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Visualizza Versione Completa : 13 giugno - S. Antonio da Padova, Dottore della Chiesa



Augustinus
13-06-04, 08:44
Per singolare coincidenza, quest'anno 2004, la Solennità del Corpus Domini si sovrappone a quella del Santo di Padova, Antonio, uno dei santi più amati dalla devozione popolare, oltre che insigne Dottore della Chiesa.
Per onorare questa insigne figura, apro questo thread

Augustinus

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dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=23400):

Sant' Antonio di Padova Sacerdote e dottore della Chiesa

13 giugno - Memoria

Lisbona, Portogallo, c. 1195 - Padova, 13 giugno 1231

Di nobile famiglia, dopo un'intensa vita ascetica presso i Canonici regolari agostiniani di Coimbra, passò fra i Minori di San Francesco d'Assisi, con il quale si incontrò alla Porziuncola (1221). Predicatore del Vangelo, esercitò il suo ministero dell'Italia del nord e nella Francia meridionale. Combatté l'eresie, facendo opera di evangelizzazione. Della sua predicazione restano significative testimonianze nei suoi scritti omiletici. Taumaturgo, fu maestro di dottrina spirituale e di teologia e ravvisò la perfezione nell'accordo tra la vita contemplativa e la vita attiva. E' universalmente venerato dal popolo cristiano. Le reliquie del Santo si custodiscono nella basilica omonima, che è meta di continui pellegrinaggi. (Mess. Rom.)

Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra gli agostiniani. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell'eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell'Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell'Italia settentrionale proseguendo nell'opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentondosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell'Arcella. (Avvenire)

Patronato: Affamati, oggetti smarriti, Poveri

Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco

Emblema: Giglio, Pesce

Martirologio Romano: Memoria di sant’Antonio, sacerdote e dottore della Chiesa, che, nato in Portogallo, già canonico regolare, entrò nell’Ordine dei Minori da poco fondato, per attendere alla diffusione della fede tra le popolazioni dell’Africa, ma esercitò con molto frutto il ministero della predicazione in Italia e in Francia, attirando molti alla vera dottrina; scrisse sermoni imbevuti di dottrina e di finezza di stile e su mandato di san Francesco insegnò la teologia ai suoi confratelli, finché a Padova fece ritorno al Signore.

Martirologio tradizionale (13 giugno): A Padova sant'Antonio Portoghese, Sacerdote dell'Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi.

Fernando di Buglione (il nome completo è Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo) nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all'Ordine dei Canonici regolari di Sant'Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all'ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l'ordine agostiniano. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa. Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi.
Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell'abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s'imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell'ordine per l'Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell'eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all'ordinazione di nuovi sacerdoti dell'ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.
E' mariologo, convinto assertore dell'assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito "arca del Testamento". Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d'asma ed è gonfio per l'idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.
A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell'Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano "guerre intestine" tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a MaterDomini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato "frutto del peccato" secondo l'uomo per testimoniare l'innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
Antonio fu canonizzato l'anno seguente la sua morte dal papa Gregorio IX.
La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.
Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.

Autore: Maurizio Valeriani

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http://www.wga.hu/art/c/carducho/vicente/vision_a.jpg Vicente Carducho, Visione di S. Antonio di Padova, 1631, Hermitage, San Pietroburgo

http://www.santantonio.org/messaggero_emi/upload/foto/1225.jpg

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http://www.cbft.unipd.it/pdtour/pdpict/antonio.jpg

Augustinus
13-06-04, 08:58
http://www.wga.hu/art/v/vivarini/alvise/sacra_co.jpg http://img356.imageshack.us/img356/5014/sacracovi5.jpg Alvise Vivarini, Sacra Conversazione tra la Vergine ed il Bambino ed i SS. Ludovico di Tolosa, Antonio di Padova, Anna, Gioacchino, Francesco d'Assisi e Bernardino da Siena, 1480, Gallerie dell'Accademia, Venezia

http://www.wga.hu/art/g/giorgion/religion/02mad_ch.jpg http://img168.imageshack.us/img168/6514/madchildo2.jpg http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p00288a01nf2005.jpg Giorgione (o Tiziano Vecellio?), Madonna con Bambino tra i SS. Antonio di Padova e Rocco, 1510, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/l/lippi/flippino/1/02mad_c.jpg Filippino Lippi, Madonna con Bambino con S. Antonio di Padova ed un frate, prima del 1480, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.wga.hu/art/p/pacher_f/saints.jpg Friedrich Pacher, SS. Francesco d'Assisi e Antonio di Padova, 1477, Museum of Fine Arts, Budapest

Augustinus
13-06-04, 09:29
http://www.immac.it/SezBusseto/Immagini/ArteBussetana/MariaAngeli/002.jpg Antonio Campi, Madonna col bambino e i SS. Giuseppe, Giovanni, Antonio da Padova, ecc., Chiesa di S. Maria degli Angeli, Roncole di Busseto

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d0/Visione_di_Sant%27Antonio_da_Padova.jpg http://www.cm-pergola.it/typo3temp/pics/783a26207f.jpg Gaetano Lapis, Visione di S. Antonio di Padova, 1740, Comune di Frontone

http://utenti.romascuola.net/bramarte/500/img/gio3.jpg Giorgione, Madonna con Bambino e SS. Antonio di Padova e Giorgio, Duomo di Castelfranco Veneto

http://img147.imageshack.us/img147/9449/guercino8yw.jpg Guercino, Visione di S. Antonio di Padova, 1659, Rimini

http://img112.imageshack.us/img112/5498/dipinto12lh.jpg Giuseppe Danedi detto il Montalto, Visione di S. Antonio di Padova, XVII sec., Origgio

http://img95.imageshack.us/img95/2259/antonio6km.jpg Claudio Coello, S. Antonio di Padova, XVI sec., Museo de Bellas Artes de La Coruña, Museo del Prado, Madrid

Augustinus
13-06-04, 09:29
http://www.cattolicesimo.com/immsacre/tura12.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/RNHBJ0/00-009854.jpg Cosme Tura, S. Antonio di Padova, Museo del Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/p/pereda/anthony.jpg http://www.wga.hu/art/p/pereda/anthony_.jpg Antonio de Pereda, S. Antonio di Padova ed il Bambin Gesù, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.wga.hu/art/p/piazzett/guardian.jpg Giovanni Battista Piazzetta, Angelo Custode con i SS. Antonio di Padova e Gaetano da Thiene, 1729 circa, San Vitale, Venezia

http://www.mezzo-mondo.com/arts/mm/zurbaran/ZUF001_L.jpg Francisco de Zurbaran, Visione di S. Antonio di Padova, 1630-33

http://img512.imageshack.us/img512/8723/stantonyad9.jpg

http://www.marys-touch.com/Saints/padua.JPG

Augustinus
13-06-04, 09:32
Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.
Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l'inclinazione del suo animo. Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. Di costoro e dei loro simili il Signore dice a Geremia: «Perciò, eccomi contro i profeti, oracolo del Signore, che muovono la lingua per dare oracoli. Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri, dice il Signore, che li raccontano e traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine. Essi non gioveranno affatto a questo popolo. Parola del Signore» (Ger 23, 30-32).
Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell'osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.

http://cgfa.sunsite.dk/dyck/dyck15.jpg http://www.cattolicesimo.com/immsacre/22.jpg Sir Antony van Dyck, Visione di S. Antonio di Padova, 1628-32, Pinacoteca di Brera, Milano

http://www.sspx.ca/EucharisticCrusade/2002_June/Images/St_Anthony.jpg

http://img147.imageshack.us/img147/9162/antonio29ow.jpg Bartolomé Esteban Murillo, S. Antonio di Padova, Museo de Bellas de Arte, Siviglia

http://img147.imageshack.us/img147/3448/antonio31by.jpg Francisco de Herrera il Monco, S. Antonio di Padova, Museo del Prado, Madrid

http://www.chrysler.org/wom/images/coello_big.jpg Claudio Coello, Visione di S. Antonio di Padova, 1663

http://img53.imageshack.us/img53/1215/slika407hg.jpg Antonio Paroli, SS. Antonio abate ed Antonio di Padova, XVIII sec., Narodni galeriji, Lubiana

http://img56.imageshack.us/img56/2906/slika52ka8.jpg Francesco Pavona, Gesù bambino tra i Santi Antonio di Padova e Giuseppe, XVIII sec., Nova Gorica

Augustinus
12-06-05, 17:13
http://www.editorialbitacora.com/camara/santos/santos18.jpg http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p00815a01nf2007.jpg http://cgfa.sunsite.dk/greco/greco17.jpg El Greco, S. Antonio di Padova, 1586 circa, Museo del Prado, Madrid

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/9c/Francisco_de_Zurbar%C3%A1n_034.jpg http://img123.imageshack.us/img123/4917/antonio40ac.jpg Francisco de Zurbarán, S. Antonio di Padova, Museo del Prado, Madrid

Augustinus
12-06-06, 21:35
In rilievo

Aug. :) :) :)

Augustinus
12-06-06, 21:42
S. Antonio di Padova (http://www.santantonio.org/portale/santantonio/sa.asp)

Augustinus
17-06-06, 13:35
La tradizione popolare tramanda che Sant'Antonio diede una preghiera ad una povera donna che cercava aiuto contro le tentazioni del demonio.
Sisto V, papa francescano, ha fatto scolpire la preghiera - detta anche motto di Sant'Antonio - alla base dell'obelisco fatto da lui erigere in Piazza San Pietro a Roma. Eccola nell'originale latino:

Ecce Crucem Domini!
Fugite partes adversae!
Vicit Leo de tribu Juda,
Radix David! Alleluia!

tradotto

Ecco la Croce del Signore!
Fuggite forze nemiche!
Ha vinto il Leone di Giuda,
La radice di Davide! Alleluia!

Questa breve preghiera ha tutto il sapore di un piccolo esorcismo. Anche noi possiamo usarla - in latino o in italiano - per aiutarci a superare le tentazioni che si presentano.

FONTE (http://www.carosantantonio.it/ita/preghiere_di_1.asp)

Augustinus
17-06-06, 13:41
GIOVANNI PAOLO II

LETTERA PER IL 50° ANNIVERSARIO DELL'ATTRIBUZIONE
A SANT'ANTONIO DEL TITOLO DI DOTTORE DELLA CHIESA

Al Reverendissimo Padre Bonaventura Midili T. O. R.
Presidente di turno dell’Unione dei Ministri Generali Francescani

1. La ricorrenza cinquantenaria dell’attribuzione a sant’Antonio del titolo di Dottore della Chiesa mi offre la gradita occasione per ricordarne la significativa figura di maestro di teologia e di spiritualità. Egli, “al quale - come scrisse un suo contemporaneo - Iddio diede ‘l’intelligenza delle Scritture’ e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele” (1 Cel XVIII, 48: FF 407), risplende nel vasto panorama di santità della Chiesa per la genuinità del profilo evangelico dei suoi insegnamenti. Per tale ragione, il mio Predecessore Pio XII, il 16 gennaio 1946, lo iscrisse nell’albo dei Dottori della Chiesa universale, additandolo quale maestro sicuro della verità rivelata.

In quella circostanza il Papa, con la Lettera apostolica Exulta, Lusitania felix; o felix Padua, gaude (cf. AAS 38 [1946], 200-204), invitò al gaudio ed all’esultanza i fedeli del Portogallo, terra che diede i natali al Santo, e gli abitanti della città di Padova, che ne custodisce i resti mortali.

Nella Lettera che ho inviato alle Famiglie Francescane per commemorare l’ottavo centenario della nascita del Santo, ricordavo che “dalla sete di Dio, dall’anelito verso Cristo nasce la teologia, che per sant’Antonio era irradiazione dell’amore a Cristo [...]; egli visse questo metodo di studio con una passione che lo accompagnò per tutta la sua vita francescana” (n. 4: AAS 86 [1994], 970). Le celebrazioni da poco concluse hanno riproposto la figura di Antonio quale uomo evangelico rivestito di sapienza e di carità.

2. L’intensa formazione culturale, teologica e biblica hanno aiutato il primo Lettore di Teologia dell’Ordine Serafico a percorrere la via di una assidua ricerca di Dio, alimentata da intensa pietà e da insaziata nostalgia della contemplazione. In tale itinerario, la Sacra Scrittura, costantemente meditata secondo il ritmo scandito dalla liturgia della Chiesa, divenne la fonte primaria di conoscenza per la sua teologia, così che questa fu per lui “il canto nuovo, che risuona soavemente agli orecchi di Dio e rinnova lo spirito” (Sermones, I, 255).

Accostando le Scritture attraverso i libri dell’orazione e delle celebrazioni della Chiesa, egli contemplò e predicò i misteri di Cristo, “modello dell’umiltà e della pazienza”, “Salvatore e re”, “Servo povero e obbediente” da seguire sino alla Croce, in compagnia della sua Santissima Madre, “la Vergine poverella”.

Di fronte ad un contesto sociale che stava elaborando prospettive etiche e culturali innovatrici insieme con modelli di spiritualità e di culto ispirati ad un evangelismo senza Chiesa, il Dottore evangelico ripropose con chiarezza e forza una nuova evangelizzazione che non fosse soltanto un’esortazione morale, ma un cammino nella Chiesa e con la Chiesa.

La sequela Christi, così cara al movimento minoritico, lo spinse a insistere con particolare intensità sull’aurea paupertas, che non è soltanto il distacco dalle cose del mondo, ma prima di tutto è riaffermazione del primato di Dio nella vita dell’uomo ed è affascinante desiderio delle “cose celesti” (Sermones, III, 86).

3. Soltanto la Chiesa, pur nella fragilità dei suoi figli, sorretta dall’azione dello Spirito ed abitata dallo splendore della Verità, resta la “terra buona e feconda” dove l’annuncio evangelico porta frutto, perché‚ “la verità della fede stessa nasce dalla madre Chiesa. La Verità però precedette, affinché‚ la Chiesa la seguisse” (Sermones, III, 196). E la Chiesa segue Cristo che afferma “Io sono la verità” (Gv 14,6). Essa - scrive il Santo - è il totum Christi corpus (Sermones, I, 55), che si lascia guidare da lui, per poter essere preservata dai pericoli (cf. Sermones, I, 493).

Sant’Antonio ha annunciato questa Verità, diffondendola nei sermoni tra i suoi contemporanei “come rugiada che discende dal cielo e reca sollievo alla terra assetata”, per usare l’immagine del mio predecessore, il Papa Sisto V (cf. Bolla Immensa divinae sapientiae, 24 gennaio 1586: Bull. Rom. IV, 181-182). Così, ascoltando la Parola di Dio proclamata e celebrata nella Chiesa, l’uomo non trova soltanto il senso pieno del suo agire, ma ritrova anche se stesso e la luce che gli porta il dono della pace interiore (cf. Sermones, I, 76-78).

4. L’urgenza della predicazione percorre tutti i Sermones che sant’Antonio ci ha lasciato. Colui che evangelizza - egli annota - è un contemplatore festoso di Dio, un testimone della “vita angelica”, che ha raggiunto la “scienza matura” (Sermones, I, 483). Fedele discepolo di Francesco d’Assisi, Antonio ha lasciato l’esempio di un impegno assiduo nell’evangelizzazione mediante una predicazione indefessa, accompagnata dall’accorata esortazione ad accostarsi ai sacramenti della Chiesa, specialmente a quelli della Riconciliazione e dell’Eucaristia.

Occorre, tuttavia, sottolineare che l’azione apostolica di sant’Antonio si nutrì costantemente della contemplazione delle cose celesti. Nella preghiera egli s’elevava a contemplare con gli occhi della fede lo splendore del vero sole, Dio Trinità, e da quella fonte attingeva luce e calore da effondere poi sulle anime (cf. Sermones, I, 332). Così trasmetteva agli altri, in piena comunione con la Chiesa, le interiori ricchezze del suo animo.

5. Auspico, Reverendissimo Padre, che l’odierna circostanza che commemora i cinquant’anni della proclamazione di sant’Antonio a Dottore della Chiesa sia motivo per l’intera Famiglia francescana di un rinnovato interesse allo studio del pensiero teologico e della prassi evangelizzatrice del Santo.

La riflessione accademica, accompagnata dalle programmate manifestazioni culturali, saprà indagare la sua ricca dottrina e gli elementi della sua attualità, così che i discepoli del Poverello d’Assisi, Confratelli del Dottore evangelico, possano continuare con intensificato vigore nell’opera della nuova evangelizzazione nel mondo contemporaneo, in sintonia con la Chiesa.

Con tali sentimenti, invocando l’aiuto del Divino Maestro per intercessione di sant’Antonio, di cuore imparto una speciale Benedizione Apostolica a Lei ed all’intero Ordine Francescano, volentieri estendendola a tutti i devoti del Santo.

Dal Vaticano, 16 gennaio dell’anno 1996, diciottesimo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

Augustinus
17-06-06, 13:43
GIOVANNI PAOLO II

VISITA PASTORALE A PADOVA

SANTA MESSA NELLA BASILICA DI SANT'ANTONIO

OMELIA

Padova, 12 settembre 1982

Amati confratelli della Comunità Francescana,
e voi tutti, carissimi fratelli e sorelle.

1. Considero una speciale grazia del Signore il poter unire quest’oggi le mie alle vostre preghiere, a chiusura ideale delle solenni celebrazioni promosse nello scorso anno, per il 750° anniversario della morte di sant’Antonio. Vorrei riferirmi subito a quella nota peculiare che si presenta come costante nella vicenda biografica di questo Santo, e che chiaramente lo distingue nel panorama pur tanto vasto e pressoché interminato della santità cristiana. Antonio - voi ben lo sapete - in tutto l’arco della sua esistenza terrena fu un uomo evangelico; e se come tale noi lo onoriamo è perché crediamo che in lui si è posato con particolare effusione lo Spirito stesso del Signore, arricchendolo dei suoi mirabili doni e sospingendolo “dall’interno” ad intraprendere un’azione che, notevolissima nei quarant’anni di vita, lungi dall’essersi esaurita nel tempo, continua, vigorosa e provvidenziale, anche ai nostri giorni.

Nel rivolgere il mio affettuoso saluto a quanti siete ora raccolti intorno all’altare, io vi invito innanzitutto a meditare proprio sulla nota dell’evangelicità, la quale costituisce anche la ragione per cui Antonio è proclamato “il Santo”.

Senza fare esclusioni o preferenze, è un segno, questo, che in lui la santità ha raggiunto vette di eccezionale altezza, imponendosi a tutti con la forza degli esempi e conferendo al suo culto la massima espansione nel mondo. In effetti, è difficile trovare una città o un paese dell’orbe cattolico, dove non ci sia per lo meno un altare o una immagine del Santo: la sua serena effigie illumina di un soave sorriso milioni di case cristiane, nelle quali la fede alimenta, per mezzo suo, la speranza nella Provvidenza del Padre celeste. I credenti, soprattutto i più umili e indifesi, lo considerano e sentono come il loro Santo: pronto sempre e potente intercessore in loro favore.

2. “Exsulta, Lusitania felix; o felix Padua, gaude”, ripeterò col mio predecessore Pio XII (cf. AAS 38 [1946] 200): esulta, nobile terra del Portogallo, che nella schiera numerosa dei tuoi grandi missionari francescani hai come capofila questo tuo figlio. E rallegrati tu, Padova: alle glorie della tua origine romana, anzi preromana, ai fasti della tua storia a fianco della vicina ed amica Venezia, tu aggiungi il titolo nobilissimo di custodire, col suo sepolcro glorioso, la memoria viva e palpitante di sant’Antonio. Da te, infatti, il suo nome si è diffuso e risuona tuttora nel mondo per quella nota peculiare, già da me ricordata: la genuinità del suo profilo evangelico.

Un vasto ambito, in cui si espresse al meglio tale evangelicità di sant’Antonio, fu senza dubbio quello della sacra predicazione. Qui appunto, nell’annuncio sapiente e coraggioso della Parola di Dio troviamo uno dei tratti salienti della sua personalità: fu l’attività indefessa di predicatore, accanto ai suoi scritti, che egli ha meritato l’appellativo di “Doctor Evangelicus” (cf. Ivi. 201).

“Passava - annota il biografo - per città e castelli, villaggi e campagne, dovunque spargendo i semi della vita con generosa abbondanza e con fervente passione. In questo suo peregrinare, rifiutandosi ogni riposo per lo zelo delle anime . . .” (Vita prima o Assidua, 9, 3-4).

Non era la sua predicazione declamatoria, o limitata a vaghe esortazioni a condurre una vita buona; egli intendeva annunciare veramente il Vangelo, ben sapendo che le parole di Cristo non erano come le altre parole, ma possedevano una forza che penetrava gli ascoltatori. Per lunghi anni si era dedicato allo studio delle Scritture, e proprio questa preparazione gli consentiva di annunciare al popolo il messaggio di salvezza con eccezionale vigore. I suoi discorsi pieni di fuoco piacevano alla gente, che sentiva un intimo bisogno di ascoltarlo e non riusciva, poi, a sottrarsi alla forza spirituale delle sue parole.

Si può dire, pertanto, che allo stile evangelico, proprio del discepolo pellegrinante di città in città per annunciare la conversione e la penitenza, corrispondeva il contenuto evangelico: formato allo studio della Scrittura che al Pontefice Gregorio IX aveva suggerito per lui l’epiteto di “arca del Testamento”, era soprattutto la pura dottrina di Gesù Cristo che egli riproponeva nel predicare agli uomini del suo tempo.

3. Al ministero della parola Antonio seppe congiungere, esplicandovi altrettanto zelo, l’amministrazione del sacramento della Penitenza. Grande sul pulpito, egli non fu meno grande all’ombra del confessionale, coordinando quanto per logica soprannaturale deve essere e rimanere congiunto. Predicazione e ministero della confessione, infatti, si collocano come due momenti di un’attività pastorale che mira in fondo al medesimo scopo: il predicatore prima semina la parola di verità, avvalorandola con la sua personale testimonianza e con la preghiera; ed egli stesso ne raccoglie poi i frutti come confessore, allorché riceve le anime sinceramente pentite e le offre, per il perdono e la vita, al Padre delle misericordie.

Facile e naturale era per Antonio il passaggio dall’uno all’altro ministero: già predicando egli parlava spesso della confessione, come confermano i suoi “Sermoni”, dove sono rare le pagine che non ne contengono qualche cenno. Ma non si limitava ad esaltare le “virtù” della penitenza, né soltanto raccomandava di frequentarla ai suoi ascoltatori. Attuando personalmente le sue parole ed esortazioni, era molto assiduo ad amministrare il Sacramento. Vi erano giorni in cui Antonio confessava senza interruzione fino al tramonto, senza prender cibo. Sappiamo, inoltre, che “egli induceva a confessare i peccati una moltitudine così grande di uomini e di donne, da non esser bastanti ad udirli né i frati, né altri sacerdoti che in non piccola schiera lo accompagnavano” (cf. Vita Prima o Assidua, 13, 13).

Davvero per lui, secondo le sue stesse parole, “casa di Dio” e “porta del paradiso” era la confessione in una visione di fede così viva, che all’aspetto sacramentale e canonico (tanto approfondito dalla teologia medievale) imponeva come culmine l’incontro affettuoso col Padre celeste e l’esperienza confortante del suo generoso perdono.

Nella luce di Antonio ministro del sacramento della Penitenza, come non ricordare in questa città di Padova un altro religioso della famiglia francescana, il beato Leopoldo Mandic da Castelnuovo, l’umile e silenzioso cappuccino che, nella riservatezza della sua cella del convento di Santa Croce, fu per decenni ministro della confessione, infondendo col sacramento del perdono pace e serenità a innumerevoli persone di ogni età e condizione?

4. Sono esempi preclari quelli di cui sto parlando, carissimi fratelli e sorelle, che mi ascoltate. Ma trovandomi nel Tempio che da Antonio si nomina, permettete che, prima che ai Laici, io mi rivolga soprattutto a voi, religiosi, che qui attendete a questi sacri ministeri “ex officio”, ed anche a voi, sacerdoti diocesani di Padova e del Veneto.

Predicazione e Penitenza: ecco un grande binomio di pura matrice evangelica, il quale dalla pratica luminosa di Antonio anche a voi si ripropone, essendo pienamente valido ed urgente per i nostri giorni, pur tanto dissimili dai suoi. Cambiano i tempi; possono cambiare, e di fatto cambiano secondo le indicazioni sapienti della Chiesa, metodi e forme dell’azione pastorale: ma i principi fondamentali di essa e, soprattutto, l’ordinamento sacramentale restano immutati, come immutati restano la natura ed i problemi dell’uomo, creatura ch’è al vertice della creazione divina, eppur sempre esposta alla drammatica possibilità del peccato. Ciò vuol dire che anche all’uomo d’oggi urge annunciare, inalterato nel suo contenuto, il kerigma di salvezza (ecco la predicazione); anche all’uomo peccatore urge offrire oggi lo strumento-sacramento della Riconciliazione (ecco la penitenza). Insomma, resta tuttora necessaria l’attività di evangelizzazione nella duplice direzione dell’annuncio e dell’offerta di salvezza.

Le celebrazioni antoniane, non saranno state soltanto una commemorazione, se in tutti voi sacerdoti, secolari o regolari, si svilupperà la coscienza di questi due ministeri irrinunciabili e preziosi, e se in voi laici si accrescerà il desiderio, anzi il bisogno di profittarne per il vostro spirituale progresso. Non è forse vero che tante volte una buona confessione si colloca in questo stesso processo come punto di partenza o di arrivo? Tutto ciò - notate - sempre nella linea evangelica della penitenza-conversione.

A Dio piacendo, nell’autunno del prossimo anno si terrà una nuova sessione del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata alla penitenza ed alla riconciliazione. Dopo i grandi temi dell’evangelizzazione, della catechesi e della famiglia, è sembrato opportuno esaminare sotto tutti i suoi aspetti, non ultimo quello pastorale-sacramentale, questo grave argomento che impegna per tanta parte la vita e l’azione della Chiesa nel mondo.

In vista di tale evento ecclesiale, nella luce del Centenario Antoniano, a tutti voi qui presenti io dico di riflettere intorno al dono ineffabile della Riconciliazione: esorto i sacerdoti ad essere sempre ministri zelanti di essa (cf. 2 Cor 5, 18-19), come esorto i fedeli ad essere sempre disponibili e docili: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20).

Augustinus
17-06-06, 13:45
GIOVANNI PAOLO II

VISITA PASTORALE A PADOVA
IN OCCASIONE DEL 750° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI S. ANTONIO

SOLENNE CONCELEBRAZIONE CON I VESCOVI DEL TRIVENETO

OMELIA

Padova, 12 settembre 1982

1. “E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato . . . poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8, 31).

Leggiamo queste parole oggi nel Vangelo secondo Marco, in cui gli Apostoli rispondono alla domanda di Cristo: “Chi dice la gente che io sia?” (Mc 8, 27).

Conosciamo questa domanda, e conosciamo le risposte che hanno dato gli interlocutori. Alla fine Gesù domandò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”, che vuol dire il Messia (Mc 8, 29).

Conosciamo anche questa risposta di Pietro nella versione più lunga dell’evangelista Matteo. Pietro professa la dignità messianica di Gesù di Nazaret. Ed ecco, lo stesso Pietro quando sente che il Messia, il Figlio dell’uomo, deve essere riprovato, martoriato e ucciso prende in disparte Gesù e si mette a rimproverarlo (cf. Mc 8, 32). “Rimproverarlo” significa che cerca di convincerlo che questo non gli accadrà mai (cf. Mt 16, 22).

Così pensa e così dice lo stesso Pietro, che ha professato Gesù di Nazaret come il Messia.

Ed allora Cristo rimprovera Pietro con parole così severe come forse non ha mai usato nei confronti di nessun altro degli Apostoli: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8, 33).

Lo stesso Pietro, che confessò la fede nel Messia, non voleva credere che Egli, “l’Unto di Dio” era, nello stesso tempo, “l’Agnello di Dio”; era “il servo di Jahvè” del Vecchio Testamento, afflitto e umiliato fino alla fine come aveva annunziato il profeta Isaia, secondo il brano ascoltato nella prima lettura d oggi.

E perciò Cristo protestò così categoricamente.

2. Cari fratelli e sorelle! Siamo qui oggi sulle orme dei Santi, che hanno accettato il mistero dell’“Agnello di Dio” e del “Servo di Dio” con tutta l’anima e l’hanno amato con tutto il cuore.

Francesco d’Assisi, del quale ricordiamo l’ottavo centenario della nascita, non poteva forse ripetere con Paolo apostolo le parole: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6, 14)?

E la stessa fede l’ha professata con il suo Maestro d’Assisi, Antonio di Padova, del quale la Chiesa ha celebrato lo scorso anno il 750° anniversario della morte, particolarmente in questa città, così strettamente legata al suo nome.

Francesco e Antonio non soltanto hanno professato la loro fede nella Croce e nel Crocifisso, ma anche hanno amato Colui che ci ha talmente amati, senza riserva, fino a giungere ad accettare la Croce!

Con lo sguardo rivolto a sant’Antonio e al suo Maestro san Francesco, porgo il mio saluto a voi tutti che siete riuniti in questa immensa piazza per la Celebrazione Eucaristica! Saluto in primo luogo il Pastore di questa diocesi, Monsignor Filippo Franceschi, e il suo predecessore, il venerando Monsignor Girolamo Bortignon; saluto cordialmente le Autorità, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i padri e le madri di famiglia, i lavoratori, i giovani, le giovani, i bambini, gli ammalati, tutti i presenti.

3. San Francesco e sant’Antonio hanno meditato nel proprio cuore su tutto ciò che il profeta Isaia aveva scritto sul “servo di Jahvè”, e che, parecchi secoli prima, sembra descrivere, in modo così dettagliato e preciso, gli avvenimenti del Venerdì Santo:
“Ho presentato il dorso ai flagellatori, / la guancia a coloro che mi strappavano la barba; / non ho sottratto la faccia / agli insulti e agli sputi . . .” (Is 50, 6).

Quanto vicine erano al cuore di Francesco e di Antonio queste ferite e offese!

Quanto viva era, per ciascuno di loro, questa “contesa”, che Gesù di Nazaret affrontò per la salvezza dell’uomo:
“. . . non resto confuso, / per questo rendo la mia faccia dura come pietra, / sapendo di non restare deluso . . . / chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. / Chi mi accusa? Si avvicini a me. / Ecco, il Signore Dio mi assiste: / chi mi dichiarerà colpevole?” (Is 50, 7-9).

Francesco e Antonio hanno letto con l’animo e con il cuore, con la fede e con l’amore, questa “contesa messianica”, che raggiunse il suo apice nel Getsemani e sul Calvario.

E perciò crescevano in loro non soltanto la fede, la speranza e la carità, ma cresceva insieme quel “vanto nella croce”, di cui ha scritto l’Apostolo nella lettera ai Galati.

4. Perché il “vanto nella croce”? Perché non “altro vanto che nella croce di Cristo”?

Perché la croce proclama fino alla fine, e al di sopra di ogni misura, al di sopra di ogni argomento dell’intelletto e della scienza, chi è l’uomo, agli occhi di Dio, nel suo eterno piano di amore!

Lo proclama una volta per sempre e irreversibilmente. Non si può imparare a fondo la dignità dell’uomo, se non “vantandosi soltanto nella croce”. E il senso della vita umana, il senso che essa ha nell’eterno piano di amore, non si può afferrare se non mediante quella “contesa messianica”, che Gesù di Nazaret condusse un giorno con Pietro e che continua a condurre con ogni uomo e con tutta l’umanità.

Il cristianesimo è la religione della “contesa messianica” con l’uomo e per l’uomo.

Ce ne rendiamo conto in modo chiaro, specialmente quando ritorniamo sulle orme di quei grandi seguaci di Cristo Crocifisso: Francesco d’Assisi e Antonio di Padova.

5. La Parola di Dio nell’odierna liturgia ci permette di comprendere che quella contesa messianica per l’uomo . . . con l’uomo, ha sempre la sua dimensione temporale e storica.

Non parla di questo, nella seconda lettura, l’apostolo Giacomo, insegnando che la fede senza le opere è morta in se stessa?

“Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?” (Gc 2, 14).

E così, mediante queste semplici e fondamentali parole dell’apostolo, quella contesa messianica con l’uomo e per l’uomo si esprime come il contenuto della vita umana nella dimensione di ogni giorno e di tutta la storia terrestre dell’umanità.

Nella prospettiva della fede sta, in ogni luogo, un altro uomo: “un fratello o una sorella . . . senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano” (Gc 2, 15). L’altro uomo, l’uomo bisognoso in ogni grado della longitudine e della latitudine geografica, costituisce una sfida per la fede.

Quanti sono questi fratelli e queste sorelle nel mondo intero? Quanti sono alla nostra portata immediata? E in quanti modi essi soffrono carenze: la fame, la penuria, l’avvilimento dei loro fondamentali diritti umani?

Perciò Francesco d’Assisi e Antonio di Padova hanno intrapreso, nei loro tempi, quella contesa evangelica con ogni uomo e per ogni uomo a misura degli Apostoli e dei santi.

Perciò anche ai nostri giorni l’enciclica Redemptor Hominis ricorda che l’uomo è e non cessa di essere la “fondamentale via della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14), l’uomo contemporaneo, la cui dignità, agli occhi del Creatore e del Redentore, non cessa di testimoniare la Croce di Cristo!

6. Quella contesa con l’uomo . . . e per l’uomo, che intraprese Cristo, ha, al tempo stesso, un’altra dimensione: in essa si decide il perenne ed insieme eterno destino dell’uomo, come essere creato a immagine e somiglianza di Dio.

Nell’esistenza umana in questo mondo si svolge come un grande dramma della vita e della morte, in conformità con ciò che ci ricorda oggi il Salmista:
“Mi stringevano funi di morte, / ero preso nei lacci degli inferi. / Mi opprimevano tristezza e angoscia” (Sal 114 [115], 3).

Cristo è venuto nel mondo, per unirsi all’uomo in questo dramma definitivo della sua esistenza.

Proprio perciò Paolo di Tarso e dopo di lui Francesco d’Assisi e Antonio di Padova si vantano nella Croce di Cristo. Poiché in essa è la piena risposta a questo grido più profondo dell’uomo consapevole dei suoi destini ultratemporali.

“Egli mi ha sottratto dalla morte, / ha liberato i miei occhi dalle lacrime, / ha preservato i miei piedi dalla caduta. / Camminerò alla presenza del Signore / sulla terra dei viventi” (Sal 114 [115], 8 s).

La fede, nella sua dimensione temporale e storica, vive mediante le opere di carità dell’uomo. La fede, nella sua dimensione definitiva ed eterna, si esprime mediante la partecipazione a questo Amore, che permette di superare il peccato e la morte.

Questo stesso amore di Dio genera la gioia, la gioia illimitata di esistere, di camminare alla presenza di Dio.

Una tale gioia portavano nel mondo, ai loro tempi, Francesco e Antonio e l’eco di tale gioia dura fino a oggi.

“Amo il Signore perché ascolta / il grido della mia preghiera. / Verso di me ha teso l’orecchio / nel giorno in cui lo invocavo” (Sal 114 [115], 1 s).

Così dunque quella “contesa messianica” con l’uomo . . . per l’uomo, che ha intrapreso Cristo, si risolve mediante l’amore, e l’amore definitivamente rende l’uomo felice; l’amore di Dio al disopra di ogni cosa, che si manifesta mediante l’amore dell’uomo, di ogni fratello e di ogni sorella, che Dio mette sulla strada del nostro pellegrinaggio terrestre.

Ecco l’eloquenza che anche nei nostri tempi ha, dopo tanti secoli, la testimonianza della vita di Francesco d’Assisi e di Antonio di Padova.

Essi camminano attraverso i secoli, non avendo, ciascuno di loro, altro vanto se non nella Croce di Cristo e dicono alle generazioni sempre nuove quale forza abbia la fede vivificata dall’amore.

E noi che ricordiamo la loro santa vita e le opere, dobbiamo farci una domanda:
siamo decisi ad accettare questa contesa che Cristo conduce con l’uomo e per l’uomo? . . .
siamo pronti a partecipare ad essa?

È la domanda circa la nostra fede, l’amore e la carità.

È la domanda circa il nostro oggi e domani cristiano!

Augustinus
17-06-06, 14:05
Sant'Antonio da Padova

Sant'Antonio di Padova, al secolo Fernando Bulhão (Lisbona, 15 agosto 1195 - Padova, 13 giugno 1231) fu un frate francescano, ed è un santo della Chiesa cattolica. La sua data di nascita è data dalla tradizione.

Nacque in una famiglia di nobili portoghesi discendenti dal crociato Goffredo di Buglione.

Prima tra i canonici regolari agostiniani di Coimbra (1210), poi (1220) francescano, predicò dappertutto, nel Portogallo prima, poi in Italia, nutrendo le sue parole con la dottrina delle Sacre Scritture.

Nel 1221 incontrò, alla Porziuncola, San Francesco d'Assisi, che lo inviò all'eremo di Montepaolo, presso Forlì, città nella quale iniziò la sua attività di predicatore.

Professore di teologia e nello stesso tempo predicatore, combatté l'eresia catara, specialmente in Francia, con estremo vigore e con una eccezionale forza di convinzione. Fu trasferito poi a Bologna e quindi a Padova, città di cui è patrono.

Morì all'età di 35 anni in concetto di santità. All'indomani della sua morte innumerevoli miracoli fecero sì che egli fosse invocato dai fedeli come un infaticabile taumaturgo.

Nel 1232, l'anno successivo alla sua morte, venne canonizzato da papa Gregorio IX.

Papa Pio XII, che nel 1946 ha annoverato Sant'Antonio tra i dottori della Chiesa cattolica, gli ha dato il titolo di dottore evangelico, tanto era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.

La grande Basilica di Padova è dedicata a Sant'Antonio e viene comunemente ricordata in città come "Il Santo".

Viene ricordato dalla chiesa cattolica il 13 giugno; a Padova, in occasione della ricorrenza, si svolge un'imponente celebrazione con processione.

Nel cuore del Medioevo

Gli anni in cui visse Sant'Antonio si collocano nel cuore del Medioevo. A quel tempo, tutta l'Europa era scossa da profondi cambiamenti: la società feudale dei castelli e dei monasteri stava per lasciare il posto alla società urbana dei Comuni e della borghesia.

L’affrancamento dei servi della gleba (non più schiavi della terra assoggettati al signore feudale) e l’aumento della produzione agricola avevano favorito una maggior mobilità delle persone e la ripresa dei commerci fra campagna e città. Artigiani e commercianti, notai e medici, mercanti e banchieri s’apprestavano a dar vita ad una nuova classe sociale: la borghesia, che andava ad aggiungersi ai cavalieri, al clero e ai nobili.

Le antiche città si ripopolavano, ne sorgevano di nuove: tutte animate da fremiti d'indipendenza e, come scriveva Ottone, vescovo di Frisinga, al nipote Federico Barbarossa: "così desiderose di libertà da volersi reggere col governo dei Consoli anziché dei Principi".

Ad accelerare i cambiamenti – nel corso del Duecento – contribuì il declino dell'Impero. Indebolito dalle lotte con il Papato e dei Comuni, dopo la morte di Federico II, si frantumerà in una miriade di staterelli: è il caso di Germania e Italia. Altrove si costituirono invece regni nazionali: in Francia, Inghilterra e nella Penisola Iberica, dove la Reconquista favorì il sorgere, sulle ceneri dello sconfitto califfato arabo, di tre regni cristiani indipendenti: quelli del Portogallo, di Castiglia, e d'Aragona.

In questo mutato quadro politico europeo meritano un cenno particolare gli avvenimenti della Chiesa di quel tempo. Gli storici, che amano racchiudere periodi ed avvenimenti entro angusti slogan esemplificativi, sostengono essere quella l’epoca delle Cattedrali e delle Crociate; altri, invece, la chiamano l’epoca della Rinascita evangelica. Hanno ragione gli uni e gli altri.

L’epoca delle Cattedrali

Monumento per eccellenza della città che rinasceva, dopo l'XI secolo, la Cattedrale divenne (così come lo erano stati i monasteri nei secoli precedenti) il cuore della vita religiosa del popolo, che attorno ad essa scandiva i ritmi dell’esistenza quotidiana: il nascere, il vivere, il morire.

All’apice di questa società cristiana medievale c’era l’onnipotenza di Dio. Non meraviglia, quindi, che la sua "casa" venisse trasformata in uno scrigno ripieno di tesori d’arte, segno visibile e maestoso dell’alleanza col suo popolo.

L’epoca delle Crociate

Per l’Europa correva un sol grido: "Dio lo vuole". Fu la parola d’ordine che scatenò le Crociate, in tutto sette: le prima nel 1096, l’ultima nel 1270.

Papa Urbano II fu il primo a prendere l’iniziativa. Convocò un Concilio in Francia, a Clermont, e convinse il popolo cristiano a raggiungere in armi Gerusalemme per liberare la Terra Santa dagli Infedeli.

L’epoca della Rinascita evangelica

I principi che sostenevano la Chiesa medievale – dominio del mondo e fuga dal mondo – trovano mirabile sintesi in due pontefici: Papa Innocenzo III (1198-1216), papa a 37 anni, e in suo nipote Papa Gregorio IX (1227-1241).

Assertori convinti del potere papale ed attenti riformatori in campo spirituale, avvertirono entrambi l’esigenza di rinnovare le istituzioni ecclesiastiche, sospinti anche da un incalzante movimento popolare che criticava l’eccessivo interesse della Chiesa per le cose terrene. Fu sotto questi due Papi, e con la loro benedizione, che sono nati gli Ordini Mendicanti, la cui diffusione in Europa fu davvero provvidenziale per arginare il dilagare delle numerose sette ereticali.

In questo difficile apostolato di frontiera si sono distinti, per primi, i francescani e i domenicani, i quali, superando il tradizionale isolamento claustrale con la fondazione di conventi e chiese nelle città e propugnando essi stessi un profondo rinnovamento della vita della Chiesa, seppero fronteggiare le eresie con la predicazione e la testimonianza esemplare.

Francesco d'Assisi e Domenico di Guzmán furono gli artefici di quella rinascita evangelica. Sullo sfondo di tali avvenimenti, e contemporaneo dei due santi, visse ed operò il giovane monaco Antonio, Santo di Padova.

Tra grandi uomini, tre grandi santi; Gregorio IX, che li conobbe personalmente, li canonizzerà tutti e tre, uno dopo l’altro: Francesco nel 1228, Antonio nel 1232, Domenico nel 1234.

Da Fernando ad Antonio

Dell’infanzia di Sant’Antonio di Padova si conoscono poche cose con certezza: il nome di battesimo, Fernando (che significa "ardito nella pace"), e la città natale, Lisbona, che si diceva fosse in finibus mundi, ai confini del mondo. Già sulla data di nascita gli storici non concordano, anche se i più propendono per il 15 agosto 1195, deducendo tale data da quella certa della morte: 13 giugno 1231, e sottraendo ad essa gli anni di vita, trentasei, che gli attribuisce il "Liber miraculorum", scritto verso la metà del secolo XIV.

Scarno è pure il racconto che ci offre la biografia più antica, la Vita prima o Assidua, compilata da un anonimo frate nel 1232, dopo appena un anno dalla morte del Santo. E quel che scrive dice d’averlo appreso, in buona parte da Soerio II Viegas, vescovo di Lisbona dal 1210 al 1232.


"Mi hanno informato – ci fa sapere il biografo – che nella zona occidentale del regno di Portogallo sorge una città situata all’estremo confine del mondo. I suoi abitanti la chiamano Ulisbona, poiché secondo l’opinione corrente fu fondata da Ulisse. Entro la cerchia delle mura di questa città s’erge una chiesa d’ammirevole grandezza, dedicata alla gloriosa Vergine Maria, e vi riposano, custodite con grande onore, le spoglie preziose e venerate del beato martire Vincenzo. I fortunati genitori di Antonio possedevano, dirimpetto al fianco ovest di questo tempio una abitazione degna del loro stato, la cui soglia era situata proprio vicino all’ingresso della chiesa. Erano essi nel primo fiore della giovinezza allorché misero al mondo questo felice figlio; e al fonte battesimale gli posero nome Fernando. E fu ancora a questa chiesa, dedicata alla santa Madre di Dio, che lo affidarono affinché apprendesse le lettere sacre e, come guidati da un presagio, incaricarono i ministri di Cristo dell’educazione del futuro araldo di Cristo”.

Il racconto è tutto qui, eppure ci dice parecchie cose. Lisbona era poco più di un borgo fortificato sulle colline prospicienti la foce del Tago, dirimpetto all'Oceano Atlantico, avamposto dei Crociati nella lotta contro i Saraceni, da quando nel 1147 re Alfonso I l’espugnò con il loro aiuto. La capitale del regno era invece 200 km più a nord, a Coimbra, in contrade più sicure. Nel mezzo del borgo, com'era normale che ci fosse, stava la Cattedrale: un edificio romanico della seconda metà del XII secolo, ritoccato poi con aggiunte gotiche dopo il terremoto del 1344 e in gran parte rifatto dopo quello del 1755; oggi è sede patriarcale e di fronte ad essa sorge una chiesa barocca dedicata al Santo di Padova, proprio sull’area che l’anonimo biografo descrive come la sua casa natale.

Accanto alla Cattedrale c'era la scuola episcopale, un'istituzione molto diffusa a quei tempi, in parte volta allo studio e in parte al servizio liturgico. Si sa che i genitori erano nel fiore della giovinezza al momento della nascita di Fernando e che possedevano una casa degna del loro stato. Quale stato? Allora come oggi possedere un’abitazione in centro, a ridosso della Cattedrale, non era impresa da poveretti. Sappiamo inoltre dal notaio padovano Rolandino, coevo del Santo ed autore di un’altra Cronaca, che Fernando era nato da una famiglia nobile e potente. Sua madre si chiamava Maria e suo padre Martino Alfonso, cavaliere del re e, secondo alcuni, discendente di Goffredo da Buglione (l’eroe crociato della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso).

Ma chi erano veramente i genitori di Fernando? Sopravvissero al grande figlio, morto ancor giovane? Giunse in quella "periferia del mondo" la sua fama di sapienza e di santità? Ebbero la gioia di venerarlo sull’altare? Sono domande che ogni biografo si pone pur sapendo di non potervi rispondere. Ma queste non sono solo le risposte insolute di chi s’accinge a scrivere dell'infanzia di Sant'Antonio. Se poco si conosce di lui, bambino, ancor meno si sa del Fernando giovanotto.


"Il tempo che va dai dieci ai vent’anni – scrive l’esperto "antoniano" Vergilio Gamboso – è stato dimenticato anche dalla leggenda. Il pochissimo che siamo in grado di dirne è frutto di congetture, basate su scarse righe di documenti e sulla conoscenza dell’epoca e dell’ambiente. Finiti gli anni della scuola non sembra inverosimile che Fernando, primogenito e quindi erede di un nome illustre, sia stato indirizzato dal padre ad apprendere il mestiere delle armi insieme ad altri coetanei. Ma in quel modo, pur così brillante e prodigo di promesse, egli trovava un nonsoché di vuoto, d’inutile. Mentre gli amici ristagnavano beatamente nell’ozio e negli amori, sempre più soffocante diventava a Fernando quell'ambiente".

Quando più tardi il Santo fustigherà i vizi dell’opulenta società patavina non farà che rievocare immagini di quegli anni giovanili. Dove c’è abbondanza di ricchezze e delizie – scriverà nei Sermoni –, lì cova la lebbra della lussuria… Essa suole abitare in coloro che sono tiepidi e oziosi.

A quindici anni, Fernando fece il grande passo. Sta scritto nell’Assidua:


"Il mondo già gli offriva occasioni di sperimentarne ogni giorno di più le follie; e quel piede che egli non ancora del tutto vi aveva sulla soglia, ritrasse pel timore che vi si attaccasse la polvere delle gioie terrene, così da recar ostacolo a chi veloce già correva con l’anima sulla via del Signore".

La vocazione di Sant’Antonio – ci piace ricordarlo – assume valore di scelta coraggiosa perché Fernando ben sapeva quel che lasciava e quanto difficile fosse rinunciarvi senza l’aiuto di Dio. Ma quando, agli agi della casa paterna, preferì le austere mura del convento, non ebbe esitazioni, ammonito anche dalle parole di Gesù: "Chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro non è adatto per il regno di Dio".

Su di un’altura, poco fuori Lisbona, sorgeva (anzi sorge, perché pur rimaneggiata sussiste ancora) l’Abbazia di San Vincenzo, dono del re Alfonso I e di sua moglie Mafalda di Savoia ai Canonici Regolari (per questo erano chiamati Agostiniani), che allo studio e al raccoglimento nel chiostro alternavano la vita di parrocchia e l’apostolato fra la gente.

Fu alla porta di quel monastero che bussò, nel 1210, il giovane Fernando, accolto con soddisfazione dal priore Gonzalo. Più avanti negli anni, nei suoi Sermoni scriverà:


"Chi si ascrive a un ordine religioso per farvi penitenza, è simile alle pie donne che, la mattina di Pasqua, si recarono al sepolcro di Cristo. Considerando la mole della pietra che ne chiudeva l’imboccatura, dicevano: chi ci rotolerà la pietra? Grande è la pietra, cioè l’asprezza della vita di convento: il difficile ingresso, le lunghe veglie, la frequenza dei digiuni, la parsimonia dei cibi, la rozzezza delle vesti, la disciplina dura, la povertà volontaria, l’obbedienza pronta… Chi ci rotolerà questa pietra dall'entrata del sepolcro? Un angelo sceso dal cielo, narra l’evangelista, ha fatto rotolare la pietra e vi si è seduto sopra. Ecco: l’angelo è la grazia dello Spirito Santo, che irrobustisce la fragilità, ogni asperità ammorbidisce, ogni amarezza rende dolce con il suo amore".

Rivestito del bianco saio degli Agostiniani, Fernando iniziò così il suo cammino verso il sacerdozio. Un inizio piuttosto "movimentato", stando a quanto si legge nell’Assidua:


"Vi dimorò per circa due anni, molestato dalle frequenti visite degli amici, così importune alle anime assetate di raccoglimento. Per liberarsi di queste cause di turbamento, decise di abbandonare la terra nativa in modo da servire il Signore in tranquillità, nella sicurezza di un porto straniero. E avendo ottenuto a fatica il permesso dal superiore, non mutò ordine, ma solo residenza, trasferendosi al monastero di Santa Croce in Coimbra".

Finalmente in pace e senza l’appello delle visite importune, Fernando poté dedicarsi completamente agli studi e alla vita ascetica. Divenuto sacerdote, e poiché era versato nelle Sacre Scritture e nella predicazione, al monaco Fernando si prospettava una brillante carriera all’interno del suo Ordine. Se non che…

Nelle vite dei santi si tocca davvero con mano quanto sia veritiero il detto popolare: "l’uomo propone e Dio dispone". La Provvidenza ha dei percorsi tutti suoi, non coincidenti quasi mai con quelli ipotizzati dagli uomini. Sant’Antonio non fa eccezione. Due fatti ce lo confermano.

Il priore corrotto

Finché sul trono del Portogallo regnò Alfonso I, anche gli affari ecclesiastici del Paese filavano via lisci. Ma quando gli succedette il figlio Sancio I e peggio ancora, alla morte di costui (1211), il nipote Alfonso, le cose peggiorarono notevolmente. Alfonso II nominò a Santa Croce un priore condiscendente, un certo Giovanni, che oltre a gettare discredito sull'abito che portava, dando scandalo per la vita dissoluta, dilapidò in poco tempo le sostanze del monastero. Incorse anche nella scomunica papale, ma Papa Onorio III era troppo lontano per impensierirlo e poi, lì sul posto, godeva dell'appoggio del re.

A poco a poco la comunità monastica di Coimbra finì per spaccarsi in due correnti: da una parte gli amici del priore, dall'altra gli amici del Signore, tra cui Fernando, il cui stato d'animo immaginare. Proprio lui, che per non essere importunato dagli amici aveva deciso di cambiare convento!

Di certo il passaggio da Lisbona a Coimbra fu per lui come passare dalla padella alla brace. Ricordando quel tempo, il Santo dirà:


"Il superiore è detto Casa del Padre, perché sotto di lui il suddito, come figlio entro la casa paterna, deve trovar riparo dalla pioggia della concupiscenza carnale, dalla tempesta della persecuzione diabolica, dall’arsura della prosperità mondana".

L’esatto contrario di come si comportava il priore Giovanni!

Il martirio dei frati

A migliaia di chilometri da Coimbra viveva un altro grande santo, Francesco d’Assisi, che proprio in quegli anni stava approntando una spedizione missionaria fra i Musulmani d’Africa. Fu così che nel 1219, passando per la Francia, la Spagna e il Portogallo, partirono alla volta del Marocco cinque suoi frati: tre sacerdoti, Berardo, Pietro ed Ottone, e due fratelli laici, Adiuto e Accursio.

A Coimbra vennero accolti dalla regina Urraca, simpatizzante dei "poverelli", ai quali aveva donato il romitorio di Olivares poco lontano dalla città. Ma prima dei frati giunse la fama: il loro fondatore – si diceva – aveva abbandonato la vita ricca e spensierata per dedicarsi completamente al Signore; e ad essi aveva imposto di vivere in grande povertà, elemosinando per le strade e praticando alla lettera il Vangelo. Lo sconfinato amore per Dio e il prossimo conferiva loro un fascino particolare, che ammaliò subito il nostro Fernando.

Quando seppe – mesi dopo – del loro martirio in Marocco, provò grande dolore. Scrive l’Assidua che Fernando diceva in cuor suo:


"Oh, se l’Altissimo volesse far partecipe anche me della corona dei suoi martiri!". E quando i corpi dei cinque frati vennero traslati a Coimbra ed esposti ai fedeli nella chiesa reale di Santa Croce, Fernando fu tra i primi ad accorrere. Lì, davanti a quei martiri, prese una decisione che maturava da tempo: Fratelli carissimi, con vivo desiderio vorrei indossare il saio del vostro ordine…".

Da Lisbona a Coimbra, ed ora lungo le strade del mondo, la Provvidenza, seppur per gradi, l’aveva condotto alla scelta vocazionale definitiva.

Lasciato il bianco saio agostiniano per quello grigio dei "poverelli", e volendo rimarcare con un gesto eclatante il radicale mutamento di vita, decise di cambiare il nome di battesimo: da Fernando in Antonio, per omaggiare il grande monaco orientale cui era dedicato il romitorio francescano di Olivares.

Naufrago in Sicilia

Rivestito del ruvido saio di sacco dei seguaci di Francesco, Antonio s'apprestava a lasciare il convento di Santa Croce, quand'ecco sulla soglia comparire un monaco agostiniano che gli grida in faccia tutta la sua amarezza per quella dipartita: "Va’, va’ pure con loro che diventerai santo!". E Antonio, di rimando: "Vorrà dire che quando sentirai che lo sono diventato ne loderai il Signore". Poi, chinato il capo, si unì ai nuovi confratelli e "scortato" da loro s'incamminò, a piedi scalzi, su per la collina sovrastante la città.
I mesi passavano veloci, ma un chiodo fisso lo tormentava. Non riusciva a togliersi dalla mente quei cinque frati, decapitati in Marocco, che ora riposavano laggiù in città, nella cripta del suo vecchio monastero. Passeggiando sulla collina degli ulivi gli pareva che il vento gli portasse le loro voci. Dapprima flebili poi sempre più forti, dicevano: "Antonio perché non prendi il nostro posto?". Dice l’Assidua che "lo zelo per la diffusione della fede lo stimolava con forza sempre più incalzante e la sete di martirio, che gli ardeva in cuore, non gli consentiva riposo". Gli rimordeva pure la coscienza: lui, quand’era ancora Fernando, laggiù in Santa Croce, davanti a quelle bare, aveva giurato di sostituirli nella terra dei Saraceni per spartire con essi la palma del martirio. E quando quelle voci trasportate dal vento divennero grida e tormento, Antonio lasciò il romitorio e corse dal superiore, quel Fra Giovanni Parenti, allora provinciale della Spagna e del Portogallo, che aveva incontrato il giorno della traslazione dei martiri; lo stesso che l’aveva accolto nell’ordine dei frati Minori. Aprì il suo cuore a Fra Giovanni ed ottenne il premesso di partire. Finalmente missionario! Nell’autunno del 1220 diede addio alla terra natale, che mai più avrebbe riveduto, e s’imbarcò con un confratello, Fra Filippino di Castiglia, alla volta del Marocco. Ma ancora una volta i piani d’Antonio erano destinati a scontrarsi con quelli di Dio.

La malaria, invece del martirio

Nei Sermoni c’è una pagina in cui Sant'Antonio parla del regno di Dio:


"È il bene supremo, per questo dobbiamo cercarlo. Lo si cerca con la fede, con la speranza, con la carità".

Ebbene, Antonio sbarcando in Africa si sentiva Cavaliere di quel regno e ciò che andava cercando era di estenderne il dominio e di arruolarvi nuovi soldati. Se questi erano i progetti di Antonio, la Provvidenza ne coltivava ben altri. E, come leggiamo nell’Assidua, "l’Altissimo, che conosce il cuore degli uomini, si oppose ai suoi progetti e, colpendolo con grave malattia, lo afflisse duramente per tutto l’inverno".

Costretto a letto dalle febbri malariche, Antonio non si dava pace: era venuto in Marocco per offrire la sua vita a Dio per la conversione dei Saraceni ed ora se la sentiva da lui togliere prim’ancora d'averne incontrato uno. Se la malaria lo fiaccava nel fisico, quell'ansia missionaria non appagata lo tormentava nello spirito, finché l'assalì il dubbio atroce d’aver tentato di forzare la volontà di Dio e che la sua venuta in Africa fosse da ascriversi a superbia, alla sua sete di gloria. Ma Antonio era uomo di profonda pietà: nella preghiera e nella meditazione sapeva mettere a nudo l'anima e trovarvi il giusto lenimento per le sue ferite. A poco a poco si convinse che accettare la volontà di Dio voleva dire abbandonarsi nelle sue mani.

Spiritualmente rasserenato, non gli restava ora che curare il corpo. La salute, però, andava di male in peggio e il clima torrido non gli dava requie. Fra Filippino lo convinse finalmente a rientrare a Coimbra, laddove, fra gli ulivi del romitorio, il clima sarebbe stato più propizio per una completa guarigione.

Neanche stavolta, però, il vento della Provvidenza soffiò per il verso giusto. Investita da una tremenda tempesta, la nave che riportava in patria Antonio e Filippino ruppe le vele e il timone. Smarrita la rotta e ormai alla deriva sulle onde del Mediterraneo, lo scafo finì per arenarsi sulla coste della Sicilia, poco sotto Messina. Soccorsi dai pescatori, i due frati vennero portati in un vicino convento dei Francescani.

Dai confratelli di Messina, Antonio apprese che nel mese di maggio, in occasione della Pentecoste, Francesco avrebbe radunato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. L'invito a parteciparvi era esteso a tutti, e tutti l'accettarono di buongrado, compreso Antonio, che aveva qualche motivo in più per gioirne: finalmente avrebbe conosciuto l'uomo per il quale aveva abbandonato la carriera degli studi per seguirlo sulla strada della povertà; e poi, naufragando in Sicilia, era rimasto senza casa e senza superiori. Andando pellegrino ad Assisi, avrebbe reso omaggio a Francesco e ritrovato il suo Provinciale, Fra Giovanni Parenti. Così, nella primavera di quell'anno 1221, a piedi, accompagnato dai frati di Messina, Antonio cominciò a risalire l’Italia.

L’incontro con Francesco

Ci vollero mesi di cammino per raggiungere l'Umbria ma, al pari dei suoi confratelli di Messina, l’unico conforto che mitigasse ad Antonio il faticoso viaggio era la gran voglia d'incontrare Francesco e d'abbeverarsi alla fonte genuina del suo insegnamento. Aveva conosciuto il "Poverello d’Assisi" attraverso la testimonianza di alcuni dei suoi seguaci, e facendo vita comune con essi aveva assaporato il profumo del Vangelo. Questo gli era bastato per lasciare l’agiato convento di Santa Croce e farsi francescano. Nella tranquillità del romitorio di Coimbra aveva poi ritrovato la pace e se stesso, e nella semplicità di quei frati uno stimolo a ricercare le cose di Dio con spirito nuovo. Scriverà nei Sermoni:


"In un'acqua torbida e mossa chi vi s’affaccia non viene rispecchiato. Se vuoi che il viso di Cristo che ti guarda si rispecchi in te, esci dal tumulo delle cose esteriori, sia tranquilla la tua anima".

Ed ora, arrivando ad Assisi, avrebbe potuto finalmente ammirare l’albero di cui aveva gustato i frutti, il cui nettare l’aveva rigenerato.

Man mano che la piccola comitiva s’avvicinava alla meta, andava numericamente ingrossandosi. E quando Antonio vi giunse, la valle mistica attorno alla Porziuncola risuonava già di canti e di preghiere. Ospitati dentro capanne improvvisate con canne e stuoie e sfamati da ventitre mense, più di tremila frati attendevano l’inizio del Capitolo Generale, che aveva per tema un versetto del Salmo 143: "Sia benedetto il Signore mio Dio, che addestra le mie mani alla battaglia". Presiedeva le riunioni plenarie, quell’anno, il cardinale Raniero Capocci (in assenza del "patron" dell’Ordine, il cardinale Ugolino dei Conti di Segni, futuro Papa Gregorio IX, il papa che canonizzerà Francesco), coadiuvato come consuetudine da frate Elia, l’efficiente braccio destro del Poverello.

Così descrive quell’adunata un testimone oculare, Fra Giordano da Giano:


"In questo Capitolo, Francesco (che era da poco tornato dopo un anno di missione in Oriente) predicò ai frati insegnando loro la virtù ed esortandoli a mostrare al mondo la pazienza e il buon esempio. Ma quant'era in quel tempo tra i frati la carità, la pazienza, l'umiltà, l'obbedienza e la letizia fraterna, chi mai potrà raccontarlo? Un Capitolo così, sia per la moltitudine dei religiosi come per la solennità delle cerimonie, io non vidi mai più nel nostro Ordine. E benché tanto fosse il numero dei frati, tuttavia con tale abbondanza la popolazione vi provvedeva, che dopo sette giorni i frati furono costretti a chiudere la porta e a non accettare più niente; anzi restarono altri due giorni per consumare le vivande già offerte e accettate".

Il Capitolo durò per tutta l’Ottava di Pentecoste; molti i problemi sul tappeto: lo stato dell'Ordine, la richiesta di novanta missionari per la Germania, la discussione sulla nuova Regola. Le richieste di modifica della Regola primitiva furono per Francesco un cruccio ed una pena: lassisti e spiritualisti rischiavano di spaccare l'Ordine in due tronconi, né lui da solo – se ne rendeva conto – poteva porvi rimedio. L'Ordine s'era troppo ingrandito e ai giovani accorsi con entusiasmo difettava un’eguale adesione alla disciplina, mentre ai dotti risultavano strette le disposizioni sulla povertà assoluta. Con la mediazione del Cardinale si addivenne, però, ad un compromesso che salvaguardava ad un tempo l'autorità morale di Francesco e l’integrità dell'Ordine. La nuova Regola verrà poi approvata da Papa Onorio III il 29 novembre 1223.

Antonio si trovò quindi, suo malgrado, nel mezzo di discussioni che, per la sua giovane militanza nell'Ordine, forse poco comprendeva. Egli era venuto per incontrare il maestro, colui che aveva cambiato il corso della sua vita, e questo gli bastava. Era pure venuto nella speranza di ritrovare il suo antico superiore, ma tacendo gli storici dobbiamo arguire che l’incontro non sia avvenuto. Di certo sappiamo quanto scrive l’anonimo frate nell’Assidua:


"Concluso il Capitolo nel modo consueto, quando i ministri provinciali ebbero inviato i fratelli loro affidati alla propria destinazione, solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato chiesto da nessun provinciale in quanto, essendo sconosciuto, pareva un novellino buono a nulla. Finalmente, chiamato in disparte frate Graziano, che allora governava i frati della Romagna, Antonio prese a supplicarlo che, chiedendolo al ministro generale, lo conducesse con sé in Romagna e là gl'impartisse i primi rudimenti della formazione spirituale. Nessun accenno fece ai suoi studi, nessun vanto per il ministero ecclesiastico esercitato, ma nascondendo la sua cultura e intelligenza per amor di Cristo, dichiarava di non voler conoscere, amare e abbracciare altri che Gesù crocifisso".

Frate Graziano, apprezzando l'umiltà d’Antonio, decise di prenderlo con sé. Oltretutto aveva giusto bisogno di un sacerdote per l’eremo di Montepaolo (vicino all'odierna Castrocaro), sulle colline del forlivese. Lassù, in mezzo ai boschi, una chiesetta, alcune capanne ed un orto ospitavano sei frati, tutti laici, che necessitavano di un confratello che celebrasse l'Eucaristia. Da tempo ne aspettavano uno, e arrivandovi Antonio gli fecero gran festa.

In compagnia di quei sei monaci, Antonio vivrà un intero anno. Aveva chiesto ed ottenuto che gli venissero affidati i lavori più umili, quali lavare pentole e pulire per terra. Preghiera e meditazione erano invece, per il resto della giornata, le occupazioni principali, nel nascondimento della sua cella ricavata in una grotta poco distante dall’eremo. Dice a proposito l’Assidua:


"Soddisfatto l'obbligo della preghiera mattutina comunitaria si ritirava in quella cella, portando con sé un piccolo pezzo di pane e una ciotola d’acqua. Così passava la giornata in solitudine, costringendo la carne a servire lo spirito; tuttavia, seguendo le prescrizioni della regola, sempre ritornava in comunità all’ora della riunione. Ma più di una volta, al richiamo della campana, mentre s'accingeva a raggiungere i fratelli, sfinito dalle veglie e spossato dall’astinenza, vacillava nel cammino e, non reggendosi, i abbatteva al suolo".

Sarà il suo secondo noviziato. Il primo, quello di Coimbra, fu il periodo dell’approccio, dell’iniziazione; questo di Montepaolo fu scuola di vita. Lontano dalla città e dagli studi eruditi, a contatto diretto con la natura, la mente e il cuore d’Antonio si lasciarono plasmare dalla voce di Cristo, nella preghiera e nella contemplazione, e dall'esempio quotidiano dei confratelli, esperti maestri di regola francescana. Nel frattempo, le mani di Dio, in cui Antonio s’era definitivamente abbandonato, stavano preparando per lui gli anni più belli, quelli della vita pubblica, della predicazione e dell’apostolato diretto.

La chiamata venne improvvisa e – al solito – casuale. Sul finire dell'estate del 1222 (ma alcuni anticipano la data alla Quaresima) la comunità francescana scese a valle per assistere alle ordinazioni sacerdotali nella cattedrale di Forlì. L’Assidua racconta che


"venuta l’ora della conferenza spirituale il Vescovo cominciò a pregare i frati Predicatori presenti affinché rivolgessero un discorso d’esortazione; ma quelli, uno dopo l’altro, si schermirono affermando che non era loro possibile né lecito improvvisare. Allora il superiore, volgendosi ad Antonio, gli impose d’annunciare ai convenuti quanto gli venisse suggerito dallo Spirito".

Non che il superiore dell’eremo di Montepaolo stravedesse per la preparazione culturale d'Antonio, anzi lo stimava più adatto a strofinare pentole che ad esporre i sacri testi delle Scritture; però si ricordava di averlo sentito parlare – al di fuori della messa - in latino…

Antonio oppose resistenza fin che l'obbedienza non gli impose di salire sul pulpito. Si può immaginare quanto i sei fraticelli di Montepaolo si sentissero in imbarazzo osservando il loro confratello in procinto di predicare davanti al Vescovo, ai preti e al popolo di Forlì. Chissà che magra figura – ed essi con lui – avrebbe rimediato! Invece "la sua lingua, mossa dallo Spirito Santo, prese a ragionare di molti argomenti con ponderatezza, in maniera chiara e concisa".

Prim'ancora che la predica volgesse alla fine, la meraviglia e lo stupore avevano lasciato il posto all'ammirazione. Quella predica improvvisa fu un gran successo; la fama d’Antonio valicò i confini della Romagna e giunse fino ad Assisi. Da lì partì l'ordine di distogliere quel santo frate dai servizi di cucina per destinarlo definitivamente alla predicazione. Né dal canto suo Antonio si montò la testa; dirà: "Dobbiamo temere il lampo delle lodi umane; subito dobbiamo raccoglierci e chiuderci in noi stessi per non perdere, tra i clamori del mondo, il prezioso tesoro che va maturando nell’intimo della nostra anima".

La mula e gli eretici

Scendendo da Montepaolo, frate Antonio non sottovalutava affatto le difficoltà che avrebbe incontrato nello svolgimento del suo nuovo incarico. Profondo conoscitore della Sacra Scrittura ben sapeva che l'annuncio del messaggio cristiano avrebbe comportato sacrifici, incomprensioni, umiliazioni; i profeti, i martiri, lo stesso Gesù Crocifisso lo mettevano in guardia dai facili entusiasmi. Il mondo – ieri come oggi – mal sopporta chi diffonde parole di vita eterna, perché ascoltarle vuole dire convertirsi e, quindi, cambiare abitudini e mentalità; ma tutto questo comporta fatiche e rinunce: dubitava che fosse meglio soprassedere e tirare avanti nella mediocrità.

Mentre "passava per città e castelli, villaggi e campagne, dovunque spargendo i semi della vita con generosa abbondanza e con fervente passione", Antonio andava rimuginando in cuor suo le parole del Signore al profeta Isaia: "Grida a piena gola, non desistere. Come una tromba alza la tua voce, denuncia al mio popolo i suoi peccati!".

Antonio ne era convinto: ingiustizie e vizi andavano presi di petto, senza guardare in faccia nessuno; non ebbe pietà soprattutto per quelli che lui chiamava i "cani muti", per chi aveva l'obbligo, dinanzi a Dio, di guidare il gregge e di correggerne i costumi, e non lo faceva. Nei Sermoni scriverà:


"La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell'odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, come verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell’odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti. Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo".

Ed a questo impegno il Santo non venne mai meno.

Ecco una bella preghiera da lui composta per il predicatore:


"Oh Signore Gesù, riguarda il tuo testamento, che hai voluto confermare col tuo sangue. Dà a noi di parlare con fiducia la tua parola. Non abbandonare le anime dei tuoi poveri, che tu hai redente e che altre eredità fuori di te non hanno. Sorreggili, Signore, con la tua forza, perché sono i tuoi poveri. Guidali. Non abbandonarli, perché senza di te si smarrirebbero, ma dirigili fino al traguardo, affinché uniti perfettamente a te, possano giungere a te, fine supremo".

Oltre all'opera moralizzatrice fra il popolo cristiano, una seconda e più proterva battaglia attendeva frate Antonio: quella contro gli eretici.

Fra le sette più diffuse in quel secolo, bisogna menzionare quella degli Albigesi, che prendeva il nome dalla città di Albi nella Francia meridionale; quella dei Catari (i puri), che si diffondeva nascostamente in varie parti d’Italia e della Francia; e quella dei Patarini in Lombardia.

Un profondo desiderio di rinnovamento spirituale le animava tutt'e tre, ma una visione angelicata del Cristo – ad esempio – in cui vedevano il maestro e non il redentore e un'aperta ostilità nei confronti di tutto ciò che era materiale e terreno, le poneva in contrasto con l’insegnamento della Chiesa, che esse identificavano nel potere temporale del Papa e nei preti corrotti.

Anche il francescanesimo era nato come movimento di rinnovamento spirituale, ma la tempra e la probità di Francesco lo seppe mantenere nell'alveo genuino del Vangelo. Il popolo medievale, affascinato da questi segnali di rinascita, ma digiuno di nozioni teologiche, era spesso vittima di movimenti e sette ereticali. Antonio, con la predicazione e con l'esempio, fu un campione nel frapporre argini sicuri tra il popolo e le eresie, che combatté con accanimento, tanto da meritarsi l’appellativo di martello degli eretici.

A salvaguardia della fede non bastava, però, un solo condottiero (anche se battagliero come lui), ma un esercito intero: di qui l'urgenza di promuovere la preparazione teologica dei frati perché fossero in grado di essere maestri di verità fra il popolo. Alla caparbia ostinazione di frate Antonio si deve, tra l'altro, la fondazione nel 1223 del primo studentato teologico francescano a Bologna, presso il convento di Santa Maria della Pugliola.

Dapprima, Francesco, che allo studio preferiva la preghiera, si manifestò scettico di fronte a quel progetto di scuola, ma pressato dagli eventi finì poi per dare il suo assenso, addirittura per iscritto:


"A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com'è prescritto nella regola. Stammi bene".

L'approvazione di Francesco confermò ad Antonio che stava viaggiando nel solco tracciato dalla Provvidenza, la quale non mancherà di sostenere la sua predicazione – all'occorrenza – con miracoli e prodigi.

Per le contrade di Romagna

Antonio ricevette l'incarico di predicare nell'autunno del 1222 e il territorio affidatogli comprendeva, oltre alla Romagna, l'Emilia, la Marca Trevigiana, la Lombardia e la Liguria. Ma fu la Romagna a raccogliere le primizie del suo nuovo apostolato. L’Assidua racconta che Antonio


"per volere del cielo raggiunse nella città di Rimini e, vedendo che molti erano ingannati dagli eretici, cominciò a predicare con ardore; la sua parola vigorosa e la dottrina salutare misero radici così profonde nel cuore degli uditori che una folla di credenti si riaccostò lealmente al Signore".

Il capo di quegli eretici, un certo Bonillo, non si lasciava, però, intimorire né convincere dalle parole di Antonio; e non avendo argomentazioni logiche per confutare le sue tesi, gli lanciò una pubblica sfida:


"Frate! Te lo dico davanti a tutti: crederò nell’Eucaristia se la mia mula, che terrò digiuna per tre giorni, mangerà l'Ostia che gli offrirai tu piuttosto che la biada che gli darò io".

Senza scomporsi, il Santo accettò la sfida. Quattro giorni dopo, ai riminesi ch'erano accorsi in piazza per la grande sfida si parò dinanzi una mula macilenta, malferma sulle gambe per il prolungato digiuno, che tra lo stupore di tutti – e ancor più del suo padrone – rifiutò la biada e andò ad inginocchiarsi ai piedi di frate Antonio.

Né questo è l'unico fatto prodigioso di cui ci parlano le cronache antoniane. Gli eretici, intimoriti dalla sapienza dell'oratore, evitavano di scontrarsi con lui nei pubblici dibattiti; anzi, cercavano di fargli il vuoto attorno, dissuadendo chiunque, con la forza e con l'inganno, dal convenire in piazza per ascoltarlo. Stanco di vedersi "sottrarre" il popolo, un giorno Antonio prese la via del mare e là, dove sfocia la Marecchia, si mise a predicare ai pesci, che facendo capolino tra le onde, si sistemarono per file ordinate, assentendo a bocca aperta alle parole di frate Antonio. La notizia del prodigio passò di bocca in bocca e le piazze si riempirono nuovamente per ascoltare quel santo predicatore.

Leggiamo negli scritti del Santo:


"Come le folgori si sprigionano dalle nubi, così dai santi predicatori emanano opere meravigliose. Scoccano le folgori quando dai predicatori balenano i miracoli; ritornano le folgori quando i predicatori non attribuiscono le loro forti gesta a se stessi, ma alla grazia di Dio".

Notizia delle folgori e dei miracoli giunse anche all’orecchio di San Francesco. E quando il Poverello d’Assisi decise, in obbedienza a Papa Onorio III, d’inviare missionari nella Francia meridionale per convertire i catari e gli albigesi, pensò subito ad Antonio.

In Francia contro gli eretici

In terra francese, Antonio giunse nel tardo autunno del 1224 e vi rimase un paio d'anni, fino alla morte del Santo Fondatore.

La sua fama, però, di martello degli eretici l'aveva preceduto; scrive l’Assidua:


"Nessun riguardo alle persone lo piegava, né si lasciava sedurre da alcun plauso umano; ma, secondo la parola del profeta, simile ad un carro per trebbiare, munito rostri taglienti, egli spianò i monti e ridusse le colline in polvere".

La Provenza, la Linguadoca, la Guascogna sono le regioni che più di altre beneficarono della predicazione di frate Antonio; Arles, Montpellier, Tolosa le città più popolate dagli eretici.

A riguardo della sua arte oratoria, un cronista dell’epoca, il francese Giovanni Rigauldt, dice che


"gli uomini di lettere ammiravano in lui l'acutezza dell'ingegno e la bella eloquenza… Calibrava il suo dire a seconda delle persone, così che l’errante abbandonava la strada sbagliata, il peccatore si sentiva pentito e mutato, il buono era stimolato a migliorare, nessuno, insomma, si allontanava malcontento".

È difficile ricostruire, dato il silenzio delle fonti, l’itinerario antoniano in terra di Francia. Si sa per certo che nel novembre del 1225 partecipò al Sinodo di Bourges, convocato dal Primate d'Aquitania per valutare la situazione della Chiesa francese e per pacificare le regioni meridionali. All'arcivescovo Simone de Sully, che si lamentava degli eretici, Frate Antonio, invitato quel giorno a predicare, disse a bruciapelo:


"Adesso ho da dire una parola a te, che siedi mitrato in questa cattedrale... L'esempio della vita dev'essere l'arma di persuasione; getta la rete con successo solo chi vive secondo ciò che insegna...".

Quel che il Santo disse poi non ci è pervenuto; si sa, però, che l'arcivescovo di Bourges, colpito dalle parole d'Antonio, si gettò ai suoi piedi chiedendo perdono per i suoi peccati.

Le doti di Antonio erano apprezzate anche dentro le mura di casa, tra i francescani, tanto che il Provinciale della Provenza, Fra Giovanni Bonelli da Firenze, lo nominò dapprima Guardiano del convento di Le-Puy e poi Custode (superiore, cioè) di un gruppo di conventi attorno a Limoges.

Lassù nel Limosino, vicino a Brive, aveva scoperto, in un bosco di castagni e di querce, una grotta che gli ricordava gli anni passati nel romitorio di Montepaolo, e lì amava ritirarsi, da solo, in una grande austerità di vita, applicandosi alla contemplazione e alla preghiera.

Ancora oggi, Brive è un centro di forte spiritualità antoniana, anche in virtù del ricordo di molti miracoli operati, il più celebrato dei quali è quello della bilocazione (un fenomeno soprannaturale che premette la presenza contemporanea di una persona in due luoghi diversi). Antonio era sceso a Montpellier per il sermone di Pasqua, quando all'improvviso –a metà della predica – gli sovvenne che a quell’ora i suoi confratelli di Brive (a centinaia di chilometri di distanza) stavano riuniti in coro per la consueta recita del breviario. Senza scomporsi, zittì per alcuni secondi... poi riprese a predicare: in quegli attimi di silenzio si materializzò come d'incanto tra i confratelli di Brive, dove intonò l’Alleluia pasquale e subito dopo disparve.

Nel romitorio di Brive si concluderà la sua esperienza francese. Il 3 ottobre 1226, al tramonto, in una cella della Porziuncola, moriva Francesco d’Assisi, il capo spirituale dei francescani, a soli 44 anni. La notizia della morte fu portata in Francia da una lettera circolare di frate Elia, vicario generale dell'Ordine, che fissava per la Pentecoste dell’anno seguente il Capitolo per la nomina del successore. L'invito per quel Capitolo era esteso anche ad Antonio, superiore dei conventi di Limoges.

Padova, seconda patria

Il primo sole di primavera già riscaldava le giornate quando Antonio s'accomiatò – non senza qualche rimpianto – dai suoi frati della Custodia di Limoges per raggiungere Assisi. Il Santo presagiva che quel distacco sarebbe stato definitivo e che la Provvidenza lo stava chiamando altrove.

L’appuntamento per il Capitolo Generale era ormai prossimo e il viaggio si prospettava lungo e disagevole. Come frate Antonio abbia raggiunto – se per mare o per terra – l'Umbria non c'è dato sapere. Tacendo le fonti storiche, però, ancora una volta parla la leggenda. Un'antica tradizione popolare racconta, con dovizia di particolari, che Antonio prese il mare a bordo di un veliero e che una violenta tempesta lo sospinse – per la seconda volta – sulle coste della Sicilia.

Nella chiesa di Santa Maria, a Cefalù, si conserva un calice che egli avrebbe usato per celebrare l’Eucaristia. Lo testimonia un’iscrizione marmorea colà conservata:


"Vieni, vedi et honora / tra queste sacre mura / il calice in cui bevve / e la campana sonora / di Antonio il padovano: / memoria sono e doni della sua mano".

La campana menzionata è quella "miracolosa" di un vicino convento: regalo d’Antonio per quei frati che tanto desideravano possederne una. Il miracolo sta nel trasporto: avutala lui stesso in dono, per portarla fin lì se l'era dovuta caricare sulle spalle!

Un altro calice è conservato a Vizzini, nel convento che sorge accanto alla chiesa dell'Annunziata, e nel cui chiostro si può ammirare una piccola grotta dentro la quale – si dice – avrebbe soggiornato per qualche tempo Antonio.

A Messina, invece, nella bella chiesa dell’Immacolata è conservata una pietra spruzzata dal sangue del Santo durante una delle sue flagellazioni penitenziali.

Ma lasciamo la Sicilia e risaliamo ad Assisi. Di certo, Antonio lo troviamo lassù il 30 maggio 1227, festa di Pentecoste e giorno scelto per l’apertura del Capitolo Generale, che doveva eleggere il successore di San Francesco.

Tutti s'aspettavano che da quel Capitolo uscisse eletto frate Elia, il vicario generale di Francesco e suo fedele compagno di missione in Oriente. Ed invece non fu così. Geniale organizzatore ma di temperamento piuttosto focoso, i superiori dell’Ordine gli preferirono il più prudente Fra Giovanni Parenti, ex magistrato, nativo di Civita Castellana e Provinciale della Spagna.

Fra Giovanni era il superiore che accolse Antonio tra i francescani e che il Nostro sperava d’incontrare già nel Capitolo del 1221. Quell'incontro mancato di sei anni prima avvenne, invece, all'indomani dell'elezione del nuovo Ministro Generale. Quella volta, Antonio non dovette aspettare che tutti i frati se ne fossero tornati nelle loro province per cercarsi un superiore che – al pari di Fra Graziano – lo prendesse con sé. La prima mossa la fece Fra Graziano, che ben conosceva le doti intellettuali e le virtù del suo giovane frate portoghese. Chiamatolo, lo nominò Ministro Provinciale per l'Italia settentrionale; in pratica, la seconda carica – per importanza – dopo la sua.

Antonio aveva 32 anni e soltanto altri quattro gliene riservava la Provvidenza: saranno, però, gli anni che tramanderanno nei secoli la sua santità.

Dal Friuli alla Liguria

Come tutte le cariche, anche quella d'Antonio assommava gli oneri agli onori. Il prestigio che godeva nell'Ordine da quel momento avrebbe dovuto dimostrarlo sul campo.

Come Antonio abbia corrisposto ai suoi doveri di superiore ce lo riferisce una delle cronache antiche, la Benignitas:


"Resse con lode per più anni il servizio dei frati, e sebbene per eloquenza e dottrina si può dire superasse ogni uomo d’Italia, tuttavia nell’ufficio di prelato si mostrava cortese in modo mirabile e governava i suoi frati con clemenza e benignità”.

Giovanni Rigauld, il suo biografo francese, dirà che nonostante la carica di Guardiano


“non sembrava affatto superiore, ma compagno dei frati; voleva essere considerato uno di loro, anzi inferiore a tutti. Quando era in viaggio, lasciava la precedenza al suo compagno… E pensando che Cristo lavò i piedi ai suoi discepoli, lavava anche lui i piedi ai frati e si adoperava a tenere puliti gli utensili della cucina...".

Queste parole trovano eco nei Sermoni, scritti in quegli anni dal Santo, dove si legge:


"La vita del prelato deve splendere d’intima purezza, dev’essere pacifica con i sudditi, che il superiore ha da riconciliare con Dio e tra loro; modesta, cioè di costumi irreprensibili; colma di bontà verso i bisognosi. Invero, i beni di cui egli dispone, fatta eccezione del necessario, appartengono ai poveri, e se non li dona generosamente è un rapinatore, e come rapinatore sarà giudicato. Deve governare senza doppiezza, cioè senza parzialità, e caricare se stesso della penitenza che toccherebbe agli altri… Inargentino i prelati le loro parole con l’umiltà di Cristo, comandando con benignità e affabilità, con previdenza e comprensione. Ché non nel vento gagliardo, non nel sussulto del terremoto, non nell’incendio è il Signore, ma nel sussurro di una brezza soave ivi è il Signore".

E ancora:


"Assai più vi piaccia essere amati che temuti. L’amore rende dolci le cose aspre e leggere le cose pesanti; il timore, invece, rende insopportabili anche le cose più lievi".

La Regola francescana imponeva ai Ministri Provinciali di visitare i conventi e i religiosi affidati alle loro cure:


"I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e li correggano con umiltà e carità… Benché sia permesso di provvedersi un buon corredo di cultura, pur si ricordi più di ogni altro di essere complice nei costumi e nel contegno, favorendo così la virtù. Abbia in orrore il denaro, rovina principale della nostra professione e perfezione; sapendo di essere capo di un Ordine povero e di dover dare il buon esempio agli altri, non si permetta alcun abuso in fatto di denaro. Non sia appassionato raccoglitore di libri e non sia troppo intento allo studio e all’insegnamento, per non sottrarre all’ufficio ciò che dedica allo studio. Sia un uomo capace di consolare gli afflitti, perché è l’ultimo rifugio dei tribolati, onde evitare che, venendo a mancare i rimedi per guarire, gli infermi non cadano nella disperazione. Per piegare i protervi alla mansuetudine non si vergogni di umiliare e abbassare se stesso rinunciando in parte al suo diritto per guadagnare l’anima".

Come compagno e collaboratore, Antonio aveva scelto frate Luca Belludi, un giovane padovano che aveva conosciuto e apprezzato quando ancora girava per quelle terre come predicatore. Con lui iniziò la visita pastorale nell'immensa Provincia. Cominciò dall'estremità orientale, da Trieste: di lì sconfinò in Istria e Dalmazia suscitando numerose vocazioni e aprendo nuovi conventi a Pola, Muggia e Parendo; rientrato in Friuli, passò per Udine, Cividale, Gorizia e Gemona.

In quest’ultimo paese "risuscitò" un ragazzo. Mentre con alcuni confratelli stava costruendo una cappella, vedendo passare un carro quasi vuoto, nell’intento d'alleviare un po' di fatica, chiese al carrettiere che li aiutasse a trasportare pietre e mattoni. "Lo farei volentieri – mentì quello – ma sul carro c’è mio figlio morto e lo sto portando al cimitero dove m’aspettano per la sepoltura". Il Santo si scusò e si rimise al lavoro. In realtà, il ragazzo dormiva sdraiato sul carro, ma quando suo padre cercò di svegliarlo per farsi con lui quattro risate, lo trovò morto per davvero. Preso dallo sconforto e dal rimorso, fece dietrofront e spronò il cavallo alla ricerca dei frati. Raggiuntili, si gettò ai piedi del Santo supplicandolo di richiamare in vita il figliolo. Le cronache raccontano che Antonio alla fine lo perdonò, ottenendo da Dio che il ragazzo tornasse in vita.

Lasciata Gemona il Santo si recò in visita alle comunità di Conegliano, Treviso, Venezia ... Ed eccolo finalmente a Padova, prima di proseguire per i conventi dell’Emilia, della Lombardia e della Liguria…

A Padova, la città del cuore

Nella quaresima del 1228 eccolo a Padova, la sua seconda patria, la città alla quale legherà per sempre il suo nome. A Lisbona nasce Fernando, erede di un nobile casato; a Padova muore Antonio, il Santo delle grazie.


"Exulta, Lusitania felix; o felix Padua gaude… Esulta, contento, o Portogallo; rallegrati Padova perché avete generato alla terra e al cielo un uomo che non brilla meno di una stella fulgente".

Così chiamerà Papa Pio XII nel 1946 nel proclamare Sant'Antonio "dottore della Chiesa universale".

La Padova di quel tempo ce la descrive il poeta padovano Diego Valeri, nativo di Piove di Sacco: "Era una piccola città medievale, poco più che un nobile borgo, compatto, fosco, irto di torri, dove le vie anguste, fiancheggiate da portici alti e bassi, si svasavano ai piedi di una chiesa romanica o sfociavano in vasti spiazzi su cui cresceva l’erba. Il Palazzo delle Ragione era ancora uno scheletro e l’università mandava appena i primi vagiti". In questa città pressoché al centro dello scacchiere della sua Provincia, Antonio risiedeva appena libero dagli impegni di apostolato.

Poco fuori città, ad Arcella, sorgeva un convento di clarisse con accanto un ospizio di frati che il Santo ampliò grazie ad un pezzo di terra donatogli dal vescovo Iacopo Corrado. Qui amava ritirarsi a pregare e a studiare: in quel romitorio comincerà a scrivere i Sermoni domenicali. Antonio non smise mai, però, di dedicarsi alla predicazione e al ministero sacerdotale, anche se poco era il tempo che la carica di superiore gli lasciava a disposizione. A Padova, con l’aiuto di Fra Luca Belludi, seppe coltivare preziose amicizie che gli saranno d’aiuto nella sua carità verso i poveri, soprattutto nel suo secondo e definitivo soggiorno.

Antonio amava Padova e ne era riamato. Tutti lo volevano, tutti accorrevano alle sue prediche. Un cronista coevo, certo Rolandino, c’informa che "il Beato Antonio predicava la parola di Dio con voce melliflua...'". Divenne amico del superiore dei benedettini, l’abate Giordano Forzatè, e del conte Tiso di Camposampietro, facoltoso e generoso benefattore dei francescani. Nel giardino dei conti Papafava e dei Carraresi la tradizione colloca la pietra sulla quale Antonio saliva per predicare.

Seppure di pochi mesi soltanto, il primo soggiorno patavino di Antonio fu sufficiente per stabilire preziosi legami spirituali che gli fanno decidere, una volta scaduto il mandato di Ministro Provinciale nel 1230, di ritornarvi definitivamente.

Gli amici migliori, per vita e pietà cristiana, li raccolse in una specie di confraternita, che dal nome della chiesa di Santa Maria della Colomba, dov’erano soliti ritrovarsi, presero il nome di "Colombini". Avevano per divisa un saio bigio e si dedicavano alle opere caritative a favore dei poveri.

Tre anni durò quel suo girare per i conventi, da una regione all’altra. Tra anni faticosi, ma spesi bene. Antonio incarnò, agli occhi dei suoi confratelli, la regola francescana vissuta quotidianamente. Il profilo del superiore, che Antonio traccia nei Sermoni, è il suo profilo:


"Colui che è costituito superiore deve eccellere per purezza di vita, modellata su una larga cognizione delle Sacre Scritture; deve saper parlare con facilità e facondia; essere fervoroso nell’orazione, misericordioso verso i propri dipendenti, pur mantenendo la perfetta disciplina tra loro, curando sollecitamente le anime che gli sono affidate. Egli deve saper usare la verga dorata della benignità con la quale, mentre corregge, usa la dolcezza di un padre, anzi di una madre".

Arca del Testamento

Durante il suo mandato di Superiore dell’Italia settentrionale, Antonio lasciò la Provincia soltanto in due occasioni, nel 1228 e nel 1230: entrambe le volte – per diversi mesi – le mete furono Roma e Assisi. Dicono i biografi che il Santo si lasciasse distogliere malvolentieri dalla cura dei suoi frati. Antonio Scandaletti, uno fra gli scrittori più recenti, scrive addirittura che "ad Antonio non dev’essere piaciuto frequentare né Roma né Assisi". Egli argomenta il suo ragionamento così:


"Amava certamente poter pregare sulla tomba del primo degli apostoli, oppure scambiare opinioni e fare progetti sui temi e sui modi dell’evangelizzazione, cioè sulle cose che davvero gli stavano a cuore, con qualche buon prelato della curia o uomo colto della capitale. Amava anche raccogliersi nella città che fu culla del movimento francescano e intrattenersi con qualche saggio confratello sulla condotta dell’Ordine. Tuttavia, lo tratteneva l'idea che agl’incontri s'accompagnava quasi sempre il coinvolgimento in questo o in quell’imbroglio, in questa o quella disputa… Vi si recò quando non poté proprio farne a meno, quando l'obbedienza glielo imponeva".

Come nel marzo del 1228, quando il Ministro Generale, Fra Giovanni Parenti, lo mandò a chiamare "per un’urgente necessità della sua famiglia religiosa". Questo si legge nelle pagine dell'Assidua. In cosa consistessero quelle difficoltà lo sappiamo, però, da altre fonti.

Venne chiamato da Fra Giovanni – ormai vecchio e poco versato nelle questioni teologiche – a far da paciere tra l'ala conservatrice dell’Ordine e quella dei riformatori. Fu scelto anche in virtù del suo passato: s’era battuto vittorioso, con Francesco, per aprire ai frati la via dello studio, né per questo s'era montato la testa; alle comodità delle abbazie aveva mostrato di preferire i romitori, dalla collina degli ulivi di Coimbra, alle grotte di Montepaolo e di Brive; divenne predicatore per obbedienza, mentre preferiva servire i confratelli nella carità.

Dava perciò ampie garanzie d'imparzialità ad entrambi gli schieramenti contrapposti.

Venuto a mancare prematuramente il Fondatore, e ingigantitosi a dismisura e in poco tempo, l’Ordine dei francescani non era più quell'allegra brigata che aveva conquistato il giovane Fernando.

Governare, poi, decine di migliaia di frati disseminati per tutta l’Europa non era impresa affatto facile: c’era chi spingeva ad un maggior impegno negli studi (quindi a privilegiare il frate sacerdote a discapito del frate laico) e chi a mitigare la rigida povertà di Francesco con una regolamentazione più consona ad una comunità che da "girovaga" stava trasformandosi in "residenziale".

Questo, in sintesi, il nocciolo della disputa, ma per quei tempi e per quegli uomini erano – quelle – questioni di vita o di morte dell’Ordine.

Più ne discutevano e più gli animi si riscaldavano, orami la disputa si era radicalizzata: o con Francesco o contro Francesco. Era giunto alfine il momento – e qui tutti si dicevano d’accordo – di sottoporre la questione al Papa.

E chi meglio di frate Antonio avrebbe potuto esporre a papa Gregorio IX i termini della questione? Per questo Fra Giovanni l'aveva fatto venire con urgenza a Padova, e con altrettanta fretta lo spedì a Roma.

Ospite del Papa

Di come Antonio portò a termine le incombenze non conosciamo i particolari. Supponiamo che colse i frutti per cui era stato inviato, se il Papa anziché congedarlo, lo trattenne con sé per predicare a lui e ai cardinali le meditazioni quaresimali.

Certamente Papa Gregorio IX rimase favorevolmente impressionato da quel giovane frate, dalla sua facondia non disgiunta dall’umiltà. Conosceva a menadito le Sacre Scritture, eppure nelle sue argomentazioni non c’era l’arroganza dell’erudito: "Sapeva adattare le cose spirituali agli spirituali", racconta l'Assidua. Quelle prediche furono un vero successo, tanto che l’ottuagenario Pontefice, rompendo ogni protocollo, lo chiamò arca del Testamento, peritissimo esegeta, esimo teologo. Quattro anni più tardi, canonizzandolo, ricorderà quei giorni di quaresima: "personalmente sperimentammo la santità e l’ammirevole vita di lui, quando ebbe a dimorare con grande lode presso di noi".

Non soltanto il Papa ne fu ben impressionato, ma tutti i cardinali e i prelati di curia, i quali – scrive ancora l'Assidua –"l’ascoltarono con devozione ardentissima" e qualcuno di loro lo invitò a predicare al popolo.

Erano i giorni della Settimana Santa e a Roma confluivano pellegrini da ogni parte per lucrare le indulgenze. Si udivano più lingue e dialetti in quella folla, che s’era radunata per ascoltare il "predicatore del Papa", di quanti non se ne sentissero nella biblica Babele. Antonio, che ben conosceva alcune di quelle lingue, s'accinse a predicare nella volgata del popolo di Roma. Man mano che parlava, quella gran folla l'ascoltava attonita: tutti "sentivano e capivano" come il Santo si esprimesse contemporaneamente nell’idioma nativo di ciascuno. Si ripeteva il grande prodigio della Pentecoste e tutti ne erano edificati.

A tal proposito dice Leonardo Frasson, appassionato studioso del Santo:


"Da tutto ciò emerge la statura di un predicatore edotto e popolare, ma anche e soprattutto la figura di un oratore santo, di un predicatore carismatico, dotato cioè di un dono che supera la sua stessa umanità e lo rende irraggiungibile e tetragono ad ogni attacco, da qualunque parte gli potesse venire... Quel suo modo di comportarsi così umanamente disarmato e disarmante, quel suo linguaggio così libero e fiero e nello stesso tempo così umano, quella sua cura di non affermare mai nulla che non sia contenuto nella parola divina o non sgorghi direttamente da essa, quel suo appassionato impegno d’immergersi nella realtà viva, tumultuosa e contraddittoria, gli derivano dalla coscienza profonda di essere e di sentirsi un inviato da Dio, in virtù dell'ordine sacerdotale di cui è investito… Ma quel librarsi così in alto, quell’imporsi su tutto e su tutti con tanto vigore d’eloquenza, con tanta umiltà e carità, come giudice imparziale e fustigatore inesorabile di costumi devianti dalle norme evangeliche ed ecclesiastiche in persone gerarchicamente più elevate di lui, tutto ciò non si spiega se non col fatto che dalla sua parola e più ancora dalla sua condotta si sprigionava una potenza carismatica così alta e sensibile, che finiva per essere riconosciuta ed accettata universalmente".

Sulla tomba di Francesco

Passata la Pasqua, Antonio prese commiato e se ne tornò ad Assisi per riferire all'amico Superiore l'esito dell'ambasciata romana. Ancora una volta, le fonti tacciono, né riveste soverchia importanza saperlo, perché di lì a pochi mesi il Papa sarebbe venuto di persona ad Assisi per presenziare alla canonizzazione di frate Francesco.

Il 16 luglio 1228, infatti, "un’onda di gioia intensa avvolse il cielo e la terra", racconta Tommaso da Celano, testimone oculare. Migliaia di frati facevano corona al Santo Padre, il quale concluse il suo elogio con questa preghiera:


"A lode e gloria dell’onnipotente Iddio, Padre, Figlio e Spirito Santo, della gloriosa Vergine Maria, dei beati apostoli Pietro e Paolo e ad onore della gloriosa Chiesa romana, mentre veneriamo in terra il beatissimo padre Francesco, che il Signore ha già glorificato nei cieli; udito il consiglio dei nostri frati cardinali e di altri prelati, decretiamo che il suo nome venga inserito nel catalogo dei santi".

Al termine del rito, Papa Gregorio, preceduto da un'interminabile processione di frati e di popolo salmodianti, si portò nel recinto dell’erigenda basilica, che avrebbe custodito il corpo di Francesco, e vi benedì la prima pietra.

L'indomani, Papa Gregorio IX ritornò a Roma e Antonio poté finalmente ripartire per la sua Padova, dalla quale ormai mancava da parecchi mesi.

Il secondo viaggio

Due anni più tardi, nel 1230, la grandiosa basilica era pronta. Frate Elia aveva fatto davvero in fretta e bene. Il Capitolo Generale dell'Ordine era fissato, come di consueto, per Pentecoste. Anche Antonio, come Superiore dell’Italia del nord, vi doveva intervenire, e ci andò volentieri per l'ultimo omaggio al Santo Fondatore, del quale in quell’occasione venivano traslate le spoglie dalla chiesa di San Giorgio alla cripta della nuova basilica.

Il papa Gregorio IX, rimasto a Roma per ragioni di governo (i contrasti con Federico II erano giunti ad una fase cruciale), aveva inviato ad Assisi ben tre Cardinali Legati, latori della Bolla Mirificans misericordias, nella quale scriveva:


"In mezzo alle tribolazioni che ci circondavano abbiamo pur motivo di rallegrarci e di rendere grazie a Dio, pensando alla gloria concessa al beato Francesco, padre nostro e vostro, e forse più nostro che vostro… Perciò ci sentiamo sempre più animati a sciogliere lodi a questo grande santo, convinti che, come ci portò affetto nel mondo, voglia amarci ancor più adesso che trovasi unito a Gesù Cristo, amore infinito, e voglia continuare a intercedere per noi ...".

L'inaugurazione della basilica era fissata per il 25 giugno. Ancora una volta i frati erano accorsi a migliaia da ogni parte d'Europa, e con loro sfilarono in processione vescovi, prelati, autorità; c’era tutta Assisi e dintorni, due file d’armigeri cercavano a stento di contenere la folla. Gli animi erano eccitati, tutti volevano vedere e toccare la bara; la folla ondeggiava paurosamente e il servizio d'ordine era ormai impotente a disciplinare quel flusso scomposto che s’accalcava all’ingresso della basilica. Con pronto intuito – ma, ahimè, col senno di poi contestato – frate Elia fece sbarrare le porte dai soldati e scese con pochi intimi nella cripta, dove provvide a "mettere in salvo" (così in seguito giustificò il suo gesto) il corpo di San Francesco dietro pesanti lastroni di marmo. Vi rimarrà laggiù fino al 1818, quando Papa Pio VII ne autorizzerà la rimozione.

Nel frattempo la rabbia della folla, ammassata contro le porte sbarrate e delusa della piega che avevano preso gli avvenimenti, degenerò presto in una rissa collettiva. Lo scandalo fu grande, e ancor più le proteste. Al Papa, lontano, l'eco riportò notizie ingigantite e distorte; così Gregorio IX minacciò di scomunica i colpevoli, se non avessero addotto motivi plausibili. Frate Elia spiegò le sue ragioni e gi animi a poco a poco si placarono.

In quel clima piuttosto turbolento, Fra Giovanni Parenti presiedeva le sedute del Capitolo Generale. La sopita polemica di due anni prima tornò a galla e i frati di divisero nuovamente in due fazioni. Ad aggravare le cose era il problema del testamento di San Francesco (in cui veniva vigorosamente ribadita la necessità della povertà assoluta) e di chi voleva inserirlo, come parte integrante, nella Regola dell’Ordine. Anche stavolta lo spirito di saggezza portò a rimettere la questione nelle mani del Papa. Che decidesse lui, una volta per tutte!

Venne, per quest'ambasceria, nominato un comitato di sette frati, tra cui Antonio. Gregorio IX li ascoltò e chiese tempo per pensarci su. Pochi mesi dopo, il 28 settembre, col la Bolla Quia elongati il Papa dirimerà definitivamente la questione, riappacificando gli animi.

Tornando ad Assisi, Antonio chiese ed ottenne d’essere sollevato dall'incarico di Ministro Provinciale. Numerosi acciacchi, che presto sarebbero peggiorati tanto da condurlo in meno di un anno alla morte, lo infastidivano ormai da tempo.

Nell'accomiatarsi dal Ministro Generale (che gli aveva concesso piena libertà di darsi alla predicazione ovunque volesse) gli chiese il permesso di ritirarsi a Padova, dove gli succedette come Superiore il pisano Fra Alberto.

Dalla parte dei poveri

Sul finire dell’estate del 1230, Antonio rientrò a Padova e prese dimora presso il convento di Santa Maria Mater Domini, che sorgeva dov'è oggi la basilica eretta in suo onore. Partito come Superiore vi ritornava come semplice frate.

L'obbedienza l'aveva portato in giro per l’Europa, in posti che altri sceglievano per lui. Gli dicevano di predicare, e lui predicava; lo mandavano in Francia a convertire gli eretici, e lui ci andava; lo nominavano Ministro Provinciale, e lui governava. Da quando, su quel pagliericcio in Marocco, consumato dalle febbri malariche, s'era messo nelle mani di Dio, sempre conformò la sua vita ai voleri dei Superiori.

E la Provvidenza, così docilmente assecondata, lo portò in pochi anni dagli umili lavori di cucina del romitorio di Montepaolo alla predicazione del quaresimale nientemeno che davanti al Santo Padre!

Erano passati soltanto nove anni da quando vagava per Assisi – al tempo del suo primo Capitolo –in cerca di qualcuno che lo prendesse con sé. Ora tutti lo volevano, tutti lo cercavano. Era diventato, suo malgrado, una celebrità. Era la fiaccola che i confratelli ponevano sul candelabro quando c'era da far belle figura. E lui pronto sempre a dire di sì.

Ecco, tra le sue mille virtù, la generosità è forse la meno reclamizzata, assieme all’umiltà. Ai vertici della "carriera" ancor giovane, superiore di una Provincia vastissima e strategicamente importante, consigliere personale del Ministro Generale, teologo ufficiale dei francescani per “decreto” di frate Francesco, ambasciatore dell’Ordine presso il Papa... Non c'è uomo che possa rinunciare a cuor leggero a tutto questo. A meno che non si chiami Sant'Antonio!

Ma lui era fatto così: il desiderio di fama ed onori era rimasto sepolto (assieme a Fernando) dentro i chiostri dell’abbazia agostiniana di Coimbra, molti anni addietro. Il frate che risalì la collina degli ulivi appresso agli "straccioni" di Francesco non era rigenerato soltanto nel nome del battesimo, ma anche nell’anima. Alla scuola dei nuovi confratelli scoprirà il Vangelo e i suoi protagonisti: Dio e il Prossimo.

Se il Signore poteva incontrarlo ovunque, era fuor di dubbio che il Prossimo l'avrebbe trovato più facilmente in mezzo alla gente. Quel che gli mancava per completare il suo curriculum era, forse, un nuovo tipo d'apostolato, a 360 gradi, a contatto di gomito con tutto il Popolo di Dio.

La scelta d’Antonio cadde su Padova, una città che conosceva ed amava, e che pur sapeva bisognosa di cure pastorali attente ed assidue. Lì avrebbe portato a termine – ultima incombenza rimastagli – la stesura del secondo volume dei Sermoni, quello delle prediche per le feste dei santi, che gli era stato commissionato dal Cardinale Rinaldo Conti, più tardi Papa col nome di Alessandro IV. Poi, finalmente libero da impegni esterni, si sarebbe dedicato all’apostolato diretto. E così fece. Due i campi che privilegiò: la predicazione e il confessionale. La grande quaresima del 1231, l'ultima della sua vita terrena, sarà il suo capolavoro, il suo testamento spirituale.

Tuonante dal pulpito

Un confratello del Santo, padre Vergilio Gamboso, francescano dei nostri giorni, sostiene – a ragione – che Antonio non era tornato a Padova per starsene in pace. E dipinge così la città:


"Come vita politica possedeva più o meno gli stessi pregi e difetti dei Comuni italiani del tempo. Abbondavano le soperchierie, le contese fra nobili spodestati e popolani arricchiti, ogni città vicina era considerata e trattata da nemica. Il benessere non mancava: l’agricoltura, l’artigianato, i traffici attiravano entro le turrite mura ruscelli d’oro. Il denaro aveva i suoi eroi e le sue vittime, l’usura serpeggiava, gli umili non potevano sottrarsi ai continui soprusi".

La piega che prese la predicazione di Antonio – inutile dirlo – aveva pregnanti risvolti nel sociale. Dal pulpito si schierò apertamente dalla parte dei poveri, degli oppressi, degli affamati.

Sferzava soprattutto chi praticava l'usura, uno dei mali peggiori della sua epoca, dicendo:


"Spine sono le ricchezze, che pungono e fanno uscire sangue; bestie feroci sono i perfidi usurai, che rapinano e divorano... Ampia è la via che porta alla dannazione. Ampia non per i poveri di Cristo, che entrano per la porta stretta, ma per gli usurai che di tutto il mondo si sono già impadroniti con mani rapaci. Razza maledetta, sono cresciuti forti e innumerevoli sulla terra, e hanno denti di leone. L’usuraio non rispetta né il Signore, né gli uomini; ha i denti sempre in moto, intento a rapinare, maciullare e inghiottire i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove… E guarda che mani osano fare elemosina, mani grondanti del sangue dei poveri. Vi sono usurai che esercitano la loro professione di nascosto; altri apertamente, ma non in grande stile, onde sembrare misericordiosi; altri, infine, perfidi, disperati, lo sono apertissimamente e fanno il loro mestiere alla luce del sole".

Anche sulla fonte dei loro guadagni il Santo aveva le idee chiare:


"Donde vengono a costoro tanti averi? Dalle ruberie e dalle frodi. Lo scarabeo raccoglie molto sterco e con grande travaglio lo appallottola; ma d’un tratto un asino che mette lo zoccolo sullo scarabeo e il suo sozzo bottino, spiaccicando l’uno e l’altro in un attimo. In simil modo l'avaro e il frodatore accumulano ricchezza, ma a tradimento capita il demonio e li strangola. Allora l’anima tocca ai demoni, la carne ai vermi, le sostanze ai parenti".

Continua ancora:


"C’è di peggio, agli strozzini non basta respingere e soffocare la buona ispirazione di Dio, vogliono scacciarla anche dal cuore della moglie e dei figli. Se un figliolo scosso dal timore del giudizio di Dio e dell'Inferno propone di vivere onestamente, e il padre viene a saperlo, con ogni suo potere tenta di respingere questa grazia. Quanti mali perpetrano questi omicidi! Uccidono in se stessi e negli altri il pentimento e il ricordo della Passione di Cristo".

Questa lunga citazione ci fornisce più di un'indicazione per capire di che pasta fosse fatto il Santo. Innanzitutto ci dice quanto conoscesse in profondità la società in cui operava. Non parlava per sentito dire e non colpiva mali occasionali, ma di pubblico dominio e di vasta portata sociale. Usava parole violente per centrare il problema, senza inutili giri di parole, individuando chiaramente i colpevoli e le vittime. Ma non si limitava alla denuncia dei mali e ai danni materiali che questi provocavano. Il suo compito di sacerdote lo portava a indicare il peccato insito nell'atto malvagio. Nella fattispecie, l'usuraio peccava tre volte: contro gli uomini, contro la sua coscienza, contro Dio.

La predica contro gli usurai – una fra le più note – vuole essere soltanto un esempio di come Antonio affrontava la predicazione e della logica stringente delle sue argomentazioni, impreziosite da immagini semplici, comprensibili da tutti. Nelle sue prediche, dalle quali emerge "un uomo che ama la chiarezza nel pensare e la coerenza nell’agire" (come sostiene padre Pietro Scapin, profondo conoscitore dei Sermoni), non guardava in faccia nessuno, "semmai fu animoso coi potenti, misericordioso coi poveri, pietoso davanti alle miserie umane. In nessun caso, però, a spese del giusto e del vero".

I poveri, ascoltando le sue prediche, si sentivano compresi e consolati. Diceva il Santo:


"La natura ci genera poveri, nudi si viene al mondo, nudi si muore. È stata la malizia che ha creato i ricchi, e chi brama diventare ricco inciampa nella trappola tesa dal demonio. O povertà sempre lieta quando è autentica, tesoro che i figli dei demoni odiano; le delizie tue propongono un sapore di eterna dolcezza ai tuoi amatori".

Misericordioso in confessionale

Se il pulpito era il terreno scelto da Antonio per la semina della Parola di Dio, il confessionale era l’aia dove lui mieteva il raccolto. Che farsene di una marea d’uditori ai piedi del pulpito, se poi il confessionale restava deserto? Il Santo chiamava il sacramento della penitenza "casa di Dio, perché lì i peccatori si riconciliano con lui, come il figliol prodigo si concilia col padre suo". E passava intere giornate a confessare, né si stancava di ripetere:


"Come ti sei confessato, così devi emendarti; vi sono parecchi che confessano i loro peccati, ma non si emendano mai; il vero penitente deve aver fisso nell’anima il proposito di non ricadere nella colpa".

Attorno al confessionale del Santo sono fioriti numerosi fioretti. Il più famoso – raffigurato in un bassorilievo di Donatello – ce lo racconta la Benignitas, una delle biografie antiche:


"Un padovano confessò una volta, tra gli altri peccati, d’aver colpito con un calcio sua madre, tanto da farla cadere. Il beato padre Antonio che deplorava simili iniquità, trasportato dallo zelo, esclamò: il piede che percuote il padre o la madre meriterebbe di essere tagliato! Quell’uomo, prendendo alla lettera il senso di quelle parole, tornato casa si mozzò davvero il piede. La fama di una così severa punizione fece il giro della città e arrivò alle orecchie di Antonio. Egli recatosi a casa di quell’uomo, dopo una devota preghiera, avvicinò il piede reciso al tronco della gamba facendovi il segno della croce. Cosa mirabile: appena il Santo ebbe accostato il piede alla gamba, subito questo vi restò attaccato. L’uomo si alzò gioioso, lodando ed esaltando Dio".

La grande quaresima

Quei quaranta giorni, dal 6 febbraio al 23 marzo 1231, furono per Antonio sintesi mirabile del suo impegno apostolico: predicazioni e confessioni erano le sole incombenze che scandivano il ritmo delle sue giornate.

La predicazione quotidiana in quaresima era una novità assoluta per quei tempi. L'Assidua conferma quanto l’invenzione del Santo fosse azzeccata:


"Venivano folle innumerevoli dalla città e dal contado, accorrevano cavalieri e matrone, vecchi e giovani, uomini e donne di ogni condizione, tutti desiderosi di ascoltare la parola di vita e di provvedere alla propria salvezza; anche il Vescovo con il suo clero seguiva devotamente la predicazione".

Per la vita cittadina furono giorni di pacificazione e di rinnovato vigore morale: "Si appianarono le discordie e si sciolsero le liti, il maltolto venne restituito, detenuti vennero liberati, ladri e prostitute cambiarono abitudini di vita". Ma dove metterli tutti? Non c’erano a Padova chiese tanto grandi da contenere tutta quella marea di gente, per cui Antonio, "crescendo sempre più il numero degli uditori, si ritirò in luoghi spaziosi tra i prati".

Così grande era l’entusiasmo che circondava Antonio, che i suoi confratelli cominciarono a temere per la sua incolumità; venne affidato perciò a un gruppo di baldi giovanotti il compito di formare un cordone di sicurezza tra lui e la folla, anche perché – dice l’Assidua – "le donne nel fervore della devozione, portandosi delle forbici, gli tagliavano la tonaca come fosse una reliquia, e si ritenevano fortunati coloro che riuscivano a toccare almeno l’orlo del suo vestito".

La popolarità del Santo cresceva ogni giorno, coinvolgendo tutti, anche le autorità. All’inizio della Settimana Santa si ebbe un insolito miracolo: il giorno 15 marzo 1231 "su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell'ordine dei frati minori", il podestà Stefano Bador stabiliva che il debitore insolvibile senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non venisse più imprigionato né esiliato.

Fu così che un pezzo di predica di Antonio entrò dritto dritto nel Codice Statuario Repubblicano, modificando a favore dei meno abbienti una legge iniqua in vigore da secoli.

Dal noce all'Arcella

Con il canto dell’Alleluia, nella notte di Pasqua, si concluse la predicazione quaresimale di frate Antonio. Per consiglio di molti, gli occorreva adesso un po' di riposo. La salute, da anni assai precaria, era andata precipitando nelle ultime settimane. Appesantito nel fisico, gonfio e rattrappito per l'idropisia, Antonio si muoveva ormai a fatica. Più volte in quella quaresima dovettero portarlo a braccia sul luogo della predica.

Dopo quei quaranta giorni di superlavoro, fiaccato nel parlare e nel respirare da una forma asmatica, Antonio acconsentì a ritirarsi nel convento di Santa Maria Mater Domini, per un periodo di convalescenza. Pur temendo per la sua salute, nessuno pensava, però, che fosse tanto malato da morirne. Davano la colpa del peggioramento allo stress di quelle settimane e al riacutizzarsi di vecchi malanni. Antonio, invece, presagiva che il momento del trapasso era ormai prossimo, ma – sottolinea l’Assidua – "per non recare dolore ai fratelli celava la fine imminente".

Avrebbe atteso l’incontro con il suo Signore, nella preghiera e nel raccoglimento, dentro le mura amiche del convento, circondato dall'affetto dei confratelli. Ma la Provvidenza –come al solito – aveva in serbo per lui dei percorsi alternativi.

Lo scontro con Ezzelino

Spadroneggiava a quel tempo, tra Verona e Vicenza, un efferato e sanguinario tiranno, Ezzelino III da Romano, emissario dell’Imperatore Federico II contro i liberi Comuni. Di quanta ferocia egli fosse capace sta scritto in tutti i libri di storia: Dante lo metterà all’Inferno, nel girone degli omicidi, condannandolo a starsene a mollo in una pozza di sangue bollente. Con l'inganno e l'astuzia era riuscito a farsi eleggere Podestà di Verona, città guidata dai conti di Sambonifacio, con i quali aveva intrecciato un doppio matrimonio: lui con Zilia, sorella del conte Rizzardo, e questi con sua sorella Cunizza. Ma una volta ottenuto il potere, passò sopra i legami di parentela e ruppe l'alleanza con i Sambonifacio, mandando in carcere il cognato. Alcuni cavalieri del conte Rizzardo ripararono a Padova e da lì cercarono di organizzarne la liberazione.

Fu così che verso la fine di maggio, convinto dalle pressioni degli amici e, soprattutto, dall'abate Forzatè, Antonio partì alla volta di Verona, per intercedere presso Ezzelino la grazia per il conte Rizzardo. A nulla valse la fama del Santo né il suo carisma né le parole evangeliche d'invito al perdono: Ezzelino fu irremovibile, anzi risparmiò ad Antonio la sorte del conte Rizzardo soltanto in virtù dell'abito che portava. Il notaio Rolandino, al riguardo, è telegrafico: "Non esaudito affatto, Antonio ritornò a Padova". Con quanta amarezza nel cuore è facile immaginare. Dai tempi del Marocco era questo il suo primo insuccesso. A nulla, però, possono generosità e coraggio contro i cuori refrattari al Vangelo di Cristo.

C’è un passaggio nei Sermoni che ben rappresenta lo stato d’animo del santo in quel frangente:


"Oh, se tu vedessi, certamente piangeresti! Imperversano vanità e falsità, calunnie dei potenti contro i miseri e giudizi iniqui contro i poveri, e tante lacrime d’innocenti non hanno consolatore. Se gli oppressori fossero esseri umani, saprebbero consolare; ma siccome sono leoni, e non uomini, allora affliggono i poveri, privi d’ogni umano aiuto e impotenti a resistere alla violenza".

La cella sul noce

Antonio era rientrato da Verona da qualche giorno appena, quando i frati lo convinsero a trasferirsi nel romitorio di Camposampiero, lontano dall'afa, nella frescura della campagna, dove i francescani avevano a disposizione un piccolo convento offerto, anni addietro, da un amico del Santo, il conte Tiso.

Spargeva un’ombra salutare, tutt'attorno al cenobio, un frondoso albero di noci. Sui rami più bassi il conte Tiso aveva approntato un tavolaccio dove Antonio poteva ritirarsi a pregare e riposare, di giorno, al riparo del fresco fogliame. Il fido collaboratore, Fra Luca Belludi, e l'amico ospite lo aiutavano a salirci di mattina e lo andavano a prendere quando la campagna chiamava per gli obblighi comunitari, per poi riportarvelo appena adempiuti; soltanto all'imbrunire lo riaccompagnavano dentro casa, dove passava la notte. Questo andirivieni tra casa e noce durerà due settimane, le ultime.

La voce correva veloce anche a quei tempi, e fu un grande accorrere di popolo ai piedi del noce. Di lassù, Antonio continuò a predicare, ad esortare, a benedire: l’olio della sua lampada poteva ardere fino all'ultima goccia. E i bambini d'intorno lo rallegravano coi loro canti.

Per essi, Antonio nutrì sempre una spiccata predilezione. Era felice quando vi si trovava in mezzo e per molti di loro chiese ed ottenne miracolose guarigioni.
Ecco, fra i tanti, due episodi. Una sera, mentre rientrava in convento, gli si fece incontro una mamma che reggeva tra le braccia un piccino deforme. "Padre – gli chiese la donna – tocca il mio bambino: solo tu puoi ridonargli la salute". Gli rispose Antonio: "Buona donna, pregate con fede il Signore. I miracoli li fa solo lui". Anche frate Luca, lì vicino, intercedette per quella poveretta: "Padre, esaudiscila! Il Signore ti ascolta sempre quando gli chiedi una grazia!". Il Santo, lasciatosi convincere, prese in braccio quella creaturina deforme e dopo aver pregato, gliela rese risanata.

I miracoli si moltiplicavano al suo passaggio; ovunque gli portavano bimbi malati da guarire. Ecco buttarsi ai suoi piedi un'altra di quelle madri sventurate: "Vieni a salvare mio figlio che sta morendo, solo tu puoi ottenerne la guarigione". Anche a lei Antonio rispose: "Prega con fede il Signore, è lui il padrone della vita e della morte". E la donna, di rimando: "Lo so, ma se tu intercedi per lui, si salverà. È il mio unico figlio; l'ho atteso per tanti anni e ora non voglio vederlo morire!". Gli rispose il Santo: "Va’ in pace, pregherò con te: Dio ascolta sempre le preghiere di una mamma!". Tornata a casa trovò il figlio che giocava, completamente guarito.

Tanta predilezione per i bambini è legata ad un episodio soprannaturale cui si è ispirata l’iconografia antoniana, che ci presenta il Santo mentre stringe fra le braccia Gesù Bambino. L'episodio risale alle due settimane trascorse presso il conte Tiso. Una di quelle sere, ridisceso dal noce e coricatosi sul pagliericcio dentro casa, non riusciva a prendere sonno. Quando d’ecco un gran fulgore illuminò a giorno la stanzetta. Il conte Tiso, pensando ad un incendio, s'affacciò sull’uscio e rimase senza fiato: in braccio ad Antonio c'era Gesù Bambino.

Lungo la strada per Arcella

La permanenza nel romitorio durò fino al mezzogiorno di venerdì 13 giugno 1231. A quell'ora, ridisceso il noce per il frugale pasto comunitario, Antonio si sentì mancare. Ai fratelli che lo soccorrevano chiese d'essere trasportato a Padova: là desiderava morire. Nel Sermone primo dopo Pentecoste aveva scritto: "Fa’, o Signore che possiamo morire nel piccolo nido della nostra povertà".

La morte non lo spaventava, aveva avuto tempo per prepararvisi:


"La vita umana è simile a un ponte, e il ponte è fatto per il transito, non per la residenza… Il giusto è sempre pronto a restituire l’anima al suo Creatore, in qualunque ora gliela domandi. Chi è vissuto ed ha lavorato lungamente con la pace di Dio nel cuore, certamente muore nella pace di Dio... Come il bambino corre piangendo nelle braccia della madre, e la madre lo accarezza e gli asciuga le lacrime, così isanti si affrettano dal pianto di questa terra nelle braccia della gloria, dove Dio asciugherà tutte le lacrime da tutti i visi".

Adagiato su un carro agricolo trainato da buoi e amorevolmente accudito dai frati Luca e Ruggero, Antonio iniziò il suo viatico verso Santa Maria Mater Domini. Una ventina di chilometri separavano Camposampiero da Padova, ci sarebbe voluto l'intero pomeriggio, sotto il sole a picco e tra scossoni violenti sul lastricato della vecchia strada romana (oggi si chiama via "del Santo"). Giunti, sul far della sera, in vista delle mura turrite della città, la comitiva incontrò frate Vinotto che risaliva verso Camposampiero per far visita al Santo. Viste le condizioni del confratello, ormai moribondo, il frate consigliò di fermarsi all'Arcella, nell'ospizio accanto al monastero delle clarisse. Lì, fuoriporta, sarebbe stato al sicuro – soggiunse frate Vinotto – dalle "sante intemperanze" della folla quando si forse sparsa la notizia della morte.

"O gloriosa Domina, excelsa super sidera...", "O Regina gloriosa, elevata sopra le stelle", al canto del suo inno prediletto alla Vergine, Antonio venne adagiato sulla nuda terra dove gli fu amministrata l'unzione degli infermi. E mentre la recita dei sette salmi penitenziali volgeva al termine, si unì ai confratelli mormorando: "Video Dominum meum...", cioè "ecco, vedo il mio Signore", poi chiuse gli occhi e spirò. Aveva 36 anni.

La tomba gloriosa

La notizia della morte d’Antonio si diffuse rapidamente e quel che temeva padre Vinotto s'avverò. Gli abitanti di Capodiponte, nella cui giurisdizione si trovava Arcella, arrivarono per primi: "Qui è morto e qui resta"; spalleggiati dalle clarisse: "Non lo abbiamo potuto vedere da vivo, che ci resti almeno da morto".

L’indomani giunsero all'Arcella i frati di Santa Maria Mater Domini per traslare la salma, ma furono affrontati, armi in pugno, dai giovanotti di Capodiponte.

Risultata vana ogni pacata trattativa, i frati rientrarono a Padova dove si rivolsero al Vescovo, affinché provvedesse lui a sbrogliare la matassa. Messo al corrente dell'accaduto e saputo che era volontà precisa d’Antonio di morire in città, nel suo convento, diede loro ragione e incaricò il Podestà di sedare gli animi, anche con la forza, qualora fosse necessario.

La sera del sabato rientrò a Padova Fra Alberto, successore d’Antonio nella carica di provinciale; pure lui fu dell'avviso che la salma andasse sepolta in Santa Maria Mater Domini.

Le giornate di domenica e lunedì trascorsero in concitate trattative, ma alla fine, prevalso il buon senso, gli animi si riconciliarono.

Martedì 17 giugno, all'Arcella, c’era tutta Padova: più che un funerale, fu una processione; un trionfo di fede e di popolo. Arrivati in città, il Vescovo celebrò solenni esequie e, benedetta la salma, la tumulò in un’urna di marmo, regalo dei Canonici della Cattedrale ai francescani di Santa Maria Mater Domini.

A Coimbra era morto Fernando e rinato Antonio. Quel giorno a Padova entrava nel sepolcro un frate, ne sarebbe uscito il Santo.

Il Santo delle grazie

Fin dal giorno dei funerali l'arca di marmo divenne meta d'incessanti pellegrinaggi. Per giorni e giorni colonne interminabili di uomini, donne e bambini sfilarono dentro l'angusta chiesetta del convento di Santa Maria Mater Domini.

Né l’afa né la calura dell’estate incipiente distoglievano i devoti dal toccar con mano supplice la bordura del sarcofago. Mille richieste in quel gesto: tutti avevano qualcosa da chiedere, per sé, per un parente, per un amico.

Siccome la folla ogni giorno aumentava, le autorità decisero di disciplinare il flusso e tutta Padova – si legge nell’Assidua –"nei giorni prefissati veniva in processione a piedi nudi", anche di notte. Ed ecco un nuovo problema: il tetto della chiesa conventuale, basso e di legno, era un pericolo incombente con quel via vai di torce accese. Di qui l’ordine d'ammucchiare ceri e candele sulla piazza antistante.


"Godeva la città di grande splendore e, rischiarata da molteplici luminarie, le pareva di aver perduto ogni notturna oscurità: molti, infatti, disponendo fiaccole fiammeggianti sui mmuri, passavano in veglia le notti nelle piazze".

Chi usciva dalla chiesetta raccontava le "meraviglie che accedevano per i meriti del beato Antonio", così veniva alimentata la speranza di chi ancora doveva entrarvi.

Ascoltando quei racconti era come ripassare le pagine del Vangelo:


"E quelli che, per il gran numero degli infermi sopraggiungenti, non potevano restare dinanzi all’arca adagiati fuori dell’ingresso della chiesa, guarivano nella piazza, sotto lo sguardo di tutti: si aprirono gli occhi ai ciechi, si schiusero le orecchie ai sordi, gli zoppi saltavano come cervi, le lingue dei muti si scioglievano nelle lodi del Signore...".

Prosegue l’Assidua:


"Lo proclama l’assemblea del clero, lo grida il popolo: tutti, a un sol voce e con volere unanime, insistono concordi che si mandino dei delegati alla sede apostolica perché perorino la canonizzazione del beato Antonio".

Non era passato ancora un mese dalla morte, che Antonio era già diventato santo "a furor di popolo". E quando, al clero e alla gente, s’unirono il Vescovo e il Podestà, poté finalmente partire per Roma una qualificata delegazione col compito di sottoporre al Papa i fenomeni straordinari che giornalmente accadevano sulla tomba del loro illustre concittadino.

Papa Gregorio IX, che della santità di Antonio ebbe prova quando l'aveva ascoltato predicare presso di lui, accolse gli ambasciatori padovani con gentilezza e, per accelerare l'iter canonico, nominò seduta stante una commissione di periti, presieduta dal Vescovo di Padova, perché vagliasse le testimonianze e raccogliesse le prove documentarie.

Raggiunta Padova, l’Assidua dice che la commissione fu sommersa


"da una gran folla, accorsa per deporre con le prove della verità, di essere stata liberata da svariate sciagure grazie ai meriti gloriosi del beato Antonio".

Il Vescovo ascoltò attentamente "le deposizioni confermate con giuramento" e mise per iscritto i miracoli approvati, poi promosse indagini scrupolose sulle condizioni delle persone e dei fatti, prendendo nota del tempo e del luogo, di ciò che fu udito e veduto.

Completato l’esame diocesano dei miracoli, Padova inviò al Papa una seconda delegazione. A Roma l'istruttoria fu assegnata al Cardinale Giovanni d'Abbeville, che in pochi mesi esaurì il compito assegnatogli.

Vincendo la ritrosia di alcuni prelati, timorosi di quel procedere "troppo precipitoso in una causa tanto rilevante", Gregorio IX dichiarò chiuso il processo, fissando al 30 maggio, festa di Pentecoste, la cerimonia ufficiale di canonizzazione.

Con gesto di squisita gentilezza il Papa inviò una Bolla "ai nostri cari figli, il podestà e il popolo di Padova", per dare il lieto annuncio. E riferendosi a Sant'Antonio disse che ben "si era meritato di essere collocato non sotto il moggio, ma sul candelabro immortale della Chiesa cattolica".

La grande festa si svolse nella Cattedrale di Spoleto. Circondato da Cardinali e Vescovi, Gregorio IX ascoltò commosso la lettura dei cinquantatre miracoli approvati (un vero record!) e, dopo il canto del Te Deum, proclamò solennemente e ufficialmente Santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della morte, il 13 giugno.

Alla delegazione padovana restavano meno di due settimane per tornare a casa e organizzarvi i festeggiamenti. Scrive l’Assidua:


"I rappresentanti della città di Padova affrettandosi con rapido passo, furono di ritorno, accolti con entusiasmo, prima che si compisse l’anno della morte del Beato Antonio, la cui festa fu celebrata con indescrivibile solennità nel giorno stesso in cui si compiva l’anno del suo trapasso".

L’enorme afflusso di pellegrini che confluiva a Padova sulla tomba del Santo convinse i frati e i maggiorenti della città che il grande Taumaturgo ben meritasse una chiesa più capiente.

Si dettero tutti un gran da fare, e già in quell’anno vennero gettate le fondamenta. Otto anni dopo, nel 1240, veniva descritta come un "monumento mirabile", ma i fedeli dovranno attendere l'8 aprile 1263 per vedervi riposto il corpo del Santo. Era in quell'anno Ministro Generale dei francescani Fra Bonaventura da Bagnoreggio, al quale toccò l’onore di trasportare dall’attiguo convento di Santa Maria Mater Domini in Basilica il corpo del Santo. La traslazione venne seguita da una folla immensa, e tutti furono ripieni di stupore quando Fra Bonaventura, nell’effettuare la ricognizione dei resti mortali, rinvenne intatta, di un colore come se fosse ancora viva, la lingua del Santo. Indicandola ai fedeli, esclamò commosso:


"O lingua benedetta! Che sempre hai lodato il Signore, e lo hai fatto conoscere e amare agli altri, ora ci appare chiaro quanti meriti hai acquisito presso Dio".

Quel ritrovamento prodigioso viene tutt'oggi annualmente ricordato, a Padova, dai frati del Santo.

Bibliografia

Azevedo, Emanoel de (1713-1798), Vita di Sant'Antonio di Padova taumaturgo portoghese dell'abate Emanuelle de Azevedo di Coimbria, Edizione: Nuovamente prodotta alla luce dal p. Savino Bachechi, Firenze 1829
Camisani Enrico, L' evangelico dottore Sant'Antonio di Padova, Brescia 1992
Fiocco Giuseppe, Il reliquiario della lingua del Santo, Padova 1963
Lazzarin Piero, Un santo, una basilica, una citta: storia e segreti di un santuario notissimo e poco conosciuto: virtu e vizi di una piccola grande città, Padova 1990
Mazza Claudio, Un Santo per amico: Agiografia di Sant'Antonio da Padova per gli amici del Beato Annibale, Milano 1992
Salvini Alfonso, Sant'Antonio di Padova, Cinisello Balsamo 1989
Chiara Amata, Sant'Antonio di Padova", Milano 1997
Cojazzi Antonio, Sant'Antonio da Padova nella testimonianza d'un suo contemporaneo, Torino 1931
Breve racconto della vita, miracoli e morte del grande taumaturgo Sant'Antonio di Padova, Bologna 1873
Ciuti Pio, S. Antonio da Padova : tredici conferenze intorno alla vita del Santo e orazione panegirica, Giarre: Libreria francescana, 1931
Vita e miracoli di Sant'Antonio da Padova, Firenze 1880
Luini Edoardo, Sant'Antonio di Padova: maestro di vita cristiana: pagine dai suoi sermoni, Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI

Fonte: Enciclopedia Cattolica di Qumran2 (http://www.enciclopediacattolica.it/index.php/Sant%27Antonio_da_Padova).

Augustinus
17-06-06, 14:14
Sant'Antonio, come San Francesco, fu un appassionato amante di Maria. Nei suoi Sermoni ha bellissime parole di lode nei confronti della Madre del Signore ...

Alla Beata Vergine Maria

Ti preghiamo, signora nostra,
speranza nostra:
tu, stella del mare, illumina i tuoi figli
travolti da questo tempestoso mare del peccato;
facci giungere al porto sicuro del perdono
e, lieti della tua protezione,
possiamo portare a compimento la nostra vita.
Con l'aiuto di colui di colui che tu ha portato in grembo
e che il tuo santo petto ha nutrito.
A lui è onore e gloria
per i secoli eterni.

Amen.

* * * *

Signora nostra,
unica speranza nostra,
ti supplichiamo di illuminare le nostre menti
con lo splendore della tua grazia,
di purificarci
con il candore della tua purezza,
di scaldarci
con il calore della tua visita
e di riconciliarci con il Figlio tuo,
perché possiamo meritare di giungere
allo splendore della sua gloria.
Con il suo aiuto,
lui che, con l'annuncio dell'angelo,
assunse da te la gloriosa carne
e volle abitare per nove mesi nel tuo grembo.
A lui l'onore e la gloria
per i secoli eterni.

Amen.

FONTE (http://www.carosantantonio.it/ita/preghiere_di_2.asp)

Augustinus
17-06-06, 14:28
Questa preghiera di lode - o responsorio - in onore di Sant'Antonio fu composta da fra Giuliano da Spira. Il responsorio fa parte dell'Officium rhythmicum s. Antonii, che risale probabilmente al 1233 (o in un'epoca tra il 1232 ed il 1240), due anni dopo la morte del Santo.
Alcuni, invece, lo attribuiscono al Dottore Serafico, cioè S. Bonaventura. Tuttavia, esso non è inserito nelle raccolte dei suoi lavori. E' verosimile, però, che egli ne promosse la diffusione nella sua vita.
E' cantato nella Basilica di Sant'Antonio a Padova e, ogni martedì, in molte chiese nel mondo intero.

* * * *

1. Si quaeris miracula,
Mors, error calamitas,
Daemon, lepra fugiunt,
Aegri surgunt sani.

Ant: Cedunt mare, vincula:
Membra resque, perditas
Petunt et accipiunt
Iuvenes et cani.

2. Pereunt pericula,
Cessat et necessitas:
Narrent hi, qui sentiunt,
Dicant Paduani.

Ant: Cedunt mare, vincula ...

3. Gloria Patri et Filio
et Spiritui Sancto.

Ant: Cedunt mare, vincula ...

V. Ora pro nobis, beate Antoni,
R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus:

Ecclesiam tuam, Deus, beati Antonii Confessoris tui commemoratio votiva laetificet, ut spiritualibus semper muniatur auxiliis et gaudiis perfrui mereatur aeternis. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

****

Se cerchi i miracoli, ecco messi in fuga la morte, l’errore, le calamità e il demonio; ecco gli ammalati divenir sani.

Il mare si calma, le catene si spezzano; i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano la sanità e le cose perdute

S’allontanano i pericoli, scompaiono le necessità: lo attesti chi ha sperimentato la protezione del Santo di Padova.

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

FONTE (http://www.carosantantonio.it/ita/preghiere_a_2.asp) (con mie aggiunte ed adattamenti)

Augustinus
17-06-06, 14:29
O proles Hispaniae,
pavor infidelium,
nova lux Italiae,
nobile depositum
urbis Paduanae.

Fer, Antoni, gratiae
Christi patrocinium,
ne prolapsis veniae
tempus braeve creditum
defluat inane. Amen!

* * * *

O stirpe d’Ispania
paura d’infedeli
nuovo splendor d’Italia
unico tesoro
di tutta Padova.

Di Cristo e del suo favor
portaci l’aiuto
che il breve tempo datoci
le nostre pene a piangere
non voli via perduto. Amen.

Augustinus
18-06-06, 08:09
Corpus Domini ed Eucarestia (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=104469)

Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149653)

S. Francesco d'Assisi (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=69012)

S. Chiara d'Assisi (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=114689)

S. Bonaventura da Bagnoregio, Vescovo e Dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=110870)

Augustinus
12-06-07, 16:33
In rilievo

Aug. :) :) :)

Diaconus
13-06-07, 15:10
S. Antonio di Padova

Gli anni in Portogallo

Sant’Antonio è nato in Portogallo, a Lisbona, nel 1195.
Una tradizione barocca indica la data del 15 agosto.
Era figlio dei nobili Martino de’ Buglioni e donna Maria Taveira.
La loro casa distava pochi metri dalla cattedrale.
Fu battezzato con il nome di Fernando.
Trascorse i primi anni di formazione sotto la colta guida dei canonici del Duomo. Tra i suoi compagni di studi, vi erano anche ragazzi già orientati alla scelta del sacerdozio. Molto probabilmente anche da qui nacque l’aspirazione del giovane Fernando a scegliere il servizio sacerdotale.
Ma soprattutto furono la mediocrità morale, la superficialità e la corruzione della società a spingerlo ad entrare nel monastero agostiniano di São Vicente, fuori le mura di Lisbona, per vivere l’ideale evangelico senza compromessi.

Tra gli agostiniani

Fernando dimorò A São Vicente per circa due anni. Poi, infastidito dalle continue visite degli amici, con i quali più nulla aveva a che spartire, chiese di trasferirsi altrove, sempre all’interno dell’Ordine agostiniano.
Antonio affrontava così il suo primo grande viaggio, 230 chilometri circa, quanti separano Lisbona da Coimbra, allora capitale del Portogallo.

Fernando aveva 17 anni. Arrivava in un ambiente dove sarebbe convissuto con una grossa comunità di circa 70 membri per il corso di 8 anni, dal 1212 al 1220.
Furono anni importantissimi per la formazione umana e intellettuale del Santo, il quale, poteva fare affidamento su valenti maestri e su una ricca e aggiornata biblioteca.

Fernando si dedicò completamente allo studio delle scienze umane e teologiche, anche per estraniarsi dalle tensioni che attraversavano la comunità religiosa. Gli anni trascorsi a Santa Cruz di Coimbra lasciarono una traccia profonda nella fisionomia psicologica e nell’iter esistenziale del futuro apostolo.

Già per indole ci appare un uomo appartato, geloso del suo segreto, come rinchiuso nei suoi impegni di lavoro che gli lasciavano ben poco respiro.
Diventò, anche per libera scelta, un uomo privo di ambizioni sociali; contrario a ogni ostentazione ed esibizione di sé e delle sue doti; diffidente delle polemiche; indifferente alle esteriorità di qualunque tipo, a meno che non fosse sospinto dal dovere della testimonianza evangelica.

Da Coimbra uscì uomo maturo.
La sua cultura teologica, nutrita di Bibbia e di tradizione patristica, aveva raggiunto uno stadio definitivo.
Ferdinando sacerdote

A Santa Cruz Fernando fu ordinato sacerdote, probabilmente nel 1220.
Anche per il giovane Fernando venne disattesa la norma ecclesiastica che fissava a un minimo di 30 anni l’età per avere accesso al sacerdozio.

La scelta francescana

Segno di sangue
Verso fine estate del 1220 Fernando chiese ed ottenne di lasciare i Canonici regolari di sant'Agostino per abbracciare l'ideale francescano. Non è certo se abbia conosciuto personalmente i primi francescani approdati in terra lusitana. Certo, ne sentì parlare, ne subì il fascino.
Soprattutto quando i loro resti mortali di martiri, raccolti dai cristiani, furono racchiusi in due cofani d’argento e portati dall’Infante Pedro e dal suo seguito fino a Ceuta, da qui trasportati ad Algesiras, indi a Siviglia e finalmente traslati a Coimbra, dove furono collocati nella chiesa agostiniana di Santa Cruz (nella quale tuttora sono custoditi e venerati). Si raccontò anche di miracoli che accrebbero la devozione, vennero messe per iscritto le gesta dei martiri. Tutto contribuì a porre il movimento francescano al centro dell’attenzione di tutti i fedeli portoghesi.
La richiesta da parte di Fernando di entrare a far parte dei seguaci di Francesco d’Assisi matura in previsione di una forte vocazione alla missione e, in particolare, al martirio di sangue.

Antonio missionario

Nel settembre 1220, Fernando lascia i bianchi panni di agostiniano per rivestirsi della grezza tunica di bigello e una corda ai fianchi.
Per l’occasione, abbandona anche il vecchio nome di battesimo per assumere quello di Antonio, l’eremita egiziano titolare del romitorio di Santo Antao dos Olivãis presso cui vivevano i francescani. Dopo un breve periodo di studio della regola francescana, Antonio parte alla volta del Marocco.
L’itinerario da lui seguito, per via di terra e di mare, ci è sconosciuto. Molto probabilmente, secondo le consuetudini francescane, Antonio era accompagnato da un confratello, rimastoci però ignoto.

Arrivato nei territori del Miramolino, a Marrakesh o in altra località, sarà stato accolto in casa di qualche cristiano, ivi residente per ragioni di commercio o altro.
Volendo rivolgersi ai musulmani, il Santo doveva conoscere correntemente la lingua araba, cosa non ardua per un lisbonese dell’epoca, oriundo da una zona bilingue.
Diversamente, poteva fare affidamento sul compagno: se non entrambi, almeno uno doveva essere esperto in arabo.
Antonio non poté dare corso al suo progetto di predicare perché preda di una non meglio specificata malattia tropicale. Per recuperare almeno in parte la salute, decise di ritornare in patria, senza però abbandonare il suo ideale di martirio. Fu dunque costretto a ritirarsi dal Marocco, prendendo a ritroso la via del mare.
Ma, a causa di un’imprevista violenza dei venti contrari, la nave fu trascinata fino alla lontana Sicilia.
Antonio, che le tradizioni raccontano essere sbarcato a Milazzo, (Messina) era uno sconosciuto fraticello straniero, giovane e senza incarichi di governo, fisicamente provato. La sua convalescenza siciliana durò circa due mesi.

Informato dai confratelli siciliani, Antonio lasciò la Sicilia. Risalì la penisola per prendere parte al capitolo generale – detto delle Stuoie - celebrato in Assisi dal 30 maggio all’8 giugno del 1221.
Antonio da Lisbona, sconosciuto a tutti perché entrato solo da pochi mesi nell’Ordine, passò i nove giorni dell’adunanza appartato e solingo, immerso nell’osservazione e nella riflessione.
Era uno dei tanti, nulla aveva che lo distinguesse.
Al momento del commiato non fu preso con sé da nessuno dei “ministri”.

Quando furono partiti quasi tutti i conventuali, Antonio fu notato da frate Graziano, ministro provinciale della Romagna. Saputo che il giovane frate era anche sacerdote, lo pregò di seguirlo.

Eremita a Montepaolo

In compagnia di Graziano da Bagnacavallo e d’altri confratelli romagnoli, Antonio giunse a Montepaolo nel giugno 1221.

Le sue giornate trascorrevano in preghiera, mediazione e umile servizio ai confratelli.

Durante questo periodo il Santo poté maturare la sua vocazione francescana, approfondire l’esperienza missionaria bruscamente interrotta, rinvigorire l’impegno ascetico, affinarsi nella contemplazione.

Le tesi più accreditate riferiscono che sant’Antonio rimase a Montepaolo fino alla Pentecoste (22 maggio) o al massimo fino a settembre dello stesso anno.

Sulle prime, data la visione prevalentemente sacrale in cui era tenuto il sacerdote, i confratelli trattarono Antonio con venerazione.

Avendo visto che uno dei compagni aveva trasformato una grotta in una cella solitaria, gli chiese con insistenza che la cedesse a lui. Il buon fratello accondiscese all’appassionato desiderio del giovane portoghese.

Cosi tutte le mattine, compiute le preci comunitarie, Antonio si affrettava alla volta della sua grotta (ancor oggi devotamente conservata) per vivere solo con Dio, solo in rigore di penitenze e intima preghiera, in prolungate letture della Bibbia e riflessioni. Per le ore canoniche e per i pasti si riuniva ai confratelli.
Nella sua fervida dedizione alla penitenza stremò tanto la sua fragile salute con i digiuni, le veglie, le flagellazioni, che più d’una volta, al suono della campanella che lo chiamava alle riunioni, vacillava e stava per cascare, se non fosse stato sorretto da premurosi confratelli.
Antonio si accorse che i suoi fratelli d’ideale coniugavano preghiera e servizio reciproco. Lui, che contributo poteva portare? Ne parlò con il guardiano (il superiore dei frati). Conclusero che egli avrebbe tenuto pulite le povere stoviglie di cucina e spazzato la casa.

Predicatore e Maestro

L’ora della chiamata

Nel settembre 1222 si tenevano a Forlì le ordinazioni sacerdotali di religiosi domenicani e francescani. Prima che il drappello degli ordinandi si recasse nella cattedrale cittadina per ricevere gli ordini sacri dal vescovo Alberto, si era soliti rivolgere un sermone ai candidati. Ma nessuno era stato incaricato preventivamente e pertanto nessuno dei sacerdoti domenicani o minoriti presenti si era preparato. Arrivato il momento di prendere la parola in pubblico, tutti ricusarono d’improvvisare l’esortazione di circostanza. Solo il superiore di Montepaolo conosceva bene le doti di Antonio.
L’interpellato tentò di schermirsi. Di fronte alle insistenze del superiore piegò il capo e prese serenamente la parola. Man mano che il discorso si dipanava in sonante latino, le espressioni si facevano più calde e suadenti, originali ed emozionanti.

Egli rivelava, sia pur contro voglia, la profonda cultura biblica, la coinvolgente spiritualità.

Commozione, esultanza, soprattutto stupore dell’uditorio.
Ebbero poi luogo le sacre ordinazioni, si svolsero secondo il programma i lavori dell’assise capitolare. Ma ormai tutti gli occhi erano puntati sul fraticello portoghese, obliato eremita, che in maniera così impensata era proposto al centro dell’attenzione della sua fraternità.
Non risalì a Montepaolo che per dire addio alla sua grotta, per riabbracciare i confratelli, raccomandandosi alla loro simpatia e preghiera.

Antonio predicatore

Sant’Antonio inizia così la sua missione di predicatore in Romagna.
Parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, alternando l’impegno della catechizzazione con l’opera pacificatrice. Attendeva alle confessioni, si confrontava personalmente o in pubblico con i sostenitori di eresie.
La Romagna, all’epoca del Santo e per secoli dopo, era una contrada funestata da una guerriglia civile endemica. Le fazioni, maggiori e minori, avvelenavano le città e i clan familiari, disgregando le strutture comunali e seminando dovunque sospetti, congiure, colpi di mano, vendette. Non bastasse questa maledizione, anche sul piano religioso si pativa la calamità delle sette, prima fra tutte, nelle sue ramificazioni, quella catara.

La vecchia Chiesa reagiva scarsamente e male, a causa della sua mediocrità spirituale. Buon gioco avevano dunque gli eretici che diffondevano teorie distorte e dubbi pericolosi.

Proprio a Rimini, nel 1223, ha luogo l’episodio riportato dalla tradizione, secondo il quale sant’Antonio vince la testardaggine di un eretico che non voleva credere nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Teologo a Bologna

Dopo la rivelazione di Forlì, dopo che per invito dei superiori fu inviato a predicare nelle città e villaggi della Romagna, sul finire del 1223 ad Antonio viene chiesto anche di insegnare teologia a Bologna.
Per due anni, all’età di 28-30 anni, come teologo insegna le basilari verità di fede al clero e ai laici, attraverso un metodo semplice ma efficace.
Partiva cioè dalla lettura del testo sacro per giungere ad una interpretazione che interpellasse e parlasse alla fede e alla vita dell’uditorio.
Sant’Antonio è dunque il primo insegnante di teologia del neonato ordine francescano, il primo anello di una catena di teologi, predicatori e scrittori, che nei secoli diedero e danno onore alla Chiesa.

“Antonio, mio vescovo”

Francesco d’Assisi non voleva che i suoi frati si dedicassero allo studio della teologia.
Questa indicazione fu riportata anche nella regola di vita.
Ma per sant’Antonio, viste la sua solida fede e la sua integrità morale, fece una eccezione concedendogli di insegnare ai suoi frati.
E’ ormai largamente provata, in sede critica, la sostanziale autenticità della breve lettera fattagli pervenire dal Poverello.
Eccone il testo, in versione italiana, secondo l’edizione stabilita da Kajetan Esser.
“Al fratello Antonio, mio vescovo, auguro salute. Approvo che tu insegni teologia ai frati, purché, a motivo di tale studio,tu non smorzi lo spirito della santa orazione e devozione, come è ordinato nella Regola. Sta sano”.

Il grande francescanista Raoul Manselli, scorge nel patentino che autorizzava Antonio a insegnare sacra teologia ai frati, un “testo di portata normativa” che “ha un valore ed un significato essenziale per tutta la storia dell’Ordine e va inteso e spiegato, quindi, nella sua intera portata”.
Antonio nel suo apostolato itinerante, sia in Italia che in Francia, allacciò all’intensa predicazione la formazione catechetica delle nuove leve del movimento minoritico: “doveva, quindi avere già ricevuto ormai l’autorizzazione che la breve lettera di Francesco concede in termini tanto sintetici, quanto rigorosamente e puntualmente formali”.

Una delle preoccupazioni che portavano san Francesco a guardare con diffidenza allo studio, era rappresentata dal divario che egli notava, fra quanto la cultura teologica insegnava e come diversamente lo viveva.

Teologo su richiesta dei confratelli

Furono i confratelli a chiedere a sant’Antonio di avviare uno studio di teologia e di insegnarvi.
Essi, vivendo a contatto con le anime, erano allarmati e dispiaciuti per la situazione d’inferiorità del giovane Ordine francescano, chiamato da un numero crescente di fedeli a coprire, assieme ai domenicani, i grossi vuoti lasciati dal clero diocesano nella conduzione pastorale e nella catechesi.
L’iniziativa emulava l’analoga istituzione, promossa appunto dall’Ordine gemello dei Predicatori, i quali avevano aperto in Bologna uno studio teologico fin dal 1219, vivente san Domenico.

Una lezione di sant’Antonio

Come avrà tenuto una sua lezione il teologo Antonio?
Secondo il metodo dell’epoca, recepito anche dal Santo, nelle sue spiegazioni vi era una prevalenza del senso allegorico. Costante è anche il riferimento alla Bibbia.

Lo stile faceva leva:

- sulla chiarezza di concetti,
- l’essenzialità di espressione rifuggente da inutili ridondanze,
- la preoccupazione di riuscire persuasivo e pratico,
- la cura di coinvolgere interamente la persona (oltre al ragionamento, anche il sentimento e l’immaginazione)
- la traduzione dei dettami nel vissuto quotidiano.

Dottore della chiesa

Tra i contemporanei e nelle generazioni immediatamente successive, il Santo fu ritenuto maestro di sapienza cristiana, biblista impareggiabile, autore di opere insigni.
Uno storico dice che sant’Antonio possedeva un talento così eminente, da poter servirsi della memoria al posto dei libri, e che si sapeva esprimere con un’abbondante grazia di linguaggio mistico […]. La profondità insospettata del suo parlare accresceva lo stupore dell’uditorio (Assidua). Tutta la curia romana ebbe modo di ascoltarlo e lo stesso Gregorio IX lo chiamò Arca del Testamento.
Fu in occasione del VII centenario della morte del Santo, 1931, che fu avviata presso la Congregazione dei Riti, Roma, la ricerca e discussione sul dottorato di sant’Antonio, in questi termini:
“Se sia da confermarsi il culto di Dottore tributato per secoli a sant’Antonio di Padova e se sia da estendersi alla Chiesa universale, con ufficio e messa del comune dei dottori”.

Toccò a papa Pio XII l’onore di concludere affermativamente la procedura storico-giuridica, cosa che egli compì il 16 gennaio 1946 con il Breve Apostolico Exsulta, Lusitania felix. Sant’Antonio è Dottore della Chiesa con il titolo di “doctor evangelicus”.

Non dobbiamo stupirci del ritardo, ben sette secoli e più, subìto da sant’Antonio prima di accedere al culto di Dottore. Infatti il riconoscimento apostolico non era altro che una conferma di una prassi consolidata nella Chiesa fin dai primi anni dalla morte del Santo.


La missione in Francia

Francia assetata di pace

Una terra che scotta, un popolo nella tormenta. Questo è il Meridione della Francia ai tempi di sant’Antonio. La causa di tanta inquietudine è da attribuire alle lotte politiche e sociali tra cattolici ortodossi e la setta degli albigesi, radicatasi da decenni in questa regione.
Il Papato, alleato col potere temporale che ne aveva intravisto il vantaggio economico, combatté in tutti i modi l’eresia. Ma a nulla valsero le persecuzioni, la guerra condotta per oltre 20 anni.
Chi davvero attirò le persone a riabbracciare la vecchia fede fu la testimonianza multiforme e la parola suadente di cistercensi, domenicani, francescani, che diedero il meglio di sé in quest’opera di riconciliazione con la verità nella carità. Tra essi, eminente, la figura del nostro Santo.
Dove ferve la battaglia
Non si hanno molte e certe notizie del periodo francese di Antonio. C’è però un termine fisso, il 1226.
Antonio fondò il convento francescano di Limoges. Gli antonianisti anticipano alla fine del 1224 il suo passaggio dall’Italia al sud francese.

Proveniente da Bologna, Antonio passa per la Provenza alla Languedoc, al Limosino, al Berry.

Antonio incontra una regione travagliata dall’eresia albigese, martoriata dalla crociata, scivolata ben presto in gioco di potenza.

Fin dal gennaio 1217, papa Onorio III aveva esortato i professori di teologia di Parigi a recarsi in mezzo agli albigesi.
Antonio fu inviato, probabilmente con un drappello di minoriti, come rinforzo qualificato, e ciò per suggerimento della direzione centrale dell’Ordine, sensibilizzata al problema sia dai frati già residenti nella zona, sia dalle pressioni della curia papale.

Troviamo Antonio insegnante di teologia e predicatore a Montpellier, ragguardevole centro universitario e roccaforte dell’ortodossia cattolica, dove domenicani e francescani ricevono adeguata formazione pastorale-intellettuale per predicare agli eretici sparsi nei territori circostanti.

Arles: San Francesco appare mentre Antonio predica

Il fatto è certo, ma dubbia è la data. Lo storico Tommaso da Celano ricorda come frate Giovanni da Firenze, eletto da Francesco ministro dei minoriti di Provenza, celebrò un’assemblea capitolare, o nella seconda metà del 1224, oppure nella prima metà dell’anno successivo, durante la quale Antonio dettò un fervido sermone sulla Passione di Cristo.
Mentre egli parlava, frate Monaldo vide alla porta della sala dove erano riuniti “il beato Francesco sollevato in aria con le mani estese a forma di croce, in atto di benedire i suoi frati”.
Sant’Antonio svolse il suo sermone sul mistero della Crocifissione di Cristo, in particolare sulla iscrizione Gesù Nazareno Re dei Giudei (Gv. 19,19).

E’ molto probabile che il Santo, sempre attento alla trama liturgica innervante l’annata del credente, si sia ispirato, nel cogliere l’argomento del sermone, allo spunto offerto dal momento liturgico.
Pertanto, è ovvio ipotizzare che il capitolo di Arles si sia riunito in un giorno contrassegnato dal mistero della croce: il venerdì santo, 28 marzo 1225; il ritrovamento della Croce (Inventio crucis), 2 maggio dell’anno stesso; quando non si voglia pensare (e sarebbe suggestivo e tutt’altro che gratuito) alla Esaltazione della Croce del ’24, e dunque quando le stimmate erano state appena impresse nelle carni di san Francesco.

Antonio a Tolosa e a Limoges

Tolosa, (Toulouse), sorge nell’attuale dipartimento della Haute-Garonne. Le sue origini sono molto antiche.
L’Apostolato itinerante di Antonio non poteva non echeggiare in un emporio di ideologie quale Tolosa. E’ più che probabile che in questa roccaforte del neomanicheismo il Taumaturgo abbia anche insegnato teologia ai frati. Attorno al 1226 Antonio si sposta più a nord, nei pressi di Limoges.

Nella chiesa di St. Pierre-du-Queyroix Antonio vi tenne una celebre predica, resa emozionante per una bilocazione attestataci da fra’ Giovanni Rigaldi.
Alla diocesi di Limoges appartiene l’abbazia di Solignac, sulla Briance. Anche in questo monastero soggiornò il Taumaturgo, operandovi un prodigio a favore del monaco che gli faceva da infermiere.
Limoges rimane nella storia del Santo come uno dei centri più significativi. Egli rivestì infatti l’incarico di custode (=superiore) dei francescani della città e del circondario. Che il Santo sia stato custode di Limoges e territorio, siamo certi, d’una certezza cinta naturalmente di saggia circospezione, giacché la testimonianza scritta dista circa un settantennio dagli avvenimenti.
Una cronaca del monastero di san Marziale di Limoges ci tramanda che Antonio pronunziò il suo primo discorso nel cimitero di san Paolo, prendendo spunto dal salmo 29,6. Un secondo sermone fu da lui predicato nel monastero di s. Martino, svolgendo le parole del salmo 54,7: Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?
E’ sempre a Limoges che avviene un altro fatto singolare. Siamo nella chiesa di St. Pierre-du-Queyroix. Sulla mezzanotte del giovedì santo, dopo l’ufficiatura del mattutino, ha luogo la predica durante la quale il Santo si trasferisce tra i suoi frati per cantare la lectio liturgica che spettava a lui.

A Bourges, Le Puy e altrove

L ’anno 1226 vede Antonio sostare anche a Brive, e nella sua veste di custode dei frati minori, fondare un convento. Qui il Santo trova la pace dell’ascesi e della meditazione, per ristorarsi delle snervanti predicazioni ritirandosi volentieri in alcune grotte appena fuori il borgo cittadino. Qui si dedica alla penitenza e alla contemplazione.

Dopo la sua morte, il suo ricordo rimarrà sempre vivo tra gli abitanti di Brive. Le grotte che egli frequentò sono divenute un luogo di pellegrinaggio.
Dopo le alterne vicende, nel 1874 il santuario fu riacquistato dai francescani e nel 1895 fu riconsacrato. Brive è da allora, pur tra qualche difficoltà, il centro nazionale della devozione antoniana in terra francese.

La superba cattedrale di Bourges, puro gioiello del gotico, salutò il missionario Antonio. Ma egli fu anche a Le Puy-en-Velay, nell’attuale dipartimento della Haute-Loire, ai piedi del monte Anisan. Non è certo se qui vi abbia esercitato l’incarico di guardiano della fraternità.

Non possiamo determinare la data del ritorno di sant’Antonio in Italia: per quale motivo fece il viaggio a ritroso, chi ve lo chiamò, dove prese residenza o, se non ebbe residenza alcuna, perché continuò a fare il missionario peregrinante. Gli agiografi antoniani fissano il ritorno in occasione del capitolo generale, tenuto in Assisi per la Pentecoste 1227, il 30 maggio.

San Francesco morì la sera del 3 ottobre 1226: l’assemblea doveva quindi dare all’Ordine un nuovo ministro generale.

Come custode del Limosino egli era tenuto, per dettato esplicito della Regola, a prender parte al capitolo, in cui si doveva scegliere il successore di san Francesco. Ma non abbiamo prove ch’egli ricoprisse ancora questo incarico.
Non sapremo mai se fu frate Elia, colui che forse aveva promosso la sua missione in Francia, a richiamarlo in Italia per affidargli compiti ancor più complessi e gravosi. Non sapremo nemmeno se fu fra Giovanni Parenti.
Sappiamo solo che, diretto verso l’Italia, attraversò a piedi la Provenza (così dice la Rigaldina 6,34).

Nel nord Italia

Ministro provinciale

Sant’Antonio godette di indiscutibile stima da parte dei suoi confratelli. Così, alle già numerose incombenze, si aggiunse anche l’incarico di ministro provinciale del nord Italia, Romagna inclusa.

Chi gli conferì tale incarico? La storia qui si rivela avara di testimonianze. Circa la durata, la maggioranza degli studiosi antoniani ipotizza sia durato l’arco di un triennio, dal 1227 al 1230.

Anche in questa nuova incombenza, Antonio si distinse in spirito di servizio e di fraternità, sorreggendo, incoraggiando e guidando i fratelli, con l’esempio e con gli ammonimenti.

Una fonte attendibile tramanda che rimase superiore provinciale fino a maggio del 1230.
L’amicizia con Tomaso di san Vittore

Nella sua attività di ministro provinciale dell’Italia settentrionale si seppe mantenere fedele al carisma di san Francesco inserendolo nella complessa mutevole realtà dei tempi e luoghi. Con le strutture gerarchiche coltivò rapporti da vero cattolico, evitando conflitti e alimentando un clima di concordia. Ne è prova la partecipazione personale del vescovo di Padova alla quaresima antoniana del 1231, come non è un caso che la canonizzazione lampo del Santo non sia stata inceppata da alcuna protesta o riserva.

Un secondo obiettivo dell’azione pastorale si riproponeva di armonizzare l’attività del neonato ordine francescano con quella dei vecchi Ordini religiosi. Seguendo nella trasferta francese, lo abbiamo visto ospite all’abbazia di Solignac, accolto come in casa propria da quei monaci.

Mantenne anche un rapporto di intesa cordiale con gli antichi confratelli agostiniani. Facendosi francescano, Antonio non intese fare un taglio col passato. Anzi, mantenne tutto quello che di valido aveva ricevuto e amato in quegli anni a s. Vincenzo e a s. Croce.
Non per nulla il suo rapporto amicale più intenso fu, durante gli anni italiani, quello coltivato con il parigino Tomaso di san Vittore, abate di s. Andrea in Vercelli.
Antonio, eletto superiore, visitando le comunità minoritiche, ebbe modo di recarsi a Vercelli, dove rimase qualche settimana per predicare e incontrarsi con Tomaso di san Vittore. Questi era giunto a Vercelli nel 1220, fu nominato priore di s. Andrea nel ’24, ebbe il titolo di abate nel ’26.

E’ fuori di dubbio l’amicizia fedele che legò fra loro, in vita e in morte, Antonio e il celebrato abate Tomaso. Le fonti presentano i due santi in un reciproco rapporto di maestro-discepolo, da pari a pari, da maestro a maestro, mediante scambi di esperienze intellettuali.

Apostolo di pace

A Padova, durante la podesteria del veneziano Giovanni Dandolo (29 giugno 1229 - 28 giugno 1230), la distensione e la pace tanto sospirate fiorirono nella regione. Ma sentiamo la relazione di un contemporaneo, il notaio padovano Rolandino:
“Per lo spazio di circa un anno le città della Marca Trevigiana godettero di tale pace, che quasi tutti erano convinti che d’allora in poi non ci sarebbero più stati torbidi e guerre nella regione. Dei religiosi ricreavano spiritualmente pressoché l’intera popolazione, elevandola alle realtà celesti mediante la predicazione. E fu in quel momento che, fra altri religiosi e giusti, giunse il beato Antonio, e in diverse località della Marca annunciò la parola di Dio con voce affascinante”.

La redazione dei Sermones

L’Assidua, prima biografia di sant'Antonio, afferma che Antonio scrisse i suoi Sermones per le domeniche durante un suo soggiorno a Padova, dove frattanto nacque un profondo vicendevole affetto tra gli abitanti e lui.
Invano vi cercheremmo una espressione cronologica precisa, poiché il “quando” resta nel vago. Quanto al luogo di residenza, è Sancta Maria Matera Domini.
Nessuna base documentale suffraga la candidatura dell’Arcella, ubicazione sostenuta da vari antonianisti, che peraltro non producono alcuna prova.
L’Assidua parlando dell’infaticabile zelo per le anime che incalzava Antonio a darsi interamente all’apostolato, annota ch’egli seguitava il lavoro pastorale sino al tramonto del sole, molto spesso restando digiuno.
Predicava, insegnava, ascoltava le confessioni.
Nel suo apostolato, sant’Antonio era accompagnato da alcuni compagni, e nell’ultimo periodo in particolare dal beato Luca Belludi.

Predicatore apostolico

Fu in occasione del capitolo generale del 1230, avvenuto durante la traslazione delle spoglie di Francesco nella nuova basilica eretta in suo onore, che frate Antonio da Lisbona fu liberato dagli incarichi di governo dell’ordine.
Per la grande stima che godeva presso i responsabili dell’Ordine minoritico, gli fu conferito il nuovo incarico di “predicatore generale”, con la facoltà di recarsi liberamente dovunque riteneva opportuno, e prescelto, con sei altri confratelli, a rappresentare l’Ordine presso papa Gregorio IX.

Nell’evoluzione del francescanesimo

Antonio ebbe contatti personali con Gregorio IX?
Quando e per quale motivo ebbe a recarsi alla curia papale? Che posizione assunse nelle questioni concernenti l’evoluzione dell’Ordine? In quali rapporti fu con il leader francescano, frate Elia?
Le fonti ci indicano una sola urgente questione di famiglia nella quale fu implicato il Santo: quella che costituì il problema-crisi del capitolo generale assisano del maggio 1230.
Cioè, che valore giuridico bisognava attribuire al Testamento dettato dal fondatore, san Francesco, poco innanzi la sua morte? E come si potevano risolvere i dubbi suscitati da alcuni punti della Regola francescana, che nella rapida e vorticosa evoluzione dell’Ordine suscitavano perplessità e tensioni?
Antonio fece parte della delegazione espressa dal Capitolo generale per dibattere tali questioni e chiedere lumi al pontefice.
Durante quel soggiorno, prolungatosi parte a Roma, parte ad Anagni, Antonio si fece conoscere in altissimo loco per la eminente santità e la straordinaria scienza biblica, e ciò nei colloqui privati con i diversi dignitari, non meno che nelle sedute, nelle conferenze spirituali e nelle omelie.
Per mandato di Gregorio IX, Antonio avrebbe rivolto un discorso a una moltitudine di pellegrini, convenuti nella città eterna da tutto l’orbe cristiano. E, in virtù di un prodigio simile a quello accaduto agli Apostoli il giorno della Pentecoste, ognuno degli uditori lo sentì parlare nella propria lingua.

Un’erratica tradizione francescana del Trecento dice che Gregorio IX invitò Antonio a rimanergli al fianco. “Egli, umilmente rinunciando a tale onore, per attendere al bene delle anime, dopo aver ottenuto la benedizione apostolica, scelse d’isolarsi alla Verna. Vi restò per qualche tempo, consacrandosi alla predicazione e alla penitenza. Di là, si diresse alla volta di Padova”.

Antonio francescano

Quale rapporto correva tra Antonio e i responsabili dell’Ordine francescano?
Gli agiografi si sono preoccupati di presentare un Antonio a sé stante, come estrapolato dal movimento francescano. Possiamo pensare che, regnando tra i frati, durante la fase primigenia, una spiccata non-omogeneità, il senso di appartenenza fosse decisamente debole. In fondo, il documento ufficiale, tassativo, d’identità, la Regola, risaliva a fine novembre 1223.
Antonio ed Elia, per indole, tempra morale, maturità evangelica, ci appaiono molto distanti
Ma vissero in orbite lontane l’una dall’altra.
Non sappiamo che posto occupasse nella pietà e nella molteplice attività di Antonio il Poverello di Assisi.
Nei suoi Sermoni non ne declina mai il nome, il che assume un accento enigmatico, specie trattandosi di un’opera tanto estesa e pubblicata dopo la canonizzazione del Serafico.
Antonio fu un moderato, che si sforzava di coniugare la fedeltà al carisma francescano con le urgenti richieste dei diversi ambienti dove lo porta l’impegno pastorale.


A Padova

Il grande momento padovano

A Padova, Antonio fece un paio di soggiorni ravvicinati relativamente brevi: il primo, fra il 1229 e il 1230; il secondo, fra il 1230 e il 1231, durante il quale venne precocemente a morte.
Sommando i due periodi, si arriva a mettere insieme una serie di dodici mesi o poco più.
Come dire che il missionario non trascorse nella sua patria di elezione che un anno, in due puntate.
Quale Padova lo attirava, lo aspettava, lo accolse?
Tutta intera, nelle sue diverse, talora contrastanti, componenti.
E la troviamo unanime, pochi mesi dopo, ai piedi del suo pulpito e del suo confessionale; e in seguito appassionatamente impegnata alla sua glorificazione culturale. adova gli servì nuovamente come scriptorium dei suoi commentari biblico-liturgici.

Possiamo ipotizzare che vi trovasse, oltre a un valido sussidio nelle biblioteche, dei collaboratori a livello di scrivani e magari di aiutanti nella stesura del testo.

I Sermones antoniani vanno considerati come l’opera letteraria di carattere religioso più notevole compilata in Padova durante l’epoca medievale.
E ancora, la città euganea interessava vivamente Antonio per la sua università. Egli aveva un debole per i centri di alti studi. Aveva prediletto, dopo Bologna, Montpellier, Tolosa, Vercelli… Lui stesso era, sia pure fuori di strutture burocratiche, un emerito cattedratico. Ma dire università era soprattutto sinonimo di concentrazione di elementi giovanili. Antonio era un esperto “pescatore di giovani”.

Presentisse o meno che il suo peregrinare sulla terra volgeva al termine, egli aspirava a reclutare nuove leve nell’oneroso entusiasmante incarico di portatori del Vangelo.
Poi, la terra veneta viveva una pace malferma.
Antonio sentiva forte l’invito a intervenire, moltiplicando ogni sforzo per scongiurare il riattizzarsi dei conflitti. E ancora, non mancavano nemmeno nella fedele Padova, in forme ora subdole, ora palesi, gli adepti dell’eresia.

I giorni di salvezza

Allo spuntar del 5 febbraio, il Santo sospese la fatica di carta, penna e calamaio.
La città viveva un magico intervallo di pace dentro e fuori dei suoi confini.
Si diffuse la voce che sant'Antonio intendeva predicare giornalmente, prendendo spunto dai testi offerti dalla liturgia.
Ben presto non solo l'angusta chiesetta di S. Maria, ma le più ampie chiese della città risultarono via via incapaci di contenere la moltitudine crescente.
La gente affluiva a grandi schiere, dove accoglierla?
La voce non faceva problema, essendo Antonio dotato di un volume vocale d'eccezione. Si riunivano nelle piazze. Ma queste pure si mostrarono anguste.
Anche a Padova, com'era già accaduto in Francia, sant'Antonio si vide costretto a parlare fuori città, in mezzo ai prati.
Nobili e popolani, donne e uomini, giovani e vecchi, praticanti fervorosi e persone indifferenti o “lontane”, galantuomini e mariuoli, ecclesiastici e laici si disponevano in ordine sparso, aspettando con pazienza l’arrivo dell’uomo di Dio.
Il vescovo Jacopo insieme con gruppi del clero prendeva parte personalmente al cammino quaresimale, da lui stesso autorizzato e seguito con la gioia del pastore che vede riunito il suo gregge in pascoli ubertosi.
Di sermone in sermone si dilatava la fama di quanto stava accadendo a Padova, provocando un continuo accrescersi dell’uditorio.
Una folla incessante si assiepava intorno al suo confessionale. Era impossibile farvi fronte, sebbene dei confratelli sacerdoti e una schiera di presbiteri della città cercassero di alleggerirgli tale fatica. Non gli restava che aspettare il deflusso dei penitenti al calar della sera.
L’Assidua informa che si rassegnava a rimaner digiuno fino al tramonto.
Alcuni accorrevano al sacramento della penitenza, dichiarando che un’apparizione li aveva spinti alla confessione e a mutar vita.
Testimonia l’Assidua: “Riconduceva a pace fraterna i discordi; ridava libertà ai detenuti; faceva restituire ciò ch’era stato rapinato con l’usura e la violenza”.

Si giunge a tanto che, ipotecati case e terreni, se ne poneva il prezzo ai piedi del Santo, e su consiglio di lui restituito ai derubati quanto era stato loro tolto con le buone o con le cattive.
Distoglieva le prostitute dal turpe mercato; ladri famigerati per misfatti, tratteneva dal metter le grinfie sulle proprietà altrui.
In tal modo, compiuti felicemente i quaranta giorni, grazie al suo zelo, raccolse una messe gradita al Signore.
Non posso passar sotto silenzio come egli induceva a confessare i peccati una moltitudine così grande di uomini e donne, da non essere bastanti a udirli né i frati, né altri sacerdoti, che in non piccola schiera lo accompagnavano”.

Antonio intervenne anche a modificare la legislazione comunale di Padova. Si tratta di uno statuto relativo ai debitori insolventi, datato 17 marzo 1231, lunedì santo.

Eccolo, tradotto dall’originale latino.

“A richiesta del venerabile fratello Antonio, dell’Ordine dei frati Minori, fu stabilito e ordinato che nessuno sia detenuto in carcere, quando non sia reo che di uno o più debiti in denaro, del passato o del presente o del futuro, purché egli voglia cedere i suoi beni. E ciò vale sia per i debitori che per gli avallatori. Se però una rinuncia o cessione o un’alienazione sia fatta frodolentemente, sia da parte dei debitori, sia degli avallatori, essa non abbia alcun valore e non porti danno ai creditori. Quando poi la frode non possa venir dimostrata in modo evidente, della questione sia giudice il podestà. Questo statuto non possa subire modificazioni di sorta, ma resti immutato in perpetuo”.

L'ultimo periodo


Nell’eremo di Camposampiero

Diversi i motivi per cui Antonio si ritirò nel romitorio di Camposampiero.

Il primo è sottaciuto, ma intuibile. Dopo l’intenso, sfibrante lavoro della quaresima e del periodo pasquale, le forze del Santo erano pressoché esauste.

Seconda motivazione, espressa dall’Assidua (15,2) ed echeggiata dagli agiografi successivi.

Bisognava sospendere la predicazione e la disponibilità per chi veniva a confessarsi o consigliarsi, allo scopo di lasciar libera la gente per attendere alle occupazioni rurali, essendo imminente il tempo della mietitura.

Terzo motivo: isolarsi in una località tranquilla e difficilmente accessibile, al fine di seguitare e, chissà, ultimare la stesura dei Sermoni festivi.

Quarto movente: allontanarsi dagli occhi affettuosamente scrutatori dei confratelli padovani, che avrebbero potuto allarmarsi notando le sue condizioni di salute in crescente peggioramento e soffrirne.

Quinto scopo, il più alto e desiderato: quello di sottrarsi alla morsa della vita attiva, frastornante e alienante se protratta sopra certi livelli, per tuffarsi nell’orazione, nel raccoglimento dello spirito, in vista del grande appuntamento.

Possiamo ipotizzare che il Santo abbia lasciato Padova il lunedì 19 maggio, e pertanto il suo soggiorno a Camposampiero sia durato, compresa l’ipotetica parentesi dell’andata-sosta-ritorno da Verona, sui 25 giorni.

La morte

Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore.
Deposto su un carro trainato da buoi venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire.
Giunto però all'Arcella, un borgo della periferia della città la morte lo colse.
Spirò mormorando: “Vedo il mio Signore”.
Era il venerdì 13 giugno. Aveva 36 anni.

Il Santo venne sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica.

Al termine dei festosi funerali, il corpo del Santo venne sepolto nella chiesetta del conventino francescano della città.

Probabilmente non interrato, ma anzi un po’ sopraelevato, in maniera che i devoti, sempre più frequenti e numerosi, potessero vederne e toccarne l’arca-tomba.
Un anno dopo la morte la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo Santo il 30 maggio 1232, a soli 11 mesi dalla morte.

La chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 “dottore della chiesa universale”, col titolo di Doctor evangelicus.

Tratto da: www.santantonio.org

Augustinus
13-06-07, 15:35
St. Anthony of Padua

Franciscan Thaumaturgist, born at Lisbon, 1195; died at Vercelli [actually Arcella --Ed.]*, 13 June, 1231. He received in baptism the name of Ferdinand.

Later writers of the fifteenth century asserted that his father was Martin Bouillon, descendant of the renowned Godfrey de Bouillon, commander of the First Crusade, and his mother, Theresa Tavejra, descendant of Froila I, fourth king of Asturia. Unfortunately, however, his genealogy is uncertain; all that we know of his parents is that they were noble, powerful, and God-fearing people, and at the time of Ferdinand's birth were both still young, and living near the Cathedral of Lisbon.

Having been educated in the Cathedral school, Ferdinand, at the age of fifteen, joined the Canons Regular of St. Augustine, in the convent of St. Vincent, just outside the city walls (1210). Two years later to avoid being distracted by relatives and friends, who frequently came to visit him, he betook himself with permission of his superior to the Convent of Santa Croce in Cóimbra (1212), where he remained for eight years, occupying his time mainly with study and prayer. Gifted with an excellent understanding and a prodigious memory, he soon gathered from the Sacred Scriptures and the writings of the Holy Fathers a treasure of theological knowledge.

In the year 1220, having seen conveyed into the Church of Santa Croce the bodies of the first Franciscan martyrs, who had suffered death at Morocco, 16 January of the same year, he too was inflamed with the desire of martyrdom, and resolved to become a Friar Minor, that he might preach the Faith to the Saracens and suffer for Christ's sake. Having confided his intention to some of the brethren of the convent of Olivares (near Cóimbra), who came to beg alms at the Abbey of the Canons Regular, he received from their hands the Franciscan habit in the same Convent of Santa Croce. Thus Ferdinand left the Canons Regular of St. Augustine to join the Order of Friars Minor, taking at the same time the new name of Anthony, a name which later on the Convent of Olivares also adopted.

A short time after his entry into the order, Anthony started for Morocco, but, stricken down by a severe illness, which affected him the entire winter, he was compelled to sail for Portugal the following spring, 1221. His ship, however, was overtaken by a violent storm and driven upon the coast of Sicily, where Anthony then remained for some time, till he had regained his health. Having heard meanwhile from the brethren of Messina that a general chapter was to be held at Assisi, 30 May, he journeyed thither, arriving in time to take part in it. The chapter over, Anthony remained entirely unnoticed.

"He said not a word of his studies", writes his earliest biographer, "nor of the services he had performed; his only desire was to follow Jesus Christ and Him crucified". Accordingly, he applied to Father Graziano, Provincial of Cóimbra, for a place where he could live in solitude and penance, and enter more fully into the spirit and discipline of Franciscan life. Father Graziano, being just at that time in need of a priest for the hermitage of Montepaolo (near Forli), sent him thither, that he might celebrate Mass for the lay-brethren.

While Anthony lived retired at Montepaolo it happened, one day, that a number of Franciscan and Dominican friars were sent together to Forli for ordination. Anthony was also present, but simply as companion of the Provincial. When the time for ordination had arrived, it was found that no one had been appointed to preach. The superior turned first to the Dominicans, and asked that one of their number should address a few words to the assembled brethren; but everyone declined, saying he was not prepared. In their emergency they then chose Anthony, whom they thought only able to read the Missal and Breviary, and commanded him to speak whatever the spirit of God might put into his mouth. Anthony, compelled by obedience, spoke at first slowly and timidly, but soon enkindled with fervour, he began to explain the most hidden sense of Holy Scripture with such profound erudition and sublime doctrine that all were struck with astonishment. With that moment began Anthony's public career.

St. Francis, informed of his learning, directed him by the following letter to teach theology to the brethren:


To Brother Anthony, my bishop (i.e. teacher of sacred sciences), Brother Francis sends his greetings. It is my pleasure that thou teach theology to the brethren, provided, however, that as the Rule prescribes, the spirit of prayer and devotion may not be extinguished. Farewell. (1224)

Before undertaking the instruction, Anthony went for some time to Vercelli, to confer with the famous Abbot, Thomas Gallo; thence he taught successively in Bologna and Montpellier in 1224, and later at Toulouse. Nothing whatever is left of his instruction; the primitive documents, as well as the legendary ones, maintain complete silence on this point. Nevertheless, by studying his works, we can form for ourselves a sufficient idea of the character of his doctrine; a doctrine, namely, which, leaving aside all arid speculation, prefers an entirely seraphic character, corresponding to the spirit and ideal of St. Francis.

It was as an orator, however, rather than as professor, that Anthony reaped his richest harvest. He possessed in an eminent degree all the good qualities that characterize an eloquent preacher: a loud and clear voice, a winning countenance, wonderful memory, and profound learning, to which were added from on high the spirit of prophecy and an extraordinary gift of miracles. With the zeal of an apostle he undertook to reform the morality of his time by combating in an especial manner the vices of luxury, avarice, and tyranny. The fruit of his sermons was, therefore, as admirable as his eloquence itself. No less fervent was he in the extinction of heresy, notably that of the Cathares and the Patarines, which infested the centre and north of Italy, and probably also that of the Albigenses in the south of France, though we have no authorized documents to that effect. Among the many miracles St. Anthony wrought in the conversion of heretics; the three most noted recorded by his biographers are the following:

The first is that of a horse, which, kept fasting for three days, refused the oats placed before him, till he had knelt down and adored the Blessed Sacrament, which St. Anthony held in his hands. Legendary narratives of the fourteenth century say this miracle took place at Toulouse, at Wadding, at Bruges; the real place, however, was Rimini.
The second most important miracle is that of the poisoned food offered him by some Italian heretics, which he rendered innoxious by the sign of the cross.
The third miracle worthy of mention is that of the famous sermon to the fishes on the bank of the river Brenta in the neighbourhood of Padua; not at Padua, as is generally supposed.

The zeal with which St. Anthony fought against heresy, and the great and numerous conversions he made rendered him worthy of the glorious title of Malleus hereticorum (Hammer of the Heretics). Though his preaching was always seasoned with the salt of discretion, nevertheless he spoke openly to all, to the rich as to the poor, to the people as well as those in authority. In a synod at Bourges in the presence of many prelates, he reproved the Archbishop, Simon de Sully, so severely, that he induced him to sincere amendment.

After having been Guardian at Le-Puy (1224), we find Anthony in the year 1226, Custos Provincial in the province of Limousin. The most authentic miracles of that period are the following:

Preaching one night on Holy Thursday in the Church of St. Pierre du Queriox at Limoges, he remembered he had to sing a Lesson of the Divine Office. Interrupting suddenly his discourse, he appeared at the same moment among the friars in choir to sing his Lesson, after which he continued his sermon.
Another day preaching in the square des creux des Arenes at Limoges, he miraculously preserved his audience from the rain.
At St. Junien during the sermon, he predicted that by an artifice of the devil the pulpit would break down, but that all should remain safe and sound. And so it occurred; for while he was preaching, the pulpit was overthrown, but no one hurt; not even the saint himself.
In a monastery of Benedictines, where he had fallen ill, he delivered by means of his tunic one of the monks from great temptations.
Likewise, by breathing on the face of a novice (whom he had himself received into the order), he confirmed him in his vocation.
At Brive, where he had founded a convent, he preserved from the rain the maid-servant of a benefactress who was bringing some vegetables to the brethren for their meagre repast.

This is all that is historically certain of the sojourn of St. Anthony in Limousin.

Regarding the celebrated apparition of the Infant Jesus to our saint, French writers maintain it took place in the province of Limousin at the Castle of Chateauneuf-la-Forêt, between Limoges and Eymoutiers, whereas the Italian hagiographers fix the place at Camposanpiero, near Padua. The existing documents, however, do not decide the question. We have more certainty regarding the apparition of St. Francis to St. Anthony at the Provincial Chapter of Arles, whilst the latter was preaching about the mysteries of the Cross.

After the death of St. Francis, 3 October, 1226, Anthony returned to Italy. His way led him through La Provence on which occasion he wrought the following miracle: Fatigued by the journey, he and his companion entered the house of a poor woman, who placed bread and wine before them. She had forgotten, however, to shut off the tap of the wine-barrel, and to add to this misfortune, the Saint's companion broke his glass. Anthony began to pray, and suddenly the glass was made whole, and the barrel filled anew with wine.

Shortly after his return to Italy, Anthony was elected Minister Provincial of Emilia. But in order to devote more time to preaching, he resigned this office at the General Chapter of Assisi, 30 May, l230, and retired to the Convent of Padua, which he had himself founded. The last Lent he preached was that of 1231; the crowd of people which came from all parts to hear him, frequently numbered 30,000 and more. His last sermons were principally directed against hatred and enmity, and his efforts were crowned with wonderful success. Permanent reconciliations were effected, peace and concord re-established, liberty given to debtors and other prisoners, restitutions made, and enormous scandals repaired; in fact, the priests of Padua were no longer sufficient for the number of penitents, and many of these declared they had been warned by celestial visions, and sent to St. Anthony, to be guided by his counsel. Others after his death said that he appeared to them in their slumbers, admonishing them to go to confession.

At Padua also took place the famous miracle of the amputated foot, which Franciscan writers attribute to St. Anthony. A young man, Leonardo by name, in a fit of anger kicked his own mother. Repentant, he confessed his fault to St. Anthony who said to him: "The foot of him who kicks his mother deserves to be cut off." Leonardo ran home and cut off his foot. Learning of this, St. Anthony took the amputated member of the unfortunate youth and miraculously rejoined it.

Through the exertions of St. Anthony, the Municipality of Padua, 15 March, 1231, passed a law in favour of debtors who could not pay their debts. A copy of this law is still preserved in the museum of Padua. From this, as well as the following occurrence, the civil and religious importance of the Saint's influence in the thirteenth century is easily understood. In 1230, while war raged in Lombardy, St. Anthony betook himself to Verona to solicit from the ferocious Ezzelino the liberty of the Guelph prisoners. An apocryphal legend relates that the tyrant humbled himself before the Saint and granted his request. This is not the case, but what does it matter, even if he failed in his attempt; he nevertheless jeopardized his own life for the sake of those oppressed by tyranny, and thereby showed his love and sympathy for the people. Invited to preach at the funeral of a usurer, he took for his text the words of the Gospel: "Where thy treasure is, there also is thy heart." In the course of the sermon he said: "That rich man is dead and buried in hell; but go to his treasures and there you will find his heart." The relatives and friends of the deceased, led by curiosity, followed this injunction, and found the heart, still warm, among the coins. Thus the triumph of St. Anthony's missionary career manifests itself not only in his holiness and his numerous miracles, but also in the popularity and subject matter of his sermons, since he had to fight against the three most obstinate vices of luxury, avarice and tyranny.

At the end of Lent, 1231, Anthony retired to Camposanpiero, in the neighbourhood of Padua, where, after a short time he was taken with a severe illness. Transferred to Vercelli, and strengthened by the apparition of Our Lord, he died at the age of thirty-six years, on 13 June, 1231. He had lived fifteen years with his parents, ten years as a Canon Regular of St. Augustine, and eleven years in the Order of Friars Minor.

Immediately after his death he appeared at Vercelli to the Abbot, Thomas Gallo, and his death was also announced to the citizens of Padua by a troop of children, crying: "The holy Father is dead; St. Anthony is dead!" Gregory IX, firmly persuaded of his sanctity by the numerous miracles he had wrought, inscribed him within a year of his death (Pentecost, 30 May, 1232), in the calendar of saints of the Cathedral of Spoleto. In the Bull of canonization he declared he had personally known the saint, and we know that the same pontiff, having heard one of his sermons at Rome, and astonished at his profound knowledge of the Holy Scripture called him: "Ark of the Covenant". That this title is well-founded is also shown by his several works: "Expositio in Psalmos", written at Montpellier, 1224; the "Sermones de tempore", and the "Sermones de Sanctis", written at Padua, 1229-30.

The name of Anthony became celebrated throughout the world, and with it the name of Padua. The inhabitants of that city erected to his memory a magnificent temple, whither his precious relics were transferred in 1263, in presence of St. Bonaventure, Minister General at the time. When the vault in which for thirty years his sacred body had reposed was opened, the flesh was found reduced to dust but the tongue uninjured, fresh, and of a lively red colour. St. Bonaventure, beholding this wonder, took the tongue affectionately in his hands and kissed it, exclaiming: "O Blessed Tongue that always praised the Lord, and made others bless Him, now it is evident what great merit thou hast before God."

The fame of St. Anthony's miracles has never diminished, and even at the present day he is acknowledged as the greatest thaumaturgist of the times. He is especially invoked for the recovery of things lost, as is also expressed in the celebrated responsory of Friar Julian of Spires:


Si quaeris miracula ...
... resque perditas.

Indeed his very popularity has to a certain extent obscured his personality. If we may believe the conclusions of recent critics, some of the Saint's biographers, in order to meet the ever-increasing demand for the marvellous displayed by his devout clients, and comparatively oblivious of the historical features of his life, have devoted themselves to the task of handing down to posterity the posthumous miracles wrought by his intercession. We need not be surprised, therefore, to find accounts of his miracles that may seem to the modern mind trivial or incredible occupying so large a space in the earlier biographies of St. Anthony. It may be true that some of the miracles attributed to St. Anthony are legendary, but others come to us on such high authority that it is impossible either to eliminate them or explain them away a priori without doing violence to the facts of history.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. I, 1907, New York (http://www.newadvent.org/cathen/01556a.htm)

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NOTE

* Erroneamente è indicato quale luogo della morte Vercelli, bensì è Arcella, che attualmente è un quartiere di Padova.

Diaconus
13-06-07, 21:36
Noi figli dobbiamo chiedere qualcosa al Padre nostro.
Ma tutto ciò che esiste è nulla, fuorché amare Dio. Dobbiamo quindi chiedere di amare Dio, sostentandolo nelle sue membra più deboli e malate, cibarlo nei poveri e negli indigenti. Se chiediamo amore, ebbene, lo stesso Padre, che è Amore, ci darà ciò ch’egli è: l’amore! (Dai Sermones, vol. I, pp. 333-334).

Augustinus
15-06-07, 07:20
Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecoste, Paris-Poitiers, 1903, IX ediz., t. III, p. 177-187

LE XIII JUIN.

SAINT ANTOINE DE PADOUE, CONFESSEUR.

Réjouis-toi, heureuse Padoue, riche d'un trésor sans prix (1)! Antoine, en te léguant son corps, a plus fait pour ta gloire que les héros qui te fondèrent en ton site fortuné, que les docteurs de ton université fameuse. Cité chérie du Fils de Dieu, dans le siècle même qui le vit prendre chair au sein de la Vierge bénie, il envoyait Prosdocime t'annoncer sa venue; et tout aussitôt, répondant aux soins de ce disciple de Pierre, ton sol fertile offrait au Seigneur Jésus la plus belle fleur de l'Italie dans ces premiers jours, la noble Justine, joignant aux parfums de sa virginité la pourpre du martyre: mère illustre, à qui tu devras de voir se reformer dans tes murs les phalanges monastiques présentement dispersées; nouvelle Debbora, qui bientôt étendra sur Venise ta rivale son patronage glorieux, et, unissant sa force suppliante à la puissance du lion de saint Marc, obtiendra du Dieu des armées le salut de la chrétienté dans les eaux de Lépante. Aujourd'hui, comme si, ô Padoue, tes gloires natives ne suffisaient pas aux ambitions pour toi de l'éternelle Sagesse, voici que du fond de l'antique Ibérie, Lisbonne est contrainte de te céder sa perle la plus précieuse. Au milieu des troubles qui agitent l'Eglise et l'empire, dans la confusion qu'amène l'anarchie au sein des villes italiennes, Antoine et Justine partageront le soin de ta défense contre les tyrans; l'Occident tout entier bénéficiera de cette alliance redoutable sur terre et sur mer aux ennemis de la paix et du nom chrétien. Combats nouveaux, qu'aime le Seigneur (2)! Quand cessent de se montrer les forts en Israël, Dieu se lève et triomphe par les petits et les faibles. L'Eglise alors en paraît plus divine.

Le temps de Charlemagne n'est plus. L'œuvre de saint Léon III subsiste toujours; mais les césars allemands ont trahi Rome, dont ils tenaient l'empire. L'homme ennemi, laissé libre, a semé l'ivraie dans le champ du Père de famille; l'hérésie germe en divers lieux, le vice pullule; et si les papes, aidés des moines, sont parvenus, en d'héroïques combats, à rejeter le désordre en dehors du sanctuaire, les peuples, exploités trop longtemps par des pasteurs vendus, restent sur la défiance, et se détachent maintenant de l'Eglise. Qui les ramènera? qui fera sur Satan cette nouvelle conquête du monde? C'est alors que, toujours présent et vivant dans l'Eglise, l'Esprit de la Pentecôte suscite les fils de Dominique et de François. Milice nouvelle organisée pour des besoins nouveaux, ils se jettent dans l'arène, poursuivant l'hérésie dans ses repaires les plus secrets comme au grand jour, tonnant contre les vices des petits et des grands, combattant l'ignorance; partout dans les campagnes et les villes ils se font écouter, déconcertant les faux docteurs tout à la fois par les arguments de la science et du miracle, se mêlant au peuple qu'ils subjuguent par la vue de leur héroïque détachement donné en spectacle au monde, et qu'ils rendent au Seigneur repentant et affermi, en l'enrôlant par foules compactes dans leurs tiers-ordres devenus en ces temps le refuge assuré de la vie chrétienne. Or, de tous les fils du patriarche d'Assise, le plus connu, le plus puissant devant les hommes et devant Dieu, est Antoine, que nous fêtons en ce jour.

Sa vie fut courte: à trente-cinq ans, il s'envolait au ciel. Mais ce petit nombre d'années n'avait pas empêché le Seigneur de préparer longuement son élu au ministère merveilleux qu'il devait remplir: tant il est vrai que, dans les hommes apostoliques, ce qui importe pour Dieu et doit faire d'eux l'instrument du salut d'un plus grand nombre d'âmes, est moins la durée du temps qu'ils pourront consacrer aux œuvres extérieures, que le degré de leur sanctification personnelle et leur docile abandon aux voies de la Providence. On dirait, pour Antoine, que l'éternelle Sagesse se plaît, jusqu'aux derniers temps de son existence, à déconcerter ses pensées. De ses vingt années de vie religieuse, il en passe dix chez les Chanoines réguliers, où, à quinze ans, l'appel divin a convié sa gracieuse innocence; où, tout entière captivée par les splendeurs de la Liturgie, l'étude des saintes Lettres et le silence du cloître, son âme séraphique s'élève à des hauteurs qui le retiennent, pour jamais, semble-t-il, dans le secret de la face de Dieu. Soudain l'Esprit divin l'invite au martyre: et nous le voyons, laissant son cloître aimé, suivre les Frères Mineurs aux rivages où plusieurs d'entre eux ont déjà conquis la palme glorieuse. Mais le martyre qui l'attend est celui de l'amour; malade, réduit à l'impuissance avant que son zèle ait pu rien tenter sur le sol africain, l'obéissance le rappelle en Espagne, et voici qu'une tempête le jette sur les côtes d'Italie.

On était dans les jours où, pour la troisième fois depuis la fondation de l'Ordre des Mineurs, François d'Assise réunissait autour de lui son admirable famille. Antoine, inconnu, perdu dans l'immense assemblée, vit les Frères à la fin du Chapitre recevoir chacun leur destination, sans que personne songeât à lui; le descendant de l'illustre famille de Bouillon et des rois d'Asturie restait oublié dans ces assises de la sainte pauvreté. Au moment du départ, le ministre de la province de Bologne, remarquant l'isolement du jeune religieux dont personne ne semblait vouloir, l'admit par charité dans sa compagnie. A l'ermitage du Mont Saint-Paul, devenu sa résidence, on lui confia le soin d'aider à la cuisine et de balayer la maison, comme l'emploi qui semblait répondre le mieux à ses aptitudes. Durant ce temps, les chanoines de Saint-Augustin pleuraient toujours celui dont la noblesse, la science et la sainteté faisaient naguère la gloire de leur Ordre.

L'heure arriva pourtant, où la Providence s'était réservé de manifester Antoine au monde; aussitôt, comme on l'avait dit du Sauveur lui-même, le monde entier se précipita sur ses pas (3). Autour des chaires où prêchait l'humble Frère, ce ne furent que prodiges dans l'ordre de la nature et dans l'ordre de la grâce. A Rome il méritait le noble titre d’arche du Testament, en France celui de marteau des hérétiques. Il nous est impossible de suivre en tout sa trace lumineuse; mais nous ne devons pas oublier qu'en effet, une part principale revient à notre patrie dans les quelques années de son puissant ministère.

Saint François avait grandement désiré évangéliser lui-même le beau pays de France, ravagé par l'odieuse hérésie; il lui envoya du moins le plus cher de ses fils, sa vivante image. Ce que saint Dominique avait été dans la première croisade contre les Albigeois, Antoine le fut dans la seconde. C'est à Toulouse qu'a lieu le miracle de la mule affamée, qui laisse sa nourriture pour se prosterner devant l'Hostie sainte. De la Provence au Berry, les diverses provinces entendent sa parole ardente; tandis que le ciel réconforte par de délicieuses faveurs son âme restée celle d'un enfant, au milieu de ses triomphes et de l'enivrement des multitudes. Dans une maison solitaire du Limousin, sous le regard de son hôte, c'est le saint Enfant Jésus, rayonnant d'une admirable beauté, qui descend dans ses bras et lui prodigue ses caresses en réclamant les siennes. Un jour d'Assomption qu'il était tout triste, au sujet de certain passage de l'Office d'alors peu favorable à l'entrée de la divine Mère au ciel en corps et en âme, Notre-Dame vient le consoler dans sa pauvre cellule, l'assure de la véritable doctrine, et le laisse ravi des charmes de son doux visage et de sa voix mélodieuse. A Montpellier, comme il prêchait dans une église de la ville au milieu d'un immense concours, il se rappelle qu'il est désigné pour chanter à l'heure même dans son couvent l’ Alléluia de la Messe conventuelle; il avait oublié de se faire remplacer; profondément chagrin de cette omission involontaire, il incline la tête; or, tandis que, penché sur le bord de la chaire, il semble dormir, ses Frères le voient paraître au chœur, et remplir son office; après quoi, reprenant vie devant son auditoire, il achève avec éloquence le sermon commencé.

C'est dans cette même ville de Montpellier où il enseignait la théologie aux Frères, que son Commentaire des Psaumes ayant disparu, le voleur fut contraint par Satan lui-même à rapporter l'objet dont la perte causait au Saint les plus vifs regrets. Plusieurs voient dans ce fait l'origine de la dévotion qui reconnaît Antoine comme le patron des choses perdues: dévotion appuyée dès l'origine sur les miracles les plus éclatants, et que des grâces incessantes ont confirmée jusqu'à nos jours.

Mais il est temps de donner sur cette belle vie le récit abrégé de la sainte Eglise.

Antoine naquit à Lisbonne en Portugal, de parents nobles, qui l’élevèrent dans l'amour de Dieu. Jeune homme, il embrassa la vie des Chanoines Réguliers. Or il arriva que cinq Frères Mineurs étant morts pour la foi au Maroc, les corps des bienheureux martyrs furent transportés à Coïmbre; leur vue embrasa Antoine du désir d'être aussi martyr, et il passa dans l'ordre de Saint-François. Sous l'impulsion du même désir, il eut bientôt gagné le pays des Sarrasins; mais une maladie le réduisit à l'impuissance et le força de revenir. Or, comme le navire faisait voile sur l'Espagne, les vents le poussèrent en Sicile.

De Sicile il se rendit au chapitre général qui se tenait à Assise. Puis, retiré dans l'ermitage du Mont Saint-Paul en Emilie, il y vaqua longtemps à la divine contemplation, aux jeûnes et aux veilles. Dans la suite, élevé aux saints Ordres, il reçut la mission de prêcher l'Evangile. Telles apparurent alors la sagesse et l'abondance de sa parole, telle fut l'admiration qu'il excita, que, prêchant un jour devant le Souverain Pontife, il fut appelé par lui l'Arche du Testament. L'hérésie surtout ressentit sa vigueur, et les coups qu'il lui porta valurent à Antoine le nom de perpétuel marteau des hérétiques.

Le premier de son Ordre, à cause de l'éclat de sa science, il expliqua les saintes Lettres à Bologne et ailleurs, et dirigea les études de ses Frères. Après avoir parcouru des provinces nombreuses, un an avant sa mort il vint à Padoue, où il laissa de sa sainteté d'insignes monuments. Enfin, précédé par les grands travaux qu'il avait accomplis pour la gloire de Dieu, chargé de mérites, illustre par ses miracles, il s'endormit dans le Seigneur aux ides de juin, l'an du salut mil deux cent trente et un. Le Souverain Pontife Grégoire IX l'inscrivit au nombre des saints Confesseurs.

Le défaut d'espace nous contraint, à notre grand regret, d'être sobre de pièces liturgiques. Mais nous ne pouvons omettre ici le Répons miraculeux, dont la composition est attribuée à saint Bonaventurc, et qui justifie son nom tous les jours encore pour ceux qui le récitent avec foi dans leurs nécessités. C'est le huitième répons de l'Office de saint Antoine de Padoue dans la liturgie franciscaine. Il devint de bonne heure, avec la dévotion aux neuf mardis en l'honneur du Saint, une source de grâces pour le peuple chrétien.

REPONS DE SAINT ANTOINE DE PADOUE.

Si vous cherchez des miracles, la mort, l'erreur, le malheur, le démon, la lèpre, s'enfuient; les malades se lèvent guéris.

* On voit céder la mer, et les chaînes se briser, jeunes et vieux retrouver par la prière l'usage de leurs membres et les objets perdus.

V/. Les dangers s'évanouissent, le besoin cesse: à ceux qui l'éprouvent de le faconter, aux Padouans de le dire.

* On voit céder la mer. Gloire au Père.

* On voit céder la mer.

V/. Priez pour nous, saint Antoine,

R/. Afin que nous soyons rendus dignes des promesses de Jésus-Christ.

PRIONS

Que la mémoire faite par nous du bienheureux Antoine votre confesseur soit pour votre Eglise, ô Dieu, une cause de joie; qu'elle y trouve l'appui constant de vos grâces, et l'assurance du bonheur éternel. Par Jésus-Christ notre Seigneur. Ainsi soit-il.

Glorieux Antoine, la simplicité de votre âme innocente a fait de vous le docile instrument de l'Esprit d'amour. L'enfance évangélique est le thème du premier des discours que le Docteur séraphique consacre à votre louange; la sagesse, qui fut en vous le fruit de cette enfance bénie, forme le sujet du second. Vous étiez sage, ô Antoine; car dès vos jeunes années vous aviez poursuivi l'éternelle Sagesse, et, ne voulant qu'elle en partage, vous aviez en grande hâte enfermé votre amour dans le secret du cloître et de la face de Dieu, pour savourer ses délices. Vous n'ambitionniez que le silence et l'obscurité dans son divin commerce; et, dès ici-bas, ses mains se sont plues à vous orner d'une incomparable splendeur. Elle marchait devant vous; vous la suiviez joyeux pour elle seule, et sans savoir que tous les biens devaient se rencontrer pour vous dans sa compagnie (4). Heureuse enfance, à qui, maintenant comme de vos jours, sont réservés la Sagesse et l'amour! Mais qui, dans le monde, est enfant aujourd'hui? s'écrie votre illustre et saint panégyriste. Plus d'humble petitesse; aussi, plus d'amour.

On ne voit que vallées s'arrondir en collines, et collines s'enfler en montagnes. Mais qu'est-il écrit? Vous les avez renversés, dans le temps qu'ils s'élevaient (5). Et Dieu dit à ces hauteurs usurpées: Je t'ai ramené à la petitesse de l'enfance, mais d'une enfance profondément méprisable au milieu des nations (6). Pourquoi, ô hommes, cette puérilité remplissant vos jours d'inconstance, d'ambition tapageuse, d'efforts qui ne récoltent que le vent? Autre est l'enfance dont il est dit qu'elle est la plus grande dans la patrie des vraies grandeurs (7). Elle fut la vôtre, glorieux Antoine, et vous livra tout entier aux divines influences (8).

En retour de votre soumission toute d'amour au Père qui est dans les cieux, les peuples vous obéirent, les plus féroces tyrans tremblèrent à votre voix (9). L'hérésie seule, un jour, refusa d'écouter vos accents; mais les poissons vous vengèrent: ils vinrent par multitudes, aux yeux de toute une ville, écouter votre parole dédaignée des sectaires. L'erreur, hélas! qui se dérobait devant vous, ne se contente plus maintenant de refuser d'entendre; elle veut parler seule. Après s'être relevée depuis longtemps des défaites que vous lui aviez infligées, la fille de Manès, restée la même sous le nom nouveau de franc-maçonnerie, gouverne à son gré la France; le Portugal, où vous naquîtes, la voit chercher presque au grand jour à pénétrer jusqu'à l'autel; le monde entier s'abreuve à ses poisons. O vous qui, chaque jour, subvenez à vos dévots clients dans leurs nécessités privées, vous dont la puissance est la même au ciel qu'autrefois sur la terre, secourez l'Eglise, le peuple de Dieu, la société plus universellement et plus profondément menacée que jamais. Arche du Testament, ramenez à l'étude fortifiante des Lettres sacrées nos générations sans amour et sans foi; marteau des hérétiques, frappez de ces coups qui fassent encore trembler l'enfer et réjouissent les anges.

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NOTE

1. Ant. festi ad Benedictus, ap. Minores.

2. Judic. V, 8.

3. Johan. XII, 19.

4. Sap. VII.

5. Psalm. LXXII, 18.

6. Abd. 2.

7. Matth. XVIII, 4.

8. Bonav. Sermo 1 de S. Ant. Patav.

9. Sap. VIII, 14, 15.

Augustinus
17-06-07, 10:43
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/29/Antoniuspadua.jpg

Augustinus
17-06-07, 10:44
http://members.chello.nl/~l.de.bondt/AnthonyofPadua.jpg

Augustinus
17-06-07, 10:45
http://www.rc.net/newyork/stanthonyschool/Pictures/St%5B1%5D.%20Anthony%201.jpg http://www.capurso-online.it/SSSalvatore/immagini_calendario/calendario_450/Giugno_2003_450.jpg http://img147.imageshack.us/img147/4121/anthony15mv.jpg http://www.catholic.org/images/ins_saints/anthonypadua.gif Autore ignoto, S. Antonio di Padova, metà XX sec., Capurso (BA)

Augustinus
17-06-07, 10:46
http://stjosef.at/predigten/anthony1.jpg http://www.stanthonyofpaduachurch.org/images/anthony2.gif

Augustinus
13-06-08, 07:15
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/fb/Basilica_di_Sant%27Antonio_da_Padova.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0c/BasilicaStoAntonio.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8b/Basilika_des_hl._Antonius.JPG Basilica di Sant'Antonio, Padova, Padova

Augustinus
13-06-08, 18:37
http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p03007a01nf2001.jpg Giambattista Tiepolo, S. Antonio di Padova e Gesù Bambino, XVIII sec., Museo del Prado, Madrid

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/9OMOSV/96-009583.jpg Luca Giordano, S. Antonio di Padova e Gesù Bambino, XVIII sec., musée du Louvre, Parigi

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/SU4A1Q/97-006324.jpg Antoon van Dyck, Il miracolo della mula a Tolosa, XVII sec., Palais des Beaux-Arts, Lille

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/LJ9JPD/02-008566.jpg Arnould de Vuez, S. Antonio predica, XVII sec., Palais des Beaux-Arts, Lille

Holuxar
13-06-17, 21:13
13 giugno 2017: Sant'Antonio da Padova, confessore e dottore della Chiesa, la seconda delle sei Apparizioni della Madonna alla Cova da Iria a Fatima, tredicesimo giorno del Mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù…




“Sant'Antonio di Padova, confessore e dottore, 13 giugno.”
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico (http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm)
http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm





Sant'Antonio di Padova - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santantonio-di-padova/)
http://www.sodalitium.biz/santantonio-di-padova/
“13 giugno, Sant’Antonio di Padova, Confessore e Dottore della Chiesa (Lisbona, c. 1195 – Padova, 13 giugno 1231), il “martello degli eretici”.
“A Padova sant’Antonio Portoghese, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi”.
Indegno per le colpe commesse di comparire davanti a Dio Vengo ai tuoi piedi, amorosissimo Sant’Antonio, per implorare la tua intercessione nella necessità in cui verso. Siimi propizio del tuo possente patrocinio, liberami da ogni male, specie dal peccato, e impetrami la grazia di ……… Caro Santo, sono anch’io nel numero dei tribolati che Dio ha commesso alle tue cure, e alla tua provvidente bontà.Sono certo che anche io per mezzo tuo avrò quanto chiedo e così vedrò calmati i miei dolori, confortate le mie angustie, asciugate le mie lacrime, ritornato alla calma il mio povero cuore. Consolatore dei tribolati non negarmi il conforto della tua intercessione presso Dio. Così sia!”


www.sursumcorda.cloud
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
“Carlo Di Pietro - Sursum Corda
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare sant’António Portoghése, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi. Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Confessore e Dottore della Chiesa, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, sant’António Portoghése possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.”



Si quæris miracula - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/)
http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/
“Si quæris miracula 13 giugno 2017
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Si quæris miracula
Responsorio in onore di Sant’Antonio di Padova

Si quæris miracula
mors, error, calamitas,
dæmon, lepra fugiunt,
ægri surgunt sani.
Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.
Pereunt pericula,
cessat et necessitas;
narrent hi, qui sentiunt,
dicant Paduani.
Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.
Glória Patri et Filio et Spíritui Sancto.
Sicut erat in princípio,
et nunc et semper
et in sæcula sæcolorum.
Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani. Amen.
Ora pro nobis, Beate Antoni, Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus.
Ecclesiam tuam, Deus, Beati Antonii Confessoris tui commemoratio votiva lætificet, ut spiritualibus semper muniatur auxiliis et gaudiis perfrui mereatur æternis. Per Christum Dominum nostrum.
O Lingua benedicta, quæ Dominum semper benedictisti et alios benedicere fecisti: nunc manifeste apparet quanti meriti extitisti apud Deum.

Se cerchi i miracoli,
la morte, l'errore, la calamità
e il demonio sono messi in fuga,
gli ammalati divenir sani.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
ritrovano le cose perdute
i giovani ed i vecchi.
S'allontanano i pericoli,
scompaiono le necessità;
lo attesti chi ha sperimentato
la protezione del Santo di Padova.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
ritrovano le cose perdute
i giovani ed i vecchi.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio,
ora e sempre,
nei secoli dei secoli.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
ritrovano le cose perdute
i giovani ed i vecchi. Così sia.
Prega per noi, o Beato Antonio, perché siam fatti degni delle promesse di Cristo.
Preghiamo.
O Dio, la votiva commemorazione del Beato Antonio, Confessore tuo, allieti la tua Chiesa affinchè resti sempre munita di aiuti spirituali e meriti di godere gli eterni gaudi del Cielo. Per Cristo, nostro Signore.
O Lingua benedetta, che benedicesti sempre il Signore e lo facesti benedire dagli altri, ora chiaro appare di quanto merito sei stata al cospetto di Dio.

Dal 1866, per volontà di Pio IX, si concede un'indulgenza di 100 giorni a tutti i fedeli che con cuore contrito recitano il presente Responsorio e l'annessa Orazione.
Si quæris miracula - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/)





“Oh come tremano, afferma S. Bernardo, i demoni al sentire solamente proferire il nome di Maria: In nomine Mariae omne genu flectitur; et daemones non solum pertimescunt, sed, audita hac voce, contremiscunt (Serm. sup. Miss.). Conforme gli uomini, soggiunge Tommaso de Kempis, (Lib. 4, ad Nov.) cadono a terra per timore, allorché un tuono dal cielo cade lor vicino, così cadono abbattuti i demoni al sentir nominare Maria: Expavescunt caeli reginam spiritus maligni et diffugiunt, audito nomine eius, velut ab igne. Tamquam tonitruum de caelo factum sit, prosternuntur ad sanctae Mariae vocabulum. Ed oh quante belle vittorie di questi nemici han riportato i divoti di Maria col suo santissimo nome! Così li vinse S. Antonio di Padova, così il B. Enrico Susone, così tanti altri amanti di Maria. Si sa dalle relazioni delle missioni del Giappone che ivi ad un certo cristiano una volta comparvero molti demoni in forma di feroci animali a spaventarlo e minacciarlo; ma egli disse lor così: «Io non ho armi di cui possiate voi temere; se vel permette l'Altissimo, fate di me quel che vi piace. Del resto adopro in mia difesa i dolcissimi nomi di Gesù e di Maria.» Così disse appena, ed ecco che al suono de' tremendi nomi si aprì la terra, e precipitarono quei spiriti superbi. E S. Anselmo attesta per sua esperienza di aver veduto ed inteso molti che al nominare Maria subito sono stati liberati da' pericoli: Saepe vidimus et audivimus plurimos homines in suis periculis nominis recordari Mariae, et illico omnis periculi malum evasisse (S. Ans., de Exc. Virg., c. 6).
Da S. Alfonso Maria de Liguori
Glorie di Maria
Parte prima
CAPITOLO IV. - Ad te clamamus, exsules filii Hevae.
§ 2. - Quanto è potente Maria in difendere chi l'invoca nelle tentazioni del demonio.”



Cronologia di Fatima (http://www.unavox.it/103b.htm)
"CRONOLOGIA DI FATIMA."


La Seconda Apparizione a cova da Iria (http://www.reginamundi.info/madonna-di-fatima/seconda-apparizione-a-cova-da-Iria.asp)
"13 Giugno 1917 - La seconda delle sei apparizioni della Madonna alla Cova da Iria
Il 13 giugno 1917, verso le 11, Lucia, Francesco e Giacinta come voluto dalla Madonna, si trovano alla Cova da Iria. La voce si è sparsa e con loro adesso ci sono circa cinquanta persone. Recitano tutti assieme, il S. Rosario.
Dopo aver recitato il rosario con Giacinta e Francesco, e con le altre persone che erano presenti, scrive Lucia, vidi nuovamente il riflesso della luce che si avvicinava (e che noi chiamavamo lampo) e, poi, la Madonna sul leccio, esattamente come nel mese di maggio.
- Che cosa volete da me? Le chiesi.
- Voglio che veniate qui il 13 del mese prossimo, che recitiate il rosario tutti i giorni e che impariate a leggere. Dirò in seguito cosa voglio.
- Chiesi la guarigione di un malato.
- Se si convertirà (rispose la Madonna) guarirà nel corso dell’anno - I Cuori di Gesù e di Maria hanno su di voi dei progetti di misericordia.
- Vorrei chiedervi di condurci in cielo.
- Sì, Giacinta e Francesco ve li condurrò molto presto, ma tu, ma tu resterai qui ancora per qualche tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. A chi praticherà questa devozione io prometto la salvezza, queste anime saranno predilette da Dio, come fiori posti da Me per ornare il suo trono.
- Resterò qui tutta sola? domandai con tristezza.
- No, figlia mia! Questo ti fa soffrire molto? Non scoraggiarti! Non ti abbandonerò mai. Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà fino a Dio.
Nel momento in cui pronunciava queste ultime parole disgiunse le mani e ci comunicò, per la seconda volta, il riflesso di questa luce immensa.
In essa noi ci vedemmo come immersi in Dio. Giacinta e Francesco sembravano trovarsi in quella parte di luce che saliva verso il cielo ed io in quella che si diffondeva sulla terra.
Dinanzi al palmo della mano destra della Madonna cera un cuore circondato di spine che sembravano conficcarsi in esso. Abbiamo capito che si trattava del Cuore Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati della umanità, che chiedeva riparazione."




Ligue Saint Amédée (http://www.SaintAmedee.ch)
http://www.SaintAmedee.ch
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
“Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].”
“13 juin 1917 : deuxième apparition de Fatima.”
“13 juin 1929: Notre Dame apparaît à sœur Lucie de Fatima à Tuy.”
13 juin : Saint Antoine de Padoue, Religieux de Saint-François (1195-1231).”




Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org)
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Edizioni Radio Spada - Home (http://www.edizioniradiospada.com)
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“13 giugno 2017: Sant'Antonio da Padova, confessore e dottore della Chiesa.
Il Santo, che ha vissuto in Italia solo alcuni anni della sua vita conclusasi a Padova, è di origine portoghese. Gli ha infatti dato i natali intorno al 1195 Lisbona, in Portogallo. Antonio era figlio di Martino, nobile che la tradizione vuole della famiglia dei Bulhoes y Taveira de Azevedo - da noi chiamati più semplicemente i Buglioni - che annoverava tra i suoi membri il prode Goffredo, condottiero della prima crociata.
Quindicenne, Fernando (con tale nome era stato battezzato) entrò fra i canonici regolari di sant'Agostino, a Lisbona prima e poi a Coimbra. Di intelligenza acuta e brillante, in pochi anni riuscì a immagazzinare tanta cultura teologica, scientifica e soprattutto biblica da meritarsi in seguito il titolo di "Arca del testamento". Gli studi non riuscirono però ad appagare le aspirazioni del suo animo generoso. Il giovane canonico trova la sua strada il giorno in cui a Lisbona approdarono le salme, di cinque frati francescani martirizzati nel Marocco. Decise allora di seguirne le orme entrando tra i francescani di Coimbra con il nome di frate Antonio.
Si era recato in Marocco per coronare la propria vita con il martirio, ma misteriose febbri lo obbligarono a tornare in patria. Durante il viaggio una tempesta lo fece naufragare sulle coste della Sicilia, presso Milazzo. Risalì quindi l'Italia, in compagnia di altri frati, diretti ad Assisi dove si svolgeva il Capitolo generale poi detto "delle stuoie". Era il 1221. Nella cittadina umbra Antonio conobbe Francesco, il quale qualche tempo più avanti, ammirato dalla sua profonda dottrina, lo chiamerà "mio vescovo".
Ad Assisi il frate portoghese venne destinato al convento-romitorio di Montepaolo, vicino a Forlì, dove rimase per qualche tempo alternando preghiere, lavoro e studio. Una predica improvvisata, in occasione di un'ordinazione sacerdotale (era venuto a mancare il predicatore ufficiale), impose all'attenzione di tutti la profonda cultura, la capacità oratoria, e la ricchezza interiore di frate Antonio. All'indomani, lasciato l'eremo di Montepaolo, il frate era già sulle strade polverose dell'Italia settentrionale e della Francia, missionario itinerante e predicatore, ad annunciare il messaggio evangelico e francescano, contro le labili costruzioni degli eretici che avevano infestato quelle regioni. Nella eretica Rimini, che rifiutava di ascoltare la Parola di Dio, egli andò a predicare ai pesci che lo accolsero sulla riva. In altre città eccolo sfidare gli eretici inducendo una mula, tenuta a digiuno per giorni, ad inginocchiarsi di fronte all'ostia consacrata, mentre alle sue froge giungeva invitante il profumo d'un bel mucchio di biada.
Tornato in Italia, si stabilì a Padova, dove proseguì la sua attività di Predicatore.
Celebre un suo quaresimale, tenuto a Padova alcuni mesi prima di morire, e un coraggioso quanto sfortunato incontro con il feroce tiranno Ezzelino da Romano, dal quale era andato a perorare la liberazione di alcuni prigionieri tenuti barbaramente segregati nelle celle del suo palazzo.
Negli ultimi tempi, spossato dalla fatica e dalla malattia (soffriva per le conseguenze delle febbri malariche) accettò l'invito di un amico, il conte Tiso di Camposampiero, a recarsi nel convento di quella cittadina, immerso nella quiete della campagna, per riposarsi. A Camposampiero, Antonio si era fatto costruire dall'amico conte tra i rami fronzuti di un noce una piccola cella, dove si ritirava a pregare. Ma quella solitudine fu infranta dagli ammiratori che, scoperto il nascondiglio segreto, si recavano in massa a chiedergli il conforto della parola.
Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: "Vedo il mio Signore". Era il 13 giugno. Aveva 36 anni.
Il Santo venne sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte, la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo santo. La Chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 di «dottore della chiesa universale».”
“il 13 giugno 1799 il cardinale Ruffo, con l'armata della Santa Fede, entra in Napoli, liberandola dalla repubblica giacobina.”






13° giorno: Cuore misericordioso - Cuore invidioso (http://www.stellamatutina.eu/13-giorno-cuore-misericordioso-cuore-invidioso/)
“13° giorno: Cuore misericordioso – Cuore invidioso
CUORE MISERICORDIOSO
La parola “misericordioso” significa, letteralmente, «dare il cuore ai miseri» (miseris-cor-dare).
Quando Gesù ci dice di essere misericordiosi come il Padre dei cieli che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45), ci chiede appunto di essere buoni e comprensivi di cuore verso coloro che non meriterebbero.
Si sa che il mondo è teatro di tante cattiverie, ingiustizie, disonestà. La tentazione più immediata che tutti proviamo è quella di colpire i malfattori e i malviventi, trattandoli con la severità che meritano.
Ma se facciamo così, non potremo essere mai «figli dell’Altissimo che è benigno anche verso gli ingrati e i cattivi» (Lc 6,35).
Se il Cuore di Gesù avesse voluto trattarci come meritiamo, non si sarebbe mai sottoposto a una vita di stenti e di umiliazioni sulla terra; non avrebbe dovuto mai e poi mai bere il calice amaro della nostra Redenzione; tanto meno sarebbe potuto restare in mezzo a noi e per noi nel Sacramento dell’Eucaristia.
Il Cuore di Gesù, invece, non ha considerato affatto la nostra cattiveria, si è donato tutto, continua a donarsi e si donerà «fino alla fine dei secoli» (Mt 28,20).
Anzi, Egli arriva a lasciarsi prendere senza resistenze anche per farsi straziare dai sacrileghi, dai traditori, dai nemici dichiarati come i massoni che si procurano le Ostie consacrate per pugnalarle nelle loro infami logge.
Il Cuore di Gesù è la sorgente inesauribile della misericordia.
Persino sulla croce, Egli grida col Sangue e con la voce una preghiera di misericordia per i suoi carnefici: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Egli sa di quanta fragilità e miseria noi siamo impastati, quanto facilmente siamo vittime di noi stessi e delle nostre passioni, quanto bisogno abbiamo di essere saziati «non di solo pane» (Mt 4,4), ma di ciò che nutre per la vita eterna. Perciò il suo Cuore è sempre pronto a ripetere con ansia di misericordia ciò che disse prima della moltiplicazione dei pani: «Ho pietà di questo popolo» (Mt 15,32).
Perciò Egli ci ha rivelato il suo Cuore e ci ha donato la Grande Promessa, che è un tesoro di misericordia: «Io ti prometto – disse Gesù a santa Margherita – nell’eccesso della misericordia del mio Cuore, che il mio amore onnipotente concederà a tutti quelli che si comunicheranno al primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della perseveranza finale: essi non morranno nella mia disgrazia né senza ricevere i Sacramenti, servendo loro il mio Cuore di asilo sicuro in quell’ora estrema».
CUORE INVIDIOSO
L’invidia è il verme roditore che non solo impedisce la misericordia verso chi ha commesso il male, ma vuole distruggere anche il bene che vede nei fratelli.
«Come l’acqua spegne il fuoco – diceva san Vincenzo de’ Paoli – così l’invidia spegne la carità». E san Basilio paragonava gli invidiosi agli avvoltoi che vanno a cercare e a trovare solo le carogne.
L’invidia fa rodere dentro. Suscita l’avversione del cuore. Alimenta sentimenti di disprezzo verso l’altro.
Vorrebbe veder l’altro umiliato e oltraggiato. Fa arrivare fino all’odio e al delitto. San Cipriano scriveva che l’invidia «è il seme di molte scelleratezze».
Si pensi a Caino, invidioso della rettitudine di Abele, fino al punto di assassinarlo. Si pensi a Giuseppe, venduto a ignoti mercanti dai suoi invidiosi fratelli. Si pensi al re Saul, che tentò di uccidere David, per l’invidia che provava a sentir cantare dalla gioventù ebrea: «Saul ne uccise mille – e David diecimila» (1Sam 18,7).
Si pensi agli scribi e ai farisei, che invidiavano Gesù per i suoi discorsi e miracoli, e cercavano malvagiamente di sopprimerlo, perché «se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui» (Gv 11,48).
Tra parenti e conoscenti, tra colleghi e compagni, tra amici ed estranei, quanto spesso il cuore dell’uomo è pieno di invidia per il bene degli altri. Il bene materiale, il bene spirituale, il bene morale: ogni bene può essere oggetto di invidia e nulla sfugge a questa serpe velenosa e strisciante.
Non per niente gli antichi dipingevano l’invidia sotto forma di una vecchia pallida che mangia carne di serpente e di vipera. Il cuore dell’invidioso è pieno di veleno, capace di rovinare ogni bene del fratello, senza riguardo né ritegno non solo per la misericordia, ma neppure per la giustizia e per l’onestà.
Diceva bene san Giovanni Crisostomo: «Solo l’invidia non offre alcun vantaggio, nemmeno apparente; in essa tutto è vergogna, dolore, perversità». E anzi, lo stesso san Giovanni Crisostomo arriva a dire che l’invidia è un peccato più che diabolico, perché i demoni invidiano l’uomo, ma non si invidiano tra loro.
Il Cuore di Gesù ci purifichi con le sue fiamme da questo terribile veleno, liberi il nostro cuore da questo perfido serpente dell’invidia, ci doni la sua dolce misericordia verso tutti.
Proposito: Fare un atto di carità o di cortesia a una persona che ci ha fatto del male.
FONTE: Cuore di Gesù, Cuore dell’uomo, P.Stefano M. Manelli, © 2010 Casa Mariana Editrice, 2010.”


13 giugno (http://www.preghiereperlafamiglia.it/_giugno/13-giugno.htm)
“LA CONSACRAZIONE DELLA FAMIGLIA
13° GIORNO
Pater noster.
Invocazione. - Cuore di Gesù, Vittima dei peccatori, abbiate pietà di noi!
Intenzione. - Riparare i peccati della propria famiglia.
LA CONSACRAZIONE DELLA FAMIGLIA
Fortunata quella famiglia di Betania, che aveva l'onore di ospitare Gesù! I suoi membri, Marta, Maria e Lazzaro, furono santificati dalla presenza, dai colloqui e dalle benedizioni del Figlio di Dio.
Se non può aversi la sorte di ospitare Gesù personalmente, almeno lo si faccia regnare nella famiglia, consacrandola solennemente al suo Divin Cuore.
Consacrandosi la famiglia, dovendosi esporre perennemente l'immagine del Sacro Cuore, si ottiene il compimento della promessa fatta a Santa Margherita: Benedirò i luoghi, dove sarà esposta ed onorata l'immagine del mio Cuore. –
La consacrazione della famiglia al Cuore di Gesù è tanto raccomandata dai Sommi Pontefici, per i frutti spirituali che apporta:
benedizione negli affari, conforto nelle pene della vita e misericordiosa assistenza in punto di morte.
La Consacrazione si fa così:
Si sceglie un giorno, possibilmente di festa, oppure il Primo Venerdì del mese. In detto giorno tutti i componenti della famiglia facciano la Santa Comunione; però, se qualche traviato non volesse comunicarsi, la Consacrazione potrebbe avere luogo ugualmente.
S'invitino i parenti ad assistere alla sacra funzione; è bene che s'inviti qualche Sacerdote, quantunque ciò non sia necessario.
I membri della famiglia, prostrati davanti ad un'immagine del Sacro Cuore, appositamente preparata ed ornata, pronunziano la formula della Consacrazione, la quale può trovarsi in certi libretti di devozione.
È lodevole chiudere la funzione con una piccola festicciola familiare, per ricordare meglio il giorno della Consacrazione.
Si consiglia che nelle feste principali, o almeno nel giorno anniversario, venga rinnovato l'atto di Consacrazione.
Ai novelli sposi si raccomanda vivamente di compiere la solenne Consacrazione nel giorno delle nozze, affinché Gesù benedica generosamente la nuova famiglia.
Al venerdì non, si lasci mancare davanti all'immagine del Sacro Cuore il lumicino o il mazzetto di fiori. Questo atto di ossequio è gradito a Gesù ed è buon richiamo ai familiari.
Nei bisogni particolari genitori e figli ricorrano al Sacro Cuore e preghino con fede davanti alla sua immagine.
La stanza, ove Gesù ha il suo posto d'onore, sia considerata come un piccolo Tempio.
È bene scrivere alla base dell'immagine del Sacro Cuore una giaculatoria, per ripeterla ogni qual volta si passi davanti ad essa.
Potrebbe essere: « Cuore di Gesù, benedici questa famiglia! »
La famiglia consacrata non dimentichi che la vita domestica dev'essere santificata da tutti i membri, prima dai genitori e poi dai figliuoli. Si osservino esattamente i Comandamenti di Dio, aborrendo dalla bestemmia e dal parlare scandaloso ed interessandosi della vera educazione religiosa dei piccoli.
Gioverebbe poco alla famiglia l'immagine esposta del Sacro Cuore, se in casa regnasse il peccato o l'indifferenza religiosa.
ESEMPIO
Un quadro
L'autore di questo libretto narra un fatto personale:
Nell'estate del 1936, trovandomi per alcuni giorni in famiglia, esortai un parente a compiere l'atto di Consacrazione.
Per la brevità del tempo, non si poté preparare un quadro conveniente del Sacro Cuore e, per compiere la funzione, si adoperò un bell'arazzo.
Gli interessati al mattino si accostarono alla Santa Comunione ed alle ore nove si raccolsero per l'atto solenne. Era presente anche la mia mamma.
In corta e stola lessi la formula della Consacrazione; alla fine, tenni un discorso religioso, spiegando il significato della funzione. Conclusi così: L'immagine del Sacro Cuore deve avere in questa stanza il posto d'onore. L'arazzo che avete collocato momentaneamente, dev'essere incorniciato ed attaccato alla parete centrale; in tal modo chi entra in questa stanza, subito posa lo sguardo sopra Gesù. –
Le figliuole della famiglia consacrata erano discordi sul posto da scegliere e quasi si bisticciavano. In quell'istante avvenne un fatto curioso. Sulle pareti stavano diversi quadri; sulla parete centrale campeggiava un quadro di Sant'Anna, che da anni non era stato rimosso. Sebbene questo fosse abbastanza in alto, ben assicurato al muro con grosso chiodo e laccio resistente, si sciolse da sè e spiccò un salto. Avrebbe dovuto frantumarsi a terra; invece andò a posarsi sopra un lettino, abbastanza distante dalla parete.
I presenti, compreso chi parla, ebbero un fremito e, considerando le circostanze, dissero: Questo fatto non pare naturale! - Realmente quello era il posto più adatto per intronizzare Gesù, e Gesù stesso se lo scelse.
La mamma mi disse in quell'occasione: Dunque Gesù ha assistito ed ha seguito la nostra funzione?
Sì, il Sacro Cuore, quando si fa una Consacrazione, è presente e benedice!
Fioretto. Mandare sovente il proprio Angelo Custode a rendere omaggio a Gesù Sacramentato.
Giaculatoria. Angioletto mio, vai da Maria E di' che saluti Gesù da parte mia!
(Tratto dal libretto "Il Sacro Cuore - Mese al Sacro Cuore di Gesù-" del Salesiano Don Giuseppe Tomaselli).”



http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm






Luca, Sursum Corda!

Holuxar
13-06-18, 20:43
13 GIUGNO 2018: SANT'ANTONIO DA PADOVA, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA (1195-1231), anniversario della seconda delle sei Apparizioni della Madonna alla Cova da Iria a Fatima; tredicesimo giorno del Mese dedicato al SACRO CUORE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO…



«Sant’Antonio di Padova, confessore e dottore, 13 giugno.»
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico (http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm)
http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm



Tradidi quod et accepi (http://tradidiaccepi.blogspot.it)
http://tradidiaccepi.blogspot.it
https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«FERIA QUARTA INFRA OCTAVAM SACRATISSIMI CORDIS DOMINI NOSTRI JESU CHRISTI
(Mercoledì infra l'Ottava del Sacratissimo Cuore del Signore Nostro Gesù Cristo)
Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/35284201_1401890446578940_321945156460740608_n.jpg ?_nc_cat=0&oh=34d47ffa484a6b29d86aa59f740d9e79&oe=5BC30AF1


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/35284201_1401890446578940_321945156460740608_n.jpg ?_nc_cat=0&oh=34d47ffa484a6b29d86aa59f740d9e79&oe=5BC30AF1


«FERIA QUARTA INFRA OCTAVAM SACRATISSIMI CORDIS DOMINI NOSTRI JESU CHRISTI
(Mercoledì infra l'Ottava del Sacratissimo Cuore del Signore Nostro Gesù Cristo)
Semidoppio.
Paramenti bianchi.
SANTA MESSA»
Guéranger, L'anno liturgico - La festa del Sacro Cuore di Gesù (http://www.unavoce-ve.it/pg-sacrocuore.htm)
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«SANT'ANTONIO DA PADOVA
Confessore e Dottore della Chiesa.»
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«SANT'ANTONIO DA PADOVA
Confessore e Dottore della Chiesa.
Doppio.
Paramenti bianchi.
Copatrono della Città di Napoli e del Regno di Napoli.
Nascita Lisbona, Portogallo, 15 agosto 1195
Morte Padova, Italia, 13 giugno 1231
Canonizzazione Spoleto, 30 maggio 1232, da papa Gregorio IX
Dichiarato Dottore della Chiesa nel 1946 da papa Pio XII
Santuario principale Basilica di Sant'Antonio, Padova
Attributi Libro, pesce, giglio candido, Bambin Gesù, pane, fiamma, cuore
Patrono di Brasile, Portogallo, poveri, oppressi, orfani, prigionieri, naufraghi, bambini malati, vetrai, reclute, donne incinte, affamati, viaggiatori, animali, oggetti smarriti, pescatori, cavalli, marinai, nativi americani, sterilità, fidanzati, matrimonio, vedi patronati
SANTA MESSA
Nato a Lisbona da genitori nobili, egli disprezzò tutte le ricchezze (Epistola). Ripieno dello Spirito Santo che trasformò gli Apostoli, entrò nella milizia religiosa per poter lottare per la causa della fede e per esser pronto allorché il Maestro venisse (Vangelo). Ritiratosi dapprima in Toscana, vi si dedicò alla contemplazione divina (Introito), poi ricevette la missione di predicar l'Evangelo. La sapienza della sua dottrina e la sua eloquenza lo fecero chiamare «Arca del Testamento» e «Martello degli eretici». Un anno prima della sua morte, venne a Padova dove, carico di meriti, morì all'età di trentacinque anni, nel 1231, e fu da Gesù preposto in cielo a tutti i suoi beni (Communio).
* Antonio, nato a Lisbona in Portogallo da genitori, che l'allevarono piamente, adolescente abbracciò la vita dei canonici regolari. Ma nel trasportarsi a Coimbra i corpi dei cinque beati Martiri dei frati Minori, che poco prima avevano sofferto per la fede di Cristo nel Marocco, acceso dal desiderio del martirio passò nell'ordine Francescano. Sotto l'impulso di questa fiamma si diresse subito nei paesi dei Saraceni; ma assalito da una malattia e costretto a rimpatriare su d'una nave che faceva rotta per la Spagna, la violenza dei venti lo spinse in Sicilia.
Dalla Sicilia andò al capitolo generale di Assisi; e poi si ritirò nell'eremo di monte s. Paolo nell'Emilia, dove attese per molto tempo alla divina contemplazione, al digiuno e alle veglie. Quindi elevato agli ordini sacri e mandato a predicare il Vangelo, colla sapienza e la facondia del dire riportò tali successi e suscitò tanta ammirazione di sé, che il sommo Pontefice, uditolo una volta predicare, lo appellò l'arca del Testamento. Innanzi tutto egli combatté l'eresie con estrema energia, onde fu detto il perpetuo martello degli eretici.
Primo del suo ordine, in grazia della sua singolare dottrina, insegnò le sacre lettere a Bologna e altrove, e diresse gli studi dei suoi confratelli. Dopo aver percorso molte Provincie, un anno prima di morire giunse a Padova, dove lasciò monumenti insigni di santità. Infine dopo aver sostenuto grandi fatiche per la gloria di Dio, glorioso di meriti e miracoli s'addormentò nel Signore il 13 Giugno dell'anno 1231. Il sommo Pontefice Gregorio IX l'iscrisse nel numero dei santi Confessori.
- Al Vangelo.
** Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Libro 1 sul Sermone del Signore sul monte, cap. 6, tom. 4.
Il Signore ci mostra doversi giudicare insensati coloro che, cercando l'abbondanza dei beni temporali o temendo d'esserne privati, perdono gli eterni, che gli uomini non possono né dare né togliere. «Ora se il sale diventa insipido, con che si salerà?» (Matth. 5,13). Cioè, se voi, che dovete certo modo condire i popoli, per timore delle persecuzioni temporali, perderete il regno dei cieli: quali saranno gli uomini che potranno ritrarvi dall'errore, dal momento che Dio ha scelto voi per togliere gli altri dall'errore?
Dunque il sale insipido non serve più «a nulla se non ad essere gettato via pestato dagli uomini» (Matth 5,13). Pertanto non è calpestato dagli uomini chi soffre persecuzione; ma chi istupidisce per timore della persecuzione. Poiché non può essere calpestato se non uno inferiore; ma non è inferiore chi, sebbene patisca molto sulla terra nel corpo, tuttavia col cuore abita in cielo.
«Voi siete la luce del mondo» (Matth. 5,14). Come più sopra ha detto «il sale della terra» (Matth 5, l13), così ora dice «la luce del mondo». Ora per questa terra, di cui si parla più sopra, non si deve intendere quella che calpestiamo coi nostri piedi corporei; bensì gli uomini che abitano sulla terra, o anche i peccatori, a rialzare i quali col condimento della sapienza e a distruggere le loro perverse inclinazioni, il Signore inviò nel mondo il sale apostolico. E qui mondo si deve intendere non il cielo e la terra, ma gli uomini che sono nel mondo o amano il mondo, e che gli Apostoli hanno la missione d'illuminare. «Non può rimaner nascosta una città situata su un monte» (Matth. 5,14): cioè, fondata sopra un'insigne e grande giustizia, significata anche nello stesso monte, su cui il Signore si trova a parlare.
** Omelia di sant'Ilario Vescovo.
Commentario su Matteo, cap. 5.
Voi siete il sale della terra. Se il sale diventa insipido, non è buono a nulla quello che si salerà. Ma io credo che non ci sia il sale della terra. In che modo quindi chiamò gli apostoli il sale della terra? Ma va cercata la proprietà delle cose dette, che sarà mostrata sia dal compito degli apostoli, sia dalla natura dello stesso sale. Il sale è in sé come una cosa sola e contiene l'elemento dell'acqua e quello del fuoco, e questo di due è una cosa sola.
Questo dunque reso efficace in ogni uso del genere umano, impartisce l'incorruttibilità ai corpi su cui sia stato cosparso, ed è dispensatore prontissimo ad ogni senso del sapore intrinseco. Ma gli apostoli sono i predicatori delle cose celesti, e come i seminatori dell'eternità, conferenti l'immortalità a tutti i corpi sui quali sia stato cosparso il loro annuncio. Meritatamente quindi sono chiamati sale della terra, perché conservano i corpi per l'eternità a maniera di una salatura per virtù della dottrina.
Ma la natura del sale è sempre la stessa, né si può mai mutare. È vero che l'uomo sarà sottoposto alla mutazione e solo è beato chi sarà rimasto fino alla fine in tutte le opere di Dio: pertanto li ammonisce, avendoli chiamati sale della terra, di persistere nella virtù della potenza a loro conferita, per evitare che diventati vani non salino più, ed essi, perso il senso del sapore ricevuto, non possano vivificare i corpi corrotti, e gettati dagli armai della Chiesa, con quelli che avrebbero salato, siano calpestati dai piedi dei passanti.
** Sermone di san Giovanni Crisostomo.
Omelia 15 su Matteo, dopo la metà.
Fate attenzione a ciò che disse, «Voi siete il sale della terra»: tramite ciò mostra quanto necessariamente insegni queste cose. Non infatti, disse, solo della vostra vita, ma di tutto il mondo dovrete render conto. Non vi mando certo solo a due città, o a dieci, o a venti, come mandavo i profeti: ma ad ogni terra e fino al mare, e a tutto il mondo, e questo è oppresso da vari crimini.
Dicendo infatti, «Voi siete il sale della terra», mostra che tutta la natura degli uomini è vanificata, e corrotta dalla violenza dei peccati: e quindi richiede da loro quelle virtù, che massimamente sono necessarie ed utili per procurare la salvezza di molti. Infatti chi è mansueto e modesto, e misericordioso e giusto, non rinchiude solo dentro di sé queste cose fatte bene, ma farà defluire queste eccellenti fonti anche all'utilità degli altri. Quindi chi è puro di cuore e pacifico, e sopporta la persecuzione per la verità, nondimeno stabilisce la vita per il bene comune.
Non pensate quindi, disse, che sarete condotti a facile battaglie, né che dovrete far conto di cose da poco. Voi siete il sale della terra. Cosa allora? Hanno medicato cose putrefatte? Per niente: né infatti è possibile che quelle cose che sono già corrotte siano riparate tramite la frizione del sale. Non fecero perciò questo, ma le cose prima rinnovate, ed a loro affidate, e già liberate da quella putrefazione, aspergevano di sale, e conservavano in quella novità, che avevano preso dal Signore. Certamente liberare dalla putredine del peccato, è proprio del potere di Cristo: ma ché non ritornino di nuovo a questi, è proprio della cura e del lavoro degli Apostoli.
https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/06/santantonio-di-padova-confessore-e.html?m=1
Nella Santa Messa di Sant'Antonio da Padova (link precedente), si fa Commemorazione del Sacratissimo Cuore del Signore Nostro Gesù Cristo con l'Oratio, Secreta e Postcommunio della Santa Messa della festa propria (vedasi link seguente).»
https://sardiniatridentina.blogspot.com/2017/06/festa-del-sacratissimo-cuore-di-gesu.html?m=1
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“Sancte Antoni Paduane, ora pro nobis.”
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Sant'Antonio di Padova - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santantonio-di-padova/)
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«13 giugno, Sant’Antonio di Padova, Confessore e Dottore della Chiesa (Lisbona, c. 1195 – Padova, 13 giugno 1231), il “martello degli eretici”.
“A Padova sant’Antonio Portoghese, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi”.
Indegno per le colpe commesse di comparire davanti a Dio Vengo ai tuoi piedi, amorosissimo Sant’Antonio, per implorare la tua intercessione nella necessità in cui verso. Siimi propizio del tuo possente patrocinio, liberami da ogni male, specie dal peccato, e impetrami la grazia di ……… Caro Santo, sono anch’io nel numero dei tribolati che Dio ha commesso alle tue cure, e alla tua provvidente bontà.Sono certo che anche io per mezzo tuo avrò quanto chiedo e così vedrò calmati i miei dolori, confortate le mie angustie, asciugate le mie lacrime, ritornato alla calma il mio povero cuore. Consolatore dei tribolati non negarmi il conforto della tua intercessione presso Dio. Così sia.»
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Sante Messe - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/sante-messe/)
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

Oratorio Sant'Ambrogio ? Milano ? Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11) (http://www.oratoriosantambrogiombc.it/)
http://www.oratoriosantambrogiombc.it/




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.»
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/
CATECHISMO- PIO X - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/catechismo--pio-x-1.php)
SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php)
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La riparazione al Sacro Cuore - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/la-riparazione-al-sacro-cuore/)
http://www.centrostudifederici.org/la-riparazione-al-sacro-cuore/
“Enciclica Miserentissimus Redemptor di Pio XI sull’atto di riparazione al Sacratissimo Cuore di Gesù.”
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https://www.facebook.com/pietroferrari1973/

“Pascendi Dominici Gregis.”
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“Non Una Cum - Roman catholics sedevacantists.”

Il Sedevacantismo (http://www.cmri.org/ital-sedevac.html)
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: Quidlibet : ? A Traditionalist Miscellany — By the Rev. Anthony Cekada (http://www.fathercekada.com/)
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Home | Traditional Latin Mass Resources (http://www.traditionalmass.org/)

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Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
13 juin : Saint Antoine de Padoue, Religieux de Saint-François (1195-1231) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/13-juin-saint-antoine-de-padoue)
“13 juin : Saint Antoine de Padoue, Religieux de Saint-François (1195-1231).”
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13 juin 1917 : deuxième apparition de Fatima :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/13-juin-1917-deuxieme-apparition-de-fatima)
“13 juin 1917 : deuxième apparition de Fatima.”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/3715/2856/5209/06_13_1917_deuxieme_apparition_Fatima.jpg


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“13 juin 1929: Notre Dame apparaît à sœur Lucie de Fatima à Tuy.”




https://www.agerecontra.it/2015/01/il-ruolo-meta-politico-di-christus-rex-e-la-protesta-militante-a-padova/
«(…) Matteo Castagna ha dichiarato: “Il calendario interreligioso è uno scandalo pubblico che va riparato con la preghiera ma anche con l’azione. Esso offende, col suo messaggio relativista, sia il Cattolicesimo come unica Via per la Salvezza, sia il Santo Patrono di Padova.(…)»
https://encrypted-tbn2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQtobdAg0MZfnzfGJtg6DXn6vWqPPqM4 6N6mfOwYgDFpTj6BFXE


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www.sursumcorda.cloud
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare sant’António Portoghése, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi. Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Confessore e Dottore della Chiesa, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, sant’António Portoghése possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.»

«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
13 giugno, Sant’Antonio di Padova, Confessore e Dottore della Chiesa (Lisbona, c. 1195 – Padova, 13 giugno 1231), il “martello degli eretici”.
“A Padova sant’Antonio Portoghese, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi”.
+ Indegno per le colpe commesse di comparire davanti a Dio Vengo ai tuoi piedi, amorosissimo Sant’Antonio, per implorare la tua intercessione nella necessità in cui verso. Siimi propizio del tuo possente patrocinio, liberami da ogni male, specie dal peccato, e impetrami la grazia di ……… Caro Santo, sono anch’io nel numero dei tribolati che Dio ha commesso alle tue cure, e alla tua provvidente bontà. Sono certo che anche io per mezzo tuo avrò quanto chiedo e così vedrò calmati i miei dolori, confortate le mie angustie, asciugate le mie lacrime, ritornato alla calma il mio povero cuore. Consolatore dei tribolati non negarmi il conforto della tua intercessione presso Dio. Così sia. +
Dalla bacheca di don Ugo Carandino.»
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“Sodalitium IMBC - Fervorino di don Piero Fraschetti a Loreto 2018”
https://m.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=HMLASbYvgK4
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"Si quæris miracula - Centro Studi Giuseppe Federici"
Si quæris miracula - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/)
http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/
«Si quæris miracula 13 giugno 2018
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Si quæris miracula
Responsorio in onore di Sant’Antonio di Padova
Si quæris miracula
mors, error, calamitas,
dæmon, lepra fugiunt,
ægri surgunt sani.
Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.
Pereunt pericula,
cessat et necessitas;
narrent hi, qui sentiunt,
dicant Paduani.
Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.
Glória Patri et Filio et Spíritui Sancto.
Sicut erat in princípio,
et nunc et semper
et in sæcula sæcolorum.
Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani. Amen.
Ora pro nobis, Beate Antoni, Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus.
Ecclesiam tuam, Deus, Beati Antonii Confessoris tui commemoratio votiva lætificet, ut spiritualibus semper muniatur auxiliis et gaudiis perfrui mereatur æternis. Per Christum Dominum nostrum.
O Lingua benedicta, quæ Dominum semper benedictisti et alios benedicere fecisti: nunc manifeste apparet quanti meriti extitisti apud Deum.

Se cerchi i miracoli,
la morte, l'errore, la calamità
e il demonio sono messi in fuga,
gli ammalati divenir sani.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
ritrovano le cose perdute
i giovani ed i vecchi.
S'allontanano i pericoli,
scompaiono le necessità;
lo attesti chi ha sperimentato
la protezione del Santo di Padova.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
ritrovano le cose perdute
i giovani ed i vecchi.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio,
ora e sempre,
nei secoli dei secoli.
Il mare si calma,
le catene si spezzano;
ritrovano le cose perdute
i giovani ed i vecchi. Così sia.
Prega per noi, o Beato Antonio, perché siam fatti degni delle promesse di Cristo.
Preghiamo.
O Dio, la votiva commemorazione del Beato Antonio, Confessore tuo, allieti la tua Chiesa affinchè resti sempre munita di aiuti spirituali e meriti di godere gli eterni gaudi del Cielo. Per Cristo, nostro Signore.
O Lingua benedetta, che benedicesti sempre il Signore e lo facesti benedire dagli altri, ora chiaro appare di quanto merito sei stata al cospetto di Dio.
Dal 1866, per volontà di Pio IX, si concede un'indulgenza di 100 giorni a tutti i fedeli che con cuore contrito recitano il presente Responsorio e l'annessa Orazione.»
Si quæris miracula - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/)




“Oh come tremano, afferma S. Bernardo, i demoni al sentire solamente proferire il nome di Maria: In nomine Mariae omne genu flectitur; et daemones non solum pertimescunt, sed, audita hac voce, contremiscunt (Serm. sup. Miss.). Conforme gli uomini, soggiunge Tommaso de Kempis, (Lib. 4, ad Nov.) cadono a terra per timore, allorché un tuono dal cielo cade lor vicino, così cadono abbattuti i demoni al sentir nominare Maria: Expavescunt caeli reginam spiritus maligni et diffugiunt, audito nomine eius, velut ab igne. Tamquam tonitruum de caelo factum sit, prosternuntur ad sanctae Mariae vocabulum. Ed oh quante belle vittorie di questi nemici han riportato i divoti di Maria col suo santissimo nome! Così li vinse S. Antonio di Padova, così il B. Enrico Susone, così tanti altri amanti di Maria. Si sa dalle relazioni delle missioni del Giappone che ivi ad un certo cristiano una volta comparvero molti demoni in forma di feroci animali a spaventarlo e minacciarlo; ma egli disse lor così: «Io non ho armi di cui possiate voi temere; se vel permette l'Altissimo, fate di me quel che vi piace. Del resto adopro in mia difesa i dolcissimi nomi di Gesù e di Maria.» Così disse appena, ed ecco che al suono de' tremendi nomi si aprì la terra, e precipitarono quei spiriti superbi. E S. Anselmo attesta per sua esperienza di aver veduto ed inteso molti che al nominare Maria subito sono stati liberati da' pericoli: Saepe vidimus et audivimus plurimos homines in suis periculis nominis recordari Mariae, et illico omnis periculi malum evasisse (S. Ans., de Exc. Virg., c. 6).
Da S. Alfonso Maria de Liguori
Glorie di Maria
Parte prima
CAPITOLO IV. - Ad te clamamus, exsules filii Hevae.
§ 2. - Quanto è potente Maria in difendere chi l'invoca nelle tentazioni del demonio.”


Cronologia di Fatima (http://www.unavox.it/103b.htm)
http://www.unavox.it/103b.htm
"CRONOLOGIA DI FATIMA."


La Seconda Apparizione a cova da Iria (http://www.reginamundi.info/madonna-di-fatima/seconda-apparizione-a-cova-da-Iria.asp)
"13 Giugno 1917 - La seconda delle sei apparizioni della Madonna alla Cova da Iria
Il 13 giugno 1917, verso le 11, Lucia, Francesco e Giacinta come voluto dalla Madonna, si trovano alla Cova da Iria. La voce si è sparsa e con loro adesso ci sono circa cinquanta persone. Recitano tutti assieme, il S. Rosario.
Dopo aver recitato il rosario con Giacinta e Francesco, e con le altre persone che erano presenti, scrive Lucia, vidi nuovamente il riflesso della luce che si avvicinava (e che noi chiamavamo lampo) e, poi, la Madonna sul leccio, esattamente come nel mese di maggio.
- Che cosa volete da me? Le chiesi.
- Voglio che veniate qui il 13 del mese prossimo, che recitiate il rosario tutti i giorni e che impariate a leggere. Dirò in seguito cosa voglio.
- Chiesi la guarigione di un malato.
- Se si convertirà (rispose la Madonna) guarirà nel corso dell’anno - I Cuori di Gesù e di Maria hanno su di voi dei progetti di misericordia.
- Vorrei chiedervi di condurci in cielo.
- Sì, Giacinta e Francesco ve li condurrò molto presto, ma tu, ma tu resterai qui ancora per qualche tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. A chi praticherà questa devozione io prometto la salvezza, queste anime saranno predilette da Dio, come fiori posti da Me per ornare il suo trono.
- Resterò qui tutta sola? domandai con tristezza.
- No, figlia mia! Questo ti fa soffrire molto? Non scoraggiarti! Non ti abbandonerò mai. Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà fino a Dio.
Nel momento in cui pronunciava queste ultime parole disgiunse le mani e ci comunicò, per la seconda volta, il riflesso di questa luce immensa.
In essa noi ci vedemmo come immersi in Dio. Giacinta e Francesco sembravano trovarsi in quella parte di luce che saliva verso il cielo ed io in quella che si diffondeva sulla terra.
Dinanzi al palmo della mano destra della Madonna cera un cuore circondato di spine che sembravano conficcarsi in esso. Abbiamo capito che si trattava del Cuore Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati della umanità, che chiedeva riparazione."




13° giorno: Cuore misericordioso - Cuore invidioso (http://www.stellamatutina.eu/13-giorno-cuore-misericordioso-cuore-invidioso/)
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“13° giorno: Cuore misericordioso – Cuore invidioso
CUORE MISERICORDIOSO
La parola “misericordioso” significa, letteralmente, «dare il cuore ai miseri» (miseris-cor-dare).
Quando Gesù ci dice di essere misericordiosi come il Padre dei cieli che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45), ci chiede appunto di essere buoni e comprensivi di cuore verso coloro che non meriterebbero.
Si sa che il mondo è teatro di tante cattiverie, ingiustizie, disonestà. La tentazione più immediata che tutti proviamo è quella di colpire i malfattori e i malviventi, trattandoli con la severità che meritano.
Ma se facciamo così, non potremo essere mai «figli dell’Altissimo che è benigno anche verso gli ingrati e i cattivi» (Lc 6,35).
Se il Cuore di Gesù avesse voluto trattarci come meritiamo, non si sarebbe mai sottoposto a una vita di stenti e di umiliazioni sulla terra; non avrebbe dovuto mai e poi mai bere il calice amaro della nostra Redenzione; tanto meno sarebbe potuto restare in mezzo a noi e per noi nel Sacramento dell’Eucaristia.
Il Cuore di Gesù, invece, non ha considerato affatto la nostra cattiveria, si è donato tutto, continua a donarsi e si donerà «fino alla fine dei secoli» (Mt 28,20).
Anzi, Egli arriva a lasciarsi prendere senza resistenze anche per farsi straziare dai sacrileghi, dai traditori, dai nemici dichiarati come i massoni che si procurano le Ostie consacrate per pugnalarle nelle loro infami logge.
Il Cuore di Gesù è la sorgente inesauribile della misericordia.
Persino sulla croce, Egli grida col Sangue e con la voce una preghiera di misericordia per i suoi carnefici: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Egli sa di quanta fragilità e miseria noi siamo impastati, quanto facilmente siamo vittime di noi stessi e delle nostre passioni, quanto bisogno abbiamo di essere saziati «non di solo pane» (Mt 4,4), ma di ciò che nutre per la vita eterna. Perciò il suo Cuore è sempre pronto a ripetere con ansia di misericordia ciò che disse prima della moltiplicazione dei pani: «Ho pietà di questo popolo» (Mt 15,32).
Perciò Egli ci ha rivelato il suo Cuore e ci ha donato la Grande Promessa, che è un tesoro di misericordia: «Io ti prometto – disse Gesù a santa Margherita – nell’eccesso della misericordia del mio Cuore, che il mio amore onnipotente concederà a tutti quelli che si comunicheranno al primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della perseveranza finale: essi non morranno nella mia disgrazia né senza ricevere i Sacramenti, servendo loro il mio Cuore di asilo sicuro in quell’ora estrema».
CUORE INVIDIOSO
L’invidia è il verme roditore che non solo impedisce la misericordia verso chi ha commesso il male, ma vuole distruggere anche il bene che vede nei fratelli.
«Come l’acqua spegne il fuoco – diceva san Vincenzo de’ Paoli – così l’invidia spegne la carità». E san Basilio paragonava gli invidiosi agli avvoltoi che vanno a cercare e a trovare solo le carogne.
L’invidia fa rodere dentro. Suscita l’avversione del cuore. Alimenta sentimenti di disprezzo verso l’altro.
Vorrebbe veder l’altro umiliato e oltraggiato. Fa arrivare fino all’odio e al delitto. San Cipriano scriveva che l’invidia «è il seme di molte scelleratezze».
Si pensi a Caino, invidioso della rettitudine di Abele, fino al punto di assassinarlo. Si pensi a Giuseppe, venduto a ignoti mercanti dai suoi invidiosi fratelli. Si pensi al re Saul, che tentò di uccidere David, per l’invidia che provava a sentir cantare dalla gioventù ebrea: «Saul ne uccise mille – e David diecimila» (1Sam 18,7).
Si pensi agli scribi e ai farisei, che invidiavano Gesù per i suoi discorsi e miracoli, e cercavano malvagiamente di sopprimerlo, perché «se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui» (Gv 11,48).
Tra parenti e conoscenti, tra colleghi e compagni, tra amici ed estranei, quanto spesso il cuore dell’uomo è pieno di invidia per il bene degli altri. Il bene materiale, il bene spirituale, il bene morale: ogni bene può essere oggetto di invidia e nulla sfugge a questa serpe velenosa e strisciante.
Non per niente gli antichi dipingevano l’invidia sotto forma di una vecchia pallida che mangia carne di serpente e di vipera. Il cuore dell’invidioso è pieno di veleno, capace di rovinare ogni bene del fratello, senza riguardo né ritegno non solo per la misericordia, ma neppure per la giustizia e per l’onestà.
Diceva bene san Giovanni Crisostomo: «Solo l’invidia non offre alcun vantaggio, nemmeno apparente; in essa tutto è vergogna, dolore, perversità». E anzi, lo stesso san Giovanni Crisostomo arriva a dire che l’invidia è un peccato più che diabolico, perché i demoni invidiano l’uomo, ma non si invidiano tra loro.
Il Cuore di Gesù ci purifichi con le sue fiamme da questo terribile veleno, liberi il nostro cuore da questo perfido serpente dell’invidia, ci doni la sua dolce misericordia verso tutti.
Proposito: Fare un atto di carità o di cortesia a una persona che ci ha fatto del male.
FONTE: Cuore di Gesù, Cuore dell’uomo, P.Stefano M. Manelli, © 2010 Casa Mariana Editrice, 2010.”


13 giugno (http://www.preghiereperlafamiglia.it/_giugno/13-giugno.htm)
http://www.preghiereperlafamiglia.it/_giugno/13-giugno.htm
“LA CONSACRAZIONE DELLA FAMIGLIA
13° GIORNO
Pater noster.
Invocazione. - Cuore di Gesù, Vittima dei peccatori, abbiate pietà di noi!
Intenzione. - Riparare i peccati della propria famiglia.
LA CONSACRAZIONE DELLA FAMIGLIA
Fortunata quella famiglia di Betania, che aveva l'onore di ospitare Gesù! I suoi membri, Marta, Maria e Lazzaro, furono santificati dalla presenza, dai colloqui e dalle benedizioni del Figlio di Dio.
Se non può aversi la sorte di ospitare Gesù personalmente, almeno lo si faccia regnare nella famiglia, consacrandola solennemente al suo Divin Cuore.
Consacrandosi la famiglia, dovendosi esporre perennemente l'immagine del Sacro Cuore, si ottiene il compimento della promessa fatta a Santa Margherita: Benedirò i luoghi, dove sarà esposta ed onorata l'immagine del mio Cuore. –
La consacrazione della famiglia al Cuore di Gesù è tanto raccomandata dai Sommi Pontefici, per i frutti spirituali che apporta:
benedizione negli affari, conforto nelle pene della vita e misericordiosa assistenza in punto di morte.
La Consacrazione si fa così:
Si sceglie un giorno, possibilmente di festa, oppure il Primo Venerdì del mese. In detto giorno tutti i componenti della famiglia facciano la Santa Comunione; però, se qualche traviato non volesse comunicarsi, la Consacrazione potrebbe avere luogo ugualmente.
S'invitino i parenti ad assistere alla sacra funzione; è bene che s'inviti qualche Sacerdote, quantunque ciò non sia necessario.
I membri della famiglia, prostrati davanti ad un'immagine del Sacro Cuore, appositamente preparata ed ornata, pronunziano la formula della Consacrazione, la quale può trovarsi in certi libretti di devozione.
È lodevole chiudere la funzione con una piccola festicciola familiare, per ricordare meglio il giorno della Consacrazione.
Si consiglia che nelle feste principali, o almeno nel giorno anniversario, venga rinnovato l'atto di Consacrazione.
Ai novelli sposi si raccomanda vivamente di compiere la solenne Consacrazione nel giorno delle nozze, affinché Gesù benedica generosamente la nuova famiglia.
Al venerdì non, si lasci mancare davanti all'immagine del Sacro Cuore il lumicino o il mazzetto di fiori. Questo atto di ossequio è gradito a Gesù ed è buon richiamo ai familiari.
Nei bisogni particolari genitori e figli ricorrano al Sacro Cuore e preghino con fede davanti alla sua immagine.
La stanza, ove Gesù ha il suo posto d'onore, sia considerata come un piccolo Tempio.
È bene scrivere alla base dell'immagine del Sacro Cuore una giaculatoria, per ripeterla ogni qual volta si passi davanti ad essa.
Potrebbe essere: « Cuore di Gesù, benedici questa famiglia! »
La famiglia consacrata non dimentichi che la vita domestica dev'essere santificata da tutti i membri, prima dai genitori e poi dai figliuoli. Si osservino esattamente i Comandamenti di Dio, aborrendo dalla bestemmia e dal parlare scandaloso ed interessandosi della vera educazione religiosa dei piccoli.
Gioverebbe poco alla famiglia l'immagine esposta del Sacro Cuore, se in casa regnasse il peccato o l'indifferenza religiosa.
ESEMPIO
Un quadro
L'autore di questo libretto narra un fatto personale:
Nell'estate del 1936, trovandomi per alcuni giorni in famiglia, esortai un parente a compiere l'atto di Consacrazione.
Per la brevità del tempo, non si poté preparare un quadro conveniente del Sacro Cuore e, per compiere la funzione, si adoperò un bell'arazzo.
Gli interessati al mattino si accostarono alla Santa Comunione ed alle ore nove si raccolsero per l'atto solenne. Era presente anche la mia mamma.
In corta e stola lessi la formula della Consacrazione; alla fine, tenni un discorso religioso, spiegando il significato della funzione. Conclusi così: L'immagine del Sacro Cuore deve avere in questa stanza il posto d'onore. L'arazzo che avete collocato momentaneamente, dev'essere incorniciato ed attaccato alla parete centrale; in tal modo chi entra in questa stanza, subito posa lo sguardo sopra Gesù. –
Le figliuole della famiglia consacrata erano discordi sul posto da scegliere e quasi si bisticciavano. In quell'istante avvenne un fatto curioso. Sulle pareti stavano diversi quadri; sulla parete centrale campeggiava un quadro di Sant'Anna, che da anni non era stato rimosso. Sebbene questo fosse abbastanza in alto, ben assicurato al muro con grosso chiodo e laccio resistente, si sciolse da sè e spiccò un salto. Avrebbe dovuto frantumarsi a terra; invece andò a posarsi sopra un lettino, abbastanza distante dalla parete.
I presenti, compreso chi parla, ebbero un fremito e, considerando le circostanze, dissero: Questo fatto non pare naturale! - Realmente quello era il posto più adatto per intronizzare Gesù, e Gesù stesso se lo scelse.
La mamma mi disse in quell'occasione: Dunque Gesù ha assistito ed ha seguito la nostra funzione?
Sì, il Sacro Cuore, quando si fa una Consacrazione, è presente e benedice!
Fioretto. Mandare sovente il proprio Angelo Custode a rendere omaggio a Gesù Sacramentato.
Giaculatoria. Angioletto mio, vai da Maria E di' che saluti Gesù da parte mia!
(Tratto dal libretto "Il Sacro Cuore - Mese al Sacro Cuore di Gesù-" del Salesiano Don Giuseppe Tomaselli).”




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“13 giugno 2018: infra l'Ottava del Sacro Cuore.”
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“13 giugno 2018: Sant'Antonio da Padova, confessore e dottore della Chiesa.
Il Santo, che ha vissuto in Italia solo alcuni anni della sua vita conclusasi a Padova, è di origine portoghese. Gli ha infatti dato i natali intorno al 1195 Lisbona, in Portogallo. Antonio era figlio di Martino, nobile che la tradizione vuole della famiglia dei Bulhoes y Taveira de Azevedo - da noi chiamati più semplicemente i Buglioni - che annoverava tra i suoi membri il prode Goffredo, condottiero della prima crociata.
Quindicenne, Fernando (con tale nome era stato battezzato) entrò fra i canonici regolari di sant'Agostino, a Lisbona prima e poi a Coimbra. Di intelligenza acuta e brillante, in pochi anni riuscì a immagazzinare tanta cultura teologica, scientifica e soprattutto biblica da meritarsi in seguito il titolo di "Arca del testamento". Gli studi non riuscirono però ad appagare le aspirazioni del suo animo generoso. Il giovane canonico trova la sua strada il giorno in cui a Lisbona approdarono le salme, di cinque frati francescani martirizzati nel Marocco. Decise allora di seguirne le orme entrando tra i francescani di Coimbra con il nome di frate Antonio.
Si era recato in Marocco per coronare la propria vita con il martirio, ma misteriose febbri lo obbligarono a tornare in patria. Durante il viaggio una tempesta lo fece naufragare sulle coste della Sicilia, presso Milazzo. Risalì quindi l'Italia, in compagnia di altri frati, diretti ad Assisi dove si svolgeva il Capitolo generale poi detto "delle stuoie". Era il 1221. Nella cittadina umbra Antonio conobbe Francesco, il quale qualche tempo più avanti, ammirato dalla sua profonda dottrina, lo chiamerà "mio vescovo".
Ad Assisi il frate portoghese venne destinato al convento-romitorio di Montepaolo, vicino a Forlì, dove rimase per qualche tempo alternando preghiere, lavoro e studio. Una predica improvvisata, in occasione di un'ordinazione sacerdotale (era venuto a mancare il predicatore ufficiale), impose all'attenzione di tutti la profonda cultura, la capacità oratoria, e la ricchezza interiore di frate Antonio. All'indomani, lasciato l'eremo di Montepaolo, il frate era già sulle strade polverose dell'Italia settentrionale e della Francia, missionario itinerante e predicatore, ad annunciare il messaggio evangelico e francescano, contro le labili costruzioni degli eretici che avevano infestato quelle regioni. Nella eretica Rimini, che rifiutava di ascoltare la Parola di Dio, egli andò a predicare ai pesci che lo accolsero sulla riva. In altre città eccolo sfidare gli eretici inducendo una mula, tenuta a digiuno per giorni, ad inginocchiarsi di fronte all'ostia consacrata, mentre alle sue froge giungeva invitante il profumo d'un bel mucchio di biada.
Tornato in Italia, si stabilì a Padova, dove proseguì la sua attività di Predicatore.
Celebre un suo quaresimale, tenuto a Padova alcuni mesi prima di morire, e un coraggioso quanto sfortunato incontro con il feroce tiranno Ezzelino da Romano, dal quale era andato a perorare la liberazione di alcuni prigionieri tenuti barbaramente segregati nelle celle del suo palazzo.
Negli ultimi tempi, spossato dalla fatica e dalla malattia (soffriva per le conseguenze delle febbri malariche) accettò l'invito di un amico, il conte Tiso di Camposampiero, a recarsi nel convento di quella cittadina, immerso nella quiete della campagna, per riposarsi. A Camposampiero, Antonio si era fatto costruire dall'amico conte tra i rami fronzuti di un noce una piccola cella, dove si ritirava a pregare. Ma quella solitudine fu infranta dagli ammiratori che, scoperto il nascondiglio segreto, si recavano in massa a chiedergli il conforto della parola.
Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: "Vedo il mio Signore". Era il 13 giugno. Aveva 36 anni.
Il Santo venne sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte, la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo santo. La Chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 di «dottore della chiesa universale».”
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“il 13 giugno 1799 il cardinale Ruffo, con l'armata della Santa Fede, entra in Napoli, liberandola dalla repubblica giacobina.”
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"CLERICUS ET MILES
S.E.R. Fabrizio Ruffo, Cardinale Diacono di Santa Romana Chiesa, Liberatore di Napoli dalla tirannide giacobina."
https://www.radiospada.org/2018/04/vita-est-militia-cardinale-fabrizio-ruffo/
https://www.radiospada.org/2018/04/vita-est-militia-cardinale-fabrizio-ruffo/
"[VITA EST MILITIA] Cardinale Fabrizio Ruffo
Cardinale Fabrizio Ruffo
Fabrizio Ruffo nacque nel 1744 nell’avito castello calabrese di San Lucido dalla famiglia dei Duchi di Baranello e Bagnara, ramo collaterale dei Principi Ruffo. Venne subito avviato alla carriera ecclesiastica ed affidato allo zio Cardinal Tommaso Ruffo, che l’affiancò al suo segretario Giovanni Braschi, il futuro Pio vi, di cui il Nostro divenne subito grande amico e che, salito al Soglio, lo fece Tesoriere generale della Camera Apostolica; costretto a deporlo dall’incarico per via delle lamentele dei feudatarj che videro messi in pericolo i loro privilegi dalla sua amministrazione, Papa Braschi gli assegnò in cambio la Porpora cardinalizia (1794). Trasferitosi a Napoli alla Corte di Ferdinando iv, all’arrivo dei francesi il Cardinal Ruffo seguì il suo Re nella fuga palermitana del 1798; ma, nominato da Ferdinando Luogotentente generale, l’anno successivo pianificò e guidò, anche grazie all’appoggio inglese, la spedizione che doveva portare l’Esercito della Santa Fede a riprendere il Mezzogiorno d’Italia e sciogliere l’abusiva Repubblica Partenopea: erano 25.000 uomini, dai militari borbonici ai popolani ai semplici briganti – tra cui il celebre Fra Diavolo – chi difensore della Fede, chi della Patria. Il 13 giugno il Cardinale riuscì a prendere Napoli e a restaurare la legittima Monarchia: ma le sue promesse d’amnistia non furono rispettate dal Re e da Horatio Nelson, che massacrarono i ribelli senza pietà ed iniziarono una lunga sequela d’esecuzioni. Profondamente amareggiato, decise, date le dimissioni da Vicario generale del Regno di Napoli, di ritornare a Roma, la cui Repubblica aveva contribuito a far cadere inviando un contingente del suo esercito. Schiacciato dal rigurgito rivoluzionario che seguì, tornò infine presso Re Ferdinando, che lo fece ambasciatore a Parigi; dopo essere stato mediatore tra il Corso ed il prigioniero Pio vii, continuò a servire il Papa e Re Ferdinando in varj incarichi istituzionali. Ritiratosi a Napoli, la morte lo colse assorto nei suoi studj nel 1827."
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“SANT'ANTONIO DI PADOVA.”
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SANCTE ANTONI ORA PRO NOBIS!!!
COR JESU ADVENIAT REGNUM TUUM - ADVENIAT PER MARIAM!!!
COR JESU SACRATISSIMUM, MISERERE NOBIS!!!
Sia lode, onore e gloria al Divin Cuore di Gesù!!!
Luca, Sursum Corda - Habemus Ad Dominum!!!

Holuxar
15-06-20, 00:08
13 GIUGNO 2020: SANT’ANTONIO DA PADOVA, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA (1195-1231), anniversario della seconda delle sei Apparizioni della Madonna alla Cova da Iria a Fatima; tredicesimo giorno del Mese dedicato al SACRO CUORE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO…
Auguri a tutti i Padovani (padovano d’adozione lo sono stato anch’io in passato, in quanto ho frequentato spesso e per diversi anni quella città, ho studiato e mi sono laureato all’università di Padova…) e a tutti coloro che si chiamano Antonio e festeggiano quindi il loro onomastico [vivi e defunti, come i compianti Mons. Antonio de Castro Mayer (Campinas, 29 novembre 1904 – Campos, 25 aprile 1991) ed il caro Antonio Diano (Venezia, 08/08/1955 – Mestre, 18/11/2019) che ci ha lasciati lo scorso anno, R.I.P.]…
Sancte Antoni Paduane, ora pro nobis!!!




«Sant’Antonio di Padova, confessore e dottore, 13 giugno»
http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm





https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«MARTIROLOGIO ROMANO, 1955. Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis»



https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/s960x960/103729142_2636419553126017_6740562772247622451_o.j pg?_nc_cat=104&_nc_sid=8024bb&_nc_ohc=yD60sT9nxBQAX9FDXox&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&_nc_tp=7&oh=c7c4fea3e831c0ea80211cb637097b15&oe=5F0C7318




https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/06/santantonio-di-padova-confessore-e.html?m=1
«SANT'ANTONIO DA PADOVA Confessore e Dottore della Chiesa
Sant’Antonio di Padova, Confessore e Dottore della Chiesa
Sant'Antonio, Portoghese, Sacerdote dell'Ordine dei Minori, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione. Si riposò nel Signore il 13 giugno 1231. Acclamato in vita Martello degli eretici e Arca del Testamento, il 30 maggio 1232 Gregorio IX lo annoverava tra i Santi. Il 16 gennaio 1946 Pio XII lo proclamava Dottore della Chiesa universale con il titolo di “Evangelico”.

INTROITUS
Eccli 15.5.- In médio Ecclésiæ apéruit os eius: et implévit eum Dóminus spíritu sapiéntiæ et intelléctus: stolam glóriæ índuit eum. ~~ Ps 91:2.- Bonum est confitéri Dómino: et psállere nómini tuo, Altíssime. ~~ Glória ~~ In médio Ecclésiæ apéruit os eius: et implévit eum Dóminus spíritu sapiéntiæ et intelléctus: stolam glóriæ índuit eum.

Eccli 15.5.- Dio gli aprì la bocca in mezzo all'assemblea, lo riempì dello spirito di sapienza e d'intelligenza; lo coprì col manto della gloria. ~~ Ps 91:2.- È bene cantare la gloria al Signore: e lodare, Altissimo, il tuo Nome. ~~ Gloria ~~ Dio gli aprì la bocca in mezzo all'assemblea, lo riempì dello spirito di sapienza e d'intelligenza; lo coprì col manto della gloria.

Gloria

ORATIO
Orémus.
Ecclésiam tuam, Deus, beáti Antónii Confessóris tui atque Doctoris sollémnitas votiva lætíficet: ut spirituálibus semper muniátur auxíliis et gáudiis pérfrui mereátur ætérnis. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
Rallegri la tua Chiesa, o Dio, la solennità ad onore del tuo beato confessore e dottore Antonio; affinché essa sia sempre munita di spirituali aiuti e meriti di godere dei gaudi eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

LECTIO
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Timotheum
2 Tim 4:1-8
Caríssime: Testíficor coram Deo, et Jesu Christo, qui judicatúrus est vi vos et mórtuos, per advéntum ipsíus et regnum ejus: praedica verbum, insta opportúne, importune: árgue, óbsecra, íncrepa in omni patiéntia, et doctrína. Erit enim tempus, cum sanam doctrínam non sustinébunt, sed ad sua desidéria, coacervábunt sibi magistros, pruriéntes áuribus, et a veritáte quidem audítum avértent, ad fábulas autem converténtur. Tu vero vígila, in ómnibus labóra, opus fac Evangelístæ, ministérium tuum ímpie. Sóbrius esto. Ego enim jam delíbor, et tempus resolutiónis meæ instat. Bonum certámen certávi, cursum consummávi, fidem servávi. In réliquo repósita est mihi coróna justítiæ, quam reddet mihi Dóminus in illa die, justus judex: non solum autem mihi, sed et iis, qui díligunt advéntum ejus.

Carissimo: Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo, che ha da venire a giudicare i vivi ed i morti, per la sua venuta e per il suo regno: predica la Parola, insisti a tempo opportuno e fuori tempo. Riprendi, esorta, sgrida con paziente insegnamento; perché verrà tempo in cui la gente non potrà sopportare la sana dottrina, ma, per assecondare la propria passione e per prurito di novità, si creerà una folla di maestri, e per non ascoltare la verità andrà dietro a favole. Ma tu veglia sopra tutte le cose, sopporta le afflizioni, compi l'ufficio di predicare il Vangelo, adempi il tuo ministero e sii temperante. In quanto a me il mio sangue sta per essere versato come una libazione e il tempo del mio scioglimento dal corpo è vicino. Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede. Non mi resta che ricevere la corona di giustizia, che mi darà in quel giorno il Signore, giusto giudice; e non solo a me, ma anche a quelli che desiderano la sua venuta.

GRADUALE
Ps 91:13; 9:14
Justus ut palma florébit: sicut cedrus Líbani multiplicábitur in domo Dómini.
Ps 9.3
Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctem.

Il giusto fiorirà come palma, crescerà come un cedro sul Libano. che è piantato nella casa del Signore.
V. Per celebrare la tua misericordia al mattino, e la tua fedeltà nella notte.

ALLELUIA
Allelúja, allelúja
Ps 45:9
Amávit eum Dóminus et ornávit eum: stolam glóriæ índuit eum. Allelúja.

Alleluia, alleluia
Il Signore lo ha amato e lo ha colmato d'onore: lo ha rivestito di una veste di gloria. Alleluia.

EVANGELIUM
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
Matt 5:13-19
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vos estis sal terræ. Quod si sal evanúerit, in quo saliétur? Ad níhilum valet ultra, nisi ut mittátur foras, et conculcétur ab homínibus. Vos estis lux mundi. Non potest cívitas abscóndi supra montem pósita. Neque accéndunt lucérnam, et ponunt eam sub módio, sed super candelábrum, ut lúceat ómnibus qui in domo sunt. Sic lúceat lux vestra coram homínibus, ut vídeant ópera vestra bona, et gloríficent Patrem vestrum, qui in coelis est. Nolíte putáre, quóniam veni sólvere legem aut prophétas: non veni sólvere, sed adimplére. Amen, quippe dico vobis, donec tránseat coelum et terra, jota unum aut unus apex non præteríbit a lege, donec ómnia fiant. Qui ergo solvent unum de mandátis istis mínimis, et docúerit sic hómines, mínimus vocábitur in regno coelórum: qui autem fécerit et docúerit, hic magnus vocábitur in regno coelórum.

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra. E se il sale perde la sua virtù, come lo si riattiverà? Non è più buono che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo. Non può rimanere nascosta una città posta sopra un monte. Né si accende la lucerna per riporla sotto il moggio, ma sul candeliere, perché faccia lume a quanti sono in casa. Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. Non crediate che io sia venuto ad abrogare la Legge o i Profeti, ma a completare. In verità vi dico che finché non passi il cielo e la terra non passerà un solo·iota o un apice solo della Legge, che tutto non sia compiuto. Chi pertanto violerà uno dei minimi di questi comandamenti e insegnerà così agli uomini, sarà tenuto minimo nel regno dei cieli; ma colui che avrà operato ed insegnato, sarà tenuto grande nel regno dei cieli».

OFFERTORIUM
Ps 88:25
Véritas mea et misericórdia mea cum ipso: et in nómine meo exaltábitur cornu ejus.

Con lui staranno la mia fedeltà e il mio amore, e s'innalzerà nel mio Nome la sua forza.

SECRETA
Præsens oblátio fiat, Dómine, pópulo tuo salutáris: pro quo dignátus es Patri tuo te vivéntem hóstiam immoláre: Qui cum eódem Deo Patre et Spíritu Sancto vivis et regnas Deus, per ómnia saecula sæculórum. Amen.

Questa oblazione, o Signore, sia a salvezza del tuo popolo; per il quale volesti offrirti al Padre tuo in Ostia viva: Tu che, Dio, col medesimo Dio Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, per tutti i secoli dei secoli. Amen

COMMUNIO
Matt 24:46-47
Beátus servus, quem, cum vénerit dóminus, invénerit yigilántem: amen, dico vobis, super ómnia bona sua constítuet eum.

Beato è quel servo se il padrone, quando ritorna, lo troverà al lavoro: in verità, vi dico, lo preporrà a tutti i suoi beni.

POSTCOMMUNIO
Orémus.
Divínis, Dómine, munéribus satiáti: quaesumus; ut, beáti Antónii Confessóris tui atque Doctoris méritis et intercessióne, salutáris sacrifícii sentiámus efféctum. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
Saziati di celesti doni, o Signore, per i meriti e l'intercessione del tuo beato confessore e dottore Antonio, possiamo sperimentare i desiderati frutti del sacrificio di salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen»




«I SERMONI DI SANT'ANTONIO DI PADOVA
I Sermones (Sermoni) sono la grande opera letteraria e teologica di sant’Antonio.
Possiamo definirli un trattato di dottrina sacra in forma di raccolta di sermoni, con cui il Santo si prefigge di esporre tutta la Scrittura nella sua scansione delle letture proposte dalla liturgia domenicale e festiva.
Sant’Antonio scrisse i Sermones con la finalità specifica di fornire ai suoi confratelli uno strumento di formazione per la vita cristiana. Gli argomenti trattati sono in generale quelli della fede e dei buoni costumi. Il Santo offre ai predicatori strumenti per la predicazione: come insegnare ai fedeli la dottrina del Vangelo, come valorizzare i Sacramenti, soprattutto la Confessione e l’Eucaristia.
La lingua dei Sermoni è il latino medioevale, cioè della bassa latinità, però non è un latino rozzo; anzi presenta una certa eleganza. Quello di sant'Antonio è un sermone molto erudito, che abbonda di citazioni dalle Sacre Scritture (sono oltre seimila), che fa spesso ricorso alla dottrina dei Padri e dei teologi, dei filosofi e dei poeti pagani; inoltre spesso vengono citati esperti in scienze naturali, in modo particolare Aristotele e Solino.
P.S. Nel sito c'è la possibilità di leggerli in latino e in italiano. Link: http://www.santantonio.org/it/sermoni »


https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/06/benedizione-dei-gigli-e-dei-pani-di.html?m=1
«Nella festa di sant’Antonio si usa benedire due sacramentali in particolare: il pane (sacramentale più noto) e i gigli, simboli della verginità intemerata del Santo Taumaturgo. La benedizione del pane è legata al miracolo della risurrezione del piccolo Tommasino. Lasciato incautamente dalla madre accanto a un recipiente pieno d’acqua, il bimbo annega. Quando la donna se ne accorge, la testa del figlio è ormai sul fondo del recipiente. Il piccino di soli 20 mesi viene tirato fuori dal mastello ormai rigido e morto. La mamma fa voto di distribuire ai poveri la quantità di grano corrispondente al peso del bimbo, se Antonio lo resuscita. Così avviene: il bambino torna in vita.
V. Adjutorium nostrum in nomine Domini.
R. Qui fecit cœlum et terram.
V. Dominus vobiscum.
R. Et cum spiritu tuo
Oremus
Domine Jesu Christe, panis Angelorum, panis vivus æternæ vitæ, bene✠dicere dignare panem istum, sicut benedixisti quinque panes in deserto: ut omnes ex eo gustantes, beato Antonio Confessore tuo atque Doctore intercedente, inde corporis et animæ percipiant sanitatem: Qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen
Preghiamo
Signore Gesù Cristo, pane degli Angeli, pane vivo della vita eterna, degnati benedire questo pane come benedicesti i cinque pani nel deserto: onde a quanti ne mangeranno, per intercessione del beato Antonio tuo Confessore e Dottore, tornino salutari per l’anima e il corpo. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen
Quindi il Sacerdote asperge i pani con l’acqua benedetta».
Tradidi quod et accepi (http://tradidiaccepi.blogspot.it)


“LA DOTTRINA CATTOLICA SULL'EUCARISTIA”
https://tradidiaccepi.blogspot.com/2017/06/ottava-del-corpus-domini_22.html?m=1
“LA REGALITÀ DI GESÙ EUCARISTICO”
https://tradidiaccepi.blogspot.com/2018/06/la-regalita-di-gesu-eucaristico.html?m=1







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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda»
https://www.sursumcorda.cloud/tags/sant-antonio-di-padova.html
«Preghiera a Sant'Antonio di Padova, Dottore (13.6)
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare sant’António Portoghése, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi. Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Confessore e Dottore della Chiesa, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, sant’António Portoghése possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia»





«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
http://www.domusmarcellefebvre.it/
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso».





Santo del giorno Archivi - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/category/santo-del-giorno/)
http://www.sodalitium.biz/category/santo-del-giorno/
«13 giugno, Sant'Antonio di Padova, Confessore e Dottore della Chiesa (Lisbona, c. 1195 - Padova, 13 giugno 1231), il "martello degli eretici".
"A Padova sant’Antonio Portoghese, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi".
Indegno per le colpe commesse di comparire davanti a Dio Vengo ai tuoi piedi, amorosissimo Sant’Antonio, per implorare la tua intercessione nella necessità in cui verso. Siimi propizio del tuo possente patrocinio, liberami da ogni male, specie dal peccato, e impetrami la grazia di ......... Caro Santo, sono anch’io nel numero dei tribolati che Dio ha commesso alle tue cure, e alla tua provvidente bontà.Sono certo che anche io per mezzo tuo avrò quanto chiedo e così vedrò calmati i miei dolori, confortate le mie angustie, asciugate le mie lacrime, ritornato alla calma il mio povero cuore. Consolatore dei tribolati non negarmi il conforto della tua intercessione presso Dio. Così sia».
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/antonio-padova-300x253.jpg




https://www.facebook.com/donugo.casasanpiox/
"Nel 1920 il papa Benedetto XV proclamava sant'Antonio patrono principale e protettore della Custodia di Terra Santa, dopo un breve iter fortemente voluto dal marchigiano padre Ferdinando Diotallevi ("Guardiano del Santo Monte Sion e del Santissimo Sepolcro di N. S. Gesù Cristo" dal 1918 al 1924).
Nel 1920 divenne Patriarca latino di Gerusalemme (sino al 1947, anno della morte) il torinese mons. Luigi Barlassina. Diotallevi e Barlassina erano entrambi forti di carattere e non mancarono le frizioni nel delicato rapporto tra il Patriarcato (ripristinato nel 1847) e la Custodia (per tanti secoli l'unica rappresentante della Chiesa in Terra Santa). Entrambi però erano uniti da una forte preoccupazione per il progetto sionista (che fu devastante per la presenza cattolica in Palestina) e dall'aspro rapporto coi greci scismatici (che, tra tante nefandezze, ostacolarono in tutti i modi la riedificazione dell'attuale basilica del Getsemani).
Preghiamo sant'Antonio da Padova per la Terra Santa e in particolare per le famiglie dei palestinesi cattolici, la cui presenza in T. S. è diminuita drasticamente a partire dal 1948.
La foto si riferisce a un'antica statua del convento San Salvatore di Gerusalemme, recentemente restaurata, ed è stata pubblicata da Terra Sancta Museum www.facebook.com/TerraSanctaMuseum "



Sant?Antonio da 100 anni patrono della Custodia di Terra Santa - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/santantonio-100-anni-patrono-della-custodia-terra-santa/)
http://www.centrostudifederici.org/santantonio-100-anni-patrono-della-custodia-terra-santa/
«Sant’Antonio da 100 anni patrono della Custodia di Terra Santa 13 giugno 2020
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 59/20 del 13 giugno 2020, Sant’Antonio da Padova
Sant’Antonio da 100 anni patrono della Custodia di Terra Santa
Cento anni fa, il 28 luglio 1920, Benedetto XV proclamò sant’Antonio “patrono particolare e protettore della Custodia di Terra Santa”. L’archivio storico custodiale permette di ricostruire le tappe che tra il 1914 e il 1917 determinarono questa proclamazione.
Quando comincia la Prima Guerra mondiale e si assiste allo scontro tra la Germania alleata con la Turchia contro la Francia, l’Inghilterra, la Russia e Polonia, la Custodia di Terra Santa conta al suo interno frati di tutte queste nazionalità. Nel 1914, la prima mossa dei tedeschi e degli alleati turchi (ricordiamo che Gerusalemme si trovava all’epoca ancora sotto l’Impero Ottomano) è quella di espellere i frati delle nazioni nemiche. I primi a partire sono francesi, poi gli inglesi e polacchi. Si svuotano in parte i conventi. Quando, a guerra inoltrata, si paventa anche la partenza degli italiani, i frati si affidano alla Provvidenza per evitare la chiusura dei santuari. Celebrano un triduo, ma non si sa a chi è dedicato (forse a sant’Antonio).
Nel 1915 un altro fattore va ad alimentare una situazione più che mai disagiata: alla guerra, alla miseria e alle deportazioni si aggiunge un’invasione di locuste che colpisce il Medio Oriente. Il governo impone a ogni cittadino di catturare giornalmente una quantità di locuste per non essere sanzionati. I frati si appoggiano alla popolazione locale che, in cambio di un aiuto economico, raccoglie per loro il numero sufficiente di insetti da presentare agli ufficiali turchi.
A buttare nuova benzina sul fuoco ci pensano gli inglesi con la dichiarazione Balfour nel 1917: la celebre dichiarazione promette la creazione in Terra Santa di un focolare nazionale per gli ebrei. Già la situazione era tesa con l’arrivo di immigrati ebrei dalla fine del XIX secolo, ma con il documento ufficiale le cose si complicano ulteriormente. All’arrivo del generale Allenby e l’inizio del Mandato Britannico le tensioni tra arabi ed ebrei si intensificano ancora di più.
La Custodia è senza guida a gestire questa situazione complessa perché il Custode Padre Serafino Cimino nel frattempo fu eletto Generale dell’Ordine. Facendo le veci del Custode, Padre Eutimio Castellani essendo Presidente Custodiale (sostituto del Padre Custode sotto la sua assenza) si assume la responsabilità di guidare i francescani. A lui si deve la proclamazione del triduo in onore di Sant’Antonio, nella primavera e nell’ottobre del 1917, quando la minaccia della partenza dei frati francescani di origine italiana si fa nuovamente reale. A novembre quando i frati sono già pronti con i bagagli per partire, arriva il governatore della città turco insieme al kawas a dare una buona notizia: i frati possono rimanere, Sant’Antonio ha ascolto nuovamente le preghiere e nessun frate deve essere mandato via. Ciò non accade per le altre comunità cristiane che perdono i loro rappresentanti: i patriarchi latino, greco scismatico (“ortodosso” nel testo, ndr) e armeno vengo deportati. Inoltre Il governatore turco, vedendo le vesti dei frati, chiede di avere del materiale della stessa stoffa. E nei giorni seguenti il governatore si aggirava per Gerusalemme con un completo marrone cucito con la stoffa francescana.
A guerra finita, nel Convento di San Salvatore, di fronte alla statua all’altare del santo, il 13 giugno 1920 vengono pronunciate le parole di ringraziamento in una celebrazione solenne e Sant’Antonio viene scelto ufficialmente come Santo Patrono».
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Si quæris miracula - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/si-quaeris-miracula/)
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«13 giugno 2020: infra l'Ottava del Corpus Domini»
«13 giugno 2020: Sant'Antonio da Padova, confessore e dottore della Chiesa»
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https://www.radiospada.org/2020/06/si-quaeris-miracula-il-prodigioso-responsori-a-santantonio-di-padova/
«“Si quæris miracula”. Il prodigioso responsorio a Sant’Antonio di Padova.
Attribuito dalla tradizione francescana a san Bonaventura, il responsorio “Si quæris miracula” è una delle più sentite, nonché prodigiose, devozioni a sant’Antonio.
Pio IX con Decreto della S.C. delle Indulgenze del 25 Gennaio 1866 concesse a tutti i fedeli, che con cuore almeno contrito e divotamente recitino questo Responsorio col Versetto ed Orazione annessa, un’ indulgenza di 100 giorni ogni volta, e un’indulgenza plenaria una volta al mese, in un giorno ad arbitrio, a tutti coloro i quali lo recitino come sopra in ciascun giorno per lo spazio di un mese, purché veramente pentiti confessati e comunicati, visitino una chiesa o pubblico oratorio ed ivi preghino per qualche spazio di tempo secondo le intenzioni del Sommo Pontefice»
https://www.radiospada.org/2018/03/cosa-si-intende-per-intenzioni-del-sommo-pontefice/
«13 giugno 1799, festa di sant'Antonio da Padova, l'Armata Cristiana e Reale della Santa Fede, comandata dall'Eminentissimo Cardinale Ruffo, entrava a Napoli e la liberava dalla tirannide giacobina»
https://www.radiospada.org/2018/04/vita-est-militia-cardinale-fabrizio-ruffo/





https://www.preghiereperlafamiglia.it/_giugno/13-giugno.htm



https://www.stellamatutina.eu/13-giorno-cuore-misericordioso-cuore-invidioso/
“13° giorno: Cuore misericordioso – Cuore invidioso
CUORE MISERICORDIOSO
La parola “misericordioso” significa, letteralmente, «dare il cuore ai miseri» (miseris-cor-dare)”.



"CRONOLOGIA DI FATIMA"
Cronologia di Fatima (http://www.unavox.it/103b.htm)
http://www.unavox.it/103b.htm


“La Seconda Apparizione a cova da Iria
La Seconda Apparizione a cova da Iria (http://www.reginamundi.info/madonna-di-fatima/seconda-apparizione-a-cova-da-Iria.asp)
"13 Giugno 1917 - La seconda delle sei apparizioni della Madonna alla Cova da Iria
Il 13 giugno 1917, verso le 11, Lucia, Francesco e Giacinta come voluto dalla Madonna, si trovano alla Cova da Iria. La voce si è sparsa e con loro adesso ci sono circa cinquanta persone. Recitano tutti assieme, il S. Rosario".





“13 giugno - S. Antonio da Padova, Dottore della Chiesa”
https://forum.termometropolitico.it/299522-13-giugno-s-antonio-da-padova-dottore-della-chiesa-3.html
https://forum.termometropolitico.it/221348-sant-antonio-di-padova.html
https://forum.termometropolitico.it/221348-sant-antonio-di-padova-2.html




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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum]»
“Mieux vaut une petite œuvre dans la Vérité, qu’une grande dans l’erreur”

“Nous passons du mois de Marie (mai) au moi du Sacré-Cœur (juin)”
“Mois de juin : mois dédié au Sacré-Coeur de NSJC. Litanies”
“Apostolat de la prière: juin 2020.
En réparation pour les lois iniques et les péchés publics contre le Règne Social du Sacré Cœur de Jésus”


“13 juin 1917 : deuxième apparition de Fatima”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/3715/2856/5209/06_13_1917_deuxieme_apparition_Fatima.jpg

“13 juin : Saint Antoine de Padoue, Religieux de Saint-François (1195-1231)”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/7415/2856/4980/06_13_saint_antoine_de_padoue.jpg





SANCTE ANTONI ORA PRO NOBIS!!!
COR JESU ADVENIAT REGNUM TUUM - ADVENIAT PER MARIAM!!!
COR JESU SACRATISSIMUM, MISERERE NOBIS!!!
Sia lode, onore e gloria al Divin Cuore di Gesù!!!
Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen.
«O Santissima Trinità, vi adoro! Mio Dio, mio Dio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!»
Cuore Eucaristico di Gesù, accrescete in noi la fede, la speranza, la carità.
CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS REGNAT, CHRISTUS IMPERAT!!!
Luca, SURSUM CORDA – HABEMUS AD DOMINUM!!!