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Visualizza Versione Completa : 25 aprile - S. Marco evangelista



Augustinus
24-04-04, 18:01
In onore di S. Marco evangelista apro questo thread.

Augustinus

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dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=20850):

San Marco Evangelista

25 aprile - Festa

sec. I

Marco era figlio di Maria di Gerusalemme, nella cui casa si rifugiò Pietro liberato dal carcere. Collaborò con Barnaba all'opera apostolica di Paolo, al quale fu vicino anche nella prigionia di Roma. Discepolo fedele di Pietro ('mio figlio' 1Pt 5,13), scrisse il secondo vangelo, raccogliendo la predicazione dell'apostolo sui detti e sui fatti di Gesù. Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù, Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del vangelo di Marco è la professione di fede del centurione ai piedi della croce. (Mess. Rom.)

Ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. San Pietro, che lo chiama «figlio mio», lo ebbe certamente con sè nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. Oltre alla familiarità con san Pietro, Marco può vantare una lunga comunità di vita con l'apostolo Paolo, che incontrò nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sè il giovane nipote Marco, che più tardi si troverà al fianco di san Paolo a Roma. Nel 66 san Paolo ci dà l'ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: «Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi». L'evangelista probabilmente morì nel 68, di morte naturale, secondo una relazione, o secondo un'altra come martire, ad Alessandria d'Egitto. Gli Atti di Marco (IV secolo) riferiscono che il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Secondo una leggenda due mercanti veneziani avrebbero portato il corpo nell'828 nella città della Venezia. (Avvenire)

Patronato: Segretarie

Etimologia: Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino

Emblema: Leone

Martirologio Romano: Festa di san Marco, Evangelista, che a Gerusalemme dapprima accompagnò san Paolo nel suo apostolato, poi seguì i passi di san Pietro, che lo chiamò figlio; si tramanda che a Roma abbia raccolto nel Vangelo da lui scritto le catechesi dell’Apostolo e che abbia fondato la Chiesa di Alessandria.

Martirologio tradizionale (25 aprile): Ad Alessandria il natale del beato Marco Evangelista. Questi, discepolo ed interprete dell’Apostolo Pietro, pregato in Roma dai fratelli, scrisse il Vangelo, col quale se ne andò in Egitto, e per primo annunziando Cristo in Alessandria, vi fondò la Chiesa. Poi, preso per la fede di Cristo, legato con funi e trascinato fra i sassi, fu gravemente tormentato; quindi, chiuso in carcere, prima fu confortato da un’angelica visione, e finalmente, apparendogli lo stesso Signore, fu chiamato ai gaudii celesti, nell’anno ottavo di Nerone.

Nei libri del Nuovo Testamento Marco è ricordato dieci volte, col nome ebraico di Giovanni, col nome romano di Marco o col doppio nome di Giovanni Marco. Per alcuni studiosi si dovrebbero distinguere due o addirittura tre Marco. Noi accettiamo qui l'opinione più comune di un solo Giovanni Marco, figlio di quella Maria nella cui casa si radunavano i primi cristiani di Gerusalemme e dove andò a rifugiarsi lo stesso S. Pietro dopo la prodigiosa liberazione dal carcere.
Marco, ebreo di origine, nacque probabilmente fuori della Palestina, da famiglia benestante. S. Pietro, che lo chiama "figlio mio", lo ebbe certamente con sè nei viaggi missionari in Oriente e a Roma, dove avrebbe scritto il Vangelo. L'antichità cristiana, a cominciare da Papia (130), chiamò Marco "interprete di Pietro": "Marco, un interprete di Pietro, ha messo in iscritto esattamente tutto quello di cui si ricordava. Però scrisse quello che dal Signore è stato detto o fatto, non secondo l'ordine. Marco cioè non ha udito il Signore, né lo ha accompagnato; ma più tardi ha udito Pietro, che disponeva i suoi insegnamenti secondo il bisogno... ".
Oltre alla familiarità con S. Pietro, l'evangelista Marco può vantare una lunga comunità di vita con l'apostolo Paolo, che incontrò la prima volta nel 44, quando Paolo e Barnaba portarono a Gerusalemme la generosa colletta della comunità di Antiochia. Al ritorno, Barnaba portò con sè il giovane nipote Marco. Evangelizzata Cipro, quando Paolo progettò un più faticoso e rischioso viaggio nel cuore dell'Asia Minore, tra le infide e bellicose popolazioni semibarbare del Tauro, Marco - si legge negli Atti degli Apostoli - "si separò da Paolo e Barnaba e tornò a Gerusalemme". Poi Marco tornò al fianco di S. Paolo mentre questi era prigioniero a Roma.
Nel 66 S. Paolo ci dà l'ultima informazione su Marco, scrivendo dalla prigione romana a Timoteo: "Porta con te Marco. Posso bene aver bisogno dei suoi servizi".
I dati cronologici della vita di S. Marco rimangono incerti. Egli morì probabilmente nell'anno 140 dell'impero di Nerone (68), di morte naturale, secondo una relazione, e secondo un'altra come martire, ad Alessandria d'Egitto. Gli Atti di Marco, uno scritto della metà del quarto secolo, riferiscono che S. Marco il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria legato con funi al collo. Gettato in carcere, il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e soccombette. Il suo corpo, dato alle fiamme, venne sottratto alla distruzione dai fedeli. Il trafugamento del suo corpo da parte di due mercanti veneziani nell'828 appartiene alla leggenda, ma è attorno a questa leggenda che è stata eretta dal 976 al 1071 la stupenda basilica veneziana dedicata all'autore del secondo Vangelo, simboleggiato dal leone.

Autore: Piero Bargellini

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Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico:

La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani.
Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.

Discepolo degli Apostoli e martirio

Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagnae del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se ne tornò a Gerusalemme.
Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo.
Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi saluti e quelli di “Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco “perché mi sarà utile per il ministero”.
Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella zona di Alessandria subì il martirio, sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.

Il Vangelo

Il Vangelo scritto da Marco, considerato dalla maggioranza degli studiosi come “lo stenografo” di Pietro, va posto cronologicamente tra quello di s. Matteo (scritto verso il 40) e quello di s. Luca (scritto verso il 62); esso fu scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a Pietro.
È stato così descritto: “Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella stesura del medesimo e ci ha per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani, specialmente nella Chiesa di Roma”.
Il racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei sedici capitoli che lo compongono, seguono uno schema altrettanto semplice; la predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e Resurrezione.
Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo.

Le vicende delle sue reliquie - Patrono di Venezia

La chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
E in questo luogo nell’828, approdarono i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e l’arenarsi su una secca.
Le reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio, figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova il tesoro di San Marco.
Iniziò la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello Giovanni suo successore; Dante nel suo memorabile poema scrisse. “Cielo e mare vi posero mano”, ed effettivamente la Basilica di San Marco è un prodigio di marmi e d’oro al confine dell’arte.
Ma la splendida Basilica ebbe pure i suoi guai, essa andò distrutta una prima volta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale.
Nel 976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il Palazzo che la Basilica; l’attuale ‘Terza San Marco’ fu iniziata invece nel 1063, per volontà del doge Domenico I Contarini e completata nei mosaici e marmi dal doge suo successore, Domenico Selvo (1071-1084).
La Basilica fu consacrata nel 1094, quando era doge Vitale Falier; ma già nel 1071 s. Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della Serenissima, al posto di s. Teodoro, che fino all’XI secolo era il patrono e l’unico santo militare venerato dappertutto.
Le due colonne monolitiche poste tra il molo e la piazzetta, portano sulla sommità rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che uccide un drago simile ad un coccodrillo.
La cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25 aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
Dopo la Messa celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica.
Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: “Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, che per secoli fu posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò il suo dominio.
San Marco è patrono dei notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro, degli ottici; la sua festa è il 25 aprile, data che ha fatto fiorire una quantità di detti e proverbi.

Autore: Antonio Borrelli

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Augustinus
24-04-04, 18:03
La Chiesa, sparsa in tutto il mondo, fino agli ultimi confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede nell'unico Dio, Padre onnipotente, che fece il cielo la terra e il mare e tutto ciò che in essi è contenuto (cfr. At 4, 24). La Chiesa accolse la fede nell'unico Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza. Credette nello Spirito Santo che per mezzo dei profeti manifestò il disegno divino di salvezza: e cioè la venuta di Cristo, nostro Signore, la sua nascita dalla Vergine, la sua passione e la risurrezione dai morti, la sua ascensione corporea al cielo e la sua venuta finale con la gloria del Padre. Allora verrà per «ricapitolare tutte le cose» (Ef 1, 10) e risuscitare ogni uomo, perché dinanzi a Gesù Cristo, nostro Signore e Dio e Salvatore e Re secondo il beneplacito del Padre invisibile «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua lo proclami» (Fil 2, 10) ed egli pronunzi su tutti il suo giudizio insindacabile.

Avendo ricevuto, come dissi, tale messaggio e tale fede, la Chiesa li custodisce con estrema cura, tutta compatta come abitasse in un'unica casa, benché ovunque disseminata. Vi aderisce unanimemente quasi avesse una sola anima e un solo cuore. Li proclama, li insegna e li trasmette all'unisono, come possedesse un'unica bocca.

Benché infatti nel mondo diverse siano le lingue, unica e identica è la forza della tradizione. Per cui le chiese fondate in Germania non credono o trasmettono una dottrina diversa da quelle che si trovano in Spagna o nelle terre dei Celti o in Oriente o in Egitto o in Libia o al centro del mondo. Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l'universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. E così tra coloro che presiedono le chiese nessuno annunzia una dottrina diversa da questa, perché nessuno è al di sopra del suo maestro.

Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il contenuto della tradizione. Unica e identica è la fede. Perciò né il fecondo può arricchirla, né il balbuziente impoverirla.

http://www.wga.hu/art/d/donatell/1_early/orsanmic/2mark_1.jpg http://www.wga.hu/art/d/donatell/1_early/orsanmic/2mark_2.jpg http://www.artchive.com/artchive/d/donatello/donatello_saint_mark.jpg Donatello, S. Marco, 1411-13, Orsanmichele, Firenze

http://www.wga.hu/art/d/donatell/2_mature/sacristy/1sacri09.jpg Donatello, S. Marco evangelista, 1428-43, Vecchia Sacrestia, Chiesa di San Lorenzo, Firenze

http://www.wga.hu/art/b/bartolom/fra/christ4e.jpg Fra Bartolomeo, Cristo ed in quattro evangelisti, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze

http://www.wga.hu/art/d/durer/1/10/5_4holy.jpg http://www.wga.hu/art/d/durer/1/10/5_4holy2.jpg Albrecht Dürer, Quattro Santi uomini, 1526, Alte Pinakothek, Monaco. I quattro santi sono Giovanni evangelista e Pietro a sinistra e Marco e Paolo a destra

Augustinus
24-04-04, 18:05
Capp. 23 e 24. Messaggio di santa Caterina da Siena, Vincenziane, 1970, 52‑55. Testo adattato.

La Verità eterna diceva a Caterina:

"Ogni creatura, che è dotata di ragione, ha la vigna in se stessa, cioè, la: vigna dell'anima sua. La volontà, mediante il libero arbitrio, è il lavoratore di questa vigna, durante il tempo di questa vita. Passato questo tempo, la volontà non può più fare lavoro alcuno, ne buono ne cattivo; invece, finché vive può lavorare la sua vigna, nella quale io l'ho messa.

Ed ha ricevuta tanta fortezza questo lavoratore dell'anima, che ne demonio ne altra creatura gliela può togliere, se egli non vuole; poiché, ricevendo il santo Battesimo, si fortificò e gli fu dato Il coltello dell'amore alla virtù e dell'odio al peccato. Quest'amore e quest'odio li trova nel sangue di Cristo. perché per amore di voi e odio del peccato l'unigenito mio Figlio morì, dandovi il sangue; per questo sangue aveste vita nel santo Battesimo.

E cosi avete il coltello, che dovete usare col libero arbitrio, finché ne avete Il tempo, per svellere le spine dei peccati mortali e piantare le virtù. In altro modo voi non potreste ricevere il frutto del sangue dai lavoratori che io ho messi nella santa Chiesa, i quali già ti dissi che tolgono il peccato mortale, e vi danno la grazia, somministrandovi il sangue nei sacramenti, che sono ordinati nella santa Chiesa.

Conviene che prima vi leviate su con la contrizione del cuore, con il dispiacimento del peccato e l'amore della virtù; allora riceverete il frutto del sangue.

In altro modo non potreste riceverlo, se da parte vostra voi non vi disponete come tralci uniti alla vite dell'unigenito mio Figliuolo. il quale disse: Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo, voi i tralci.

La verità è questa: io sono il lavoratore, perché ogni cosa che ha l'essere è uscita ed esce da me. La mia potenza è inestimabile, e con la mia potenza e virtù governo tutto l'universo mondo: nessuna cosa è fatta o governata senza di me. Sicché io sono il lavoratore che piantai la vite vera dell'unigenito mio Figliuolo nella tetra della vostra umanità, affinché voi, tralci uniti con la vite, faceste frutto.

Perciò, chi non farà frutto di sante e buone opere sarà tagliato da questa vite e si seccherà.

Coloro che si separano dalla vite, perdono la vita della grazia e sono messi nel fuoco eterno.

Essi non hanno lavorato la loro vigna; hanno disfatta la loro e l'altrui.

Non solo non vi hanno messo alcuna buona pianta di virtù ma ne hanno pure tolto il seme della grazia. che avevano ricevuto alla luce del santo Battesimo, partecipando del sangue del mio Figliuolo, il quale fu il vino che vi porse questa vera vite. Ma essi hanno tratto via questo seme e l'hanno dato a mangiare agli animali, ossia a diversi e molti peccati, e l'hanno messo sotto i piedi dell'affetto disordinato. Con questo affetto hanno offeso me, facendo danno a se stessi e al prossimo.

Ma i miei servi non fanno così; e cosi dovete fare voi, cioè essere uniti e innestati in questa vite. Allora riporterete molto frutto, perché parteciperete dell'umore della vite.

Stando nel Verbo, mio Figliuolo, voi state in me, poiché io sono una cosa sola con lui ed egli con me. Stando in lui, seguirete la dottrina sua; seguendo la sua dottrina, partecipate della sostanza di questo Verbo, ossia partecipate della deità eterna unita all'umanità, traendone voi un amore divino In cui l'anima s'inebria. Per questo ti dissi che partecipate della sostanza della vite.

Sai che modo io tengo appena i miei servi si uniscono nel seguire la dottrina del dolce e amoroso Verbo? Io li poto, affinché facciano molto frutto, e il loro frutto sia provato e non Inselvatichisca.

Lo stesso si fa del tralcio che sta nella vite; Il lavoratore lo pota, perché faccia miglior vino e in maggior copia; ma taglia e mette al fuoco quello che non fa f rutto. Cosi fo io, vero lavoratore; poto con molte tribolazioni I miei servi che stanno in me, affinché facciano frutto più copioso e migliore, e sia provata la loro virtù. Quelli invece che non fanno frutto, sono tagliati e messi nel fuoco, come ti ho detto.

Questi tali sono lavoratori veri, e lavorano bene l'anima loro, traendone fuori ogni amor proprio, rivoltando la terra del loro affetto per me. Cosi nutrono e accrescono il seme della grazia, avuto nel santo Battesimo.

Lavorando la loro terra, lavorano anche quella del prossimo, perché non possono lavorare l'una senza l'altra. Già sai che io ti dissi che tanto il male come il bene si fanno col mezzo del prossimo.

Voi dunque siete i miei lavoratori usciti da me, sommo ed eterno lavoratore, che vi ho uniti e innestati nella vite, per l'unione che ho fatta con voi.

Augustinus
24-04-04, 18:13
Dei Verbum, 11.17; 19.7‑10. AAS 58 (1966), 823, 826‑827, 820‑822.

Le verità divinamente rivelate, che nei libri della sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo (Gv 20,31; 2 Tm 3,16; 2 Pt 1,19‑21.3.15‑16). La santa Madre Chiesa, per fede apostolica, reputa sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti. Infatti, scritti per ispirazione dello Spirito Santo, essi hanno Dio per autore, e come tali, sono stati consegnati alla Chiesa.

Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e risorse. Egli agì in essi e per loro mezzo, in modo che scrivessero come veri autori tutto e solamente quello che egli voleva fosse scritto.

Perciò tutto quello che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, va stimato asserito dallo Spirito Santo; dobbiamo anche reputare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnarono con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, in ordine alla nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Lettere.

Pertanto: Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare. convincere. correggere e formare alla giustizia. perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2 Tm 3,16).

La parola di Dio, che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede (Mc 1,16), si rivela e manifesta la sua forza in modo eminente negli scritti del Nuovo Testamento. Quando infatti venne la pienezza del tempo (Gal 4,4), il Verbo si fece carne e abitò tra noi pieno di grazia e di verità (Gv 1,14).

Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifesto con opere e parole il Padre suo e se stesso; egli portò a compi l'opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, e l'invio dello Spirito Santo. Sollevato in alto, attira tutto a se (Gv 12,32), lui che solo ha parole di vita eterna (Gv 6,68).

Questo mistero non fu palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato al santi apostoli e ai profeti nello Spirito Santo (Ef 3,5), perché predicassero il vangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo e Signore e congregassero la Chiesa.

Di tutto ciò gli scritti dei Nuovo Testamento sono testimonianza perenne e divina.

A nessuno sfugge che fra tutte le Scritture, anche del Nuovo Testamento, i Vangeli giustamente eccellono; essi costituiscono, infatti, la principale testimonianza sulla vita e la dottrina del Verbo Incarnato, nostro Salvatore.

Sempre e in ogni luogo la Chiesa afferma che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito di Dio, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti, come fondamento della fede: cioè il Vangelo quadriforme, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni

La santa Madre Chiesa ha affermato e afferma con forza e massima costanza che i quattro suddetti Vangeli, di cui attesta senza alcuna esitazione la storicità, ci trasmettono fedelmente quanto Gesù, Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (At 1,1‑2).

Dopo l'ascensione, gli apostoli trasmisero ai loro ascoltatori ciò che il Signore aveva detto e fatto. Istruiti dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, essi insegnarono con quella più completa intelligenza di cui godevano.

Gli autori sacri scrissero allora i quattro Vangeli: essi scelsero alcuni elementi tra i molti che erano tramandati a voce o anche per iscritto, alcuni altri sintetizzando, altri spiegando in funzione della situazione delle Chiese. Conservarono sempre però il carattere di predicazione, in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità.

Questi autori infatti attinsero sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di quelli che fin da principio furono testimoni oculari e ministri della parola; e scrissero con l'intenzione di farci conoscere la "verità" (Lc 1, 2‑4) circa gli insegnamenti che abbiamo ricevuto.

Per conservare sempre integro e vivo nella Chiesa il Vangelo, gli apostoli lasciarono come loro successori i vescovi, ai quali affidarono il proprio posto di maestri. Questa sacra Tradizione, dunque, e la Scrittura sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono come uno specchio nel quale la Chiesa in terra contempla Dio. Essa riceve tutto da lui, finche giunga a vederlo a faccia a faccia, come egli è (1 Gv 3, 2).

Per questo motivo, la predicazione apostolica, che e espressa in modo speciale nel libri ispirati, doveva essere conservata con successione continua sino alla fine dei tempi. Gli apostoli, trasmettendo quello che essi stessi hanno ricevuto, ammoniscono i fedeli di attenersi alle tradizioni apprese sia a voce sia per lettera (2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede loro tramandata una. volta per sempre (Gd 3).

Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del Popolo di Dio e all'incremento della fede. Cosi la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a ogni generazione tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede.

La Tradizione che deriva dagli apostoli progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo. Cresce, infatti, la comprensione sia delle cose sia delle parole tramandate, grazie alla contemplazione dei credenti che le conservarono in cuor loro (Lc 2,19.51) oppure attraverso la penetrazione profonda delle realtà spirituali che essi sperimentano; cresce per la predicazione di coloro che mediante la successione nell'episcopato hanno ricevuto un carisma sicuro di verità.

La Chiesa, cioè, nel corso dei secoli, tende continuamente alla pienezza della verità divina, finché in essa non si compiano le parole di Dio.

Le affermazioni dei santi Padri testimoniano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze vengono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e prega.

Attraverso questa medesima Tradizione si manifesta alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri; e le stesse sacre Scritture sono comprese più profondamente e rese continuamente operanti proprio grazie alla Tradizione.

In questo modo, Dio, il quale ha parlato In passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo diletto Figlio. La viva voce del Vangelo risuona cosi per mezzo dello Spirito Santo nella Chiesa e attraverso la Chiesa nel mondo Intero. Lo Spirito Santo guida i credenti alla verità intera e la parola di Cristo abita in essi con tutta la sua ricchezza (Col 3,16).

La sacra Tradizione e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte tra loro e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, formano in certo modo una sola corrente e tendono verso il medesimo fine. Infatti la sacra Scrittura è parola di Dio, in quanto scritta per Ispirazione dello Spirito di Dio.

La sacra Tradizione poi trasmette integralmente la parola di Dio affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli e ai loro successori. Illuminati dallo Spirito dì verità, con la loro predicazione essi devono fedelmente conservarla, esporla e diffonderla; ne segue che la Chiesa attinge la certezza su tutto Il dato rivelato solo dall'unica Scrittura. La sacra Tradizione e la sacra Scrittura devono dunque essere ricevute e venerate con pari sentimenti di pietà e di rispetto.

La sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Nell'adesione ad esso, tutto il popolo santo, unito ai suoi pastori, assiduamente persevera nella dottrina degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (At 2, 42), e nel confessare la fede trasmessa, si stabilisce un accordo tra i vescovi e i fedeli, degno di nota.

Però, l'ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità viene esercitata nel nome di Gesù Cristo.

Questo magistero, tuttavia, non è superiore alla parola di Dio, ma la serve, perché insegna solo ciò che è stato trasmesso. Infatti, per mandato divino e con l'assistenza dello Spirito Santo, la Chiesa piamente ascolta la parola di Dio,, santamente la custodisce e la espone con fedeltà. Da questo unico deposito della fede essa attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.

Augustinus
24-04-04, 18:29
http://img143.imageshack.us/img143/8589/stmarkzl9.jpg http://www.wga.hu/art/t/tiziano/01b/1mark.jpg http://www.cattolicesimo.com/immsacre/SMark.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/7HNWFJ/06-528692.jpg Tiziano Vecellio, S. Marco in trono e Santi, 1510, Chiesa di Santa Maria della Salute, Venezia. I Santi in basso sono SS. Cosma e Damiano a sinistra e SS. Rocco e Sebastiano a destra

http://www.wga.hu/art/t/tiziano/01b/32mark.jpg Tiziano Vecellio, S. Marco, Santa Maria della Salute, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tiziano/07_1570s/09grima0.jpg http://worldroots.com/brigitte/gifs/antoniogrimani.jpg Tiziano Vecellio, Il Doge Antonio Grimani inginocchiato dinanzi alla fede ed alla presenza di S. Marco, 1575-76, Palazzo Ducale, Venezia

Augustinus
24-04-04, 18:43
http://www.tigtail.org/TIG/TVM/X1/a.Early%20Italian/mantegna/S_OK/mantegna_st_mark.1449.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/eb/Andrea_Mantegna_087.jpg http://img105.imageshack.us/img105/34/marco5tf.jpg Andrea Mantegna, S. Marco, 1448-49 circa, Stadelsches Kunstinstitut, Francoforte

http://www.wga.hu/art/b/bronzino/3/3tondo3.jpg Agnolo Bronzino, S. Marco, 1525, Cappella Capponi, Santa Felicità, Firenze

http://www.wga.hu/art/c/carpacci/5/06mark.jpg http://www.wga.hu/art/c/carpacci/5/06mark1.jpg Vittore Carpaccio, Leone di S. Marco, 1516, Palazzo Ducale, Venezia

http://www.artchive.com/artchive/r/rubens/rubens_evangelists.jpg http://img90.imageshack.us/img90/7295/4dpictlb7.jpg Pietr Pawel Rubens, I quattro evangelisti, 1614, Schloss Sanssouci, Berlino

Augustinus
24-04-05, 22:27
http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/91/ME0000059112_3.JPG http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/JSBL2K/97-000496.jpg http://www.wga.hu/art/j/jordaens/3/4evangel.jpg Jacob Jordaens, I quattro evangelisti, 1625-30, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/s/stom/markluke.jpg Matthias Stom, Gli evangelisti Marco e Luca, 1635 circa, collezione privata

http://www.wga.hu/art/v/veronese/02a/3sacrist/4mark.jpg Paolo Veronese, S. Marco, 1555, Chiesa di San Sebastiano, Venezia

http://collectionsonline.lacma.org/MWEBimages/eps_mm/full/M91_242.JPG http://www.insecula.com/Photos/00/00/10/35/ME0000103515_3.jpg http://www.insecula.com/Photos/00/00/10/35/ME0000103516_3.jpg Maestro dell'Epifania di Fiesole, Cristo (di Lucca) sulla Croce tra i SS. Vincenzo Ferrer, Giovanni Battista, Marco ed Antonino di Firenze, 1491-95, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

Augustinus
25-04-05, 08:18
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 564-570

25 APRILE

SAN MARCO, EVANGELISTA

Il Leone evangelico, che vigila avanti al trono di Dio, insieme all'Uomo, al Bue, e all'Aquila, viene oggi festeggiato dalla santa Chiesa. È il giorno che vide Marco salire dalla terra al cielo, con la fronte cinta dalla duplice aureola dell'Evangelista e del Martire.

L'evangelista.

Come i quattro profeti maggiori - Isaia, Geramia, Ezechiele e Daniele - riassumono in sé il ministero profetico in Israele, così Dio voleva che la nuova alleanza riposasse su quattro testi degni di venerazione, destinati a rivelare al mondo la vita e la dottrina del suo Figliolo incarnato. Marco è discepolo di Pietro. Il suo Vangelo è stato scritto a Roma, sotto l'ispirazione del Principe degli Apostoli. Quello di Matteo era già in uso nella Chiesa; ma i fedeli di Roma desideravano che vi fosse aggiunta la narrazione personale dell'Apostolo. Pietro non intese scriverlo di proprio pugno, ma ordinò al suo discepolo di prendere la penna; e lo Spirito Santo condusse la mano del nuovo Evangelista. Marco si attiene alla narrazione di Matteo; l'abbrevia e, nello stesso tempo, la completa. Una parola, un cenno che ne sviluppi i fatti, attestano, ad ogni pagina, che Pietro, testimone e uditore di tutto, ispirò il lavoro del discepolo. Ma il nuovo Evangelista passerà sotto silenzio, o cercherà di attenuare la colpa del suo Maestro? Ben lungi da ciò, il Vangelo di Marco sarà più duro di quelle di Matteo nel raccontare il rinnegamento dì Pietro. Vi si sente che le amare lacrime, provocate dallo sguardo di Gesù nella casa di Caifa, non avevano cessato di sgorgare. Quando il lavoro di Marco fu compiuto, Pietro lo riconobbe giusto e l'approvò, le Chiese accolsero con gioia questa seconda narrazione dei misteri svoltisi per la salvezza del mondo ed il nome di Marco divenne celebre per tutta la terra [1].

Matteo, che comincia il suo Vangelo con la genealogia umana del Figlio di Dio, aveva realizzato il tipo celestiale dell'Uomo; Marco compie quello del Leone, poiché inizia con la predicazione di Giovanni Battista, ricordando che la missione del Precursore del Messia era stata annunciata da Isaia, quando aveva parlato della voce di colui che grida nel deserto; voce del leone che scuote le solitudini col suo ruggito.

Il Missionario.

La missione apostolica cominciò per Marco dopo la stesura del suo Vangelo. Il momento era giunto in cui l'Egitto, fonte di tutti gli errori, doveva ricevere la verità; la superba Alessandria avrebbe visto sorgere, tra le sue mura, la seconda Chiesa della cristianità, la seconda cattedra di Pietro. Marco era stato destinato, dal suo maestro a compiere questa grande opera. Per mezzo della sua predicazione, la dottrina salvifica germogliò, fiorì, producendo il buon seme in questa terra infedele; e da allora l'autorità di Pietro si delineò, anche se in gradi diversi, nelle tre grandi città dell'Impero: Roma, Alessandria e Antiochia.

Il Martire.

Ma la gloria di Marco sarebbe restata incompleta se l'aureola del martirio non fosse venuta a incoronarla [2]. I successi della predicazione del santo Evangelista sollevarono contro di lui i furori dell'antica superstizione egiziana. Durante una festa a Serapide, Marco venne maltrattato dagli idolatri e gettato in una prigione. Fu lì che il risorto Signore, di cui aveva raccontato la vita e le opere, gli apparve una notte, e gli disse quelle celebri parole, che sono poi state il motto della città di Venezia "La pace sia con te, Marco, Evangelista mio"! Al che il discepolo, preso dall'emozione, non potè rispondere che: "Signore!" non trovando altre parole per esprimere la gioia e l'amore; come fece la Maddalena nel mattino di Pasqua, quando restò in silenzio, dopo avere esclamato: "Maestro"! L'indomani Marco fu immolato dai Pagani; aveva compiuta la sua missione, il ciclo si apriva a colui che avrebbe occupato ai piedi del trono dell'Antico dei giorni il posto d'onore ove il profeta di Patmos lo contemplò nella sua sublime visione (Ap 4,6-11). Nel IX secolo, la Chiesa Occidentale si arricchì delle spoglie mortali di Marco. I suoi sacri resti, fino ad allora venerati in Alessandria, furono trasportati a Venezia, che, sotto i suoi auspici, cominciò quel glorioso destino che durò mille anni. La fede in un così grande patrono, operò meraviglie in quegli isolotti ed in quelle lagune, che videro innalzarsi presto una città, altrettanto potente che magnifica. L'arte bizantina costruì l'imponente e sontuosa Chiesa che fu il palladio della regina dei mari; e la nuova repubblica incise sulle sue monete l'effige del Leone di san Marco; sarebbe stata fortunata se, più filiale verso Roma e più severa nei suoi costumi, non avesse degenerato nella dignità della condotta e nella fede dei suoi secoli di gloria!

Preghiera.

Tu sei, o Marco, il Leone misterioso attaccato, insieme con l'Uomo, col Bue e con l'Aquila, al carro sul quale il Re dei re avanza alla conquista del mondo. Fin dall'antica Alleanza, Ezechiele ti vide nel cielo, e Giovanni, il profeta della nuova Legge, ti riconobbe presso il trono di Dio. Quale gloria è la tua! Storico del Verbo fatto carne, narrasti a tutte le generazioni ciò che gli da diritto all'amore e all'adorazione degli uomini; la Chiesa s'inchina di fronte ai tuoi scritti e li dichiara ispirati dallo Spirito Santo.

Nello stesso giorno di Pasqua ti abbiamo ascoltato nel racconto che ci fai della Risurrezione del nostro Salvatore; ottienici, o Santo Evangelista, che questo mistero produca in noi tutti i suoi frutti; che il nostro cuore, come il tuo, si stringa a Gesù risorto, affinché lo seguiamo ovunque in questa nuova vita che ci ha aperto, risuscitando per primo.

Domandagli che si degni di concederci la sua pace, come la dette ai suoi Apostoli, quando apparve nel Cenacolo; come la dette anche a te, nella prigione.

Tu fosti il discepolo di Pietro; Roma si onora di averti ospitato tra le sue mura; prega adesso per il successore del tuo Maestro, per la Chiesa Romana, sbattuta dalla tempesta. Leone evangelico, implora il Leone della tribù di Giuda in favore del suo popolo; risveglialo dal suo sonno; pregalo di levarsi con la sua forza: mediante il suo solo aspetto, dissiperà tutti i nemici.

O Apostolo dell'Egitto! cosa è divenuta la tua Chiesa di Alessandria, seconda cattedra di Pietro, arrossata dal tuo sangue? Le stesse rovine sono perite. Il vento infuocato dell'eresia portò la desolazione in Egitto, e Dio, nella sua collera, tredici secoli fa, scatenò su di esso il torrente dell'islamismo. Quelle contrade, dovranno dunque rinunziare per sempre a veder brillare di nuovo la fiamma della fede, fino alla venuta del Giudice dei vivi e dei morti? L'ignoriamo; ma, in mezzo agli avvenimenti che si succedono, osiamo pregarti, o Marco, d'intercedere per quelle regioni che evangelizzasti, e dove le anime sono altrettanto devastate quanto il suolo.

Ricordati anche di Venezia, o Marco! il suo scettro è caduto, forse per sempre; ma essa è ancora abitata da quel popolo, i cui antenati si consacrarono a te. Conserva in esso la fede; accordagli la prosperità, fa' che si risollevi dalle prove avute e renda gloria a Dio.

LA PROCESSIONE DI SAN MARCO

Storia.

La giornata odierna ha un particolare interesse nei fasti della Liturgia per la celebre processione, detta di san Marco. L'appellativo, di per sé, non è esatto, perché la processione era già fissata al 25 Aprile prima dell'istituzione della festa del santo Evangelista, che, nel VI secolo, non ne aveva ancora una memoria fissa nella Chiesa romana. Il vero nome di questa Processione è di Litania Maggiore.

La parola Litania significa supplica, e si riferisce ad una processione religiosa durante la quale si eseguono alcuni canti che hanno per scopo di placare il cielo. Indica pure il grido che vi si ripete: "Signore, abbiate pietà!" che ha il medesimo significato delle due parole greche Kyrie, eleison. Più tardi fu applicato il nome di Litanie a tutto l'insieme d'invocazioni aggiunte al seguito delle due parole greche, in maniera da formare un corpo di preghiera liturgica che la Chiesa impiega in alcune circostanze importanti.

La Litania maggiore è chiamata così per distinguerla dalle Litanie minori, o processioni delle Rogazioni, istituite nella Gallia nel V secolo. Da uno scritto di san Gregorio Magno, vediamo che l'uso della Chiesa Romana era di celebrare, ogni anno, una Litania maggiore alla quale prendevano parte tutto il clero e tutto il popolo; uso già molto antico. Il santo Pontefice non fece dunque che fissare questa processione al 25 Aprile, e indicare per luogo stazionale la Basilica di S. Pietro.

Molti liturgisti hanno confuso, con la detta istituzione, le Processioni che ordinò varie volte san Gregorio durante le pubbliche calamità: sono ben distinte da quella di oggi, che era in uso già antecedentemente, ma senza data fissa. È dunque a questo giorno che è in relazione la sua determinazione fissa, e non alla solennità di san Marco, stabilita più tardi.

Se capita che il 25 Aprile cada nella settimana di Pasqua, la processione ha luogo nel giorno stesso, almeno che non sia proprio il. giorno della Risurrezione: la festa dell'Evangelista è invece rimandata dopo l'Ottava.

Si potrebbe domandare perché si scelse il 25 Aprile per indicare una Processione ed una Stazione, tutta improntata a compunzione e penitenza, in un tempo dell'anno in cui la Chiesa è immersa nelle gioie della Risurrezione del Signore.

Presso gli antichi Romani, il 25 Aprile si celebrava la festa dei Robigalia, festa che consisteva soprattutto in una processione molto popolare, che andava dalla via Flaminia al Tempio del dio Robigo. Qui si offrivano preghiere e sacrifici alla divinità affinché preservasse il grano dalla ruggine nell'epoca in cui si era, ossia quella dei geli tardivi della luna d'aprile. La Chiesa, una volta di più, sostituì l'uso pagano con una cerimonia cristiana.

Non si può fare a meno di costatare il contrasto evidente che esistette fin d'allora tra l'allegrezza dell'attuale periodo e i sentimenti di penitenza che dovevano accompagnare la Processione e la Stazione della Litania maggiore, istituite entrambe con lo scopo d'implorare la misericordia divina. Non ci lamentiamo, dunque, se, pur ricolmati da ogni specie di grazie elargiteci in questo sacro Tempo, inondati dalle gioie Pasquali, la Chiesa senta la necessità d'imporci di rientrare per qualche ora nei sentimenti di compunzione che convengono a peccatori, quali siamo. Si tratta di allontanare i flagelli che le iniquità della terra hanno meritato, di ottenere, umiliandoci e invocando l'aiuto della Madre di Dio e dei Santi, la cessazione delle malattie, la conservazione delle messi; di presentare infine alla divina giustizia un compenso per l'orgoglio, la mollezza e le ribellioni dell'uomo.

Facciamo nostri questi sentimenti, e riconosciamo umilmente la parte che hanno i nostri peccati nei motivi che causarono il divino sdegno. E le nostre deboli suppliche, unite a quelle della Chiesa otterranno grazia per i colpevoli, e per noi che siamo nel numero di essi.

Questo giorno, consacrato alla riparazione della gloria divina, non poteva passare senza la salutare espiazione con la quale il cristiano deve accompagnare l'offerta del suo cuore pentito. Fino alla recente riforma del diritto ecclesiastico, che ne ha data dispensa, l'astinenza dalla carne era obbligatoria a Roma in questo giorno; e quando la Liturgia Romana fu adottata in Francia da Pipino e Carlo Magno, vi fu promulgato lo stesso precetto d'astinenza, mentre era già in uso la grande Litania del 25 Aprile. Il concilio di Aix-la-Chapelle nell'836 vi aggiunse l'obbligo della sospensione delle opere servili, disposizione che troviamo pure nei Capitolari di Carlo il Calvo. In quanto al digiuno propriamente detto, che il tempo pasquale non ammetteva, sembra non essere stato osservato, almeno in modo generale. Amalario, nel IX secolo, attesta che al tempo suo non veniva praticato neppure a Roma.

Durante il corso della Processione si cantano le Litanie dei Santi, seguite dai numerosi versetti ed orazioni che le completano. La Messa della Stazione viene celebrata secondo il rito quaresimale, senza Gloria in excelsis e adoperando il colore viola.

Ci sia qui permesso di protestare contro una gran quantità di cristiani, anche di persone più o meno dedite alla pietà, che non si vedono mai assistere alla Processione di san Marco, né a quelle delle Rogazioni.

Il rilassamento su questo punto è giunto al colmo, soprattutto nelle città. Infatti questi cristiani sono rimasti soddisfatti dell'abolizione dell'astinenza che, prima limitata ad alcune diocesi, ai tempi nostri è stata estesa a tutti i fedeli. Sembrerebbe che questa indulgenza dovesse renderli più zelanti a prender parte all'opera di preghiera, visto che quella della penitenza è stata alleviata dalla dispensa. La presenza del popolo fedele alle Litanie forma una parte essenziale di questo rito riconciliatore; Dio non è tenuto a prendere in considerazione preghiere alle quali non si uniscono quelli che sono chiamati ad offrirle. E questo è uno dei molti punti sui quali una pretesa devozione privata ha gettato nell'illusione molte persone. San Carlo Borromeo, arrivando nella città di Milano, trovò che quel popolo lasciava compiere la Processione del 25 Aprile dal solo clero. Egli s'impose l'obbligo di assistervi in persona; vi andava camminando a piedi nudi; e il popolo, allora, non tardò a seguire le orme del suo pastore.

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NOTE

[1] San Marco riporta nel suo Vangelo i ricordi di san Pietro. Secondo san Papia e sant'Ireneo, l'avrebbe scritto dopo la morte dell'Apostolo. Ai nostri giorni il Padre Lagrange ammette due date possibili per la composizione del Vangelo: o nel 42-43. oppure tra il martirio dei santi Apostoli Pietro e Paolo, nell'anno 70. Dopo avere scritto il Vangelo, Marco si sarebbe recato in Alessandria a predicare la fede.

[2] Nessuno dei Padri ci dice che san Marco fu martirizzato, ma tale è la tradizione della Chiesa e non si può seriamente dubitare che l'Evangelista abbia subito li martirio, anche se gli Atti, che ce ne riportano i dettagli, non sono assolutamente autentici.

Augustinus
25-04-05, 08:22
28 febbraio 1926. AAS, XVIII (1926), 65-66. 68-69.

Non può sfuggire a nessuno come, fin dai primi secoli del cristianesimo, i romani Pontefici rivolsero le loro principali cure e provvidenze nel diffondere la luce della dottrina evangelica e i benefici della civiltà cristiana ai popoli che ancora stavano nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1, 79); essi non si arrestarono mai o per difficoltà incontrate o per ostacoli insorti.
Davvero la Chiesa non ha altro intento se non di rendere partecipe tutto il genere umano dei frutti della redenzione, col dilatare in tutta la terra il regno di Gesù Cristo. E il Vicario in terra di Gesù, Principe dei Pastori, chiunque esso sia, non può affatto appagarsi della semplice difesa e custodia del gregge affidatogli dal Signore; se non vuole venir meno ad uno dei suoi principali obblighi, deve procurare con ogni zelo di guadagnare alla sequela di Gesù Cristo quanti ne stanno ancora lontani.
In ogni tempo, com’è noto, i nostri predecessori eseguirono fedelmente il loro divino mandato d’insegnare e battezzare tutte le genti (cf Mt 28, 19). Non pochi dei sacerdoti da loro inviati, o per esimia santità di vita o per il martirio incontrato, sono venerati pubblicamente dalla Chiesa. Essi si adoperarono, sia pure con vario esito, a illuminare della nostra fede non soltanto l’Europa ma regioni fino allora ignote, man mano che venivano scoperte ed esplorate.

Non occorre insistere a dimostrare quanto sarebbe alieno dalla virtù della carità, che riguarda Dio e tutti gli uomini, se coloro che appartengono all’ovile di Cristo non si dessero pensiero dei miseri i quali ne vanno errando lontano.
Certo il debito di carità che ci stringe a Dio richiede non solo che procuriamo di accrescere il numero di coloro i quali lo conoscono e lo adorano in spirito e verità (Gv 4, 23); è necessario che assoggettiamo al regno dell’amabilissimo Redentore quanti più possiamo, affinché riesca ogni giorno più fruttuosa la fecondità del suo sangue e possiamo sempre più piacergli. A lui sopra ogni cosa è gradito che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm 2, 4).
Gesù Cristo diede come carattere distintivo dei suoi seguaci l’amore vicendevole. Potremmo allora noi dimostrare al nostro prossimo carità maggiore o più insigne che procurando di trarlo dalle tenebre della superstizione e di istruirlo nella vera fede di Cristo? Anzi, questo supera qualunque altra opera o prova di carità, come l’anima è più pregevole del corpo, il cielo della terra, l’eternità del tempo.

Chiunque esercita una simile opera di carità secondo le sue forze, dimostra di stimare il dono della fede quant’è giusto che lo stimi; inoltre manifesta la sua gratitudine verso la bontà di Dio, partecipando a chi purtroppo non conosce il cristianesimo questo stesso dono, il più prezioso di tutti, e con ciò gli altri beni che ad esso vanno uniti.
Se nessun fedele può esimersi da tale dovere, potrà forse esimersene il clero, che per una mirabile scelta e vocazione partecipa del sacerdozio e dell’apostolato di Cristo nostro Signore? Potrete esimervene voi, venerabili fratelli, che, insigniti della pienezza del sacerdozio, siete divinamente costituiti pastori, ciascuno per la sua parte, del clero e del popolo cristiano?
Leggiamo che non al solo Pietro, di cui occupiamo la cattedra, ma a tutti gli Apostoli di cui voi siete i successori, Cristo ordinò: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura (Mc 16, 15). È quindi ovvio che appartiene, sì, a noi la cura della propagazione della fede, ma in modo che anche voi dovete partecipare con noi a tale impresa e aiutarci, per quanto ve lo permette l’adempimento del vostro ufficio particolare.

Con la parola e con gli scritti procurate di introdurre e di gradatamente estendere la santa consuetudine di pregare il padrone della messe che mandi operai nella sua messe (Mt 9, 38), e d’implorare per i non-cristiani gli aiuti del lume e della grazia celeste.
A ragion veduta parliamo di consuetudine e di usanza stabile e continua; presso la divina misericordia, quest’abitudine, come ognuno vede, ha più valore ed efficacia che non preghiere indette o una volta sola o di quando in quando.
I predicatori evangelici potrebbero ben affaticarsi e versare sudori, persino dare la vita per condurre i pagani alla religione cattolica; potrebbero usare ogni industria, ogni diligenza e ogni genere di mezzi umani. Tutto ciò non gioverebbe a nulla, tutto cadrebbe nel vuoto, se Dio con la sua grazia non toccasse i cuori dei non-cristiani per convertirli attirandoli a sé.
Ora è facile capire che non manca a nessuno la possibilità della preghiera, per cui tutti hanno in mano quest’aiuto e questa specie di alimento da dare alle Missioni.

Augustinus
25-04-05, 08:23
21 aprile 1957. AAS 49 (1957), 236-238.240.

Senza alcun dubbio, al solo apostolo Pietro e ai suoi successori, i romani Pontefici, Gesù ha affidato la totalità del suo gregge: Pasci i miei agnelli. Pasci le mie pecorelle (Gv 21, 15.16). Ma, se ogni vescovo è pastore proprio soltanto della porzione del gregge affidata a lui, la qualità di legittimo successore degli apostoli per istituzione divina lo rende solidale e responsabile della missione apostolica della Chiesa, secondo la parola di Cristo ai suoi apostoli: Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi (Gv 20, 21). Questa missione che deve abbracciare tutte le nazioni e tutti i tempi, non è cessata alla morte degli apostoli; essa dura nella persona di tutti i vescovi in comunione con il Vicario di Gesù Cristo. In essi, che sono per eccellenza gli inviati, i missionari del Signore, risiede nella sua pienezza “la dignità dell’apostolato, che è la prima nella Chiesa”, come attesta san Tommaso d’Aquino. Dal loro cuore questo fuoco apostolico, portato da Gesù sulla terra, deve comunicarsi al cuore di tutti i nostri figli e suscitarvi un nuovo ardore per l’azione missionaria della Chiesa nel mondo.

Questo interessamento ai bisogni universali della Chiesa manifesta in modo molto vivo e vero la cattolicità della Chiesa. “Lo Spirito missionario e lo spirito cattolico, abbiamo detto in altra occasione, sono una sola e stessa cosa. La cattolicità è una nota essenziale della Chiesa: a tal punto che un cristiano non è veramente affezionato e devoto alla Chiesa, se non è ugualmente attaccato e devoto alla sua universalità, se non desidera che essa metta radici e fiorisca in tutti i luoghi della terra. Nulla è più estraneo alla Chiesa di Gesù Cristo che la divisione; nulla è più nocivo alla sua vita dell’isolamento, del ripiegarsi su di sé, e di tutte le forme di egoismo collettivo che inducono una comunità cristiana particolare, qualunque essa sia, a chiudersi in se. “Madre di tutte le nazioni e di tutti i popoli, non meno che di tutti gli individui”, la Chiesa, la santa madre Chiesa, “non è e non può essere straniera in alcun luogo; essa vive o almeno, per la sua natura, essa deve vivere in tutti i popoli” .

Inversamente, potremmo dire, nulla di ciò che riguarda la Chiesa, nostra madre, è o può essere estraneo ad un cristiano: come la sua fede è la fede di tutta la Chiesa, come la sua vita soprannaturale è la vita di tutta la Chiesa, così le gioie e le angosce della Chiesa saranno le sue gioie e le sue angosce, le prospettive universali della Chiesa saranno le prospettive normali della sua vita cristiana. Spontaneamente, allora, gli appelli dei romani Pontefici per i grandi compiti apostolici nel mondo avranno eco nel suo cuore, pienamente cattolico, come gli appelli più cari, più gravi, più urgenti. Missionaria fin dalle sue origini, la santa Chiesa non ha cessato, per compiere l’opera cui non potrebbe venir meno, di indirizzare ai suoi figli un triplice invito: alla preghiera, alla generosità, e, per alcuni, al dono di se stessi.

Pregate, venerabili fratelli e diletti figli, pregate di più. Ricordatevi degli immensi bisogni spirituali di tanti popoli ancora così lontani dalla vera fede, oppure così privi di soccorsi per perseverarvi. Rivolgetevi al Padre celeste e, con Gesù, ripetete la preghiera che fu quella dei primi apostoli e rimane quella degli operai apostolici di ogni tempo: Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Per l’onore di Dio e lo splendore della sua gloria, noi vogliamo che il suo regno di giustizia, di amore e di pace venga finalmente stabilito in ogni luogo. Questo zelo per la gloria di Dio, in un cuore ardente di amore per i propri fratelli, non è forse per eccellenza lo zelo missionario? L’apostolo è anzitutto l’araldo di Dio.

Augustinus
25-04-05, 08:26
Collatio III, 15. 16. 18-19, in PL 49, 577-581.

Non è il libero arbitrio, ma è il Signore colui che scioglie le catene degli schiavi; non è la nostra virtù, ma è il Signore colui che solleva gli oppressi; non l’attenta lettura della Bibbia, ma la grazia del Signore dona la vista ai ciechi. Anzi, qui il testo greco del Libro sacro dice letteralmente: Il Signore rende sapienti i ciechi (cf Sal 145, 8). Non la nostra vigilanza ma il Signore custodisce i forestieri; non è la nostra forza, ma il Signore che sostiene tutti quelli che cadono.
Ho detto questo non perché il nostro zelo, le fatiche, gli sforzi siano inutili, in quanto vani e superflui; piuttosto per convincerci che senza l’aiuto del Signore siamo incapaci di applicazione e i nostri sforzi sono inefficaci per ottenere il premio ineffabile della purezza del cuore.
Per arrivare alla mèta, abbiamo assolutamente bisogno dell’aiuto e della misericordia di Dio. Si prepara il cavallo per il giorno della battaglia, ma l’uomo non trionferà nonostante la sua forza.

Gli apostoli compresero benissimo che tutto quanto riguarda la salvezza viene elargito da Dio. Perciò chiesero al Salvatore anche la fede: Signore, pregavano, aumenta la nostra fede (Lc 17, 5). Non aspettavano dal proprio libero arbitrio la pienezza di questa virtù, ma credevano di poterla ricevere soltanto come dono di Dio. Di più: l’autore stesso della nostra salvezza ci insegna a riconoscere l’incostanza, la debolezza, l’insufficienza permanente della nostra fede, quando l’aiuto divino non la fortifichi: Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede (Lc 22, 31-32).
Un altro personaggio evangelico, forte dell’esperienza personale, sentiva la propria fede come sospinta dai flutti dell’incredulità contro gli scogli e pronta a naufragare. Allora pregava così rivolgendosi al Signore: Credo, aiutami nella mia incredulità (Mc 9, 24).

Gli apostoli e le altre figure del vangelo avevano perfettamente capito che nessun bene in noi arriva a compimento senza l’aiuto di Dio. Erano così convinti di non poter neppure conservare la fede con le sole forze del libero arbitrio, che chiedevano al Signore di stabilire in loro la fede e di conservarla.
Se la fede di Pietro aveva bisogno dell’aiuto di Dio per non venir meno, chi sarà tanto cieco e presuntuoso da credere di poterla custodire giorno dopo giorno senza quell’aiuto? Non è forse vero che il Signore stesso dichiara la nostra insufficienza quando dice nel vangelo: Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Senza di me non potete far nulla.
Quanto è stolto e sacrilego attribuire a noi stessi anziché al soccorso divino una parte minima delle nostre opere di bene. Lo afferma chiaramente la Scrittura quando dice che se la grazia non ci ispira e non coopera con noi, nessuno può produrre frutti spirituali: Ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Gc 1, 17).

Leggiamo in Ezechiele: Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio (Ez 11, 19-20).
Ora qui emerge una verità evidentissima: il primo moto della buona volontà ci viene da un’ispirazione di Dio. Egli ci attira sulla via della salvezza sia direttamente da se stesso, sia attraverso le esortazioni di qualche persona o mediante la forza delle cose. Anche la perfezione della virtù ci viene da Dio. Quello che possiamo mettere noi è la corrispondenza fervida o tiepida - agli impulsi della grazia. E meriteremo premio o castigo secondo che avremo avuto a cuore di accordare con i disegni generosi e pieni di amore della sua Provvidenza la nostra risposta obbediente e capace di dedizione.

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Augustinus
24-04-06, 21:05
In rilievo

Aug. :) :) :)

Augustinus
25-04-06, 07:33
S. Matteo evangelista (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=192811)

S. Luca evangelista (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=144783)

S. Giovanni apostolo ed evangelista (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=78675)

S. Barnaba apostolo (http://www.politicaonline.biz/forum/showthread.php?t=351252)

Link esterni:

Sezione dedicata alla vita di San Marco (http://www.basilicasanmarco.it/WAI/ita/storia_societa/sanmarco/interne/sanmarco_vita.bsm)

Vangelo di Marco - profilo storico dell'autore (http://books.google.it/books?id=Z4hvznvuFBwC&pg=PA15&lpg=PA15&dq=marco+eusebio+cesarea+alessandria&source=web&ots=piHNDaxvm7&sig=V4nj733Pr6df04kwr2G79YrtBIY&hl=it)

Augustinus
24-04-07, 16:55
http://www.wga.hu/art/b/bellini/giovanni/1480-89/3barbari/135barb.jpg http://www.wga.hu/art/b/bellini/giovanni/1480-89/3barbari/135barb1.jpg Giovanni Bellini, Altare Barbarigo, 1488, Chiesa di San Pietro Martire, Murano. La pala raffigura la Madonna col Bambino, circondata dai SS. Marco ed Agostino. S. Marco è in atto di presentare alla Vergine il doge Agostino Barbarigo

Augustinus
26-06-07, 14:34
Oggi, 25 giugno, nell'antico calendario liturgico proprio del Patriarcato di Venezia - peraltro ancora in vigore per la celebrazione della messa con il messale del 1962 -, ricorre la festa dell'apparizione (o "invenzione") di san Marco. La festa è poi stata abolita dopo il Concilio, anche se i precedenti storici di questa abolizione sono abbastanza remoti. Ma la Repubblica non consentì mai che fosse tolta la memoria del glorioso miracolo avvenuto il 25 giugno 1094. Si riporta qui una pagina di Silvio Tramontin, tratta dalla Biblioteca Agiografica Veneziana, sui fatti e le relative testimonianze. Il Coordinamento di Una Voce delle Venezie, per il suo statuto, invoca san Marco nel giorno della sua apparizione: secondo le testimonianze il corpo dell'Evangelista apparve rivestito dei paramenti sacerdotali "come se stesse per cantar messa", la messa di quella tradizione liturgica in cui ci riconosciamo e che intendiamo salvaguardare e promuovere.

Una Voce Venetia
________________

L' "inventio" di san Marco

di Silvio Tramontin

Ma le vicende del corpo di san Marco non erano ancora finite.

La primitiva chiesa a pianta centrale e anche ornata di affreschi o mosaici "multis ac variis coloribus" se vogliamo stare al racconto della "translatio" era andata distrutta durante l'incendio scoppiato nel 972 in seguito ad una rivolta popolare contro il doge Pietro Candiano IV e si era anche perduta ogni memoria circa il luogo ove la preziosa reliquia poteva essere stata posta anche perché esso era stato tenuto nascosto e noto a pochi per paura di un furto. Bernardo Giustinian, scrivendo quattro secoli dopo gli avvenimenti, riferirà una diceria che egli definirà però ingiusta: circolavano voci che c'era stato un furto delle sacre spoglie quasi a contrappeso del furto veneziano "ut quem aliunde sustulimus is furtim quoque fuerit a nobis ablatus". I veneziani sono disperati per tale fatto, tanto più che la nuova basilica è già ricostruita e sarebbe proprio un peccato aver perduto colui per il quale quella reggia era stata fabbricata. Dopo varie e inutili ricerche allora, nel giugno del 1094 il doge Vitale Falier stabilisce un digiuno di tre giorni con processione solenne nel quarto perché Venezia possa riavere il suo tesoro. Nei documenti locali è raccontato il fervore del popolo che invoca con preghiere e lacrime il miracolo. E il prodigio si compie. Le pietre di una colonna "calloprecia" ("ea est columna pluribus ex lapidibus compacta" come avverte Bernardo Giustinian, quasi a rendere più facile e comprensibile il miracolo e concordando del resto con i cronisti più antichi) a poco a poco si smuovono, cadono e lasciano apparire l'arca dove si trovava la salma. Un manoscritto anonimo del millecento e quindi contemporaneo precisa che si trattava di una delle poche colonne rimaste dell'antica chiesa e che il fatto avvenne il 25 giugno.

Altri miracoli fioriscono attorno a questo; un profumo meraviglioso che si spande nella basilica, un'indemoniata guarita al tocco dell'arca, naufraghi scampati da morte sicura, etc. Dal 25 giugno all'8 ottobre, se vogliamo prestar fede al monaco autore della "Translatio Sancti Nicolai" (sec. XII), il corpo rivestito dei paramenti sacerdotali, "totus integer et paratus quasi missam cantaret" (ancora tutto intatto e come se stesse per cantar messa), rimase esposto alla venerazione dei fedeli e l'ultimo giorno fu recato processionalmente nella cripta della splendida chiesa che, dopo essere stata ricostruita da capo a fondo dal doge Domenico Contarini (1043-1071), e ornata di mosaici dal doge Domenico Selvo (1071-1084), poteva essere solennemente consacrata (8 ottobre 1094). In quell'occasione furono anche coniate alcune monete col nome dell'imperatore Enrico IV, il simbolo del leone e l'iscrizione "Anno incarnacione ihesu xpi millesimo nonagesimo quarto die octavo inchoante mense octubrio tempore vitalis Faletri ducis" (alcune furono trovate nel 1811 quando si fece la ricognizione del corpo).

L'iscrizione del tempo, in caratteri romani, nella cornice di marmo rosso, sotto la ringhiera della navata principale poteva ben asserire

ISTORIIS AURO FORMA SPECIE TABULARUM
HOC TEMPLUM MARCI FORE DIC DECUS ECCLESIARUM

(Puoi ben dire che questo tempio di san Marco per la bellezza e l'eleganza dei suoi mosaici, delle storie che vi sono rappresentate e dell'oro che vi risplende è la più bella delle chiese).

da Silvio Tramontin, San Marco, in Culto dei Santi a Venezia, “Biblioteca Agiografica Veneziana 2”, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1965, p. 57 s.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/06-04-43.htm)

Augustinus
25-04-08, 09:43
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/6RTRLC/06-528710.jpg Tintoretto, Sogno di S. Marco, 1562-66, Gallerie dell'Accademia, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3a/4mark.jpg http://img87.imageshack.us/img87/1681/savingmj7.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/4N0KEZ/06-528707.jpg Tintoretto, S. Marco salva un saraceno dal naufragio, 1562-66, Gallerie dell'Accademia, Venezia

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/FIWY52/06-528735.jpg http://img162.imageshack.us/img162/258/stmark11yq7.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3a/2mark.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3a/2mark1.jpg Tintoretto, Scoperta o invenzione del corpo di S. Marco , 1562-66, Pinacoteca di Brera, Milano

Augustinus
25-04-08, 09:43
http://easyweb.easynet.co.uk/giorgio.vasari/tintoret/tintor5.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3a/3mark.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/BTL8NH/06-528709.jpg Tintoretto, Trafugamento del corpo di S. Marco , 1562-66, Gallerie dell'Accademia, Venezia

http://img167.imageshack.us/img167/562/stmark1ty6.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3a/1mark.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3a/1mark0.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/SJOZ4U/06-528706.jpg Tintoretto, Miracolo S. Marco che libera che uno schiavo, 1548, Gallerie dell'Accademia, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tintoret/2_1550s/08gigli1.jpg Tintoretto, SS. Marco e Giovanni evangelisti, 1557, Santa Maria del Giglio, Venezia

Augustinus
25-04-08, 09:56
St. Mark

(Greek Markos, Latin Marcus).

It is assumed in this article that the individual referred to in Acts as John Mark (xii, 12, 25; xv, 37), John (xiii, 5, 13), Mark (xv, 39), is identical with the Mark mentioned by St. Paul (Colossians 4:10; 2 Timothy 4:11; Philemon 24) and by St. Peter (1 Peter 5:13). Their identity is not questioned by any ancient writer of note, while it is strongly suggested, on the one hand by the fact that Mark of the Pauline Epistles was the cousin (ho anepsios) of Barnabas (Colossians 4:10), to whom Mark of Acts seems to have been bound by some special tie (Acts 15:37, 39); on the other by the probability that the Mark, whom St. Peter calls his son (1 Peter 5:13), is no other than the son of Mary, the Apostle's old friend in Jerusalem (Acts 21:12). To the Jewish name John was added the Roman pronomen Marcus, and by the latter he was commonly known to the readers of Acts (xv, 37, ton kaloumenon Markon) and of the Epistles. Mark's mother was a prominent member of the infant Church at Jerusalem; it was to her house that Peter turned on his release from prison; the house was approached by a porch (pulon), there was a slave girl (paidiske), probably the portress, to open the door, and the house was a meeting-place for the brethren, "many" of whom were praying there the night St. Peter arrived from prison (Acts 12:12-13).

When, on the occasion of the famine of A.D. 45-46, Barnabas and Saul had completed their ministration in Jerusalem, they took Mark with them on their return to Antioch (Acts 12:25). Not long after, when they started on St. Paul's first Apostolic journey, they had Mark with them as some sort of assistant (hupereten, Acts 13:5); but the vagueness and variety of meaning of the Greek term makes it uncertain in what precise capacity he acted. Neither selected by the Holy Spirit, nor delegated by the Church of Antioch, as were Barnabas and Saul (Acts 13:2-4), he was probably taken by the Apostles as one who could be of general help. The context of Acts, xiii, 5, suggests that he helped even in preaching the Word. When Paul and Barnabas resolved to push on from Perga into central Asia Minor, Mark, departed from them, if indeed he had not already done so at Paphos, and returned to Jerusalem (Acts 13:13). What his reasons were for turning back, we cannot say with certainty; Acts, xv, 38, seems to suggest that he feared the toil. At any rate, the incident was not forgotten by St. Paul, who refused on account of it to take Mark with him on the second Apostolic journey. This refusal led to the separation of Paul and Barnabas, and the latter, taking Mark with him, sailed to Cyprus (Acts 15:37-40). At this point (A.D. 49-50) we lose sight of Mark in Acts, and we meet him no more in the New Testament, till he appears some ten years afterwards as the fellow-worker of St. Paul, and in the company of St. Peter, at Rome.

St. Paul, writing to the Colossians during his first Roman imprisonment (A.D. 59-61), says: "Aristarchus, my fellow prisoner, saluteth you, and Mark, the cousin of Barnabas, touching whom you have received commandments; if he come unto you, receive him" (Colossians 4:10). At the time this was written, Mark was evidently in Rome, but had some intention of visiting Asia Minor. About the same time St. Paul sends greetings to Philemon from Mark, whom he names among his fellow-workers (sunergoi, Philem., 24). The Evangelist's intention of visiting Asia Minor was probably carried out, for St. Paul, writing shortly before his death to Timothy at Ephesus, bids him pick up Mark and bring him with him to Rome, adding "for he is profitable to me for the ministry" (2 Timothy 4:11). If Mark came to Rome at this time, he was probably there when St. Paul was martyred. Turning to I Peter, v, 13, we read: "The Church that is in Babylon, elected together with you, saluteth you, and (so doth) Mark my son" (Markos, o huios aou). This letter was addressed to various Churches of Asia Minor (1 Peter 1:1), and we may conclude that Mark was known to them. Hence, though he had refused to penetrate into Asia Minor with Paul and Barnabas, St. Paul makes it probable, and St. Peter certain, that he went afterwards, and the fact that St. Peter sends Mark's greeting to a number of Churches implies that he must have been widely known there. In calling Mark his "son", Peter may possibly imply that he had baptized him, though in that case teknon might be expected rather than huios (cf. 1 Corinthians 4:17; 1 Timothy 1:2, 18; 2 Timothy 1:2; 2:1; Titus 1:4; Philemon 10). The term need not be taken to imply more than affectionate regard for a younger man, who had long ago sat at Peter's feet in Jerusalem, and whose mother had been the Apostle's friend (Acts 12:12). As to the Babylon from which Peter writers, and in which Mark is present with him, there can be no reasonable doubt that it is Rome. The view of St. Jerome: "St. Peter also mentions this Mark in his First Epistle, while referring figuratively to Rome under the title of Babylon" (De vir. Illustr., viii), is supported by all the early Father who refer to the subject. It may be said to have been questioned for the first time by Erasmus, whom a number of Protestant writers then followed, that they might the more readily deny the Roman connection of St. Peter. Thus, we find Mark in Rome with St. Peter at a time when he was widely known to the Churches of Asia Minor. If we suppose him, as we may, to have gone to Asia Minor after the date of the Epistle to the Colossians, remained there for some time, and returned to Rome before I Peter was written, the Petrine and Pauline references to the Evangelist are quite intelligible and consistent.

When we turn to tradition, Papias (Eusebius, "Hist. eccl.", III, xxxix) asserts not later than A.D. 130, on the authority of an "elder", that Mark had been the interpreter (hermeneutes) of Peter, and wrote down accurately, though not in order, the teaching of Peter (see below, MARK, GOSPEL OF SAINT, II). A widespread, if somewhat late, tradition represents St. Mark as the founder of the Church of Alexandria. Though strangely enough Clement and Origen make no reference to the saint's connection with their city, it is attested by Eusebius (op. cit., II, xvi, xxiv), by St. Jerome ("De Vir. Illust.", viii), by the Apostolic Constitutions (VII, xlvi), by Epiphanius ("Hær;.", li, 6) and by many later authorities. The "Martyrologium Romanum" (25 April) records: "At Alexandria the anniversary of Blessed Mark the Evangelist . . . at Alexandria of St. Anianus Bishop, the disciple of Blessed Mark and his successor in the episcopate, who fell asleep in the Lord." The date at which Mark came to Alexandria is uncertain. The Chronicle of Eusebius assigns it to the first years of Claudius (A.D. 41-4), and later on states that St. Mark's first successor, Anianus, succeeded to the See of Alexandria in the eighth year of Nero (61-2). This would make Mark Bishop of Alexandria for a period of about twenty years. This is not impossible, if we might suppose in accordance with some early evidence that St. Peter came to Rome in A.D. 42, Mark perhaps accompanying him. But Acts raise considerable difficulties. On the assumption that the founder of the Church of Alexandria was identical with the companion of Paul and Barnabas, we find him at Jerusalem and Antioch about A.D. 46 (Acts 12:25), in Salamis about 47 (Acts 13:5), at Antioch again about 49 or 50 (Acts 15:37-9), and when he quitted Antioch, on the separation of Paul and Barnabas, it was not to Alexandria but to Cyprus that he turned (Acts 15:39). There is nothing indeed to prove absolutely that all this is inconsistent with his being Bishop of Alexandria at the time, but seeing that the chronology of the Apostolic age is admittedly uncertain, and that we have no earlier authority than Eusebius for the date of the foundation of the Alexandrian Church, we may perhaps conclude with more probability that it was founded somewhat later. There is abundance of time between A.D. 50 and 60, a period during which the New Testament is silent in regard to St. Mark, for his activity in Egypt.

In the preface to his Gospel in manuscripts of the Vulgate, Mark is represented as having been a Jewish priest: "Mark the Evangelist, who exercised the priestly office in Israel, a Levite by race". Early authorities, however, are silent upon the point, and it is perhaps only an inference from his relation to Barnabas the Levite (Acts 4:36). Papias (in Eusebius, "Hist. eccl.", III, xxxix) says, on the authority of "the elder", that Mark neither heard the Lord nor followed Him (oute gar ekouse tou kurion oute parekoluthesen auto), and the same statement is made in the Dialogue of Adamantius (fourth century, Leipzig, 1901, p. 8), by Eusebius ("Demonst. Evang.", III, v), by St. Jerome ("In Matth."), by St. Augustine ("De Consens. Evang."), and is suggested by the Muratorian Fragment. Later tradition, however, makes Mark one of the seventy-two disciples, and St. Epiphanius ("Hær", li, 6) says he was one of those who withdrew from Christ (John 6:67). The later tradition can have no weight against the earlier evidence, but the statement that Mark neither heard the Lord nor followed Him need not be pressed too strictly, nor force us to believe that he never saw Christ. Many indeed are of opinion that the young man who fled naked from Gethsemane (Mark 14:51) was Mark himself. Early in the third century Hippolytus ("Philosophumena", VII, xxx) refers to Mark as ho kolobodaktulos, i.e. "stump-fingered" or "mutilated in the finger(s)", and later authorities allude to the same defect. Various explanations of the epithet have been suggested: that Mark, after he embraced Christianity, cut off his thumb to unfit himself for the Jewish priesthood; that his fingers were naturally stumpy; that some defect in his toes is alluded to; that the epithet is to be regarded as metaphorical, and means "deserted" (cf. Acts 13:13).

The date of Mark's death is uncertain. St. Jerome ("De Vir. Illustr.", viii) assigns it to the eighth year of Nero (62-63) (Mortuus est octavo Neronis anno et sepultus Alexandriæ), but this is probably only an inference from the statement of Eusebius ("Hist. eccl.", II, xxiv), that in that year Anianus succeeded St. Mark in the See of Alexandria. Certainly, if St. Mark was alive when II Timothy was written (2 Timothy 4:11), he cannot have died in 61-62. Nor does Eusebius say he did; the historian may merely mean that St. Mark then resigned his see, and left Alexandria to join Peter and Paul at Rome. As to the manner of his death, the "Acts" of Mark give the saint the glory of martyrdom, and say that he died while being dragged through the streets of Alexandria; so too the Paschal Chronicle. But we have no evidence earlier than the fourth century that the saint was martyred. This earlier silence, however, is not at all decisive against the truth of the later traditions. For the saint's alleged connection with Aquileia, see "Acta SS.", XI, pp. 346-7, and for the removal of his body from Alexandria to Venice and his cultus there, ibid., pp. 352-8. In Christian literature and art St. Mark is symbolically represented by a lion. The Latin and Greek Churches celebrate his feast on 25 April, but the Greek Church keeps also the feast of John Mark on 27 September.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IX, 1910, New York (http://www.newadvent.org/cathen/09672c.htm)

Augustinus
25-04-08, 10:02
Gospel of Saint Mark

The subject will be treated under the following heads:

Contents, Selection and Arrangement of Matter;
Authorship;
Original Language, Vocabulary, and Style;
State of Text and Integrity;
Place and Date of Composition;
Destination and Purpose;
Relation to Matthew and Luke.

I. CONTENTS, SELECTION AND ARRANGEMENT OF MATTER
The Second Gospel, like the other two Synoptics, deals chiefly with the Galilean ministry of Christ, and the events of the last week at Jerusalem. In a brief introduction, the ministry of the Precursor and the immediate preparation of Christ for His official work by His Baptism and temptation are touched upon (i, 1-13); then follows the body of the Gospel, dealing with the public ministry, Passion, Death, and Resurrection of Jesus (i, 14-xvi, 8); and lastly the work in its present form gives a summary account of some appearances of the risen Lord, and ends with a reference to the Ascension and the universal preaching of the Gospel (xvi, 9-20). The body of the Gospel falls naturally into three divisions: the ministry in Galilee and adjoining districts: Phoenicia, Decapolis, and the country north towards Cæarea Philippi (i, 14-ix, 49); the ministry in Judea and (kai peran, with B, Aleph, C*, L, Psi, in x, 1) Peræ;, and the journey to Jerusalem (x, 1-xi, 10); the events of the last week at Jerusalem (xi, 11-xvi, 8).

Beginning with the public ministry (cf. Acts 1:22; 10:37), St. Mark passes in silence over the preliminary events recorded by the other Synoptists: the conception and birth of the Baptist, the genealogy, conception, and birth of Jesus, the coming of the Magi, etc. He is much more concerned with Christ's acts than with His discourses, only two of these being given at any considerable length (iv, 3-32; xiii, 5-37). The miracles are narrated most graphically and thrown into great prominence, almost a fourth of the entire Gospel (in the Vulg., 164 verses out of 677) being devoted to them, and there seems to be a desire to impress the readers from the outset with Christ's almighty power and dominion over all nature. The very first chapter records three miracles: the casting out of an unclean spirit, the cure of Peter's mother-in-law, and the healing of a leper, besides alluding summarily to many others (i, 32-34); and, of the eighteen miracles recorded altogether in the Gospel, all but three (ix, 16-28; x, 46-52; xi, 12-14) occur in the first eight chapters. Only two of these miracles (vii, 31-37; viii, 22-26) are peculiar to Mark, but, in regard to nearly all, there are graphic touches and minute details not found in the other Synoptics. Of the parables proper Mark has only four: the sower (iv, 3-9), the seed growing secretly (iv, 26-29), the mustard seed (iv, 30-32), and the wicked husbandman (xii, 1-9); the second of these is wanting in the other Gospels. Special attention is paid throughout to the human feelings and emotions of Christ, and to the effect produced by His miracles upon the crowd. The weaknesses of the Apostles are far more apparent than in the parallel narratives of Matt. and Luke, this being, probably due to the graphic and candid discourses of Peter, upon which tradition represents Mark as relying.

The repeated notes of time and place (e.g., i, 14, 19, 20, 21, 29, 32, 35) seem to show that the Evangelist meant to arrange in chronological order at least a number of the events which he records. Occasionally the note of time is wanting (e.g. i, 40; iii, 1; iv, 1; x, 1, 2, 13) or vague (e.g. ii, 1, 23; iv, 35), and in such cases he may of course depart from the order of events. But the very fact that in some instances he speaks thus vaguely and indefinitely makes it all the more necessary to take his definite notes of time and sequence in other cases as indicating chronological order. We are here confronted, however, with the testimony of Papias, who quotes an elder (presbyter), with whom he apparently agrees, as saying that Mark did not write in order: "And the elder said this also: Mark, having become interpreter of Peter, wrote down accurately everything that he remembered, without, however, recording in order what was either said or done by Christ. For neither did he hear the Lord, nor did he follow Him, but afterwards, as I said, (he attended) Peter, who adapted his instructions to the needs (of his hearers), but had no design of giving a connected account of the Lord's oracles [v. l. "words"]. So then Mark made no mistake [Schmiedel, "committed no fault"], while he thus wrote down some things (enia as he remembered them; for he made it his one care not to omit anything that he had heard, or set down any false statement therein" (Eusebius, "Hist. Eccl.", III, xxxix). Some indeed have understood this famous passage to mean merely that Mark did not write a literary work, but simply a string of notes connected in the simplest fashion (cf. Swete, "The Gospel acc. to Mark", pp. lx-lxi). The present writer, however, is convinced that what Papias and the elder deny to our Gospel is chronological order, since for no other order would it have been necessary that Mark should have heard or followed Christ. But the passage need not be understood to mean more than that Mark occasionally departs from chronological order, a thing we are quite prepared to admit. What Papias and the elder considered to be the true order we cannot say; they can hardly have fancied it to be represented in the First Gospel, which so evidently groups (e.g. viii-ix), nor, it would seem, in the Third, since Luke, like Mark, had not been a disciple of Christ. It may well be that, belonging as they did to Asia Minor, they had the Gospel of St. John and its chronology in mind. At any rate, their judgment upon the Second Gospel, even if be just, does not prevent us from holding that Mark, to some extent, arranges the events of Christ's like in chronological order.

II. AUTHORSHIP

All early tradition connects the Second Gospel with two names, those of St. Mark and St. Peter, Mark being held to have written what Peter had preached. We have just seen that this was the view of Papias and the elder to whom he refers. Papias wrote not later than about A.D. 130, so that the testimony of the elder probably brings us back to the first century, and shows the Second Gospel known in Asia Minor and attributed to St. Mark at that early time. So Irenæus says: "Mark, the disciple and interpreter of Peter, himself also handed down to us in writing what was preached by Peter" ("Adv. Hær.", III, i; ibid., x, 6). St. Clement of Alexandria, relying on the authority of "the elder presbyters", tells us that, when Peter had publicly preached in Rome, many of those who heard him exhorted Mark, as one who had long followed Peter and remembered what he had said, to write it down, and that Mark "composed the Gospel and gave it to those who had asked for it" (Eusebius, "Hist. Eccl.", VI, xiv). Origen says (ibid., VI, xxv) that Mark wrote as Peter directed him (os Petros huphegesato auto), and Eusebius himself reports the tradition that Peter approved or authorized Mark's work ("Hist. Eccl.", II, xv). To these early Eastern witnesses may be added, from the West, the author of the Muratorian Fragment, which in its first line almost certainly refers to Mark's presence at Peter's discourses and his composition of the Gospel accordingly (Quibus tamen interfuit et ita posuit); Tertullian, who states: "The Gospel which Mark published (edidit is affirmed to be Peter's, whose interpreter Mark was" ("Contra Marc.", IV, v); St. Jerome, who in one place says that Mark wrote a short Gospel at the request of the brethren at Rome, and that Peter authorized it to be read in the Churches ("De Vir. Ill.", viii), and in another that Mark's Gospel was composed, Peter narrating and Mark writing (Petro narrante et illo scribente--"Ad Hedib.", ep. cxx). In every one of these ancient authorities Mark is regarded as the writer of the Gospel, which is looked upon at the same time as having Apostolic authority, because substantially at least it had come from St. Peter. In the light of this traditional connexion of he Gospel with St. Peter, there can be no doubt that it is to it St. Justin Martyr, writing in the middle of the second century, refers ("Dial.", 106), when he sags that Christ gave the title of "Boanerges" to the sons of Zebedee (a fact mentioned in the New Testament only in Mark 3:17), and that this is written in the "memoirs" of Peter (en tois apopnemaneumasin autou--after he had just named Peter). Though St. Justin does not name Mark as the writer of the memoirs, the fact that his disciple Tatian used our present Mark, including even the last twelve verses, in the composition of the "Diatessaron", makes it practically certain that St. Justin knew our present Second Gospel, and like the other Fathers connected it with St. Peter.

If, then, a consistent and widespread early tradition is to count for anything, St. Mark wrote a work based upon St. Peter's preaching. It is absurd to seek to destroy the force of this tradition by suggesting that all the subsequent authorities relied upon Papias, who may have been deceived. Apart from the utter improbability that Papias, who had spoken with many disciples of the Apostles, could have been deceived on such a question, the fact that Irenæus seems to place the composition of Mark's work after Peter's death, while Origen and other represent the Apostle as approving of it (see below, V), shows that all do not draw from the same source. Moreover, Clement of Alexandria mentions as his source, not any single authority, but "the elders from the beginning" (ton anekathen presbuteron--Euseb., "Hist. Eccl.", VI, xiv). The only question, then, that can be raised with any shadow of reason, is whether St. Mark's work was identical with our present Second Gospel, and on this there is no room for doubt. Early Christian literature knows no trace of an Urmarkus different from our present Gospel, and it is impossible that a work giving the Prince of the Apostles' account of Christ's words and deeds could have disappeared utterly, without leaving any trace behind. Nor can it be said that the original Mark has been worked up into our present Second Gospel, for then, St. Mark not being the actual writer of the present work and its substance being due to St. Peter, there would have been no reason to attribute it to Mark, and it would undoubtedly have been known in the Church, not by the title it bears, but as the "Gospel according to Peter".

Internal evidence strongly confirms the view that our present Second Gospel is the work referred to by Papias. That work, as has been seen, was based on Peter's discourses. Now we learn from Acts (i, 21-22; x, 37-41) that Peter's preaching dealt chiefly with the public life, Death, Resurrection, and Ascension of Christ. So our present Mark, confining itself to the same limits, omitting all reference to Christ's birth and private life, such as is found in the opening chapters of Matthew and Luke, and commencing with the preaching of the Baptist, ends with Christ's Resurrection and Ascension. Again (1) the graphic and vivid touches peculiar to our present Second Gospel, its minute notes in regard to (2) persons, (3) places, (4) times, and (5) numbers, point to an eyewitness like Peter as the source of the writer's information. Thus we are told (1) how Jesus took Peter's mother-in-law by the hand and raised her up (i, 31), how with anger He looked round about on His critics (iii, 5), how He took little children into His arms and blessed them and laid His hands upon them (ix, 35; x, 16), how those who carried the paralytic uncovered the roof (ii, 3, 4), how Christ commanded that the multitude should sit down upon the green grass, and how they sat down in companies, in hundred and in fifties (vi, 39-40); (2) how James and John left their father in the boat with the hired servants (i, 20), how they came into the house of Simon and Andrew, with James and John (i, 29), how the blind man at Jericho was the son of Timeus (x, 46), how Simon of Cyrene was the father of Alexander and Rufus (xv, 21); (3) how there was no room even about the door of the house where Jesus was (ii, 2), how Jesus sat in the sea and all the multitude was by the sea on the land (iv, 1), how Jesus was in the stern of the boat asleep on the pillow (iv, 38); (4) how on the evening of the Sabbath, when the sun had set, the sick were brought to be cured (i, 32), how in the morning, long before day, Christ rose up (i, 35), how He was crucified at the third hour (xv, 25), how the women came to the tomb very early, when the sun had risen (xvi, 2); (5) how the paralytic was carried by four (ii, 3), how the swine were about two thousand in number (v. 13), how Christ began to send forth the Apostles, two and two (vi, 7). This mass of information which is wanting in the other Synoptics, and of which the above instances are only a sample, proved beyond doubt that the writer of the Second Gospel must have drawn from some independent source, and that this source must have been an eyewitness. And when we reflect that incidents connected with Peter, such as the cure of his mother-in-law and his three denials, are told with special details in this Gospel; that the accounts of the raising to life of the daughter of Jaïrus, of the Transfiguration, and of the Agony in the Garden, three occasions on which only Peter and James and John were present, show special signs of first-hand knowledge (cf. Swete, op. cit., p. xliv) such as might be expected in the work of a disciple of Peter (Matthew and Luke may also have relied upon the Petrine tradition for their accounts of these events, but naturally Peter's disciple would be more intimately acquainted with the tradition); finally, when we remember that, though the Second Gospel records with special fullness Peter's three denials, it alone among the Gospels omit all reference to the promise or bestowal upon him of the primacy (cf. Matthew 16:18-19; Luke 22:32; John 21:15-17), we are led to conclude that the eyewitness to whom St. Mark was indebted for his special information was St. Peter himself, and that our present Second Gospel, like Mark's work referred to by Papias, is based upon Peter's discourse. This internal evidence, if it does not actually prove the traditional view regarding the Petrine origin of the Second Gospel, is altogether consistent with it and tends strongly to confirm it.

III. ORIGINAL LANGUAGE, VOCABULARY, AND STYLE

It has always been the common opinion that the Second Gospel was written in Greek, and there is no solid reason to doubt the correctness of this view. We learn from Juvenal (Sat., III, 60 sq.; VI, 187 sqq.) and Martial (Epig., XIV, 58) that Greek was very widely spoken at Rome in the first century. Various influences were at work to spread the language in the capital of the Empire. "Indeed, there was a double tendency which embraced at once classes at both ends of the social scale. On the one hand among slaves and the trading classes there were swarms of Greek and Greek-speaking Orientals. On the other hand in the higher ranks it was the fashion to speak Greek; children were taught it by Greek nurses; and in after life the use of it was carried to the pitch of affectation" (Sanday and Headlam, "Romans", p. lii). We know, too, that it was in Greek St. Paul wrote to the Romans, and from Rome St. Clement wrote to the Church of Corinth in the same language. It is true that some cursive Greek manuscripts of the tenth century or later speak of the Second Gospel as written in Latin (egrathe Romaisti en Rome, but scant and late evidence like this, which is probably only a deduction from the fact that the Gospel was written at Rome, can be allowed on weight. Equally improbable seems the view of Blass (Philol. of the Gosp., 196 sqq.) that the Gospel was originally written in Aramaic. The arguments advanced by Blass (cf. also Allen in "Expositor", 6th series, I, 436 sqq.) merely show at most that Mark may have thought in Aramaic; and naturally his simple, colloquial Greek discloses much of the native Aramaic tinge. Blass indeed urges that the various readings in the manuscripts of Mark, and the variations in Patristic quotations from the Gospel, are relics of different translations of an Aramaic original, but the instances he adduces in support of this are quite inconclusive. An Aramaic original is absolutely incompatible with the testimony of Papias, who evidently contrasts the work of Peter's interpreter with the Aramaic work of Matthew. It is incompatible, too, with the testimony of all the other Fathers, who represent the Gospel as written by Peter's interpreter for the Christians of Rome.

The vocabulary of the Second Gospel embraces 1330 distinct words, of which 60 are proper names. Eighty words, exclusive of proper names, are not found elsewhere in the New Testament; this, however, is a small number in comparison with more than 250 peculiar words found in the Gospel of St. Luke. Of St. Mark's words, 150 are shared only by the other two Synoptists; 15 are shared only by St. John (Gospel); and 12 others by one or other of the Synoptists and St. John. Though the words found but once in the New Testament (apax legomena) are not relatively numerous in the Second Gospel, they are often remarkable; we meet with words rare in later Greek such as (eiten, paidiothen, with colloquialisms like (kenturion, xestes, spekoulator), and with transliterations such as korban, taleitha koum, ephphatha, rabbounei (cf. Swete, op. cit., p. xlvii). Of the words peculiar to St. Mark about one-fourth are non-classical, while among those peculiar to St. Matthew or to St. Luke the proportion of non-classical words is only about one-seventh (cf. Hawkins, "Hor. Synopt.", 171). On the whole, the vocabulary of the Second Gospel points to the writer as a foreigner who was well acquainted with colloquial Greek, but a comparative stranger to the literary use of the language.

St. Mark's style is clear, direct, terse, and picturesque, if at times a little harsh. He makes very frequent use of participles, is fond of the historical present, of direct narration, of double negatives, of the copious use of adverbs to define and emphasize his expressions. He varies his tenses very freely, sometimes to bring out different shades of meaning (vii, 35; xv, 44), sometimes apparently to give life to a dialogue (ix, 34; xi, 27). The style is often most compressed, a great deal being conveyed in very few words (i, 13, 27; xii, 38-40), yet at other times adverbs and synonyms and even repetitions are used to heighten the impression and lend colour to the picture. Clauses are generally strung together in the simplest way by kai; de is not used half as frequently as in Matthew or Luke; while oun occurs only five times in the entire Gospel. Latinisms are met with more frequently than in the other Gospels, but this does not prove that Mark wrote in Latin or even understood the language. It proves merely that he was familiar with the common Greek of the Roman Empire, which freely adopted Latin words and, to some extent, Latin phraseology (cf. Blass, "Philol. of the Gosp.", 211 sq.), Indeed such familiarity with what we may call Roman Greek strongly confirms the traditional view that Mark was an "interpreter" who spent some time at Rome.

IV. STATE OF TEXT AND INTEGRITY

The text of the Second Gospel, as indeed of all the Gospels, is excellently attested. It is contained in all the primary unical manuscripts, C, however, not having the text complete, in all the more important later unicals, in the great mass of cursives; in all the ancient versions: Latin (both Vet. It., in its best manuscripts, and Vulg.), Syriac (Pesh., Curet., Sin., Harcl., Palest.), Coptic (Memph. and Theb.), Armenian, Gothic, and Ethiopic; and it is largely attested by Patristic quotations. Some textual problems, however, still remain, e.g. whether Gerasenon or Gergesenon is to be read in v, 1, eporei or epoiei in vi, 20, and whether the difficult autou, attested by B, Aleph, A, L, or autes is to be read in vi, 20. But the great textual problem of the Gospel concerns the genuineness of the last twelve verses. Three conclusions of the Gospel are known: the long conclusion, as in our Bibles, containing verses 9-20, the short one ending with verse 8 (ephoboumto gar), and an intermediate form which (with some slight variations) runs as follows: "And they immediately made known all that had been commanded to those about Peter. And after this, Jesus Himself appeared to them, and through them sent forth from East to West the holy and incorruptible proclamation of the eternal salvation." Now this third form may be dismissed at once. Four unical manuscripts, dating from the seventh to the ninth century, give it, indeed, after xvi, 9, but each of them also makes reference to the longer ending as an alternative (for particulars cf. Swete, op. cit., pp. cv-cvii). It stands also in the margin of the cursive Manuscript 274, in the margin of the Harclean Syriac and of two manuscripts of the Memphitic version; and in a few manuscripts of the Ethiopic it stands between verse 8 and the ordinary conclusion. Only one authority, the Old Latin k, gives it alone (in a very corrupt rendering), without any reference to the longer form. Such evidence, especially when compared with that for the other two endings, can have no weight, and in fact, no scholar regards this intermediate conclusion as having any titles to acceptance.

We may pass on, then, to consider how the case stands between the long conclusion and the short, i.e. between accepting xvi, 9-20, as a genuine portion of the original Gospel, or making the original end with xvi, 8. In favour of the short ending Eusebius ("Quaest. ad Marin.") is appealed to as saying that an apologist might get rid of any difficulty arising from a comparison of Matt. xxviii, 1, with Mark, xvi, 9, in regard to the hour of Christ's Resurrection, by pointing out that the passage in Mark beginning with verse 9 is not contained in all the manuscripts of the Gospel. The historian then goes on himself to say that in nearly all the manuscripts of Mark, at least, in the accurate ones (schedon en apasi tois antigraphois ... ta goun akribe, the Gospel ends with xvi, 8. It is true, Eusebius gives a second reply which the apologist might make, and which supposes the genuineness of the disputed passage, and he says that this latter reply might be made by one "who did not dare to set aside anything whatever that was found in any way in the Gospel writing". But the whole passage shows clearly enough that Eusebius was inclined to reject everything after xvi, 8. It is commonly held, too, that he did not apply his canons to the disputed verses, thereby showing clearly that he did not regard them as a portion of the original text (see, however, Scriv., "Introd.", II, 1894, 339). St. Jerome also says in one place ("Ad. Hedib.") that the passage was wanting in nearly all Greek manuscripts (omnibus Græciæ; libris poene hoc capitulum in fine non habentibus), but he quotes it elsewhere ("Comment. on Matt."; "Ad Hedib."), and, as we know, he incorporated it in the Vulgate. It is quite clear that the whole passage, where Jerome makes the statement about the disputed verses being absent from Greek manuscripts, is borrowed almost verbatim from Eusebius, and it may be doubted whether his statement really adds any independent weight to the statement of Eusebius. It seems most likely also that Victor of Antioch, the first commentator of the Second Gospel, regarded xvi, 8, as the conclusion. If we add to this that the Gospel ends with xvi, 8, in the two oldest Greek manuscripts, B and Aleph, in the Sin. Syriac and in a few Ethiopic manuscripts, and that the cursive Manuscript 22 and some Armenian manuscripts indicate doubt as to whether the true ending is at verse 8 or verse 20, we have mentioned all the evidence that can be adduced in favour of the short conclusion. The external evidence in favour of the long, or ordinary, conclusion is exceedingly strong. The passage stands in all the great unicals except B and Aleph--in A, C, (D), E, F, G, H, K, M, (N), S, U, V, X, Gamma, Delta, (Pi, Sigma), Omega, Beth--in all the cursives, in all the Latin manuscripts (O.L. and Vulg.) except k, in all the Syriac versions except the Sinaitic (in the Pesh., Curet., Harcl., Palest.), in the Coptic, Gothic, and most manuscripts of the Armenian. It is cited or alluded to, in the fourth century, by Aphraates, the Syriac Table of Canons, Macarius Magnes, Didymus, the Syriac Acts of the Apostles, Leontius, Pseudo-Ephraem, Cyril of Jerusalem, Epiphanius, Ambrose, Augustine, and Chrysostom; in the third century, by Hippolytus, Vincentius, the "Acts of Pilate", the "Apostolic Constitutions", and probably by Celsus; in the second, by Irenæus most explicitly as the end of Mark's Gospel ("In fine autem evangelii ait Marcus et quidem dominus Jesus", etc.--Mark xvi, 19), by Tatian in the "Diatessaron", and most probably by Justin ("Apol. I", 45) and Hermas (Pastor, IX, xxv, 2). Moreover, in the fourth century certainly, and probably in the third, the passage was used in the Liturgy of the Greek Church, sufficient evidence that no doubt whatever was entertained as to its genuineness. Thus, if the authenticity of the passage were to be judged by external evidence alone, there could hardly be any doubt about it.

Much has been made of the silence of some third and fourth century Father, their silence being interpreted to mean that they either did not know the passage or rejected it. Thus Tertullian, SS. Cyprian, Athanasius, Basil the Great, Gregory of Nazianzus, and Cyril of Alexandria are appealed to. In the case of Tertullian and Cyprian there is room for some doubt, as they might naturally enough to be expected to have quoted or alluded to Mark, xvi, 16, if they received it; but the passage can hardly have been unknown to Athanasius (298-373), since it was received by Didymus (309-394), his contemporary in Alexandria (P.G., XXXIX, 687), nor to Basil, seeing it was received by his younger brother Gregory of Nyssa (P.G., XLVI, 652), nor to Gregory of Nazianzus, since it was known to his younger brother Cæsarius (P.G., XXXVIII, 1178); and as to Cyril of Alexandria, he actually quotes it from Nestorius (P.G., LXXVI, 85). The only serious difficulties are created by its omission in B and Aleph and by the statements of Eusebius and Jerome. But Tischendorf proved to demonstration (Proleg., p. xx, 1 sqq.) that the two famous manuscripts are not here two independent witnesses, because the scribe of B copies the leaf in Aleph on which our passage stands. Moreover, in both manuscripts, the scribe, though concluding with verse 8, betrays knowledge that something more followed either in his archetype or in other manuscripts, for in B, contrary to his custom, he leaves more than a column vacant after verse 8, and in Aleph verse 8 is followed by an elaborate arabesque, such as is met with nowhere else in the whole manuscript, showing that the scribe was aware of the existence of some conclusion which he meant deliberately to exclude (cf. Cornely, "Introd.", iii, 96-99; Salmon, "Introd.", 144-48). Thus both manuscripts bear witness to the existence of a conclusion following after verse 8, which they omit. Whether B and Aleph are two of the fifty manuscripts which Constantine commissioned Eusebius to have copies for his new capital we cannot be sure; but at all events they were written at a time when the authority of Eusebius was paramount in Biblical criticism, and probably their authority is but the authority of Eusebius. The real difficulty, therefore, against the passage, from external evidence, is reduced to what Eusebius and St. Jerome say about its omission in so many Greek manuscripts, and these, as Eusebius says, the accurate ones. But whatever be the explanation of this omission, it must be remembered that, as we have seen above, the disputed verses were widely known and received long before the time of Eusebius. Dean Burgon, while contending for the genuineness of the verses, suggested that the omission might have come about as follows. One of the ancient church lessons ended with Mark, xvi, 8, and Burgon suggested that the telos, which would stand at the end of such lesson, may have misled some scribe who had before him a copy of the Four Gospels in which Mark stood last, and from which the last leaf, containing the disputed verses, was missing. Given one such defective copy, and supposing it fell into the hands of ignorant scribes, the error might easily be spread. Others have suggested that the omission is probably to be traced to Alexandria. That Church ended the Lenten fast and commenced the celebration of Easter at midnight, contrary to the custom of most Churches, which waited for cock-crow (cf. Dionysius of Alexandria in P.G., X, 1272 sq.). Now Mark, xvi, 9: "But he rising early", etc., might easily be taken to favour the practice of the other Churches, and it is suggested that the Alexandrians may have omitted verse 9 and what follows from their lectionaries, and from these the omission might pass on into manuscripts of the Gospel. Whether there be any force in these suggestions, they point at any rate to ways in which it was possible that the passage, though genuine, should have been absent from a number of manuscripts in the time of Eusebius; while, on the other and, if the verses were not written by St. Mar, it is extremely hard to understand how they could have been so widely received in the second century as to be accepted by Tatian and Irenæus, and probably by Justin and Hermas, and find a place in the Old Latin and Syriac Versions.

When we turn to the internal evidence, the number, and still more the character, of the peculiarities is certainly striking. The following words or phrases occur nowhere else in the Gospel: prote sabbaton (v. 9), not found again in the New Testament, instead of te[s] mia[s] [ton] sabbaton (v. 2), ekeinos used absolutely (10, 11, 20), poreuomai (10, 12, 15), theaomai (11, 14), apisteo (11, 16), meta tauta and eteros (12), parakoloutheo and en to onomati (17), ho kurios (19, 20), pantachou, sunergeo, bebaioo, epakoloutheo (20). Instead of the usual connexion by kai and an occasional de, we have meta de tauta (12), husteron [de] (14), ho men oun (19), ekeinoi de (20). Then it is urged that the subject of verse 9 has not been mentioned immediately before; that Mary Magdalen seems now to be introduced for the first time, though in fact she has been mentioned three times in the preceding sixteen verses; that no reference is made to an appearance of the Lord in Galilee, though this was to be expected in view of the message of verse 7. Comparatively little importance attached to the last three points, for the subject of verse 9 is sufficiently obvious from the context; the reference to Magdalen as the woman out of whom Christ had cast seven devils is explicable here, as showing the loving mercy of the Lord to one who before had been so wretched; and the mention of an appearance in Galilee was hardly necessary. the important thing being to prove, as this passage does, that Christ was really risen from the dead, and that His Apostles, almost against their wills, were forced to believe the fact. But, even when this is said, the cumulative force of the evidence against the Marcan origin of the passage is considerable. Some explanation indeed can be offered of nearly every point (cf. Knabenbauer, "Comm. in Marc.", 445-47), but it is the fact that in the short space of twelve verse so many points require explanation that constitutes the strength of the evidence. There is nothing strange about the use, in a passage like this, of many words rare with he author. Only in the last character is apisteo used by St. Luke also (Luke 24:11, 41), eteros is used only once in St. John's Gospel (xix, 37), and parakoloutheo is used only once by St. Luke (i, 3). Besides, in other passages St. Mark uses many words that are not found in the Gospel outside the particular passage. In the ten verses, Mark, iv, 20-29, the writer has found fourteen words (fifteen, if phanerousthai of xvi, 12, be not Marcan) which occur nowhere else in the Gospel. But, as was said, it is the combination of so many peculiar features, not only of vocabulary, but of matter and construction, that leaves room for doubt as to the Marcan authorship of the verses.

In weighing the internal evidence, however, account must be take of the improbability of the Evangelist's concluding with verse 8. Apart from the unlikelihood of his ending with the participle gar, he could never deliberately close his account of the "good news" (i, 1) with the note of terror ascribed in xvi, 8, to some of Christ's followers. Nor could an Evangelist, especially a disciple of St. Peter, willingly conclude his Gospel without mentioning some appearance of the risen Lord (Acts 1:22; 10:37-41). If, then, Mark concluded with verse 8, it must have been because he died or was interrupted before he could write more. But tradition points to his living on after the Gospel was completed, since it represents him as bringing the work with him to Egypt or as handing it over to the Roman Christians who had asked for it. Nor is it easy to understand how, if he lived on, he could have been so interrupted as to be effectually prevented from adding, sooner or later, even a short conclusion. Not many minutes would have been needed to write such a passage as xvi, 9-20, and even if it was his desire, as Zahn without reason suggests (Introd., II, 479), to add some considerable portions to the work, it is still inconceivable how he could have either circulated it himself or allowed his friends to circulate it without providing it with at least a temporary and provisional conclusion. In every hypothesis, then, xvi, 8, seems an impossible ending, and we are forced to conclude either that the true ending is lost or that we have it in the disputed verses. Now, it is not easy to see how it could have been lost. Zahn affirms that it has never been established nor made probable that even a single complete sentence of the New Testament has disappeared altogether from the text transmitted by the Church (Introd., II, 477). In the present case, if the true ending were lost during Mark's lifetime, the question at once occurs: Why did he not replace it? And it is difficult to understand how it could have been lost after his death, for before then, unless he died within a few days from the completion of the Gospel, it must have been copied, and it is most unlikely that the same verses could have disappeared from several copies.

It will be seen from this survey of the question that there is no justification for the confident statement of Zahn that "It may be regarded as one of the most certain of critical conclusions, that the words ephobounto gar, xvi, 8, are the last words in the book which were written by the author himself" (Introd., II, 467). Whatever be the fact, it is not at all certain that Mark did not write the disputed verses. It may be that he did not; that they are from the pen of some other inspired writer, and were appended to the Gospel in the first century or the beginning of the second. An Armenian manuscript, written in A.D. 986, ascribes them to a presbyter named Ariston, who may be the same with the presbyter Aristion, mentioned by Papias as a contemporary of St. John in Asia. Catholics are not bound to hold that the verses were written by St. Mark. But they are canonical Scripture, for the Council of Trent (Sess. IV), in defining that all the parts of the Sacred Books are to be received as sacred and canonical, had especially in view the disputed parts of the Gospels, of which this conclusion of Mark is one (cf. Theiner, "Acta gen. Conc. Trid.", I, 71 sq.). Hence, whoever wrote the verses, they are inspired, and must be received as such by every Catholic.

V. PLACE AND DATE OF COMPOSITION

It is certain that the Gospel was written at Rome. St. Chrysostom indeed speaks of Egypt as the place of composition ("Hom. I. on Matt.", 3), but he probably misunderstood Eusebius, who says that Mark was sent to Egypt and preached there the Gospel which he had written ("Hist. Eccl.", II, xvi). Some few modern scholars have adopted the suggestion of Richard Simon ("Hist. crit. du Texte du N.T.", 1689, 107) that the Evangelist may have published both a Roman and an Egyptian edition of the Gospel. But this view is sufficiently refuted by the silence of the Alexandrian Fathers. Other opinions, such as that the Gospel was written in Asia Minor or at Syrian Antioch, are not deserving of any consideration.

The date of the Gospel is uncertain. The external evidence is not decisive, and the internal does not assist very much. St. Clement of Alexandria, Origen, Eusebius, Tertullian, and St. Jerome signify that it was written before St. Peter's death. The subscription of many of the later unical and cursive manuscripts states that it was written in the tenth or twelfth year after the Ascension (A.D. 38-40). The "Paschal Chronicle" assigns it to A.D. 40, and the "Chronicle" of Eusebius to the third year of Claudius (A.D. 43). Possibly these early dates may be only a deduction from the tradition that Peter came to Rome in the second year of Claudius, A.D. 42 (cf. Euseb., "Hist. Eccl.", II, xiv; Jer., "De Vir. Ill.", i). St. Irenæus, on the other hand, seems to place the composition of the Gospel after the death of Peter and Paul (meta de ten touton exodon--"Adv. Hær.", III, i). Papias, too, asserting that Mark wrote according to his recollection of Peter's discourses, has been taken to imply that Peter was dead. This, however, does not necessarily follow from the words of Papias, for Peter might have been absent from Rome. Besides, Clement of Alexandria (Eusebius, "Hist. Eccl.", VI, xiv) seems to say that Peter was alive and in Rome at the time Mark wrote, though he gave the Evangelist no help in his work. There is left, therefore, the testimony of St. Irenæus against that of all the other early witnesses; and it is an interesting fact that most present-day Rationalist and Protestant scholars prefer to follow Irenæus and accept the later date for Mark's Gospel, though they reject almost unanimously the saint's testimony, given in the same context and supported by all antiquity, in favour of the priority of Matthew's Gospel to Mark's. Various attempts have been made to explain the passage in Irenæus so as to bring him into agreement with the other early authorities (see, e.g. Cornely, "Introd.", iii, 76-78; Patrizi, "De Evang.", I, 38), but to the present writer they appear unsuccessful if the existing text must be regarded as correct. It seems much more reasonable, however, to believe that Irenæus was mistaken than that all the other authorities are in error, and hence the external evidence would show that Mark wrote before Peter's death (A.D. 64 or 67).

From internal evidence we can conclude that the Gospel was written before A.D. 70, for there is no allusion to the destruction of the Temple of Jerusalem, such as might naturally be expected in view of the prediction in xiii, 2, if that event had already taken place. On the other hand, if xvi, 20: "But they going forth preached everywhere", be from St. Mark's pen, the Gospel cannot well have been written before the close of the first Apostolic journey of St. Paul (A.D. 49 or 50), for it is seen from Acts, xiv, 26; xv, 3, that only then had the conversion of the Gentiles begun on any large scale. Of course it is possible that previous to this the Apostles had preached far and wide among the dispersed Jews, but, on the whole, it seems more probable that the last verse of the Gospel, occurring in a work intended for European readers, cannot have been written before St. Paul's arrival in Europe (A.D. 50-51). Taking the external and internal evidence together, we may conclude that the date of the Gospel probably lies somewhere between A.D. 50 and 67.

VI. DESTINATION AND PURPOSE

Tradition represents the Gospel as written primarily for Roman Christians (see above, II), and internal evidence, if it does not quite prove the truth of this view, is altogether in accord with it. The language and customs of the Jews are supposed to be unknown to at least some of the readers. Hence terms like Boanerges (iii, 17), korban (vii, 11), ephphatha (vii, 34) are interpreted; Jewish customs are explained to illustrate the narrative (vii, 3-4; xiv, 12); the situation of the Mount of Olives in relation to the Temple is pointed out (xiii, 3); the genealogy of Christ is omitted; and the Old Testament is quoted only once (i, 2-3; xv, 28, is omitted by B, Aleph, A, C, D, X). Moreover, the evidence, as far as it goes, points to Roman readers. Pilate and his office are supposed to be known (15:1--cf. Matthew 27:2; Luke 3:1); other coins are reduced to their value in Roman money (xii, 42); Simon of Cyrene is said to be the father of Alexander and Rufus (xv, 21), a fact of no importance in itself, but mentioned probably because Rufus was known to the Roman Christians (Romans 16:13); finally, Latinisms, or uses of vulgar Greek, such as must have been particularly common in a cosmopolitan city like Rome, occur more frequently than in the other Gospels (v, 9, 15; vi, 37; xv, 39, 44; etc.).

The Second Gospel has no such statement of its purpose as is found in the Third and Fourth (Luke 1:1-3; John 20:31). The Tübingen critics long regarded it as a "Tendency" writing, composed for the purpose of mediating between and reconciling the Petrine and Pauline parties in the early Church. Other Rationalists have seen in it an attempt to allay the disappointment of Christians at the delay of Christ's Coming, and have held that its object was to set forth the Lord's earthly life in such a manner as to show that apart from His glorious return He had sufficiently attested the Messianic character of His mission. But there is no need to have recourse to Rationalists to learn the purpose of the Gospel. The Fathers witness that it was written to put into permanent form for the Roman Church the discourses of St. Peter, nor is there reason to doubt this. And the Gospel itself shows clearly enough that Mark meant, by the selection he made from Peter's discourses, to prove to the Roman Christians, and still more perhaps to those who might think of becoming Christians, that Jesus was the Almighty Son of God. To this end, instead of quoting prophecy, as Matthew does to prove that Jesus was the Messias, he sets forth in graphic language Christ's power over all nature, as evidenced by His miracles. The dominant note of the whole Gospel is sounded in the very first verse: "The beginning of the gospel of Jesus Christ, Son of God" (the words "Son of God" are removed from the text by Westcott and Hort, but quite improperly--cf. Knabenb., "Comm. in Marc.", 23), and the Evangelist's main purpose throughout seems to be to prove the truth of this title and of the centurion's verdict: "Indeed this man was (the) son of God" (xv, 39).

VII. RELATION TO MATTHEW AND LUKE

The three Synoptic Gospels cover to a large extent the same ground. Mark, however, has nothing corresponding to the first two chapters of Matthew or the first two of Luke, very little to represent most of the long discourses of Christ in Matthew, and perhaps nothing quite parallel to the long section in Luke, ix, 51-xviii, 14. On the other hand, he has very little that is not found in either or both of the other two Synoptists, the amount of matter that is peculiar to the Second Gospel, if it were all put together, amounting only to less than sixty verses. In the arrangement of the common matter the three Gospels differ very considerably up to the point where Herod Antipas is said to have heard of the fame of Jesus (Matthew 13:58; Mark 4:13; Luke 9:6). From this point onward the order of events is practically the same in all three, except that Matthew (xxvi, 10) seems to say that Jesus cleansed the Temple the day of His triumphal entry into Jerusalem and cursed the fig tree only on the following day, while Mark assigns both events to the following day, and places the cursing of the fig tree before the cleansing of the Temple; and while Matthew seems to say that the effect of the curse and the astonishment of the disciples thereat followed immediately. Mark says that it was only on the following day the disciples saw that the tree was withered from the roots (Matthew 21:12-20; Mark 11:11-21). It is often said, too, that Luke departs from Mark's arrangement in placing the disclosure of the traitor after the institution of the Blessed Eucharist, but it, as seems certain, the traitor was referred to many times during the Supper, this difference may be more apparent than real (Mark 14:18-24; Luke 22:19-23). And not only is there this considerable agreement as to subject-matter and arrangement, but in many passages, some of considerable length, there is such coincidence of words and phrases that it is impossible to believe the accounts to be wholly independent. On the other hand, side by side with this coincidence, there is strange and frequently recurring divergence. "Let any passage common to the three Synoptists be put to the test. The phenomena presented will be much as follows: first, perhaps, we shall have three, five, or more words identical; then as many wholly distinct; then two clauses or more expressed in the same words, but differing in order; then a clause contained in one or two, and not in the third; then several words identical; then a clause or two not only wholly distinct, but apparently inconsistent; and so forth; with recurrences of the same arbitrary and anomalous alterations, coincidences, and transpositions.

The question then arises, how are we to explain this very remarkable relation of the three Gospels to each other, and, in particular, for our present purpose, how are we to explain the relation of Mark of the other two? For a full discussion of this most important literary problem see SYNOPTICS. It can barely be touched here, but cannot be wholly passed over in silence. At the outset may be put aside, in the writer's opinion, the theory of the common dependence of the three Gospels upon oral tradition, for, except in a very modified form, it is incapable by itself alone of explaining all the phenomena to be accounted for. It seems impossible that an oral tradition could account for the extraordinary similarity between, e.g. Mark, ii, 10-11, and its parallels. Literary dependence or connexion of some kind must be admitted, and the questions is, what is the nature of that dependence or connexion? Does Mark depend upon Matthew, or upon both Matthew and Luke, or was it prior to and utilized in both, or are all three, perhaps, connected through their common dependence upon earlier documents or through a combination of some of these causes? In reply, it is to be noted, in the first place, that all early tradition represents St. Matthew's Gospel as the first written; and this must be understood of our present Matthew, for Eusebius, with the work of Papias before him, had no doubt whatever that it was our present Matthew which Papias held to have been written in Hebrew (Aramaic). The order of the Gospels, according to the Fathers and early writers who refer to the subject, was Matthew, Mark, Luke, John. Clement of Alexandria is alone in signifying that Luke wrote before Mark (Eusebius, "Hist. Eccl.", VI, xiv, in P.G., XX, 552), and not a single ancient writer held that Mark wrote before Matthew. St. Augustine, assuming the priority of Matthew, attempted to account for the relations of the first two Gospels by holding that the second is a compendium of the first (Matthæum secutus tanquam pedisequus et breviator--"De Consens. Evang.", I, ii). But, as soon as the serious study of the Synoptic Problem began, it was seen that this view could not explain the facts, and it was abandoned. The dependence of Mark's Gospel upon Matthew's however, though not after the manner of a compendium, is still strenuously advocated. Zahn holds that the Second Gospel is dependent on the Aramaic Matthew as well as upon Peter's discourses for its matter, and, to some extent, for its order; and that the Greek Matthew is in turn dependent upon Mark for its phraseology. So, too, Besler ("Einleitung in das N.T.", 1889) and Bonaccorsi ("I tre primi Vangeli", 1904). It will be seen at once that this view is in accordance with tradition in regard to the priority of Matthew, and it also explains the similarities in the first two Gospels. Its chief weakness seems to the present writer to lie in its inability to explain some of Mark's omissions. It is very hard to see, for instance, why, if St. Mark had the First Gospel before him, he omitted all reference to the cure of the centurion's servant (Matthew 8:5-13). This miracle, by reason of its relation to a Roman officer, ought to have had very special interest for Roman readers, and it is extremely difficult to account for its omission by St. Mark, if he had St. Matthew's Gospel before him. Again, St. Matthew relates that when, after the feeding of the five thousand, Jesus had come to the disciples, walking on water, those who were in the boat "came and adored him, saying: Indeed Thou art [the] Son of God" (Matthew 14:33). Now, Mark's report of the incident is: "And he went up to them into the ship, and the wind ceased; and they were exceedingly amazed within themselves: for they understood not concerning the loaves, but their heart was blinded" (Mark 6:51-52). Thus Mark makes no reference to the adoration, nor to the striking confession of the disciples that Jesus was [the] Son of God. How can we account for this, if he had Matthew's report before him? Once more, Matthew relates that, on the occasion of Peter's confession of Christ near Cæsarea Philippi, Peter said: "Thou art the Christ, the Son of the living God" (Matthew 16:16). But Mark's report of this magnificent confession is merely: "Peter answering said to him: Thou art the Christ" (Mark 8:29). It appears impossible to account for the omission here of the words: "the Son of the living God", words which make the special glory of this confession, if Mark made use of the First Gospel. It would seem, therefore, that the view which makes the Second Gospel dependent upon the First is not satisfactory.

The prevailing view at the present among Protestant scholars and not a few Catholics, in America and England as well as in Germany, is that St. Mark's Gospel is prior to St. Matthew's, and used in it as well as in St. Luke's. Thus Gigot writes: "The Gospel according to Mark was written first and utilized by the other two Synoptics" ("The New York Review", Sept.-Dec., 1907). So too Bacon, Yale Divinity School: "It appears that the narrative material of Matthew is simply that of Mark transferred to form a framework for the masses of discourse" ... "We find here positive proof of dependence by our Matthew on our Mark" (Introd. to the N.T., 1905, 186-89). Allen, art. "Matthew" in "The International Critical Commentary", speaks of the priority of the Second to the other two Synoptic Gospels as "the one solid result of literary criticism"; and Burkitt in "The Gospel History" (1907), 37, writes: "We are bound to conclude that Mark contains the whole of a document which Matthew and Luke have independently used, and, further, that Mark contains very little else beside. This conclusion is extremely important; it is the one solid contribution made by the scholarship of the nineteenth century towards the solution of the Synoptic Problem". See also Hawkins, "Horæ Synopt." (1899), 122; Salmond in Hast., "Dict. of the Bible", III, 261; Plummer, "Gospel of Matthew" (1909), p. xi; Stanton, "The Gospels as Historical Documents" (1909), 30-37; Jackson, "Cambridge Biblical Essays" (1909), 455.

Yet, notwithstanding the wide acceptance this theory has gained, it may be doubted whether it can enable us to explain all the phenomena of the first two, Gospels; Orr, "The Resurrection of Jesus" (1908), 61-72, does not think it can, nor does Zahn (Introd., II, 601-17), some of whose arguments against it have not yet been grappled with. It offers indeed a ready explanation of the similarities in language between the two Gospels, but so does Zahn's theory of the dependence of the Greek Matthew upon Mark. It helps also to explain the order of the two Gospels, and to account for certain omissions in Matthew (cf. especially Allen, op. cit., pp. xxxi-xxxiv). But it leaves many differences unexplained. Why, for instance, should Matthew, if he had Mark's Gospel before him, omit reference to the singular fact recorded by Mark that Christ in the desert was with the wild beasts (Mark 1:13)? Why should he omit (Matthew 4:17) from Mark's summary of Christ's first preaching, "Repent and believe in the Gospel" (Mark 1:15), the very important words "Believe in the Gospel", which were so appropriate to the occasion? Why should he (iv, 21) omit oligon and tautologically add "two brothers" to Mark, i, 19, or fail (iv, 22) to mention "the hired servants" with whom the sons of Zebedee left their father in the boat (Mark 1:20), especially since, as Zahn remarks, the mention would have helped to save their desertion of their father from the appearance of being unfilial. Why, again, should he omit viii, 28-34, the curious fact that though the Gadarene demoniac after his cure wished to follow in the company of Jesus, he was not permitted, but told to go home and announce to his friends what great things the Lord had done for him (Mark 5:18-19). How is it that Matthew has no reference to the widow's mite and Christ's touching comment thereon (Mark 12:41-44) nor to the number of the swine (Matthew 8:3-34; Mark 5:13), nor to the disagreement of the witnesses who appeared against Christ? (Matthew 26:60; Mark 14:56, 59).

It is surely strange too, if he had Mark's Gospel before him, that he should seem to represent so differently the time of the women's visit to the tomb, the situation of the angel that appeared to them and the purpose for which they came (Matthew 28:1-6; Mark 16:1-6). Again, even when we admit that Matthew is grouping in chapters viii-ix, it is hard to see any satisfactory reason why, if he had Mark's Gospel before him, he should so deal with the Marcan account of Christ's earliest recorded miracles as not only to omit the first altogether, but to make the third and second with Mark respectively the first and third with himself (Matthew 8:1-15; Mark 1:23-31; 40-45). Allen indeed. (op. cit., p. xv-xvi) attempts an explanation of this strange omission and inversion in the eighth chapter of Matthew, but it is not convincing. For other difficulties see Zahn, "Introd.", II, 616-617. On the whole, then, it appears premature to regard this theory of the priority of Mark as finally established, especially when we bear in mind that it is opposed to all the early evidence of the priority of Matthew. The question is still sub judice, and notwithstanding the immense labour bestowed upon it, further patient inquiry is needed.

It may possibly be that the solution of the peculiar relations between Matthew and Mark is to be found neither in the dependence of both upon oral tradition nor in the dependence of either upon the other, but in the use by one or both of previous documents. If we may suppose, and Luke, i, 1, gives ground for the supposition, that Matthew had access to a document written probably in Aramaic, embodying the Petrine tradition, he may have combined with it one or more other documents, containing chiefly Christ's discourses, to form his Aramaic Gospel. But the same Petrine tradition, perhaps in a Greek form, might have been known to Mark also; for the early authorities hardly oblige us to hold that he made no use of pre-existing documents. Papias (apud Eus., "H.E." III, 39; P.G. XX, 297) speaks of him as writing down some things as he remembered them, and if Clement of Alexandria (ap. Eus., "H.E." VI, 14; P.G. XX, 552) represents the Romans as thinking that he could write everything from memory, it does not at all follow that he did. Let us suppose, then, that Matthew embodied the Petrine tradition in his Aramaic Gospel, and that Mark afterwards used it or rather a Greek form of it somewhat different, combining with it reminiscences of Peter's discourses. If, in addition to this, we suppose the Greek translator of Matthew to have made use of our present Mark for his phraseology, we have quite a possible means of accounting for the similarities and dissimilarities of our first two Gospels, and we are free at the same time to accept the traditional view in regard to the priority of Matthew. Luke might then be held to have used our present Mark or perhaps an earlier form of the Petrine tradition, combining with it a source or sources which it does not belong to the present article to consider.

Of course the existence of early documents, such as are here supposed, cannot be directly proved, unless the spade should chance to disclose them; but it is not at all improbable. It is reasonable to think that not many years elapsed after Christ's death before attempts were made to put into written form some account of His words and works. Luke tells us that many such attempts had been made before he wrote; and it needs no effort to believe that the Petrine form of the Gospel had been committed to writing before the Apostles separated; that it disappeared afterwards would not be wonderful, seeing that it was embodied in the Gospels. It is hardly necessary to add that the use of earlier documents by an inspired writer is quite intelligible. Grace does not dispense with nature nor, as a rule, inspiration with ordinary, natural means. The writer of the Second Book of Machabees states distinctly that his book is an abridgment of an earlier work (2 Maccabees 2:24, 27), and St. Luke tells us that before undertaking to write his Gospel he had inquired diligently into all things from the beginning (Luke 1:1).

There is no reason, therefore, why Catholics should be timid about admitting, if necessary, the dependence of the inspired evangelists upon earlier documents, and, in view of the difficulties against the other theories, it is well to bear this possibility in mind in attempting to account for the puzzling relations of Mark to the other two synoptists.

Bibliography

See the article GOSPEL OF ST. LUKE for the decision of the Biblical Commission (26 January, 1913).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IX, 1910, New York (http://www.newadvent.org/cathen/09674b.htm)

Augustinus
25-04-08, 10:39
http://www.wga.hu/art/v/vivarini/bartolom/frari/st_mark.jpg http://www.wga.hu/art/v/vivarini/bartolom/frari/st_mark1.jpg Bartolomeo Vivarini, Trittico di S. Marco, 1474, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia

http://www.insecula.com/Photos/00/00/09/96/ME0000099671_3.jpg http://www.insecula.com/Photos/00/00/09/96/ME0000099672_3.jpg Bartolomeo Vivarini, S. Marco mentre legge, 1470 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

Augustinus
25-04-08, 10:50
http://www.dkimages.com/discover/previews/806/413954.JPG http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6f/D%C3%A9tails_de_la_Fa%C3%A7ade_de_la_Basilique_Sai nt_Marc.jpg

http://www.sempai.org/~felicia/wedding/pics/honey/210-St-Marks-Basillica.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b7/Venezia_san_marco.JPG http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d3/St_Mark%27s_Basilica.jpeg

http://www.econ.iastate.edu/classes/econ355/choi/images/bol152.jpg Tomba di S. Marco

pfjodor
25-04-08, 10:59
Che bella coincidenza!

Grazie Aug.

Proprio oggi mi sono deciso di ripercorrere il suo vangelo in preparazione del 'gran evento'.

Lode all'evangelista!

ps.
scusami, non ho letto tutto il 3d. Ma oggi e' festa in suo onore. Ma questa data, indicherebbe il presunto giorno di nascita o cosa? Cosa ha stabilito il Canone apostolico?

Augustinus
25-04-08, 11:29
scusami, non ho letto tutto il 3d. Ma oggi e' festa in suo onore. Ma questa data, indicherebbe il presunto giorno di nascita o cosa? Cosa ha stabilito il Canone apostolico?

Secondo il martirologio romano (tradizionale) è la data della nascita (al Cielo) di S. Marco, cioè della sua morte. Il grande storico della Chiesa, Eusebio di Cesarea, sostiene che S. Marco sia stato ucciso ad Alessandria d'Egitto dai pagani, facendo trascinare il suo corpo per la città.
Secondo lo stesso autore, l'Evangelista morì nell'anno ottavo del regno di Nerone (Hist. eccl., II, 24.1)

pfjodor
25-04-08, 11:49
Quindi la fonte (potevo intuirlo), e' il gran Eusebio.

Grazie carissimo!

ps.
Per caso ti ricordi il n del libro dove ne parla che vo a dar un occhiata.
Ma non ti preoccupare, me lo cerco da solo comunque.

Ciao

Augustinus
25-04-08, 11:57
Quindi la fonte (potevo intuirlo), e' il gran Eusebio.

Grazie carissimo!

ps.
Per caso ti ricordi il n del libro dove ne parla che vo a dar un occhiata.
Ma non ti preoccupare, me lo cerco da solo comunque.

Ciao

Beh ... la sua monumentale Historia.

Augustinus
25-04-08, 12:12
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/dettaglio/93004):

Sant’ Aniano Vescovo d’Alessandria d’Egitto

25 aprile

+ Alessandria d’Egitto, 85

Secondo la testimonianza del celebre storico cristiano Eusebio di Cesarea, nell’ottavo anno dell’imperatore Nerone Sant’Aniano fu il primo successore dell’evangelista San Marco sulla cattedra episcopale della città di Alessandria d’Egitto ed ivi rimase per ben venticinque anni, uomo ammirevole e ben accetto a Dio.

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Aniano, vescovo di Alessandria d’Egitto, che, come attesta sant’Eusebio, nell’ottavo anno dell’impero di Nerone, fu il primo vescovo di questa città dopo san Marco e, uomo accetto a Dio e mirabile sotto ogni aspetto, la resse per ventidue anni.

Martirologio tradizionale (25 aprile): Così pure ad Alessandria sant’Aniano Vescovo, il quale, discepolo del beato Marco e suo successore nell’Episcopato, illustre per virtù si riposò nel Signore.

Il grande storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea considera Aniano discepolo dell’evangelista San Marco e suo successore sulla cattedra episcopale di Alessandria d’Egitto. Entrambi sono festeggiati al 25 aprile. Gli apocrifi Atti di Marco narrano che Aniano era un calzolaio pagano di Alessandria, al quale l’evangelista commissionò la riparazione di un calzare non appena giunto in città. Aniano si ferì un dito ed incominciò ad imprecare contro il suo cliente. Questi però lo guarì tracciandogli un segno di croce sulla ferita ed invitandolo a credere in Cristo. Aniano allora si convertì al cristianesimo e si fece battezzare da Marco. Nell’ottavo ottavo anno dell’imperio di Nerone, il santo protovescovo scelse proprio il suo primo discepolo per coadiuvarlo nel governo della Chiesa alessandrina durante i suoi frequenti viaggi. Quando Marco fu ucciso, Aniano continuò ad esercitare il suo ministero e morì infine nell’85, dopo ventidue anni di episcopato. La tradizione orientale vuole invece che il suo episcopato sia durato solamente diciotto anni e 216 giorni dopo la morte di Marco, morendo quindi nell’86. Pietro de Natalibus afferma che il corpo di Aniano, così come quello di Marco, fu trafugato e trasferito a Venezia, ove riposa nella chiesa di San Clemente. Egli fissa inoltre la morte del santo al 4 ottobre, mentre la Chiesa copta lo festeggia il 20 hatur (28 novembre). I sinassari bizantini non riportano invece il suo nome. Il Card. Baronio ricorda una chiesa dedicata a Sant’Aniano presso Alessandria d’Egitto, però poco probabilmente consacrata dal vescovo stesso.

Autore: Fabio Arduino

http://santiebeati.it/immagini/Original/93004/93004.JPG

pfjodor
25-04-08, 13:56
Beh ... la sua monumentale Historia.
No, questo lo davo per scontato. Intendevo con 'quale libro' il capitolo, o sezione.

Verifichero'.


Lode all'evangelista!

Augustinus
25-04-08, 18:14
No, questo lo davo per scontato. Intendevo con 'quale libro' il capitolo, o sezione.

Verifichero'.


Lode all'evangelista!

Il libro II. :-01#44

Augustinus
25-04-08, 22:45
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/JXG1Z6/80-000603.jpg Valentin de Boulogne, S. Marco evangelista, XVII sec., castello di Versailles e di Trianon, Versailles

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/KN0KEZ/06-515566.jpg Charles de La Fosse, S. Marco, XVII sec., castello di Versailles e di Trianon, Versailles

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/K3YQ6N/06-520721.jpg Mathias Stomer, S. Marco, 1633-39, musée des Beaux-Arts, Rennes

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/JZOZ4U/07-521144.jpg Scuole fiamminghe e francese, I quattro evangelisti, XVI sec., musée national de la Renaissance, Ecouen

Holuxar
26-04-19, 00:49
25 APRILE 2019: FESTA DI SAN MARCO EVANGELISTA…



«25 APRILE SAN MARCO, EVANGELISTA.»
“San Marco, evangelista, 25 aprile”
“Guéranger, L'anno liturgico - 25 aprile. San Marco Evangelista”
Guéranger, L'anno liturgico - 25 aprile. San Marco Evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-25apr.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-25apr.htm





San Marco - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-marco/)
http://www.sodalitium.biz/san-marco/
«25 aprile, san Marco Evangelista.
“Ad Alessandria il natale del beato Marco Evangelista. Questi, discepolo ed interprete dell’Apostolo Pietro, pregato in Roma dai fratelli, scrisse il Vangelo, col quale se ne andò in Egitto, e per primo annunziando Cristo in Alessandria, vi fondò la Chiesa. Poi, preso per la fede di Cristo, legato con funi e trascinato fra i sassi, fu gravemente tormentato; quindi, chiuso in carcere, prima fu confortato da un’angelica visione, e finalmente, apparendogli lo stesso Signore, fu chiamato ai gaudii celesti, nell’anno ottavo di Nerone”.
O Glorioso san Marco che foste sempre in onore specialissimo nella chiesa, non solo per i popoli da voi santificati, per il vangelo da voi scritto, per le virtù da voi praticate, e per il martirio da voi sostenuto, ma ancora per la cura speciale che mostrò Iddio per il vostro corpo portentosamente preservato sia dalle fiamme a cui lo destinarono gli idolatri nel giorno stesso della vostra morte, e sia dalla profanazione dei saraceni divenuti padroni del vostro sepolcro in Alessandria, fate che possiamo imitare tutte le vostre virtù. Così sia.»
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/marco-2-198x300.jpg


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/marco-2-198x300.jpg



SANTE MESSE CELEBRATE DAI SACERDOTI DELL’ I.M.B.C. ("ISTITUTO MATER BONI CONSILII"):


"Sante Messe - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

"Torino - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/torino/

"Modena - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/modena/

"Rimini - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/rimini/

"Pescara - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/pescara/

"Potenza - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/potenza/

"Roma - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/roma/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I.M.B.C. a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11).”




SANTA MESSA celebrata da Don Floriano Abrahamovicz alla "Domus Marcel Lefebvre" di Paese (TV) il 25 APRILE 2018, FESTA di SAN MARCO EVANGELISTA:


«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
http://www.domusmarcellefebvre.it/
San Marco - Litanie maggiori
https://www.youtube.com/watch?v=4JSoUGHCkD4
Lunedì Pasqua - dell' Angelo (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=wPkpeDbQdo8
Santa Pasqua (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=G-lviMz3pWY
Santa Pasqua 2019 - (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=lwCe33a3TUo
Sabato Santo (Veglia Pasquale)
https://www.youtube.com/watch?v=jphVO0FHUMw
Venerdì Santo
https://www.youtube.com/watch?v=6v8gLX5hNW0
Giovedi Santo
https://www.youtube.com/watch?v=80W3peGsC9I
domusmarcellefebvre110815
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.».





«CATECHISMO MAGGIORE – Della processione che si fa nel giorno di S. Marco e nei tre giorni delle Rogazioni minori.
https://www.agerecontra.it/2019/04/catechismo-maggiore-della-processione-che-si-fa-nel-giorno-di-s-marco-e-nei-tre-giorni-delle-rogazioni-minori/
79. Che cosa si fa dalla Chiesa nel giorno di S. Marco e ne’ tre giorni delle Rogazioni minori?
Nei giorni di S. Marco e ne’ tre giorni delle Rogazioni minori si fanno dalla Chiesa processioni e preghiere solenni per placare Iddio, e renderlo a noi propizio affinché ci perdoni i peccati, tenga da noi lontani i suoi castighi, benedica i frutti della terra che cominciano a mostrarsi, e provveda ai nostri bisogni sia spirituali che temporali.
80. Le processioni di S. Marco e delle Rogazioni sono esse antiche?
Le processioni di S. Marco e delle Rogazioni sono antichissime, e il popolo soleva concorrervi a piedi scalzi con vero spirito di penitenza ed in grandissimo numero, lasciando ogni altra occupazione per intervenirvi.
81.Che facciamo noi colle litanie dei Santi che si cantano nelle Rogazioni, o in altre simili processioni?
Colle litanie dei Santi
1.imploriamo misericordia dalla santissima Trinità; e per essere esauditi ci rivolgiamo in particolare a Gesù Cristo con quelle parole: Christe audi nos, Christe exaudi nos, cioè: Cristo ascoltateci, Cristo esauditeci.
2.invochiamo il patrocinio di Maria Vergine, degli Angeli e dei Santi del cielo, dicendo loro; orate pro nobis: pregate per noi.
3.ci rivolgiamo nuovamente a Gesù Cristo e lo preghiamo, per tutto ciò che Egli ha fatto per la nostra salute, a liberarci da tutti i mali, e principalmente dal peccato, dicendogli: libera nos, Domine: liberateci, o Signore.
4.gli domandiamo il dono di una vera penitenza, e la grazia di perseverare nel suo santo servizio, e preghiamo per tutti gli ordini della Chiesa, e per l’unione e felicità di tutto il popolo di Dio dicendo: te rogamus, audi nos: ascoltateci, o Signore, ve ne preghiamo.
5.terminiamo questa preghiera colle parole con cui si comincia, cioè coll’implorare la misericordia di Dio, dicendogli di nuovo: Kyrie eleison etc.: Signore, abbiate pietà di noi etc.
82.Come dobbiamo noi intervenire alle processioni?
Noi dobbiamo intervenire alle processioni
1.con buon ordine e con vero spirito di penitenza e di orazione, cantando adagio e con pietà ciò che canta la Chiesa; o, non sapendo, unendoci col cuore e pregando in particolare;
2.con modestia e raccoglimento, non guardando qua e là, né parlando ad alcuno senza necessità;
3.con viva fiducia, che Dio sia per esaudire i nostri gemiti, e le comuni orazioni, e accordarci ciò che è necessario tanto per l’anima, quanto per il corpo.
83.Perché nelle processioni si fa precedere la Croce?
Nelle processioni si fa precedere la croce per insegnarci, che dobbiamo aver sempre innanzi agli occhi Gesù Cristo crocifisso per regolare la nostra vita e le nostre azioni secondo i suoi esempi, e per imitarlo nella sua passione, soffrendo pazientemente le pene che ci affliggono.
FONTE: Catechismo Maggiore di San Pio X.»
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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda.»
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«Dizionario di teologia dommatica. La Risurrezione di Cristo.»
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«L’importanza della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.»
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«La storicità della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.»
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«"Instaurare omnia in Christo", restaurare la società al cattolicesimo integrale e contro ogni forma di ecumenismo e laicità. Questa è la risposta di San Pio X agli uomini politici che si dicono cristiani e che intendono governare secondo l'ordine di Dio.
Non esistono altre soluzioni, non esistono compromessi.»
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“Per affrontare, con dati oggettivi e senza compromessi, il problema del Vaticano Secondo e dei modernisti che occupano la maggior parte delle nostre chiese --> La questione del cosiddetto "papa eretico" ed il problema dell'autorità nella Chiesa -->
Appunti sulla questione del cosiddetto «papa eretico»”
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https://www.sursumcorda.cloud/massime-e-meditazioni/condanne-della-chiesa-all-ecumenismo.html
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“Preghiera di San Pietro Canisio per conservare la vera fede”
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«MARTIROLOGIO ROMANO, 1955. Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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Tradidi quod et accepi (http://tradidiaccepi.blogspot.com/)
http://tradidiaccepi.blogspot.com/

Tradidi quod et accepi: LE ROGAZIONI (http://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/04/le-rogazioni.html?m=1)
“LE ROGAZIONI.
Le Rogazioni - dette anche Litanie - sono giorni di preghiera pubblica per ottenere la fecondità della campagna, la tranquillità delle case, e la santità delle persone, insomma la benedizione di Dio in tutte quante le cose. Ricorrono due volte l’anno: il 25 aprile con nome di Litanie Maggiori e nei tre giorni precedenti l’Ascensione del Signore col nome di Litanie Minori. Durante la processione si cantano le Litanie dei Santi in cui si manifesta la carità della Comunione dei Santi che unisce la Chiesa trionfante, la Chiesa militante e la Chiesa purgante.
Le Litanie Maggiori sono originarie della Chiesa di Roma e sono più antiche: Papa Liberio (352-366) volle istituirle per soppiantare la festività pagana, fortemente radicata nel popolo, dei Robigalia e degli Ambarvalia. Il sapiente Pontefice volle mantenere la processione e il suo antico itinerario, ma al sacrificio idolatra, sostituì una solenne stazione in san Pietro «insegnando che non è il favore di Robigo, ma la vita devota, l’umile preghiera, e l’intercessione dei Santi, sovrattuto del Pastor ovium san Pietro, quelle che disarmano la giustizia di Dio irritata dai nostri peccati» (Schuster, Liber Sacramentorum, vol. IV, p. 113).
Furono incrementate e diffuse da Papa san Gregorio Magno (590-604).
Le Litanie Minori sono attribuite a san Mamerto († 475), vescovo di Vienne, che le istituì a seguito di disastrose calamità naturali che afflissero il Delfinato. Questo uso gallico fu introdotto a Roma da Papa san Leone III (795-816) e quindi diffuso in tutta la Cristianità.”


“ISTRUZIONE SULLE LITANIE MAGGIORI.
Litania, che vuol dire Preghiera, è parola greca derivata dal verbo lìtanevo, che significa: “prego”. Le Litanie Maggiori cadono nel giorno 25 Aprile, e si dicono maggiori, o perché ebbero origine dalla maggiore delle Chiese, quale si è Roma, o perché comandate in tutta la Cristianità da S. Gregorio, detto il Magno, il quale, se non ne fu l’istitutore, dacché egli stesso ne parla come di cosa già in uso, fu però quel Papa che le universalizzò dopo di averle celebrate con una solennità tutta particolare, allorquando nel 598, per impetrare la cessazione della peste che desolava tutta Roma, chiamò tutto il Clero e, tutto il Popolo ad una Processione di penitenza che fece capo alla chiesa di Santa Maria Maggiore e durante la quale si serenò il cielo, cessò la mortalità, e si vide sulla mole Adriana un Angelo che rimetteva nel fodero la propria spada, per significare che il flagello era cessato. Fu in quella circostanza che all’antica mole Adriana si mutò il nome in quello di Castel sant’Angelo, e vi fu eretta la grande statua di S. Michele. [...]
Le processioni che si fanno in questi giorni sono dirette ad ottenere la fecondità della campagna, la tranquillità delle case, e la santità delle persone, insomma la benedizione di Dio in tutte quante le cose. Chi appena può disporre di sé, deve farsi un dovere di intervenire a queste solennissime processioni. Chi non può assistervi, non lasci almeno di recitare particolari preghiere, e specialmente quella che qui si soggiunge.
PER I GIORNI DELLE LITANIE
Dio della bontà e della misericordia, Padre amoroso ed Arbitro sovrano di tutta quanta la natura, che regolando ogni cosa secondo i consigli della vostra sapientissima Provvidenza, avete a noi assoggettate tutte le creature dell’universo perchè ci fornissero, giusta il bisogno, il cibo, il vestito, l′alloggio, la difesa, e fino conveniente ricreazione; Voi da cui solo dipende l’opportunità delle stagioni, la fecondità della campagna, la prosperità del commercio, la tranquillità degli Stati, la salute dei nostri corpi e la santificazione delle nostre anime, degnatevi di volger propizio il vostro sguardo sopra di noi, e fate che tutto ci serva ad alleviare le miserie del tempo per assicurarci beata la eternità.
Come liberaste Noè dalle acque del Diluvio, Lot dalle fiamme di Sodoma, Davide dagli orsi, Daniele dai leoni, e poi Naamano dalla lebbra, Tobia dalla cecità, la casa di Raab dall’eccidio, e la Samaria dalla fame, liberate ancor tutti noi da ogni inondazione, da ogni incendio, da ogni carestia, da ogni contagio, da ogni persecuzione e da ogni guerra. Purgate l’aria da ogni influsso cattivo, la terra da ogni insetto dannoso, e mandate a suo tempo il vento e la rugiada, la serenità e la pioggia, onde ogni seme fruttifichi in abbondanza. Togliete ai nostri nemici, così pubblici come privati, così visibili come invisibili, la volontà e la forza di nuocere, onde tra noi regni costantemente la sicurezza e la pace. Allontanate insomma da noi tutti quanti i vostri flagelli, onde alle nostre preghiere uniamo sempre più fervorosi i nostri sinceri ringraziamenti.
Che se mai pei nostri peccati voleste visitarci con qualche traversia, dateci nel tempo stesso lo spirito della cristiana pazienza, onde, ricevendo dalle vostre mani, e sopportando in espiazione dei nostri falli i vostri paterni castighi, ci assicuriamo quel premio che voi tenete preparato nel cielo a chi porterà con rassegnazione la propria croce sopra la terra.
Pater, Ave, Gloria.
Vantaggi delle traversie.
Presto langue, presto perde
Vaga Rosa il suo color
Il Cipresso è sempre verde
Perché emblema di dolor.
(Mons.Giuseppe Riva, Manuale di Filotea, Milano 1901)”


“LITANIE MAGGIORI
Stazione a San Pietro. Semplice. Paramenti viola. A Roma, vi era un tempo, il 25 aprile, la solennità pagana dei Robigalia. Essa consisteva principalmente in una processione che usciva dalla città per la porta Flaminia, si dirigeva verso il Ponte Milvio e terminava in un santuario suburbano situato sulla via Claudia, dove s'immolava una pecora in onore di un dio o di una dea Robigo (divinità della ruggine). La Litania Maggiore fu la sostituzione d'una cerimonia cristiana alla cerimonia pagana. Il percorso ci è reso noto da una convocazione di San Gregorio il Grande. È quasi identico a quello della processione pagana. Tutti i fedeli di Roma si recavano alla chiesa di San Lorenzo in Lucina, la più vicina alla porta Flaminia. La processione usciva da questa porta, faceva stazione a San Valentino, traversava il Ponte Milvio, poi girava a sinistra verso il Vaticano. Dopo essersi fermata a una croce, si recava nella Basilica di San Pietro per la celebrazione dei Santi Misteri. Questa litania si recita in tutta la Chiesa per allontanare i flagelli, e attirare la benedizione di Dio sulle messi. «Degnati dare e conservare i frutti della terra, te ne preghiamo, ascoltaci», canta la Chiesa, traversando processionalmente le campagne. L'intera Messa mostra quel che può ottenere la preghiera assidua, quando in mezzo alle nostre avversità (Orazione, Offertorio) ricorriamo con fiducia al nostro Padre celeste (Epistola, Vangelo, Communio).”


https://sardiniatridentina.blogspot.com/
https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/04/giovedi-di-pasqua.html?m=0
“GIOVEDÌ DI PASQUA
Stazione ai XII Apostoli.
Semidoppio.
Paramenti bianchi.
Il prodigio della destra dell’Altissimo, vaticinato dai profeti dell’Antico Testamento, la Risurrezione del Cristo, ha avuto come prime testimoni ed annunziatrici delle donne, e fra questa in particolare una: santa Maria Maddalena. A questa donna che Cristo trasse dal peccato e dalla possessione demoniaca fu affidato l’alto compito di essere Apostola degli Apostoli. L’amore intrepido di questa Discepola sia il nostro modello per amare il Signore: nostra vitale necessità è lo stare uniti a Cristo che ci ha redenti e che, per il battesimo, ci ha fatti entrare nella sua Chiesa, suo nuovo e vero popolo eletto.”

“Giovedì di Pasqua.
«Dopo le apparizioni di Gesù agli Apostoli [...] oggi viene quella fatta a Maria di Magdala [...] Potenza del cuore d’una donna! Gli Apostoli si ritirano, ma Maria è costante e se ne rimane intrepida a piangere presso il sepolcro di Gesù. Essa non paventa nemici, non viene meno innanzi alle difficoltà; se l’ortolano ha trafugato la salma, ne confidi pure il segreto alla Maddalena, ed essa da sola se la toglierà via. Davvero che questa povera peccatrice ha amato molto e perciò ha meritato la grazia che molto le sia stato perdonato. Anzi essa, a preferenza degli Apostoli e di Pietro stesso, merita per prima la grazia di vedere il risorto Redentore. “Va' ai miei fratelli - le dice Gesù – ed annunzia loro che io sto per salire al Padre”. Maria eseguì l’ordine e così la povera Penitente di Magdala conseguì il privilegio di annunziare questo dogma principale delle teologia cristiana al collegio apostolico, a coloro cioè che il Signore costituiva predicatori infallibili del santo Vangelo. E per questa ragione che la Chiesa il giorno della festa di santa Maria di Magdala fa recitare il Credo nella Messa, come nelle feste degli Apostoli»
(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum IV, Torino, Marietti, 1930, p. 90)”







«Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com
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“25 aprile 2019: GIOVEDÌ DI PASQUA.”
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“25 APRILE 2019: SAN MARCO, EVANGELISTA (Patrono delle Venezie).
La festa liturgica è traslata a lunedì, perché occorre l'Ottava di Pasqua che ha preminenza.”
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“Elenco dei preti uccisi dai partigiani:”
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“Il 25 aprile 1991 passava alla eternità Monsignor Antonio de Castro Mayer.”
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In ricordo di Mons. Antônio de Castro Mayer (Campinas, 29 novembre 1904 – Campos, 25 aprile 1991), eroe della resistenza cattolica…



https://www.radiospada.org/2018/05/ad-fontes-arai-daniele-e-monsignor-de-castro-mayer-una-vecchia-intervista/
«(...) Quest’intervista ad Araì Daniele fu pubblicata nel 2009 sull’ottimo sito Christus Rex con un’introduzione di Don Abrahamowicz che si inquadra perfettamente nelle grandi polemiche che caratterizzarono quell’anno. Ne consigliamo vivamente la lettura che può essere stimolante sia per i sedevacantisti (tesisti e no) che per i non-sedevacantisti perchè rende la grande complessità delle posizioni del “fronte lefebvriano” rispetto alle “autorità” conciliari e al contempo perchè approfondisce la posizione intransigente rispetto alla “rivoluzione conciliare”. (Piergiorgio Seveso)

Auguro a tutti coloro che si sentono legati alla Tradizione di leggere attentamente l’intervista rilasciata da Arai Daniele al circolo culturale Christus Rex. Riappare la tempra dei due grandi vescovi Mgr de Castro Mayer e Mgr Lefebvre. Viene riproposto il mistero della Chiesa cattolica occupata nel suo centro geografico, Roma, dalla contro-chiesa conciliare. La possibilità che gli ultimi capi dello stato del Vaticano non siano papi riemerge. Il mistero è trattato con la dovuta cautela del teologo. “Non metto la mia mano nel fuoco che questo (Giovanni Paolo II) sia papa” ci disse Mgr. Lefebvre, lui che non riteneva opportuno dichiarare la sede vacante. Riflettiamo: Mgr. Lefebvre ha posto il problema della sede vacante e scientemente non ha voluto risolverlo. Chiediamoci: Mgr. Lefebvre dopo le consacrazioni episcopali ripeteva che la chiesa ufficiale non rappresenta la Chiesa cattolica; di conseguenza vietava di discutere in sede ufficiale con le autorità della chiesa conciliare e qualificava come illusione puerile il tentativo di entrare nel sistema della chiesa ufficiale per convertirla. La dichiarazione che la chiesa ufficiale non rappresenti la Chiesa cattolica pone un problema forse anche superiore a quello di un papa eretico. Il papa eretico è un corpo estraneo nella Chiesa. Una chiesa ufficiale che non rappresenta la Chiesa cattolica è una contro-chiesa. Che a capo di essa vi sia un non-cattolico è una conseguenza. A questo punto, il mistero dell’apostasia conciliare attinge il massimo della sua espressione e supera forse il fatto di un papa eretico. Se si trattasse solo del papa eretico, bastava riunire i cardinali e i vescovi per dichiararlo tale. Ma non c’erano cardinali e di vescovi ce n’erano solo due! Uno optava per la dichiarazione della sede vacante, l’altro ritenne inopportuno farlo. Se invece di essere stati in due fossero stati un centinaio di vescovi come Mgr Lefebvre e Mgr de Castro Mayer molto probabilmente avrebbero dichiarato la sede vacante. I due vescovi hanno voluto invece occuparsi primariamente del gregge, dando loro dei pastori. Hanno consacrato quattro vescovi. Chi ha a cuore la salvezza delle anime e contempla il mistero di iniquità nella Chiesa, segua le ultime volontà di Mgr Lefebvre, rifletta sui consigli di Mgr de Castro Mayer e non abbia paura di essere demonizzato da chi usa come una ingiuria il termine di sedevacantista e non teme l’illusione puerile di riconciliarsi con la roma modernista. Preghiamo per la conversione dei vescovi e dei loro greggi. Se Dio vuole, Roma sarà liberata dalla sètta modernista.
Don Floriano Abrahamowicz.

Intervista esclusiva al Prof. Arai Daniele:
L’eredità spirituale di Mons. De Castro Mayer

Nato a San Paolo del Brasile il 13 maggio 1934 da padre italiano, lo scrittore Nino Daniele Vasta, studiò nel tradizionale Collegio gesuita San Luigi. Trasferitosi in Europa, prima a Zurigo e poi a Roma verso la metà degli anni sessanta, nel contatto con le più varie realtà internazionali, si rese conto della crisi nella Chiesa. Il suo punto di riferimento cattolico in Brasile fu l’illustre Vescovo Antonio de Castro-Mayer, con il quale collaborò strettamente. Antonio de Castro Mayer (Campinas, 29 novembre 1904 – Campos, 25 aprile 1991) è stato un vescovo cattolico brasiliano, fu “scomunicato” da Giovanni Paolo II, in seguito alla scelta di aderire alle posizioni tradizionaliste sostenute dall’Arcivescovo Marcel Lefebvre.

Giovinezza e sacerdozio
Figlio di Joao Mayer, un tagliapietre di origini bavaresi, e di Francisca de Castro una contadina brasiliana, alla morte del padre nel 1910 contribuì con il proprio lavoro ad aiutare la madre al sostentatamento dei suoi undici fratelli. A dodici anni entrò nel seminario minore di San Paolo del Brasile e nel 1922 proseguì gli studi nel seminario maggiore della stessa città, dal quale fu successivamente inviato a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana dove conseguì nel la laurea in Teologia. Il 30 ottobre fu ordinato sacerdote dal Cardinale e tornato in Brasile, gli fu assegnata la cattedra di Filosofia, Storia della filosofia e Teologia Dogmatica presso il seminario di San Paolo.

Vescovo di Campos
Nel 1940 fu nominato assistente generale dell’Azione Cattolica di San Paolo, nel 1941 Canonico e Tesoriere della Cattedrale di San Paolo e, nel 1945, Vicario Generale dell’ Arcidiocesi di San Paolo. Il 6 marzo 1948 Mons. Castro Mayer fu nominato dal papa Pio XII Vescovo di Campos e il 23 maggio 1948 consacrato dal Nunzio Carlo Chiaro per istruzione diretta del Papa (all’insaputa del suo arcivescovo modernista) divenne Vescovo Titolare di Priene. Il 3 gennaio del 1949 succedette ad Ottaviano de Albuquerque in qualità di vescovo di Campos.

L’opposizione al Concilio
Monsignor De Castro Mayer mantenne sempre posizioni scettiche riguardo il Concilio Vaticano II rifiutandosi di applicare, nella sua diocesi, quanto da esso scaturito. Non è stato mai dimissionario della sua qualità di vescovo di Campos nel 1981, ma sostituito dal conciliare Mons. Navarro, continuò nella sua carica di Ordinario Diocesano, per assicurare l’orientamento tradizionale dei suoi 400.000 fedeli. Il 30 giugno 1988 partecipò alla consacrazione effettuata da monsignor , di quattro vescovi, per il grave stato di necessità in cui versava la Chiesa cattolica. Morì di insufficienza respiratoria a Campos, rifiutandosi di firmare una “formula di riconciliazione” con la chiesa conciliare.

(...) nel 1986, dopo l’abominio d’Assisi, i due Vescovi pubblicarono la dichiarazione (2/12/86) in cui, menzionando la “rottura di Paolo VI e di Giovanni Paolo II con i loro predecessori”, concludevano: “consideriamo nullo tutto quanto fu ispirato da questo spirito di negazione: tutte le riforme postconciliari e tutti gli atti di Roma realizzati dentro questa empietà”. (Benedetto XVI dimostra, in tema di Concilio Vaticano II, nelle dichiarazioni e nei fatti, una perfetta continuità coi predecessori, n.d.r.)

Mons. de Castro-Mayer già allora domanda apertamente, pochi giorni prima delle consacrazioni episcopali di Ecône, che sia chiarita la posizione inerente l’assenza dell’autorità cattolica in Vaticano (e di questo si possiede registrazione). Purtroppo tutto era stato preparato nel senso del non chiarimento. E la richiesta di Mons. De Castro Mayer ebbe grande opposizione da parte dell’allora don Rifan (e di gran parte dei sacerdoti che, a causa di questo atto provvidenziale, se ne andarono dalla FSSPX). Sono poi stato a Campos, dove ho ripetuto quanto sopra di fronte a Mgr Mayer e ai Padri Licinio e Possidente, che sono rimasti turbati che io conoscessi quei fatti. Confermarono che Mgr Mayer abbia posto quella domanda all’arrivo ad Ecône e il Vescovo mi ha dato ragione. Loro, però, sono diventati miei nemici…Comunque non possiamo che continuare a testimoniare la verità, non riguardo alle persone, ma alla Fede, come il Circolo Christus Rex ha ben detto alla stampa italiana, riferendosi a don Floriano.

(...) L’importante è ricordare è che Mgr Castro Mayer vedeva definita da tempo la questione che considerava la più importante per la Chiesa oggi, quella dell’autorità legittima. Altrimenti, come spiegare che i suoi amici più stretti erano giustamente il tomista Pacheco Salles, l’editore Roberto Gorostiaga, il filosofo Homero Johas, io, e altri che domandavano un Suo chiarimento a proposito? Il fatto innegabile è che Mgr Castro Mayer appoggiava iniziative di libri, riviste e testimonianze nel senso indicato. Uno di questi, Lettre à quelques évêques, è uno studio sulle eresie conciliari i cui autori erano apertamente “sedevacantisti”, eppure Mgr Castro Mayer fu il presentatore del lavoro, perché voleva che si ponesse il problema della crisi nell’Autorità e si discutesse apertamente e chiaramente di esso.»



NON POSSUMUS: S.E. Mons. Castro Mayer :?La Chiesa che aderisce formalmente e totalmente al Vaticano II con le sue eresie non è, né potrebbe essere, la Chiesa di Gesù Cristo". (http://nullapossiamocontrolaverita.blogspot.com/2016/08/se-mons-castro-mayer-la-chiesa-che.html)

https://promariana.wordpress.com/2013/02/05/a-resistencia-de-dom-mayer-e-o-livro-do-dr-arnaldo/

Studio di Mons. De Castro Mayer sulla libertà religiosa della Dignitatis humanae (http://www.unavox.it/Documenti/Doc0321_Liberta-religiosa_De-Castro-Mayer_1974.html)

Dichiarazione di Mons. Marcel Lefebvre e di Mons. de Castro Mayer, del 2 dicembre 1986, contro il Concilio, il postconcilio e i papi che l'anno attuato, con riferimento all'incontro di Assisi del 27 ottobre 1986 (http://www.unavox.it/Documenti/Doc0285_Dichiarazione_Lefebvre_Mayer_2.12.1986.htm l)

http://www.unavox.it/NuoveImmagini/Campos/Mons_De-Castro-Mayer.jpg


http://www.unavox.it/NuoveImmagini/Campos/Mons_De-Castro-Mayer.jpg


http://www.unavox.it/NuoveImmagini/FSSPX/Mons_Marcel_Lefevbre.jpg


«Dom Antônio de Castro Mayer era sedevacantista
https://www.youtube.com/watch?v=4tyay9OsbHk
Dom Antônio de Castro Mayer (20 de junho de 1904 - 25 de abril de 1991), o Leão de Campos, foi um dos maiores tradicionalistas que defenderam a ortodoxia católica contra o Concílio Vaticano II. Dom Mayer foi co-consagrador nas Consagrações de Écône ocorridas em 1988, e apesar da opinião da maioria dos tradicionalistas que reconhecem e resistem ao “Papa ”, Dom Mayer, após a consagração, disse ao povo reunido que “nós não temos Papa”. Neste vídeo, o Padre Anthony Cekada, sacerdote sedevacantista ordenado por Dom Lefebvre, e o Sr. Arai Daniele, amigo íntimo de Dom Mayer, dão seus testemunhos sobre os pronunciamentos do Leão de Campos contra o falso papado. Uma de suas denúncias apareceu no Jornal da Tarde de 1984, em que Dom Mayer disse que “A Igreja que adere formal e totalmente ao Vaticano II com suas heresias não é nem pode ser a Igreja de Jesus Cristo”.»





Associazione legittimista Trono e Altare: Buona festa di San Marco a tutti! (http://associazione-legittimista-italica.blogspot.com/2016/04/buona-festa-di-san-marco-tutti.html)
http://associazione-legittimista-italica.blogspot.com/2016/04/buona-festa-di-san-marco-tutti.html


"25 Aprile - San Marco, Evangelista."
https://forum.termometropolitico.it/698754-25-aprile-san-marco-evangelista.html
https://forum.termometropolitico.it/3815-25-aprile-san-marco-evangelista.html
https://forum.termometropolitico.it/575304-25-aprile-buon-san-marco-evangelista.html



https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2019/04/23/bano-ora-chi-dobbiamo-liberare_Mep0bEkBz2a6P5vrwvSCoI.html
https://www.ilmessaggero.it/politica/al_bano_25_aprile_oggi_festa_23_aprile_2019-4447256.html
Al Bano: "La festa del 25 aprile? Mi domando da chi ci dobbiamo liberare" - IlGiornale.it (http://www.ilgiornale.it/news/cronache/bano-festa-25-aprile-mi-domando-chi-ci-dobbiamo-liberare-1683698.html)
«Per me il 25 aprile è anzitutto la festa di San Marco Evangelista, il patrono del mio paese, Cellino San Marco. Ovviamente so che è la festa della Liberazione e mi domando: ora da chi ci dobbiamo liberare?». - Albano Carrisi (Cellino San Marco, 20 maggio 1943).







www.agerecontra.it | Sito del Circolo Cattolico "Christus Rex"
http://www.agerecontra.it/

C"entro Studi Giuseppe Federici - sito ufficiale"
http://www.centrostudifederici.org/

"sito dedicato alla crisi dottrinale nella chiesa cattolica"
http://www.crisinellachiesa.it/

"Sito ufficiale del Centro Culturale San Giorgio, tratta di messaggi subliminali, rock satanico, occultismo, massoneria"
http://www.centrosangiorgio.com/






https://www.truerestoration.org/


https://novusordowatch.org/


": Quidlibet : ? A Traditionalist Miscellany — By the Rev. Anthony Cekada"
http://www.fathercekada.com/

"Home | Traditional Latin Mass Resources"
http://www.traditionalmass.org/




"Como ovejas sin Pastor"
http://sicutoves.blogspot.com/


https://moimunanblog.com/





“Pro Fide Catholica | Le site de Laurent Glauzy”
https://profidecatholica.com/


https://johanlivernette.wordpress.com/


https://lacontrerevolution.wordpress.com/


https://sedevacantisme.wordpress.com/


"Sede Vacante -"
http://www.catholique-sedevacantiste.fr/


"Le CatholicaPedia Blog | CatholicaPedia, une mémoire de la Tradition? en toute liberté"
http://wordpress.catholicapedia.net/


https://fidecatholica.wordpress.com/


https://militesvirginismariae.wordpress.com/




Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
“Mieux vaut une petite œuvre dans la Vérité, qu’une grande dans l’erreur.”

Messes :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/messes)
http://liguesaintamedee.ch/messes

25 avril : Saint Marc Évangéliste, Évêque d'Alexandrie (? 75) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/saint-marc-evangeliste)
“25 avril : Saint Marc Évangéliste, Évêque d'Alexandrie († 75).”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/1015/2425/4613/04_25_saintmarc.jpg


http://liguesaintamedee.ch/application/files/1015/2425/4613/04_25_saintmarc.jpg



SAN MARCO EVANGELISTA PREGA PER NOI!!!
Lodato sempre sia il Santissimo nome di Gesù, Giuseppe e Maria!!!
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!

Holuxar
26-04-20, 03:58
SAN MARCO, EVANGELISTA, PREGA PER NOI!!!
AUGURI A TUTTI COLORO CHE SI CHIAMANO MARCO COME IL SANTO EVANGELISTA :)
PER TUTTI I VERI CATTOLICI, NON SOLO QUELLI VENETI, ESISTE E VA RICORDATO ESCLUSIVAMENTE UN 25 APRILE: SAN MARCO, EVANGELISTA, PREGA PER NOI!!!
25 APRILE 2020: FESTA DI SAN MARCO, EVANGELISTA…




Guéranger, L'anno liturgico - 25 aprile. San Marco Evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-25apr.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-25apr.htm
«25 APRILE SAN MARCO, EVANGELISTA»
“San Marco, evangelista, 25 aprile”
“Guéranger, L'anno liturgico - 25 aprile. San Marco Evangelista”
Guéranger, L'anno liturgico - 25 aprile. San Marco Evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-25apr.htm)





SANTA MESSA celebrata da Don Floriano Abrahamovicz alla “Domus Marcel Lefebvre” di Paese (TV) stamattina 25 APRILE 2020, FESTA di SAN MARCO EVANGELISTA:


«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
http://www.domusmarcellefebvre.it/
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
Festa di San Marco (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=aghqCx6ET28
Festa di San Marco (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=G9zEZGIpvEY
SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php)
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso».


L’Omelia odierna di Don Floriano è stata eccezionale: su San Marco Evangelista e sulle "Pasque Veronesi", sul c.d. coronavirus e sugli inganni mass-mediatici mondialisti nonché contro l'infame setta vaticano-secondista che ha adulterato la vera fede e dottrina cattolica, la vera Santa Messa, i veri Sacramenti e tutto ciò che vi è di più prezioso della Santa Romana Chiesa.





https://www.sursumcorda.cloud/
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/
«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
Preghiere a San Marco Evangelista»
https://www.sursumcorda.cloud/tags/san-marco-evangelista.html
https://www.sursumcorda.cloud/preghiere/950-o-glorioso-san-marco-evangelista-25-4.html
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https://www.sursumcorda.cloud/sostienici/libri.html
https://www.sursumcorda.cloud/preghiere.html





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https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«MARTIROLOGIO ROMANO, 1955. Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis»



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https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/04/le-rogazioni.html?m=1


https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/04/san-marco-evangelista.html?m=0
«San Marco Evangelista.
San Marco fu vicino a Cristo e agli Apostoli fin da giovanissimo: sua madre era la proprietaria del Cenacolo ed egli è probabilmente il ragazzo che scappò nudo nel Getsemani. Dopo la Pentecoste collaborò prima con san Paolo e con san Barnaba, poi con san Pietro. Seguì il Principe degli Apostoli a Roma, dove, raccogliendo la predicazione del maestro, compose, tra il 50 e il 60, il suo Vangelo. Dopo il martirio di san Pietro andò ad amministrare la Chiesa di Alessandria, città dove morirà martire nel 68. Le sue reliquie si venerano a Venezia fin dall’828».


https://3.bp.blogspot.com/-GKRxkFBKJZc/Ws5C4r62ASI/AAAAAAAABmw/OSmWTYg_XYwbAvr6rn4-DbUQnk3J8yyYACLcBGAs/s1600/22008_1578197382468097_1427339291226781384_n.jpg





San Marco - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-marco/)
http://www.sodalitium.biz/san-marco/
«25 aprile, san Marco Evangelista.
“Ad Alessandria il natale del beato Marco Evangelista. Questi, discepolo ed interprete dell’Apostolo Pietro, pregato in Roma dai fratelli, scrisse il Vangelo, col quale se ne andò in Egitto, e per primo annunziando Cristo in Alessandria, vi fondò la Chiesa. Poi, preso per la fede di Cristo, legato con funi e trascinato fra i sassi, fu gravemente tormentato; quindi, chiuso in carcere, prima fu confortato da un’angelica visione, e finalmente, apparendogli lo stesso Signore, fu chiamato ai gaudii celesti, nell’anno ottavo di Nerone”.
O Glorioso san Marco che foste sempre in onore specialissimo nella chiesa, non solo per i popoli da voi santificati, per il vangelo da voi scritto, per le virtù da voi praticate, e per il martirio da voi sostenuto, ma ancora per la cura speciale che mostrò Iddio per il vostro corpo portentosamente preservato sia dalle fiamme a cui lo destinarono gli idolatri nel giorno stesso della vostra morte, e sia dalla profanazione dei saraceni divenuti padroni del vostro sepolcro in Alessandria, fate che possiamo imitare tutte le vostre virtù. Così sia».
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https://www.facebook.com/donugo.casasanpiox/
“Nel giorno della festa dell’evangelista san Marco preghiamo gli Apostoli e gli Evangelisti per crescere nell'amore per i Vangeli e per leggerli e meditarli con profitto spirituale (consiglio i testi biblici commentati da autori come l’abate Giuseppe Ricciotti, mons. Francesco Spadafora, mons. Salvatore Garofalo, autori moderni ma non modernisti).

La raccolta degli scritti del N.T. si apre con quattro libretti sostanzialmente identici nel titolo e nel contenuto. Tutti e quattro, difatti, sono chiamati «Vangelo» e riferiscono detti e fatti della vita di Gesù (Atti, I, 1). (…) Il «buon annunzio» per eccellenza - la «buona novella», come usiamo dire in italiano - era, per il mondo ebraico, l'annunzio messianico, cioè l'annunzio delle molteplici meraviglie che Dio avrebbe operato per condurre a salvamento, per mezzo del Messia annunziato e preparato dal V. T., Israele e il mondo. (…)
Poiché Gesù ha non soltanto predicato la salvezza ma l'ha adempiuta ed è lui stesso la salvezza (cfr. Gv. 14, 6), l'«evangelo» ha dimensioni storiche; non è, in altri termini, esposizione di un sistema filosofico-teologico ma vicenda di una persona che, sola, può dare la misura e l'intelligenza di quanto fu detto e fu fatto. Nei tempi in cui furono scritti i quattro libretti — la prima generazione cristiana — molti erano in Palestina coloro che potevano conoscere per diretta esperienza singoli episodi e parole del Cristo (Atti 2, 22; 26, 26), ma chi poteva veramente dare la chiave della intelligenza profonda di quanto era stato visto e ascoltato erano coloro i quali avevano, al seguito del Cristo, in un'assidua consuetudine di vita e per mezzo di una istruzione e formazione particolarmente ad essi dedicata, conosciuto i « misteri del regno di Dio » (Mt. 13, 11) ed erano stati investiti dal Maestro della missione di «testimoni» di lui (Lc. 24, 28; Atti 8. 22). L'«evangelo» è la «testimonianza» dei dodici (Atti 13, 30-32).
Nella comunità cristiana primitiva vige la regola che non esiste «evangelo» al dì fuori di quello che è predicato dagli apostoli, nel cui insegnamento è necessario «perseverare» (Atti 23 42; Gal. I, 6-9; 2 Gv. io); l'«evangelo» perciò viene dall'alto - dai testimoni - non nasce dal basso, come frutto di una elaborazione anonima dei detti e dei fatti di Gesù nella quale siano riflesse esigenze psicologiche, religiose o di culto che abbiano potuto sostanzialmente modificare I'«evangelo» del Cristo. (...)
(Mons. Salvatore Garofalo, Nuovo Testamento, Introduzione ai Vangeli, Marietti 1960)”.


“Dal 23 al 25 aprile: triduo alla Madonna del Buon Consiglio (festa il 26/4)
Piccole litanie della Madonna del Buon Consiglio

KYRIE ELEISON
CHRISTE ELEISON
KYRIE ELEISON
CHRISTE AUDI NOS
CHRISTE EXAUDI NOS
PATER DE CAELIS DEUS Miserere Nobis
FILII REDEMPTOR MUNDI DEUS Miserere Nobis
SPIRITUS SANCTE DEUS Miserere Nobis
SANCTA TRINITAS UNUS DEUS Miserere Nobis

Santa Vergine Maria nostra madre, Consigliaci e proteggici
Figlia dilettissima dell'Eterno Padre, Consigliaci e proteggici
Madre augusta del Figlio di Dio, Consigliaci e proteggici
Divina Sposa dello Spirito Santo, Consigliaci e proteggici
Tempio della SS. Trinità, Consigliaci e proteggici
Regina del Cielo e della terra, Consigliaci e proteggici
Sede della Divina Sapienza, Consigliaci e proteggici
Depositaria dei segreti dell'Altissimo, Consigliaci e proteggici
Vergine prudentissima, Consigliaci e proteggici
Nelle nostre perplessità e nei nostri dubbi, Consigliaci e proteggici
Nelle nostre angosce e nelle nostre tribolazioni, Consigliaci e proteggici
Nei nostri affari e nelle nostre imprese, Consigliaci e proteggici
Nei pericoli e nelle tentazioni, Consigliaci e proteggici
Nei combattimenti contro il demonio, il mondo e la carne, Consigliaci e proteggici
Nei nostri scoraggiamenti, Consigliaci e proteggici
In tutti i nostri bisogni, Consigliaci e proteggici
Nell'ora della nostra morte, Consigliaci e proteggici
Per la tua Immacolata Concezione, Consigliaci e proteggici
Per la tua Felice Natività, Consigliaci e proteggici
Per la tua ammirabile Presentazione, Consigliaci e proteggici
Per la tua gloriosa Annunciazione, Consigliaci e proteggici
Per la tua benedetta Visitazione, Consigliaci e proteggici
Per la tua Divina Maternità, Consigliaci e proteggici
Per la tua Santa Purificazione, Consigliaci e proteggici
Per i dolori del tuo materno cuore, Consigliaci e proteggici
Per la tua preziosa dormizione, Consigliaci e proteggici
Per la tua trionfale Assunzione, Consigliaci e proteggici

AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI Parce nobis, Domine
AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI Exaudi nos, Domine
AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI Miserere Nobis

V. Prega per noi Santa Madre di Dio.
R. Ed ottienici il dono del buon consiglio.

OREMUS - Deus qui genitricem dilecti Filii tui matrem nobis dedisti, ejusque speciosam imaginem mira apparitione clarificare dignatus es: concede quæsumus, ut ejusdem monitis jugiter inhærentes, secundum cor tuum vivere, et ad cælestem patriam feliciter pervenire valeamus. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen”.







https://associazione-legittimista-italica.blogspot.com/2016/04/buona-festa-di-san-marco-tutti.html
“Buona festa di San Marco a tutti!”




“Inno Veneto - Juditha Triumphans - Vivaldi (Venetian Anthem)
https://www.youtube.com/watch?time_continue=105&v=fB6U2He_-yE
SALVE INVICTA JUDITHA FORMOSA PATRIE SPLENDOR SPES NOSTRAE SALUTIS (Salutis!)[x2]
SUMMAE NORMA TU VERE VIRTUTIS ERIS SEMPER IN MUNDO GLORIOSA [x2]
DEBELLATO SIC BARBARO TRACE TRIUMPHATRIX SIT MARIS REGINA (Regina!) [x2]
ET PLACATA SIC IRA DIVINA ADRIAT VIVAT ET REGNET IN PACE [x2]
[Vivat (x3) in pace!] [x2]”




«Al Bano: "La festa del 25 aprile? Mi domando da chi ci dobbiamo liberare" - IlGiornale.it
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/bano-festa-25-aprile-mi-domando-chi-ci-dobbiamo-liberare-1683698.html
Per me il 25 aprile è anzitutto la festa di San Marco Evangelista, il patrono del mio paese, Cellino San Marco. Ovviamente so che è la festa della Liberazione e mi domando: ora da chi ci dobbiamo liberare? - Albano Carrisi (Cellino San Marco, 20 maggio 1943)».








«Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com
https://www.facebook.com/radiospadasocial/ »

“25 APRILE 2020: SAN MARCO, EVANGELISTA (Patrono delle Venezie)”.

“Una voce cattolica sul 25 aprile”
https://www.radiospada.org/2020/04/una-voce-cattolica-sul-25-aprile/
https://i1.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2020/04/SchutternGospelsFolio71vIncMark-4-scaled.jpg?resize=1024%2C680&ssl=1
https://www.radiospada.org/tag/vangelo-di-san-marco/
https://www.radiospada.org/tag/25-aprile/



https://i1.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2020/04/SchutternGospelsFolio71vIncMark-4-scaled.jpg?resize=1024%2C680&ssl=1



“Il 25 aprile 1991 passava alla eternità Monsignor Antonio de Castro Mayer”

https://www.radiospada.org/tag/de-castro-mayer/
https://www.radiospada.org/tag/arai-daniele/
https://www.radiospada.org/tag/don-floriano-abrahamowicz/
https://www.radiospada.org/2018/05/ad-fontes-arai-daniele-e-monsignor-de-castro-mayer-una-vecchia-intervista/
« [AD FONTES] Araì Daniele e Monsignor De Castro Mayer: una vecchia intervista»
https://www.radiospada.org/wp-content/uploads/2015/05/2015-5-19-Note-sulle-collaborazioni-interne.pdf
«Note sulle collaborazioni interne al “movimento di resistenza” al neomodernismo Autore: Andrea Giacobazzi Fonte: radiospada.org Data: 19 maggio 2015.
(...) Lo stesso Mons. de Castro Mayer che, come accennato, anche nell’iconografia, è principalmente ricordato nelle foto che lo raffigurano a fianco di Mons. Lefebvre alle consacrazioni del 1988, era di orientamento sedevacantista: forse “prudente” ma mai al punto di emarginare i “sedevacantisti”. A Ecône, poco prima delle consacrazioni, riferì all’abbé Schoonbroodt:
"Monsieur le Curé, nous n’avons pas de Pape, car il est impossible que celui qui a organisé la rencontre inter-religieuse à Assise soit vicaire de N. S. Jésus-Christ".
Anni addietro, nel gennaio 1983, appoggiò l’iniziativa dei tesisti consistente nella Lettre à quelques évêques sur la situation de la Sainte Église.
Pare che queste iniziative non fossero affatto gradite da Mons. Lefebvre.
Arai Daniele (sedevacantista totalista), uno dei massimi collaboratori del vescovo brasiliano in una intervista ribadì:
“L’importante è ricordare è che Mons. de Castro Mayer vedeva definita da tempo la questione che considerava la più importante per la Chiesa oggi, quella dell’autorità legittima. Altrimenti, come spiegare che i suoi amici più stretti erano giustamente il tomista Pacheco Salles, l’editore Roberto Gorostiaga, il filosofo Homero Johas, io, e altri che domandavano un Suo chiarimento a proposito? Il fatto innegabile è che Mons. de Castro Mayer appoggiava iniziative di libri, riviste e testimonianze nel senso indicato. Lettre à quelques évêques, è uno studio sulle eresie conciliari i cui autori erano apertamente “sedevacantisti”, eppure Mons. de Castro Mayer fu il presentatore del lavoro, perché voleva che si ponesse il problema della crisi nell’Autorità e si discutesse apertamente e chiaramente di esso”.
Intervista esclusiva al Prof. Arai Daniele: L’eredità spirituale di Mons. De Castro Mayer, Agere Contra, sine data (...)»



https://i1.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2019/11/Dom_Mayer_em_cerim%C3%B4nia_de_coroa%C3%A7%C3%A3o_ da_Virgem_Maria.jpg?resize=570%2C724&ssl=1





In ricordo di Mons. Antônio de Castro Mayer (Campinas, 29 novembre 1904 – Campos, 25 aprile 1991...R.I.P.), eroico Vescovo brasiliano che si oppose al “Concilio Vaticano II” ed alle sue “riforme” e morì rifiutando di “riconciliarsi” con la “Roma” modernista e la fasulla “autorità papale” dell’epoca: eroe della resistenza anzi Resilienza Cattolica integrale…




https://nullapossiamocontrolaverita.blogspot.com/2016/08/se-mons-castro-mayer-la-chiesa-che.html
S.E. Mons. Castro Mayer :“La Chiesa che aderisce formalmente e totalmente al Vaticano II con le sue eresie non è, né potrebbe essere, la Chiesa di Gesù Cristo".


http://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/55.pdf
«(...) Nello scorso numero di Sodalitium scrivemmo che Mons. de Castro Mayer non era sedevacantista. Dobbiamo correggere questa affermazione in base a quanto dichiarato a Ecône dal Vescovo brasiliano poco prima delle consacrazioni episcopali del 30 giugno 1988. Accolto a Ecône il 25 giugno, il prelato brasiliano dichiarò tra l’altro: “Il mondo può dire: questa consacrazione è fatta senza il Capo visibile della Chiesa. Ma dov’è il Capo visibile della Chiesa? Possiamo accettare come Capo visibile della Chiesa un Vescovo che mette sullo stesso piano le divinità pagane e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo? [Mons. De Castro Mayer allude all’incontro interreligioso di Assisi] Non è possibile”. (trascrizione della registrazione di un’Omelia di Mons. de Castro Mayer, pronunciata in portoghese e tradotta, in presenza del Vescovo, dal suo segretario Padre Fernando Arias Rifan, attualmente Vescovo consacrato con mandato di Giovanni Paolo II). Almeno il 25 giugno 1988, pertanto, Mons. Antonio de Castro Mayer NON riconobbe l’autorità di Giovanni Paolo II»

http://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/56.pdf
« (...) Mons. de Castro Mayer non emarginò mai i “sedevacantisti” (al contrario di Mons. Lefebvre), aderì all’iniziativa dei “guérardiani” della Lettera a qualche vescovo (del gennaio 1983), e sostenne addirittura la vacanza della Sede 16 (senza curarsi dalla “pacifica accettazione della Chiesa”) a Ecône, prima delle consacrazioni episcopali. Se non diede maggiore pubblicità e seguito alla sua convinta posizione sedevacantista, ciò fu dovuto al desiderio di non compromettere le sue relazioni con Mons. Lefebvre, come quest’ultimo ebbe occasione di dichiarare: “Se non fosse per me, Mons. de Castro Mayer sarebbe sedevacantista. Si astiene dal sedevacantismo, per non disunirci”(Mons. Williamson, “lettera pastorale”: Campos - Cos’è andato male? Giugno 2002). La conseguenza di tutto ciò, è stato l’accordo coi modernisti stipulato dai Mons. Rangel e Rifan…(...)»


https://www.agerecontra.it/2017/06/due-testimoni-episcopali-della-profezia-di-fatima/
«DUE TESTIMONI EPISCOPALI DELLA PROFEZIA DI FATIMA
L’EDITORIALE DEL VENERDI di Arai Daniele
(...) Giova sempre rammentare i testi redatti da Mgr de Castro Mayer e da Mgr Lefebvre.
Alla lettura di questi documenti si deve costatare che non solo i sacerdoti di Mgr Castro Mayer ma anche i sacerdoti e i vescovi di Mgr Lefebvre non hanno preso in considerazione e affrontato quando oramai non era più possibile temporeggiare, la questione dell’autorità nella Chiesa.
Negli anni settanta e ottanta la domanda fu posta dai due grandi vescovi: possono essere questi papi legittimi successori di San Pietro? Può la chiesa conciliare essere la chiesa cattolica?
Gli avvenimenti purtroppo confermavano la risposta negativa. Questi ‘papi conciliari’ non possono essere considerati cattolici come non lo può essere il Vaticano 2. L’invito ripetuto e pressante di Mgr Lefebvre di spiegare questa drammatica realtà non solo non è stato ascoltato ma si è fatto il contrario, vietando di considerare che tale chiesa conciliare e i loro papi non siano cattolici e perciò illegittimi.
Senza affrontare il problema dell’autorità nella Chiesa “anche i nostri tradizionalisti perderanno la fede”, disse Mgr Lefebvre nel 1987. E senza riprendere il filo della questione che il preclaro Fondatore, Mgr Marcel Lefebvre, lasciò sugli «anticristi a Roma», o degli «antipapi» secondo Monsignor Antonio de Castro Mayer, dove possono arrivare sennò alla complicità con questi falsi cristi?
Comunque, come possono fare a meno della grande opportunità di testimoniare la loro fede almeno seguendo la pubblica testimonianza, allora iniziata, nei documento dei due vescovi?
(...) Il Vescovo Antonio de Castro Mayer già allora diceva apertamente, come l’ha fatto pubblicamente durante le consacrazioni episcopali di Ecône, testimoniato da molti e dallo stesso cupo P. Schmidberger, che siamo senza papa e in Vaticano c’è un antipapa.
Parole scritte da Mgr Lefebvre ai futuri vescovi in altra forma: in Vaticano ci sono degli anticristi.
Sono parole che venivano come inevitabili conclusioni dei documenti sopra.
Il fatto è che questi testi rimarranno per sempre nella storia della Chiesa dei nostri tempi tenebrosi, più che le tante prediche, omelie e scritti ormai nascosti o dimenticati.
Testimonianze legate alla Profezia di Fatima?
Parole di Maria Santissima a Lucia: “nel tempo, una sola Fede, un solo Battesimo, una sola Chiesa, Santa, Cattolica, Apostolica …” nell’occasione in cui autorizzò Lucia a scrivere la visione del Segreto da pubblicare nel 1960, che allora sarebbe più chiaro. Ecco la confessione cattolica anti ecumenista che i sue Vescovi confessarono pubblicamente a lungo di fronte alla Roma occupata da anticristi.
Dove era ed è il Vicario di Cristo? Eliminato insieme a tutto il suo seguito fedele, come visto nel Terzo Segreto. Allora, quello che si presentò per sostituirlo, portando un Vangelo massonico, poteva essere solo uno di quei «falsi cristi» profetizzati da Gesù. Era, quindi reale quanto i due vescovi testimoniarono poi: siamo senza papa e in Vaticano c’è un antipapa. O scritte da Mgr Lefebvre in altra forma: in Vaticano ci sono degli anticristi.
I due vescovi lo sapevano anche senza conoscere il Segreto, pubblicato solo nel 2000 quando erano già deceduti.
Parole inevitabili in conclusione dei documenti sopra, anche se potevano essere più esplicite. Ma in seguito la situazione della Fede é continuata a peggiorare; spettava alla fedeltà dei cattolici riconoscerlo e testimoniarlo.
Eppure, c’è stata una triste casta di opportunisti che credete sciaguratamente di poterlo tacere! Domandano perfino perché la Madonna non lo ha spiegato con parole nel Segreto! Diventano, così, se non formalmente, materialmente complici degli anticristi in Vaticano.
Che Dio ci scampi e liberi dal male di omettere per proprio vantaggio, per viltà o perfidia le testimonianze episcopali che allora delineavano la testimonianza per la difesa della Santa Fede, rimasta scandalosamente indifesa in un mondo apostata».


https://www.agerecontra.it/2016/08/tormentato-corso-dellipotesi-tabu-sul-papa-eretico/

https://promariana.wordpress.com/2013/02/05/a-resistencia-de-dom-mayer-e-o-livro-do-dr-arnaldo/

https://moimunanblog.com/2016/08/16/mons-castro-mayer-la-iglesia-del-heretico-vaticano-ii-no-es-la-iglesia-de-jesucristo/
Monseñor Castro Mayer: “La Iglesia, que formal y completamente se adhiere al Vaticano II no es, ni puede ser, la Iglesia de Jesucristo”


«Dom Antônio de Castro Mayer era sedevacantista
https://www.youtube.com/watch?v=4tyay9OsbHk
Dom Antônio de Castro Mayer (20 de junho de 1904 - 25 de abril de 1991), o Leão de Campos, foi um dos maiores tradicionalistas que defenderam a ortodoxia católica contra o Concílio Vaticano II. Dom Mayer foi co-consagrador nas Consagrações de Écône ocorridas em 1988, e apesar da opinião da maioria dos tradicionalistas que reconhecem e resistem ao “Papa ”, Dom Mayer, após a consagração, disse ao povo reunido que “nós não temos Papa”. Neste vídeo, o Padre Anthony Cekada, sacerdote sedevacantista ordenado por Dom Lefebvre, e o Sr. Arai Daniele, amigo íntimo de Dom Mayer, dão seus testemunhos sobre os pronunciamentos do Leão de Campos contra o falso papado. Uma de suas denúncias apareceu no Jornal da Tarde de 1984, em que Dom Mayer disse que “A Igreja que adere formal e totalmente ao Vaticano II com suas heresias não é nem pode ser a Igreja de Jesus Cristo”.»

https://www.facebook.com/radtradmemesforfanaticalcatholics/videos/dom-ant%C3%B4nio-de-castro-mayer-era-sedevacantista/189986145026222/
«DOM ANTÔNIO DE CASTRO MAYER ERA SEDEVACANTISTA (...)
Fontes:
Marcel Lefebvre: Sedevacantist: https://www.youtube.com/watch?v=DqgcCujfQF0
Marcel Lefebvre e Sedevacantismo (Português): https://www.youtube.com/watch?v=eRhk6kyPmZ4
Entrevista com Senhor Arai Daniele: https://www.youtube.com/watch?v=QTX_6PI_aYY
DOM ANTÔNIO DE CASTRO MAYER E A PROFECIA DE FÁTIMA, por Arai Daniele»
https://promariana.wordpress.com/2017/06/28/dom-antonio-de-castro-mayer-e-a-profecia-de-fatima/



http://www.unavox.it/NuoveImmagini/Campos/Mons_De-Castro-Mayer.jpg
http://www.unavox.it/NuoveImmagini/FSSPX/Mons_Marcel_Lefevbre.jpg



http://www.unavox.it/NuoveImmagini/Campos/Mons_De-Castro-Mayer.jpg







...è ancora valida la data del 25 aprile, certo e lo sarà sempre, è da tanti secoli la Festa di San Marco Evangelista!!!





“25 aprile: con San Marco, per San Marco”
https://forum.termometropolitico.it/3943-25-aprile-con-san-marco-per-san-marco.html
https://forum.termometropolitico.it/3943-25-aprile-con-san-marco-per-san-marco-2.html





Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
Messes :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/messes)
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum]»
“Mieux vaut une petite œuvre dans la Vérité, qu’une grande dans l’erreur”

“25 avril : Saint Marc Évangéliste, Évêque d'Alexandrie († 75)"
http://liguesaintamedee.ch/application/files/1015/2425/4613/04_25_saintmarc.jpg



http://liguesaintamedee.ch/application/files/1015/2425/4613/04_25_saintmarc.jpg




SAN MARCO, EVANGELISTA, PREGA PER NOI!!!
RESURREXIT, SICUT DIXIT, ALLELUJA!!!
CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS REGNAT, CHRISTUS IMPERAT!!!
Luca, SURSUM CORDA – HABEMUS AD DOMINUM!!!