede.

Anche a Mantova lo scorso aprile un centinaio di firmatari hanno chiesto al vescovo mons. Egidio Caporello che in una chiesa cittadina sia celebrata ogni domenica e festa di precetto una messa in rito latino antico secondo il Messale Romano ed. 1962. I richiedenti hanno esplicitamente dichiarato che il fine del loro desiderio è di "poter coltivare in questa messa la propria devozione, e viverne la particolare spiritualità, cui si sentono legati in forza della tradizione". La raccolta delle firme continuerà in forma pubblica, a cura della sezione mantovana del Coordinamento di Una Voce delle Venezie il 24 e 25 maggio in piazza Mantegna e l'1 e il 2 giugno in piazza Broletto, per dare la possibilità di associarsi a ulteriori interessati.

La messa tridentina indica il rito della messa stabilito dal papa san Pio V nel 1570 (bolla Quo primum) su richiesta del Concilio di Trento, il quale aveva demandato alla Santa Sede una nuova edizione tipica ufficiale dei libri liturgici. Per questo motivo il Messale Romano di san Pio V, e il rito in esso contenuto, viene comunemente chiamato "tridentino", e ciò anche in atti ufficiali recenti. Per distinguerla dalla c.d. messa nuova secondo il Messale Romano promulgato da Paolo VI nel 1970 - dopo la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II -, si parla quindi di messa tridentina, o anche di messa di san Pio V, messa latina (o romana) antica, messa tradizionale.

In realtà, però, il messale di san Pio V non è una creazione del XVI secolo, si tratta invece di una edizione critica del messale della Curia romana, in uso a Roma e in varie regioni dell'Occidente, che riproduceva nella sostanza la liturgia romana come era stata configurata all'epoca del cristianesimo antico dai papi san Damaso (secolo IV) e san Gregorio Magno (secolo VI-VII). Risale certamente all'antichità cristiana il Canone della messa, il formulario fisso della preghiera eucaristica, detto per questo motivo prex canonica e più tardi canon missae. Gli editori cinquecenteschi incaricati da san Pio V sfrondarono ampiamente le innovazioni che si erano aggiunte nel corso dei secoli al nucleo originario, e il messale - come ha affermato il card. Ratzinger - si presenta senza dubbio come il risultato di uno sviluppo organico.

Il Missale Romanum edizione tipica 1962 - cui fa riferimento la vigente normativa canonica per l'uso attuale - è l'ultima edizione del messale di san Pio V, riveduto dal beato Giovanni XXIII, rimasto dopo oltre quattrocento anni pressoché inalterato, se non per le periodiche aggiunte di nuove feste, con i relativi testi liturgici, la riforma della Settimana santa di Pio XII e le limitate modifiche all'Ordo missae apportate dallo stesso Giovanni XXIII. Oggi come ieri, esso ripropone con sostanziale fedeltà il rito millenario celebrato nella Chiesa d'occidente.

Ora, a favore dei fedeli che desiderano la messa antica Giovanni Paolo II ha stabilito nel 1984 che essi possono chiederla al proprio vescovo: "Il Santo Padre, nel desiderio di andare incontro anche a tali gruppi, offre ai vescovi diocesani la possibilità di usufruire di un indulto, in base al quale sacerdoti e fedeli, espressamente indicati nella lettera di richiesta da presentare al proprio vescovo, possono celebrare la messa, usando il Messale Romano secondo l'edizione del 1962" (Lettera circolare ai presidenti delle conferenze episcopali Quattuor abhinc annos, 3 ottobre 1984).

Il vescovo diocesano ha il compito di concedere il permesso: lo stesso Papa ha confermato tale normativa nel 1988, indicando però anche un fondamentale criterio cui i vescovi devono ispirarsi, la generosità: "dovrà essere ovunque rispettato l'animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un'ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l'uso del Messale Romano secondo l'edizione tipica del 1962" (Motu proprio Ecclesia Dei, 2 luglio 1988).

Dieci anni dopo Giovanni Paolo II ha ribadito tutto ciò, insistendo sulla comprensione e sull'attenzione pastorale verso coloro che definisce "i fedeli legati all'antico rito": "Invito inoltre fraternamente i vescovi ad avere una comprensione e un'attenzione pastorale rinnovata per i fedeli legati all'antico rito e, alle soglie del terzo millennio, ad aiutare tutti i cattolici a vivere la celebrazione dei santi misteri con una devozione che sia un vero alimento per la loro vita spirituale" (Discorso ai membri della Fraternità Sacerdotale san Pietro nel decimo anniversario del Motu proprio Ecclesia Dei, 26 ottobre 1998).

È di qualche mese fa la dichiarazione del card. Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero, il quale ha assicurato che "la Santa Sede farà il possibile per garantire ai fedeli attaccati alla liturgia tradizionale il rispetto delle loro giuste aspirazioni" (Lettera 7 marzo 2003, Prot. 45/2003).

Il 24 maggio prossimo a Roma, nella basilica di S. Maria Maggiore il card. Castrillón Hoyos celebrerà personalmente all'altare papale una messa latina antica secondo il messale del 1962: questo gesto significativo è interpretato come un esempio e un invito alla liberalizzazione rivolto a tutti i vescovi dell'orbe cattolico.

Certamente da tutte queste indicazioni autorevoli è possibile ricavare alcuni punti fermi.

1. La messa tridentina secondo il messale del 1962 non è vietata, non è proscritta, non è qualcosa di negativo come la vedono - per motivi inspiegabili - taluni preti: il messale antico è ancora legittimamente in uso, in base a precise disposizioni della Santa Sede. Inoltre esso non risulta essere mai stato espressamente abrogato - vari cardinali lo considerano, infatti, tuttora in vigore. Il suo mantenimento del resto trova piena giustificazione nel principio dell'eguaglianza di diritto e di onore di tutti i riti legittimamente riconosciuti dalla Chiesa, sancito dal Concilio Vaticano II (Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 4).

2. I cristiani che chiedono al proprio vescovo la messa latina antica non sono reprobi, o persone da guardare con sospetto, anzi fanno quanto il Papa stabilisce che possono liberamente fare, dichiarando giuste le loro aspirazioni, e dimostrano senza dubbio fedeltà alla Chiesa.

3. La risposta del vescovo che ha ricevuto la richiesta deve essere generosa, dice Giovanni Paolo II (quasi sottintendendo che potrebbero esservi anche vescovi, pastori non generosi verso i propri fedeli). Innanzitutto il vescovo deve rispondere, dovrebbe farlo in modo formale. L'indulto demandato ai vescovi è stato fatto perché i permessi siano regolarmente dati, non perché siano regolarmente negati. Il rifiuto, che si presenta come un caso eccezionale, deve essere adeguatamente motivato con ragioni valide e sussistenti, non elusive. Dire di essere semplicemente contrario a un tale permesso vuol dire investire il campo della decisione pontificia, ed evidentemente non accettarla.

4. Vedere la concessione come un gesto grazioso, e quindi arbitrario del vescovo è un'interpretazione errata, in contrasto con la legge della Chiesa e con il carattere intelligente e libero della coscienza cattolica.

Qual è la ragione di fondo per cui questi gruppi si rivolgono ai propri vescovi per la messa antica? Individuare correttamente tale motivazione profonda significa anche comprendere perché il Papa qualifica le aspirazioni di questi cristiani come "giuste".

La ragione primaria non può essere l'estetismo, la bellezza delle cerimonie e del canto, l'amore per il latino, la nostalgia e il ricordo del tempo passato, per alcuni della propria giovinezza vissuta all'epoca dell'antica liturgia. Si tratta di sentimenti apprezzabili, ma si va a messa per la religione e la fede. Il rito di san Pio V, con la precisa bellezza delle formule e delle cerimonie, con la lingua latina che esprime la dignità incomparabile della lingua sacra, contiene in sommo grado il carattere essenziale della liturgia, quello di servizio reso davanti a Dio ove si percepisce la realtà del mistero. È un rito, dunque, che vale ad adempiere perfettamente il dovere dell'uomo in quanto essere sociale di rendere onore a Dio con culto pubblico solenne. Anche su questo Giovanni Paolo II ha detto di recente una parola illuminante, affermando che "nel Messale Romano, detto di san Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".

L'esigenza di coltivare la propria devozione nella messa antica, e di viverne la particolare spiritualità - quindi di partecipare a questo rito tutte le domeniche - si fonda particolarmente al giorno d'oggi, tempo di crisi di fede, sul fatto che la messa tridentina esprime nel modo più forte, rigoroso e univoco la dottrina eucaristica della Chiesa cattolica, formulata appunto dal Concilio di Trento. La fede piena e senza ambiguità nella messa come sacrificio, nella presenza reale e negli altri punti della dottrina tradizionale è ciò che spinge i cristiani ad aspirare a questa messa: è senza dubbio un'aspirazione giusta, come ha detto Giovanni Paolo II.

Ecco perché i fedeli della tradizione teologica - sono ancora parole del card. Stickler - devono continuare a manifestare in uno spirito di obbedienza ai superiori legittimi il loro giusto desiderio e la loro preferenza pastorale per la messa tridentina.

Fabio Marino



da "La Cronaca di Mantova", 23 maggio 2003

theophilus
29-05-03, 22:02
http://www.unavoce-ve.it/smm-06.jpg

Montebardosu
01-06-03, 15:39
Io, laico, ma attento ai sentimenti popolari, propongo che almeno in Sardegna si torni a celebrare la messa e le altre funzioni in latino, perché non avendo purtroppo la chiesa ancora accettato di celebrarle nella nostra lingua (il sardo), almeno non vengano celebrate nella lingua dei dominatori (l'italiano), con ciò perpetuando una mistificazione culturale e una colonizzazione perpetrata ai nostri danni anche dalla chiesa.

Oli
01-06-03, 17:15
Risponderò solo con un link.

Il mondo è fatto x andare avanti, nn indietro, dobbiamo migliorarci, nn certo peggiorarci.

http://www.we-are-church.org/it/

Oli
01-06-03, 17:19
Questa è... in breve, la storia di NoisiamoChiesa

In the Easter season of 1995 a small group of lay and ordained Catholics in Innsbruck, Austria, used the method of a petition drive to call for a more loving, democratic, and generous church. In the spirit of Vatican II, they asked that Rome (1) equally respect all the people of God, whether lay or ordained, (2) grant full equal rights to women, (3) lift mandatory celibacy for priests, (4) encourage a positive understanding of sexuality, and (5) teach the gospel as a message of joy.
Within a few months, this renewal campaign had spread to Germany, and soon local versions of the initiative sprang up in countries all over the world, including Belgium, Brazil, Bolivia, Canada, Catalunya, Chile, Colombia, Costa Rica, France, Great Britain, Holland, India, Ireland, New Zealand, Portugal, South Africa, Spain, Switzerland, the USA, and Venezuela.

01-06-03, 17:25
Originally posted by sosunturzos
Io, laico, ma attento ai sentimenti popolari, propongo che almeno in Sardegna si torni a celebrare la messa e le altre funzioni in latino, perché non avendo purtroppo la chiesa ancora accettato di celebrarle nella nostra lingua (il sardo),
1) *

almeno non vengano celebrate nella lingua dei dominatori (l'italiano), con ciò perpetuando una mistificazzione culturale e una colonizzazione perpetrata ai nostri danni anche dalla chiesa.
2) *


1 ) Da riconoscersi auspicabile, anche da parte di ampie parti del Clero Sardo, materia già discussa nei lavori del Concilio Plenario Sardo di recente chiusosi, con delusione di tantissimi perchè con esito negativo, stanti le attuali condizioni nelle quali versa tutt' ora lo status della Lingua sarda, per il persistere di varianti e nessuna accetta regolamentazione.
L' Episcopato Sardo ha ritenuto i tempi non maturi, rimanendo in prudente attesa di un' unificazione linguistica, solo dopo la quale sarà possibile provvedere all' auspicata e corretta traduzione ufficiale dell' Ordo Missae in Lingua Sarda.
Già Sua Eccellenza Monsignor Antioco Piseddu, Vescovo di Lanusei, in merito a tal vexta quaestio, aveva espresso pronunciamento chiaro al termine del Concilio Sardo: << Dateci una Lingua ufficiale e nulla osta alla sua accettazione in ambito liturgico. >>

Rimane comunque, a parer mio, strumentale tal intervento in ordine all' uso liturgico di altra lingua, diversa da quella latina, ( o, meglio, con richiesta di quest' ultima in sola sostituzione della lingua italiana ! ) in questo Thread che, senza delegittimare l' Ordo di Papa Paolo VI, è volto a ben chiarificare lo status attuale del precedente Rito di Papa San Pio V, la sua mai superata validità e consentito per ragioni non estetico-nostalgiche, ma nemmeno perchè la nuova riforma infici o renda meno palese la ragion d' essere del Sacrificio Eucaristico; come tale rimanente intatto, senza subire menomazione, oblio od alterazione alcuna nell' Ordo di Papa Paolo VI.


2) Le espressioni contenute nella seconda parte e riferite alla Chiesa con l' uso d' aggettivi propri all' agone meramente politico, le ritengo improprie. Questo per la diversa natura che differenzia la Chiesa da qualsiasi altra entità politica e statuale. Critiche alla Chiesa mosse non tanto con termini ingenerosi, quanto fuori luogo.

Montebardosu
01-06-03, 20:07
Originally posted by Oli
Risponderò solo con un link.

Il mondo è fatto x andare avanti, nn indietro, dobbiamo migliorarci, nn certo peggiorarci.

http://www.we-are-church.org/it/ Infatti, si è visto e si vede il miglioramento! A fronte di una lingua universale (il latino) da sempre ben accetta, anche per la vicinanza con la nostra, ci viene imposta, con morivazioni pretestuose, la lingua del dominatore.

Se non capisci queste cose, perché parli?

Montebardosu
01-06-03, 20:19
E' un fatto storicamente accertato che la Chiesa cattolica ha una tradizione di appoggio del potere costituito, specie in Europa, ma anche nel resto del mondo. Non voglio aggiungere altro per non sollevare polemiche inutili. Il fatto di imporci, in sintonia con lo stato italiano, la lingua italiana nelle celebrazioni liturgiche, non fa che rafforzare operazioni di subalternità culturale condotte con l'inganno e di colonizzazione.

Per il nostro popolo, a cui veniva insegnata la povertà del proprio linguaggio ("dialetto") e la superiorità della lingua italiana voluta dai dominatori, è stato, se mi è consentita l'espressione, come insegnare il peccato a un innocente.

E ora si persevera....

Oli
02-06-03, 00:54
Originally posted by sosunturzos
A fronte di una lingua universale (il latino) da sempre ben accetta, anche per la vicinanza con la nostra, ci viene imposta, con morivazioni pretestuose, la lingua del dominatore.

Se non capisci queste cose, perché parli?

Beh, il latino nn lo capisce nessuno, l'inglese lo capiscono tutti, poi ci sono i siti in tutte le maggiori lingue cmq.

theophilus
04-06-03, 19:41
In Origine Postato da Oli
Risponderò solo con un link.

Il mondo è fatto x andare avanti, nn indietro, dobbiamo migliorarci, nn certo peggiorarci.

http://www.we-are-church.org/it/


Nella home page di questo sito compare in bella vista, tra l’altro, il collegamento ad una intervista a Franco Barbero, ex sacerdote recentemente ridotto allo stato laicale, e personaggio molto appoggiato dall’associazione che cura il sito.

L’intervista verte sulla recente enciclica Ecclesia de Eucaristia.

Vi si può leggere:

Dove l'enciclica parla di "transustanziazione", di adorazione del Santissimo Sacramento, del valore sacrificale dell'eucarestia, di "Maria eucaristica", di norme liturgiche, della dottrina del Concilio di Trento e di tante altre elaborazioni ecclesiastiche non c'è nulla di vincolante. Si tratta di opinioni che il vescovo di Roma e la sua curia ribadiscono, ma la teologia cattolica è ben più ricca, ben più varia.
E' fuorviante scambiare questa dottrina romana con la teologia cattolica che da tempo si esprime anche in maniere molto diverse. La transustanziazione è una dottrina che non impegna la fede. Si può vivere il dono prezioso dell'eucarestia e rifiutare la dottrina della transustanziazione.


La tragedia è che Roma non sa imparare e vuole solo insegnare



Roma, ripeto, non sa imparare nemmeno dai suoi errori. Il re è nudo e cerca disperatamente di coprire le sue nudità mettendosi i "panni divini". Ma l'usurpazione è evidente e il "gioco" è troppo scoperto.


:( :( :(

theophilus
04-06-03, 19:42
CONCILIO DI TRENTO


SESSIONE XII (10 settembre 1551)




CANONI SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA

1. Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia assieme col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le specie del pane e del vino, - trasformazione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, - sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che nel venerabile sacramento dell’eucarestia, fatta la separazione, Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie e in ognuna delle parti di ciascuna specie, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo, ma solo nell’uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero corpo del Signore, sia anatema.

5. Se qualcuno dirà che il frutto principale della santissima eucarestia è la remissione dei peccati, o che da essa non provengono altri effetti, sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucarestia Cristo, unigenito figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure esser venerato con qualche particolare festività; ed esser portato solennemente nelle processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema.

7. Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucarestia nel tabernacolo; ma che essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli astanti; o non esser lecita che essa venga portata solennemente agli ammalati, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell’eucarestia, si mangia solo spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema.

9. Se qualcuno negherà che tutti e singoli i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della ragione, sono tenuti ogni anno, almeno a Pasqua, a comunicarsi, secondo il precetto della santa madre chiesa, sia anatema.

10. Se qualcuno dirà che non è lecito al sacerdote che celebra comunicare se stesso, sia anatema.

11. Se qualcuno dirà che la fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santissima eucarestia, sia anatema.

E perché un così grande sacramento non sia ricevuto indegnamente e, quindi, a morte e a condanna, lo stesso santo sinodo stabilisce e dichiara che quelli che hanno la consapevolezza di essere in peccato mortale, per quanto essi credano di essere contriti, se vi è un confessore, devono necessariamente premettere la confessione sacramentale.

Se poi qualcuno crederà di poter insegnare, predicare o affermare pertinacemente il contrario, o anche difenderlo in pubblica disputa, perciò stesso sia scomunicato.

Marcod'Efeso
09-06-03, 18:07
MESSA TRADIZIONALE: CULTO DAL CUORE, VETRINA O IDOLATRIA?

Propongo uno stimolo che mi pare significativo: la pugna a favore del culto tradizionale con quale spirito condotta?
Ognuno esamini se stesso. A me pare che dietro a molte richieste per la messa tradizionale ci siano sentimenti tuttaltro che univoci. A qualcuno sta a cuore la dignitÃ_ la bellezza, a qualcun altro un ordine giuridico da rispettare, ad altri ancora un ordine dogmatico da indicare...
Tuttavia, mi sembra che se sta a cuore la vita cristiana, le cose dovrebbero essere osservate con un peso un po' differente! La Chiesa è come una scala che conduce a Dio. La liturgia e ogni tipo di realtÃ_ ecclesiale sono dei semplici GRADINI: oltre il tempo NON SERVONO PIU' . Questo significa che sono utili tanto in quanto sono solidi e ci permettono di salire. E' ovvio che soffermarsi su un gradino più dovuto cosa piuttosto assurda, per chi vuole salire su una scala. Non è il gradino che dev'essere servito da me (questo è un mezzo non un fine) sono io che devo servirmi del gradino. Allo stesso tempo se veramente salgo non posso non "sentire" di essere in una situazione diversa da quando calcavo i primi gradini.
Ecco, in parole povere, per quanto la liturgia sia importante alcuni tradizionalisti possono finire quasi per farne un punto di arrivo dimenticando che essa è una realtÃ_ creata, utile sì ma solo tanto in quanto mi eleva e m'illumina interiormente. Allo stesso modo se mi soffermo più del dovuto sui gradini della scala per osservarne il colore, la forma ecc. mi devo chiedere sinceramente se non comincio a trasformarli in fine e ad avere un atteggiamento che la Scrittura chiama con un solo terribile nome: idolatria.
Non mi piono, queste, osservazioni peregrine o da poco.

09-06-03, 23:00
A mio modesto parere il rischio che si può correre ( certo non peregrino, come più sopra è stato evidenziato ) è quello di una reazione ( naturale, la storia docet ! ) ad alcune - sottolineo : alcune e forse tante ! ) deviazioni, talvolta solo derubricabili quali eccessi, in altri casi vere e proprie storture deprecabili - susseguenti al Concilio Vaticano II.

NULLA CHE ABBIANO A CHE VEDERE CON IL MAGISTERO CHE IL COLLEGIO APOSTOLICO UNITO, LEGITTIMAMENTE CONVOCATO DA SUA SANTITA' PAPA GIOVANNI XXIII, LEGITTIMAMENTE DELIBERATO A PROSEGUIRE DA SUA SANTITA' PAPA PAOLO VI, DAI LORO LEGITTIMI SUCCESSORI SEMPRE, INDEFETTIBILMENTE, CON L' ASSISTENZA DELLO SPIRITO SANTO, TAL ALTO MAGISTERO SEMPRE RICHIAMATO, ASSIEME ALLA SACRA TRADIZIONE TUTTA CHE LO HA PRECEDUTO, NON CONFLIGGENTE IN MODO ALCUNO CON IL MEDESIMO CONCILIO.

Nell' ascoltare tante discussioni, oggi, a distanza di vent'anni, sempre mi sovvengono a memoria le parole di un colto Parroco di campagna. Il quale a noi, allora giovani di diciotto anni, sempre con saggezza gli era caro ripeterci: << Attenti: Un Concilio è sempre un fatto epocale ! Cosa che sfugge all' equilibrato giudizio dei contemporanei. PER POTER DIRE DI COMINCIARE A CAPIRNE QUALCOSA DEVONO - COME MINIMO - TRASCORRERE DUECENTO ANNI !! >>

Altrimenti si han solo fazioni, divisioni, scismi, chiacchiere da salotto, propinate in "sacrestia".

In tali divisioni si rischia di scambiare il Cretore con la creatura; il Fine con il mezzo.

A TALE PUNTO SOLO LA SATANICA IDOLTRIA IMPERA !

theophilus
10-06-03, 17:48
In Origine Postato da Marcod'Efeso
MESSA TRADIZIONALE: CULTO DAL CUORE, VETRINA O IDOLATRIA?

Propongo uno stimolo che mi pare significativo: la pugna a favore del culto tradizionale con quale spirito condotta?
Ognuno esamini se stesso. A me pare che dietro a molte richieste per la messa tradizionale ci siano sentimenti tuttaltro che univoci. A qualcuno sta a cuore la dignitÃ_ la bellezza, a qualcun altro un ordine giuridico da rispettare, ad altri ancora un ordine dogmatico da indicare...
Tuttavia, mi sembra che se sta a cuore la vita cristiana, le cose dovrebbero essere osservate con un peso un po' differente! La Chiesa è come una scala che conduce a Dio. La liturgia e ogni tipo di realtÃ_ ecclesiale sono dei semplici GRADINI: oltre il tempo NON SERVONO PIU' . Questo significa che sono utili tanto in quanto sono solidi e ci permettono di salire. E' ovvio che soffermarsi su un gradino più dovuto cosa piuttosto assurda, per chi vuole salire su una scala. Non è il gradino che dev'essere servito da me (questo è un mezzo non un fine) sono io che devo servirmi del gradino. Allo stesso tempo se veramente salgo non posso non "sentire" di essere in una situazione diversa da quando calcavo i primi gradini.
Ecco, in parole povere, per quanto la liturgia sia importante alcuni tradizionalisti possono finire quasi per farne un punto di arrivo dimenticando che essa è una realtÃ_ creata, utile sì ma solo tanto in quanto mi eleva e m'illumina interiormente. Allo stesso modo se mi soffermo più del dovuto sui gradini della scala per osservarne il colore, la forma ecc. mi devo chiedere sinceramente se non comincio a trasformarli in fine e ad avere un atteggiamento che la Scrittura chiama con un solo terribile nome: idolatria.
Non mi piono, queste, osservazioni peregrine o da poco.


Gentile Marco d’Efeso,

sono a darle innanzi tutto il benvenuto in questo nostro piccolo forum, il primo che ha scelto per intervenire in POL.

Certamente la risposta alla domanda che fa da titolo al suo garbato post dovrebbe essere la prima opzione. Culto dal cuore.
Ma è altrettanto vero che il rischio per alcune tipologie di sostenitori del rito antico di perdere un poco di vista l’obiettivo, di guardare solo ai ricami, all’incenso e al latino (che in un’ottica corretta hanno la loro importanza), sicuramente c’è. Talvolta almeno viene da pensarlo.
E’ anche da considerare che questa è l’accusa più semplice che i detrattori del rito antico rivolgono in modo gratuito (e spesso surrettizio) a chi invece lo sostiene, per dribblare un discorso serio di contenuto. L’accusa di “nostalgismo” (mi si passi il termine), di guardare solo al passato, ad un rito e ad una pratica (va da se) non al passo coi tempi. Addirittura l’accusa di pensare ad un rito quasi magico, passando quindi dalla fede alla superstizione. Il passo a volte è breve, ne sono a conoscenza.
D’altra parte mi domando (retoricamente) se nelle messe secondo il Novus Ordo certi rischi non vengano comunque corsi. Certa orizzontalizzazione circolante non mi pare si adatti molto alla immagine della scala da lei proposta.

Quanto si potrebbe dire sulla Liturgia! Quanti sono gli che andrebbero approfonditi in questo che è il più alto momento della vita cristiana!
E se certamente l’idea della Messa antica come fine è condannabile, non sarebbe giusto, ed anzi sarebbe un po’ scorretto, liquidare l’intero discorso in maniera cos’ sbrigativa.

Rinnovo il benvenuto

Un saluto

Theophilus

Colombo da Priverno
09-08-03, 01:41
http://www.fssp.org/album/OPM2003/133_3348.jpg


Congregatio pro Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum

Responso della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, In PONTIFICII CONSILII DE LEGUM TEXTIBUS, Communicationes, vol. XXXII, n. 2, Roma 2000, pp. 171-173, Prot. N° 2036/00/L



Quæsitum

È stato chiesto alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti se l’enunciato del n. 299 dell’ Institutio Generalis Missalis Romani costituisca una normativa secondo la quale, durante la liturgia eucaristica, la posizione del sacerdote versus absidem sia da considerarsi esclusa.

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, re mature perpensa et habita ratione [dopo matura riflessione e alla luce] dei precedenti liturgici, risponde:


Negative et ad mentem . [Negativamente e in accordo con i chiarimenti seguenti].


Innanzitutto si deve aver presente che la parola expedit non costituisce una forma obbligatoria, ma un suggerimento che si riferisce sia alla costruzione dell’altare a pariete seiunctum [staccato dalla parete], sia alla celebrazione versus populum. La clausola ubi possibile sit si riferisce a diversi elementi, come, per esempio, la topografia del luogo, la disponibilità di spazio, l’esistenza di un precedente altare di pregio artistico, la sensibilità della comunità che partecipa alle celebrazioni nella chiesa di cui si tratta, ecc. Si ribadisce che la posizione verso l’assemblea sembra piú conveniente in quanto rende piú facile la comunicazione (cfr. Editoriale di Notitiae 29 [1993] pp. 245-249), senza escludere però l’altra possibilità.

Tuttavia, qualunque sia la posizione del sacerdote celebrante, è chiaro che il Sacrificio Eucaristico è offerto a Dio uno e trino, e che il sacerdote principale, Sommo ed Eterno, è Gesú Cristo, che opera attraverso il ministero del sacerdote che presiede visibilmente quale Suo strumento . L’assemblea liturgica partecipa nella celebrazione in virtú del sacerdozio comune dei fedeli, che ha bisogno del ministero del sacerdote ordinato per essersi esercitato [potersi esercitare] nella Sinassi Eucaristica. Si deve distinguere la posizione fisica, relativa specialmente alla comunicazione tra i vari membri dell’assemblea e l’orientamento spirituale e interiore di tutti. Sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale sia la comunità. Se il sacerdote celebra versus populum, ciò che è legittimo e spesso consigliabile, il suo atteggiamento spirituale dev’essere sempre versus Deum per Iesum Christum, come rappresentante della Chiesa intera.

Anche la Chiesa, che prende forma concreta nell’assemblea che partecipa, è tutta rivolta versus Deum come primo movimento spirituale.

A quanto sembra, la tradizione antica, anche se non unanime, era che il celebrante e la comunità orante fossero rivolti versus orientem, punto dal quale viene la luce, che è Cristo . Non sono rare le antiche chiese, la costruzione delle quali era «orientata» in modo che il sacerdote ed il popolo nell’atto di fare la preghiera pubblica si rivolgessero versus orientem.

Si può pensare che quando ci furono problemi di spazio o di altro genere, l’abside idealmente rappresentava l’oriente. Oggi, l’espressione versus orientem significa spesso versus absidem, e quando si parla di versus populum non si pensa all’occidente, bensì verso la comunità presente.

Nell’antica architettura delle chiese, il posto del Vescovo o del sacerdote celebrante si trovava al centro dell’abside e, seduto, di lì ascoltava la proclamazione delle letture rivolto verso la comunità.

Ora quel posto presidenziale non viene attribuito alla persona umana del Vescovo o del presbitero, né alle sue doti intellettuali e nemmeno alla sua personale santità, ma al suo ruolo di strumento del Pontefice invisibile che è il Signore Gesú.

Quando si tratta di chiese antiche o di gran pregio artistico, occorre, inoltre, tenere conto della legislazione civile al riguardo dei mutamenti o ristrutturazioni. Un altare posticcio può non essere sempre una soluzione dignitosa.

Non bisognerebbe dare eccessiva importanza ad elementi che hanno avuto cambiamenti attraverso i secoli. Ciò che rimarrà sempre è l’evento celebrato nella liturgia: esso è manifestato mediante riti, segni, simboli e parole, che esprimono vari aspetti del mistero, senza tuttavia esaurirlo, perché li trascende.

L’irrigidirsi su una posizione e assolutizzarla potrebbe diventare un rifiuto di qualche aspetto della verità che merita rispetto ed accoglienza.



Dal Vaticano, 25 settembre 2000


+ Jorge A. Card. Medina Estévez

Prefetto

+ Francesco Pio Tamburrino

Arcivescovo Segretario




NOTA
Le inserzioni esplicative fra parentesi quadre sono della redazione di Cristianità, http://www.alleanzacattolica.org/ , N. 309 gennaio-febbraio 2002.

Colombo da Priverno
11-08-03, 14:52
http://hem.passagen.se/fosforos/ratzinger.jpg

“... si è introdotta una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza. Ora, infatti, il sacerdote - o “il presidente”, come si preferisce chiamarlo - diventa il vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. E' lui cui bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte... L'attenzione è sempre meno rivolta a Dio ed è sempre più importante quello che fanno le persone... Il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l'aspetto di un tutto chiuso in se stesso. L'atto con cui ci si rivolgeva tutti verso oriente non era “celebrazione verso la parete”, non significava che il sacerdote “volgeva le spalle al popolo”: egli non era poi considerato così importante. ... si tratta piuttosto di uno stesso orientamento del sacerdote e del popolo, che sapevano di camminare insieme verso il Signore... Essi non si chiudono in cerchio, non si guardano reciprocamente, ma come popolo di Dio in cammino, sono in partenza verso l'oriente, verso il Cristo che avanza e ci viene incontro. Qui non si tratta di qualcosa di casuale, ma dell'essenziale. Non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma l'adorazione comune, l'andare incontro a Colui che viene.

Tra i fenomeni veramente assurdi del nostro tempo io annovero il fatto che la Croce venga collocata su un lato per lasciare libero lo sguardo sul sacerdote.

Questo errore dovrebbe essere corretto il più presto possibille... Il Signore è il punto di riferimento. E' Lui il sole nascente della storia.”

Bellarmino
21-08-03, 10:58
Caro Lepanto, il problema dell'orientamento del celebrante e sì importantissimo per tutte le implicazioni ed il significato che ciò comporta.
Tuttavia con la nuova messa si sono introdotti concetti e significati diversissimi dalle intenzioni del "vetus", mi pare perciò che il problema riguardi tutto il rito riformato e non soltanto singole parti di esso.
Se la nuova messa ha come intenzione quella di rendere partecipante tutto il "popolo di Dio" riunito in "assemblea", l'orientamento del celebrante versus l'"assemblea" dei fedeli assolve al meglio codesta intenzione.
Il reale significato che si è voluto introdurre, contrario alla tradizione, lo si evince dalla seguente dichiarazione che hai pubblicato tu stesso:
"L’assemblea liturgica partecipa nella celebrazione in virtú del sacerdozio comune dei fedeli".
Bellarmino

franco damiani (POL)
30-09-03, 14:35
Inutile individuare trentasette abusi liturgici se poi dobbiamo tenerci questi pastori e questi fedeli

(articolo di Camillo Langone sul "Foglio" di giovedì 25 settembre 2003).

Trentasette abusi liturgici, ha individuato il Vaticano. Io ne avevo sotto gli occhi e le orecchie trecentosettantasette ma fa niente, l'importante è cominciare. Ho appena pronunciato una pia banalità, perché chiunque frequenti chiese e parrocchie sa che cominciare serve a ben poco se poi a continuare saranno questi preti e questi fedeli. Come ogni popolo ha grosso modo i politici che si merita, così i cattolici italiani hanno un clero a loro immagine e somiglianza.
Dal Concilio Vaticano II i pastori non hanno fatto altro che pettinare le loro pecore in direzione del pelo: l'italiano al posto del latino (altrimenti a qualcuno poteva scoppiare una venuzza per lo sforzo di capire), l'altare girato verso il popolo (per abbassare l'Altissimo al livello di occhi umani e sub), la musica sanremoide (ma sintonizzata sempre su quindici festival fa), le donne a capo scoperto (il fazzoletto poteva rovinare la messimpiega), e poi negli ultimissimi tempi il declino della panca con inginocchiatoio a favore della sedia da sala d'aspetto del medico della mutua, consegnando ai maomettani l'esclusiva di uno dei gesti più religiosi che ci sia, appunto l'inginocchiarsi, per concludere (concludere temporaneamente, visto che la mamma dei teocretini è sempre incinta) con l'ostia data in mano, cioè in quella lercia parte del corpo adibita a ogni svelto abuso, anche non liturgico.
Le pecore hanno mostrato di gradire, non accorgendosi (ma non era compito loro farlo) che il gregge, senza i cani a mantenerlo unito mordicchiando qua e là qualche garretto, andava ssottigliandosi. Le pecore rimaste, non necassariamente le migliori ma spesso anzi le più ottuse, si sono strette volentieri attorno ai peggiori pastori, minacciando barricate ogni qual volta un povero vescovo tentava di ridurre alla ragione il prete guevarista o abortista o tutte e due le cose. Il clero regolare ancora ancora, il clero secolare basta l'aggettivo a qualificarlo.

L'applauso, orrore e dolore

Domenica scorsa ero nel santuario di Oropa, impressionante macchina mariana sotto il tetto delle Alpi biellesi, uno di quei Sacri Monti edificati in Piemonte a mo' di argine contro la frana protestante. Oropa è stata aggirata esattamente come la linea Maginot. Il nemico non è arrivato da dove lo si aspettava, in questo caso dalla montagna, ma ha preso il santuario alle spalle, salendo da Biella con i pretuncoli freschi di seminario. In confronto alla colossale Chiesa Nuova sembra più sacro il cimitero nel bosco, odoroso di massoneria (tomba piramidale di Quintino Sella, per dire). Non ho potuto accendere un cero nella cappella della Madonna perché per farlo avrei dovuto insinuarmi tra le forche caudine di due pile di Famiglia Cristiana, la rivista che si fece pubblicità mostrando il culo di una ragazza (un bel culo, esteticamente nulla da obiettare, classico esempio di cosa giusta al posto sbagliato). La diffusione di quel settimanale all'interno delle chiese è uno dei trecento e passa abusi non considerati dall'Istruzione vaticana, tralasciato forse non a caso perché a estirparlo ci hanno provato altre volte, con pochi o nulli risultati perché l'erba cattiva non muore mai.
E veniamo alla questione più fragorosa, quella dell'applauso. L'ultima volta che ho sentito manacce far rumore in una chiesa è stata quest'estate ai funerali dell'onorevole Borri, nel Duomo di Parma. L'applauso è arrivato al termine del pistolotto del vescovo, neanche fosse una soubrette del Bagaglino. Ho sentito orrore e dolore. In chiesa i morti si onorano con la propria presenza silenziosa perché la morte è un mistero e di fronte al mistero si deve rimanere attoniti. Borri non ha avuto la fortuna di annoverare fra i propri amici un Cesare Romiti, già servo dei padroni e cane da guardia del Capitale, del tutto trasformato ai nostri occhi quando con gesto umile e immenso, da cavaliere antiquo, è rimasto in piedi in mezzo alla chiesa, per tutta la durata della messa funebre dell'amico Avvocato.
Ecco il punto. Ben vengano le Istruzioni vaticane ma ancor meglio vengano gli Esempi. Affinché gli abusi cessino e il rito possa colare benefici da Oropa alla Maddalena in Roma, da San Pietro all'ultima delle parrocchie, occorrono uomini tutti di Dio o anche parzialmente di Mammona, poco importa, purché capaci di fede singola, singolare e contropelo.

Augustinus
01-10-03, 11:11
Complimenti, bell'articolo ironico e simpatico.
Lo sottoscrivo. Effettivamente abbiamo bisogno di autentici testimoni. Ma come giurista dico che anche le norme abbisognano.
Ben vengano dunque anche quelle norme contro gli abusi. A qualcosa serviranno ... .
Cordialmente

Augustinus

franco damiani (POL)
02-10-03, 06:04
Ma i più gravi, come la tavola di Lutero al posto dell'altare e la definizione di Messa come memoriale e non come sacrificio espiatorio, non sono stati toccati. Ricordo tra l'altro che lo stesso Giovanni Paolo II presiedette una "messa della danza" con fedeli che ballavano intorno all'altare in Africa nel febbraio 1982 e nell'agosto 1985. Inoltre leggetevi l'intervista con mons. Piero Marini, maestro delle cerimonie pontificie, fatta da John L. Allen jr. sul "National Catholic Report", e capirete perché. come scrive "sì sì no no" di agosto, la strada per mettere definitivamente la parola fine agli abusi liturgici sia ancora molto lunga.

Augustinus
02-10-03, 08:16
Originally posted by franco damiani
Ma i più gravi, come la tavola di Lutero al posto dell'altare e la definizione di Messa come memoriale e non come sacrificio espiatorio, non sono stati toccati. Ricordo tra l'altro che lo stesso Giovanni Paolo II presiedette una "messa della danza" con fedeli che ballavano intorno all'altare in Africa nel febbraio 1982 e nell'agosto 1985. Inoltre leggetevi l'intervista con mons. Piero Marini, maestro delle cerimonie pontificie, fatta da John L. Allen jr. sul "National Catholic Report", e capirete perché. come scrive "sì sì no no" di agosto, la strada per mettere definitivamente la parola fine agli abusi liturgici sia ancora molto lunga.

Gentile Professore,
la liturgia è effettivamente qualcosa di delicato.
A quanto ne so, però, la Chiesa non ha mai ripudiato l'idea della messa come sacrificio.
Mi sembra però che discutiamo su qualcosa che non è stato ancora pubblicato, ma semplicemente annunciato dal mensile "Jesus". Di conseguenza ciò che del documento si conosce è pur sempre filtrato attraverso una riduzione giornalistica. :D
Io penso che sia meglio attendere la pubblicazione dello stesso per poi esprimersi. Anzi, ancor meglio, sarà bene aspettare e vedere come esso sarà applicato. Io sono un ottimista per natura e penso che qualche effetto lo produrrà: per lo meno - spero - non si rivedranno più quegli abusi da Lei stesso segnalati .... :) :) :)
Può essere che la strada sia ancora molto lunga, come dice Lei: l'importante, a mio modesto modo di vedere, è che essa sia stata comunque intrapresa. Come spesso accade nella storia, qualsiasi cosa si faccia è troppo poco per alcuni e molto per altri ... Come fare a mettere d'accordo tutti questi pareri? Dio solo lo sa ... .
Cordiali saluti

Augustinus ;) ;) ;)

P.S.: cos'è "sì sì no no"? Dal riferimento al mese (agosto) lascia intendere che è un mensile!?! Perdoni la mia ignoranza! E poi sarebbe interessante se mi postasse anche l'intervista a Mons. Marini, che non sono riuscito a trovare. Grazie.

franco damiani (POL)
02-10-03, 14:05
Spero di trovarne il tempo, caro Augustinus. Mi sorprende che un "cattolico romano" non conosca "sì sì no no", il battagliero quindicinale (in estate mensile) fondato da don Francesco Maria Putti di v.m. nel lontano 1975 e he da allora, pur da posizioni oggi lefebvriane, è una puntuta spina nel fianco dei modernisti d'ogni risma, i quali infatti non lo possono vedere. Direi che è una lettura imprescindibile per un cattolico. Per quanto riguarda la natura e la definizione della Messa, la rimando al "Breve same critico" (1969)dei cardinali Ottaviani e Bacci, in cui si afferma che il NOM rappresenta "un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Messa, quale stabilita nella sessione XXII del Concilio Tridentino", talchè al cattolico si prospetta "una tragica necessità di opzione".

Augustinus
02-10-03, 14:27
Originally posted by franco damiani
Spero di trovarne il tempo, caro Augustinus. Mi sorprende che un "cattolico romano" non conosca "sì sì no no", il battagliero quindicinale (in estate mensile) fondato da don Francesco Maria Putti di v.m. nel lontano 1975 e he da allora, pur da posizioni oggi lefebvriane, è una puntuta spina nel fianco dei modernisti d'ogni risma, i quali infatti non lo possono vedere. Direi che è una lettura imprescindibile per un cattolico. Per quanto riguarda la natura e la definizione della Messa, la rimando al "Breve same critico" (1969)dei cardinali Ottaviani e Bacci, in cui si afferma che il NOM rappresenta "un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Messa, quale stabilita nella sessione XXII del Concilio Tridentino", talchè al cattolico si prospetta "una tragica necessità di opzione".

Gentile Professore,
effettivamente il periodico da Lei indicato non lo conoscevo, nè l'avevo sentito nominare :) :).
Riguardo al Breve esame critico del 1969 dei Cardinali Ottaviani e Bacci (cfr. Cristianità, anno IV, n. 19-20, settembre-dicembre 1976), lo conosco, in quanto tempo fa, ebbi modo di imbattermi all'Università Lateranense di Roma in un interessante saggio di Piero Cantoni, "Novus Ordo Missae" e Fede Cattolica, ed. Quadrivium, Genova 1988. L'autore - se non ricordo male - doveva essere un ex seguace di Lefebvre. Nel suo densissimo studio (di cui conservo alcune fotocopie), pur evidenziando talune lacune del Novus Ordo Missae, ha modo di concludere che, senza ombra di dubbio, esso sia pur sempre un rito cattolico "che rappresenta, rispetto alla sostanza del mistero celebrato un cambiamento soltanto accidentale, espressione di un avvicinamento ecumenico, che può essere discutibile nella "politica" che sottintende, ma non può essere accusato di compromesso dogmatico" (p. 146).
In fin dei conti, v'è anche da dire che - se non sbaglio - i cardd. Bacci ed Ottaviani non mettevano in dubbio la transustanziazione che avviene durante la Messa: semplicemente si lamentavano di qualche aspetto della celebrazione (a cominciare dall'altare e dall'orientamento del celebrante) che, per loro, assimilavano la Messa ad una Cena protestante.
Cordiali saluti

Augustinus

P.S.: Attendo, quando avrà tempo, che Lei possa postarmi l'intervista di Mons. Marini. Sono curioso ... :) :) :)

franco damiani (POL)
02-10-03, 15:12
:-01#05

Augustinus
02-10-03, 15:48
Giusto così come non può fare testo un articolo (in realtà, un libro ...) del Cantoni, così non lo possono fare neppure gli altri ... . Perchè gli altri sì e quello da me citato no?
Sono opinioni di dottori privati ... . La conseguenza è che ognuno, liberamente, può credere che siano fondate quelle argomentazioni o meno.:) :)
Quanto al fatto che la Nuova Messa sia illecita ed addirittura invalida, beh ... l'ammiro per le Sue certezze assolute e quasi matematiche. :rolleyes: :rolleyes:
Io ... molto più modestamente ... non ho la certezza neppure di arrivare a domani ... mi sento totalmente nelle mani di Dio .... .
Per questo non mi sento di poter dire con certezza assoluta (alla Muzio Scevola ... per capirci ...) che nella Nuova Messa non si realizzi la transustanziazione. Quella Messa ha senz'altro molti difetti e lacune, lo abbiamo detto, ... ma in tutta franchezza non me la sentirei di dire che essa è invalida e che in essa non si realizza la Presenza Reale di Cristo, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Dal criticare taluni aspetti liturgici (Breve esame critico) della Messa a dire che essa è totalmente invalida ... ce ne passa. Del resto, chi afferma l'invalidità della Messa voluta da Paolo VI lo fa non perchè ha verificato e toccato con le sue mani o visto con i suoi occhi quella Realtà Misteriosa ed Incomprensibile all'intelletto umano qual è l'Eucarestia e, quindi, sia in grado di poter dichiarare "E' vero in quella Messa non c'è Presenza Reale" o "In questa sì". A me ultimo ed infimo peccatore non è mai capitato di aver visto discendere lo Spirito sulle Specie Consacrate ... . Dunque non lo posso dire.
Da quanto ne so, a parte la facezia, chi afferma questo lo fa sulla base di opinioni private (di singoli dottori, che, in quanto esseri umani, possono aver preso un abbaglio e sono fallibili); opinioni che, per quanto argomentate, rimangono tali e, quindi, possono anche essere disattese. Poiché, quindi, non esiste una verità di fede (che non ammette prova contraria) nè una prova incontrovertibile sul punto della presunta invalidità di quella Messa, io, ... miserrimo ...., nel dubbio, preferisco credere alla validità ed alla Presenza reale di Cristo nelle Specie del Pane e del Vino.
Non sia mai, infatti, che quella tesi non sia vera e, quindi, ci si trovi ad arrecare offesa al Corpo e Sangue di Gesù, credendolo assente!!!! :) :) Non sia mai che, come vergini stolte, si passi con indifferenza dinanzi alla Divina Maestà, senza degnarlo neppure ... di un saluto ... . Guai sarebbe trascurare così il Redentore del mondo ... .
Per quanto riguarda gli abiti liturgici, effettivamente alcuni neanche a me piacciono. Ma far dipendere (anche) da questo fattore la validità/invalidità della Messa ... è leggermente eccessivo.
Cordiali saluti

Augustinus

P.S.: Riperdoni la mia ignoranza (crassa e macroscopica) ma che cos'è il sito "Traditio" da Lei indicato? non lo conosco. Io non frequento i lefebvriani!!!!

franco damiani (POL)
02-10-03, 16:10
Caro amico, opinione per opinione io preferisco la Messa cattolica di sempre, quella in cui ricevetti battesimo, prima comunione e cresima, in cui si sono santificati Padri e Dottori della Chiesa e che bene o male (molto più bene che male) ha scandito la vita cristiana per un paio di millenni. A lei piace tanto la messa nuova, le piacciono tanto i sermoncini sindacal-buonisti a base di turoldimadri teresegandhimazzolariromeri e compagnia cantante? E' convinto che le variazioni alla formula della consacrazione non invalidino la Messa? Che la teologia del "mistero pasquale", l'enfasi sulla Parola, l'occultamento "ecumenico" della transustanziazione siano, come si suol dire, bruscolini? Che devo dire, nessuno le impedisce di abbeverarsi a quella fonte, ma poiché la salvezza dell'anima non è questione su cui scherzare, faccio fatica a capire perché si lasci la via vecchia per la nuova, con le conseguenze che il proverbio insegna, e perché, per riprendere la metafora, si preferisca una bottiglia d'acqua SICURAMENTE inquinata a una d'acqua purissima..

Augustinus
02-10-03, 16:32
Gentile Professore,
a parte il fatto che io la messa previgente non l'ho conosciuta ... Sono infatti nato nel 1974 ... . E, quindi, da quando sono nato non lo lasciato nessuna via vecchia ... . Semplicemente quella era la via che ho trovato.
Almeno dalle mie parti, poi, non mi ricordo di aver sentito "sermoncini sindacal-buonisti a base di turoldimadri teresegandhimazzolariromeri e compagnia cantante" o se li avrò sentiti mi saranno scivolati via ... (tant'è che non li ricordo neppure!!!).
Non rammento di aver sentito mai citato Turoldo, Gandhi, don Primo Mazzolari, ecc. Anzi, mi è capitato di aver sentito citare più volte Agostino, Ambrogio, Francesco d'Assisi, Padre Pio, la "matita di Dio" (Madre Teresa), Giovanni Bosco, Domenico Savio, Bernadette Soubirous (per incidens: il mio Parroco è un grande "patito" di questa Santa) ... . L'ultima volta qualcuno di questi nomi l'ho sentito giusto domenica scorsa.
Forse a Lei è capitata un'altra esperienza ... .
Ma ancora una volta, proprio per non scherzare con cose delicate, ribadisco che, nel dubbio, io voglio fidarmi di quanto certificato ed attestato dalla Suprema Autorità della Chiesa (che ha il potere di legare e sciogliere ...). Anche se posso non comprendere a pieno tutto, però preferisco aver fiducia in una guida sicura, piuttosto che sbandare ed andarmene per conto mio. Questo era l'atteggiamento di Padre Pio, il quale pur non comprendendo a fondo l'Autorità, non osava disubbidire. Questo era anche l'atteggiamento dei grandi Santi, anche quando avrebbero avuto tutte le ragioni di questo mondo per lamentarsi con questa o quella Autorità ... . Infatti, Dio sa sempre ottenere il bene dal male degli uomini (ricordiamo la storia biblica di Giuseppe venduto dai fratelli narrata dal libro della Genesi...). Ecco perché chi dice che nella Nuova Messa non avvenga la transustanziazione? Si sono ricevute forse divine rivelazioni al riguardo? Chissà che Dio, nonostante i Brevi esami critici, non continui a compiere il miracolo dei miracoli, rinnovando la Sua Divina Presenza quotidianamente? Io penso proprio di sì. Dio sa scrivere sulle righe storte degli uomini. Questa è la speranza che deve animarci ... . Dio è più grande; è l'Onnipotente: ciò che agli uomini pare impossibile sotto tutti i punti di vista, Lui lo può compiere ... .
Cordiali saluti

Augustinus

cm814
02-10-03, 17:23
Va detto che il clima del Sud è un po' differente da quello del Nord. E non mi riferisco alla meteo........

franco damiani (POL)
02-10-03, 17:32
Mi pare che Lei stia cercando di convincere se stesso più che me. Sentir parlare di S. Bernadette e compagni dalla tavola di Lutero è cosa che fa accapponare la pelle, ma ripeto, se Lei si diverte, buon pro le faccia. Personalmente preferisco una salutare scampagnata. Almeno mi evito una crisi di fegato nel vedere la "comunione nella mano", il "segno di pace" e simili amenità o nel sentire le canzoncine sanremoidi di langoniana memoria. Che posso dire se a uno il gregoriano fa schifo? Devo poi dire che è commovente una tale fiducia nell'apparente autorità pro tempore, incurante di contraddizioni. Pensi quanta fatica in meno fate voi: non dovete nemmeno pensare, tanto c'è il Papa che pensa per voi. Povera "fides quaerens intellectum".

Manuel
02-10-03, 21:27
Questo vale anche per i messaggi successivi:

http://www.politicaonline.net/pol/regfor.htm

Contestazioni
L'operato dei moderatori è insindacabile e può essere giudicato solo dall'amministrazione dei forum. E' comunque permesso chiedere spiegazioni, non utilizzando però lo spazio pubblico del forum. Eventuali contestazioni dovranno essere effettuate via e-mail oppure tramite i messaggi interni (pvt) e comunque in forma privata. Verrà immediatamente chiuso ogni thread avente come oggetto argomenti di contestazione in chiave polemica. Chi dovesse insistere in simile atteggiamento, verrà immediatamente allontanato dal forum secondo l'insindacabile giudizio dell'amministrazione

franco damiani (POL)
03-10-03, 07:56
:-01#03

franco damiani (POL)
03-10-03, 08:02
:-01#05

agaragar
03-10-03, 08:13
ops mi scuso, avevo letto "tressette e abusi liturgici"



spero che la briscola sia permessa.

agaragar
03-10-03, 08:17
:-01#04

cm814
03-10-03, 09:32
Abusi ce ne sono, in campo liturgico, e anche tanti. Perfino UNA VOX, non certo sedevacantista o altro, ha denunciato "correttivi" ingiustificati perfino nella celebrazione di alcune Messe Trindentine. Qualcuno gioca col fuoco! ... ed è assurdo!

franco damiani (POL)
03-10-03, 15:27
:-01#72

agaragar
03-10-03, 16:32
:-01#76

cm814
03-10-03, 18:38
Originally posted by cm814
Abusi ce ne sono, in campo liturgico, e anche tanti. Perfino UNA VOX, non certo sedevacantista o altro, ha denunciato "correttivi" ingiustificati perfino nella celebrazione di alcune Messe Trindentine. Qualcuno gioca col fuoco! ... ed è assurdo!

Non avevo scritto solo questo, ma non importa......

odio porta odio
rancore altro rancore
diffidenza altra diffidenza

:)

Manuel
03-10-03, 22:30
La mia era una semplice critica costruttiva, in ogni caso una volta letta penso possa servire al moderatore a riflettere sull'aspetto che ho voluto rimarcare, piuttosto che modificare un testo, a parte le parolacce sostitubili con gli asterischi, nei forum è sempre bene non modificare mai alcun messaggio scritto da terzi, se non è gradito al moderatore è meglio cancellarlo.

cm814
19-12-03, 00:22
Desidererei sapere, se il Papa abbia firmato qualche lettera, ultimamente, sulla liturgia, e se si tratta di quei famosi ABUSI, che dovevano essere denunciati in un documento ufficiale tra la fine di quest'anno e l'inizio del nuovo.


Grazie.
:)

Augustinus
20-12-03, 13:14
Originally posted by cm814
Desidererei sapere, se il Papa abbia firmato qualche lettera, ultimamente, sulla liturgia, e se si tratta di quei famosi ABUSI, che dovevano essere denunciati in un documento ufficiale tra la fine di quest'anno e l'inizio del nuovo.


Grazie.
:)

Caro Antonio,
a quanto ne sappia l'unico documento recente sulla Liturgia che il Papa ha firmato l'ho postato un po' di tempo fa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=75728).
Del documento annunciato contro gli abusi, devo dire che è ancora in fase di rifinizione, a quanto ne sappia.
Cordialmente

Augustinus

Colombo da Priverno
20-12-03, 17:26
Il documento dovrebbe uscire per gennaio. I più importanti liturgisti italiani ne hanno già copia e stanno inviando alla Santa Sede i loro commenti. Personalmente ho avuto modo di sapere qualcosa sul contenuto e credo che avremo positive sorprese.

poliedrico
09-03-04, 12:45
Il pomeriggio di sabato 24 maggio scorso mi sono trovato a Roma nella basilica di S. Maria Maggiore dove in una chiesa affollata da tradizionalisti venuti da diversi paesi dell'Europa - ma c'erano parecchi gruppi di diverse regioni d'Italia - è stata celebrata una messa utilizzando il messale anteriore alla riforma liturgica, il messale di Pio V, naturalmente interamente in latino.

Prima della messa fu distribuito un foglio per spiegare ai convenuti, sconcertati nel vedere il presidente, o celebrante come esso lo chiamava, non rivolgere le spalle ai fedeli, come essi si aspettavano, che la struttura della basilica con l'abside rivolta ad occidente e l'ingresso ad oriente non consentiva tale posizione.

La messa, pur essendo ai primi vespri della sesta domenica di Pasqua, era quella della Beata Vergine Maria Ausiliatrice dei cristiani, vittoriosa contro i nemici della Chiesa; molti preti e monaci seguivano in silenzio, alcuni leggendo il breviario, altri dicendo il rosario, qualcuno concentrato su un vecchio messalino.

Durante il canto dell'introito il celebrante, che era un eminentissimo porporato, ai piedi dell'altare a bassa voce recitò privatamente con i ministri il salmo "Iudica me Deus" (Fammi giustizia o Dio, Sal 42) e il "Confiteor".

Le letture, dal comune della Beata Vergine, furono cantate in latino, così pure il "Graduale", e il celebrante pronunziò in segreto le antiche preghiere dell'offertorio mentre il coro eseguiva un mottetto mariano in polifonia, l'incensazione delle personalità presenti si protrasse sino al "Sanctus".

Il celebrante utilizzò il Canone romano, detto naturalmente a bassa voce, mentre l'assemblea stando in ginocchio cantava il "Sanctus" della "Missa de Angelis". Il racconto dell'istituzione fu pronunziato in rigoroso silenzio, ma subito dopo, il raccoglimento fu interrotto dal canto del "O salutaris Hostia" in polifonia eseguito dal coro.

Il vescovo celebrante concluse la preghiera eucaristica cantando "Per omnia saecula saeculorum".

Subito dopo, quando iniziò il "Pater noster", alcuni fedeli accennarono timidamente ad unirsi a lui nel canto, ma furono prontamente zittiti, perchè la preghiera del Signore era riservata al presidente e soltanto il "Sed libera nos a malo" era concesso ai fedeli.

Lo scambio di pace era riservato soltanto ai ministri e ai chierici presenti nel coro. Tutti poterono ricevere la comunione, ma solo in bocca e stando in ginocchio, mentre il coro cantava "Adoro te devote", "Ave verum corpus", e "Pange lingua gloriosi", che sono canti di adorazione e non di comunione.

Dopo l'orazione dopo la comunione il diacono congedò l'assemblea cantando "Ite missa est", quindi il vescovo impartì la benedizione e portandosi al lato destro dell'altare lesse a voce bassa il prologo di Giovanni.

Frattanto il coro cantava: "Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat. A tutti i principi cristiani e a tutto l'esercito dei cristiani, onore illeso, vita e vittoria. S. Maurizio, S. Sebastiano, S. Giorgio, aiutateli". Così si sciolse l'assemblea.

E io ho ringraziato il Signore per averci dato la riforma liturgica e il messale di Paolo VI. Forse non sono molti a ricordarlo, ma così era la messa sino al 6 marzo 1965.

Che Dio ci aiuti!
Poliedrico

poliedrico
11-03-04, 01:52
Cari amici,

da una preghiera fatta male, con contenuti improprii, deriva un credere distorto; al contrario da una buona formula di preghiera si ha una corretta fede.

Perché la riforma liturgica?

La riforma generale della liturgia ha come scopo primario di assicurare maggiormente al popolo cristiano l’abbondante tesoro di grazie che la sacra liturgia racchiude. Questa infatti consta di una parte immutabile, perché d’istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso del tempo possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti all’intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni.

L’intento della riforma, pertanto, non è archeologico, ma pedagogico ed ecclesiale: esprimere più chiaramente le sante realtà contenute nei testi e nei riti in modo che, comprese nel loro profondo significato, il popolo cristiano possa parteciparvi in maniera piena, attiva e comunitaria (SC 21).

A motivo della natura e dell’importanza della sacra liturgia nella vita della Chiesa, tale riforma non può essere lasciata alla libera iniziativa dei singoli fedeli, ma deve essere ordinata dalla competente autorità che risiede nella Sede apostolica. Si tratta di presiedere al delicato rapporto del “tutto fatto” e del “tutto da fare”, del giusto equilibrio tra tradizione e progresso. “Di conseguenza nessun altro, assolutamente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (SC 22 § 3).

Viene da chiedersi: perché tanta severità? Una risposta adeguata deve tener conto di almeno due principi: il primo riguarda la legittimità di un giusto progresso nella liturgia e quindi la possibilità di uno spazio di creatività liturgica secondo la cultura locale; il secondo riguarda la serietà e la difesa del patrimonio liturgico contro improprie manipolazioni. Partiamo da questo secondo principio, che è poi fondamento di ogni agire liturgico, ed occupiamoci di quella regola che fin dall’antichità è stata chiamata lex orandi, lex credendi.

Lex orandi, lex credendi

Con questa espressione si è inteso regolare il rapporto tra liturgia e fede, il retto modo di pregare nella Chiesa al fine di salvaguardare la purezza della fede.

La formula “lex orandi - lex credendi” è l’espressione abbreviata di un passo dell'Indiculus de gratia Dei (cf DS 238-42). E' questo un documento del secolo V contro i pelagiani e semipelagiani, ove si raccolgono, attorno alle questioni della grazia, testimonianze dei pontefici romani anteriori, chiudendo il tutto con un argomento dedotto dalla liturgia. Il documento fu compilato probabilmente da Prospero di Aquitania e rispecchia il pensiero della curia romana.

Dal punto di vista che c’interessa, il passo essenziale è il seguente: “Consideriamo anche i sacramenti delle preghiere che fanno i vescovi, le quali, tramandate dagli apostoli, in tutto il mondo e in ogni Chiesa cattolica si recitano in pari modo, affinché il modo obbligatorio di pregare determini il modo obbligatorio di credere” (ut legem credendi lex statuat supplicandi).

Il significato preciso della frase si deduce confrontandola con il testo di 1 Tm 2,1-4 da cui dipende. Cioè: affinché dall'obbligo che ci fa l'apostolo (1 Tm 2,1-4) e a cui soddisfano i vescovi nella liturgia, di pregare per tutti affinché a tutti sia data la grazia (lex orandi), appaia chiaro anche l'obbligo di credere, contro i pelagiani e i semipelagiani, che la grazia è necessaria per tutti (lex credendi).

Quando pertanto si abbrevia il detto in lex orandi lex credendi, s’intende precisare il rapporto esistente tra fede e liturgia; e cioè: dal retto modo del pregare deriva un retto modo di credere. Il fatto che da sempre nelle varie Chiese si sia pregato in un certo modo e con certi contenuti, significa che quei contenuti possono entrare con sicurezza nel deposito della fede della Chiesa.

Non è possibile infatti che il medesimo Spirito che assiste la Chiesa in preghiera e il Magistero, parli in due maniere diverse. Il detto lex orandi - lex credendi vuol dire anche che tra liturgia e fede esiste questo ulteriore rapporto: la liturgia presuppone, esprime, esplicita, fa vivere, fortifica la fede nei credenti; a volte addirittura precede l'esplicitazione della fede divina e cattolica come è avvenuto sia per il dogma dell'Immacolata Concezione, sia per quello dell'Assunzione.

Dall'insieme di queste osservazioni è più facile comprendere la cura con cui da sempre la Chiesa ha vigilato sulle formule eucologiche della liturgia tanto che anche attualmente prima che un testo o la semplice traduzione del medesimo possano entrare nell'uso liturgico hanno bisogno dell’approvazione dell’Organo competente della Santa Sede. La liturgia infatti è il primo catechismo della fede.

Liturgia e didascalia

In un’udienza Pio XI ebbe a dire: “La liturgia è l'organo più importante del magistero ordinario della Chiesa.. La liturgia non è la didascalia di tale o tal altro individuo, ma la didascalia della Chiesa”.

Una tale espressione può peccare sia per eccesso, sia per difetto. Per difetto nel senso che la liturgia, in quanto luogo privilegiato dell’incontro tra Dio e l'uomo per mezzo di Cristo, mediatore e capo e nel possesso dello Spirito Santo, che permette il ritorno al Padre, è qualcosa di più che un semplice esercizio didascalico del magistero della Chiesa. Essa è infatti, sotto il velo dei segni sensibili ed efficaci, l'incontro vitale massimo tra l'uomo e Dio in Cristo. Essa è “culmen et fons” (SC 10) e quindi trascende il semplice servizio didascalico della Chiesa.

Ciò non impedisce che la liturgia svolga anche un servizio didascalico soprattutto quando insegna ed esorta ad attuare nella vita dei fedeli l'esercizio della fede, speranza e carità: “esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede” (SC 10).

Per eccesso, nel senso che la liturgia nel suo insieme non è costruita in uno stile didattico. Più che comunicare semplicemente concetti chiari e distinti, più che insegnare, si preoccupa di sintonizzare tutto l'uomo concreto e d'immergerlo in un ambiente generale di preghiera e di dedizione a Dio, in quell'ambiente di devotio che è l'anima del culto. La liturgia è essenzialmente una preghiera e non una forma d’insegnamento. Che cosa dire, al riguardo, di certe maxiliturgie che prolungano a dismisura la parte didattica iniziale relegando poi a qualche minuto la proclamazione eucologica solenne della Preghiera eucaristica?

Ben diversa invece è la grande efficacia didattica della liturgia. Essa infatti, più che insegnare, fa vivere la dottrina. Arriva alla mente non tanto per via concettuale, ma per via sperimentale investendo non solo la ragione dell'uomo ma anche le sue altre facoltà affettive e sperimentali.

Liturgia e fede

Oltre che espressione della fede, la liturgia è anche difesa della fede in quanto teologia pregata o teologia in ginocchio. La lex orandi è una via molto facile per introdurre nel sentire comune della fede del popolo di Dio elementi non corrispondenti alla Rivelazione e alla Tradizione. Da una preghiera fatta male e con contenuti impropri, deriverà inevitabilmente anche un modo di credere distorto e non in sintonia con la fede cattolica.

Questa preoccupazione di salvaguardare la fede attraverso una corretta espressione della preghiera liturgica ha spinto il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II a dire che neppure un sacerdote, di sua iniziativa, può aggiungere, togliere, alterare, sostituire, le parti costitutive della liturgia. Non per questo vengono aboliti gli spazi di creatività: introduzioni, preghiera dei fedeli, omelia. Ma quale impegno si dovrà mettere perché questi interventi siano espressione della fede e non semplicemente espressioni di “ impreparati”. Al di là di ogni equivoco, questa espressione è di sant’Agostino e da lui attribuita a coloro che si avventuravano in improvvisazioni liturgiche senza averne la necessaria competenza. Il fenomeno, pertanto, è abbastanza antico.

Sempre nello stesso periodo, verso l’anno 416, papa Innocenzo I scrisse una lettera al vescovo di Gubbio, dove deplorava che: “ciascuno ritiene opportuno seguire non ciò che è stato tramandato, ma ciò che più gli piace; per cui ne deriva che in alcune chiese o luoghi si vedono attuate nelle celebrazioni le cose più diverse; e questo porta scandalo presso il popolo”.

Dobbiamo riconoscere che non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole e che anche ai nostri giorni le cose non vanno molto diversamente. Con la scusa del Concilio e appellandosi ad un falso concetto di “creatività” si vuol ad ogni costo “attualizzare” la liturgia, almeno questi gli intenti migliori, portandola al popolo in maniera semplice e comprensibile. Non sempre però i risultati sono proporzionati alle premesse.

Intanto si dimentica che la liturgia è "dono" che Cristo, sacerdote eterno del Padre, fa alla sua Chiesa mediante lo Spirito Santo. Per cui Cristo, nell'azione dello Spirito, resta l'unico e vero Liturgo della Chiesa. Sempre per dono e vocazione (ekklesia = con-vocazione) siamo chiamati ad accettare questo dono e a conformare ad esso la nostra mente e il nostro cuore in modo che "il Signore sia nel mio cuore e nelle mie labbra" per poter celebrare degnamente i santi misteri.

Perché non venga mai meno questa visione dell'azione liturgica, all'inizio della Liturgia delle Ore sempre siamo invitati a pregare: “Domine labia mea aperies; et os meum annuntiabit laudem tuam" (Signore apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode).

Richiamare questi principi e stigmatizzare una certa situazione non vuol dire assolutamente sognare certi periodi di fissismo liturgico o auspicare il ritorno ad una deleteria staticità liturgica che vede il prete factotum e l'assemblea spettatrice.

Si vuol soltanto far presente che la liturgia non è il banco di sperimentazione delle varie teorie pseudo-sociali di gruppuscoli cosiddetti impegnati o il teatrino di coloro che presumono di avere lo Spirito noleggiato al loro piacimento. La liturgia, occorre ripeterlo, è “dono” da accettare nell'ascolto fedele della Parola che converte e nella risposta di azione di grazie al Padre che, senza nostro merito ma unicamente per la ricchezza del suo perdono, ci ammette a godere della sorte beata dei santi per mezzo di Cristo nell’unità dello Spirito Santo (si rilegga la conclusione del Nobis quoque nel Canone romano [“… non per i nostri meriti, ma per la ricchezza del tuo perdono”] e la dossologia finale di ogni "canone", cioè di ogni "regola" da imitare nell'azione liturgica).

Ben venga il nuovo, purché sia anche valido nel contenuto, espressione della fede ecclesiale, bello nella forma, come si addice ai santi Misteri. Ben venga il nuovo, purché sia anche ricco di dottrina e di preghiera e non vuota verbosità che sgorga da cuori incirconcisi. Come ci poniamo di fronte ai rimproveri del Qoèlet che dice: "Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò le tue parole siano parche, poiché dalle molte preoccupazioni vengono i sogni e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto" (Qoèlet 5,1-2; cf Is 1,15; Sir 7,15; Mt 6,7; 7,21; 23,4; 1 Pt 4,7).

Erratissima, dopo questo discorso, sarebbe la conclusione che, per non sbagliare, dobbiamo soltanto accettare quello che ci viene ammannito. Parleremo del concetto di "creatività" e come sia irrinunciabile per una Chiesa viva una tale prerogativa. Si vuol soltanto ribadire che è presunzione edificare cose nuove senza neppure avere la minima idea di come e di che cosa abbiano costruito coloro che prima di noi hanno tradotto in preghiera il deposito della fede.

Un buon artigiano, un buon pittore e qualsiasi altro, hanno bisogno di un lento tirocinio prima di produrre l'opera d’arte. Scopo di questo corso vuol essere quello di abituare ad una lettura attenta delle fonti liturgiche; saperne cogliere i valori; saperne ricercare i temi principali attraverso i quali si snoda la celebrazione del mistero di Cristo. Scopo non ultimo sarà anche quello di arrivare, per chi ne avesse le doti, alla composizione di elementi nuovi da utilizzare soprattutto nei pii esercizi e, a certe condizioni, nella stessa celebrazione liturgica. Nella liturgia non tutto è fatto, non tutto è sempre fa dare.

Nè tutto fatto, nè tutto da fare

Sono ormai passati anni dalla pubblicazione della Costituzione sulla sacra liturgia (4 dicembre 1963). Ad essa sono seguite alcune Istruzioni per l'esatta applicazione delle norme liturgiche. Nonostante tale attività “promozionale” assistiamo oggi a questa situazione:

a) Ci sono ancora molti “conservatori” rimasti legati all'antica mentalità rubricistica. Per loro tutto si riduce a fare ciò che è prescritto, e come è prescritto. Non senza loro disagio, perché il vino nuovo in otri vecchi porta sempre inconvenienti. Vorrebbero trovare la precisione di prima; lamentano perciò “mancanza di chiarezza”. Per loro tutto è stato fatto, e una volta per sempre. Una volta appreso un sistema di celebrazione, quello rimane per sempre. Una liturgia viva e partecipata, una liturgia adattata in base alle circostanze e secondo le possibilità offerte in abbondanza dai nuovi libri liturgici, è tutta un'altra questione che essi non si sognano neppure di porre.

b) All'estremo opposto ci sono quelli per cui la liturgia tutta da fare. Provano allergia per ogni testo imposto dall'alto e vogliono che, per una liturgia viva, tutto nasca dalla spontaneità. Per essi “la liturgia è per l'uomo” e non viceversa; ogni comunità pertanto “ha diritto” di crearsi una liturgia a sua immagine. In questi casi viene sempre fuori il discorso sullo Spirito Santo del quale sembrano “abbonati” e alla cui libertà creativa si abbandonano. Per essi è “sentito” soltanto quello che viene fatto “in casa”: pane nero e duro, ma fatto in casa.

Il dramma è nel fatto che il più delle volte né il sacerdote che si adegua a tali compromessi sa come deve essere fatta una preghiera, né gli altri partecipanti possono dire di attingere ad un’autentica esperienza di preghiera.

Il tutto finisce con l’ingenerare stanchezza e disagio, assuefazione e sazietà. Una tale “liturgia” non suscita risposte nella comunità (e come potrebbe?); si dimostra dunque inefficace e non sono pochi quelli che mettono da parte ogni liturgia e si dedicano all’ “assistenzialismo” e all'impegno “politico” presumendo che così si serva veramente il Signore.
Quello che è il “culmine e la fonte” della vita della Chiesa è sostituito con un impegno orizzontale. Una fede ridotta alla dimensione politica non sa più che farsene dei riti ecclesiali, che vengono emarginati, perché “non vanno”.

Vorrei concludere questa riflessione ritornando all’inizio del mio discorso: pregare bene per credere bene. Prendere sul serio la liturgia e curare ogni forma di creatività nel contenuto e nelle forme. Una liturgia intesa non come azione privata, ma celebrazione che appartiene e coinvolge l’intero corpo della Chiesa. Una liturgia che sia evangelizzante, che nutra la fede, che spinga alla missione.

Attilio Rovelli

Augustinus
11-03-04, 14:52
caro Poliedrico,
il rito antico della Chiesa cattolica è nobile e bello. Non puoi disprezzarlo. Lo stesso attuale Pontefice, che ha pur consentito la celebrazione della S. Messa in quel rito in S. Maria Maggiore, lo ha esaltato. Scriveva, infatti, nella Lettera del 21 settembre 2001, in occasione della riunione Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, al predetto Dicastero, che "La Sacra Liturgia, che la Costituzione Sacrosanctum Concilium qualifica come il culmine della vita ecclesiale, non può mai essere ridotta a semplice realtà estetica, né può essere considerata come uno strumento con finalità meramente pedagogiche o ecumeniche. La celebrazione dei santi misteri è innanzitutto azione di lode alla sovrana maestà di Dio, Uno e Trino, ed espressione voluta da Dio stesso. Con essa l’uomo, in modo personale e comunitario, si presenta dinanzi a Lui per rendergli grazie, consapevole che il suo essere non può trovare la sua pienezza senza lodarlo e compiere la sua volontà, nella costante ricerca del Regno che è già presente, ma che verrà definitivamente nel giorno della Parusia del Signore Gesù. La Liturgia e la vita sono realtà indissociabili. Una Liturgia che non avesse un riflesso nella vita diventerebbe vuota e certamente non gradita a Dio.
La celebrazione liturgica è un atto della virtù di religione che, coerentemente con la sua natura, deve caratterizzarsi per un profondo senso del sacro. In essa l’uomo e la comunità devono essere consapevoli di trovarsi in modo speciale dinanzi a Colui che è tre volte santo e trascendente. Di conseguenza l’atteggiamento richiesto non può che essere permeato dalla riverenza e dal senso dello stupore che scaturisce dal sapersi alla presenza della maestà di Dio. Non voleva forse esprimere questo Dio nel comandare a Mosè di togliersi i sandali dinanzi al roveto ardente? Non nasceva forse da questa consapevolezza l’atteggiamento di Mosè e di Elia, che non osarono guardare Iddio facie ad faciem? Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".
Quindi, ti invito a non disprezzare nè ad offendere quell'antico e nobile rito. Se ti dava fastidio quel tipo di Messa, semplicemente non ci andavi ed evitavi lo "choc", come lo chiami tu. Elementare, no? Ma non puoi, in ragione dei tuoi gusti liturgici, non rispettare le diverse concezioni di altri fedeli, legati ad un particolare rito. Anch'essi meritano un rispetto pari al tuo. E di questa esigenza lo stesso Papa si è fatto portatore, assicurando a gruppi di fedeli il rito antico ed istituendo una Amministrazione Apostolica Personale ad hoc.
Analogamente, invito il caro Pherrerius a non disprezzare il nuovo rito, cioè quello voluto da Paolo VI, ed ad irriderlo, dal momento che si tratta pur sempre di un rito legittimamente imposto da un Pontefice romano.
Cordialmente

Augustinus

cm814
12-03-04, 00:57
Rispondo sull'onda di una bellissima ora di adorazione eucaristica: solo così la Verità non diviene idolatria, resa vivente dalla Carità.

Chi mi conosce, sa che sono cattolico indultista, ormai regolarmente iscritto a quella associazione, che ha organizzato proprio la Messa di S. Maria. Cattolico tradizionalista indultista, ma in realtà Cattolico, e basta.
Non ho mai partecipato ad una messa tradizionale, e non conosco bene l'antica liturgia: semplicemente, mi sono sempre chiesto cosa potesse essere più gradito a Dio. Non già ciò che può salvare: perché la liturgia è quanto noi sappiamo donare a Dio, non certo l'unica cosa che può salvare. perchè salva Dio, e salva secondo la sua Imperscrutabile (per la ragione umana) Volontà. Quindi, poliedrico, non ti paventerò inferni dalle fiamme ardenti e pene varie ( in questo caso sì che sarebbe solo un ridicolo spauracchio, e non gà dogma di fede), al solo fine di cercare un nuovo adepto: chi, infatti, non ha il coraggio di dire, che non sta che a Dio concedere la Grazia al di là di quale rito si pratichi, perché altrimenti verrebbe a cessare la paura di non salvare l'anima, possibile movente verso la liturgia tradizionale, agiscde da settario e come i settari costretto ad agire nelle tenebre.

Io non parlerò di quanto poco cattolico sia il nuovo rito, e di come esso non serva alla salvezza: perché non credo a tutto questo. Ho pure io avuto dubbi, ho pure io usato toni forti, ma con ciò facevo entrare dalla finestra, quanto volevo buttare via dal portone: il disordine, il disobbedire eretto a regola. NESSUNO PUO' FARSI GIUDICE, perchè con lo stesso metro col quale condanniamo, saremo un giorno condannati. E non ci salveremo davanti alla Maestà Celeste, dicendo che certi nostri giudizi erano suffragati dalla filosofia aristotelica (la stessa che, tra l'altro, negherebbe l'incarnazione, se non bene corretta). Nè posso dare a te, poliedrico, colpa alcuna: i momenti in cui mi sono assiso a INQUISITORE sono stati quelli in cui ero più debole moralmente. Parlavo forte per non sentire il dubbio e l'angoscia del peccato.

Del resto, col nuovo rito sono stato battezzato, si sono sposati i miei genitori, si fonda l'intera società cattolica: tutto perso? Ti lascio solo immaginare che accadrebbe all'intero mondo, se si prendesse sul serio l'invalidità dei sacramenti ora amministrati.

Ma qui finiscono i meriti. Non credo Dio sia molto contento di un rito, riformato ben oltre quanto sancito dal Concilio Vaticano II, e che se già all'inizio si mostrava alquanto meno ricco dell'antico, col tempo è stato trasformato, per incuria e vanità umana, blasfemo e, in molte occasioni, ridicolo, finendo per sortire l'effetto contrario di quanto propostosi: allontana, più che avvicinare alla Fede.
Non credere che Dio abbia abbandonato la Chiesa, come credono i catastrofisti, non vuol dire pensare che Dio sia contento della situazione attuale: sciatteria dominante, su un tessuto già poco decoroso di suo.
Il problema, caro poliedrico, è di prospettiva: è importante quel che penso io, o quel che pensa Dio? -qui sta il nocciolo della questione. Non credo che al medico sia il paziente a dire ciò che è necessario fare.

Quello che mi ha spinto alla liturgia tradizionale, alla quale tra l'altro non ho mai assistito (tanto per sfatare subito qualsiasi dubbio sull'eccentricità di chi vi partecipa e sul gusto estetico), si può enunciare in tre punti:

* SPIRITUALITA'. La messa tridentina è più ricca spiritualmente, più ascetica. Il silenzio è parte centrale, viene coltivato dal celebrante, rispettato dai fedeli. La lingua latina non è un intralcio: PARTECIPARE non è comprendere, anzi. Forse, a volte proprio la comprensione razionale delle parole è intralcio, perché PARTECIPARE attivamente, magari con l'ansia di andare a leggere, o che la coreografia anche se in buona fede e garbata, ci sono momenti in cui il nuovo rito richiede la partecipazione di più persone che vanno tra loro cooordinate), non è dimenarsi e darsi da fare. Ricordo quando a 14 anni arrivai mezzo morto in ospedale: mentre mi davano soccorso i medici indaffarati, i miei genitori se ne stavano in un angolo a fissarmi con le lacrime agli occhi. Chi partecipò di più al mio dolore?
Anche da un punto di vista meramente psicologico, con l'attenzione concentrata su un unico punto focale (come del resto l'intero fabbricato della chiesa dove si celebra), la messa tridentina non si disperde in mille messaggi visivi, ma in ordinati, armonici impulsi.


* CATTOLICITA'. nel senso di universalità. Abito a pochi chilometri da una base nato, eppure son pochi gli americani che vengono a messa dalle mie parti. Perché? se hanno la cappella cattolica che è stracolma, perché non venire dalle mie parti? Domanda retorica: io andrei in una chiesa cattolica tedesca?
La bellezza di una sola lingua sta nel fatto che si può dire Messa in Germania, celebrante giapponese, chierichietto francese, fedele italiano e sacrestano lituano. Ti pare poco?


* SIMBOLICITA'. L'intero Cristianesimo è fatto di simboli. Segno è aliquid pro aliquo: una cosa che sta per un'altra. Solo una cosa, una soltanto è in sè: la Santa Eucarestia.
Il Simbolo è fondamentale: è il roveto ardente, è la nube, è la colomba. Dio non può essere colto dall'occhio, dalla mente dell'uomo, e per gli Ebrei pefino dalla lingua. Ma L'Iddio si è fatto vero uomo, restando vero Dio: una strada è stata aperta. Il Simbolo, allora, è importante. E' centrale in qualsiasi rito. Col tuo permesso, preferisco quello che nato dalle Sante Visioni dei Padri, piuttosto che le trovate da circo di zelanti catechisti (sapessi quanti ne ho inventati io, di simboli! ... pardon, si dice SEGNI, e di solito nel nuovo rito si portano durante l'offertario).


Non credo tu voglia riflettere su quanto ti ho scritto: conosco bene il tuo animo, perché è stato anche il mio. Ma evitiamo giudizi troppo perentorici: non saranno veri e, dunque, non graditi a Lui e ai Suoi Santi.

In nomine Domini.
Antonio

poliedrico
12-03-04, 01:34
Gentile Augustinus,

Ti ringrazio delle tue osservazioni benevole. Vorrei fare però una doverosa precisazione: non ho mai disprezzato il rito preconciliare nè coloro che lo seguono: permettimi però la libertà di voler criticarlo facendovi partecipi di una mia esperienza del tutto negativa.

Anzi, mi pare che sia noto a te e alla maggior parte dei forumisti che sono proprio i "tradizionalisti" e/o i "sedevacantisti" coloro che non hanno il minimo rispetto verso il Messale Romano in vigore e il Sommo Pontefice Giovanni-Paolo II. Se sbaglio correggimi. Ti ricordo inoltre una cosa: proprio quel rito "tridentino" avevano ben presente davanti ai loro occhi i padri conciliari quando decisero la sua revisione e la sua riforma. Chiaro?

La Chiesa, carissimo, non è un salotto di intellettuali che si esibiscono in vertiginose acrobazie razionali per il gusto di dare spettacolo; non è un’associazione di appassionati di storia e di ex-combattenti e nostalgici che custodiscono gelosamente le memorie e i cimeli del passato; né tanto meno la Chiesa è una specie di associazione di fanatici moralizzatori per la difesa del buon costume e delle buone maniere; la Chiesa non è poi certo un’impresa per organizzare cerimonie gratificanti e commoventi nei momenti importanti della vita.

Lo scopo ultimo della Chiesa, attraverso tutte le sue attività, è sempre uno solo: rivelare al mondo il volto e l’amore di Dio così da condurre a lui, liberamente, ogni uomo, sull’esempio del Cristo, buon Pastore. E’ questa in ultima analisi la pastorale e tutta l’attività della Chiesa è in funzione di questo fine. Niente ha senso se si perde di vista questo traguardo! Pertanto il culto cristiano non può essere che pastorale, cioè in funzione di portare gli uomini all’incontro con Dio.

Pertanto la liturgia cristiana non ha lo scopo di riempire gli occhi, ma il cuore; non mira a fare dei clienti, ma dei fedeli; non sollecita applausi, ma conversione. Soltanto questa chiarezza di finalità evita alla liturgia di cadere nel puro estetismo che cerca l’epidermico fascino del cerimoniale.

I cristiani di ‘sana costituzione’ spirituale non pretendono dalla Chiesa la grandiosità esteriore delle cerimonie, né quella morbida e mielosa atmosfera che caratterizza certe sette, ma la verità e la trasparenza dei simboli, i quali sono chiamati a rivelare il progetto di Dio e la sincera risposta dell’uomo. Soltanto la chiarezza di questa finalità, che emerge dalle Premesse a tutti quanti i riti rinnovati dal Concilio, evita alla liturgia di diventare un prodotto commerciale consumistico, per cui si è tentati di mirare più sulla quantità che sulla qualità.

La Chiesa non è un supermercato che cerca di offrire i suoi prodotti al prezzo più conveniente, con meno spesa e a tutti gli orari per non perdere i ‘clienti’! Sarebbe comunque un’illusione quella di voler evangelizzare continuando ad usare il metro della comodità per assecondare i gusti individuali e persino capricci. In tal modo si formerebbero dei cristiane simili a bambini viziati che, come tutti i bambini viziati, non solo non sono mai contenti, ma ad un certo momento rimprovereranno ai loro genitori (in questo caso la Chiesa) di non avere dato loro una corretta educazione, di non essere stati più severi e più coerenti secondo verità.

Non basta distribuire messe, sacramenti vari e benedizioni... Non è questo lo scopo della liturgia cristiana. E’ la qualità che conta e non la quantità! E’ questo un criterio tenuto presente da tutta quanta la riforma liturgica del Vaticano II. Soltanto avendo ben chiara in mente la finalità pastorale della celebrazione è possibile evitare alla liturgia quella strumentalizzazione demagogica che mira a soddisfare epidermicamente i fedeli concedendo spazio alle mode, trasformando il canto liturgico, ad esempio, in festival della canzonetta; la sobrietà liturgica in spettacoli di “sons et lumières”; i liberi interventi previsti nel rito in esibizioni personali per intrattenere il “pubblico”!

Il riferimento primario di ogni celebrazione non è il nostro gusto, la nostra soddisfazione, ma ciò che Dio vuol dire e fare per noi! Guai dimenticare questa fondamentale dimensione pastorale della celebrazione.

Poi non bisogna dimenticare che la sposa è la Chiesa che si manifesta in quanto assemblea e non il singolo battezzato. Anche questo è un altro grande principio del culto cristiano che sovente sfugge alla considerazione con il rischio di non comprendere la portata di certe norme e con il rischio di dar vita a dannosi malintesi.

Ad esempio ci sono ancora persone che mal sopportano i gesti e gli atteggiamenti comuni prescritti durante le celebrazioni liturgiche. Prescrizioni che sovente vengono subite a malincuore o trasgredite, in buona fede, come attentati alla devozione individuale, come imposizione populista...

In realtà gli atteggiamenti comuni intendono essere l’espressione unanime di una sposa che non è spastica, ma corpo gerarchicamente ordinato che con un cuor solo e un’anima sola risponde alla voce del suo sposo e Signore. “Gli atteggiamenti comuni prescritti per tutti i partecipanti al rito sono un segno della comunità e dell’unità dell’assemblea; essi esprimono e favoriscono l’atteggiamento interno dei partecipanti” (PNMR 20; cf anche MR, precisazioni CEI n 1).

Ecco allora che la non conoscenza dei grandi principi teologici che fondano queste norme di vita a quella categoria di persone che pensano di essere più devote se stanno in ginocchio quando gli altri sono in piedi; se fanno la genuflessione prima di ricevere il corpo del Signore anche se ciò non è prescritto; se recitano preghiere supplementari privatamente mentre gli altri cantano o ascoltano la Parola di Dio...

Così facendo non si dimostra devozione, ma semplice ignoranza. Si dimostra di non sapere che la preghiera liturgica è certamente strumento di salvezza per ciascuno nella misura in cui si accetta di diventare e di manifestare il corpo di Cristo. “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi...” (SC 26). Ci si raduna in assemblea non per manifestare la propria devozione, ma quella della Chiesa, la sua identità di sposa fedele e innamorata, che ascolta, prega e canta e si unisce a Dio in un mistico amplesso per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo che è amore.

In breve, nella liturgia l’interlocutore non è il singolo, ma la sposa che è l’assemblea. E questa dimensione è fondamentale per conoscere e vivere quella comunione con gli altri che costituisce lo strumento privilegiato nel disegno divino della salvezza.

Certamente dopo secoli di devozionalismo individuale non è facile recuperare in tutta la sua ricchezza la dimensione comunitaria della liturgia che facilmente viene scambiata per dimensione collettiva. Ma non per questo bisogna rallentare il passo sul cammino conciliare.

Anzi, oggi è necessario intensificare l’impegno per non cedere a quella tendenza assai diffusa che spinge al recupero di aspetti privatistici e devozionali all’interno dell’azione liturgica. E ciò in contrasto con le norme.

“Nella celebrazione della Messa i fedeli formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote, ma anche insieme con lui, e imparare ad offrire se stessi. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione. Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre nei cieli, e che perciò tutti sono fra loro fratelli. Formino invece un solo corpo, sia nell’ascoltare la Parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene nei gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme...” (PNMR 62). Questa è la prima scuola di catechismo per capire cosa è la Chiesa!

La devozione privata è importante e deve avere uno spazio nella vita del cristiano (cf SC 13). Ma quando si celebra liturgicamente ognuno è chiamato a superare se stesso, i propri gusti, per poter esprimere concordemente, con tutti gli altri battezzati, l’unica realtà della Chiesa, di cui ciascuno è membro gerarchicamente ordinato.

La consapevolezza e la testimonianza dell’autentica carità fraterna nasce anche e soprattutto da una corretta esperienza liturgica attorno all’altare. La celebrazione liturgica non è né spettacolo, né devozione individuale, ma scuola di vita cristiana. Una scuola che usa il metodo più efficace, quello induttivo attraverso l’esperienza, per mezzo dei riti e delle preghiere (cf SC 48).

Dio per primo da buon pedagogo, anzi da creatore e Padre, sa che l’uomo impara soprattutto facendo. Una scuola di vita che è inoltre garantita dall’azione efficace dello Spirito Santo.
Da questa dimensione pastorale della liturgia, teologicamente fondata, si giustificano tutte quelle particolari accentuazioni che caratterizzano la riforma liturgica conciliare, dove al centro non c’è il rito in sé, ma l’assemblea.

Condizionati come siamo ancora dalla teologia manualistica e poco sensibili alla teologia biblica, la nostra attenzione è in genere attratta da quegli aspetti della liturgia che maggiormente sono legati alle grandi tematiche della riflessione teologica: la natura del sacerdozio cristiano, le modalità della presenza reale di Cristo, il limite che divide la liturgia dal pio esercizio, ecc... Non che questi aspetti non siano importanti con riflessi pastorali altrettanto importanti, ma non è certo casuale che la costituzione conciliare sulla liturgia si preoccupi in primo luogo di sottolineare che la celebrazione liturgica “manifesta la Chiesa come segno innalzato sui popoli, sotto il quale i dispersi figli di Dio si raccolgano in unità finché si faccia un solo ovile e un solo pastore” (SC 2). Apparentemente questa affermazione di chiaro riferimento biblico (cf Is 11,12) non sembra sollecitare più di tanto la nostra attenzione, mentre in realtà è fra le affermazioni più sconvolgenti e innovative in rapporto alla prassi precedente.

Noi siamo inevitabilmente eredi di una secolare tradizione teologica, quella tridentina, pienamente giustificata dalla necessità di definire i limiti minimali della fede e della sua celebrazione di fronte al violento assalto dei riformatori. Questa contingenza storica ha profondamente segnato anche la liturgia per un periodo di quasi quattro secoli, che il grande storico della liturgia Theodor Klauser chiama l’epoca della stasi ovvero della rubricistica. In altri termini, la preoccupazione verteva inevitabilmente a quel tempo massimamente sulle condizioni per una valida e lecita celebrazione, sul rito in sé e su chi doveva compierlo con meticolosa precisione.

Oggi, dopo la riscoperta conciliare delle originarie e profonde radici del culto cristiano, la prima preoccupazione è certamente su un altro versante: “Quale immagine di Chiesa emerge da questa celebrazione?”. Una domanda che, nonostante le affermazioni di principio, ancora troppo pochi si pongono. Una domanda che, se correttamente posta, è destinata a cambiare profondamente il volto delle nostre celebrazioni liturgiche.

Ad esempio, una Messa festiva poco frequentata in rapporto alla popolazione locale è un segno adeguato per rivelare la natura e il volto della Chiesa? Allo stesso modo un’assemblea muta e un presidente factotum esprime un’immagine corretta della Chiesa?

La liturgia cristiana manifesta il dono gratuito dell’amore di Dio al quale noi siamo chiamati a rispondere non affermando egoisticamente il nostro “pacchetto” di salvezza, ma manifestando a nostra volta agli altri il volto e il progetto di Dio sull’uomo. Anche la celebrazione liturgica entra in qualche modo nel fondamentale compito di quella testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare di fronte al mondo.

Dio non ha bisogno dei nostri incensi e dei nostri sacrifici “Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva” (Prefazio com. IV).

E’ su questa dimensione di testimonianza che si fonda veramente, secondo l’antica tradizione, il precetto dell’assemblea domenicale. Non quindi sul dovere moralistico di dare un “tozzo” del nostro tempo a Dio! La celebrazione liturgica educa alla testimonianza, la fonda e la inizia.

La liturgia è teologia simbolica. Pastorale non è opposto a dottrinale, esprime soltanto una finalità che è poi quella più importante della Chiesa. Per questo la riforma liturgica si preoccupa tanto dei segni. Non certo per motivi estetici, ma per rendere visibile, per rivelare il mistero di Cristo: “In tale riforma occorre ordinare i testi e i riti in modo che esprimano più chiaramente le sante realtà che significano e il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capirle facilmente e parteciparvi con una partecipazione piena, attiva e comunitaria (SC 21).

Durante l’epoca del cosiddetto rubricismo una buona parte di segni liturgici, quelli che non entravano nella stretta categoria della validità e della liceità, hanno finito per scadere a semplici elementi decorativi. Lo sfarzo, la grandiosità aveva in qualche modo preso il sopravvento, al punto che un pontificale o una Messa solenne non prevedeva la comunione dei fedeli in quanto era ritenuta un disturbo per la cerimonia! Questa tendenza alla cerimonialità condiziona ancora oggi in qualche modo la celebrazione liturgica...

Si pensi ad esempio alla concelebrazione che da manifestazione della comunione dei presbiteri nell’unico sacerdozio (cf SC 57) viene sovente strumentalizzata per fare cerimonia, per dare solennità.

Allo stesso modo, in un contesto particolarmente segnato dal devozionalismo individuale, alcuni segni liturgici hanno perduto la loro finalità pastorale per diventare semplici oggetti sacri. Pensiamo all’acqua benedetta e ai vari usi più o meno superstiziosi. In genere si finisce per tendere a subordinare e sottovalutare il rito in funzione dell’oggetto sacro.

Nonostante le apparenze contrarie, ciò avviene persino per quanto riguarda l’Eucaristia: la Messa come strumento per ottenere l’ostia consacrata! E’ inserendosi nel contesto persistente di una simile mentalità che la riforma liturgica rischia di non raggiungere la sua preminente finalità pastorale. Questo spiega perché sia così difficile far entrare nella prassi comune un’autentica sensibilità verso la verità dei segni (cf PNMR 279). Insensibilità che è anche all’origine di un certo cattivo gusto che domina nell’arredamento delle nostre chiese. Non si tratta di ricercare il bello, ma il vero. La liturgia è bella quando è vera!

Caro Augustinus, ci fu un momento della nostra storia assai recente in cui alcuni pensarono di intaccare l’autorevolezza del concilio Vaticano ii o di sminuire comunque l’importanza delle sue decisioni, dicendo che alla fin dei conti si tratta di un concilio…”pastorale”!

Si potrebbe dire che in qualche modo si è ripetuto il prodigio dell’asina di Balaam che, senza saperlo, aprì la bocca per ragliare e invece parlò a nome di Dio. Dio può parlare anche attraverso un animale. Ma ancor meglio bisogna dire che Dio è capace di scrivere diritto sulle righe storte dell’uomo; egli è in grado di far convergere sempre al servizio del bene anche gli errori e le cattiverie dell’uomo.

Dire che un Concilio è pastorale infatti significa dargli il massimo onore alla luce della missione fondamentale della Chiesa che è appunto quella pastorale. E al vertice di questa missione sta la celebrazione liturgica che, con parole e gesti, rivela il volto di Dio e il suo progetto sull’uomo, comunica il suo amore, cioè la forza dello Spirito santo che permette di raggiungere in pienezza quella festosa comunione di cui la celebrazione liturgica è simbolo e caparra.

Cordialità
Poliedrico

Augustinus
12-03-04, 20:39
Originally posted by poliedrico
Gentile Augustinus,

Ti ringrazio delle tue osservazioni benevole. Vorrei fare però una doverosa precisazione: non ho mai disprezzato il rito preconciliare nè coloro che lo seguono: permettimi però la libertà di voler criticarlo facendovi partecipi di una mia esperienza del tutto negativa.

Anzi, mi pare che sia noto a te e alla maggior parte dei forumisti che sono proprio i "tradizionalisti" e/o i "sedevacantisti" coloro che non hanno il minimo rispetto verso il Messale Romano in vigore e il Sommo Pontefice Giovanni-Paolo II. Se sbaglio correggimi. Ti ricordo inoltre una cosa: proprio quel rito "tridentino" avevano ben presente davanti ai loro occhi i padri conciliari quando decisero la sua revisione e la sua riforma. Chiaro?

La Chiesa, carissimo, non è un salotto di intellettuali che si esibiscono in vertiginose acrobazie razionali per il gusto di dare spettacolo; non è un’associazione di appassionati di storia e di ex-combattenti e nostalgici che custodiscono gelosamente le memorie e i cimeli del passato; né tanto meno la Chiesa è una specie di associazione di fanatici moralizzatori per la difesa del buon costume e delle buone maniere; la Chiesa non è poi certo un’impresa per organizzare cerimonie gratificanti e commoventi nei momenti importanti della vita.

Lo scopo ultimo della Chiesa, attraverso tutte le sue attività, è sempre uno solo: rivelare al mondo il volto e l’amore di Dio così da condurre a lui, liberamente, ogni uomo, sull’esempio del Cristo, buon Pastore. E’ questa in ultima analisi la pastorale e tutta l’attività della Chiesa è in funzione di questo fine. Niente ha senso se si perde di vista questo traguardo! Pertanto il culto cristiano non può essere che pastorale, cioè in funzione di portare gli uomini all’incontro con Dio.

Pertanto la liturgia cristiana non ha lo scopo di riempire gli occhi, ma il cuore; non mira a fare dei clienti, ma dei fedeli; non sollecita applausi, ma conversione. Soltanto questa chiarezza di finalità evita alla liturgia di cadere nel puro estetismo che cerca l’epidermico fascino del cerimoniale.

I cristiani di ‘sana costituzione’ spirituale non pretendono dalla Chiesa la grandiosità esteriore delle cerimonie, né quella morbida e mielosa atmosfera che caratterizza certe sette, ma la verità e la trasparenza dei simboli, i quali sono chiamati a rivelare il progetto di Dio e la sincera risposta dell’uomo. Soltanto la chiarezza di questa finalità, che emerge dalle Premesse a tutti quanti i riti rinnovati dal Concilio, evita alla liturgia di diventare un prodotto commerciale consumistico, per cui si è tentati di mirare più sulla quantità che sulla qualità.

La Chiesa non è un supermercato che cerca di offrire i suoi prodotti al prezzo più conveniente, con meno spesa e a tutti gli orari per non perdere i ‘clienti’! Sarebbe comunque un’illusione quella di voler evangelizzare continuando ad usare il metro della comodità per assecondare i gusti individuali e persino capricci. In tal modo si formerebbero dei cristiane simili a bambini viziati che, come tutti i bambini viziati, non solo non sono mai contenti, ma ad un certo momento rimprovereranno ai loro genitori (in questo caso la Chiesa) di non avere dato loro una corretta educazione, di non essere stati più severi e più coerenti secondo verità.

Non basta distribuire messe, sacramenti vari e benedizioni... Non è questo lo scopo della liturgia cristiana. E’ la qualità che conta e non la quantità! E’ questo un criterio tenuto presente da tutta quanta la riforma liturgica del Vaticano II. Soltanto avendo ben chiara in mente la finalità pastorale della celebrazione è possibile evitare alla liturgia quella strumentalizzazione demagogica che mira a soddisfare epidermicamente i fedeli concedendo spazio alle mode, trasformando il canto liturgico, ad esempio, in festival della canzonetta; la sobrietà liturgica in spettacoli di “sons et lumières”; i liberi interventi previsti nel rito in esibizioni personali per intrattenere il “pubblico”!

Il riferimento primario di ogni celebrazione non è il nostro gusto, la nostra soddisfazione, ma ciò che Dio vuol dire e fare per noi! Guai dimenticare questa fondamentale dimensione pastorale della celebrazione.

Poi non bisogna dimenticare che la sposa è la Chiesa che si manifesta in quanto assemblea e non il singolo battezzato. Anche questo è un altro grande principio del culto cristiano che sovente sfugge alla considerazione con il rischio di non comprendere la portata di certe norme e con il rischio di dar vita a dannosi malintesi.

Ad esempio ci sono ancora persone che mal sopportano i gesti e gli atteggiamenti comuni prescritti durante le celebrazioni liturgiche. Prescrizioni che sovente vengono subite a malincuore o trasgredite, in buona fede, come attentati alla devozione individuale, come imposizione populista...

In realtà gli atteggiamenti comuni intendono essere l’espressione unanime di una sposa che non è spastica, ma corpo gerarchicamente ordinato che con un cuor solo e un’anima sola risponde alla voce del suo sposo e Signore. “Gli atteggiamenti comuni prescritti per tutti i partecipanti al rito sono un segno della comunità e dell’unità dell’assemblea; essi esprimono e favoriscono l’atteggiamento interno dei partecipanti” (PNMR 20; cf anche MR, precisazioni CEI n 1).

Ecco allora che la non conoscenza dei grandi principi teologici che fondano queste norme di vita a quella categoria di persone che pensano di essere più devote se stanno in ginocchio quando gli altri sono in piedi; se fanno la genuflessione prima di ricevere il corpo del Signore anche se ciò non è prescritto; se recitano preghiere supplementari privatamente mentre gli altri cantano o ascoltano la Parola di Dio...

Così facendo non si dimostra devozione, ma semplice ignoranza. Si dimostra di non sapere che la preghiera liturgica è certamente strumento di salvezza per ciascuno nella misura in cui si accetta di diventare e di manifestare il corpo di Cristo. “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi...” (SC 26). Ci si raduna in assemblea non per manifestare la propria devozione, ma quella della Chiesa, la sua identità di sposa fedele e innamorata, che ascolta, prega e canta e si unisce a Dio in un mistico amplesso per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo che è amore.

In breve, nella liturgia l’interlocutore non è il singolo, ma la sposa che è l’assemblea. E questa dimensione è fondamentale per conoscere e vivere quella comunione con gli altri che costituisce lo strumento privilegiato nel disegno divino della salvezza.

Certamente dopo secoli di devozionalismo individuale non è facile recuperare in tutta la sua ricchezza la dimensione comunitaria della liturgia che facilmente viene scambiata per dimensione collettiva. Ma non per questo bisogna rallentare il passo sul cammino conciliare.

Anzi, oggi è necessario intensificare l’impegno per non cedere a quella tendenza assai diffusa che spinge al recupero di aspetti privatistici e devozionali all’interno dell’azione liturgica. E ciò in contrasto con le norme.

“Nella celebrazione della Messa i fedeli formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote, ma anche insieme con lui, e imparare ad offrire se stessi. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione. Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre nei cieli, e che perciò tutti sono fra loro fratelli. Formino invece un solo corpo, sia nell’ascoltare la Parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene nei gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme...” (PNMR 62). Questa è la prima scuola di catechismo per capire cosa è la Chiesa!

La devozione privata è importante e deve avere uno spazio nella vita del cristiano (cf SC 13). Ma quando si celebra liturgicamente ognuno è chiamato a superare se stesso, i propri gusti, per poter esprimere concordemente, con tutti gli altri battezzati, l’unica realtà della Chiesa, di cui ciascuno è membro gerarchicamente ordinato.

La consapevolezza e la testimonianza dell’autentica carità fraterna nasce anche e soprattutto da una corretta esperienza liturgica attorno all’altare. La celebrazione liturgica non è né spettacolo, né devozione individuale, ma scuola di vita cristiana. Una scuola che usa il metodo più efficace, quello induttivo attraverso l’esperienza, per mezzo dei riti e delle preghiere (cf SC 48).

Dio per primo da buon pedagogo, anzi da creatore e Padre, sa che l’uomo impara soprattutto facendo. Una scuola di vita che è inoltre garantita dall’azione efficace dello Spirito Santo.
Da questa dimensione pastorale della liturgia, teologicamente fondata, si giustificano tutte quelle particolari accentuazioni che caratterizzano la riforma liturgica conciliare, dove al centro non c’è il rito in sé, ma l’assemblea.

Condizionati come siamo ancora dalla teologia manualistica e poco sensibili alla teologia biblica, la nostra attenzione è in genere attratta da quegli aspetti della liturgia che maggiormente sono legati alle grandi tematiche della riflessione teologica: la natura del sacerdozio cristiano, le modalità della presenza reale di Cristo, il limite che divide la liturgia dal pio esercizio, ecc... Non che questi aspetti non siano importanti con riflessi pastorali altrettanto importanti, ma non è certo casuale che la costituzione conciliare sulla liturgia si preoccupi in primo luogo di sottolineare che la celebrazione liturgica “manifesta la Chiesa come segno innalzato sui popoli, sotto il quale i dispersi figli di Dio si raccolgano in unità finché si faccia un solo ovile e un solo pastore” (SC 2). Apparentemente questa affermazione di chiaro riferimento biblico (cf Is 11,12) non sembra sollecitare più di tanto la nostra attenzione, mentre in realtà è fra le affermazioni più sconvolgenti e innovative in rapporto alla prassi precedente.

Noi siamo inevitabilmente eredi di una secolare tradizione teologica, quella tridentina, pienamente giustificata dalla necessità di definire i limiti minimali della fede e della sua celebrazione di fronte al violento assalto dei riformatori. Questa contingenza storica ha profondamente segnato anche la liturgia per un periodo di quasi quattro secoli, che il grande storico della liturgia Theodor Klauser chiama l’epoca della stasi ovvero della rubricistica. In altri termini, la preoccupazione verteva inevitabilmente a quel tempo massimamente sulle condizioni per una valida e lecita celebrazione, sul rito in sé e su chi doveva compierlo con meticolosa precisione.

Oggi, dopo la riscoperta conciliare delle originarie e profonde radici del culto cristiano, la prima preoccupazione è certamente su un altro versante: “Quale immagine di Chiesa emerge da questa celebrazione?”. Una domanda che, nonostante le affermazioni di principio, ancora troppo pochi si pongono. Una domanda che, se correttamente posta, è destinata a cambiare profondamente il volto delle nostre celebrazioni liturgiche.

Ad esempio, una Messa festiva poco frequentata in rapporto alla popolazione locale è un segno adeguato per rivelare la natura e il volto della Chiesa? Allo stesso modo un’assemblea muta e un presidente factotum esprime un’immagine corretta della Chiesa?

La liturgia cristiana manifesta il dono gratuito dell’amore di Dio al quale noi siamo chiamati a rispondere non affermando egoisticamente il nostro “pacchetto” di salvezza, ma manifestando a nostra volta agli altri il volto e il progetto di Dio sull’uomo. Anche la celebrazione liturgica entra in qualche modo nel fondamentale compito di quella testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare di fronte al mondo.

Dio non ha bisogno dei nostri incensi e dei nostri sacrifici “Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva” (Prefazio com. IV).

E’ su questa dimensione di testimonianza che si fonda veramente, secondo l’antica tradizione, il precetto dell’assemblea domenicale. Non quindi sul dovere moralistico di dare un “tozzo” del nostro tempo a Dio! La celebrazione liturgica educa alla testimonianza, la fonda e la inizia.

La liturgia è teologia simbolica. Pastorale non è opposto a dottrinale, esprime soltanto una finalità che è poi quella più importante della Chiesa. Per questo la riforma liturgica si preoccupa tanto dei segni. Non certo per motivi estetici, ma per rendere visibile, per rivelare il mistero di Cristo: “In tale riforma occorre ordinare i testi e i riti in modo che esprimano più chiaramente le sante realtà che significano e il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capirle facilmente e parteciparvi con una partecipazione piena, attiva e comunitaria (SC 21).

Durante l’epoca del cosiddetto rubricismo una buona parte di segni liturgici, quelli che non entravano nella stretta categoria della validità e della liceità, hanno finito per scadere a semplici elementi decorativi. Lo sfarzo, la grandiosità aveva in qualche modo preso il sopravvento, al punto che un pontificale o una Messa solenne non prevedeva la comunione dei fedeli in quanto era ritenuta un disturbo per la cerimonia! Questa tendenza alla cerimonialità condiziona ancora oggi in qualche modo la celebrazione liturgica...

Si pensi ad esempio alla concelebrazione che da manifestazione della comunione dei presbiteri nell’unico sacerdozio (cf SC 57) viene sovente strumentalizzata per fare cerimonia, per dare solennità.

Allo stesso modo, in un contesto particolarmente segnato dal devozionalismo individuale, alcuni segni liturgici hanno perduto la loro finalità pastorale per diventare semplici oggetti sacri. Pensiamo all’acqua benedetta e ai vari usi più o meno superstiziosi. In genere si finisce per tendere a subordinare e sottovalutare il rito in funzione dell’oggetto sacro.

Nonostante le apparenze contrarie, ciò avviene persino per quanto riguarda l’Eucaristia: la Messa come strumento per ottenere l’ostia consacrata! E’ inserendosi nel contesto persistente di una simile mentalità che la riforma liturgica rischia di non raggiungere la sua preminente finalità pastorale. Questo spiega perché sia così difficile far entrare nella prassi comune un’autentica sensibilità verso la verità dei segni (cf PNMR 279). Insensibilità che è anche all’origine di un certo cattivo gusto che domina nell’arredamento delle nostre chiese. Non si tratta di ricercare il bello, ma il vero. La liturgia è bella quando è vera!

Caro Augustinus, ci fu un momento della nostra storia assai recente in cui alcuni pensarono di intaccare l’autorevolezza del concilio Vaticano ii o di sminuire comunque l’importanza delle sue decisioni, dicendo che alla fin dei conti si tratta di un concilio…”pastorale”!

Si potrebbe dire che in qualche modo si è ripetuto il prodigio dell’asina di Balaam che, senza saperlo, aprì la bocca per ragliare e invece parlò a nome di Dio. Dio può parlare anche attraverso un animale. Ma ancor meglio bisogna dire che Dio è capace di scrivere diritto sulle righe storte dell’uomo; egli è in grado di far convergere sempre al servizio del bene anche gli errori e le cattiverie dell’uomo.

Dire che un Concilio è pastorale infatti significa dargli il massimo onore alla luce della missione fondamentale della Chiesa che è appunto quella pastorale. E al vertice di questa missione sta la celebrazione liturgica che, con parole e gesti, rivela il volto di Dio e il suo progetto sull’uomo, comunica il suo amore, cioè la forza dello Spirito santo che permette di raggiungere in pienezza quella festosa comunione di cui la celebrazione liturgica è simbolo e caparra.

Cordialità
Poliedrico

Caro Poliedrico,
c'è differenza tra tradizionalisti e sedevacantisti, dal momento che le due categorie non necessariamente si equivalgono. Molti tradizionalisti, infatti, non sono sedevacatisti, e, dunque, pregano per l'attuale Pontefice, non ritenendo la Sede Apostolica vacante.
Questo per doverosa precisazione.
Nondimeno, non può non ammettersi che certe critiche avanzate verso il nuovo rito, almeno come esso è applicato nelle nostre chiese, mi sembrano meritevoli di debita attenzione. Non a caso, lo stesso Pontefice, nella recente enciclica Ecclesia de Eucharistia, ha modo di lamentare che, "soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti. Una certa reazione al «formalismo» ha portato qualcuno, specie in alcune regioni, a ritenere non obbliganti le «forme» scelte dalla grande tradizione liturgica della Chiesa e dal suo Magistero e a introdurre innovazioni non autorizzate e spesso del tutto sconvenienti. Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un'espressione concreta dell'autentica ecclesialità dell'Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri. L'apostolo Paolo dovette rivolgere parole brucianti nei confronti della comunità di Corinto per le gravi mancanze nella loro Celebrazione eucaristica, che avevano condotto a divisioni (skísmata) e alla formazione di fazioni ('airéseis) (cfr 1 Cor 11, 17-34). Anche nei nostri tempi, l'obbedienza alle norme liturgiche dovrebbe essere riscoperta e valorizzata come riflesso e testimonianza della Chiesa una e universale, resa presente in ogni celebrazione dell'Eucaristia. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa. Proprio per rafforzare questo senso profondo delle norme liturgiche, ho chiesto ai Dicasteri competenti della Curia Romana di preparare un documento più specifico, con richiami anche di carattere giuridico, su questo tema di grande importanza. A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale" (n. 52).
Anche nella lettera pastorale del luglio 2001, mons. Carlo Caffarra, nuovo vescovo di Bologna e già di Ferrara, aveva scritto: «E’ necessario che ci interroghiamo molto seriamente sulla qualità delle nostre celebrazioni eucaristiche … Sono convinto sempre più che la principale causa della crisi di fede in cui versa il popolo cristiano sia il modo in cui è stata applicata la riforma liturgica voluta dal Vaticano II».
Come notava, in proposito, Rino Cammilleri, «Sante (è il caso di dirlo) parole. Sono passati quarant’anni da quel concilio e quasi tre dall’esortazione di Caffarra. Va bene, interroghiamoci, anche se il "molto seriamente" mi sembra nient’altro che un pio augurio. La messa è la preghiera delle preghiere e già un tempo si diceva "lex orandi, lex credendi". Cioè: quello in cui si crede si vede da come si prega. L’intrattenimento domenicale condito da un festival di Sanremo di rione ormai siamo abituati a chiamarlo "messa" ma ci si può legittimamente chiedere se la coazione al brutto, allo sciatto e al banale sia un’ "offerta gradita a Dio", visto che è sgradevole a occhi e orecchi sensibili. Ma non voglio tornare su un tema sul quale mi sono più volte espresso.
Solo, fare osservare che il futuro cardinale di Bologna ha osato mettere quel dito sulla piaga che io non mi ero permesso, collegando lo squallore delle messe cattoliche odierne con la crisi di fede. Dunque, lo sciattume non è conseguenza del vacillare del Credo, bensì è il primo che fa vacillare il secondo».
Il rito antico, quello di S. Pio V, almeno non si prestava a libere interpretazioni ... .
Questo penso che sia facilmente constatabile. Il rito antico, nella sua solennità, attingendo direttamente a fonti antiche (addirittura per alcuni risalenti all'epoca apostolica), è un modo degno di rendere il dovuto culto a Dio (ed è questo scopo della messa: non tanto o soltanto una comunione di fedeli, ma il rendimento dell'unico e vero culto a Dio). La messa nuova, invece, appare assai povera in molti suoi contenuti e definizioni. Contenuti che sono ancor più svuotati di senso con le libere interpretazioni e gli abusi sopra ricordati.
Così, per es., l'altare voltato verso il popolo non è affatto necessario né obbligatorio (EV 2, 396, 610; da ultimo il Responso della Congregazione del Culto Divino del 25 settembre 2000) ed è stato fondatamente criticato, tra l'altro, dal Card. Ratzinger in "Introduzione allo spirito della liturgia" (non è giustificato storicamente, chiude la Chiesa in se stessa, pone al centro dell'attenzione il sacerdote celebrante ecc.; cfr. Klaus Gamber, "La celebrazione versus populum e Verso il Signore")

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Cardinal-Antonelli-2004/Vepres-depart/images/P1294877.jpg

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Cardinal-Antonelli-2004/Vepres-depart/images/P1294881.jpg

Spero di aver chiarito la questione.
Cordialmente

Augustinus

poliedrico
12-03-04, 23:29
Cari amici,

il titolo di questo threat prende le mosse dal costante intrecciarsi di subdoli attacchi alla riforma e al rinnovamento liturgico promossi dal Concilio Vaticano II. Se certi modi di esprimersi risultassero come delle boutades ci si potrebbe anche sorridere sopra; ma quando alcune prese di posizione, quando scritti o interviste provengono da chi ha il compito di promuovere la comunione di tutti, allora ponendomi in una prospettiva di educatore e formatore mi domando: è davvero una questione di riti quella che sta dietro l’accettazione o meno della riforma liturgica, o all’ombra della problematica relativa al rito è nascosto qualcosa?

Non credo che chi si muove in questa prospettiva rientri nella categoria del proverbio cinese: «Quando il saggio indica la luna con il dito, lo stolto sta a guardare la punta del dito». Non credo che alla base ci sia una contrapposizione tra «rito romano» attuale e «rito romano antico»; apparirebbe ridicolo proprio alla luce dei dati di quella stessa pagina di storia, tanto sbandierata (da Trento al Vaticano II) quanto sconosciuta ai più – basti pensare che solo ora si stanno rieditando i libri liturgici preparati per disposizione del concilio di Trento, in modo da studiarne da vicino i contenuti. Dove sta allora il nocciolo del problema? Provo a cogliere alcune provocazioni e a tentare di puntualizzarle (e lo faccio con molta umiltà, perché sono consapevole di trattare di quella dimensione della vita della Chiesa senza della quale questa perde il senso stesso del suo esistere).

Unità nella fede e libertà nei riti. È una bella espressione che si è letta recentemente, che fa colpo; ma di cui non si è percepito probabilmente lo sviluppo e le conseguenze. Di solito si usa dire che la lex orandi è l’espressione simbolica della lex credendi, per una conseguente lex vivendi. Se non c’è questa sintesi la liturgia appare come un bel teatro: sacro quanto si vuole, ma teatro. E questo non può essere il culto cristiano.

Se invece l’espressione «libertà nei riti» riconferma la prassi più o meno sempre viva nella Chiesa cattolica circa la presenza di riti diversi come espressione inculturata della fede, allora – ieri come oggi – non c’è da aver timore della presenza di forme rituali diversificate ma complementari che celebrano la stessa fede. E venendo ancora più alla concretezza dell’attualità: non è il problema dell’ammissione o meno del rito romano così detto (ma erroneamente!) di Pio V; di per sé questo potrebbe essere ancora una ricchezza per il tessuto ecclesiale (anche se chi lo conosce davvero si rende conto che tutta quella ricchezza è stata travasata nell’oggi e arricchita con la riforma liturgica voluta dal Vaticano II). È invece ciò che sta dietro che non costruisce l’unità della fede, e di conseguenza non garantisce la carità in ogni cosa.

Liturgie diverse: una ricchezza per l’unica Chiesa. È probabile che prima ci si debba intendere sul significato da dare al termine «liturgia». Se ci si trova concordi nella definizione di Sacrosanctum concilium 7 allora si parte da una base ecclesiale comune, e la conseguenza non può che essere nella prospettiva di una ricchezza per tutta la Chiesa. Ma il «rito romano antico» – chiamiamolo per nome perché il problema è qui – può dire di muoversi in questa linea?

Certo non sta a me formulare interrogativi per un esame di coscienza che altri devono fare; vorrei però che i così detti «altri» si ponessero in un atteggiamento più sereno e oggettivo di fronte alla realtà del «rito». Ma la conseguenza ulteriore che non posso eludere è costituita dalla risposta al dettato di Sacrosanctum concilium 37-40 circa l’adattamento della liturgia all’indole e alle tradizioni dei vari popoli. Richieste di forme liturgiche più adattate e inculturate sono incoraggiate e sorrette come logica conseguenza di una inculturazione del Vangelo. Non si può parlare di inculturazione dell’annuncio, dell’evangelizzazione e della catechesi... se di pari passo non si procede anche nell’adattamento della celebrazione. D’altra parte, per essere realisti, dove di fatto avviene la prima vera inculturazione dell’annuncio evangelico se non principalmente nella liturgia? Come, dunque, contribuire alla ricchezza dell’unica Chiesa attraverso la diversità delle liturgie (o dei «riti»)?

Fedeltà al concilio. È l’espressione che viene usta nei contesti più diversi. In riferimento alla riforma liturgica, è ovvio che il Vaticano II non l’abbia realizzata durante le sue sedute.

Anche i padri del concilio di Trento volevano fare una riforma, e per questo si fecero portare da Roma a Trento il prezioso manoscritto del Sacramentarium gregorianum (affidandolo per sicurezza a un corriere speciale); ma si resero conto che in quel contesto una seria riforma non poteva essere attuata. Il lavoro fu demandato al papa, e tra il 1568 e il 1614 giunse al termine! I principi conciliari furono fedelmente attuati sia da Pio V sia dai suoi successori.

E i principi relativi alla riforma promossa dal Vaticano II? Sarà opportuno ricordare che non sono solo quelli circa le «norme derivanti dalla natura didattica e pastorale della liturgia» (cf. Sacrosanctum concilium 34-36): questi, tra l’altro, vanno considerati tutti, compresa la premessa di Sacrosanctum concilium 33. C’è anche tutto un capitolo della Costituzione liturgica, il secondo, che tratta del mistero eucaristico: quale valore dare alle parole codificate nei paragrafi 50, 51 e 52? Quale fedeltà a questo dettato conciliare viene attuata quando ci si àncora a uno strumento di preghiera – quale il Missale Romanum secondo l’edizione del 1962 – che i padri conciliari avevano ben presente e stavano usando nel momento in cui stabilivano che «l’ordinamento rituale della messa sia riveduto in modo tale che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli»; e quando di conseguenza ordinavano: «... per questo i riti... siano resi più semplici...» (n. 50)? Il problema non è nel contenuto del paragrafo 54, perché dov’è effettivamente richiesta una celebrazione in lingua latina è sempre possibile (vedi soprattutto le chiese cattedrali) e quanto mai auspicabile (si pensi alle comunità di formazione e ai seminari).

Certe prese di posizione contro la riforma liturgica a partire dal disuso della lingua latina o dalla erronea traduzione di termini eucologici, fanno avanzare il dubbio – non certo in me, ma penso alle generazioni più giovani – che le varie Costituzioni apostoliche firmate da Paolo VI siano come uno schiaffo allo stesso concilio. A questo punto l’intelligente lettore tragga le debite conseguenze.

Due «riti romani». Mettere in contrapposizione il rito romano antico (?) con il rito romano (moderno?) è già compiere una lettura della storia non conforme alla storia! Il rito romano ha una sua origine, ha avuto un’evoluzione, ha attraversato alcune riforme sia nel primo che nel secondo millennio (non certo così radicali come quella voluta dal Vaticano II). Mai però la precedente «forma» è sopravvissuta in contrapposizione o in concomitanza con quella successiva. Anche in questo caso le disposizioni del concilio di Trento e dei pontefici che l’attuarono insegnano! A rigor di logica di storia delle forme liturgiche non si può, pertanto, avallare una simile terminologia; sia il rito «tridentino» che quello attuale costituiscono un solo rito, quello romano, considerato in due fasi diverse della sua storia. Ha senso, dunque, la loro convivenza? Esistono davvero motivi pastorali determinanti?

Distinguere tra aspetto teologico e pratico della questione. Precisato il dato storico che un «rito latino» che includesse altre forme liturgiche non è mai esistito, rimane da chiarire una distinzione, sempre ammesso che possa esistere, tra dimensione teologica e aspetto pratico del problema. Se la lex orandi è espressione – come notavo sopra – della lex credendi, perché Paolo VI nel promulgare la costituzione apostolica Missale Romanum il 3 aprile 1969 scriveva tra l’altro: «Il nostro predecessore san Pio V, promulgando l’edizione ufficiale del Messale Romano, lo presentò al popolo cristiano come fattore di unità liturgica e segno della purezza del culto della Chiesa. Allo stesso modo noi abbiamo accolto nel nuovo Messale legittime varietà e adattamenti, secondo le norme del concilio Vaticano II; tuttavia, confidiamo che questo Messale sarà accolto dai fedeli come mezzo per testimoniare e affermare l’unità di tutti, e che per mezzo di esso, in tanta varietà di lingue, salirà al Padre celeste, per mezzo del nostro sommo sacerdote Gesù Cristo, nello Spirito Santo, più fragrante di ogni incenso, una sola e identica preghiera»?

E perché il Messale sia espressione di unità della Chiesa, Paolo VI concludeva: «Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere di contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti apostolici dei nostri predecessori e in altre disposizioni, anche degne di particolare menzione e deroga».

Credo che il così detto aspetto teologico e la dimensione pratica non possano trovare una distinzione né sottile né macroscopica, solamente perché non c’è! Non è forse possibile affermare: dimmi come celebri e ti dirò che cosa credi? Pertanto: questione di «riti» o di metodo teologico? Alla luce e sulla linea di quanto prospettato in provocazioni che con ricorrenza vengono lanciate contro «alcuni liturgisti moderni» mi sembra di dover onestamente fare anch’ io qualche considerazione che rilancio come punto di riferimento perché il presbitero con la sua competenza presieda la celebrazione in modo da aiutare i fedeli a fare un’autentica esperienza del sacro; e perché il fedele sia educato a comprendere il senso vero e profondo di quanto si attua nella celebrazione dei santi misteri, e vi partecipi plene, pie, actuose, conscie, frequenter, vive, vere, active, efficaciter, debite, genuine, fructuose, plenarie ac devote.

Educazione al senso del mistero. Pongo in prima istanza questo aspetto, anche se potrebbe essere considerato quasi a conclusione, o comunque come filo conduttore dell’intero percorso. Precisato che con «mistero» intendo non il senso dell’arcano, ma il progetto di salvezza rivelato dal Padre per Cristo nello Spirito e prolungato nel tempo attraverso l’annuncio e la celebrazione, quale educazione al «senso del mistero» si è potuta realizzare proprio a partire dalla liturgia rinnovata?

È dall’ascolto attento della parola di Dio, da una conoscenza più diretta della sacra pagina, da un’eucologia più ricca, da un’omelia più conforme alla sua ragion d’essere, da una simbolica più eloquente... che le comunità cristiane sono progressivamente educate all’esperienza di Dio Trinità e quindi a una spiritualità che attinge al coinvolgente linguaggio celebrativo.

Quale spiritualità può creare un rito incomprensibile? E soprattutto di quale mistero è tramite? È un rito o una lingua che garantiscono il «sacro» o è un’arte del celebrare a creare un clima di sacralità attorno all’attuazione del memoriale?

Io credo alla validità della riforma liturgica non con atteggiamento precostituito, ma a partire sia dall’esame serio dei principi, sia da quanto si osserva nel tessuto ordinario della vita parrocchiale. Le assemblee pregano, ascoltano la parola di Dio, cantano, celebrano i sacramenti e i sacramentali; in una parola, la spiritualità cristiana cresce e si sviluppa a partire dall’esperienza sacramentale dello Spirito!

Lo studio della storia. Talvolta i problemi sorgono, o riemergono, perché la lezione della storia viene disattesa o completamente ignorata. Nei primi tempi della riforma liturgica talvolta furono levate accuse alla riforma stessa in quanto sembrava peccare di un certo archeologismo.

In realtà, il ritorno a forme di altri tempi o la riscoperta di dimensioni o segmenti celebrativi caduti in disuso permetteva di recuperare esperienze positive.

Bisogna riconoscere che nessuna riforma liturgica realizzata nell’arco di due millenni ha mai avuto alle sue spalle una documentazione storica così ampia come quella del Vaticano II. A suo favore ha contribuito il fervore di studi che il secolo XX aveva visto fiorire, soprattutto sotto la spinta del Movimento liturgico – con questo senza dimenticare la produzione liturgica che già dal secolo XVII cominciò ad essere elaborata con la pubblicazione di fonti liturgiche e studi di vario genere –. Bisogna ancora riconoscere che se il periodo più studiato è quello relativo al primo millennio, una pagina ancora molto da indagare è quella che concerne la storia del culto cristiano nel secondo millennio.

Una pagina da approfondire è quella, complessa, che abbraccia la vita della Chiesa nei secoli XIII-XV, quando si preparano le condizioni che da una parte saranno occasione di frattura nella Chiesa di Occidente, e dall’altra le premesse per l’assise tridentina. Credo che in questa prospettiva sia comprensibile la vera storia del così detto Messale di Pio V che ha condizionato poi la vita e la spiritualità della Chiesa fino al secolo XX.

Formazione teologico-liturgica. Celebrare bene non significa conoscere le rubriche e attuarle con fredda meticolosità. La celebrazione è una particolare esperienza, anzi «comunicazione», tra Dio e il suo popolo, mediata da quel linguaggio verbale e non verbale che non è facile gestire. Per questo se una prima osservazione può essere mossa nei confronti non della riforma ma del rinnovamento liturgico, questa risiede nell’aver disatteso la presa di coscienza (= lo studio) della dimensione teologico-liturgica presente negli stessi libri liturgici. Ma il peggio risiede nel continuare a disattendere il dettato di Optatam totius 16. A livello teologico la radice di un disagio serio è qui; e più a monte in una visione ritualista che ha connotato il mondo liturgico soprattutto a partire dall’istituzione della Congregazione «dei riti». Era forse in errore il sinodo straordinario dei vescovi quando nel 1985, ricordando i vent’anni del Vaticano II, tra l’altro affermava nel documento finale del 7 dicembre: «I futuri sacerdoti imparino la vita liturgica in modo pratico e conoscano bene la teologia liturgica»?

Quale proposta catechetico-pastorale? Che all’inizio della riforma liturgica si sia proceduto talvolta all’insegna di una certa improvvisazione è doveroso ammetterlo. In genere, la formazione teologico-pastorale dei presbiteri non era tale da garantire il passaggio non a dei riti nuovi, ma a una mens rinnovata. Non era solo questione di testi rinnovati, ma di teste da preparare. Il superamento delle prime incertezze è stato coadiuvato da sussidi, corsi, convegni, sinodi, progetti pastorali... Non sempre però la strumentazione catechistica è stata al passo con il rinnovamento biblico-liturgico. Nel 1967 l’istruzione Eucharisticum mysterium, nella consapevolezza che una riforma e un conseguente rinnovamento non si attuano cambiando riti o lingua, ma rinnovando le strategie di partecipazione alla santa e divina liturgia, ricordava l’impegno della catechesi. Ma prima ancora la Costituzione liturgica aveva ribadito questo, manifestando una decisiva preoccupazione pastorale. Tanto che in questa linea si può affermare che se la Mediator Dei da taluni è ritenuta come la «magna (?) charta» della riforma liturgica la Sacrosanctum concilium a maggior ragione può essere da tutti definita come la «magna charta» del rinnovamento liturgico!

Arte e musica: per un’educazione alla bellezza. Tra rimpianti, nostalgie e fughe in avanti ricorre di tanto in tanto il rilievo circa la perdita del senso del bello nell’azione liturgica. L’accusa non è infondata. Mi rendo ben conto, nonostante le preziose indicazioni racchiuse nell’attuale introduzione al Missale Romanum, che l’educazione al senso del bello non può essere presupposta come innata nei responsabili delle celebrazioni.

Quale spazio viene dato all’arte e alla musica nel cammino di formazione teologica e sacerdotale oggi, a cominciare dalle stesse facoltà pontificie in Roma? L’arte è condizione indispensabile per educare alla bellezza assoluta; la musica è parte determinante della celebrazione come linguaggio che eleva e che rende trasparente la bellezza infinita di Dio. Ma se i presbiteri non sono educati a questo, non possono a loro volta essere educatori del popolo di Dio.

E così siamo testimoni di scelte talvolta sconsiderate che non educano! E la colpa è da attribuire alla mancata formazione personale, alla trascuratezza del singolo o a un’impostazione della formazione sacerdotale che durante gli studi teologici non riesce a tenere il passo di fronte all’urgenza delle infinite sollecitazioni che chiamano in causa il primo ciclo di studi teologici? C’è allora da auspicare che con questo terzo millennio veda la luce – magari proprio sulla linea di Optatam totius 16 – una ratio studiorum che sia tramite e luogo di confronto per una più vera sapientia christiana?

Una comunicazione realizzata con competenza. L’era della comunicazione massmediale ha messo in crisi anche il linguaggio liturgico. Se la riforma liturgica ha posto l’accento sui diversi linguaggi della celebrazione, da quello biblico, anzitutto, a quello eucologico, a quello non verbale, perché questa dimensione della comunicazione lascia ancora molto a desiderare? La liturgia è anzitutto «comunicazione» tra Dio e il suo popolo, e viceversa. Pertanto, i diversi elementi della celebrazione devono contribuire a questo dialogo. Qui non è questione di rubriche, ma di interpretazione di esse, perché questa particolare assemblea possa realizzare un incontro unico con il Dio della vita.

Una celebrazione «partecipata» in silenzio dall’inizio alla fine – magari seguendo tutte le parole sul messalino bilingue, come si faceva prima della riforma liturgica – non è certo lo specchio di questa dimensione dialogale tra Dio e il fedele. Ma come educare clero e fedeli a tutto questo? Superati tutti i rimpianti per il passato, bisogna formare i formatori a una solida base biblico-teologica, e a saper trasmettere i contenuti in modo corretto, sulla lunghezza d’onda dei partecipanti all’azione liturgica.

Non è, dunque, di fronte a una «questione di riti» che noi ci troviamo, ma di «metodo teologico». Le sfide sopra evidenziate, è ovvio, non possono in questo ambito scendere nei dettagli e chiamare in causa, nominatamente, tutti i risvolti. Quelli sopra segnalati mi sembrano come la punta dell’iceberg: indicativi, cioè, di una prospettiva di sintesi che la ricerca e lo studio della filosofia e della teologia oggi non riescono a offrire soprattutto durante il ciclo istituzionale. Se rimane ancora valido il senso racchiuso nel classico assioma lex credendi, lex orandi, lex vivendi, allora non resta che riscoprire la validità della prospettiva chiaramente indicata da Optatam totius 16 e progressivamente dimenticata nei documenti successivi di attuazione. Che anche in questo caso succeda quanto sottolineava lo Jedin? Certo, dal tempo del concilio la scienza teologica ha fatto un cammino decisivo.

Come liturgista mi sento in dovere di ricordare che la scienza liturgica ha aperto percorsi e prospettive nuove, prima impensabili: dalla dimensione antropologica a quella storica, dalla prospettiva di approccio teologico all’indagine circa il non verbale, dalla fondazione biblica all’esperienza spirituale... del momento cultuale. Le polemiche sono costruttive quando si pongono all’insegna di una dialettica fondata su elementi certi. Non voglio emulare la questione dei «riti... cinesi» del secolo XVII. Lì gelosie e false interpretazioni metodologiche – oltre a precomprensioni – fecero perdere un’occasione unica di diffusione del Vangelo, che non si è più ripresentata.

Forse che anche oggi, come al tempo di Matteo Ricci, ci troviamo di fronte a una «questione di riti»? In un certo senso sì. Ma continuiamo a domandarci: cosa vi sta dietro? Io sono del parere che dietro tutta questa problematica stia qualcosa d’altro che non permette all’Ecclesia Dei di essere se stessa, in comunione piena di scelte e di visione della realtà come il Vaticano II ha formulato. La soluzione dell’impasse non sta nella ristampa di vecchi Messali, né in una ulteriore presa di posizione ufficiale, ma in una coraggiosa scelta di formazione filosofico-teologica e pastorale. I risultati non sono previsti a breve termine. E proprio in questa ottica ritengo che valga di più accendere una luce perché il futuro sia più chiaro, che maledire le tenebre del momento che ingenerano incertezza!

http://www.popechart.com/VaticanIIc.GIF
Il Concilio Ecumenico Vaticano II

http://www.globalizzazione2000.it/chiusura_concilio_II.JPG
La chiusura del Concilio

Augustinus
13-03-04, 09:33
caro Poliedrico,
parli nel tuo thread, che io ho spostato per affinità di tema sotto l'egida di quello di cui si parlava in questo, del costante intrecciarsi di subdoli attacchi alla riforma e al rinnovamento liturgico promossi dal Concilio Vaticano II; soprattutto di "alcune prese di posizione, quando scritti o interviste provengono da chi ha il compito di promuovere la comunione di tutti".
In realtà dimentichi un dato fondamentale: vale a dire non tanto l'auspicio del rinnovamento liturgico operato dal Concilio, quanto piuttosto la storia di questo rinnovamento; storia assai travagliata, e per certi versi oscura, che ha visto, con successivi colpi di mano, l'imposizione alla Chiesa di concezioni estranee alla stessa.
Forse si ignora che uno dei maggiori artefici del rinnovamento fu Mons. Annibale Bugnini, un personaggio davvero inquietante ed oscuro, del quale si suppone, con grado prossimo alla certezza, l'affiliazione massonica. Allontanato dal Beato Giovanni XXIII, ritornò al servizio della Santa Sede sotto Paolo VI, il quale, fidandosi gli affidò il compito delicatissimo della riforma liturgica, ma poi, emerse nuovamente le voci sulla sua affiliazione massonica, fu definitivamente allontanato a Teheran. Proprio in quel periodo il Papa tenne quel famoso discorso sul "fumo di Satana" penetrato, dopo il Concilio, tra le fessure della Casa di Dio (la Chiesa).
Forse si ignora una certa discontinuità tra il vecchio ed il nuovo rito, evidenziata giusto alla fine degli anni '60, da uno studio dell'allora Prefetto del S. Uffizio, il card. Ottaviani, il quale sottolineava diversi elementi e profili dubbi del nuovo rito.
Certamente si tratta di aspetti inquietanti, che fanno riflettere.
Se l'antica regola della lex orandi, lex credendi deve essere considerata, forse, alla luce di questi fatti, c'è da dire che la liturgia odierna sia espressione di una minore fede. In un certo senso, quindi, può darsi che la nuova liturgia ben si attagli alla minore fede dell'uomo d'oggi, anzi, ne sia quasi il simbolo e la cartina di tornasole. Probabilmente il rito tradizionale andava bene sin quando nella Chiesa stessa c'era una fede maggiore ed incondizionata in Dio; ma quando l'angolo visuale è stato spostato sull'uomo, a quel senso di minore fiducia nell'Eterno è corrisposto un rito più debole, meno mistico. Che tutto rientri in questa prospettiva?
Senza parlare poi degli abusi, che in verità ulteriormente sviliscono un rito già fin troppo essenziale, trasformandolo in una sorta di kermesse, che magari favorisce la socializzazione tra fedeli, limitando drasticamente quel trasporto mistico che il precedente rito comportava.
E' questo il senso dei richiami del Papa, il quale si è reso conto dell'inadeguatezza dell'attuale Messa, che è sempre più povera di contenuti e di fede persino nei presbiteri. Di qui il rimaneggiamento delle rubriche e dell'Istruzione; di qui l'enciclica sull'Eucarestia ed il richiamo alla sua centralità nella vita della Chiesa; di qui la predisposizione di norme (non ancora emanate) contro gli abusi liturgici (chierichette, battiti di mani, ecc.), che si spera siano presto promulgate; di qui anche le osservazioni del Card. Ratzinger sullo spirito della liturgia, e così via discorrendo.
Molte istanze dei tradizionalisti, dunque, non mi sembrano del tutto infondate. Anzi ... trovano pieno riscontro proprio nei pronunciamenti del Papa e di autorevoli esponenti di Curia, i quali sottolineano come la materia liturgica sia assai delicata, dal momento che con la liturgia ed i riti si rende a Dio il giusto e vero culto. Insomma, la liturgia non è per l'uomo o gli uomini, ma è per Dio.
Per questo non mi sembra corretta quella sorta di istruzione maoista che, a tuo dire, dovrebbe essere rivolta ai fedeli tradizionalisti. Anzi ... dovrebbe essere il contrario. Le loro istanze, infatti, potrebbero aiutare a dare un'interpretazione meno ... protestante ... ai documenti conciliari sulla liturgia e potrebbero contribuire a recuperare quello spirito di fede e solennità anche nel nuovo rito di cui il vecchio era intriso, affinchè possa rendersi un pieno e degno culto al Signore.
Forse a questo punto mi potresti domandare se io ritengo valida la Messa attuale. La risposta è senz'altro affermativa, dal momento che credo Dio riesca a scrivere sulle righe storte degli uomini e non abbandona la sua Chiesa. Ma la misericordia che Dio usa nei nostri confronti, facendo sì che il suo Divin Figlio si renda ancora transustanzialmente presente nelle nostre Messe, non esime l'uomo dall'acquietarsi ed a lasciare fare ... come dire ... tutto a Dio. Anzi, ciò dovrebbe spronare ad eliminare gli errori commessi nell'immediato passato, affinchè la celebrazione della Messa ritorni al centro della vita della Chiesa, in tutta la sua solennità, recuperando quel volto di bellezza e di misticismo che aveva nei secoli trascorsi, bandendone gli abusi e correggendo in senso meno equivoco certune forme. E forse su questa strada il Magistero si sta orientando. Speriamo bene.
Cordialmente

Augustinus

P.S.: una piccola domanda. Che significa "educatore e formatore"? Sei forse un presbitero?

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poliedrico
13-03-04, 15:59
Carissimo Augustinus,

dobbiamo parlare avendo ben presente i dati storici e non facendo delle ipotesi del tipo: << Annibale Bugnini [...] del quale si suppone, con grado prossimo alla certezza, l'affiliazione massonica>>. Ma tu te ne rendi conto del cammino della riforma liturgica e del grande movimento che le è preceduto? Il Messale Romano riformato secondo le deliberazioni del Concilio Vaticano II è il dono atteso e desiderato dai fedeli e dai pastori di tutto il mondo, che erano stati sensibilizzati e formati allo spirito della liturgia da oltre settant’anni di movimento liturgico, che da piccolo ruscello strada facendo era diventato un fiume navigabile.

Esso è un opera davvero monumentale, a cui hanno lavorato oltre un centinaio di studiosi, biblisti, patrologi, storici, liturgisti, teologi, pastori di cura d’anime, divisi in dieci gruppi di lavoro o “coetus”. Per la sua preparazione furono esaminati accuratamente i testi in uso, rivisitate le antiche fonti liturgiche, molti testi furono corretti tenendo conto dell’originale, altri ripresi dal patrimonio della Chiesa antica, altri adeguati alla cultura e alla sensibilità degli uomini del nostro tempo, parecchi furono creati ex novo ispirandosi ai documenti del Concilio. Il tutto sotto la supervisione personale del papa Paolo VI, che si volle rendere conto di tutti i particolari, facendo di suo pugno osservazioni e suggerendo modifiche.

Ma, caro Augustinus, secondo te, tutti questi esperti erano dei famigerati massoni/sionisti/protestanti con a capo l’arci-massone Bugnini e l’arci-diavolo Paolo VI?... Carissimo, me ne sono davvero stufato di sentire a destra e a manca che il Concilio Vaticano II sarebbe un complotto giudaico-massonico-protestante per conquistare la Chiesa Cattolica... Dobbiamo essere veramente seri e non seguaci di opere di fantascienza...

Si può affermare tranquillamente che il Messale di Paolo VI costituisce il punto di convergenza e di coagulo dei principali documenti del Vaticano II: Sacrosanctum Concilium, Lumen gentium, Dei Verbum, Gaudium et spes, Unitatis redintegtatio. E ciò che nel 1988 il papa Giovanni-Paolo II affermava della riforma liturgica, che è il frutto più visibile di tutta l’opera conciliare, quello che ha permesso alla maggior parte dei fedeli di recepire il messaggio del Concilio Vaticano II, vale prima di tutto per il Messale (cf. Vicesimus quintus annus, 12).

Continui a parlare con delle supposizioni <<forse si ignora una certa discontinuità tra il vecchio ed il nuovo rito>>... Chi ha presentato il rito romano attuale come qualcosa di totalmente nuovo? Qui si fa riferimento a situazioni particolari, non documentate e del tutto sconosciute. In nessun caso né gli organismi della riforma né le riviste specializzate né gli organismi ufficiali esecutivi hanno mai presentato il nuovo Messale come una "rottura" con l’antica tradizione della Chiesa (anzi hanno detto tutto il contrario, e per primo Paolo VI) anche perché, di fatto, pur accogliendo le nuove acquisizioni teologico-ecclesiali e le esigenze pastorali per la comprensione e la partecipazione dei fedeli, si è preoccupato di affondare le radici nella tradizione dei Padri (cf SC 50) e vi è riuscito in modo egregio, ben superiore alla riforma di Pio V la cui commissione di esperti non disponeva degli antichi testi dei Padri e non andò oltre il XIII secolo. Quello, pur non volendo, rappresentò una "cesura" perché adottò un "Messale plenario", il segno della massima "clericalizzazione", confezionato ad uso del solo sacerdote e con esclusione della partecipazione del popolo (e degli stessi ministri salvo per la Messa cantata), rimasto al margine della celebrazione che per secoli ha dovuto alimentare la sua pietà ad altre sorgenti.

Caro Augustinus, continui a parlare riferendoti allo studio del card. Ottaviani <<il quale sottolineava diversi elementi e profili dubbi del nuovo rito>>. Su questo punto, il mio dissenso non può essere che totale, perché le affermazioni sono gratuite e prive di ogni fondamento storico-liturgico. Anzi si tratta di critiche ormai superate – già avanzate nel 1969 dai cardinali Bacci e Ottaviani, nel 1991 dai cardinali Oddi e Meyer, e qualche anno fa da un altro cardinale: una malattia "ereditaria"? – alle quali volle rispondere punto per punto lo stesso Paolo VI mediante il "Proemio" all’Institutio generalis inserito nell’edizione del Messale del 1970, e tuttora presente, che pare sia sfuggito al card. Ratzinger.

Paolo VI dichiara, e con ragioni storiche comprovate, la piena ortodossia, la continuità della tradizione e la caratteristica dell’adattamento del nuovo Messale.
Tutti e due i Messali sono il frutto dei due Concili, animati dallo stesso desiderio di dare unità, verità e dignità alla celebrazione: il primo per frenare abusi e per impedire pericoli di ordine dottrinale, il secondo per la valorizzazione pastorale della celebrazione sul piano rituale e su quello della partecipazione del popolo cristiano.

Pio V abolì tutti i Messali che non datavano di 200 anni, Paolo VI ha dovuto abolire l’uso del Messale di Pio V, sia perché del tutto inadeguato alle finalità pastorali del Concilio, sia perché il fondo eucologico come la struttura della celebrazione sono confluiti nel nuovo: il Messale di Pio V era ridotto ad un rigagnolo, ad un albero quasi arido, incapace di abbeverare e nutrire la fede e la pietà del popolo cristiano. Il suo fu un gesto saggio, provvidenziale. Non poteva e non doveva ammettere l’uso del Messale di Pio V, senza tradire il Concilio e senza venir meno al suo compito di pastore della Chiesa.

Per un’informazione sull’iter del Messale di Paolo VI ti rimando alle pagine, documentatissime, del volume di Annibale. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975), Ed. Liturgiche, Roma 1980, pp. 333-479). Per un confronto tra i due Messali si possono leggere due capitoli del volume di Rinaldo Falsini: L’eucaristia domenicale, tra teologia e pastorale, Edizioni San Paolo 1995, pp. 30-46.

Augustinus, continui a parlare ipoteticamente: <<Probabilmente il rito tradizionale andava bene sin quando nella Chiesa stessa c'era una fede maggiore ed incondizionata in Dio>>. Carissimo, la “messa delle rubriche”, quella che tu chiami “tradizionale”, era una celebrazione ufficiale a cui il popolo assisteva, mentre il prete era servito o aiutato da due ministri (“messa solenne”) o almeno da qualche chierichettto o inserviente; l’azione restava atemporale, senza possibilità di adattamento.

La “messa rinnovata”, invece, suppone una celebrazione adattata a un’assemblea o ad un gruppo concreto, con persone che hanno una data mentalità, con risorse e caratteristiche proprie: quindi la partecipazione sarà attuata in modo più appropriato se si terrà conto della natura e delle abitudini di ciascuna assemblea. Caro Augustinus, non è questione solo di pastorale; al fondo c’è tutta una teologia da riscoprire.

Parli poi di abusi liturgici e fai bene perchè è vero che a volte essi si commettono nelle nostre celebrazioni. Sono d’accordo con te. Certo si deve constatare che dopo 40 anni assieme alle luci permangono ancora molte ombre e c’è chi addirittura parla di “fallimenti” riferendosi al Concilio. Pur non schierandomi in posizioni estreme di pessimismo, e rallegrandomi piuttosto del cammino compiuto fino a questo momento, devo dire comunque che molto resta ancora da fare perchè diventi realtà tutto ciò che con la riforma liturgica si auspicava.

Ecco, caro Augustinus, sono appena 40 anni che ci sentiamo dire, giustamente, "siete il soggetto integrale dell'azione liturgica in quanto battezzati, con responsabilità gerarchiche diverse all'interno della celebrazione". Da appena 40 anni si sta cercando di dire "Gloria a Dio" nella propria lingua e quindi con un rapporto emotivo tra il dire e l'agire, un rapporto emotivo tra il dire, il cantare e l'agire. Quarant'anni sono veramente pochi. Un cambio generazionale-culturale esige la pazienza. Dove c'è stata già e dove ci sono state opere insistenti di qualificazione della celebrazione, dove c'è stato lo sforzo di variare i canti, dove c'è stato lo sforzo di essenzializzare l'omelia, dove lo spazio è stato considerato per la celebrazione, là dove è avvenuto questo, noi riconosciamo delle celebrazioni ad alto livello. Purtroppo non sono molte. Ma è in questa fase, dopo 40 anni, che possiamo dire che le cose si stanno movendo. Anzi, io credo che si stanno muovendo talmente che alcune reazioni contro la riforma, sopratutto di natura ecclesiologica, sono il segno della paura di alcuni ambienti conservatori di perdere chissà quali privilegi e poteri. Si sono resi conto che prender sul serio, come battezzati, il momento celebrarivo, vuol dire diventar Chiesa. E quindi non soltanto il prete o il responsabile ma tutti i battezzati si dicono e sono Chiesa nella diversità dei ministeri.

Un ultimo commento alle parole della tua interessantisima post. Scrivi: <<Le loro istanze, [dei tradizionalisti] infatti, potrebbero aiutare a dare un'interpretazione meno ... protestante ... ai documenti conciliari sulla liturgia e potrebbero contribuire a recuperare quello spirito di fede e solennità anche nel nuovo rito di cui il vecchio era intriso, affinchè possa rendersi un pieno e degno culto al Signore>>. Carissimio, non spegniamo lo Spirito. Non sono le pratiche esteriori, lo splendore dei riti liturgici, la sontuosità o la solennità che contano ma il cuore, cioè quel intimo dell’uomo che è la sede delle sue scelte nella libertà. Per conoscere ed assaporare questo vero culto non basta imparare come si fanno i riti liturgici, nè eseguirli a puntino secondo le regole; il segreto sta nello scrutare la Parola di Dio, tutte le Scritture, li è scritto di Gesù, dunque è scritto di noi e sono suggeriti gli atteggiamenti giusti.

L'intento del Vaticano II e del rinnovamento liturgico è quello di purificare le forme di espressione della fede, di ravvivarle, renderle più autentiche, bibliche, robuste... Se a te tutto questo ti sembra come una “protestantizzazione” io non ho nulla da aggiungere. Credo ferventemente che la liturgia debba formare in noi una pietà cristiana forte e profonda, oggettiva, libera da pietismi, pseudomagie, sentimentalismi eccessivi, individualismi, essa debba essere comunitaria: formare un popolo!

Buona domenica a te, caro Augustinus, e a tutti i forumisti.
Poliedrico

PS. Alla tua ultima domanda rispondo che non sono presbitero ma laico, docente di Sacra Liturgia presso un seminario diocesano.

http://www.amicipapaluciani.it/PAPA4.jpg
Il servo di Dio papa Paolo VI

Augustinus
13-03-04, 18:42
Caro Poliedrico,
ho letto con attenzione le tue risposte. Io sono più canonista che lirtugista. Ad ogni modo, volevo evidenziarti che non sono ipotesi quelle che ti ho sopra indicate (come ad es. l'affiliazione massonica di Bugnini, ecc.).

http://www.catholictradition.org/v2-bugnini.jpg

Come ho detto sopra: sono ipotesi prossime alla certezza. Per lo meno il Beato Giovanni XXIII ne era consapevole (ci sono le testimonianze!!!) e Paolo VI lo scoprì nel 1975, tanto da allontanarlo dalla Curia e spedirlo in Iran, dove morì nel 1982.
A parte questo, se non hai pregiudizi di sorta, ti invito a leggere con molta attenzione un interessante saggio http://www.catholictradition.org/v2-bombs.htm, dove vengono spiegate cose che, solitamente, sui testi non si trovano. Non è dietrologia. No. Sono fatti, inconfutabili, perchè veri.
La riforma liturgica fu, come vedrai, imposta con una serie successiva di colpi di mano, approfittando di giochi di maggioranze e minoranze. Ti basti solo qui un piccolo esempio. Tra le innovazioni liturgiche che si sono avute in Italia in anni recenti è la possibilità di ricevere la S. Comunione in mano. Ebbene, saprai che quella norma passò in sede di Conferenza Episcopale Italiana con la maggioranza di un solo voto! Dunque, con un colpo di mano ... . E come questa sono passate molte altre cose ... .
Riguardo al fatto che dico che il nuovo rito, per certi aspetti, si presenta in rottura col passato, beh ... questo appare sin troppo evidente dall'uso di alcune formule, che ricordano da vicino quelle protestanti ed anglicane (v. l'anafora II di Cramner, che ricorda quella in uso attualmente nella Chiesa cattolica. E' questo uno dei casi di "legittime varietà e adattamenti" di cui parlava Paolo VI nella Cost. ap. di promulgazione del Messale?). Tu dici che gli specialisti di S. Pio V tennero conto di testi liturgici sino al XIII sec. e che quelli della riforma liturgica degli anni '60 i testi successivi. Ma rispondi al mio interrogativo: di quali testi si trattava?
Dici ancora che il Messale di S. Pio V rappresentò "il segno della massima "clericalizzazione", confezionato ad uso del solo sacerdote e con esclusione della partecipazione del popolo (e degli stessi ministri salvo per la Messa cantata), rimasto al margine della celebrazione che per secoli ha dovuto alimentare la sua pietà ad altre sorgenti". Ma vorrei qui ricordarti che la Santa Sede corresse, nel 1970, a meno di un anno dalla sua apparizione, un documento pontificio ufficiale. Si trattava del sinistro paragrafo 7 della Instructio generalis, che apriva il nuovo messale di Paolo VI, pubblicato nell'aprile 1969. Questo paragrafo, nella edizione del marzo 1970, venne radicalmente trasformato. Poiché esso conteneva la definizione stessa della messa, non era difficile misurare l'importanza della trasformazione. Si trattò, all'epoca, di una vittoria grandissima dei Cardinali Ottaviani e Bacci e della Fondazione "Lumen Gentium", le cui critiche al nuovo messale si dimostrarono così pienamente giustificate, contro il parere di tutti quei cattolici per i quali l'obbedienza era divenuta una droga e che sostenevano l'illegittimità delle osservazioni dei Cardinali.
Ecco le due definizioni (che traduco dal latino); l'originale era questo:

N. 7 [versione 1969]: "La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: 'Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro' (Mt XVIII 20)".

Ed ecco la seconda definizione:

N. 7 [versione 1970]: "Nella messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico.
Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: 'Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro' (Mt XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche".

La differenza dei due testi era capitale: nulla più, nulla meno che una differenza di religione.
Resta il fatto, però, che quella nuova Institutio generalis, anche da ultimo rivista in anni recenti, insiste sulla continuità con la dottrina del Concilio di Trento; le novità sarebbero soltanto una accomodatio ad novas rerum condiciones. Quale è, dunque, la differenza tra la messa tridentina e la nuova Messa? di poco conto? del tutto marginale? Probabilmente tale doveva essere secondo le intenzioni del Concilio Vaticano II. Ma esse sono state largamente oltrepassate. La Messa è stata resa in lingua volgare (già questo per nefas rispetto al Concilio), non solo, ma le differenze sono strutturali, si tratta di un rito nuovo che si è avvicinato pericolosamente alle posizioni protestanti. Ad es., nessun accenno nel Novus ordo circa la finalità ultima della Messa che è quella della lode della Ss. Trinità; la finalità ordinaria, che è quella di propiziazione per i peccati, mentre l'accento cade sulla nutrizione e santificazione dei presenti; la finalità immanente che è quella di offerta che deve essere gradita e accettata da Dio, mentre specialmente l'offertorio risulta mutilo e limitato a un indeterminato aspetto conviviale e di socialità.
Ma questo è solo un piccolo esempio. Il dubbio, quindi, che il rito adottato negli anni '60 abbia rotto col passato, rappresentando un momento di cesura, non ti nego che si affaccia spesso alla mia mente, sebbene alla fine concluda che Dio riesce a scrivere pure sulle righe storte dell'uomo, ottenendo dal male il bene.
Anzichè parlare in generale, comunque, perchè non scendi anche su questi dettagli?
Dici ancora che "prender sul serio, come battezzati, il momento celebrativo, vuol dire diventar Chiesa". Quale Chiesa? Il prendere sul serio, come dici tu, ammesso che possa parlarsi di autentica consapevolezza da parte dei fedeli, è proprio quello che rende l'attuale celebrazione una kermesse di stampo sanremese. Tu sei rimasto scosso dalla celebrazione del Card. Hoyos a Roma. Io sono rimasto autenticamente choccato, invece, non già da quella celebrazione, ma dalla Messa di uno dei tanti movimenti carismatici o presunti tali oggi presenti nella Chiesa, con il loro agitarsi, il loro gridare, ecc. E l'ammettere anche queste cose è per te significa "non spegnere lo Spirito"? Per non parlare poi delle omelie ridotte a discorsi sociologici e buonisti, di scarso contenuto catechetico o religioso. Voler correggere anche questa stortura, per te sarebbe uno "spegnere lo Spirito"?
Ricordi? Lex orandi lex credendi. Evidentemente la nuova Messa, come dicevo, è adatta all'uomo d'oggi, richiedendosi una fede meno forte, più soft, più intimistica; adatta ad un uomo che si vergogna di ciò in cui crede e, dunque, si vergogna di testimoniare (la propria fede) all'esterno. Tutto, con la nuova Messa, e mi pare che anche tu lo ammetta, deve rimanere nella sfera dell'io, non deve travalicare quel limite. Nulla deve trasparire all'esterno nella testimonianza pure di vita. L'antico rito, invece, richiedeva una fede più forte. Non sarà un caso che generazioni di Santi sacerdoti sono nati da quel rito; uomini e donne eminenti che facevano della Messa il senso della loro vita. Persone davvero straordinarie. Ed invece, con la nuova ... sono nati "sacerdoti" ... ottimi sociologici e psicologi, anche politici, che riducono i sacramenti a terapie psichiche ... . Basti pensare ai vari don vitaliano o don zanotelli, che peraltro non sono casi isolati. Anche questo è un caso? Questi sarebbero i nuovi "santi"????
Diceva qualcuno che una pura coincidenza è un caso; ma quando sono più le coincidenze, beh ... allora è qualcosa di più.
Qui stanno anche le parole profetiche di Paolo VI, quando parlava che il fumo di Satana, che obnubila le menti, è penetrato, da qualche fessura, nella Casa di Dio. Ci si aspettava frutti rigogliosi dal Concilio, e come ammetteva amaramente lo stesso Papa, a meno di dieci anni dalla conclusione dell'assise conciliare, i frutti si sono dimostrati non così buoni.
Ecco perchè molti insigni ed autorevoli Cardinali si sono accorti delle limitazioni della nuova Messa. La vecchia formava dei Santi. La nuova non so chi ... . A te la risposta ... .
Ecco perchè scrivevo che i tradizionalisti potranno aiutare a dare un'interpretazione più cattolica ai documenti ed al Messale, affinchè possa ritornare la Messa ad essere un ricettacolo di Santi e non già di psicologi :D :D. In questa preoccupazione vi è anche il senso e la misura delle parole del Papa nella sua enciclica sull'Eucarestia!
Auguro anche a te una buona domenica III di Quaresima.

Augustinus

poliedrico
14-03-04, 15:49
Caro Augustinus, sono molto stimolanti i tuoi post. Rispondo a quelli punti che ritengo come più interessanti.

Non conosco qualche anafora II di Cramner. Se ti riferisci al Prayer Book di Cramner dell’anno 1549 e alla solenne preghiera eucaristica anglicana vorrei informarti che in questo testo sono combinate influenze gallicane e orientali, però con un senso teologico completamente nuovo. Non c’è elevazione nè ostensione del Sacramento per i fedeli. Secondo la teoria di Zuinglio, la Cena è stata istituita <<perchè ogni uomo che ne mangia e ne beve, si ricordi che Cristo è morto per lui ed eserciti così la sua fede e si consoli col ricordo dei benefici di Cristo>>. Adattando l’antica eucaristia romana, non solo alle sue idee, ma anche alla sua lingua e alla retorica della sua epoca. Cramner ha realizzato un’opera che, dal punto di vista letterario, non è stata analogia con il rifacimento delle antiche eucaristie, come in Siria al IV sec. Le varie intercessioni che sono disseminate nel canone romano, nell’anafora anglicana sono raggruppate nella prima parte dell’anafora. Quindi è la liturgia romana che ha influenzato le varie anafore protestanti e anglicane e non viceversa. Non sono le formule cattoliche che ricordino alcune formule protestanti ma succede proprio il contrario.

Ti trascrivo un brano di un testo del liturgista Paolo Giglioni, apparso tempo fa nel forum Tradizione Catolica, in cui l’insigne liturgista non fa altro che ripartendo dall’antichissimo Ordo Romanus I ci spiega come si celebrava la santa messa in Urbe nel VIII secolo.

<<L'Ordo romanus I (circa l'anno 700) ci offre una descrizione di come si svolgeva la celebrazione eucaristica in questo periodo. I riti di ingresso prevedono: un atto penitenziale, il Kyrie, il Gloria, la Colletta; la liturgia della Parola prevede la lettura dell'Epistola, la processione l'incensazione e la proclamazione dell'Evangelo, l'Omelia, la preghiera dei fedeli; la liturgia eucaristica ha inizio con la processione dei doni fatta dai fedeli, il pane eucaristico è quello normale lievitato, il Celebrante è rivolto verso l'assemblea, l'altare è unico collocato al centro tra assemblea e presbiterio; la prece eucaristica è unica: il Canone romano; non ci sono genuflessioni né elevazione dell'ostia (la fede nella presenza reale è indiscussa); si canta il Pater, ci si scambia il segno della pace, si canta l'Agnus Dei alla frazione del pane. Generalmente tutti i partecipanti partecipano anche alla comunione: il pane consacrato è deposto nella mano dei fedeli, si beve al calice. La celebrazione termina con la Orazione e la benedizione>>. (Paolo Giglioni, Introduzione alla Liturgia, Roma 2001)

Quindi nessuna rottura con il passato. La riforma liturgica non ha fatto altro che recuperare la messa romana della sua epoca d’oro.

Se con la II anafora di Cramner alludi alla II preghiera eucaristica
del Messale Romano, vorrei ancora ricordarti che la tradizione romana viene particolarmente rafforzata dall’introduzione sella seconda preghiera eucaristica. Essa infatti si ispira sostanzialmente a un antichissimo formulario, che si trova nella così detta <<Tradizione Apostolica>> di Ippolito Romano (+235). La Chiesa Romana ha recuperato dunque il suo più antico formulario (forse anteriore allo stesso Canone Romano). Accolto anche in oriente come schema , esso ha ricevuto tanti sviluppi che serve di base alle più venerate <<anafore>> (o preghiere eucaristiche) ed è ancora in uso nella Chiesa Etiopica. Il magnifico testo del prefazio, che in questa arcaica preghiera fa corpo con le altre parti (anche se sostituibile con altri prefazi), contiene in sintesi tutto il misteri di Cristo, definito <<parola vivente>> e posto al centro sia dell’opera della creazione (<<tu hai creato tutte le cose per mezzo di lui>>) sia dell’opera della redenzione (<<esgli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione>>.

Ecco carrissimo il rinnovamento liturgico si è isparato alle antiche fonti liturgiche racchiuse nei vari Sacramentari Romani (Leoniano, Gregoriano, Veronese, ecc): questi testi appartengono alla grande tradizione della Chiesa Cattolica Apostolica Romana e non al protestanresimo.

Non sono affatto d’accordo con te sulla presunta mancanza di accenno nella messa rinnovata circa la finalità ultima della Messa. <<La finalità ordinaria, che è quella di propiziazione per i peccati>>, è quasi sempre presente nelle “Orationes super oblata” (Orazioni sulle offerte). Riportarti qui tutte queste orazioni che parlano de <<la finalità immanente che è quella di offerta che deve essere gradita e accettata da Dio>> sarebbe solo una perdita di tempo. Potresti informarti da solo sull’aromento visitando questo sito:

http://www.liturgia.it/

dove puoi trovare tutti i testi eucologici in latino del Messale Romano attuale, come pure i testi dei Messali e di Sacramentari precedenti e fare da te stesso un confronto.

Caro amico, il Messale di Paolo VI, notevolmente arrichito rispetto a quello di s. Pio V, è una miniera per la preghiera liturgica e merita un’assidua attenzione pastorale. Nelle del Messale in vigore c’è non solo un condensato teologico perfetto, ma risuona anche il grido di uomini vivi e sfortunati. Quale tipo di uomo presuppone questo immenso patrimonio di circa 2000 orazioni del nuovo Messale? Se si vogliono trovare i tratti di questa antropologia cristiana delle orazioni, si pottrebbero così evidenziare.

Scendo così come vuoi nei particolari del Messale odierno. L’uomo ha una coscienza acuta del peccato. Il senso del peccato è una condizione di ammissione all’eucaristia: il rito penitenziale introduttivo nel ritto attuale della messa ne è il segno più espressivo. C’è un realismo della condizione umana, che è essenzialmente condizioni di ”poveri di Iahvè”, che viene continuamente sottolineato dal richiamo al peccato dell’uomo: colpa, delitto, offesa, ingiuria, lesione dei diritti divini.

L’uomo che prega ha una coscienza viva della sua miseria come conseguenza del peccato. L’uomo peccatore ci è mostrato nelle esperienza più dolorosa della sua situazione; tutto ilm vocabolario essenziale moderno può essere militato per esprimere la gamma di sfumature di questa miseria dell’uomo: accasciato, prostrato, ferito, prigioniero, malato, fragile, scoraggiato, angosciato, errante, vaccilante, in balìa degli attacchi maligni, ecc. E la drammaticità sempre attuale della condizione umana, che viene espressa in forma ancora poù acuta dal fatto che le orazione del Messale di Paolo VI coinvolgono sempre tutti con “noi”. Il “noi” ci fa sentire solidali alla miseria alla sofferenza dei nostri fratelli, vicini e lintani.

La condizione umana non è assurda, ci ammonisce la preghiera liturgica, perchè c’è qualcuno che ci può salvare. Di domenica in domenica, di festa in festa, le orazioni del Messale Romano attuale e della santa messa specificano l’aiuto che l’umanità sventurata non può trovare che in Dio. Al di là dell’apparente diversità dei temi e delle espressioni, si tratta sempre in fondo di una grazia pasquale, sempre rinnovata . E’ sempre una rinnovazione degli impegni battesimali sotto forma deprecativa: l’uomo desidera passare dalla decadenza alla reintegrazione, dalla prigione alla liberazione, dalla malattia alla guarigione, dall’abbattimento alla confidenza, dal castigo al perdono, dalla servitù alla libertà, dalla miseria alla dignità, dalle tenebre alla luce, dalla perversità alla rettitudine, dall’esilio alla patria, dalla minaccia all’insicurezza, dall’afflizione alla gioia, dalla disfatta alla vittoria, dalla morte alla vita.

Quindi nessuna povertà teologica, liturgica o eucoligica nella messa romana in vigore.

Concludo con le parole dell’Arcivescono Francesco Pio Tamburino, sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino, durante la presentazione della Editio Typica Tertia del Missale Romanum (18 marzo 2002).

<<Il Missale Romanum, nella sua III edizione tipica, rappresenta, senza dubbio, il dono offerto dalla Santa Sede, e in modo speciale dal Santo Padre, alle Chiese particolari di Rito Romano, con la garanzia dell'autenticità, in sostanziale fedeltà alla traditio ereditata da chi ci ha preceduti e trasmessa alla generazione che viene.
[...] Questa complessa e laboriosa opera della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nonostante i condizionamenti e i limiti che essa possa contenere in quanto opera delle mani dell'uomo, rappresenta il libro autentico che la Chiesa ci offre per celebrare i divini misteri in piena ortodossia e legittimità. Esso offre alle Chiese locali un modello per le loro edizioni in lingue volgari e una occasione per ravvivare nelle comunità cristiane lo spirito genuino della liturgia della Chiesa.
[...]Anche in questa editio del Messale si verifica la sintesi di lex orandi e lex credendi. Tale libro liturgico è uno strumento nelle mani dei Pastori e dei fedeli. Lo si potrebbe paragonare ad un acquedotto: ne possiamo sottoporre ad analisi i percorsi tra monti e valli, la portata delle condutture, ma l'importante è che l'acqua arrivi in abbondanza. Oggi possiamo rallegrarci, perché la liturgia, regolata ormai dalla terza edizione del Missale Romanum può dissetare il popolo di Dio pellegrinante nel deserto ed è in grado di far sperimentare ai credenti, radunati per il convito sacrificale, che il Risorto è in mezzo ai suoi e continua ad offrire "la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo" (Canon Romanus)>>.

Quindi, Poliedrico dicit: Riformata la liturgia occorre riformare le menti...

Ciao!
Poliedrico

cm814
14-03-04, 17:47
Caro Augustinus,
ti ringrazio di aver preso le difese del vecchio rito.... per intenderci, quello dei santi Ignazio di Loyola, De Liguori, Francesco di Sales........... Pio da Pietralcina et altri. E anche di san Francesco d'Assisi, di san Domenico ew di sant'Antonio di Padova, che dicevano messa col Messale della Curia Romana (poi ratificato circa trecento anni dopo da san Pio V).
Ti ringrazio di aver fatto sapere, che lo stesso Romano Pontefice ha messo in guardia dal RIFORMISMO, ed aggiungo io che, secondo il cardinale Ruini (forse un imbroglione.....??......) lo stesso Giovanni paolo II celebra, nella propria cappella, secondo il rito di San Pio V (detto erroneamente: PIO V si limitò a mettere l'imprimatur, una specie di marchio D.O.C., al messale della curia Romana, usato dai francescani e dai domenicani). Tutti controrivoluzionari? Tutti contro l'umiltà della liturgia (tra l'altro, il Signore era Umile, ma non straccione!)????

Aggiungo, che il Concilio Vaticano II voleva riformare il rito, non annientarlo: basta leggere i documenti, per accorgersi che le riforme erano limitate a:
* più spazio per la lingua nazionale (più spazio, attenzione......) soprattutto alle parti di competenza dei fedeli (fedeli, attenzione!)

* Maggior elasticità nella concelebrazione

*Una riforma dei canti polifonici (bisognava ritornare alla GREGORIANO, e fare attenzione col barocco, che magari non sempre si presta - e questo è vero - a luoghi angusti come talune chiese).

* Introduzione della preghiera dei fedeli (forse l'unico aspetto più debole : i padri Conciliari citano solo un passo di san Paolo a Timoteo).

Questo, per limitarci alla lettera del Concilio. Ma possiamo ancora dire:

* Nelle bozze giovannee non C'E' ALCUN RIFERIMENTO ALLA LITURGIA.

* Quando il cardinale moderatore fece notare che la liturgia NON ERA MATERIA DI CONCILIO, ma del SOGLIO PONTIFICIO (essendo la liturgia IL MOMENTO DI UNITA' PIU' ESPLICITO NELLA CHIESA), SFORTUNATAMENTE il microfono si spense.

* Non fu una commissione CONCILIARE a riformare il rito, ma una post-conciliare, il cui metodo di votazione è stato più volte criticato da alcuni (oggi) cardinali, allora periti.


Ti ringrazio Augustinus per averni ascoltato: c'è chi ha fatto orecchie da mercante già al mio primo post. E questo, fuor di polemica: i tradizionalisti indultisti (grazie per aver chiarito una cosa che, in fin dei conti, tutti sanno: tra sedevacantisti e indultisti c'è, forse, più distanza di quanta se ne veda) non vanno in cerca di piazzare proprie idee. Il padre domenicano che ora mi sta seguendo, mi dice sempre : "Quello che Dio vuole: se non vuole, ci fermi quando lo riterrà opportuno". Tutto va fatto in buona fede: se riguardando allo splendore dei Santi e della Gloria Millenaria della Santa Madre Chiesa, dovessimo frenare l'Evengelizzazione e la Santità di questa, Dio ci spezzi le gambe prima ancora di muovere un passo.
In finb dei conti, vecchi e nuovi vogliamo la stessa cosa: GLORIFICARE il Signore Gesù Cristo.

Odisseo
14-03-04, 23:30
Chiedo scusa per l'ignoranza : cos'è un cattolico indultista ?

cm814
15-03-04, 10:27
Originally posted by Odisseo
Chiedo scusa per l'ignoranza : cos'è un cattolico indultista ?


Nel 1984, prima, e nel 1992, con Ecclesia Dei Adflicta, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha concesso all'Ordinario del luogo la possibilità di valutare le condizioni, qualora i fedeli ne facessero richiesta, a che si conceda Santa Messa tradizionale, cioè col vecchio rito.

L' "Indulto" in Italia non è stato concesso con "particolare abbondanza", ragione per la quale il Papa ha richiamato spesso i Vescovi a non essere restrittivi ( il piano eversivo di Giovanni Paolo II, che vuole rovesciare il Concilio!!!!).

I tradizionalisti indultisti fanno capo all'associazione internazionale UnaVoce e a quella italiana UnaVox.

Augustinus
17-04-04, 21:18
L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia

di dom Prosper Guéranger

http://mywebpages.comcast.net/enpeters/z_prosper.jpg

in Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n. 7-9, 1997, 13-23.

La liturgia è cosa troppo eccellente nella Chiesa per non essersi trovata esposta agli attacchi dell'eresia. Ma come le sette orientali, che pure avevano infranto il simbolo in tanti altri modi, non hanno combattuto direttamente, come nozione, l'autorità della Chiesa, così non si è neppure visto, in questa patria dei misteri, il razionalismo perseguitare per sistema le forme del culto. Divise tra di loro da violente discordie, le sette orientali hanno unito al cristianesimo o un panteismo mascherato, oppure il principio stesso del dualismo. Ma ciò di cui soprattutto hanno bisogno è credere ed essere cristiani: la loro liturgia è l'espressione completa della loro situazione. Bestemmie sulla incarnazione del Verbo disonorano certe formule, ma tale disordine non impedisce che in queste formule, e nei riti che le accompagnano, siano conservate le nozioni tradizionali della liturgia. Di più, la fede benché sfigurata è stata feconda fin quasi ai nostri giorni presso questi uomini che credono male, ma vogliono credere. E i giacobiti, i nestoriani, soltanto dopo l'anno 1000, hanno prodotto più formule liturgiche, per esempio anafore, dei greci melchiti, i cui libri non hanno guadagnato più nulla dopo la loro separazione dalla Chiesa romana, se si eccettuano alcune raccolte di inni composte da persone di ogni genere, e aggiunte ai libri dell'officio. Ma quest'ultimo tipo di preghiere non attiene all'elemento fondamentale della liturgia, come le anafore, le benedizioni, ecc., composte dai giacobiti e dai nestoriani moderni, e di cui troviamo il testo o la notizia nell'opera del Renaudot sulle liturgie d'Oriente [1], oppure nella biblioteca orientale di Assemàni [2]. Peraltro il lettore si ingannerebbe se pensasse che intendiamo tale estrema abbondanza come indice di un progresso. L'antichità, l'immutabilità delle formule dell'altare è la prima delle loro qualità. Ma la fecondità cui ci riferiamo è comunque un segno di vita, e non si può non riconoscere come lo stile ecclesiastico di queste anafore, anche delle più recenti, è perfettamente conforme con quello consacrato dai secoli. Quanto alle tradizioni su riti e cerimonie, le sette d'Oriente le hanno conservate tutte con rara fedeltà, e se talvolta vi si trovano mescolati aspetti superstiziosi, esse attestano comunque un fondo primitivo di fede, mentre da noi la progressiva diminuzione delle pratiche esteriori denunzia invece la presenza di un razionalismo segreto che fa vedere i suoi risultati.

La Chiesa greca ha generalmente conservato con grande cura, se non il genio, almeno le forme della liturgia. Abbiamo detto altrove come Dio l'ha predestinata, almeno per un tempo, con l'immobilità dei suoi antichi usi, a rendere una testimonianza irrinunciabile alla purezza delle tradizioni latine. È per questo che Cirillo Lukaris [3] si arenò in maniera così vergognosa nel suo progetto di iniziare la chiesa orientale alle dottrine del razionalismo d'Occidente. Comunque lo spirito di discussione e di puntiglio di Marco d'Efeso [4] è rimasto nel seno della chiesa greca, e produrrà i suoi frutti naturali dal momento in cui questa chiesa sarà chiamata a fondersi nelle nostre società europee. La chiesa greca deve senza fallo passare per il protestantesimo prima di ritornare all'unità, e si ha ben ragione di credere che la rivoluzione sia già avvenuta nel cuore dei suoi pontefici. In un analogo ordine di cose la liturgia, forma ufficiale di una credenza ufficiale, rimarrà stabile o varierà a seconda della volontà di chi esercita il potere. Così non è possibile eresia liturgica dove il simbolo è già minato, ove non si trova altro che un cadavere di cristianesimo, cui soltanto gli impulsi oppure un galvanismo imprimono ancora qualche movimento, finché, cadendo a pezzi dalla putrefazione, diverrà del tutto incapace di ricevere stimoli esterni, come da tempo non aveva più sentito il tocco della vita.

È dunque solo in seno alla vera Chiesa che può fermentare l'eresia antiliturgica, vale a dire quell'eresia che si pone come nemica delle forme del culto. Soltanto dove c'è qualche cosa da distruggere il genio della distruzione cercherà di introdurre tale deleterio veleno. L'Oriente ne ha provato una volta sola, ma violentemente, i colpi, e ciò è avvenuto ai tempi dell'unità. Nel secolo VIII sorse una setta furibonda la quale sotto il pretesto di liberare lo spirito dal giogo della forma ha rotto, strappato, bruciato i simboli della fede e dell'amore del cristiano. Il sangue fu sparso per la difesa dell'immagine del Figlio di Dio come era stato sparso quattro secoli prima per il trionfo del vero Dio sugli idoli. Ma è stato riservato alla cristianità occidentale di vedere organizzare nel suo seno la guerra più lunga, più ostinata, che ancora continua, contro l'insieme degli atti liturgici. Due cose contribuiscono a mantenere le chiese dell'Occidente in tale stato di prova: innanzi tutto, come si è detto, la vitalità del cristianesimo romano, il solo degno del nome di cristianesimo, e di conseguenza quello contro cui dovevano rivolgersi tutte le forze dell'errore. In secondo luogo il carattere razionalmente materiale dei popoli occidentali, i quali, privi dell'agilità dello spirito greco come del misticismo orientale, in fatto di credenze, non sanno che negare, che rigettare lontano da sé quanto li disturba o li umilia, incapaci per questa duplice ragione, di seguire al pari dei popoli semitici una stessa eresia per lunghi secoli. Ecco il motivo per cui da noi, se si trascurano certi fatti isolati, l'eresia non ha mai proceduto che per via di negazione e di distruzione.In questa direzione, come ora vedremo, vanno tutti gli sforzi della immensa setta antiliturgista.

Il suo punto di partenza conosciuto è Vigilanzio, questo gallo immortalato dagli eloquenti sarcasmi di san Girolamo [5]. Egli declama contro la pompa delle cerimonie, insulta grossolanamente il loro simbolismo, bestemmia le reliquie dei santi, attacca a un tempo il celibato dei sacri ministri e la castità delle vergini. Il tutto per preservare la purezza del cristianesimo. Come si vede ciò non è una cattiva anticipazione in un gallo del IV secolo. L'Oriente che in questo ambito ha prodotto soltanto l'eresia iconoclasta, ha risparmiato, anche se per difetto di consequenzialità, i riti e gli usi della liturgia privi di un rapporto immediato con le sacre immagini.

Dopo Vigilanzio l'Occidente restò tranquillo per vari secoli. Ma quando le stirpi barbariche, iniziate dalla Chiesa alla civiltà, si furono alquanto familiarizzate con l'opera del pensiero, sorsero prima uomini, poi sette che negarono grossolanamente quello che non comprendevano, dicendo che quanto i sensi non percepiscono immediatamente non è reale. L'eresia dei sacramentari, del tutto impossibile in Oriente, ebbe inizio nel secolo XI in Occidente, in Francia, con le bestemmie dell'arcidiacono Berengario [6]. La reazione contro una così mostruosa eresia fu universale nella Chiesa, ma era da prevedere che il razionalismo, una volta scatenatosi contro il più augusto degli atti del culto cristiano, non si sarebbe fermato. Il mistero della presenza reale del Verbo divino sotto i simboli eucaristici doveva diventare il bersaglio di tutti gli attacchi. Bisognava allontanare Dio dall'uomo, e per attaccare con maggiore sicurezza questo dogma capitale bisognava bloccare tutte le strade della liturgia, che se si può dir così sboccassero nel mistero eucaristico.

Berengario non aveva fatto altro che dare un segnale: il suo assalto sarebbe stato rinforzato già nel suo secolo e nei seguenti, e doveva risultarne per il cattolicesimo il più lungo e il più spaventoso attacco che abbia mai subito. Tutto iniziò, dunque, dopo l'anno 1000. "Era forse - dice Bossuet - il tempo della terribile liberazione di satana rivelata dall'Apocalisse dopo mille anni. Ciò può significare disordini estremi: mille anni dopo che il forte armato, vale a dire il demonio vittorioso, fu legato da Gesù Cristo con la sua venuta nel mondo" [7].

L'inferno aveva smosso la feccia più infetta del suo pantano, e mentre il razionalismo si risvegliava, avvenne che satana gettasse sull'Occidente, come un soccorso diabolico, l'impura semenza che l'Oriente aveva seminato con orrore nel suo seno fin dall'origine, la setta che san Paolo chiama il mistero d'iniquità, l'eresia manichea. È noto come sotto il falso nome di gnosi essa aveva macchiato i primi secoli del cristianesimo, con quale perfidia si era nascosta secondo i tempi nel seno della Chiesa, permettendo ai suoi seguaci di pregare, e persino di comunicare con i cattolici, penetrando fino alla stessa Roma, ove fu necessario per scoprirla l'occhio penetrante di un san Leone e di un san Gelasio. Questa setta abominevole, sotto il pretesto di spiritualismo in preda a tutte le infamie della carne, bestemmiava nel segreto le pratiche più sante del culto esteriore come grossolane e troppo materiali. Si può vedere quanto ce ne riferisce sant'Agostino nel libro contro Fausto il manicheo il quale accusava di idolatria il culto dei santi e delle loro reliquie.

Gli imperatori d'Oriente avevano perseguito tale setta infame con le loro disposizioni più severe, senza riuscire a estinguerla. La si ritrova nel IX secolo in Armenia sotto la direzione di un capo chiamato Paolo, dal quale a questi eretici in Oriente fu dato il nome di pauliciani. Ed essi vi divennero così potenti da sostenere guerre contro gli imperatori di Costantinopoli. Pietro Siculo, inviato presso di loro da Basilio il Macedone per trattare uno scambio di prigionieri, ebbe la possibilità di conoscerli e scrisse un libro sui loro errori.

"Egli vi descrive questi eretici - dice Bossuet - con le caratteristiche loro proprie, con i loro due princìpi, con il disprezzo che avevano nei confronti del Vecchio Testamento, con la loro abilità prodigiosa di nascondersi quando volevano, e con gli altri segni che abbiamo visto. Ma ne sottolinea due o tre che non bisogna dimenticare: la loro particolare avversione per le immagini della croce, conseguenza naturale del loro errore, perché essi rifiutavano la passione e la morte del Figlio di Dio; il loro disprezzo per la santa Vergine, che non consideravano la Madre di Gesù Cristo, in quanto egli non avrebbe carne umana; e soprattutto il loro allontanamento dall'eucaristia" [8]. "Essi sostenevano inoltre che i cattolici onorano i santi come divinità, ed è per questo che vietano ai laici di leggere la sacra Scrittura, per paura che scoprano vari errori come questo" [9].

Esisteva già, come si vede, l'eresia antiliturgica del tutto formata. Non le mancavano che popolazioni disposte ad accoglierla. Per arrivare in Europa la setta passò per la Bulgaria ove gettò profonde radici: questo fu il motivo che diede in Occidente il nome di bulgari ai suoi adepti. Nel 1017, sotto il re Roberto, se ne scoprirono numerosi a Orléans, e poco dopo altri nella Linguadoca, poi in Italia, ove si facevano chiamare càtari, cioè puri, infine fino in fondo alla Germania. La loro parola infame era cresciuta dall'interno come il cancro [10], e la loro dottrina era sempre la stessa, fondata sulla credenza nei due princìpi e sull'odio per tutto l'aspetto esteriore del culto, rafforzato da tutte le abominazioni gnostiche. Del resto erano molto dissimulati, confusi nella Chiesa con gli ortodossi, pronti a ogni sorta di spergiuro piuttosto che farsi scoprire quando avessero deciso di non parlare. Erano già molto forti nel XII secolo nel sud della Francia, e non si può dubitare che Pietro di Bruys [11] ed Enrico [12], le cui dottrine avevano come avversari san Bernardo e Pietro il Venerabile, non fossero due dei capi principali. Nel 1160 li si vede passare in Inghilterra, dove furono chiamati poplicani o publicani. In Francia li si indica con il nome di albigesi a causa della loro potenza in una delle nostre province, e color che sono più profondamente iniziati ai disgustosi misteri della setta sono chiamati patarini. È noto con quanto zelo le popolazioni cattoliche del medioevo si scagliassero contro questi settari: la Chiesa ritenne di poter bandire contro di loro la crociata, e cominciò una guerra di sterminio, alla quale parteciparono direttamente o indirettamente tutti i grandi personaggi della Chiesa e dello Stato. La dottrina degli albigesi fu soffocata, almeno quanto al suo predominio esteriore. Essa rimase sordamente come seme di tutti gli errori che dovevano esplodere nel XVI secolo, e le dottrine del loro mostruoso misticismo si perpetuarono fino ai nostri giorni nell'eresia quietista, probabilmente nemico più pericoloso della vera dottrina liturgica dello stesso razionalismo puro.

Una nuova branca della setta, meno mistica e perciò più appropriata ai costumi dell'Occidente, spuntava a Lione sullo stesso tronco del manicheismo importato dall'Oriente nel momento stesso in cui il primo ramo era minacciato di una distruzione violenta. Nel 1160 a Lione il mercante Pietro Valdo [13] formava la setta dei fanatici turbolenti, conosciuti sotto il nome di poveri di Lione, ma soprattutto sotto quello di valdesi, dal nome del loro fondatore. Fu allora che si poté presagire l'alleanza dello spirito della setta con quella di cui Berengario era stato presso di noi il primo organo. Liberati ben presto dalle opinioni manichee, impopolari da noi, essi predicavano soprattutto la riforma della Chiesa, e per attuarla scalzavano audacemente tutto l'insieme del suo culto. Prima di tutto per loro non vi è più sacerdozio, ogni laico è sacerdote; il sacerdote in peccato mortale non può più consacrare; di conseguenza non vi è più eucaristia certa; i chierici non possono possedere i beni della terra; si devono avere in orrore le chiese, il sacro crisma, il culto della Vergine e dei santi, la preghiera per i morti. Bisogna sottoporre ogni cosa alla sacra Scrittura, ecc. I valdesi ritengono la morale della Chiesa scandalosa per il suo rilassamento, e ostentano un rigore di comportamento che contrasta con la dissolutezza degli albigesi.

Ma la Francia non era il solo teatro di questa reazione violenta contro la forma nell'ambito del cattolicesimo. Alla fine del XIV secolo sorgeva in Inghilterra Wyclif [14] e dava a intendere quasi tutte le bestemmie dei valdesi. Tuttavia, poiché ogni sistema di errore in religione, per avere qualche consistenza, ha bisogno di appoggiarsi da vicino o da lontano sul panteismo, non potendo da noi, come abbiamo osservato, il misticismo gnostico convenire alle masse, Wyclif pensò di sostenere le sue dottrine dissolventi su un sistema di fatalismo, la cui fonte era una volontà immutabile di Dio, nella quale si trovavano assorbite tutte le volontà delle creature.

All'incirca negli stessi tempi Jan Hus [15] dogmatizzava in Germania e preparava quella immensa rivolta che per secoli doveva separare intere nazioni dalla comunione romana. Anch'egli si fondava molto sulle conseguenze esagerate del dogma della predestinazione, e passando alla pratica umiliava il sacerdozio davanti al laicismo, predicava la lettura della sacra Scrittura a spese della Tradizione e ledeva l'autorità suprema in materia liturgica con le sue rivendicazioni per l'uso del calice nella comunione laica.

Venne infine Lutero, il quale non disse nulla che i suoi precursori non avessero detto prima di lui, ma pretese di liberare l'uomo nello stesso tempo dalla schiavitù del pensiero rispetto al potere docente, e dalla schiavitù del corpo rispetto al potere liturgico. Calvino e Zwingli lo seguirono portandosi dietro Socini, il cui naturalismo puro era la conseguenza immediata delle dottrine preparate da tanti secoli. Ma col Socini ogni errore liturgico si arresta: la liturgia, sempre più ridotta, non arriva fino a lui. Ora, per dare un'idea dei danni provocati dalla setta antiliturgica, ci è parso necessario riassumere la marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo da tre secoli a questa parte, e presentare l'insieme dei loro atti e della loro dottrina sulla epurazione del culto divino. Non vi è spettacolo più istruttivo e più idoneo a far comprendere le cause della così rapida propagazione del protestantesimo. Vi si potrà scorgere l'opera di una saggezza diabolica che agisce a colpo sicuro, e deve condurre senza meno a risultati di vasta portata.

1° Odio della Tradizione nelle formule del culto

Il primo carattere dell'eresia antiliturgica è l'odio della Tradizione nelle formule del culto divino. Non si può contestare la presenza di tale specifico carattere in tutti gli eretici, da Vigilanzio fino a Calvino, e il motivo è facile da spiegare. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova necessariamente in presenza della liturgia, che è la tradizione alla sua più alta potenza, e non potrà trovare riposo prima di aver messo a tacere questa voce, prima di aver strappato queste pagine che danno ricetto alla fede dei secoli trascorsi. Infatti, in che modo si sono stabiliti e mantenuti nelle masse il luteranesimo, il calvinismo, l'anglicanesimo? Per ottenere questo, non si è dovuto far altro che sostituire nuovi libri e nuove formule ai libri e alle formule antiche, e tutto è stato consumato. Nulla dava più impaccio ai nuovi dottori, essi potevano predicare del tutto a proprio agio: la fede dei popoli era ormai senza difesa. Lutero comprese questa dottrina con una sagacità degna dei nostri giansenisti, quando nel primo periodo delle sue innovazioni, all'epoca in cui si vedeva obbligato a conservare una parte delle forme esteriori del culto latino, stabilì per la messa riformata le regole seguenti:

"Noi approviamo e conserviamo gli introiti delle domeniche e delle feste di Gesù Cristo, vale a dire di Pasqua, di Pentecoste e di Natale. Preferiremmo nella loro interezza i salmi da cui tali introiti sono tratti, come si faceva in antico; ma intendiamo conformarci all'uso presente. Non biasimiamo coloro che vorranno conservare gli introiti degli apostoli, della Vergine e degli altri santi, quando siano tratti dai salmi e da altri passi della scrittura" [16]. Lutero aveva troppo orrore dei cantici sacri composti dalla Chiesa stessa per l'espressione pubblica della fede. Sentiva troppo in essi il vigore della Tradizione che voleva bandire. Riconoscendo alla Chiesa il diritto di unire la propria voce nelle sacre assemblee agli oracoli delle scritture, rischiava di dover ascoltare milioni di bocche anatematizzare i suoi nuovi dogmi. Dunque odio contro tutto ciò che, nella liturgia, non è tratto esclusivamente dalle sacre scritture.

2° Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della sacra Scrittura

Il secondo principio della setta antiliturgica è, infatti, quello di sostituire le formule di stile ecclesiastico con letture della sacra scrittura. Essa vi trova un duplice vantaggio: prima di tutto quello di far tacere la voce della Tradizione, della quale ha sempre timore; inoltre un mezzo per diffondere e sostenere i suoi dogmi per via di negazione o di affermazione. Per via di negazione passando sotto silenzio, per mezzo di un'abile scelta, i testi che esprimono la dottrina contraria agli errori che vogliono far prevalere; per via di affermazione mettendo in luce passaggi tronchi i quali, non mostrando che un aspetto della verità, nascondono gli altri agli occhi del volgo. Da vari secoli si sa bene che la preferenza data da tutti gli eretici alla sacre scritture rispetto alle definizioni ecclesiastiche non ha altro motivo che la facilità di far dire alla parola di Dio tutto quello che si vuole, mostrandola e nascondendola a seconda delle esigenze. Vedremo d'altronde ciò che hanno fatto in questo campo i giansenisti, obbligati dal loro sistema a conservare il legame esteriore con la Chiesa; quanto ai protestanti, essi hanno ridotto quasi del tutto la liturgia alla lettura della scrittura, accompagnata da discorsi nei quali la si interpreta con la ragione. La scelta e la determinazione dei libri liturgici hanno finito per cadere nel capriccio del riformatore, il quale, in ultima istanza, decide non soltanto il senso della parola di Dio, ma il fatto stesso di detta parola. Così Martin Lutero ritiene che nel suo sistema di panteismo siano dogmi da stabilire l'inutilità delle opere e la sufficienza della sola fede, e quindi dichiarerà che l'epistola di san Giacomo è una epistola di paglia, e non una epistola canonica, per il solo fatto che vi si insegna la necessità delle opere per la salvezza. In tutti i tempi e sotto tutte le forme sarà lo stesso: niente formule ecclesiastiche, la sola scrittura, ma interpretata, ma scelta, ma presentata da colui o da coloro che hanno interesse alla innovazione. La trappola è pericolosa per i semplici, e solo molto dopo ci si rende conto di essere stati ingannati, e che la parola di Dio, questa spada a doppio taglio, come dice l'apostolo, ha causato gravi ferite perché era maneggiata da figli di perdizione.

3° Introduzione di formule erronee

Il terzo principio degli eretici sulla riforma della liturgia, dopo aver eliminato le formule ecclesiastiche e proclamato l'assoluta necessità di non utilizzare che le parole della scrittura nel servizio divino, accorgendosi che la scrittura non si piega sempre, come essi vorrebbero, a tutti i loro voleri, il loro terzo principio è, noi diciamo, di fabbricare e introdurre delle formule diverse, piene di perfidia, mediante le quali i popoli siano ancor più solidamente incatenati nell'errore, e tutto l'edificio della riforma empia sia consolidato per secoli.

4° Abituale contraddizione con i princìpi

Non ci si deve meravigliare della contraddizione che l'eresia denota in tal modo nelle sue opere, se si tiene presente che il quarto principio o, se si vuole, la quarta necessità imposta ai settari dalla natura stessa del loro stato di rivolta, è una abituale contraddizione con i loro stessi princìpi. Così deve essere per la loro confusione nel gran giorno, che presto o tardi viene, in cui Iddio rivela la loro nudità alla vista dei popoli che essi hanno sedotto, e anche perché non riesce all'uomo di essere conseguente: la verità sola può esserlo. Così tutti i settari, senza eccezione, cominciano col rivendicare i diritti dell'antichità: vogliono liberare il cristianesimo da tutto ciò che l'errore e le passioni degli uomini vi hanno introdotto di falso e indegno di Dio. Non vogliono nulla che non sia primitivo, e pretendono di riprendere dai suoi albori l'istituzione cristiana. Per conseguire tale effetto essi sfrondano, fanno scomparire, sopprimono: tutto cade sotto i loro colpi, e quando si lavora a ripristinare nella sua originaria purezza il culto divino, si trova che si è inondati di formule nuove che non datano che dal giorno prima, che sono incontestabilmente umane, dato che chi le ha redatte vive ancora. Ogni setta subisce questa necessità: lo abbiamo visto per i monofisiti, per i nestoriani, ritroviamo la stessa cosa in tutte le branche dei protestanti. La loro affettazione di predicare l'antichità non è giunta se non a metterli in condizione di battere in breccia tutto il passato, e poi si sono messi di fronte ai popoli sedotti e hanno giurato loro che tutto andava bene, che le superfetazioni papiste erano scomparse, che il culto divino era ritornato alla sua santità originaria. Sottolineiamo ancora una caratteristica nell'ambito del cambiamento della liturgia da parte degli eretici. Ed è che nella loro furia di innovare essi non si accontentano di sfrondare le formule di stile ecclesiastico, da loro marchiate col nome di parola umana, ma estendono la loro riprovazione alle letture e alle preghiere che la Chiesa ha improntato alla scrittura. Cambiano, sostituiscono, non vogliono pregare con la Chiesa, così si scomunicano da sé stessi e temono fin la minima particella dell'ortodossia che ha presieduto alla scelta di quei passaggi.

5° Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono misteri

Dato che la riforma della liturgia è stata intrapresa dai settari con lo stesso scopo della riforma del dogma, di cui è la conseguenza, ne consegue che come i protestanti si sono separati dall'unità al fine di credere di meno, così sono stati indotti a togliere dal culto tutte le cerimonie, tutte le formule che esprimono misteri. Hanno accusato di superstizione, di idolatria tutto quello che non gli sembrava puramente razionale, restringendo così le espressioni della fede, ostruendo con il dubbio e addirittura con la negazione tutte le vie che aprono al mondo soprannaturale. In tal modo non più sacramenti, eccetto il battesimo, in attesa del soccinianesimo che ne libererà i suoi adepti; non più sacramentali, benedizioni, immagini, reliquie dei santi, processioni, pellegrinaggi, ecc. Non vi è più altare, ma semplicemente un tavolo, non più sacrificio, come vi è in ogni religione, ma semplicemente una cena; non più chiesa, ma solamente un tempio, come presso i greci e i romani; non più architettura religiosa, perché non ci sono più misteri; non più pittura e scultura cristiana, perché non vi è più religione sensibile; infine non più poesia, in un culto che non è fecondato né dall'amore né dalla fede.

6° Estinzione dello spirito di preghiera

La soppressione dei misteri nella liturgia protestante doveva produrre senza fallo l'estinzione totale di quello spirito di preghiera che nel cattolicesimo si chiama unzione. Un cuore in rivolta non ha più amore, e un cuore senza amore potrà tutt'al più produrre delle espressioni passabili di rispetto o di timore, con la freddezza superba del fariseo: tale è la liturgia protestante. Si sente che colui che la recita si compiace di non appartenere al numero di quei cristiani papisti i quali abbassano Iddio al loro livello con la familiarità del loro linguaggio volgare.

7° Esclusione dell'intercessione della Vergine e dei santi

Trattando nobilmente con Dio la liturgia protestante non ha bisogno di intermediari creati. Essa crede di mancare al rispetto dovuto all'Essere supremo invocando l'intercessione della Santa Vergine, la protezione dei santi. Esclude tutta l'idolatria papista che domanda alla creatura quello che dovrebbe domandare a Dio solo. Sbarazza il calendario da tutti i nomi di uomini che la Chiesa romana iscrive con tanta temerità a fianco del nome di Dio: ha soprattutto in orrore quelli dei monaci e di altri personaggi degli ultimi tempi, che vi vede figurare a fianco dei nomi riveriti degli apostoli scelti da Gesù Cristo, dai quali fu fondata la Chiesa primitiva, che sola fu pura nella fede, e libera da ogni superstizione nel culto e da ogni rilassamento nella morale.

8° L'uso del volgare nel servizio divino

Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come un vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.

9° Diminuire il numero delle preghiere

Togliendo dalla liturgia il mistero che umilia la ragione, il protestantesimo si guardava bene dal dimenticarne la conseguenza pratica, cioè la liberazione dalla fatica e dal disagio imposti al corpo dalle pratiche della liturgia papista. Innanzi tutto non più digiuno e astinenza, non più genuflessione nella preghiera, per il ministro del tempio non più offici giornalieri da compiere, neppure preghiere canoniche da recitare in nome della Chiesa. Questa è una delle forme principali della grande emancipazione protestante: diminuire il numero delle preghiere pubbliche e personali. L'evento ha dimostrato ben presto che la fede e la carità, che si alimentano della preghiera, si sarebbero estinte nella riforma, mentre esse non cessano di alimentare presso i cattolici, tutti gli atti di devozione a Dio e agli uomini, fecondate come sono dalle ineffabili risorse della preghiera liturgica compiuta dal clero secolare e regolare, cui si unisce la comunità dei fedeli.

10° Odio verso Roma e le sue leggi

Come era necessaria al protestantesimo una regola per discernere tra le istituzioni papiste quelle che potevano essere più ostili al suo principio, esso ha dovuto scavare nelle fondamenta dell'edificio cattolico, e trovare la pietra fondamentale che lo sostiene tutto. Il suo istinto gli ha fatto scoprire innanzi tutto il dogma inconciliabile con ogni innovazione: la potestà papale. Quando Lutero scrisse sulla sua bandiera: odio verso Roma e le sue leggi, non faceva che proclamare ancora una volta il grande principio di tutte le branche della setta antiliturgica. Quindi ha dovuto abrogare in massa il culto e le cerimonie, come l'idolatria di Roma; la lingua latina, l'ufficio divino, il calendario, il breviario, tutte abominazioni della grande meretrice di Babilonia. Il romano pontefice pesa sulla ragione con i suoi dogmi, pesa sui sensi con le sue pratiche rituali: bisogna dunque proclamare che i suoi dogmi non sono che bestemmia ed errore, e le sue osservanze liturgiche soltanto un mezzo per fondare più fortemente un dominio usurpato e tirannico. È per questo motivo che, nelle sue litanie emancipate, la chiesa luterana continua a cantare ingenuamente: "Dal furore omicida, dalla calunnia, dalla rabbia e dalla ferocia del turco e del papa, liberaci o Signore" [17]. È questo il luogo per richiamare le ammirabili considerazioni di Joseph de Maistre, nel suo libro Du Pape, ove mostra con tanta sagacia e profondità, che nonostante le dissonanze che dovrebbero separare le une dalle altre le diverse sette separate, vi è una qualità nella quale si uniscono tutte, che è la "non romanità". Immaginate una qualunque innovazione, sia in materia di dogma sia in materia di disciplina, e vedete se è possibile realizzarla senza incorrere, volenti o nolenti, nella nota di "non romano", o se volete in quella di "meno romano", se si manca di audacia. Resta da sapere quale pace potrà trovare un cattolico nella prima, o anche nella seconda di queste situazioni.

11° Distruzione del sacerdozio

L'eresia antiliturgica, per stabilire per sempre il suo regno, aveva bisogno di distruggere in fatto e in diritto il sacerdozio nel cristianesimo, perché sentiva che dove vi è un pontefice vi è un altare, e dove vi è un altare vi è un sacrificio, e quindi un cerimoniale mistico. Dunque dopo aver abolito la qualità di sommo pontefice, bisognava annientare il carattere del vescovo dal quale emana la mistica imposizione delle mani che perpetua la sacra gerarchia. Di qui un lato presbiterianesimo, che non è che la conseguenza immediata della soppressione del sommo pontificato. Da allora non vi sono più sacerdoti propriamente detti: come farà la semplice elezione, senza consacrazione, a rendere un uomo consacrato? La riforma di Lutero e di Calvino non conosce dunque che ministri di Dio, o degli uomini, come si vedrà. Ma è impossibile fermarsi qui. Scelto, istallato da laici, portando nel tempio la toga di una magistratura bastarda, il ministro non è che un laico investito di funzioni accidentali. Dunque nel protestantesimo non vi sono più altro che laici. E doveva essere così, perché non vi è più liturgia, come non vi è più liturgia perché non vi sono più altro che laici.

12° Il principe capo della religione

Infine, ed è l'ultimo grado dell'abbrutimento, non esistendo più il sacerdozio, dato che la gerarchia è morta, il principe, la sola autorità possibile tra i laici, si proclamerà capo della religione, e si vedranno i più fieri riformatori, dopo essersi scosso il giogo spirituale di Roma, riconoscere il sovrano temporale come sommo pontefice, e collocare il potere sulla liturgia tra le attribuzioni del diritto maiestatico. Non ci saranno dunque più dogma, né morale, né sacramenti, né culto, né cristianesimo se non in quanto piacerà al principe, perché a lui è devoluto il potere assoluto sulla liturgia, da cui tutte queste cose hanno la loro espressione e la loro applicazione nella comunità dei fedeli. Ecco dunque l'assioma fondamentale della Riforma, e nella prassi e negli scritti dei dottori protestanti. Quest'ultimo tratto completerà il quadro, e metterà il lettore in grado di giudicare la natura della pretesa liberazione, operata con tanta violenza nei confronti del papato per dare luogo in seguito, ma necessariamente, a una dominazione distruttiva della natura stessa del cristianesimo. È vero che ai suoi inizi la setta antiliturgica non aveva l'abitudine di blandire in questo modo i potenti: albigesi, valdesi, viclefiti, hussiti, tutti insegnavano che bisogna resistere e addirittura opporsi ai principi e ai magistrati che si trovano in stato di peccato, pretendendo che un principe sarebbe decaduto dal suo diritto dal momento in cui non fosse più in grazia di Dio. La ragione di ciò è che questi settari, temendo la giustizia dei principi cattolici, vescovi esterni, avevano tutto da guadagnare minando la loro autorità. Ma dal momento che i sovrani, associati alla rivolta contro la Chiesa, volevano fare della religione un affare nazionale, un mezzo di governo, la liturgia, ridotta al pari del dogma, nei confini di un paese, era naturalmente di competenza della più alta autorità di quel paese, e i riformatori non potevano fare a meno di provare una viva riconoscenza verso coloro che in tal modo prestavano il soccorso di un braccio potente per stabilire e mantenere le loro teorie. È ben vero che vi è tutta una apostasia in questa preferenza data al temporale sullo spirituale in materia di religione: ma qui si tratta del bisogno stesso della conservazione. Non bisogna soltanto essere conseguenti, bisogna vivere. È per questo che Lutero, che si era separato fragorosamente dal pontefice romano in quanto fautore di tutte le abominazioni di Babilonia, non si vergognò di dichiarare teologicamente la legittimità del doppio matrimonio per il langravio di Hesse, ed è per questo che l'abbé Gregoire trovò nei suoi princìpi il mezzo di associarsi al voto di morte contro Luigi XVI e in pari tempo di farsi il campione di Luigi XIV e Giuseppe II contro i romani pontefici.

Queste le principali massime della setta antiliturgica. Noi non abbiamo nulla esagerato: non abbiamo fatto che riportare la dottrina cento volte professata negli scritti di Lutero, di Calvino, dei Centuriatori di Magdeburgo, di Hospinian [18], di Kemnitz, ecc. I loro libri si possono consultare facilmente, o meglio l'opera che ne è uscita è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo creduto utile porne in luce gli aspetti più importanti. Si ricava sempre una utilità dalla conoscenza dell'errore: l'insegnamento diretto talvolta è meno vantaggioso e meno facile. Spetta ora al logico cattolico trarne il contraddittorio.

NOTE:

[1] Eusèbe Renaudot, orientalista e liturgista (Parigi 1648-ivi 1720). È autore tra l'altro della Liturgiarum orientalium collectio, 2 voll. (1715-1716), ristampata a Francoforte nel 1847, opera ancor oggi indispensabile, che contiene la messa di tutti i riti orientali, eccetto i greci e gli armeni, con note e studi eruditi [NdT].

[2] Giuseppe Simone o Simonio Assemàni (arabo as-Sim'ani), orientalista cattolico (Tripoli, Libano 1687-Roma 1768). Fu canonico vaticano, prefetto della Biblioteca vaticana e nel 1766 arcivescovo titolare di Tiro. È autore tra l'altro della Bibliotheca orientalis, opera prevista in 12 volumi, ma dei quali uscirono solo i primi quattro (Roma 1719-1728), che fu universalmente riconosciuta come basilare per la letteratura siriaca [NdT].

[3] Cirillo Lukaris, patriarca di Costantinopoli (Candia 1572-Costantinopoli 1638) Tentò di introdurre nella chiesa greca le dottrine del calvinismo, che aveva fatto proprie nella sua Confessione di fede in diciotto articoli, apparsa in latino a Ginevra nel 1629 [NdT].

[4] Marco Eugenico, arcivescovo d'Efeso, polemista scismatico bizantino (Costantinopoli 1391 o 1392-ivi 1444). Partecipò al Concilio dell'Unione degli "ortodossi" con la Chiesa cattolica (1439), ove si oppose tenacemente all'unione stessa soprattutto mediante la disputa teologica. Per questa battaglia compose una serie di scritti polemici per cui è rimasto famoso [NdT].

[5] Vigilanzio, prete gallo (Calagurris presso i Pirenei ?-dopo il 406). Fu denunziato a san Girolamo nell'anno 404 dal sacerdote Ripario come nuovo eretico di Aquitania, che in uno scritto aveva attaccato il culto dei santi e delle reliquie. Due anni più tardi Girolamo, dopo averne ricevuto le opere, compose per confutarlo il Contra Vigilantium presbyterum Gallum [N.d.T.].

[6] Berengario di Tours, eretico (Tours primi anni dell'XI secolo-ivi 1088). Studiò alla scuola di Chartres, probabilmente fu cancelliere della stessa scuola e certamente arcidiacono di Tours. Verso il 1047 cominciò a diffondere le sue opinioni sull'eucaristia. Intese dapprima negarvi la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo ma da questo sembra passato anche a negare la presenza reale. Il pane e il vino eucaristici sarebbero soltanto un simbolo che nutre le anime con il ricordo della incarnazione e della passione del Figlio di Dio. B. fu scomunicato a Roma nel 1050, la condanna fu reiterata a Vercelli nello stesso anno e a Parigi l'anno successivo. Si fece assolvere da un concilio a Tours (1054), il quale si contentò tuttavia di una professione di fede molto generica. Al Concilio Laterano del 1059 fu costretto a ritrattare le sue opinioni, ma ritornato in Francia riprese a insegnarle. Richiamato a Roma, finì per accettare una formula ortodossa davanti al Sinodo Lateranense del 1079. In seguito si ritirò presso Tours e visse in pace con la Chiesa, pur restando intimamente legato alle sue opinioni [NdT].

[7] Bossuet, Histoire des variations des Églises protestantes lib. XI § 17, Paris, 1688.

[8] Ivi, lib. XI § 14.

[9] Ibidem.

[10] 2Tm 2,17.

[11] Pietro di Bruys, eresiarca (Bruis, Hautes-Alpes, o Broues, Drôme primi del XII secolo-St. Gilles presso la foce del Rodano dal 1132 al 1140). Sacerdote, venne privato dell'ufficio parrocchiale. Si fece allora sobillatore del popolo contro i sacerdoti da lui considerati impostori: tra il 1112 e il 1120 aveva iniziato la sua propaganda ereticale nel Delfinato, per passare poi in Guascogna, a Narbona, Tolosa e Arles. Nel giorno di venerdì santo a St.-Gilles fu finito tra le fiamme dal popolo indignato [NdT].

[12] Enrico di Losanna, eretico (ultimi decenni dell'XI secolo-dopo il 1145). È variamente denominato; a Losanna aveva dimorato prima di comparire notoriamente in Francia. Con una seducente eloquenza popolare si presentava alle folle come profeta di Dio, scagliandosi contro la vita mondana e i vizi del clero. Ma la sua equivoca predicazione di austerità era venata di princìpi eterodossi. Convinto di eresia al Concilio di Pisa (1135) abiurò i suoi errori, continuò tuttavia la sua propaganda antiecclesiastica nel sud della Francia, collegando la sua azione con quella di Pietro di Bruys (vedi nota precedente), di cui fu considerato erede e continuatore Arrestato dal vescovo di Tolosa finì la sua vita in carcere [NdT].

[13] Pietro Valdo. Il nome Valdo, in volgare francese Valdès, derivò probabilmente da un villaggio del Delfinato, Vaux-Milieu, dal quale proveniva il ricco mercante di Lione, solo più tardi, dal 1368, conosciuto con il nome di Pietro: Petrus Valdo o de Valdo. I primi dati su di lui risalgono agli anni tra il 1170 e il 1176; in seguito a una forte emozione, causata probabilmente dal racconto della leggenda di sant'Alessio e dalle devastazioni della carestia del 1173, V. decise di distribuire tutti i suoi beni ai poveri, e di farsi "povero per amor di Dio". Subito si creò intorno a lui un nucleo di discepoli, detti "poveri di Lione", i quali ben presto caddero nello scisma e nell'eresia. Nel XVI secolo i valdesi aderiranno al protestantesimo [NdT].

[14] John Wyclif, eresiarca inglese (castello di Wycliffe-on-Tees, Yorkshire 1324 o 1328-Lutterworth 1384). Studiò a Oxford, nel 1353 divene maestro nel Collegio di Balliol. Fu ordinato sacerdote, si laureò in teologia nel 1372. Fin dal 1370 aveva iniziato a insegnare, commentando le sentenze di Pietro Lombardo. Si mise a capo di un movimento antipapale in Inghilterra, atteggiandosi a riformatore religioso. Scrisse varie opere di teologia. Le sue dottrine, condensate in 45 proposizioni, furono condannate dal Concilio di Costanza (4 maggio 1415) [NdT].

[15] Jan Hus, agitatore religioso (Husinec, Boemia meridionale 1370 ca.-Costanza 1415). Predicatore e professore di teologia all'università di Praga. Fece proprie gran parte delle dottrine dell'eresiarca inglese Wyclif (vedi nota precedente), e diede origine al movimento detto hussitismo. Chiamato davanti al Concilio di Costanza a difendere le proprie tesi, fu accusato di eresia: non avendo voluto ritrattare fu condannato al rogo e giustiziato il 6 luglio 1415. I suoi errori condannati dal concilio riguardano soprattutto l'ecclesiologia [NdT].

[16] Lebrun, Explications de la messe, 4, 13.

[17] Lutherisches Gesangbuch, Leipzig, 667.

[18] Rudolf Hospinian (Wirth), storico della Chiesa protestante (Altdorf, presso Zurigo, 1547-Zurigo, 1626). Figlio del parroco e decano Adrian Wirth. Le sue opere si rivolgono soprattutto contro la dottrina cattolica dei sacramenti [NdT].

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Caro Poliedrico,
non ti suggerisce nulla questo saggio del celebre Dom Prosper-Louis-Pascal Guéranger, abate di Solesmes? Non noti certe pericolose vicinanze da cui sarebbe bene affrancarsi?
Cordialmente ed auguri di Buona Pasqua

Augustinus

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Paques-2004/Vendredi-Saint/images/P4096571.jpg

Aj Maxam
18-04-04, 22:47
Auguri di Buona Pasqua!

Gentili Forumisti ho deciso di inviarvi questo msg dopo aver letto l’articolo del Rev. Dom Prosper Gueranger.Questo non tanto per inserirmi nella discussione di questo thread (non potrei essendo ortodosso) ma per dettagliarVi sulla biografia del Patriarca Cirillo Lukaris, una figura tragica e misconosciuta nell’Occidente Latino e/o Riformato e nota solo per il breve rimando al suo presunto calvinismo……
Periodo Storico:mentre in occidente divampava la sanguinosa “riforma” luterana, l’oriente cristiano lottava per la sopravvivenza. I romei (=greci) con i Melkiti (=arabi Cristiani Calcedonesi) ed i popoli balcanici soffrivano sotto il giogo ottomano (ovviamente con i millet dei siri, copti, armeni ed assyri) con tutto il suo sanguinoso corollario di sofferenze (es. il devshirme) non si costruivano chiese, non si suonavano le campane, non si poteva mettere una croce su di un edificio, l'istruzione superiore era pressochè impossibile. L’unica nazione ortodossa libera, cioè la Russia era anch’essa impegnata a lottare contro i mussulmani.
Ambedue i protagonisti occidentali della disputa sulla riforma desideravano trovare nell’Oriente un appoggio alle loro affermazioni in questo già preceduti nel secolo XV dagli Hussiti, che avevano inviato diversi emissari a Costantinopoli, contatti che terminarono con la caduta della Città imperiale per mano dei turchi ottomani.
Cirillo Lukaris: In questo contesto nacque Cirillo Lukaris (1572-1638) che dopo gli studi effettuati a Padova (1) conobbe Melezio Piga (1592-1602) Papa e Patriarca di Alessandria (Egitto) (2) che nel 1593 lo ordinò sacerdote. Il papa Melezio incoraggiò Cirillo a recarsi in Lituania dove era iniziata un feroce campagna contro gli ortodossi. In quel paese Lukaris trascorse alcuni anni ad insegnare teologia prima a Vilna e poi a Lvov e fu presente con l’amico Nikiforo Patasco al famoso concilio di Brest-Litovsk (1596) dove la maggioranza dei vescovi ortodossi (quelli non incarcerati dal re polacco) optarono per l’unia con Roma rifiutata invece dal clero parrocchiale e dai laici. La successiva persecuzione dei polacchi costò la vita all’amico Nikiforo mentre Cirillo sfuggì all’arresto e riuscì a riparare in Egitto.
Le amare esperienze provate in Polonia e Lituania convinsero il Lukaris (nel frattempo eletto al soglio di Alessandria) che gli Ortodossi avevano bisogno dei Protestanti per contrastare l’aggressività dei Latini; pertanto inviò in occidente uno dei suoi migliori sacerdoti Mitrofane Kritopuolos (1599-1639) (3) che passò sei anni in Inghilterra, sei anni in Germania e Svizzera e due anni a Venezia. La sua missione era di fornire al patriarca un quadro completo della situazione religiosa in occidente fornendo altresì tutte le informazioni necessarie a permettergli di iniziare la sua lotta in difesa della S.Ortodossia.
La battaglia iniziò a Costantinopoli dove il Lukaris riuscì a farsi trasferire (1620) divenendo così il personaggio centrale di una contesa altamente drammatica rivelante il mix di interessi religiosi, politici e commerciali che operava nella Costantinopoli del secolo XVII e alla quale presero parte Roma, Ginevra, la Francia, l’Austria, l’Olanda, l’Inghilterra ed ovviamente il Sultano Turco con protagonisti i rispettivi ambasciatori.
Sin dal 1535 la Francia era stata riconosciuta dai turchi quale protettrice dei cristiani nel loro impero e l’elezione di Cirillo, loro avversario, costituì una sfida al prestigio francese pertanto il loro ambasciatore, conte di Cezy, con l’aiuto del suo collega austriaco riuscì con l’arma della corruzione a far destituire Cirillo dalla sua carica. I diplomatici protestanti a loro volta presero le difese di Cirillo e lo aiutarono e riottenere il suo posto.
Questo giocò si ripetè più volte e convinse il patriarca ad escogitare un piano per stabilire un unione tra ortodossi e protestanti. La maggior parte degli studiosi ammette che è impossibile accertare se egli cercasse un accordo dottrinale oppure una semplice cooperazione pratica. Cirillo cercava di non dare troppa pubblicità ai suoi contatti ma Antoine Leger, cappellano della Legazione Olandese, pubblicò in latino a Ginevra una “confessione di fede” di Cirillo (1629). Questa confessione di fede conteneva effettivamente molte affermazioni calviniste subito confutate da altri prelati Ortodossi. La maggioranza del clero e del popolo rimasero però fedeli al loro Patriarca che venne scacciato e poi reinsediato a furor di popolo per la quarta volta.
Ma ormai i suoi nemici erano decisi a chiudere la partita in maniera radicale. Una prima congiura fallì, ma nel 1638 egli venne definitivamente sconfitto e gettato in prigione. Mentre i fedeli cristiani cercavano di ottenere la salvezza del loro patriarca i diplomatici francesi approfittarono dell’assenza del sultano per corrompere i carcerieri che strangolarono il Patriarca (27.06.1638) e ne gettarono il corpo in mare.
Il suo corpo venne trovato da un pescatore ed ora giace nella cattedrale patriarcale di Costantinopoli.

Forse il tutto è lungo da leggere però ritengo aiuti a capire meglio un periodo tragico per la cristianità.

Christos Anesti, Alithos Anesti , Cristo è Risorto! In verità è veramente Risorto!

Anaghnosti


Note:
1) I greci potevano accedere agli studi universitari in Occidente a patto di apostatare la loro Fede. Generalmente una volta rientrati nei loro paesi riprendevano a militare per la chiesa ortodossa.
2) Al vescovo della Città di Alessandria, successore di S.Marco, compete il titolo di “Papa e Patriarca di Alessandria e di tutta la terra d’Egitto”. Inoltre porta una mitra molto simile a quella dei papi di Roma dei primi secoli (non molto alta con una sola corona) e la doppia stola nella sua qualità di secondo giudice d’appello dell'Ecumene.
3) Terminò la sua vita come Papa e Patriarca di Alessandria 1636 – 1639.

Augustinus
19-04-04, 07:34
Originally posted by anaghnosti
Auguri di Buona Pasqua!

Gentili Forumisti ho deciso di inviarvi questo msg dopo aver letto l’articolo del Rev. Dom Prosper Gueranger.Questo non tanto per inserirmi nella discussione di questo thread (non potrei essendo ortodosso) ma per dettagliarVi sulla biografia del Patriarca Cirillo Lukaris, una figura tragica e misconosciuta nell’Occidente Latino e/o Riformato e nota solo per il breve rimando al suo presunto calvinismo……
Periodo Storico:mentre in occidente divampava la sanguinosa “riforma” luterana, l’oriente cristiano lottava per la sopravvivenza. I romei (=greci) con i Melkiti (=arabi Cristiani Calcedonesi) ed i popoli balcanici soffrivano sotto il giogo ottomano (ovviamente con i millet dei siri, copti, armeni ed assyri) con tutto il suo sanguinoso corollario di sofferenze (es. il devshirme) non si costruivano chiese, non si suonavano le campane, non si poteva mettere una croce su di un edificio, l'istruzione superiore era pressochè impossibile. L’unica nazione ortodossa libera, cioè la Russia era anch’essa impegnata a lottare contro i mussulmani.
Ambedue i protagonisti occidentali della disputa sulla riforma desideravano trovare nell’Oriente un appoggio alle loro affermazioni in questo già preceduti nel secolo XV dagli Hussiti, che avevano inviato diversi emissari a Costantinopoli, contatti che terminarono con la caduta della Città imperiale per mano dei turchi ottomani.
Cirillo Lukaris: In questo contesto nacque Cirillo Lukaris (1572-1638) che dopo gli studi effettuati a Padova (1) conobbe Melezio Piga (1592-1602) Papa e Patriarca di Alessandria (Egitto) (2) che nel 1593 lo ordinò sacerdote. Il papa Melezio incoraggiò Cirillo a recarsi in Lituania dove era iniziata un feroce campagna contro gli ortodossi. In quel paese Lukaris trascorse alcuni anni ad insegnare teologia prima a Vilna e poi a Lvov e fu presente con l’amico Nikiforo Patasco al famoso concilio di Brest-Litovsk (1596) dove la maggioranza dei vescovi ortodossi (quelli non incarcerati dal re polacco) optarono per l’unia con Roma rifiutata invece dal clero parrocchiale e dai laici. La successiva persecuzione dei polacchi costò la vita all’amico Nikiforo mentre Cirillo sfuggì all’arresto e riuscì a riparare in Egitto.
Le amare esperienze provate in Polonia e Lituania convinsero il Lukaris (nel frattempo eletto al soglio di Alessandria) che gli Ortodossi avevano bisogno dei Protestanti per contrastare l’aggressività dei Latini; pertanto inviò in occidente uno dei suoi migliori sacerdoti Mitrofane Kritopuolos (1599-1639) (3) che passò sei anni in Inghilterra, sei anni in Germania e Svizzera e due anni a Venezia. La sua missione era di fornire al patriarca un quadro completo della situazione religiosa in occidente fornendo altresì tutte le informazioni necessarie a permettergli di iniziare la sua lotta in difesa della S.Ortodossia.
La battaglia iniziò a Costantinopoli dove il Lukaris riuscì a farsi trasferire (1620) divenendo così il personaggio centrale di una contesa altamente drammatica rivelante il mix di interessi religiosi, politici e commerciali che operava nella Costantinopoli del secolo XVII e alla quale presero parte Roma, Ginevra, la Francia, l’Austria, l’Olanda, l’Inghilterra ed ovviamente il Sultano Turco con protagonisti i rispettivi ambasciatori.
Sin dal 1535 la Francia era stata riconosciuta dai turchi quale protettrice dei cristiani nel loro impero e l’elezione di Cirillo, loro avversario, costituì una sfida al prestigio francese pertanto il loro ambasciatore, conte di Cezy, con l’aiuto del suo collega austriaco riuscì con l’arma della corruzione a far destituire Cirillo dalla sua carica. I diplomatici protestanti a loro volta presero le difese di Cirillo e lo aiutarono e riottenere il suo posto.
Questo giocò si ripetè più volte e convinse il patriarca ad escogitare un piano per stabilire un unione tra ortodossi e protestanti. La maggior parte degli studiosi ammette che è impossibile accertare se egli cercasse un accordo dottrinale oppure una semplice cooperazione pratica. Cirillo cercava di non dare troppa pubblicità ai suoi contatti ma Antoine Leger, cappellano della Legazione Olandese, pubblicò in latino a Ginevra una “confessione di fede” di Cirillo (1629). Questa confessione di fede conteneva effettivamente molte affermazioni calviniste subito confutate da altri prelati Ortodossi. La maggioranza del clero e del popolo rimasero però fedeli al loro Patriarca che venne scacciato e poi reinsediato a furor di popolo per la quarta volta.
Ma ormai i suoi nemici erano decisi a chiudere la partita in maniera radicale. Una prima congiura fallì, ma nel 1638 egli venne definitivamente sconfitto e gettato in prigione. Mentre i fedeli cristiani cercavano di ottenere la salvezza del loro patriarca i diplomatici francesi approfittarono dell’assenza del sultano per corrompere i carcerieri che strangolarono il Patriarca (27.06.1638) e ne gettarono il corpo in mare.
Il suo corpo venne trovato da un pescatore ed ora giace nella cattedrale patriarcale di Costantinopoli.

Forse il tutto è lungo da leggere però ritengo aiuti a capire meglio un periodo tragico per la cristianità.

Christos Anesti, Alithos Anesti , Cristo è Risorto! In verità è veramente Risorto!

Anaghnosti


Note:
1) I greci potevano accedere agli studi universitari in Occidente a patto di apostatare la loro Fede. Generalmente una volta rientrati nei loro paesi riprendevano a militare per la chiesa ortodossa.
2) Al vescovo della Città di Alessandria, successore di S.Marco, compete il titolo di “Papa e Patriarca di Alessandria e di tutta la terra d’Egitto”. Inoltre porta una mitra molto simile a quella dei papi di Roma dei primi secoli (non molto alta con una sola corona) e la doppia stola nella sua qualità di secondo giudice d’appello dell'Ecumene.
3) Terminò la sua vita come Papa e Patriarca di Alessandria 1636 – 1639.

Ti ringrazio Anaghnosti del tuo intervento. Con la speranza che possa postare ancora sul nostro forum :) :) :)

Augustinus

cm814
22-04-04, 20:15
vedremo di che cosa si tratta: dopo l'articolo di Civiltà cattolica di qualche mese fa sulla liturgia, sembrava che il documento non dovesse uscire più. Ora, invece, questa novità. Che va a denunciare, o dovrebbe, gli abusi liturgici in fatto di Eucarestia. Ed essendo Questa il fulcro della Messa, chi sa che il minimalista titolo non nasconda qualcosa di più: vedremo!
:) :) :)




AVVISO DI CONFERENZA STAMPA
Si informano i giornalisti accreditati che venerdì 23 aprile 2004, alle ore
11.30, nell'Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, avrà
luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell'Istruzione della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:
"Redemptionis Sacramentum, su alcune cose che si devono osservare ed evitare
circa la Santissima Eucarestia".



Interverranno:

Em.mo Card. Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti;

S.E. Mons. Angelo Amato, Segretario della Congregazione per la Dottrina
della Fede;

S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Segretario della Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Sarà presente:

Em.mo Card. Julián Herranz, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi
Legislativi.



(Il Documento è da considerarsi sotto embargo fino alle ore 12 di venerdì 23
aprile 2004.
Il testo in lingua italiana sarà a disposizione dei giornalisti accreditati
a partire dalle ore 9.00 di venerdì 23 aprile).

Augustinus
23-04-04, 13:59
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ISTRUZIONE DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI: "REDEMPTIONIS SACRAMENTUM, SU ALCUNE COSE CHE SI DEVONO OSSERVARE ED EVITARE CIRCA LA SANTISSIMA EUCARISTIA"

Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si svolge la Conferenza Stampa di presentazione dell’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: "Redemptionis Sacramentum, su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia".

Partecipano: l’Em.mo Card. Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, S.E. Mons. Angelo Amato, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. E’ presente alla Conferenza Stampa il Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Em.mo Card. Julián Herranz.

Pubblichiamo di seguito gli interventi dell’Em.mo Card Francis Arinze, di S.E. Mons. Angelo Amato e di S.E. Mons. Domenico Sorrentino:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. FRANCIS ARINZE

1. Origine di questa Istruzione

È utile ricordare l’origine di questa Istruzione. Il 17 aprile 2003, Giovedì Santo, nel corso della celebrazione solenne dell’Ultima Cena nella Basilica di San Pietro, il Santo Padre firmò e diede alla Chiesa la sua quattordicesima lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia.

In questo bel documento, il Papa Giovanni Paolo II dichiara, tra l’altro, che la Santa Eucaristia "si pone al centro della vita ecclesiale" (n°3), "essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato" (n° 8). "Essa è quanto di più prezioso la Chiesa possa avere nel suo cammino nella storia" (n° 9).

Fa notare, allo stesso tempo, che dopo il Concilio Vaticano II, degli elementi positivi e negativi si sono sviluppati nella celebrazione del culto (n° 10) e che gli abusi sono stati un motivo di sofferenza per molti. Considera dunque suo dovere lanciare un "caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà" (n° 52). Aggiunge: "Proprio per rafforzare questo senso profondo delle norme liturgiche, ho chiesto ai Dicasteri competenti della Curia Romana di preparare un documento più specifico, con richiami anche di carattere giuridico, su questo tema di grande importanza. A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non rispetterebbe il suo carattere sacro e la dimensione universale" (n° 52).

Ecco dunque l’origine di questa Istruzione che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti offre adesso alla Chiesa latina, in stretta collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede.

2. Senso delle norme liturgiche

Ci si potrebbe porre la domanda sul senso delle norme liturgiche. La creatività, la spontaneità, la libertà dei figli di Dio, un buon senso ordinario non è sufficiente? Perché il culto di Dio dovrebbe essere regolamentato per mezzo di rubriche e norme? Non basta insegnare semplicemente al popolo la bellezza e la natura elevata della liturgia?

Le norme liturgiche sono necessarie perché "il culto pubblico integrale viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra. Di conseguenza, ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza" (Sacrosanctum Concilium, n° 7). L’apice della liturgia è la celebrazione eucaristica. Nessuno dovrebbe stupirsi se, nel corso dei tempi, la santa Chiesa la nostra Madre ha sviluppato delle parole, delle azioni, e dunque delle direttive, rispetto a questo atto supremo del culto. Le norme eucaristiche sono state elaborate per esprimere e tutelare il mistero eucaristico e, di più, per manifestare che è la Chiesa che celebra questo augusto sacrificio e questo sacramento. Come dice Giovanni Paolo II, le norme liturgiche "sono un’espressione concreta dell’autentica ecclesialità dell’Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri" (Ecclesia de Eucharistia, 52).

Segue che "il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a questa si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa" (ibid.).

È evidente che una conformità esterna non basta. La partecipazione all’eucaristia esige la fede, la speranza e la carità, che si manifestano anche mediante degli atti di solidarietà con quelli che sono nel bisogno. Questa dimensione è sottolineata all’articolo 5 dell’Istruzione: Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l’essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa, perché sia, con Lui, «un solo corpo e un solo spirito». L’atto esterno deve essere, pertanto, illuminato dalla fede e dalla carità che ci uniscono a Cristo e gli uni agli altri, e generano l’ "amore per i poveri e gli afflitti"

3. È importante prestare attenzione agli abusi?

Legata a quanto precede c’è una tentazione alla quale si deve resistere: cioè, quella di pensare che sia una perdita di tempo prestare attenzione agli abusi liturgici. Si è scritto che gli abusi sono sempre esistiti e che esisteranno sempre; dunque, dovremmo piuttosto preoccuparci di formazione e di celebrazioni liturgiche positive.

Questa obiezione, parzialmente vera, può indurci in errore. Gli abusi a proposito della Santa Eucaristia non hanno tutti lo stesso peso. Alcuni minacciano di rendere il sacramento invalido. Altri manifestano una mancanza di fede eucaristica. Altri contribuiscono ancora a seminare confusione tra il popolo di Dio e tendono a dissacrare le celebrazioni eucaristiche. Gli abusi non sono da prendersi alla leggera.

Certamente, tutti i membri della Chiesa hanno bisogno di una formazione liturgica. Secondo il Concilio Vaticano II è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero (Sacrosanctum Concilium 14). Ma è anche vero che ci sono "nell’uno o nell’altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento (Ecclesia de Eucharistia 10). "Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà" (Istruzione 7). "Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento" (Istruzione, 11), sperato dal Concilio Vaticano II. "Tali abusi non hanno nulla a che vedere con l’autentico spirito del Concilio e vanno corretti dai Pastori con un atteggiamento di prudente fermezza" (Giovanni Paolo II, 40° anniversario della Costituzione conciliare sulla Liturgia - Lettera apostolica Spiritus et sponsa 15).

Come dice l’Istruzione: "A quelli che modificano i testi liturgici di propria autorità, è importante far notare che la sacra Liturgia, infatti, è intimamente collegata con i principi della dottrina, e l’uso di testi e riti non approvati comporta, di conseguenza, che si affievolisca o si perda il nesso necessario tra la lex orandi e la lex credendi" (Istruzione, 10).

4. Sguardo generale sull’Istruzione.

L’Istruzione comporta un’introduzione, otto capitoli ed una conclusione.

Il primo capitolo sulla regolamentazione della sacra Liturgia parla del ruolo della Sede apostolica, del Vescovo diocesano, della Conferenza episcopale, dei sacerdoti e dei diaconi. Attiro l’attenzione sul ruolo del Vescovo diocesano. È il grande sacerdote del suo gregge. Dirige, incoraggia, promuove ed organizza. Vigila sulla musica e l’arte sacra. Stabilisce le commissioni necessarie per la liturgia, la musica e l’arte sacra (cf. Istruzione, 22, 25). Cerca dei rimedi agli abusi: in questo caso, è a lui o ai suoi collaboratori che bisognerebbe ricorrere in prima istanza, piuttosto che alla Sede Apostolica. (cf. Istruzione 176-182, 184).

I sacerdoti, come i diaconi, hanno promesso solennemente di esercitare il loro ministero con fedeltà. Si aspetta dunque che la loro vita sia in accordo con le loro sacre responsabilità.

Il secondo capitolo mette a fuoco la partecipazione dei fedeli laici alla celebrazione dell’Eucaristia. Il Battesimo è il fondamento del loro sacerdozio comune (cf. Istruzione 36, 37). Il sacerdote ordinato è sempre indispensabile ad una comunità cristiana ed i ruoli dei sacerdoti e dei fedeli laici non dovrebbero essere confusi (cf. Istruzione, 42, 45). I laici hanno il loro ruolo specifico. Secondo l’Istruzione, ciò non vuol dire che tutti debbano fare qualche cosa ad ogni momento. Si tratta piuttosto di lasciarsi coinvolgere pienamente in questo grande privilegio, dono di Dio che è la chiamata a partecipare alla liturgia, con cuore e mente e con tutta la vita, e per mezzo di essa di ricevere la grazia di Dio. È importante comprendere bene ciò e non supporre che l’Istruzione abbia pregiudizi contro i laici.

I capitoli 3,4 e 5 provano a rispondere ad alcune domande presentate ogni tanto. Affrontano alcuni abusi riconosciuti durante la celebrazione della Messa, il discernimento di chi può e chi non può comunicarsi, la cura necessaria per ricevere la comunione sotto le due specie, delle domande concernenti i paramenti ed i vasi sacri, la posizione richiesta per ricevere la Santa Comunione e altre domande dello stesso genere.

Il capitolo 6 tratta la devozione alla Santa Eucaristia fuori dalla Messa. Inoltre del rispetto dovuto al tabernacolo e di pratiche come le visite al Santissimo Sacramento, le cappelle di adorazione perpetua, le processioni ed i congressi eucaristici (cf. Istruzione 130, 135-136, 140, 142-145).

Il capitolo 7 tratta degli uffici straordinari affidati ai laici, per esempio, ai ministri straordinari della Santa Comunione, ai responsabili o animatori di preghiere nell’assenza di un sacerdote (cf. Istruzione 147-169). Questi ruoli sono da considerarsi distintamente rispetto a ciò che si dice nel capitolo 2 dell’Istruzione, dove si tratta della partecipazione ordinaria dei laici alla liturgia ed in particolare all’Eucaristia. Qui si tratta di ciò che i laici sono chiamati a compiere quando manca un numero sufficiente di sacerdoti o anche di diaconi. In questi ultimi anni la Santa Sede ha prestato un’attenzione considerevole a tale questione, e questa Istruzione si muove nella stessa linea, aggiungendo altre considerazioni per circostanze particolari.

L’ultimo capitolo tratta di rimedi canonici nei confronti degli abusi contro la Santa Eucaristia. A lungo termine, il rimedio principale si trova in una formazione ed un’istruzione adeguata ed in una fede solida. Ma quando ci sono degli abusi, la Chiesa ha il dovere di affrontarli con chiarezza e carità.

5. Conclusione.

Considerando l’articolo di fede secondo cui la Messa è una ri-presentazione sacramentale del Sacrificio della Croce (cf. Concilio di Trento: DS 1710), e che "nel santissimo sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo ed il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, il Cristo tutto intero" (Concilio di Trento: DS 1651; cf. CCC 1374), è chiaro che le norme liturgiche concernenti la Santa Eucaristia meritano la nostra attenzione. Non si tratta di meticolose rubriche dettate da spiriti legalisti.

"La santa Eucaristia contiene tutto il tesoro spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e nostro pane vivo" (Presbyterorum Ordinis, 5). I sacerdoti ed i Vescovi sono ordinati innanzitutto per celebrare il sacrificio eucaristico e dare il Corpo ed il Sangue di Cristo ai fedeli. I diaconi, e, al loro modo, gli accoliti, altri ministri, i lettori, i cori, e i laici avendo ricevuto una missione particolare sono chiamati tutti ad offrire il loro aiuto per le differenti funzioni ed a riempire i loro diversi ministeri con fede e devozione.

L’Istruzione dunque si conclude dicendo che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti "si augura che anche mediante l’attenta applicazione di quanto richiamato alla mente nella presente Istruzione, l’umana fragilità intralci in misura minore l’azione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, e rimossa ogni irregolarità, bandito ogni uso riprovato, per intercessione della Beata Vergine Maria, «donna eucaristica», la presenza salvifica di Cristo nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue risplenda su tutti gli uomini" (Istruzione 185).

INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO AMATO

1. Armonia tra la lex orandi e la lex credendi

Da un punto di vista dottrinale, l'Istruzione si pone in continuità con l’enciclica Ecclesia de Eucharistia (RS n. 2).1 Nell'enciclica il Santo Padre, oltre a consegnarci con autorevolezza una lezione di altissimo magistero sull'Eucaristia, come mistero della fede, che nutre ed edifica continuamente la Chiesa nella storia, non manca di segnalare più volte le ombre e gli abusi che oscurano la retta fede e la dottrina cattolica su questo sacramento (EE n. 10; RS n. 6).

Una attuazione arbitraria della Liturgia non solo deforma la celebrazione, ma provoca insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo nel popolo di Dio (RS n. 11). In realtà gli abusi, più che espressione di libertà, manifestano, invece, una conoscenza superficiale o anche ignoranza della grande tradizione biblica ed ecclesiale relativa all'Eucaristia. L'Istruzione, invece, intende promuovere la vera libertà, che è quella di fare ciò che è degno e giusto nella celebrazione di questo Sacramento.

Essendo l'azione liturgica intrinsecamente collegata con la dottrina, l'uso di testi e riti non approvati comporta inevitabilmente l'affievolimento e poi la perdita del legame necessario tra la lex orandi e la lex credendi, secondo l'antica espressione dell'Indiculus: «Legem credendi lex statuat supplicandi» («La regola del pregare stabilisca la maniera del credere»).2

Per questo intrinseco legame tra professione e celebrazione della fede, i fedeli hanno il diritto di esigere dai pastori «che si celebri per essi in modo integro il sacrificio della Santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa» (RS n. 12).

Infine, è forse utile ricordare qui che nel 1996, la Congregazione per le Chiese Orientali pubblicò una Istruzione simile, molto bene accolta del resto, sull'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, intesa a tutelare il valore inalienabile del patrimonio proprio della tradizione orientale e l'urgenza di una sua fioritura.3

2. L'autentica ecclesialità dell'Eucaristia

Nell'enciclica Ecclesia de Eucharistia il Santo Padre aveva affermato:

«Sento [...] il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un'espressione concreta dell'autentica ecclesialità dell'Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri [...].

Anche nei nostri tempi, l'obbedienza alle norme liturgiche dovrebbe essere riscoperta e valorizzata come riflesso e testimonianza della Chiesa una e universale, resa presente in ogni celebrazione dell'Eucaristia. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa [...].

A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale» (EE n. 52).

In queste affermazioni è riassunto al meglio il significato dottrinale della presente Istruzione: le norme liturgiche sono espressione concreta dell’ecclesialità dell’Eucaristia.

L’unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l’unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile:

«Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore consegue l’inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l’esistenza del ministero Petrino, fondamento dell’unità dell’Episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l’indole eucaristica della Chiesa».4

L’ecclesialità dell’Eucaristia non è qualcosa che esiste solo a livello ideale, essa richiede anche un’espressione concreta nella vita di ogni comunità orante. È proprio questa ‘corrispondenza’ fra il ministero Petrino e l’indole eucaristica della Chiesa che esige la sollecitudine del Santo Padre nei confronti sia della dottrina sia del modo concreto con cui questo mistero è celebrato nella Chiesa.

Così come esiste reciprocità fra l’autentica ecclesialità dell’Eucaristia e le norme liturgiche, così c’è reciprocità fra idee erronee sull’Eucaristia e disobbedienza alle norme liturgiche. Per fare solo un esempio: in alcune nazioni del mondo si è verificato l’abuso secondo il quale il sacerdote celebrante (o i sacerdoti concelebranti) distribuiscono la Santa Comunione ai fedeli prima di comunicarsi. Come giustificazione di questa prassi (che viene vietata nel numero 97 dell’Istruzione) si è offerta la spiegazione che quando uno invita gli ospiti a casa sua, gli ospiti devono mangiare prima del padrone di casa! Ma è proprio vero che la Chiesa è la casa solo del sacerdote e che i fedeli laici siano sono degli ospiti?

3. La recezione dell'Istruzione come evento ecclesiale

Una conseguenza concreta dell'ecclesialità dell'Eucaristia è anche la recezione di questa Istruzione. In genere, tre sembrano essere le difficoltà maggiori per una corretta accoglienza dei documenti e per la loro carente assimilazione: il loro numero, la loro ampiezza, il problema della comunicazione massmediale.

Per quanto riguarda il numero esso risponde ai molti eventi e alle innumerevoli domande di luce avanzate al magistero da parte del popolo di Dio. Inoltre, il numero può rivelarsi anche occasione e strumento di formazione permanente sia del clero sia dei fedeli laici.

Per quanto riguarda l'ampiezza - e in concreto l'ampiezza della presente Istruzione - essa è abbastanza estesa, perché in realtà le norme da ribadire e gli abusi da evitare sono numerosissimi.

Per quanto riguarda la comunicazione, il Santo Padre alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede nel febbraio scorso ha offerto delle importanti indicazioni al riguardo:

«Un tema già altre volte richiamato è quello della recezione dei documenti magisteriali da parte dei fedeli cattolici, spesso disorientati più che informati dalle immediate reazioni e interpretazioni dei mezzi di comunicazione sociale.

In realtà, la recezione di un documento, più che un fatto mediatico, deve essere visto soprattutto come un evento ecclesiale di accoglienza del magistero nella comunione e nella condivisione più cordiale della dottrina della Chiesa.

Si tratta, infatti, di una parola autorevole che fa luce su una verità di fede o su alcuni aspetti della dottrina cattolica contestati o travisati da particolari correnti di pensiero e di azione.

Ed è proprio in questa sua valenza dottrinale che risiede il carattere altamente pastorale del documento, la cui accoglienza diventa quindi occasione propizia di formazione, di catechesi e di evangelizzazione»5

L'accoglienza quindi dell'Istruzione non deve fermarsi quindi alla notizia immediata che comunica e informa, ma deve diventare evento ecclesiale di comunione e di formazione.

I Vescovi, i sacerdoti, i fedeli laici non dovrebbero quindi soffermarsi su opinioni immediate "in prima battuta". Dovrebbero avere la pazienza e il tempo di leggere, di assimilare e di vivere in profondità i contenuti dell'Istruzione.

L'Istruzione, insomma, dovrebbe suscitare nella Chiesa sana curiosità e generosa accoglienza, per contemplare con rinnovato stupore questo grande mistero della nostra fede e incentivare comportamenti e atteggiamenti eucaristici appropriati.

_______________________________

1 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003 (sigla: EE); Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Istruzione Redemptionis Sacramentum, 25 marzo 2004 (sigla: RS).

2 Indiculus, cap. 8: Denz n. 246 [ex n. 139]. Cf. anche Prospero di Aquitania, De vocatione omnium gentium, 1,12: PL 51,664C.

3 Congregazione per le Chiese Orientali, Istruzione Il Padre incomprensibile per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 6 gennaio 1996.

4 Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Communionis Notio su alcuni aspetti della Chiesa come comunione, 28 maggio 1992, n. 11.

5 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 6 febbraio 2004, n. 4.

INTERVENTO DI S.E. MONS. DOMENICO SORRENTINO

Desidero offrire alcune chiavi di lettura dell’Istruzione Redemptionis Sacramentum perché se ne possa cogliere soprattutto l’afflato spirituale che la anima.

L’Istruzione, come essa stessa ricorda al n. 2, dipende dall’Enciclica Ecclesia de Eucharistia e ne porta l’ispirazione di fondo. Il fatto che abbia lo stile proprio di un discorso a valenza anche disciplinare, non toglie che il suo cuore pulsante sia un cuore "contemplativo". E’ un Documento che, a modo suo, risponde all’urgenza additata dal Papa nella Lettera Apostolica Spiritus et Sponsa, ossia l’esigenza di una "spiritualità liturgica" (Spiritus et Sponsa n.16). E’ significativo leggere la presente Istruzione anche alla luce di questo recente pronunciamento papale, che ripropone con forza l’attualità della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia, di cui abbiamo appena celebrato il XL anniversario.

Sotto il profilo contenutistico, l’Istruzione non fa che ribadire la normativa liturgica vigente. Ma non lo fa in maniera arida. Sia nel proemio che lungo il percorso, pur in modo stringato, richiama le motivazioni che danno senso alla normativa. Ne emerge un’immagine della liturgia eucaristica, e della corrispondente normativa, che si può sintetizzare in queste tre prospettive:

a. espressione di fede;
b. esperienza del mistero;
c. vissuto di comunione.

a. Espressione di fede

La liturgia, e in modo speciale l’Eucaristia, è il luogo privilegiato in cui la Chiesa confessa la sua fede. La confessa nel modo più alto, cioè nel dialogo di amore con il suo Signore. Dialogo che, nella sua espressione liturgica, si caratterizza per il fatto che non è in gioco un solo credente o un gruppo di credenti, ma la Chiesa stessa. Si tratta della preghiera "pubblica", che proprio per questo suo carattere, supera la portata delle altre preghiere, ed anzi, al dire del Concilio, "nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (cf Sacrosanctum Concilium 7). Preghiera intrinsecamente determinata dalla professione di fede, ed al tempo stesso capace di proiettare sempre nuova luce sui contenuti della fede, in un rapporto circolare tra la lex orandi e la lex credendi, principio fondamentale a cui anche il Documento si richiama, quando afferma: "La sacra Liturgia, infatti, è intimamente collegata con i principi della dottrina e l’uso di testi e riti non approvati comporta, di conseguenza, che si affievolisca o si perda il nesso necessario tra la lex orandi e la lex credendi ( n. 10). E’ almeno un rischio che si corre, e che spiega perché nella liturgia nulla possa essere lasciato all’arbitrio: la posta in gioco è troppo grande! Al n.9 l’Istruzione ricorda che attraverso i riti e le preghiere della liturgia passa l’intero flusso della fede e della tradizione. Gli abusi rivelano talvolta ignoranza del significato stesso delle norme, per mancanza di conoscenza del loro senso profondo e della loro antichità. Considerazione, questa, che richiama l’esigenza di una più approfondita e sistematica opera di formazione liturgica del popolo di Dio, alla quale il Santo Padre ci ha anche recentemente richiamati: "Rimane più che mai necessario incrementare la vita liturgica all’interno delle nostre comunità, attraverso una formazione adeguata dei ministri e di tutti i fedeli, in vista di quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche che è auspicata dal Concilio" (Spiritus et Sponsa, 7).

b. Esperienza del mistero

Il documento ricorda, al n. 5, che le norme liturgiche, al di là del loro carattere funzionale, hanno un’anima, ossia un senso profondo, spirituale, che fa appello a una osservanza non solo esteriore, ma interiore. Questa interiorità, in ultima analisi, è il rapporto con Cristo, che nella liturgia esercita il suo sacerdozio associando a sé la Chiesa. Le norme, in quanto espressione della coscienza ecclesiale orientata dallo Spirito di Dio soprattutto attraverso il discernimento e la guida dei Pastori, garantiscono la validità e la dignità dell’azione liturgica, e con essa anche il "rendersi presente" di Cristo. Una presenza non astratta o semplicemente simbolica, ma tanto viva da consentire che Cristo giunga alla nostra portata, come avviene in massimo grado nella celebrazione eucaristica. Se l’Eucaristia è ben celebrata, i tratti del volto di Cristo delineati nel Vangelo divengono, in qualche modo, percepibili al cuore credente, come avvenne per i discepoli di Emmaus che "lo riconobbero nello spezzare il pane" (Lc 24, 31). Non a caso il documento al n. 6 ricorda questo significativo episodio pasquale. La liturgia appare così come via al mistero, e la normativa come segnaletica che consente di percorrerla con sicurezza. Dice a tal proposito l’Istruzione che le parole e i riti della Liturgia, "espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo", "ci insegnano a sentire come lui"(n. 5). E’ additato anzi in questo il fine ultimo che il Documento persegue: "…condurre a tale conformità dei sentimenti nostri con quelli di Cristo, espressi nelle parole e nei riti della Liturgia" (ivi).

c. Vissuto di comunione

Un’altra cifra dell’Istruzione è la logica di comunione che essa intende promuovere. L’immagine di Chiesa che emerge dal Documento è quella di una comunità gerarchicamente ordinata, in cui l’uguaglianza fondamentale di ogni battezzato si coniuga con la diversità dei carismi e dei ministeri. La liturgia, e in particolare l’eucaristia, è epifania della Chiesa, nella sua unità e nella sua varietà.

Questo è sottolineato innanzitutto dall’insistenza sulla legittima autorità deputata a regolamentare l’ambito liturgico. In conformità con il dettato del Vaticano II, è posto in chiara luce il ruolo del Vescovo, coordinato e subordinato a quello del Successore di Pietro. Si precisano, in ambito celebrativo, i ruoli dei presbiteri, dei diaconi, dei laici. L’enfasi del Documento sulla distinzione tra sacerdoti e laici va letta in questa chiave di rispetto dei doni propri di ciascuno. Sarebbe perciò fuorviante valutare tale distinzione con logiche proprie della società civile. La comunità liturgica ha l’identità della "ecclesìa", parola che – si ricorda al n. 42 - dal greco "klesis", "chiamata", indica l’essere convocati dall’alto, come popolo in cui Dio si rende presente e in cui Cristo agisce nello Spirito, attraverso le vocazioni ministeriali che sovranamente stabilisce. L’esigenza di un sacerdote ordinato, che celebri l’Eucaristia "in persona Christi", sta dentro questa logica. E questa certo non oscura la partecipazione liturgica viva e operosa che, regolata da adeguate norme, spetta a tutti i battezzati. Infine, ancora nella prospettiva della comunione, è da intendere l’affermazione del "diritto" dei fedeli ad una celebrazione degna, e pertanto anche del loro diritto ad esigerla, quando si verificassero inadempienze ed abusi, ricorrendo alla legittima autorità, purché tutto avvenga coniugando verità e carità (cf n. 184). La liturgia non può diventare un "campo di battaglia".

Una domanda potrebbe sorgere a questo punto: certo, espressione di fede, esperienza del mistero, servizio di comunione, questo è la liturgia e la normativa che la regola! Ma non è troppo dire tutto questo a proposito di una serie di norme di diverso tenore, senza distinguere tra ciò che è essenziale e immutabile e ciò che invece è di sua natura riformabile? Non c’è il rischio così di irrigidire la normativa, "blindandola", escludendo per principio possibili miglioramenti o adattamenti? Non ci sono, nella liturgia, norme che di loro natura sono soggette al cambiamento, come dimostra la storia di duemila anni, fino alla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II?

Chi legge attentamente l’Istruzione vi troverà la risposta. Se essa, infatti, raccoglie e ribadisce tante norme, non tralascia di distinguere il loro peso. Al n. 7, ad esempio, distingue tra i precetti derivati direttamente da Dio e le leggi promulgate dalla Chiesa, invitando a "considerare convenientemente l’indole di ciascuna norma". Al n.13 sono richiamati i vari "gradi" con cui le singole norme si raccordano con la legge suprema della salvezza delle anime. Nell’ultimo capitolo vengono distinti gli abusi in rapporto alla loro gravità, non senza tuttavia ricordare che anche i meno gravi non vanno trattati con leggerezza.

Ma pur facendo doverose distinzioni, va detto che sempre, nell’osservanza di tutte le norme, quelle di maggiore e quelle di minor rilievo, si esplicita l’autentico senso ecclesiale. Né si potrebbero motivare gli abusi in nome dell’adattamento pastorale, tacciando l’attuale normativa di rigidità. Per dirla con le parole del Papa, "il rinnovamento liturgico realizzato in questi decenni ha dimostrato come sia possibile coniugare una normativa che assicuri alla Liturgia la sua identità e il suo decoro, con spazi di creatività e di adattamento che la rendano vicina alle esigenze espressive delle varie regioni, situazioni e culture" ( Spiritus et Sponsa n. 15). Si potrebbe aggiungere che la richiesta di osservanza, che dà il tono a questo documento, non comporta alcun divieto di approfondire e proporre, come accadde nella storia del "movimento liturgico" e anche oggi normalmente avviene nell’ambito degli studi teologici, liturgici e pastorali. Quello che è assolutamente escluso è fare della liturgia una zona franca di sperimentazioni e di arbitri personali, non giustificati da nessuna buona intenzione.

In conclusione, fornendo questo strumento di indirizzo - teologico-pastorale e giuridico insieme -, la Santa Sede si pone sulla linea di quell’opera di discernimento che la Chiesa ha sempre operato nel corso dei secoli. Significativamente, più di una volta, in linea con l’Enciclica Ecclesia de eucharistia, si ricorda la pagina di 1 Cor 11, quella in cui Paolo riprende aspramente i Corinzi per una celebrazione eucaristica fatta in spregio della carità verso i poveri: il primo documento "contro gli abusi". L’odierna Istruzione è tutt’altro che una novità.

Ma ritengo importante che se ne colga, al di là del senso correttivo, l’intimo senso promozionale. Pur in filigrana, traspaiono le linee di una spiritualità liturgica e di una pastorale liturgica. E’ qui indubbiamente l’antidoto radicale agli abusi. Letta così, l’Istruzione elaborata dalla Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della fede, mi pare possa essere accolta come uno strumento utile, e spero efficace, perché, a quarant’anni dalla Sacrosanctum Concilium, e mentre ci si avvia a un altro momento importante come l’annunciato Sinodo sull’Eucaristia, la liturgia sia sempre meglio vissuta come fonte e culmine della vita ecclesiale.

Augustinus
23-04-04, 14:01
CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO

ISTRUZIONE

Redemptionis sacramentum

su alcune cose che si devono osservare ed evitare
circa la Santissima Eucaristia


INDICE

Proemio [1-13]

Capitolo I

La regolamentazione della sacra Liturgia [14-18]

1. Il Vescovo diocesano, grande Sacerdote del suo gregge [19-25]
2. Le Conferenze dei Vescovi [26-28]
3. I Sacerdoti [29-33]
4. I Diaconi [34-35]

Capitolo II

La partecipazione dei fedeli laici alla celebrazione dell’Eucaristia

1. Una partecipazione attiva e consapevole [36-42]
2. I compiti dei fedeli laici nella celebrazione della Messa [43-47]

Capitolo III

La retta celebrazione della santa Messa

1. La materia della Santissima Eucaristia [48-50]
2. La Preghiera eucaristica [51-56]
3. Le altri parti della Messa [57-74]
4. L’unione dei vari riti con la celebrazione della Messa [75-79]

Capitolo IV

La santa Comunione

1. Disposizioni per ricevere la santa Comunione [80-87]
2. La distribuzione della santa Comunione [88-96]
3. La Comunione dei Sacerdoti [97-99]
4. La Comunione sotto le due specie [100-107]

Capitolo V

Altri aspetti riguardanti l’Eucaristia

1. Il luogo della celebrazione della santa Messa [108-109]
2. Circostanze varie relative alla santa Messa [110-116]
3. I vasi sacri [117-120]
4. Le vesti liturgiche [121-128]

Capitolo VI

La conservazione della Santissima Eucaristia e il suo culto fuori della Messa

1. La conservazione della Santissima Eucaristia [129-133]
2. Altre forme di culto della Santissima Eucaristia fuori della Messa [134-141]
3. Le processioni e i Congressi eucaristici [142-145]

Capitolo VII

I compiti straordinari dei fedeli laici [146-153]

1. Il ministro straordinario della santa Comunione [154-160]
2. La predicazione [161]
3. Le celebrazioni particolari che si svolgono in assenza del Sacerdote [162-167]
4. Coloro che sono stati dimessi dallo stato clericale [168]

Capitolo VIII

I rimedi [169-171]

1. Graviora delicta [172]
2. Atti gravi [173]
3. Altri abusi [174-175]
4. Il Vescovo diocesano [176-180]
5. La Sede Apostolica [181-182]
6. Segnalazioni di abusi in materia liturgica [183-184]

Conclusione [185-186]


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PROEMIO

[1.] Nella Santissima Eucaristia la Madre Chiesa riconosce con ferma fede, accoglie con gioia, celebra e venera con atteggiamento adorante il sacramento della Redenzione,[1] annunciando la morte di Cristo Gesù, proclamando la sua resurrezione, nell’attesa della sua venuta nella gloria,[2] come Signore e Dominatore invincibile, Sacerdote eterno e Re dell’universo, per offrire alla maestà infinita del Padre onnipotente il regno di verità e di vita.[3]

[2.] La dottrina della Chiesa sulla Santissima Eucaristia, in cui è contenuto l’intero bene spirituale della Chiesa, ovvero Cristo stesso, nostra Pasqua,[4] fonte e culmine[5] di tutta la vita cristiana, il cui influsso causale è alle origini stesse della Chiesa,[6] è stata esposta con premurosa sollecitudine e grande autorevolezza nel corso dei secoli negli scritti dei Concili e dei Sommi Pontefici. Recentemente, inoltre, nella Lettera Enciclica «Ecclesia de Eucharistia» il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha nuovamente esposto sul medesimo argomento alcuni aspetti di grande importanza per il contesto ecclesiale della nostra epoca.[7]

In particolare, il Sommo Pontefice, affinché la Chiesa tuteli debitamente anche al giorno d’oggi un così grande mistero nella celebrazione della sacra Liturgia, ha dato disposizione a questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti[8] di preparare, d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, la presente Istruzione, in cui fossero trattate alcune questioni concernenti la disciplina del sacramento dell’Eucaristia. Quanto appare in questa Istruzione va, pertanto, letto in continuità con la citata Lettera Enciclica «Ecclesia de Eucharistia».

Tuttavia, non si ha l’intenzione di offrire in essa l’insieme delle norme relative alla Santissima Eucaristia, quanto piuttosto di riprendere con tale Istruzione alcuni elementi, che risultano tuttora validi nella normativa già esposta e stabilita, per rafforzare il senso profondo delle norme liturgiche,[9] e indicarne altri che spieghino e completino i precedenti, illustrandoli ai Vescovi, ma anche ai Sacerdoti, ai Diaconi e a tutti i fedeli laici, affinché ciascuno li metta in pratica secondo il proprio ufficio e le proprie possibilità.

[3.] Le norme contenute in questa Istruzione si considerino inerenti alla materia liturgica nell’ambito del Rito romano e, con le opportune varianti, degli altri Riti della Chiesa latina giuridicamente riconosciuti.

[4.] «Non c’é dubbio che la riforma liturgica del Concilio abbia portato grandi vantaggi per una più consapevole, attiva e fruttuosa partecipazione dei fedeli al santo Sacrificio dell’altare».[10] Tuttavia, «non mancano delle ombre».[11] Non si possono, pertanto, passare sotto silenzio gli abusi, anche della massima gravità, contro la natura della Liturgia e dei sacramenti, nonché contro la tradizione e l’autorità della Chiesa, che non di rado ai nostri giorni in diversi ambiti ecclesiali compromettono le celebrazioni liturgiche. In alcuni luoghi gli abusi commessi in materia liturgica sono all’ordine del giorno, il che ovviamente non può essere ammesso e deve cessare.

[5.] L’osservanza delle norme emanate dall’autorità della Chiesa esige conformità di pensiero e parola, degli atti esterni e della disposizione d’animo. Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l’essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa perché sia con lui «un solo corpo e un solo spirito».[12] L’atto esterno deve essere, pertanto, illuminato dalla fede e dalla carità che ci uniscono a Cristo e gli uni agli altri e generano l’amore per i poveri e gli afflitti. Le parole e i riti della Liturgia sono, inoltre, espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo e ci insegnano a sentire come lui:[13] conformando a quelle parole la nostra mente, eleviamo al Signore i nostri cuori. Quanto detto nella presente Istruzione intende condurre a tale conformità dei sentimenti nostri con quelli di Cristo, espressi nelle parole e nei riti della Liturgia.

[6.] Tali abusi, infatti, «contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento».[14] In questo modo si impedisce pure «ai fedeli di rivivere in un certo senso l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “E i loro occhi si aprirono e lo riconobbero”».[15] Davanti alla potenza e alla divinità[16] di Dio e allo splendore della sua bontà, particolarmente visibile nel sacramento dell’Eucaristia, si addice, infatti, che tutti i fedeli nutrano e manifestino quel senso dell’adorabile maestà di Dio, che hanno ricevuto attraverso la passione salvifica del Figlio Unigenito.[17]

[7.] Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto.[18] Ciò vale invero non soltanto per quei precetti derivati direttamente da Dio, ma anche, considerando convenientemente l’indole di ciascuna norma, per le leggi promulgate dalla Chiesa. Da ciò la necessità che tutti si conformino agli ordinamenti stabiliti dalla legittima autorità ecclesiastica.

[8.] Si deve, inoltre, notare con grande amarezza la presenza di «iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono qua e là a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede». Il dono dell’Eucaristia, tuttavia, «è troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni». È, pertanto, opportuno correggere e definire con maggiore accuratezza alcuni elementi, di modo che anche in questo ambito «l’Eucaristia continui a risplendere in tutto il fulgore del suo mistero».[19]

[9.] Gli abusi trovano, infine, molto spesso fondamento nell’ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l’antichità. Infatti, «dell’afflato e dello spirito» della stessa sacra Scrittura «sono permeate» appieno «le preghiere, le orazioni e gli inni e da essa derivano il loro significato le azioni e i segni sacri».[20] Quanto ai segni visibili, «di cui la sacra Liturgia si serve per significare le realtà divine invisibili, essi sono stati scelti da Cristo o dalla Chiesa».[21] Infine, le strutture e le forme delle sacre celebrazioni, secondo la tradizione di ciascun rito sia d’Oriente sia d’Occidente, sono in sintonia con la Chiesa universale anche per quanto riguarda usi universalmente accolti dalla ininterrotta tradizione apostolica,[22] che è compito proprio della Chiesa trasmettere fedelmente e con cura alle future generazioni. Tutto ciò viene sapientemente custodito e salvaguardato dalle norme liturgiche.

[10.] La stessa Chiesa non ha alcuna potestà rispetto a ciò che è stato stabilito da Cristo e che costituisce parte immutabile della Liturgia.[23] Se fosse, infatti, spezzato il legame che i sacramenti hanno con Cristo stesso, che li ha istituiti, e con gli eventi su cui la Chiesa è fondata,[24] ciò non sarebbe di nessun giovamento per i fedeli, ma nuocerebbe a loro gravemente. La sacra Liturgia, infatti, è intimamente collegata con i principi della dottrina[25] e l’uso di testi e riti non approvati comporta, di conseguenza, che si affievolisca o si perda il nesso necessario tra la lex orandi e la lex credendi.[26]

[11.] Troppo grande è il Mistero dell’Eucaristia «perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale».[27] Chi al contrario, anche se Sacerdote, agisce così, assecondando proprie inclinazioni, lede la sostanziale unità del rito romano, che va tenacemente salvaguardata,[28] e compie azioni in nessun modo consone con la fame e sete del Dio vivente provate oggi dal popolo, né svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità. Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento,[29] ma ledono il giusto diritto dei fedeli all’azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina. Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio.[30] Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di «secolarizzazione», confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.[31]

[12.] Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme. Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa. È, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa.[32]

[13.] Tutte le norme e i richiami esposti in questa Istruzione si connettono, sia pure in vario modo, con il compito della Chiesa, a cui spetta di vigilare sulla retta e degna celebrazione di questo grande mistero. Dei vari gradi con cui le singole norme si raccordano con la legge suprema di tutto il diritto ecclesiastico, che è la cura per la salvezza delle anime, tratta l’ultimo capitolo della presente Istruzione.[33]



Capitolo I

LA REGOLAMENTAZIONE DELLA SACRA LITURGIA

[14.] «Regolamentare la sacra Liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo Sacrae».[34]

[15.] Il Romano Pontefice, «Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale, in forza del suo ufficio ha potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, che può sempre esercitare liberamente»,[35] anche comunicando con i pastori e i fedeli.

[16.] È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra Liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché gli ordinamenti liturgici, specialmente quelli attraverso i quali è regolata la celebrazione del Santissimo Sacrificio della Messa, siano osservati fedelmente ovunque.[36]

[17.] La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti «si occupa di tutto ciò che, salva la competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, spetta alla Sede Apostolica circa la regolamentazione e la promozione della sacra Liturgia, in primo luogo dei Sacramenti. Essa favorisce e tutela la disciplina dei sacramenti, specialmente per quanto attiene alla loro valida e lecita celebrazione». Infine, «esercita attenta vigilanza perché siano osservate esattamente le disposizioni liturgiche, se ne prevengano gli abusi e, laddove essi siano scoperti, vengano eliminati».[37] In questa materia, secondo la tradizione di tutta la Chiesa, è predominante la sollecitudine per la celebrazione della santa Messa e per il culto che si tributa alla Santissima Eucaristia anche fuori della Messa.

[18.] I fedeli hanno il diritto che l’autorità ecclesiastica regoli pienamente ed efficacemente la sacra Liturgia, in modo tale che essa non sembri mai «proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri».[38]

1. Il Vescovo diocesano, grande Sacerdote del suo gregge

[19.] Il Vescovo diocesano, primo dispensatore dei misteri di Dio, è moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa particolare a lui affidata.[39] Infatti, «il Vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell’Ordine, è l’“economo della grazia del supremo sacerdozio”[40] specialmente nell’Eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire,[41] e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce».[42]

[20.] Si ha, infatti, una precipua manifestazione della Chiesa ogni volta che si celebra la Messa, specialmente nella chiesa cattedrale, «nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio, […] all’unica preghiera, all’unico altare, cui presiede il Vescovo»,circondato dai suoi Sacerdoti, Diaconi e ministri.[43] Inoltre, ogni«legittima celebrazione dell’Eucaristia è diretta dal Vescovo, al quale è affidato l’ufficio di prestare e regolare il culto della religione cristiana alla Divina Maestà secondo i precetti del Signore e le leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente determinate per la sua diocesi».[44]

[21.] Infatti, al Vescovo «diocesano spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica nella Chiesa a lui affidata, alle quali tutti sono tenuti».[45] Tuttavia, il Vescovo vigili sempre che non venga meno quella libertà, che è prevista dalle norme dei libri liturgici, di adattare, in modo intelligente, la celebrazione sia all’edificio sacro sia al gruppo dei fedeli sia alle circostanze pastorali, cosicché l’intero rito sacro sia effettivamente rispondente alla sensibilità delle persone.[46]

[22.] Il Vescovo regge la Chiesa particolare a lui affidata[47] ed è suo compito regolamentare, dirigere, spronare, talvolta anche riprendere,[48] adempiendo il sacro ufficio che egli ha ricevuto mediante l’ordinazione episcopale[49] per l’edificazione del suo gregge nella verità e nella santità.[50] Illustri il genuino senso dei riti e dei testi liturgici e alimenti nei Sacerdoti, nei Diaconi e nei fedeli lo spirito della sacra Liturgia,[51] perché tutti siano condotti ad un’attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia,[52] e assicuri parimenti che tutto il corpo ecclesiale proceda unanime, nell’unità della carità, sul piano diocesano, nazionale, universale.[53]

[23.] I fedeli«devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano concordi nell’unità e crescano per la gloria di Dio».[54] Tutti, anche i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, e di tutte quante le associazioni o movimenti ecclesiali di qualsiasi genere, sono soggetti all’autorità del Vescovo diocesano in tutto ciò che riguarda la materia liturgica,[55] salvo i diritti legittimamente concessi. Compete, dunque, al Vescovo diocesano il diritto e il dovere di vigilare e verificare, riguardo alla materia liturgica,le chiese e gli oratori situati nel suo territorio, come anche quelle fondate o dirette dai membri dei sopra menzionati istituti, se ad esse abitualmente accedono i fedeli.[56]

[24.] Da parte sua, il popolo cristiano ha il diritto che il Vescovo diocesano vigili affinché non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, specialmente riguardo al ministero della parola, alla celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, al culto di Dio e dei santi.[57]

[25.] Le commissioni, i consiglio comitati costituiti dal Vescovo, perché contribuiscano «a promuovere la Liturgia, la musica e l’arte sacra nella sua diocesi», agiranno secondo il pensiero e le direttive del Vescovo e dovranno poter contare sulla sua autorità e sulla sua ratifica per svolgere convenientemente il proprio compito[58] e perché sia mantenuto l’effettivo governo del Vescovo nella sua diocesi. Riguardo a tutti questi gruppi, agli altri istituti e a qualsiasi iniziativa in materia liturgica, i Vescovi si chiedano, come già da tempo risulta urgente, se sia stata finora fruttuosa[59] la loro attività e valutino attentamente quali correttivi o miglioramenti vadano inseriti nella loro struttura e nella loro attività,[60] affinché trovino nuovo vigore. Si tenga sempre presente che gli esperti vanno scelti tra coloro, la cui solidità nella fede cattolica e la cui preparazione in materia teologica e culturale siano riconosciute.

2. Le Conferenze dei Vescovi

[26.] Ciò vale anche per quelle commissioni attinenti alla medesima materia che, su sollecitazione del Concilio,[61] sono istituite dalla Conferenza dei Vescovi e i cui membri è necessario che siano Vescovi e siano ben distinti dagli esperti coadiutori. Qualora il numero di membri di una Conferenza dei Vescovi non risulti sufficiente perché si possa senza difficoltà trarre da loro e istituire una commissione liturgica, si nomini un consiglio o gruppo di esperti che, sempre sotto la presidenza di un Vescovo, adempia per quanto possibile a tale compito, evitando però il nome di «Commissione liturgica».

[27.] La Sede Apostolica ha notificato fin dal 1970[62] la cessazione di tutti gli esperimenti relativi alla celebrazione della santa Messa ed ha ribadito tale cessazione nel 1988.[63] Pertanto, i singoli Vescovi e le loro Conferenze non hanno alcuna facoltà di permettere gli esperimenti riguardo ai testi e ad altro che non sia prescritto nei libri liturgici. Per poter praticare in avvenire tali esperimenti è necessario il permesso della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dato per iscritto e richiesto dalle Conferenze dei Vescovi. Esso, tuttavia, non verrà concesso se non per grave causa. Quanto alle iniziative di inculturazione in materia liturgica, si osservino rigorosamente e integralmente le norme specificamente stabilite.[64]

[28.] Tutte le norme attinenti alla materia liturgica, stabilite a norma del diritto da una Conferenza dei Vescovi per il proprio territorio, vanno sottoposte alla recognitio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, senza la quale non posseggono alcuna forza obbligante.[65]

3. I Sacerdoti

[29.] I Sacerdoti, validi, provvidi e necessari collaboratori dell’ordine episcopale,[66] chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono con il loro Vescovo un unico presbiterio,[67] sebbene destinato a uffici diversi. «Nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, ne condividono, secondo il loro grado, gli uffici e la sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana». E «per questa loro partecipazione nel sacerdozio e nella missione, i Sacerdoti riconoscano nel Vescovo il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore».[68] Inoltre, «sempre intenti al bene dei figli di Dio, cerchino di portare il loro contributo al lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi, di tutta la Chiesa».[69]

[30.] Grande è la responsabilità «che hanno nella celebrazione eucaristica soprattutto i Sacerdoti, ai quali compete di presiederla in persona Christi, assicurando una testimonianza e un servizio di comunione non solo alla comunità che direttamente partecipa alla celebrazione, ma anche alla Chiesa universale, che è sempre chiamata in causa dall’Eucaristia. Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti».[70]

[31.] In coerenza con quanto da loro promesso nel rito della sacra ordinazione e rinnovato di anno in anno nel corso della Messa crismale, i Sacerdoti celebrino «devotamente e con fede i misteri di Cristo a lode di Dio e santificazione del popolo cristiano, secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio dell’Eucaristia e nel sacramento della riconciliazione».[71] Non svuotino il significato profondo del proprio ministero, deformando la celebrazione liturgica con cambiamenti, riduzioni o aggiunte arbitrarie.[72] Come disse, infatti, S. Ambrogio: «La Chiesa non è ferita in se stessa, […] ma in noi. Guardiamoci, dunque, dal far divenire i nostri sbagli una ferita per la Chiesa».[73] Si badi, quindi, che la Chiesa di Dio non riceva offesa da parte dei Sacerdoti, i quali hanno offerto se stessi al ministero con tanta solennità. Vigilino, anzi, fedelmente sotto l’autorità del Vescovo, affinché simili deformazioni non siano commesse da altri.

[32.] «Il parroco faccia in modo che la Santissima Eucaristia sia il centro dell’assemblea parrocchiale dei fedeli, si adoperi perché i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti e in special modo perché si accostino frequentemente al sacramento della Santissima Eucaristia e della penitenza; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli siano formati alla preghiera, da praticare anche nella famiglia, e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra Liturgia, di cui il parroco deve essere il moderatore nella sua parrocchia, sotto l’autorità del Vescovo diocesano, e sulla quale è tenuto a vigilare perché non si insinuino abusi».[74] Sebbene sia opportuno che nella preparazione efficace delle celebrazioni liturgiche, specialmente della santa Messa, egli sia coadiuvato da vari fedeli, non deve tuttavia in nessun modo cedere loro quelle prerogative in materia che sono proprie del loro ufficio.

[33.] Infine, tutti «i Sacerdoti abbiano cura di coltivare adeguatamente la scienza e l’arte liturgica, affinché, per mezzo del loro ministero liturgico, le comunità cristiane ad essi affidate, elevino una lode sempre più perfetta a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo».[75] Soprattutto, siano pervasi di quella meraviglia e di quello stupore che la celebrazione del mistero pasquale nell’Eucaristia procura nel cuore dei fedeli.[76]

4. I Diaconi

[34.] I Diaconi, «ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio»,[77] uomini di buona reputazione,[78] devono agire, con l’aiuto di Dio, in modo tale da essere riconosciuti come veri discepoli di colui,[79] «che non venne per farsi servire, ma per servire»[80] e fu in mezzo ai suoi discepoli«come colui che serve».[81] E fortificati dal dono dello Spirito Santo ricevuto mediante l’imposizione delle mani, servano il popolo di Dio in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio.[82] Considerino perciò il Vescovo come padre e siano di aiuto a lui e al suo Presbiterio«nel ministero della parola, dell’altare e della carità».[83]

[35.] Non trascurino mai «di custodire il mistero della fede, come dice l’Apostolo, in una coscienza pura[84] per annunziare tale fede con le parole e le opere, secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa»,[85] servendo con tutto il cuore fedelmente e con umiltà la sacra Liturgia come fonte e culmine della vita della Chiesa, «affinché tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il Battesimo, si riuniscano insieme, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al Sacrificio e alla mensa del Signore».[86] Pertanto, tutti i Diaconi, per quanto li riguarda, si impegnino a far sì che la sacra Liturgia sia celebrata a norma dei libri liturgici debitamente approvati.





Capitolo II

LA PARTECIPAZIONE DEI FEDELI LAICI
ALLA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA

1. Una partecipazione attiva e consapevole

[36.] La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e della Chiesa, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa sia universale sia particolare, e per i singoli fedeli,[87] che«sono interessati in diverso modo, secondo la diversità di ordini, di compiti, e di partecipazione attiva.[88] In questo modo il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato”,[89] manifesta il proprio coerente e gerarchico ordine».[90] «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo».[91]

[37.] Tutti i fedeli, liberati dai propri peccati e incorporati nella Chiesa con il Battesimo,dal carattere loro impresso sono abilitati al culto della religione cristiana,[92] affinché in virtù del loro regale sacerdozio,[93] perseverando nella preghiera e lodando Dio,[94] si manifestino come vittima viva, santa, gradita a Dio e provata in tutte le loro azioni,[95] diano dovunque testimonianza di Cristo e a chi la richieda rendano ragione della loro speranza di vita eterna.[96]

Pertanto, anche la partecipazione dei fedeli laici alla celebrazione dell’Eucaristia e degli altri riti della Chiesa non può essere ridotta ad una mera presenza, per di più passiva, ma va ritenuta un vero esercizio della fede e della dignità battesimale.

[38.] L’ininterrotta dottrina della Chiesa sulla natura non soltanto conviviale, ma anche e soprattutto sacrificale dell’Eucaristia va giustamente considerata tra i principali criteri per una piena partecipazione di tutti i fedeli a un così grande sacramento.[97] «Spogliato del suo valore sacrificale, il mistero viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un qualsiasi incontro conviviale e fraterno».[98]

[39.] Per promuovere ed evidenziare la partecipazione attiva, la recente riforma dei libri liturgici ha favorito, secondo le intenzioni del Concilio, le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti, nonché le azioni o i gesti e l’atteggiamento del corpo e ha provveduto a far osservare a tempo debito il sacro silenzio, prevedendo nelle rubriche anche le parti spettanti ai fedeli.[99] Ampio spazio si dà, inoltre, ad una appropriata libertà di adattamento fondata sul principio che ogni celebrazione risponda alle necessità, alla capacità, alla preparazione dell’animo e all’indole dei partecipanti, secondo le facoltà stabilite dalle norme liturgiche. Nella scelta dei canti, delle melodie, delle orazioni e delle letture bibliche, nel pronunciare l’omelia, nel comporre la preghiera dei fedeli, nel rivolgere talora le monizioni e nell’ornare secondo i vari tempi la chiesa esiste ampia possibilità di introdurre in ogni celebrazione una certa varietà che contribuisca a rendere maggiormente evidente la ricchezza della tradizione liturgica e a conferire accuratamente una connotazione particolare alla celebrazione, tenendo conto delle esigenze pastorali, così da favorire la partecipazione interiore. Va, tuttavia, ricordato che l’efficacia delle azioni liturgiche non sta nella continua modifica dei riti, ma nell’approfondimento della parola di Dio e del mistero celebrato.[100]

[40.] Tuttavia, benché la celebrazione della Liturgia possieda indubbiamente tale connotazione di partecipazione attiva di tutti i fedeli, non ne consegue, come per logica deduzione, che tutti debbano materialmente compiere qualcosa oltre ai previsti gesti ed atteggiamenti del corpo, come se ognuno debba necessariamente assolvere ad uno specifico compito liturgico. La formazione catechetica provveda, piuttosto, con cura a correggere nozioni e usi superficiali in merito diffusi in alcuni luoghi negli ultimi anni e a risvegliare sempre nei fedeli un rinnovato senso di grande ammirazione davanti alla profondità di quel mistero di fede che è l’Eucaristia, nella cui celebrazione la Chiesa passa «dal vecchio al nuovo» ininterrottamente.[101] Nella celebrazione dell’Eucaristia, infatti, come pure in tutta la vita cristiana, che da essa trae forza e ad essa tende, la Chiesa, come san Tommaso Apostolo, si prostra in adorazione davanti al Signore crocifisso, morto, sepolto e risorto «nella grandezza del suo divino splendore e esclama in eterno: “Signore mio e Dio mio!”».[102]

[41.] Per suscitare, promuovere e alimentare il senso interiore della partecipazione liturgica risultano particolarmente utili la celebrazione assidua ed estesa della Liturgia delle Ore, l’uso dei sacramentali e gli esercizi della pietà popolare cristiana. Tali esercizi, «che, sebbene non riguardino a rigore di diritto la sacra Liturgia, sono invero provvisti di particolare importanza e dignità», vanno ritenuti, soprattutto quando risultano elogiati e approvati dallo stesso Magistero,[103] dotati di un qualche legame con il contesto liturgico, come è specialmente per la preghiera del Rosario.[104] Poiché, inoltre, queste opere di pietà guidano il popolo cristiano alla partecipazione ai sacramenti, e in particolar modo all’Eucaristia, «nonché alla meditazione dei misteri della nostra redenzione e all’imitazione degli insigni esempi dei santi in cielo, esse allora ci rendono partecipi del culto liturgico non senza giovamento di salvezza».[105]

[42.] È necessario comprendere che la Chiesa non si riunisce per umana volontà, ma è convocata da Dio nello Spirito Santo, e risponde per mezzo della fede alla sua vocazione gratuita: il termine ekklesía rimanda, infatti, a klesis, che significa “chiamata”.[106] Il sacrificio eucaristico non va poi ritenuto come «concelebrazione» in senso univoco del Sacerdote insieme con il popolo presente.[107] Al contrario, l’Eucaristia celebrata dai Sacerdoti è un dono «che supera radicalmente il potere dell’assemblea […]. La comunità che si riunisce per la celebrazione dell’Eucaristia necessita assolutamente di un Sacerdote ordinato che la presieda per poter essere veramente assemblea eucaristica. D’altra parte, la comunità non è in grado di darsi da sola il ministro ordinato».[108] È assolutamente necessaria la volontà comune di evitare ogni ambiguità in materia e portare rimedio alle difficoltà insorte negli ultimi anni. Pertanto, si usino soltanto con cautela locuzioni quali «comunità celebrante» o «assemblea celebrante», o in altre lingue moderne «celebrating assembly», «asamblea celebrante», «assemblée célébrante», e simili.

2. I compiti dei fedeli laici nella celebrazione della Messa

[43.] È giusto e lodevole che per il bene della comunità e di tutta la Chiesa di Dio alcuni fedeli laici svolgano secondo la tradizione alcuni compiti attinenti alla celebrazione della sacra Liturgia.[109] Conviene che siano più persone a distribuirsi tra loro o a svolgere i vari uffici o le varie parti dello stesso ufficio.[110]

[44.] Oltre ai ministeri istituiti dell’accolito e del lettore,[111] tra i suddetti uffici particolari vi sono quelli dell’accolito[112] e del lettore[113] per incarico temporaneo, ai quali sono congiunti gli altri uffici descritti nel Messale Romano,[114] nonché i compiti di preparare le ostie, di pulire i lini e simili. Tutti«sia ministri ordinati sia fedeli laici, esercitando il loro ministero o ufficio, compiano solo e tutto ciò che è di loro competenza»[115] e tanto nella stessa celebrazione liturgica quanto nella sua preparazione facciano sì che la Liturgia della Chiesa si svolga con dignità e decoro.

[45.] Si deve evitare il rischio di oscurare la complementarietà tra l’azione dei chierici e quella dei laici, così da sottoporre il ruolo dei laici a una sorta, come si suol dire, di «clericalizzazione», mentre i ministri sacri assumono indebitamente compiti che sono propri della vita e dell’azione dei fedeli laici.[116]

[46.] Il fedele laico chiamato a prestare il suo aiuto nelle celebrazioni liturgiche occorre che sia debitamente preparato e che si distingua per vita cristiana, fede, condotta e fedeltà al Magistero della Chiesa. È bene che costui abbia ricevuto una congrua formazione liturgica, secondo la sua età, condizione, genere di vita e cultura religiosa.[117] Non si scelga nessuno, la cui designazione possa destare meraviglia tra i fedeli.[118]

[47.] È veramente ammirevole che persista la nota consuetudine che siano presenti dei fanciulli o dei giovani, chiamati di solito «ministranti», che prestino servizio all’altare alla maniera dell’accolito, e abbiano ricevuto, secondo le loro capacità, una opportuna catechesi riguardo al loro compito.[119] Non si deve dimenticare che dal novero di questi fanciulli è scaturito nel corso dei secoli un cospicuo numero di ministri sacri.[120] Si istituiscano o promuovano per essi delle associazioni, anche con la partecipazione e l’aiuto dei genitori, con le quali si provveda più efficacemente alla cura pastorale dei ministranti. Quando tali associazioni assumono carattere internazionale, spetta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigerle o esaminare e approvare i loro statuti.[121] A tale servizio dell’altare si possono ammettere fanciulle o donne a giudizio del Vescovo diocesano e nel rispetto delle norme stabilite.[122]



Capitolo III

LA RETTA CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA

1. La materia della Santissima Eucaristia

[48.] Il pane utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere azimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente, in modo che non ci sia alcun rischio di decomposizione.[123] Ne consegue, dunque, che quello preparato con altra materia, anche se cereale, o quello a cui sia stata mescolata materia diversa dal frumento, in quantità tale da non potersi dire, secondo la comune estimazione, pane di frumento, non costituisce materia valida per la celebrazione del sacrificio e del sacramento eucaristico.[124] È un grave abuso introdurre nella confezione del pane dell’Eucaristia altre sostanze, come frutta, zucchero o miele. Va da sé che le ostie devono essere confezionate da persone che non soltanto si distinguano per onestà, ma siano anche esperte nel prepararle e fornite di strumenti adeguati.[125]

[49.] In ragione del segno espresso, conviene che qualche parte del pane eucaristico ottenuto dalla frazione sia distribuito almeno a qualche fedele al momento della Comunione. «Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei comunicandi, o altre ragioni pastorali lo esigano»;[126] si usino, anzi, di solito particole per lo più piccole, che non richiedano ulteriore frazione.

[50.] Il vino utilizzato nella celebrazione del santo sacrificio eucaristico deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee.[127] Nella stessa celebrazione della Messa va mescolata ad esso una modica quantità di acqua. Con la massima cura si badi che il vino destinato all’Eucaristia sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto.[128] È assolutamente vietato usare del vino, sulla cui genuinità e provenienza ci sia dubbio: la Chiesa esige, infatti, certezza rispetto alle condizioni necessarie per la validità dei sacramenti. Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida.

2. La Preghiera eucaristica

[51.] Si usino soltanto le Preghiere eucaristiche che si trovano nel Messale Romano o legittimamente approvate dalla Sede Apostolica secondo i modi e i termini da essa definiti. «Non si può tollerare che alcuni Sacerdoti si arroghino il diritto di comporre preghiere eucaristiche»[129] o modificare il testo di quelle approvate dalla Chiesa,né adottarne altre composte da privati.[130]

[52.] La recita della Preghiera eucaristica, che per sua stessa natura è come il culmine dell’intera celebrazione, è propria del Sacerdote, in forza della sua ordinazione. È, pertanto, un abuso far sì che alcune parti della Preghiera eucaristica siano recitate da un Diacono, da un ministro laico oppure da uno solo o da tutti i fedeli insieme. La Preghiera eucaristica deve, dunque, essere interamente recitata dal solo Sacerdote.[131]

[53.] Mentre il Sacerdote celebrante recita la Preghiera eucaristica,«non si sovrappongano altre orazioni o canti, e l’organo o altri strumenti musicali tacciano»,[132] salvo che per le acclamazioni del popolo debitamente approvate, di cui si veda più avanti.

[54.] Il popolo, tuttavia, prende parte sempre attivamente e mai in modo meramente passivo:al Sacerdote«si associ con fede e in silenzio, ed anche con gli interventi stabiliti nel corso della Preghiera eucaristica, quali sono le risposte nel dialogo del Prefazio, il Santo, l’acclamazione dopo la consacrazione e l’Amen dopo la dossologia finale, ed altre acclamazioni approvate dalla Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Santa Sede».[133]

[55.] In alcuni luoghi è invalso l’abuso per cui il Sacerdote spezza l’ostia al momento della consacrazione durante la celebrazione della santa Messa. Tale abuso si compie, però, contro la tradizione della Chiesa e va riprovato e molto urgentemente corretto.

[56.] Non si ometta nella Preghiera eucaristica il ricordo del nome del Sommo Pontefice e del Vescovo diocesano, per conservare un’antichissima tradizione e manifestare la comunione ecclesiale. Infatti, «lo stesso radunarsi insieme della comunità eucaristica è anche comunione con il proprio Vescovo e con il Romano Pontefice».[134]

3. Le altre parti della Messa

[57.] È diritto della comunità dei fedeli che ci siano regolarmente, soprattutto nella celebrazione domenicale, una adeguata e idonea musica sacra e, sempre, un altare, dei paramenti e sacri lini che splendano, secondo le norme, per dignità, decoro e pulizia.

[58.] Parimenti, tutti i fedeli hanno il diritto che la celebrazione dell’Eucaristia sia diligentemente preparata in tutte le sue parti, in modo tale che in essa sia degnamente ed efficacemente proclamata e illustrata la parola di Dio, sia esercitata con cura, secondo le norme, la facoltà di scelta dei testi liturgici e dei riti, e nella celebrazione della Liturgia sia debitamente custodita e alimentata la loro fede nelle parole dei canti.

[59.] Si ponga fine al riprovevole uso con il quale i Sacerdoti, i Diaconi o anche i fedeli mutano e alterano a proprio arbitrio qua e là i testi della sacra Liturgia da essi pronunciati. Così facendo, infatti, rendono instabile la celebrazione della sacra Liturgia e non di rado ne alterano il senso autentico.

[60.] Nella celebrazione della Messa la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica sono strettamente congiunte tra loro e formano un solo atto di culto. Pertanto, non è lecito separare una parte dall’altra, celebrandole in tempi e luoghi differenti.[135] Inoltre, non è lecito eseguire singole sezioni della santa Messa in vari momenti anche di uno stesso giorno.

[61.] Nello scegliere le letture bibliche da proclamare nella celebrazione della Messa, si seguano le norme che si trovano nei libri liturgici,[136] affinché realmente«la mensa della Parola di Dio sia imbandita ai fedeli con maggiore abbondanza e vengano ad essi aperti più largamente i tesori della Bibbia».[137]

[62.] Non è permesso omettere o sostituire di propria iniziativa le letture bibliche prescritte né sostituire specialmente «le letture e il salmo responsoriale, che contengono la parola di Dio, con altri testi non biblici».[138]

[63.] La lettura del Vangelo, che«costituisce il culmine della Liturgia della Parola»,[139] è riservata, secondo la tradizione della Chiesa, nella celebrazione della sacra Liturgia al ministro ordinato.[140] Non è pertanto consentito a un laico, anche religioso, proclamare il Vangelo durante la celebrazione della santa Messa e neppure negli altri casi in cui le norme non lo permettano esplicitamente.[141]

[64.] L’omelia, che si tiene nel corso della celebrazione della santa Messa ed è parte della stessa Liturgia,[142] «di solito è tenuta dallo stesso Sacerdote celebrante o da lui affidata a un Sacerdote concelebrante, o talvolta, secondo l’opportunità, anche al Diacono, mai però a un laico.[143] In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche da un Vescovo o da un Presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare».[144]

[65.] Va ricordato che, in base a quanto prescritto dal canone 767, § 1, si ritiene abrogata ogni precedente norma che abbia consentito a fedeli non ordinati di tenere l’omelia durante la celebrazione eucaristica.[145] Tale prassi è, di fatto, riprovata e non può, pertanto, essere accordata in virtù di alcuna consuetudine.

[66.] Il divieto di ammissione dei laici alla predicazione durante la celebrazione della Messa vale anche per i seminaristi, per gli studenti di discipline teologiche, per quanti abbiano ricevuto l’incarico di «assistenti pastorali», e per qualsiasi altro genere, gruppo, comunità o associazione di laici.[146]

[67.] Soprattutto, si deve prestare piena attenzione affinché l’omelia si incentri strettamente sul mistero della salvezza, esponendo nel corso dell’anno liturgico sulla base delle letture bibliche e dei testi liturgici i misteri della fede e le regole della vita cristiana e offrendo un commento ai testi dell’Ordinario o del Proprio della Messa o di qualche altro rito della Chiesa.[147] Va da sé che tutte le interpretazioni della sacra Scrittura debbano essere ricondotte a Cristo come supremo cardine dell’economia della salvezza, ma ciò avvenga tenendo anche conto dello specifico contesto della celebrazione liturgica. Nel tenere l’omelia si abbia cura di irradiare la luce di Cristo sugli eventi della vita. Ciò però avvenga in modo da non svuotare il senso autentico e genuino della parola di Dio, trattando, per esempio, solo di politica o di argomenti profani o attingendo come da fonte a nozioni provenienti da movimenti pseudo-religiosi diffusi nella nostra epoca.[148]

[68.] Il Vescovo diocesano vigili con attenzione sull’omelia,[149] facendo anche circolare tra i ministri sacri norme, lineamenti e sussidi e promovendo incontri e altre iniziative apposite, affinché essi abbiano spesso occasione di riflettere con maggiore accuratezza sulla natura dell’omelia e trovino un aiuto per quanto concerne la sua preparazione.

[69.] Non si ammetta nella santa Messa, come nelle altre celebrazioni liturgiche, un Credo o Professione di fede, che non sia inserito nei libri liturgici debitamente approvati.

[70.] Le offerte che i fedeli sono soliti presentare durante la santa Messa per la Liturgia eucaristica non si riducono necessariamente al pane e al vino per la celebrazione dell’Eucaristia, ma possono comprendere anche altri doni che vengono portati dai fedeli sotto forma di denaro o altri beni utili per la carità verso i poveri. I doni esteriori devono, tuttavia, essere sempre espressione visibile di quel vero dono che il Signore aspetta da noi: un cuore contrito e l’amore di Dio e del prossimo, per mezzo del quale siamo conformati al sacrificio di Cristo che offrì se stesso per noi. Nell’Eucaristia, infatti, risplende in sommo grado il mistero di quella carità che Gesù Cristo ha rivelato nell’Ultima Cena lavando i piedi dei discepoli. Tuttavia, a salvaguardia della dignità della sacra Liturgia occorre che le offerte esteriori siano presentate in modo adeguato. Pertanto, il denaro, come pure le altre offerte per i poveri, siano collocati in un luogo adatto, ma fuori della mensa eucaristica.[150] Ad eccezione del denaro e, nel caso, in ragione del segno, di una minima parte degli altri doni, è preferibile che tali offerte vengano presentate al di fuori della celebrazione della Messa.

[71.] Si mantenga l’uso del Rito romano di scambiare la pace prima della santa Comunione, come stabilito nel Rito della Messa. Secondo la tradizione del Rito romano, infatti, questo uso non ha connotazione né di riconciliazione né di remissione dei peccati, ma piuttosto la funzione di manifestare pace, comunione e carità prima di ricevere la Santissima Eucaristia.[151] È, invece, l’atto penitenziale da eseguire all’inizio della Messa, in particolare secondo la sua prima forma, ad avere carattere di riconciliazione tra i fratelli.

[72.] Conviene«che ciascuno dia la pace soltanto a coloro che gli stanno più vicino, in modo sobrio».«Il Sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualche motivo ragionevole, vuol dare la pace ad alcuni fedeli». Nec fiat cantus quidam ad pacem comitandam sed sine mora procedatur ad «Agnus Dei». «Per ciò che riguarda il modo di compiere lo stesso gesto di pace, esso è stabilito dalle Conferenze dei Vescovi […] secondo l’indole e le usanze dei popoli» e confermato da parte della Sede Apostolica.[152]

[73.] Nella celebrazione della santa Messa la frazione del pane eucaristico, che va fatta soltanto ad opera del Sacerdote celebrante, con l’aiuto, se è il caso, di un Diacono o del concelebrante, ma non di un laico, inizia dopo lo scambio della pace, mentre si recita l’«Agnello di Dio». Il gesto della frazione del pane, infatti,«compiuto da Cristo nell’ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione derivante dall’unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10, 17)».[153] Il rito, pertanto, deve essere eseguito con grande rispetto.[154] Sia però breve. Si corregga molto urgentemente l’abuso invalso in alcuni luoghi di prolungare senza necessità tale rito, anche con l’aiuto di laici contrariamente alle norme, e di attribuirgli una esagerata importanza.[155]

[74.] Se vi fosse l’esigenza di fornire informazioni o testimonianze di vita cristiana ai fedeli radunati in Chiesa, è generalmente preferibile che ciò avvenga al di fuori della Messa. Tuttavia, per una grave causa, si possono offrire tali informazioni o testimonianze quando il Sacerdote abbia pronunciato la preghiera dopo la Comunione. Questo uso, tuttavia, non diventi consueto. Tali informazioni e testimonianze, inoltre, non abbiano un senso tale da poter essere confuse con l’omelia,[156] né si può a causa loro totalmente sopprimere l’omelia stessa.

4. L’unione dei vari riti con la celebrazione della Messa

[75.] Per una ragione teologica inerente alla celebrazione eucaristica o ad un rito particolare, i libri liturgici talora prescrivono o permettono la celebrazione della santa Messa unitamente a un altro rito, specialmente dei sacramenti.[157] Negli altri casi, tuttavia, la Chiesa non ammette tale collegamento, soprattutto quando si tratta di circostanze aventi indole superficiale e vana.

[76.] Inoltre, secondo l’antichissima tradizione della Chiesa romana, non è lecito unire il sacramento della Penitenza con la santa Messa in modo tale che diventi un’unica azione liturgica. Ciò non impedisce, tuttavia, che dei Sacerdoti, salvo coloro che celebrano o concelebrano la santa Messa, ascoltino le confessioni dei fedeli che lo desiderino, anche mentre si celebra la Messa nello stesso luogo, per venire incontro alle necessità dei fedeli.[158] Ciò tuttavia si svolga nella maniera opportuna.

[77.] In nessun modo si combini la celebrazione della santa Messa con il contesto di una comune cena, né la si metta in rapporto con analogo tipo di convivio. Salvo che in casi di grave necessità, non si celebri la Messa su di un tavolo da pranzo[159] o in un refettorio o luogo utilizzato per tale finalità conviviale, né in qualunque aula in cui sia presente del cibo, né coloro che partecipano alla Messa siedano a mensa nel corso stesso della celebrazione. Se per grave necessità si dovesse celebrare la Messa nello stesso luogo in cui dopo si deve cenare, si interponga un chiaro spazio di tempo tra la conclusione della Messa e l’inizio della cena e non si esibisca ai fedeli nel corso della Messa del cibo ordinario.

[78.] Non è lecito collegare la celebrazione della Messa con eventi politici o mondani o con circostanze che non rispondano pienamente al Magistero della Chiesa cattolica. Si deve, inoltre, evitare del tutto di celebrare la Messa per puro desiderio di ostentazione o di celebrarla secondo lo stile di altre cerimonie, tanto più se profane, per non svuotare il significato autentico dell’Eucaristia.

[79.] Infine, va considerato nel modo più severo l’abuso di introdurre nella celebrazione della santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni.




Capitolo IV

LA SANTA COMUNIONE

1. Disposizioni per ricevere la santa Comunione

[80.] L’Eucaristia sia proposta ai fedeli anche «come antidoto, che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali»,[160] come è posto in luce nelle diverse parti della Messa. Quanto all’atto penitenziale collocato all’inizio della Messa, esso ha lo scopo di disporre i partecipanti perché siano in grado di celebrare degnamente i santi misteri;[161] tuttavia, «è privo dell’efficacia del sacramento della Penitenza»[162] e, per quanto concerne la remissione dei peccati gravi, non si può ritenere un sostituto del sacramento della Penitenza. I pastori di anime curino con diligenza l’istruzione catechetica, in modo che ai fedeli sia trasmesso l’insegnamento cristiano a questo riguardo.

[81.] La consuetudine della Chiesa afferma, inoltre, la necessità che ognuno esamini molto a fondo se stesso,[163] affinché chi sia conscio di essere in peccato grave non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l’opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima.[164]

[82.] Inoltre, «la Chiesa ha dato delle norme che mirano insieme a favorire l’accesso frequente e fruttuoso dei fedeli alla mensa eucaristica e a determinare le condizioni oggettive in cui ci si deve astenere del tutto dal distribuire la Comunione».[165]

[83.] È certamente la cosa migliore che tutti coloro che partecipano ad una celebrazione della santa Messa e sono forniti delle dovute condizioni ricevano in essa la santa Comunione. Talora, tuttavia, avviene che i fedeli si accostino alla sacra mensa in massa e senza il necessario discernimento. È compito dei pastori correggere con prudenza e fermezza tale abuso.

[84.] Inoltre, se si celebra la santa Messa per una grande folla o, per esempio, nelle grandi città, occorre che si faccia attenzione affinché per mancanza di consapevolezza non accedano alla santa Comunione anche i non cattolici o perfino i non cristiani, senza tener conto del Magistero della Chiesa in ambito dottrinale e disciplinare. Spetta ai pastori avvertire al momento opportuno i presenti sulla verità e sulla disciplina da osservare rigorosamente.

[85.] I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici, salvo le disposizioni del can. 844 §§ 2, 3 e 4, e del can. 861 § 2.[166] Inoltre, le condizioni stabilite dal can. 844 § 4, alle quali non può essere derogato in alcun modo,[167] non possono essere separate tra loro; è, pertanto, necessario che tutte siano sempre richieste simultaneamente.

[86.] I fedeli siano accortamente guidati alla pratica di accedere al sacramento della Penitenza al di fuori della celebrazione della Messa, soprattutto negli orari stabiliti, di modo che la sua amministrazione si svolga con tranquillità e a loro effettivo giovamento, senza che siano impediti da una attiva partecipazione alla Messa. Coloro che sono soliti comunicarsi ogni giorno o molto spesso siano istruiti in modo da accedere al sacramento della Penitenza nei tempi opportuni, secondo le possibilità di ciascuno.[168]

[87.] Si premetta sempre alla Prima Comunione dei bambini la confessione sacramentale e l’assoluzione.[169] La Prima Comunione, inoltre, sia sempre amministrata da un Sacerdote e mai al di fuori della celebrazione della Messa. Salvo casi eccezionali, è poco appropriato amministrarla il Giovedì Santo «in Cena Domini». Si scelga piuttosto un altro giorno, come le domeniche II-VI di Pasqua o la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo o le domeniche «per annum», in quanto la domenica è giustamente considerata il giorno dell’Eucaristia.[170] A ricevere l’Eucaristia non «accedano i bambini che non abbiano raggiunto l’età della ragione o che»il parroco «abbia giudicato non sufficientemente pronti».[171] Tuttavia, qualora avvenga che un bambino, in via del tutto eccezionale rispetto all’età, sia ritenuto maturo per ricevere il sacramento, non gli si rifiuti la Prima Comunione, a condizione che sia stato sufficientemente preparato.

2. La distribuzione della santa Comunione

[88.] I fedeli di solito ricevano la Comunione sacramentale dell’Eucaristia nella stessa Messa e al momento prescritto dal rito stesso della celebrazione, vale a dire immediatamente dopo la Comunione del Sacerdote celebrante.[172] Spetta al Sacerdote celebrante, eventualmente coadiuvato da altri Sacerdoti o dai Diaconi, distribuire la Comunione e la Messa non deve proseguire, se non una volta ultimata la Comunione dei fedeli. Soltanto laddove la necessità lo richieda, i ministri straordinari possono, a norma del diritto, aiutare il Sacerdote celebrante.[173]

[89.] Affinché, anche«per mezzo dei segni, la Comunione appaia meglio come partecipazione al Sacrificio che si celebra»,[174] è da preferirsi che i fedeli possano riceverla con ostie consacrate nella stessa Messa.[175]

[90.] «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza dei Vescovi»,e confermato da parte della Sede Apostolica. «Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme».[176]

[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli».[177] Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi.

[92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca,[178] se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.[179]

[93.] È necessario che si mantenga l’uso del piattino per la Comunione dei fedeli, per evitare che la sacra ostia o qualche suo frammento cada.[180]

[94.] Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano»[181] la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.

[95.] Il fedele laico «che ha già ricevuto la Santissima Eucaristia, può riceverla una seconda volta nello stesso giorno, soltanto entro la celebrazione eucaristica alla quale partecipa, salvo il disposto del can. 921 § 2».[182]

[96.] Va disapprovato l’uso di distribuire, contrariamente alle prescrizioni dei libri liturgici, a mo’ di Comunione durante la celebrazione della santa Messa o prima di essa ostie non consacrate o altro materiale commestibile o meno. Tale uso, infatti, non si concilia con la tradizione del Rito romano e reca in sé il rischio di ingenerare confusione tra i fedeli riguardo alla dottrina eucaristica della Chiesa. Se in alcuni luoghi vige, per concessione, la consuetudine particolare di benedire il pane e distribuirlo dopo la Messa, si fornisca con grande cura una corretta catechesi di questo gesto. Non si introducano, invece, altre usanze similari, né si utilizzino mai a tale scopo ostie non consacrate.

3. La Comunione dei Sacerdoti

[97.] Ogni volta che celebra la santa Messa, il Sacerdote deve comunicarsi all’altare al momento stabilito dal Messale; i concelebranti, invece, prima di procedere alla distribuzione della Comunione. Il Sacerdote celebrante o concelebrante non attenda mai per comunicarsi il termine della Comunione del popolo.[183]

[98.] La Comunione dei Sacerdoti concelebranti si svolga secondo le norme prescritte nei libri liturgici, facendo sempre uso di ostie consacrate durante la stessa Messa,[184] e ricevendo tutti i concelebranti la Comunione sotto le due specie. Si noti che, quando il Sacerdote o il Diacono amministra ai concelebranti la sacra ostia o il calice, non dice nulla, vale a dire non pronuncia le parole «Il Corpo di Cristo» o «Il Sangue di Cristo».

[99.] La Comunione sotto le due specie è sempre permessa «ai Sacerdoti,che non possono celebrare o concelebrare».[185]

4. La Comunione sotto le due specie

[100.] Al fine di manifestare ai fedeli con maggior chiarezza la pienezza del segno nel convivio eucaristico, sono ammessi alla Comunione sotto le due specie nei casi citati nei libri liturgici anche i fedeli laici, con il presupposto e l’incessante accompagnamento di una debita catechesi circa i principi dogmatici fissati in materia dal Concilio Ecumenico Tridentino.[186]

[101.] Per amministrare la santa Comunione ai fedeli laici sotto le due specie si dovrà tenere appropriatamente conto delle circostanze, sulle quali spetta anzitutto ai Vescovi diocesani dare una valutazione. Ciò si escluda assolutamente quando esista rischio, anche minimo, di profanazione delle sacre specie.[187] Per un più ampio coordinamento, occorre che le Conferenze dei Vescovi pubblichino, con la conferma da parte della Sede Apostolica, mediante la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, le norme relative soprattutto al «modo di distribuire ai fedeli la santa Comunione sotto le due specie e all’estensione della facoltà».[188]

[102.] Non si amministri ai fedeli laici il calice, laddove sia presente un numero di comunicandi tanto grande[189] che risulterebbe difficile stimare la quantità di vino necessario per l’Eucaristia e esisterebbe il rischio che «rimanga una quantità di Sangue di Cristo superiore al giusto da assumere al termine della celebrazione»,[190] né parimenti laddove l’accesso al calice può essere regolato con difficoltà o fosse richiesta una quantità sufficiente di vino, della quale solo difficilmente si può avere garanzia di provenienza e qualità, o laddove non sia disponibile un congruo numero di ministri sacri né di ministri straordinari della sacra Comunione provvisti di appropriata preparazione, o laddove una parte notevole del popolo perseveri, per varie ragioni, nel rifiutarsi di accedere al calice, facendo così venir meno in un certo qual modo il segno dell’unità.

[103.] Le norme del Messale Romano ammettono il principio che, nei casi in cui la Comunione è distribuita sotto le due specie, «il Sangue di Cristo può essere bevuto direttamente al calice, per intinzione, con la cannuccia o con il cucchiaino».[191] Quanto all’amministrazione della Comunione ai fedeli laici, i Vescovi possono escludere la modalità della Comunione con la cannuccia o il cucchiaino, laddove non sia uso locale, rimanendo comunque sempre vigente la possibilità di amministrare la Comunione per intinzione. Se però si usa questa modalità, si ricorra ad ostie che non siano né troppo sottili, né troppo piccole e il comunicando riceva dal Sacerdote il Sacramento soltanto in bocca.[192]

[104.] Non si permetta al comunicando di intingere da sé l’ostia nel calice, né di ricevere in mano l’ostia intinta. Quanto all’ostia da intingere, essa sia fatta di materia valida e sia consacrata, escludendo del tutto l’uso di pane non consacrato o di altra materia.

[105.] Se non fosse sufficiente un solo calice per distribuire la Comunione sotto le due specie ai Sacerdoti concelebranti o ai fedeli, nulla osta che il Sacerdote celebrante usi più calici.[193] Va, infatti, ricordato che tutti i Sacerdoti che celebrano la santa Messa sono tenuti a comunicarsi sotto le due specie. In ragione del segno, è lodevole servirsi di un calice principale più grande insieme ad altri calici di minori dimensioni.

[106.] Ci si astenga, tuttavia, dal riversare dopo la consacrazione il Sangue di Cristo da un vaso in un altro, per evitare qualunque cosa che possa risultare irrispettosa di così grande mistero. Per ricevere il Sangue del Signore non si utilizzino in nessun caso brocche, crateri o altri vasi non integralmente rispondenti alle norme stabilite.

[107.] Secondo la normativa stabilita dai canoni, «chi getta via le specie consacrate, oppure le asporta o le conserva a scopo sacrilego, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale».[194] All’interno di questo caso si deve considerare annoverabile qualunque azione volontariamente e gravemente volta a dispregio delle sacre specie. Se, pertanto, qualcuno agisce contro le suddette norme, gettando ad esempio le sacre specie nel sacrario o in luogo indegno o a terra, incorre nelle pene stabilite.[195] Tengano, inoltre, tutti presente che, al termine della distribuzione della santa Comunione durante la celebrazione della Messa, vanno osservate le prescrizioni del Messale Romano, e soprattutto che quanto eventualmente resta del Sangue di Cristo deve essere subito interamente consumato dal Sacerdote o, secondo le norme, da un altro ministro, mentre le ostie consacrate avanzate vengano o immediatamente consumate all’altare dal Sacerdote o portate in un luogo appositamente destinato a conservare l’Eucaristia.[196]





Capitolo V

ALTRI ASPETTI RIGUARDANTI L’EUCARISTIA

1. Il luogo della celebrazione della santa Messa

[108.] «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro, a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso, la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso».[197] Su tale necessità sarà, di norma, il Vescovo diocesano a valutare secondo il caso per la propria diocesi.

[109.] Non è mai consentito a un Sacerdote celebrare nel tempio o luogo sacro di una religione non cristiana.


2. Circostanze varie relative alla santa Messa

[110.] «Sempre memori che nel mistero del Sacrificio eucaristico viene esercitata ininterrottamente l’opera della redenzione, i Sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è un atto di Cristo e della Chiesa, nella cui celebrazione i Sacerdoti adempiono il loro principale compito».[198]

[111.] Un Sacerdote sia ammesso a celebrare o concelebrare l’Eucaristia «anche se sconosciuto al rettore della chiesa, purché esibisca la lettera commendatizia» della Sede Apostolica o del suo Ordinario o del suo Superiore, data almeno entro l’anno, «oppure si possa prudentemente ritenere che non sia impedito di celebrare».[199] I Vescovi provvedano che abitudini contrarie siano eliminate.

[112.] La Messa si celebra o in lingua latina o in altra lingua, purché si faccia ricorso a testi liturgici approvati a norma del diritto. Salvo le celebrazioni della Messa che devono essere svolte nella lingua del popolo secondo gli orari e i tempi stabiliti dall’autorità ecclesiastica, è consentito sempre e ovunque ai Sacerdoti celebrare in latino.[200]

[113.] Quando la Messa è concelebrata da più Sacerdoti, nel pronunciare la Preghiera eucaristica si usi la lingua conosciuta sia da tutti i Sacerdoti concelebranti sia dal popolo riunito. Qualora avvenga che vi siano tra i Sacerdoti alcuni che non conoscono la lingua della celebrazione, cosicché non possono debitamente pronunciare le parti della Preghiera eucaristica che sono loro proprie, essi non concelebrino, ma preferibilmente assistano secondo le norme alla celebrazione indossando l’abito corale.[201]

[114.] «Nelle Messe domenicali della parrocchia, in quanto ‘comunità eucaristica’, è normale poi che si ritrovino i vari gruppi, movimenti, associazioni, le stesse piccole comunità religiose in essa presenti».[202] Benché sia possibile, a norma del diritto, celebrare la Messa per gruppi particolari, ciononostante tali gruppi non sono dispensati dalla fedele osservanza delle norme liturgiche.[203]

[115.] Va riprovato l’abuso di sospendere in modo arbitrario la celebrazione della santa Messa per il popolo, contro le norme del Messale Romano e la sana tradizione del Rito romano, con il pretesto di promuovere «il digiuno eucaristico».

[116.] Non si moltiplichino le Messe, contro la norma del diritto, e, quanto alle offerte per l’intenzione della Messa, si osservino tutte le regole comunque vigenti in forza del diritto.[204]

3. I vasi sacri

[117.] I vasi sacri destinati ad accogliere il Corpo e il Sangue del Signore, siano rigorosamente foggiati a norma di tradizione e dei libri liturgici.[205] È data facoltà alle Conferenze dei Vescovi di stabilire, con la conferma della Santa Sede, se sia opportuno che i vasi sacri siano fabbricati anche con altri materiali solidi. Tuttavia, si richiede strettamente che tali materiali siano davvero nobili secondo il comune giudizio di ciascuna regione,[206] di modo che con il loro uso si renda onore al Signore e si eviti completamente il rischio di sminuire agli occhi dei fedeli la dottrina della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche. È pertanto riprovevole qualunque uso, per il quale ci si serva nella celebrazione della Messa di vasi comuni o piuttosto scadenti quanto alla qualità o privi di qualsiasi valore artistico, ovvero di semplici cestini o altri vasi in vetro, argilla, creta o altro materiale facilmente frangibile. Ciò vale anche per i metalli e altri materiali facili ad alterarsi.[207]

[118.] I vasi sacri, prima di essere usati, devono essere benedetti dal Sacerdote secondo i riti prescritti nei libri liturgici.[208] È lodevole che la benedizione sia impartita dal Vescovo diocesano, che valuterà se i vasi siano adatti all’uso a cui sono destinati.

[119.] Il Sacerdote, ritornato all’altare dopo la distribuzione della Comunione, stando in piedi all’altare o a un tavolo purifica la patena o la pisside al di sopra del calice, secondo le prescrizioni del Messale, e asciuga il calice con il purificatoio. Se è presente il Diacono, questi torna all’altare insieme al Sacerdote e purifica lui i vasi. È tuttavia consentito, specialmente se sono numerosi, lasciare i vasi sacri da purificare opportunamente coperti sull’altare o sulla credenza sul corporale e che il Sacerdote o il Diacono li purificano subito dopo la Messa, una volta congedato il popolo. Parimenti, l’accolito istituito aiuta il Sacerdote o il Diacono a purificare e sistemare i vasi sacri sia all’altare sia alla credenza. In assenza del Diacono l’accolito istituito porta alla credenza i vasi sacri e li purifica, li asciuga e li sistema come al solito.[209]

[120.] I pastori abbiano cura di mantenere costantemente puliti i lini della mensa sacra, e in particolare quelli destinati ad accogliere le sacre specie, e di lavarli piuttosto di frequente secondo la prassi tradizionale. È lodevole che l’acqua del primo lavaggio, che va eseguito a mano, si versi nel sacrario della chiesa o a terra in un luogo appropriato. Successivamente, si può effettuare un nuovo lavaggio nel modo consueto.

4. Le vesti liturgiche

[121.] «La varietà dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con mezzi esterni, da un lato la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati, e dall’altro il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell’anno liturgico».[210] In realtà, la differenza«di compiti nella celebrazione della sacra Liturgia, si manifesta esteriormente con la diversità delle vesti sacre. Conviene che tali vesti sacre contribuiscano anche al decoro della stessa azione sacra».[211]

[122.] «Il camice è stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Prima di indossare il camice, se questo non copre l’abito comune attorno al collo, si usi l’amitto».[212]

[123.] «Nella Messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con essa, veste propria del Sacerdote celebrante è la casula o pianeta, se non viene indicato diversamente, da indossarsi sopra il camice e la stola».[213] Parimenti, il Sacerdote che porta la casula secondo le rubriche non tralasci di indossare la stola. Tutti gli Ordinari provvedano che ogni uso contrario sia eliminato.

[124.] Nel Messale Romano si dà facoltà ai Sacerdoti che concelebrano la Messa accanto al celebrante principale, il quale indossi sempre la casula del colore prescritto, di poter omettere, in presenza di una giusta causa, come ad esempio il numero piuttosto elevato di concelebranti e la mancanza di paramenti, «la casula o la pianeta, facendo uso della stola sopra il camice».[214] Qualora tuttavia fosse possibile prevedere tale situazione, si provveda in merito per quanto possibile. Coloro che concelebrano possono anch’essi, oltre al celebrante principale, vestire per necessità la casula di colore bianco. Per il resto, si osservino le norme dei libri liturgici.

[125.] Veste propria del Diacono è la dalmatica, da indossarsi sopra il camice e la stola. Al fine di preservare una insigne tradizione della Chiesa, è lodevole non valersi della facoltà di omettere la dalmatica.[215]

[126.] È riprovevole l’abuso per cui i ministri sacri, anche quando partecipa un solo ministro, celebrano la santa Messa, contrariamente alle prescrizioni dei libri liturgici, senza vesti sacre o indossando la sola stola sopra la cocolla monastica o il normale abito religioso o un vestito ordinario.[216] Gli Ordinari provvedano a correggere quanto prima tali abusi e a far sì che in tutte le chiese e gli oratori sotto la propria giurisdizione sia presente un congruo numero di vesti liturgiche realizzate secondo le norme.

[127.] Nei libri liturgici si dà speciale facoltà di utilizzare nei giorni più solenni le sacre vesti festive, ovvero di maggiore dignità, anche se non siano del colore del giorno.[217] Tale facoltà, tuttavia, riguardando propriamente vesti tessute molti anni or sono al fine di preservare il patrimonio della Chiesa, viene estesa impropriamente a innovazioni in modo tale che, lasciando da parte gli usi tramandati, si assumono forme e colori secondo gusti soggettivi e si menoma il senso di tale norma a detrimento della tradizione. In occasione di un giorno festivo, vesti sacre di color oro o argento possono sostituire, secondo opportunità, quelle di altro colore, ma non le vesti violacee e nere.

[128.] La Santa Messa e le altre celebrazioni liturgiche, che sono azioni di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente costituito, siano ordinate in modo tale che i sacri ministri e i fedeli laici vi possano chiaramente partecipare secondo la propria condizione. È preferibile dunque«che i presbiteri presenti alla celebrazione eucaristica, se non sono scusati da una giusta causa, esercitino di solito il ministero del proprio Ordine e quindi partecipino come concelebranti, indossando le sacre vesti. Diversamente indossano il proprio abito corale o la cotta sopra la veste talare».[218] Non è decoroso, salvo motivate eccezioni, che essi partecipino alla Messa, quanto all’aspetto esterno, alla maniera di fedeli laici.




Capitolo VI

LA CONSERVAZIONE DELLA SANTISSIMA EUCARISTIA
E IL SUO CULTO FUORI DELLA MESSA

1. La conservazione della Santissima Eucaristia

[129.] «La celebrazione dell’Eucaristia nel Sacrificio della Messa è veramente l’origine e il fine del culto eucaristico fuori della Messa. Dopo la Messa si conservano le sacre specie soprattutto perché i fedeli, e in modo particolare i malati e gli anziani che non possono essere presenti alla Messa, si uniscano, per mezzo della Comunione sacramentale, a Cristo e al suo sacrificio, immolato e offerto nella Messa».[219] Questa conservazione, inoltre, permette anche la pratica di adorare questo grande Sacramento e di prestare ad esso il culto di latria, che si deve a Dio. È necessario, pertanto, che si promuovano certe forme cultuali di adorazione non solo privata ma anche pubblica e comunitaria istituite o approvate validamente dalla stessa Chiesa.[220]

[130.] «Secondo la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini locali, il Santissimo Sacramento sia conservato nel tabernacolo in una parte della chiesa di particolare dignità, elevata, ben visibile e decorosamente ornata», nonché, in virtù della tranquillità del luogo, dello spazio davanti al tabernacolo e della presenza di panche o sedie e inginocchiatoi, «adatta alla preghiera».[221] Si attenda, inoltre, con cura a tutte le prescrizioni dei libri liturgici e alla norma del diritto,[222] specialmente al fine di evitare il pericolo di profanazione.[223]

[131.] Oltre a quanto prescritto dal can. 934 § 1, è vietato conservare il Santissimo Sacramento in un luogo non soggetto alla sicura autorità del Vescovo diocesano o dove esista pericolo di profanazione. In questo caso, il Vescovo diocesano revochi immediatamente la facoltà di conservazione dell’Eucaristia precedentemente concessa.[224]

[132.] Nessuno porti a casa o in altro luogo la Santissima Eucaristia, contrariamente alla norma del diritto. Si tenga, inoltre, presente che il sottrarre o ritenere a fine sacrilego o il gettar via le specie consacrate sono atti che rientrano in quei graviora delicta, la cui assoluzione è riservata alla Congregazione per la Dottrina della Fede.[225]

[133.] Il Sacerdote o il Diacono o il ministro straordinario che, in assenza o sotto impedimento del ministro ordinario, trasporta la Santissima Eucaristia per amministrare la Comunione a un malato, si rechi dal luogo in cui il Sacramento è conservato fino al domicilio del malato lungo un tragitto possibilmente diretto e tralasciando ogni altra occupazione, in modo da evitare qualsiasi rischio di profanazione e riservare la massima riverenza al Corpo di Cristo. Si osservi sempre il rito dell’amministrazione della Comunione ai malati come prescritto nel Rituale Romano. [226]

2. Alcune forme di culto della Santissima Eucaristia fuori della Messa

[134.] «Il culto all’Eucaristia fuori della Messa è di valore inestimabile nella vita della Chiesa. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione del Sacrificio eucaristico».[227] Pertanto, si promuova con impegno la pietà sia pubblica sia privata verso la Santissima Eucaristia anche al di fuori della Messa, affinché dai fedeli sia reso culto di adorazione a Cristo veramente e realmente presente,[228] il quale è «Sommo Sacerdote dei beni futuri»[229] e Redentore dell’universo. «Spetta ai Pastori incoraggiare, anche con la testimonianza personale, il culto eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento, nonché la sosta adorante davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche».[230]

[135.] I fedeli «durante il giorno non omettano di fare la visita al Santissimo Sacramento, in quanto prova di gratitudine, segno d’amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente».[231] L’adorazione di Gesù presente nel Santissimo Sacramento, infatti, in quanto Comunione di desiderio, unisce fortemente il fedele a Cristo, come risplende dall’esempio di numerosi santi.[232] «Se non vi si oppone una grave ragione, la chiesa nella quale viene conservata la Santissima Eucaristia, resti aperta ai fedeli almeno per qualche ora al giorno, affinché possano trattenersi in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento». [233]

[136.] L’Ordinario incoraggi molto vivamente l’adorazione eucaristica, sia breve sia prolungata o quasi continua, con il concorso del popolo. Negli ultimi anni, infatti, in molti «luoghi l’adorazione quotidiana del Santissimo Sacramento ha guadagnato ampio spazio e diviene fonte inesauribile di santità», benché vi siano anche luoghi «dove va registrata una quasi totale noncuranza del culto dell’adorazione eucaristica».[234]

[137.] L’esposizione della Santissima Eucaristia sia compiuta sempre secondo le prescrizioni dei libri liturgici.[235] Non si escluda anche la recita del Rosario, mirabile «nella sua semplicità ed elevatezza»,[236] dinanzi al Santissimo Sacramento conservato o esposto. Tuttavia, soprattutto quando si fa l’esposizione, si ponga in luce l’indole di questa preghiera come contemplazione dei misteri della vita di Cristo Redentore e del disegno di salvezza del Padre onnipotente, utilizzando in particolare letture desunte dalla sacra Scrittura.[237]

[138.] Comunque, il Santissimo Sacramento non deve mai rimanere esposto, anche per brevissimo tempo, senza sufficiente custodia. Si faccia, dunque, in modo che, in tempi stabiliti, alcuni fedeli siano sempre presenti almeno a turno.

[139.] Se il Vescovo diocesano ha ministri sacri o altri destinabili a tale funzione, è diritto dei fedeli fare spesso visita al Santissimo Sacramento per l’adorazione e prendere parte almeno qualche volta nel corso dell’anno all’adorazione della Santissima Eucaristia esposta.

[140.] È particolarmente raccomandabile che nelle città o almeno nei comuni di maggiori dimensioni il Vescovo diocesano designi una chiesa per l’adorazione perpetua, in cui però si celebri frequentemente, e per quanto possibile anche quotidianamente, la santa Messa, interrompendo rigorosamente l’esposizione nel momento in cui si svolge la funzione.[238] È opportuno che l’ostia da esporre durante l’adorazione sia consacrata nella Messa che precede immediatamente il tempo dell’adorazione e sia posta nell’ostensorio sopra l’altare dopo la Comunione.[239]

[141.] Il Vescovo diocesano riconosca e, secondo le possibilità, incoraggi i fedeli nel loro diritto di costituire confraternite ed associazioni per la pratica dell’adorazione anche perpetua. Nei casi in cui tali associazioni assumono indole internazionale, spetta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigerle o approvare i loro statuti.[240]

3. Le processioni e i Congressi eucaristici

[142.] «Spetta al Vescovo diocesano stabilire delle direttive circa le processioni, con cui provvedere alla loro partecipazione e dignità»,[241] e promuovere l’adorazione dei fedeli.

[143.] «Ove, a giudizio del Vescovo diocesano, è possibile, si svolga, quale pubblica testimonianza di venerazione verso la Santissima Eucaristia e specialmente nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo, la processione condotta attraverso le pubbliche vie»,[242] perché la devota «partecipazione dei fedeli alla processione eucaristica nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo è una grazia del Signore che ogni anno riempie di gioia chi vi partecipa».[243]

[144.] Benché in alcuni luoghi ciò non risulti possibile, occorre tuttavia che non vada perduta la tradizione di svolgere le processioni eucaristiche. Si cerchino, piuttosto, nuove maniere di praticarle nelle circostanze attuali, come ad esempio presso i santuari, all’interno di proprietà ecclesiastiche o, con il permesso dell’autorità civile, nei giardini pubblici.

[145.] Va considerata di grande valore l’utilità pastorale dei Congressi eucaristici, i quali «occorre siano segno vero di fede e carità».[244] Siano essi preparati con diligenza e svolti secondo quanto stabilito,[245] affinché sia dato ai fedeli di venerare i sacri misteri del Corpo e del Sangue del Figlio di Dio in modo da sentire incessantemente in se stessi il frutto della redenzione.[246]





Capitolo VII

I COMPITI STRAORDINARI DEI FEDELI LAICI

[146.] Il sacerdozio ministeriale non può essere in nessun modo sostituito. Se, infatti, in una comunità manca il Sacerdote, essa è priva dell’esercizio della funzione sacramentale di Cristo, Capo e Pastore, che appartiene all’essenza stessa della vita della comunità.[247] Infatti, «il ministro, che può celebrare in persona Christi il sacramento dell’Eucaristia, è solo il Sacerdote validamente ordinato».[248]

[147.] Se tuttavia il bisogno della Chiesa lo richiede, in mancanza dei ministri sacri, i fedeli laici possono, a norma del diritto, supplirlo in alcune mansioni liturgiche.[249] Questi fedeli sono chiamati e delegati a svolgere determinati compiti, di maggiore e di minore importanza, sostenuti dalla grazia del Signore. Molti fedeli laici si sono già dedicati e si dedicano tuttora sollecitamente a tale servizio, soprattutto nelle terre di missione, dove la Chiesa ha ancora poca diffusione o si trova in condizioni di persecuzione,[250] ma anche in altre regioni colpite dalla scarsità di Sacerdoti e Diaconi.

[148.] In particolar modo, di grande importanza va considerata l’istituzione dei catechisti, che hanno fornito e forniscono con grande impegno un aiuto unico e assolutamente necessario alla diffusione della fede e della Chiesa.[251]

[149.] In alcune diocesi di più antica evangelizzazione molto di recente sono stati incaricati come «assistenti pastorali» dei fedeli laici, moltissimi dei quali hanno senza dubbio giovato al bene della Chiesa, sostenendo l’azione pastorale propria del Vescovo, dei Sacerdoti e dei Diaconi. Si badi, tuttavia, che il profilo di tale compito non sia troppo assimilato alla forma del ministero pastorale dei chierici. Si deve, cioè, curare che gli «assistenti pastorali» non si assumano funzioni che spettano propriamente al ministero dei sacri ministri.

[150.] L’attività dell’assistente pastorale sia volta ad agevolare il ministero dei Sacerdoti e dei Diaconi, suscitare vocazioni al sacerdozio e al diaconato e preparare con zelo, a norma del diritto, i fedeli laici in ciascuna comunità a svolgere i vari compiti liturgici secondo la molteplicità dei carismi.

[151.] Soltanto in caso di vera necessità si dovrà ricorrere all’aiuto dei ministri straordinari nella celebrazione della Liturgia. Ciò, infatti, non è previsto per assicurare una più piena partecipazione dei laici, ma è per sua natura suppletivo e provvisorio.[252] Se, inoltre, per necessità si ricorre agli uffici dei ministri straordinari, si moltiplichino le preghiere speciali e continue al Signore, perché mandi presto un Sacerdote al servizio della comunità e susciti con abbondanza le vocazioni agli Ordini sacri.[253]

[152.] Tali funzioni meramente sostitutive non risultino, poi, pretesto di alterazione dello stesso ministero dei Sacerdoti, di modo che costoro trascurino la celebrazione della santa Messa per il popolo loro affidato, la personale sollecitudine verso i malati e la premura di battezzare i bambini, assistere ai matrimoni e celebrare le esequie cristiane, le quali spettano anzitutto ai Sacerdoti con l’aiuto dei Diaconi. Non avvenga, pertanto, che i Sacerdoti nelle parrocchie scambino indifferentemente le funzioni di servizio pastorale con i Diaconi o i laici, confondendo in tal modo la specificità di ognuno.

[153.] Inoltre, non è consentito ai laici assumere le funzioni o i paramenti del Diacono o del Sacerdote, né altre vesti simili ad essi.

1. Il ministro straordinario della sacra Comunione

[154.] Come è stato già ricordato, «ministro, in grado di celebrare in persona Christi il sacramento dell’Eucaristia, è il solo Sacerdote validamente ordinato».[254] Perciò il nome di «ministro dell’Eucaristia» spetta propriamente al solo Sacerdote. Anche a motivo della sacra Ordinazione, i ministri ordinari della santa Comunione sono i Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi,[255] ai quali, dunque, spetta distribuire la santa Comunione ai fedeli laici nella celebrazione della santa Messa. Si manifesti, così, correttamente e con pienezza il loro compito ministeriale nella Chiesa e si adempia il segno sacramentale.

[155.] Oltre ai ministri ordinari c’è l’accolito istituito, che è per istituzione ministro straordinario della santa Comunione anche al di fuori della celebrazione della Messa. Se inoltre ragioni di autentica necessità lo richiedano, il Vescovo diocesano può delegare, a norma del diritto,[256] allo scopo anche un altro fedele laico come ministro straordinario, ad actum o ad tempus, servendosi nella circostanza della appropriata formula di benedizione. Questo atto di deputazione, tuttavia, non ha necessariamente forma liturgica, né in alcun modo, se la avesse, può essere assimilato a una sacra Ordinazione. Soltanto in casi particolari e imprevisti, può essere dato un permesso ad actum da parte del Sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica.[257]

[156.] Questo ufficio venga inteso in senso stretto secondo la sua denominazione di ministro straordinario della santa Comunione, e non «ministro speciale della santa Comunione» o «ministro straordinario dell’Eucaristia» o «ministro speciale dell’Eucaristia», definizioni che ne amplificano indebitamente e impropriamente la portata.

[157.] Se è di solito presente un numero di ministri sacri sufficiente anche alla distribuzione della santa Comunione, non si possono deputare a questo compito i ministri straordinari della santa Comunione. In simili circostanze, coloro che fossero deputati a tale ministero, non lo esercitino. È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici.[258]

[158.] Il ministro straordinario della santa Comunione, infatti, potrà amministrare la Comunione soltanto quando mancano il Sacerdote o il Diacono, quando il Sacerdote è impedito da malattia, vecchiaia o altro serio motivo o quando il numero dei fedeli che accedono alla Comunione è tanto grande che la celebrazione stessa della Messa si protrarrebbe troppo a lungo.[259] Tuttavia, ciò si ritenga nel senso che andrà considerata motivazione del tutto insufficiente un breve prolungamento, secondo le abitudini e la cultura del luogo.

[159.] Non è in nessun modo consentito al ministro straordinario della santa Comunione delegare all’amministrazione dell’Eucaristia qualcun altro, come ad esempio un genitore, il marito o il figlio del malato che si deve comunicare.

[160.] Il Vescovo diocesano riesamini la prassi degli ultimi anni in materia e la corregga secondo opportunità o la determini con maggior chiarezza. Se per effettiva necessità tali ministri straordinari vengono deputati in maniera estesa, occorre che il Vescovo diocesano pubblichi delle norme particolari, con cui, tenendo presente la tradizione della Chiesa, stabilisca delle direttive a norma del diritto in merito all’esercizio di questo compito.

2. La predicazione

[161.] Come è stato già detto, l’omelia è per la sua importanza e natura riservata al Sacerdote o al Diacono durante la Messa.[260] Per quanto attiene ad altre forme di predicazione, se in particolari circostanze la necessità lo richiede o in specifici casi l’utilità lo esige, si possono a norma del diritto ammettere a predicare in chiesa o in un oratorio al di fuori della Messa, i fedeli laici.[261] Ciò può avvenire soltanto per l’esiguità del numero di ministri sacri in alcuni luoghi al fine di supplire ad essi e non lo si può mutare da caso di assoluta eccezionalità a fatto ordinario, né deve essere inteso come autentica promozione del laicato.[262] Va, inoltre, ricordato che la facoltà di permettere ciò, sempre ad actum, spetta agli Ordinari del luogo e non ad altri, neppure Sacerdoti o Diaconi.

3. Celebrazioni particolari che si svolgono in assenza del Sacerdote

[162.] La Chiesa, nel giorno che prende il nome di «domenica», si raduna insieme fedelmente per commemorare, specialmente con la celebrazione della Messa, la resurrezione del Signore e tutto il mistero pasquale.[263] Infatti, «nessuna comunità cristiana si edifica, se non si radica ed incardina nella celebrazione della Santissima Eucaristia».[264] Il popolo cristiano ha, dunque, il diritto che sia celebrata l’Eucaristia in proprio favore la domenica, nelle feste di precetto, negli altri giorni principali di festa e, per quanto possibile, anche quotidianamente. Se, pertanto, di domenica in una parrocchia o altra comunità di fedeli è difficile avere la celebrazione della Messa, il Vescovo diocesano valuti insieme con il presbiterio gli opportuni rimedi.[265] Tra queste soluzioni, le principali saranno quelle di chiamare altri Sacerdoti allo scopo o che i fedeli vadano nella chiesa di un luogo vicino per prendervi parte al mistero eucaristico.[266]

[163.] Tutti i Sacerdoti, ai quali sono stati affidati il sacerdozio e l’Eucaristia «per il bene» degli altri,[267] abbiano a mente che è loro dovere offrire a tutti i fedeli l’opportunità di poter soddisfare il precetto di prendere parte alla Messa di domenica.[268] Per parte loro, i fedeli laici hanno il diritto che nessun Sacerdote, se non in presenza di effettiva impossibilità, si rifiuti mai di celebrare la Messa per il popolo o rifiuti che essa sia celebrata da un altro, se non si può soddisfare in altro modo il precetto di prendere parte alla Messa di domenica e negli altri giorni stabiliti.

[164.] «Se per la mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica»,[269] il popolo cristiano ha il diritto che il Vescovo diocesano provveda, secondo le possibilità, che sia compiuta una celebrazione per la comunità stessa la domenica sotto la propria autorità e secondo le norme stabilite dalla Chiesa. Tali celebrazioni domenicali, tuttavia, vanno sempre considerate del tutto straordinarie. Pertanto, sarà cura di tutti, sia Diaconi sia fedeli laici, ai quali è assegnato un compito da parte del Vescovo diocesano all’interno di tali celebrazioni, «mantenere viva nella comunità una vera “fame” dell’Eucaristia, che conduca a non perdere nessuna occasione di avere la celebrazione della Messa, anche approfittando della presenza occasionale di un Sacerdote non impedito a celebrarla dal diritto della Chiesa».[270]

[165.] Occorre evitare con cura ogni forma di confusione tra questo tipo di riunioni e la celebrazione eucaristica.[271] I Vescovi diocesani, pertanto, valutino con prudenza se in tali riunioni si debba distribuire la santa Comunione. Per un più ampio coordinamento, la questione sia opportunamente determinata nell’ambito della Conferenza dei Vescovi, in modo da pervenire a una risoluzione, con la conferma da parte della Sede Apostolica, mediante la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Sarà preferibile, inoltre, in assenza del Sacerdote e del Diacono, che le varie parti siano distribuite tra più fedeli anziché sia un solo fedele laico a guidare l’intera celebrazione. In nessun caso è appropriato dire che un fedele laico «presiede» la celebrazione.

[166.] Parimenti, il Vescovo diocesano, al quale soltanto spetta la questione, non conceda con facilità che tali celebrazioni, soprattutto se in esse si distribuisce anche la santa Comunione, avvengano nei giorni feriali e soprattutto in luoghi in cui si è potuto o si potrà celebrare la Messa la domenica precedente o successiva. I Sacerdoti sono fermamente pregati di celebrare, secondo le possibilità, quotidianamente la santa Messa per il popolo in una delle chiese a loro affidate.

[167.] «Similmente, non si può pensare di sostituire la santa Messa domenicale con celebrazioni ecumeniche della Parola o con incontri di preghiera in comune con cristiani appartenenti alle […] Comunità ecclesiali, oppure con la partecipazione ai loro riti liturgici».[272] Se poi il Vescovo diocesano, spinto da necessità, ha permesso ad actum la partecipazione dei cattolici, i pastori badino che tra i fedeli cattolici non si ingeneri confusione quanto alla necessità di prendere parte anche in queste occasioni alla Messa di precetto, in un’altra ora della giornata.[273]

4. Coloro che sono stati dimessi dallo stato clericale

[168.] Al «chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale […] è proibito esercitare la potestà di ordine».[274] A costui, pertanto, non è consentito celebrare sotto alcun pretesto i sacramenti, salvo esclusivamente il caso di eccezionalità previsto dal diritto,[275] né è consentito ai fedeli ricorrere a lui per la celebrazione, quando non vi è giusta causa che permetta ciò a norma del can. 1335.[276] Tali persone, inoltre, non tengano l’omelia,[277] né assumano mai alcun incarico o compito nella celebrazione della sacra Liturgia, di modo che non si ingeneri confusione tra i fedeli e non ne risulti offuscata la verità.




Capitolo VIII

I RIMEDI

[169.] Quando si compie un abuso nella celebrazione della sacra Liturgia, si opera un’autentica contraffazione della Liturgia cattolica. Ha scritto san Tommaso: «incorre nel vizio di falsificazione chi per conto della Chiesa manifesta a Dio un culto contro la modalità istituita per autorità divina dalla Chiesa e consueta in essa».[278]

[170.] Al fine di porre rimedio a tali abusi, ciò «che in sommo grado urge è la formazione biblica e liturgica del popolo di Dio, dei pastori e dei fedeli»,[279] di modo che la fede e la disciplina della Chiesa in merito alla sacra Liturgia siano correttamente presentate e comprese. Se tuttavia gli abusi persistono, occorrerà procedere, a norma del diritto, a tutela del patrimonio spirituale e dei diritti della Chiesa, facendo ricorso a tutti i mezzi legittimi.

[171.] Tra i vari abusi vi sono quelli che costituiscono obiettivamente graviora delicta, gli atti gravi e altri che vanno nondimeno evitati e attentamente corretti. Tenendo conto di tutto ciò che è stato in particolar modo trattato nel Capitolo I di questa Istruzione, occorrerà prestare ora attenzione a quanto segue.

1. Graviora delicta

[172.] I graviora delicta contro la santità del Santissimo Sacrificio e sacramento dell’Eucaristia vanno trattati seguendo le «Norme relative ai graviora delicta riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede»,[280] vale a dire:

a) sottrazione o ritenzione a fine sacrilego o il gettar via le specie consacrate;[281]

b) tentata azione liturgica del Sacrificio eucaristico o sua simulazione;[282]

c) concelebrazione proibita del Sacrificio eucaristico insieme a ministri di Comunità ecclesiali i quali non hanno la successione apostolica, né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;[283]

d) consacrazione a fine sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica o anche di entrambe al di fuori della celebrazione eucaristica.[284]

2. Atti gravi

[173.] Sebbene il giudizio sulla gravità della questione vada formulato secondo la dottrina comune della Chiesa e le norme da essa stabilite, come atti gravi vanno sempre obiettivamente considerati quelli che mettono a rischio la validità e dignità della Santissima Eucaristia, ovvero quelli che contrastano con i casi precedentemente illustrati ai nn. 48-52, 56, 76-77, 79, 91-92, 94, 96, 101-102, 104, 106, 109, 111, 115, 117, 126, 131-133, 138, 153 e 168. Si deve, inoltre, fare attenzione alle prescrizioni del Codice di Diritto Canonico e in particolare a quanto stabilito dai cann. 1364, 1369, 1373, 1376, 1380, 1384, 1385, 1386 e 1398.

3. Altri abusi

[174.] Inoltre, le azioni commesse contro quelle norme, di cui si tratta altrove in questa Istruzione e nelle norme stabilite dal diritto, non vanno considerate con leggerezza, ma le si annoveri tra gli altri abusi da evitare e correggere con sollecitudine.

[175.] Quanto esposto nella presente Istruzione, come risulta chiaro, non riporta tutte le violazioni contro la Chiesa e la sua disciplina, quali sono definite nei canoni, nelle leggi liturgiche e nelle altre norme della Chiesa secondo la dottrina del Magistero o la sana tradizione. Se qualche errore viene commesso, andrà corretto a norma del diritto.

4. Il Vescovo diocesano

[176.] Il Vescovo diocesano, «essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale».[285] A lui spetta, «entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti».[286]

[177.] «Poiché deve difendere l’unità della Chiesa universale, il Vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche. Vigili che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei Santi».[287]

[178.] Pertanto, ogni qualvolta l’Ordinario del luogo o di un Istituto religioso oppure di una Società di vita apostolica abbia notizia, quanto meno verosimile, a proposito di un delitto o di un abuso riguardante la Santissima Eucaristia, indaghi con cautela, in prima persona o mediante altro chierico idoneo, sui fatti, le circostanze e l’imputabilità.

[179.] I delitti contro la fede e i graviora delicta commessi durante la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti siano segnalati senza indugio alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che li esamina «e, all’occorrenza, procede a dichiarare o ad infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio».[288]

[180.] Diversamente, l’Ordinario proceda a norma dei sacri canoni, applicando, ove fosse il caso, le pene canoniche e tenendo presente in modo particolare quanto stabilito dal can. 1326. Qualora si tratti di azioni gravi, informi la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

5. La Sede Apostolica

[181.] Ogni qualvolta la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha notizia, quanto meno verosimile, di un delitto o abuso relativo alla Santissima Eucaristia, ne informa l’Ordinario, affinché indaghi sul fatto. Qualora esso risulti grave, l’Ordinario invii al più presto allo stesso Dicastero un esemplare degli atti relativi all’indagine eseguita e, eventualmente, sulla pena inflitta.

[182.] Nei casi di maggiore difficoltà l’Ordinario non trascuri per il bene della Chiesa universale, della cui sollecitudine anche egli partecipa in virtù della sacra Ordinazione, di trattare la questione dopo avere consultato il parere della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Da parte sua, questa Congregazione, in virtù delle facoltà ad essa concesse dal Romano Pontefice, sosterrà l’Ordinario secondo il caso, accordandogli le necessarie dispense[289] o comunicandogli istruzioni e prescrizioni, alle quali egli ottemperi con diligenza.

6. Segnalazioni di abusi in materia liturgica

[183.] In modo assolutamente particolare tutti, secondo le possibilità, facciano sì che il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia sia custodito da ogni forma di irriverenza e aberrazione e tutti gli abusi vengano completamente corretti. Questo è compito della massima importanza per tutti e per ciascuno, e tutti sono tenuti a compiere tale opera, senza alcun favoritismo.

[184.] Ogni cattolico, sia Sacerdote sia Diacono sia fedele laico, ha il diritto di sporgere querela su un abuso liturgico presso il Vescovo diocesano o l’Ordinario competente a quegli equiparato dal diritto o alla Sede Apostolica in virtù del primato del Romano Pontefice.[290] È bene, tuttavia, che la segnalazione o la querela sia, per quanto possibile, presentata dapprima al Vescovo diocesano. Ciò avvenga sempre con spirito di verità e carità.




Conclusione

[185.] «Ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l’esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell’umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del corpo di Cristo. L’Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini».[291] Pertanto, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si augura che, anche mediante l’attenta applicazione di quanto richiamato alla mente nella presente Istruzione, l’umana fragilità intralci in misura minore l’azione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia e, rimossa ogni irregolarità, bandito ogni uso riprovato, per intercessione della Beata Vergine Maria, «donna eucaristica»,[292] la presenza salvifica di Cristo nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue risplenda su tutti gli uomini.

[186.] Tutti i fedeli partecipino, secondo le possibilità, pienamente, consapevolmente e attivamente alla Santissima Eucaristia,[293] la venerino con tutto il cuore nella devozione e nella vita. I Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi, nell’esercizio del sacro ministero, si interroghino in coscienza sulla autenticità e sulla fedeltà delle azioni da loro compiute a nome di Cristo e della Chiesa nella celebrazione della sacra Liturgia. Ogni ministro sacro si interroghi, anche con severità, se ha rispettato i diritti dei fedeli laici, che affidano a lui con fiducia se stessi e i loro figli, nella convinzione che tutti svolgono correttamente per i fedeli quei compiti che la Chiesa, per mandato di Cristo, intende adempiere nel celebrare la sacra Liturgia.[294] Ciascuno ricordi sempre, infatti, di essere servitore della sacra Liturgia.[295]

Nonostante qualunque cosa in contrario.

Questa Istruzione, redatta, per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata approvata dallo stesso Pontefice il 19 marzo 2004, nella solennità di san Giuseppe, il quale ne ha disposto la pubblicazione e l’immediata osservanza da parte di tutti coloro a cui spetta.

Roma, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il 25 marzo 2004, nella solennità dell’Annunciazione del Signore.

Francis Card. Arinze
Prefetto

Domenico Sorrentino
Arcivescovo Segretario


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NOTE

[1] Cf. Missale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum, editio typica tertia, diei 20 aprilis 2000, Typis Vaticanis, 2002, Missa votiva de Dei misericordia, oratio super oblata, p. 1159.

[2] Cf. 1 Cor 11, 26; Missale Romanum, Prex Eucharistica, acclamatio post consecrationem, p. 576; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, nn. 5, 11, 14, 18: AAS 95 (2003) pp. 436, 440-441, 442, 445.

[3] Cf. Is 10, 33; 51, 22; Missale Romanum, In sollemnitate Domini nostri Iesu Christi, universorum Regis, Praefatio, p. 499.

[4] Cf.1 Cor 5, 7; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, 7 dicembre 1965, n. 5; Giovanni Paolo II, Esort. Apost., Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003, n. 75: AAS 95 (2003) pp. 649-719, qui p. 693.

[5] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 11.

[6] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, n. 21: AAS 95 (2003) p. 447.

[7] Cf. Ibidem: AAS 95 (2003) pp. 433-475.

[8] Cf. Ibidem, n. 52: AAS 95 (2003) p. 468.

[9] Cf. Ibidem.

[10] Ibidem, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[11] Ibidem;cf. Giovanni Paolo II,Lett. Apost., Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, nn. 12-13: AAS 81 (1989) pp. 909-910; cf. anche Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 48.

[12] Missale Romanum, Prex Eucharistica III, p. 588; cf. 1 Cor 12, 12-13; Ef 4, 4.

[13] Cf. Fil 2, 5.

[14] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[15] Ibidem, n. 6: AAS 95 (2003) p. 437; cf. Lc 24, 31.

[16] Cf. Rm 1, 20.

[17] Cf. Missale Romanum, Praefatio I de Passione Domini, p. 528.

[18] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Veritatis splendor, 6 agosto 1993, n. 35: AAS 85 (1993) pp. 1161-1162; Giovanni Paolo II, Omelia tenuta presso Camden Yards, 9 ottobre 1995, n. 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 2 (1995), Libreria Editrice Vaticana, 1998, p. 788.

[19] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[20] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24; cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 19 e 23: AAS 87 (1995) pp. 295-296, 297.

[21] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.

[22] Cf. S. Ireneo, Adversus Haereses, III, 2: SCh., 211, 24-31; S. Agostino, Epistula ad Ianuarium, 54, I: PL 33, 200: «Illa autem quae non scripta, sed tradita custodimus, quae quidem toto terrarum orbe servantur, datur intellegi vel ab ipsis Apostolis, vel plenariis conciliis, quorum est in Ecclesia saluberrima auctoritas, commendata atque statuta retineri»; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, nn. 53-54: AAS 83 (1991) pp. 300-302; Congr. per la Dottr. della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, Communionis notio, 28 maggio 1992, nn. 7-10: AAS 85 (1993) pp. 842-844; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, n. 26: AAS 87 (1995) pp. 298-299.

[23] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 21.

[24] Cf. Pio XII, Cost. Ap., Sacramentum Ordinis, 30 novembre 1947: AAS 40 (1948) p. 5; Congr. per la Dottr. della Fede, Dichiar., Inter insigniores, 15 ottobre 1976, parte IV: AAS 69 (1977) pp. 107-108; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, n. 25: AAS 87 (1995) p. 298.

[25] Cf. Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei, 20 novembre 1947: AAS 39 (1947) p. 540.

[26] Cf. S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, 3 aprilis 1980: AAS 72 (1980) p. 333.

[27] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52: AAS 95 (2003) p. 468.

[28] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 4, 38; Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche, Orientalium Ecclesiarum, 21 novembre 1964, nn. 1, 2, 6; Paolo VI, Cost. Ap., Missale Romanum: AAS 61 (1969) pp. 217-222; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 399; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Liturgiam authenticam, 28 marzo 2001, n. 4: AAS 93 (2001) pp. 685-726, qui p. 686.

[29] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Ap., Ecclesia in Europa, n. 72: AAS 95 (2003) p. 692.

[30] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, 25 maggio 1967, n. 23: AAS 95 (2003) pp. 448-449; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 6: AAS 59 (1967) p. 545.

[31] Cf. S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum: AAS 72 (1980) pp. 332-333.

[32] Cf. 1 Cor 11, 17-34; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52: AAS 95 (2003) pp. 467-468.

[33] Cf. Codice di Diritto Canonico, 25 gennaio 1983, can. 1752.

[34] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 22 § 1. Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 838 § 1.

[35] Codice di Diritto Canonico,can. 331; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 22.

[36] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 838 § 2.

[37] Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, 28 giugno 1988: AAS 80 (1988) pp. 841-924; qui artt. 62, 63, e 66, pp. 876-877.

[38] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52: AAS 95 (2003) p. 468.

[39] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, 28 ottobre 1965, n. 15; cf. anche Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41; Codice di Diritto Canonico,can. 387.

[40] Orazione per la consacrazione episcopale nel rito bizantino: Euchologion to mega, Roma, 1873, p. 139.

[41] Cf. S. Ignazio di Antiochia, Ad Smyrn.8, 1: ed. F.X. Funk, I, p. 282.

[42] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 26; cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 7: AAS 59 (1967) p. 545; cf. anche Giovanni Paolo II, Esort. Ap., Pastores gregis, 16 ottobre 2003, nn. 32-41: L’ Osservatore romano, 17 ottobre 2003, pp. 6-8.

[43] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41; cf. S. Ignazio di Antiochia, Ad Magn. 7; Ad Philad. 4; Ad Smyrn. 8: ed. F.X. Funk, I, pp. 236, 266, 281; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 22; cf. anche Codice di Diritto Canonico,can. 389.

[44] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 26.

[45] Codice di Diritto Canonico, can. 838 § 4.

[46] Cf. Cons. ad exsequ. Const. Lit., Dubium: Notitiae 1 (1965) p. 254.

[47] Cf. At 20, 28; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.sulla Chiesa, Lumen gentium, nn. 21 e 27; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, n. 3.

[48] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, 5 settembre 1970: AAS 62 (1970) p. 694.

[49] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 21; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, n. 3.

[50] Cf. Caeremoniale Episcoporum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli Pp. II promulgatum, editio typica, diei 14 septembris 1984, Typis Polyglottis Vaticanis, 1985, n. 10.

[51] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 387.

[52] Cf. ibidem, n. 22.

[53] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes: AAS 62 (1970) p. 694.

[54] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 27; cf. 2 Cor 4, 15.

[55] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 397 § 1; 678 § 1.

[56] Cf. ibidem,can. 683 § 1.

[57] Cf. ibidem, can. 392.

[58] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 21: AAS 81 (1989) p. 917; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 45-46; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 562.

[59] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Apost., Vicesimus quintus annus, n. 20: AAS 81 (1989) p. 916.

[60] Cf. ibidem.

[61] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 44; Congr. per i Vescovi, Lett. ai Presidenti delle Conferenze dei Vescovi inviata anche a nome della Congr. per l’Evangelizzazione dei Popoli, 21 giugno 1999, n. 9: AAS 91 (1999) p. 999.

[62] Cf. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 12: AAS 62 (1970) pp. 692-704, qui p. 703.

[63] Cf. Congr. per il CultoDiv., Dichiarazione circa le Preghiere eucaristiche e gli esperimenti liturgici, 21 marzo 1988: Notitiae 24 (1988) pp. 234-236.

[64] Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae: AAS 87 (1995) pp. 288-314.

[65] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 838 § 3; S. Congr. dei Riti, Istr. Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 31: AAS 56 (1964) p. 883; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Liturgiam authenticam, nn. 79-80: AAS 93 (2001) pp. 711-713.

[66] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, 7 dicembre 1965, n. 7; Pontificale Romanum, ed. 1962: Ordo consecrationis sacerdotalis, in Praefatione; Pontificale Romanum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II renovatum, auctoritate Pauli Pp. VI editum, Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum: De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, diei 29 iunii 1989, Typis Polyglottis Vaticanis, 1990, cap. II, De Ordin. presbyterorum, Praenotanda, n. 101.

[67] Cf. S. Ignatio di Antiochia, Ad Philad. 4: ed. F.X. Funk, I, p. 266; S. Cornelio I citato in S. Cipriano, Epist. 48, 2: ed. G. Hartel, III, 2, p. 610.

[68] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 28.

[69] Cf. ibidem.

[70] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52; cf. n. 29: AAS 95 (2003) pp. 467-468; 452-453.

[71] Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera: De Ordinatione presbyterorum, n. 124; cf. Missale Romanum, Feria V in Hebdomada Sancta: Ad Missam chrismatis, Renovatio promissionum sacerdotalium, p. 292

[72] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sessione VII, 3 marzo 1547, Decr. sui Sacramenti, can. 13: DS 1613; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 22; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) pp. 544, 546-547, 562; Codice di Diritto Canonico, can. 846, § 1; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 24.

[73] S. Ambrogio, De Virginitate, n. 48: PL 16, 278.

[74] Codice di Diritto Canonico, can. 528 § 2.

[75] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, n. 5.

[76] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 5: AAS 95 (2003) p. 436.

[77] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 29; cf. Constitutiones Ecclesiae Aegypticae, III, 2: ed. F.X. Funk, Didascalia, II, p. 103; Statuta Ecclesiae Ant., 37-41: ed. D. Mansi 3, 954.

[78] Cf. At 6, 3.

[79] Cf. Gv 13, 35.

[80] Mt 20, 28.

[81] Cf. Lc 22, 27.

[82] Cf. Caeremoniale Episcoporum, nn. 9, 23. Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 29.

[83] Cf. Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, cap. III, De Ordin. diaconorum, n. 199.

[84] Cf. 1 Tm 3, 9.

[85] Cf. Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, cap. III, De Ordin. diaconorum, n. 200.

[86] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 10.

[87] Cf. ibidem, n. 41; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 11; Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, nn. 2, 5, 6; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi, Christus Dominus, n. 30; Decr. sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio, 21 novembre 1964, n. 15; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, nn. 3 e, 6: AAS 59 (1967) pp. 542, 544-545; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 16.

[88] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 26; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 91.

[89] 1 Pt 2, 9; cf. 2, 4-5.

[90] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 91; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14.

[91] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 10.

[92] Cf. S. Tommasod’Aquino, Summa Theol., III, q. 63, a. 2.

[93] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 10; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 28: AAS 95 (2003) p. 452.

[94] Cf. At 2, 42-47.

[95] Cf. Rm 12, 1.

[96] Cf. 1 Pt 3, 15; 2, 4-10.

[97] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, nn. 12-18: AAS 95 (2003) pp. 441-445; Id.,Lett., Dominicae Cenae, 24 febbraio 1980, n. 9: AAS 72 (1980) pp. 129-133.

[98] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[99] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 30-31.

[100] Cf. S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Liturgicae instaurationes, n. 1: AAS 62 (1970) p. 695.

[101] Cf. Missale Romanum, Feria secunda post Dominica V in Quadragesima, Collecta, p. 258.

[102] Giovanni Paolo II,Lett. Ap., Novo Millennio ineunte, 6 gennaio 2001, n. 21: AAS 93 (2001) p. 280; cf. Gv 20, 28.

[103] Cf. Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 586; cf. anche Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 67; Paolo VI, Esort. Ap., Marialis cultus, 11 febbraio 1974, n. 24: AAS 66 (1974) pp. 113-168, qui p. 134; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Direttorio su pietà popolare e Liturgia, 17 dicembre 2001.

[104] Cf. Giovanni Paolo II, Ep. Ap., Rosarium Virginis Mariae, 16 ottobre 2002: AAS 95 (2003) pp. 5-36.

[105] Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) pp. 586-587.

[106] Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, n. 22: AAS 87 (1995) p. 297.

[107] Cf. Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 553.

[108] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 29: AAS 95 (2003) p. 453; cf. Conc. Ecum. Lateran. IV., 11-30 novembre 1215, cap. 1: DS802; Conc. Ecum. Trid., Sess. XXIII, 15 luglio 1563, Dottrina e canonisulla sacr. ordin., cap. 4: DS 1767-1770; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 553.

[109] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 230 § 2; cf. anche Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 97.

[110] Cf. anche Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 109.

[111] Cf. Paolo VI, Motu proprio, Ministeria quaedam, 15 agosto 1972, nn. VI-XII: Pontificale Romanum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, De institutione lectorum et acolythorum, de admissione inter candidatos ad diaconatum et presbyteratum, de sacro caelibatu amplectendo, editio typica, diei 3 decembris 1972, Typis Polyglottis Vaticanis, 1973, p. 10: AAS 64 (1972) pp. 529-534, qui pp. 532-533; Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 1; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 98-99, 187-193.

[112] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 187-190, 193; Codice di Diritto Canonico, can. 230 §§ 2-3.

[113] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24; S. Congr. per i Sacr. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, nn. 2 e 18: AAS 72 (1980) pp. 334, 338; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 101, 194-198; Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 2-3.

[114] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 100-107.

[115] Ibidem, n. 91; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 28.

[116] Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza dei Vescovi delle Antille, 7 maggio 2002, n. 2: AAS 94 (2002) pp. 575-577; Esort. Ap. post-sinodale, Christifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 23: AAS 81 (1989) pp. 393-521, qui pp. 429-431; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, Principi teologici, n. 4: AAS 89 (1997) pp. 860-861.

[117] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 19.

[118] Cf. S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Immensae caritatis, 29 gennaio 1973: AAS 65 (1973) p. 266.

[119] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., De Musica sacra, 3 settembre 1958, n. 93c: AAS 50 (1958) p. 656.

[120] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legisl., Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1992: AAS 86 (1994) pp. 541-542; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Lett. ai Presidenti delle Conf. dei Vescovi sul servizio liturgico dei laici, 15 marzo 1994: Notitiae 30 (1994) 333-335, 347-348.

[121] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, art. 65: AAS 80 (1988) p. 877.

[122] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legisl., Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1992: AAS 86 (1994) pp. 541-542; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Lett. ai Presidenti delle Conf. dei Vescovi sul servizio liturgico dei laici, 15 marzo 1994: Notitiae 30 (1994) 333-335, 347-348; Lett. a qualche Vescovo, 27 luglio 2001: Notitiae 38 (2002) 46-54.

[123] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 924 § 2: Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 320.

[124] Cf. S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Dominus Salvator noster, 26 marzo 1929, n. 1: AAS 21 (1929) pp. 631-642, qui p. 632.

[125] Cf. ibidem, n. II: AAS 21 (1929) p. 635.

[126] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 321.

[127] Cf. Lc 22, 18; Codice di Diritto Canonico,can. 924 §§ 1, 3; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 322.

[128] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 323.

[129] Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 13: AAS 81 (1989) p. 910.

[130] S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 5: AAS 72 (1980) p. 335.

[131] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 28: AAS 95 (2003) p. 452; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 147; S. Congr. per il CultoDiv., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 4: AAS 62 (1970) p. 698; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 4: AAS 72 (1980) p. 334.

[132] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 32.

[133] Ibidem, n. 147; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 28: AAS 95 (2003) p. 452; cf. anche Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 4: AAS 72 (1980) pp. 334-335.

[134] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 39: AAS 95 (2003) p. 459.

[135] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 2b: AAS 62 (1970) p. 696.

[136] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 356-362.

[137] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 51.

[138] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 57; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 13: AAS 81 (1989) p. 910; Congr. per la Dottr. della Fede, Dichiarazione sulla unicità e universalità salvifica di Cristo e della Chiesa, Dominus Iesus, 6 agosto 2000: AAS 92 (2000) pp. 742-765.

[139] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 60.

[140] Cf. ibidem, nn. 59-60.

[141] Cf. per es. Rituale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II renovatum, auctoritate Pauli Pp. VI editum Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum: Ordo celebrandi Matrimonium, editio typica altera, diei 19 martii 1990, Typis Polyglottis Vaticanis, 1991, n. 125; Rituale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ordo Unctionis infirmorum eorumque pastoralis curae, editio typica, diei 7 decembris 1972, Typis Polyglottis Vaticanis, 1972, n. 72.

[142] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 1.

[143] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 66; cf. anche Codice di Diritto Canonico, can. 6, §§ 1, 2; e can. 767 § 1, in merito a ciò si tengano presenti anche le prescrizioni della Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 1: AAS 89 (1997) p. 865.

[144] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 66; cf. anche Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 1.

[145] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 1: AAS 89 (1997) p. 865; cf. anche Codice di Diritto Canonico, can. 6, §§ 1, 2; Pont. Comm. per l’Interpr. autent. del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 20 giugno 1987: AAS 79 (1987) p. 1249.

[146] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 1: AAS 89 (1997) pp. 864-865.

[147] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sess. XXII, 17 settembre 1562, Il Ss.mo Sacrificio della Messa, cap. 8: DS1749; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 65.

[148] Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ad alcuni Vescovi degli Stati Uniti d’America in occasione della visita «ad limina Apostolorum», 28 maggio 1993, n. 2: AAS 86 (1994) p. 330.

[149] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 386 § 1.

[150] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 73.

[151] Cf. ibidem, n. 154.

[152] Cf. ibidem, nn. 82, 154.

[153] Cf.Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 83.

[154] Cf. S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Liturgicae instaurationes, n. 5: AAS 62 (1970) p. 699.

[155] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 83, 240, 321.

[156] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 2: AAS 89 (1997) p. 865.

[157] Cf. specialmente Institutio generalis de Liturgia Horarum, nn. 93-98; Rituale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli Pp. II promulgatum: De Benedictionibus, editio typica, diei 31 maii 1984, Typis Polyglottis Vaticanis, 1984, Praenotanda, n. 28; Ordo coronandi imaginem beatae Mariae Virginis, editio typica, diei 25martii 1981, Typis Polyglottis Vaticanis, 1981, nn. 10 e 14, pp. 10-11; S. Congr. per il Culto Divino, Istr., sulle Messe nei gruppi particolari, Actio pastoralis, 15 maggio 1969: AAS 61 (1969) pp. 806-811; Direttorio per le Messe dei fanciulli, Pueros baptizatos, 1 novembre 1973: AAS 66 (1974) pp. 30-46; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 21.

[158] Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio, Misericordia Dei, 7 aprile 2002, n. 2: AAS 94 (2002) p. 455; Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Responsa ad dubia proposita: Notitiae 37 (2001) pp. 259-260.

[159] Cf. S. Congr. per il CultoDiv., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 9: AAS 62 (1970) p. 702.

[160] Conc. Ecum. Trid., Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Decr. sulla Ss. Eucaristia, cap. 2: DS 1638; cf. Sess. XXII, 17 settembre 1562, Il Ss. Sacrificio della Messa, cap. 1-2: DS 1740, 1743; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 35: AAS 59 (1967) p. 560.

[161] Cf. Missale Romanum, Ordo Missae, n. 4, p. 505.

[162] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 51.

[163] Cf. 1 Cor 11, 28.

[164] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 916; Conc. Ecum. Trid., Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Decr. sulla Ss. Eucaristia, cap. 7: DS 1646-1647; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 36: AAS 95 (2003) pp. 457-458; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 35: AAS 59 (1967) p. 561.

[165] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 42: AAS 95 (2003) p. 461.

[166] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 844 § 1; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, nn. 45-46: AAS 95 (2003) pp. 463-464; cf. anche Pont. Cons. per la Promoz. dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, La recherche de l’unité, 25 marzo 1993, nn. 130-131: AAS 85 (1993) pp. 1039-1119, qui p. 1089.

[167] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 46: AAS 95 (2003) pp. 463-464.

[168] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 35: AAS 59 (1967) p. 561.

[169] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 914; S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Dichiaraz., Sanctus Pontifex, 24 maggio 1973: AAS 65 (1973) p. 410; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div. e S. Congr. per il Clero, Lett. ai Presidenti delle Conf. dei Vescovi, In quibusdam, 31 marzo 1977: Enchiridion Documentorum Instaurationis Liturgicae, II, Roma 1988, pp. 142-144; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div. e S. Congr. per il Clero, Responsum ad propositum dubium, 20 maggio 1977:AAS 69 (1977) p. 427.

[170] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, 31 maggio 1998, nn. 31-34: AAS 90 (1998) pp. 713-766, qui pp. 731-734.

[171] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 914.

[172] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55.

[173] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 31: AAS 59 (1967) p. 558; Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Responsio ad propositum dubium, 1 giugno 1988: AAS 80 (1988) p. 1373.

[174] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 85.

[175] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 31: AAS 59 (1967) p. 558; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 85, 157, 243.

[176] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 160.

[177] Codice di Diritto Canonico,can. 843 § 1; cf. can. 915.

[178] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 161.

[179] Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Dubium: Notitiae 35 (1999) pp. 160-161.

[180] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 118.

[181] Ibidem, n. 160.

[182] Codice di Diritto Canonico, can. 917; cf. Pont. Comm. per l’Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1984: AAS 76 (1984) p. 746.

[183] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 158-160, 243-244, 246.

[184] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 237-249; cf. anche nn. 85, 157.

[185] Cf. ibidem, n. 283a.

[186] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sessio XXI, 16 luglio 1562, Decr. sulla comunione eucaristica, capp. 1-3: DS 1725-1729; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 282-283.

[187] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 283.

[188] Cf. ibidem.

[189] Cf. S. Congr. per il CultoDiv., Istr., Sacramentali Communione, 29 giugno 1970: AAS 62 (1970) p. 665; Istr., Liturgicae instaurationes, n. 6a: AAS 62 (1970) p. 699.

[190] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 285a.

[191] Ibidem, n. 245.

[192] Cf. ibidem, nn. 285b et 287.

[193] Cf. ibidem, nn. 207 et 285a.

[194] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1367.

[195] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legisl., Responsio ad propositum dubium, 3 luglio 1999: AAS 91 (1999) p. 918.

[196] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 163, 284.

[197] Codice di Diritto Canonico,can. 932 § 1; cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 9: AAS 62 (1970) p. 701.

[198] Codice di Diritto Canonico, can. 904; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 3; Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, n. 13; cf. anche Conc. Ecum. Trid., Sess. XXII, 17 settembre 1562, Il Ss. Sacrificio della Messa, cap. 6: DS 1747; Paolo VI, Lett. Enc., Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) pp. 753-774, qui pp. 761-762; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 11: AAS 95 (2003) pp. 440-441; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 44: AAS 59 (1967) p. 564; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 19.

[199] Cf.Codice di Diritto Canonico, can. 903; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 200.

[200] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 36 § 1; Codice di Diritto Canonico, can. 928.

[201] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 114.

[202] Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, n. 36: AAS 90 (1998) pp. 713-766, qui p. 735; cf. anche S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 27: AAS 59 (1967) p. 556.

[203] Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, soprattutto n. 36: AAS 90 (1998) pp. 735-736; S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Actio pastoralis, 15 maggio 1969: AAS 61 (1969) pp. 806-811.

[204] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 905, 945-958; cf. Congr. per il Clero, Decr., Mos iugiter, 22 febbraio 1991: AAS 83 (1991) pp. 443-446.

[205] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 327-333.

[206] Cf. ibidem, n. 332.

[207] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 332; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 16: AAS 72 (1980) p. 338.

[208] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 333; Appendix IV. Ordo benedictionis calicis et patenae intra Missam adhibendus, pp. 1255-1257; Pontificale Romanum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ordo Dedicationis ecclesiae et altaris, editio typica, diei 29 maii 1977, Typis Polyglottis Vaticanis, 1977, cap. VII, pp. 125-132.

[209] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 163, 183, 192.

[210] Ibidem, n. 345.

[211] Ibidem, n. 335.

[212] Cf. ibidem, n. 336.

[213] Cf. ibidem, n. 337.

[214] Cf. ibidem, n. 209.

[215] Cf. ibidem, n. 338.

[216] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 8c: AAS 62 (1970) p. 701.

[217] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 346g.

[218] Ibidem, n. 114; cf. nn. 16-17.

[219] S. Congr. per il Culto Div., Decr., Eucharistiae sacramentum, 21 giugno 1973: AAS 65 (1973) 610.

[220] Cf. ibidem.

[221] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 54: AAS 59 (1967) p. 568; Istr., Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) p. 898; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 314.

[222] Cf. Giovanni Paolo II, Lett., Dominicae Cenae, n. 3: AAS 72 (1980) pp. 117-119; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 53: AAS 59 (1967) p. 568; Codice di Diritto Canonico, can. 938 § 2; Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, n. 9; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 314-317.

[223] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 938 §§ 3-5.

[224] S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Nullo unquam, 26 maggio 1938, n. 10d: AAS 30 (1938) p. 206.

[225] Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio, Sacramentorum sanctitatis tutela, 30 aprile 2001: AAS 93 (2001) pp. 737-739; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[226] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, nn. 26-78.

[227] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) pp. 449-450.

[228] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Decr. sulla Ss. Eucharistia, cap. 5: DS 1643; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 569; Paolo VI, Lett. Enc., Mysterium Fidei: AAS 57 (1965) pp. 769-770; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 3f: AAS 59 (1967) p. 543; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 20: AAS 72 (1980) p. 339; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) pp. 449-450.

[229] Cf. Ebr 9, 11; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 3: AAS 95 (2003) p. 435.

[230] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) p. 450.

[231] Paolo VI, Lett. Enc., Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) p. 771.

[232] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) pp. 449-450.

[233] Codice di Diritto Canonico,can. 937.

[234] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[235] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, nn. 82-100; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317; Codice di Diritto Canonico,can. 941 § 2.

[236] Giovanni Paolo II, Lett.. Ap., Rosarium Virginis Mariae, 16 ottobre 2002: AAS 95 (2003) pp. 5-36; qui n. 2, p. 6.

[237] Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Lettera della Congregazione, 15 gennaio 1997: Notitiae 34 (1998) pp. 506-510; Penit. Apost., Lett. a qualche sacerdote, 8 marzo 1996: Notitiae 34 (1998) 511.

[238] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 61: AAS 59 (1967) p. 571; Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, n. 83; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317; Codice di Diritto Canonico,can. 941 § 2.

[239] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, n. 94.

[240] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, art. 65: AAS 80 (1988) p. 877.

[241] Codice di Diritto Canonico, can. 944 § 2; cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, n. 102; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317.

[242] Codice di Diritto Canonico, can. 944 § 1; cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, nn. 101-102; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317.

[243] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[244] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, n. 109.

[245] Cf. ibidem, nn. 109-112.

[246] Cf. Missale Romanum, In sollemnitate sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, Collecta, p. 489.

[247] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Principi teologici, n. 3: AAS 89 (1997) p. 859.

[248] Codice di Diritto Canonico, can. 900 § 1; cf. Conc. Ecum. Lateran. IV., 11-30 novembre 1215, cap. 1: DS 802; Clemente VI, Lett. ad Mekhitar, Catholicon Armeniorum, Super quibusdam, 29 settembre 1351: DS 1084; Conc. Ecum. Trid., Sess. XXIII, 15 luglio 1563, Dottrina e canoni sulla sacr. ordin., cap. 4: DS 1767-1770; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 553.

[249] Cf.Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 3; Giovanni Paolo II, Discorso al Simposio sulla «partecipazione dei fedeli laici al ministero pastorale dei sacerdoti», 22 aprile 1994, n. 2: L’Osservatore Romano, 23 aprile 1994; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Proemio: AAS 89 (1997) pp. 852-856.

[250] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Redemptoris missio, nn. 53-54: AAS 83 (1991) pp. 300-302; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Proemio: AAS 89 (1997) pp. 852-856.

[251] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, Ad gentes, 7 dicembre 1965, n. 17; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Redemptoris missio, n. 73: AAS 83 (1991) p. 321.

[252] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 2: AAS 89 (1997) p. 872.

[253] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 32: AAS 95 (2003) p. 455.

[254] Codice di Diritto Canonico, can. 900 § 1.

[255] Cf. ibidem, can. 910 § 1; cf. anche Giovanni Paolo II, Lett., Dominicae Cenae, n. 11: AAS 72 (1980) p. 142; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 1: AAS 89 (1997) pp. 870-871.

[256] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 3.

[257] Cf. S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Immensae caritatis, proemio: AAS 65 (1973) p. 264; Paolo VI, Motu proprio, Ministeria quaedam, 15 agosto 1972: AAS 64 (1972) p. 532; Missale Romanum, Appendix III: Ritus ad deputandum ministrum sacrae Communionis ad actum distribuendae, p. 1253; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 1: AAS 89 (1997) p. 871.

[258] Cf. S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 10: AAS 72 (1980) p. 336; cf. Pont. Comm. per l’Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1984: AAS 76 (1984) p. 746.

[259] Cf. S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Immensae caritatis, n. 1: AAS 65 (1973) pp. 264-271, qui pp. 265-266; Pont. Comm. per l’Interpr. autent. del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 1 giugno 1988: AAS 80 (1988) p. 1373; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 2: AAS 89 (1997) p. 871.

[260] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 1.

[261] Cf. ibidem, can. 766.

[262] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 2 §§ 3-4: AAS 89 (1997) p. 865.

[263] Cf. Giovanni Paolo II, Ep. Ap., Dies Domini, specialmente nn. 31-51: AAS 90 (1998) pp. 713-766, qui pp. 731-746; Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Novo Millennio ineunte, 6 gennaio 2001, nn. 35-36: AAS 93 (2001) pp. 290-292; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 41: AAS 95 (2003) pp. 460-461.

[264] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, n. 6; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, nn. 22, 33: AAS 95 (2003) pp. 448, 455-456.

[265] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 26: AAS 59 (1967) pp. 555-556; Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, nn. 5 e 25: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui pp. 367, 372.

[266] Cf. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, n. 18: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui p. 370.

[267] Cf. Giovanni Paolo II, Lett., Dominicae Cenae, n. 2: AAS 72 (1980) p. 116.

[268] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, n. 49: AAS 90 (1998) p. 744; Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 41: AAS 95 (2003) pp. 460-461; Codice di Diritto Canonico, cann. 1246-1247.

[269] Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 2; cf. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, nn. 1-2: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui p. 366.

[270] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 33: AAS 95 (2003) pp. 455-456.

[271] Cf. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, n. 22: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui p. 371.

[272] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 30: AAS 95 (2003) pp. 453-454; cf. anche Pont. Cons. per la Promoz. dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, La recherche de l’unité, n. 115: AAS 85 (1993) p. 1085.

[273] Cf. Pont. Cons. per la Promoz. dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, La recherche de l’unité, n. 101: AAS 85 (1993) pp. 1081-1082.

[274] Codice di Diritto Canonico,can. 292; cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Dichiarazione sulla retta interpretazione del can. 1335, seconda parte, C.I.C., 15 maggio 1997, n. 3: AAS 90 (1998) p. 64.

[275] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 976; 986 § 2.

[276] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Dichiarazione sulla retta interpretazione del can. 1335, seconda parte, C.I.C., 15 maggio 1997, nn. 1-2: AAS 90 (1998) pp. 63-64.

[277] Per ciò che riguarda i sacerdoti che hanno ottenuto la dispensa dal celibato, cf. S. Congr. per la Dottrina della Fede, Norme sulla dispensa dal celibato sacerdotale, Normae substantiales, 14 ottobre 1980, art. 5; cf. anche Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 5: AAS 89 (1997) p. 865.

[278] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theol., II, 2, q. 93, a. 1.

[279] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 15: AAS 81 (1989) p. 911; cf. anche Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 15-19.

[280] Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio, Sacramentorum sanctitatis tutela, 30 aprile 2001: AAS 93 (2001) pp. 737-739; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[281] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1367; Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Responsio ad propositum dubium, 3 luglio 1999: AAS 91 (1999) p. 918; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[282] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1378 § 2 n. 1 et 1379; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[283] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 908 et 1365; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[284] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 927; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[285] Codice di Diritto Canonico,can. 387.

[286] Ibidem, can. 838 § 4.

[287] Ibidem, can. 392.

[288] Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, art. 52: AAS 80 (1988) p. 874.

[289] Cf. ibidem, n. 63: AAS 80 (1988) p. 876.

[290] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1417 § 1.

[291] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 24: AAS 95 (2003) p. 449.

[292] Ibidem, nn. 53-58: AAS 95 (2003) pp. 469-472.

[293] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14; cf. anche nn. 11, 41 e 48.

[294] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theol., III, q. 64, a. 9 ad primum.

[295] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 24.

Penelope (POL)
25-04-04, 15:10
per ristabilire un certo ordine nella liturgia!!!
Ormai se ne sentiva proprio bisogno!
Grazie Santo Padre!

Augustinus
25-04-04, 17:42
Facendo seguito all’enciclica Ecclesia de Eucharistia, il cardinale Arinze ha pubblicato l’istruzione Redemptionis Sacramentum, il cui scopo primo è di denunciare gli abusi più vistosi che si incontrano nelle celebrazioni liturgiche condotte in base alla riforma di Paolo VI. Tra i documenti che in questi ultimi dodici anni hanno provato a mettere ordine nella materia, questo è sicuramente il più preciso e il meglio argomentato. Anche se il cardinale ha dovuto versare dell’acqua nel suo vino, non si può che gioire per le eccellenti intenzioni del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, intenzioni condivise da numerosi responsabili della Curia attuale.

L’effetto più favorevole di questa istruzione sarà quello di legittimare gli sforzi di " risacralizzazione " che compiono ogni giorno un certo numero di preti delle nuove generazioni.

Ma, in definitiva, si tratta di un testo, che si aggiunge alle montagne di testi esistenti. C’è da augurarsi che la Redemptionis Sacramentum sia seguito da misure concrete. Il cardinale Arinze, che ha il vantaggio di non parlare invano, arriverà fino ad assumere delle misure esemplari _ quantomeno delle ammonizioni - contro i responsabili degli abusi che elenca, fossero anche dei vescovi, dei cardinali o perfino… dei cerimonieri pontifici ?

Per altro, per lodevole che sia, questo documento malgrado tutto somiglia ad uno di quei rimedi che tentano disperatamente di ridurre i sintomi anziché impegnarsi sulle cause del male. Il primo abuso liturgico, la fonte di tutti gli altri abusi liturgici, non consiste nella riforma fabbricata da Annibale Bugnini e dai suoi esperti, e che in realtà non fu altro che una vera rivoluzione ?
Dopo essere stata usata per trentacinque anni, il buon senso vorrebbe che si faccia un bilancio oggettivo dei suoi frutti. Oggi, tutti gli osservatori onesti constatano, in maniera evidente, la sparizione del senso del sacro, e alla più semplice analisi, nella liturgia di Paolo VI notano l’indebolimento del rispetto dovuto alla Presenza Reale, la minore visibilità del sacerdozio gerarchico, la diminuita espressione del carattere sacrificale della Messa. Le liturgie orientali, che non hanno subito la riforma di Paolo VI, mostrano in maniera eloquente tutto quello che la liturgia romana ha perduto. Occorre dunque augurarsi che il cardinale Arinze prosegua coraggiosamente il cammino appena iniziato.

Sono sempre più numerosi coloro che, senza essere tradizionalisti, pensano che la libera celebrazione della Messa di San Pio V sarebbe un potente fattore di emulazione per un " ritorno al sacro ".
Cos’è che impedisce al cardinale Arinze di dichiarare che la Messa di San Pio V non è mai stata abrogata e che quindi può essere celebrata ovunque e da qualsiasi prete che lo desideri ?

L’abbé Claude Barthe, Catholica

Augustinus
25-04-04, 17:49
"Di quella Roma onde Cristo è romano" (Purg. XXXII 102)

Pensiero spirituale all'assemblea di Una Voce-Udine
il 20 febbraio 2004

di don Ivo Cisar

San Paolo scrive a Timoteo: "Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani" (2Tm 1,6). Vale per i sacerdoti, vale per i laici, per i sacramenti cosiddetti "caratteristici", per quelli cioè che imprimono il carattere sacramentale indelebile che postula e richiama l'ultimo effetto dei sacramenti, la grazia. Si tratta dei sacramenti del battesimo, della confermazione e dell'Ordine sacro. Tutta la vita cristiana non è altro che il vivere il sacramento del battesimo, ricevuto una volta per sempre, irripetibile, sacramento della nostra consacrazione a Dio in Cristo e della nostra santificazione, ravvivando sempre in noi la grazia del battesimo sulla base del carattere sacramentale cristiano, rafforzato dal carattere sacramentale della cresima. E questo si fa risalendo ed attingendo continuamente alla radice, alla sorgente, dalla quale scaturiscono tutti i sacramenti, al sacrificio di Cristo che si rinnova sull'altare nella santa messa.

Per partecipare al sacrificio eucaristico fruttuosamente serve anche la lingua latina. Non per creare in voi le convinzioni che già avete, ma per ravvivarle e confermarvi in esse - come "Paolo e Barnaba rianimavano i discepoli, esortandoli a restare saldi nella fede, poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio" (At 14,22) - sottopongo alla vostra attenzione alcune riflessioni sulla lingua latina nella liturgia romana, sulle sue ragioni, sul suo significato e sui suoi pregi. Anche se la questione della messa tridentina non si riduce a quella del latino come ritengono erroneamente molti profani, ma è questione di tutta la sua struttura, essa è tuttavia anche questione della lingua latina.

A favore della lingua latina nella liturgia militano le seguenti ragioni.

a) Il latino è una lingua storica, familiare della Chiesa cattolica che l'ha mantenuta sempre viva, la lingua della sua liturgia e della sua teologia, dei suoi documenti ufficiali, compresi quelli del Concilio Vaticano II; anche nelle liturgie orientali sono in uso lingue storiche, come la paleoslava, ecc.

b) Il latino è una lingua romana che manifesta la nostra appartenenza alla Chiesa una santa cattolica apostolica romana: la nota di romanità viene aggiunta legittimamente qualche volta alle quattro note principali della Chiesa. La lingua latina ci lega al Papa ed esprime la nostra appartenenza a Roma, al Vescovo di Roma, che in Pietro ha scelto Roma a sua sede, come ritiene san Leone Magno, "per divina disposizione" (Diz. eccl. III, 64), "quella Roma onde Cristo è romano" secondo Dante Alighieri (Purg. XXXII, 102). Gesù è nato sotto Cesare Augusto (Lc 2,1), vissuto sotto l'imperatore Tiberio (Lc 3,1), di cui riconobbe l'autorità (Mt 22,21), morto sotto il governatore romano Ponzio Pilato (Credo). Pietro predicò e morì martire a Roma (cfr. At 12,17; 1Pt 5,13), dove si trova la sua tomba. Paolo, cittadino romano (At 22,25-28), morì pure a Roma e vi è la sua tomba: il duplice martirio romano unisce i prìncipi degli Apostoli e questa unità romana viene celebrata in una unica festa apposita (il 29 giugno). Noi tutti, quindi, siamo cittadini romani ed il latino è la nostra lingua materna, lingua della santa Madre Chiesa.

c) Il latino è una lingua sacra: essa esprime la separazione dal profano, come i paramenti sacri che indossa il sacerdote, mentre anche i fedeli di domenica e nei giorni festivi si vestono in una maniera diversa, non ordinaria, ma più solenne; la lingua latina favorisce il distacco dal profano e la pietà.

d) Il latino è una lingua sacerdotale, riservata specialmente ai sacerdoti, soprattutto nel Canone romano; è la lingua che contrassegna la funzione del sacerdote, mediatore tra Dio e gli uomini, che agisce in persona di Cristo, non confondendosi con i fedeli, a favore dei quali, tuttavia, come ministro di Cristo, intercede (cfr. Eb 7,12), offrendo il sacrificio di Cristo e della Chiesa sull'altare, agendo come "Amico dello Sposo" (Gv 3,29) che unisce lo Sposo e la Sposa (Ef 5,22-32) e gode della loro unione (2Cor 11,2).

Dalla mia traduzione del Canone romano (che prescinde dalle altre parti della santa messa, specialmente dal nuovo "Offertorio", del tutto mal ridotto e poco offertoriale) risulta:

1° la difficoltà di traduzione perché essa renda veramente il testo originale,

2° le infedeltà ed i cambiamenti introdotti nella traduzione italiana, che ne alterano in certi passi anche il significato teologico.

Pertanto la mia traduzione è volutamente rigorosamente letterale, per dimostrare specialmente a chi non conosce (bene) il latino, le differenze (ad 2°), ma anche per convincere che un tentativo di traduzione che suoni bene (ad 1°) sia quasi irrealizzabile.

Le traduzioni (inoltre) svigoriscono il testo latino che, oltre ad essere sicuramente ortodosso, è destinato alla recita del solo Sacerdote [1], al quale, pertanto, bisogna riservare un testo autentico, vigoroso, perché gli dia la possibilità di celebrare degnamente, con piena comprensione delle formule liturgiche. Eliminando il latino si è persa la teologia racchiusa nella liturgia.

Il testo latino è in qualche maniera intraducibile ed è male tentare di tradurlo, perché se ne perdono i significati profondi.

e) Il latino è una lingua immutabile: essa garantisce l'ortodossia, cioè la retta fede; certe espressioni, come scrisse Paolo VI nell'enciclica Mysterium fidei, sono da conservarsi come tessere della fede.

Anche nel Nuovo Testamento, soprattutto nel vangelo secondo san Marco che riporta la predicazione di san Pietro, sono state conservate appositamente certe espressioni ebraiche o aramaiche, per esempio Boanèrghes (Mc 3,17), Talità kum (Mc 5,41), Effatà (Mc 7,34), Eloì, Eloì, lemà sabactàni (Mc 15,34), Rabbunì (Gv 20,16) ecc.

La filosofia, il diritto, la medicina e altre discipline, fino all'informatica, hanno tutto un patrimonio di espressioni tecniche, spesso di radici greche o latine. Nel Nuovo Testamento si sono conservati molti termini ebraici o aramaici, passati nella catechesi e nella predicazione, quali abba, Messia, osanna, pascha, golgota, mammona, satana, geenna; ma anche nella liturgia come Amen.

Oggi sono di moda anche le espressioni ebraiche come per esempio šalom e solo il latino dovrebbe essere eliminato?!; sfido i sostenitori delle lingue volgari nella liturgia che mi dicano se il popolo sa con precisione quale sia l'esatto significato della parola Alleluia; la denominazione "eucaristia" è di origine greca; molti termini latini sono entrati nel linguaggio popolare, per esempio "finire in gloria", alludendo alla conclusione dei salmi; lo stesso termine "messa" deriva dal latino.

Pertanto è illogico voler eliminare una lingua antica e significativa come il latino, quando poi si conservano molte espressioni ebraiche, aramaiche e greche passate nel linguaggio comune come lo stesso latino.

f) Il latino è una lingua universale: essa tutela l'unità, la coesione di fede e di carità, nella Chiesa cattolica; nel Medioevo era la lingua europea; oggi si diffonde nel mondo sempre più l'uso della lingua inglese, nella quale, peraltro, sono passati molti termini latini, oggi deturpati dalla pronuncia, le varie lingue ne adottano le espressioni e solo la Chiesa cattolica dovrebbe rinunciare al proprio linguaggio che unifica i popoli? Lo stesso Paolo VI sentì ed esternò la gravità della decisione dell'abbandono della lingua latina.

g) Il latino è una lingua confermata dal Concilio Vaticano II: "Linguae Latinae usus, salvo particulari iure, in ritibus Latinis servetur" (SC 36/EV 1, 61; cfr. Conc. Trid. Sess XXII., cap. 8, can. 9: Denz. 1749, 1759); il medesimo Concilio ha prescritto che il latino si studi nei seminari (OT 13) e stabilì che "secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici si deve conservare nell'ufficio divino la lingua latina" (SC 101/EV 1,180). Da queste citazioni risulta chiaro chi è fedele al Concilio Vaticano II e chi lo tradisce, chi sta nell'unità della Chiesa, non solo in quella sincronica, attuale (peraltro, appunto, molto incrinata), ma anche in quella diacronica, storica, ossia nell'unità con la Chiesa dei venti secoli che ci hanno preceduto.

Infine domando: che cosa giova di più ai fedeli, e quindi a tutta la Chiesa, alla salvezza eterna: il percepire materialmente [2] ogni parola della liturgia, o conoscere e comprendere lo spirito della liturgia, della santa messa, penetrarne l'essenza ed applicarvisi con tutta la mente e con tutto il cuore (cfr. Mt 22,37)?

A questo proposito termino con un'autocitazione (cfr. Spiegazione della messa tridentina 7). Si può ricorrere ad un paragone tratto dall'opera: anche in essa non sempre vengono percepite e capite le singole parole, ma se ne capisce la sostanza dell'azione ossia l'azione complessiva, la trama principale, e se ne percepisce la bellezza, grazie alla musica. La partecipazione si realizza applicando alla santa messa non un chiasso incessante ed assordante delle parole, spesso puramente umane, tutto concentrato sul sacerdote quale attore principale che si trova su una specie di palcoscenico rivolto verso i fedeli, ma una vera elevazione dello spirito, mediante una partecipazione personale, entro una splendida cornice architettonica, artistica e rituale. Vi è necessario anche e soprattutto il silenzio (esteriore), e come il sacerdote si serve del messale, così possono fare i fedeli con l'ausilio dei messalini o dei foglietti, come si fa con il libretto dell'opera: non è forse anche la liturgia un'opera, opus Dei?

LAUDETUR IESUS CHRISTUS!




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[1] Anche il Canone "romano" viene recitato, purtroppo, in lingua volgare, ad alta voce, verso il popolo, e nella sua traduzione è stato introdotto qua e là il plurale collettivizzante e le acclamazioni del popolo. Vi è una progressiva protestantizzazione postconciliare della messa: dalla introduzione delle lingue volgari e l'altare voltato verso il popolo, attraverso le concelebrazioni e la partecipazione dei lettori e dei "ministri straordinari dell'Eucaristia", si arriva alla sostituzione della messa con liturgie della parola, della sola preghiera…; la messa viene prima protestantizzata, poi ridotta di numero e praticamente eliminata: essa non è più sacrificio, tutti sono "sacerdoti", la celebrazione, "presieduta" da un sacerdote o da un laico, è un atto collettivo, un'assemblea della "comunità" (senza il sacerdote, senza l'Eucaristia!) …

[2] È una costante nel vangelo secondo san Giovanni che l'agiografo nota passim che i giudei fraintendevano Gesù prendendo le sue parole nel senso materiale, mentre Egli li correggeva ripetutamente svelandone il senso spirituale. Il richiamo al passo 1Cor 14,19 "in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue" non è ad rem, sia perché la messa non è solo né principalmente istruzione, ma si rivolge a Dio Padre, sia perché il latino non è una specie di glossolalia consistente in frasi incomprensibili.

Augustinus
25-04-04, 17:53
Archeologia o archeologismo?

Soggetto celebrante della santa messa non è una comunità indistinta (quasi un collettivo che si riunisce in assemblea), ma è Cristo mediante il ministro-sacerdote

di don Ivo Cisar

1) Archeologismo è la posizione dei nuovi riformatori postconciliari della liturgia (vedi Pio XII, Mediator Dei; Card. Ratzinger, Rapporto sulla fede) che sono andati molto oltre le disposizioni, peraltro assai generiche, del Concilio Vaticano II, il quale, tra l'altro, non ha abolito il latino (vedi SC 54, 101) ed ha ben delimitato la facoltà di concelebrare (SC 57; can. 902 CIC); l'altare voltato verso il popolo non è affatto necessario né obbligatorio (EV 2, 396, 610; da ultimo il Responso della Congregazione del Culto Divino del 25 settembre 2000) ed è stato fondatamente criticato, tra l'altro, dal Card. Ratzinger in Introduzione allo spirito della liturgia (non è giustificato storicamente, chiude la Chiesa in se stessa, pone al centro dell'attenzione il sacerdote celebrante ecc.; cfr. Klaus Gamber, La celebrazione versus populum e Verso il Signore).

2) Errore fondamentale di Mons. Piva e di Prandi, che appaiono assai scarsi nelle nozioni teologiche (che bisognerebbe spiegar loro più a lungo, mentre accusare di ignoranza i vituperati "tradizionalisti" veronesi è per lo meno temerario), è la concezione sbagliata della Chiesa e della sua relazione con Cristo Capo: soggetto celebrante della santa messa non è una comunità indistinta (quasi un collettivo che si riunisce in assemblea), ma è Cristo mediante il ministro-sacerdote (il popolo di Dio è strutturato gerarchicamente, vedi la costituzione dogmatica Lumen gentium, ed il sacerdozio ministeriale precede la Chiesa, come insiste specialmente Giovanni Paolo II in Pastores dabo vobis).

3) Non si confonda l'attiva partecipazione alla santa messa, che è tutta spirituale, con un attivismo materiale (Giovanni Paolo II, ai vescovi statunitensi il 9 ottobre 1998).

4) Assai discutibile, a volte per tagli arbitrari, non sempre comprensibile e proficua per i fedeli è la scelta dei brani della sacra Scrittura nel nuovo Lezionario (per esempio nella messa tridentina i brani sono scelti meglio, sono più ampi, con la ripetizione si imprimono meglio nella memoria, ecc.) Si vedano le fondate considerazioni di mons. Klaus Gamber, Osservazioni critiche sul nuovo ordinamento delle lezioni nella messa .

5) La predicazione (l'omelia di esclusiva competenza, sempre per ragioni teologiche sconosciute ai giornalisti, del presbitero o del diacono: vedi can. 767 § 1 del CIC) è spesso difettosa, non per colpa della messa tridentina, ma perché la predicazione è sottovalutata dai sacerdoti e dai vescovi (che dovrebbero sorvegliarla), la preparazione seminaristica teologica dei sacerdoti non è sempre adeguata, s'indulge ad un vago biblicismo psicologizzante, si trascurano alcune verità di fede.

6) Non è vero che le lingue volgari siano assenti dalla liturgia (soprattutto quella detta "della parola"), ma è vero anche che non basta capire le parole solo materialmente. In sintesi, la "nuova messa" si avvicina allo spirito protestante sotto vari aspetti.

Augustinus
25-04-04, 18:04
http://www.unavoce-ve.it/santamessa-1.jpg

http://www.unavoce-ve.it/montagnana-2.jpg

Perseo
25-04-04, 22:41
E' solo una mia impressione o veramente in questo documento non appare nemmeno una volta la parola Trinità ? :confused:

Augustinus
26-04-04, 07:17
Originally posted by Perseo
E' solo una mia impressione o veramente in questo documento non appare nemmeno una volta la parola Trinità ? :confused:

Giusto, è vero, ma ci sono comunque nominate, nei propri contesti, tutte e tre le Divine Persone. :) :) :)

poliedrico
29-04-04, 00:50
Cari forumisti,

la Costituzione del Vaticano II Sacrosanctum Concilium è senza alcun dubbio il frutto maturo di una storia più che centenaria, che ha visto raccogliere e convergere istanze provenienti dal mondo della ricerca teologica, storica e liturgica, come pure dall’esperienza liturgica della tradizione monastica e dalla sofferta azione pastorale di non pochi responsabili nel ministero.

Il “Movimento liturgico” è la punta più alta e il volto più riconoscibile di tale storia più volte secolare; bisogna includervi però un' ampia base, più silenziosa, eppure non meno significativa e attiva. I Padri Conciliari hanno riconosciuto autorevolmente “questo fiume” e ne hanno riproposto le grandi linee alla Chiesa.

Al corteo, nobile e operoso, di tutti coloro che hanno alacremente lavorato negli anni pre-conciliari, ai periti, che hanno reso possibile la stesura del testo conciliare, ai vescovi uniti al Papa, che hanno discusso e approvato il documento, a tutti va oggi, quarant'anni dopo, la nostra gratitudine.

Essi hanno trasmesso la grande tradizione, autenticamente rinnovata, alle istituzioni ecclesiali, centrali e locali che, secondo le rispettive competenze, hanno gradatamente messo in pratica le indicazioni del Concilio, sia a livello ispirativo e normativo, sia sul piano della prassi celebrativa e dell’animazione pastorale. In questa fase di attuazione, il fiume è divenuto una sorta di enorme corso, dall'alveo vastissimo, dove si mescolano ormai centinaia di culture, di lingue, di comunità e di luoghi pastorali in cui la liturgia viene vissuta e sviluppata.

Anche a tutti coloro che hanno accolto lo spirito e la lettera della Sacrosanctum Concilium, prestandole generosa, intelligente e creativa realizzazione, va la nostra riconoscenza senza riserve.

Nello stesso tempo intendiamo sostenere, incoraggiando e offrendo ogni utile contributo di riflessione e di ricerca, i singoli e le diverse istituzioni formative, rivolte sia al clero sia al mondo dei religiosi e religiose sia ai fedeli laici, nel proseguire lo studio, l’approfondimento e la tenace concretizzazione degli ideali conciliari. Tale linea di “formazione continua” risponde al cap. I, parte II (nn. 14 19) della Costituzione liturgica stessa.

Come ogni riforma ecclesiale veramente incisiva, che penetra nel vivo della vita cristiana, la riforma della liturgia ha suscitato incomprensioni e ha messo in luce varie forme di incoerenza.

La prima remora è derivata probabilmente da una prevedibile resistenza al cambiamento, che in campo rituale mette in crisi radici profonde e affettività pronunciate. La necessaria gradualità nel proporre modifiche e mutamenti si è dovuta articolare con un'urgenza, fortemente sentita, di riformare un campo così vitale per tutta la Chiesa. Non sempre le resistenze sono state illuminate, né le urgenze sono state perseguite in modo paziente, graduale e fiducioso. La stessa condizione attuale dei riti riformati non si può dire abbia raggiunto sempre e dovunque soluzioni interamente soddisfacenti per un pacifico possesso generale.

Secondo la dottrina conciliare, tutta la Chiesa è soggetto dell’azione rituale. Infatti nella celebrazione liturgica ha luogo “la principale manifestazione della Chiesa”. E ciò avviene “nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio”(cfr. SC 41).

La liturgia esprime dunque con pienezza sia la funzione comune dei battezzati, il loro sacerdozio battesimale, sia la funzione dei ministri ordinati, la sacramentalità propria del loro essere diaconi, presbiteri, vescovi. L’adesione profonda al dettato conciliare comporta una indubbia conversione ecclesiologica, l’acquisizione convinta di un modello comunionale che lega insieme, nella reciprocità delle funzioni (cfr. LG 10), l’originaria comune dignità e la peculiarità del compito proprio a ciascuno.

Non è difficile scorgere in non poche critiche alla riforma liturgica e alla sua attuazione, il persistere di un malinteso o di una ripulsa di una rinnovata ecclesiologia. Sarebbe profondamente contrario alla dottrina di Sacrosanctum Concilium e di Lumen Gentium ritornare a una scissione, anche solo velata, tra fedeli laici e ministri ordinati o, con appropriata immagine, tra presbiterio e navata. Occorre invece promuovere in modo sempre più convinto la corresponsabilità di tutto il Corpo di Cristo, che vive nei cristiani e che si articola nella varietà dei compiti e dei servizi. Sarebbe altresì non in sintonia con l’autentico spirito del Concilio sottovalutare anche sotto questo aspetto l’importanza delle chiese particolari (in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit, LG 23 e 26; CD 11). E’ probabile che l’approfondimento teologico su questi temi fondamentali possa e debba ancora offrirci copiosi frutti.

Il tema ricorrente fra coloro che ritengono di dover opporre un ulteriore rifiuto allo sviluppo della riforma liturgica è quello di una come dicono perdita del “senso del mistero”. Se questa critica è provocata da una sconsiderata maniera di pensare, gestire e attuare le celebrazioni, al di fuori di una assunzione di responsabilità nei confronti e del mistero di Cristo e delle esigenze dei cristiani, essa tocca non tanto il progetto riformato e i programmi conseguenti, quanto piuttosto coloro che dovrebbero aver appreso a rispondere delle loro azioni.

Se invece la conclamata perdita di senso del mistero si riferisse a una concezione che si richiama più alla “seduzione dell’arcano” che alla “mistagogia” cristiana, occorre ribadire la centralità del mistero di Cristo, incarnato, morto e risorto, unico autentico paradigma della sacralità, o meglio, con nome proprio, della santità cristiana. Essa si attua nella “carne” ed è animata dallo Spirito, si nutre dei simboli delle culture umane e li vitalizza con i grandi significati della storia della salvezza. Non nutre sospetti manichei né coltiva spiritualismi disancorati dalla storia. Si traduce in 'ritus et preces' accuratamente predisposti e ne fa un uso attento, impegnato e rispettoso.

Segnale caratteristico ne è la presenza di momenti e tempi di silenzio, opportunamente presenti nelle norme rituali e, si spera, diligentemente osservati. Segno più ampio e avvolgente ne è anche il mai interrotto apporto delle arti, quelle visive e quelle della parola, del canto e della musica, le quali danno respiro all'azione rituale e offrono allo spirito una benefica molteplicità di sensi e di rimandi.

Da questo autentico senso di santità, infine, sono egualmente alieni tanto il formalismo cerimoniale (pura messa in scena) quanto l’accensione improvvida di emotività e di entusiasmi di folla, che non aggiungono nulla all'interiorità dell'azione liturgica.

L’impegno per un futuro migliore, sull'onda delle buone realizzazioni che già possono essere messe all'attivo di questa stagione post conciliare, dovrà essere adeguato alla gratitudine e alla riconoscenza che si sono ora espresse nei riguardi di tutti gli artefici, antichi e recenti, del rinnovamento liturgico.

Il cantiere di tale rinnovamento non è, e non deve essere considerato, chiuso e bloccato una volta per tutte. Restano ancora grandi compiti da onorare. Desideriamo invitare tutti, da chi vi si dedica in modo più diretto, con competenze specifiche, fino a tutti quelli - e sono l’immensa maggioranza dei credenti che praticano costantemente il culto divino, a un profondo senso di speranza.

Lo Spirito di Dio, che ha guidato i Padri Conciliari nei luminosi giorni del Concilio, lui stesso continuerà a ispirare il grande corpo della Chiesa nei tempi, talora grigi, del suo “pellegrinaggio nella storia”.

Il proseguimento della seria ricerca biblica e teologica sui temi attinenti al culto divino sarà senza dubbio un sostegno prezioso allo sviluppo e al consolidamento di una liturgia sempre da rinnovare nel suo spirito e anche, occorrendo, nelle sue pratiche concrete.

Il problema che svetta su tutti è - oggi ma soprattutto nel prossimo avvenire quello di una culturazione paziente e ininterrotta.

È in gioco la vera identità di ogni Chiesa e la possibilità di garantire un futuro auspicabile al celebrare cristiano. È un settore di proporzioni vastissime, che dovrà continuare a fare appello a tutte le scienze, conoscenze, discipline umane, che abbiano un rapporto con la ritualità e la teologia, la spiritualità e la pastorale.

La questione si pone in modo nuovo, ma è la traduzione di una tensione che muove fin dalle sue origini la Chiesa di Cristo.

Attilio Rovelli
Docente di Sacra Liturgia
presso il Pontificio Istituto liturgico S. Anselmo di Roma

Augustinus
29-04-04, 13:56
Originally posted by poliedrico
Cari forumisti,

la Costituzione del Vaticano II Sacrosanctum Concilium è senza alcun dubbio il frutto maturo di una storia più che centenaria, che ha visto raccogliere e convergere istanze provenienti dal mondo della ricerca teologica, storica e liturgica, come pure dall’esperienza liturgica della tradizione monastica e dalla sofferta azione pastorale di non pochi responsabili nel ministero.

Il “Movimento liturgico” è la punta più alta e il volto più riconoscibile di tale storia più volte secolare; bisogna includervi però un' ampia base, più silenziosa, eppure non meno significativa e attiva. I Padri Conciliari hanno riconosciuto autorevolmente “questo fiume” e ne hanno riproposto le grandi linee alla Chiesa.

Al corteo, nobile e operoso, di tutti coloro che hanno alacremente lavorato negli anni pre-conciliari, ai periti, che hanno reso possibile la stesura del testo conciliare, ai vescovi uniti al Papa, che hanno discusso e approvato il documento, a tutti va oggi, quarant'anni dopo, la nostra gratitudine.

Essi hanno trasmesso la grande tradizione, autenticamente rinnovata, alle istituzioni ecclesiali, centrali e locali che, secondo le rispettive competenze, hanno gradatamente messo in pratica le indicazioni del Concilio, sia a livello ispirativo e normativo, sia sul piano della prassi celebrativa e dell’animazione pastorale. In questa fase di attuazione, il fiume è divenuto una sorta di enorme corso, dall'alveo vastissimo, dove si mescolano ormai centinaia di culture, di lingue, di comunità e di luoghi pastorali in cui la liturgia viene vissuta e sviluppata.

Anche a tutti coloro che hanno accolto lo spirito e la lettera della Sacrosanctum Concilium, prestandole generosa, intelligente e creativa realizzazione, va la nostra riconoscenza senza riserve.

Nello stesso tempo intendiamo sostenere, incoraggiando e offrendo ogni utile contributo di riflessione e di ricerca, i singoli e le diverse istituzioni formative, rivolte sia al clero sia al mondo dei religiosi e religiose sia ai fedeli laici, nel proseguire lo studio, l’approfondimento e la tenace concretizzazione degli ideali conciliari. Tale linea di “formazione continua” risponde al cap. I, parte II (nn. 14 19) della Costituzione liturgica stessa.

Come ogni riforma ecclesiale veramente incisiva, che penetra nel vivo della vita cristiana, la riforma della liturgia ha suscitato incomprensioni e ha messo in luce varie forme di incoerenza.

La prima remora è derivata probabilmente da una prevedibile resistenza al cambiamento, che in campo rituale mette in crisi radici profonde e affettività pronunciate. La necessaria gradualità nel proporre modifiche e mutamenti si è dovuta articolare con un'urgenza, fortemente sentita, di riformare un campo così vitale per tutta la Chiesa. Non sempre le resistenze sono state illuminate, né le urgenze sono state perseguite in modo paziente, graduale e fiducioso. La stessa condizione attuale dei riti riformati non si può dire abbia raggiunto sempre e dovunque soluzioni interamente soddisfacenti per un pacifico possesso generale.

Secondo la dottrina conciliare, tutta la Chiesa è soggetto dell’azione rituale. Infatti nella celebrazione liturgica ha luogo “la principale manifestazione della Chiesa”. E ciò avviene “nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio”(cfr. SC 41).

La liturgia esprime dunque con pienezza sia la funzione comune dei battezzati, il loro sacerdozio battesimale, sia la funzione dei ministri ordinati, la sacramentalità propria del loro essere diaconi, presbiteri, vescovi. L’adesione profonda al dettato conciliare comporta una indubbia conversione ecclesiologica, l’acquisizione convinta di un modello comunionale che lega insieme, nella reciprocità delle funzioni (cfr. LG 10), l’originaria comune dignità e la peculiarità del compito proprio a ciascuno.

Non è difficile scorgere in non poche critiche alla riforma liturgica e alla sua attuazione, il persistere di un malinteso o di una ripulsa di una rinnovata ecclesiologia. Sarebbe profondamente contrario alla dottrina di Sacrosanctum Concilium e di Lumen Gentium ritornare a una scissione, anche solo velata, tra fedeli laici e ministri ordinati o, con appropriata immagine, tra presbiterio e navata. Occorre invece promuovere in modo sempre più convinto la corresponsabilità di tutto il Corpo di Cristo, che vive nei cristiani e che si articola nella varietà dei compiti e dei servizi. Sarebbe altresì non in sintonia con l’autentico spirito del Concilio sottovalutare anche sotto questo aspetto l’importanza delle chiese particolari (in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit, LG 23 e 26; CD 11). E’ probabile che l’approfondimento teologico su questi temi fondamentali possa e debba ancora offrirci copiosi frutti.

Il tema ricorrente fra coloro che ritengono di dover opporre un ulteriore rifiuto allo sviluppo della riforma liturgica è quello di una come dicono perdita del “senso del mistero”. Se questa critica è provocata da una sconsiderata maniera di pensare, gestire e attuare le celebrazioni, al di fuori di una assunzione di responsabilità nei confronti e del mistero di Cristo e delle esigenze dei cristiani, essa tocca non tanto il progetto riformato e i programmi conseguenti, quanto piuttosto coloro che dovrebbero aver appreso a rispondere delle loro azioni.

Se invece la conclamata perdita di senso del mistero si riferisse a una concezione che si richiama più alla “seduzione dell’arcano” che alla “mistagogia” cristiana, occorre ribadire la centralità del mistero di Cristo, incarnato, morto e risorto, unico autentico paradigma della sacralità, o meglio, con nome proprio, della santità cristiana. Essa si attua nella “carne” ed è animata dallo Spirito, si nutre dei simboli delle culture umane e li vitalizza con i grandi significati della storia della salvezza. Non nutre sospetti manichei né coltiva spiritualismi disancorati dalla storia. Si traduce in 'ritus et preces' accuratamente predisposti e ne fa un uso attento, impegnato e rispettoso.

Segnale caratteristico ne è la presenza di momenti e tempi di silenzio, opportunamente presenti nelle norme rituali e, si spera, diligentemente osservati. Segno più ampio e avvolgente ne è anche il mai interrotto apporto delle arti, quelle visive e quelle della parola, del canto e della musica, le quali danno respiro all'azione rituale e offrono allo spirito una benefica molteplicità di sensi e di rimandi.

Da questo autentico senso di santità, infine, sono egualmente alieni tanto il formalismo cerimoniale (pura messa in scena) quanto l’accensione improvvida di emotività e di entusiasmi di folla, che non aggiungono nulla all'interiorità dell'azione liturgica.

L’impegno per un futuro migliore, sull'onda delle buone realizzazioni che già possono essere messe all'attivo di questa stagione post conciliare, dovrà essere adeguato alla gratitudine e alla riconoscenza che si sono ora espresse nei riguardi di tutti gli artefici, antichi e recenti, del rinnovamento liturgico.

Il cantiere di tale rinnovamento non è, e non deve essere considerato, chiuso e bloccato una volta per tutte. Restano ancora grandi compiti da onorare. Desideriamo invitare tutti, da chi vi si dedica in modo più diretto, con competenze specifiche, fino a tutti quelli - e sono l’immensa maggioranza dei credenti che praticano costantemente il culto divino, a un profondo senso di speranza.

Lo Spirito di Dio, che ha guidato i Padri Conciliari nei luminosi giorni del Concilio, lui stesso continuerà a ispirare il grande corpo della Chiesa nei tempi, talora grigi, del suo “pellegrinaggio nella storia”.

Il proseguimento della seria ricerca biblica e teologica sui temi attinenti al culto divino sarà senza dubbio un sostegno prezioso allo sviluppo e al consolidamento di una liturgia sempre da rinnovare nel suo spirito e anche, occorrendo, nelle sue pratiche concrete.

Il problema che svetta su tutti è - oggi ma soprattutto nel prossimo avvenire quello di una culturazione paziente e ininterrotta.

È in gioco la vera identità di ogni Chiesa e la possibilità di garantire un futuro auspicabile al celebrare cristiano. È un settore di proporzioni vastissime, che dovrà continuare a fare appello a tutte le scienze, conoscenze, discipline umane, che abbiano un rapporto con la ritualità e la teologia, la spiritualità e la pastorale.

La questione si pone in modo nuovo, ma è la traduzione di una tensione che muove fin dalle sue origini la Chiesa di Cristo.

Attilio Rovelli
Docente di Sacra Liturgia
presso il Pontificio Istituto liturgico S. Anselmo di Roma

Caro Poliedrico,
ho letto con attenzione il tuo contributo, che, per affinità tematica, ho inserito in quello da te aperto tempo addietro.
Quanto scrivi i pare sia una sorta di "manifesto" di glorificazione della Costituzione SC.
Scrivi che il rinnovamento liturgico posto in essere dopo quel documento è divenuto un fiume, nel quale confluiscono una certa varietà di esperienze. Questo è vero. Non posso negarlo. Nondimeno mi vengono in mente alcune riflessioni:
- in primo luogo, a legger bene la Costituzione, mi pare che essa non auspicava un radicale mutamento del rito, quanto al più un adattamento, con il mantenimento sostanziale della pregressa ed onorata liturgia, oltre al mantenimento del canto gregoriano. Dunque, se ciò è vero, ne consegue che lo stesso spirito e le intenzioni della Costituzione sono state tradite e sovvertite;
- in secondo luogo, è da osservare come, nel caso che ci occupa, non si sono trattati di piccoli adattamenti, ma di un radicale mutamento, anche teologico, che ha condotto a manomettere la Liturgia. Diceva il Papa: "... Oggi, per un efficace lavoro nel campo della predicazione, bisogna prima di tutto conoscere bene la realtà spirituale e psicologica dei cristiani che vivono nella società moderna. Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva. ..." (Giovanni Paolo II, Discorso del 6 febbraio 1981 al Convegno nazionale "Missioni al popolo per gli anni '80"). Forse è in quest'ottica che va letto il recente documento sulla liturgia.
Cosa ne pensi? E poi cosa pensi delle riflessioni di dom Gueranger che ho sopra postato. Non noti delle pericolose affinità elettive?
Cordialmente

Augustinus

29-05-04, 17:22
Cari fratelli,
comincia con questo post un'analisi serena ed obiettiva sull'Ordo Missae promulgato da S. Pio V nel 1570, che è rimasto in vigore fino a quando papa Paolo VI ha promulgato il Novus Ordo Missae (NOM) verso il 1969.

Su questo Messale e sulle sue implicazioni liturgiche e teologiche si è consumato l'unico scisma della Chiesa Cattolica nel XX secolo, ossia quello dei cattolici "tradizionalisti" seguaci di mons. Lefebvre prima e dei suoi vari emuli e discepoli poi.

Da parte "tradizionalista" (ma vedremo presto la pretestuosità di utilizzare questo termine da parte di chi non ne avrebbe alcun diritto) si accusa Paolo VI e il Concilio Vaticano II di "tradimento della Fede", di aver "protestantizzato la MEssa", e si rivendica l'uso esclusivo della "Messa di sempre" (ossia quella di S. Pio V).

Vediamo dunque quanto c'è di vero e quanto di falso in queste varie accuse.

29-05-04, 17:46
Accusa: "Disprezzate il Tabernacolo: avete girato gli altari e il sacerdote è costretto a dare le spalle al SS. Sacramento."

Innanzitutto è opportuno fare chiarezza: il tabernacolo è una istituzione POSTERIORE al Concilio di Trento (XVI secolo), e questo significa che fino alla fine del 1500 il tabernacolo nelle cheise cattoliche non esisteva.

L'istituzione del tabernacolo per contenere la riserva eucaristica è legata non solo a ragioni teologiche, ma anche a questioni culturali e contingenti: nei primi secoli del cristianesimo il problema non si poneva nemmeno perchè nelle assemblee veniva diviso il pane fra tutti i fedeli, e non restava nulla; venivano messe da parte alcune porzioni che venivano mandate ai malati tramite i diaconi.

Questa usanza è testimoniata dal termine stesso "Messa", che deriva dalla locuzione finale "ite, missa est", ossia "andate, (l'eucaristia) è stata mandata", e che col tempo ha assunto il significato di "la messa è finita" per indicare la fine della celebrazione.
Controprova: la parola "messa" non è mai stata usata dagli antichi cristiani, i quali parlavano sempre e solo di "eucaristia", ossia di "rendimento di grazie" (gr. eukaristein).
Il termine "Eucaristia" designava quindi tre realrtà: la "messa", la "comunione" e la preghiera eucaristica (altrimenti detta Canone).
Presto la preghiera eucaristica, a partire all'incirca da Tertulliano (II sec.), verrà chiamata "sacrificiorum orationes", preghiere del/i sacrificio/i.

Ad un certo punto, l'Eucaristia non venne più portata agli assenti immediatamente dopo la celebrazione, per cui sorse la necessità di conservare in un apposito luogo i resti del pane consacrato destinati ai malati affinchè non andassero a male; così essi venivano riposti in ceste o altri contenitori e tenuti in vari luoghi (generalmente armadi).

Inoltre, fin dal IV sec., finite le persecuzioni, nelle chiese i fedeli portavano essi stessi i pani, i quali venivano raccolti in grossi cesti che il sacerdote ridistribuiva al momento dell'Eucarestia: ciò era fatto apposta perchè la comunità ricevesse da Dio lo stesso pane che aveva portato.
Conferme di questo si trovano nei vari testi narrativi di quell'epoca, in cui, p.es., parlando di una donna ritenuta particolarmente "santa" il cronista nota che essa riceveva ogni volta proprio lo stesso pane che aveva portato, quale segno di predilezione divina.

Ovviamente, poichè i pani non erano azzimi ma lievitati, nelle ceste rimanevano una grande quantità di briciole, che finivano gettate via o agli animali da cortile, seppur consacrate.

Questo NON perchè all'epoca non si avesse riverenza verso il Corpo del Signore (anzi), ma perchè lamentalità comune di tutta la Chiesa non riteneva assolutamente ingiurioso nei confronti di Gesù il gettare via le briciole che- oltretutto- per quanto si potessero limitare o cercare di raccogliere, inevitabilmente ne sarebbe rimasto un poco a terra o nelle ceste.

(continua...)

Augustinus
30-05-04, 12:24
Per uniformità di tematica, ho riunito i due threads aperti da Poliedrico e da Montiniano.
Invito poi quest'ultimo anche a leggere i posts che lo precedono per una profittevole discussione.

Augustinus :) :) :)

30-05-04, 12:50
Originally posted by Augustinus
Per uniformità di tematica, ho riunito i due thread aperti da Poliedrico e da Montiniano.
Invito poi quest'ultimo anche a leggere i posts che lo precedono per una profittevole discussione.

Augustinus :) :) :)
Grazie, in effetti stavo appunto leggendo la parte prima coi discorsi di Poliedrico e mi sono accorto che avete aggiunto qui il mio 3d...bene, così si capirà meglio il discorso.

A presto

+ In nomine Domini +

Augustinus
30-05-04, 13:15
di mons. Klaus Gamber da "Instaurare omnia in Christo", 2/1990, pp. 4-6. Titolo originale Die Zelebration "versus populum", in Ritus modernus. Gesammelte Aufsätze zur Liturgiereform ["Studia patristica et liturgica 4"] Regensburg, Pustet, 1972, pp. 21-29. Traduzione italiana di Fabio Marino


Nelle sue Direttive per la disposizione della casa di Dio secondo lo spirito della liturgia romana del 1949 Th. Klauser rilevava che "diversi indizi inducono a ritenere che nella chiesa del futuro il sacerdote riprenderà il suo posto di un tempo dietro l'altare e celebrerà rivolto verso il popolo come ancor oggi avviene nelle antiche basiliche romane: il desiderio ovunque manifesto di esprimere con maggiore evidenza la comunione della mensa eucaristica sembra esigere una tale soluzione" (n. 8).

Ciò che allora Klauser presentava come auspicabile è diventata nel frattempo regola largamente applicata. È opinione comune che si sia in tal modo rinnovato un uso della Chiesa primitiva. Ora questo corrisponde alla realtà?

Nel presente scritto verrà dimostrato come nella Chiesa non è mai esistita la celebrazione versus populum. L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. Egli infatti scrive nel suo opuscolo Messa tedesca e ordinamento del culto divino del 1526, all'inizio del capitolo "La domenica per i laici": "Manteniamo dunque i paramenti della messa, l'altare, le candele così come sono, finché non scompariranno da sé oppure non ci piaccia di modificarli. Se qualcuno però vorrà agire diversamente lasciamoglielo fare. Ma nella vera messa tra puri cristiani l'altare non dovrebbe rimanere così come è ora e il sacerdote dovrebbe sempre rivolgersi al popolo, come senza dubbio ha fatto Cristo nell'ultima Cena". Ora ciò si compirà a suo tempo".

Per variare la posizione del sacerdote all'altare il Riformatore si richiama a quanto fece Cristo nell'ultima Cena. Ma, come risulta evidente, Lutero aveva davanti agli occhi le rappresentazioni pittoriche comuni ai suoi tempi: Gesù sta o siede al centro di un grande tavolo con gli apostoli alla sua destra e alla sua sinistra. La più celebre raffigurazione di tal genere è l'affresco di Leonardo da Vinci.

Ma Gesù occupò realmente quel posto? Certamente no, in quanto ciò sarebbe stato in contraddizione con gli usi conviviali degli antichi. Al tempo di Gesù e nei secoli seguenti il tavolo era rotondo oppure a forma di sigma (semicerchio). La parte anteriore del medesimo rimaneva libera per consentire il servizio delle vivande: i commensali sedevano o giacevano all'emiciclo posteriore del tavolo, servendosi assai spesso di un banco a forma di sigma. In origine il posto d'onore non era al centro, come si potrebbe credere, bensì al lato destro (in cornu dextro).

Tale disposizione dei posti la ritroviamo regolarmente nelle più antiche raffigurazioni dell'ultima Cena fino in pieno medioevo. Gesù giace o diede sempre al lato destro del tavolo. Solo all'incirca a partire dal XIII secolo comincia a imporsi un nuovo modello: il posto di Gesù è ora al lato posteriore del tavolo in mezzo agli apostoli. Ciò sembrerebbe effettivamente una celebrazione versus populum, ma in realtà non lo era affatto, perché il "popolo" cui il Signore avrebbe dovuto rivolgersi, come si sa, nel Cenacolo non c'era. Quindi l'argomentazione di Lutero si rivela inconsistente.

Fino al III-IV secolo, quando il numero dei membri della comunità era ancora limitato, nella celebrazione eucaristica si imitava fedelmente l'ultima Cena assumendo la medesima disposizione dei posti di allora. Ciò lo dimostrano con tutta evidenza numerosi ritrovamenti di chiese domestiche, risalenti ancora al IV-V secolo, nella regione alpina e danubiana.. In dette chiese, al centro di uno spazio relativamente ridotto (ca. 9 per 17 m), troviamo un banco di pietra a forma semicircolare dai cinque ai sette metri di diametro, che poteva accogliere circa venticinque persone. Abbiamo trattato diffusamente questo argomento in uno studio particolare.

Nelle città ove il numero dei fedeli era maggiore la celebrazione doveva richiedere più tavoli: a uno di essi sedeva il vescovo con i presbiteri, agli altri gli uomini e le donne. Che si assumesse una tale disposizione è testimoniato dalla Didascalia degli Apostoli, risalente al III secolo (II 57,2-58,6).

Nel successivo stadio di sviluppo i tavoli dei laici scompaiono e rimane unicamente quello del vescovo. L'originario tavolo della Cena di legno diventa ora un altare di pietra. Dove prima tutti i fedeli sedevano invece a un unico tavolo, lo spazio in origine assai ridotto dell'aula venne ampliato in ragione della forte crescita delle comunità registratasi all'inizio del V secolo. Coloro che partecipavano alla liturgia sedevano ora su banchi posti lungo le pareti della chiesa, secondo l'uso praticato nelle sinagoghe. Questi banchi non erano che il prolungamento del banco a forma di sigma ove ormai prendeva posto soltanto il vescovo con il clero.

Ora un'altra domanda che si pone è la seguente: quando il celebrante si recava all'altare per la celebrazione del sacrificio, stava dalla parte anteriore oppure dalla parte posteriore del medesimo? Di per sé sarebbe naturale pensare che dal suo posto al centro del banco egli si recasse per la via breve al lato posteriore dell'altare, e che quindi il suo posto fosse dietro l'altare. In tal caso si avrebbe una celebrazione versus populum.

Ma noi sappiamo che il criterio per determinare la posizione del sacerdote all'altare era ben diverso: esso era dato dall'orientamento. L'usanza di pregare verso il sole che sorge è antichissima. Nel sole nascente si vedeva il simbolo del Signore che ascende al cielo e che dal cielo ritorna. Anche questa idea la ritroviamo nella già citata Didascalia degli Apostoli (II 57,6): Versus orientem oportet vos orare, sicut et scitis, quod scriptum est: date laudem Deo qui ascendit in caelum caeli ad orientem (Ps 67,33-34).

Perché durante la celebrazione i raggi del sole nascente potessero cadere all'interno della chiesa, nel secolo IV l'ingresso della maggior parte delle basiliche occidentali era posto non già a occidente, come sarà in seguito uso generale, bensì a oriente. Ciò si può constatare ancor oggi nelle basiliche maggiori di Roma: durante le funzioni liturgiche le tre porte d'ingresso dovevano evidentemente restare aperte per far entrare la luce del sole.

In una basilica con tali caratteristiche il celebrante, per guardare verso oriente durante il santo sacrificio, doveva porsi dietro l'altare. Ne risulta una apparente celebrazione versus populum. Non dobbiamo però dimenticare che i fedeli presenti non stavano nella navata centrale, come troppo spesso si crede, ma in quelle laterali, e guardavano anch'essi a oriente. La Liturgia egiziana di Marco conosce pure un invito del diacono in tal senso: "Guardate a oriente!". Dunque nelle basiliche occidentate del IV secolo la comunità radunata per la celebrazione del santo sacrificio formava una semicirconferenza aperta a oriente il cui punto medio era rappresentato dal vescovo (o dal sacerdote) celebrante. È significativo che anche qui abbiamo il semicerchio al pari di quando i fedeli sedevano insieme al banco a forma di sigma nella Cena del Signore delle origini cristiane.

Pertanto è assolutamente da escludere che nelle basiliche del IV secolo il sacerdote stesse di fronte alla comunità per la celebrazione del sacrificio. A fare ciò è stato per la prima volta il movimento liturgico degli anni venti e trenta, che come Lutero ha propagato la celebrazione versus populum. Pius Parsch, il benemerito zelatore della "liturgia popolare", già negli anni trenta, quando a Klosterneuburg venne risistemata la chiesetta di St. Gertrud, vi adattò l'altare in modo da poter celebrare verso il popolo.

Ora se la posizione del celebrante tra l'abside e l'altare nelle basiliche del IV secolo era determinata unicamente dall'esigenza di rivolgersi ad orientem per pregare, la questione affrontata da Nußbaum nel suo ampio volume Il posto del liturgo all'altare cristiano prima dell'anno 1000, fino a quando sia rimasta in uso nella Chiesa la celebrazione versus populum, così impostata è un falso problema.

Quando nel V secolo si cominciò a orientare non più la porta della chiesa ma l'abside, anche la posizione del sacerdote all'altare dovette di conseguenza mutare: d'ora in poi egli starà rivolto verso l'abside con le spalle alla comunità. Jungmann osservava in proposito: "Il sacerdote dunque sta alla testa del popolo, non versus populum. L'intera comunità è come una grande processione che cammina verso oriente, verso il sole, incontro a Cristo Signore guidata dal sacerdote per offrire insieme con lui il sacrificio a Dio".

Alquanto diversa era la situazione in alcune antiche chiese del Nordafrica e dell'Italia settentrionale, per esempio Ravenna. Qui vi è sì l'abside rivolto a oriente, ma l'altare si trova non già vicino a quest'ultimo ma quasi esattamente al centro della navata. Tutto lo spazio tra l'altare e l'abside formava il presbiterio. I fedeli trovavano posto nelle navate laterali, come nelle basiliche, il che corrisponde all'uso di sedere ai banchi laterali nelle piccole chiese a sala.

Poiché il celebrante stando all'altare guardava sempre a oriente, quindi verso l'abside, in queste chiese egli non stava alla testa del popolo ma, analogamente a quanto avveniva nelle basiliche occidentate del IV secolo, era invece il centro di un grande semicerchio aperto verso oriente formato dai fedeli che partecipavano al sacrificio.

Qui bisogna rispondere a una obiezione: Klauser e Nußbaum che lo segue ritengono che ben presto "l'altare, luogo della teofania sarebbe diventato al tempo stesso anche il termine di riferimento per l'orientamento", quindi sarebbe stato naturale "rivolgersi verso l'altare, anche se in tal modo il liturgo in una chiesa orientata con l'abside avesse dovuto guardare a occidente".

Inoltre Nußbaum pensa che qualora tra la parete absidale o il trono del vescovo e l'altare vi fosse spazio sufficiente per il sacerdote celebrante, se ne dovrebbe concludere che quest'ultimo appunto in tale spazio avrebbe avuto il suo posto, e quindi stando all'altare avrebbe guardato versus populum.

Ciò significa proiettare nell'antichità concezioni moderne. Infatti non esiste neppure una fonte letteraria che testimoni questo peculiare valore simbolico dell'altare e che lo indichi come il termine dell'orientamento. Le testimonianze archeologiche addotte da Nußbaum non sono affatto univoche e non possono dimostrare l'esistenza di alcuna celebrazione verso il popolo.

Comunque il rigoroso orientamento delle chiese, che troviamo a partire dal IV-V secolo, sarebbe senza senso se non fosse in relazione con il verso della preghiera. Si può affermare in generale che ogni qual volta una chiesa ha l'abside a oriente, il posto del sacerdote è ante altare, in modo che durante l'offerta del sacrificio possa rivolgere lo sguardo a oriente.

Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica.

L'espressione specifica versus populum compare per la prima volta nel Ritus servandus in celebratione Missae annesso al Missale Romanum promulgato nel 1570 per ordine di papa san Pio V. Al cap. V 3 vi viene contemplato il caso in cui "l'altare sia rivolto a oriente (ma non verso l'abside, bensì) verso il popolo" (altare sit ad orientem versus populum), cosa che avviene nelle basiliche maggiori e in alcune altre chiese dell'Urbe.

L'accento è posto sulla qualificazione ad orientem, mentre versus populum non è altro che un'aggiunta chiarificatrice relativa alla disposizione immediatamente seguente, ove è previsto che in tal caso il celebrante non si volti al Dominus vobiscum (non vertit humeros ad altare), dato che si trova già rivolto al popolo.

Che cosa accade in proposito nella Chiesa orientale? Anche qui non esistette mai una forma di celebrazione versus populum, anzi addirittura vi manca una espressione corrispondente. È interessante rilevare che nella concelebrazione, che come è noto in Oriente ha una lunga tradizione, il celebrante principale sta di regola con le spalle al popolo mentre i concelebranti si pongono alla sua destra e alla sua sinistra: in nessun caso prendono posto sul lato posteriore dell'altare.

L'argomento decisivo relativo alla posizione che il sacerdote deve assumere all'altare è dato, come si è accennato più volte, dal carattere sacrificale della messa. Il sacrificatore si rivolge sempre verso colui al quale offre il sacrificio. Secondo la concezione del cristianesimo antico ciò si pratica volgendo lo sguardo a oriente.

Ora è cosa ben nota che il carattere sacrificale della messa è stato negato da Lutero. Parecchi teologi e liturgisti cattolici alla moda oggi negano il sacrificio, anche se in maniera indiretta: preferiscono porlo in secondo piano, sottolineando per contro col massimo vigore il carattere conviviale della celebrazione.

Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. Nei primi tre secoli dominò chiaramente il carattere di banchetto eucaristico, che trovò la sua espressione nel fatto di sedere in comune al tavolo della Cena. Del resto a quest'epoca l'eucaristia era ancora strettamente legata all'agape. Però già intorno all'anno 100 l'atto dello "spezzare il pane" domenicale viene espressamente indicato come un sacrificio nella Didaché (XIV 2).

Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazione versus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena.

Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione, e non occorre insistere qui sulla opportunità che il sacerdote o il lettore stia di fronte alla comunità nella proclamazione della parola di Dio.

Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio.

Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte.

Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero.

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Sono state omesse le note

Augustinus
30-05-04, 13:17
di mons. Klaus Gamber da "notizie". Periodico dell'associazione italiana Una Voce edito dalla Sezione di Torino n° 116, 1987, pp. 1-4


Nella Chiesa primitiva e durante il Medioevo, fu norma rivolgersi a oriente durante la preghiera. Dice sant'Agostino: "Quando ci alziamo in piedi per la preghiera, ci volgiamo a oriente, da dove s'innalza il cielo, non come se ivi soltanto fosse Dio, e avesse abbandonato le altre parti del mondo ..., ma perché lo spirito si innalzi a una natura superiore, ossia a Dio".

Queste parole del Padre africano mostrano che i cristiani, dopo l'omelia, si alzavano per la preghiera successiva e si volgevano a oriente. A quest'atto allude sempre Agostino concludendo le sue omelie con la formula fissa conversi ad Dominum ("rivolti al Signore").

Il Dölger, nel suo fondamentale Sol salutis, ritiene che anche la risposta del popolo Habemus ad Dominum, all'invito del celebrante Sursum corda, implichi l'essere rivolti a oriente, tanto più che alcune liturgie orientali esigono che ciò effettivamente sia, dopo l'invito del diacono.

Ciò vale per la Liturgia copta di Basilio, dove all'inizio dell'anafora si dice: "Venite, uomini, state in adorazione e guardate a oriente", e per la Liturgia egiziana di Marco, dove un analogo invito - "Guardate a oriente" - viene dato nel corso della Preghiera eucaristica, ossia prima del Sanctus.

Nella breve esposizione del rituale liturgico contenuta nel libro II delle Costituzioni apostoliche (fine del secolo IV), è prescritto di alzarsi in piedi per la preghiera e di volgersi a oriente. Nel libro VIII viene riportato un equivalente invito del diacono: "State in piedi rivolti al Signore". Nella Chiesa primitiva, pertanto, volgersi al Signore e guardare a oriente erano la stessa cosa.

L'usanza di pregare rivolti al punto in cui sorge il sole è antichissima, come il Dölger ha dimostrato, e comune a ebrei e gentili. I cristiani l'adottarono ben presto. Già nel 197, la preghiera verso oriente è per Tertulliano una cosa normale. Nel suo Apologeticum (cap. XVI), egli riferisce che i cristiani "pregano nella direzione in cui sorge il sole".

Allora nelle case si indicava la direzione della preghiera a mezzo di una croce incisa nel muro. Una croce del genere è stata ritrovata a Ercolano in una camera al primo piano di una casa sepolta dall'eruzione del Vesuvio nell'anno 79.

Ora esaminiamo l'orientamento del celebrante e dei fedeli durante la messa. In fondo si tratta del problema se è mai esistita, agli albori del cristianesimo, una celebrazione versus populum (verso il popolo) come oggi si pretende di sostenere.

O. Nußbaum, dopo un lungo esame dedicato alla questione in Il posto del liturgo all'altare cristiano (1965) espone così il problema: "Coll'erezione di edifici specialmente riservati al culto, non si è adottata alcuna regola severa per stabilire da quale parte dell'altare doveva trovarsi il posto del liturgo. Succedeva che l'occupava spesso davanti all'altare e anche spesso dietro" (p. 408). Nußbaum nutre tuttavia la convinzione che si preferiva la celebrazione verso il popolo fino al VI secolo. Ma questa sua opinione è talmente errata che non è possibile sostenerla né accettarla.

Egli infatti non distingue la differenza che esiste fra le chiese dall'abside verso l'est e altre che hanno l'abside diretta verso ponente e, quindi, l'ingresso dalla parte orientale. Quest'ultimo orientamento si trova per di più soltanto in basiliche del IV secolo e anche qui in primo luogo in quelle edificate da Costantino o da sua madre Elena.

Già all'inizio del V secolo san Paolino da Nola chiama usuale (usitatior) le abside dalla parte orientale (ep. 32,15).

Troviamo basiliche con ingresso verso oriente soprattutto a Roma (il Laterano e S. Pietro) e nell'Africa del nord, mentre esse scarseggiano in Oriente. Trattandosi di edifici con la porta di ingresso rivolta verso oriente, si può dire che essi seguivano l'esempio del Tempio di Gerusalemme e dei maggiori templi antichi.

Nelle basiliche dall'ingresso verso oriente il celebrante era costretto a tenersi regolarmente dalla parte di dietro dell'altare per garantire l'orientamento verso est durante l'offerta del santo sacrificio; al contrario nelle chiese dall'abside verso l'est, il sacerdote doveva necessariamente tenersi davanti l'altare (ante altare) volgendo le spalle ai fedeli. Ora la nostra domanda deve porsi così: dov'era il posto dei fedeli nelle basiliche (costantiniane) con l'abside rivolto verso ponente?

Durante il Canone della messa, non solo il sacerdote ma anche i fedeli stavano rivolti verso oriente. Vale a dire che i fedeli stavano anch'essi rivolti verso oriente, guardando in direzione delle porte della chiesa, tenute aperte, attraverso le quali filtrava la luce del sole simbolo di Cristo risorto.

Durante la celebrazione della eucaristia, nemmeno nelle basiliche menzionate il popolo e il sacerdote non stavano mai di faccia. I fedeli - separati gli uomini dalle donne - prendevano posto nelle navate laterali. Le grandi basiliche ne possedevano fino a sei (il Laterano e S. Pietro ne hanno quattro). Questa disposizione corrisponde ai posti a sedere che si trovano nelle piccole chiese paleocristiane, un uso che continua a esistere ancora nelle chiese dell'Oriente. Anche qui la navata centrale rimane libera, i fedeli anziani siedono sui sedili lungo le pareti laterali e nelle navate mentre la maggior parte dei fedeli rimane in piedi.

Nelle basiliche costantiniane, e qualche volta anche nelle chiese africane, tutta quanta la navata centrale serviva allo svolgimento delle funzioni ed era a disposizione del sacerdote e della schola cantorum, come dimostrano gli scavi e anche un mosaico a Thabarca (Africa del nord). che data al IV secolo. L'altare ornato di un baldacchino, si erigeva all'incirca al centro della chiesa ed era circondato da balaustre. Lo stesso ordine viene ritrovato nell'Italia settentrionale nelle basiliche più antiche ad esempio ad Aquileia e Ravenna, sebbene l'abside si trovi in direzione dell'oriente.

Nella basilica costantiniana di S. Pietro l'altare non era collocato sopra la tomba dell'Apostolo ma bensì nel centro della navata. Nella nuova attuale basilica, l'altare papale si trova invece sulla tomba dell'Apostolo, ma, come nell'antichità, è ancora circondato da un'isola che gli conserva l'ubicazione centrale di una volta.

I fedeli, perciò, nelle basiliche in cui l'ingresso e non l'abside era situato a oriente, se non guardavano l'altare nemmeno voltano a esso le spalle: cosa inammissibile, data la santità dell'altare stesso. Poiché erano nelle navate laterali, avevano l'altare rispettivamente alla loro destra o alla loro sinistra, e formavano un semicerchio aperto a oriente col celebrante e gli assistenti all'incrocio del transetto con l'asse longitudinale della chiesa.

Nelle chiese con l'abside a oriente, tutto dipendeva da come si disponevano i fedeli. Se formavano un ampio semicerchio davanti all'altare situato nella parte absidale della chiesa o presbiterio, anche in questo caso il semicerchio era aperto a oriente; il celebrante non era più all'incrocio dei bracci, bensì nel punto focale, più lontano dai fedeli.

Nel Medioevo, invece, quasi ovunque i fedeli prendono posto nella navata centrale, mentre le navate laterali servono per la processione d'ingresso. In tal modo, dietro al celebrante si snoda il viaggio del popolo di Dio verso la Terra promessa. Meta del viaggio è l'oriente: là è il paradiso, perduto, a cui l'uomo agogna di tornare (cfr. Gen 2,8). Testa di questa teoria sono il celebrante e i suoi assistenti.

In contrasto con la dinamica del viaggio, il semicerchio aperto attua un principio statico durante la preghiera: l'attesa del Signore che, asceso in cielo a oriente (cfr. Ps 67,34), da oriente ritornerà (cfr. At 1,11). Qui, la disposizione a semicerchio aperto è dunque, per così dire, naturale. Quando si aspetta un'alta personalità, si apre un varco e si forma un semicerchio per ricevere nel mezzo la persona attesa.

Analogo pensiero esprime san Giovanni Damasceno (De fide orthod. IV 2): "Nella sua ascensione al cielo, Egli si levò verso oriente. Così Lo adorano gli Apostoli, e ritornerà come essi Lo videro andare verso il cielo. Dice infatti il Signore: Come il lampo parte da oriente e illumina fino a occidente, tale sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Poiché l'aspettiamo, adoriamo rivolti a oriente. Degli Apostoli, questa è una tradizione non scritta".

Partendo da questa veduta, a cominciare pressappoco dal VI secolo, si cominciò a rappresentare l'ascesa del Signore sullo sfondo dell'abside ricordando in tal modo anche la sua gloria nel cielo e la sua seconda parusia (At 1,11). Più tardi il Cristo in trono nella mandorla venne staccato da quella composizione per divenire quale maiestas Domini, circondato dai quattro animali, il quadro absidiale romanico.

Erano presenti nella prima composizione anche gli Apostoli e nel loro mezzo Maria che alzava le mani al cielo in posizione orante. Ancora più tardi si dipingeva sotto la cupola principale il Pantocrator, oppure l'ascesa del Signore, sopra l'altare, senza però unirvi la Madre di Dio che continuava a ornare l'abside.

Può darsi che un passo dell'Apocalisse ne abbia dato l'ispirazione, là dove si legge: "E si aprì il tempio di Dio nel cielo e apparve l'arca del testamento nel tempio (come sappiamo l'arca sta sull'altare nelle chiese d'oriente) ... e un segno grande apparve nel cielo: una donna vestita di sole con la luna ai piedi e sul capo dodici stelle" (Ap 11,19-12,1). È degno di nota il fatto dell'avvicinamento nell'Apocalisse di Maria-Ecclesia con l'arca del testamento, ma colpisce anche che la tenda del tempio, che copre il luogo più sacro, non si apre che in determinate occasioni. Il mistero, il tremendum esige che lo si nasconda, solo in tal modo si risveglia la nostalgia di poterlo contemplare.

"Adesso vediamo come in uno specchio, nell'enigma, ma poi faccia a faccia" (1Cor 13,12).

Lo sguardo levato verso l'oriente non cerca soltanto la gloria di Cristo in cielo e il suo ritorno, ma esprime anche il desiderio della visione che si svelerà alla fine dei giorni, nella gloria avvenire. È quello il significato della prece che si innalza nella Didaché (X 6) Maranatha! che ripete il Veni, Domine Iesu! dell'Apocalisse.

In questo breve studio si è soltanto tenuto conto di alcuni punti importanti che riguardano l'orientamento verso l'est durante la preghiera e il posto del celebrante nella Chiesa dei primi secoli.

Altri dati importanti archeologici sono esposti nel mio libro Liturgie und Kirchenbau ("Liturgia e architettura religiosa") che fornisce anche le prove necessarie.

È vero che l'uomo moderno non sa più capire bene il significato dell'orientamento della preghiera verso l'est. Per lui il sole che sorge non ha più la forza simbolica che aveva per l'uomo antico. Però, al di sopra dei tempi storici, sta l'importanza della preghiera ad Dominum, verso il Signore da parte del celebrante e dei fedeli, che esprime l'orientamento verso la croce dell'altare e verso l'immagine di Cristo nell'abside, da parte di tutti i presenti, sacerdote e fedeli.

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Thomas Aquinas
02-07-04, 21:50
Conferenza Episcopale Italiana
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA


L'adeguamento delle chiese
secondo la riforma liturgica


NOTA PASTORALE



PRESENTAZIONE


La riforma liturgica, le cui basi sono state poste dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Ecumenico Vaticano II, si rivela come un impegnativo cammino di rinnovamento della mentalità e della prassi ecclesiale nella celebrazione del Mistero di Cristo.
Di questo itinerario vasto e profondo, fa parte la conoscenza e il retto uso di tutti i segni di fede che la tradizione di origine biblica e patristica ha consegnato alla Chiesa e che essa accoglie e trasmette nel corso della sua missione nel mondo. Coerente a questa prospettiva, la Chiesa ha sempre dedicato speciale attenzione alle opere d'arte e di architettura che sono state create al servizio dell'azione liturgica delle diverse comunità (Cfr. SC nn. 122-126) e si sente obbligata anche nell'epoca attuale "a conservare e a tramandare con cura il patrimonio artistico e le testimonianze di fede del passato" (C.E.I., Il rinnovamento liturgico in Italia, n. 13).
Nel rispetto della propria tradizione, che vede negli edifici di culto i luoghi privilegiati per l'incontro sacramentale con Dio, la Chiesa intende evitare "sia di dissiparne i tesori sia di acconsentire a relegarli al rango di oggetti da museo: una chiesa è un luogo vivo per uomini vivi" (Ibid., n. 13).
Per questo i Vescovi italiani, con la presente Nota, desiderano evidenziare e condurre a termine un organico disegno pastorale, secondo il quale "creatività e conservazione, adattamento nella salvaguardia" sono i criteri che devono guidare i tentativi di quanti si impegnano "nella risistemazione di antichi spazi e ambienti per il culto, allo stesso modo che nella creazione di nuove strutture e suppellettili per la liturgia" (Ibid., n.13).
A completamento di quanto abbiamo indicato nella Nota pastorale "La progettazione di nuove chiese" (1993) e negli Orientamenti "I beni culturali della Chiesa in Italia" (1992), questo documento illustra le ragioni e i metodi dell'adeguamento delle chiese esistenti perché esse, in base a una progettazione sollecita e controllata, si prestino alla promozione del rinnovamento celebrativo, secondo le esigenze della riforma liturgica. A tale scopo, utilizza ampiamente quanto i documenti applicativi della riforma liturgica hanno già stabilito e dispone in modo ordinato la normativa vigente.
L'insieme di un tale quadro normativo, considerato nella sua unitarietà, manifesta l'impegno della Chiesa italiana nel campo dell'arte liturgica e dei beni culturali, e ribadisce l'uguale importanza dei tre atteggiamenti ricordati: lo sforzo di conservazione, la ricerca di adeguamento alle nuove esigenze e la promozione di nuove opere corrispondenti all'indole di ogni epoca (cfr. Principi e norme per l'uso del Messale Romano nn. 253-254).
Nello stesso tempo, questa Nota pastorale si propone come punto di incontro, di collaborazione e di lavoro comune per tutti gli operatori ecclesiali coinvolti nel processo di adeguamento, per i professionisti e i tecnici, come pure per tutti coloro che hanno autorità per la tutela del patrimonio culturale italiano.

+ Luca Brandolini
Vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo
Presidente della Conferenza Episcopale per la Liturgia

Roma, 31 maggio 1996,
Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria




AVVERTENZA



La presente Nota pastorale, in base al can. 1216 del Codice di diritto canonico , ripropone in forma organica e ribadisce la normativa liturgica vigente, della quale intende chiarire le connessioni e le concrete applicazioni.
Le disposizioni qui contenute costituiscono norma di riferimento per l'attività di adeguamento liturgico degli organismi diocesani, regionali e nazionali che hanno competenza in materia di arte sacra e di beni culturali ecclesiastici.



INTRODUZIONE



1. L'adeguamento delle chiese, segno di fedeltà al Concilio

La presente Nota pastorale viene pubblicata per ribadire che l'adeguamento liturgico delle chiese è parte integrante della riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II: perciò la sua attuazione è doverosa come segno di fedeltà al Concilio. L'adeguamento delle chiese non si può considerare un adempimento discrezionale né lo si può affrontare secondo modalità del tutto soggettive. La fedeltà al Concilio comporta adesione convinta agli obiettivi, ai criteri e alla disciplina che autorevolmente ne guidano l'attuazione su scala nazionale, in comunione con la Chiesa universale.

In particolare, la Costituzione Conciliare sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (1963) ha stabilito, tra l'altro, che "nella costruzione degli edifici sacri ci si preoccupi diligentemente della loro idoneità a consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e la partecipazione attiva del fedeli" (n.124). Successivamente, per dare attuazione concreta alla Costituzione Conciliare sono stati emanati diversi documenti che danno disposizioni specifiche per l'adeguamento delle chiese alla riforma liturgica. La Conferenza Episcopale Italiana, da parte sua, in riferimento a questo tema, ha emanato alcuni documenti .

Le norme che abbiamo richiamato, e che la presente Nota pastorale intende organicamente riproporre, richiedono l'adeguamento del presbiterio (altare, ambone, sede), della navata (posti del fedeli, posto del coro e dell'organo) e di altri luoghi celebrativi (battistero, penitenzieria, luogo della custodia eucaristica).

Si intende inoltre sottolineare la necessità che si passi in modo graduale dalle soluzioni provvisorie a quelle definitive e che, nell'adeguamento liturgico, si proceda con prudenza per evitare danni al patrimonio storico e artistico.



2. Urgenza, complessità, interesse generale del problema

L'adeguamento liturgico delle chiese, che nel nostro Paese presenta tuttora carattere di urgenza, comporta implicazioni di interesse generale ed è particolarmente complesso.

A distanza di trent'anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II occorre innanzitutto porre termine alla stagione della provvisorietà, spesso interpretata come sinonimo di improvvisazione e di casualità e quindi fonte di gravi disagi dal punto di vista celebrativo, estetico ed educativo. Inoltre, in molti casi in cui, per svariate ragioni, nulla è ancora stato fatto, bisogna sollecitare i responsabili a prendere le iniziative idonee per procedere all'adeguamento degli spazi celebrativi secondo la riforma liturgica. Infine, é necessario completare e verificare i numerosi interventi di adeguamento liturgico finora realizzati in modo parziale, talora confuso e approssimativo.

L'adeguamento degli spazi celebrativi secondo la riforma liturgica costituisce un problema di interesse generale: riguarda, infatti, la maggior parte degli edifici per il culto esistenti, compresi quelli costruiti negli anni immediatamente precedenti e successivi al Concilio.


3. La responsabilità ecclesiale

La presente Nota pastorale intende chiarire quali problemi sostanziali affrontare e come procedere perché le chiese cattedrali, parrocchiali, monastiche, conventuali, i santuari e altri tipi di chiese siano messe in grado di corrispondere al complesso di esigenze che il Concilio, con la riforma liturgica, ha espresso. È tempo ormai di dare a tali esigenze risposte mature.

D'altra parte, non si tratta di problemi nuovi. La Chiesa, infatti, ha conosciuto altri momenti storici nei quali ha sentito la necessità di importanti interventi di adeguamento liturgico delle chiese, per dare attuazione alle riforme liturgiche che si sono succedute nel corso della sua storia. Il problema dell'adeguamento, tuttavia, oggi, si presenta in modo diverso e certamente più complesso che in altri tempi per tre ordini di motivi: a) per il carattere peculiare dell'attuale riforma liturgica che, secondo gli storici, è la più completa e organica, la più vasta e incisiva che la Chiesa cattolica abbia conosciuto; b) per la particolare difficoltà di ogni progetto architettonico e artistico che intenda inserirsi in modo innovativo in un contesto già dotato di una propria fisionomia celebrativa, storica e artistica; c) per la specifica sensibilità storica e la particolare cultura della conservazione e del progetto, che caratterizza la nostra società e di cui occorre tener conto in ogni iniziativa che comporti adeguamenti liturgici.

Questo documento, inoltre, entra nel merito di delicati argomenti di natura ecclesiale che non sono di indole teorica, né riguardano soltanto alcune poche situazioni. È invece un tema assai concreto (anche se rinvia a complesse posizioni teoriche); è sotto gli occhi di tutti; è di interesse generale e tocca, in un modo o nell'altro, quasi tutte le parrocchie delle diocesi italiane oltre a numerose comunità religiose maschili e femminili, confraternite e altre associazioni laicali.


4. Per la conciliazione di interessi diversi

La delicatezza dell'argomento dipende anche dal fatto che, a differenza di altri aspetti della riforma liturgica e della vita ecclesiale, l'adeguamento liturgico delle chiese non è fatto di interesse esclusivamente ecclesiale; è un evento di pubblica evidenza ed è oggetto di attenzione, di discussione, di valutazione anche al di fuori delle comunità cristiane. Infatti, alcuni recenti interventi di adeguamento hanno suscitato prese di posizione, polemiche e contrasti, sia per la loro evidenza e originalità, sia perché sono stati realizzati nel cuore di edifici che spesso costituiscono parte fondamentale del patrimonio monumentale del nostro paese, e interessano, per varie ragioni, i singoli, i gruppi e le istituzioni. L'adeguamento liturgico delle chiese evidenzia, a suo modo, il fatto che la Chiesa vive e opera all'interno della società attuale, a diretto contatto, in dialogo e a confronto con sensibilità e culture diversificate.

Va ricordato infine che gli interventi di adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica interessano anche l'autorità dello Stato, dal momento che le nostre chiese, nel complesso, sono manifestazioni particolarmente significative della cultura ispirata alla fede del popolo italiano e rappresentano quindi valori di primaria importanza per il Paese. Molte chiese costruite più di cinquant'anni fa, e alcune chiese più recenti, sono soggette a tutela da parte del Ministero per i beni culturali e ambientali .

Sulle nostre chiese, dunque, convergono interessi diversi - liturgici, culturali, normativi, turistici, tecnici - non sempre facilmente conciliabili. Con la presente Nota si intende affermare che tale conciliazione è possibile e va coerentemente perseguita . Siamo convinti, infatti, che le vie della cultura, nella loro molteplicità, hanno ragioni sufficienti per dialogare; che la dimensione celebrativa non solo non esclude ma è in grado di accogliere ogni altra dimensione costituendo il punto di sintesi più alto; che, infine, i problemi progettuali, per quanto complicati, possono essere risolti, purché li si affronti con volontà illuminata e con gli strumenti adeguati.


5. Un problema da affrontare con sapienza liturgica e progettuale

Questo documento fa tesoro delle esperienze, delle disposizioni normative e delle riflessioni maturate nel nostro Paese e intende dare uniformità di orientamento e di metodo a una ricerca ormai trentennale, lungi dall'essere conclusa. Tale ricerca ha affrontato la difficile impresa di adeguare alle esigenze di una celebrazione comunitaria, attiva e partecipata chiese progettate, costruite e ripetutamente modificate in epoche assai dissimili dalla nostra, giunte a noi portando segni di una sintonia profonda con lo spirito della liturgia maturata nel secoli successivi al Concilio di Trento. Con grande frequenza nelle chiese da adeguare, per ragioni legate alle vicende storiche della Chiesa, il tabernacolo eucaristico è l'elemento monumentale più rilevante; in esse l'altare risulta poco evidenziato mentre le immagini devozionali hanno un peso maggiore rispetto agli elementi liturgico-sacramentali. Inoltre l'aula liturgica risulta spesso scarsamente illuminata, talvolta decorata con fasto, ovviamente priva di impianto per la diffusione della voce e per il riscaldamento, con notevoli "barriere architettoniche" in corrispondenza degli accessi.

Per queste ragioni l'adeguamento delle nostre chiese non è operazione da sottovalutare e va impostato con metodo. Non lo si può affrontare procedendo per episodi isolati o improvvisando. L'intervento di adeguamento non può essere affidato alla sola iniziativa dei parroci o all'azione autonoma dei funzionari di Soprintendenza. D'altra parte non lo si può neppure escludere a priori, o rinviare "sine die" in nome della difficoltà dell'impresa o, più sovente, in nome di una pretesa intangibilità del monumento.

Per progettare l'adeguamento delle nostre chiese alla liturgia si richiedono non tanto colpi di genio quanto una notevole sapienza liturgica e professionale: competenze variegate e di alto livello, iniziative meditate con l'apporto di persone esperte e collaboranti, studi diligenti, metodi rigorosi, ricerca paziente. A tale sapienza liturgica e professionale la presente Nota pastorale intende dare spazio affinché divenga - per quanto é possibile - costume diffuso.


6. I contenuti della presente Nota

Questo documento si articola in tre capitoli. Il primo capitolo, a modo di premessa, introduce al tema della chiesa intesa non come semplice contenitore ma come opera architettonica "aperta", "in sintonia", "in relazione", "coinvolta" e, a suo modo, "componente necessaria" della celebrazione. Il secondo capitolo affronta il complesso unitario dei quattro temi principali in relazione ai quali si attua l'adeguamento delle chiese: lo spazio per la celebrazione dell'Eucaristia, del Battesimo, della Penitenza, il programma iconografico devozionale e decorativo. Il terzo capitolo tratta direttamente la questione del progettare l'adeguamento liturgico. Si individua innanzitutto la figura del committente, si tratta poi del progettista e della Commissione diocesana per l'arte sacra, si conclude con la descrizione analitica del progetto, delle sue premesse, dei suoi elementi costitutivi, delle sue fasi di elaborazione, delle procedure di approvazione, della sua attuazione.
Per l'utilità generale, in appendice alla Nota sono stati inseriti la indicazione degli elaborati e delle procedure per ottenere l'approvazione del progetto di massima e del progetto esecutivo e un ampio repertorio con la normativa liturgica, canonica, civile e concordataria alla quale si fa ricorso con maggior frequenza.



7. I destinatari

La presente Nota pastorale si rivolge a tutti coloro che sono interessati direttamente o indirettamente al problema dell'adeguamento liturgico delle nostre chiese. Primi fra tutti, ai Vescovi e ai loro collaboratori, in particolare le Commissioni diocesane di arte per la liturgia, alle quali compete offrire consulenze ai progettisti e ai committenti, esaminare i progetti e - per quanto di competenza - esprimere valutazioni autorevoli, una volta verificata la bontà dei progetti. Destinatari della Nota, poi, sono i parroci, le comunità parrocchiali e i rispettivi organismi di partecipazione, nonché quanti, a vario titolo, hanno la responsabilità di una chiesa o di un oratorio.

Questa Nota si rivolge anche ai progettisti, agli artigiani, agli artisti e ai funzionari preposti alla tutela del patrimonio storico, artistico e architettonico del nostro Paese, ai quali, tra l'altro, offre alcuni elementi di avvio alla conoscenza del significato e del ruolo della liturgia per la vita dei monumenti della fede. Ulteriori informazioni potranno essere reperite utilizzando e approfondendo le indicazioni allegate in Appendice .


8. Gli obiettivi

Per facilitare l'interpretazione del presente documento, richiamiamo l'attenzione sul fatto che esso ha carattere ecclesiale e, quando tratta questioni attinenti alle diverse discipline e pratiche operative in gioco, lo fa utilizzando un linguaggio più pastorale che tecnico. Nelle sedi opportune, i competenti avranno modo di approfondire e chiarire i problemi qui solo accennati, nel più ampio rispetto delle competenze professionali e artistiche. Inoltre, non intendiamo fornire ai committenti e tanto meno ai progettisti progetti "tipici" o soluzioni prefabbricate, come se esistessero scorciatoie progettuali. Ci proponiamo invece di indicare alcuni principali orientamenti metodologici e, insieme, offrire ai progettisti e ai committenti opportuni stimoli alla riflessione e precisi punti di riferimento. Di volta in volta, utilizzando le indicazioni che sono state fornite, i progettisti, sotto la propria responsabilità, elaboreranno le soluzioni più consone alle situazioni concrete.




9. Per una lettura contestuale

In considerazione del tema che affronta, la presente Nota si collega e va letta in connessione con la Nota pastorale della Commissione episcopale per la liturgia La progettazione di nuove chiese del 18 febbraio 1993 e con gli Orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana I beni culturali della Chiesa in Italia del 9 dicembre 1992. La Chiesa, infatti, proseguendo nella sua secolare tradizione, confermata anche recentemente nei Principi e Norme per l'uso del Messale Romano, conserva con cura il patrimonio culturale, continua a costruire chiese nuove e a creare nuove opere d'arte e, per quanto possibile, adegua il patrimonio ereditato dai padri alle esigenze poste dalla riforma liturgica.





I. - LE CHIESE, LA STORIA E LA LITURGIA


10. La relazione fra liturgia e chiesa

Prima di affrontare il tema dell'adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica sembra opportuno dedicare qualche riflessione alla relazione che intercorre tra la celebrazione e l'edificio in cui essa si attua. Lo scopo è di mettere in luce quanto tale relazione sia intensa e qualificante, vada nei due sensi: dalla liturgia alla chiesa-edificio e viceversa. Con queste riflessioni vorremmo mettere in luce le ragioni per cui l'adeguamento, almeno in linea di principio, lungi dall'essere un evento eccezionale e in qualche modo pericoloso, sia da considerare un fatto del tutto normale e compatibile con l'identità stessa delle nostre chiese.


11. La chiesa e il suo spazio per la celebrazione liturgica

Dal momento che la destinazione all'azione liturgica la qualifica radicalmente, la chiesa non si può considerare una generica opera architettonica. Essa infatti è debitrice della sua conformazione alla relazione che la lega all'assemblea del popolo di Dio che vi si raduna. È l'assemblea celebrante che "genera" e "plasma" l'architettura della chiesa. Chi si raduna nella chiesa è la Chiesa - popolo di Dio sacerdotale, regale e profetico - comunità gerarchicamente organizzata che lo Spirito Santo arricchisce di una moltitudine di carismi e ministeri. La Chiesa, in qualche modo, proietta, imprime se stessa nell'edificio di culto e vi ritrova tracce significative della propria fede, della propria identità, della propria storia e anticipazioni del proprio futuro. Lungo il corso dell'anno liturgico l'assemblea locale si raduna nell'edificio di culto, in comunione con tutta la Chiesa, per fare memoria del mistero pasquale di Cristo, nell'ascolto delle Scritture, nella celebrazione dell'Eucaristia, degli altri sacramenti e sacramentali e del sacrificio di lode. Nelle chiese inoltre la comunità credente accoglie con simpatia ogni uomo che per qualunque ragione bussa alla sua porta e a lui, mediante segni visibili, fa intuire la propria fisionomia e, in qualche modo, rivolge la sua parola.

L'assemblea che celebra, manifestando nella sua conformazione e nei suoi gesti il volto della Chiesa, è una realtà eminentemente viva, dinamica, "storica", in continua, anche se lenta, trasformazione. La liturgia, al di là delle apparenze, è profondamente sensibile rispetto alle vicende e alle trasformazioni ecclesiali e sociali. Salvo alcuni elementi essenziali ed immutabili, è anch'essa una realtà non definita una volta per tutte . Di conseguenza anche l'edificio della chiesa - almeno per quanto riguarda la tradizione latina - non è definito una volta per tutte, ma si modifica nel corso del secoli, come testimonia ampiamente la storia dell'arte occidentale. Non in tutte le epoche, tuttavia, la liturgia, ha avuto lo stesso ruolo predominante: in alcuni periodi storici, specialmente dal Medioevo all'epoca presente, altri fattori hanno influito, come lo spirito devozionistico o il dialogo con la cultura e con l'arte, prevalendo di fatto rispetto alla prospettiva liturgica.

Il punto sul quale intendiamo rivolgere l'attenzione è che, innanzitutto, tra assemblea celebrante e edificio nel quale avviene la celebrazione sussiste un legame profondo: la celebrazione della liturgia cattolica è tutt'altro che indifferente all'architettura e, viceversa, l'architettura di una chiesa non lascia indifferente la liturgia che vi si celebra. In secondo luogo, tale legame non è dato una volta per tutte ma muta nel corso della storia: come non esiste una liturgia immutabile, così non esiste un'architettura e un'arte per la liturgia che siano immutabili. Di conseguenza, è necessario abbandonare l'erronea convinzione secondo la quale, essendo immutabile la liturgia cattolica anche l'architettura in cui la liturgia si sviluppa dovrebbe considerarsi immodificabile.


12. La chiesa, architettura per la liturgia

Anche per quanto riguarda l'esperienza della fede, vale la pena far notare che l'architettura e lo spazio hanno una capacità comunicativa. L'architettura, con la sua strutturazione di spazi e di volumi, può diventare strumento di comunione e facilitare la preghiera e la celebrazione.

Ogni edificio, in quanto opera umana, anche in assenza di documentazione scritta, continua a parlare, consente l'apertura del dialogo tra le persone e tra le generazioni. Analogamente le chiese, mentre sono al servizio del culto, "comunicano" e sono stimolo e aiuto per "fare memoria", per riflettere e celebrare.

Lo spazio ecclesiale per la liturgia, inoltre, è in forma eminente una architettura della "memoria", poiché propone e rilancia nel tempo, anche a distanza di secoli, messaggi legati al mondo rituale e alla cultura che lo hanno espresso. Le chiese, infatti, sono realtà storiche; esse sono state costruite non tanto come monumento a Dio o all'uomo, ma come luogo dell'incontro sacramentale, segno del rapporto di Dio con una comunità, all'interno di una determinata cultura e in un ben preciso momento storico. Esse, dunque, a loro modo, sono strumenti particolari di tradizione e di comunione ecclesiale.

Il dato permanente e originario della tradizione cristiana considera l'assemblea - o sacra convocazione ("ecclesìa") dei "dispersi figli di Dio" (cfr. Gv 11, 52) - come matrice irrinunciabile di ogni ulteriore definizione spaziale, momento generatore e unificante dello spazio in vista dell'azione cultuale : l'edificio che l'accoglie è segno forte della comunità viva nella sua dimensione storica e stabile riferimento visivo anche per i non credenti.

Elemento caratterizzante l'edificio per la celebrazione cristiana è, inoltre, la sua capacità di essere "simbolo" della realtà tangibile che in esso si compie, ossia la comunione con Dio che si attua soprattutto nella celebrazione dei sacramenti e nella liturgia delle ore.
Inoltre, la chiesa-edificio, poiché evoca questa comunione già in qualche modo anticipata e vissuta si può considerare un luogo escatologico, "segno e simbolo delle realtà celesti" .
In questa prospettiva simbolica, infine, come le varie celebrazioni liturgiche rinviano l'una all'altra a formare una realtà unitaria, così la chiesa-edificio non è l'insieme delle sue parti, ma un organismo unitario.


13. La chiesa, architettura come "icona"

I molteplici linguaggi ai quali la liturgia ricorre - parola, silenzio, gesto, movimento, musica, canto - trovano nello spazio liturgico il luogo della loro globale espressione. Da parte sua lo spazio contribuisce con il suo specifico linguaggio a potenziare e a unificare la sinfonia del linguaggi di cui la liturgia è ricca. Così, anche lo spazio, come il tempo, viene coinvolto dalla celebrazione del mistero salvifico di Cristo e, di conseguenza, assume caratteri nuovi e originali, una forma specifica, tanto che se ne può parlare come di una "icona".

Ad esempio, la chiesa-edificio si può considerare una "icona escatologica" grazie al collegamento dinamico che unisce il sagrato alla porta, all'aula, all'altare e culmina nell'abside, grazie all'orientamento di tutto l'edificio, al gioco della luce naturale, alla presenza delle immagini e al loro programma.

Nella progettazione, costruzione e gestione di un edificio liturgico si riflette, in qualche modo, la vita della comunità cristiana nel suo incontro con Dio attraverso la liturgia e il culto. Da questo punto di vista, la chiesa-edificio si può considerare una "icona ecclesiologica": di volta in volta essa è sentita come luogo della Chiesa in festa, come luogo della Chiesa in raccoglimento e in preghiera, come luogo in cui la Chiesa esprime la propria natura intensamente corale e comunitaria. La scelta delle forme, dei modelli architettonici, dei materiali ha come fine di manifestare la realtà profonda della Chiesa.




II. - L'ADEGUAMENTO DEGLI SPAZI CELEBRATIVI


14. Un progetto globale

Nell'affrontare il tema dell'adeguamento liturgico delle chiese, procederemo sulla base di una visione globale, per la quale ogni progetto di adeguamento, anche se rivolto a risolvere un problema particolare, riguarda l'intero edificio di culto con i suoi diversi luoghi e spazi .

In concreto, prenderemo in esame, nell'ordine, i luoghi per la celebrazione dell'Eucaristia, quelli per la celebrazione del Battesimo e quelli per la celebrazione della Penitenza. Concluderemo con uno sguardo al programma iconografico e decorativo che interessa tutti i luoghi delle celebrazioni sacramentali, liturgiche e devozionali.

Proprio per il suo carattere globale, la preparazione del progetto di adeguamento liturgico costituisce un momento importante e, per certi aspetti, unico per promuovere l'identità e l'appartenenza ecclesiale del fedeli e inoltre per conoscere le chiese, le opere, gli arredi e le suppellettili in esse contenute. Il progetto di adeguamento fornisce poi l'occasione per far emergere nuove ipotesi di studio, suggestioni per la migliore conservazione, per la gestione e il restauro. Sembra assai opportuno, pertanto, che, mentre si elabora il progetto di adeguamento liturgico, si lavori attentamente anche a un programma di conoscenza e analitica inventariazione, manutenzione e valorizzazione delle nostre chiese, da realizzare gradualmente nel tempo .


A. L'adeguamento degli spazi per la celebrazione dell'Eucaristia



15. L'aula dell'assemblea

L'adeguamento degli spazi per la celebrazione dell'Eucaristia è stato il primo problema ad essere affrontato dalle nostre comunità nell'immediato periodo post-conciliare ed è stato spesso risolto mediante interventi evidenti come la rimozione delle balaustre e la collocazione di nuovi altari dichiaratamente provvisori ma comunque tali da consentire di celebrare rivolti al popolo. La questione, in realtà, presenta una notevole articolazione, richiedendo di intervenire simultaneamente su molti elementi e in situazioni molto diversificate. Ne tratteremo, ora, adottando lo stesso ordine degli argomenti seguito nel documento riguardante la progettazione di nuove chiese : ciò consentirà le opportune e necessarie integrazioni .

L'adeguamento dell'aula della chiesa, comprendente navata, presbiterio, area battesimale, area penitenziale, deve tenere conto che l'aula stessa è riservata all'assemblea; che di essa fanno parte integrante e ad essa convergono spazi e luoghi complementari; e, infine, che l'aula deve essere articolata in modo tale che l'altare ne costituisca il punto principale di riferimento. La centralità dell'altare non va però intesa in senso letterale e statico, ma sacramentale e dinamico, e quindi l'altare non va collocato nel centro geometrico dell'aula, ma in uno dei suoi punti spazialmente eminenti.

La disposizione longitudinale dell'assemblea, che è la più diffusa, non richiede necessariamente di essere modificata. Si possono tuttavia ricercare sistemazioni in cui l'assemblea venga disposta attorno all'altare, quando l'articolazione planimetrica e spaziale dell'aula lo consente.

Nello studio dell'adeguamento liturgico dell'aula devono comunque essere adottati opportuni accorgimenti in grado di favorire la formazione di un'assemblea unitaria - priva di divisioni al suo interno - e la partecipazione attiva di tutti i fedeli all'azione liturgica. È assai opportuno, inoltre, disporre i banchi e le sedie in modo tale da facilitare i movimenti processionali e gli spostamenti dei fedeli previsti dalle celebrazioni, specialmente da quella eucaristica. Devono essere curate anche la diffusione sonora della voce, una idonea illuminazione e tutto ciò che concorre a creare un'atmosfera nobile, accogliente e festosa.


16. Il presbiterio

Il progetto di adeguamento del presbiterio ha un duplice scopo: consentire un agevole svolgimento dei riti e mettere in evidenza i tre "luoghi" eminenti del presbiterio stesso che sono l'altare, l'ambone e la sede del presidente .

Le soluzioni a cui ricorrere, si possono ridurre alle seguenti:
a) integrazione del nuovo presbiterio con l'esistente: quello nuovo viene inserito nel precedente, integrando elementi dell'uno e dell'altro;
b) sostituzione del presbiterio esistente: di esso si conserva solo lo spazio architettonico che viene occupato con i nuovi elementi: altare, ambone, sede presidenziale;
c) progetto di un nuovo presbiterio separato da quello preesistente: è la soluzione adottata nei casi in cui il presbiterio esistente risulti immodificabile.

Nel caso di presbiteri di dimensioni contenute o ridotte, é opportuno prevedere un adeguato ampliamento dell'area presbiteriale per consentire una conveniente sistemazione del "luoghi" celebrativi e un agevole svolgimento dei riti, compreso quello della concelebrazione eucaristica.

Qualora risulti impossibile collocare nel presbiterio un altare, un ambone o una sede del presidente fissi o "inamovibili", si può far ricorso a elementi non fissi o "mobili" accuratamente progettati e definitivi .

All'interno del presbiterio è opportuno prevedere la collocazione di sedi per i ministri e anche una credenza mobile o una mensola di servizio .

Poiché l'adeguamento liturgico del presbiterio può incontrare ostacolo nella presenza delle balaustre, non deve essere esclusa, soprattutto per le chiese parrocchiali, l'eventualità o la necessità della loro rimozione.

Le balaustre eventualmente rimosse devono essere conservate con cura, non alienate, e, se del caso, restaurate e collocate opportunamente, evitandone comunque la destinazione ad altri usi.

Nell'adeguare il presbiterio, si deve considerare anche il complesso iconografico, del quale è parte eminente la croce che, posta sopra l'altare o accanto ad esso, sia ben visibile allo sguardo .



17. L'altare

L'altare nell'assemblea liturgica non è semplicemente un oggetto utile alla celebrazione, ma è il segno della presenza di Cristo, sacerdote e vittima, è la mensa del sacrificio e del convito pasquale che i1 Padre imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente di carità e unità . Per questo è necessario che l'altare sia visibile da tutti, affinché tutti si sentano chiamati a prenderne parte ed è ovviamente necessario che sia unico nella chiesa, per poter essere il centro visibile al quale la comunità riunita si rivolge.

La sua collocazione è di fondamentale importanza per il corretto svolgimento dell'azione liturgica e deve essere tale da assicurare senso pieno alla celebrazione.

La conformazione e la collocazione dell'altare devono rendere possibile la celebrazione rivolti al popolo e devono consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti.

Se l'altare esistente soddisfa alle esigenze appena indicate, lo si valorizzi e lo si usi. In caso contrario occorre procedere alla progettazione di un nuovo altare possibilmente fisso e, comunque, definitivo.
La forma e le dimensioni del nuovo altare dovranno essere differenti da quelle dell'altare preesistente, evitando riferimenti formali e stilistici basati sulla mera imitazione. Per evocare la duplice dimensione di mensa del sacrificio e del convito pasquale, in conformità con la tradizione, la mensa del nuovo altare dovrebbe essere preferibilmente di pietra naturale, la sua forma quadrangolare (evitando quindi ogni forma circolare) e i suoi lati tutti ugualmente importanti. Per non compromettere la evidenza e la centralità dell'altare non è ammesso l'uso di materiali trasparenti.

Nel caso in cui l'altare preesistente venisse conservato, si eviti di coprire la sua mensa con la tovaglia e lo si adorni molto sobriamente, in modo da lasciare nella dovuta evidenza la mensa dell'unico altare per la celebrazione .

Qualora non sia possibile erigere un nuovo altare fisso, si studi comunque la realizzazione di un altare definitivo, anche se non fisso (cioè amovibile) .

Si ritiene anche opportuna la rimozione delle reliquie presenti nell'altare preesistente, poiché solo a quello nuovo - di fatto l'unico riconosciuto come centro della celebrazione - spetta la prerogativa della dedicazione rituale .


18. L'ambone

L'ambone è il luogo proprio dal quale viene proclamata la Parola di Dio . La sua forma sia correlata a quella dell'altare, il cui primato deve comunque essere rispettato. L'ambone deve essere una nobile, stabile ed elevata tribuna, non un semplice leggio mobile; accanto ad esso è conveniente situare il candelabro per il cero pasquale, che vi rimane durante il tempo liturgico opportuno.

L'ambone va collocato in prossimità dell'assemblea, in modo da costituire una sorta di cerniera tra il presbiterio e la navata; è bene che non sia posto in asse con l'altare e la sede, per rispettare la specifica funzione di ciascun segno .

Se in una chiesa di importanza storica è presente un ambone o un pulpito monumentale, si raccomanda di inserirlo nel progetto di adeguamento in modo da utilizzarlo normalmente o almeno in coincidenza con grandi assemblee o in occasioni solenni, in cui si valorizzano più ampiamente i ministeri a servizio della Parola.


19. La sede del presidente

La sede è il luogo liturgico che esprime il ministero di colui che guida l'assemblea e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, Capo e Pastore, e nella persona della Chiesa, suo Corpo .
Per la sua collocazione, essa deve essere ben visibile da tutti e in diretta comunicazione con l'assemblea, in modo da favorire la guida della preghiera, il dialogo e l'animazione .
La sede del presidente é unica e non abbia forma di trono; possibilmente, non sia collocata né a ridosso dell'altare preesistente, né davanti a quello in uso, ma in uno spazio proprio e adatto.

In ogni chiesa cattedrale, dove risulta possibile, si proceda all'adeguamento della cattedra episcopale e, inoltre, sia prevista una sede per il presidente non vescovo .

Nelle chiese cattedrali, monastiche, conventuali e in tutte quelle in cui vi sono frequenti concelebrazioni, si prevedano adeguate sedi per i concelebranti.

Ove possibile, è bene prevedere opportune sedi per gli altri ministri liturgici e per i ministranti distinte da quelle del presidente e dei concelebranti.


20. La custodia eucaristica

Nella maggior parte delle nostre chiese, per note ragioni storiche, l'elemento centrale - dominante sullo stesso altare - è stato, per circa quattro secoli, il tabernacolo eucaristico. L'adeguamento liturgico delle chiese esistenti, mirante a esaltare il primato della celebrazione eucaristica e quindi la centralità dell'altare, deve riconoscere anche la funzione specifica della riserva eucaristica. Si ritiene necessario, perciò, che, in occasione dell'intervento di adeguamento sia dedicata una particolare cura al "luogo" e alle caratteristiche della riserva eucaristica
Tale intervento richiede grande attenzione anche dal punto di vista educativo. È noto, infatti, quanto il culto per la Santissima Eucaristia abbia inciso nella formazione spirituale del popolo cristiano e quanto l'idea stessa dell'edificio di una chiesa cattolica sia associata alla presenza in essa del tabernacolo. Al fine di educare i fedeli a cogliere il significato di centralità della celebrazione eucaristica, i rapporti tra la celebrazione e la conservazione dell'Eucaristia e le ragioni di questa conservazione, si ritiene necessario che, in occasione del progetto di adeguamento, tali argomenti vengano opportunamente approfonditi in sede di catechesi al popolo.

Anche la localizzazione e l'eventuale realizzazione di una nuova custodia eucaristica devono essere parte integrante del progetto globale di adeguamento liturgico e dovranno tener conto di una sua facile individuazione, di un accesso diretto, di un ambiente raccolto e favorevole all'adorazione personale.

In ogni caso si ricordi che in ciascuna chiesa il tabernacolo per la riserva eucaristica deve essere unico e che l'altare della celebrazione non può ospitare la custodia eucaristica .

La collocazione tradizionale della custodia eucaristica sull'asse principale della chiesa, in posizione dominante, alle spalle dell'altare nuovo può in taluni casi attenuare la percezione della centralità dell'altare e, data la distanza dai fedeli, rischia di non favorire la preghiera privata e l'adorazione personale.
La soluzione vivamente raccomandata per la collocazione della riserva eucaristica è una cappella apposita , facilmente identificabile e accessibile, assai dignitosa e adatta per la preghiera e per l'adorazione. In essa sarà ospitato il tabernacolo che, tuttavia, non deve essere mai posto sulla mensa di un altare, ma piuttosto collocato a muro, su colonna o su mensola.

In alternativa alla cappella eucaristica, può considerarsi accettabile una soluzione che individui uno spazio all'interno dell'aula (ad esempio, una cappella laterale capiente), da adattare con dignità, decoro e funzionalità alla preghiera e all'adorazione, e da evidenziare opportunamente.


21. Il posto del coro e dell'organo

Il coro è parte integrante dell'assemblea e deve essere collocato nell'aula, tra il presbiterio e l'assemblea; in ogni caso la posizione del coro deve essere tale da consentire ai suoi membri di partecipare alle azioni liturgiche e di guidare il canto dell'assemblea . È bene prevedere anche un luogo specifico per l'animatore del canto dell'assemblea.

Per un miglior rispetto dei ruoli celebrativi, è bene che il coro non si collochi alle spalle del celebrante presidente, né sui gradini dell'altare antico.

Nelle chiese in cui esiste una "cantoria" di interesse storico e artistico, collocata in controfacciata o sul lati del presbiterio, essa va conservata e restaurata con la massima cura, anche se di norma non risulta idonea al servizio del coro.

Gli organi monumentali di interesse storico, specialmente quelli a trasmissione meccanica, vanno conservati, restaurati con ogni cura e utilizzati con competenza a servizio delle celebrazioni liturgiche.

Il problema della distanza dell'organista dal coro e dal direttore può essere risolto facendo ricorso ad opportuni accorgimenti tecnici, quali ad esempio un sistema di specchi, una telecamera a circuito chiuso, ecc.

Laddove risulti utile, si può ricorrere a un secondo organo di minori dimensioni, collocato in posizione utile al coro e all'assemblea, non in sostituzione ma ad integrazione dell'organo monumentale.

Nella scelta di nuovi organi a canne, laddove è possibile, si preferiscano gli strumenti a trasmissione meccanica. Anche in questo caso, il criterio determinante per la collocazione è quello del servizio al canto liturgico dell'assemblea e del coro.


22. Gli stalli del coro

I cori lignei esistenti, specialmente nelle chiese collegiate e monastiche, siano conservati e utilizzati convenientemente. I cori lignei di rilevante valore siano restaurati e usati in conformità con la loro destinazione e compatibilmente con il loro stato di conservazione.


23. La cappella feriale

Nelle chiese di medie e grandi dimensioni, nel progetto di adeguamento é opportuno prevedere uno spazio per le celebrazioni feriali ed eventualmente per quelle invernali, distinto dall'aula principale e dotato di tutti gli elementi necessari alla celebrazione stessa . Tale spazio, se adeguatamente allestito, può essere anche utilizzato come cappella per la conservazione della custodia eucaristica.


24. Gli arredi e le suppellettili

Nei progetti di adeguamento liturgico vanno inseriti anche gli arredi e le suppellettili , che devono essere caratterizzati da dignità, semplicità, nobile bellezza, verità delle cose e debita pulizia .

Gli orientamenti di base in proposito si possono ridurre ai seguenti:

a) gli arredi mobili e le suppellettili esistenti vanno conservati, restaurati e usati, compatibilmente con il loro stato di conservazione e con la loro rispondenza alle necessità attuali;

b) gli arredi mobili e le suppellettili non più utilizzabili vanno conservati con grande cura in sacrestia o in un deposito adiacente ad essa;

c) per quanto riguarda i vasi sacri, se ne curi la tutela e se ne faccia un uso conveniente;

d) la progettazione di nuovi arredi deve porsi l'obiettivo di realizzare elementi idonei per qualità formali e adatti al servizio che sono destinati a svolgere;

e) nella scelta di nuovi arredi e di nuove suppellettili deve essere rispettato il criterio della autenticità delle forme, della destinazione d'uso e dei materiali, evitando ad esempio le imitazioni della pietra, del legno e della cera ;

f)per quanto concerne la collocazione dell'arredo floreale, é opportuno tenerne conto nella redazione dei progetti di adeguamento liturgico, data la rilevanza che tale arredo può assumere nella decorazione dell'altare e degli altri luoghi della chiesa.






B. L'adeguamento degli spazi per la celebrazione del Battesimo



25. Valorizzazione del fonte battesimale e del battistero esistenti

Nell'ambito di una chiesa, oltre agli spazi per la celebrazione eucaristica, sono da valorizzare i "luoghi" destinati alle altre celebrazioni sacramentali, ciascuno con i propri valori simbolici, la propria carica di memoria, le proprie caratteristiche iconografiche. Fra tali "luoghi", nelle chiese cattedrali e nelle chiese parrocchiali, delle quali sono elementi qualificanti, vanno considerati il battistero e il fonte battesimale .

La valorizzazione del battistero, in sintonia con la tradizione ecclesiale, è stata confermata dalla recente riforma liturgica, che ripropone con forza come momento generatore dell'esperienza cristiana, il cammino dell'iniziazione, articolato in varie tappe catechistiche e celebrative. In tale cammino la celebrazione del Battesimo viene riconosciuta come la "porta della fede", il cui valore essenziale può essere recuperato, lungo la vita del cristiano, anche grazie alla costante visibilità del battistero, vero "memoriale" del sacramento.

Con l'entrata in vigore del nuovo Rito del Battesimo dei bambini (29 giugno 1970), molti battisteri esistenti sono stati giudicati - a torto - non adatti alla celebrazione comunitaria. Di conseguenza, in molti casi essi sono stati accantonati e sostituiti con fonti battesimali mobili o situati in luoghi della chiesa diversi da quelli originali.

Questa situazione deve essere superata con decisione, recuperando i battisteri esistenti e quelli antichi non più in uso, senza escludere il loro eventuale adeguamento. In assenza di tale possibilità, occorre pensare a un nuovo battistero.

I battisteri e i fonti battesimali esistenti, nella maggior parte del casi, sono opere di grande importanza storica e artistica e comunque sono segni di inestimabile significato religioso e affettivo, poiché hanno contrassegnato l'esistenza di molte generazioni di cristiani. Gli eventuali interventi di adeguamento, perciò, vanno studiati ed eseguiti con grande rispetto e delicatezza, in modo da non alterare il patrimonio d'arte e storia e non comprometterne il valore memoriale e il messaggio spirituale.

In vista dell'adeguamento liturgico si prendano in attenta considerazione anche le chiese di recente costruzione, dove talvolta le soluzioni adottate per il battistero e per il fonte appaiono insufficienti o del tutto discutibili.


26. L'adeguamento del fonte e del battistero

Quando si elabora un progetto di adeguamento è da escludere il trasferimento del battistero o del fonte battesimale all'interno dell'area del presbiterio perché il battistero é un luogo dotato di fisionomia e funzione propria, del tutto distinte da quella del presbiterio. La tradizione, inoltre, lo ha generalmente collocato in prossimità dell'ingresso della chiesa, come migliore spazio per il sacramento che introduce nella comunità cristiana. Infine, il percorso della iniziazione cristiana porta dal Battesimo (fonte) verso l'Eucaristia (altare): tale percorso deve essere posto in evidenza dal progetto di adeguamento, evitando nel contempo impostazioni di tipo allegorizzante o antropomorfico.

Nella collocazione del battistero si deve evitare di conferirgli una posizione e un ruolo preminente o addirittura centrale nella chiesa, in concorrenza con l'altare.
In ogni caso la scelta di un nuovo luogo per il battistero venga compiuta in armonia con la destinazione delle diverse parti della chiesa e dell'ambiente nel suo complesso.

Per la scelta di un eventuale nuovo luogo per il battistero, si può sottolineare il rapporto che collega il Battesimo e la Penitenza: come è noto, infatti, la remissione dei peccati successiva al Battesimo rinnova la grazia iniziale di questo sacramento. Ciò può trovare un significativo riscontro (importante per la catechesi, oltre che per la celebrazione del due sacramenti) nella scelta di collocare le sedi confessionali in relazione con l'area battesimale.


27. Esigenze liturgiche

Nel progettare l'adeguamento liturgico del battistero è necessario salvaguardare alcune fondamentali esigenze liturgiche.

a) Innanzitutto si deve favorire la partecipazione comunitaria alla celebrazione del sacramento del Battesimo sia degli adulti che dei bambini. A tale scopo tutta l'aula della chiesa deve essere attentamente presa in considerazione: per i riti di introduzione, l'atrio e la porta; per la liturgia della parola, la navata e l'ambone; per i riti di conclusione, il presbiterio .
Anche se, per la concreta conformazione delle chiesa il fonte battesimale non risulta visibile a tutta l'assemblea, sarà necessario comunque che il battistero sia in comunicazione spaziale e acustica con l'assemblea riunita.

b) L'ampiezza del battistero e dell'area circostante il fonte sia tale da accogliere almeno le persone che vi si recano processionalmente, secondo le indicazioni dei libri rituali: battezzandi, padrini, genitori e ministri.

c) Il fonte battesimale consenta non solo il Battesimo per aspersione ma anche il Battesimo per immersione, come gesto più significativo dell'azione sacramentale .

d) Il battistero e il fonte siano progettati come luoghi e segni di particolare dignità, siano permanenti, evidenti, unici e costituiscano un forte richiamo per tutti, anche al di fuori della celebrazione.


28. Alcune situazioni ricorrenti e ipotesi di soluzione

Nel caso in cui il battistero consiste in una cappella, un edificio o un'area distinta rispetto all'aula assembleare , esso venga regolarmente usato per la celebrazione del Battesimo.
Per altre situazioni che si presentano con maggiore frequenza, si propongono alcune ipotesi di soluzione.

a) In una chiesa a navata unica con cappelle laterali, il fonte battesimale sia collocato in una di tali cappelle, sufficientemente ampia, posta nei pressi dell'entrata, senza altra destinazione.

b) In una chiesa a navata unica senza cappelle laterali, con il fonte battesimale collocato in prossimità dell'ingresso, dotato solo di un'area molto angusta, questo si può collocare in una parte diversa della chiesa, con un più ampio spazio circostante, evidenziato in modo opportuno.

c) In una chiesa a più navate, nella quale il battistero si affaccia su una navata laterale, si continui ad usare il fonte esistente, evidenziandolo mediante opportuni interventi; la navata laterale può essere usata come aula per l'assemblea durante la celebrazione del sacramento.

d) In una chiesa nella quale il battistero esistente non può essere utilizzato né modificato si può progettare un nuovo battistero e il relativo fonte, da collocare in un luogo adatto, che si armonizzi con il complesso architettonico esistente.


29. Segni e immagini per il fonte e il battistero

Il principale segno da mettere in evidenza nell'adattamento del fonte e del battistero - ancora prima di altri elementi, come il cero pasquale, eventuali immagini, l'arredo floreale e altri arredi - è l'acqua del fonte battesimale che dovrebbe essere preferibilmente acqua corrente e ben visibile .

Nel caso in cui si progetti un nuovo fonte battesimale, nella scelta delle immagini si faccia riferimento al ricco patrimonio iconografico della tradizione e, in particolare, si attinga ai testi biblici ed eucologici riportati nel rituale del Battesimo. La decorazione e l'arredo pittorico e scultoreo vengano affidati ad artisti di elevata capacità e, per l'esecuzione, a validi artigiani.

Al di fuori del tempo pasquale, nel battistero, accanto al fonte, venga collocato con la dovuta evidenza il cero pasquale che richiama in modo permanente l' "illuminazione" battesimale .

Per analoghe ragioni, venga dedicata una cura particolare alla progettazione della luce nel battistero, in modo da garantire una luminosità adeguata e significativa sia durante che al di fuori della celebrazione.

Nell'area del battistero, con opportuna evidenza, potrà trovar posto una nicchia per la custodia degli Oli sacri. Dove però tale custodia esiste già, la si conservi al suo posto, non la si trascuri e si continui a utilizzarla.

Eventuali arredi di cui i1 battistero o il fonte fossero dotati, come cancelli in ferro battuto, balaustre, ciborio ligneo, padiglione in seta e altro ancora, siano conservati con grande cura, restaurati e, se del caso, opportunamente adattati.





C. L'adeguamento degli spazi per la celebrazione della Penitenza



30. Significato del luogo e della "sede" per la celebrazione della Penitenza

Dopo il Concilio di Trento si sono affermati, nella disciplina della Chiesa latina, un luogo e una "sede" apposita, deputati alla celebrazione individuale del sacramento della Penitenza, che hanno raggiunto forme architettoniche e plastiche talvolta notevoli. Per l'adeguamento di tali luoghi e "sedi" si richiede di fare riferimento al nuovo Rito della Penitenza (entrato in vigore in Italia il 21 aprile 1974), mettendone in evidenza la varietà dei modelli rituali, in particolare la sua celebrazione comunitaria.

Vi è inoltre da ricordare, che "tutta la Chiesa, in quanto popolo sacerdotale, è cointeressata e agisce, sia pure in modo diverso, nell'opera di riconciliazione, che dal Signore le è stata affidata" . Così, la dimensione ecclesiale del sacramento risulterà particolarmente evidente se, come luogo proprio della celebrazione, viene utilizzata l'aula della chiesa, dove normalmente troverà pertanto posto la "sede confessionale".

Anche la buona visibilità della "sede confessionale" - denominata anche "confessionale"- diventa un richiamo costante alla misericordia del Signore, che, nel segno sacramentale, riconcilia a sé il discepolo che si converte, comunicandogli la sua pace e riaggregandolo al popolo di Dio.


31. Adeguamento del luogo della Penitenza

Nel progetto di adeguamento, i luoghi della celebrazione della Penitenza devono far parte integrante dell'organismo architettonico e liturgico, essere facilmente percepibili e bene armonizzati spazialmente . I segni che li identificano devono mettere in evidenza, per quanto possibile, l'aspetto positivo del sacramento, richiamando il clima spirituale di festa evocato dalla parabola del padre misericordioso (Cfr. Lc 15, 11-32) .

Le sedi confessionali esistenti, pur essendo state pensate per un diverso contesto celebrativo, in genere sono ancora utilizzabili per il nuovo Rito della Penitenza. A tale scopo pare sufficiente pensare solo a qualche modifica veramente necessaria, discreta e reversibile.

Si provveda innanzitutto a una collocazione idonea delle "sedi" nella navata, in rapporto alle esigenze celebrative.

Si pensi inoltre a introdurre qualche semplice modifica (come la illuminazione interna ed esterna, condizioni sufficienti di riscaldamento, isolamento acustico), a patto, però, di non alterare il carattere e la struttura del manufatto.

Nell'adeguamento degli spazi celebrativi della liturgia penitenziale, soprattutto con riferimento alla celebrazione in forma comunitaria, occorre ricordare che nella chiesa alcuni luoghi o segni, come l'ambone e la sede, sono unici: essi non vanno dunque ignorati né replicati, ma convenientemente utilizzati. In particolare, si tenga presente che la riforma liturgica, per sollecitare e sostenere l'impegno di conversione, ha riproposto con forza il riferimento alla Parola di Dio e chiede quindi che il luogo della sua proclamazione sia adeguatamente valorizzato anche in occasione della celebrazione penitenziale .


32. Situazioni ricorrenti e ipotesi di soluzione

Per l'individuazione dei luoghi più adatti alla celebrazione della Penitenza negli edifici antichi si possono suggerire quattro ipotesi di soluzione, in corrispondenza alle situazioni più frequenti.

a) Collocazione della "sede" confessionale in area prossima all'ingresso della chiesa: questa soluzione tradizionale, riferendosi all'immagine della porta, richiama il significato della Penitenza come punto d'arrivo del cammino di conversione, luogo del ritorno a Dio e del passaggio alla vita nuova.
Nei casi in cui il battistero e il fonte siano collocati in prossimità dell'ingresso, la collocazione della sede confessionale in questa area può mettere in miglior rilievo il significato della Penitenza come recupero della grazia battesimale.

b) Collocazione della "sede" confessionale in cappelle laterali (purché non destinate a scopi devozionali) o in ambienti laterali all'aula dell'assemblea e aperti verso di essa: questa soluzione sottolinea opportunamente la dimensione comunitaria della Penitenza e il rapporto tra la sua celebrazione e l'assemblea eucaristica.

c) Collocazione della "sede" confessionale in una navata laterale: questa soluzione prevede che la celebrazione della Penitenza avvenga nel contesto di una assemblea riunita e la considera un evento sacramentale messo alla portata di tutti i fedeli. Anche in questo caso le "sedi" confessionali devono essere bene illuminate e dotate di uno spazio di rispetto che consenta la preparazione del penitenti.

d) Creazione di una nuova "penitenzieria" o "cappella della riconciliazione": questa soluzione pare adatta per le chiese nelle quali si celebra con grande frequenza il sacramento della Penitenza, come ad esempio i santuari. La "penitenzieria" o "cappella della riconciliazione" sia un ambiente di sufficiente ampiezza, destinato esclusivamente a questo scopo e comprenda il luogo della Parola, la sede del celebrante, l'aula per i fedeli e alcune celle per la confessione e la riconciliazione individuale. In ogni cella vi sia un crocifisso, la sede per il celebrante, la grata con possibilità anche per il colloquio diretto, l'inginocchiatoio e il sedile per il penitente .


33. Nuove "sedi " confessionali

Qualora fosse necessario progettare nuove "sedi" confessionali, si curi innanzitutto la loro espressività in riferimento alla celebrazione della misericordia di Dio e alle indicazioni del Rito della Penitenza, evitando di dare attenzione solo all'esigenza, pur vera, della riservatezza .

Si tenga inoltre nel debito conto il loro inserimento in edifici dotati di una precisa storia e fisionomia artistica e architettonica, evitando forme che, per la loro artificiosità, siano in contrasto con l'ambiente esistente.

Le nuove "sedi" confessionali siano progettate caso per caso da esperti progettisti, evitando il ricorso a prodotti di serie; le forme e i materiali siano semplici e sobri; si abbia riguardo poi alle esigenze dei fedeli anziani, dei deboli di udito e dei portatori di handicap.



D. L'adeguamento dei luoghi sussidiari



34.La sacrestia e il deposito

Nel progetto di adeguamento si verifichi che la sacrestia risulti idonea per quanto riguarda la capienza, la dislocazione o ubicazione, la sicurezza e lo stato di conservazione. In caso di necessità, si provveda agli opportuni interventi di adeguamento e di restauro.

Quando ciò sia possibile, si consiglia di dotare la sacrestia anche di un ingresso diretto verso l'aula dell'assemblea in modo da consentire un ordinato sviluppo della processione introitale.

Il "lavabo" in pietra, che è presente in molte antiche sacrestie, sia conservato nell'uso tradizionale, evitando integrazioni o sostituzioni incongrue.

I mobili della sacrestia, che spesso sono di grande valore storico e artistico, vanno conservati con cura e, se del caso, opportunamente restaurati.

Nella sacrestia si devono conservare con grande attenzione e rispetto, in appositi armadi, i reliquiari e le reliquie.

Accanto alla sacrestia è inoltre opportuno realizzare o sistemare un deposito ben ordinato e sicuro per gli arredi ingombranti o non più in uso (candelieri, croci processionali, suppellettili appartenenti alle confraternite, ecc.).

In prossimità della sacrestia vanno infine ricavati, per quanto possibile, i servizi igienici e un luogo con le attrezzature per la pulizia della chiesa e per la cura del fiori.


35. Il sagrato e la piazza

La cura del sagrato e della piazza ad esso eventualmente collegata è segno della disponibilità all'accoglienza che caratterizza la comunità cristiana in tutti i suoi gesti e quindi, a maggior ragione, in occasione delle celebrazioni liturgiche. Chi si presenta alla porta delle chiese deve sentirsi ospite gradito e atteso. Perciò, già a partire dal sagrato e dalla piazza, è necessario rendere le chiese accessibili a tutti, accoglienti, nitide e ordinate, dotate di tutto quanto rende gradevole la permanenza, così come avviene nelle nostre case.

I sagrati antistanti o circostanti le chiese devono essere conservati, ben tenuti e non destinati ad altri usi. Se necessario, vengano recuperati al pieno uso ecclesiale e, comunque, debitamente tutelati e restaurati. I sagrati, infatti, sono spazi ideali per la preparazione e lo svolgimento di alcune celebrazioni (processioni, accoglienza, riti del lucernario nella Veglia Pasquale). Risultano adatti anche per l'ambientazione e la conclusione delle riunioni pastorali più frequenti, oltre che per l'incontro e per il dialogo quotidiano.

Nelle chiese di grandi dimensioni, qualora non vi sia la possibilità di disporre di un sagrato o di un atrio antistante la chiesa, può essere valutata l'opportunità di utilizzare come spazio per l'accoglienza la zona interna dell'aula immediatamente adiacente all'ingresso, adeguatamente delimitata.

Si può pensare anche di usare una porta laterale significativa che sia dotata di spazi adatti alle funzioni suddette.

Poiché il sagrato viene utilizzato spesso anche per esporre informazioni di varia natura, occorrerà studiare a tale scopo arredi mobili idonei. In generale, per quanto riguarda le affissioni, la collocazione di stendardi o di striscioni anche di tipo religioso, i sagrati, le facciate, gli atri e le porte delle chiese vanno usate con la massima discrezione.





E. L'adeguamento del programma iconografico, devozionale e decorativo


36. Il significato del patrimonio iconografico e devozionale

Le chiese, nella loro quasi totalità, sono dotate di un vasto patrimonio iconografico (dipinti su tavola e su tela, affreschi, mosaici, sculture, vetrate) e decorativo, comunque interessante dal punto di vista storico e spirituale, talvolta anche di grande valore artistico.

In genere, nelle chiese antiche viene sviluppato un programma iconografico preciso, unitario e organico, che caratterizza lo spazio in modo che l'assemblea si senta più facilmente coinvolta nel mistero che viene celebrato. In questo caso il programma iconografico, cioè, svolge funzione "mistagogica". In altre chiese il patrimonio iconografico presenta carattere narrativo sintonizzato con il senso dei misteri celebrati dalla liturgia. Tali programmi iconografici non si sono sempre conservati nella loro integrità sia a causa del degrado inevitabile dovuto al trascorrere del tempo, sia per interventi distruttivi o sostitutivi dovuti a nuove esigenze cultuali o pratiche.

L'apparato iconografico delle chiese più recenti costituisce spesso il risultato di interventi occasionali caratterizzati in prevalenza in senso devozionale; per lo più, tale apparato non costituisce un vero programma iconografico, risulta spesso sovrabbondante, non coordinato con la liturgia e disarmonico rispetto ad essa.

In forme diverse, inoltre, le chiese sono caratterizzate dalla presenza di uno specifico apparato decorativo che talora, ma non necessariamente, si connette con l'apparato iconografico.


37. Criteri generali per l'adeguamento

Il progetto di adeguamento delle chiese alla riforma liturgica deve coinvolgere anche l'apparato iconografico e decorativo . Entrambi meritano di essere attentamente studiati, valutati e ripensati in stretta relazione con la chiesa, nel suo complesso unitario e in relazione con la specificità degli spazi liturgici ai quali essi fanno riferimento.

I criteri di carattere liturgico da tenere presenti in questo caso sono:
a) il recupero e il rispetto del primato della liturgia in modo che la disposizione delle immagini "non distolga l'attenzione dei fedeli dalla celebrazione" ;
b) il corretto uso delle immagini in modo che il loro "numero non sia eccessivo" e che "di un medesimo santo non vi sia che una sola immagine" ;
c) l'esigenza della tutela, della conservazione e della valorizzazione del patrimonio che il culto e la pietà tramandano nel tempo.

Alla ricerca del giusto equilibrio tra queste esigenze, si procederà con grande responsabilità e rispetto nel riguardi di un patrimonio che testimonia una lunga fase della vita della Chiesa e permea tuttora la mentalità di gran parte del popolo credente. Si dovranno evitare gli estremi della conservazione ad oltranza e della trasformazione drastica e indiscriminata.

Per quanto riguarda l'apparato decorativo, poi, dal momento che esso, normalmente, non interferisce con l'attuazione della riforma liturgica, come regola generale, si procuri di conservarlo, restaurandolo accuratamente.

Nei casi previsti , un motivato rigore può esigere che dipinti o sculture di qualità troppo modesta o del tutto estranei al contesto della chiesa, vengano collocati e conservati in altri ambienti non destinati al culto.


38. La situazione più frequente

Le situazioni che si presentano con maggiore frequenza nell'adeguamento dell'apparato iconografico si possono ridurre a quattro.

Nelle chiese dotate di abbondante apparato iconografico sarà opportuno usare un grande senso critico per verificare le convenienza di un suo riordino. Vi è da distinguere tra quanto è dovuto al gusto personale o comunitario o alla tendenza del momento e le effettive esigenze connesse con la complessiva riforma della liturgia. La situazione nella quale si intende intervenire, merita di essere analizzata con grande attenzione, prima di procedere a qualunque intervento.

I problemi che chiedono una soluzione nel progetto di adeguamento riguardano, di solito: la impropria collocazione di immagini, ad esempio la presenza di sculture sopra il tabernacolo eucaristico; la sovrapposizione di immagini, come nel caso in cui una immagine o una scultura devozionale sia stata collocata davanti a una pala d'altare; il numero eccessivo o la ripetizione di immagini, come ad esempio capita in molte cappelle devozionali nelle quali si accalcano immagini di tipo disparato ma prive di coerenza devozionale, artistica e dimensionale.
Di fronte a tali situazioni è bene cercare caso per caso la soluzione più idonea, come ad esempio una coerente collocazione nell'ambito della chiesa, una migliore evidenza conferita a opere che l'avessero persa o che comunque la meritassero, la conservazione dell'opera nel deposito annesso alla sacrestia o nel museo parrocchiale.
Nel delineare il progetto di adeguamento si abbia grande rispetto nei riguardi di programmi iconografici esistenti e di opere la cui collocazione sia documentata.


39. Chiese prive di immagini

Per le chiese costruite negli ultimi decenni e prive di apparato iconografico e decorativo, si verifichi la possibilità di dotarle delle immagini consuete nelle chiese cattoliche, come ad esempio, oltre la croce, l'immagine della Beata Vergine Maria, del santo patrono o del mistero al quale la chiesa è dedicata.


40. Programmi iconografici incompleti

Nelle chiese nelle quali, a seguito di distruzione o danneggiamento o furto di un'immagine, il programma iconografico risultasse incompleto, è opportuno pensare a completarlo o collocando al posto di quella perduta un'opera con caratteristiche analoghe, proveniente da altre chiese o dai depositi dei musei, oppure commissionando a un artista di provata capacità una nuova opera.


41. Nuove opere d'arte

Non è raro il caso in cui si ritenga opportuno inserire in una chiesa una nuova opera d'arte (ad esempio una nuova vetrata, una nuova porta, un dipinto o altro ancora). In tale caso, anche se l'opera venisse donata, si pone in via prioritaria la necessità di verificarne la effettiva utilità e l'opportunità di inserimento, tenendo conto degli aspetti pastorali, liturgici e artistici che la concreta situazione presenta. Per questo il committente, con l'aiuto del progettista e degli organismi responsabili di Curia, dovrà procedere alla definizione di massima del programma iconografico, artistico ed economico dell'opera e all'individuazione di un artista davvero qualificato. All'artista si dovrà conferire l'incarico unitamente al programma iconografico e al piano di spesa, seguendo le modalità di cui si dirà più avanti a proposito del progetto . L'opera sarà realizzata solo dopo avere ottenuto le regolari autorizzazioni canoniche e, quando sono richieste, anche quelle civili.


42. L'arredamento

Il patrimonio delle chiese è costituito anche da una notevole quantità di suppellettili, arredi (ad esempio candelieri) e paramenti, la cui presenza rischia di essere interpretata più in chiave decorativa che funzionale. Il gusto attuale per la semplicità non deve far disperdere tale patrimonio, né confinarlo necessariamente nel deposito parrocchiale. Per quanto possibile, tale patrimonio venga costantemente e periodicamente usato, in particolare per dare rilievo alle diverse solennità per le quali, forse, era stato originariamente realizzato. Anche se, al momento, tale patrimonio di arredi non fosse più usato, lo si conservi, non lo si alieni e, se necessario, lo si restauri .



43. Le reliquie e i reliquiari

Nelle nostre chiese, fino a pochi anni fa, si faceva uso frequente, specialmente in occasioni di manifestazioni devozionali, di una grande varietà di reliquiari. Poiché tale uso va cambiando e i reliquiari sono in condizione di grave rischio, si raccomanda vivamente che i reliquiari e le eventuali reliquie prive di reliquiario in dotazione alla chiesa o consegnate dai fedeli vengano conservate con la massima cura nelle sacrestie in appositi e sicuri armadi o nel deposito ben ordinato adiacente alla sacrestia.


44. Il museo e la chiesa

In occasione del progetto di adeguamento liturgico delle chiese, dall'esame della situazione esistente, può emergere l'opportunità di valorizzare meglio le opere d'arte e di artigianato, in modo che siano adeguatamente fruibili dai visitatori.

Le chiese, essendo destinate al culto, sono dimore vive per una comunità vivente: non sono quindi dei musei. Tuttavia alcune di esse, per l'evidente importanza artistica e storica, vengono considerate alla stregua di veri e propri musei. In questi casi, per facilitare una giusta fruizione del patrimonio storico e artistico, siano predisposte le opportune misure che consentano la generosa e intelligente accoglienza dei visitatori, come ad esempio adeguati orari per la visita, sussidi a stampa o di altro genere, illuminazione adatta delle opere, guide, custodi, ecc.. Si abbia cura però di evidenziare sempre il permanente significato religioso degli edifici e delle opere, salvaguardando la primaria destinazione al culto delle chiese stesse e garantendone la tutela.

In alcune situazioni, con i dipinti, le sculture, le suppellettili, gli arredi, i paramenti, gli apparati processionali, le vesti e le insegne delle confraternite non più usati abitualmente, le nostre chiese sono in grado anche di dare vita a musei o, più realisticamente, a depositi parrocchiali o interparrocchiali. In situazioni particolari, per far fronte a urgenti esigenze di tutela o di conservazione, si valuti l'opportunità di depositare alcune opere d'arte nel Museo diocesano. Tali ipotesi vengano attentamente valutate e realizzate nel rispetto delle norme civili e canoniche vigenti .





III. - L'ELABORAZIONE DEL PROGETTO DI ADEGUAMENTO




A. La committenza ecclesiale



45. Il committente

Il committente del progetto di adeguamento liturgico è il responsabile della chiesa, dell'oratorio o cappella, il quale deve avvalersi delle corrette procedure sotto la guida del Vescovo (e degli Uffici della Curia: Commissione o Sezione di arte sacra, Ufficio Amministrativo, Ufficio Tecnico, ecc.). Eventuali donatori o mecenati privati o pubblici, il cui intervento è sempre auspicabile, non possono assumere in alcun modo il ruolo di committente.

In questo campo sono tenuti ad attenersi alle norme e alle procedure canoniche anche i religiosi e le religiose, le confraternite, le associazioni, i movimenti, i gruppi ecclesiali .

Nella preparazione del progetto di adeguamento il committente coinvolgerà l'intera comunità cristiana e in particolare, nel caso della parrocchia, alcune sue espressioni, come il Consiglio Pastorale, il Consiglio per gli Affari Economici, il gruppo liturgico, i catechisti.

Nell'ambito della responsabilità globale della sua iniziativa, compete al committente, d'intesa con il Vescovo, scegliere il progettista e conferirgli regolare incarico; fornire al progettista indicazioni chiare e complete sulle esigenze liturgiche e sulle disponibilità finanziarie; offrire al progettista costante collaborazione nel rispetto della sua professionalità, evitando pressioni o ingerenze indebite.


46. La Commissione diocesana per l'arte sacra

La Commissione diocesana per l'arte sacra, nella sua qualità di principale consulente del Vescovo in materia, svolge un servizio determinante anche per i progetti di adeguamento liturgico. In particolare la Commissione ha il compito di offrire la propria consulenza al committente e al progettista, di esaminare i progetti ed esprimere al Vescovo il proprio motivato parere; se del caso, a nome dell'Ordinario, presentare i progetti alla competente Pubblica Amministrazione (con la quale si mantiene in costanti rapporti) per ottenere le autorizzazioni previste; di controllare la corretta esecuzione delle opere e di verificare gli esiti dei progetti di adeguamento.




B. Gli autori del progetto



47. Il progettista

Il compito del progettista per l'adeguamento degli spazi celebrativi richiede una profonda preparazione professionale, una maturata esperienza di lavoro, una corretta conoscenza del principi basilari della riforma liturgica e una buona capacità di collaborazione con altri professionisti.

La scelta del progettista, può avvenire in vari modi: affidamento diretto, concorso ad inviti, concorso con preselezione in base al curriculum.

L'incarico può essere conferito solo a un architetto o ingegnere, che sia esperto nel campo della progettazione e del restauro e dotato di sensibilità nei riguardi delle esigenze liturgiche, della storia e della cultura del luogo.

L'incarico verrà affidato al progettista mediante lettera d'incarico e comprenderà anche l'accordo sul preventivo di massima riferito alle tariffe particolari previste per i lavori di restauro.

L'offerta di prestazione gratuita o la sola conoscenza personale non si può considerare criterio sufficiente per l'affidamento dell'incarico.


48. I consulenti

Il progettista incaricato si terrà in costante contatto con il committente e ricorrerà alla consulenza dei diversi specialisti del settore, quali il teologo, il liturgista, lo storico dell'arte e dell'architettura, il restauratore, il tecnico del suono, l'esperto in illuminazione, ecc.. È molto opportuno inoltre che i diversi consulenti siano chiamati a dare il loro contributo nel corso dell'elaborazione del progetto, anche mediante momenti di lavoro comune, onde evitare possibili disattenzioni o disarmonie.




C. Le chiese da adeguare



49. Aspetti generali dell'adeguamento

Ogni chiesa da adeguare è dotata di specifica fisionomia che la rende, in qualche modo, un caso unico. Essa tuttavia presenta molti elementi comuni ad altre chiese per cui si può legittimamente considerare espressione singolare di una ben precisa tipologia architettonica. Per identificare i diversi tipi di chiese si può far ricorso ad alcuni criteri di cui alcuni sono particolarmente importanti in vista dell'adeguamento liturgico, come la destinazione d'uso prevalente, la definizione nel contesto storico originario in cui essa è sorta, la sua struttura geometrico-spaziale fondamentale, il valore culturale (architettonico, artistico, memoriale, ecc.) del luogo, nel suo insieme e nelle sue singole parti.

In relazione a ognuno di tali aspetti il progettista analizzerà a fondo gli specifici problemi, le difficoltà e le opportunità.

Ogni caso reale può essere illuminato dal confronto critico con casi simili, ma deve essere risolto, mediante un autentico lavoro compositivo, in termini originali.


50. Casi tipici di adeguamento: chiese cattedrali

A titolo esemplificativo, è utile accennare ai problemi posti da alcuni tipi di chiese da adeguare.

La cattedrale si può considerare la chiesa madre di tutte le altre chiese di una diocesi in quanto sede della cattedra del magistero episcopale. Essa è anche il loro modello in quanto centro principale di culto della diocesi. È luogo ordinario per la celebrazione delle ordinazioni. La liturgia delle Ore e il servizio corale, che vi celebra il capitolo dei canonici, mettono in evidenza la realtà della "Ecclesia orans". In alcuni casi nella cattedrale vengono sepolti i vescovi e si conservano le memorie e le tradizioni storiche della Chiesa locale.
Per questo complesso di ragioni il progetto di adeguamento liturgico della chiesa cattedrale è necessario e in qualche modo prioritario per l'intera diocesi, dovendo servire come esempio per gli altri casi di adeguamento.
In particolare si dovrà procedere con attenzione contestuale all'adeguamento dei vari luoghi liturgici e specialmente della cattedra episcopale.


51. Chiese parrocchiali

La chiesa parrocchiale, con altri analoghi centri di attività pastorale, rappresenta il caso più tipico e frequente nel quale si richiede il progetto di adeguamento liturgico. Tale progetto implica un particolare impegno per evidenziare il presbiterio, la sede del presidente e l'ambone. Notevole attenzione deve essere rivolta anche al recupero della centralità dell'altare nuovo in rapporto all'altare preesistente che, essendo in molti casi da conservare integralmente, deve però cambiare funzione (cfr n. 17).
Siccome nella pastorale parrocchiale ha grande importanza la celebrazione dei sacramenti, notevole cura deve essere riservata all'adeguamento del battistero e del fonte battesimale oltre che delle sedi confessionali. Si provveda inoltre che la chiesa sia anche adeguata alla celebrazione del matrimonio e delle esequie cristiane.


52. Santuari

Nei santuari la dimensione devozionale prevale spesso rispetto a quella liturgica. È quindi necessario che il progetto di adeguamento conferisca alla liturgia il ruolo centrale che le compete e dia un migliore equilibrio all'intero edificio nelle sue varie componenti.
Siccome i santuari sono spesso il risultato di costruzioni aggiunte l'una all'altra diventa necessario mettere in evidenza l'unico altare e l'unico ambone.
Nei santuari si celebra con grande frequenza il sacramento della Penitenza e quindi particolare cura deve essere rivolta alla soluzione dei problemi connessi.
Grande cura sia dedicata anche alla corretta disposizione degli spazi circostanti, dei percorsi e degli accessi (luoghi di soste e di parcheggio, aree per le celebrazioni all'aperto, sagrato, porte, atrii, ecc.).


53. Chiese votive

Per la chiese votive (oratori, cappelle private, cappelle cimiteriali, ecc.) il problema dell'adeguamento liturgico è di solito meno urgente, perché vi si celebra solo in modo occasionale; d'altra parte, le dimensioni ridotte di molti di questi edifici consigliano di procedere con molta prudenza.



C. Il progetto di adeguamento



54. Le domande da cui partire

Per iniziare il cammino della progettazione in modo corretto è opportuno che il committente e il progettista si pongano alcuni quesiti semplici ma fondamentali, sia per quanto riguarda la situazione di partenza della chiesa da adeguare, sia per quanto riguarda la configurazione delle innovazioni da introdurre.
Le domande basilari da cui partire sono le seguenti: in base alle esigenze della riforma liturgica, che cosa, perché e come conservare? In base alle medesime esigenze che cosa, perché e come innovare?
Proprio in rapporto a tali quesiti possono risultare di grande utilità i confronti tra il singolo caso da affrontare e i casi tipici individuati e proposti.

Al progettista, inoltre, possono essere assai utili le considerazioni che emergessero durante il processo di rilevamento o di progettazione, e quelle ricavate da altri punti di vista, come ad esempio quello del proprietario, del committente, del costruttore, dei futuri utenti, degli organi di tutela, ecc..

Resta comunque fondamentale l'esigenza, di elaborare progetti meditati, secondo un itinerario precisato in partenza, che riservino sempre la giusta attenzione tanto alle diverse componenti del caso (ad esempio la particolare rilevanza storica e artistica dell'edificio, il valore di singole suppellettili, le soluzioni relative agli impianti, ecc.), quanto all'armonica collocazione dell'intervento prospettato nel suo contesto architettonico, ambientale, socio-economico e culturale.


55. I problemi da risolvere

Nell'avviare il processo di progettazione è bene tenere presenti alcuni problemi che paiono di particolare rilevanza.

a) La promozione dell'unità dell'assemblea che celebra e la salvaguardia dell'unicità e centralità dell'altare sono preoccupazioni prioritarie che devono guidare l'impostazione dell'intervento nella sua globalità.

b) I luoghi celebrativi per la celebrazione dell'Eucaristia, del Battesimo, della Penitenza vanno considerati nelle loro singolarità e nelle loro relazioni reciproche; in particolare, per quanto riguarda il presbiterio, va assicurata la sua unitarietà di progetto, la precisa interconnessione dei suoi elementi (altare, ambone, sede presidenziale) e, al tempo stesso, la individualità di ciascuno di essi.

c) Nella relazione fra i luoghi celebrativi e l'aula, va sottolineata la collocazione del presbiterio, il cui rilievo, in mancanza di un'abside adeguata, si può evidenziare mediante l'introduzione di un fondale o di un adeguato apparato iconografico.

d) Le sedi del presidente, dei ministri e dei fedeli vanno studiate in relazione sia alle funzioni che devono essere svolte dai vari celebranti, sia in relazione alla più adatta collocazione spaziale, sia alle condizioni di buona conservazione dei manufatti.

e) Il ruolo degli altari laterali dovrà essere risolutamente attenuato in modo tale che non appaiano alternativi o in concorrenza con l'unico altare della celebrazione. Potranno invece essere utilizzati come luoghi devozionali, valorizzando le immagini di cui sono dotati.

f) I percorsi all'interno e all'esterno dell'aula vanno rigorosamente assicurati in relazione agli spostamenti connessi alla liturgia (ad esempio le processioni) e alle devozioni (ad esempio la Via Crucis). Se è il caso, sarà opportuno studiare anche eventuali percorsi particolari per visitatori e turisti.

g) L'illuminazione naturale e artificiale va verificata ed eventualmente modificata con pannelli frangisole, schermature, apparecchi illuminanti e altri dispositivi, al fine di far risaltare l'importanza dei luoghi celebrativi, secondo i rispettivi significati proporzionali, riducendo al minimo le eventuali "distrazioni" visive. In relazione alle esigenze dei visitatori, si provveda a dotare di una adeguata illuminazione le opere d'arte presenti nelle chiese, in armonia con il carattere proprio del luogo.

h) I segni liturgici principali devono recuperare la necessaria evidenza e visibilità, per cui si ritiene opportuno avviare un graduale processo di semplificazione degli altri segni ed elementi.


56. Le fasi del progetto

Il progetto di adeguamento liturgico di una chiesa consiste nell'insieme delle decisioni capaci di governare discipline e competenze diverse, al fine di realizzare un ambiente coerente con lo spirito della riforma liturgica. Il progetto prende forma per fasi successive e coordinate tra loro.

In un primo momento il progettista ricostruisce e documenta accuratamente il progetto originario della chiesa e il suo contenuto liturgico, le modificazioni a cui la chiesa è andata soggetta, riscoprendo le sorgenti del suo radicamento locale, dei suoi legami con una determinata cultura e tradizione ecclesiale.

In un secondo momento, il progettista, in dialogo permanente con esperti di liturgia e con gli organismi diocesani, esamina i fattori di coerenza e di eventuale incoerenza dello spazio architettonico esistente con le esigenze della riforma liturgica.

Cercherà quindi di assicurare una continuità tra l'edificio ereditato con il suo patrimonio di valori e gli elementi innovativi che riterrà opportuno introdurre.

In altre parole, il progettista indagherà se vi siano eventuali inadeguatezze nelle chiese rispetto alle nuove esigenze liturgiche, lasciandosi guidare soprattutto dal dettato conciliare: l'attiva partecipazione dei fedeli al culto.

Il progetto accoglierà anche i suggerimenti della comunità dei fedeli, che saranno coinvolti sia nella fase di preparazione, sia in quella sperimentale del progetto. Tali suggerimenti sono preziosi perché provengono da chi conosce per lunga consuetudine l'ambiente liturgico e può valutarne più attentamente l'adeguamento.

Il progetto di adeguamento non dovrà pregiudicare l'unità complessiva dello spazio liturgico. Gli interventi previsti, anche se distribuiti nel tempo secondo le disponibilità economiche e le urgenze della comunità, devono far parte di un progetto unitario. L'eventuale riuso di apparati rimossi o l'inserimento di nuovi elementi dovrebbero contribuire a potenziare l'organicità dell'edificio.


57. L'itinerario del progetto

Tenuto conto di quanto fin qui esposto, l'itinerario del progetto si compone di diverse fasi successive e coordinate.

a) Fase di indagine

Come momento preliminare, il progettista dovrà proporsi di conoscere la situazione, procedendo al rilievo dell'edificio e raccogliendo tutto ciò che gli consenta di documentarne la storia, lo stato di conservazione, gli aspetti problematici, le esigenze e la fisionomia attuale.

Al termine di questa fase preliminare, il progettista dovrà avere approntato:
- il rilievo grafico quotato, in scala adeguata, dello stato di fatto e dell'eventuale degrado;
- la documentazione fotografica della situazione;
- l'analisi e la descrizione storica, in particolare degli usi celebrativi e devozionali dell'edificio;
- la documentazione che consenta di inserire e riferire l'edificio nel contesto.

La documentazione raccolta in questa fase è di importanza capitale e dovrà accompagnare il progetto nei successivi stadi di sviluppo.

b) Fase del dibattito

In questa fase, il committente, la comunità o il gruppo interessato, insieme al progettista e a eventuali consulenti si pongono i quesiti, riflettono sulle ipotesi, si mettono in ascolto di esperienze significative. Da questo ampio dibattito che prepara il progetto scaturiscono gli indirizzi di natura prevalentemente liturgica che confluiranno nel progetto di massima.

c) Il progetto di massima (cfr Appendice I A)

Il progetto di massima è già un vero e proprio progetto perché contiene le decisioni di natura liturgica tradotte in forma architettonica e di arredo, tra loro coordinate. Non può essere mandato ad esecuzione perché deve ancora ricevere le debite autorizzazioni canoniche e civili, perché sono opportune o necessarie alcune verifiche e perché non sono approntati gli strumenti che consentono agli esecutori di realizzarlo.

d) La fase sperimentale

Se il progetto di massima risulta di generale gradimento e trova tutti gli assensi necessari (in particolare quello scritto della Commissione diocesana per l'arte sacra, della Soprintendenza e di altri eventuali enti competenti), sarà molto opportuno non passare subito alla redazione del progetto esecutivo, ma prevedere una fase di sperimentazione del progetto stesso. Il committente chiederà perciò al progettista di realizzare il progetto in via sperimentale, in forma reversibile, usando materiali "poveri" o ricorrendo alla semplice dislocazione diversa di oggetti esistenti. Al termine di questa fase che contempla un adeguato periodo di uso liturgico, fatte le opportune correzioni e integrazioni, sarà possibile passare alla redazione del progetto esecutivo e alla sua realizzazione.

e) Il progetto esecutivo (cfr Appendice I B)

Esecutivo è il progetto pronto per essere consegnato nelle mani di coloro che lo devono realizzare. Esso presuppone l'acquisizione per iscritto delle autorizzazioni canoniche e civili e contiene tutte le indicazioni utili e necessarie agli artigiani, alle imprese esecutrici, ai tecnici interessati; comprende inoltre le esatte e definitive previsioni di spesa con il corrispondente piano di finanziamento.


58. Il progetto delle strutture

Per quanto riguarda eventuali problemi di carattere statico, è richiesto, oltre a quello architettonico, un progetto specifico, che potrà essere redatto o dallo stesso progettista o da altro qualificato professionista remunerato con tariffe proprie. Il professionista incaricato del progetto delle strutture dovrà lavorare in stretto collegamento con il progettista incaricato dell'adeguamento liturgico.


59. Il progetto degli impianti

a) Il progetto di adeguamento liturgico delle chiese deve comprendere i progetti dell'impianto elettrico e di illuminazione e, se del caso, anche dell'impianto di climatizzazione, di diffusione del suono, antifurto e antincendio . Bisogna tener conto del fatto che gli impianti si inseriscono come elementi di novità in un contesto che non li prevedeva, ed è quindi necessario studiare con attenzione il loro inserimento fisico, formale e funzionale nell'edificio in modo da soddisfare alle esigenze delle celebrazioni che avvengono nella chiesa e a quelle delle opere in essa contenute. Ne consegue che tali progetti dovranno essere affidati a specialisti, esperti nel rispettivo campo, e predisposti sotto la supervisione del progettista, senza dimenticare una realistica valutazione dei costi per la messa in opera, la gestione e la manutenzione. Una volta approvati, i progetti degli impianti saranno realizzati da imprese specializzate che opereranno sotto il diretto controllo e la responsabilità del progettista.
Le tavole di progetto degli impianti dovranno essere consegnate al committente che le conserverà nell'archivio della chiesa (cfr. n. 60).
Per la gestione e la manutenzione degli impianti, che sarà particolarmente curata, si farà riferimento a un apposito manuale di istruzioni per l'utente.

b) Per quanto riguarda l'impianto di illuminazione, oltre a quanto già detto nella Nota pastorale La progettazione di nuove chiese , si raccomanda di curare al massimo il suo rapporto con la luce naturale la quale deve mantenere le proprie caratteristiche, che variano molto a seconda delle epoche e delle architetture.

L'impianto di illuminazione artificiale sia studiato in modo da tenere conto in primo luogo delle esigenze connesse con la celebrazione liturgica, in secondo luogo delle esigenze di conservazione delle opere e delle necessità dei visitatori e del turisti, evitando tuttavia la eccessiva luminosità .
Considerata la delicatezza del problema, è necessario che il progetto della illuminazione artificiale venga studiato da specialisti del settore insieme a esperti in liturgia, facendo ricorso a opportune simulazioni e a verifiche sperimentali adeguatamente controllate.
Gli antichi lampadari, i bracci e le torcere presenti nelle chiese, anche se non più in uso, vengano conservati con cura, non siano alienati, e, se del caso, vengano restaurati.
Non si dimentichi al riguardo, che la collocazione di nuove vetrate a colori modifica sensibilmente la luce naturale e la percezione dei valori cromatici nelle chiese: perciò vanno studiate con cura, caso per caso, sia l'opportunità che la modalità di realizzarle.

c) L'impianto di riscaldamento, oltre a quanto già detto nella Nota pastorale La progettazione di nuove chiese , sia studiato e messo in opera valutando preventivamente i reali vantaggi e i possibili danni alla struttura della chiesa e alle diverse materie e opere presenti in essa (pietre, legni, membrane, tele, intonaci). Si valutino attentamente, caso per caso, le prestazioni e i limiti dei diversi tipi di impianto in commercio. Si tenga conto, inoltre delle eventuali interferenze con il patrimonio archeologico, nel caso di impianti che interessino i pavimenti e il sottosuolo delle chiese.

d) L'impianto di diffusione sonora, oltre a quanto già detto nella Nota pastorale La progettazione di nuove chiese , deve adattarsi a situazioni assai diverse per dimensioni, materia, forma. Se la realizzazione dell'impianto è necessaria, esso sarà studiato dagli specialisti, non direttamente dalle imprese fornitrici o da semplici operatori tecnici, ponendo grande attenzione, caso per caso, anche per quanto riguarda la forma e la collocazione dei microfoni (altare, ambone, sede, guida del canto dell'assemblea, coro, ecc.), l'aspetto del diffusori del suono e le canalizzazioni.

e) Gli impianti antifurto e antincendio si rivelano sempre più necessari e vanno inseriti nel progetto di adeguamento. Siano scelti con cura in relazione alle esigenze specifiche, messi in opera da specialisti sotto la supervisione del progettista e periodicamente sottoposti a manutenzione.

f) Per quanto è consentito dalle caratteristiche monumentali di ogni chiesa, siano previsti interventi anche per abbattere le eventuali barriere architettoniche al fine di facilitare gli accessi e i percorsi celebrativi.


60. I documenti del progetto di adeguamento

Il committente abbia cura di richiedere al progettista copia dei documenti e degli elaborati grafici riguardanti il progetto di adeguamento liturgico, in tutte le sue componenti (rilievi, tavole di progetto, fotografie, relazioni, autorizzazioni, contratti, documenti amministrativi) e li collochi nell'archivio della chiesa, evitando in ogni modo di disperderli .


61. La normativa canonica e civile

L'adeguamento delle chiese dovrà avvenire, in tutte le fasi, nel rispetto della normativa canonica e civile vigente (cfr Appendice II).

Per quanto riguarda i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni, i responsabili delle comunità cristiane si muovano in atteggiamento di collaborazione, facendo riferimento, a tale riguardo, all'art. 8 della legge n. 1089 del l° giugno 1939 e all'art. 12 dell'Accordo di revisione del Concordato Lateranense 18 febbraio 1984 .



CONCLUSIONE


62. Un vasto programma culturale per la Chiesa in Italia

La presente Nota pastorale sollecita riflessioni e iniziative progettuali che fanno parte integrante del compito storico della Chiesa. Essa, infatti, vuole rendere sempre attuali i luoghi nei quali sperimenta la propria vitalità sacramentale coinvolgendo in questa iniziativa pastorale un vasto programma culturale.
Il processo di adeguamento delle chiese alle esigenze della riforma liturgica costituisce indubbiamente un'importante iniziativa di inculturazione della fede nel suo momento celebrativo , in armonia con le esigenze di conservazione del patrimonio storico e artistico, nell'ambito del progetto di nuova evangelizzazione che la Chiesa si propone di attuare nel terzo millennio .
Per raggiungere questo obiettivo, la Chiesa che è in Italia fa appello alle risorse dell'intelligenza critica e pratica degli architetti, artisti, artigiani, storici e critici dell'arte e dell'architettura, restauratori, teologi e liturgisti la cui collaborazione considera indispensabile.






APPENDICE


I. Elaborati e procedure per l'approvazione del progetto

Per facilitare la pratica attuazione delle disposizioni contenute nella presente Nota si richiamano ordinatamente gli elaborati e le procedure ritenuti necessari alla corretta redazione del progetto di adeguamento liturgico di una chiesa.
Questo sussidio è particolarmente utile al committente e al progettista.


A. Progetto di massima

1) Il progetto di massima comprende i seguenti elaborati:

1. schema del progetto in pianta e sezione (scala da l:100 a l:50, ed eventualmente in scala inferiore per progetti di piccola dimensione);
2. modello tridimensionale (plastico, fotomontaggio e tutto quanto può facilitare la comprensione del progetto);
3. preventivo sommario;
4. relazione illustrativa del progetto, con definizione dei criteri e delle metodologie di intervento;
5. previsione della copertura finanziaria delle spese.

2) Per ottenere le autorizzazioni necessarie il progetto di massima dovrà seguire il seguente itinerario:

1. il committente trasmette all'Ordinario, oltre agli elaborati di cui al n. 57, a), la documentazione sopra elencata e gli chiede, mediante gli Uffici della Curia competenti, il suo parere di massima;
2. nel caso in cui l'edificio interessato dall'intervento sia soggetto a tutela statale o regionale o di altro tipo, l'Ordinario stesso, mediante il competente Ufficio della Curia, provvederà a presentare i1 progetto all'Ente pubblico competente allo scopo di ottenere il suo parere di massima .
3. Nel caso in cui sia l'Ordinario, sia l'Ente o gli Enti pubblici competenti abbiano dato nelle dovute forme il loro parere favorevole di massima il committente darà incarico al progettista di procedere alle fasi successive della progettazione.

B. Progetto esecutivo

1) Il progetto esecutivo comprende i seguenti elaborati

1. piante, sezioni e prospetti in scala l:50;
2. particolari esecutivi nelle scale adeguate: l:20, l:10, l:l;
3. computi metrici estimativi, capitolato e contratti;
4. relazione illustrativa del progetto, elenco prezzi, analisi dei prezzi;
5. previsione definitiva di copertura finanziaria delle spese.

2) Per ottenere le autorizzazioni necessarie il progetto esecutivo dovrà seguire il seguente itinerario:

1. il committente trasmette all'Ordinario, oltre agli elaborati elencati al n. 57, a) gli elaborati sopra elencati, unitamente alla domanda per ottenere la debita autorizzazione;
2. nel caso in cui l'edificio interessato dall'intervento sia soggetto a tutela statale o regionale o di altri enti, l'Ordinario stesso, tramite i competenti Uffici di Curia, provvederà a trasmettere il progetto all'Ente pubblico competente allo scopo di ottenere l'autorizzazione prescritta ;
3. solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta dell'Ordinario e degli Enti pubblici competenti, il committente procede agli adempimenti successivi.

3) Compiti del committente

1. Una volta ottenute le debite autorizzazioni canoniche e civili, il committente nomina il tecnico incaricato della direzione del lavori, che potrà coincidere con la persona del progettista;
2. con la consulenza e l'assistenza del direttore del lavori, il committente procede alla ricerca delle imprese e degli artigiani ai quali affidare l'incarico del lavori e all'affidamento dei medesimi.

4) Compiti del direttore dei lavori

1. Nell'espletamento della sua attività, il direttore dei lavori, si prenderà cura della tenuta regolare dei documenti di rito;
2. a conclusione dell'opera, il direttore dei lavori darà la sua assistenza ai collaudi e alla liquidazione delle spettanze delle imprese.

II. Normativa liturgica, canonica, civile e concordataria


In tema di adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, come per la progettazione e costruzione di nuove chiese, i principi teologici e liturgici e la normativa conseguente sono contenuti nei documenti qui elencati. Ad ogni documento è premessa la sigla d'uso.


A. Normativa liturgica


1. I PRINCIPALI DOCUMENTI


A. Testi conciliari e magisteriali

SC Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, Costituzione sulla sacra liturgia (1963), nn. 122-130.

IOE S. Congregazione dei Riti, Inter Oecumenici, Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla sacra liturgia (1964), nn. 90-99.

EM S. Congregazione dei Riti e Consilium, Eucharisticum Mysterium, Istruzione sul culto del Mistero eucaristico (1967), nn. 24; 52-57.

LI S. Congregazione per il culto Divino, Liturgiae Instaurationes, Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla sacra liturgia (1970), n.70.

MS Consilium e S. Congregazione dei Riti, Musicam Sacram, Istruzione sulla musica nella sacra liturgia (1967), nn. 23. 63.

LRI Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, La liturgia romana e l'inculturazione, IV Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia (nn 37-40) (1994).

RLI Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale della Commissione Episcopale per la liturgia della C.E.I. a vent'anni dalla Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium (1983), n.13.

BCCI I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana (1992).

PNC La progettazione di nuove chiese. Nota pastorale della Commissione Episcopale per la liturgia della C.E.I. (1993).


B. Libri liturgici in versione italiana

BEN C.E.I., Benedizionale, Roma 1992, nn. 1159-1589.

BODCA C.E.I., Benedizione degli Oli e Dedicazione della chiesa e dell'altare, Roma 1980, pp. 12-74; 40-41; 90-92 (nn. 152-162).

LDF C.E.I., Lezionario domenicale e festivo. Premesse (Fascicolo supplementare), Roma 1982, nn. 32-34.

MR C.E.I., Messale Romano, Roma 19832.

PNMR Principi e norme per l'uso del Messale Romano, in MR, pp. XVII-XLVIII.

Precis. C.E.I. C.E.I., Precisazioni, in MR, pp. L-LI.

RBB C.E.I., Rito del Battesimo dei Bambini, Roma 1970, pp. 22-23 (nn. 18-26).

RCCE C.E.I., Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, Roma 1979, p. 16 (nn. 9-11).

RP C.E.I., Rito della Penitenza, Roma 1974, p. 23 (n. 12).


C. Altri documenti

CDC Codice di Diritto Canonico, Roma 1983, cann. 858; 934-940; 964; 1214-1222; 1235-1239.

CE Caerimoniale Episcoporum, Romae 1984, nn. 42-54; 864-878; 918-932.


2. I MAGGIORI RIFERIMENTI

L'asterisco (*) indica i passi riportati per esteso nelle pagine seguenti.

Chiesa: SC 122-129*
LI 10
EM 24
PNMR 255-257*
CDC cann. 1214-1222*
RLI 13
CE 840-843; 864-871
PNC 1-6

Presbiterio: PNMR 258*
CE 50
PNC 7

Altare: IOE 91
PNMR 259-267; 268-70*
Precis. C.E.I. 14*
BODCA 152-162*; 247-249
CDC cann. 1235-1239*
CE 48; 918-932; 972-978
BEN 1267-1278
PNC 8

Ambone: IOE 96
PNMR 272*
Precis. C.E.I. 16
LDF 32-34
CE 51
BEN 1238-1241
PNC 9

Sede del presidente: PNMR 271*
Precis. C.E.I. 15*
CE 42; 47
BEN 1214-1218
PNC 10

Battistero: IOE 99
RBB 18-26
CDC can. 858*
CE 52; 995
BEN 1163-1168
PNC 11

Luogo della Penitenza: RP 12
CDC can. 964*
BEN 1407-1410
PNC 12

Custodia eucaristica: IOE 95
EM 52-57
PNMR 276-277*
RCCE 9-11
CDC cann. 934-940*
CE 49
BEN 1312-1314
PNC 13

Posti dei fedeli: IOE 98
PNMR 273*
PNC 14

Coro e organo: IOE 97
MS 23; 63
PNMR 274-275*
BEN 1478-1481
PNC 15

Immagini sacre: SC 125*
PNMR 278*
BEN 1331-1337; 1358-1364
PNC 16

Arredo: SC 123-124*
PNMR 287-288; 311-312*
Precis. C.E.I. 17*
BEN 1159-1162; 1495-1500
PNC 18


3. I TESTI

Costituzione conciliare sulla sacra liturgia
Sacrosanctum Concilium
SC 122-129


L'arte sacra e la sacra suppellettile


122. Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono annoverate, a pieno titolo, le arti liberali, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra. Per loro stessa natura, queste arti tendono ad esprimere in qualche modo, nelle opere umane, l'infinita bellezza di Dio, e tanto più sono volte a lui e all'accrescimento della sua lode e della sua gloria, in quanto non hanno nessun altro intento che quello di contribuire nel miglior modo possibile a indirizzare pienamente verso Dio lo spirito dell'uomo.
Per tali motivi la santa Madre Chiesa ha sempre favorito le arti liberali, e ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente perché gli oggetti destinati al culto splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, segni e simboli delle realtà soprannaturali: ed ella stessa ha formato degli artisti. A riguardo, anzi, di tali arti, la Chiesa si è sempre ritenuta, a buon diritto, come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate, e risultavano adatte all'uso sacro.
Con speciale sollecitudine la Chiesa si è preoccupata che la sacra suppellettile servisse con la sua dignità e bellezza al decoro del culto, ammettendo nella materia, nella forma e nell'ornamento quei cambiamenti che il progresso della tecnica ha introdotto nel corso dei secoli.

123. La Chiesa non ha mai considerato come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l'arte contemporanea di tutti i popoli e paesi deve avere nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa potrà aggiungere la propria voce al mirabile concento di gloria che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica.

124. Nel promuovere e favorire un'autentica arte sacra, gli Ordinari procurino di ricercare piuttosto una nobile bellezza che una mera sontuosità. E ciò valga anche per le vesti e gli ornamenti sacri. I vescovi abbiano cura di allontanare dalla casa di Dio e dagli altri luoghi sacri quelle opere d'arte che sono in contrasto con la fede, la morale e la pietà cristiana; che offendono il genuino senso religioso, o perché spregevoli nelle forme, o perché scadenti, mediocri o false nell'espressione artistica.
Nella costruzione poi degli edifici sacri ci si preoccupi diligentemente della loro idoneità a consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e la partecipazione attiva dei fedeli.

125. Si mantenga l'uso di esporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre. Tuttavia si espongano in numero moderato e nell'ordine dovuto, per non destare ammirazione nei fedeli e per non indulgere a una devozione svisata.

126. Quando si tratta di dare un giudizio sulle opere d'arte, gli Ordinari del luogo sentano il parere della Commissione diocesana di arte sacra e, se è il caso, di altre persone particolarmente competenti, come pure delle Commissioni di cui gli articoli 44, 45, 46. Una vigilanza speciale abbiano gli Ordinari nell'evitare che la sacra suppellettile o le opere preziose, che sono ornamento della casa di Dio, vengano alienate o disperse.

127. I vescovi, o direttamente o per mezzo di sacerdoti idonei, che conoscono e amano l'arte, si prendano cura degli artisti, allo scopo di formarli allo spirito dell'arte sacra e della sacra Liturgia. Si raccomanda inoltre di istituire, dove si terrà opportuno, scuole o accademie di arte sacra per la formazione degli artisti.
Tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una religiosa imitazione di Dio Creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, all'edificazione, alla pietà e all'istruzione religiosa dei fedeli.

128. Si rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici, a norma dell'art. 25, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che riguardano l'allestimento e l'apparato delle cose esterne attinenti al culto sacro, e specialmente quanto riguarda la costruzione degna e appropriata degli edifici sacri, la forma e la erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, la conveniente disposizione delle sacre immagini, della decorazione e degli ornati. Le norme che risultassero meno rispondenti alla riforma della liturgia siano corrette o abolite: quelle invece che risultassero favorevoli siano mantenute o introdotte.
A tale riguardo, soprattutto per quanto si riferisce alla materia e alla forma della sacra suppellettile e degli indumenti sacri, si concede facoltà alle assemblee episcopali delle varie regioni di fare gli adattamenti richiesti dalle necessità e dalle usanze locali, a norma dell'art. 22 della presente Costituzione.

129. I chierici, durante il corso filosofico e teologico, siano istruiti anche sulla storia e lo sviluppo dell'arte sacra, come pure sui sani principi su cui devono fondarsi le opere dell'arte sacra, in modo che siano in grado di stimare e conservare i venerabili monumenti della Chiesa e di offrire opportuni consigli agli artisti nella loro produzione d'arte.


MESSALE ROMANO
Principi e norme per l'uso del messale romano
PNMR 255-288; 311-312


Cap. V

Disposizione e arredamento delle chiese per la celebrazione della Eucaristia


I. Principi generali

(...)

255. Tutte le chiese siano solennemente dedicate o almeno benedette. Le chiese cattedrali e parrocchiali siano sempre dedicate. I fedeli, poi, tengano nel dovuto onore la chiesa cattedrale della loro diocesi e la propria chiesa parrocchiale; e considerino l'una e l'altra segno di quella Chiesa spirituale alla cui edificazione e sviluppo sono chiamati dalla loro professione cristiana.

256. Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, al restauro e al riordinamento delle chiese, consultino la Commissione diocesana di Liturgia e Arte sacra. L'Ordinario del luogo, poi, si serva del consiglio e dell'aiuto della stessa Commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di approvare progetti di nuove chiese, o di definire questioni di una certa importanza.


II. Disposizione della chiesa per l'assemblea eucaristica

257. Il popolo di Dio, che si raduna, per la Messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti (o ministeri) e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l'immagine dell'assemblea riunita, consentire l'ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno.
I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva.
Il sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto nel presbiterio, ossia in quella parte della chiesa che manifesta il loro ministero, e in cui ognuno rispettivamente presiede all'orazione, annuncia la parola di Dio e serve all'altare.
Queste disposizioni servono ad esprimere la struttura gerarchica e la diversità dei compiti (o ministeri), ma devono anche assicurare una più profonda e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l'unità di tutto il popolo santo. La natura poi e la bellezza del luogo e di tutta la suppellettile devono favorire la pietà e manifestare la santità dei misteri che vengono celebrati.


III. Il presbiterio

258. Il presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo svolgimento dei sacri riti.


IV. L'altare

259. L'altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la Messa; l'altare è il centro dell'azione di grazie che si compie con l'Eucaristia.

260. La celebrazione dell'Eucaristia in un luogo sacro si deve compiere sopra un altare fisso o mobile; fuori del luogo sacro, invece, specie se si fa ad modum actus, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale.

261. L'altare si dice "fisso" se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi di venir rimosso; si dice invece "mobile" se lo si può trasportare.

262. Nella chiesa vi sia di norma l'altare fisso e dedicato. Sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l'attenzione di tutta l'assemblea.

263. Secondo un uso e un simbolismo tradizionali nella Chiesa, la mensa dell'altare fisso sia di pietra, e più precisamente di pietra naturale. Tuttavia, a giudizio della Conferenza Episcopale, si può adoperare anche un'altra materia degna, solida e ben lavorata.
Gli stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di qualsiasi materiale, purché conveniente e solido.

264. L'altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un certo pregio e solido, confacente all'uso liturgico, secondo lo stile e gli usi locali delle diverse regioni.

265. Gli altari, sia fissi che mobili, si dedicano secondo il Rito descritto nei libri liturgici; tuttavia gli altari mobili possono essere soltanto benedetti. Non vi è alcun obbligo di inserire la pietra consacrata nell'altare mobile o nel tavolo sul quale si compie la celebrazione fuori del luogo sacro (cf n. 260).

266. Si mantenga l'uso di collocare sotto l'altare da dedicare le reliquie dei santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare l'autenticità di tali reliquie.

267. Gli altri altari siano pochi e, nelle nuove chiese, siano collocati in cappelle, separate in qualche modo dalla navata della chiesa.


V. La suppellettile dell'altare

268. Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito nel quale vengono presentati il Corpo ed il Sangue di Cristo, si distenda sopra l'altare almeno una tovaglia, che sia adatta alla struttura dell'altare per la forma, la misura e l'ornamento.

269. I candelieri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di venerazione e di celebrazione gioiosa, siano collocati o sopra l'altare, oppure accanto ad esso, tenuta presente la struttura sia dell'altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull'altare.

270. Inoltre vi sia sopra l'altare, o accanto ad esso, una croce, ben visibile allo sguardo dell'assemblea riunita.


VI. La sede per il celebrante e per i ministri, ossia il luogo della presidenza

271. La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l'assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell'edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e l'assemblea. Si eviti ogni forma di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio nel posto più adatto perché essi possano compiere con facilità il proprio ufficio.


VII. L'ambone, ossia il luogo dal quale viene annunciata la parola di Dio

272. L'importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l'attenzione dei fedeli.
Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L'ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli.
Dall'ambone si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si può tenere l'omelia e la preghiera universale o preghiera dei fedeli.
Non conviene però che all'ambone salga il commentatore, il cantore o l'animatore del coro.


VIII. I posti dei fedeli

273. Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con spirito, alle sacre celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l'uso di riservare dei posti a persone private
Le sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa comunione.
Si abbia cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi tecnici moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri ministri.



IX. Il posto della "schola" e dell'organo o di altri strumenti

274. La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè fa parte dell'assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; ne sia agevolato il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei suoi membri la partecipazione piena alla Messa, cioè la partecipazione sacramentale.

275. L'organo e gli altri strumenti legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti.


X. Il posto per la custodia della Santissima Eucaristia

276. Si raccomanda vivamente che il luogo in cui si conserva la Santissima Eucaristia sia situato in una cappella adatta alla preghiera privata e alla adorazione dei fedeli. Se poi questo non si può attuare, l'Eucaristia sia collocata in un altare, o anche fuori dell'altare, in un luogo della chiesa molto visibile e debitamente ornato, tenuta presente la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini di ogni luogo.

277. Si custodisca la Santissima Eucaristia in un unico tabernacolo, inamovibile, e solido, non trasparente, e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolo della profanazione.
Pertanto in ogni chiesa normalmente vi sia un solo tabernacolo.


XI. Le immagini esposte alla venerazione dei fedeli

278. Secondo un'antichissima tradizione della Chiesa, nei luoghi sacri legittimamente si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della beata Vergine e dei santi.
Si abbia cura tuttavia che il loro numero non sia eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l'attenzione dei fedeli dalla celebrazione. Di un medesimo santo poi non si abbia che una sola immagine. In generale, nell'ornamento e nella disposizione della chiesa, per quanto riguarda le immagini si cerchi di favorire la pietà della comunità.


XII. La disposizione generale del luogo sacro

279. L'arredamento della chiesa abbia di mira una nobile semplicità, piuttosto che il fasto. Nella scelta degli elementi per l'arredamento, si curi la verità delle cose e si tenda all'educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro.

280. Una conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che rispondano opportunamente alle esigenze del nostro tempo, richiede che non si curino solo le cose più direttamente pertinenti alla celebrazione delle azioni sacre, ma che si preveda anche ciò che contribuisce alla comodità dei fedeli, e che abitualmente si trova nei luoghi di riunione.


Cose necessarie per la celebrazione della Messa

II. Le suppellettili sacre in genere

287. Come per la costruzione di chiese, anche per ogni tipo di suppellettili sacra la Chiesa ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli popoli, purché ogni cosa sia adatta all'uso per il quale è destinata.
Anche in questo settore si curi quella nobile semplicità che si accompagna tanto bene con l'arte autentica.

288. Nello scegliere la materia per la suppellettile sacra, oltre a quella tradizionalmente in uso, si possono adoperare anche quelle, che, secondo la mentalità del nostro tempo, sono ritenute nobili, durevoli e che si adattano bene all'uso sacro. In questo settore, il giudizio spetta alla Conferenza Episcopale delle singole regioni.


V. Altra suppellettile destinata all'uso della chiesa

311. Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l'altra suppellettile, destinata direttamente all'uso liturgico, o in qualunque altro modo ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è destinata.

312. Si curi in modo particolare che anche nelle cose di minore importanza le esigenze dell'arte siano opportunamente rispettate, e che una nobile semplicità sia sempre congiunta con la debita pulizia.













Conferenza Episcopale Italiana
Messale Romano, ed. 21983

Precisazioni


14. L'altare (cf PNMR n. 262)

L'altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo.
Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l'adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, sempre d'intesa con le competenti Commissioni diocesane, l'opportunità di un altare "mobile" appositamente progettato e definitivo.
Se l'altare retrostante non può essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la tovaglia.
Si faccia attenzione a non ridurre l'altare a un supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano sobri per numero e dimensione e la collocazione non sia tanto ingombrante da sminuire il valore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici.


15. La sede per il celebrante e i ministri (cf PNMR n. 271)

La sede del celebrante e dei ministri sia in diretta comunicazione con l'assemblea.


16. L'ambone (cf PNMR n. 272)

L'ambone o luogo della Parola, sia conveniente per dignità e funzionalità; non sia ridotto a un semplice leggìo, né diventi supporto per altri libri all'infuori dell'Evangeliario e del Lezionario.


17. Materia per la costruzione dell'altare (cf PNMR n. 263), per la preparazione delle suppellettili (cf PNMR n. 268), dei vasi sacri (cf PNMR n. 294) e delle vesti sacre (cf PNMR n. 305)

Si possono usare materiali diversi da quelli usati tradizionalmente, purché convenienti per la qualità e funzionalità all'uso liturgico.
In particolare, per quanto attiene la coppa del calice è da escludere l'impiego di metalli facilmente ossidabili (ad es. alpacca, rame, ottone, ecc.), anche se dorati, da cui, oltre l'alterazione delle sacre specie, possono derivare effetti nocivi.
Nell'impiego dei vari materiali si tengano presenti le indicazioni date in Principi e norme per l'uso del Messale Romano, perché rispecchino quella dignitosa e austera bellezza che vi si deve sempre ricercare nelle opere dell'artigianato a servizio del culto.





Pontificale Romano
BODCA 152-162

Dedicazione di un altare - Premesse


I. Natura e dignità dell'altare

Cristo, altare del suo sacrificio

152. Gli antichi Padri della Chiesa, meditando sulla parola di Dio, non esitarono ad affermare che Cristo fu vittima, sacerdote e altare del suo stesso sacrificio.
La lettera agli Ebrei descrive infatti il Cristo come pontefice sommo e altare vivente del tempio celeste, e l'Apocalisse presenta il nostro Redentore come agnello immolato la cui offerta vien portata, per le mani dell'angelo santo, sull'altare del cielo (cf Eb 4,14; 13,10; Ap 5,6).

Anche il cristiano è altare spirituale

153. Se vero altare è Cristo, capo e maestro, anche i discepoli, membra del suo corpo, sono altari spirituali, sui quali viene offerto a Dio il sacrificio di una vita santa. Interpretazione, questa, già avvertita dai Padri stessi, per es. da sant'Ignazio d'Antiochia, quando rivolge quella sua mirabile preghiera: "Lasciatemi questo solo: che io sia immolato a Dio, finché l'altare è pronto", o da san Policarpo, allorché raccomanda alle vedove di vivere santamente, perché "sono altare di Dio". A queste espressioni fa eco, accanto ad altre voci, quella di san Gregorio Magno: "Che cos'è l'altare di Dio se non l'anima di coloro che conducono una vita santa?... A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti".
Secondo un'altra immagine assai frequente negli scrittori ecclesiastici, i fedeli che si dedicano alla preghiera, che fanno salire a Dio le loro implorazioni e offrono a lui il sacrificio delle loro suppliche, sono essi stessi pietre vive con le quali il Signore Gesù edifica l'altare della Chiesa.

L'altare, mensa del sacrificio e del convito pasquale

154. Cristo Signore, istituendo nel segno di un convito sacrificale il memoriale del sacrificio che stava per offrire al Padre sull'altare della croce, rese sacra la mensa intorno alla quale dovevano radunarsi i fedeli per celebrare la sua Pasqua. L'altare è quindi mensa del sacrificio e del convito; su questa mensa il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, fa ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero anch'essi in memoria di lui. A tutto questo allude l'Apostolo, quando dice: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1 Cor 10,16-17).

L'altare, segno di Cristo

155. In ogni luogo, quando le circostanze lo esigono, i figli della Chiesa possono celebrare il memoriale di Cristo e appressarsi alla mensa del Signore. Conviene però alla dignità del mistero eucaristico che i fedeli costruiscano, come già nei tempi antichi, un altare stabilmente destinato alla celebrazione della cena del Signore.
L'altare cristiano è, per sua stessa natura, ara del sacrificio e mensa del convito pasquale:
- su quell'ara viene perpetuato nel mistero, lungo il corso dei secoli, il sacrificio della croce, fino alla venuta di Cristo;
- a quella mensa si riuniscono i figli della Chiesa, per rendere grazie a Dio e ricevere il corpo e il sangue di Cristo.
L'altare è pertanto, in tutte le chiese, "il centro dell'azione di grazie, che si compie nell'Eucaristia"; a questo centro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti della Chiesa.
Per il fatto che all'altare si celebra il memoriale del Signore e vien distribuito ai fedeli il suo Corpo e il suo Sangue, gli scrittori ecclesiastici furono indotti a scorgere nell'altare un segno di Cristo stesso; donde la nota affermazione che "l'altare é Cristo".

L'altare, onore dei martiri

156. La dignità dell'altare consiste tutta nel fatto che esso è la mensa del Signore. Non sono dunque i corpi dei martiri che onorano l'altare, ma piuttosto è l'altare che dà prestigio al sepolcro dei martiri. Proprio per onorare i corpi dei martiri e degli altri santi, come per indicare che il sacrificio dei membri trae principio e significato dal sacrificio del Capo, conviene che l'altare venga eretto sui sepolcri dei martiri o che sotto l'altare siano deposte le loro reliquie, in modo che "vengano queste vittime trionfali a prendere il loro posto nel luogo in cui Cristo si offre vittima. Egli però sta sopra l'altare, perché ha patito per tutti; questi, riscattati dalla sua passione, saranno collocati sotto l'altare". Una collocazione che sembra ripresentare in qualche modo la visione spirituale dell'apostolo Giovanni nell'Apocalisse: "Vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa" (Ap 6,9). Sebbene infatti tutti i santi vengano chiamati a buon diritto testimoni di Cristo, ha però una forza tutta particolare la testimonianza del sangue e sono proprio le reliquie dei martiri deposte sotto l'altare che esprimono questa testimonianza in tutta la sua interezza.

II. Erezione dell'altare

157. È opportuno che in ogni chiesa ci sia un altare fisso. Negli altri luoghi destinati alle sacre celebrazioni, l'altare può essere fisso o "mobile". Altare fisso è quello che fa corpo con il pavimento sui cui è costruito, ed è, come tale, inamovibile; altare mobile è quello che si può spostare.

158. È bene che nelle nuove chiese venga eretto un solo altare; l'unico altare, presso il quale si riunisce come un solo corpo l'assemblea dei fedeli, è segno dell'unico nostro salvatore, Cristo Gesù, e dell'unica Eucaristia della Chiesa.
Si potrà tuttavia erigere un secondo altare in una cappella possibilmente separata, in qualche modo, dalla navata della chiesa e destinata a ospitare il tabernacolo per la custodia del Santissimo Sacramento; sull'altare di questa cappella si potrà anche celebrare la Messa nei giorni feriali per un gruppo ristretto dei fedeli.
Si dovrà comunque evitare assolutamente la costruzione di più altari al solo scopo di ornamento della chiesa.

159. L'altare si costruisca separato dalla parete, in molo che il sacerdote possa girarvi intorno senza difficoltà e celebrarvi la Messa rivolto verso il popolo; "sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l'attenzione di tutta l'assemblea".

160. In conformità alla tradizione della Chiesa e al simbolismo biblico dell'altare, la mensa dell'altare fisso deve essere di pietra e precisamente di pietra naturale. A giudizio però delle Conferenze Episcopali, può essere consentito l'uso di un'altra materia, purché sia degna, solida e ben lavorata.
Per gli stipiti invece o per il basamento di sostegno della mensa, è ammessa qualsiasi materia, purché degna e solida.

161. Per sua stessa natura, l'altare è dedicato a Dio soltanto, perché a Dio soltanto viene offerto il sacrificio eucaristico. È questo il senso in cui si deve intendere la consuetudine della Chiesa di dedicare a Dio altari in onore dei santi. Lo esprime assai bene sant'Agostino: "Non ai martiri, ma al Dio dei martiri dedichiamo altari, anche se lo facciamo nelle memorie dei martiri".
È una cosa, questa, da spiegare con chiarezza ai fedeli. Nelle nuove chiese non si devono collocare sull'altare né statue, né immagini di santi. Neanche le reliquie dei santi, esposte alla venerazione dei fedeli, si devono deporre sulla mensa dell'altare.

162. Verrà opportunamente conservata la tradizione della liturgia romana di deporre sotto l'altare reliquie di martiri o di altri santi.
Si tengano però presenti queste norme:
a) Le reliquie siano di grandezza tale da lasciar intendere che si tratta di parti del corpo umano. Si deve quindi evitare la deposizione di reliquie troppo minuscole di uno o più santi.
b) Si usi la massima diligenza nel controllare l'autenticità delle reliquie. È meglio dedicare l'altare senza reliquie, che riporre sotto di esso reliquie di dubbia autenticità.
c) Il cofano delle reliquie non si deve sistemare sull'altare, né inserire nella mensa, ma riporre sotto di essa, tenuta presente la forma dell'altare.




B. NORMATIVA CANONICA

Codice di diritto canonico
cann. 858, 934-940, 964, 1214-1222, 1235-1239

Libro IV - La funzione di santificare della Chiesa


Il Battesimo

Can. 858 - § 1. Ogni chiesa parrocchiale abbia il fonte battesimale, salvo il diritto cumulativo già acquisito da altre chiese.

§ 2. Per comodità dei fedeli, l'Ordinario del luogo, udito il parroco locale, può permettere o disporre che il fonte battesimale si trovi anche in un'altra chiesa o oratorio entro i confini della parrocchia.


Conservazione e venerazione della Santissima Eucaristia

Can. 934 - § 1. La Santissima Eucaristia
1. deve essere conservata nella chiesa cattedrale o a questa equiparata, in ogni chiesa parrocchiale e nella chiesa o oratorio annesso alla casa di un istituto religioso o di una società di vita apostolica;
2. può essere conservata nella cappella privata del Vescovo e, su licenza dell'Ordinario del luogo, nelle altre chiese, oratori o cappelle private.

§ 2. Nei luoghi sacri dove viene conservata la Santissima Eucaristia, vi deve essere sempre chi ne abbia cura e, per quanto possibile, il sacerdote vi celebri la Messa almeno due volte al mese.

Can. 935 - Non è lecito ad alcuno conservare presso di sé la Santissima Eucaristia o portarsela in viaggio, a meno che non vi sia una necessità pastorale urgente e osservate le disposizioni del Vescovo diocesano.

Can. 936 - Nella casa di un istituto religioso o in un'altra pia casa, la Santissima Eucaristia venga conservata soltanto nella chiesa o nell'oratorio principale annesso alla casa; l'Ordinario può tuttavia permettere per una giusta causa che venga conservata in un altro oratorio della medesima casa.

Can. 937 - Se non vi si oppone una grave ragione, la chiesa nella quale viene conservata la Santissima Eucaristia, resti aperta ai fedeli almeno per qualche ora al giorno, affinché possano trattenersi in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento.

Can. 938 - § 1. La Santissima Eucaristia venga custodita abitualmente in un solo tabernacolo della chiesa o dell'oratorio.

§ 2. Il tabernacolo nel quale si custodisce la Santissima Eucaristia sia collocato in una parte della chiesa o dell'oratorio che sia distinta, visibile, ornata decorosamente, adatta alla preghiera.

§ 3. Il tabernacolo nel quale si custodisce abitualmente la Santissima Eucaristia sia inamovibile, costruito con materiale solido non trasparente e chiuso in modo tale che sia evitato il più possibile ogni pericolo di profanazione.

§ 4. Per causa grave è consentito conservare la Santissima Eucaristia, soprattutto durante la notte, in altro luogo più sicuro e decoroso.

§ 5. Chi ha la cura della chiesa o dell'oratorio, provveda che la chiave del tabernacolo, nel quale è conservata la Santissima Eucaristia, sia custodita con la massima diligenza.

Can. 939 - Le ostie consacrate vengano conservate nella pisside o in un piccolo vaso in quantità sufficiente alle necessità dei fedeli e, consumate nel debito modo le precedenti, siano rinnovate con frequenza.

Can. 940 - Davanti al tabernacolo nel quale si custodisce la Santissima Eucaristia, brilli perennemente una speciale lampada, mediante la quale venga indicata e sia onorata la presenza di Cristo.


Sacramento della Penitenza

Can. 964 - § 1. Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l'oratorio.

§ 2. Relativamente alla sede per le confessioni, le norme vengano stabilite dalla Conferenza Episcopale, garantendo tuttavia che si trovino sempre in un luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene.

§ 3. Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa.


Le chiese

Can. 1214 - Col nome di chiesa si intende un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto di entrare per esercitare soprattutto tale culto.

Can. 1215 - § 1. Non si costruisca nessuna chiesa senza espresso consenso scritto del Vescovo diocesano.

§ 2. Il Vescovo diocesano non dia tale consenso se, udito il consiglio presbiterale e i rettori delle chiese vicine, non giudica che la nuova chiesa potrà servire al bene delle anime e che non mancheranno i mezzi necessari alla sua costruzione e al culto divino.

§ 3. Anche gli istituti religiosi, quantunque abbiano ricevuto dal Vescovo diocesano il consenso per costruire una nuova casa nella diocesi o nella città, tuttavia devono ottenere la sua licenza prima di edificare la chiesa in un determinato luogo.

Can. 1216 - Nel costruire e nel restaurare le chiese, con il consiglio dei periti si osservino i principi e le norme della liturgia e dell'arte sacra.

Can. 1217 - § 1. Compiuta opportunatamente la costruzione, la nuova chiesa sia quanto prima dedicata o almeno benedetta, osservando le leggi della sacra liturgia.
§ 2. Le chiese, particolarmente quelle cattedrali e parrocchiali, siano dedicate con Rito solenne.

Can. 1218 - Ciascuna chiesa abbia il suo titolo, che non può essere cambiato, una volta avvenuta la dedicazione.

Can. 1219 - Nella chiesa legittimamente dedicata o benedetta si possono compiere tutti gli atti del culto divino, salvi i diritti parrocchiali.

Can. 1220 - § 1. Tutti coloro cui spetta, abbiano cura che nella chiesa sia mantenuta quella pulizia e quel decoro che si addice alla casa di Dio, e che sia tenuto lontano da esse tutto ciò che è alieno dalla santità del luogo.

§ 2. Per proteggere i beni sacri e preziosi si adoperino con la cura ordinaria nella manutenzione anche gli opportuni mezzi di sicurezza.

Can. 1221 - L'ingresso in chiesa durante il tempo delle sacre funzioni sia libero e gratuito.

Can. 1222 - § 1. Se una chiesa non può in alcun modo essere adibita al culto divino, né è possibile restaurarla, il Vescovo diocesano può ridurla a uso profano non indecoroso.

§ 2. Quando altre gravi ragioni suggeriscono che una chiesa non sia più adibita al culto divino, il Vescovo diocesano, udito il consiglio presbiterale, può ridurla a uso profano non indecoroso, con il consenso di quanti rivendicano legittimamente diritti su di essa e purché non ne patisca alcun danno il bene delle anime.


Gli altari

Can. 1235 - § 1. L'altare, ossia la mensa sulla quale si celebra il Sacrificio eucaristico, si dice fisso se è costruito in modo che sia unito al pavimento e che perciò non possa essere rimosso; si dice mobile, invece, se può essere trasportato.

§ 2. È opportuno che in ogni chiesa vi sia l'altare fisso; invece negli altri luoghi destinati alle celebrazioni sacre, l'altare può essere fisso o mobile.

Can. 1236 - § 1. Secondo l'uso tradizionale della Chiesa, la mensa dell'altare fisso sia di pietra e per di più di una pietra naturale intera; tuttavia, a giudizio della Conferenza Episcopale, si può usare anche un'altra materia decorosa e solida. Gli stipiti o base, invero, possono essere fatti di qualsiasi materia.

§ 2. L'altare mobile può essere costruito con qualsiasi materia solida conveniente all'uso liturgico.

Can. 1237 - § 1. Gli altari fissi devono essere dedicati; quelli mobili, invece, dedicati o benedetti secondo i riti prescritti nei libri liturgici.

§ 2. Secondo le norme prescritte nei libri liturgici, si mantenga l'antica tradizione di riporre sotto l'altare fisso le reliquie dei martiri o di altri santi.

Can. 1238 - § 1. L'altare perde la dedicazione o la benedizione a norma del can. 1212.
§ 2. Gli altari, fissi o mobili, non perdono la dedicazione o la benedizione per il fatto che la chiesa o altro luogo sacro siano ridotti a usi profani.

Can. 1239 - § 1. L'altare, sia fisso che mobile, deve essere riservato unicamente al culto divino, escludendo del tutto qualsivoglia uso profano.

§ 2. Sotto l'altare non sia riposto alcun cadavere; altrimenti non è lecito celebrarvi sopra la Messa.



C.NORMATIVA CIVILE


Legge l° giugno 1939, n. 1089

Art. 8- Quando si tratti si cose appartenenti ad Enti ecclesiastici, il Ministro per l'educazione nazionale, nell'esercizio dei suoi poteri, procederà per quanto riguarda le esigenze del culto, d'accordo con l'autorità ecclesiastica.

Art. 11 - Le cose previste dagli art. 1 e 2, appartenenti alle province, ai comuni, agli enti e istituti riconosciuti, non possono essere demolite, rimosse, modificate o restaurate senza l'autorizzazione del Ministro per l'educazione nazionale.
Le cose medesime non possono essere adibite ad usi non compatibili con il loro carattere storico od artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione o integrità.
Esse debbono essere fissate al luogo di loro destinazione nel modo indicato dalla soprintendenza competente.



D.NORMATIVA CONCORDATARIA

Accordi di revisione del Concordato Lateranense, 18 febbraio 1984

Art. 12, 1 - La Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico.
Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche.
La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due parti.

Thomas Aquinas
02-07-04, 21:55
CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI


“Liturgiam authenticam”

Quinta Istruzione per la retta Applicazione
della Costituzione sulla Sacra Liturgia
del Concilio Vaticano II
(Sacrosanctum Concilium, art. 36)

Breve riassunto

ANTECEDENTI
LE GRANDI ISTRUZIONI POSTCONCILIARI

Il 4 dicembre 1963 i Padri del Concilio Vaticano II hanno approvato la Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Per facilitare l’applicazione del rinnovamento liturgico auspicato dai Padri conciliari, la Santa Sede ha successivamente pubblicato cinque documenti di speciale importanza, ciascuno dei quali numerati in un’unica serie come delle “Istruzioni per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”.
La prima, Inter Oecumenici, fu emanata dalla Sacra Congregazione dei Riti e dal “Consilium” per l’applicazione della Costituzione Liturgica, il 26 settembre 1964, e conteneva i principi generali di base per l’ordinata applicazione del rinnovamento liturgico. Tre anni dopo, il 4 maggio 1967, è stata pubblicata una seconda Istruzione, Tres abhinc annos. Questa stabiliva ulteriori adattamenti all’Ordine della Messa. La terza Istruzione, Liturgicae instaurationes, del 5 settembre 1970, che fu preparata dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, organismo che successe alla Sacra Congregazione dei Riti e al “Consilium”. Questa Istruzione forniva innanzitutto direttive sul ruolo centrale del Vescovo nel rinnovamento della liturgia in tutta la diocesi.
In seguito il rinnovamento liturgico si incentrava sull’intensa attività della revisione delle edizioni in lingua latina dei libri liturgici e della loro traduzione nelle varie lingue moderne. Terminata generalmente questa fase, c’è stato un periodo di esperienza pratica, la quale necessariamente richiedeva un notevole spazio di tempo. Con la Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus del 4 dicembre 1988 di Giovanni Paolo II, che commemorava il 25° anniversario della Costituzione Conciliare, si è iniziata una nuova fase di una graduale rivalutazione, di completamento e consolidamento. Il 25 gennaio 1994, la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti ha fatto avanzare ancora tale processo con l’emanazione della quarta “Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, la Varietates legitimae, che tratta delle questioni difficili circa la Liturgia romana e l’inculturazione.

UNA QUINTA ISTRUZIONE

Nel febbraio del 1997 il Santo Padre ha chiesto alla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti di fare ancora un passo in avanti con la codificazione delle conclusioni del suo lavoro intrapreso in collaborazione con i Vescovi lungo gli anni riguardante la questione delle traduzioni liturgiche, argomento all’ordine del giorno, come si è già detto, dal 1988.
Di conseguenza, il 20 marzo 2001 la quinta postconciliare “Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, Liturgiam authenticam, fu approvata dal Santo Padre nell’udienza concessa al Cardinale Segretario di Stato e il 28 marzo fu emanata dalla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti. Entrerà in vigore il 25 aprile 2001.
L’Istruzione Liturgiam authenticam serve da commentario intorno alle traduzioni nel vernacolare dei testi della Liturgia romana, come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione liturgica:
§ 1. L’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei Riti latini.
§ 2. Dato però che, sia nella messa sia nell’amministrazione dei Sacramenti, sia in altre parti della Liturgia, non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire assai utile per il popolo, si possa concedere ad essa una parte più ampia, e specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme che vengono fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.
§3. In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22 § 2, consultati anche, se è il caso, i Vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua, decidere circa l’uso e l’estensione della lingua volgare. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede Apostolica.
§ 4. La traduzione del testo latino in lingua volgare da usarsi nella Liturgia, deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.
Si deve accennare che nel frattempo ci sono stati alcuni sviluppi sul piano giuridico e altro, tra cui alcune misure che hanno precisato il riferimento della Costituzione alle “competenti autorità ecclesiastiche territoriali”. In pratica queste sono diventate ciò che si chiamano oggi le Conferenze dei Vescovi.

VISIONE D’INSIEME

La quinta Istruzione inizia facendo accenno all’iniziativa del Concilio e agli sforzi compiuti dai Sommi Pontefici e dai Vescovi in tutto il mondo, costatando il successo del rinnovamento liturgico e notando allo stesso tempo la necessità di una continuata vigilanza per garantire l’identità del Rito romano sul piano mondiale. A questo proposito, l’Istruzione riprende le osservazioni fatte nel 1988 dal Papa Giovanni Paolo II, cioè il suo auspicio che si passi oltre la fase iniziale per entrare in un periodo di traduzioni dei testi liturgici migliorate. Perciò la Liturgiam authenticam offre alla Chiesa Latina una nuova formulazione di principi che debbono governare le traduzioni alla luce di oltre trent’anni di esperienza nell’uso del vernacolare nelle celebrazioni liturgiche.
La Liturgiam authenticam sostituisce tutte le norme pubblicate in precedenza sulle traduzioni liturgiche, tranne le direttive della quarta Istruzione, la Varietates legitimae, e precisa che le due Istruzioni vanno lette complementariamente. Il nuovo documento più di una volta fa appello ad una nuova epoca nelle traduzioni dei testi liturgici.
Occorre notare che la presente Istruzione sostituisce tutte le norme anteriori, di cui assume molti dei contenuti, fornendo loro una disposizione più ordinata e sistematica, completandoli con alcune precisazioni e collegandoli con questioni affini che finora sono state trattate in maniera distaccata. Inoltre, il documento deve affrontare il compito di presentare in poche pagine i principi suscettibili di applicazione alle diverse centinaia di lingue attualmente usate nella celebrazione liturgica in ogni parte del mondo. L’Istruzione non fa ricorso alla terminologia tecnica della linguistica o delle scienze umane, ma limita le sue considerazioni principalmente al campo dell’esperienza pastorale.
In quanto segue, si illustra lo sviluppo generale dell’argomentazione del nuovo documento, senza seguirne ad ogni punto le espressioni precise o la sequenza dei vari punti.

LA SCELTA DELLE LINGUE VERNACOLE

Si dovrebbero utilizzare nella Liturgia soltanto le lingue più diffusamente parlate, evitando l’introduzione di troppe lingue, con il rischio di provocare una frammentazione del popolo in piccoli gruppi e forse dare luogo a dei dissapori. Nel fare la scelta delle lingue da introdurre nella liturgia, bisogna tener conto di fattori quali il numero di sacerdoti, diaconi e collaboratori laici che possono servirsi senza difficoltà di una determinata lingua, la disponibilità di traduttori per quella lingua, e le possibilità pratiche, compresi i problemi economici, di produrre e pubblicare traduzioni affidabili della Liturgia.
I dialetti, che non hanno l’appoggio di risorse di formazione accademica e culturale, non vanno accettate come lingue liturgiche in senso stretto, anche se possono essere utilizzate nella Preghiera dei Fedeli, per il testo dei canti, o per alcune parti dell’omelia. L’Istruzione poi dà un riassunto aggiornato della procedura da seguire da parte delle Conferenze dei Vescovi nel decidere in comunione con la Santa Sede la piena o parziale ammissione nella Liturgia di una determinata lingua.

LA TRADUZIONE DEI TESTI LITURGICI

Il cuore dell’Istruzione è una nuova e fresca esposizione, con toni riflessivi, dei principi che devono regolare la traduzione in lingua vernacolare dei testi liturgici. Il documento sottolinea sin dall’inizio l’indole sacra della Liturgia e l’esigenza che anche le traduzioni rispecchino attentamente tale caratteristica.
Il Rito romano, come tutte le grandi famiglie liturgiche storiche della Chiesa cattolica, ha uno stile e una struttura propria che vanno rispettate in quanto possibile anche per le traduzioni. L’Istruzione ribadisce l’appello a vari documenti pontifici precedenti per un approccio alla traduzione dei testi liturgici, che risponda a un criterio non tanto di esercizio di una creatività, quanto di cura per la fedeltà e l’esattezza nella resa dei testi latini in lingua vernacolare, tenendo anche conto, ovviamente, del modo caratteristico in cui ogni lingua si esprime. Ci sono dei requisiti particolari da affrontare nella preparazione di traduzioni che sono destinate ai territori evangelizzati in tempi più recenti e l’Istruzione considera anche le condizioni in cui degli adattamenti di maggiore entità dei testi e dei riti possono realizzarsi, rinviando la soluzione di tali problemi a quanto esposto nell’Istruzione Varietates legitimae.
Il ricorso ad altri testi per facilitare la traduzione
Il vantaggio della consultazione dei testi delle antiche fonti liturgiche viene riconosciuto e incoraggiato, anche se si nota che il testo dell’editio typica, cioè l’edizione moderna latina, è sempre il punto di partenza per la traduzione. Là dove il testo latino si serve di termini provenienti da atre lingue antiche (ad es., alleluia, Amen, oppure Kyrie eleison), tali espressioni possono essere conservate nella lingua originale. Le traduzioni liturgiche sono da farsi in base all’editio typica del latino e mai in base alle altre traduzioni. La Neo-Volgata, la versione corrente della Bibbia latina, deve essere presa in considerazione come uno strumento supplementare nella preparazione delle traduzioni bibliche per l’uso liturgico.
Lessico
Il lessico prescelto per una traduzione liturgica deve essere al contempo di facile comprensione per la persona ordinaria ed espressivo della dignità e del ritmo retorico dell’originale, un linguaggio finalizzato alla lode e al culto che esprima reverenza e gratitudine per la gloria di Dio. La lingua di questi testi non va, inoltre, intesa come espressione della disposizione interna del fedele, ma piuttosto della parola di Dio rivelata.
Le traduzioni devono essere svincolate da ogni esagerata dipendenza da modi espressivi moderni e, in generale, da una lingua di tono psicologizzante. Forme di colorito arcaizzante possono talora rivelarsi appropriate a un vocabolario propriamente liturgico.
I testi liturgici non si configurano come completamente autonomi o separabili dal contesto generale della vita cristiana. Spetta all’omelia e alla catechesi contribuire a delucidarne e spiegarne il senso e a chiarificare il contenuto di alcuni testi. Non esistono nella Liturgia testi che incentivino attitudini discriminatorie o ostili verso i cristiani non cattolici, la comunità ebraica o le altre religioni, o che negano in qualche modo l’uguaglianza universale della dignità umana. L’insorgenza di una scorretta interpretazione di senso contrario può essere chiarita dalle traduzioni, ma non è questo il loro compito primario.
Genere
Molte lingue possiedono nomi e pronomi che si riferiscono tanto al genere maschile quanto al femminile. L’abbandono di questi termini, soprattutto se risultante da una tendenza iniziale dell’evoluzione semantica, non è mai prudente né necessario, poiché non costituisce un punto di passaggio obbligato dello sviluppo linguistico. L’uso dei nomi collettivi va preferito e quello di termini tradizionali mantenuto in espressioni in cui la loro abolizione possa compromettere il significato o dare luogo a una mancanza di vocaboli che esprimano l’essere umano nella sua unitarietà, come nella traduzione dell’ebraico adam, del greco anthropos o del latino homo. Allo stesso modo, un quasi meccanico cambio del numero grammaticale o dalla creazione di coppie di termini che accostano maschile e femminile non è un modo lecito di raggiungimento di uno scopo di una vera inclusività.
Il tradizionale genere grammaticale delle persone della Trinità deve essere mantenuto. Espressioni o termini come Filius hominis (Figlio dell’uomo) e Patres (Padri) vanno resi nella traduzione con esattezza, ogni volta che si riscontrano nei testi biblici o liturgici. Il pronome femminile va mantenuto ogniqualvolta si riferisce alla Chiesa. Termini esprimenti affinità o parentela e il genere grammaticale di angeli, demoni e divinità pagane vanno tradotti e il loro genere mantenuto, tenendo presente l’uso del testo originale e quello tradizionale di una determinata lingua moderna.
La traduzione di un testo
Le traduzioni devono cercare di non estendere o restringere il significato dei termini originali, mentre vocaboli che richiamino frasi stereotipate propagandistiche di contenuto commerciale o dalle connotazioni politiche, ideologiche o simili vanno evitati. I manuali di stilistica ad uso accademico o profano per le lingue vernacolari non si possono utilizzare acriticamente, poiché la Chiesa possiede temi specifici da comunicare e uno stile espressivo ad essi appropriato.
La traduzione si caratterizza come sforzo collaborativo finalizzato a preservare la massima continuità possibile tra l’originale e il testo in lingua vernacolare. Il traduttore deve possedere non soltanto abilità specifica, ma anche fiducia nella misericordia divina e spirito di preghiera, nonché disposizione ad accettare la revisione della sua opera da altri. Quando sono necessarie modifiche sostanziali per conformare un determinato libro liturgico alla presente Istruzione, tali revisioni vanno effettuate in una sola volta, al fine di evitare ripetuti disagi e l’impressione di una continua instabilità nella preghiera liturgica.
Traduzioni bibliche
Un’attenzione particolare va riservata alla traduzione della Sacra Scrittura per uso liturgico, opera che deve alla volta badare ad una fondata esegesi, ma pure mirare a un testo adatto alla funzione liturgica. Una unica traduzione va usata universalmente nell’area di una determinata Conferenza dei Vescovi e deve essere la stessa per lo stesso passo occorrente in più parti nell’insieme dei libri liturgici. Lo scopo deve essere per ogni lingua uno stile specificamente sacro, consono al lessico fissato dall’uso cattolico popolare e, per quanto possibile, dai principali testi catechetici. Tutti i casi dubbi relativi alla canonicità e alla esatta disposizione del testo vanno risolti facendo ricorso alla Neo-Vulgata.
Le immagini concrete fornite da alcune parole, secondo uno stile linguistico propriamente figurato, come il “dito”, la “mano”, il “volto” di Dio, o il suo “camminare”, e termini come “carne” e simili, vanno tradotti letteralmente ogniqualvolta usati e non rimpiazzati da astratti. Sono queste, infatti, figure tipiche del testo biblico, che vanno in quanto tali mantenute.
Altri testi liturgici
Le norme per la traduzione della Bibbia in uso nella Liturgia si applicano, in generale, anche alle traduzioni delle preghiere liturgiche. Al tempo stesso, si deve riconoscere che, mentre la formulazione della preghiera liturgica è soggetta ad essere in qualche senso determinata dalla cultura che ne fa uso, essa entra a sua volta a far parte di un processo di formazione di quella stessa cultura, in una tipologia di relazione non meramente passiva. La lingua liturgica può, pertanto, ragionevolmente divergere dal parlato ordinario, ma rifletterne al tempo stesso gli elementi migliori. L’ideale sarà lo sviluppo in un determinato contesto culturale di un volgare dignitoso, atto ad essere destinato al culto.
Il lessico liturgico deve includere le principali caratteristiche del Rito romano, radicarsi nelle fonti patristiche e armonizzarsi con i testi biblici. Si consiglia qui di armonizzare la traduzione in lingua moderna con gli usi del Catechismo della Chiesa Cattolica e di adoperare termini distintivi, ogniqualvolta ci si riferisca a persone o ad oggetti sacri, in modo tale da evitare confusioni con quelli adottati per cose della vita quotidiana.
La sintassi, lo stile e il genere letterario sono anch’essi elementi di importanza fondamentale per l’elaborazione di una traduzione fedele. La relazione tra i periodi, soprattutto quando espressi per il tramite della subordinazione, e figure come il parallelismo vanno accuratamente ritenute. I verbi vanno tradotti con precisione, rispettando la persona, il numero, la voce. Maggiore libertà si può, invece, avere nel tradurre strutture sintattiche più complesse.
Si tenga sempre in considerazione che i testi liturgici sono rivolti alla pubblica declamazione o al canto.
Tipologie specifiche di testo
Norme specifiche vengono, inoltre, fornite per la traduzione delle Preghiere Eucaristiche, del Credo (nel quale il verbo va posto alla prima persona singolare: “credo”, e non “crediamo”), per l’impostazione e l’ordinamento interno dei libri liturgici e per i loro decreti preliminari e i testi introduttivi. Esse sono seguite da una descrizione nella preparazione delle traduzioni da parte della Conferenza dei Vescovi e delle procedure necessarie per giungere all’approvazione e alla conferma dei testi liturgici dalla Santa Sede. Gli attuali requisiti specifici dell’approvazione pontificia per le formule sacramentali, come anche l’esigenza che ci sia una unica traduzione della Liturgia per ogni determinato gruppo linguistico, specialmente per quanto attiene all’Ordo Missae, vengono riaffermati.

L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DI TRADUZIONE E LE COMMISSIONI

La preparazione delle traduzioni è un onere gravante anzitutto sui Vescovi, per quanto essi debbano, naturalmente, ricorrere all’aiuto di esperti. In ogni lavoro di traduzione alcuni almeno dei Vescovi devono essere direttamente coinvolti, non soltanto nel diretto e personale controllo dei testi definitivi, ma anche nel prendere parte sempre attiva alle varie fasi di preparazione. Benché non tutti i Vescovi di una Conferenza siano esperti in una determinata lingua in uso nel loro territorio, essi devono assumere una responsabilità collegiale per i testi liturgici e una strategia d’insieme per l’uso delle varie lingue nel campo pastorale.
L’Istruzione espone chiaramente le procedure (in linea di massima corrispondenti a quelle già attualmente in vigore) per l’approvazione dei testi da parte dei Vescovi e la loro successiva presentazione per la revisione e la conferma da parte della Congregazione per il Culto Divino. Il documento dedica un certo spazio a sottolineare l’importanza del rimando degli affari liturgici alla Santa Sede, parzialmente basandosi sul Motu Proprio di Sua Santità Giovanni Paolo II “Apostolos suos” del 1998, in cui si chiariva la natura e la funzione delle Conferenze dei Vescovi. La procedura di rimando, oltre che segno della comunione dei Vescovi con il Papa, ha anche un valore di consolidamento di questa relazione. Essa è garanzia della qualità dei testi e ha per fine che le celebrazioni liturgiche delle Chiese particolari (diocesi) siano in piena armonia con la tradizione della Chiesa Cattolica lungo i secoli e in tutti i luoghi del mondo.
Laddove una cooperazione tra Conferenze dei Vescovi facenti uso della stessa lingua risulti appropriata o necessaria, spetta unicamente alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigere commissioni congiunte o “miste”, di solito in séguito a richiesta dei Vescovi. Tali Commissioni non sono autonome e non costituiscono un canale di comunicazione tra la Santa Sede e le Conferenze dei Vescovi; non ricoprono un ruolo decisionale, ma sono semplicemente al servizio del ministero pastorale dei Vescovi; sono incaricate esclusivamente della traduzione delle editiones typicae latine, ma non della composizione di nuovi testi in volgare, né di considerazioni su questioni teoretiche, né di adattamenti culturali, e non hanno relazione con organismi analoghi di altri gruppi linguistici.
La quinta Istruzione raccomanda che almeno alcuni dei Vescovi componenti la commissione siano pure membri della commissione liturgica della Conferenza dei Vescovi a cui appartengono. Ad ogni modo, la commissione “mista” è diretta dai Vescovi membri, in accordo con gli statuti, che vanno confermati dalla Congregazione per il Culto Divino. Tali statuti devono, di solito, ricevere l’approvazione di tutte le Conferenze partecipanti dei Vescovi; se ciò non risulta possibile, la Congregazione per il Culto Divino può intervenire per redigere e approvare di sua autorità gli statuti.
Tali Commissioni – a quanto espone il documento – operano in particolare nel coordinare l’uso delle risorse disponibili per le singole Conferenze dei Vescovi, in modo che, per esempio, una determinata Conferenza possa produrre un primo abbozzo di traduzione, successivamente rifinito dalle altre Conferenze dei Vescovi, per giungere così a un testo migliorato per divenire universalmente utilizzabile.
Le commissioni “miste” non sono volte a sostituire le commissioni liturgiche nazionali e diocesane e non possono, pertanto, ricoprire alcuna delle funzioni di queste ultime.
Data l’importanza della loro opera, tutte le persone, salvo i Vescovi, coinvolte nell’attività di una commissione “mista” devono ottenere il nihil obstat da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti prima di assumere il proprio incarico. Come tutti, quanti risultano collegati con la commissione collaborano con essa solo a tempo determinato e sono vincolati da contratto a svolgere le loro funzioni in assoluta segretezza e in anonimato.
Le commissioni esistenti devono conformare i propri statuti con questa Istruzione e sottoporli alla Congregazione per il Culto Divino entro due anni dalla data della sua emanazione.
Il documento pone l’accento anche sul bisogno della stessa Santa Sede di traduzioni liturgiche, soprattutto nelle principali lingue, e sul suo desiderio di essere più strettamente coinvolta in avvenire nella loro preparazione. Esso fa accenno anche, in modo generale, ai vari tipi di organismi che la Congregazione per il Culto Divino può costituire per la soluzione dei problemi di traduzione in una o più lingue.
Nuovi testi
Una sezione sulla composizione di nuovi testi sottolinea che loro scopo è essenzialmente quello di venire incontro ai genuini bisogni culturali e pastorali. Essi, pertanto, spettano esclusivamente alle Conferenze dei Vescovi, e in nessun modo alle commissioni “miste” per le traduzioni. Essi devono rispettare stile, struttura, lessico e le altre tradizionali caratteristiche del Rito romano. Particolarmente importanti, in virtù del loro impatto sulla persona e sulla memoria, sono gli inni e i canti. Questo materiale in lingua moderna deve essere sottoposto ad una revisione generale e le Conferenze dei Vescovi sono invitate a regolare la questione in accordo con la Congregazione entro cinque anni.
L’Istruzione conclude con una serie di brevi sezioni tecniche contenenti direttive in merito alla pubblicazione delle edizioni dei libri liturgici, ivi inclusi il copyright, e alle procedure per la traduzione dei testi liturgici propri delle singole diocesi e famiglie religiose.

Thomas Aquinas
02-07-04, 22:24
IL TERMINE "LITURGIA"

Proveniente dal greco classico leitourgìa, in origine il termine indicava l’opera, l’azione o l’iniziativa assunta liberamente in proprio da un privato (individuo o famiglia) in favore del popolo o del quartiere o della città o dello Stato. Con l'andare del tempo la stessa opera, azione, iniziativa perdette, o per istituzionalizzazione o per imposizione, il suo carattere "libero" e così "liturgia" fu detto qualunque lavoro di "servizio" più o meno obbligatorio reso o allo Stato o alla divinità ("servizio religioso") o a un privato.

Nella traduzione greca dell'AT detta dei LXX, "liturgia" indica sempre, senza eccezione, il "servizio religioso" reso dai leviti a Yhwh, prima nella "tenda" e poi nel tempio di Gerusalemme. Era dunque termine tecnico che designava il culto pubblico e ufficiale a norma delle leggi cultuali levitiche, distinto dal culto "privato" al quale nella stessa traduzione dei LXX ci si riferisce principalmente con i termini "latria" o "dulia".

Nel NT (vangeli e scritti apostolici) "liturgia" non compare mai come sinonimo di "culto del NT" (eccezion fatta per At 13,2), evidentemente perché in quei primi tempi il termine era troppo legato al "culto del sacerdozio levitico", che non trovava più posto nel NT. Presto però il termine riappare negli scritti extra-biblici di origine giudeo-cristiana, come per es. in Didaché 14, dove chiaramente si riferisce alla celebrazione dell'eucaristia, e nella I lettera di papa Clemente (passim), che esemplarizza il culto cristiano su quello ebraico. Ed è probabilmente per questa via di esemplarismo esteriore che il termine "liturgia", spogliato ormai del suo specifico senso cultuale levitico, prende cittadinanza nella chiesa primitiva. Di essa designa il culto, che se totalmente nuovo nel contenuto perché avviene nella realtà nuova del sacerdozio di Cristo, nella forma resterà per molti aspetti legato alla sua origine ebraica, dalla quale la chiesa apostolica fu notevolmente influenzata.

Ma anche così purificato il termine non ha avuto uguale fortuna nelle diverse parti della chiesa. Mentre nella chiesa orientale di lingua greca "liturgia" sta ad indicare sia il culto cristiano in genere, sia, in specie, la celebrazione dell'eucaristia, nella chiesa latina la parola è praticamente sconosciuta. È avvenuto, infatti, che mentre molti altri termini biblici neotestamentari - come: angelo, profeta, apostolo, episcopo (vescovo), presbitero; diacono ecc. - dal testo greco sono passati di peso nella sua traduzione latina per semplice traslitterazione, per "liturgia" ciò non avviene mai (leitourgía fin dall'inizio è stata tradotta con officium, ministerium, munus...), e così resterà un termine estraneo al linguaggio liturgico latino.

Quando "liturgia" riapparirà nel mondo occidentale, non sarà nell'uso liturgico. Al principio (a partire dal sec. XVI) appare in ambito scientifico, ma per indicare o i libri rituali antichi («Liturgica»: Cassander, 1558; Pamelius, 1571) o in genere tutto quello che riguarda il culto della chiesa, anche al presente (cfr. card. Bona, Rerum liturgicarum libri duo, 1671). In questo senso con Mabillon si comincia a parlare di "liturgia" come di un complesso rituale determinato (De liturgia gallicana libri tres,1685), cui farà eco L. A. Muratori con la sua Liturgia romana vetus (1748), nella quale pubblicava in raccolta gli antichi "sacramentari" romani fino ad allora scoperti. Purtroppo questo legittimo uso del termine, che permetteva di parlare di "liturgia" orientale, occidentale, latina, gallicana, ispanica, ambrosiana ecc. e voleva indicare i diversi modi nei quali il culto cristiano si era espresso lungo i secoli nelle diverse chiese, fu male inteso da alcuni e si coniò l'equivalenza «liturgia = ritualità cerimoniale e rubricale» (cfr. D. Giorgi, Liturgia romani pontificis in celebratione missarum sollemni, 1731-44). Tale equivalenza è rimasta stabile praticamente fino al Vat. II, non solo nell'uso comune, ma nella stessa organizzazione degli studi ecclesiastici, nell'ambito dei quali lo studio della liturgia notoriamente non andava oltre la conoscenza delle rubriche che regolano l'esercizio esterno del culto; solo in tempi più vicini a noi vi si aggiunse la conoscenza di alcune notizie storiche, soprattutto per quel tanto che servivano a spiegare ed eventualmente a giustificare, sul piano della tradizione, l'uso di certi riti.



Definizioni di "liturgia" anteriori al Vat. II - Per molti e in genere per tutti coloro che non si occupavano specificamente di liturgia, questa appariva semplicemente come la parte esterna e sensibile del culto cristiano, mirante a rivestire il culto stesso di forme esteriori che allo stesso tempo fossero capaci di esaltarne il contenuto di fede per renderlo più facilmente percettibile ed esteticamente godibile. Per coloro invece che erano più attenti alla liturgia in se stessa, ossia in quanto celebrazione, la liturgia era la somma delle norme con le quali l'autorità della chiesa regolava la celebrazione del culto. Dunque una definizione vedeva la liturgia tutta sul piano esteriore ed estetico; l'altra la considerava in un'ottica puramente giuridica: infatti la liturgia era ritenuta parte del Diritto canonico.

Una definizione brevissima, ma a modo suo completa, fu quella fornita e spiegata da L. Beauduin (1873-1960): «La liturgia è il culto della chiesa». Tutta la forza innovatrice di questa semplice definizione sta nella parola "chiesa", che specifica in senso formalmente cristiano il "culto". Questo infatti assume dalla "chiesa" il proprio carattere "pubblico" e "comunitario", non però in un senso che assimilerebbe il culto cristiano a un culto qualsiasi. emanante da una qualsiasi "società" che lo stabilisce per legge, bensì nel senso che la "chiesa", essendo nel mondo la continuazione di Cristo, esercita quel culto del tutto speciale e perfetto che Cristo diede al Padre nella sua vita terrena. Il culto della chiesa è dunque prima di tutto culto cristiano in senso eminente, perché continuazione di quello di Cristo; è poi culto comunitario e pubblico perché in esso si esprime la natura propria della chiesa, che è comunità visibilmente adunata intorno a Cristo[1].

Senza misconoscere il valore obiettivamente teologico della definizione del Beauduin, il benedettino tedesco O. Casel di Maria Laach (18861948) ritiene che la liturgia, oltre che attraverso un processo logico evolventesi dal "genere" (culto) alla "differenza specifica" (chiesa), possa e debba essere conosciuta in se stessa e cioè studiandola quale essa è e si manifesta: come celebrazione. Partendo dal fatto che la "celebrazione" liturgica è costantemente chiamata «mistero» sia nel linguaggio liturgico che in quello patristico e prendendo questa parola nel senso in cui ricorre nell'ambito cultuale della cosiddetta «religione dei misteri»[2], Casel scopre che le componenti essenziali della celebrazione o "mistero", in quanto termine tecnico cultuale, sono: 1. l'esistenza di un avvenimento primordiale di salvezza; 2. la presenza dello stesso avvenimento per mezzo di un rito; 3. grazie alla sua presenza rituale ogni uomo di ogni tempo attua come proprio il primordiale evento di salvezza. Con questi dati in mano Casel ritiene che la liturgia, per il fatto stesso di presentarsi come "mistero", si autodefinisce come «il mistero di Cristo e della chiesa»[3], o più chiaramente: «La liturgia è l'azione rituale dell'opera salvifica di Cristo, ossia è la presenza, sotto il velo di simboli, dell'opera divina della redenzione»[4].

È chiaro che questa concezione di liturgia ribalta dalle fondamenta l'idea stessa di "culto". Questo infatti nella visuale misterica non è prima di tutto l'azione dell'uomo che cerca un contatto con Dio attraverso l'offerta del suo omaggio e della sua adorazione; al contrario, è un momento dell'azione salvifica di Dio sull'uomo di modo che questi, una volta assunto nel mistero di Cristo reso presente nel rito, possa lodare e adorare Dio «in spirito e verità».

Per l'enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947) del papa Pio XII la liturgia, vista nel suo contenuto, è «la continuazione dell'ufficio sacerdotale di Cristo»[5], o addirittura «l'esercizio del sacerdozio di Cristo»[6]; vista poi nella realtà completa della celebrazione, è definita come «il culto pubblico che il nostro Redentore, capo della chiesa, presta al Padre e che la comunità dei fedeli presta al suo fondatore e, per mezzo di lui, al Padre; oppure più brevemente: la liturgia è il culto pubblico totale del corpo mistico di Cristo, capo e membra»[7].

Nella liturgia si attua quindi il culto personale di Cristo, che per partecipazione diventa il culto della Chiesa. La liturgia, per sua intima natura, è sacramentale, essendo sempre segno di una effettiva presenza di Cristo.



La liturgia nel Vat. II - La SC, come prima cosa, inserisce in modo diretto nell'opera di Cristo consumata attraverso il mistero pasquale - ossia nell'ordine cultuale dell'incarnazione - il mistero della chiesa: «Quest'opera della redenzione... e della... glorificazione di Dio... è stata compiuta da Cristo Signore specialmente per mezzo del mistero pasquale..., col quale "morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha ridonato a noi la vita" (Missale Romanum, Praefatio paschalis). Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito "il mirabile sacramento di tutta la chiesa" (Sacramentario Gelasiano 432)» (SC 5). Poi prosegue dimostrando che questo medesimo mistero pasquale adesso è attuato nella chiesa secondo dimensioni storiche che esso già possedeva: tramite il ministero profetico della chiesa che «annuncia» il mistero, e tramite l'attuazione liturgica di quest'ultimo (SC 6). Infine così conclude: «Giustamente perciò la liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e... realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale» (SC 7).

Con questa definizione la liturgia è posta sulla stessa linea del mistero integrale dell'incarnazione di Cristo in quanto mistero della redenzione degli uomini e della glorificazione di Dio: anzi viene presentata come continuazione («esercizio») o attuazione ultima e permanente di esso. Dunque la liturgia è il momento ultimo, cioè escatologico, dell'incarnazione sotto la sua modalità di mistero pasquale.



La definizione di “Liturgia” emergente dal Vat. II - Seguendo l'intenzione e l'espressione del concilio, finalmente possiamo in qualche modo definire la liturgia. Essa «è un'azione sacra attraverso la quale, con un rito, nella chiesa e mediante la chiesa, viene esercitata e continuata l'opera sacerdotale di Cristo, cioè la santificazione degli uomini e la glorificazione di Dio». Soffermiamoci sui singoli passaggi.

- Azione sacra: un'azione di culto. Azione dunque non in senso esterno, ma nel senso contenuto nelle parole di Cristo: «Ho compiuto l'opera che tu [Padre] mi hai dato da fare». Infatti nella liturgia «si attua [exercetur] l'opera della nostra redenzione» (SC 2).

- Attraverso la quale: l'espressione indica la natura strumentale della liturgia, la quale è coestensivamente un medium quo ed un medium alicuius. Essa non è un'azione sacra generica, con cui si fa qualche cosa in ordine a Dio; è invece un'azione che deriva la sua virtù dal fatto di essere il mezzo attraverso il quale Cristo stesso si fa presente come agente principale. Infatti la liturgia è un'azione partecipata da Cristo, attraverso la quale la chiesa compie quanto Cristo stesso ha compiuto.

- Con un rito: il rito è il segno sacro che significa una realtà e la realizza. Questa natura rituale della liturgia non va vista anzitutto, come troppo spesso si fa, sulla linea antropologica in quanto l'uomo ha bisogno di segni esterni. Non si nega affatto ciò, ma il rito come "segno" indica relazione con Cristo, perché serve a significare e ad attuare la memoria e la presenza di Cristo, e come Cristo realizzò un'opera divina nella sua umanità unita al Verbo di Dio, così il rito liturgico apporta nella sua materialità il significato e la potenza del Verbo di Dio, e in tal modo esso è come una longa manus di Cristo che ci fa toccare la stessa divina potenza dell'umanità di lui.

- Nella chiesa: la chiesa è intesa come il corpo vivo e reale di Cristo, nel quale lo stesso Cristo capo è presente e coagente. Si dice «nella chiesa» perché essa è il primo soggetto passivo della liturgia. Infatti l'opera sacerdotale di Cristo tende a fare degli uomini la chiesa. Ponendo la parte per il tutto - cioè l'eucaristia per la liturgia -, insieme con gli antichi possiamo dire: «l'eucaristia fa la chiesa», perché attraverso l'azione liturgica è realizzata la chiesa, «essendo stati eletti e chiamati (= «fatti chiesa») affinché siamo a lode di Dio» (cfr. Ef 1);

- Mediante la chiesa: dunque Cristo adesso non opera più il proprio mistero direttamente e da solo, ma mediante la chiesa. Infatti l'opera sacerdotale di Cristo diventa per partecipazione l'opera sacerdotale della chiesa in quanto corpo di Cristo, e quindi la liturgia appartiene alla chiesa come sua realtà peculiare. La liturgia è la modalità particolare del culto nella quale, mediante la chiesa, adesso avviene nel mondo ciò che un tempo fu compiuto da Cristo nel suo mistero (Cristo ha come proprio il suo mistero; la chiesa ha come propria la liturgia, che è quel certo modo di attuare tale mistero attraverso i riti). Poiché la chiesa è «associata» a Cristo nell'esecuzione di quest'opera sacerdotale, ottimamente si dice che adesso quest'opera si compie e si attua nel mondo «mediante la chiesa».

- Esercitata e continuata: «viene esercitata», cioè viene posta in esercizio, diventa attuale; «continuata», cioè si attua di seguito, perennemente, senza interruzione. L'opera sacerdotale di Cristo, che è la salvezza del mondo, non costituisce in Cristo solo un grande merito in forza del quale gli altri uomini sono "ritenuti" santificati perché quanto ha fatto Cristo è considerato come fatto per loro; al contrario: quanto Cristo ha fatto è considerato come fatto da tutti gli uomini. Ora, quello che de iure è stato fatto in Cristo dalla natura umana di tutti, adesso de facto viene esercitato attraverso la liturgia dalle singole persone composte nell'unità del corpo della chiesa.

- L'opera sacerdotale di Cristo: è l'opera totale dell'incarnazione che Cristo ha compiuto in modo sacerdotale, cioè come mediatore che unisce Dio agli uomini e gli uomini a Dio: tutto ciò mediante il suo sacrificio. È l'opera ch'egli ha compiuto nel suo mistero pasquale, attraverso la quale egli stesso, ricevendo nella verità le promesse di Dio, ha liberato tutti gli uomini e li ha costituiti come «nazione santa, popolo d'acquisto, stirpe eletta, sacerdozio regale» (1Pt 2,9);

- Santificazione e glorificazione: quella di Cristo fu opera di glorificazione di Dio attraverso la santificazione degli uomini. Cristo infatti rese culto a Dio nel senso che in se stesso egli ricondusse a Dio gli uomini purificati e santificati e riconciliati. Ora questa medesima opera viene attuata nella liturgia: ivi l'uomo viene santificato ed in tale modo può dare gloria al Padre. In realtà gli adoratori in spirito e verità esistono solo quando gli uomini, sottomettendosi totalmente a Dio, lo riconoscono come loro creatore e redentore.

S. MARSILI – D. SARTORE

FONTE (http://www.ufficioliturgicoroma.it/liturgia.htm)

Augustinus
05-07-04, 07:29
Versus Deum per Iesum Christum

«La direzione ultima dell’azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore». L’introduzione del decano del Sacro Collegio al libro di Uwe Michael Lang

del cardinale Joseph Ratzinger

Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l’altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l’una né l’altra cosa si trovano in essi in questa forma.
Certo, alla lingua volgare si sarebbe dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium 36,2) – soprattutto nell’ambito della liturgia della Parola – ma, nel testo conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: «L’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini» (Sacrosanctum Concilium 36,1).
Dell’orientamento dell’altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l’Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: «L’altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]». L’introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: «è auspicabile laddove è possibile». Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire – «laddove possibile» – gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola «expedit» [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L’orientamento fisico dovrebbe – così dice la Congregazione – essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.
Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant’anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell’azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell’ascolto attento degli altri, ma soprattutto nel_l’ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come “preconciliari”, “reazionarie”, “conservatrici”, oppure “progressiste” o “estranee alla fede”, non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.
Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell’orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno – mi sembra – un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.
Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall’inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato “voltando le spalle al popolo”. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo – secondo Jungmann – la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all’essenza dell’azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer – anch’egli uno dei principali liturgisti del Concilio – e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall’inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l’elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l’uno verso l’altro.
Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti “anticonciliari”. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l’apertura della liturgia verso ciò che l’attende e verso ciò che la trascende. In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d’Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell’Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo – necessario per ogni generazione – di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

IL Libro

Il testo del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato in queste pagine, inedito in Italia, è la prefazione che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha scritto al libro di Uwe Michael Lang Conversi ad Dominum. Zu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, edito lo scorso anno in Svizzera dalla Johannes Verlag di Einsiedeln. Del volume sta uscendo la versione in lingua inglese (Turning towards the Lord: Orientation in Liturgical Prayer) per la casa editrice Ignatius Press di San Francisco (Usa), che detiene il copyright dell’opera.
Uwe Michael Lang è membro dell’oratorio di San Filippo Neri a Londra, ha studiato teologia a Vienna e Oxford, e ha pubblicato numerosi testi su argomenti patristici.

Fonte:
30 GIORNI (http://www.30giorni.it/it/articolo_stampa.asp?id=3277)

Augustinus
22-11-04, 07:44
ARCHEOLOGITE LITURGICA - SACRILEGIO
DILAGANTE
(6/96)

San Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano

[A proposito della questione relativa alla cosiddetta "Comunione sulla mano", riproduciamo un articolo del R. P. Giuseppe Pace, S. B. D., pubblicato nel n° di gennaio 1990 del periodico Chiesa Viva (Editrice Civiltà, via Galileo Galilei, 121, 25123 Brescia).]

La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator Dei (n. 51) Pio XII condannava l'archeologismo liturgico come antiliturgico con queste parole: «… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».

Di una tale ossessione morbosa - di archeologite - sono preda quei pseudoliturgisti che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti che talora giungono al punto di spingere con l'esortazione e con l'esempio i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono, e da loro stessi formalmente promulgate o confermate.
Sintomatico a questo riguardo è il caso del rito della Santa Comunione. Qualche vescovo infatti, dopo aver proclamato che il rito tradizionale, di collocare le sacre Specie sulle labbra del comunicando, è tuttora in vigore, permette tuttavia che si distribuisca la santa Comunione in cestelli che si passano i fedeli dalla mano dell'uno a quella dell'altro; o lui stesso depone le sacre Specie nelle mani nude - e sempre pulite? - del comunicando. Se si vuole convincere i fedeli che la santissima Eucarestia non è che del pane comune, magari anche benedetto, per una refezioncella simbolica, certo si è imbroccata la via piú diretta: quella del sacrilegio.
I fautori della Comunione in mano fanno appello a quell'archeologismo pseduoliturgico condannato apertis verbis da Pio XII. Dicono infatti e ripetono che in tal modo la si deve ricevere, perché in tal modo si è fatto in tutta la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente dalle origini in poi per mille anni.
È vero e certo che dalle origini in poi per quasi duemila anni i comunicandi dovevano astenersi da qualsiasi cibo e bevanda, dalla vigilia fino al momento della santa Comunione, in preparazione alla medesima. Perché quelli dell'archeologite non restaurano un tale digiuno eucaristico? che certamente contribuirebbe non poco a mantenere vivo nella mente dei comunicandi il pensiero della santa Comunione imminente, e a disporveli meglio.
È invece certamente falso che dalle origini in poi per mille anni ci sia stata in tutta la Chiesa, in Oriente e in Occidente, la consuetudine di deporre le sacre Specie nelle mani del fedele.

Il cavallo di battaglia di quei pesudoliturgisti è il seguente brano delle Catechesi mistagogiche attribuite a san Cirillo di Gerusalemme:
«Adiens igitur, ne expansis manuum volis, neque disiunctis digitis accede; sed sinistram velut thronum subiiciens, utpote Regem suscepturæ: et concava manu suscipe corpus Christi, respondens Amen». (Andando quindi [alla Comunione] accostati non con le palme delle mani aperte, né con le dita disgiunte; ma tenendo la sinistra a guisa di trono sotto a quella che sta per accogliere il Re; e con la destra concava ricevi il corpo del Cristo, rispondendo Amen).
Giunti a questo Amen, si fermano; ma le Catechesi mistagogiche non si fermano lí, ed aggiungono:
«Postquam autem caute oculos tuos sancti corporis contactu santificaveris, illud percipe… Tum vero post communionem corporis Christi, accede et ad sanguinis poculum: non extendens manus; sed pronus [in greco: 'allà kùpton, che il Bellarmino traduce genu flexo], et adorationis ac venerationis in modum, dicens Amen, sancticeris, ex sanguine Christi quoque sumens. Et cum adhuc labiis tuis adbaeret ex eo mador, manibus attingens, et oculos et frontem et reliquos sensus sanctifica… A communione ne vos abscindite; neque propter peccatorum inquinamentum sacris istis et spiritualibus defraudate mysteriis». (Dopo che tu con cautela abbia santificato i tuoi occhi mettendoli a contatto con il corpo del Cristo, accostati anche al calice del sangue: non tenendo le mani distese; ma prono e in modo da esprimere sensi di adorazione e venerazione, dicendo Amen, ti santificherai, prendendo anche del sangue del Cristo. E mentre hai ancora le labbra inumidite da quello, toccati le mani, e poi con esse santifica i tuoi occhi, la fronte e tutti gli altri sensi… Dalla comunione non staccatevi; né privatevi di questi sacri e spirituali misteri neppure se inquinati dai peccati). (P. G. XXXIII, coll. 1123-1126).

Chi potrà sostenere che un tale rito fosse sia pure un po' meno che per mille anni consueto nella Chiesa universale? E come conciliare un tale rito, secondo il quale è ammesso alla santa Comunione anche chi è inquinato di peccati, con la consuetudine certamente universale sin dalle origini che proibiva la santa Comunione a chi non era santo?: «Itaque quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum homo: et sic de pane illo edat, et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne, indicum, sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini». (Perciò chiunque abbia mangiato di questo pane e bevuto del calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Si esamini dunque ognuno: e cosí [trovatosi senza peccati gravi] di quel pane si cibi e di quel calice beva. Colui infatti che ne mangia e ne beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non discernendo il corpo del Signore ). (I Corinti, 11, 27-29).

Un tal stravangante rito della Santa Comunione, la cui descrizione si conchiude con l'esortazione di fare la santa Comunione anche se inquinati di peccati, non fu certo predicato da San Cirillo nella Chiesa di Gerusalemme, né poté essere lecito in qualsivoglia altra Chiesa. Si tratta infatti di un rito dovuto alla fantasia, oscillante tra il fanatismo e il sacrilego, dell'autore delle Costituzioni Apostoliche: un anonimo Siriano, divoratore di libri, scrittore instancabile, che riversa nei suoi scritti, indigerite e contaminate dai parti della sua fantasia, gran parte di quelle sue stesse letture; che al libro VIII di dette Costituzioni apostoliche, aggiunge, attribuendo a san Clemente Papa, 85 Canoni degli Apostoli; canoni che Papa Gelasio I, nel Concilio di Roma del 494, dichiarò apocrifi: «Liber qui appellatur Canones Apostolorum, apocryfus (P. L., LIX, col. 163).
La descrizione di quel rito stravagante, se non necessariamente sempre sacrilego, entrò nelle Catechesi mistagogiche per opera di un successore di san Cirillo, che i piú ritengono sia il vescovo Giovanni, cripto-ariano, origeniano e pelagiano; e perciò contestato da sant'Epifanio, da san Gerolamo e sant'Agostino.
Come può il Leclercq affermare che: «… nous devons y voir [in detto rito stravagante] une exacte représentation de l'usage des grandes Eglises de Syrie»? Non lo può affermare che contraddicendosi, dato che poco prima afferma trattarsi di: «… une liturgie de fantasie. Elle ne procède et elle n'est destinée qu'à distraire son auteur; ce n'est pas une liturgie normale, officielle, appartenant à une Eglise déterminée» (Dictionaire de Archeologie chretienne et de Liturgie, vol. III, parte II, col. 2749-2750).

Abbiamo invece delle testimonianze certe della consuetudine contraria, e cioè della consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando, e della proibizione ai laici di toccare dette sacre Specie con le proprie mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso ai laici di comunicarsi con le proprie mani (P. G., XXXII, coll. 483-486).
Non intendiamo, è chiaro, passare in rassegna tutte le testimonianze invocate a dimostrare che nell'antichità vigeva la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando laico; ne indichiamo solo alcune sintomatiche, e peraltro sufficienti a smentire quanti affermano che per mille anni nella Chiesa universale, sia d'Oriente che d'Occidente, fu consuetudine deporre le sacre Specie nelle mani dei laici.
Sant'Eutichiano, Papa dal 275 al 283, a che non abbiano a toccarle con le mani, proibisce ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati: «Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo) (P. L., V, coll. 163-168).
San Gregorio Magno narra che sant'Agapito, Papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí un sordomuto all'atto in cui «ei dominicum Corpus in os mitteret» (gli metteva in bocca il Corpo del Signore) (Dialoghi, III, 3).
Questo per l'Oriente; e per l'Occidente, si sa ed è indubitabile che lo stesso san Gregorio Magno amministrava in tal modo la santa Comunione ai laici.
Già prima il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca, 1686, pag. 495).
Innovatori indisciplinati non mancavano certo neppure anticamente. Il che indusse l'autorità ecclesiastica a richiamarli all'ordine. Cosí fece il Concilio di Rouen, verso il 650, proibendo al ministro dell'Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: «[Presbyter] illud etiam attendat ut eos [fideles] propria manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: "Corpus Domini et sanguis prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam". Si quis hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero] baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano; a nessun laico o donna deponga l'Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra, con queste parole: "Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la remissione dei peccati e per la vita eterna". Chiunque avrà trasgredito tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui lo avrà disonorato, venga rimosso dall'altare). (Mansi, vol. X, coll. 1099-1100).
Per contro gli Ariani, per dimostrare che non credevano nella divinità di Gesú, e che ritenevano l'Eucarestia come pane puramente simbolico, si comunicavano stando in piedi e toccando con le proprie mani le sacre Specie. Non per nulla sant'Atanasio poté parlare dell'apostasia ariana (P. G., vol. XXIV, col. 9 ss.).

Non si nega che sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari, per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; e piú falso ancor affermare che si dovrebbe fare cosí tuttora. Anche nel culto dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso, analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla a che fare la teologia modernista della morte di Dio).
Detto progresso liturgico rese universale l'uso di inginocchiarsi in atto di adorazione, e quindi l'uso dell'inginocchiatoio; l'uso di coprire la balaustra di candida tovaglia, l'uso della patena, talora anche di una torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d'ora di ringraziamento personale. Abolire tutto ciò non è incrementare il culto dovuto a Dio nella santissima Eucarestia, e la fede e la santificazione dei fedeli, ma è servire il demonio.
Quando san Tommaso (Summa Theologica, III, q. 82, a 3) espone i motivi che vietano ai laici di toccare le sacre Specie, non parla di un rito di recente invenzione, ma di una consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ben a ragione il Concilio di Trento non solo poté affermare che nella Chiesa di Dio fu consuetudine costante che i laici ricevevano la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicavano da sé; ma addirittura che tale consuetudine è di origine apostolica (Denzinger, 881). Ecco perché la troviamo prescritta nel Catechismo di san Pio X (Questioni 642-645). Ora tale norma non è stata abrogata: nel Nuovo Messale Romano, all'articolo 117, si legge che il comunicando tenens patenam sub ore, sacramentum accipit (tenendo la patena sotto la bocca, prenda il sacramento).
Dopo di che non si riesce a capire come mai gli stessi promulgatori di tanto sapiente norma, ne vadano dispensando le diocesi una dopo l'altra. Il semplice fedele di fronte a tanta incoerenza, non può che concepire una grande indifferenza nei riguardi delle leggi ecclesiastiche liturgiche e non liturgiche.

FONTE (http://www.unavox.it/032b.htm)

Augustinus
22-11-04, 07:48
INTERVISTA DEL CANONICO ANDREA ROSE

NEL QUADRO DI UNO STUDIO STORICO

sulla riforma liturgica

Intervista concessa dal Canonico Andrea Rose (oggi scomparso) a Stefano Wailliez,
nel quadro di uno studio storico sulla riforma liturgica.
L'intervista è stata pubblicata dal Courrier de Rome giugno 2004

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Canonico titolare della cattedra di Namur (Belgio), Andrea Rose fu teologo e liturgista. Nei suoi numerosi scritti trattò dell’Ufficio Divino e delle letture bibliche, approfondendo in due libri il significato dei Salmi (Psaumes et prière chrétienne, Bruges 1965; Les Psaumes, voix du Christ et voix de l’Eglise, Paris 1981). In essi egli sosteneva che l’Antico Testamento dovesse essere interpretato alla luce del Nuovo Testamento e degli scritti dei Padri della Chiesa.

Andrea Rose è stato consultore nel " Consilium ad exequendam constitutionem de sacra liturgia ", l’organo preposto all’applicazione della costituzione conciliare sulla liturgia (Sacrosanctum Concilium), il cui segretario era mons. Annibale Bugnini.
Quando a questo Consilum subentrò la Congregazione per il Culto Divino, il canonico Rose venne chiamato a farne parte come consultore.

Egli collaborò alla revisione dei libri liturgici per l’Ufficio Divino, nonché alla definizione delle nuove letture bibliche, delle nuove orazioni e dei nuovi prefazi della Messa.
Non si riconobbe mai nelle posizioni " tradizionaliste ", quindi le sue osservazioni non possono essere considerate come dettate da una visione particolare.

Peraltro, lo stesso si può dire per un altro componente del Consilium, il Card. Ferdinando Antonelli, che espresse gli stessi giudizi del canonico Rose e alle cui memorie ha attinto il Padre Nicola Giampietro per la pubblicazione del suo libro: Il Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, Ed. Centro Studi Sant’Anselmo, Roma 1998.
Curiosamente, questo libro non è più reperibile, mentre le carte del Cardinale sono state “segretate”.

Lo stesso dicasi per il libro di memorie del Padre Alfonso Pietro Salvini, Divagazioni di una lunga vita, Ed. Stella del Mare, Livorno.

*****

Breve nota
Dopo aver letto attentamente queste dichiarazioni di un testimone oculare, ci sarebbe da scrivere un libro intero sulla folle applicazione del Vaticano II.
Ma alcune cose vanno subito dette.
1) Le critiche non sono una invenzione dei “nostalgici tradizionalisti”
2) I libri liturgici partoriti dal Consilium sono più dei documenti da colpo di stato che dei documenti della Chiesa
3) Fu la formulazione dei documenti dello stesso Vaticano II a permettere tutto questo
4) La connivenza dei vescovi fu ed è di una gravità inaudita
5) L'ignoranza della dottrina e della liturgia rende vana qualsiasi giustificazione
6) I danni provocati dal quarantennale uso di questi falsi libri liturgici sono immensi e forse irreversibili
7) La promulgazione ufficiale di tali libri, che li ha fatti diventare “legge della Chiesa”, non può annullare la loro generale contraddizione con la Tradizione
8) Le insignificanti modifiche apportate nel corso di questi anni non cambiano nulla dell'impianto devastante di questi testi
9) I convincimenti che li produssero, lungi dall'essere spariti si sono rafforzati e sono diventati dottrina, liturgia e pastorale correnti
10) I pochi che vorrebbero attuare una riforma della riforma non possono partire solo dallo status quo, ma debbono avere in vista una revisione radicale dell'impianto, così come fu radicale lo stravolgimento operato allora

Dio lo voglia!

*****

Stefano Wailliez (SW): Come consultore del Consilium, voi avete fatto parte dei Coetus (gruppi di lavoro) n° 3, 4, 6, 11,18 bis e 21 bis. Quando si leggono le memorie di mons. Bugnini si ha l’impressione che si trattasse di una macchina molto complessa. Vi erano quasi trenta gruppi di lavoro.
Canonico Andrea Rose (CAR): Si, era una macchina molto complessa.

SW: Ma allora, qual era la forza motrice che stava dietro a tutto questo?
CAR: Era Bugnini.

SW: Di Bugnini si è parlato molto, ma dovevano pur esserci altre correnti, altre tendenze, nel Consilium. O questi vi regnava davvero come maestro indiscusso?
CAR: Ciò che so, è che mons. Martimort non era molto d’accordo con lui. Egli lo criticava tutte volte che era assente. Mi diceva: : " Questo Bugnini fa ciò che vuole ! ". Un giorno mi ha detto: : " Sapete, Bugnini ha fatto una buona scuola media ". Era questo il giudizio di Martimort su Bugnini. All’inizio credevo che esagerasse, ma poi mi sono reso conto che aveva ragione. Bugnini non aveva alcuna profondità di pensiero. Fu una cosa grave designare per un posto simile una persona che era come una banderuola. Ma si rende conto? La cura della liturgia lasciata a un pover’uomo come quello, un superficiale…

SW: Le ho chiesto di Bugnini perché, per altro verso, si conosce anche il ruolo svolto da Paolo VI, che seguiva personalmente l’andamento delle cose.
CAR: È vero. Ma Bugnini era sempre dal Papa, per informarlo. Un giorno, era all’inizio, quando i problemi non erano ancora così gravi, ero in piazza San Pietro col Padre Dumas. Abbiamo incontrato Bugnini, che ci ha indicato le finestre dell’appartamento di Paolo VI, dicendo: " … pregate, pregate perché ci sia conservato questo Papa ! ". E questo perché egli manovrava Paolo VI. Andava da lui per fargli rapporto, ma gli raccontava le cose come piaceva a lui. Poi ritornava, dicendo: : " Il Santo Padre desidera così, il Santo Padre desidera cosà ". Ma era lui che, sottobanco…

SW: Si è detto che mons. Bugnini fosse massone. Pensa che sia vero?
CAR: Ovviamente, bisognerebbe avere delle prove.

SW: Pensa che potesse averne la statura?
CAR: No, no. L’ho detto prima: non aveva alcuna profondità di pensiero.

SW: Nessuna profondità…
CAR: In seguito ha scritto interi libri per giustificare la sua riforma… Quando arrivai a Roma e andai a salutare Martimort, egli mi raccontò tutte le manovre che Bugnini aveva messo in atto per far passare tutto quello che voleva. Il Padre Martimort era un’altra cosa. Aveva ben altra cultura. E criticava il modo di fare di Bugnini.

SW: Quando si esamina la nuova Liturgia delle Ore, a cui lei ha lavorato, si resta colpiti dalle molteplici possibilità di scelta. Si possono scegliere Salmi diversi da quelli indicati, altri Inni, si possono tralasciare le Antifone, aggiungere momenti di silenzio, altre letture, ecc. Il tutto : " per delle giuste ragioni pastorali ", il che significa che si può fare come si vuole. Come ha reagito quando è stato proposto questo rituale a scelta?
CAR: Nei libri, noi abbiamo messo solo ciò che era ufficiale. Ma poi si è aggiunto " vel alios cantus, vel alios psalmos " ecc., chi fosse stato contrario sarebbe stato trattato da integralista.

SW: Ma questa estrema flessibilità non pone dei problemi ecclesiologici?
CAR: Certamente. Se ognuno può farsi un suo rituale, si tratterà ancora della preghiera ufficiale della Chiesa? È sicuramente l’ecclesialità ad essere messa in pericolo con questo nuovo rituale.

SW: Nei diversi Coetus dei quali ha fatto parte, vi erano delle lotte a proposito di queste molteplici possibilità di scelta?
CAR: Si. E Martimort era abbastanza contrario. Ma Bugnini, che sovrintendeva tutto, era a favore.

SW: Per quanto riguarda le letture della Messa, lei ha fatto parte del Coetus n° 4. Si trattava di arricchire i cicli di letture. Che ne pensa della riforma che è stata realizzata su questo punto?
CAR: È evidente che non si poteva ricalcare ciò che si faceva prima. Voglio dire, per esempio: durante le Ottave si ripeteva per otto giorni la stessa Messa, e le stesse letture. Non andava bene. Ma quello che si è fatto, a questo proposito, avrebbe potuto essere fatto in maniera più intelligente. Per esempio: io mi dolgo del fatto che sono state soppresse le Quattro Tempora. Ed era proprio in quel momento che vi erano da 3 a 5 letture prima del Vangelo. Ma si è pensato bene di abolire proprio le Quattro Tempora! Per di più, quei giorni sono qualcosa di molto antico, ed avevano conservato l’originario carattere settimanale della liturgia: mercoledì, venerdì e la grande vigilia della Domenica. Si è gettato tutto alle ortiche.

SW: E in tutto questo che ne è stato del ritorno alla tradizione principale?
CAR: Evidentemente vi è dell’incoerenza. Certuni, nel Consilium, volevano il ritorno alla tradizione principale quando faceva loro comodo. Francamente, che si potessero effettuare delle piccole riforme, d’accordo, ma ciò che si è fatto è stato decisamente radicale.

SW: A proposito di questi cicli di letture nella Messa, mons. Gamber ha detto: " questa nuova organizzazione delle letture è stata chiaramente elaborata da degli esegeti non da liturgisti ". Visto che lei ha fatto parte di questi gruppi di lavoro, che ne pensa?
CAR: Gli esegeti comandavano. E anche gli ebraicizzanti. Ma i primi cristiani hanno usato le versioni greche dei testi. Essi non si preoccuparono delle " verità ebraiche ". E abbiamo dovuto riscoprirle noi, nel XX secolo? … Lei parla di tradizione principale! E qual è il senso della pastorale quando gli esegeti la vincono sui liturgisti? In effetti, Bugnini, insieme a costoro, voleva trasformare la prima parte della Messa in un corso di esegesi.

SW: Per quanto riguarda l’Ordinario della Messa, lei non ha fatto parte del gruppo di lavoro relativo, ma pensa che anche qui si possa parlare di cambiamenti radicali?
CAR: Certo. Coloro che si sono occupati della Messa sono stati ancora più radicali di quanto lo fummo noi nell’Ufficio Divino. Basta vedere come è stato quasi eliminato l’Offertorio. Dom Capelle non voleva alcun Offertorio. " Si parla come se il sacrificio fosse già compiuto. Si rischia di credere che tutto è stato già fatto ", diceva. Non si rendeva conto che tutte le liturgie contengono una anticipazione come quella, Ci si pone già nella prospettiva del compimento.

SW: Non si tratta della mancanza di una prospettiva finalista?
CAR: Si, e allora si è finito col sopprimere tutto, tutto quello che era preghiera nell’Offertorio, perché, si diceva, non si tratta ancora del sacrificio. Ma, insomma, qui siamo di fronte a delle posizioni molto razionaliste! Una mentalità da scolaresca!

SW: Nella sua esperienza pastorale ha notato che i fedeli avessero creduto che le oblate fossero già state consacrate? Vale a dire: ha constatato la concretizzazione dei pericoli sottolineati da dom Capelle?
CAR: Ma no, ma no. Mai! E poi, basta guardare come si svolgono i riti orientali. Là è la stessa cosa. E sarebbe interessante comparare tutte queste cose.

SW: Un altro punto importante del nuovo Ordinario della Messa è la sparizione del Canone Romano. Esso è ancora presente, più o meno, nella prima Preghiera Eucaristica, ma si tratta della sola preghiera, quindi formalmente non è più il Canone.
CAR: Si, vi è stata la soppressione dell’Offertorio ma anche la moltiplicazione delle preghiere eucaristiche, come dice lei. Guardiamo la seconda Preghiera Eucaristica, essa è stata completamente manipolata. E poi, se ne volevamo molte di più. È per questo che io dissi di no, e fui messo alla porta. È tutta una storia.

SW: Vi è anche la questione delle traduzioni per i paesi di lingua francese, sulla quale lei si è espresso molte volte.
CAR: Si, è un problema enorme. Il Padre Gy non vuole che se ne parli. Si è trattata dell’occasione per ficcarci dentro tutto ciò che volevano.

SW: Nelle sue memorie, mons. Bugnini spiega che quando non riusciva ad ottenere questa o quella formulazione nel testo ufficiale in latino, diceva: " l’aggiusteremo nelle traduzioni ". Ha avuto modo di sentirlo anche lei?
CAR: Ma certo! Lo dicevano a Roma. Dom Dumas ha lavorato in questo senso. Egli era molto progressista. E anche lui diceva: " lo aggiusteremo nelle traduzioni ". Si è molto spinto per la libertà delle traduzioni e si è andati molto a fondo in questa direzione.

SW: Nella traduzione francese ufficiale del Credo si trova l’espressione " della stessa natura del Padre " al posto del " consubstantialem ". Non siamo al limite dell’arianesimo?
CAR: Certo, evidentemente.

SW: In Francia, si sono avute delle epiche controversie nelle chiese, al momento delle Messe, per la questione della " stessa natura ".
CAR: Si, lo so, ma i vescovi approvano questa versione. Essi approvano questa cosa e non vogliono cambiarla. In effetti, non sono loro che l’hanno prodotta, ma la commissione, e loro non vogliono sconfessare la commissione.

SW: Si è parlato molto degli osservatori protestanti, e molto si è scritto su questo argomento. Ciò che mi interessa sono i fatti. Lei ha visto questi osservatori nel corso delle sessioni?
CAR: Sicuramente. Essi vi si trovavano, messi da un lato, su un piccolo tavolo. Non parlavano. Che poi parlassero con le persone di sfuggita è evidente. Non potevano non parlare. E dal momento che non prendevano mai la parola in pubblico, hanno avuto una influenza reale su certe cose? Occorrerebbero elementi concreti per rispondere.

SW: Io ponevo semplicemente la questione della loro presenza, in un primo tempo. Detto questo, in un articolo di Notitiae, n° 23, e in una testimonianza di Jasper, un osservatore anglicano, si parla del fatto che gli osservatori non partecipassero al momento delle riunioni, ma che tenessero in maniera sistematica delle discussioni con i relatori, i presidenti dei gruppi.
CAR: Non lo si sapeva. Essi uscivano insieme, ma questo non veniva annunciato ufficialmente. La cosa era un po’ inevitabile! Ma noi non fummo mai informati. Ciò che è quanto meno curioso è il fatto che non vi fosse alcun ortodosso… Costoro non avevano fiducia fin dall’inizio, conoscendo il carattere rivoluzionario di molti cattolici. E la cosa non piaceva loro. In fondo, sapevano bene come stavano le cose.

SW: Lei ha detto che mons. Bugnini era un manipolatore. Può essere più preciso?
CAR: Ero malvisto da lui perché non facevo tutto quello che voleva e non accettavo tutta la sua creatività.

SW: Lei è stato allontanato perché si è rifiutato di approvare il permesso per le Conferenze Episcopali di comporre le proprie preghiere eucaristiche. Ne ha appena accennato. La rottura si è determinata quindi sulla questione della creatività?
CAR: Si. Io feci un rapporto contrario e questo ebbe come conseguenza il rigetto di tale permesso. Allora Bugnini pensò: " quest’uomo è pericoloso ".

SW: A proposito della creatività, si tratta di una pratica che c’è sempre stata, soprattutto nel dominio dell’arte. Gli stili dell’arte sacra si sono sempre evoluti nel corso del tempo.
CAR: Io non sono contro la creatività per principio. Ma essa deve fondarsi su una tradizione. Quanto questo non accade, diventa non si sa bene che cosa.

SW: Lei ha fatto parte del gruppo 18 bis, che si è occupato delle Orazioni del Messale. Dom Hala, di Solesmes, spiega in Habeamus Gratiam, che nelle Collette " si è usati altri vocaboli per delle ragioni pastorali ", e come esempio cita il fatto che " le parole diabolus e diabolicus sono totalmente sparite dal nuovo Messale ".
CAR: Non si credeva più nel Diavolo. Almeno alcuni. Ma le teste pensanti si sono dati da fare perché non si facessero notare molto questi cambiamenti. Queste soppressioni non sono state indicate come criteri di revisione. Ma chiaramente certuni nel Consilium non credevano più nel Diavolo.

SW: Quando si parla del Consilium, si pensa sempre ai consultori, agli esperti: il Padre Gy, Mons. Martimort, dom Botte, don Vagaggini, Jungmann… e si dimenticano quasi i membri veri e proprii, i vescovi, che erano i soli ad avere diritto di voto. Come spiega questo fatto?
CAR: I vescovi che sedevano nel Consilium non avevano niente di clamoroso. Due mi hanno lasciato un certo ricordo: Mons. Isnard, di Nuova Friburgo (Brasile) e Mons. Jenny, di Cambrai. Gli esperti erano molto competenti, essi sì. Ed erano quelli che facevano il lavoro.

SW: Tra i vescovi membri del Consilium vi era il celebre Mons. Boudon, Presidente della Commissione Liturgica della Conferenza Episcopale francese. Era un incompetente?
CAR: Mi ricordo che egli era là, ma non ha lasciato un ricordo indelebile. Il Padre Gy lo menava come voleva. L’intelletto agente di Mons. Boudon era Padre Gy.

SW: A partire dal 1971-72, apparve chiaro che Paolo VI cominciava a rendersi conto che certe cose non andavano bene.
CAR: Bisognava essere ciechi… Fu per questo che lo stesso Bugnini finì per essere allontanato, e molto brutalmente. Ma tutto quello che egli aveva fatto di male non venne toccato. Non si osò ritornare su ciò che era stato promulgato.

SW: Sembra proprio che si delinei un movimento in questo senso. Si parla sempre più di " liberalizzazione del messale tridentino ", e adesso è la volta del Card. Sodano, Segretario di Stato, che si riallaccia all’idea di una riforma della riforma.
CAR: Molto bene. Occorre uscire da questa situazione prima possibile. Bisogna rivedere tutto questo. Ma si troveranno le persone competenti? Occorre evitare che si designino delle persone come quelle che hanno prodotto la catastrofe che conosciamo.

SW: Occorre invitare tutte le parti attorno ad un tavolo?
CAR: Tutte le persone serie, desiderose di lavorare per la Chiesa.

SW: Quando si parla della liturgia tradizionale, si pensa evidentemente a Mons. Lefebvre e alla Fraternità San Pio X, da lui fondata. Occorre invitare anche la Fraternità?
CAR: Ma certo. Occorre parlare con queste persone. Esse talvolta hanno delle vedute fisse, e non comprendono sempre che fossero necessarii degli adattamenti, soprattutto per quanto riguarda le letture della Messa o del Breviario. Ma bisogna parlare con loro. Non si può ascoltare chiunque, soprattutto i protestanti, e non invitare alla discussione la gente di Mons. Lefebvre. Per contro, anche loro devono prendere l’iniziativa di andare a trovare quelli che hanno il senso della tradizione, anche se non sempre sono d’accordo con loro. Devono fare lo sforzo di uscire dal loro guscio, bisogna mettere i problemi sul tavolo, onestamente.

FONTE (http://www.unavox.it/Documenti/doc0106.htm)

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Cardinal-Antonelli-2004/Vepres-depart/images/P1294883.jpg

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Ordinations/Diacres-Ss-Diacre/images/P6308909.jpg

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Ordinations/Sacerdoce/images/P7019046.jpg

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Ordinations/Sacerdoce/images/P7019048.jpg

http://www.icrsp.com/Evenement-2004/Ordinations/Sacerdoce/images/P7019075.jpg

Augustinus
15-02-05, 08:44
Riapro il thread chiuso diverso tempo fa, non accettandosi polemiche sterili da parte dei forumisti e guests, ma solo interventi costruttivi.
Buona discussione.

Augustinus :) :) :)

Augustinus
17-02-05, 22:43
Il cardinale vuol fare il «ribaltone» degli altari

Ratzinger auspica il ritorno alla Messa con il sacerdote rivolto al Tabernacolo e le spalle ai fedeli.

Il Prefetto dell'ex Sant'Uffizio:
«Il prete rivolto verso il popolo diventa il punto di riferimento del rito, al posto di Dio».
«Gli altari tornino come prima del Concilio»

di Andrea Tornielli

Torneremo ad assistere alle Messe come venivano celebrate fino a trent’anni fa, con il prete che dà le spalle ai fedeli?
Una proposta in questo senso arriva dal cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ed è contenuta nel suo libro, intitolato Introduzione allo spirito della liturgia (Edizioni San Paolo), in libreria a febbraio.

Nel capitolo centrale del volume, il porporato auspica il ritorno alla Messa celebrata con il sacerdote e i fedeli rivolti verso Oriente - l’Est simboleggia il luogo dal quale ritornerà il Signore - come è stato per lunghi secoli fino alla riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II. Ratzinger lamenta che nella celebrazione con l’altare rivolto verso il popolo, com’è oggi, il prete «diventa il vero e proprio punto di riferimento», e tutto sembra terminare «su di lui». E così «l’attenzione è sempre meno rivolta a Dio».

Le parole sono , come sempre, puntuali e misurate.
La proposta è destinata far discutere: il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, auspica un ritorno alla Messa celebrata con l’altare verso Oriente, e non verso il popolo, com’è avvenuto in seguito alla riforma liturgica post-conciliare. Arriverà in libreria a febbraio l’edizione italiana dell’ultimo libro del porporato bavarese, intitolato Introduzione allo spirito della liturgia (Edizioni San Paolo, 240 pagine, 34mila lire): il mensile 30Giorni, sul numero in edicola la prossima settimana, ne anticipa un capitolo fondamentale, intitolato «L’altare e l’orientamento della preghiera liturgica».

Ratzinger osserva che, «al di là di tutti cambiamenti, una cosa è rimasta chiara per tutta la cristianità, fino al secondo millennio avanzato: la preghiera rivolta a Oriente è una tradizione che risale alle origini ed è espressione fondamentale della sintesi cristiana di cosmo e storia». L’Oriente significava infatti l’annuncio del «ritorno del Signore». Basandosi sulla «presunta posizione del celebrante» sull’altare della Basilica di San Pietro, gli autori della riforma scaturita dal Concilio Vaticano II hanno invece stabilito che «l’Eucarestia deve essere celebrata versus populum (in direzione del popolo). L’altare… deve essere disposto in maniera tale che il sacerdote e il popolo possano guardarsi a vicenda». Nel libro il custode dell’ortodossia cattolica contesta che questa norma corrisponda all’immagine dell’Ultima Cena: «In nessun pasto all’inizio dell’era cristiana il presidente di un’assemblea di commensali stava di fronte agli altri partecipanti. Essi stavano tutti seduti, e distesi, sul lato convesso di una tavola a forma di sigma o di ferro di cavallo». Ciononostante, «la conseguenza più visibile» della riforma post-conciliare è quella di «una nuova idea dell’essenza della liturgia come pasto comunitario». Nel vecchio rito tridentino, rimasto in vigore fino all’ultima riforma, la Messa era, invece, essenzialmente il riaccadere del sacrificio della Croce, non un «pasto» o un «convito» come nella tradizione protestante. Ratzinger contesta infatti che l’Eucarestia possa essere «descritta adeguatamente dai termini “pasto” e “convivio”».

La consapevolezza del fatto che altare, il prete e i fedeli erano anticamente rivolti verso Oriente si è persa nel corso dei secoli, al punto che quell’orientamento veniva etichettato come «celebrazione verso la parete» o come «un mostrare le spalle al popolo», e quindi è apparso - spiega il cardinale - «come qualcosa di assurdo e completamente inaccettabile». Ma Ratzinger contesta il risultato della riforma liturgica: «Ora il sacerdote - o il “presidente”, come si preferisce chiamarlo - diventa il vero e propria punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. È lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l’insieme della celebrazione». «L’attenzione - commenta con una punta di marezza il porporato - è sempre meno rivolta a Dio… Il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in se stesso».

Nel libro è contenuta anche la risposta a un’obiezione che Ratzinger si aspetta gli venga rivolta: quella di «nostalgia per il passato». Dopo aver chiarito che sarebbe «un errore rifiutare in blocco le nuove forme» della liturgia, il cardinale insiste nel dire che l’orientamento dell’altare, del sacerdote e dei fedeli verso Est, verso il Sole che sorge, «durante la preghiera eucaristica» non è «qualcosa di casuale» ma di «essenziale».

Che fare dunque? Rigirare gli altari verso Oriente? A Ratzinger non dispiacerebbe, anche se si rende conto che «niente è più dannoso per la liturgia che il mettere continuamente tutto sottosopra». La soluzione, nelle chiese dove non sia possibile farlo senza rivoluzionare l’architettura, è quella di riposizionare ameno la Croce al centro dell’altare, perché essa sia «il punto in cui rivolgono lo sguardo tanto il sacerdote che la comunità orante». «Tra i fenomeni veramente assurdi degli ultimi decenni - conclude il porporato - io annovero il fatto che la Croce venga collocata su un lato per lasciare libero lo sguardo sul sacerdote. Ma la Croce, durante l’Eucarestia, rappresenta un disturbo? Il sacerdote è più importante del Signore? Questo errore dovrebbe essere corretto il più presto possibile».

Fonte: Il Giornale, 20.1.2001, p. 15

Vandeano (POL)
18-02-05, 00:46
LETTERA "QUATTUOR ABHINC ANNOS"

Lettera Circolare inviata, in data 3 ottobre 1984, dalla Congregazione per il Culto Divino ai Presidenti delle Conferenze Episcopali

E.za Rev.ma
quattro anni or sono, per volontà del Santo Padre, i Vescovi di tutta la Chiesa furono invitati a presentare un resoconto:
- circa il modo secondo cui, sacerdoti e fedeli delle loro diocesi avevano ricevuto il Messale promulgato nel 1970 dal Papa
Paolo VI, in ottemperenza alle decisioni del Concilio Vaticano II;
- circa le difficoltà apparse nella attuazione della riforma liturgica;
- circa le eventuali resistenze che potevano esservi state.

Il risultato della consultazione fu inviato a tutti i Vescovi. In base alle loro risposte sembrava fosse risolto quasi completamente il problema di sacerdoti e fedeli rimasti legati al «rito tridentino».

Perdurando il problema, il Santo Padre nel desiderio di andare incontro anche a codesti gruppi, offre ai Vescovi diocesani la possibilità di usufruire di un indulto, onde concedere ai sacerdoti insieme a quei fedeli che saranno indicati nella lettera di richiesta da presentare al proprio Vescovo, di poter celebrare la S. Messa usando il Messale Romano secondo l'edizione del 1962 ed attenendosi alle seguenti indicazioni:

a) Con ogni chiarezza deve constare anche pubblicamente che questi sacerdoti ed i rispettivi fedeli in nessun
modo condividano le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l'esattezza dottrinale del
Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970.
b) Tale celebrazione sia fatta soltanto per l'utilità di quei gruppi che la chiedono; nelle chiese ed oratori indicati
dal Vescovo (non, però, nelle chiese parrocchiali, almeno che il Vescovo lo abbia concesso in casi
straordinari); e nei giorni e alle condizioni fissate dal Vescovo sia abitualmente che per singoli casi.
c) Queste celebrazioni devono essere fatte secondo il Messale del 1962 ed in lingua latina.
d) Deve essere evitata ogni mescolanza tra i testi ed i riti dei due Messali.
e) Ciascun Vescovo informi questa Congregazione delle concessioni da lui date e, trascorso un anno dalla
concessione dell'indulto, riferisca sull'esito della sua applicazione.
Questa concessione, indicativa della sollecitudine che il Padre comune ha per tutti i suoi figli, dovrà essere usata in modo da non recare pregiudizio all'osservanza fedele della riforma liturgica nella vita delle rispettive Comunità ecclesiali.
Profitto volentieri della circostanza per confermarmi, con sensi di distinta stima,

dell'Ecc.za Vostra Reverendissima
dev.mo nel Signore Augustin Mayer (Pro Prefetto) Virgilio Noè (Segretario)

Il presente documento è quello richiamato nella nota 9 del Motu Proprio Ecclesia Dei. È sulla base di questo documento che è invalso l'uso di denominare le messe celebrate col consenso dell'Ordinario: "Messa dell'Indulto".

Vandeano (POL)
18-02-05, 00:49
LETTERA APOSTOLICA "ECCLESIA DEI"
DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II IN FORMA DI "MOTU PROPRIO"



1. Con grande afflizione la Chiesa ha preso atto dell'illegittima ordinazione episcopale conferita lo scorso 30 giugno dall'Arcivescovo Marcel Lefèbvre, cha ha vanificato tutti gli sforzi da anni compiuti per assicurare la piena comunione con la Chiesa alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata dallo stesso Mons. Lefèbvre. A nulla infatti sono serviti tali sforzi, specialmente intensi negli ultimi mesi, nei quali la Sede Apostolica ha usato comprensione fino al limite del possibile (1).

2. Questa afflizione è particolarmente sentita dal Successore di Pietro, al quale spetta per primo la custodia dell'unità della Chiesa (2), anche se fosse piccolo il numero delle persone direttamente coinvolte in questi eventi, poichè ogni persona è amata da Dio per sé stessa ed è stata riscattata dal sangue di Cristo, versato sulla Croce per la salvezza di tutti.
Le particolari circostanze, oggettive e soggettive, nelle quali l'atto dell'Arcivescovo Lefèbvre è stato compiuto, offrono a tutti l'occasione per una profonda riflessione e per un rinnovato impegno di fedeltà a Cristo e alla Sua Chiesa.

3. In se stesso, tale atto è stato una disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa, quale è l'ordinazione dei vescovi mediante la quale si attua sacramentalmente la successione apostolica. Perciò, tale disobbedienza - che porta con sé un rifiuto pratico del Primato romano - costituisce un atto scismatico (3). Compiendo tale atto, nonostante il formale monitum inviato loro dal Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi lo scorso 17 giugno, Mons. Lefèbvre ed i sacerdoti Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta, sono incorsi nella grave pena della scomunica prevista dalla disciplina ecclesiastica (4).

4. La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Traditione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione, «che - come ha insegnato chiaramente il Concilio Vaticano II - trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l'assistenza dello Spirito Santo: infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità» (5).
Ma è soprattutto contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi. Non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell'apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell'unità nella sua Chiesa (6).

5. Dinanzi alla situazione verificatasi, sento il dovere di rendere consapevoli tutti i fedeli cattolici di alcuni aspetti che questa triste circostanza pone in particolare evidenza.

a) L'esito a cui è approdato il movimento promosso da Mons. Lefèbvre può e deve essere motivo per tutti i
fedeli cattolici, di una sincera riflessione circa la propria fedeltà alla Tradizione della Chiesa autenticamente
interpretata dal Magistero ecclesiastico, ordinario e straordinario, specialmente nei Concili ecumenici da
Nicea al Vaticano II. Da questa riflessione, tutti devono trarre un rinnovato ed efficace convincimento della
necessità di migliorare ancora tale fedeltà, rifiutando interpretazioni erronee ed applicazioni arbitrarie ed
abusive, in materia dottrinale, liturgica e disciplinare.
Soprattutto ai Vescovi spetta, per propria missione pastorale, il grave dovere di esercitare una
chiaroveggente vigilanza piena di carità e di fortezza, affinché tale fedeltà sia salvaguardata ovunque (7).
b) Vorrei, inoltre, richiamare l'attenzione dei teologi e degli altri esperti nelle scienze ecclesiastiche, affinché
anch'essi si sentano interpellati dalle presenti circostanze. Infatti, l'ampiezza e la profondità degli
insegnamenti del Concilio Vaticano II richiedono un rinnovato impegno di approfondimento, nel quale si
metta in luce la continuità del Concilio con la Tradizione, specialmente nei punti di dottrina che, forse per la
loro novità, non sono stati ancora ben compresi da alcuni settori della Chiesa.
c) Nelle presenti circostanze, desidero soprattutto rivolgere un appello allo stesso tempo solenne e
commosso, paterno e fraterno, a tutti coloro che finora sono stati in diversi modi legati al movimento
dell'Arcivescovo Lefèbvre, affinché compiano il grave dovere di rimanere uniti al Vicario di Cristo
nell'unità della Chiesa Cattolica, e di non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. Nessuno
deve ignorare che l'adesione formale allo scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la
scomunica stabilita dal diritto della Chiesa (8).
A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della traditione latina, desidero manifestare anche la mia volontà - alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale - di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni.
6. Tenuto conto dell'importanza e complessità dei problemi accennati in questo documento, in virtú della mia Autorità Apostolica, stabilisco quanto seque:

a) viene istituita una Commissione, con il compito di collaborare con i Vescovi, con i Dicasteri della Curia
Romana e con gli ambienti interessati, allo scopo di facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti,
seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose finora in vario modo legati alla Fraternità fondata da
Mons. Lefèbvre, che desiderino rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa Cattolica, conservando
le loro tradizioni spirituali e liturgiche, alla luce del Protocollo firmato lo scorso 5 maggio dal Cardinale
Ratzinger e da Mons. Lefèbvre;
b) questa Commissione è composta da un Cardinale Presidente e da altri membri della Curia Romana, nel
numero che si riterrà opportuno secondo le circostanze;
c) inoltre, dovrà essere ovunque rispettato l'animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica
latina, mediante un'ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede
Apostolica, per l'uso del Messale Romano secondo l'edizione tipica del 1962 (9).
7. Mentre si avvicina ormai la fine di questo anno specialmente dedicato alla Santissima Vergine, desidero esortare tutti a unirsi alla preghiera incessante che il Vicario di Cristo, per l'intercessione della Madre della Chiesa, rivolge al Padre con le stesse parole del Figlio: Ut omnes unum sint!
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 2 del mese di luglio dell'anno 1988, decimo di pontificato.

Joannes Paulus PP. II


NOTE
(1) Cfr. Nota informativa del 16 giugno 1988: L'Osservatore Romano, 17-VI-1988, pp. 1-2. (torna su)
(2) Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. Pastor Æternus, ca. 3: DS 3060. (torna su)
(3) Cfr. Codex Iuris Canonici, can 751. (torna su)
(4) Cfr. Codex Iuris Canonici, can 1382. (torna su)
(5) CONC. VATICANO II, Cost. Dei Verbum, n. 8, Cfr. CONC. VATICANO I, Cost. Dei Filius, cap. 4: DS 3020.
(torna su)
(6) Cfr. Mt 16, 18; Lc 10, 16; CONC. VATICANO I, Cost. Pastor Æternus, cap. 3: DS 3060. (torna su)
(7) Cfr. Codex Iuris Canonici, can. 386; PAOLO VI, Es. Ap. Quinque iam anni, 8-XII.1970: AAS 63 (1971) pp.
97-106. (torna su)
(8) Cfr. Codex Iuris Cononici, can. 1364. (torna su)
(9) Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, ep. Quattuor abhinc annos, 3-X-1984: AAS 76 (1984) pp.
1088-1089.

FRANCESCANO
19-02-05, 20:49
CONOSCO POCO LA LITURGIA TRADIZIONALE. QUALCUNO MI POTREBBE DARE MAGGIORI INFORMAZIONI SU DI ESSA?
VI RINGRAZIO.

PACE E BENE

FRANCESCANO

Thomas Aquinas
19-02-05, 20:51
qui (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=148095)

FRANCESCANO
19-02-05, 20:55
Originally posted by Thomas Aquinas
qui (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=148095)

Sì MA CONCRETAMENTE COME SI SVOLGEVA? QUALI ERANO LE SUE PARTI?

PACE E BENE

FRANCESCANO

Thomas Aquinas
19-02-05, 21:02
Ho riportato un link esemplificativo.

Augustinus
20-02-05, 00:13
Originally posted by FRANCESCANO
Sì MA CONCRETAMENTE COME SI SVOLGEVA? QUALI ERANO LE SUE PARTI?

PACE E BENE

FRANCESCANO

Se conosci un po' l'inglese, ecco come si svolgeva (v. QUI (http://www.catholictradition.org/traditional-mass.htm)). ;)

uva bianca
20-02-05, 22:26
A dire la verità a quanto ho capito esistevano già allora diverse libertà di Rito.
Ad esempio i vari ordini religiosi come i domenicani, i certosini o i cistercensi avevano delle particolarità nello svolgimento della Liturgia che poi sono state tolte col concilio Vaticano II.

vescovosilvano
20-02-05, 23:54
I Domenicani ed i certosini avevano un rito diverso dal romano. i domenicani - facendo male - ci hanno rinunciato volontariamente. I Certosini lo hanno mantenuto ma rivisto alla luce delle riforme del rito romano.

Volevo precisare che non si tratta di celebrare rivolti al tabernacolo ma ad Oriente. Anche dopo Trento nelle Chiesa cattedrali e collegiate l'altare dellla conservazione dell'eucarestia era separato da quello centrale della celebrazione. E' un cattivo devizionismo che vuole centrale il tabernacolo. Centrale p la celebrazione, suo frutto secondario la conservazione.

Augustinus
21-02-05, 08:47
Originally posted by silvano
I Domenicani ed i certosini avevano un rito diverso dal romano. i domenicani - facendo male - ci hanno rinunciato volontariamente. I Certosini lo hanno mantenuto ma rivisto alla luce delle riforme del rito romano.

Volevo precisare che non si tratta di celebrare rivolti al tabernacolo ma ad Oriente. Anche dopo Trento nelle Chiesa cattedrali e collegiate l'altare dellla conservazione dell'eucarestia era separato da quello centrale della celebrazione. E' un cattivo devizionismo che vuole centrale il tabernacolo. Centrale p la celebrazione, suo frutto secondario la conservazione.

Reverendo Padre,
La ringrazio del Suo intervento.

Augustinus :) :) :)

Augustinus
21-02-05, 08:56
«La direzione ultima dell’azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore».

L’introduzione del decano del Sacro Collegio al libro di Uwe Michael Lang

del cardinale Joseph Ratzinger

Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l’altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l’una né l’altra cosa si trovano in essi in questa forma.
Certo, alla lingua volgare si sarebbe dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium 36,2) – soprattutto nell’ambito della liturgia della Parola – ma, nel testo conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: «L’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini» (Sacrosanctum Concilium 36,1).
Dell’orientamento dell’altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l’Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: «L’altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]». L’introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: «è auspicabile laddove è possibile». Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire – «laddove possibile» – gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola «expedit» [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L’orientamento fisico dovrebbe – così dice la Congregazione – essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.
Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant’anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell’azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell’ascolto attento degli altri, ma soprattutto nel_l’ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come “preconciliari”, “reazionarie”, “conservatrici”, oppure “progressiste” o “estranee alla fede”, non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.
Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell’orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno – mi sembra – un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.
Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall’inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato “voltando le spalle al popolo”. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo – secondo Jungmann – la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all’essenza dell’azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer – anch’egli uno dei principali liturgisti del Concilio – e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall’inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l’elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l’uno verso l’altro.
Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti “anticonciliari”. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l’apertura della liturgia verso ciò che l’attende e verso ciò che la trascende. In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d’Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell’Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo – necessario per ogni generazione – di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

*****

IL Libro

Il testo del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato in queste pagine, inedito in Italia, è la prefazione che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha scritto al libro di Uwe Michael Lang Conversi ad Dominum. Zu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, edito lo scorso anno in Svizzera dalla Johannes Verlag di Einsiedeln. Del volume sta uscendo la versione in lingua inglese (Turning towards the Lord: Orientation in Liturgical Prayer) per la casa editrice Ignatius Press di San Francisco (Usa), che detiene il copyright dell’opera.

Uwe Michael Lang è membro dell’oratorio di San Filippo Neri a Londra, ha studiato teologia a Vienna e Oxford, e ha pubblicato numerosi testi su argomenti patristici.

(C) 30Giorni.it, N.3 Anno XXII - Marzo 2004

Fonte: Amici del Card. Ratzinger (http://www.ratzinger.it/modules.php?name=News&file=article&sid=158)

Vandeano (POL)
07-03-05, 17:20
http://www.fssp.org/album/OPM2003/131_3114.jpg



http://www.fssp.org/album/OPM2003/wroclaw1.jpg




http://www.fssp.org/album/OPM2003/dsc11713_ori.jpg




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http://www.fssp.org/album/OPM2003/133_3338.jpg

Vandeano (POL)
07-03-05, 17:55
Scusate ma vedendo queste queste immagini commoventi dell'immortale bellezza della Santa Messa di Sempre,non vi viene un groppo alla gola pensando che invece da noi in Italia viene propinata a tutti la vuotezza della "messa nuova" ? Essendoci pochissimi Indulti per la Celebrazione della Santa Messa di Sempre,i Fedeli sensibili a questa Liturgia Cattolica meravigliosa,piano piano diventano tutti o Cattolici Tradizionalisti o Sedevacantisti come me ! Ci rendiamo conto di ciò ? O quì in Italia va bene la Liturgia da Supermarket a taglia unica per tutti ?

In Jesu et Maria +


Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

:( :( :(

uva bianca
08-03-05, 18:59
Originally posted by Vandeano
Scusate ma vedendo queste queste immagini commoventi dell'immortale bellezza della Santa Messa di Sempre,non vi viene un groppo alla gola pensando che invece da noi in Italia viene propinata a tutti la vuotezza della "messa nuova" ? Essendoci pochissimi Indulti per la Celebrazione della Santa Messa di Sempre,i Fedeli sensibili a questa Liturgia Cattolica meravigliosa,piano piano diventano tutti o Cattolici Tradizionalisti o Sedevacantisti come me ! Ci rendiamo conto di ciò ? O quì in Italia va bene la Liturgia da Supermarket a taglia unica per tutti ?


bè: primo non mi è ben chiaro cosa intendi per vuotezza della S.Messa.
In secondo luogo non è chè una persona arriva ad abbandonare la Chiesa per colpa di una liturgia che non gli aggrada; se lo fa o non è un vero catolico( poichè antepone alle verità di fede alcune forme esteriori) o è un uomo di poco valore perchè si lascia trascinare in gruppuscoli solo per motivazioni di secondo ordine.

mauditos
08-03-05, 21:01
Faccio una domanda da cattolico "normale" (cioè non sedevacantista, Lefebvrista o altro): Ma per assistere alle Messe in latino, ci vuole un'autorizzazione particolare ad personam?
Saluti,
Maurizio.

Thomas Aquinas
08-03-05, 21:16
No.
E' preferibile partecipare alle messe in antico rito dell'indulto, quelle cioè celebrate con il permesso del Vescovo del luogo.
E' possibile tuttavia partecipare anche alle messe lefebvriani, illecite, basta che non si aderisca allo scisma.
Le messe dei sedevacantisti penso che sia proprio il caso di evitarle.

(sullo stesso tema qui) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=148095)

Vandeano (POL)
08-03-05, 23:04
Originally posted by uva bianca
bè: primo non mi è ben chiaro cosa intendi per vuotezza della S.Messa.
In secondo luogo non è chè una persona arriva ad abbandonare la Chiesa per colpa di una liturgia che non gli aggrada; se lo fa o non è un vero catolico( poichè antepone alle verità di fede alcune forme esteriori) o è un uomo di poco valore perchè si lascia trascinare in gruppuscoli solo per motivazioni di secondo ordine.


Intendo per vuotezza la cosidetta "messa" attuale,un Rito elaborato da un pool di Liturgisti Cattoici Progressisti,ma anche da Eretici Protestanti nel 1969,uno pseudo-rito dalle precise contaminazioni protestanti e che sposta in pieno il significato della Santa Messa che è: "L'Attualizzazione Incruenta del Sacrificio Salvifico di Nostro Signore Gesù Cristo sulla Croce ",a un significato fittizio quello del "banchetto della Parola e del Pane" o "Asslemblea del Popolo di Dio,riunito per spezzare il Pane ed ascoltare la Parola di Dio",si veda in proposito le nuove Rubriche della "nuova messa",addirittura in qualche Parrocchia si equipara la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Ostia Santa,Presenza di Fede,con quella assolutamente lasciata all'interpretazione personale nella Scrittura,a cui non si accendono candele !
In Secondo luogo,quasi sempre proprio per rimanere Cattolici Veri si abbandonano certe presunte strutture visibili di ciò che si ritiene,comunemente ed acriticamente,essere la Chiesa,per aderisce a dei gruppi di Veri Cattolici,che in base alla Dottrina Cattolica Autentica,contestano un Magistero a tratti aprioristico ed a volte propinato da Veri Eretici ! Per cui chiedo rispetto grazie !

In Jesu et Maria +

Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

Vandeano (POL)
08-03-05, 23:11
Originally posted by mauditos
Faccio una domanda da cattolico "normale" (cioè non sedevacantista, Lefebvrista o altro): Ma per assistere alle Messe in latino, ci vuole un'autorizzazione particolare ad personam?
Saluti,
Maurizio.


Non serve nessuna autorizzazione caro amico,può sapere i luoghi delle celebrazioni nei seguenti siti: www.unavox.it ; www.sanpiox.it ; www.sodalitium.it


Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

Vandeano (POL)
08-03-05, 23:21
Originally posted by Thomas Aquinas
No.
E' preferibile partecipare alle messe in antico rito dell'indulto, quelle cioè celebrate con il permesso del Vescovo del luogo.
E' possibile tuttavia partecipare anche alle messe lefebvriani, illecite, basta che non si aderisca allo scisma.
Le messe dei sedevacantisti penso che sia proprio il caso di evitarle.

(sullo stesso tema qui) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=148095)


Mi permetto di chiedere al Moderatore Augustinus se è possibile evitare le solite "expertise" di parte,da parte dei soliti personaggi,che individuano scismi inesistenti e proscrivono Sante Messe Cattoliche Legittimissime,in nome di un aprioristico ed acritico Anti-Sedevacantismo di Maniera ? Per di più con continui rimandi al "forum" che questo Signore presumibilmente modera ?

uva bianca
08-03-05, 23:32
Originally posted by Thomas Aquinas
No.
E' preferibile partecipare alle messe in antico rito dell'indulto, quelle cioè celebrate con il permesso del Vescovo del luogo.


Ma cosa sarebbe di preciso questo "indulto"?
E' qualcosa di simile all'indulto del presidente della republica percui si è scagionati ma non si cancella la colpa?

Vandeano (POL)
08-03-05, 23:39
Originally posted by uva bianca
Ma cosa sarebbe di preciso questo "indulto"?
Eì qualcosa di simile all'indulto del presidente della republica percui si è scagionati ma non si cancella la colpa?


No niente affatto è semplicemente un Permesso che i Presunti Vescovi Diocesani danno per la celebrazione della Santa Messa Cattolica di Sempre,detta improriamente Tridentina o di San Pio V,come la Santa Sede ha presumibilmente stabilito Vedi Lettera Apostolica "QUATTOR ABHINC ANNOS" del 1984 e Motu Proprio "ECCLESIA DEI AFFLICTA" del 1988,rispettivamente QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=88406&perpage=40&pagenumber=3)

Dreyer
08-03-05, 23:42
Originally posted by Vandeano
Non serve nessuna autorizzazione caro amico,può sapere i luoghi delle celebrazioni nei seguenti siti: www.unavox.it ; www.sanpiox.it ; www.sodalitium.it


Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

questo è un forum cattolico, non si postano indirizzi di siti lefebvriani (il 2°) e sedevacantisti (il 3°).

uva bianca
08-03-05, 23:47
presunti?

:confused: :confused: :confused:

Dreyer
08-03-05, 23:51
Originally posted by uva bianca
presunti??
:confused: :confused: :confused:

eh certo, lui è sedevacantista e secondo lui i vescovi attuali non sarebbero tali :rolleyes:

Vandeano (POL)
08-03-05, 23:53
Originally posted by Dreyer
questo è un forum cattolico, non si postano indirizzi di siti lefebvriani (il 2°) e sedevacantisti (il 3°).


LA INVITO ALLA CONTESIA E NON ALLE POLEMICHE DA FONDO SCALA COME AL SOLITO,NON PROVOCHI E NON OFFENDA E NON SARA' OFFESO E PROVOCATO ! INFATTI www.unavox.it E' UN SITO PIENAMENTE CATTOLICO DI INDULTISTI,ANCHE DAL SUO PUNTO DI VISTA E LO SONO ANCHE GLI ALTRI PER SUA REGOLA,PIU' DI TANTE ALTRE COSE POSTATE ALTROVE !

La Saluto ! Sperando di non risentirla !

Basta fare il Vice del Tenente Colombo con me !

Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

uva bianca
08-03-05, 23:53
Quindi se non ho capito male questi lefevbriani sedevacantisti sostengono che la nostra celebrazione non è valida ma noi dobbiamo riconoscere la loro?

Vandeano (POL)
09-03-05, 00:00
Originally posted by uva bianca
Quindi se non ho capito male questi lefevbriani sedevacantisti sostengono che la nostra celebrazione non è valida ma noi dobbiamo riconoscere la loro?

No ha capito malissimo ! Anzitutto dire Lefebvriano ad un Fedele della Fraternità Sacerdotale San Pio X è un offesa e quindi moderiamo ! I Fedeli della Fraternità Sacerdotale San Pio X riconoscono il "Novus Ordo Missae",pur avendo riserve e non celebrando con tale Rito,la loro celebrazione è anche la sua, perchè dal suo punto di vista entrambi sono Liturgie Cattolicissime ! Per noi Sedevacantisti invece il "Novus Ordo Missae" è un Rito invalido ed illegittimo in quanto non emanato dalla Chiesa Cattolica e nemmeno da un Vero Pontefice !

Dreyer
09-03-05, 00:01
Originally posted by uva bianca
Quindi se non ho capito male questi lefevbriani sedevacantisti sostengono che la nostra celebrazione non è valida ma noi dobbiamo riconoscere la loro?

lefebvriani e sedevacantisti contestano in modi diversi la Chiesa con accuse ridicole... ci sono vari 3d a riguardo delle loro posizioni, diverse ma alla fine unite nella disobbedienza e nella scismaticità.

uva bianca
09-03-05, 00:05
Originally posted by Vandeano
LA INVITO ALLA CONTESIA E NON ALLE POLEMICHE DA FONDO SCALA COME AL SOLITO,NON PROVOCHI E NON OFFENDA E NON SARA' OFFESO E PROVOCATOINFATTI www.unavox.it E' UN SITO PIENAMENTE CATTOLICO DI INDULTISTI,ANCHE DAL SUO PUNTO DI VISTA E LO SONO ANCHE GLI ALTRI PER SUA REGOLA,PIU' DI TANTE ALTRE COSE POSTATE ALTROVE



scusate se mi intrometto nella vostra bagarre ma dreyer ha citato espressamente il 2° e il 3° sito e non UNAVOX quindi questa lamentela mi sembra perfettamente inutile!

Vandeano (POL)
09-03-05, 00:11
Originally posted by Dreyer
lefebvriani e sedevacantisti contestano in modi diversi la Chiesa con accuse ridicole... ci sono vari 3d a riguardo delle loro posizioni, diverse ma alla fine unite nella disobbedienza e nella scismaticità.

Non offenda la Chiesa per favore ! Paragonandola a quello che lei intende ! Non citi i Thread di ridicoli Forum Protestanti,dove si accusano ridicolmente dei Veri Cattolici,solo perchè non vogliono diventare Eretici ! Mi faccia il piacere ! I Fedeli della Fraternità Sacerdotale San Pio X li umiliate in ogni modo,perchè non scelgono l'unica via percorribile per un Cattolico oggi,il dissociarsi dall'eterodossia e dall'anacronismo imperante,dove si fà presumere esserci ciò che non c'è ! La pianti di offendere e provocare ! Chiedo l'intervento della Moderazione di Augustinus e non di Inquisitori di parte che imperano altrove,dove lei prospera !

Vandeano (POL)
09-03-05, 00:14
Originally posted by uva bianca
scusate se mi intrometto manella vostra bagarre ma dreyer ha citato espressamente il 2° e il 3° sito e non UNAVOX quindi questa lamentela mi sembra perfettamente inutile!


Saranno inutili le sue lamentele,come i polpettoni Socciani che posta ! anche il 2 ed il 3 sono links Cattolicissimi ! Non provochi per favore !

uva bianca
09-03-05, 22:07
Ma come provocando!
Ma cosa stai dicendo?

Augustinus
22-03-05, 00:11
Kasper e Kolvenbach, convertiti sulla via dei neocon

Il primo è cardinale e teologo, il secondo è generale dei gesuiti, entrambi hanno fama di progressisti. Ma i loro ultimi interventi sono una doccia gelata per l’ala sinistra della Chiesa. L’effetto del conclave

di Sandro Magister

ROMA, 8 marzo 2005 – Dentro la curia vaticana c’è un solo cardinale capace di tener testa a Joseph Ratzinger sul suo terreno, quello dell’alta teologia. È il cardinale Walter Kasper, presidente del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani (nella foto).

L’uno e l’altro sono tedeschi e hanno avuto carriere molto simili. Come Ratzinger, anche Kasper ha cominciato da teologo, ha continuato da vescovo, a Rottenburg e Stoccarda, e infine è approdato a un importante incarico in Vaticano.

Ma nelle classificazioni correnti – anche in vista del futuro conclave – i due sono collocati su sponde avverse: Ratzinger come capofila mondiale dei neoconservatori, Kasper come leader dei progressisti.

La raffinata disputa teologica che ha diviso i due negli anni passati, circa il rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali, è parsa confermare la suddetta classificazione.

Altra conferma: come responsabile dell’ecumenismo, Kasper è il cardinale di curia di gran lunga più avversato dai tradizionalisti.

I fatti, tuttavia, non sempre corrispondono agli schemi.

Ad esempio, nell’omelia di chiusura dell’annuale settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, lo scorso 25 gennaio, Kasper ha detto cose all’opposto della sua fama di progressista.

Ha richiamato con forza la fede in Gesù Cristo “unico salvatore di tutta l’umanità” – in pieno accordo con la dichiarazione “Dominus Iesus” emanata da Ratzinger nel 2000 e aspramente contestata dai fautori del dialogo – e ha così proseguito:

“Ma questa realtà è ancora chiara a tutti noi? La teniamo ben presente nel corso delle nostre discussioni e riflessioni? Non ci troviamo piuttosto nella situazione in cui il nostro compito prioritario, la nostra maggiore sfida è ricordare e rafforzare questo nostro comune fondamento ed evitarne la vanificazione da parte di interpretazioni cosiddette liberali, che si definiscono progressiste, ma che sono in realtà sovversive? Proprio oggi, quando nella società post-moderna tutto diventa relativo e arbitrario, ed ognuno si crea la propria religione à la carte, abbiamo bisogno di un solido fondamento e di un punto di riferimento comune affidabile per la nostra vita personale e per il nostro lavoro ecumenico. E quale fondamento potremmo avere se non Gesù Cristo? Chi meglio di Lui può guidarci? Chi più di Lui può darci luce e speranza? Dove, se non in Lui, possiamo trovare parole di vita (cf. Gv 6,68)?”.


* * *

Ma ancor più in contrasto col progressismo corrente è ciò che Kasper ha scritto in un suo libro uscito di recente in Germania e in Italia, rispettivamente per i tipi di Herder e della Queriniana: “Sacramento dell’unità. Eucaristia e Chiesa”.

Kasper ha pubblicato questo libro in occasione dell’anno eucaristico indetto nel 2004 da Giovanni Paolo II. Anno che si concluderà nell’ottobre del 2005 con un sinodo dei vescovi dedicato proprio al tema dell’eucaristia.

Sull’eucaristia il papa ha emesso nel 2003 un’enciclica: la “Ecclesia de Eucharistia”.

A detta del decano dei teologi italiani Giuseppe Colombo (vedi “Teologia”, rivista della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, n. 4, 2004), “l’intenzione prevalente” dell’enciclica era “quella di denunciare l’abuso, probabilmente il più diffuso nella Chiesa d’oggi, della celebrazione della messa senza il sacerdote ordinato, a motivo della scarsità di preti o per l’erronea interpretazione della parità di tutti i cristiani”.

E in effetti che molte liturgie eucaristiche siano celebrate così, in piccoli gruppi, senza il prete, da semplici uomini e donne, in America Latina e nel centro Europa, è un dato di fatto. In campo progressista c’è anzi chi lo rivendica come un’innovazione che la Chiesa dovrebbe approvare senza riserve.

Ebbene, su questo il “no” del cardinale Kasper è assoluto:

“Una celebrazione dell’eucaristia senza il ministero del sacerdote è impensabile. Il ministero del sacerdote è costitutivo per la celebrazione dell’eucaristia. Ciò vale anche in casi di estrema emergenza. Dovunque vi sono state situazioni estreme di persecuzione, nelle quali per anni e per decenni non è stato possibile avere un sacerdote, mai abbiamo sentito dire che una comunità parrocchiale o un singolo gruppo abbiano celebrato di loro inziativa, senza sacerdote, l’eucaristia”.

Le “situazioni estreme” richiamate sono ad esempio quelle della Russia sovietica, o della Cina. Dove in effetti non è mai invalsa la prassi che Kasper respinge come “inammissibile”, per ragioni non disciplinari ma teologiche, argomentate in molte pagine del suo libro.

Anche l’omelia – dice Kasper sulla scorta del Nuovo Testamento – deve restare riservata al sacerdote. In casi del tutto eccezionali un laico potrebbe rivolgere una “parola spirituale” alla comunità, comunque sempre “distinguibile dall’omelia”.

Kasper contesta la tendenza a “interpretare in senso semplicemente metaforico e puramente simbolico” le parole della consacrazione:

“Le parole di Gesù ‘Questo è il mio corpo’ e ‘Questo è il mio sangue’ vanno intese in senso reale, e in questo senso sacramentale parliamo di presenza reale, cioè della vera, reale e sostanziale presenza di Gesù Cristo sotto i segni del pane e del vino”.

Il cardinale contesta l’offuscamento della messa come sacrificio e la sua riduzione a un pasto, ove “la celebrazione dell’eucaristia non è pressocché più distinguibile da un banchetto o da un party”.

Un altro bersaglio delle critiche di Kasper è l’interpretazione “funzionalista” della liturgia eucaristica:

“La messa non è un ‘service’ che, seguendo la legge della domanda e dell’offerta, si orienta prevalentemente in base ai bisogni o ai desideri di determinati gruppi. Non è un mezzo per uno scopo, bensì è fine a se stessa. Non deve diventare un ‘happening’. È sbagliato misurarla in base alla sua capacità di intrattenere. La celebrazione liturgica deve piuttosto essere animata dal rispetto per il Dio santo e per la presenza di nostro Signore nel sacramento. Deve essere uno spazio per il silenzio, la riflessione, l’adorazione e per l’incontro personale con Dio”.

E ancora:

“Il primo senso della celebrazione eucaristica è il ‘cultus divinus’, la glorificazione, l’adorazione, la lode e l’esaltazione di Dio in memoria delle sue grandi azioni. Questo aspetto risulta sempre più difficile da capire nella nostra società concentrata sui bisogni umani e sulla loro soddisfazione. Eppure qui sta il vero motivo della crisi della liturgia e della diffusa incapacità di comprenderla. Né il ministero sacerdotale, né l’eucaristia possono essere dedotti ‘dal basso’ e dalla comunità. Una riduzione dell’eucaristia al suo significato antropologico sarebbe un falso aggiornamento della Chiesa”.

Kasper se la prende con il “puritanesimo mesto” di tante messe spogliate d’ogni solennità:

“Le luci, i paramenti, la musica e quanto l’arte umana ha da offrire non vanno liquidati come sfarzo esteriore. Tutta la celebrazione dell’eucaristia deve essere una pregustazione del futuro regno di Dio. In essa il mondo celeste scende nel nostro mondo. Nella liturgia e nella teologia della Chiesa orientale questo aspetto è particolarmente vivo. In Occidente invece nel periodo postconciliare tanto la liturgia quanto la teologia sono purtroppo diventate sotto questo profilo puristiche e culturalmente povere”.

Quanto alla comunione, Kasper conferma che “non possiamo invitare tutti a riceverla”. L’esclusione vale anzitutto per i non cattolici:

“L’eucaristia presupppone, come sacramento dell’unità, che ci si trovi nella piena comunione ecclesiale, la quale trova la sua espressione soprattutto nella comunione con il vescovo locale e con il vescovo di Roma quale detentore del ministero petrino, che è un servizio dell’unità della Chiesa”.

Ma vale anche per i cattolici in stato di peccato grave. Kasper richiama il dovere – largamente caduto in disuso – di ricorrere al sacramento della penitenza, per “non mangiare e bere indegnamente il corpo e il sangue del Signore”:

“Qui ci imbattiamo di nuovo in un punto debole dello sviluppo postconciliare. L’affermazione che l’unità e la comunione sono possibili soltanto nel segno della croce ne include un’altra, e cioè che l’eucaristia non è possibile senza il sacramento del perdono. La Chiesa antica era pienamente cosciente di questo nesso. Nella Chiesa antica la struttura visibile del sacramento della penitenza consisteva nella riammissione del peccatore alla comunione eucaristica. Communio, excommunicatio e reconciliatio costituivano un tutt’uno. Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano giustiziano dai nazisti nel 1945, ha messo giustamente in guardia dalla grazia a buon mercato: ‘Grazia a buon mercato è sacramento in svendita, è la cena del Signore senza la remissione dei peccati, è l’assoluzione senza confessione personale’”.

Subito dopo questa citazione di Bonhoeffer, icona dei progressisti, il cardinale Kasper aggiunge di suo:

“La grazia a buon mercato è per Bonhoeffer la causa della decadenza della Chiesa. La riscoperta e il rinnovamento del carattere di assemblea e di convito dell’eucaristia sono stati senza dubbio importanti, e nessuna persona intelligente pensa di revocarli. Ma una loro concezione superficiale, disgiunta dalla croce e dal sacramento della penitenza, conduce alla banalizzazione di tali aspetti e alla crisi dell’eucaristia quale quella a cui oggi assistiamo nella vita della Chiesa”.

E in un’altra pagina scrive, ancor più lapidario:

“La crisi della concezione dell’eucaristia è il nucleo stesso della crisi della Chiesa odierna”.

__________


Il libro:

Walter Kasper, “Sacramento dell’unità. Eucaristia e Chiesa”, Queriniana, Brescia, 2004, pp. 184, euro 16,00

E intanto il generale dei gesuiti scappa via da Assisi

Il caso Kasper – cioè il caso di un dirigente di Chiesa classificato da sempre come progressista che oggi si esprime criticamente sul progressismo stesso – non è il solo. Ha fatto colpo una recente intervista del generale dei gesuiti, Peter Hans Kolvenbach, sul tema forse più controverso del pontificato di Giovanni Paolo II: quello del dialogo tra la Chiesa cattolica e le altre religioni.

Padre Kolvenbach non è vescovo né cardinale, ma è considerato – anche per l’ordine religioso che dirige – un esponente tra i più rappresentativi dell’ala sinistra della Chiesa.

E invece anche lui, sul dialogo interreligioso, si muove oggi in controtendenza. Non esclude il dialogo, anzi, lo invoca, ma ne denuncia soprattutto i limiti e i pericoli.

I gesuiti contano oggi otto cardinali, di vario orientamento. Solo tre entrerebbero in un vicino conclave (gli altri hanno più di 80 anni) e di questi tre uno, l’italiano Carlo Maria Martini, è stato a lungo considerato il papabile simbolo dei progressisti, mentre un altro, l’argentino Jorge Mario Bergoglio, risulta essere un papabile molto più effettivo, ma di segno neoconservatore.

Tanto più colpisce, quindi, quanto dice padre Kolvenbach: perché dal prossimo conclave potrebbe davvero uscire eletto per la prima volta un papa gesuita.

E dal futuro papa – si sa – i cardinali elettori non si aspettano che replichi i meeting interreligiosi cari a papa Karol Wojtyla, di cui hanno constatato più i danni che i vantaggi.

Ecco dunque il passaggio dell’intervista di Kolvenbach relativo al dialogo. L’intera intervista, curata da Giuseppe Rusconi, è uscita sul n. 1, 2005, di “Il Consulente RE”, bimestrale distribuito solo per posta e inviato a circa 3500 ecclesiastici e religiosi, emanazione del Gruppo RE specializzato in servizi finanziari per uomini e istituzioni di Chiesa:


“UN FOSSATO INVALICABILE...”

di Peter Hans Kolvenbach, S.J.


Non mancano voci autorevoli per dire che un vero dialogo [interreligioso] non ha avuto ancora luogo.

Certo, grazie agli sforzi di Giovanni Paolo II le religioni si incontrano, talvolta si mettono d’accordo come ad Assisi per dire insieme che nessuno può uccidere nel nome di Dio.

Si è però sempre più coscienti che, nella misura in cui si conoscono in profondità le convinzioni religiose degli uni e degli altri, tra le religioni si scava un fossato invalicabile.

Sì, un fossato invalicabile. Si può senz’altro discutere della convivenza civile tra le religioni, ma l’esperienza dimostra che – volenti o nolenti – per tutte le religioni la fede nella Santissima Trinità è un ostacolo insuperabile a un dialogo più in profondità.

Ripeto che ciò non esclude incontri per conoscersi meglio. Però, essendo coscienti dell’impedimento, questi incontri diventano più onesti.

Altrimenti si rischia di trattare teologicamente il musulmano come se fosse un cristiano d’altra confessione.

Un vero dialogo non si può basare sulla facilità del confusionismo in cui indistintamente si mescolano religioni differenti o sull’insidia del relativismo in cui tutte le verità si equivalgono.

Seguendo l’insegnamento della Chiesa, il testo della 34.ma Congregazione generale [della Compagnia di Gesù] incoraggia un dialogo in cui ciascuno, in conformità alla sua fede, si sforza di incontrare l’altro nella sua convinzione religiosa, con la sola preoccupazione di rispettarne la differenza e pur lasciandosi interpellare nella sua ricerca di Dio.

Questo Dio è unico, ma non è il medesimo per tutti quelli che credono in Lui; e questo Dio può ricevere in questa o quella religione un nome portatore d’esclusione.

Per noi cristiani l’amore paterno di Dio, che si estende senza discriminazione a tutta l’umanità e a ciascuno degli uomini, ci spinge a pregare Dio anche per gli altri, sebbene non possiamo in verità pregare gli uni con gli altri.

La ricerca d’un vero dialogo esprime il fatto che questo Dio ha voluto aver bisogno di noi per poter salvare tutti nel suo Figlio.

Questa difficoltà di giungere a un vero dialogo a livello di fede non esclude il dialogo della vita, in cui tutti gli uomini di buona volontà si incontrano e si aiutano vicendevolmente per costruire un mondo più giusto, più pacifico e più umano per tutti, secondo il desiderio di Dio per l’umanità.

__________

Fonte: www.chiesa (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=24429)

Augustinus
22-03-05, 21:14
“LEX ORANDI”, ECCO LE MESSE IN LATINO

Nonostante il Concilio Vaticano II riprendono piede nelle chiese italiane

di Antonio Cipolloni

“Lex orandi, lex credendi” ovvero “ciò che si prega è ciò che si crede”. Quarant’anni dopo il Concilio Vaticano II (annunciato da Giovanni XXIII nel 1962 e chiuso nel 1965 da Paolo VI) si tirano le prime somme sulla riforma del Messale Romano, l’insieme delle disposizioni lateranensi che regolano la celebrazione dei riti religiosi in chiesa. Il dato certo è la riscoperta di una tradizione “appannata” ma assolutamente non dimenticata: la celebrazione della messa in latino (rito tridentino). La sola idea fa pensare a seriose e noiose litanie che non finiscono mai, ma non è così.

La scelta delle lingue correnti fatta con il Concilio Vaticano II è stata dettata dalla ferma volontà di rendere effettiva la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni. Tuttavia la buona intenzione ha prodotto non pochi malumori, tanto che molti tradizionalisti , come il vescovo Lefebvre, non hanno mai accettato il nuovo rito che ha sostituito il Messale di San Pio V.

L’aspetto critico della riforma, a detta di illustri esponenti della Chiesa come il cardinale Joseph Ratzinger, è da rintracciare nella varietà di interpretazioni liturgiche data al nuovo corso. Nelle Chiese, negli anni, si sono viste sperimentazioni di tutti i tipi: celebrazioni con chitarre elettriche e batterie hanno sostituito la tradizione del canto gregoriano, esperimenti di ogni sorta hanno mescolato il rito tradizionale con prediche bibliche sulla vita di tutti i giorni e letture ed omelie senza fine hanno ridotto al lumicino la consacrazione dell’Eucarestia .

La voglia di “revival” dell’antico pone molti interrogativi e può addirittura dare adito al sospetto che dietro la richiesta di celebrare secondo l’antico rito si nasconda la volontà di rifiutare altri aspetti del Concilio Vaticano II o di fare della vecchia liturgia una bandiera per nostalgici gruppi culturali e politici.

Le chiese sono sempre più vuote ed aumentano le richieste di celebrare secondo il vecchio rito ma i vescovi ritengono, al contrario, che la voglia d’antico sia un fenomeno circoscritto, destinato a tramontare presto. Pensare di risolvere il problema delle chiese vuote a colpi di incenso e latinorum - dicono i pastori - è quantomeno ingenuo.

Il Concilio Vaticano II ha voluto mantenere la lingua latina, traducendo nelle lingue nazionali solo alcune parti del Messale Romano. Il paragrafo 36 della Costituzione apostolica conciliare Sacrosanctum Concilium recita: "L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato.". Il paragrafo 54 continua: "Si abbia cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’Ordinario della Messa che spettano ad essi.".

La scomparsa del latino ha portato con sé conseguenze degne di nota: oggi quasi nessuno è in grado di recitare il Gloria, il Credo e il Pater Noster in quella che per diciotto secoli è stata la lingua della Chiesa. E’ importate segnalare, tuttavia, che Giovanni Paolo II nel 1988 ha concesso uno speciale indulto che consente ai vescovi di permettere a certe condizioni la celebrazione antica secondo il Messale di San Pio V. Attualmente, messe in latino alla vecchia maniera vengono dette a Roma, Milano, Padova, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Siena, Chieti, Belluno, Giulianova e molte altre città italiane. Provate per credere.

FONTE (http://www.qui-italia.it/article.aspx?id=24736)

Vandeano (POL)
30-03-05, 21:45
Vicenza, il vescovo Nosiglia :No alla Santa Messa in Latino,celebrata con secondo il Messale del 1962,detta Tridentina o di San Pio V


ULTIME NOTIZIE - IMMOTIVATO RIFIUTO ALLA PETIZIONE DI QUASI 700 CRISTIANI

"I fedeli seguiteranno a sollecitare l’accoglimento della loro legittima richiesta, secondo le intenzioni del S. Padre e conforme con il bene della Chiesa e prenderanno le più idonee iniziative in tal senso, prima tra tutte una pubblica conferenza sulla liturgia che si terrà a Vicenza tra qualche settimana", dice il responsibale di Una Voce-Vicenza in un comunicato emesso in data odierna in occasione di una conferenza stampa

Link : http://www.unavoce-ve.it/home.htm

uva bianca
30-03-05, 21:56
UNA VOCE - Delegazione di VICENZA
Associazione internazionale per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana
Via Roma, 105 - 36025 NOVENTA VICENTINA (VI) - Tel.347/1005071

Pagina web: http://www.unavoce-ve.it E-mail: cuvve@unavoce-ve.it


Vicenza, 30 marzo 2005
La delegazione vicentina di “Una Voce” (associazione che si batte in tutto il mondo per la salvaguardia
della liturgia latino-gregoriana) ha raccolto, in tre fine settimana nello scorso mese di settembre, ben 673
firme per chiedere che in ogni domenica e festa di precetto torni ad essere celebrata in una chiesa cittadina
la Santa Messa in lingua latina (secondo il Messale Romano del 1962) e in rito romano antico, in
applicazione di due documenti della Santa Sede, l’uno del 1984 e l’altro del 1988.
Il Vescovo Nosiglia, dopo aver ricevuto le centinaia di firme nel mese di dicembre e dopo aver
concesso un’udienza ai delegati il 5 gennaio successivo, lo scorso 6 marzo con una breve udienza e una
lettera scritta ha comunicato che, pur ritenendo legittima la richiesta fatta dai fedeli vicentini, non ritiene
opportuno aderirvi.
Molti cristiani sensibili all’iniziativa hanno già manifestato il loro disappunto nel vedersi rifiutati
anziché accolti dal loro Pastore.
Il vescovo Nosiglia adduce come motivazione che la riforma liturgica del 1970 ha portato molti frutti
positivi: si può tuttavia osservare che essa non è motivo valido per denegare la concessione della Messa in
rito romano antico; quest’ultima, infatti, non lede affatto l’applicazione del Messale di Paolo VI. Inoltre la
costituzione Sacrosanctum Concilium attribuisce pari diritto e onore a tutti i riti legittimamente riconosciuti
nella Chiesa, tra cui anche il rito romano antico o tridentino.
Il Vescovo, nella sua lettera, richiama anche alla “comunione liturgica di tutta la Chiesa locale”:
occorre però specificare che questo non può comportare che tutti debbano obbligatoriamente appartenere a
un’unica forma liturgica, questo è contrario alla realtà stessa della Chiesa cattolica, che possiede da sempre
una pluralità di riti.
Il Santo Padre, nel Motu proprio Ecclesia Dei (1988) afferma: “A tutti questi fedeli cattolici, che si
sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina, desidero
manifestare anche la mia volontà - alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che
svolgono nella Chiesa il ministero pastorale - di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure
necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni.” Nella maggioranza delle diocesi
appartenenti alla Conferenza Episcopale Triveneta (alcune anche recentemente come Treviso e Vittorio
Veneto) è già stato dato il consenso alla Messa in rito tridentino. In una simile situazione, mancando la
Messa antica a Vicenza, molti fedeli sono costretti a cercarla altrove, allontanandosi non solo dalla loro
parrocchia, ma anche dalla loro stessa Diocesi.
Il Vescovo inoltre afferma che è possibile godere della “ricchezza liturgica ... nelle rispettive parrocchie
di appartenenza”: bisogna tuttavia rilevare che il desiderio di molti firmatari della petizione verso la Messa
antica nasce proprio dalla mancanza di tale “ricchezza liturgica”: esiste molto malcostume nelle nostre
liturgie parrocchiali che finisce per esasperare tanti fedeli e farli definitivamente allontanare dalla Chiesa.
Secondo i firmatari della petizione, la rassicurante presenza di un rito immutabile e di antichissima origine
come quello romano antico (o tridentino) può dare a molti la gioia di vivere la propria appartenenza alla
Chiesa Cattolica senza dovere rattristarsi o irritarsi, domenica dopo domenica, per una cattiva celebrazione
del rito.
Ciò premesso, i fedeli seguiteranno a sollecitare l’accoglimento della loro legittima richiesta, secondo le
intenzioni del S. Padre e conforme con il bene della Chiesa e prenderanno le più idonee iniziative in tal
senso, prima tra tutte una pubblica conferenza sulla liturgia che si terrà a Vicenza tra qualche settimana.

Per la delegazione di Vicenza
dr. Massimo Bisson

Augustinus
02-06-05, 08:19
ARCHIVUM LITURGICUM (http://www.ecclesiacatholica.com/)

http://www.ecclesiacatholica.com/Immagini/tiara-2-logo.jpg

torquemada
16-11-05, 00:09
http://www.multimodo.com/introibo/

Augustinus
16-11-05, 07:43
Per evidente affinità tematica, ho riunito il tuo thread con quello già esistente nel nostro forum. :) :) :)

torquemada
16-11-05, 10:11
Grazie.
Mi piacerebbe avere un tuo giudizio sul sito segnalato

Augustinus
11-10-06, 13:08
Il quotidiano inglese cita fonti del Vaticano

Messa in latino, la svolta di Ratzinger

Lo rivela il Times: il Pontefice avrebbe già firmato un indulto per far tornare in vigore il rito usato per circa 1.500 anni

LONDRA - Papa Benedetto XVI è pronto a rilanciare la messa tridentina in latino nelle chiese cattoliche di tutto il mondo. Stando a quanto riferito da alcune fonti al Times, il Pontefice avrebbe firmato un indulto universale per celebrare la messa secondo il rito usato per circa 1.500 anni. L'indulto dovrebbe essere pubblicato nelle prossime settimane.

DIFFERENZE TRA LITURGIE - L'uso della messa tridentina, il cui nome deriva dal Concilio di Trento del XVI secolo, era stato limitato dopo la riforma del Secondo Concilio Vaticano del 1962-65, in cui si decise l'introduzione della lingua volgare per favorire una maggiore comprensione da parte dei fedeli. L'indulto firmato dal Pontefice consentirà a tutti i sacerdoti sparsi in ogni parte del mondo di celebrare la messa in latino, a meno di un divieto scritto del proprio vescovo. La messa tridentina è celebrata interamente in latino, ad eccezione di alcune parole e frasi in greco ed ebraico. Ci sono lunghi periodi di silenzio e il prete volge le spalle ai fedeli.

Fonte: Corriere della sera, 11 ottobre 2006 (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/10_Ottobre/11/messa.html)

Augustinus
11-10-06, 13:13
In ambienti ecclesiastici da tempo si parlava di questo ritorno al passato

Ora secondo il Times il pontefice avrebbe siglato il documento per il via libera

Torna nelle chiese la messa in latino. Il Papa avrebbe già firmato l'indulto

LONDRA - Il desiderio di Papa Benedetto XVI di tornare ad ascoltare nelle chiese l'antica messa in latino procederebbe spedito. Il Pontefice, secondo quanto rivela il quotidiano britannico Times, avrebbe infatti già firmato l'indulto universale necessario ad autorizzare i sacerdoti a ripristinare l'antica cerimonia tridentina.

Il documento papale riporterebbe il cattolicesimo alla situazione precedente il Concilio Vaticano II del 1962-'65, quando la Chiesa cercò di favorire la messa in lingua volgare nella speranza di riconquistare l'attenzione dei fedeli. Una decisione innovativa ma traumatica, che alla lunga fu uno dei motivi che portarono allo scisma dell'arcivescovo Lefebvre nel 1988.

L'antica messa tridentina, un rito introdotto dal concilio di Trento (1545-1563), viene celebrata dal sacerdote con le spalle rivolte ai fedeli ed è pronunciata interamente in latino, fatta eccezione per alcune parole in greco ed ebraico. Al momento non è vietata, ma richiede una speciale autorizzazione da parte delle autorità ecclesiastiche e la cosa avviene solo in poche diocesi. Con il nuovo indulto universale tutti i preti sarebbero invece liberi di reintrodurla, salvo specifico divieto da parte del loro vescovo.

(11 ottobre 2006)

Fonte: Repubblica, 11 ottobre 2006 (http://www.repubblica.it/2006/10/sezioni/esteri/benedettoxvi-7/benedettoxvi-7/benedettoxvi-7.html)

Augustinus
11-10-06, 13:18
The Times

October 11, 2006

Pope set to bring back Latin Mass that divided the Church

By Ruth Gledhill, Religion Correspondent

THE Pope is taking steps to revive the ancient tradition of the Latin Tridentine Mass in Catholic churches worldwide, according to sources in Rome.
Pope Benedict XVI is understood to have signed a universal indult — or permission — for priests to celebrate again the Mass used throughout the Church for nearly 1,500 years. The indult could be published in the next few weeks, sources told The Times.

Use of the Tridentine Mass, parts of which date from the time of St Gregory in the 6th century and which takes its name from the 16th-century Council of Trent, was restricted by most bishops after the reforms of the Second Vatican Council (1962-65).

This led to the introduction of the new Mass in the vernacular to make it more accessible to contemporary audiences. By bringing back Mass in Latin, Pope Benedict is signalling that his sympathies lie with conservatives in the Catholic Church.

One of the most celebrated rebels against its suppression was Archbishop Marcel Lefebvre, who broke with Rome in 1988 over this and other reforms. He was excommunicated after he consecrated four bishops, one of them British, without permission from the Pope.

Some Lefebvrists, including those in Brazil, have already been readmitted. An indult permitting the celebration of the Tridentine Mass could help to bring remaining Lefebvrists and many other traditional Catholics back to the fold.

The priests of England and Wales are among those sometimes given permission to celebrate the Old Mass according to the 1962 Missal. Tridentine Masses are said regularly at the Oratory and St James’s Spanish Place in London, but are harder to find outside the capital.

The new indult would permit any priest to introduce the Tridentine Mass to his church, anywhere in the world, unless his bishop has explicitly forbidden it in writing.

Catholic bloggers have been anticipating the indult for months. The Cornell Society blog says that Father Martin Edwards, a London priest, was told by Cardinal Joseph Zen, of Hong Kong, that the indult had been signed. Cardinal Zen is alleged to have had this information from the Pope himself in a private meeting.

“There have been false alarms before, not least because within the Curia there are those genuinely well-disposed to the Latin Mass, those who are against and those who like to move groups within the Church like pieces on a chessboard,” a source told The Times. “But hopes have been raised with the new pope. It would fit with what he has said and done on the subject. He celebrated in the old rite, when Cardinal Joseph Ratzinger.”

The 1962 Missal issued by Pope John XXIII was the last of several revisions of the 1570 Missal of Pius V. In a lecture in 2001, Cardinal Ratzinger said that it would be “fatal” for the Missal to be “placed in a deep-freeze, left like a national park, a park protected for the sake of a certain kind of people, for whom one leaves available these relics of the past”.

Daphne McLeod, chairman of Pro Ecclesia et Pontifice, a UK umbrella group that campaigns for the restoration of traditional orthodoxy, said: “A lot of young priests are teaching themselves the Tridentine Mass because it is so beautiful and has prayers that go back to the Early Church.”

TRADITIONAL SERVICE

The Tridentine Mass is celebrated entirely in Latin, except for a few words and phrases in Greek and Hebrew. There are long periods of silence and the priest has his back to the congregation

In 1570, Pope St Pius V said that priests could use the Tridentine rite forever, “without scruple of conscience or fear of penalty”

Since the Second Vatican Council, the Tridentine Mass has been almost entirely superseded by the Mass of Pope Paul VI

Archbishop Marcel Lefebvre, who took the lead in opposing the reforms, continued to celebrate the old Mass at his seminary in Ecône, Switzerland, and formed a dissident group. He was excommunicated in 1988

The advantages of the Mass, according to the faithful, are in its uniformity and the fact that movements and gestures are prescribed, so that there is no room for “personalisation”

Fonte: Times, 11 ottobre 2006 (http://www.timesonline.co.uk/article/0,,13509-2397919.html)

Augustinus
11-10-06, 13:30
V. QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=292420).

Dreyer
11-10-06, 16:20
mi sa che questo indulto non porterà nulla di buono... così facendo si ingenerano non pochi problemi nei fedeli sul rapporto fra vecchio e nuovo Ordo, e si finisce quasi per ammettere che Lefebvre e i suoi avevano ragione.

Prevedo difficoltà, qui non siamo in Inghilterra... :S

Eymerich (POL)
11-10-06, 18:09
mi sa che questo indulto non porterà nulla di buono... così facendo si ingenerano non pochi problemi nei fedeli sul rapporto fra vecchio e nuovo Ordo, e si finisce quasi per ammettere che Lefebvre e i suoi avevano ragione.

:eek: :eek: :eek:

Dreyer
11-10-06, 22:19
beh, è una inutilità: la precondizione dell'accettazione del messale di Paolo VI rimane, quindi per la FSSPX in sè non cambia nulla. in compenso fra i fedeli si genera un sacco di confusione!

Augustinus
09-12-06, 14:25
Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum

Prot. N. 467/05/L

Roma, 17 Ottobre 2006

Eminenza / Eccellenza,

Nel mese di luglio del 2005 questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d'accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scritto a tutti i presidenti delle conferenze episcopali per chiedere il loro parere autorizzato sulla traduzione nelle diverse lingue nazionali dell'espressione pro multis nella formula della consacrazione del prezioso Sangue durante la celebrazione della santa Messa (rif. Prot. N. 467/05/L del 9 luglio 2005).

Le risposte ricevute dalle conferenze episcopali sono state studiate dalle due Congregazioni e un rapporto è stato inviato al Santo Padre. Secondo le sue direttive, questa Congregazione scrive ora a Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza nei termini seguenti:

1. Un testo corrispondente alle parole pro multis, tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula che è stata in uso nel rito romano in latino fin dai primi secoli. Negli ultimi trent'anni, più o meno, alcuni testi approvati in lingua moderna hanno riportato la traduzione interpretativa "for all", "per tutti", o equivalente.

2. Non vi è alcun dubbio sulla validità delle messe celebrate con l'uso di una formula debitamente approvata contenente una formula equivalente a "per tutti", come già ha dichiarato la Congregazione per la Dottrina della Fede (cfr. Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Declaratio de sensu tribuendo adprobationi versionum formularum sacramentalium, 25 Ianuarii 1974, AAS 66 [1974], 661). Effettivamente, la formula "per tutti" corrisponderebbe indubbiamente a un'interpretazione corretta dell'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma di fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne (cfr. Gv 11,52; 2Cor 5,14-15; Tit 2,11; 1Gv 2,2).
3. Ci sono, tuttavia, molti argomenti a favore di una traduzione più precisa della formula tradizionale pro multis:

a. I Vangeli Sinottici (Mt 26,28; Mc 14,24) fanno specifico riferimento ai "molti" (polloi) per i quali il Signore offre il sacrificio, e questa espressione è stata messa in risalto da alcuni esegeti in relazione alle parole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato del tutto possibile nei testi evangelici dire "per tutti" (per esempio, cfr. Lc 12,41); invece, la formula data nel racconto dell'istituzione è "per molti", e queste parole sono state tradotte fedelmente così nella maggior parte delle versioni bibliche moderne.

b. Il rito romano in latino ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus nella consacrazione del calice.

c. Le anafore dei vari riti orientali, in greco, in siriaco, in armeno, nelle lingue slave, ecc., contengono l'equivalente verbale del latino pro multis nelle loro rispettive lingue.

d. "Per molti" è una traduzione fedele di pro multis, mentre "per tutti" è piuttosto una spiegazione del tipo che appartiene propriamente alla catechesi.

e. L'espressione "per molti", pur restando aperta all'inclusione di ogni persona umana, riflette inoltre il fatto che questa salvezza non è determinata in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione dell’uomo. Il credente, invece, è invitato ad accettare nella fede il dono che gli è offerto e a ricevere la vita soprannaturale data a coloro che partecipano a questo mistero, vivendolo nella propria vita in modo da essere annoverato fra "i molti" cui il testo fa riferimento.

f. In conformità con l’istruzione Liturgiam authenticam, dovrebbe essere fatto uno sforzo per essere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche.

Le Conferenze episcopali di quei paesi in cui la formula "per tutti" o il relativo equivalente è attualmente in uso sono quindi invitate a intraprendere la catechesi necessaria ai fedeli su questa materia nei prossimi uno o due anni per prepararli all'introduzione di una traduzione precisa in lingua nazionale della formula pro multis (per esempio, "for many", "per molti", ecc.) nella prossima traduzione del Messale Romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per l’uso in quei paesi.

Con l'espressione della mia alta stima e rispetto, rimango della Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza

devotissimo in Cristo

+ Card. Francis Arinze, Prefetto

Augustinus
12-03-07, 09:43
Ma che noia la messa

«Perché le comunità valorizzino sempre di più la stampa di ispirazione cristiana e per il quotidiano Avvenire, perché possa sempre meglio interpretare gli avvenimenti alla luce del Vangelo ed essere maggiormente diffuso. Preghiamo». Proprio così: nelle chiese della diocesi di Milano, la «Preghiera dei fedeli» sconfina nei consigli per gli acquisti. Uno era andato alla Messa della domenica per ritrovare il senso dell’esistenza smarrito nella frenesia quotidiana e, invece, si trova a implorare «Vieni, Signore Gesù» per aumentare le vendite di Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana a cui provvede già con l’otto per mille della sua dichiarazione dei redditi.

Ma questo è solo un dettaglio, c’è ben altro. A volte le «Preghiere dei fedeli» pullulano di intenzioni politicamente corrette ispirate alla bandiera della pace più che al Vangelo. Tanto che la persona comune scampata alle ubriacature ideologiche di questi decenni, quando le sente, pensa di aver sbagliato porta e di essere entrata in una sezione della Cgil. Non a caso, certo clero e certi fedeli sostituiscono la parola Messa con assemblea.

Nulla di strano, dunque, se qualche volta va forte l’impegno sociale a scapito della testimonianza di Gesù Cristo. Domenica 14 gennaio si è pregato «per la nostra società, perché si converta alla solidarietà e sia sempre attenta ai membri più deboli», come si farebbe in un qualsiasi patronato d’assistenza. Giovedì 18 gennaio la sensibilità per il sociale è divenuta mistica fonte d’unione tra quelle che molti chiamano «diverse denominazioni cristiane» e quindi si è pregato «perché nella solidarietà con chi è più sofferente, con chi è debole, con chi è piccolo ritrovino la via dell’unità». Una via terrena, naturalmente, che faccia lo slalom fra principi troppo ingombranti. Una via larga su cui possa viaggiare comodamente qualsiasi gioiosa macchina di pace. Del resto anche l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, nella celebre omelia (26 pagine) pronunciata per la festa di Sant’Ambrogio del 2004, pronunciò sessanta volte la parola solidarietà e mai Gesù Cristo.

Ma questo pensare più alla solidarietà, più alle «cose terrene» che a quelle del cielo, è da tempo piuttosto diffuso in molte diocesi. Il 14 gennaio La domenica, sussidio per la Messa distribuito in tutta Italia, proponeva la seguente invocazione: «Le famiglie dei migranti siano aiutate nel loro inserimento nel nostro Paese; non hanno bisogno solo del vino che disseta e del pane che sfama, ma anche dell’olio della speranza nel domani. Preghiamo». Per carità: giustissimo avere a cuore le sorti degli immigrati e dei più deboli, è un preciso dovere per ogni cristiano. Però si presume che chi entri in una chiesa sia desideroso anche e soprattutto di «parole di vita eterna», di concetti che altrove non sente pronunciare: e invece sempre più spesso sente riecheggiare discorsi uguali a quelli dei politici o dei sociologi.

Speriamo di sbagliarci, ma temiamo che forse qualche predicatore abbia paura che, parlando più di Cristo che di solidarietà, si rientri nella categoria di «fanatico cattolico». È la categoria coniata il 7 gennaio proprio su La domenica. In un breve ritratto del cardinale croato Alojzije Stepinac, beatificato da Giovanni Paolo II, il sussidio liturgico di quel giorno illustrava gli anni in cui la Croazia fu governata da Ante Pàvelic, fondatore del movimento Ustascia: «Il “duce” croato, Ante Pàvelic, un fanatico cattolico, impose al neonato Stato non solo le leggi razziali presenti in Germania e Italia, ma anche la conversione forzata al cattolicesimo di tutti i cittadini, pena la morte». Qui conta poco il giudizio su Pàvelic. Conta che le efferatezze attribuite al suo regime vengano ricondotte al concetto di «fanatismo cattolico». Ma, ancora di più, conta che siano dei cattolici a concepire un concetto, che, almeno nelle loro teste, dovrebbe essere formato da termini contraddittori. Un concetto in forza del quale crociati, martiri, missionari, confessori e vergini potrebbero essere messi sul banco degli imputati come «estremisti della verità». Si potrà obiettare che nel mondo c’è di peggio. Per esempio, la celebrazione della festa di Halloween in chiesa, come è avvenuto nella parrocchia di Aliso Viejo, diocesi americana di Orange, con tanto di zucche sull’altare e donna mascherata da diavolo a distribuire Comunione. Oppure, il reverendo messicano Sergio Gutierrez Benitez che celebra la Messa indossando una maschera da wrestling. O gli esilaranti sermoni del cardinale Karl Lehmann, punta di diamante della teologia progressista, tenuti al ricevimento dell’associazione del carnevale di Aquisgrana, dove si è presentato vestito da pecoraio ed è stato insignito del titolo di Gran Cavaliere dell’Ordine contro il Bestial Rigore. Ma questo non consola, lascia solo intendere dove si può andare a finire se qualcuno non ci pone rimedio. Ormai, è venuto il momento di pensare seriamente ai fedeli costretti a ingoiare rospi sempre più grossi.

Intanto, ci si arrangia come si può chiudendo un occhio, o magari due. O provando a seguire i consigli della «Preghiera dei fedeli». Così uno esce di chiesa, compra Avvenire e ci trova una doppia pagina di Vittorino Andreoli, psichiatra dichiaratamente non credente, che spiega il senso della vita. Il 7 gennaio scorso, nella puntata conclusiva di un anno, il professor Andreoli ha definito Gesù Cristo «un semplice uomo, (...) forse il più grande»: da ammirare, ma non certo Dio fattosi uomo. E questo perché sulla croce «nella sua disperazione (mi scuso per l’interpretazione che i miei amici potranno trovare errata e blasfema) trova anche la forza di promettere al ladrone (...) che quel giorno sarà in paradiso». Il Figlio di Dio ridotto a povero mentitore, anche se, bontà di Andreoli, a fin di bene.

Si dirà che ciò risponde a raffinate strategie di marketing e che i frutti si vedranno più avanti. Ma la Chiesa di Cristo può cambiare ragione sociale, e mettersi a piazzare di volta in volta il prodotto più gradito al pubblico? Chi lo pensa dovrebbe riflettere sul fatto che certe scelte di marketing non funzionano troppo bene, visto il calo di fedeli nelle chiese, di studenti nei seminari e di sacerdoti nelle canoniche. Ma vale la pena di riflettere anche su un altro dato: le presenze all’Angelus e alle udienze generali di Benedetto XVI sono più che raddoppiate rispetto a quelle dei tempi di Giovanni Paolo II. Eppure Papa Ratzinger è considerato rigoroso e inflessibile. Evidentemente, è proprio questo - la certezza, e non il dubbio - ciò che va mendicando l’uomo di oggi.

Mario Palmaro

Fonte: Il Giornale, 21.1.2007 (http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=150791)

uva bianca
02-04-07, 20:30
e il motu proprio arriverà? :-01#44

Augustinus
02-04-07, 22:51
e il motu proprio arriverà? :-01#44

Solo Dio lo sa ... :D
I modernisti hanno paura della "concorrenza". E devo dire: a ragione. :-01#44
E fanno bene a preoccuparsene. E' tutto un altro stile. :-01#44 Altro che le pagliacciate (o, secondo alcuni, "goliardate") alla Lehmann circondato da peripatetiche :D

http://www.icrsp.com/Evenements-2007/Treviso/images/P2102398.jpg

http://www.icrsp.com/Evenements-2007/Treviso/images/P2102474.jpg

http://www.icrsp.com/Evenements-2006/Ordinations-2006/pretres/sacerdoce/images/P7048567.jpg

Eugenius
03-04-07, 11:42
Mi sembra giusto liberalizzare il Rito antico. E' una ricchezza della Chiesa che non deve essere perduta. Possono benissimo coesitere nello stesso tempo Rito antico e Rito riformato.
Quello che non dovrebbe esistere è il considerare il Rito riformato invalido, di minor valore, di minor bontà o santita del Rito antico.
Se ci sono degli abusi la colpa non sta nel Messale, ma nel Celebrante.
Bisgogna sempre tenere presente che il Papa esercita sempre il carisma dell'Infallibilità nell'approvare un Messale. Per cui non è possibile che un Messale approvato dal Papa sia invalido, eretico, fuoriero di eresia, di minor valore, bontà o santità.
Cristo è lo stesso ed è sempre presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità.
Oltre a questo non sono per nulla accettabili insulti, odio e critiche nei confronti della Gerarchia post-Vaticano II che si leggono in molti siti tradizionalisti.
Il Concilio Vaticano II va interpretato in linea secondo la Tradizione, rigettando totalmente l'eremeneutica della discontinuità affermata da modernisti e qualche tradizionalista.
Il Magistero va accettato tutto senza se e senza ma, quello di prima come quello dopo il Concilio Vaticano II.
In fondo detto Concilio non ha fatto altro che riproporre la Dottrina cattolica con un linguaggio diverso più vicino a quello moderno. E' bene rimarcare che la Dottrina non può mai, mai, mai cambiare. La Chiesa custodice fedelmente la Rivelazione di Cristo contenuta nella Sacra Scrittura e Sacra Tradizione.
Detto questo ben venga l'indulto. Si tratta del lodevole tentativo del Papa di preservare una grandissima ricchezza liturgica e dottrinale.

CIAO :)

Dreyer
03-04-07, 15:40
IUl tuo post è ottimo e consivisibile, caro Eugenisu, ma è proprio perchè condivido quel che dici che la mia idea è l'opposta della tua: sono contrario alla liberalizzazione del rito piàno sic et simpliciter.

Ritengo invece che un sano impegno per la correzione minimale del rito esistente darebbe migliori frutti.

uva bianca
03-04-07, 20:26
Personalmente credo che una cosa non escluda l'altra; anzi, forsr diffondendo di più la S.Messa celebrata con il messale antico la gente potrà farsi di più un'idea di quello che è la storia della liturgia e il suo valore e da lì impegnarsi per evitare storture o innovazioni aberranti nel rito.

Dreyer
04-04-07, 16:08
Non so.

Secondo me c'è il rischio di una spaccatura stile anglicanesimo, chiesa alta vs chiesa bassa; si finirà che alcuni celebreranno col rito antico e altri con quello nuovo.

e questo contringerà quelli come me, cui il rito nuovo piace ma che ne desiderano solo alcuni correttivi, a dover optare per due forme di rito che non lo soddisfano pienamente, perchè il rito antico diverrà sempre più high mentre quello nuovo sempre più low.

uva bianca
10-04-07, 14:02
Secondo me c'è il rischio di una spaccatura stile anglicanesimo, chiesa alta vs chiesa bassa; si finirà che alcuni celebreranno col rito antico e altri con quello nuovo.


Questo aspetto non l'avevo valutato e, a dire il vero, mi incute un pò di timore in quanto, in seno alla chiesa anglicana si è passati da una separazione "di rito" a una separazione "di dottrina" tra high e low church, i cui effetti sono esplosi prepotentemente nell'ultimo periodo.
Spero dunque che ciò non possa mai accadere nella Chiesa Cattolica.

Dreyer
10-04-07, 16:57
Anch'io spero di no, tuttavia le premesse ci sono se i riti diventano bandiere di due teologie contrapposte...

Augustinus
03-06-07, 23:49
Il papa è pronto a liberalizzare l'antico rito

di Paolo Rodari

Oramai nella curia romana, all'interno cioè dei "ministeri" che hanno in mano l'organizzazione della Santa Sede, se ne parla senza che nessuno sappia dare risposte certe.

L'oggetto è l'attesissimo "Motu proprio" con il quale Benedetto XVI dovrebbe concedere, ai sacerdoti che lo desiderano, di celebrare - senza il previo consenso del vescovo - la messa con l'antico rito, quello di san Pio V, quello insomma che prevede l'uso della lingua latina e nel quale il prete è chiamato a celebrare sull'altare tenendo le spalle al popolo.

Un rito, di per sé, mai abolito, seppure dopo il Concilio Vaticano II i sacerdoti che desideravano avvalersene nelle proprie celebrazioni eucaristiche potevano farlo chiedendone però espressamente il permesso al proprio vescovo.

L'argomento, anche nei sacri palazzi, non è dei più semplici da affrontare: parecchi sono i vescovi e i sacerdoti che pensano che una liberalizzazione sia un pericolo per la Chiesa in quanto con essa si darebbe troppo spago alle comunità tradizionaliste.

Oltre ad alcuni vescovi di curia, è in buona parte dell'episcopato francese che si respira una aria critica e avversa alla liberalizzazione del rito.

In Francia, infatti, le chiese sono sempre più vuote, i seminari pure, e a "tenere" sembrano essere soltanto quelle comunità tradizionaliste che la leadership della Chiesa d'Oltralpe non vede di buon occhio.

Eppure, per molti presuli che lavorano in Vaticano, la liberalizzazione non sarebbe un pericolo per la Chiesa.

È noto, infatti, che sia in Francia come in parecchie diocesi del Nord Europa, il rischio maggiore per la Chiesa viene più che altro da quei sacerdoti - e sono molti - che non solo non guardano di buon occhio la liberalizzazione dell'antico rito ma che, in modo arbitrario e del tutto scorretto, usano non rispettare neppure le norme del messale oggi in vigore, snaturando quindi gravemente la corretta celebrazione della messa così come è prevista nella Chiesa.

Un problema enorme se si pensa che la liturgia altro non è che il cuore della Chiesa: ciò in cui essa crede (lex credendi) le viene da come prega (lex orandi).

Benedetto XVI, ancora quando era un semplice cardinale, aveva avuto più volte parole di apprezzamento per l'antico rito e soprattutto in due libri - "Introduzione allo spirito della liturgia" e "Il Dio vicino" - aveva fatto intendere come orientare la celebrazione liturgica verso Oriente - verso Cristo che "avanza" e "viene incontro" - è pratica da recuperare e da valorizzare.

Recentemente anche Albert Malcolm Ranjith (segretario della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti), aveva spiegato come i due riti (quello attuale e quello di san Pio V) possano «benissimo coesistere» anche perché «i due messali sono messali della Chiesa».

Così la pensano anche quei tantissimi sacerdoti che in questi giorni hanno ordinato on-line sul sito www.ecclesiacatholica.com, copia della ristampa del "Compendio di liturgia pratica" di Ludovico Trimeloni, testo che si dimostrò parecchio utile ai sacerdoti dopo la grande riforma del beato Giovanni XXIII.

A quando dunque l'attesa liberalizzazione dell'antico rito? Difficile rispondere. Di certo pare ci sia soltanto che il testo del "Motu proprio" a firma Benedetto XVI sia pronto

Recentemente, inoltre, sembra che il papa ne abbia parlato in udienza privata anche con Robert Spaemann, docente di filosofia all'università di Monaco, il grande intellettuale cattolico tedesco al quale lo stesso Ratzinger dedicò nel 1987 il libro "Chiesa, Ecumenismo e Politica" (Kirche, Ökumene und Politik).

Un'udienza, quella che il papa ha concesso a Spaemann, di cui si è saputo poco anche se si dice che il professore tedesco ne sia uscito col convincimento che il "Motu proprio" sarà reso noto presto, forse addirittura entro questo mese.

Oggi, all'Università Europea di Roma, un congresso internazionale rifletterà su "Cristianesimo e secolarizzazione", le sfide per la Chiesa e per l'Europa. Presente, oltre al segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, al responsabile dei rapporti con gli Stati monsignor Dominique Mamberti e all'arcivescovo di Toledo Antonio Canizares, proprio Robert Spaemann. Tra i temi che si affronteranno non dovrebbe esserci la liturgia ma è evidente che la presenza del cristianesimo in Europa non può essere slegata dall'aspetto liturgico.

Per far fronte alla secolarizzazione dilagante del vecchio continente, la Chiesa non può che cominciare a praticare correttamente al suo interno le norme liturgiche, cuore della vita di fede.

Il Riformista, 29 maggio 2007

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/06-07-31.htm)

Augustinus
05-06-07, 05:51
Il Cardinal Bertone annuncia il documento che liberalizzerà la Messa in latino

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 4 giugno 2007 (ZENIT.org).- Il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha annunciato che è ormai prossima la pubblicazione del documento con cui Benedetto XVI liberalizzerà la celebrazione della Messa in latino in base al messale anteriore al Concilio Vaticano II.

“Credo non si dovrà aspettare molto per vederlo pubblicato. Il Papa è personalmente interessato affinché questo avvenga”, ha affermato il porporato in un’intervista pubblicata questa domenica da “Avvenire”.

“Lo spiegherà in una sua lettera di accompagnamento, sperando in una serena recezione”, ha aggiunto il Cardinale.

Finora, su indicazione di Giovanni Paolo II, i sacerdoti e i fedeli che volevano celebrare la Messa in base all’antico messale in vigore nella Chiesa latina fino al 1962 dovevano chiedere il permesso al proprio Vescovo.

Il Cardinal Bertone ha anche rivelato che il Papa ha già approvato la lettera che ha scritto ai cattolici cinesi. “Ora si sta procedendo alle varie traduzioni e agli aspetti tecnici della sua pubblicazione”, ha concluso.

Fonte: Zenit, 4.6.2007 (http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=11907)

Eugenius
05-06-07, 08:59
Speriamo sia davvero presto.
Penso che per l'intera Chiesa questo sia un bene.

Mi devo procurare un Messalino, perché anche se ho l'ordinario, le parti fisse, mi manca il proprio.
L'avranno nella libreria cattolica?

CIAO :)

Augustinus
15-06-07, 07:41
Esclusivo: firmato dal Papa il "Motu Proprio", imminente la liberalizzazione della Messa in latino

di Bruno Volpe

Il "Motu Proprio" papale per la liberalizzazione della Messa in latino secondo il rito tridentino di San Pio V è pronto, sta per essere tradotto in diverse lingue e sarà pubbblicato poco prima della partenza di Benedetto XVI per le vacanze estive. Il testo è stato già firmato dal Pontefice, che ha anche redatto una lunga carta esplicativa, di carattere teologico, "indirizzata a tutti i vescovi del mondo", così come si può leggere nell'introduzione, "perché possano accogliere con serenità e pazienza questo documento". Il Papa chiede quindi ai vescovi, al clero e ai fedeli un clima sereno nell'accettare il "Motu Proprio", che sarà presentato con una conferenza stampa dai Cardinali Francis Arinze, Dario Castrillon Hoyos e Julian Herranz. Il ritardo nella pubblicazione del documento pare si debba a forti resistenze in alcuni settori del clero (specialmente da parte della Conferenza episcopale francese). Il teologo e collaboratore della Congregazione per la Dottrina della fede, Monsignor Nicola Bux (amico personale del Santo Padre), afferma: "Potete scriverlo tranquillamente, il Papa Benedetto XVI ama la concertazione e la collaborazione e non vuol decidere tutto da solo, per questo ha ascoltato vari e ripetuti pareri, ma il Motu Proprio per la liberalizzazione della Messa in latino è stato firmato ed è imminente la sua pubblicazione, direi che è questione di giorni". La Messa tridentina è celebrata interamente in latino, ad eccezione di alcune parole e frasi in greco antico ed ebraico; è inframmezzata da lunghi periodi di silenzio, per consentire ai fedeli di poter adeguatamente meditare circa la grandezza del mistero eucaristico al quale sono chiamati ad assistere. I fedeli seguono la liturgia leggendo il messalino od il foglietto bilingue, che riportano, a fianco del testo latino, la traduzione integrale dei passi in italiano o nelle altre lingue nazionali. Non è soltanto l'uso della lingua ecclesiastica ed universale ("cattolico" significa appunto universale) a costituire la sola differenza intercorrente tra la Messa tridentina e quella moderna. Il sacerdote, a differenza di quanto avviene nel corso del nuovo rito, volge le spalle ai fedeli, in quanto celebra rivolto al tabernacolo ed all'altare che costituisce la rappresentazione del Calvario, l'immagine è quella del celebrante che guida il popolo. Il Vangelo viene letto sempre sul lato destro dell'altare, mentre l'Epistola sul lato sinistro (da cui il termine "in cornu evangelii" e "in cornu epistulae". La comunione - solo l'ostia, per i fedeli - viene ricevuta in ginocchio, e in bocca. Alla Messa si assiste per lo più in ginocchio, perché si crede al suo grandissimo mistero, perché si crede alla presenza reale di Gesù in corpo, sangue, anima e divinità, perché in ginocchio è la postura dell'umile peccatore che implora la misericordia di Dio. La limitazione della Messa tridentina da parte del Concilio Vaticano II è stata la causa principale dello scisma tra i seguaci del vescovo francese Marcel Lefebvre e la Chiesa di Roma. Uno scisma doloroso, nato sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, che con il "Motu Proprio" di Benedetto XVI sembra destinato a rientrare definitivamente.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/06-07-33.htm)

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