Libertarian
02-06-04, 03:59
Un tema molto dibattuto negli ultimi anni anche nell'area liberale e libertaria è quello riguardante l'ambiente, con la prima chiara formulazione di un ambientalismo liberale, diverso e distante dai vari e fallimentari "ambientalismi statalisti"e teorie dello "sviluppo sostenibile". Di seguito, un interessantissimo spunto in materia dell'amico Marco Faraci.
Ecologia di mercato
Di Marco Faraci
L'ecologia è una di quelle materie sulle quali si verifica un accordo pressoché generale sulla necessità di un intervento dello Stato per correggere i "mali" del capitalismo di libero mercato. Si tratta di un'idea accettata anche da molti che sulla maggior parte dei temi sono invece propensi a considerare opportune soluzioni di tipo liberale. I cosiddetti "verdi" in particolare sono sicuramente collettivisti in economia e non fanno che additare la ricerca del profitto, lo sfruttamento capitalista e, in definitiva, i diritti di proprietà come la principale causa del degrado ambientale. Essi ritengono che gli interessi privati siano interessi particolari che non tengono conto del bene comune che invece può essere meglio assicurato da saggi amministratori pubblici.
La soluzione che loro prospettano è, di conseguenza, una limitazione sempre maggiore dei diritti di proprietà individuale, conferendo allo Stato il compito di tutelare l'ambiente. La lettura "verde" tuttavia è apertamente contraddetta dalla realtà dei fatti ed a questo proposito è interessante notare come è proprio in quei paesi in cui è stato maggiore l'intervento pubblico ed il ruolo dello Stato che si sono verificati i maggiori disastri ambientali e la più sistematica distruzione del patrimonio naturale. Se si comincia ad analizzare il problema ecologico senza il prisma deformante della propaganda "progressista" è facile mettere in evidenza tutti i limiti e le contraddizioni dell'analisi politica e delle soluzioni che normalmente ci vengono proposte come le uniche possibili. E' quello che fanno ad esempio Gugliemo Piombini e Carlo Lottieri nel libro "Privatizziamo il chiaro di Luna", edito dalla Leonardo Facco Editore (e-mail: leofacco@tin.it) che per la prima volta propone un'efficace esposizione in lingua italiana delle tesi dell'"ecologia di mercato". Per "ecologia di mercato" si intende un approccio alla difesa del patrimonio ambientale basata sul libero mercato e sul rispetto dei diritti di proprietà. La tesi fondamentale è che quello che è di tutti in realtà non è di nessuno e, di conseguenza, nessuno se ne prende cura. Viceversa se un determinato bene ha un proprietario individuale ha anche una persona veramente interessata alla sua conservazione. Vale la pena di illustrare alcuni esempi che danno un'idea di come rispetto per la natura e rispetto dei diritti di proprietà siano strettamente legati. E' interessante in particolare ricordare la rapida estinzione dei bisonti nel far west e confrontarla invece con la diversa sorte delle vacche che non hanno mai corso alcun pericolo di estinzione malgrado l'altissimo consumo che si fa delle loro carni. In effetti i bisonti erano pubblici: quindi chiunque era spinto ad
ucciderne il più possibile e non aveva alcune interesse a limitarsi in questo perché se lo avesse fatto sarebbe stato solamente a favore di altri cacciatori. Le vacche, al contrario, avevano proprietari privati che erano interessati a razionalizzarne l'uccisione ed a favorirne la riproduzione. Un altro esempio eclatante è quello delle foreste dell'Amazzonia e dell'America settentrionale. Sono anni che vengono denunciati, in specie dalla sinistra, i pericoli del disboscamento selvaggio che sta portando alla graduale estinzione della foresta amazzonica. Secondo i progressisti ciò sarebbe la conseguenza del perverso sfruttamento capitalista. La realtà è ben diversa. La foresta amazzonica si estingue perché è pubblica e di conseguenza non esiste un proprietario interessato alla sua preservazione nel tempo, ma solo persone interessate a consumare il più possibile per ottenere un vantaggio immediato. Al contrario le foreste private dell'America settentrionale non corrono alcun rischio di estinzione perché i proprietari sono interessati a mantenere alto nel tempo il valore di ciò che possiedono e di conseguenza sono estremamente solleciti nelle operazioni di rimboschimento. Il proprietario privato, in altre parole, ha un orizzonte temporale più lungo di quanto non lo abbia la gestione pubblica. Sotto la gestione pubblica, infatti, sia gli utenti che gli amministratori hanno interesse a massimizzare lo sfruttamento immediato della risorsa: la regola che la fa da padrona è "consuma il più possibile ed al diavolo tutti gli altri". L'utente del sistema pubblico (es. il cacciatore di bisonti) è spinto a consumare il più possibile perché se si limita lo fa solamente a vantaggio degli altri. L'amministratore ha pure interesse a consumare il più possibile sia perché non sa se sarà al potere in futuro sia perché in ogni caso la cosa più importante per lui è garantirsi la massima popo-
larità immediata in vista delle elezioni più vicine e non certo pensare altruisticamente alla generazione futura. L'ecologia di mercato sostiene, inoltre, che non esiste incompatibilità tra la crescita economica e la preservazione dell'ambiente, smentendo così i profeti di sventura dello "sviluppo sostenibile". Infatti è proprio la maggiore ricchezza che consente ad ogni individuo di curare maggiormente lo spazio che lo circonda. Non ci stupisce, quindi, che siano proprio i paesi meno sviluppati a patire i maggiori livelli di contaminazione, i peggiori indici di salute e le più gravi minacce ecologiche. In pratica sono proprio le economie più dinamiche che riescono a reagire più velocemente di fronte a problemi ecologici imprevisti. Questa reazione è tanto più efficace quanto più è basata su incentivi di mercato piuttosto che sulla supposta onniscienza di qualche governante. In effetti sono stati proprio i governanti a tollerare ed a rendere possibili molte forme di inquinamento proprio sulla base del cosiddetto interesse pubblico, ogni volta che hanno unilateralmente giudicato determinate attività inquinanti più importanti dei diritti privati delle persone che potevano essere vittime di tale inquinamento. In un sistema basato su processi di mercato, invece, inquinare la proprietà altrui sarebbe una violazione dei diritti di proprietà ed andrebbe come tale perseguita. Un industriale che volesse scaricare i propri rifiuti in un fiume si troverebbe costretto a pagare al proprietario del fiume il diritto ad inquinare e pagherebbe una cifra tanto più alta quanto più fossero le sostanze inquinanti che vi riversassero. Di conseguenza probabilmente sarebbe il primo a decidere di dotarsi di filtri e di depuratori che risulterebbero per lui più meno costosi. In definitiva i liberali devono essere coscienti che i problemi ambientali non devono essere sottovalutati, ma questo non significa affatto che devono accondiscendere ad un intervento pubblico che corregga i "mali" del mercato. Come si è detto, infatti, il degrado ambientale non è figlio del mercato, bensì dell'assenza del mercato, cioè del controllo pubblico sui beni ambientali. L'ecologia è, pertanto, un campo in cui le tesi del laissez-faire trovano una conferma e non certo una smentita. Ne consegue la necessità che anche qui i liberali, anziché assumere un atteggiamento difensivo, abbiano il coraggio di portare la libertà all'offensiva e di proporre soluzioni basate sul rispetto dei diritti individuali e dei diritti di proprietà.
Ecologia di mercato
Di Marco Faraci
L'ecologia è una di quelle materie sulle quali si verifica un accordo pressoché generale sulla necessità di un intervento dello Stato per correggere i "mali" del capitalismo di libero mercato. Si tratta di un'idea accettata anche da molti che sulla maggior parte dei temi sono invece propensi a considerare opportune soluzioni di tipo liberale. I cosiddetti "verdi" in particolare sono sicuramente collettivisti in economia e non fanno che additare la ricerca del profitto, lo sfruttamento capitalista e, in definitiva, i diritti di proprietà come la principale causa del degrado ambientale. Essi ritengono che gli interessi privati siano interessi particolari che non tengono conto del bene comune che invece può essere meglio assicurato da saggi amministratori pubblici.
La soluzione che loro prospettano è, di conseguenza, una limitazione sempre maggiore dei diritti di proprietà individuale, conferendo allo Stato il compito di tutelare l'ambiente. La lettura "verde" tuttavia è apertamente contraddetta dalla realtà dei fatti ed a questo proposito è interessante notare come è proprio in quei paesi in cui è stato maggiore l'intervento pubblico ed il ruolo dello Stato che si sono verificati i maggiori disastri ambientali e la più sistematica distruzione del patrimonio naturale. Se si comincia ad analizzare il problema ecologico senza il prisma deformante della propaganda "progressista" è facile mettere in evidenza tutti i limiti e le contraddizioni dell'analisi politica e delle soluzioni che normalmente ci vengono proposte come le uniche possibili. E' quello che fanno ad esempio Gugliemo Piombini e Carlo Lottieri nel libro "Privatizziamo il chiaro di Luna", edito dalla Leonardo Facco Editore (e-mail: leofacco@tin.it) che per la prima volta propone un'efficace esposizione in lingua italiana delle tesi dell'"ecologia di mercato". Per "ecologia di mercato" si intende un approccio alla difesa del patrimonio ambientale basata sul libero mercato e sul rispetto dei diritti di proprietà. La tesi fondamentale è che quello che è di tutti in realtà non è di nessuno e, di conseguenza, nessuno se ne prende cura. Viceversa se un determinato bene ha un proprietario individuale ha anche una persona veramente interessata alla sua conservazione. Vale la pena di illustrare alcuni esempi che danno un'idea di come rispetto per la natura e rispetto dei diritti di proprietà siano strettamente legati. E' interessante in particolare ricordare la rapida estinzione dei bisonti nel far west e confrontarla invece con la diversa sorte delle vacche che non hanno mai corso alcun pericolo di estinzione malgrado l'altissimo consumo che si fa delle loro carni. In effetti i bisonti erano pubblici: quindi chiunque era spinto ad
ucciderne il più possibile e non aveva alcune interesse a limitarsi in questo perché se lo avesse fatto sarebbe stato solamente a favore di altri cacciatori. Le vacche, al contrario, avevano proprietari privati che erano interessati a razionalizzarne l'uccisione ed a favorirne la riproduzione. Un altro esempio eclatante è quello delle foreste dell'Amazzonia e dell'America settentrionale. Sono anni che vengono denunciati, in specie dalla sinistra, i pericoli del disboscamento selvaggio che sta portando alla graduale estinzione della foresta amazzonica. Secondo i progressisti ciò sarebbe la conseguenza del perverso sfruttamento capitalista. La realtà è ben diversa. La foresta amazzonica si estingue perché è pubblica e di conseguenza non esiste un proprietario interessato alla sua preservazione nel tempo, ma solo persone interessate a consumare il più possibile per ottenere un vantaggio immediato. Al contrario le foreste private dell'America settentrionale non corrono alcun rischio di estinzione perché i proprietari sono interessati a mantenere alto nel tempo il valore di ciò che possiedono e di conseguenza sono estremamente solleciti nelle operazioni di rimboschimento. Il proprietario privato, in altre parole, ha un orizzonte temporale più lungo di quanto non lo abbia la gestione pubblica. Sotto la gestione pubblica, infatti, sia gli utenti che gli amministratori hanno interesse a massimizzare lo sfruttamento immediato della risorsa: la regola che la fa da padrona è "consuma il più possibile ed al diavolo tutti gli altri". L'utente del sistema pubblico (es. il cacciatore di bisonti) è spinto a consumare il più possibile perché se si limita lo fa solamente a vantaggio degli altri. L'amministratore ha pure interesse a consumare il più possibile sia perché non sa se sarà al potere in futuro sia perché in ogni caso la cosa più importante per lui è garantirsi la massima popo-
larità immediata in vista delle elezioni più vicine e non certo pensare altruisticamente alla generazione futura. L'ecologia di mercato sostiene, inoltre, che non esiste incompatibilità tra la crescita economica e la preservazione dell'ambiente, smentendo così i profeti di sventura dello "sviluppo sostenibile". Infatti è proprio la maggiore ricchezza che consente ad ogni individuo di curare maggiormente lo spazio che lo circonda. Non ci stupisce, quindi, che siano proprio i paesi meno sviluppati a patire i maggiori livelli di contaminazione, i peggiori indici di salute e le più gravi minacce ecologiche. In pratica sono proprio le economie più dinamiche che riescono a reagire più velocemente di fronte a problemi ecologici imprevisti. Questa reazione è tanto più efficace quanto più è basata su incentivi di mercato piuttosto che sulla supposta onniscienza di qualche governante. In effetti sono stati proprio i governanti a tollerare ed a rendere possibili molte forme di inquinamento proprio sulla base del cosiddetto interesse pubblico, ogni volta che hanno unilateralmente giudicato determinate attività inquinanti più importanti dei diritti privati delle persone che potevano essere vittime di tale inquinamento. In un sistema basato su processi di mercato, invece, inquinare la proprietà altrui sarebbe una violazione dei diritti di proprietà ed andrebbe come tale perseguita. Un industriale che volesse scaricare i propri rifiuti in un fiume si troverebbe costretto a pagare al proprietario del fiume il diritto ad inquinare e pagherebbe una cifra tanto più alta quanto più fossero le sostanze inquinanti che vi riversassero. Di conseguenza probabilmente sarebbe il primo a decidere di dotarsi di filtri e di depuratori che risulterebbero per lui più meno costosi. In definitiva i liberali devono essere coscienti che i problemi ambientali non devono essere sottovalutati, ma questo non significa affatto che devono accondiscendere ad un intervento pubblico che corregga i "mali" del mercato. Come si è detto, infatti, il degrado ambientale non è figlio del mercato, bensì dell'assenza del mercato, cioè del controllo pubblico sui beni ambientali. L'ecologia è, pertanto, un campo in cui le tesi del laissez-faire trovano una conferma e non certo una smentita. Ne consegue la necessità che anche qui i liberali, anziché assumere un atteggiamento difensivo, abbiano il coraggio di portare la libertà all'offensiva e di proporre soluzioni basate sul rispetto dei diritti individuali e dei diritti di proprietà.