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Felix (POL)
11-10-02, 04:10
"I CRIMINI DEL COMUNISMO"

IL PARADIGMA DEL TERRORE DI MASSA: L'URSS DI LENIN E STALIN
Prima parte

L'Ottobre.
Nella città di Pietrogrado, un movimento genuinamente popolare, indipendente dagli stessi partiti di opposizione, porta alla fine dello zarismo nel marzo 1917. Ma la classe dirigente liberale e socialista che gestisce la fase di transizione in attesa della convocazione di un'assemblea costituente è debole e divisa. Al fronte la disciplina crolla e le truppe smobilitano spontaneamente. I contadini iniziano in modo autonomo la spartizione delle grandi proprietà fondiarie. Le minoranze nazionali si scuotono di dosso il giogo russo: nel 1918 si contano negli ex territori zaristi 33 governi autoproclamati. A Pietrogrado, in novembre (ottobre, secondo il vecchio calendario russo) il piccolo partito bolscevico, capeggiato da Vladimir Lenin, approfitta della situazione caotica per impadronirsi del potere, senza alcun concorso di massa, con un colpo di mano militare diretto essenzialmente a spodestare le altre fazioni socialiste.
I bolscevichi proclamano la volontà di creare uno stato nuovo, espressione del proletariato e capace di realizzare una democrazia non più solo formale, basata su consigli popolari (soviet) nei quali la cittadinanza stessa, ai diversi livelli della società (fabbrica, villaggio, città, provincia, etc.), si autogoverni attraverso funzionari puramente esecutivi e revocabili. Nella realtà essi creano sì rapidamente un nuovo modello di stato (destinato poi ad essere imitato da vari altri regimi anche di diversa ideologia), ma questo non è la democrazia dei soviet, bensì lo stato totalitario monopartitico, un modello di stato in cui tutto il potere politico, insieme alla regolamentazione di tutte le associazioni civili, della famiglia, delle istituzioni religiose, dell'intera vita economica, viene gestito con mezzi coercitivi da un partito unico (il bolscevico, poi comunista), basato su un'ideologia accreditata del monopolio della verità (il marxismo) e retto al suo interno da una disciplina di tipo militare. I soviet sopravviveranno solo come facciata del potere reale: funzioneranno solo come centri di trasmissione di decisioni prese, senza alcun controllo democratico, dai dirigenti del partito unico.

I primi passi dello stato totalitario.
All'indomani della presa del potere, il decreto del 27 ottobre 1917 (secondo il vecchio calendario) stabilisce la lotta alla stampa controrivoluzionaria: tramite esso, entro l'agosto 1918, viene eliminata tutta la stampa sgradita ai comunisti. Qualche giorno dopo, un decreto costituzionale attribuisce il potere legislativo al governo stesso, lasciando solo un formale potere di veto al Congresso dei soviet (da cui, tra giugno e luglio 1918, verranno esclusi tutti i non comunisti, e che si riunisce peraltro sempre meno frequentemente). Il governo legifera per decreti, alcuni dei quali, anche molto importanti (come l'istituzione della Cheka) non saranno resi pubblici. Già nel novembre 1917 vengono messi fuori legge i liberali.
Sia pure con una campagna elettorale limitata alle sole forze di sinistra, a novembre e dicembre si vota per l'Assemblea costituente. Quando questa si riunisce, il 18 gennaio 1918, tuttavia, i comunisti risultano avere solo un quarto dei seggi, mentre il Partito socialista rivoluzionario ne controlla il 60%. Il governo comunista allora scioglie d'autorità l'Assemblea costituente (19 gennaio 1918).
Nella primavera, uno dopo l'altro, vengono messi fuorilegge tutti gli altri partiti della sinistra. Il 10 luglio 1918 viene varata la prima costituzione sovietica, che riconosce formalmente ogni potere politico ai soviet, abolendo peraltro il voto segreto e privando dei diritti la nobiltà, la borghesia e il clero. Il controllo della stampa è ferreo: la costituzione proibisce l'apologia del capitalismo; il 26 novembre 1918 le opere intellettuali sono dichiarate proprietà dello stato; il 27 maggio 1919 viene introdotto il monopolio statale della carta; nel 1921 lo stato monopolizza la vendita degli stampati. In accordo con l'ideologia marxista, i comunisti si impegnano anche nel tentativo di sradicare la religione. Il decreto del 2 febbraio 1918 stabilisce che i cittadini sono liberi di professare qualsiasi o nessuna religione, ma anche che la Chiesa non può avere proprietà e non può ricevere donazioni. La costituzione del 1918 toglie poi al clero il diritto di voto, mentre decreti supplementari puniscono con i lavori forzati l'insegnamento religioso ai minori. Secondo dati del governo, 687 persone muoiono difendendo le proprietà della Chiesa o in processioni religiose nel febbraio-marzo 1918. Il 1 marzo 1919 il governo comunista lancia una campagna antireligiosa: a scopo pedagogico, vengono sistematicamente profanate le reliquie dei santi, da sempre centro della devozione popolare. Parallelamente, sotto la direzione di Josef Stalin e del suo collaboratore ebreo Samuel Agurskij, tra il dicembre 1918 e l'agosto 1919, il Commissariato centrale per gli affari nazionali ebraici liquida le istituzioni religiose, culturali ed educative ebraiche.

La resistenza al potere bolscevico.
Dal giorno della presa del potere, e fino allo scioglimento dell'Assemblea costituente, per protesta contro il regime illegalmente instauratosi, entrano in sciopero gli impiegati pubblici, bloccando l'intera amministrazione. Quasi tutta l'intellighenzia è ostile al regime. Anche il controllo operaio sulle fabbriche, annunciato da Lenin alla presa del potere, si risolve in un fallimento: gran parte dei macchinari viene venduta; metà degli operai abbandona Pietrogrado nei primi mesi 1918. E, di fronte al travolgente fenomeno dell'indipendentismo, il nuovo governo controlla quasi solo Pietrogrado, Mosca e le regioni della Russia centrale. Ma la resistenza più forte viene dai partiti, che protestano duramente per lo scioglimento dell'Assemblea costituente. Nella primavera 1918, le elezioni dei soviet locali sono vinte quasi ovunque da menscevichi e socialisti rivoluzionari. In molte parti del paese questi partiti danno vita a una resistenza armata ai comunisti. Ad essi si aggiungono anche formazioni organizzate dagli ufficiali del vecchio esercito, disposte a collaborare con la sinistra su un programma di ripresa della guerra contro la Germania e di restaurazione della democrazia (pochissimi sognano il ritorno allo zarismo). Inoltre, dopo la pace separata con la Germania siglata nel marzo 1918, anche il Partito socialista rivoluzionario di sinistra, ultimo alleato dei comunisti, passa all'opposizione, giungendo anche a praticare il terrorismo contro il nuovo governo. L'Armata rossa (creata dai comunisti, e in particolare da Trotskij) combatterà per due anni contro tutti questi gruppi (detti bianchi), nonchè contro una molteplicità di altre forze armate create dagli indipendentisti, dai contadini ribelli e dagli anarchici, e, per alcuni mesi, contro le limitate forze dei paesi occidentali, intervenute, sia pure in modo assai riluttante, per riattivare il fronte orientale.

La fuga in avanti comunista.
E' in questo drammatico contesto che Lenin decide non di rettificare la precedente politica, bensì di accelerare la costruzione della società comunista. Il governo ha fino dai primi giorni deciso la requisizione delle grandi abitazioni (6 dicembre 1917), la nazionalizzazione di circa 500 grandi imprese (15 dicembre) e di tutte le banche (27 dicembre). Ha anche già iniziato una campagna di violenze di massa contro i borghesi. Nel giugno 1918 decide la nazionalizzazione di tutta l'industria, il razionamento delle derrate alimentari, la requisizione delle eccedenze cerealicole dei contadini. Il paese dovrà passare alla gestione di tutta l'economia da parte dello stato: la produzione sarà pianificata, e, teorizzano alcuni, anche la distribuzione dovrà essere amministrata dallo stato, con conseguente fine dello scambio e abolizione della moneta.
Dalla roccaforte delle grandi città si decide di estendere la rivoluzione comunista alle campagne, portando la guerra civile nei villaggi. Si immagina di potere scatenare una lotta dei contadini poveri contro i ricchi (kulaki). L'attacco è condotto dall'estate 1918 formando Comitati dei Poveri, all'interno dei villaggi, e inviando Distaccamenti alimentari costituiti da militanti comunisti delle città, dall'esterno. Ma manca una vera borghesia agraria e i villaggi restano sostanzialmente compatti nel respingere l'aggressione da parte dei "cittadini". Le squadre comuniste finiscono per identificare i kulaki in base al mero criterio politico dell'opposizione al bolscevismo. Poiché i contadini resistono armi in pugno, il governo comincia a impiegare contro di essi anche l'Armata rossa.
Inoltre, nelle retrovie, la prestazione lavorativa viene spesso ottenuta con metodi coercitivi, approfittando dell'obbligo del lavoro introdotto dalla Dichiarazione dei diritti delle masse lavoratrici e sfruttate. Il decreto "La patria socialista in pericolo" (21-22 febbraio 1918) stabilisce la creazione di battaglioni di lavoro forzato reclutati nella borghesia per scavare trincee (il principio del lavoro obbligatorio usato spesso per umiliare i borghesi). Nel gennaio 1918 il controllo operaio passa dai comitati di fabbrica ai sindacati. Nella primavera 1918 termina ogni sindacalismo indipendente. Non c'è formale abolizione del diritto di sciopero, ma la progressiva nazionalizzazione rende lo sciopero illegale. Di fatto, contro gli scioperi, considerati in se stessi controrivoluzionari, il governo ricorre alle esecuzioni in massa e alla requisizione delle tessere annonarie. Per influenza di Trotskij nel 1918-20 vengono progressivamente estesi i settori economici "mobilitati per servizio militare": ferrovie, miniere, combustibili, comunicazioni, medicina, metallurgia. I loro dipendenti sono dunque soggetti alle corti marziali. Le unità militari non necessarie al fronte non vengono smobilitate, ma impiegate nelle Armate del Lavoro.

L'istituzionalizzazione del terrore.
La rivoluzione comunista implica un'estensione progressiva dei metodi coercitivi e della violenza. Il vecchio esercito viene disgregato: il linciaggio degli ufficiali, istigato dagli agitatori comunisti, diviene un vero massacro nella Flotta del Mar Nero. Il 16 luglio 1918 viene massacrata l'intera famiglia imperiale, agli arresti dall'Ottobre. La decisione è presa da Lenin per rompere in maniera anche simbolica la continuità della tradizione russa.
Dalla ascesa al potere i comunisti dissolvono il preesistente sistema giudiziario e perseguono la creazione di una "giustizia rivoluzionaria". Il decreto 22 novembre 1917 abolisce tutte le corti esistenti, tranne quelle locali che trattano casi minori, e tutte le professioni legali. Istituisce i Tribunali Rivoluzionari, competenti per i reati controrivoluzionari e affidati quasi tutti a bolscevichi privi di qualifica specifica e guidati dalla sola "coscienza rivoluzionaria". Nel marzo 1918 anche le corti locali vengono rimpiazzate dalle Corti del Popolo, che trattano i reati non politici. Accantonate tutte le leggi anteriori all'ottobre 1917, le nuove corti devono farsi guidare dal "senso di giustizia socialista".
D'altra parte, fino dai primi giorni del potere bolscevico, per fare fronte allo sciopero degli impiegati, è stata creata la Cheka (Commissione straordinaria per la lotta alla controrivoluzione), una polizia politica di partito guidata da Feliks Dzerzhynskij, nobile polacco e vecchio bolscevico. Estendendo progressivamente organici e competenze, sotto diverse denominazioni successive (Cheka, Gpu, Ogpu, Nkvd, Kgb), sarà il pilastro dell'apparato repressivo comunista. Il decreto "La patria socialista in pericolo" del 21-22 febbraio 1918 concede alla Cheka il potere di passare per le armi sul posto speculatori, sabotatori e controrivoluzionari, senza attendere autorizzazione dai tribunali, della cui relativamente mite condotta Lenin è poco soddisfatto. Alla fine del 1918, in connessione con la militarizzazione del lavoro, la Cheka assume la responsabilità del controllo di tutti i trasporti. Nell'ottobre 1921 verrà attribuita alla Cheka competenza della censura preventiva per (indefiniti) motivi militari (la censura preventiva era stata abolita nel 1864). I suoi funzionari sono sempre più numerosi: a metà 1920 saranno 250 mila. Nel reclutamento sono preferiti i non russi, anche allo scopo di evitare legami con le vittime della repressione.
La svolta decisiva è nell'estate 1918. In risposta al terrorismo praticato dai socialisti rivoluzionari di sinistra, nel luglio 1918 vengono fucilati centinaia di esponenti di quel partito. Poi, dopo che ad agosto Lenin stesso è scampato a un attentato, il decreto del 5 settembre 1918 ufficializza il "terrore rosso". Nel solo autunno 1918 la Cheka effettua 10-20 mila esecuzioni. Il decreto comanda anche la creazione di campi di concentramento per i "nemici di classe" (ma i primi campi di concentramento erano stati creati da Trotskij già nell'agosto). Col decreto del 30 settembre 1918, inoltre, per fare fronte alla disperata mancanza di comandanti competenti, Trotskij ordina di prendere in ostaggio, e detenere nei campi, le famiglie degli ufficiali ex zaristi, allo scopo di costringere questi ultimi a servire nell'Armata rossa.
La guerra civile tra i rossi, i bianchi, le altre formazioni spontanee dei contadini ribelli, e infine l'esercito polacco, che nel 1920 invade la Russia e respinge poi l'Armata rossa dalla Polonia, è condotta da tutte le forze in campo con metodi spietati. Difficile una quantificazione precisa delle vittime. Da dati degli archivi sovietici, risulta che l'Armata rossa ha 700 mila morti nella lotta contro i bianchi e altri 250 mila nella lotta contro i contadini. Un milione di morti dichiarano bianchi e polacchi. Ma molti più sono i morti tra i civili. Lo storico Richard Pipes stima che i civili siano il 91% dei morti durante la guerra. La direttiva segreta del governo bolscevico all'Armata rossa del marzo 1919, in risposta a una resistenza contadina particolarmente accanita, decreta lo sterminio della dirigenza dei cosacchi e la fine di essi come popolo autonomo: ci saranno 300-500 mila uccisi o deportati destinati in gran parte alla morte, su 3 mil. di persone. Lenin dà personalmente l'ordine di sterminare in Polonia nobili, preti e contadini ricchi (immaginava di potere scatenare la guerra civile, ma al contrario l'invasione cementa l'unità nazionale polacca). Per le vittime complessive del terrore rosso le valutazioni oscillano tra le centinaia di migliaia e i 2 mil. di esecuzioni. Più di un milione e mezzo sono i russi che espatriano.

La ritirata della Nep.
Il paese, riconquistato dai comunisti, è stremato dalla guerra e dal terrore. Tra l'1 e il 17 mar zo 1921 i marinai di Kronstadt, la base militare navale un tempo roccaforte del bolscevismo, si ribellano al governo, chiedendo la fine delle persecuzioni contro la sinistra e il ripristino della legalità. La rivolta viene duramente repressa dall'Armata rossa, ma convince Lenin dell'opportunità di riconsiderare la prematura costruzione del comunismo decisa nel 1918. La disorganizzazione del sistema economico prodotta da quella decisione è tale che in quei mesi la carestia farà almeno 5 mil. di vittime (e diversi altri ne saranno evitati dai soccorsi internazionali). Secondo le proposte di Lenin, per venire incontro al diffuso bisogno di pace sociale, il X congresso del Partito comunista (marzo 1921) decide la Nep (Nuova Politica Economica), che prevede la sostituzione delle requisizioni ai contadini con un'imposta in natura, la restaurazione della libertà di commercio e della proprietà privata delle piccole e medie imprese, l'abolizione del controllo operaio, la reintroduzione del cottimo, il ristabilimento dell'azione sindacale, la creazione del Gosplan per la pianificazione statale dell'economia. Principale teorico della Nep sarà Nikolaj Bukharin.

Il terrore negli anni della Nep.
La ritirata strategica sul piano sociale non coincide d'altra parte con uno smantellamento dello stato totalitario o un allentamento del terrore. Viene a cessare anzi ogni residuo di democrazia anche dentro il partito. Già nel 1920 è l'Ufficio organizzativo, e non l'organizzazione periferica, a nominare i funzionari locali. I membri del partito e soprattutto i funzionari hanno diritto a razioni speciali. Lo stesso X congresso che decide la Nep, in nome della lotta al "frazionismo", stabilisce anche il divieto di creare correnti in seno al partito, epura il partito di circa un terzo dei membri e attribuisce alla Segreteria il potere di scegliere i delegati al congresso. Vinta l'Opposizione Operaia, la corrente comunista per colpire la quale era stata ideata la norma contro il "frazionismo", il sindacato è trasformato da organismo rivendicativo in "cinghia di trasmissione" della volontà del partito: le sue preoccupazioni principali saranno da questo momento in poi l'aumento della produzione e il mantenimento della disciplina tra gli operai. Nel 1922 Lenin crea la carica di Segretario Generale del partito, col compito di fissare l'agenda del Politburo, provvederlo di materiali, dare attuazione alle sue decisioni e provvedere alle nomine. Alla nuova carica viene nominato Stalin.
L'azione militare contro gli oppositori continua. Le rivolte contadine ancora serpeggiano nel paese, e, secondo dati ufficiali, l'Armata rossa ha 237'908 morti nella guerra 1921-22 contro le bande contadine ribelli (soprattutto contro i ribelli di Tambov, capeggiati dal socialista rivoluzionario Alexander Antonov, che schierano decine di migliaia di combattenti). I morti tra i contadini si conteranno in numero assai maggiore. Gli insorti di Kronstadt sono massacrati a centinaia. I superstiti sono deportati sul Mar Bianco e pochi tornano vivi. Saranno essi ad inaugurare il campo di concentramento delle isole Solovetskie, organizzato tra il 1922 e il 1923, ed embrione del sistema concentrazionario sovietico. Tale sistema si espande rapidamente: nell'ottobre 1923 ci sono già 315 campi con 70 mila prigionieri. In essi vige il principio della responsabilità collettiva: la punizione per eventuali insubordinazioni ricade sulla totalità dei prigionieri. Il vitto è scarso, le condizioni igieniche sono molto misere. Data la dislocazione dei campi, il freddo è quasi insopportabile. La mortalità è dunque altissima. Tra il 1923 e il 1927 viene inoltre represso l'indipendentismo in Transcaucasia e in Asia centrale (Georgia 1924, Cecenia 1925). Anche da queste regioni le deportazioni saranno di grandi proporzioni.
La lotta anticontadina viene inoltre accompagnata da una recrudescenza della battaglia contro la religione. Secondo un'idea di Trotskij, nel marzo 1922 è lanciata la requisizione dei calici e degli oggetti di culto preziosi, ufficialmente con l'intento di rimediare agli effetti della carestia, ma in realtà con l'obiettivo di provocare la reazione della Chiesa. Di fatto si contano più di un migliaio di episodi di resistenza. I responsabili vengono portati davanti ai Tribunali rivoluzionari, mentre gli organi di partito preordinano le sentenze: circa 100 vescovi e 10 mila preti sono imprigionati, 28 vescovi e 1215 preti messi a morte, circa 8 mila persone uccise in tutto. Nel dicembre 1922 è organizzata poi una campagna di manifestazioni pubbliche per irridere il Natale. Nella primavera seguente manifestazioni simili sono ripetute in occasione della Pasqua e alcuni mesi più tardi in occasione di Yom Kippur, la principale festa religiosa ebraica.
Negli anni della Nep sono riorganizzati i sistemi della giustizia e della polizia. Il 6 febbraio 1922 la Cheka è sostituita dalla Gpu. La nuova polizia politica nasce, ufficialmente, per ripristinare la "legalità rivoluzionaria", ponendo fine alle procedure extragiudiziarie, ma, di fatto, essa mantiene gli organici della Cheka, e, il 16 ottobre 1922, ottiene l'autorità di punire senza processo, anche con la morte, i responsabili di "banditismo". Il decreto del 10 agosto 1922 dà poi al commissariato degli Interni l'autorità di disporre in via amministrativa l'esilio esterno o interno per gli accusati di attività controrivoluzionarie. Il 6 giugno 1922 viene creato il Glavlit per la censura preventiva. Col nuovo Codice penale del 1922 comincia la sistemazione del diritto rivoluzionario. La delineazione delle figure di reato è tuttavia abbastanza indeterminata da consentire larga discrezionalità nella persecuzione degli oppositori: si parla genericamente di "attività controrivoluzionarie", di "nemici del popolo" e di "sospetti". I Principi fondamentali della legislazione penale dell'Urss nel 1924 codificano il concetto di "persona socialmente pericolosa" e dichiarano la punibilità anche delle intenzioni controrivoluzionarie indirette: si delinea cioè la figura di un controrivoluzionario punibile non per atti specifici o per manifeste intenzioni criminose, ma per la semplice posizione di classe. Dal 1926 si includono nell'"attività controrivoluzionaria" punita con la morte l'adempimento intenzionalmente insufficiente dei propri doveri, la tentata fuga all'estero, i rapporti privati con governi stranieri, mentre l'"omissione di controllo sulle attività controrivoluzionarie" è punito con la deportazione (anche nel caso non si denuncino parenti e amici).

continua...

Felix (POL)
11-10-02, 04:12
IL PARADIGMA DEL TERRORE DI MASSA: L'URSS DI LENIN E STALIN
Seconda Parte

Nascono i processi-spettacolo.
Tra il 6 giugno e il 7 agosto 1922 presso il Supremo Tribunale Rivoluzionario sono processati i capi dei socialisti rivoluzionari. Secondo il desiderio di Lenin, che invoca "processi educativi", il 20 giugno si tiene una manifestazione di massa cui partecipano anche il giudice e il procuratore del processo in corso, per chiedere la condanna a morte degli imputati: è il primo dei processi-spettacolo sovietici, istruiti non tanto per eliminare gli oppositori imputati, quanto per mobilitare politicamente la popolazione tutta. Su suggerimento di Trotskij, i giudici annunciano che le condanne a morte stabilite nella sentenza non verranno eseguite, se i socialisti rivoluzionari ancora liberi abbandoneranno l'attività cospirativa.
Si organizza l'irreggimentazione della gioventù nelle istituzioni educative controllate dal partito: dopo la ventata di pedagogia libertaria dei primissimi anni, nel 1921 sono reintrodotti nella scuola i sistemi educativi tradizionali, integrati però con la propaganda politica: i bambini fino 15 anni sono inquadrati nei Pionieri; dai 15 anni si accede alla Gioventù Comunista, o Komsomol, che seleziona i candidati al partito.

La svolta staliniana e la ripresa della costruzione del comunismo.
Approfittando abilmente della carica di segretario generale, dopo la malattia e morte di Lenin (1924), Stalin si libera dei concorrenti più pericolosi dentro il partito (Trotskij, Kamenev e Zinovev perdono le loro posizioni di potere), e, in alleanza con Bukharin, conquista entro il 1926 il pieno controllo del Pcus e dello stato. Ma, nel 1928, con un brusco cambiamento di linea e di alleanze (Bukharin viene allontanato dal potere), dopo sette anni di relativa tregua economica, Stalin decide l'abbandono della Nep e la ripresa della costruzione del comunismo. Il mercato viene sostituito da un'economia interamente pianificata dallo stato per mezzo del Gosplan. Il primo piano quinquennale dirotta la massima parte delle risorse del paese nella creazione dell'industria pesante. Il costo della gigantesca operazione sarà pagato dagli strati contadini, tutte le cui eccedenze dovranno essere utilizzate per nutrire le città e acquistare macchinari e tecnologie in Occidente. Per evitare che la requisizione delle eccedenze si traduca, come nel 1918, in una guerriglia villaggio per villaggio, si decreta, nel 1929, la abolizione della gestione privata della terra e il trasferimento dei contadini e di tutti i loro beni in grandi fattorie collettive (kolchoz e sovchoz).

La persecuzione dei nepmen e la nuova guerra contro i contadini.
La fine della Nep si accompagna a un'ondata di persecuzioni contro gli imprenditori privati, gli ingegneri e i tecnici, che della Nep erano stati i principali artefici (i nepmen). Vengono allontanati dal governo i consiglieri economici moderati, tra cui Nikolaj Kondratev, Vainstein, Feldman e Bazarov. Nel 1928 si svolge un nuovo processo-spettacolo, attorno al quale viene orchestrata l'attenzione della stampa e delle organizzazioni sociali. Ne sono vittima alcuni ingegneri degli impianti di Shaktij, falsamente accusati di sabotaggio in combutta con potenze straniere: costretti con la tortura e le minacce ai familiari, quasi tutti gli accusati si dichiarano colpevoli e la metà di loro viene condannata a morte. Nel 1931 è la volta dei bukharinisti, che della Nep erano stati i maggiori sostenitori: l'attacco si concretizza nel processo contro Bazarov e altri membri del Gosplan su posizioni moderate, nonché contro David Rjazanov, direttore dell'Istituto Marx-Engels, tutti quanti (falsamente) accusati di voler ricostituire il partito menscevico.
Ma è soprattutto la collettivizzazione dell'agricoltura a determinare i livelli più alti della repressione e del terrore. I contadini reagiscono all'espropriazione abbattendo il bestiame e resistono al trasferimento nelle fattorie collettive. Ma, a differenza del 1920-22, la resistenza contadina non riesce a organizzarsi in vere rivolte. Lo stato risponde con le fucilazioni di massa, che colpiscono centinaia di migliaia di contadini. Con convogli ferroviari o in interminabili marce, almeno 2 mil. di contadini vengono deportati nel nord o in Siberia e abbandonati alla violenza del clima, senza essere neppure accolti in veri campi di concentramento. Morranno a centinaia di migliaia. Infine, si decide di stroncare ogni velleità di resistenza contadina con l'arma della fame, attraverso la requisizione delle scorte (anche delle scorte alimentari e delle sementi). Consapevolmente pianificata e scatenata, nel 1932-33, una nuova terribile carestia si abbatte sulla Russia centrale, l'Ucraina e il Caucaso (la carestia colpirà le zone in cui nel 1930 si era verificato l'85% degli episodi di resistenza): nel biennio vi sono 7 mil. di vittime, 5 mil. delle quali nella sola Ucraina. Alla guerra contro i contadini, nel 1929-30, come già nel 1921-22, viene collegata una seconda offensiva contro la Chiesa: ulteriori restrizioni per il clero, nuova settimana senza domenica festiva per tutti, sequestro delle campane. Nessuno dei maggiori dirigenti comunisti protesta per la sorte dei contadini: non i teorici della Nep come Bukharin, non i vecchi bolscevichi esclusi dal potere, tantomeno l'operaista Trotskij. Anzi la guerra contro i contadini viene esaltata dal governo camuffandola da lotta di classe e premiandone pubblicamente gli esecutori più zelanti e spietati. Così, nel 1932, il Komsomol celebra come eroe e martire Pavlik Morozov, il quattordicenne che durante la collettivizzazione ha denunciato il padre, responsabile del villaggio, provocandone l'arresto e la fucilazione (e che per vendetta poi è stato ucciso dai parenti).
Il controllo sociale è fortemente intensificato. Un decreto del 26 marzo 1928 converte le condanne minori in lavori presso le imprese di stato. Uno del 27 giugno 1929 converte le condanne superiori ai tre anni in lavori forzati nei campi del nord e dell'oriente. Il decreto del 12 dicembre 1930 priva di diritti civili (comprese abitazione, tessera annonaria, assistenza sanitaria) le categorie sociali degli ex-privilegiati, ex-funzionari, membri del clero e di partiti politici. La legge del 7 agosto 1932 (cosiddetta "legge delle spighe", perché viene applicata anche ai casi di spigolatura) punisce come sabotaggio con la pena di morte il furto di beni dello stato. Una legge del novembre prevede il licenziamento per l'assenza ingiustificata dal lavoro di almeno un giorno (mentre il decreto del 26 giugno 1940 punirà in base al Codice penale ogni assenza sul lavoro, a partire dai ritardi di venti minuti). Una del 27 dicembre introduce il passaporto interno, per meglio controllare gli spostamenti della popolazione. Onde evitare che le fattorie collettive possano essere abbandonate per la città, il passaporto interno non viene concesso ai contadini.

Il Grande terrore.
Al XVII congresso del Pcus (gennaio 1934), che si riunisce per celebrare i risultati del primo piano quinquennale e si autodefinisce enfaticamente "congresso dei vincitori", il capo del PC di Leningrado, Sergej Kirov, si pronuncia contro le pena di morte per i reati di opinione e propone in generale una liberalizzazione del sistema. Avendo ottenuto in congresso perfino più consensi di Stalin, si decide la sua nomina a segretario del Pcus accanto a Stalin stesso. Ma l'1 dicembre Kirov viene assassinato in circostanze poco chiare (l'assassino risulterà essere stato in contatto con la Gpu che, sotto la guida di Genzich Jagoda, è ora unita al commmissariato del popolo per gli interni Nkvd). Stalin accusa del delitto i traditori e gli imperialisti stranieri.
Mentre la polizia politica conduce una campagna di arresti che colpisce i comunisti meno allineati con Stalin, il governo vara una serie di misure che preparano lo scatenamento del terrore. Il decreto del 7 aprile 1935 estende pene previste per gli adulti a tutti i maggiori di dodici anni (sarà decisivo per ricattare gli inquisiti con la minaccia di procedere nei confronti dei figli). Uno del 9 giugno prevede la pena di morte per i tentativi di espatrio clandestino, e, per mancata vigilanza rivoluzionaria, la deportazione per i familiari, informati o non del tentativo. Il decreto del 14 settembre 1936 semplifica le procedure giudiziarie nei casi di attività controrivoluzionaria, escludendo tra l'altro appello e grazia. Anche per favorire il sostegno delle democrazie occidentali di fronte alla possibile minaccia hitleriana, il 5 dicembre 1936 viene varata in Urss una nuova costituzione garantista, redatta con la collaborazione di Bukharin, ora riabilitato (la costituzione riconosce i diritti di libertà tipici dell'occidente, ma anche il diritto al lavoro, al riposo, all'istruzione gratuita). Ma le garanzie da essa formalmente sancite sono svuotate dall'assenza di una magistratura indipendente: non avranno mai un qualsiasi valore reale.
Il terrore è preceduto inoltre dallo smantellamento di una serie di organizzazioni da Stalin ritenute poco affidabili. Nella primavera 1935 Stalin scioglie sia l'Associazione dei Vecchi Bolscevichi sia l'Associazione degli ex-Prigionieri Politici. Lo scrittore comunista Maksim Gorkij, fiore all'occhiello del regime, tenta invano di riconciliare Stalin con i vecchi compagni dell'Ottobre. A partire dal 1935 viene portato il terzo e ultimo attacco contro la Chiesa, con la deportazione ed eliminazione di buona parte del clero. Tra il 1934 e il 1939 vengono soppresse le istituzioni ebraiche sopravvissute e in particolare le scuole dove si insegna in yiddish. Lo stesso Agurskij, antico persecutore degli ebrei, viene accusato di far parte della "clandestinità ebraica fascista" e imprigionato.
A partire dall'estate del 1936 si scatena l'ondata di repressione sanguinosa che sarà nota come Grande terrore. La manifestazione più clamorosa è una serie di nuovi processi-spettacolo che vedono tra gli imputati gran parte dell'antica dirigenza bolscevica. Nei casi maggiori la corte sarà presieduta da Vladimir Ulrich, mentre pubblico ministero sarà Andrej Vyshinskij. Primo è il processo contro il "centro trotstkista-zinoveviano" (19-28 ago 1936): gli imputati Kamenev e Zinovev confessano di avere fatto uccidere Kirov e di avere progettato l'assassinio di tutta la dirigenza del Pcus. Zinovev confessa addirittura di essere passato al fascismo. Tutti gli imputati vengono riconosciuti colpevoli e fucilati. Il 25 settembre 1936 il potente capo dell'Nkvd Jagoda viene destituito e rimpiazzato da Nikolaj Ezhov. Di lì a poco Ezhov denuncia anche un (fittizio) tradimento di Jagoda. Segue il processo contro il "centro parallelo trotstkista" per sabotaggio e legami col nemico tedesco e giapponese (23-30 gen 1937): sono imputati diversi vecchi militanti bolscevichi, tra cui Radek, accusati di avere clandestinamente preparato lo smembramento dell'Urss a vantaggio degli stranieri confinanti. Tutti gli imputati vengono riconosciuti colpevoli e fucilati (tranne Radek che viene deportato e scompare poi in un campo di concentramento). Nel febbraio-marzo, al Comitato centrale del Pcus, Stalin espone la tesi che la lotta di classe andrà inasprendosi, e non attenuandosi, durante la costruzione del socialismo: è la legittimazione sul piano teorico del Grande terrore. In segreto si tiene poi un processo per tradimento contro i responsabili dell'Armata rossa, basato anche su un falso dossier approntato dalla Gestapo (11 giugno 1937): tra gli altri sono imputati il generale Tukhachevskij e l'eroe della guerra civile Jona Jakir. Tutti gli imputati vengono riconosciuti colpevoli e fucilati. Jakir muore gridando: "Viva il partito! viva Stalin!". Dal giorno del processo parte un'epurazione generale nelle forze armate: alla fine del 1938 la purga è costata 3 marescialli su 5, 12 comandanti dell'esercito su 14, tutti gli 8 ammiragli, 60 comandanti di corpo d'armata su 67, 136 generali di divisione su 199, 221 generali di brigata su 397, il 45% degli ufficiali e dei commissari politici. Nel 1937 vengono sciolti in particolare quasi tutti i distaccamenti militari addestrati da Yakir alla guerra partigiana. L'armata rossa è letteralmente destrutturata: affronterà la Seconda guerra mondiale trovandosi ancora in condizioni di grave disorganizzazione. L'acme nella serie dei processi-spettacolo è raggiunto col processo contro il "blocco dei destri e dei trotstkisti" (2-13 marzo 1938): sono imputati tra gli altri Bukharin, Rykov, Jagoda e altri vecchi bolscevichi. Tutti gli imputati (definiti dal pubblico ministero Vyshinskij "cani rognosi") vengono riconosciuti colpevoli e fucilati.
In base alla figura penale dell'omissione di controllo la purga si estende anche ai parenti e agli amici degli epurati. Diverse figure importanti del partito, come Tomskij e Ordzhonikidze, si suicidano prima di essere coinvolte dal terrore. All'inizio del 1937, la tortura, già largamente usata, viene legalizzata attraverso un provvedimento reso noto alle autorità di polizia, ma tenuto segreto alla pubblica opinione. Si pratica la tortura anche sui familiari degli inquisiti, talvolta alla presenza di questi. In media, solo un inquisito su cento riesce a non confessare i reati ascrittigli. La popolazione viene sistematicamente mobilitata attraverso la stampa e le organizzazioni di partito. Nel gennaio 1937, in occasione del processo contro Radek, a Mosca una folla di 200 mila persone (ci sono -27°) è radunata per invocare la punizione degli imputati. Nel 1937-38 l'epurazione si estende ai comunisti stranieri presenti a Mosca: vengono fucilati o mandati a morire nei campi di concentramento Bela Kun, tutti i dirigenti del Pc jugoslavo, del Pc polacco e del Pc coreano (i Pc polacco e coreano vengono addirittura sciolti), molti comunisti francesi, rumeni e olandesi, 200 dei 600 comunisti italiani esuli a Mosca. Nel 1936 vengono epurati i comunisti delle repubbliche baltiche. L'Nkvd dirige inoltre la repressione della sinistra non stalinista in Spagna: decine di migliaia di combattenti del partito comunista libertario Poum e del movimento anarchico vengono fucilati (su un totale di 400 mila morti della guerra civile). Il capo del Poum Andrés Nin e il leader anarchico Camillo Berneri vengono torturati e uccisi dagli agenti dell'Nkvd. Sono assassinati anche due figli di Trotskij. Alla fine, perfino il principale responsabile della repressione spagnola, il console sovietico Vladimir Antonov-Ovseenko, viene richiamato a Mosca e fucilato con l'accusa di trotskismo. Ma anche dei 6 mila comunisti spagnoli riparati nell'Urss dopo la fine della guerra, nel 1948 sopravvivono solo in 1500.
Nel 1937-38 l'epurazione si estende anche agli scrittori: tra gli altri vengono condannati e uccisi Babel', Pil'njak, Mandel'stam, Mejerchol'd. Dei 700 scrittori che partecipano al primo Congresso degli scrittori nel 1934 solo 50 sopravvivono vent'anni dopo per partecipare al secondo. L'Associazione degli scrittori proletari, che negli anni '20 aveva protetto le avanguardie, viene sciolta e sostituita dalla nuova Unione degli scrittori: con la collaborazione di Gorkij sono codificate le norme del "realismo socialista", che impone agli scrittori di magnificare le conquiste della società sovietica. In architettura è favorito un pomposo e monumentale classicismo. Viene bandita la sociologia (forse anche perché era stata patrocinata da Bukharin). Nel 1937 viene liquidata la scuola dello storico marxista Pokrovskij. Nell'ufficiale Storia del Partito comunista dell'Unione sovietica (1938) le vicende del bolscevismo sono riscritte, cancellando ogni ruolo positivo degli avversari di Stalin. La scuola viene riformata secondo concezioni tradizionali, con voti, uniformi e programmi diversi per maschi e femmine. E' propagandato un antiintellettualismo plebeo che attribuisce valore solo al lavoro manuale. La famiglia tradizionale viene esaltata. L'aborto è reso illegale, il divorzio viene reso più difficile; è reintrodotta l'illegittimità dei figli nati fuori dal matrimonio.
Ma epurati più duramente sono gli stessi apparati dello stato e del partito. Nel 1936-38 si svolgono massicce epurazioni di dirigenti comunisti locali, tutte guidate da fedelissimi di Stalin, Lavrentij Berja nel Caucaso, Georgij Malenkov in Bielorussia, Anastasij Mikojan in Armenia, Lazar Kaganovich in Russia, Nikita Kruscev in Ucraina. Nel 1937 il 90% dei procuratori provinciali viene rimosso e spesso arrestato. Viene liquidato il 90% dei comitati locali del Pcus. Viene epurato pesantemente il Komsomol, per fare posto a una nuova dirigenza ostile al vecchio egualitarismo. Vengono eliminati anche 20 mila funzionari dell'Nkvd. Al XVIII congresso del Pcus, sono scomparsi ben 1108 dei 1966 congressisti del XVII, 110 dei 139 membri del Comitato Centrale. Sono stati eliminati tutti i dirigenti del Pcus della vecchia guardia intellettuale bolscevica, e in particolare tutti i maggiori dirigenti ebrei (eccetto Kaganovich).
Il terrore è pianificato dal centro: Stalin firma personalmente lunghe liste di personaggi da mandare a morte. E' Mosca arbitrariamente a indicare il numero dei (falsi) traditori che gli organismi locali del partito e dell'Nkvd dovranno poi individuare e perseguire. Ma c'è anche uno slittamento del meccanismo alla periferia: per non essere accusati di negligenza (e dunque di tradimento), spesso sono i dirigenti locali stessi ad elevare il numero delle persone coinvolte dalle indagini e (immancabilmente) trovate colpevoli. L'acme della purga è toccato nella prima metà del 1938, quando ormai il circuito della repressione ha coinvolto ampi strati di persone comuni prive di qualsiasi particolare collocazione istituzionale. All'epoca circa il 5% dell'intera popolazione è passata attraverso gli arresti. Pervade il paese l'ossessione del sabotaggio orchestrato da forze straniere. C'è un'atmosfera generale di paura, che induce i cittadini a ridurre le relazioni sociali e a distruggere le memorie familiari, nel timore che entrambe possano essere usate per eventuali imprevedibili iniziative inquisitorie. Le categorie più colpite: ex funzionari dello stato, membri del clero, testimoni di Geova, ex borghesi, ex funzionari della Croce Rossa, ex membri di partiti non comunisti, membri di associazioni studentesche, impiegati di ditte e legazioni straniere, cittadini che hanno contatti con l'estero (compresi i filatelici e gli esperantisti), rifugiati stranieri. Molto colpite le minoranze etniche: i greci del Mar Nero, gli armeni, i cinesi, gli ebrei ex-membri del Bund o sionisti. Le categorie istruite sono state colpite a tal punto che mancano i tecnici: le imprese hanno in organico nei ruoli tecnici soprattutto non laureati e non diplomati. Il nome di Ezhov è temutissimo. Non a caso, alla fine del 1938, quando Stalin decide di chiudere la stagione delle purghe, Ezhov stesso viene destituito e rimpiazzato da Berija alla guida dell'Nkvd. In seguito sarà ucciso nel manicomio criminale dove è stato rinchiuso. A perfezionamento del terrore, infine, anche Trotskij verrà ucciso a Città del Messico il 21 agosto 1940, raggiunto da un sicario di Stalin. Le purghe hanno comportato almeno un mil. di esecuzioni e diversi milioni di deportazioni nei campi di lavoro, dove peraltro la mortalità è altissima. Alla fine della purga solo i bambini affidati agli orfanotrofi dell'Nkvd (cioè i figli di deportati o giustiziati) sono tra i tra i 500 mila e il milione. Attraverso la purga Stalin ha potuto eliminare tutti gli oppositori potenziali e forgiare un partito sostanzialmente nuovo, compatto nella fedeltà alla persona del capo. I grandi processi sono anche serviti ad additare all'opinione pubblica un capro espiatorio per gli insuccessi del regime.

Il sistema del Gulag.
La sezione Gulag dell'Nkvd controlla 80 sistemi formati ciascuno da 20-100 campi di concentramento. Il sistema di Kolyma nell'estremo oriente siberiano occupa da solo una superficie grande otto volte l'Italia. Tra il 1934 e il 1948 nei campi vengono deportati 15 mil. di persone. La popolazione del Gulag oscilla. Alla fine dell'era staliniana, nel 1953, è di 2 mil. 450 mila detenuti, mentre altri 2 mil. 750 mila "coloni speciali" dipendono da una diversa amministrazione. L'Nkvd impegna almeno 250 mila militari per vigilare i campi. All'interno dei campi solo un quarto o un terzo dei prigionieri sono detenuti politici. I delinquenti comuni godono di privilegi e vengono utilizzati per controllare e colpire i politici. I deportati sono impiegati soprattutto nel taglio del legname, nei cantieri e nelle miniere. Nei campi del nord e dell'est si lavora 12-16 ore al giorno e si ha una razione di 8 etti di pane solo se si è svolto l'intero lavoro assegnato (la dose decresce in proporzione al lavoro svolto). La produzione è rilevante. Secondo le stime dell'amministrazione carceraria, durante la guerra i detenuti assicurano circa un quarto della produzione dell'industria degli armamenti, della metallurgia e delle miniere, e il 13% del volume dei grandi lavori in Urss. La mortalità nei campi è del 10% annuo nel 1932, del 20% nel 1938. Ma è alta anche durante i trasferimenti: durante quelli invernali nelle terre artiche può toccare anche il 50%. Non è rara l'eliminazione dei deportati divenuti inabili al lavoro.

Il terrore durante la guerra.
Dopo una tregua sul finire degli anni '30, la guerra porta con sé lo scatenamento di nuove ondate di terrore. L'alleanza con Hitler del 1939 permette a Stalin di occupare un terzo della Polonia e le tre repubbliche baltiche. Dove arriva l'Armata rossa, l'Nkvd procede sistematicamente all'eliminazione o alla deportazione delle borghesie nazionali, del clero, della nobiltà. Nel 1940-41 si ha una prima sovietizzazione della Polonia: 25'700 ufficiali e dirigenti sono subito eliminati; 381 mila civili (ma gli storici polacchi parlano di 1 mil.) e 230 mila militari vengono deportati nell'oriente sovietico (dopo un anno ne sopravvivono in tutto 388 mila). Nel giugno 1941 viene effettuata la prima sovietizzazione dei paesi baltici: 25 mila deportati, presumibilmente dopo l'eliminazione dei capifamiglia.
Quando poi Hitler rompe l'alleanza con Stalin e invade l'Unione sovietica (22 giugno 1941), la resistenza alla Wehrmacht porta con sé una nuova ondata di terrore. Nel 1941-42 è deportata quasi per intero la minoranza etnica dei tedeschi del Volga, per prevenirne un possibile collaborazionismo: 1 mil. 209 mila (su una popolazione di 1 mil. 427 mila), vengono trasferiti ad est, in condizione di quasi abbandono. Vengono trasferiti ad est, perlopiù a piedi su percorsi di migliaia di chilometri, 750 mila forzati dislocati nelle zone che stanno per essere occupate dai tedeschi. Ma decine di migliaia sono direttamente eliminati perché non cadano nelle mani degli occupanti. Il sistema del Gulag si sovraccarica e solo nel 1942-43 vi si contano 600 mila decessi.
A partire dal 1943, una terza ondata di terrore viene scatenata nelle regioni via via riprese dall'Armata rossa. Ne sono vittime interi popoli accusati in blocco di collaborazionismo. Nel 1943-44 sono deportati oltre 900 mila ceceni, ingusci, tatari di Crimea, caraciai, balcari e calmucchi; 42 mila bulgari, greci e armeni; 86 mila turchi mescheti, curdi e chemscini. Nei trasferimenti muore almeno un quarto, forse la metà dei deportati. Alla fine della guerra, metà della popolazione del Kazachstan è formata da etnie esiliate. Comincia il terrore nei confronti degli ucraini. La seconda sovietizzazione delle regioni occidentali nel 1944-45 comporta la deportazione di 100 mila civili ucraini (febbraio-ottobre 1944), 100 mila bielorussi (settembre 1944-marzo 1945), 38 mila lituani (gennaio-marzo 1945). Vengono deportati inoltre 148 mila soldati russi superstiti dell'armata antisovietica organizzata dal generale Andrej Vlasov. Ultime vittime della repressione del tempo di guerra sono gli stessi militari sovietici caduti prigionieri dei tedeschi. Sospettati di tradimento per essere sopravvissuti durante la prigionia, sono inviati in appositi campi di concentramento. Passano per questa esperienza 421 mila prigionieri sovietici nel 1942-44, 4 mil. 200 mila prigionieri e civili sovietici nel 1945-46. Di essi, il 19% viene alla fine nuovamente arruolato, il 14,5% assegnato ai "battaglioni della ricostruzione", l'8,6% internato nel Gulag (sono circa 360 mila persone).

Il terrore nel dopoguerra.
La guerra, il terrore e in generale la debolezza dell'economia sovietica, soprattutto agricola, provocano una nuova carestia. Nel 1946-48 ci sono 2 mil. di morti per fame in Urss, dovuti alla scelta di puntare sull'industria. Il governo teme che la pace porti con sé l'insubordinazione della popolazione, provata dalla guerra e tentata dalle informazioni sulle condizioni di vita nei paesi occidentali, che giungono attraverso i rimpatriati. Inasprisce allora il controllo sociale. Nel 1946 vengono limitati gli orti privati dei colcosiani. Alcuni decreti del 1947 aggravano la legge del 1932 sui furti alimentari: comminano 7-10 anni di internamento per il primo furto, 25 anni o la fucilazione per i recidivi. Nell'autunno 1946 erano state condannate per furti alimentari più di 25 mila persone. Nel 1947 i condannati saranno 380 mila. Continua la repressione delle minoranze etniche. Nella primavera del 1948, per stroncare la perdurante resistenza, 21 mila lituani vengono uccisi, 50 mila vengono deportati come coloni speciali e 30 mila trasferiti nel Gulag. Nel 1949-51 viene effettuata la seconda sovietizzazione dei paesi baltici: 95 mila baltici sono deportati nel marzo-maggio 1949; 17 mila nel settembre 1951. La sovietizzazione dei moldavi nel 1949 comporta la deportazione di 120 mila persone (il 7% della popolazione). La sovietizzazione delle coste del Mar Nero, ancora nel 1949, la deportazione di 58 mila greci, armeni e turchi. Nel 1945-52 vengono deportati 172 mila resistenti ucraini. Nel 1951-52 sono deportati anche 12 mila mingreli, 5 mila iraniani della Georgia, 4 mila Testimoni di Geova, 4 mila bielorussi, mille ucraini, 3 mila tagichi, mille kulaki di Pskov, mille appartenenti alla setta dei Veri Cristiani.
Il clima si fa particolarmente pesante per gli intellettuali. Nel 1946 Andrej Zdanov, che assume la responsabilità della politica culturale del Pcus, attacca alcune riviste letterarie di Leningrado, la poetessa Akhmatova e l'umorista Zoscenko. Due anni dopo attacca il formalismo di musicisti come Prokofev e Shostakovich (aprile 1948). Per oscure ragioni, dopo la morte di Zdanov (agosto 1948), vengono fucilati molti dirigenti di partito a Leningrado. La purga arriva fino alla destituzione e all'arresto di Nikolaj Voznesenskij, presidente della commissione nazionale del piano (aprile 1949). Verrà fucilato l'anno successivo. Anche la posizione di Berja si fa fragile. Nell'ottobre 1950 viene denunciato dalla stampa un "complotto nazionalista mingrelo", ma Berja (che è originario della Mingrelia) per il momento non viene colpito. Nel 1948 viene chiuso l'Istituto di Economia Mondiale diretto da Evgenij Varga e si attaccano le teorie di Einstein, accusate di idealismo borghese. Lo stesso anno Stalin condanna la genetica mendeliana e impone agli scienziati sovietici le teorie del biologo neolamarckiano Trofin Lysenko, che sostiene l'ereditarietà dei caratteri acquisiti. Sulla base delle concezioni biologiche di Lysenko, Stalin decide il "piano per la trasformazione della natura", che prevede un rimboschimento intensivo delle zone aride del sud-est. Il fallimento è totale. Nel maggio-agosto 1950 Stalin interviene personalmente nella campagna postuma contro il linguista Nikolaj Marr, sostenendo tra l'altro che esiste una lotta per l'esistenza tra le diverse lingue.
Anche gli ebrei sono guardati con crescente sospetto. L'intellettuale ebreo Mikhoels muore in un misterioso incidente nel gennaio 1948. Stalin è particolarmente preoccupato quando una manifestazione di 50 mila ebrei sovietici saluta con entusiasmo la missione diplomatica israeliana guidata da Golda Meir (ottobre 1948): teme che la creazione dello stato di Israele possa indurre velleità di indipendenza nella popolazione ebraica. Nel dicembre 1948 viene liquidato il comitato antifascista ebreo (creato durante la guerra), colpevole di aver suggerito la Crimea, spopolata dai tatari, come area di insediamento giudaico. Negli stessi giorni viene arrestata perfino la moglie del ministro degli Esteri (e fedelissimo stalinista) Vjacheslav Molotov, la dirigente del comitato ebreo Polina Zemcuzina, che verrà deportata e liberata solo dopo la morte di Stalin. Nei mesi successivi vengono uccise centinaia di personalità ebraiche e deportate decine di migliaia di ebrei, tra i quali tutti i membri del comitato tranne Ilja Ehrenburg. Nell'aprile 1949 viene chiuso il Teatro ebraico di Mosca. Vengono lanciate inoltre campagne di stampa di ispirazione nazionalista contro i "cosmopoliti senza radici" (ma già nell'agosto 1942 il dipartimento Agit-prop del Pcus aveva stilato una nota interna sulla posizione dominante degli ebrei negli ambienti artistici, letterari e giornalistici) e in difesa del contributo russo alla civiltà (fantasiosamente, si rivendica la paternità russa di invenzioni come la macchina a vapore, la radio, l'aereo).

L'ultima purga e l'incipiente terrore antisemita.
Gli anni 1952-53 vedono maturare una nuova grande purga. Già nell'ottobre 1951 viene denunciato un "complotto nazionalista ebraico" attribuito ad Viktor Abakumov (intimo di Berija). Nella nuova edizione dell'Enciclopedia sovietica la voce "ebrei" è drasticamente decurtata e scompaiono le voci relative ai popoli deportati. I dipartimenti universitari perdono quasi metà del personale per l'estromissione degli ebrei. Nel giugno 1952 sono processati a porte chiuse i dirigenti del Comitato antifascista ebraico per un (inventato) complotto sionista sostenuto dagli imperialisti mirante a staccare la Crimea dall'Urss. Si conclude con la condanna a morte di tutti gli imputati, eccetto la famosa biologa Lena Stern. Nell'ottobre 1952, al XIX congresso del Pcus viene decisa l'integrazione del Presidium con nuovi membri supplenti, cosa che, per analogia con quanto era avvenuto nel 1936, fa sospettare a Kruscev, Malenkov e Berija l'imminenza di una nuova purga. Subito dopo la conclusione del congresso, Mikojan, accusato di essere una spia dei turchi, viene esautorato, mentre il maresciallo Voroshilov viene accusato di essere una spia inglese. Si ha poi una serie di condanne a morte contro i responsabili dell'industria tessile ucraina, tutti ebrei (novembre 1952). Inoltre Rudolph Slansky, presidente del Pc cecoslovacco, ebreo antisionista e antiisraeliano molto legato a Berija, e altri tredici dirigenti di quel partito, dieci dei quali ebrei, per diretto ordine di Stalin, vengono processati con l'accusa di avere organizzato un complotto sionista per assassinare il presidente della repubblica Gottwald e restaurare il capitalismo, in combutta con Israele e gli Usa (novembre 1952). Undici di loro vengono condannati a morte il mese successivo. Nel novembre 1952 alcuni medici del Cremlino, tra i quali diversi ebrei, vengono arrestati: nel gennaio 1953 la Tass dà la notizia che è stato sventato un complotto di medici ebrei, responsabili di avere fatto morire Zdanov e altri dirigenti comunisti, nonché intenzionati a uccidere Stalin e tutta la dirigenza sovietica. Immediatamente in tutta la stampa si scatena una martellante campagna a sfondo antisemita e viene criticato il sistema di sicurezza sovietico, posto sotto la responsabilità di Berija. Si succedono licenziamenti in massa di ebrei, arresti e migliaia di esecuzioni. Circola una petizione, preparata dall'Nkvd e firmata da grandi personalità ebraiche come lo scrittore Vasilij Grossman, i fisici Lev Landau e Petr Kapitza, il violinista David Ojstrach, nella quale viene chiesta la deportazione in massa degli ebrei sovietici in Asia per proteggerli dalla violenza antisemita. Dopo una bomba all'ambasciata sovietica di Tel Aviv, l'Urss rompe le relazioni diplomatiche con Israele, mentre la stampa collega il fatto al presunto complotto sionista antisovietico (febbraio 1953). Ma l'attuazione della progettata grande purga contro Berja e gli ebrei viene bloccata dalla morte di Stalin (5 marzo 1953). Ai suoi funerali a Mosca, Malenkov e Berija non alludono a complotti occidentali e dichiarano la possibilità di pacifiche relazioni internazionali. Per iniziativa di Berija, vengono liberati e riabilitati i medici incarcerati. Gradualmente si aprono anche le porte del Gulag. Paradossalmente Berija (arrestato nel luglio 1953 e più tardi fucilato) cadrà vittima dell'ultimo episodio sovietico di lotta al vertice condotta attraverso l'eliminazione fisica dei perdenti. Nel 1959 restano nel Gulag solo 11 mila detenuti per reati politici e il Gulag stesso si assesta su una cifra media di 900 mila detenuti, con piccole unità che prendono il posto degli enormi complessi penitenziari.

Il bilancio del terrore nell'Urss.
Al di là delle menzognere ricostruzioni fornite dal governo di Mosca fino all'era di Gorbachev, il dibattito tra gli storici, prima della fine del comunismo, era stato segnato dalla contrapposizione tra gli studi di Robert Conquest sulle repressioni staliniane, che, sulla base di estrapolazioni dai pochi dati accessibili, calcolava le sole vittime di Stalin in circa 20 mil., da un lato, e le posizioni di alcuni giovani storici revisionisti come J.Arch Getty, dall'altro, che sostenevano che le vittime fossero invece solo nell'ordine delle migliaia. Con Gorbachev, nel 1987, giungono le prime ammissioni sovietiche semi-ufficiali, che parlano di 5 mil. di famiglie contadine deportate all'inizio degli anni '30 e di 17 mil. di persone che passano attraverso il Gulag. Ma solo la caduta del comunismo a Mosca apre agli storici gli archivi del governo e della polizia, consentendo i primi studi quantitativi affidabili. Le molte ricerche soprattutto russe degli anni '90 permettono di stabilire che le vittime del comunismo non furono meno di 10 mil. durante l'epoca di Lenin e 10 mil. durante l'epoca di Stalin. Non è possibile calcolare esattamente i decessi nei campi di concentramento e possono elevare il bilancio soprattutto i caduti durante i massacranti trasferimenti ai campi, dei quali all'epoca non veniva tenuta alcuna contabilità. Le ricerche comunque continuano. Nell'ottobre 1999 la Commissione storica per la riabilitazione delle vittime del terrore nominata dal Cremlino e presieduta da Aleksandr Yakovlev calcola i morti causati dal comunismo in Urss tra il 1917 e il 1953 in 43 mil. A Mosca di grande importanza e attendibilità è anche il lavoro dell'associazione Memorial, che da anni raccoglie ogni documentazione possibile per ricostruire anche le singole vicende delle vittime del terrore.

Felix (POL)
11-10-02, 04:15
LA CINA DI MAO

I soviet della cina del sud.
Nato dalla scelta di Mosca di radicare il movimento comunista internazionale nelle lotte anticoloniali dei paesi arretrati, oltre che in quelle proletarie del mondo industrializzato, il Pc cinese negli anni '20 si allea con i nazionalisti del Guomindang e trova le prime basi nelle città costiere della Cina. Nel 1927, tuttavia, il Pcc ritiene di maturi i tempi per strappare il potere al proprio alleato e organizza l'insurrezione armata a Canton e a Shanghai. Ma il tentativo fallisce e il Pcc deve subire la dura reazione del Capo del Guomindang, Chiang Kai-shek, che fa fucilare a migliaia i militanti comunisti. Sconfitto nelle città, il Pcc è costretto a riorganizzarsi nelle campagne e trova le proprie nuove basi nei villaggi della Cina del sud. Fornisce la giustificazione di tale scelta il giovane Mao Zedong nel Rapporto sul movimento contadino dello Hunan (1927): il movimento comunista cinese deve radicarsi tra i contadini e avere il suo nerbo nell'"esercito popolare di liberazione" che conduce la lotta contro il Guomindang. La prima esperienza politica orientata in tal senso è quella guidata da Peng Pai nel 1928 in alcuni villaggi del Guangdong: i quadri del Pcc sobillano i contadini poveri a espropriare i ricchi possessori delle terre; l'esercito comunista stesso (e non un'apposita polizia politica come in Urss) si incarica della punizione esemplare del nemico di classe; i proprietari non sono eliminati in segreto, ma, coinvolgendo la popolazione dei villaggi, a conclusione di processi pubblici nei quali i contadini sono istigati a denunciare, giudicare e mettere a morte i loro nemici; la punizione del nemico di classe, conformemente del resto a una tradizione di crudeltà tutta cinese, comporta abitualmente il supplizio pubblico, la tortura, nonché, spesso, il cannibalismo di vendetta. In quattro mesi, dai villaggi del Guoandong fuggono 50 mila persone. L'esperienza viene ripetuta ed estesa nei "soviet" guidati da Mao sui monti tra lo Hunan e lo Jiangxi (1927-31): secondo Domenach, solo il terrore, al di fuori dei combattimenti, fa 186 mila vittime. Oltre i proprietari torturati e giustiziati, vi sono molte migliaia di vittime della purga condotta da Mao contro i quadri meno allineati del partito e dell'esercito, che comporta anch'essa episodi di indicibile crudeltà nei confronti degli epurati e dei loro familiari. Nel 1931 in Hunan e Jiangxi si arriva alla Proclamazione della Repubblica cinese dei soviet, il cui Consiglio dei commissari del popolo è presieduto da Mao. Ma, nello stesso anno, criticato per i suoi metodi terroristici, Mao perde la direzione del partito. Inoltre, attaccati dai nazionalisti del Guomindang, i comunisti devono abbandonare le loro basi e attraverso una "lunga marcia" di ben 10 mila km si spostano nel nord, fino alla regione dello Shengxi, dove nel 1936 occupano la capitale Yanan. Da Yanan il Pcc, sospese le ostilità col Guomindang, conduce la resistenza contro i giapponesi, che hanno invaso la Cina nel 1937.

Il comunismo di Yanan.
A Yanan, Mao, che ha recuperato il potere, stabilisce il nucleo di quella che un decennio più tardi sarà la Repubblica popolare cinese e delinea le strutture del suo comunismo basato sull'alleanza tra i contadini e l'esercito. L'espropriazione degli agricoltori ricchi assicura un indubbio sostegno da parte dei contadini poveri. Ma la pressione fiscale sul mondo contadino è comunque terribile: nel 1941 viene prelevato il 35% del raccolto, 4 volte più che nelle zone controllate dal Guomindang. Mao non disprezza inoltre il traffico di oppio, che assicura al Pcc fino al 1945 tra il 26 e il 40% delle entrate. Il potere è totalitario e traduce in forme cinesi i metodi staliniani. Nella campagna di "rettifica" del 1942-43 contro gli intellettuali comunisti dissidenti, che è affidata a Kang Sheng, un comunista cinese preparato dall'Nkvd, si mette a punto il metodo delle sessioni di lotta: l'inquisito è esposto pubblicamente alle accuse di una popolazione istigata dai quadri del partito e costretto all'"autocritica". La vittima più illustre è Wang Shiwei, un intellettuale che ha difeso la libertà di critica contro Mao. Sono molte le esecuzioni e impressionante è la catena dei suicidi.

La fondazione della Repubblica popolare.
Sconfitto il Giappone, il Pcc riprende la lotta contro il Guomindang, e, forte dell'appoggio dei contadini, riesce nel 1949 battere definitivamente Chiang Kai-shek e a proclamare la Repubblica popolare cinese. Tra il 1946 e il 1952 la riforma agraria, sperimentata prima nel sud e poi a Yanan, coinvolge tutto il paese. Nelle grandi "riunioni di amarezza" i proprietari e i contadini ricchi vengono accusati e umiliati dalla massa dei contadini, coordinata dai quadri comunisti, condannati a morte e pubblicamente giustiziati. Mao dichiara nel 1950: "Dobbiamo uccidere tutti quegli elementi reazionari che meritano di essere uccisi". Il mondo contadino si lega con un patto di sangue al partito. Tra il 1956 e il 1957 l'agricoltura viene poi collettivizzata, ma l'impresa, a differenza di quanto era avvenuto nell'Urss, non aliena al partito i contadini: viene attuata sulla base del villaggio e lascia ancora al contadino la possibilità di abbandonare la cooperativa. Complessivamente le lotte agrarie portano comunque nei campi di concentramento più dell'1% degli abitanti delle campagne.
Tra il 1949 e il 1957, intanto, il Pcc rafforza il proprio controllo sulle città, attraverso una serie di purghe urbane che emarginano o eliminano, uno dopo l'altro, i diversi nemici di classe. Nel 1949-52 una prima "campagna contro la criminalità" porta all'eliminazione fisica di 2 mil. di "banditi" e alla deportazione di altrettanti residenti nelle città (secondo dati del Pcc). Nelle città viene generalizzato il sistema del controllo reciproco (baojia), inizialmente introdotto dal Guomindang: si formano i comitati di strada e di quartiere, responsabili del controllo sui cittadini; sono imposti il certificato di residenza urbana e la registrazione delle visite di estranei. Le vie delle città cominciano a essere costellate di cassette per le denunce anonime. I comitati urbani sono inoltre incaricati di disciplinare l'intervento della popolazione nei grandi processi pubblici, che, nelle città come già nelle campagne, vengono intentati ai "controrivoluzionari". Nel 1950 viene scatenata la "campagna contro i controrivoluzionari": si legalizza la retroattività della pena e con ciò si rendono punibili anche i "controrivoluzionari storici". Mao teorizza esplicitamente la persecuzione della dissidenza: "Dopo aver annientato i nemici armati, resteranno ancora i nemici non armati; è inevitabile che combattano disperatamente contro di noi e noi non dobbiamo mai prenderli alla leggera". Nel 1951 vi sono le campagne dei "tre contro" e dei "cinque contro", dirette a sgominare la borghesia cittadina, e la "campagna di riforma del pensiero" contro gli intellettuali occidentalizzati: vengono istituti i "collettivi di lavoro", cui debbono affiliarsi gli intellettuali per potere svolgere un'attività culturale e davanti ai quali devono periodicamente presentarsi per dare conto dei propri "progressi". I missionari vengono sistematicamente colpiti con l'accusa di spionaggio, e, tra il 1950 e il 1955, sono cancellati dalla Cina. Così, senza scomodi testimoni, dopo il 1955, il governo può internare nei campi di concentramento centinaia di migliaia di cristiani di tutte le confessioni. Gli operai sono sollecitati a ispezionare i libri contabili delle imprese e a condurre le "tigri capitaliste" alle riunioni di lotta nelle quali vengono accusate e giudicate pubblicamente. Schiacciati dalle tasse, obbligati a mettere i capitali a disposizione dello stato dal 1953, obbligati ad affiliarsi a società pubbliche di approvvigionamento dal 1954, nel gennaio 1956 gli imprenditori accettano in massa la "proposta" della collettivizzazione delle imprese. Nel 1955 è la volta della "campagna per l'eliminazione dei controrivoluzionari nascosti", diretta contro gli intellettuali che cercano di mostrare una qualsiasi forma di indipendenza: vittima illustre lo scrittore marxista Hu Feng. Finisce sotto accusa il 10% dei quadri del partito. Mao nel 1957 valuta in 800 mila le persone eliminate dalle purghe urbane (su 2-3 mil. del complesso delle vittime dalla fine della guerra), ma è probabile che esse siano più di un milione. Gli internati nei campi di concentramento sono il 4% degli abitanti delle città. Si valuta che durante questi anni nelle città vi siano 700 mila suicidi. Nel maggio 1957 Mao vara infine una liberalizzazione intellettuale ("Cento fiori") che lascia venire allo scoperto le critiche dei "compagni di strada". Ma essa viene cancellata nel giugno da una nuova "campagna contro gli elementi di destra", la quale consente di colpire appunto le persone che si sono esposte con le critiche sollecitate appena il mese precedente: Mao stabilisce che la nuova campagna debba epurare il 5% di ogni unità di lavoro e di fatto essa porta nei campi 400-700 mila quadri. Dopo le ondate di repressione del 1949-57 e in omaggio al principio maoista "Non dimenticate la lotta di classe", tutti i cinesi si trovano ufficialmente classificati in una "categoria rossa" (operai, contadini poveri, quadri del partito, soldati dell'esercito popolare, "martiri rivoluzionari") o in una "categoria nera" (proprietari, contadini ricchi, controrivoluzionari, "cattivi elementi", "elementi di destra"): l'appartenenza viene trasmessa ai discendenti ed è decisiva per l'assegnazione dei benefici statali e per le assunzioni. Basandosi sull'insieme delle ricerche recenti, Margolin valuta in 6-10 mil. le vittime del terrore comunista tra il 1949 e il 1957.

Il sistema concentrazionario. Viene organizzato completamente solo dopo le campagne degli anni '50. Si arriva al campo di concentramento dopo essere passati per i "centri di detenzione" nelle città, dove si svolge l'istruttoria (a volte anche per dieci anni e con 3 mila ore di interrogatori) e dove alla sera i reclusi sono tenuti allo studio obbligatorio del marxismo-leninismo e del pensiero di Mao: gli inquisiti hanno l'obbligo di passare per la meditazione, la confessione e il pentimento. Struttura principale del sistema concentrazionario è il laogai (abbreviazione di laodong gaizao, "riforma attraverso il lavoro"), campo di concentramento e di lavoro, strumento principale della repressione, che è spesso occultato dietro l'insegna di imprese industriali o agricole. I reclusi vi sono organizzati militarmente e sono privi di diritti civili. La sottoalimentazione è deliberata (12-15 kg di riso al mese, ma il lavativo può vederla scendere fino a 9 kg) e mira a spezzare la volontà dell'internato. Il lavoro dura almeno 12 ore al giorno, ma si incoraggia la competizione tra i reclusi affinché prolunghino il lavoro fino a 16 o 18 ore. Non c'è giorno di riposo, se non nelle feste nazionali, quando si è tenuti a subire interminabili prediche ideologiche. Il lavoro è affiancato dall'indottrinamento e gli internati esercitano reciprocamente e periodicamente un controllo di ortodossia ideologica. L'aggravio delle pene è frequente per ogni tipo di mancanza. La violenza da parte delle guardie è rara, ma frequente quella demandata agli altri detenuti. Vi passano decine di milioni di cinesi: in media vi sono recluse 10 mil. di persone. La mortalità media è del 5% annuo: in tutto è probabile che nei laogai siano morte 20 mil. di persone. L'esercito massacra i detenuti implicati nelle rivolte, che, soprattutto all'inizio, sono numerose. Dopo l'eventuale rilascio, gli internati nel laogai (al 95%) passano nel jiuye, campo di sorveglianza, dove possono avere con sé le famiglie e cambiare eventualmente attività. Nel laojiao ("rieducazione attraverso il lavoro") avviene invece la detenzione amministrativa (decisa dalle autorità di governo senza necessità di un formale processo), che è più leggera, più breve (qualche anno), e accompagnata da un piccolo salario (peraltro quasi del tutto trattenuto per il vitto e l'alloggio). Vi sono poi un migliaio di prigioni, che hanno la funzione delle nostre carceri di massima sicurezza e nelle quali è concentrato solo il 13% dei reclusi. Sotto Mao, di fatto, il più delle volte la condanna è una condanna a vita. Da tenere presente inoltre la larga discrezionalità della quale godono le corti nel decidere la pena: Mao non vuole che il diritto penale sia formalizzato in un codice (il primo codice penale sarà emanato solo nel 1979, tre anni dopo la sua morte) e affida lo svolgimento dei processi alla indefinita "coscienza rivoluzionaria" dei giudici.

La conquista del Tibet.
Nel 1949 l'esercito cinese occupa il Tibet, retto dai monaci buddisti, lo smembra da un punto di vista amministrativo e lo sottrae all'autorità del Dalai Lama. Gli anni peggiori culminano nel 1959 con la collettivizzazione forzata, l'insurrezione che la segue (a partire dalla regione orientale del Kham fino alla capitale Lhasa), la brutale repressione di questa, e la fuga in India del Dalai Lama, accompagnato da 100 mila seguaci. Ma la guerriglia khampa dura fino al 1972 e Lhasa vede una nuova insurrezione anticinese nel 1969. Nel 1984 il governo tibetano in esilio accusa i cinesi di avere sterminato 1 mil. 200 mila tibetani (uno su quattro). Altri studi limitano i morti a 800 mila. Solo in minima parte i luoghi di culto sono lasciati aperti.

Il Grande Balzo in Avanti (1958).
Confortato dai buoni raccolti del 1957, nel maggio 1958 Mao propone nuovi ambiziosissimi traguardi quantitativi per l'agricoltura cinese e sollecita la creazione di nuove infrastrutture industriali e imponenti lavori di irrigazione. Fa appello alla volontà rivoluzionaria del partito: "tre anni di sforzi e mille anni di felicità". Ma, frattanto, viene internato nei campi di concentramento il personale dell'Ufficio centrale di statistica, che ha espresso dubbi sulla realizzabilità dei progetti di Mao. In agosto annuncia la formazione delle "comuni popolari": gigantesche unità produttive e sociali, destinate a raggruppare ciascuna migliaia o decine di migliaia di famiglie contadine, dove tutto diviene comune (pasti in comune, riposo in grandi camerate collettive, collettivizzazione anche degli oggetti di uso personale) e non c'è vita privata familiare. Mao pensa che esse si dovranno rendere autosufficienti attraverso lo sviluppo di attività industriali interne. Abolisce il diritto di tenere piccoli orti privati e di abbandonare le cooperative di appartenenza.
In breve gli effetti si rivelano disastrosi. Una serie di fattori aggiuntivi aggravano la catastrofe agricola: l'applicazione dei metodi del biologo sovietico Lysenko (che, sulla base dell'idea della solidarietà della specie, ha teorizzato la coltura ultraintensiva); la decisione centrale di sostituire in modo generalizzato le colture industriali e quelle dei cereali minori con la coltivazione di cereali più nutrienti, ma anche più delicati, come riso e grano (anche in Tibet, dove il grano viene tutto perduto); la fretta e la scarsa competenza con cui vengono intraprese le opere di irrigazione (che spesso sono poi abbandonate o si rivelano pericolose); l'imprevidenza con cui si avviano ovunque le improvvisate industrie volute da Mao (tragico esempio gli altiforni artigianali realizzati nelle comuni, che, oltre tutto in maniera completamente antieconomica, riescono a produrre solo acciaio di pessima qualità); alcune scelte dettate unicamente da un pregiudizio ideologico che sconfina nella follia (lo sterminio dei passeri - accusati di sfruttamento perché sottraggono i chicchi della semina - che determina la proliferazione dei parassiti e la perdita di interi raccolti). Sordo alle critiche del ministro della guerra Peng Dehuai, subito rimosso ed emarginato, nell'agosto 1959 Mao impone un'accelerazione degli sforzi e annuncia l'estensione delle comuni popolari alle città (che però non verrà mai attuata). Ai primi segni della tragedia Mao reagisce lanciando una vera offensiva militare contro le comuni dove i segni di fallimento sono più evidenti: internamenti di massa, uso sistematico della tortura, requisizione degli utensili da cucina individuali, proibizione di accendere fuochi.
I raccolti tra il 1959 e il 1961 sono in larga parte perduti, il bestiame si dimezza, la superficie coltivata diminuisce di un terzo, la mortalità si impenna e crolla la natalità: indipendentemente dalle mancate nascite, le stime delle morti attribuibili alla carestia oscillano tra i 20 mil. (cifra riconosciuta dalle autorità cinesi nel 1988) e i 43 mil. (studi occidentali; ma accettata anche dal segretario postmaoista del Pcc Zhao Ziyang). E' la più grande carestia dell'intera storia umana. Nel 1961, senza perdere nominalmente il suo ruolo di presidente del Pcc, Mao viene sostituito nel governo da un direttorio formato dal presidente della repubblica Liu Shoaqi (il quale ammette che la carestia è frutto di errori umani almeno per il 70%) e da comunisti a lui fidati, come il segretario generale del Pcc Deng Xiaoping. Si torna lentamente ai metodi del 1957: cooperative di villaggio, diritto di tenere orti privati a scopo di autoalimentazione, imprese artigianali libere. L'agricoltura cinese sarà nuovamente ai livelli del 1952 solo nel 1983.

La Rivoluzione Culturale.
Con l'intento di recuperare il controllo sul partito, nella primavera 1966 Mao lancia ai giovani l'appello a una "grande rivoluzione culturale proletaria" contro il burocratismo dei quadri dirigenti e il "revisionismo": "il mondo vi appartiene"; "è sulla pagina bianca che si scrive la poesia più bella"; "ribellarsi è giusto"; "non vogliamo la gentilezza, vogliamo la guerra"; "fate fuoco sul quartier generale". Rispondono a milioni soprattutto gli studenti, che, spesso non iscritti al Pcc, ma fanaticamente devoti a Mao e impugnando il "libro rosso" delle sue citazioni, formano i nuclei delle "guardie rosse". Si impadroniscono delle università, convinti, secondo il principio maoista, che esse debbano formare non "esperti", bensì "rossi". Li appoggiano, inizialmente, il ministro della guerra Lin Biao e l'esercito. In sostegno al movimento si decide in estate la chiusura (che si protrarrà per un anno) di scuole e università. Molte iniziative sono spontanee, ma, dal centro, attraverso il ministro della sicurezza Kang Sheng, Mao influenza le campagne di lotta, facendo pervenire alle guardie rosse liste di persone da colpire. In ottobre il movimento delle guardie rosse viene aperto ai "mal nati" "neri", che ne approfittano per reinserirsi nella vita sociale e spesso esibiscono un fanatismo ancora maggiore dei nati entro le "categorie rosse". In novembre il movimento viene aperto agli operai con la decisione di formare gruppi di guardie rosse dentro le fabbriche: aderiscono soprattutto gli operai giovani e precari. Dal dicembre si tenta di estenderlo alle campagne, attraverso la decisione di formare gruppi nei villaggi, ma le campagne resteranno sempre piuttosto sorde all'apppello. Sotto la direzione delle guardie rosse, i laogai inaspriscono il trattamento dei prigionieri.
Le guardie rosse catturano quadri e intellettuali (classificati come "nona categoria fetida" dei "neri", in omaggio al principio maoista: "la classe capitalista è la pelle, gli intellettuali sono i capelli che spuntano sulla pelle"), li umiliano pubblicamente, e, in "riunioni di lotta" in cui le vessazioni degenerano spesso in spettacoli pubblici di tortura, li costringono all'"autocritica". Tra le vittime eccellenti vi sono Liu Shaoqui, costretto all'autocritica, imprigionato, torturato fino a portarlo alla pazzia, colpito da una polmonite che i medici non vogliono curare e che ne causerà la morte nel 1969; Peng Dehuai, già emarginato nel 1959, che è ora costretto all'autocritica, viene bastonato fino ad avere spezzata la colonna vertebrale, subisce 130 sessioni di interrogatorio e muore di cancro nel 1974; il figlio di Deng Xiaoping, torturato fino ad essere reso paraplegico; l'ex-ministro della sicurezza Luo Ruiqing, fedele di Deng Xiaoping, lasciato per tre anni con un piede rotto dopo le violenze subite e trascinato di villaggio in villaggio a scopo dimostrativo; molti grandi scrittori; almeno un decimo degli insegnanti. Si suicidano o vengono uccisi almeno 142 mila insegnanti, 53 mila tecnici e scienziati, 500 professori di medicina, 2600 tra scrittori e artisti. Il 60% dei membri del Comitato Centrale del Pcc, tre quarti dei segretari provinciali e 3-4 mil. di quadri (su 18) vengono espulsi. Il movimento colpisce anche i simboli della presenza straniera: i palazzi e anche i cimiteri "imperialisti" vengono saccheggiati e distrutti; il vestiario di tipo occidentale viene proibito. Nell'ansia di liberare la Cina dalle sue tradizioni millenarie, e soprattutto dal conservatorismo "confuciano", si distruggono opere d'arte, libri, manoscritti, gran parte degli arredi dei templi.
A partire da Shanghai, nel gennaio 1967, le amministrazioni locali vengono rovesciate dalle guardie rosse, che si impadroniscono del potere a livello locale. Preoccupati, Mao e l'esercito adesso oscillano più volte tra il sostegno alla ribellione e il tentativo di riprendere il controllo. Il 1967 e buona parte del 1968 vedono il movimento degenerare in scontri tra fazioni diverse delle guardie rosse, "ribelli" e "conservatori": talvolta le battaglie sono condotte anche con l'impiego dell'artiglieria pesante, dei carri armati e dei caccia. Nel 1968 l'esercito riprende il controllo, reprime il movimento rivoluzionario attraverso feroci massacri, scioglie le guardie rosse, e, infine, invia 5 mil. e mezzo di giovani (ma prima del 1976 saranno già 15-20 mil.) a "rieducarsi" nelle campagne. Due mil. di nuovi prigionieri riempiono i laogai. L'ondata di terrore dall'alto si attenua solo nel 1971 dopo la misteriosa morte di Lin Biao, erede designato di Mao.
Le fonti cinesi ufficiali valutano in 725 mila il numero delle vittime della Rivoluzione Culturale (e della seguente repressione), ma gli studiosi occidentali le stimano più frequentemente tra i 2 e i 4 mil. Uno studio americano recente arriva a congetturare tra i 15 e i 20 mil. di morti.

Felix (POL)
11-10-02, 04:16
LA CAMBOGIA DEI KHMER ROSSI

I Khmer rossi.
I loro capi, a cominciare da Pol Pot, sono marxisti molto influenzati da Mao, hanno studiato in Francia e hanno militato nel Pcf. Il nome ufficiale dell'organizzazione è Fronte unito dell'Angkar: un partito-esercito di 120 mila miliziani, perlopiù giovanissimi, reclutati anche dai dodici anni, che combatte contro gli americani impegnati nella guerra d'Indocina e contro il regime, da essi protetto, di Lon Nol. L'organizzazione è circondata dal mistero: solo nel settembre 1977 Pol Pot annuncia ufficialmente che l'Angkar è in realtà il Partito Comunista della Cambogia. A differenza dei capi degli altri partiti comunisti, Pol Pot non ha né biografia ufficiale né immagini diffuse a scopo di propaganda né una pubblicazione ufficiale delle opere. Nella propaganda di partito, non si fa riferimento ai classici del marxismo-leninismo o a Mao Zedong. Si fa invece appello alla volontà rivoluzionaria della nazione khmer e si afferma che la nazione khmer sarà capace di diventare l'avanguardia del comunismo mondiale. Il partito si circonda di un'aura paternalistica: in pubblico ci si riferisce ai membri dell'Angkar chiamandoli "padri e madri".

Pol Pot al potere.
Massacri vengono compiuti dai Khmer rossi anche prima della conquista di Phnom Penh: nel 1974, presa Udong, antica capitale, i Khmer rossi uccidono 10 mila dei suoi abitanti. Dopo il 1973, quando gli americani decidono di ritirarsi dall'Indocina, si raffreddano i rapporti con i comunisti vietnamiti e comincia la persecuzione dei loro simpatizzanti cambogiani. Nell'aprile 1975 i Khmer rossi concludono la loro lotta per il potere in Cambogia ed entrano nella capitale Phnom Penh. Li guida un inusitato programma di rinnovamento radicale della nazione. Convinti che la metropoli rappresenti di per sé un focolaio di corruzione, in 24 ore evacuano completamente i 2-3 mil. di abitanti di Phnom Penh, costringendoli ad abbandonare quasi tutti i loro beni. Sopprimono anche le altre città, evacuandole e deportandone la popolazione nelle campagne nel giro di una settimana (alcune centinaia di migliaia di abitanti). Viene stabilito un rigido regime di apartheid tra la popolazione già sotto il controllo khmer ("vecchio popolo", o "'70") e i deportati dalle città, bisognosi di una più radicale rieducazione ("nuovo popolo", o "'75"): proibito parlarsi (in teoria), stabilire rapporti sociali, sposarsi. Negli ultimi mesi dell'anno gli ex-cittadini vengono nuovamente deportati verso il nord-ovest del paese. Si introduce il lavoro obbligatorio. La moneta viene abolita, rimpiazzata da un sistema di distribuzione gestito dallo stato. Si decide lo sterminio di tutti coloro che possano rappresentare il passato: monaci buddisti, missionari, funzionari del precedente regime, borghesi, coloro che si sottraggono al lavoro obbligatorio (colpevoli di "sottrarre manodopera all'Angkar", anche se invalidi o malati di mente), intellettuali (per essere uccisi basta possedere un libro, portare gli occhiali, sapere qualche parola di una lingua straniera: sarà uccisa almeno la metà dei laureati del paese e comunque il 40% degli abitanti di Phnom Penh). Si decide lo sterminio delle popolazioni dell'est, sospette di simpatie per il Vietnam. Nell'intento di cancellare ogni traccia del passato, vengono distrutti tutti i documenti di identità (ma questo paradossalmente consente di sopravvivere a molti funzionari del precedente regime). Aboliti i tribunali, non vengono sostituiti con alcun apparato di giustizia. Non c'è una polizia: la repressione è gestita senza processi dai miliziani khmer. I bambini vengono sistematicamente utilizzati come spie. Le esecuzioni avvengono fuori dai villaggi, più spesso a bastonate o per soffocamento che attraverso armi da fuoco; nel caso di personaggi esemplari, attraverso crudeli torture. I cadaveri sono raccolti in migliaia di fosse comuni, o, più frequentemente, usati per concimare le risaie. Si proibisce la vita familiare: si separano i congiunti; si puniscono le madri che dedicano attenzioni maggiori ai propri bambini; si sostituisce l'inumazione alla cremazione, che per i cambogiani è segno di cura e rispetto per i defunti; si impedisce l'assistenza personale ai familiari malati. Viene introdotto l'obbligo di prendere i pasti in mense collettive. Si riforma coattivamente il costume: obbligatoria l'uniforme (nera, maniche lunghe, abbottonata fino al collo), proibite le manifestazioni d'affetto, le espressioni di dolore, le liti. Non c'è scuola: solo qualche corso di lettura e di canti rivoluzionari. I canti rivoluzionari sono anche la sola forma d'arte consentita. Si decide la cancellazione culturale delle minoranze: l'unica lingua ammessa è il cambogiano. Viene perseguitata la minoranza musulmana Cham: sono distrutte le moschee, è proibita la preghiera, viene imposta l'abiura, spesso obbligando a scegliere tra la morte e la consumazione di carne di maiale. Ma la resistenza dei Cham dura per anni e nel 1978 il governo decide il loro sterminio: ne morrà almeno il 50%. Il lavoro obbligatorio dura almeno 11 ore al giorno, viene interrotto solo un giorno ogni dieci, dedicato all'educazione politica. Nessuno (tantomeno gli ingegneri presenti tra i cittadini deportati) osa criticare l'imperizia con la quale sono realizzate le opere di irrigazione volute dal governo e dirette dai miliziani khmer. Già nel 1976 è la catastrofe economica: la superficie coltivata è solo il 50% di quella del 1975. Nel 1977 vengono arrestati e uccisi anche i familiari dei funzionari sterminati nel 1975. I massacri si susseguono fino al 1979, quando l'esercito vietnamita occupa la Cambogia e pone fine al regime khmer.

Il bilancio.
L'ex-presidente Lon Nol calcola in 2 mil. 500 mila le vittime dei Khmer rossi. Le autorità vietnamite di occupazione in 3 mil. 100 mila. Ma anche i Khmer rossi testimoniano indirettamente l'entità dei massacri da loro compiuti: in un opuscolo ufficiale del 1987, il dirigente khmer Khieu Samphan cerca di spiegare il vistoso crollo della popolazione, attribuendo agli occupanti vietnamiti l'uccisione di un milione e mezzo di cambogiani. Gli studi recenti di Sliwinski calcolano i morti in poco più di 2 mil., il 26% della popolazione: il 34% degli uomini, il 18% delle donne (segno che la maggior parte dei decessi è dovuto ad assassinio).

Felix (POL)
11-10-02, 04:17
LE RADICI IDEOLOGICHE: MARX E LENIN TEORICI DEL TERRORE


Marx.
Nei suoi scritti giovanili già critica la democrazia.
La questione ebraica (1844): i diritti dell'uomo affermati dalla Rivoluzione francese "non sono altro che i diritti del membro della società civile, cioè dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo e dalla comunità"; la libertà è solo "la libertà dell'uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa"; "il diritto dell'uomo alla proprietà privata è il diritto di godere arbitrariamente senza riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla società, della propria sostanza e di disporre di essa, il diritto all'egoismo"; l'uguaglianza "non è altro che l'uguaglianza della libertà sopra descritta, e cioè che ogni uomo viene considerato come una siffatta monade che riposa su se stessa"; "la sicurezza è l'assicurazione del suo egoismo". Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione (1844): "l'arma da critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta dalla forza materiale".
Nel Manifesto del Partito comunista (1848) Marx elabora l'idea che la società comunista può essere raggiunta solo attraverso la "lotta di classe" rivoluzionaria del proletariato e teorizza l'abolizione dei diritti individuali di libertà: "il proletariato si servirà del dominio politico per strappare alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello stato"; deve "distruggere tutte le sicurezze private e tutte le guarentigie private finora esistite". Negli stessi mesi si richiama esplicitamente alla pratica del terrore esercitata dai giacobini cinquant'anni prima. Vittoria della controrivoluzione a Vienna (1848): "C'è un solo mezzo per abbreviare, semplificare, concentrare l'agonia assassina della vecchia società e le doglie sanguinose della nuova società, un solo mezzo: il terrorismo rivoluzionario". Anche l'amico e collaboratore Engels in quegli anni teorizza il terrore. In La lotta delle nazioni, risposta all'Appello agli slavi di Bakunin (1848), Engels dichiara che "la prossima guerra mondiale farà sparire dalla faccia della terra non soltanto classi e dinastie reazionarie, ma interi popoli reazionari", come, appunto, diverse etnie slave che hanno contrastato la rivoluzione tedesca. Di nuovo, ne Il panslavismo democratico sulla "Neue Rheinische Zeitung" rifiuta le "frasi sentimentali sulla fratellanza" offerte dalle "nazioni più controrivoluzionarie d'Europa" e afferma che "l'odio per i russi è stato ed è ancora la prima passione rivoluzionaria dei tedeschi" e che la rivoluzione richiede "il terrorismo più risoluto" e una "lotta di annientamento contro lo slavismo traditore". E Marx, fallita la rivoluzione, in La soppressione della "Neue Rheinische Zeitung" (1949): "Noi non abbiamo riguardi; noi non ne attendiamo da voi. Quando sarà il nostro tempo, non abbelliremo il terrore". L'anno dopo, Marx e Engels insieme, nell'Indirizzo al Comitato centrale del marzo 1850, invocano una "decisissima centralizzazione del potere nelle mani dello stato" e "misure di terrore". Teorizzano l'impiego di qualsiasi mezzo, anche immorale, necessario per fare trionfare la rivoluzione. Scrivono a G.A.Koettgen: "Agite gesuiticamente, buttate alle ortiche la germanica probità, onestà, integrità [...] I mezzi per noi aumenteranno, l'antagonismo fra il proletariato e la borghesia si inasprisce. In un partito si deve appoggiare tutto ciò che aiuta ad avanzare, senza farsi noiosi scrupoli morali".
Vent'anni dopo, Marx ed Engels accusano la Comune di Parigi di non avere saputo usare fino in fondo la violenza rivoluzionaria. Marx, La guerra civile in Francia (1871): la Comune ha il merito di avere sostituito l'"autogoverno dei produttori" al "vecchio governo centralizzato", mostrando la forma politica che deve assumere la lotta di classe proletaria. Engels, in Dell'autorità (1873), precisa: "Una rivoluzione è certamente la cosa piú autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte per mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuole aver combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?". Nella Critica al programma di Gotha (1875), Marx parla della "dittatura del proletariato" necessaria nella transizione alla società comunista e specifica che essa non sarà di breve durata.

Lenin.

In gioventù manifesta simpatia per la formazione terrorista Volontà del Popolo. La conversione al marxismo non dissolve il culto per la violenza rivoluzionaria che lo ha ispirato da giovane. Già in Da dove cominciare (1901) ricorda: "In linea di principio noi non abbiamo mai rinunciato e non possiamo rinunciare al terrorismo". Con Che fare? (1902) si pronuncia per la trasformazione del partito marxista russo in un partito di "rivoluzionari professionali" ideologicamente compatto, retto da una ferrea disciplina e pronto a guidare l'insurrezione armata. In Due tattiche della socialdemocrazia (1905) dichiara esplicitamente obiettivi e forme del terrore di massa: "regolare i conti con lo zarismo e l'aristocrazia alla plebea, sterminando implacabilmente i nemici della libertà". Convocato nel 1907 davanti al Consiglio del partito per l'asprezza delle critiche ai menscevichi, ammette di avere perseguito consapevolmente una tattica indirizzata a diffamare l'avversario politico e a creare odio nei suoi confronti: egli pensa che il rivoluzionario non debba essere trattenuto da alcuno scrupolo morale. Lezioni della Comune (1908): la rivoluzione proletaria della Comune è fallita per l'eccessiva generosità del proletariato; "avrebbe dovuto sterminare i suoi nemici", invece che "esercitare un'influenza morale su di loro". In Stato e rivoluzione (1917) sviluppa le idee di Marx ed Engels sulla Comune, insistendo sul fatto che la dittatura del proletariato è incompatibile col parlamentarismo e che il proletariato rivoluzionario deve "spezzare" la macchina dello stato borghese. In I bolscevichi conserveranno il potere? (1917): "La rivoluzione è la lotta di classe e la guerra civile più acuta, più selvaggia e più esasperata", richiede un "uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza". L'anno dopo, già al potere, ne La dittatura del proletariato e il rinnegato Kautsky (1918) attacca duramente il leader socialista tedesco, che difende il metodo democratico e critica l'autoritarismo dei bolscevichi. Nel luglio 1918 attacca decisamente Zinovev che ha trattenuto i bolscevichi di Pietrogrado dallo scatenare il "terrore di massa": "Bisogna stimolare forme energiche e massicce del terrore contro i controrivoluzionari". Ma lo stesso Zinovev in una assemblea di partito a Pietrogrado il 17 settembre 1918: "Dobbiamo conquistare per noi novanta dei cento milioni di abitanti della Russia che vivono sotto i soviet. Al resto non abbiamo nulla da dire: devono essere sterminati". Il discorso viene accolto da scroscianti applausi. E' stato pubblicato recentemente un documento del 1918 nel quale Lenin scrive di suo pugno che le rivolte contadine "devono essere represse senza pietà". Ordina ai comunisti di un villaggio: "impiccate senza esitare, così la gente vedrà, almeno cento noti kulaki, ricchi, sanguisughe". Nel 1919: "Noi non riconosciamo né libertà né uguaglianza né democrazia del lavoro, se queste cose si oppongono agli interessi dell'emancipazione del lavoro dall'oppressione del capitale". Immemore del proclamato diritto dei popoli all'autodeterminazione, nell'estate del 1920, ordina ai comandanti dell'Armata rossa: "noi dobbiamo prima sovietizzare la Lituania e renderla dopo ai lituani". In L'estremismo, malattia infantile del comunismo (1920): "Bisogna affrontare tutti i sacrifici e - in caso di necessità - ricorrere a tutte le astuzie, a tutte le furberie, ai metodi illegali, alle reticenze, all'occultamento della verità, pur di introdursi nei sindacati, pur di rimanere in essi, pur di svolgervi a qualsiasi costo un lavoro comunista". Teorizza la "violenza sistematica contro la borghesia e i suoi complici", parla di "ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo; delle pulci: i furfanti; delle cimici: i ricchi, etc.". Parla di "lotta finale", di "guerra implacabile", di "annientamento implacabile" e di "sterminio sanguinoso dei ricchi". Definisce i borghesi "parassiti" e "vampiri". Nel 1922, al momento di lanciare la prima grande offensiva contro la Chiesa ortodossa: "E' precisamente ora e solo ora, quando nelle regioni affamate la gente mangia carne umana, e centinaia se non migliaia di cadaveri riempiono le strade, che noi possiamo (e perciò dobbiamo) effettuare la confisca dei beni ecclesiastici con la più feroce e spietata energia, senza fermarci prima di avere schiacciato ogni resistenza"; "applicate ai preti la più estrema forma di punizione".
Angelica Balabanoff, dirigente dell'Internazionale comunista, ricorda il cinismo con cui Lenin consigliava di diffamare i riformisti e i comunisti non fedeli alla Russia bolscevica, per distruggerne la reputazione presso gli operai, o di corrompere con denaro gli avversari del comunismo. Nel 1924 lo scrittore socialista Maksim Gorkij ritrae il Lenin da lui incontrato come una persona per cui gli esseri umani non hanno "quasi alcun interesse" e la classe operaia è solo "materia prima" per l'azione politica. La sua doppiezza è sistematica e teorizzata. Nel 1905 è scettico sui soviet, in quanto organizzazioni non di partito; nel 1917 teorizza il potere assoluto dei soviet; dalla presa del potere in poi svuota i soviet di qualsiasi significato politico. Fino al 1905, da marxista ortodosso, sostiene che i contadini sono piccolo-borghesi e quindi nemici della lotta socialista proletaria; dopo il 1905 adotta, contro i menscevichi, l'idea che i contadini siano alleati della lotta socialista proletaria; tra il 1917 e l'inizio del 1918, per ingraziarsi i contadini, accetta la parola d'ordine della spartizione delle grandi proprietà, fino ad allora sostenuta dai socialisti rivoluzionari e rifiutata dai bolscevichi come reazionaria; nel 1918 la sconfessa a favore di una accelerata collettivizzazione delle terre. Sostiene il diritto di secessione delle nazionalità, ma sotto il vincolo della priorità degli interessi del proletariato. La libertà non ha per lui alcun interesse: si interessa agli esperimenti di Pavlov, ed esprime rammarico che il condizionamento non sia applicabile su scala di massa, rendendo inutile la polizia. Scrive a Stalin nel 1922 "noi purificheremo la Russia per molto tempo"; e, sempre nel 1922, a Kurskij, a proposito della sostituzione della Cheka con la Gpu e i metodi legali: "Il tribunale non deve eliminare il terrore; prometterlo significherebbe ingannare se stessi o ingannare gli altri; bisogna giustificarlo e legittimarlo sul piano dei principi, chiaramente, senza falsità e senza abbellimenti. La formulazione deve essere quanto più larga possibile, poiché soltanto la giustizia rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria decideranno delle condizioni di applicazione più o meno lunga".

Trotskij.
Nel 1924 esplicita nel modo più chiaro il disprezzo per la verità che segna la mentalità dei bolscevichi: "Nessuno di noi desidera o può contestare la volontà del Partito. Chiaramente, il Partito ha sempre ragione. [...] Noi possiamo avere ragione solo con e attraverso il Partito, perché la storia non ha dato altro modo di avere ragione. [...] E se il Partito adotta una decisione che l'uno o l'altro di noi ritiene ingiusta, egli dirà: giusto o ingiusto, è il mio partito, e io sosterrò le conseguenze della decisione fino alla fine".


Appendice sul nichilismo russo.
Nei bolscevichi, e in Lenin soprattutto, le teorizzazioni marxiane del terrore vengono a rafforzare atteggiamenti politici che provengono anche da tradizioni autoctone, in particolare da quella tradizione nichilista, che si è intrecciata in profondità con la storia dell'anarchismo russo e del populismo. Sergei Nechaev (1847-1882) è il rappresentante più caratteristico di tale tradizione. Il suo Catechismo rivoluzionario, elaborato all'inizio degli anni '70 verosimilmente con la collaborazione di Bakunin, tratteggia con precisione la figura del rivoluzionario completamente dedito alla causa e indifferente a ogni considerazione morale e a ogni sentimento umano. Dice del rivoluzionario: "Non ha né interessi personali, né affari, né sentimenti, né inclinizioni, né proprietà, nemmeno un nome. In lui tutto è assorbito da un interesse esclusivo, un solo pensiero, una sola passione: la rivoluzione" (art.1). "Nel profondo del suo essere, non solo a parole, ma con i fatti, egli ha spezzato ogni legame con l'ordine civile e con mondo civilizzato, con le leggi, le convenienze, con la moralità e le convenzioni generalmente riconosciute in questo mondo. Egli ne è il nemico implacabile e, se continua a vivere in questo mondo, non è che per distruggerlo piú sicuramente" (art.2). "Egli disprezza l'opinione pubblica. Disprezza e odia la morale sociale attuale in tutti i suoi atti istintivi e in tutte le sue manifestazioni. Per lui morale è tutto ciò che favorisce il trionfo della rivoluzione, immorale e criminale tutto ciò che la impedisce" (art.4). "Nell'assolvimento di questo compito, avvicinandoci al popolo, noi dobbiamo, in primo luogo, allearci con gli elementi della vita popolare che non hanno mai cessato, dalla fondazione dello Stato moscovita, di protestare, non solo a parole ma con i fatti, contro tutto ciò che è direttamente o indirettamente legato allo Stato, contro la nobiltà, contro la burocrazia, contro i preti, contro il mondo commerciale e contro i piccoli trafficanti sfruttatori del popolo. Noi dobbiamo perciò unirci al mondo avventuroso dei briganti, i veri e gli unici rivoluzionari russi" (art.25). Il radicalismo visionario resta una caratteristica saliente del movimento rivoluzionario russo: Piëtr Tkatchev, intorno al 1870, propone di sterminare tutti i russi di più di 25 anni, considerati incapaci di realizzare l'idea rivoluzionaria (proposta che, peraltro, suscita l'indignazione di Bakunin).

Felix (POL)
11-10-02, 04:19
OCCIDENTE: LA CORRESPONSABILITA' DEI PARTITI COMUNISTI E DEGLI INTELLETTUALI DI SINISTRA

Prima parte

Le corresponsabilità dei comunisti occidentali: il caso del Pci.
Né Antonio Gramsci né gli altri socialisti italiani filobolscevichi, che nel 1921 fonderanno il Pci, avanzano alcun rimprovero a Lenin per il terrore praticato nei primi anni del regime. Nel 1926, da Mosca, Palmiro Togliatti riprende duramente l'amico Gramsci, che ha osato criticare Stalin per la maniera in cui ha gestito la successione a Lenin al vertice del Pcus. Divenuto segretario del Pci dopo l'arresto di Gramsci, nel 1929 Togliatti abbandona Bukharin, cui è stato vicino, e si allinea sulle posizioni di Stalin. Da quel momento egli stesso e l'intero partito non lesineranno le lodi più menzognere nei confronti di Stalin e dell'Urss staliniana. Togliatti nell'ottobre 1936 su "L'Internationale Communiste" a proposito dei processi di Mosca: "L'Unione sovietica è il paese della democrazia più conseguente"; trotskisti e zinovevisti mirano alla "restaurazione del capitalismo" passando "da un'opposizione in seno al partito e contro il partito fino all'ultima tappa, all'avanguardia della controrivoluzione e del fascismo"; "Coloro che hanno smascherato e annientato i banditi terroristi si sono resi benemeriti di fronte all'umanità intera"; "Il processo di Mosca è stato un atto di difesa della democrazia, della pace, del socialismo, della rivoluzione"; coloro che hanno chiesto garanzie giuridiche per gli imputati "si sono addossati il peso di una missione poco onorevole". La risoluzione del Pci pubblicata su "Lo Stato Operaio" del marzo 1938, relativa ai processi di Mosca, si conclude con un entusiasta: "Viva il continuatore dell'opera di Feliks Dzerszhinskij, Nicola Ezhov!". I processi di Mosca verranno difesi del resto fino al 1956. Lo storico Gastone Manacorda nel 1948: "Non certo l'Unione Sovietica ha da arrossire [...] per aver saputo tempestivamente scoprire e stroncare la quinta colonna che i nazisti alleati col trotzkismo andavano organizzando nell'interno del paese, penetrando fino nei gangli più vitali dello Stato, dell'esercito, dello stesso partito bolscevico. Sembra incredibile che ancora possa avere qualche successo il mito di questi processi, quando ormai il carattere di quinta colonna nazista della congiura bukhariniano-trotzkista è larghissimamente documentato da fonti non sospette".

Ma nelle repressioni staliniane Togliatti assume anche una parte attiva. Nel 1936 sovrintende l'operazione (fallita) volta a catturare ed eliminare Trotskij appena riparato in Messico. In Spagna come responsabile dell'Internazionale comunista, asseconda la campagna di sterminio dei trotzkisti e degli anarchici. Nel 1937 è coinvolto nell'eliminazione di Andrés Nin, capo dei comunisti antistalinisti spagnoli. Nella primavera 1938 prende parte alla riunione del Presidium del Comintern che condanna Bela Kun. Nell'agosto 1938 viene richiamato a Mosca per apporre la sua firma sul decreto di scioglimento del Pc polacco, che apre la via all'eliminazione fisica di tutti i maggiori dirigenti di questo. Durante la guerra, al comunista Bianco che gli chiede di intervenire a favore dei prigionieri italiani in Russia (circa 100 mila: ne torneranno solo 13 mila), risponde nel febbraio 1943: "La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso l'Unione sovietica, è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. Nella pratica, però, se un buon numero di prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire. [...] Non c'è dubbio che il popolo italiano è stato avvelenato dalla ideologia imperialista e brigantesca del fascismo. [...] Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, è il più efficace degli antidoti. [...] T'ho già detto: io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in un altro modo; ma nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro, non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia".

Ministro nei governi di unità nazionale durante la liberazione, Togliatti chiede la censura per le pubblicazioni antisovietiche. Egli, di persona o per mezzo di altri esponenti comunisti nel governo, riferisce quotidianamente all'ambasciatore sovietico le attività che si svolgono entro il governo e i ministeri italiani. Nel febbraio 1948 ispira l'editoriale de "L'Unità" La vittoria di Praga, che definisce l'illegale presa del potere da parte dei comunisti cecoslovacchi come una mossa preventiva volta a sventare un colpo di stato americano (mentre il matematico e dirigente comunista Lucio Lombardo Radice precisa: "E' assurdo voler porre il problema dell'indipendenza nazionale nei confronti dell'Urss allo stesso modo in cui lo si pone nei confronti dei paesi imperialisti. Non può esistere timore, sospetto di oppressione nazionale del paese del socialismo a danno di altri popoli").

Nel dopoguerra cominciano ad affiorare sulla stampa indipendente le denunce dello stalinismo e Togliatti è in prima linea nel rifiutarle e ridicolizzarle. Nel 1950 attacca sprezzantemente "i sei che sono falliti", gli ex-comunisti Silone, Gide, Koestler, Wright, Spender e Fisher, coautori del volume di denuncia dello stalinismo Il Dio che è fallito, appena tradotto in Italia da Comunità. Ancora nel 1950 su 1984 di Orwell: "E' una buffonata informe e noiosa, giudicabile semmai come strumento di lotta che uno spione ha voluto aggiungere al suo arsenale anticomunistico"; "C'è tutto, come si vede; ci sono, principalmente, tutte le bassezze e le volgarità che l'anticomunismo vorrebbe far entrare nella convinzione degli uomini. Mancano solo, ci pare, i campi di concentramento, perché per sua sventura l'autore è scomparso prima che questa campagna venisse lanciata. Altrimenti ci sarebbe, senza dubbio, un capitolo in più"; "Il tutto, come si vede, è primitivo, infantile, logicamente non giustificato". Nel 1950: "Al sentire Gide, di fronte al problema dei rapporti fra i partiti e le classi, dare tutto per risolto identificando l'assenza di partiti d'opposizione, in una società senza classi, con la tirannide e relativo terrorismo, vien voglia di invitarlo ad occuparsi di pederastia, dov'è specialista, ma lasciar queste cose, dove non ne capisce proprio niente". Nel 1951: "Silone [...] è un poco di buono [...]. Quando Silone se ne andò, anzi fu messo fuori dalle nostre file (per conto suo ci sarebbe rimasto, a dir bugie e tessere l'intrigo), l'avvenimento contò. Silone ci aiutò, in sostanza, non solo a approfondire e veder meglio, discutendo e lottando, parecchie cose; ma anche a riconoscere un tipo umano, determinate, singolari forme di ipocrisia, di slealtà di fronte ai fatti e agli uomini". La Russia comunista è dipinta come un paradiso. Nel 1951: "Noi facciamo uno sbaglio, di solito, quando parliamo della Russia. Ci lasciamo alle volte abbagliare troppo dagli aspetti immediati del progresso economico e sociale e ad essi ci fermiamo. Sono progressi enormi, che hanno trasformato una società e ora incominciano a trasformare anche gli aspetti delle cose naturali. Non esiste un regime che abbia fatto e sia capace di fare altrettanto. Vorrei dire, però, che anche se il progresso materiale fosse stato rninore, o rivelasse lacune, decisiva è stata ed è la trasformazione dell'uomo. Quel dirigente della organizzazione della produzione, dello Stato, del partito, che ti accoglie alla frontiera, nella sede cittadina, nel reparto di fabbrica, nella redazione, nella clinica, nella scuola, sui campi, che, anche se vecchio d'anni, è giovanile, sicuro di sé, sereno, pieno di slancio, padrone del suo lavoro fino all'ultimo particolare locale e fino alla nozione esatta del posto che quel particolare ha nel quadro della vita nazionale, attento ai bisogni e all'animo degli uomini che lo circondano, spronato da uno spirito critico sempre sveglio e persino esasperato, disinteressato personalmente ma non privo di vita personale libera e molteplice - questo è un uomo nuovo ed è la vera sostanziale conquista del regime comunista". Togliatti plaude anche alle ultime campagne staliniane di repressione. Nel 1952: "Slansky ed i suoi sono stati sorpresi mentre operavano sul terreno della congiura politico-militare, per tentare il colpo di stato controrivoluzionario. Così come avevano tentato Trotskij e i suoi".

Nel Comitato centrale del 13 marzo 1956, di ritorno dal XX Congresso del Pcus, in cui Kruscev ha per la prima volta denunciato i crimini dello stalinismo, Togliatti rilancia l'idea delle diverse "vie nazionali al socialismo", si richiama a Gramsci e al modo in cui il Pci ha "utilizzato il parlamento" a differenza del Pc greco, ma accenna solo elusivamente ad "errori" di Stalin, mentre l'unico a domandare spiegazioni, in particolare riferimento a Bela Kun e all'epurazione del Pc polacco, è Umberto Terracini. Quando nel marzo 1956 il "New York Times" dà notizia del rapporto segreto di Kruscev, Togliatti parla in privato di "chiacchiere senza importanza". Nell'intervista a "Nuovi Argomenti" del maggio 1956 dichiara non distrutti "quei fondamentali lineamenti della società sovietica, da cui deriva il suo carattere democratico e socialista e che rendono questa società superiore, per la sua qualità, alle moderne società capitalistiche"; parla soprattutto di "errori" di Stalin; polemizza contro gli "alfieri dell'anticomunismo", "calunniatori ufficiali"; dichiara compito del Pcus riportare il paese "a una normale vita democratica, secondo il modello che era stato stabilito da Lenin nei primi anni della rivoluzione" (negli stessi giorni in cui l'insigne latinista e dirigente del Pci Concetto Marchesi fa l'apologia dello stalinismo, definendo il XX Congresso un "fragoroso confessionale di domestici peccati" e alludendo sprezzantemente alla rozzezza intellettuale di Kruscev). Togliatti è con i sovietici nella repressione dei moti polacchi e ungheresi. Nel luglio 1956 scrive che le file dei rivoltosi di Poznan sono composte "esclusivamente di elementi della malavita" (quando il segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio ha già ammesso che il moto in Polonia deriva da "un malcontento diffuso e profondo nella massa degli operai"). Nell'ottobre 1956 preme addirittura sui dirigenti sovietici titubanti perché intervengano in Ungheria, e, una volta che questi si sono decisi, approva pubblicamente la repressione della rivolta di Budapest, respingendo gli attacchi della stampa borghese (mentre in privato giunge a brindare all'intervento sovietico). In quei giorni l'intellettuale e dirigente comunista Mario Alicata: "in questo momento l'esercito sovietico sta difendendo l'indipendenza dell'Ungheria". Al XXII congresso del Pcus del novembre 1961, Kruscev riprende e approfondisce la denuncia dello stalinismo. Dall'Italia Togliatti commenta le sue parole. Ammette le "tragiche violazioni della legalità socialista", riferendosi (solo) alla condanna di comunisti assolutamente innocenti durante le purghe, ma le imputa a "errori del passato collegati al culto della persona di Stalin", all'"annullamento di ogni carattere collegiale della direzione", all'"accentramento nella persona di Stalin non solo della direzione politica, ma della stessa possibilità dell'elaborazione teorica". E parla di "contraddizioni sempre più acute tra la sostanza e le basi fondamentalmente democratiche della società nuova, fondata su di un'economia socialista e sul potere dei soviet da una parte, e dall'altra una direzione per molti aspetti autoritaria e coercitiva", nonché di "lotta giusta e motivata contro le opposizioni trotskiste e di destra". Ascrive a merito del regime la "trasformazione sociale delle campagne, sia pure attuata con eccessiva fretta e con errori" (i milioni di contadini morti); e conclude: "Gli errori e le deformazioni, per quanto gravi, non hanno compromesso e intaccato le basi e la sostanza profondamente democratica della società socialista". Nel 1964 ha parte attiva nel complotto che porta alla destituzione di Kruscev.

Tutto il partito - compresi importanti intellettuali - si è abbandonato al culto della personalità di Stalin. Il 6 marzo 1953, il giorno dopo l'annuncio della morte di Stalin, "L'Unità" diretta da Pietro Ingrao titola E' morto l'uomo che più ha fatto per la liberazione del genere umano. Lucio Lombardo Radice nel 1947: "Le vite come quella di Stalin, come già quella di Lenin, sono il primo esempio di una condizione umana più elevata, di un'umanità che domina le condizioni esterne invece di esserne dominata: le vite di uomini liberi e liberatori". Nel 1948: "Marxista creatore, Stalin non è soltanto uno studioso di genio che analizza i problemi storico-politici alla luce dei principi del marxismo; è questo, sì, ma è anche e soprattutto il grande rivoluzionario, il grande costruttore, che analizza i rapporti per trasformarli, che studia i problemi per risolverli praticamente". Nel 1950: "Non solo gli scienziati marxisti, ma tutti gli studiosi serii e onesti hanno unanimemente reso omaggio alla profondità e all'importanza dei giudizi e delle definizioni di Stalin relativi alla linguistica, al suo carattere, alla sua evoluzione". Nel 1952: "Millenovecentoventiquattro: l'anno della morte di Lenin, l'anno di difficoltà economiche e di aspre lotte all'interno del Partito. Preoccupazione costante di Stalin in questo anno, come sempre, è lo sviluppo democratico del Partito". Nell'aprile 1956, dopo la divulgazione del rapporto Kruscev: "Dirò che anche per me, intellettuale e "vecchio" militante comunista, si pongono molti nuovi e difficili problemi. Nessun "rimorso", ho detto, anzi orgoglio per aver tenacemente in questi venti anni difeso ed esaltato l'Urss e con essa il compagno Stalin, non solo perché egli in quel periodo la rappresentava di fronte al mondo, ma anche per il suo grande contributo personale, che un esame critico dei suoi errori e sue colpe non annulla"; "continuo a considerare Stalin un classico del marxismo, uno dei più grandi pensatori e rivoluzionari della nostra epoca". Anche i linguisti Giacomo Devoto e Tullio De Mauro ritengono opportuno citare gli insegnamenti di Stalin nel campo della linguistica. Lo storico Gastone Manacorda nel 1948, a dieci anni dalla pubblicazione del Breve corso (la Storia del Partito comunista dell'Unione sovietica, in cui Stalin codifica il marxismo e dell'Urss presenta una storia incredibilmente deformata), lo celebra su "L'Unità" con l'articolo Nel decimo anniversario di un grande libro. Valentino Gerratana nel 1951: "Viene così sfatata la leggenda piuttosto diffusa, e tuttora difesa come vangelo dalla pubblicistica reazionaria, secondo cui nei primi anni del potere sovietico, fino alla morte di Lenin, Stalin avrebbe avuto una parte di secondo piano rispetto a quella, ad esempio, di un Trotskij. Certo Trotskij conosceva assai bene l'arte borghese di mettersi in mostra, ma la verità è che, ancor prima di smascherarsi definitivamente, già nei primi anni di esistenza dello stato sovietico, tutta la sua attività era rivolta a sabotare la rivoluzione, a tradirne le conquiste, a liquidarne al più presto i risultati. Ed e merito di Stalin aver saputo riconoscere fin dall'inizio i piani di Trotskij, intervenendo energicamente per neutralizzarli e farli fallire". Concetto Marchesi nel 1953: "L'opera di Stalin è opera liberatoria da qualunque oppressione: da quella che fa l'uomo schiavo della fame e della fatica a quella che lo fa strumento e oggetto di rovina. Ciò che è avvenuto in Russia per opera sua avverrà in tutto il mondo". Il critico d'arte Antonello Trombadori nell'agosto 1956, dopo le denunce kruscioviane: "Lenin e di Stalin, due uomini diversi, due diverse figure, ma l'una e l'altra indissolubilmente, organicamente inserite nella trasformazione rivoluzionaria del vecchio, decrepito impero russo in quella fucina di problemi moderni, avanzati, contraddittori, liberatori di masse sterminate, che è l'attuale Unione Sovietica". La venerazione ufficiale si estende peraltro ai più biechi collaboratori di Stalin. Nel 1948, morto Zdanov, coordinatore del Cominform e zelante esecutore della politica staliniana nei confronti degli intellettuali, il pittore Renato Guttuso lo commemora come "uno degli uomini migliori del mondo". Ma anche il poeta cileno Pablo Neruda segue commosso i funerali di Vishinskij, il pubblico accusatore dei processi-spettacolo staliniani: "La luce di Vishinskij ritorna nelle viscere della madre patria sovietica". Il culto della personalità travalica del resto gli stretti confini del partito. In occasione della morte di Stalin, il discorso più commosso al Parlamento italiano è pronunciato da Sandro Pertini, che si definisce "umile e piccolo uomo davanti a tanta grandezza, a una simile pietra miliare sul cammino dell'umanità": "si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto".

Il mito dell'Unione sovietica è stato coltivato sistematicamente ben oltre la morte di Stalin. Nel 1946 il Pci diffonde l'opuscolo ad uso dei militanti Russia, paese libero, pacifico e felice. Lucio Lombardo Radice nel 1949: "Per la prima volta nella storia dell'umanità lo sviluppo della società avviene non più per il giuoco cieco di leggi elementari, molecolari, non più attraverso il contrasto di classi in lotta, ma in forma pienamente consapevole, davvero umana". Mario Alicata nel 1952 dichiara che in Urss "l'uomo è più libero che in tutti i paesi del mondo" e che "questo è il primo paese della storia del mondo in cui tutti gli uomini siano finalmente liberi". Lo storico Giuseppe Boffa nel 1957: "Questo è il paese dove più avanti è stata portata la causa della liberazione sociale, con lo sprigionamento di un immenso potenziale di autentica libertà". Ancora nel dicembre 1981 Giancarlo Pajetta dice che "la crisi del mondo capitalistico non ha eguali e non è reversibile" mentre il socialismo, benché drammaticamente imperfetto, è "qualcosa di perfettibile".

continua...

Felix (POL)
11-10-02, 04:20
OCCIDENTE: LA CORRESPONSABILITA' DEI PARTITI COMUNISTI E DEGLI INTELLETTUALI DI SINISTRA

Seconda Parte

Gli intellettuali apologeti dello stalinismo.
L'esaltazione di Stalin, dell'Urss e del terrore comunista non sono rintracciabili solo presso gli intellettuali italiani. Già nel 1919 lo storico della rivoluzione francese Albert Mathiez giustifica il terrore ed esalta Lenin paragonandolo a Robespierre. E nel 1931 il poeta francese Louis Aragon in Prélude au temps des cerises: "Canto la Ghepeù che si forma / In Francia adesso. / Canto la Ghepeù necessaria di Francia. / Canto la Ghepeù di nessuno e dappertutto. / Chiedo una Ghepeù per preparare la fine di un mondo. / ... / Viva la Ghepeù contro il papa e i pidocchi. / Viva la Ghepeù contro la sottomissione alle banche. / Viva la Ghepeù contro le manovre dell'est. / Viva la Ghepeù contro la famiglia. / Viva la Ghepeù contro le leggi scellerate. / Viva la Ghepeù contro gli assassini tipo / Caballero Boncour MacDonald Zoergibel. / Viva la Ghepeù contro tutti i nemici del proletariato. / VIVA LA GHEPEÙ". Il romanziere americano Upton Sinclair scrive a proposito della collettivizzazione: "Buttano fuori i contadini ricchi dalla terra e li mandano a lavorare, in gran numero, nei depositi di legname e nelle ferrovie"; costerà "un milione di vite, forse cinque milioni", ma "non c'è mai stato nella storia umana un qualche grande cambiamento sociale senza che ci fossero dei morti. La Rivoluzione francese è costata milioni di morti". Dopo l'assassinio di Kirov (dicembre 1934), lo scrittore Maksim Gorkij lancia un appello a "sterminare il nemico senza pietà né misericordia", avallando in questo modo le purghe staliniane. Il filosofo Maurice Merleau-Ponty, che nel 1950 si sarebbe allontanato dallo stalinismo, in Umanesimo e terrore (1947), polemizzando con Koestler, giustifica ancora il Grande terrore come premessa necessaria per la costruzione di "una nuova società nel segno del proletariato". Ma è Bertolt Brecht, autore tra l'altro anche di una Lode del Partito e di una Lode dell'Urss, che sa esprimere al meglio l'atteggiamento degli intellettuali che difendono il terrore comunista. Lode del comunismo (1933): "Gli sfruttatori lo chiamano delitto. / Ma noi sappiamo: / E' la fine dei delitti". A coloro che verranno (1938): "Voi che sarete emersi dai gorghi / Dove fummo travolti / Pensate / Quando parlate delle nostre debolezze / Anche ai tempi bui / Cui voi siete scampati. / Andammo noi, piú spesso cambiando paese che scarpe, / Attraverso le guerre di classe, disperati / Quando solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta. / Eppure lo sappiamo: / Anche l'odio contro la bassezza / Stravolge il viso. / Anche l'ira per l'ingiustizia / Fa roca la voce. Oh, noi / Che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, / noi non si poté essere gentili. / Ma voi, quando sarà venuta l'ora / Che all'uomo un aiuto sia l'uomo, / Pensate a noi / Con indulgenza". Nel marzo 1953: "Gli oppressi di tutti e cinque i continenti devono avere provato una stretta al cuore alla notizia della morte di Stalin. Egli era l'incarnazione delle loro speranze". Nel giugno 1953, in occasione della rivolta operaia repressa dai carri armati sovietici, Brecht scrive a Ulbricht per rinnovargli la manifestazione del suo attaccamento al regime. In quei giorni, dopo avere citato l'insoddisfazione di parte dei lavoratori berlinesi, dichiara: "Elementi fascisti organizzati hanno cercato di sfruttare questa insoddisfazione per i loro sanguinari propositi. Per diverse ore Berlino è stata sull'orlo di una terza guerra mondiale. Soltanto grazie al rapido e puntuale intervento delle truppe sovietiche questo tentativo è stato vanificato. E ovvio che l'intervento delle truppe sovietiche non era diretto in alcun modo contro le dimostrazioni dei lavoratori. E' evidente che era diretto esclusivamente contro il tentativo di provocare un nuovo olocausto"; "una marmaglia fascista e guerrafondaia", composta "di giovani diseredati di ogni risma", aveva invaso Berlino Est e soltanto l'esercito sovietico aveva impedito una nuova guerra mondiale. E il filosofo György Lukacs, ancora nell'intervista alla "New Left Review" del luglio-agosto 1971, sentenzia: "Il peggiore dei regimi comunisti è meglio del migliore dei regimi capitalisti".

Un posto a parte hanno le testimonianze degli intellettuali sulle condizioni di vita sovietiche (frutto di itinerari turistici sapientemente pianificati dal governo comunista). Nel 1928 Maksim Gorkij, vecchio simpatizzante bolscevico, deluso dei primi anni del regime sovietico ed esule in Occidente, accetta di visitare le isole Solovetskie, primo nucleo del Gulag, e le descrive in un libro assai elogiativo. Non è che il primo dei viaggi compiuti in Russia dai "compagni di strada". Il commediografo inglese George Bernard Shaw visita l'Urss nel 1931: ammira il realismo di Stalin, che a suo avviso corregge le utopie internazionalistiche di Lenin. Dichiara: "il socialismo della Russia è socialismo fabiano". Testimonia che l'Urss del 1930 non ha alcun problema alimentare e dice delle prigioni: "In Inghilterra un delinquente entra come un uomo normale e ne esce come "un tipo criminale", mentre in Russia egli entra come un tipo criminale e ne verrebbe fuori come un uomo ordinario, se lo si convincesse a venir fuori del tutto. Ma per quanto ho potuto capire loro potevano star dentro quanto tempo volevano". Si rifiuta di condannare la repressione staliniana: "Non possiamo permetterci di abbandonarci ad atteggiamenti morali quando il nostro vicino più intraprendente umanamente e coscienziosamente sta liquidando un manipolo di sfruttatori e di speculatori in modo che il mondo sia più pulito per l'uomo onesto"; "Stalin ha mantenuto le promesse fino a un livello che sembrava impossibile dieci anni fa; ed io, di conseguenza, mi tolgo il cappello davanti a lui". L'ex-presidente del consiglio francese Édouard Herriot visita l'Ucraina nel 1932 e non trova traccia di carestia. L'ascoltato giornalista della destra tedesca Ernst Niekisch visita l'Urss nel 1932 e torna impressionato dalle realizzazioni del piano quinquennale. I coniugi Webb, teorici del riformismo laburista, esaltano l'Urss già nel 1931, vedendovi la realizzazione di un socialismo tecnocratico. Visitano insieme l'Urss nel 1932 e Sidney vi tornerà da solo nel 1934. Il loro resoconto di viaggio si intitola Comunismo sovietico: una nuova civiltà? nella prima edizione del 1935 e Comunismo sovietico: una nuova civiltà (senza interrogativo) nella seconda del 1937. Definiscono "evidentemente libero da ogni forma di atrocità fisica" il sistema penale sovietico. Visitato anche il cantiere del canale del Mar Bianco, gestito dalla polizia politica, esaltano la capacità di redenzione del lavoro là svolto dai deportati, che, dicono, "facevano a gara" tra loro, coinvolti nell'"emulazione socialista"; sostengono che "questa partecipazione appassionata equivaleva a riconoscere ufficialmente la capacità dell'Ogpu non soltanto nel realizzare una grandiosa opera di ingegneria, ma soprattutto nell'ottenere una vittoria nel campo della rieducazione umana". Affermano: "Stalin non è un dittatore, ma un rappresentante al Soviet supremo dell'Urss regolarmente eletto in un collegio elettorale di Mosca". Non sono peraltro i soli laburisti inglesi ad ammirare Stalin: anche il teorico Harold Laski nel 1935, dopo un viaggio nell'Urss, giudica la prigione sovietica "infinitamente più avanzata" dell'inglese; e lo storico del socialismo G.H.D.Cole: "E' molto meglio essere governati da Stalin che da un gruppo di scemi e apatici socialdemocratici". Il romanziere Herbert Wells incontra Stalin nel 1934. Tornato in Inghilterra, riconosce la mancanza di libertà esistente nell'Urss, ma afferma che essa è giustificata dallo sforzo della creazione di una società razionale. Nel 1935 anche il filosofo di Cambridge Ludwig Wittgenstein visita l'Urss e per alcuni anni coltiva l'idea di trasferirvisi, convinto che essa rappresenti un'alternativa valida alla decadenza dell'Occidente. Lo impressiona l'assenza di disoccupazione. Dice: "La tirannia non mi indigna". Non mutano il suo atteggiamento né i processi di Mosca né il patto Stalin-Hitler. Vorrebbe vivere nell'Urss di Stalin, oppure nell'Italia di Mussolini, che gli paiono "paesi austeri". Nei primi anni '30 l'economista John Maynard Keynes studia l'agricoltura sovietica, ma non si accorge della carestia che la sta travolgendo. Dei processi pensa che siano sostanzialmente corretti e che sventino un tentativo rivoluzionario contro Stalin. L'industriale elettrico e petroliere francese Ernest Mercier visita l'Urss nel 1935 e torna entusiasta dei risultati del piano quinquennale. Anche lo scrittore pacifista Romain Rolland la visita nel 1935 e ne riporta un'impressione molto positiva. Nel 1936, a sua volta, l'ambasciatore americano Joseph Davis esalta il "liberalismo" della nuova costituzione sovietica. I riconoscimenti americani vengono anche da cariche più elevate. Nel 1944 sono nell'Urss il vicepresidente Henry Wallace e il democratico Owen Lattimore, professore alla John Hopkins. Visitano il campo di lavoro di Madagan a Kolyma, che per la durata della loro permanenza viene trasformato in campo modello senza torri di guardia e filo spinato, tanto che essi ne possono fare una descrizione idilliaca. Invece, gli italiani non comunisti, ovviamente, visitano l'Urss solo dopo la guerra. Nel 1950, la "diretta esperienza" di viaggio permette allo storico della letteratura Luigi Russo di testimoniare che "nessun altro popolo come i popoli sovietici è tanto geloso della propria libertà".

Esemplare anche la vicenda del filosofo e scrittore Jean-Paul Sartre. Nel 1947 rompe con Raymond Aron, nel 1948 con Arthur Koestler, nel 1951 con Maurice Merleau-Ponty, perché non accetta di seguire gli ex amici nella condanna dello stalinismo. Dopo un lungo periodo di polemiche col Pc francese, che ha raggiunto il culmine all'epoca di Le mani sporche, nel 1952 si riavvicina al partito e lo difende dalle accuse di dogmatismo dell'intellettuale comunista Pierre Hervé. Nel 1951-52 Sartre rompe anche con Albert Camus, a causa di L'uomo in rivolta, nel quale legge un attacco allo stalinismo. Rifiuta di pronunciarsi nelle polemiche sui campi di concentramento sovietici ("Non essendo noi membri del Partito né simpatizzanti dichiarati, non era nostro dovere pronunciarsi sui campi di lavoro sovietici") e sull'affare Slansky. Nel 1952 partecipa alla conferenza del movimento per la pace organizzata dai comunisti a Vienna, dichiarando, in modo evidentemente menzognero, che i tre più importanti eventi della sua vita sono stati il Fronte popolare del 1936, la Liberazione e "il presente congresso". Nel 1954, dopo un viaggio in Russia, in una serie di articoli per "Libération": "In Urss la libertà di critica è totale"; "I cittadini sovietici criticano il loro governo molto più apertamente e in modo più efficace di quanto non facciamo noi"; "La condizione dei cittadini sovietici è in costante miglioramento in una società che continua a progredire"; essi sono "ammirevolmente nutriti ed alloggiati", e che non si recano all'estero non perché il governo lo impedisca, ma perché non hanno alcun desiderio di farlo; "Il cittadino sovietico vive in un sistema competitivo a tutti i livelli, ma l'interesse del singolo e quello della collettività gli appaiono coincidenti"; "Oggi, nell'Urss, l'emancipazione delle donne è totale"; "L'appartenenza alla classe dirigente, qui, non è una sine cura, perché essa è sottoposta alla critica permanente di tutti i cittadini"; "L'Urss marcia verso il futuro". Rifiuta di accettare il rapporto segreto di Kruscev "per non togliere la speranza a Billancourt", cioè agli operai comunisti. Dichiara nel 1956: "Io, come voi, trovo inammissibile l'esistenza di quei campi di concentramento, ma è altrettanto inammissibile l'uso giornaliero che ne fa la stampa borghese". Lamenta che la denuncia sia stata compiuta da Kruscev "senza spiegazioni, senza analisi storica, senza prudenza".

L'antifascismo spesso induce anche i non comunisti a guardare con simpatia a Stalin e all'Urss. Nel giugno 1935, Willi Münzenberg, l'abile propagandista del Comintern, organizza a Parigi in chiave antifascista un "Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura". Vi partecipano nomi eccellenti della cultura progressista europea: Alain, Rolland, Barbusse, Aragon, Malraux, Gide, H.Mann, Brecht, Erenburg, A.Tolstoj. Il comunismo viene proclamato maggiore alleato dell'antifascismo. Ma Gaetano Salvemini è accolto con freddezza quando denuncia il caso di Victor Serge, perseguitato in Russia per le sue idee libertarie. Nella Cambridge della metà degli anni '30 i sovietici possono reclutare come spie alcuni studenti (il "ring of five": Anthony Blunt, Guy Burgess, David Maclean, John Cairncross e Kim Philby, tutti destinati a occupare ruoli di grande responsabilità nei ministeri e nei servizi segreti inglesi) che vedono nell'Urss il "baluardo contro il fascismo". Anche i progressisti italiani non comunisti si lasciano affascinare dall'Urss. Nel 1936 il giurista democratico Silvio Trentin, esponente di Giustizia e Libertà, esalta la nuova costituzione sovietica e dichiara che il terrore in Russia è ormai una pagina chiusa. Dopo la guerra, il filosofo Norberto Bobbio, in Politica e cultura (1955), pur sostenendo che il socialismo deve creare "nuove forme di libertà" senza abolire le antiche, ai paesi socialisti attribuisce il merito di avere "effettivamente iniziato una nuova fase di progresso civile, di democrazia sostanziale con la collettivizzazione degli strumenti di produzione", e concede che "il regime socialista, lungi dal sopprimere la libertà in astratto, sopprime le libertà che son diventate privilegi".

Neppure il Grande terrore staliniano del 1936-38 riesce a distruggere negli intellettuali il credito che l'Urss si è conquistata come baluardo dell'antifascismo. Nel 1936-37, impressionata dagli eventi sovietici, la Lega dei diritti dell'uomo (l'associazione formatasi tra gli intellettuali francesi all'epoca dell'affare Dreyfus per difendere i principi della libertà e della democrazia) promuove un'inchiesta: malgrado le critiche di una minoranza, la maggioranza, guidata dal radicale Victor Basch, sostiene la credibilità delle confessioni, ritenendo impossibile che esse siano tutte estorte e ricordando comunque che le rivoluzioni, come la francese, aprono la strada del progresso anche se possono occasionalmente macchiarsi di violenze. Henri Barbusse, scrittore premio Goncourt 1916, crede alle confessioni di Mosca. Lo scrittore tedesco Lion Feuchtwanger e l'ambasciatore americano Joseph Davis assistono personalmente ai processi e ne escono convinti della colpevolezza degli imputati. Upton Sinclair dice che le confessioni ai processi di Mosca non possono essere estorte, perché sono rese da personaggi che hanno saputo resistere alle torture della polizia zarista. Lattimore trova che i processi dimostrino il potere di denuncia di cui in Urss gode il cittadino comune e parla di "democrazia". I giornali liberal americani "The Nation" e "The New Republic" difendono con ostinazione la regolarità dei processi. Alcuni esponenti della sinistra libertaria americana, con l'appoggio del filosofo John Dewey, creano una commissione d'inchiesta per riesaminare i processi di Mosca. Ma contro di essa prendono pubblicamente posizione altri intellettuali, tra i quali gli scrittori Theodore Dreiser, Granville Hicks e Corliss Lamont. Brecht: "Anche i più feroci nemici dell'Unione sovietica e del suo governo sono stati costretti ad ammettere che i processi hanno chiaramente accertato l'esistenza di attive cospirazioni contro il regime. [...] A queste cospirazioni si sono uniti tutti i parassiti, i criminali di professione, gli informatori, tutta la feccia in patria e all'estero". Quando la sua ex amante Carola Neher viene arrestata a Mosca, dice: "Se è stata condannata, dovevano esserci delle prove contro di lei". Brecht peraltro commenta anche cinicamente: "più innocenti sono, più si meritano una pallottola in testa". Lo scrittore francese André Malraux: "Proprio come l'Inquisizione non distrusse la fondamentale dignità del cristianesimo, così i processi di Mosca non hanno diminuito la fondamentale dignità del comunismo".

Anche le denunce del Gulag trovano scarso seguito. André Gide visita l'Urss nel 1936, e, a differenza dei più, non ne riporta un'impressione positiva. In Ritorno dall'Urss (1936) denuncia la repressione staliniana, ma la denuncia viene accolta con indignazione dagli intellettuali comunisti e antifascisti. In Ritocchi (1937) Gide ribadisce le sue osservazioni e anzi paragona il terrore comunista a quello fascista. Le prime ampie testimonianze sul Gulag vengono dai polacchi rilasciati nel 1941-42. I casi più significativi sono però del dopoguerra. Viktor Kravcenko, un membro della commissione sovietica per gli acquisti tecnologici inviato dall'Urss negli Stati Uniti nel 1943, decide di restare in America. Nell'aprile del 1944 rompe con Mosca e quindi scrive e pubblica un libro, Ho scelto la libertà, dove spiega le cause di questa rottura, racconta della vita in Unione Sovietica e della politica di Stalin nei confronti dei contadini, degli ingegneri e dei vecchi bolscevichi. Il libro viene tradotto in ventidue lingue e letto dappertutto. In Francia esce nel 1947. Per al prima volta, la Francia e il mondo occidentale tutto discutono dei lager sovietici. Allora, il settimanale letterario francese vicino al Pcf "Les Lettres Françaises", diretto da Aragon, inizia una campagna contro Kravcenko, infangandone il nome, offendendolo, sostenendo che il libro non è stato scritto da lui e che l'autore è un fascista che porta acqua al mulino di Hitler. La rivista soprattutto nega l'esistenza dei campi di concentramento. Kravcenko reagisce e intenta causa per diffamazione contro la rivista. Il processo si tiene tra il gennaio e il marzo 1949, concludendosi peraltro con una sentenza favorevole a Kravcenko. Ma è significativo il fatto che la rivista abbia potuto citare come testimoni intellettuali e politici prestigiosi: Fernand Grenier, deputato comunista, ministro nel 1944, racconta che nei suoi due viaggi in Urss, 1933 e 1936, ha visto solo contadini russi felici. Vercors, resistente, autore del Silenzio del mare, dichiara che nel libro di Kravcenko si sente "aria di Vichy" e che esso non avrebbe mai potuto essere pubblicato all'indomani della liberazione. Lo storico Jean Baby dichiara che il resoconto della situazione russa è del tutto implausibile. Il presidente dell'Associazione francese dei deportati, Lampe, dichiara che i russi amano la patria, e che quelli che dicono di scegliere la libertà, scelgono di fatto il tradimento. Il filosofo Roger Garaudy mette in ridicolo il libro e ironizza sull'affermazione che sotto lo zarismo c'erano migliaia di persone in carcere, mentre sotto il comunismo ce ne sono milioni. Lo scienziato premio Nobel Frédéric Joliot-Curie testimonia che i russi sono felici e sostengono il regime, definendo quello di Kravcenko "un libro sporco". Quando Kravcenko viene invitato in Italia, il Pci stesso organizza prontamente una serie di manifestazioni ostili. Dal novembre 1950 al gennaio 1951 si tiene a Parigi un secondo processo tra "Les Lettres Françaises" e David Rousset, intellettuale ex trotskista, già deportato dai tedeschi, che nel 1946 ha ricevuto il premio Renaudot per il libro L'univers concentrationnaire e che nel novembre 1949 ha lanciato un appello agli ex deportati nei lager nazisti perché formino una commissione d'inchiesta sui lager sovietici. In seguito al suo appello, nel febbraio 1950, Margarete Buber-Neumann in Pour l'enquête sur les camps soviétiques. Qui est pire, Satan ou Belzébuth? sul "Figaro littéraire" racconta della sua duplice esperienza di deportata nei campi sovietici e nazisti (comunista esule in Russia all'avvento del nazismo, poi deportata nel Gulag all'epoca del Grande terrore, con altri 500 comunisti tedeschi era stata riconsegnata alla Gestapo, dopo il patto Stalin-Hitler). In appoggio ai dissidenti sovietici e per contrastare le iniziative dell'Urss per guadagnare un'egemonia sul mondo della cultura occidentale, i maggiori intellettuali anticomunisti (tra gli altri, Croce, Dewey, Jaspers, Maritain, Russell, Aron, Auden, Caillois, Camus, Faulkner, Malraux, Th.Mann, Queneau, Seton-Watson, Salvatorelli, Salvemini, Spadolini, Silone, Soldati) promuovono un Congresso per la Libertà della Cultura, che si insedia a Parigi nel 1952, ma trova un ambiente complessivamente ostile. Pablo Neruda ancora nel 1972 giudica "problemi assolutamente personali" quelli incontrati da Solzhenitsyn, aggiungendo: "non ho alcuna voglia di diventare uno strumento di propaganda antisovietica".

Le case editrici ritardano la denuncia dei crimini comunisti. Boris Souvarine, francese convertito al bolscevismo dall'Ottobre, poi espulso dall'Urss per trotskismo, nel 1935 trova difficoltà a pubblicare il suo Stalin, che Gallimard rifiuta e accetta invece Plon, malgrado l'opposizione del filosofo Gabriel Marcel. All'epoca il timore è quello di indebolire il Fronte popolare e l'antifascismo. Negli anni '40 il timore sarà quello di incrinare l'alleanza occidentale-sovietica. Nel 1944 lo scrittore inglese libertario George Orwell scrive La fattoria degli animali, opera di critica molto radicale, e abbastanza trasparente, al regime sovietico. Cerca di farla pubblicare dalla casa editrice Macmillan, diretta in quel momento dal grande poeta inglese di orientamento cattolico conservatore Thomas Eliot, ma ottiene un rifiuto. Del tutto speciali le resistenze editoriali in Italia. La società aperta di Popper (1945) viene pubblicata in Italia solo nel 1974. Socialismo di von Mises dopo 70 anni. La via della schiavitù di von Hayek dopo quasi 60 anni. Gustaw Herling, Un mondo a parte (1951) è la prima opera letteraria a denunciare il gulag. In Italia resta quasi sconosciuta fino alla terza edizione del 1992 presso Feltrinelli. Nel 1975 Einaudi respinge la pubblicazione di Kolyma di Varlam Shalamov, proposta da Vittorio Strada. Il "Corriere della Sera" sotto la direzione di Ottone decide di annullare un'anteprima dall'edizione di racconti che stava per essere edita da Savelli nel 1976. Guido Ceronetti, che giudica Shalamov testimone dell'orrore del XX secolo pari a Kafka e Céline, propone Kolyma ad Adelphi a metà degli anni Ottanta, ma Adelphi lo pubblica solo nel 1995. Nel 1995, infine, Einaudi pubblica l'intera opera, ma annulla l'introduzione di Herling e Piero Sinatti. Il Grande Terrore di Robert Conquest, l'opera fondamentale sulle purghe staliniane, tradotta per Mondadori nel 1970, resta introvabile per decenni, finché Rizzoli non la ripubblica nel 1999.


Gli intellettuali cercano nuovi paradisi. Col XX congresso del Pcus e l'invasione dell'Ungheria, nel 1956, il fascino dell'Urss sugli intellettuali comincia a declinare. Ma non pochi trovano presto nuovi miti. All'indomani della rivoluzione di Castro, l'economista americano Paul Baran prevede che a Cuba il socialismo riuscirà a produrre una ricchezza "di proporzioni gigantesche". Sartre, che è diventato antisovietico dopo i fatti d'Ungheria, e il sociologo americano Charles Wright Mills visitano a Cuba. La lasciano pieni di speranza. Dichiara Sartre: "Il paese emerso dalla rivoluzione cubana è una democrazia diretta". Molti intellettuali occidentali, soprattutto americani, si recano annualmente a Cuba per partecipare al taglio della canna da zucchero insieme alla Brigata Venceremos. Molto affascinati da Castro sono in particolare i leader della protesta nera negli Usa. Così, Angela Davis: "tagliare la canna da zucchero era diventata una cosa qualitativamente diversa con la rivoluzione". E il teorico delle Pantere Nere Huey Newton: la società cubana "è veramente, per ognuno, una grande famiglia che si preoccupa del benessere di tutti". Al Congresso culturale cubano del 1968 partecipano tra gli altri lo psichiatra David Cooper, lo scrittore e disegnatore Jules Feiffer, lo storico Eric Hobsbawm, gli scrittori H.M.Enzensberger e Susan Sontag. Tutta la sinistra europea condanna l'intervento americano in Vietnam, ma la guerra spinge anche diversi intellettuali americani a solidarizzare con il governo di Hanoi, chiudendo gli occhi sulla brutalità della dittatura comunista. Le scrittrici Susan Sontag e Mary Mc Carty visitano il Vietnam e assicurano che i vietnamiti si preoccupano molto coscienziosamente della salute degli americani catturati. La Sontag: "Quando l'amore entra nella sostanza delle relazioni sociali, il legame di un popolo ad un singolo partito non è necessariamente disumanizzante". L'attrice Jane Fonda invita le truppe americane a solidarizzare con i vietnamiti parlando da Radio Hanoi. Neppure il disimpegno americano del 1973 consente sempre di recuperare un atteggiamento lucido nei confronti del regime vietnamita. Un manifesto del 1977, firmato tra gli altri, dall'economista Paul Sweezy, dallo scrittore David Dellinger e dal filosofo e poeta Corliss Lamont, dichiara: "l'attuale stato di sofferenza in cui si trova il popolo vietnamita è in gran parte conseguenza della guerra, di cui gli Stati uniti continuano ad avere la responsabilità". Nel 1979 Corliss Lamont e altri attaccano la cantante Joan Baez che ha osato criticare il regime vietnamita, assicurando che "il Vietnam gode ora di diritti umani come non è mai avvenuto nel corso della sua storia". Ma è soprattutto la Cina di Mao, in particolare la Cina della Rivoluzione culturale, che si conquista negli anni '60 e '70 la fama di regime capace di realizzare un vero protagonismo popolare. La scrittrice Maria Antonietta Macciocchi è la sua propagandista più entusiasta: la Cina è "il più straordinario laboratorio politico del mondo", dove "la politica significa sacrificio, coraggio, altruismo, modestia e frugalità". Sartre e la sua compagna, la scrittrice Simone De Beauvoir, la visitano e la esaltano. La De Beauvoir sentenzia: "la diversità con il sistema staliniano è evidente, dal momento che in Cina non esiste nessun tipo di internamento amministrativo". Esalta il sistema carcerario cinese, contrapponendolo alle prigioni di Chicago, che ha visitato, e loda il sistema maoista della delazione, perché in Cina "la giustizia è organizzata per il bene della gente". Nega che gli intellettuali siano sottoposti a pressioni: "Ogni scrittore decideva per suo conto su che cosa avrebbe scritto il suo prossimo libro". Inoltre, è pensando alla Rivoluzione culturale che Sartre dichiara nel 1971: "L'intellettuale che non combatte, sia fisicamente che intellettualmente, in prima linea contro il sistema è uno che, fondamentalmente, sostiene il sistema, e dovrebbe essere giudicato di conseguenza"; "Quando i giovani si scontrano con la polizia, nelle piazze, il nostro dovere non è soltanto di dimostrare che i poliziotti sono violenti, ma unirci alla gioventù nella pratica della controviolenza"; "L'intellettuale, più di ogni altro, deve capire che ci sono soltanto due tipi di persone: l'innocente e il colpevole. Quindi comportarsi di conseguenza". Sotto l'influenza del maoismo, Sartre è disposto a tollerare ogni forma di violenza, purché non esercitata attraverso apparati burocratici. Dice: "Devi sempre stare dalla parte della rivoluzione e se finisce male, se sarò tradito, cambierò idea". Esalta il terrorismo palestinese: "il terrorismo è l'arma del povero"; e giunge perfino a difendere la strage di Monaco. Ma già negli anni '60 aveva fatto l'apologia della violenza. Aveva scritto nella prefazione a Franz Fanon, Dannati della terra (1961): "uccidere un europeo è conseguire contemporaneamente due scopi: eliminare l'oppressore e l'uomo che di quell'oppressione è il frutto". Nel 1962: "A mio giudizio il problema di fondo è di rifiutare la tesi secondo cui la sinistra non dovrebbe mai rispondere alla violenza con la violenza". Nel 1968 saluta le barricate studentesche in un'intervista a Radio Lussemburgo: "La violenza è l'unica cosa che resta agli studenti che non sono ancora entrati nel sistema creato dai loro padri"; "Nei nostri paesi occidentali infiacchiti, l'unica forza di contestazione di sinistra è costituita dagli studenti". Nella primavera 1970 accetta di fare parte del gruppo maoista Sinistra Proletaria e diviene direttore responsabile del suo giornale "La Cause du Peuple" (che incita i militanti a chiudere nelle "prigioni del popolo" i direttori delle fabbriche e a linciare deputati e ministri). Della Cina anche lo storico inglese Basil Davidson loda il "rimodellamento" degli scrittori, mentre lo svedese Jan Myrdal, esponente del movimento studentesco, loda la maoista "rieducazione" degli intellettuali nelle campagne come provvedimento capace di abolire il carattere castale della cultura. Davidson nota anche come dopo la rivoluzione cinese "non ci fosse più bisogno di scioperare per i lavoratori". Perfino la Cambogia dei Khmer rossi ha trovato difensori. Il linguista americano Noam Chomsky ancora nel 1977 giudica "storie" quelle delle atrocità khmer e "assolutamente inattendibili" i racconti dei profughi. Sostiene che le esecuzioni si contano al massimo nell'ordine delle centinaia, e che esse, comunque, vanno spiegate con "la minaccia di fame derivante dalle distruzioni e dagli assassinii americani". Mentre Jan Myrdal e il vecchio radicale americano Scott Nearing (già apologeta dell'Urss negli anni '30) descrivono con entusiasmo anche l'Albania comunista di Enver Hoxha, che hanno potuto visitare.

agaragar
11-10-02, 18:00
IL PARADIGMA DEL TERRORE DI MASSA: L'URSS DI LENIN E STALIN
veramente stalin imprigionò diversi leninisti

e probabilmente fece uccidere lo stesso lenin.

Luca66
23-06-04, 21:21
di Stéphane Courtois




La vita ha perso contro la morte,
ma la memoria vince
nella lotta contro il nulla.
TZVETAN TODOROV, Les abus de la mémoire

Si è potuto scrivere che «la storia è la scienza dell'infelicità degli
uomini», e la violenza del Novecento sembra confermare questa formula in
modo eloquente. Certo, nei secoli precedenti pochi popoli e pochi paesi sono
stati risparmiati dalla violenza di massa. Le principali potenze europee
sono state implicate nella tratta dei neri; la Repubblica francese ha messo
in atto una colonizzazione che, nonostante alcuni apporti positivi, è stata
caratterizzata sino alla fine da episodi raccapriccianti. Negli Stati Uniti
persiste una cultura della violenza che affonda le proprie radici in due
crimini principali: la schiavitù dei neri e lo sterminio degli indiani.

Rimane, comunque, il fatto che, sotto questo aspetto, il nostro secolo
sembra avere superato i precedenti. Guardandolo retrospettivamente, non ci
si può esimere da una conclusione sconcertante: il Novecento è stato il
secolo delle grandi catastrofi umane. Due guerre mondiali e il nazismo,
senza dimenticare le tragedie più circoscritte dell'Armenia, del Biafra, del
Ruanda e di tanti altri paesi. L'impero ottomano ha proceduto, infatti, al
genocidio degli armeni e la Germania a quello degli ebrei e degli zingari.
L'Italia di Mussolini ha massacrato gli etiopi. I cechi ammettono a fatica
che la loro condotta nei confronti dei tedeschi dei Sudeti, nel 1945-1946,
non è stata delle più irreprensibili. E la stessa piccola Svizzera deve fare
i conti con il proprio passato di depositaria dell'oro rubato dai nazisti
agli ebrei sterminati, anche se il grado di atrocità di tale comportamento
non è assolutamente paragonabile a quello del genocidio.

Il comunismo si inserisce nel medesimo lasso di tempo storico fitto di
tragedie e ne costituisce, anzi, uno dei momenti più intensi e
significativi. Il comunismo, fenomeno fondamentale di questo Novecento, il
secolo breve che incomincia nel 1914 e si conclude a Mosca nel 1991, si
trova proprio al centro dello scenario storico. Un comunismo che preesisteva
al fascismo e al nazismo e che è sopravvissuto a essi, toccando i quattro
grandi continenti.

Che cosa intendiamo esattamente con il termine «comunismo»? È necessario
stabilire subito una distinzione fra la dottrina e la pratica. Come
filosofia politica, il comunismo esiste da secoli, se non da millenni. Non è
stato forse Platone, nella Repubblica, a esporre per primo l'idea di una
città ideale in cui gli uomini non fossero corrotti dal denaro e dal potere
e in cui comandassero la saggezza, la ragione e la giustizia? Un pensatore e
statista del rango di Tommaso Moro, cancelliere d'Inghilterra nel 1529,
autore della famosa Utopia e morto per mano del boia di Enrico VIII, non è
stato forse un altro precursore di quest'idea di città ideale? L'approccio
utopico sembra perfettamente legittimo come strumento critico della società:
esso partecipa del dibattito ideologico, ossigeno delle democrazie. Ma il
comunismo di cui trattiamo in questa sede non si colloca nel mondo delle
idee. È un comunismo reale, che è esistito in una determinata epoca, in
determinati paesi, incarnato da leader famosi: Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi
Minh, Castro ecc. e, più vicino alla storia nazionale francese, Maurice
Thorez, Jacques Duclos, Georges Marchais.

Il comunismo reale, in qualunque misura sia stato influenzato nella sua
pratica dalla dottrina comunista anteriore al 1917 - problema su cui
ritorneremo -, ha comunque messo in atto una repressione sistematica, al
punto da eleggere, nei momenti di parossismo, il terrore a sistema di
governo. L'ideologia è, dunque, innocente? I nostalgici e coloro che
ragionano con una mentalità scolastica potranno sempre sostenere che questo
comunismo reale non aveva niente a che vedere con il comunismo ideale. E
sarebbe evidentemente assurdo imputare a teorie elaborate prima di Cristo,
durante il Rinascimento o ancora nell'Ottocento, eventi prodottisi nel XX
secolo. Ma, come osservò Ignazio Silone, le rivoluzioni come gli alberi si
riconoscono dai loro frutti. Non a caso i socialdemocratici russi, meglio
noti come «bolscevichi», nel novembre del 1917 hanno deciso di chiamarsi
«comunisti». Non a caso, ancora, hanno eretto ai piedi del Cremlino un
monumento in onore di coloro che consideravano i loro precursori: Moro e
Campanella.

Al di là dei crimini individuali, dei singoli massacri legati a circostanze
particolari, i regimi comunisti, per consolidare il loro potere, hanno fatto
del crimine di massa un autentico sistema di governo.

Antoneddu
23-06-04, 21:28
Perchè definire comunisti questi individui?
Questi personaggi non sono altro che delinquenti comuni, usano il comunismo come scudo.
E questo vale per tutti coloro che per giustificare i genocidi che commettono, si proclamano di destra di sinistra o di qual si voglia ideale politico.

La parola è sempre la stessa "DELINQUENTI"

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24-06-04, 01:04
In Origine postato da Luca66
di Stéphane Courtois




Che cosa intendiamo esattamente con il termine «comunismo»? È necessario
stabilire subito una distinzione fra la dottrina e la pratica. Come
filosofia politica, il comunismo esiste da secoli, se non da millenni. ......L'approccio
utopico sembra perfettamente legittimo come strumento critico della società:
esso partecipa del dibattito ideologico, ossigeno delle democrazie.........È un comunismo reale, che è esistito in una determinata epoca, in
determinati paesi, incarnato da leader famosi: Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi
.


dell'articolo tieni buone queste parole, butta via tutta la retorica dell'anti a tutti i costi, dai un occhio al post precedente e hai la tua risposta.... se la cerchi veramente....

ariel
24-06-04, 01:32
Communism's Horrors: From Never Known to Never Forget

By Joseph Kellard

June 5, 2002


While growing up during the 1970s and '80s, I encountered many documentaries and movies on Nazism and its necessary outcome of skeletal bodies pilled on top of each other in death camps. I never encountered any documentaries or movies on Communism's horrors. Instead, during my high school years, "Reds," a movie that glorifies American Communist John Reed and his part in the Russian Revolution, received high praise and Oscar awards in Hollywood. Every four years I watched televised coverage of the Olympics featuring profiles on athletes from Communist nations who, I would later discover, were financed by their governments to make their privileged lives appear normal to the world. During my youth, I was aware that Soviet citizens waited hours on lines for basic needs, were imprisoned for mere political dissention, and were prohibited from freely leaving their country. But I was never taught that the essence of Communism's history is enslavement, privation and, in particular, starvation and mass death. That history only began to unfold for me during the 1990s.

How is it that I, an average American who grew up generally knowledgable about major historical events and circumstances, was approaching my 30s but never knew that approximately 100 million people were slaughtered under Communist regimes? Why had the Holocaust long ago been seared into my head (as it should have been), but I was never taught that the number of victims in Soviet Russia was roughly 20 million, China -- 65 million, Vietnam -- 1 million, North Korea -- 2 million, Cambodia -- 2 million, Eastern Europe -- 1 million, Africa -- 1.7 million, Afghanistan -- 1.5 million, and more elsewhere, such as Cuba and Latin America?1

There are various legitimate but derivative explanations as to why Communism's incomparable bloody history has been largely obscured or untold compared to Nazism's record. One of them is that Adolph Hitler's Thousand Year Reich was destroyed in 12 years, and cameras were there in 1945 to capture the skeletal bodies in Auschwitz and Buchenwald -- which were turned into museums so that people never forget what Nazism led to. Conversely, the barbed wired, heavily guarded Communist slave state in Russia was sustained for over 70 years, and decades before it collapsed the gulags (i.e., the original concentration camps) were bulldozed by Nikita Khrushchev during his "de-Stalinization."2 Further, during the Soviet Union's early years, under Vladimir Lenin and Joseph Stalin, the West's knowledge about its horrors emerged slowly, mostly through its defectors.

It was through one of those defectors, Ayn Rand, whose 1936 novel We The Living used Communist Russia as its backdrop, and Soviet dissident Alexander Solzhenitsyn, whose 1962 novel One Day I the Life of Ivan Denisovich revealed the brutal conditions of the gulag system, that I finally began to learn more about the horrors of life under Communism. In his introduction to the sixtieth anniversary edition of We The Living in 1996, philosopher Leonard Peikoff tells about how Miss Rand, his mentor and close associate, wrote in a letter in 1934 that readers' reaction to her manuscript for the novel was one of "complete amazement at the revelation of Soviet life as it is actually lived." Peikoff replies: "Almost sixty years later, I cannot resist adding, the grandchildren of such readers were still being amazed by Soviet life, this time as they watched it lead to the collapse of the entire Soviet structure."3

Being one of those grandchildren, I cannot resist adding that many more people are bound to be amazed at life under Communist regimes when the Victims of Communism Memorial Museum opens as planned in Washington, D.C., in 2007. The museum, modeled after the United States Holocaust Memorial Museum in our nation's capital, will memorializing their 100 million victims. It will honor the people who led the fight against Communism, and it will serve as an educational research center about Communism, according to Lee Edwards, president of the museum's foundation.

For the VOC Memorial Museum to successfully educate it patrons, however, it must probe deeper than, say, the immediate economic or political causes of Communism's concrete manifestations, from its privations -- the scarce one-room city apartments with large, intergenerational families crammed into them -- to its great atrocities -- the famine- and disease-infested countrysides where cannibalism and mass death were widespread. It must demonstrate, above all, that these conditions amounted to one ultimate cause: Communism's fundamental ideas, particularly its moral ideal which explains why, when compared to Nazism, Marxism's horrors have been meet with a dismissive or blind eye by many people.

Those horrors existed from Communism's concrete establishment in 1917. As Stephane Courtois, director of research at the Centre National de la Recherche Scientifique in France, writes in The Black Book of Communism: "Having gone beyond individual crimes and small-scale ad-hoc massacres, the Communist regimes, in order to consolidate their grip on power, turned mass crime into a full-blown system of government."4

Consider that during czarist rule from 1825 and 1917, approximately 3,932 people were executed for their political beliefs or activities. By contrast, the Bolsheviks -- after holding power for just four months -- had executed 15,000 people.5 Moreover, under the czars, with their primitive methods of agriculture, Ukraine was known as the bread basket of the world; its grain was a major Russian export. But from 1932 to 1933, after peasants rebelled against Stalin's collectivization of their farms that forced them to relinquish their grain to the government, an estimated 6 to 7 million Ukrainians were deliberately starved to death by his engineered famine.

``If you go now to the Ukraine or the North Caucuses,'' wrote Malcolm Muggeridge, a British journalist, in 1933, ``exceedingly beautiful countries and formerly amongst the most fertile in the world, you will find them like a desert; . . . no livestock or horses; villages deserted; peasants famished, often their bodies swollen, unutterably wretched.''6

To reveal a significant immediate explanation as to why Communism's horrors were slow to reach the West, the VOC Memorial Museum should exhibit accounts such as Muggeride's and contrast them with opposite reports. For example, Edouard Harriot, a senator and leader of the Radical Party in France, wrote on his return from that region the same year: "I have crossed the whole of Ukraine, and I can assure you that the entire country is like a garden in full bloom."7

The lesson here is that these enormous, horrendous deceits, practiced primarily by Western left-wing intellectuals, politicians and journalists sympathetic to the Communist cause, were prevalent and necessary to cover-up Communism's true nature. As Harriot's report illustrates, they helped conceal how Communist regimes often used mass famine, for example, as a weapon against "enemies of the people" -- who was any individual in any social group merely suspected of opposing them. The effect was that when Communist sympathizers were faced with Muggeride-like reports they could dismiss their truths as lies. The broader, long-term effect is that most people are well aware that 6 million Jews were sacrificed under Hitler's Nazi regime, yet still few of them know that 20 million Chinese were sacrificed in history's greatest mass famine during Communist dictator Mao Zedong's Great Leap Forward of 1959 to 1961,8 or that a third of Cambodia's citizens were sacrificed in what was the greatest proportion of a population slaughtered by a Communist dictatorship when Pol Pot's Khmer Rouge ruled from 1975 to 1979.9

But what is it that Communism's apologists fundamentally hold that has led to their effort to conceal or at least downplay these horrors?

The answer, which the VOC Memorial Museum must address, lies in the fact that they still hold Communist theory in high regard. Unable to evade any longer Communism's record of mass slaughter, least they become as detached from reality as the deniers of the Holocaust, they nonetheless still hold that Communism is noble in theory but failed in practice because its dictators themselves were evil and failed to properly implement Marxist ideology. Today, they maintain that faith despite that among the central tenants of Karl Marx's Communist Manifesto are calls for the start of violent force against the bourgeois and the establishment of a proletariat dictatorship -- which led to the mass death tolls in each nation that adopted this ideology. Earlier this year I watched a C-SPAN segment on Communism in which a professor from a small Pennsylvania college basically promoted the noble-in-theory faith, and it was left unchallenged by the moderator and the viewing audience. Would a Nazi apologist even be invited on a highly respected cable television station, let along face no condemnation for suggesting that Nazism is noble in theory but failed only because Hitler was evil? Never -- and rightfully so. Yet, in fact, Communism's horrors are the necessary end of the same fundamental philosophy championed by Nazism.

Therein lies what Communism's apologists still refuse to face, and they rationalize mass murder to accommodate their evasions.

"A free people cannot afford to forget the evils of Communism," states the VOC Memorial Museum's web site.10 Yet what the museum must ensure its patrons "never forget" is that like Nazism there is nothing "noble" about Communism. Contrary to what religious conservatives believe, Communism is not evil because it is "godless" and (allegedly) based on reason and science. Rather, its evil is rooted in its most fundamental ideas: faith, self-sacrifice and collectivism. In fact, Communism embodies a secularized form of religion by demanding faith in and sacrifice for a different ideal. While Christianity commands the individual to have faith in and sacrifice for God -- a supernatural being that is everything in general and nothing in particular -- Communism demands that the individual have faith in and sacrifice for "society" -- a mystical-like entity that is no one in particular and everyone in general except yourself.

When faith replaces reason as man's means to knowledge, then physical force becomes his only means left to deal with other men. In reality, a classless society is unattainable, so Communism must demand faith in Marx's mythical ideal. Any individual who is without this faith is deemed an enemy to be dealt with by force. That is why even though their scapegoat is the bourgeois (the individuals whose abilities make them rise in distinction from others), whose property must be confiscated and (allegedly) redistributed to the lower classes, Communists have used force against the collectives they claim to champion -- the workers and peasants.

As Ayn Rand wrote in her essay "Faith and Force: The Destroyers of the Modern World":

"If service and self-sacrifice are a moral ideal, and if the 'selfishness' of human nature prevents men from leaping into sacrificial furnaces, there is no reason -- no reason that a mystic moralist could name -- why a dictator should not push them in at the point of bayonets -- for their own good, or the good of humanity, or the good of posterity, or the good of the latest bureaucrat's latest five-year plan. There is no reason that they can name to opposed any attrocity."11

Thus, through its faith-based worship of a collective and its enforcement of self-sacrifice, Communism is fundamentally akin to Nazism. Just as Nazism holds that the individual must subordinate his himself to the racial collective and sacrifice for the dictatorship of the Aryans, with the Jews as the hated scapegoat who must be exterminated, so Communism holds that the individual must subordinate himself to the class collective and sacrifice for the dictatorship of the proletariats, with the individuals of ability as the hated scapegoat who must be exterminated.

The answer to why leftists refuse to accept that both ideologies are two sides of the same philosophical coin lies in what is supposedly "noble" about the form of self-sacrifice they champion. It came to me in a reply I received from Leonard Peikoff when I once asked him how Communism, which slaughtered many more people than Nazism (four times as many people), escaped much worldwide condemnation, and how Communists escaped punishment.

In part, he said:

"[C]ommunism preaches altruism [i.e. self-sacrifice] in a form congenial to Western intellectuals. They think that the rich should sacrifice to the poor, that the rich are corrupt, that the have-nots should triumph. So it's essentially Christianity. It is the Bible secularized [into] the state….And therefore, it's no shock to the intellectuals. On the contrary, it's just the practical implementation of the religion that they're all brought up in and still believe. Nazism is the same thing, but it's variant of the givers and takers of sacrifice is unpopular….It's a racial, rather than an economic, form of division. So it's got the master race and the inferior race. Whereas in Communism, there is the master poor and the inferior rich, and that's just what the Bible told us. The Bible never said anything about Germans vs. Jews, and so there's no [dogma] from God on that question."12

Because leftists still clutch to the corrupt belief that productive wealth creation is, at root, immoral, as justified by traditional religious ethics, they still uphold as ideal the sacrifice of the productive individual to the class collective, whether he sacrifices voluntarily (through unwarranted guilt) or at the point of government guns.

Without demonstrating for its patrons the correlation between Communism's fundamental philosophic ideas and their horrific concrete manifestations in each nation where they were implemented, without calls to morally condemn those ideas and the people who practice or appease them, and without promoting their antithesis in reason, individual responsibility, rational self-interest and capitalism, the VOC Memorial Museum will ultimately prove to be ineffective in helping to prevent those horrors from happening again. Tragically, they will never be forgotten because, in some form, they will continue to occur, as they do today in Communist Cuba, North Korea and China.


References:

1. The Black Book of Communism, Stephane Courtois, et al., p. 4.
2. Ibid., forward p.xiii.
3. We The Living, introduction to 60th Anniversary edition, p.x.
4. The Black Book of Communism, p.2.
5. The Black Book of Communism, Forward xviii & p.13.
6. "To the Victims of Communism, Lest We Forget," Jeff Jacoby, Boston Globe, December 7, 1995.
7. The Black Book of Communism, p.159
8. Ibid., forward xviii
9. Ibid., p. 4
10. www.victimsofcommunism.org
11. Philosophy: Who Needs It?, p.69.
12. www.peikoff.com/fordhall.htm ("The One in the Many: How to Create It and Why" - Q & A)

* Joseph Kellard is a journalist and freelance editorialist living in New York. He also publishes a cultural-political e-mail newsletter. To receive information about his writing services and publication, contact Mr. Kellard by e-mail at: Josephkellard@theai.net
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24-06-04, 10:28
scusate, luca66 e ariel, ma invece di continuare a postare articoli, dire un po' cosa pensate voi, troppo difficile?

Egol
24-06-04, 13:46
infatti, i comunisti mica sn tutti così!anzi x me quelli nn li possiamo neanke definire comunisti, x me sn sl dei bastardi fanatici!quindi prima di definire un ideale vedi di sapere meglio cosa significa!io sn socialista, nn comunista, ma ritengo i comunisti miei fratelli d'idea quindi nn posso permettere ke vengano insultati!

Egol

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24-06-04, 14:17
In Origine postato da Eegol
infatti, i comunisti mica sn tutti così!anzi x me quelli nn li possiamo neanke definire comunisti, x me sn sl dei bastardi fanatici!quindi prima di definire un ideale vedi di sapere meglio cosa significa!io sn socialista, nn comunista, ma ritengo i comunisti miei fratelli d'idea quindi nn posso permettere ke vengano insultati!

Egol


cadi anche tu nello stesso errore: io sono, io non sono.....:questo è autodefinirsi.

qui non è una questione di formule (comunista= a+b+c)

altrimenti si torna al solito problema: egol si autodefinisce socialista (quindi viene ritenuto da tutti socialista) egol è il capo dei socialisti. egol commette un reato egol è un ladro. tutti i socialisti sono ladri. il socialismo porta necessariamente al furto.

....ma nessuno si pone la domanda: ma egol è veramente socialista? o quali sono le caratteristiche perchè una persona-governo si possa definire socialista?

o continuiamo a ragionare con schemi già prestabiliti ESCLUSIVAMENTE PER FINI DI PROPAGANDA?

....ovviamente questo ragionamento vale per tutti i personaggi-ideologie-governi....

cerchiamo di ragionare col nostro di cervello invece di prendere sempre x oro colato tutto quello che ci capita sott'occhio.

ariel
26-06-04, 03:55
il comunismo è un'ideologia brutale, terrorista ed assassina. Si vergognino quelli che ancora la professano.

Il comunismo è incompatibile con:
libertà
dignità
amore
solidarietà
tolleranza
pace

ecco cosa penso del comunismo...

marcejap
26-06-04, 20:17
In Origine postato da ariel
il comunismo è un'ideologia brutale, terrorista ed assassina. Si vergognino quelli che ancora la professano.

Il comunismo è incompatibile con:
libertà
dignità
amore
solidarietà
tolleranza
pace

ecco cosa penso del comunismo...

Amore, appunto.

Dato l'odio che ti pervade, carissimo ariel, i tuoi post sono la dimostrazione più che evidente che sei comunista fin nel midollo. :D

Libera la tua mente. Smetti di andare contro il tuo vero io. Tu sei un comunista! Convincitene!

ariel
29-06-04, 01:40
COMMUNISM IN AMBUSH
http://harun-yahya.cnrglab.itb.ac.id/images/books/cover/communismk.jpg

How the Scourge of the 20th Century Is Preparing For Fresh Savagery


THE HISTORY OF BOLSHEVIK SAVAGERY

Joseph Stalin, the murderer of 40 million people

The 20th century was the bloodiest period in human history, with world wars, genocide, concentration camps, the development of chemical and nuclear weapons, bombings, guerilla wars, and terrorist activities unheard before. As a result of this savagery, the number of dead is estimated in the hundreds of millions.

Why was the last century so bloody? First, advancing technology led to the development of weapons much more lethal than earlier ones. But the second and most important reason was that ideologies caused these weapons to be employed with terrible cruelty. The 20th century saw the violent harvest of the various "isms" that were founded in the 19th.

Communism, the bloodiest of these "isms," is by far the cruelest and also the most widespread. The number murdered by Communist regimes or organizations in the past hundred years stands at roughly 120 million. Just for the sake of this ideology, these people were removed from their homes, worked to death in concentration camps, exiled to perish on the Siberian steppes, subjected to the horrible tortures in the most horrible prisons, executed by brainwashed Communist militants, strangled, had their throats cut, or starved to death in deliberately-created famines.

The savagery of this red terror began first in Russia during the Bolshevik Revolution of 1917. It spread throughout the newly formed Soviet Union and from there, to eastern Europe, China, Korea, Vietnam, Cambodia, some Latin American countries, Cuba and Africa.

Lenin's Bloody Revolution

Above: After Marx's death, Lenin interpreted his ideology, trying to fill the lacunae and reconcile the contradictions Marx had left. In so doing, Lenin produced the formula for bringing Communism to power by force of arms. The photograph above, taken in 1897 in St. Petersburg, shows Lenin (right) with other Communist militants. Left: A Russian edition of Marx's Das Kapital.

Karl Marx never led any political party. He was only a theoretician who tried to cram all of human history into the context of the rules of dialectical materialism. From his point of view, he interpreted the past and made predictions about the future, of which the greatest prediction was global revolution. He promised that the workers would destroy the capitalist system, after which a classless society would result.

In decades that passed since Marx's death in 1883, the revolution he'd announced so confidently never took place. In the capitalist countries of Europe, workers' living and working conditions improved, however slightly, abating the tension between the workers and the bourgeoisie. The revolution wasn't happening, and it wasn't going to happen.

Lenin speaking to a crowd in Red Square, 1919

In the early 1900s, another important name appeared in Russia. Vladimir Ilich Lenin was gradually rising to prominence in Russia's Social Democratic Party, which Marxists had founded. Lenin gave Marxism a whole new interpretation. In his view, the revolution couldn't happen spontaneously, because the European working class had been sedated by what the bourgeoisie had offered them and in any other countries was no working class worth mentioning. To this problem, Lenin offered a militant solution: Marx's predicted revolution wouldn't be carried out by the workers (the proletariat, in Marxist literature), but by surrogates-a Communist Party of professional revolutionaries with military training, acting on the workers' behalf. By using armed intervention and propaganda, "the Communist Party" would bring about a political revolution. From the moment their authoritarian regime seized power, it would establish what Lenin called the "dictatorship of the proletariat." It would clear away opposition, abolish private property, and ensure society's advancement towards a Communist order.

With Lenin's theory, Communism would become the ideology of a group of armed terrorists. After him, hundreds of Communist Parties (or workers' parties devoted to bloody revolution) sprouted throughout the world.

What methods did the Communist Party intend for its revolution? Lenin answered this in both his writings and his actions: The Party would shed as much blood as possible. In 1906, eleven years before the Bolshevik Revolution, he wrote in Proletary magazine:

Bolshevik revolutionaries posing with their weapons in St. Petersburg, November 1917

The phenomenon in which we are interested is the armed struggle. It is conducted by individuals and by small groups. Some belong to revolutionary organizations, while others (the majority in certain parts of Russia) do not belong to any revolutionary organization. Armed struggle pursues two different aims, which must be strictly distinguished: in the first place, this struggle aims at assassinating individuals, chiefs and subordinates in the Army and police; in the second place, it aims at the confiscation of monetary funds both from the government and from private persons. The confiscated funds go partly into the treasury of the party, partly for the special purpose of arming and preparing for an uprising, and partly for the maintenance of persons engaged in the struggle we are describing. The big expropriations (such as the Caucasian, involving over 200,000 rubles, and the Moscow, involving 875,000 rubles) went in fact first and foremost to revolutionary parties - small expropriations go mostly, and sometimes entirely, to the maintenance of the "expropriators".14

Above, Lenin with a group of Bolshevik militants in 1918. In telegraphs he sent to Communist militants in all parts of the country, Lenin gave constant orders for executions, to be carried out in a way as to spread fear among the people.

At the beginning of the 1900's, an important divergence of ideas occurred in the Russian Social Democratic Party. The group led by Lenin supported revolution by violence; while another group wanted to bring Marxism to Russia by more democratic means. The Leninists, though small in numbers, used various methods of pressure to gain the majority and became known as the Bolsheviks, the Russian word for majority. The other group was called the Mensheviks, which means minority.

The Bolsheviks began to organize following the way Lenin had outlined, through such methods as assassinations, confiscation of government money, and robbing official institutions. After many years of banishment, the Bolsheviks began their Russian Revolution of 1917. Actually, that year saw two separate revolutions. The first came in February; when Tsar Nicholas II was removed from the throne and imprisoned with his family, and a democratic government was established. But the Bolsheviks didn't want democracy; they were determined to establish a dictatorship of the proletariat.

In October 1917, their awaited revolution took place. Communist militants led by Lenin and Trotsky, his chief assistant, seized first the former capital, Petrograd ("Peter City," named for Peter the Great), and then Moscow. Battles in these two cities established the world's first Communist regime.

After the October Revolution, Russia was swept by a three-year civil war war between the so-called White Army, assembled by Tsarist generals, and the Red Army led by Trotsky. In July of 1918, Lenin ordered Bolshevik militants to execute Tsar Nicholas II and his family, including his three children. In the course of the civil war, the Bolsheviks did not hesitate to commit the bloodiest crimes, murders, and tortures against their opponents.

IGNORANT MILITANTS OF COMMUNISM
The Bolsheviks addressed the ignorant masses with basic slogans, adding many people to their ranks in a short time through intense propaganda. The poor and uneducated were easily persuaded to believe the lies of Communists who promised them bread and a comfortable life. The atheism fostered by Darwinism hardened Communist propaganda. This picture shows a group of Russian workers and peasants who became Communists within a few days, as a result of this propaganda.

Both the Red Army and the Cheka, a secret police organization founded by Lenin, inflicted terror on all parts of society opposed to the revolution. A book entitled The Black Book of Communism written by a group of scholars and published by the Harvard University Press, describing Communist atrocities throughout the world, has this to say about Bolshevik terror:

The Bolsheviks had decided to eliminate, by legal and physical means, any challenge or resistance, even if passive, to their absolute power. This strategy applied not only to groups with opposing political views, but also to such social groups as the nobility, the middle class, the intelligentsia, and the clergy, as well as professional groups such as military officers and the police. Sometimes the Bolsheviks subjected these people to genocide. The policy of "de-Cossackization" begun in 1920 corresponds largely to our definition of genocide: a population group firmly established in a particular territory, the Cossacks as such were exterminated, the men shot, the women, children and the elderly deported, and the villages razed or handed over to new, non-Cossack occupants. Lenin commpared the Cossacks to the Vendée during the French Revolution and gladly subjected them to a program of what Gracchus Babeuf, the "inventor" of modern Communism, characterized in 1795 as "populicide."15

In every city they entered, the Bolsheviks killed those not open to their ideology and committed acts of excessive savagery intended to instill fear. The Black Book of Communism describes the Bolshevik atrocities in Crimea:

Leon Trotsky, military leader of the Bolshevik Revolution and the second most important man after Lenin. As leader of the Red Army, he led all of Russia into a bloody civil war. Left, we see a view of the tens of thousands of innocents killed in the civil war.

Similar acts of violence occurred in most of the cities of the Crimea occupied by the Bolsheviks, including Sevastopol, Yalta, Alushta, and Simferopol. Similar atrocities are recorded from April and May 1918 in the big Cossack cities then in revolt. The extremely precise file of the Denikin commission record "corpses with hands cut off, broken bones, heads ripped off, broken jaws, and genital removed."16

The Russian historian and socialist S.P. Melgunov, in his book The Red Terror in Russia, says that Sevastopol was turned into a "city of the hanged" because of the extermination campaign against surviving witnesses:

From Nakhimovksky, all one could see was the hanging bodies of officers, soldiers, and civilians arrested in the streets. The town was dead, and the only people left alive were hiding in lofts or basements. All the walls, shop fronts, and telegraph poles were covered with posters calling for "Death to the traitors." They were hanging people for fun.17

Russian soldiers supporting an uprising instigated by Trotsky against the Tsar in St. Petersburg, 1917.

The Bolsheviks sorted the people they wanted to eliminate into certain categories. For example, the bourgeoisie (or the "Mensheviks," who understood socialism differently from the Bolsheviks) were the new regime's chief enemies. The "kulak," the most numerous category, was specially targeted. In Russian, a kulak is the name given to a rich landowner. During the revolution and the civil war, Lenin issued hundreds of orders that rained pitiless terror on the kulaks. For example, in one telegram to the Central Executive Committee of Penza soviet, he said:

A propaganda poster showing Trotsky as a war hero.

Comrades! The kulak uprising in your five districts must be crushed without pity. The interests of the whole revolution demand such actions, for the final struggle with the kulaks has now begun. You must make an example of these people. Hang (I mean hang publicly, so that people see it) at least 100 kulaks, rich bastards, and known blood-suckers. Publish their names. Seize all their grain…Do all this so that for miles around people see it all, understand it, tremble…Reply saying you have received and carried out these instructions. Yours, Lenin.18

Lenin gave many orders like this one. Bolshevik militants gladly carried out his instructions, even inventing their own styles of savagery. The famous author Maxim Gorky witnessed some of these methods and later wrote:

Maxim Gorky

In Tambov province Communists were nailed with railway spikes by their left hand and left foot to trees a metre above the soil, and they watched the torments of these deliberately oddly-crucified people. They would open a prisoner's belly, take out the small intestine and nailing it to a tree or telegraph pole they drove the man around the tree with blows, watching the intestine unwind through the wound. Stripping a captured officer naked, they tore strips of skin from his shoulders in the form of shoulder straps...19

The Bolsheviks undertook to exterminate those who did not want to adopt Communism. Tens of thousands were executed without a trial. Many opponents of the regime were sent to concentration camps, collectively called the "Gulag," where prisoners were worked almost to death under very harsh conditions. Many never left these camps alive. In the period from 1918 to 1922, they murdered hundreds of thousands of workers and villagers who had opposed the regime.

The Harvard historian Richard Pipes investigated secret Soviet archives to research his book, The Unknown Lenin. Revealing that Lenin gave countless orders to have people tortured and murdered, he ends his book with this evaluation:

With the evidence currently available it becomes difficult to deny that Lenin was, not an idealist, but a mass murderer, a man who believed that the best way to solve problems-no matter whether real or imaginary-was to kill off the people who caused them. It is he who originated the practice of political and social extermination that in the twentieth century would claim tens of millions of lives.20

Pavlov's Dogs and Lenin's Plans for Human Evolution

It's important to understand the reason behind Lenin's violence and that underlay further examples of Communist tragedies. Why did Lenin and other Communist leaders we'll examine later-Stalin, Mao, and Pol Pot-become crazed murderers?

Ivan Pavlov, known for his conditioned reflex experiments performed on animals.

The reason is the materialist philosophy they held, and its view of human beings. As we saw at the beginning, Communism is basically materialist philosophy applied to history, in total harmony with Darwin's theory of evolution-which, in turn, is the adaptation of materialist philosophy to the natural world. Some basic elements of this perverse philosophy can be outlined as follows:

1. A human being is composed only of matter, with no spirit or soul.

2. A human is a highly evolved species of animal. Essentially, there is no difference between human beings and animals. The only difference between a human being and other animals is that his environment has tamed him.

3. In nature and in human society, the only unchanging law is the one of conflict. Conflicting interests result in struggle. At the end of any struggle, it is natural-even necessary-that one side lose, suffer and die.

4. Therefore, from the Communist point of view, for any development to take place-for example, for the "revolution" to succeed-it's inevitable, even necessary, that many people will suffer, be subjected to torture, and die.

5. To legitimize these convictions, Communism-and every other ideology that adopts a materialist philosophy-resorts to destroying a society's faith in God. Actually, the aim of materialism is to alienate society from its belief in God and in religious and moral values, and bring into being a mass of human beings who consider themselves an assortment of soulless animals. In this way, these ideologues believe that they can control the masses, establish their own power, and prepare a legitimate foundation for any immorality or cruelty they wish to commit.

TRIGGERING CONDITIONED REFLEXES
Trotsky gives a propaganda speech to a mass crowd in Red Square in 1918.
Lenin and Trotsky believed they could train human beings like animals, using methods to evoking a conditioned response. The Soviet Union organized the Communist Party according to this logic.

Given that Communism regards human being in this way, it follows that its major efforts have been towards "bestializing" them-beating them like wild animals, "training" them by instilling fear and inflicting pain and, when necessary, cutting their throats.

Very clearly, Lenin accepted this materialist-Darwinist philosophy that regards human beings as animals. After speaking privately with Ivan Petrovich Pavlov, the Russian scientist famous for his experiments on the conditioned reflexes of animals, Lenin tried applying Pavlov's methods to Russian society. In his book, A People's Tragedy: A History of the Russian Revolution, Orlando Figes writes about Lenin's desire to "educate" the Russian people as an animal trainer would, and how the roots of this ambition lie in Darwinism:

In October 1919, according to legend, Lenin paid a secret visit to the laboratory of the great physiologist I. P. Pavlov to find out if his work on the conditional reflexes of the brain might help the Bolsheviks control human behaviour. 'I want the masses of Russia to follow a Communistic pattern of thinking and reacting,' Lenin explained… Pavlov was astounded. It seemed that Lenin wanted him to do for humans what he had already done for dogs. 'Do you mean that you would like to standardize the population of Russia? Make them all behave in the same way?' he asked. 'Exactly' replied Lenin. 'Man can be corrected. Man can be made what we want him to be.'… [T]he ultimate aim of the Communist system was the transformation of human nature. It was an aim shared by the other so-called totalitarian regimes of the inter-war period…As one of the pioneers of the eugenics movement in Nazi Germany put in 1920, 'it could almost seem as if we have witnessed a change in the concept of humanity…We were forced by the terrible exigencies of war to ascribe a different value to the life of the individual than was the case before.'

...The notion of creating a new type of man through the enlightenment of the masses had always been the messianic mission of the nineteenth-century Russian intelligentsia, from whom the Bolsheviks emerged. Marxist philosophy likewise taught that human nature was a product of historical development and could thus be transformed by a revolution. The scientific materialism of Darwin and Huxley, which had the status of a religion among the Russian intelligentsia during Lenin's youth, equally lent itself to the view that man was determined by the world in which he lived. Thus the Bolsheviks were led to conclude that their revolution, with the help of science, could create a new type of man...

...Although Pavlov was an outspoken critic of the revolution and had often threatened to emigrate, he was patronized by the Bolsheviks. After two years of growing his own carrots, Pavlov was awarded a handsome ration and a spacious Moscow apartment... Lenin spoke of Pavlov's work as 'hugely significant' for the revolution. Bukharin called it 'a weapon from the iron arsenal of materialism.'21

Trotsky, an important theoretician of Communist ideology and Lenin's most important associate, agreed with Lenin's views about "the transformation of human nature" that had their origin in Darwinism. As Trotsky wrote:

What is man? He is by no means a finished or harmonious being. No, he is still a highly awkward creature. Man, as an animal, has not evolved by plan but spontaneously, and has accumulated many contradictions. The question of how to educate and regulate, of how to improve and complete the physical and spiritual construction of man, is a colossal problem which can only be conceived on the basis of Socialism. We can construct a railway across the Sahara, we can build the Eiffel Tower and talk directly with New York, but we surely cannot improve man. No, we can! To produce a new, 'improved version' of man - that is the future task of Communism…Man must look at himself and see himself as a raw material, or at best as a semi-manufactured product, and say: 'At last, my dear homo sapiens, I will work on you.'22

Along with Lenin and Trotsky, other Bolsheviks believed that human beings were an animal species, nothing more than an agglomeration of matter. Because they saw no value in human life, millions of persons could easily be sacrificed for the sake of the revolution. According to Richard Pipes's The Unknown Lenin, "For humankind at large Lenin had nothing but scorn:the documents confirm Gorky's assertion that individual human beings held for Lenin 'almost no interest,' and that he treated the working class much as a metalworker treated iron ore." 23

Lenin's Policy of Deliberate Starvation

Nearly all Communist regimes of the 20th century have subjected their peoples to starvation. In Lenin's time, famine brought death to five million. From 1932 to 1933, in Stalin's time, the same disaster happened again but with a much wider scope; more than 6 million people died as a result of it. As we will see in the following pages, millions died as a result of famine in Mao's Red China and Pol Pot's Cambodia.

Today, with supermarkets, bakeries, pastry shops, and restaurants all around us; famine seems an alien concept. When we do hear about famine, most often we think of it as a period of temporary hunger. But the famines in Russia, China and Cambodia was a prolonged condition that lasted for months, even years. Apart from grain and rice that villagers could grow to feed themselves, all produce was snatched from their hands, leaving them nothing else to eat. People ate all the vegetables and fruit that they used to collect for sale, and all the animals they could slaughter. When this supply quickly ran out, they would resort to boiling leaves, grass and tree bark. After several weeks of continual hunger, their bodies would grow weak and become emaciated. Some would eat stray cats and dogs and other wild creatures, including insects. Soon, wracked with pain, people would start to die, one after another, with no one to bury them. Finally would appear famine's worst aspect of all: cannibalism. People would start to eat corpses first, then attack each other, snatching children to slaughter and devour. In line with Communist philosophy, they would become bestialized indeed, and human no longer.

This was the goal of the Communist regime. Unbelievable as it might seem, it happened first in the 20th century, in Bolshevik Russia under Lenin's leadership.

In 1918, shortly after the Bolsheviks came to power, Lenin decided to abolish private property. His decision's most important result was the nationalization of land once owned by villagers. Bolshevik militants, Cheka police agents, and Red Army units forced their way into farms all over Russia and, under threat of arms, confiscated the produce that was the only source of food for villagers already living in harsh conditions. A quota was established that every farmer had to give to the Bolsheviks, but in order to fill it, most farmers had to surrender all the produce they had. Villagers who resisted were silenced by the most brutal methods.

In order to have not all their wheat seized, some farmers hid a portion in storage. The Bolsheviks regarded this kind of behavior as a "betrayal of the revolution" and punished it with incredible savagery. On February 14, 1922, an inspector went to the region of Omsk and described what happened there:

Abuses of position by the requisitioning detachments, frankly speaking, have now reached unbelievable levels. Systematically, the peasants who are arrested are all locked up in big unheated barns; they are then whipped and threatened with execution. Those who have not filled the whole of their quota are bound and forced to run naked all along the main street of the village and then locked up in another unheated hangar. A great number of women have been beaten until they are unconscious and then thrown naked into holes dug in the snow…24

As a result of his commitment of Darwinism, Lenin regarded human beings as a herd of animals and he did not hesitate to use the cruelest methods against them.

Lenin became enraged when he saw that quotas set for the villagers were not being met. Finally in 1920, he imposed a terrible punishment on the villagers in some areas who were resisting the confiscations: These villagers would have not only their produce taken, but their seeds as well. This meant they couldn't plant new crops and would certainly die of hunger. From 1921 to 1922, famine caught 29 million Russian individuals in its grip; and five million of them died.

CANNIBALS CAUGHT EATING A KIDNAPPED CHILD
In the course of the famine that Lenin regarded as "beneficial," cases of cannibalism were discovered. This photograph, taken in a Russian village in the Volga region in 1921, shows two adults eating children they had kidnapped and butchered. This scene of savagery is evidence of the model Communism seeks to establish.

When news of the famine reached Western countries, they organized an aid campaign to help ease the disaster. It almost succeeded, but it came too late. The Bolsheviks, wanting to conceal the utter disaster of their agricultural policy, forbade the publication of any news about the famine, consistently denying that it was happening. In his book, A Concise History of the Russian Revolution, Richard Pipes writes:

In the spring of 1921, peasants in the areas struck by the famine resorted to eating grass, tree bark, and rodents... There were confirmed cases of cannibalism. Soon millions of wretched human beings abondoned their villages and headed for the nearest railroad station hoping to make their way to regions where, rumor had it, there was food. They clogged the railway depots, for they were refused transportation, because until July 1921 Moscow persisted in denying that a catastrophe had occurred. Here, in the words of a contemporary, they waited "for trains which never came, or for death, which was inevitable." Visitors to the stricken areas passed village after village with no sign of life, the inhabitants having either departed or lying prostrate in their cottages, too weak to move. In the cities, corpses littered the streets...25

What was the aim of this policy? Lenin wanted to strengthen the Bolshevik regime's economy by seizing villagers' produce and realize the Communist dream of abolishing private property. But in deliberately subjecting his fellow Russians to famine, Lenin also had another purpose: Hunger, he knew, would have a devastating effect on their morale and psychology. He wanted to use famine as a tool to destroy people's faith in God and instigate a movement against the church. The Black Book of Communism describes Lenin's state of mind:

In 1921 and 1922, as a result of the famine deliberately caused by Lenin, 29 million people within the borders of the Soviet Union were caught in the grips of starvation. Five million of them starved to death.

A young lawyer called Vladimir Ilych Ulyanov was then living in Samara, the regional capital of one of the areas worst affected by the famine. He was the only member of the local intelligentsia who not only refused to participate in the aid for the hungry, but publicly opposed it. As one of his friends later recalled, "Vladimir Ilich Ulyanov had the courage to come out and say openly that famine would have numerous positive results, particularly in the appearance of a new industrial proletariat, which would take over from the bourgeoisie…Famine, he explained, in destroying the outdated peasant economy, would bring about the next stage more rapidly, and usher in socialism, the stage that necessarily followed capitalism. Famine would also destroy faith not only in the tsar, but in God too."

Thirty years later, when the "young lawyer" had become the head of the Bolshevik government, his ideas remained unchanged: Famine could and should "strike a mortal blow against the enemy." The enemy in question was the Orthodox Church.26

A letter Lenin sent to members of the Politburo on March 19, 1922, shows he wanted to use hunger as a method to break the bond between religion and the masses, to numb their reactions and thus facilitate his planned assault against religious institutions:

In fact the present moment favors us far more than it does them. We are almost 99 percent sure that we can strike a mortal blow against them [our enemies] and consolidate the central position that we are going to need to occupy for several decades to come. With the help of all those starving people who are starting to eat each other, who are dying by the millions, and whose bodies litter the roadside all over the country, it is now and only now that we can-and therefore must-confiscate all church property with all the ruthless energy we can still muster… All evidence suggests that we could not do this at any other moment, because our only hope is the despair engendered in the masses by the famine, which will cause them to look at us in a favorable light or, at the very least, with indifference.27

WHILE THE PEASANTS WERE DYING OF HUNGER...
The famine at the beginning of the 1920's resulted from the Bolsheviks confiscating the peasants' crops. Millions of people, including hundreds of thousands of children, died in the famine. Lenin told his comrades this famine was very beneficial, because "it would destroy faith in God".

... THE RED ARMY WAS PLUNDERING THEIR GRAIN
Children became just skin and bone and died of starvation, but the Bolsheviks continued to confiscate the peasants' grain. Sacks that peasants hid underground were found and dragged out of their holes by Communist militants. Villagers who had hidden the sacks were tortured to death.
In the Kurgan region in 1918, bags of wheat were forcibly collected from the people to feed the Red Army.


Right a photograph of Lenin, shortly before his death.
LENIN'S END IS A LESSON FOR ALL
Before he died, Lenin became mad. This photograph, taken shortly before his death, teaches an example of the torment God sends in this world upon leaders of irreligion. This end is announced in Verse 30:10 of the Qur'an: "Then the final fate of those who did evil will be the Worst because they denied God's Signs and mocked at them."

Lenin's body was mummified like an Egyptian pharaoh's and placed in a tomb reminiscent of a Greek temple.

Lenin's cruel methods are the first instance of Communist savagery. Stalin and Mao, the dictators who came after him, only increased the scope of the horror.

Lenin's own death is quite telling. He suffered his first stroke in May 1922. On December 16, 1922, he suffered another major attack. Half paralyzed, he was confined to bed. In March of 1923, his illness worsened significantly and he lost the ability to speak. Afflicted by terrible headaches, he spent most of 1923 in a wheelchair. In the final months of his life, those who saw him were horrified at the frightful, half-mad expression on his face. He died of a brain hemorrhage on January 21, 1924.

The Bolsheviks mummified Lenin's body and specially preserved his brain, which they considered to have great value. They placed his body in a tomb, built in the style of a Greek temple, in Moscow's Red Square, where it was visited by crowds of people. Lines of visitors would look at the corpse in dread.

Their dread was to increase in years to come. Joseph Stalin, Lenin's successor, was even more cruel and sadistic. In a short time, he established the greatest "reign of terror" in modern history.




14. Vladimir I. Lenin, September 30, 1906, Proletari, Nr.5
15. Gracchus Babeuf, La Guerre de Vendée et le système de dépopulation, Tallandier, 1987
16. Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel bartosek, Jean-Louis Margolin, Black Book of Communism, Harvard University Press Cambridge, p.61
17. S.P. Melgunov, La Terreur rouge en Russie 1918-1924, p. 81
18. Russian Center for the Conservation and Study of Historic Documents, Moscow (henceforth RTsKhIDNI), 2/1/6/898, Pavlyuchenkov, Krestyankskii Brest
19. Orlando Figes, A People's Tragedy, A History of the Russian Revolution, p. 775
20. Richard Pipes, The Unknown Lenin: From the Secret Archive, p. 181
21. Orlando Figes, A People's Tragedy, A History of the Russian Revolution, p. 733
22. Orlando Figes, A People's Tragedy, A History of the Russian Revolution, p. 734
23. Richard Pipes, The Unknown Lenin: From the Secret Archive, p. 10
24. Black Book of Communism, Harvard University Press Cambridge, p. 119
25. Richard Pipes, A Coincise History Of The Russian Revolution, Vintage Books, Newyork, 1995, s.357
26. A. Beliakov, Yunost vozhdya (The adolescence of the leader) (Moscow: Molodaya gvardiia, 1958), p. 191
27. Black Book of Communism, Harvard University Press Cambridge, p. 124

...continua:
http://harun-yahya.cnrglab.itb.ac.id/communism03.html

Thomas Aquinas
29-06-04, 02:03
In Origine postato da marcejap
Amore, appunto.

Dato l'odio che ti pervade, carissimo ariel, i tuoi post sono la dimostrazione più che evidente che sei comunista fin nel midollo. :D

Libera la tua mente. Smetti di andare contro il tuo vero io. Tu sei un comunista! Convincitene!


bella questa,
freudiano..... :D

saluti

marcejap
29-06-04, 02:24
In Origine postato da Thomas Aquinas
bella questa,
freudiano..... :D

saluti


Proprio così :)

Avere una moglie che ha studiato psicologia, aiuta :D Ed io cerco di aiutare ariel a trovare sè stesso e la sua natura comunista.

E sto parlando molto seriamente.

sayonara
marce

Thomas Aquinas
29-06-04, 02:34
In Origine postato da marcejap
Proprio così :)

Avere una moglie che ha studiato psicologia, aiuta :D Ed io cerco di aiutare ariel a trovare sè stesso e la sua natura comunista.

E sto parlando molto seriamente.

sayonara
marce

Beh, io non ci credo,
però se lo trasformi in comunista..
ti debbo qualcosa ;)

(Non che io siampatizzi per il comunismo, intendiamoci :) )

saluti

marcejap
29-06-04, 02:46
In Origine postato da Thomas Aquinas
Beh, io non ci credo,
però se lo trasformi in comunista..
ti debbo qualcosa ;)

(Non che io siampatizzi per il comunismo, intendiamoci :) )

saluti


Giusto per curiosità: che ci guadagni se faccio emergere ad ariel il suo io comunista? :D Perchè ho come la vaga impressione che questo mio piccolo lavoro di psicologo ti faccia piacere. :D

(ps. ricorda che a terapia conclusa ci sarebbe un comunista consapevole in più. Non che ce ne siano rimasti molti, per fortuna... :D)

sayonara

Thomas Aquinas
29-06-04, 02:55
In Origine postato da marcejap
Giusto per curiosità: che ci guadagni se faccio emergere ad ariel il suo io comunista? :D Perchè ho come la vaga impressione che questo mio piccolo lavoro di psicologo ti faccia piacere. :D

(ps. ricorda che a terapia conclusa ci sarebbe un comunista consapevole in più. Non che ce ne siano rimasti molti, per fortuna... :D)

sayonara

vorrei verificare se è vero il detto: "chi odia ama".
Fa parte dall'interpretazione psicanalitica?

(Un comunista in più, solo che tu sei così bravo da farlo diventare così estremo da non votare i partiti comunisti che stanno in parlamento, quindi nessun voto ai comunisti :D)

Scusa il ragionamento contorto,
dopo una breve introspezione concludo che è ora di coricarmi.

convertilo,
o megli: pervertilo,
beh fa come ti pare, basta che diventi comunista :D

saluti :)

Egol
29-06-04, 19:40
In Origine postato da durrutibus
scusate, luca66 e ariel, ma invece di continuare a postare articoli, dire un po' cosa pensate voi, troppo difficile?

Si infatti cioè voi postate articoli su articoli, ma secondo voi ki cia voglia di leggere tt sta roba?e poi ariel pure in inglese;ma xke nn parlate un pò dicendo quello ke pensate voi???cioè nn si può neanke discutere più se voi mettete roba ke nn è vostra xke a ki rispondo??a quell'idiota ke la scritto mica a voi 2!!ma crescete un pò di testa va!;)

Ambrogio
30-06-04, 11:58
Il comunismo e' una ideologia di provenienza illuminista esattamente come il suo opposto il liberalesimo.Tutti e tre illuminismo comunismo e liberalesimo alla fine hanno fallito o stanno fallendo anche nel sangue.

Il comunismo ha portato i libri in tribunale nel 1989 e la procedura non si puo' piu' riaprire.Inutile rivangare.Il fallimento e' stato senza appello, definitivo .

Vogliamo risuscitare un cadavere ? Frankenstein ?

Un saluto

Ambrogio
30-06-04, 11:58
Il comunismo e' una ideologia di provenienza illuminista esattamente come il suo opposto il liberalesimo.Tutti e tre illuminismo comunismo e liberalesimo alla fine hanno fallito o stanno fallendo anche nel sangue.

Il comunismo ha portato i libri in tribunale nel 1989 e la procedura non si puo' piu' riaprire.Inutile rivangare.Il fallimento e' stato senza appello, definitivo .

Vogliamo risuscitare un cadavere ? Frankenstein ?

Un saluto

ariel
05-07-04, 02:07
"Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20). La verità di questa massima evangelica, sempre attuale, ci porta a formulare un giudizio di severa condanna del Comunismo. La considerazione dei frutti, o, perlomeno, dato lo spazio limitato di un articolo, del più tragico di questi: 1'altissimo numero di vittime che il comunismo ha provocato ovunque si è instaurato, obbliga ogni spirito libero a condannare nei termini più rigorosi una ideologia che, anzichè difendere le classi umili, ha finito con il far pagare, a prezzo della loro vita, proprio a milioni di poveri e di innocenti la follia di un progetto diabolico che pretendeva di costruire una società senza Dio. Basti ricordare, per fare un primo esempio, la lotta guidata da Stalin ai contadini piccoli proprietari che comportò nel 1929 e 1930 la deportazione-sterminio di 10 milioni di kulaki, più di 5 milioni di subkulaki, cui seguirono 6 milioni di morti di fame nella conseguente carestia 'artificiale' del 1931-32 (con molti casi di cannibalismo). In questa lotta vennero dunque sacrificate complessivamente 21 milioni di persone. Quante furono in totale le vittime in Unione Sovietica? Stando a quanto afferma il professore di statistica Kurganov, tra il 1917 e il 1959, cioè nei primi 42 anni di dominio comunista, le perdite umane dovute alle deportazioni nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di massa o alle carestie provocate dall'arresto e dalla deportazione di milioni di contadini furono più di 60 milioni. A confermare questo numero spaventosamente elevato di vittime, superiore di oltre dieci volte al numero degli Ebrei perito a causa dell'olocausto, va ricordato che il 28 ottobre 1994, in un discorso al Parlamento russo (Duma), Solgenitsin ha affermato che i morti dovuti al comunismo furono 60 milioni: nessuno, sia in Parlamento che fuori, ha sollevato obiezioni. Per quanto concerne il numero delle vittima provocate dal Comunismo cinese, disponiamo di informazioni meno dettagliate, e di gran lunga meno documentate che per la Russia. Tuttavia, un calcolo molto vicino alla realtà è possibile. Anzitutto, per il decennio che va dal 1949 (anno della vittoria dei comunisti e della proclamazione della repubblica popolare) al 1958 riportiamo ciò che scrive 1'ex ambasciatore d'Italia a Mosca Luca Pietromarchi: "In Cina... il comunismo ha causato la perdita, dal 1949 al 1958, di cinquanta milioni di vite umane... Inoltre 30 milioni di contadini furono inviati in campo di concentramento". Dopo di queste. negli anni del "Grande balzo in avanti" (1958-1960) e subito successivi, si ebbero le perdite più terrificanti, dovute alla carestia artificiale prodotta dall'espropriazione dei contadini. Secondo il famoso sinologo Lazlo Ladany (che fu per decenni redattore a Hong Kong del notiziario China News Analisys, da cui attingevano materia prima praticamente tutti i giornali occidentali) i morti di fame tra il '59 e il '62 sarebbero stati 50 milioni. Durante questi stessi anni e in quelli successivi fino al 1966 (anno d'inizio della 'Grande rivoluzione culturale'), si ebbe inoltre lo stillicidio sistematico delle vittime dei 'campi di rieducazione attraverso i1 lavoro'. Secondo R.L. Walker ed altri sinologhi, il numero dei deportati oscillava allora tra i 18 e i 20 milioni; il che - volendo supporre, con ottimismo, una mortalità nei lager cinesi analoga a quella sovietica, cioè del 7-8% annua - comporterebbe un milione e mezzo circa di morti all'anno, dunque una dozzina di milioni per il periodo 1958-1965. L'unico studio sistematico a nostra conoscenza, relativo all'intera prima fase che va dal 1949 al 1965, è quello effettuato da Richard L. Walker per conto del Senato americano: studio che da - ripartendole per categorie - da un minimo di 34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime, a seconda delle fonti. Vi mancano, però, quasi del tutto, i dati relativi alle vittime del 'Grande balzo in avanti'. Nel periodo successivo, cioè negli anni dal 1966 (inizio rivoluzione culturale), al '76 (morte di Mao), si ebbero appunto le vittime prodotte dalla rivoluzione culturale, che ammontano certamente a diverse decine di milioni. Un quadro fondato scientificamente del numero complessivo delle vittime fatte dal comunismo in Cina potrebbe essere suggerito dallo studio statistico di Paul Paillat e Alfred Sauvy, pubblicato nel 1974 sull'autorevole rivista parigina Population (n. 3, pag. 535). Da esso emerge che la popolazione cinese era in quell'anno inferiore di circa 150 milioni di persone a quella che avrebbe dovuto essere statisticamente, cioè in base al suo tasso di crescita pur calcolato in modo prudenziale. In Cambogia, nel triennio 1975-1978, la percentuale di vittime innocenti da parte del Comunismo raggiunse una proporzione mai conosciuta prima nella storia dell'intera umanità. I capi comunisti Khmer il giorno stesso della presa del potere hanno deportato oltre metà della popolazione del loro sventurato Paese. Aggiungendosi la gente già da essi deportata in precedenza nelle zone in loro possesso, si arriva a circa 1'80% della popolazione: in tal modo praticamente tutta la Cambogia venne trasformata in un enorme lager. Contemporaneamente alta deportazione, i capi Khmer diedero inizio all'eliminazione fisica di tutte 1e persone in qualche modo 'contaminate' dal capitalismo (cioè, in Cambogia, dal colonialismo), procedendo all'annientamento degli ex detentori del potere, ex detentori dell'avere ed ex detentori del sapere. Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3 milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della vittoria comunista (nell'aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo dell'intera popolazione. L'obiettivo al riguardo dei capi-ideologi Khmer era contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità provinciali già nel febbraio del '76, che venne portata in Thailandia da un capo Khmer profugo: "Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini è sufficiente". Nel frattempo tutti i compiti di qualche importanza nella società venivano, per quanto possibile, affidati a bambini e ragazzi 'non contaminati dal capitalismo' a motivo della loro età. Negli altri paesi in cui i comunisti hanno preso il potere si ebbero (secondo il recente calcolo minimale di S. Courtois, ll libro nero del comunismo): in Corea del Nord 2 milioni di vittime, in Vietnam 1 milione, nell'Europa dell'Est 1 milione, in Africa 1.700.000, in Afganistan 1.500.000. Ma finche non emergeranno notizie che possano fondatamente modificare la terribile contabilità dei massacri, si deve rimanere fermi sul totale di 215-220 milioni di vittime circa. Oggi in Italia un così sterminato massacro, di gran lunga il maggiore nella storia dell'umanità, e come se non ci fosse mai stato: ben pochi si sono curati di appurare la verità al riguardo.


II recente Libro nero del Comunismo non riesce a individuare la causa principale degli eccidi: 1'impossibilità di cambiare, usando i mezzi materialistici indicati dal marxismo, la natura e la coscienza dell'uomo. In pratica, fanaticamente determinati com'erano a eliminare il male dal mondo, i comunisti non hanno potuto fare altro che eliminare l'uomo dal mondo, e l'hanno fatto, come s'è detto, su una scala mai vista prima nella storia. Oggi tanti loro eredi pensano appunto, confusamente, che quegli orribili massacri, se non giustificati, siano stati però nobilitati dalle buone intenzioni iniziali. Va detto che queste stragi non avevano affatto lo scopo di conservare il potere ai comunisti (non sarebbero state necessarie): quelle stragi facevano parte - in parallelo con I'incremento della produzione materiale - del meccanismo che secondo Marx e Lenin avrebbe dovuta produrre una "società di uomini nuovi". Tale meccanismo presupponeva tra 1'altro la "violenza come levatrice della società nuova". Si voleva, in pratica, far cambiare a ogni uomo la sua coscienza e la sua natura. Senza tenere nel minimo conto i reali risultati, che consistevano soltanto in montagne e montagne di cadaveri, i comunisti hanno insistito su questa strada perchè il fermarsi avrebbe comportato la rinuncia all'utopica società nuova - libera dai mali di tutte le società precedenti - per costruire la quale essi avevano ormai fatto un così sterminato numero di morti. Considerando che, a causa del comunismo, nella nostra epoca abbiamo avuto una straordinaria conferma della fondatezza della visione di S. Agostino, per il quale la storia consiste in un alternarsi continuo delle due "città": la "città terrena" (cioè la società degli uomini che, anche quando partono da propositi encomiabili, poichè escludono Dio dalla loro vita, finiscono inevitabilmente col seguire il "principe di questo mondo", ossia il demonio, il quale come sappiamo è "omicida", "padre di menzogna" e "scimmia di Dio") e la "città celeste" (cioè la società di coloro che nel costruire la vita in comune si rifanno in qualche modo agli insegnamenti di Dio), non ci resta che ribadire una convinzione ormai considerata fuori moda, anche in certo mondo cattolico: il vero bene dell'uomo e delle società, già a partire dalla vita in questa terra, è possibile soltanto a condizione di rispettare la legge di Dio. Altrimenti è il trionfo del demonio. Una terza via non è data.

ariel
08-08-04, 03:27
In Origine postato da Ferruccio
Il comunismo

Vogliamo risuscitare un cadavere ? Frankenstein ?

Un saluto

cadavere?! piuttosto è uno zombi, un morto ambulante che può ancora fare molti danni.... :D

enrique lister
08-08-04, 16:17
ad oggi il comunismo si è trasformato da sistema politico a malattia psichiatrica che affligge numerosi italiani che amano definirsi anticomunisti.
Quest'epidemia, che già colpiì gli States nella seconda metà degli anni Quaranta, sembrava debellata. Ma è invece tornata a colpire con una virulenza impressionante

Pieffebi
08-08-04, 18:41
La psichiatrizzazione del dissenso e dell'anticomunismo è parte integrante della concezione del potere del marxismo-leninismo e della sua pratica e storica applicazione. Essa produce a propria volta una sorta di demenza, non so se di destra o di sinistra, che è evidente in tutti quelli che maccartizzano l'anticomunismo e tramutano Marx in un professore di sociologia.
Saluti liberali

ariel
08-08-04, 19:08
la dissidenza anticomunista come "malattia mentale". Interessante... E poi dicono che la mentalità sovietica è caduta col muro...
Quelli son capaci di riaprire i manicomi per spedirci i dissidenti. Guai se i comunisti riprendessero il potere!

enrique lister
08-08-04, 21:56
ecco, adesso ariel, spalleggiato da pieffebi, attacca il pippone su noi comunisti che lo vogliamo mandare nei manicomi...:rolleyes:

Ambrogio
09-08-04, 09:42
In Origine postato da ariel
cadavere?! piuttosto è uno zombi, un morto ambulante che può ancora fare molti danni.... :D

Piu' che altro sono pericolosi tanti intellettuali comunisti che hanno mal digerito il crollo di un regime che era per loro ma migliore delle greppie.

dexter (POL)
01-02-05, 03:32
http://www.marxists.org/italiano/reference/nero/intro.htm#topp

Il libro nero del comunismo



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INTRODUZIONE: I crimini del comunismo

(di Stéphane Courtois)

"La vita ha perso contro la morte, ma la memoria vince nella lotta contro il nulla".
TZVETAN TODOROV, "Les abus de la mémoire".

Si è potuto scrivere che «la storia è la scienza dell'infelicità degli uomini» e la violenza del Novecento sembra confermare questa formula in modo eloquente. Certo, nei secoli precedenti pochi popoli e pochi paesi sono stati risparmiati dalla violenza di massa. Le principali potenze europee sono state implicate nella tratta dei neri; la Repubblica francese ha messo in atto una colonizzazione che, nonostante alcuni apporti positivi, è stata caratterizzata sino alla fine da episodi raccapriccianti. Negli Stati Uniti persiste una cultura della violenza che affonda le proprie radici in due crimini principali: la schiavitù dei neri e lo sterminio degli indiani. Rimane, comunque, il fatto che, sotto questo aspetto, il nostro secolo sembra avere superato i precedenti. Guardandolo retrospettivamente, non ci si può esimere da una conclusione sconcertante: il Novecento è stato il secolo delle grandi catastrofi umane. Due guerre mondiali e il nazismo, senza dimenticare le tragedie più circoscritte dell'Armenia, del Biafra, del Ruanda e di tanti altri paesi. L'Impero ottomano ha proceduto, infatti, al genocidio degli armeni e la Germania a quello degli ebrei e degli zingari. L'Italia di Mussolini ha massacrato gli etiopi. I cechi ammettono a fatica che la loro condotta nei confronti dei tedeschi dei Sudeti, nel 1945-1946, non è stata delle più irreprensibili. E la stessa piccola Svizzera deve fare i conti con il proprio passato di depositaria dell'oro rubato dai nazisti agli ebrei sterminati, anche se il grado di atrocità di tale comportamento non è assolutamente paragonabile a quello del genocidio. Il comunismo si inserisce nel medesimo lasso di tempo storico fitto di tragedie e ne costituisce, anzi, uno dei momenti più intensi e significativi. Il comunismo, fenomeno fondamentale di questo Novecento, il secolo breve che incomincia nel 1914 e si conclude a Mosca nel 1991, si trova proprio al centro dello scenario storico. Un comunismo che preesisteva al fascismo e al nazismo e che è sopravvissuto a essi, toccando i quattro grandi continenti. Che cosa intendiamo esattamente con il termine «comunismo»? E' necessario stabilire subito una distinzione fra la dottrina e la pratica. Come filosofia politica, il comunismo esiste da secoli, se non da millenni. Non è stato forse Platone, nella "Repubblica", a esporre per primo l'idea di una città ideale in cui gli uomini non fossero corrotti dal denaro e dal potere e in cui comandassero la saggezza, la ragione e la giustizia? Un pensatore e statista del rango di Tommaso Moro, cancelliere d'Inghilterra nel 1529, autore della famosa "Utopia" e morto per mano del boia di Enrico Ottavo, non è stato forse un altro precursore di quest'idea di città ideale? L'approccio utopico sembra perfettamente legittimo come strumento critico della società: esso partecipa del dibattito ideologico, ossigeno delle democrazie. Ma il comunismo di cui trattiamo in questa sede non si colloca nel mondo delle idee. E' un comunismo reale, che è esistito in una determinata epoca, in determinati paesi, incarnato da leader famosi: Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi Minh, Castro eccetera e, più vicino alla storia nazionale francese, Maurice Thorez, Jacques Duclos, Georges Marchais.

Il comunismo reale, in qualunque misura sia stato influenzato nella sua pratica dalla dottrina comunista anteriore al 1917 - problema su cui ritorneremo -, ha comunque messo in atto una repressione sistematica, al punto da eleggere, nei momenti di parossismo, il terrore a sistema di governo. L'ideologia è, dunque, innocente? I nostalgici e coloro che ragionano con una mentalità scolastica potranno sempre sostenere che questo comunismo reale non aveva niente a che vedere con il comunismo ideale. E sarebbe evidentemente assurdo imputare a teorie elaborate prima di Cristo, durante il Rinascimento o ancora nell'Ottocento, eventi prodottisi nel ventesimo secolo. Ma, come osservò Ignazio Silone, le rivoluzioni come gli alberi si riconoscono dai loro frutti. Non a caso i socialdemocratici russi, meglio noti come «bolscevichi», nel novembre del 1917 hanno deciso di chiamarsi «comunisti». Non a caso, ancora, hanno eretto ai piedi del Cremlino un monumento in onore di coloro che consideravano i loro precursori: Moro e Campanella.

Al di là dei crimini individuali, dei singoli massacri legati a circostanze particolari, i regimi comunisti, per consolidare il loro potere, hanno fatto del crimine di massa un autentico sistema di governo. E' vero che in un arco di tempo variabile - che va da pochi anni nell'Europa dell'Est a parecchi decenni nell'URSS e in Cina - il terrore si è affievolito e i regimi si sono stabilizzati su una gestione della repressione nel quotidiano, mediante la censura di tutti i mezzi di comunicazione, il controllo delle frontiere, l'espulsione dei dissidenti. Ma la «memoria del terrore» ha continuato ad assicurare la credibilità, e quindi l'efficacia, della minaccia repressiva. Nessuna delle esperienze comuniste che hanno conosciuto una certa popolarità in Occidente è sfuggita a questa legge: né la Cina del Grande timoniere né la Corea di Kim Il Sung né il Vietnam del «gentile zio Ho» o la Cuba del pirotecnico Fidel, affiancato da Che Guevara il puro, senza dimenticare l'Etiopia di Menghistu, l'Angola di Neto e l'Afghanistan di Najibullah.

I crimini del comunismo non sono mai stati sottoposti a una valutazione legittima e consueta né dal punto di vista storico né da quello morale. Questo è, forse, uno dei primi tentativi di accostarsi al comunismo, interrogandosi sulla dimensione criminale come questione fondamentale e globale al tempo stesso. Si potrà ribattere che la maggior parte dei crimini rispondeva a una «legalità» di cui erano garanti le istituzioni dei regimi in vigore, riconosciuti sul piano internazionale e i cui capi venivano ricevuti con il massimo degli onori dai nostri stessi politici. Ma con il nazismo non è, forse, accaduto lo stesso? I crimini di cui parleremo in questo libro si definiscono come tali in rapporto al codice non scritto dei diritti naturali dell'uomo e non alla giurisdizione dei regimi comunisti. La storia dei regimi e dei partiti comunisti, della loro politica, dei loro rapporti con le rispettive società nazionali e con la comunità internazionale non si riduce alla dimensione criminale e neppure a una dimensione di terrore e di repressione. Nell'URSS e nelle «democrazie popolari» dopo la morte di Stalin, in Cina dopo quella di Mao, il terrore si è attenuato, la società ha cominciato a uscire dall'appiattimento, la coesistenza pacifica - anche se era «una continuazione della lotta di classe sotto altre forme» - è diventata una costante nei rapporti internazionali. Tuttavia, gli archivi e le abbondanti testimonianze dimostrano che il terrore è stato fin dall'origine una delle dimensioni fondamentali del comunismo moderno. Bisogna abbandonare l'idea che la tal fucilazione di ostaggi, il tal massacro di operai insorti, la tal ecatombe di contadini morti di fame siano stati semplici «incidenti di percorso» propri di questa o quell'epoca. Il nostro approccio va al di là del singolo ambito e considera quella criminale come una delle dimensioni proprie del sistema comunista nel suo insieme, nell'intero arco della sua esistenza.

Di che cosa parleremo, quindi? Di quali crimini? Il comunismo ne ha commessi moltissimi: crimini contro lo spirito innanzi tutto, ma anche crimini contro la cultura universale e contro le culture nazionali. Stalin ha fatto demolire decine di chiese a Mosca; Ceausescu ha sventrato il centro storico di Bucarest per costruirvi nuovi edifici e tracciarvi, con megalomania, sterminati e larghissimi viali; Pol Pot ha fatto smontare pietra dopo pietra la cattedrale di Phnom Penh e ha abbandonato alla giungla i templi di Angkor; durante la Rivoluzione culturale maoista le Guardie rosse hanno distrutto e bruciato tesori inestimabili. Eppure, per quanto gravi possano essere a lungo termine queste perdite, sia per le nazioni direttamente coinvolte sia per l'umanità intera, che importanza hanno di fronte all'assassinio in massa di uomini, donne e bambini?

Abbiamo, quindi, preso in considerazione soltanto i crimini contro le persone, che costituiscono l'essenza del fenomeno del terrore e che si possono ricondurre a uno schema comune, anche se ciascun regime ha la sua propensione per una particolare pratica: l'esecuzione capitale con vari metodi (fucilazione, impiccagione, annegamento, fustigazione e, in alcuni casi, gas chimici, veleno o incidente automobilistico); l'annientamento per fame (carestie indotte e/o non soccorse); la deportazione, dove la morte può sopravvenire durante il trasporto (marce a piedi o su carri bestiame) o sul luogo di residenza e/o di lavoro forzato (sfinimento, malattia, fame, freddo). Più complicato è il caso dei periodi detti di «guerra civile»: non sempre, infatti, è facile distinguere ciò che rientra nella lotta fra potere e ribelli dal vero e proprio massacro della popolazione civile. Possiamo, tuttavia, fornire un primo bilancio in cifre, che, pur essendo ancora largamente approssimativo e necessitando di lunghe precisazioni, riteniamo possa dare un'idea della portata del fenomeno, facendone toccare con mano la gravità:

- URSS, 20 milioni di morti,
- Cina, 65 milioni di morti,
- Vietnam, un milione di morti,
- Corea del Nord, 2 milioni di morti,
- Cambogia, 2 milioni di morti,
- Europa dell'Est, un milione di morti,
- America Latina, 150 mila morti,
- Africa, un milione 700 mila morti,
- Afghanistan, un milione 500 mila morti,
- movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 mila morti.

Il totale si avvicina ai 100 milioni di morti. Questo elenco di cifre nasconde situazioni molto diverse tra loro. In termini relativi, la palma va incontestabilmente alla Cambogia, dove Pol Pot, in tre anni e mezzo, è riuscito a uccidere nel modo più atroce - carestia generalizzata e tortura - circa un quarto della popolazione. L'esperienza maoista colpisce, invece, per l'ampiezza delle masse coinvolte, mentre la Russia leninista e stalinista fa gelare il sangue per il suo carattere sperimentale, ma perfettamente calcolato, logico, politico.

Questo approccio elementare non pretende di esaurire il problema, che merita, invece, un approfondimento qualitativo, basato su una definizione di crimine precisa e fondata su criteri obiettivi e giuridici. La questione del crimine di Stato è stata affrontata per la prima volta da un punto di vista giuridico nel 1945, dal tribunale di Norimberga istituito dagli Alleati proprio per i crimini nazisti. La natura di questi ultimi è stata definita nell'articolo 6 dello statuto del tribunale, che indica tre crimini fondamentali: i crimini contro la pace, i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità. Ora, un esame dell'insieme dei crimini commessi durante il regime leninista- stalinista, quindi nel mondo comunista in generale, porta a riconoscervi ciascuna di queste tre categorie.

I crimini contro la pace sono definiti dall'articolo 6a e riguardano «la direzione, la preparazione, l'inizio e la continuazione di una guerra d'aggressione, o di una guerra di violazione dei trattati, degli accordi o dei patti internazionali, o la partecipazione a un piano concertato o a un complotto per la realizzazione di uno qualsiasi degli atti di cui sopra». Stalin ha innegabilmente commesso questo tipo di crimine, non foss'altro che per avere negoziato segretamente con Hitler la spartizione della Polonia e l'annessione all'URSS degli Stati baltici, della Bucovina del Nord e della Bessarabia, con i due trattati del 23 agosto e del 28 settembre 1939. Il trattato del 23 agosto, liberando la Germania dal pericolo di uno scontro sui due fronti, fu la causa diretta dello scoppio della seconda guerra mondiale. Stalin ha perpetrato un altro crimine contro la pace aggredendo la Finlandia il 30 novembre 1939. L'attacco inopinato della Corea del Nord contro la Corea del Sud il 25 giugno 1950 e l'intervento massiccio dell'esercito della Cina comunista appartengono alla stessa categoria di crimini. Anche i metodi sovversivi, ripresi talora dai partiti comunisti finanziati da Mosca, potrebbero essere assimilati ai crimini contro la pace, perché il loro impiego ha spesso portato alla guerra: un colpo di Stato comunista in Afghanistan il 27 dicembre 1979, per esempio, provocò un massiccio intervento militare dell'URSS, dando inizio a una guerra che non si è ancora conclusa.

I crimini di guerra vengono definiti, all'articolo 6b, «violazioni delle leggi e dei costumi della guerra. Queste violazioni comprendono, senza limitarvisi, l'assassinio, i maltrattamenti o la deportazione ai lavori forzati o ad altro scopo di popolazioni civili nei territori occupati, l'assassinio o i maltrattamenti dei prigionieri di guerra o delle persone in mare, l'esecuzione capitale degli ostaggi, il saccheggio dei beni pubblici e privati, la distruzione senza motivo di città e paesi o la devastazione non giustificata da esigenze militari». Le leggi e i costumi della guerra sono descritti nelle convenzioni, la più nota delle quali è quella dell'Aja del 1907, che stabilisce: «In tempo di guerra, per la popolazione civile e per i belligeranti, rimangono in vigore i principi del diritto dei popoli quali risultano dagli usi stabiliti dalle nazioni civilizzate, dalle leggi dell'umanità e dalle esigenze della coscienza pubblica». Stalin ha ordinato e autorizzato numerosi crimini di guerra. Il più impressionante rimane l'eliminazione di quasi tutti gli ufficiali polacchi fatti prigionieri nel 1939, nell'ambito della quale lo sterminio di 4500 persone a Katyn' è soltanto un episodio. Ma altri crimini di portata assai maggiore sono passati inosservati, come l'assassinio o la messa a morte nei gulag di centinaia di migliaia di militari tedeschi fatti prigionieri fra il 1943 e il 1945, a cui si aggiungono gli stupri in massa delle donne tedesche perpetrati dai soldati dell'Armata rossa nella Germania occupata. Per non parlare del saccheggio sistematico delle strutture industriali dei paesi occupati dall'Armata. Rientrano sempre nell'articolo 6b l'imprigionamento e la fucilazione o la deportazione di militanti di gruppi organizzati che combattevano apertamente contro il potere comunista: per esempio, i militari dell'organizzazione polacca di resistenza antinazista (A.K.), i membri delle organizzazioni di partigiani armati baltici e ucraini, i partigiani afgani eccetera.

L'espressione «crimine contro l'umanità» è comparsa per la prima volta il 18 maggio 1915 in una dichiarazione di Francia, Inghilterra e Russia contro la Turchia, in occasione del massacro degli armeni, definito «nuovo crimine della Turchia contro l'umanità e la civiltà». Le atrocità naziste hanno indotto il tribunale di Norimberga a ridefinire la nozione nell'articolo 6c: «L'assassinio, lo sterminio, la schiavitù, la deportazione e ogni altro atto inumano commesso contro qualsiasi popolazione civile, prima o dopo la guerra o, ancora, le persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi, qualora questi atti o persecuzioni, che abbiano costituito o meno una violazione del diritto interno del paese in cui sono stati perpetrati, siano stati commessi in seguito a qualsiasi crimine che rientri nella competenza del tribunale o siano in rapporto con detto crimine».

Nella sua requisitoria a Norimberga Francois de Menthon, procuratore generale francese, sottolineava la portata ideologica di questi crimini:

"Mi propongo di dimostrarvi che qualsiasi forma di crimine organizzato e di massa deriva da ciò che oserei definire un crimine contro lo spirito, e cioè da una dottrina che, negando tutti i valori spirituali, razionali o morali sui quali i popoli hanno tentato da millenni di far progredire la condizione umana, mira a respingere l'umanità nella barbarie, non più nella barbarie naturale e spontanea dei popoli primitivi, ma in una barbarie demoniaca in quanto cosciente di sé e in grado di utilizzare ai suoi fini tutti i mezzi materiali che la scienza contemporanea mette a disposizione dell'uomo. In questo attentato allo spirito consiste il peccato originale del nazionalsocialismo da cui derivano tutti i crimini. Tale mostruosa dottrina è l'ideologia del razzismo.... Che si tratti del crimine contro la pace o dei crimini di guerra, non ci troviamo comunque di fronte a una criminalità accidentale, occasionale, che gli eventi potrebbero, non dico giustificare, ma perlomeno spiegare: ci troviamo di fronte a una criminalità sistematica, che deriva direttamente e necessariamente da una dottrina mostruosa, favorita con deliberata volontà dai dirigenti della Germania nazista".

Francois de Menthon precisava, inoltre, che le deportazioni destinate a fornire manodopera supplementare alla macchina bellica tedesca e quelle volte all'eliminazione degli oppositori del regime erano soltanto «una conseguenza naturale della dottrina nazionalsocialista per la quale l'uomo non ha nessun valore in sé quando non è al servizio della razza tedesca». Tutte le dichiarazioni del tribunale di Norimberga insistevano su una delle principali caratteristiche del crimine contro l'umanità: il fatto che la potenza dello Stato fosse messa al servizio di una politica e di una pratica criminali. Ma la competenza del tribunale era limitata ai crimini commessi durante la seconda guerra mondiale. Era, quindi, indispensabile estendere la nozione giuridica a situazioni che non rientrassero in quella casistica. Il nuovo Codice penale francese, entrato in vigore il 23 luglio 1992, definisce così il crimine contro l'umanità: «La deportazione, la schiavitù o la pratica massiccia e sistematica di esecuzioni capitali sommarie, di sequestri seguiti dalla scomparsa della persona rapita, della tortura o di atti disumani ispirati a motivazioni "politiche, filosofiche" [corsivo dell'Autore], razziali o religiose, e organizzati in esecuzione di un piano concertato contro un gruppo di popolazione civile».

Ora, queste definizioni, in particolare quella francese recente, si attagliano a numerosi crimini commessi sotto Lenin, e specialmente sotto Stalin, e poi in tutti i paesi comunisti eccetto (con beneficio di inventario) Cuba e il Nicaragua dei sandinisti. Il presupposto sembra inconfutabile: i regimi comunisti hanno operato «in nome di uno Stato che praticava una politica di egemonia ideologica». E proprio in nome di una dottrina, fondamento logico e necessario del sistema, vennero massacrate decine di milioni di persone innocenti a cui non si poteva rimproverare nessun atto particolare, a meno che non si riconosca come crimine il fatto di essere nobile, borghese, kulak, ucraino e persino operaio o... membro del Partito comunista. L'intolleranza attiva faceva parte del programma messo in atto. Non è stato forse il massimo dirigente dei sindacati sovietici, Tomskij, a dichiarare il 13 novembre 1927, su «Trud»: «Nel nostro paese possono esistere anche altri partiti. Ma un principio fondamentale ci distingue dall'Occidente; si immagini una simile situazione: un partito comanda e tutti gli altri sono in prigione».

La nozione di crimine contro l'umanità è complessa e comprende crimini ben definiti. Uno dei più specifici è il genocidio. In seguito a quello degli ebrei perpetrato dai nazisti, e allo scopo di precisare l'articolo 6c del tribunale di Norimberga, la nozione è stata definita da una convenzione delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1948:

"Per genocidio si intende uno qualunque dei seguenti atti, commessi con l'intenzione di distruggere completamente o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale: a) assassinio di membri del gruppo; b) grave attentato all'incolumità fisica o mentale di membri del gruppo; c) imposizione intenzionale al gruppo di condizioni di vita destinate a provocarne la distruzione fisica totale o parziale; d) misure volte a ostacolare le nascite all'interno del gruppo; e) trasferimenti coatti dei figli di un gruppo a un altro".

Il nuovo Codice penale francese dà del genocidio una definizione ancora più ampia: «Il fatto, in esecuzione di un "piano concertato" tendente alla distruzione totale o "parziale" di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, "o di un gruppo determinato sulla base di qualsiasi altro criterio arbitrario" [corsivo dell'Autore]». Questa definizione giuridica non contraddice l'approccio più filosofico di André Frossard, secondo il quale «si commette un crimine contro l'umanità quando si uccide qualcuno con il pretesto che è nato». E nel suo breve e magnifico racconto intitolato "Tutto scorre", Vasilij Grossman dice del suo personaggio, Ivan Grigorievic, di ritorno dal campo di concentramento: «E' rimasto quello che era alla nascita, un uomo». Ed è esattamente questa la ragione per cui era stato perseguitato. La definizione francese permette anche di sottolineare che il genocidio non è sempre dello stesso tipo - razziale, come nel caso degli ebrei - ma può colpire anche gruppi sociali. In un libro pubblicato a Berlino nel 1924, intitolato "La Terreur rouge en Russie", lo storico russo, e socialista, Sergej Mel'gunov, citava Lacis, uno dei primi capi della Ceka (la polizia politica sovietica) che, il primo novembre 1918, diede queste direttive ai suoi sgherri:

"Noi non facciamo la guerra contro singole persone. Noi sterminiamo la borghesia come classe. Nelle indagini non cercate documenti e prove su ciò che l'accusato ha fatto, in atti e parole, contro l'autorità sovietica. Chiedetegli subito a che classe appartiene, quali sono le sue origini, la sua educazione, la sua istruzione e la sua professione".

Fin dal principio Lenin e i suoi compagni si sono inquadrati in una guerra di classe spietata, in cui l'avversario politico e ideologico e persino la popolazione renitente erano considerati, e trattati, alla stregua di nemici e dovevano essere sterminati. I bolscevichi hanno deciso di eliminare, sia legalmente sia fisicamente, qualsiasi opposizione o resistenza, anche passiva, al loro potere egemonico, non soltanto quando quest'ultima era prerogativa di gruppi di oppositori politici, ma anche quando era guidata da gruppi sociali in quanto tali - la nobiltà, la borghesia, l'intellighenzia, la Chiesa eccetera, e categorie professionali (gli ufficiali, le guardie...) -, e questa eliminazione ha spesso assunto la dimensione del genocidio. Fin dal 1920 la «decosacchizzazione» corrisponde ampiamente alla definizione di genocidio: un'intera popolazione a forte base territoriale, i cosacchi, veniva sterminata in quanto tale, gli uomini venivano fucilati, le donne, i vecchi e i bambini deportati, i paesi rasi al suolo o consegnati a nuovi occupanti non cosacchi. Lenin assimilava i cosacchi alla Vandea durante la Rivoluzione francese e proponeva di applicare al loro caso il trattamento che Gracchus Babeuf, l'«inventore» del comunismo moderno, aveva definito fin dal 1795 «popolicidio».

La «dekulakizzazione» del 1930-1932 fu la ripresa su ampia scala della decosacchizzazione: questa volta, però, fu rivendicata da Stalin, la cui parola d'ordine ufficiale, strombazzata dalla propaganda di regime, era «sterminare i kulak in quanto classe». I kulak che resistevano alla collettivizzazione furono fucilati, gli altri deportati con donne, vecchi e bambini. Certo non furono tutti eliminati direttamente, ma il lavoro forzato al quale vennero sottoposti, in zone non dissodate della Siberia e del Grande Nord, lasciò loro poche possibilità di sopravvivenza. Centinaia di migliaia di persone persero la vita, ma il numero esatto delle vittime non si conosce ancora. La grande carestia ucraina del 1932-1933, legata alla resistenza delle popolazioni rurali alla collettivizzazione forzata, provocò in pochi mesi la morte di 6 milioni di persone. In questo caso, il genocidio «di classe» si confonde con il genocidio «di razza»: la morte per stenti del bambino di un kulak ucraino deliberatamente ridotto alla fame dal regime stalinista «vale» la morte per stenti di un bambino ebreo del ghetto di Varsavia ridotto alla fame dal regime nazista. Questa constatazione non rimette affatto in discussione la singolarità di Auschwitz: la mobilitazione delle risorse tecniche più moderne e l'attuazione di un vero e proprio processo industriale (la costruzione di una «fabbrica di sterminio»), l'uso dei gas e dei forni crematori, ma sottolinea una particolarità di molti regimi comunisti: l'uso sistematico dell'arma della fame. Il regime tende a controllare completamente le riserve alimentari e, con un sistema di razionamento talvolta molto sofisticato, le ridistribuisce in funzione del merito o del demerito degli uni o degli altri. Questa pratica può provocare immani carestie. Facciamo notare che, dopo il 1918, soltanto i paesi comunisti hanno conosciuto carestie tali da causare la morte di centinaia di migliaia, se non di milioni, di uomini. Ancora nell'ultimo decennio due dei paesi dell'Africa che si rifacevano al marxismo-leninismo, l'Etiopia e il Mozambico, sono stati vittime di queste micidiali carestie.

E' possibile fare un primo bilancio globale di questi crimini:
- fucilazione di decine di migliaia di ostaggi o di persone imprigionate senza essere state sottoposte a giudizio e massacro di
centinaia di migliaia di operai e di contadini insorti fra il 1918 e il 1922;
- carestia del 1922, che ha provocato la morte di 5 milioni di persone;
- deportazione ed eliminazione dei cosacchi del Don nel 1920;
- assassinio di decine di migliaia di persone nei campi di concentramento fra il 1918 e il 1930;
- eliminazione di quasi 690 mila persone durante la Grande purga del 1937-1938;
- deportazione di 2 milioni di kulak (o presunti tali) nel 1930-1932;
- sterminio di 6 milioni di ucraini nel 1932-1933 per carestia indotta e non soccorsa;
- deportazione di centinaia di migliaia di polacchi, ucraini, baltici, moldavi e bessarabi nel 1939-1941, poi nuovamente nel 1944-1945;
- deportazione dei tedeschi del Volga nel 1941;
- deportazione-abbandono dei tatari della Crimea nel 1943:
- deportazione-abbandono dei ceceni nel 1944;
- deportazione-abbandono degli ingusceti nel 1944;
- deportazione-eliminazione delle popolazioni urbane della Cambogia fra il 1975 e il 1978;
- lento sterminio dei tibetani per mano dei cinesi dal 1950 eccetera.

La lista dei crimini del leninismo e dello stalinismo, spesso riprodotti in modo quasi identico dai regimi di Mao Zedong, Kim Il Sung e Pol Pot, potrebbe essere estesa all'infinito. Rimane una delicata questione epistemologica: lo storico, nel delineare e interpretare i fatti, è autorizzato a ricorrere a nozioni quali «crimine contro l'umanità» e «genocidio» che, come abbiamo visto, appartengono alla sfera giuridica? Queste nozioni non sono forse troppo legate a imperativi contingenti - la condanna del nazismo a Norimberga - per essere inserite in una riflessione storica che miri a impostare, sul medio periodo, un'analisi valida? D'altro canto, queste nozioni non sono troppo cariche di valori suscettibili di falsare l'obiettività dell'analisi storica?

Per quanto riguarda il primo punto, la storia di questo secolo ha rivelato che la pratica dello sterminio di massa da parte dello Stato o di partiti-Stato non è stata un'esclusiva nazista. La Bosnia e il Ruanda dimostrano che tali pratiche perdurano e che probabilmente costituiranno una delle principali caratteristiche del nostro secolo. In merito al secondo punto, è evidente che non si può tornare all'impostazione del diciannovesimo secolo, quando lo storico cercava di giudicare più che di capire. Ma di fronte alle immense tragedie umane, direttamente provocate da determinate concezioni ideologiche e politiche, egli può forse abbandonare ogni riferimento a una mentalità umanistica - legata alla nostra civiltà giudaico-cristiana e alla nostra cultura democratica - che si fonda, per esempio, sul rispetto della persona umana? Molti storici famosi non esitano a usare l'espressione «crimine contro l'umanità» per definire i crimini nazisti, come Jean-Pierre Azema nella voce su Auschwitz o Pierre Vidal-Naquet a proposito del processo Touvier. Ci sembra, quindi, che il ricorso a queste nozioni per caratterizzare alcuni crimini commessi dai regimi comunisti non sia illegittimo.

Oltre alla questione della responsabilità diretta dei comunisti al potere si pone anche quella della complicità. Il Codice penale canadese, rimaneggiato nel 1987, all'articolo 7 (3.77) considera che si incorre nel crimine contro l'umanità nei casi di tentativo, complicità, consiglio, aiuto, "incoraggiamento o complicità di fatto". Sono parimenti assimilati agli atti di crimine contro l'umanità - articolo 7 (3.76) - «il tentativo, il complotto, "la complicità dopo il fatto" [corsivo dell'Autore], il consiglio, l'aiuto o l'incoraggiamento riguardante il fatto stesso». Ora, dagli anni Venti agli anni Cinquanta, i comunisti di tutto il mondo e molte altre persone hanno applaudito la politica di Lenin e poi quella di Stalin. Centinaia di migliaia di uomini si sono arruolate nelle file dell'Internazionale comunista delle sezioni locali del «partito mondiale della rivoluzione». Negli anni Cinquanta-Settanta altre centinaia di migliaia di uomini hanno incensato il Grande timoniere della Rivoluzione cinese e hanno tessuto le lodi del Grande balzo in avanti della Rivoluzione culturale. Per giungere a tempi ancora più recenti, l'ascesa al potere di Pol Pot è stata salutata da un diffuso entusiasmo. Molti risponderanno che «non sapevano». Ed è vero che non era sempre facile sapere, poiché i regimi comunisti avevano fatto del segreto uno dei loro mezzi di difesa preferiti. Ma, spesso, quest'ignoranza era solo il risultato di una cecità dovuta alla fede militante: fin dagli anni Quaranta e Cinquanta, infatti, molti accadimenti erano noti e inconfutabili. E se molti di questi incensatori hanno oggi abbandonato i loro idoli di ieri, lo hanno fatto nel silenzio e nella discrezione. Ma che cosa si deve pensare dell'amoralismo innato di chi abbandona nel segreto del proprio animo un impegno pubblico senza trarne la debita lezione?

Nel 1969 uno dei pionieri dello studio del terrore comunista, Robert Conquest, scriveva:

"Il fatto che tante persone abbiano effettivamente «mandato giù» [la Grande purga] fu probabilmente uno dei fattori che resero possibile l'intera purga. I processi, in particolare, avrebbero riscosso scarso interesse se non fossero stati convalidati da alcuni commentatori stranieri, e dunque «indipendenti». Questi ultimi devono essere considerati corresponsabili, almeno in piccola parte, di tali omicidi politici o, in ogni caso, del fatto che essi si siano rinnovati dopo che la prima operazione, il processo Zinov'ev [nel 1936], ebbe beneficiato di un credito ingiustificato".

Se si giudica con questo metro la complicità morale e intellettuale di un certo numero di non comunisti, che cosa si dovrebbe dire della complicità dei comunisti? Non si ricorda che Louis Aragon si sia pubblicamente pentito di avere auspicato, in una poesia del 1931, la creazione di una polizia politica comunista in Francia, anche se a tratti è sembrato che criticasse il periodo stalinista. Joseph Berger, un ex dirigente del Comintern che è stato «purgato» e ha conosciuto il campo di concentramento, cita la lettera scrittagli da una ex deportata in un gulag, che rimase membro del Partito dopo avere riconquistato la libertà:

"I comunisti della mia generazione hanno accettato l'autorità di Stalin. Hanno approvato i suoi crimini. Ciò è vero non soltanto per i comunisti sovietici ma anche per quelli del resto del mondo e questa macchia ci bolla individualmente e collettivamente. Possiamo cancellarla soltanto facendo in modo che non accada mai più nulla di simile. Che cosa è successo? Avevamo perso il senno o adesso siamo dei traditori del comunismo? La verità è che tutti, compresi quanti erano più vicini a Stalin, abbiamo fatto dei crimini il contrario di quello che erano. Li abbiamo cioè considerati importanti contributi alla vittoria del socialismo. Abbiamo creduto che tutto ciò che consolidava la potenza politica del Partito comunista in Unione Sovietica e nel mondo fosse una vittoria per il socialismo. Non abbiamo mai considerato che all'interno del comunismo potesse esserci conflitto fra la politica e l'etica".

Berger, dal canto suo, attenua l'affermazione:

"Ritengo che se si può condannare il comportamento di quanti hanno accettato la politica di Stalin, il che non fu il caso di tutti i comunisti, è più difficile rimproverare loro di non avere impedito questi stessi crimini. Credere che uomini, pur appartenenti alle alte sfere del potere, potessero contrastare i suoi piani significa non avere capito nulla del suo dispotismo bizantino".

Ma Berger ha la scusante di essersi trovato nell'URSS e di essere stato, quindi, afferrato dalla macchina infernale a cui non poté sfuggire. Ma perché i comunisti dell'Europa occidentale, che non dovettero subire direttamente l'N.K.V.D. (una sorta di ministero sovietico che aveva alle dipendenze la polizia politica), hanno continuato a tessere le lodi del sistema e del suo capo? Doveva essere ben potente il filtro magico che li condizionava! Martin Malia, nel suo bel libro sulla Rivoluzione russa "La tragédie soviétique", svela in parte il mistero parlando del «paradosso di un grande ideale sfociato in un grande crimine». Annie Kriegel, un'altra famosa studiosa del comunismo, insisteva su quest'articolazione quasi necessaria delle sue due facce: una luminosa e l'altra oscura. Una prima risposta a questo paradosso viene da Tzvetan Todorov:

"Chi vive in una democrazia occidentale vorrebbe credere che il totalitarismo sia interamente estraneo alle normali aspirazioni umane. Ma, se così fosse, non si sarebbe mantenuto tanto a lungo, attirando tanti individui nella sua orbita. Al contrario, esso è una macchina di temibile efficacia. L'ideologia comunista propone l'immagine di una società migliore e ci incita ad aspirarvi: il desiderio di trasformare il mondo in nome di un ideale non è forse parte integrante dell'identità umana? ... Per di più, la società comunista priva l'individuo delle sue responsabilità: sono sempre «loro» a decidere. E la responsabilità è un fardello spesso pesante da portare.... L'attrazione per il sistema totalitario, inconsciamente provata da moltissimi individui, deriva da una certa paura della libertà e della responsabilità; il che spiega la popolarità di tutti i regimi autoritari (è la tesi di Erich Fromm in 'Fuga dalla libertà'); esiste una «servitù volontaria», diceva già La Boétie".

La complicità di coloro che si sono abbandonati alla servitù volontaria non è stata e non è sempre astratta e teorica. Il semplice fatto di accettare e/o riprendere una propaganda destinata a nascondere la verità sfiorava e sfiora comunque la complicità attiva. Perché la pubblicità è l'unico modo - anche se non sempre efficace, come ha recentemente dimostrato la tragedia del Ruanda - di combattere i crimini di massa commessi in segreto, lontano da sguardi indiscreti. L'analisi di questa realtà fondamentale del fenomeno comunista al potere - dittatura e terrore - non è facile. Jean Ellenstein ha definito il fenomeno stalinista un misto di tirannide greca e di dispotismo orientale. La formula è seducente, ma non rende il carattere moderno di quest'esperienza e la sua portata totalitaria, diversa dalle precedenti forme storiche di dittatura. Un rapido esame comparativo permetterà di comprenderne meglio la natura. Si potrebbe incominciare ricordando la tradizione russa dell'oppressione. I bolscevichi combattevano il regime terrorista dello zar, che però impallidisce di fronte agli orrori del bolscevismo al potere. I prigionieri politici dello zar avevano diritto a un vero e proprio sistema giudiziario, dove la difesa poteva esprimersi al pari, se non meglio, dell'accusa, prendendo a testimone l'opinione pubblica nazionale, inesistente nel regime comunista, e soprattutto quella internazionale. I prigionieri e i condannati godevano di un regolamento carcerario, e le condizioni di reclusione e persino di deportazione erano relativamente leggere. I deportati potevano partire con la famiglia, leggere e scrivere ciò che desideravano, andare a caccia e a pesca e incontrarsi liberamente con i compagni di sventura. Lenin e Stalin l'avevano sperimentato di persona. Perfino le "Memorie da una casa di morti" di Dostoevskij, che tanto colpirono l'opinione pubblica al momento della pubblicazione, sembrano ben poca cosa in confronto agli orrori del comunismo. Nella Russia degli anni che vanno dal 1880 al 1914 ci furono indubbiamente sommosse e insurrezioni duramente represse da un sistema politico arcaico. Ma dal 1825 al 1917 le persone condannate a morte in Russia per le loro idee o la loro azione politica sono state 6360, di cui ne sono state giustiziate 3932 -191 dal 1825 al 1905 e 3741 dal 1906 al 1910 -, cifra che nel marzo 1918, dopo soli quattro mesi di esercizio del potere, i bolscevichi avevano già superato. Fra il bilancio della repressione zarista e quello del terrore comunista non c'è, quindi, confronto. Negli anni Venti-Quaranta il comunismo ha violentemente stigmatizzato il terrore messo in atto dai regimi fascisti. Un rapido esame delle cifre mostra che, anche in questo caso, le cose non sono poi così semplici. E' vero che il fascismo italiano, il primo a manifestarsi e a dichiararsi apertamente «totalitario», ha imprigionato e spesso maltrattato i suoi avversari politici. Ma raramente è arrivato a uccidere e, a metà degli anni Trenta, l'Italia contava poche centinaia di prigionieri politici e diverse centinaia di confinati - in domicilio coatto nelle isole -, ma, in compenso, decine di migliaia di esiliati politici.

Fino a prima della guerra il terrore nazista ha preso di mira solo pochi gruppi. L'opposizione al regime, rappresentata principalmente da comunisti, socialisti, anarchici e da alcuni sindacalisti, è stata repressa apertamente: i suoi rappresentanti sono stati incarcerati e soprattutto internati in campi di concentramento, dove hanno subito terribili angherie. Dal 1933 al 1939 nei campi di concentramento e nelle prigioni sono stati assassinati in totale circa 20 mila militanti di sinistra, con o senza processo. A tutto ciò vanno aggiunti i regolamenti di conti interni al nazismo, come la Notte dei lunghi coltelli, nel giugno del 1934. Un'altra categoria di vittime destinate alla morte era rappresentata dai tedeschi che si riteneva non corrispondessero ai criteri razziali dell'«ariano alto e biondo»: malati mentali, handicappati e vecchi. Hitler si è deciso a passare all'azione con lo scoppio della guerra: tra la fine del 1939 e l'inizio del 1941 sono stati sterminati in camera a gas 70 mila tedeschi, vittime di un programma di eutanasia a cui ha posto fine solo la protesta delle Chiese. I metodi di sterminio con i gas tossici messi a punto in quell'occasione sono stati utilizzati in seguito per il terzo gruppo di vittime, gli ebrei.

Prima della guerra vigevano misure di segregazione razziale di carattere generale contro gli ebrei, ma la loro persecuzione toccò il culmine durante la Notte dei cristalli, che vide parecchie centinaia di morti e 35 mila internamenti nei campi di concentramento. Ma soltanto con la guerra, e soprattutto con l'attacco all'URSS, si scatenò il terrore nazista, di cui forniamo un sommario bilancio: 15 milioni di civili uccisi nei paesi occupati; 5 milioni 100 mila ebrei; 3 milioni 300 mila prigionieri di guerra sovietici; un milione 100 mila deportati morti nei campi di concentramento; parecchie centinaia di migliaia di zingari. A queste vittime vanno aggiunti 8 milioni di persone utilizzate per i lavori forzati e un milione 600 mila persone detenute nei campi di concentramento non decedute.

Il terrore nazista ha impressionato per tre motivi. Innanzi tutto perché ha toccato direttamente gli europei. In secondo luogo perché, in seguito alla sconfitta del nazismo e al processo di Norimberga ai suoi dirigenti, i suoi crimini sono stati ufficialmente designati e stigmatizzati come tali. Infine, la rivelazione del genocidio degli ebrei ha sconvolto le coscienze per il suo carattere apparentemente irrazionale, la sua dimensione razzista e la radicalità del crimine. Non è nostra intenzione istituire in questa sede chissà quale macabra aritmetica comparativa, né tenere una contabilità rigorosa dell'orrore o stabilire una gerarchia della crudeltà. Ma i fatti parlano chiaro e mostrano che i crimini commessi dai regimi comunisti riguardano circa 100 milioni di persone, contro i circa 25 milioni di vittime del nazismo. Questa semplice constatazione deve quantomeno indurre a riflettere sulla somiglianza fra il regime che a partire dal 1945 venne considerato il più criminale del secolo e un sistema comunista che ha conservato fino al 1991 piena legittimità internazionale, e che a tutt'oggi è al potere in alcuni paesi e continua ad avere sostenitori in tutto il mondo. E anche se molti partiti comunisti hanno tardivamente riconosciuto i crimini dello stalinismo, nella maggior parte dei casi non hanno abbandonato i principi di Lenin e non si interrogano troppo sul loro coinvolgimento nel fenomeno del Terrore.

I metodi adoperati da Lenin e sistematizzati da Stalin e dai loro seguaci non soltanto ricordano quelli nazisti, ma molto spesso ne sono il precorrimento. A questo proposito Rudolf H”ss, incaricato di creare il campo di Auschwitz, che sarebbe poi stato chiamato a dirigere, ricorda significativamente che la direzione della Sicurezza aveva fatto pervenire ai comandanti dei campi una documentazione dettagliata sui campi di concentramento russi, in cui, sulla base delle testimonianze degli evasi, erano descritte nei minimi particolari le condizioni che vi vigevano, ed emergeva come i russi annientassero intere popolazioni impiegandole nei lavori forzati. Il fatto che il grado e le tecniche di violenza di massa fossero state inaugurate dai comunisti e che i nazisti abbiano potuto trarne ispirazione non implica comunque, a nostro avviso, che si possa stabilire un rapporto diretto di causa ed effetto fra l'ascesa al potere dei bolscevichi e la comparsa del nazismo.

Già alla fine degli anni Venti la G.P.U. (nuovo nome della Ceka) inaugurò il metodo delle quote: ogni regione, ogni distretto doveva arrestare, deportare o fucilare una determinata percentuale di persone appartenenti a classi sociali nemiche. Queste percentuali erano fissate dalla direzione centrale del Partito. La follia pianificatrice e la mania statistica non si sono limitate all'economia, ma hanno imperversato anche nell'ambito del terrore. Fin dal 1920, con la vittoria dell'Armata rossa su quella bianca, in Crimea, si adottano metodi statistici, e addirittura sociologici: le vittime vengono selezionate secondo criteri precisi, stabiliti sulla base di questionari ai quali nessuno può sottrarsi. Gli stessi metodi sociologici saranno utilizzati dai sovietici per organizzare le deportazioni e le eliminazioni di massa negli Stati baltici e nella Polonia occupata nel 1939-1941. Il trasporto dei deportati sui carri bestiame ha dato luogo ad aberrazioni del tutto analoghe a quelle naziste: nel 1943-1944, in piena guerra, Stalin ha distolto dal fronte migliaia di vagoni e centinaia di migliaia di uomini dalle truppe speciali dell'N.K.V.D. per provvedere alla deportazione delle popolazioni del Caucaso nel giro di pochissimi giorni. Questa logica genocida - che, per riprendere il Codice penale francese, consiste nella «distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, o di un gruppo determinato sulla base di qualsiasi altro criterio arbitrario» - applicata dal potere comunista a gruppi individuati come nemici, a porzioni della sua stessa società, è stata portata al parossismo da Pol Pot e dai suoi khmer rossi. Il confronto fra nazismo e comunismo per quanto riguarda i rispettivi stermini può risultare sconvolgente. Eppure, Vasilij Grossman - figlio di una donna uccisa dai nazisti nel ghetto di Berdicev, autore del primo testo su Treblinka e coordinatore, insieme con altri, del "Libro nero" sullo sterminio degli ebrei in Unione Sovietica - nel racconto "Tutto scorre" fa dire a uno dei suoi personaggi a proposito della fame in Ucraina: «... lo scrivevano gli scrittori, e Stalin in persona: tutti a darci sotto su un punto solo: i kulak, i parassiti, bruciano il grano, ammazzano i bambini. E annunciarono apertamente che bisognava sollevare il furore delle masse contro di loro, annientarli tutti come classe, i maledetti ». E aggiunge: «Per ammazzarli bisognava annunciare: i kulak non sono esseri umani. Proprio come dicevano i tedeschi: gli ebrei non sono esseri umani. Così anche Lenin e Stalin: i kulak non sono esseri umani». E Grossman conclude, a proposito dei figli dei kulak: «Sì, proprio come i tedeschi, che soffocavano i bambini degli ebrei con il gas, perché loro non avevano il diritto di vivere, loro erano ebrei».

Ogni volta si colpiscono non tanto degli individui, quanto dei gruppi. Il terrore ha lo scopo di sterminare un gruppo individuato come nemico che, se è vero che costituisce soltanto una porzione della società, viene comunque colpito in quanto tale da una logica genocida. I meccanismi di segregazione e di esclusione del totalitarismo di classe presentano, quindi, una straordinaria somiglianza con quelli del totalitarismo di razza. La futura società nazista doveva essere costruita attorno alla razza pura, la futura società comunista attorno a un popolo proletario depurato da qualsiasi scoria borghese. La ricostruzione di queste due società venne progettata allo stesso modo, anche se i criteri di esclusione non furono gli stessi. E', quindi, un errore sostenere che il comunismo sia una dottrina universalistica: è vero che il progetto ha una vocazione mondiale, ma una parte dell'umanità è dichiarata indegna di esistere, esattamente come nel nazismo. L'unica differenza consiste nel fatto che la società comunista, invece di essere divisa su base razziale e territoriale come quella nazista, è stratificata in classi sociali. I misfatti leninisti, stalinisti, maoisti e l'esperienza cambogiana pongono, quindi, all'umanità, oltre che ai giuristi e agli storici, un nuovo quesito: come definire il crimine che consiste nello sterminio, per ragioni politico-ideologiche, non più di individui o di gruppi limitati di oppositori, ma di massicce porzioni della società? Bisogna limitarsi, come fanno i giuristi cechi, a definire i crimini commessi durante il regime comunista semplicemente «crimini comunisti»? O bisogna inventare una nuova denominazione? Alcuni autori anglosassoni la pensano in questo modo e hanno coniato il termine «politicidio».

Che cosa si sapeva dei crimini del comunismo? Che cosa si voleva saperne? Perché si è dovuta aspettare la fine del secolo affinché questo tema potesse diventare oggetto di un'indagine scientifica? E', infatti, evidente che lo studio del terrore stalinista e comunista in generale, paragonato allo studio dei crimini nazisti, ha un enorme ritardo da colmare, anche se nell'Est le ricerche si fanno sempre più numerose.

A questo proposito non si può non rilevare con un certo stupore un forte contrasto. I vincitori del 1945 hanno legittimamente fatto del crimine, e in particolare del genocidio degli ebrei, il fulcro della loro condanna del nazismo. Numerosi studiosi di tutto il mondo lavorano da decenni su quest'argomento, a cui sono state dedicate decine di libri e decine di film, alcuni dei quali famosissimi: su registri alquanto diversi, "Notte e nebbia" e "Olocausto", "La scelta di Sophie" e "Schindler's List". Raul Hilberg, per fare un solo nome, ha incentrato la sua opera principale sulla minuziosa descrizione delle modalità di eliminazione degli ebrei nel Terzo Reich.

Ma sul tema dei crimini comunisti non esistono studi di questo tipo. Mentre i nomi di Himmler o di Eichmann sono noti in tutto il mondo come simboli della barbarie contemporanea, quelli di Dzerzinskij, di Jagoda o di Ezov sono ignorati dai più. E per Lenin, Mao, Ho Chi Minh, e persino per Stalin, si continua ad avere un sorprendente rispetto. La lotteria di Stato francese ha addirittura commesso la leggerezza di sfruttare l'immagine di Stalin e di Mao per una delle sue campagne pubblicitarie! A chi sarebbe mai venuto in mente di usare Hitler o Goebbels per una simile operazione?

L'eccezionale attenzione dedicata ai crimini hitleriani è perfettamente giustificata. Risponde alla volontà dei sopravvissuti di testimoniare, degli studiosi di comprendere e delle autorità morali e politiche di confermare i valori democratici. Ma perché le testimonianze sui crimini comunisti hanno un'eco così debole nell'opinione pubblica? Perché questo silenzio imbarazzato dei politici? E, soprattutto, perché questo silenzio accademico sulla catastrofe comunista che ha toccato, da ottant'anni a questa parte, circa un terzo dell'umanità, distribuito sui quattro continenti? Perché quest'incapacità di porre al centro dell'analisi del comunismo un fattore essenziale come il crimine, il crimine di massa, il crimine sistematico, il crimine contro l'umanità? Siamo di fronte all'impossibilità di comprendere o si tratta piuttosto del volontario rifiuto di sapere, della paura di capire?

Le ragioni di questo occultamento sono molteplici e complesse. Innanzitutto, la classica e costante volontà dei carnefici di far scomparire le tracce dei loro crimini e di giustificare ciò che non potevano nascondere. Il «rapporto segreto» di Hruscov del 1956, che ha costituito la prima ammissione dei crimini da parte dei dirigenti comunisti stessi, rimane comunque la confessione di un carnefice che tenta allo stesso tempo di mascherare e di coprire i propri crimini - come capo del Partito comunista ucraino al culmine del terrore -, attribuendoli unicamente a Stalin e giustificandosi con la scusa dell'obbedienza agli ordini; di occultarne la maggior parte (parla soltanto delle vittime comuniste, molto meno numerose delle altre); di minimizzarli (li definisce «abusi commessi durante il regime di Stalin»); e infine di giustificare la continuità del sistema con gli stessi principi, le stesse strutture e gli stessi uomini.

HruscOv ne offre una cruda testimonianza, quando riferisce dell'opposizione che incontrò durante la preparazione del «rapporto segreto», in particolare da parte di uno degli uomini di fiducia di Stalin:

"Kaganovic era talmente accondiscendente, che avrebbe tagliato la gola anche a suo padre se Stalin glielo avesse ordinato in nome della causa, cioè della causa stalinista. ... Intervenne allora Kaganovic opponendosi violentemente a me sulla stessa linea. La sua posizione non era determinata da un'analisi profonda delle conseguenze che questo problema avrebbe avuto nel partito, ma soltanto dalla paura che egli aveva di lasciarci la pelle. Era mosso soltanto dal desiderio di sfuggire a ogni responsabilità per quanto era avvenuto. Se erano stati commessi dei crimini, Kaganovic voleva essere certo che non venissero scoperte le sue colpe".

L'assoluta chiusura degli archivi nei paesi comunisti, il totale controllo della stampa, dei mass media e di tutte le vie di comunicazione con l'estero, la propaganda sui «successi» del regime, tutto questo dispositivo di blocco dell'informazione mirava in primo luogo a impedire che si facesse chiarezza sui crimini. Non contenti di nascondere i loro misfatti, i carnefici hanno combattuto con tutti i mezzi gli uomini che tentavano di informare l'opinione pubblica. Diversi osservatori e analisti hanno infatti tentato di aprire gli occhi ai loro contemporanei. Dopo la seconda guerra mondiale, ciò fu particolarmente evidente in due occasioni in Francia. Dal gennaio all'aprile del 1949 si tenne a Parigi il processo che oppose Viktor Kravcenko - ex alto funzionario sovietico che aveva scritto "Ho scelto la libertà", in cui descriveva la dittatura stalinista - al giornale comunista diretto da Louis Aragon, «Les lettres francaises», che lo copriva di insulti. Dal novembre del 1950 al gennaio del 1951 si tenne, sempre a Parigi, un altro processo fra «Les lettres francaises» e David Rousset, un intellettuale ex trotzkista, che era stato deportato in Germania dai nazisti e che, nel 1946, aveva ricevuto il premio Renaudot per il libro "L'univers concentrationnaire". Il 12 novembre 1949 Rousset aveva rivolto un appello a tutti gli ex deportati dei campi nazisti perché formassero una commissione d'inchiesta sui campi sovietici ed era stato violentemente attaccato dalla stampa comunista, che ne negava l'esistenza. In seguito all'appello di Rousset, il 25 febbraio 1950, in un articolo sul «Figaro littéraire» intitolato "Pour l'enquˆte sur les camps soviétiques. Qui est pire, Satan ou Belzébuth?", Margaret Buber Neumann raccontava della sua duplice esperienza di deportata nei campi nazisti e sovietici.

Contro tutte queste persone che lavoravano per illuminare le coscienze i carnefici hanno messo in campo, in un combattimento a tappeto, tutto l'arsenale dei grandi Stati moderni, in grado di intervenire nell'intero mondo. Hanno tentato di squalificarli, di screditarli, di intimidirli. Aleksandr Solzenicyn, Vladimir Bukovskij, Aleksandr Zinov'ev, Leonid Pljusc vennero espulsi dal paese; Andrej Saharov, esiliato a Gor'kij; il generale Petr Grigor'enko rinchiuso in un ospedale psichiatrico; Georgi Markov assassinato con un ombrello avvelenato.

Di fronte a un tale potere di intimidazione e di occultamento le vittime stesse esitavano a mostrarsi ed erano incapaci di reinserirsi in una società in cui i loro delatori e carnefici godevano di tutti gli onori. Vasilij Grossman descrive questa disperazione. A differenza della tragedia degli ebrei - in cui la comunità ebraica internazionale si è fatta carico della commemorazione del genocidio -, alle vittime del comunismo e ai loro eredi è stato a lungo impossibile mantenere viva la memoria della tragedia, essendo proibita qualsiasi commemorazione o richiesta di risarcimento.

Quando non riuscivano a nascondere certe verità - la pratica della fucilazione, i campi di concentramento, le carestie indotte -, i carnefici si ingegnavano a giustificare i fatti, falsandoli grossolanamente. Dopo avere rivendicato il Terrore, ne fecero l'allegoria della rivoluzione: «quando si taglia la foresta, i trucioli volano», o «non si può fare la frittata senza rompere le uova». Slogan, quest'ultimo, al quale Vladimir Bukovskij controbatteva di avere visto le uova rotte, ma di non avere mai assaggiato la frittata. Il massimo dell'aberrazione fu probabilmente raggiunto con lo stravolgimento del linguaggio. Grazie alla magia del vocabolario, il sistema dei campi di concentramento divenne un'opera di rieducazione e i carnefici educatori impegnati a trasformare gli uomini della vecchia società in «uomini nuovi». Gli "zek" - termine che indica i prigionieri dei campi di concentramento sovietici - erano «pregati» con la forza di credere in un sistema che li asserviva. In Cina il prigioniero del campo di concentramento è chiamato «studente»: deve studiare il pensiero giusto del Partito e correggere il proprio pensiero sbagliato.

Come spesso accade, la menzogna non è il contrario, in senso stretto, della verità e ogni menzogna si fonda su elementi di verità. I termini stravolti dal loro significato si collocano in una visione falsata che deforma la prospettiva d'insieme: si tratta di una forma di astigmatismo sociale e politico. Ora, è facile correggere una visione distorta dalla propaganda comunista, ma è assai difficile ricondurre chi vede da una prospettiva sbagliata a una concezione intellettuale corretta. La prima impressione rimane e si trasforma in pregiudizio. Da veri judoisti, grazie alla loro incomparabile potenza propagandistica, largamente fondata sullo stravolgimento del linguaggio, i comunisti hanno utilizzato la forza delle critiche rivolte ai loro metodi terroristici per ritorcerla loro contro, rinsaldando ogni volta le file dei loro militanti e simpatizzanti con il rinnovo dell'atto di fede comunista. In tal modo hanno ritrovato il principio primo della fede ideologica, formulato a suo tempo da Tertulliano: «Credo perché è assurdo».

Nell'ambito di queste operazioni di contropropaganda alcuni intellettuali si sono letteralmente prostituiti. Nel 1928 Gor'kij accettò di andare in «escursione» nelle isole Soloveckie, il campo di concentramento sperimentale dal quale nascerà per «metastasi» (Solzenicyn) il sistema del gulag. Dall'esperienza nacque un libro in lode di Soloveckie e del governo sovietico. Uno scrittore francese, Henri Barbusse, premio Goncourt 1916, non esitò, dietro pagamento, a incensare il regime stalinista pubblicando nel 1928 un libro sulla «meravigliosa Georgia» - dove, nel 1921, Stalin e il suo accolito Ordzonikidze si erano dati a una vera e propria carneficina e dove Berija, capo dell'N.K.V.D., si distingueva per il suo sadico machiavellismo - e nel 1935 la prima biografia ufficiosa di Stalin. Più tardi, Maria Antonietta Macciocchi ha tessuto le lodi di Mao e recentemente Danielle Mitterrand ha fatto lo stesso con Fidel Castro. Cupidigia, debolezza, vanità, attrazione per la forza e la violenza, passione rivoluzionaria: qualunque sia la motivazione, le dittature totalitarie hanno sempre trovato gli adulatori di cui avevano bisogno, e la dittatura comunista non ha fatto eccezione.

Di fronte alla propaganda comunista l'Occidente ha dato prova a lungo di una straordinaria cecità, causata al tempo stesso dall'ingenuità nei confronti di un sistema particolarmente perverso, dal timore della potenza sovietica e dal cinismo dei politici e degli affaristi. La cecità ha regnato a Jalta, quando il presidente Roosevelt ha abbandonato l'Europa dell'Est nelle mani di Stalin in cambio della promessa, redatta con tutti i crismi, che quest'ultimo vi avrebbe organizzato al più presto libere elezioni. Il realismo e la rassegnazione hanno regnato a Mosca quando, nel dicembre 1944, il generale De Gaulle ha barattato l'abbandono della sventurata Polonia nelle grinfie del moloch con la garanzia della pace sociale e politica data da Maurice Thorez di ritorno a Parigi.

Questa cecità è stata alimentata, e quasi legittimata, dalla convinzione dei comunisti occidentali e di molti uomini di sinistra che quei paesi stessero «costruendo il socialismo», che quell'utopia che nelle democrazie nutriva i conflitti sociali e politici «laggiù» stesse diventando una realtà, di cui Simone Weil ha sottolineato il prestigio: «Gli operai rivoluzionari sono felicissimi di avere dietro di loro uno Stato: uno Stato che dà alle loro azioni quel carattere ufficiale, quella legittimità, quella realtà, che solo lo Stato conferisce, e che al tempo stesso è situato troppo lontano (geograficamente parlando) per poterli disgustare». All'epoca il comunismo mostrava la sua faccia luminosa: si richiamava all'Illuminismo, a una tradizione di emancipazione sociale e umana, al sogno dell'«uguaglianza reale» e della «felicità per tutti» inaugurata da Gracchus Babeuf. E la faccia luminosa occultava quasi totalmente quella oscura.

All'ignoranza, voluta o meno, della dimensione criminale del comunismo si è aggiunta, come sempre, l'indifferenza dei contemporanei per i loro fratelli. Non che l'uomo abbia il cuore arido. Anzi, in molte situazioni limite sfodera risorse insospettate di solidarietà, amicizia, affetto e persino amore. Ma, come sottolinea Tzvetan Todorov, «la memoria dei nostri lutti ci impedisce di cogliere la sofferenza altrui». E, alla fine delle due guerre mondiali, quale popolo europeo o asiatico non era occupato a curarsi le ferite di innumerevoli lutti? Le difficoltà stesse incontrate in Francia nell'affrontare la storia degli anni bui sono sufficientemente eloquenti. La storia, o piuttosto la non storia, dell'occupazione continua, infatti, a tormentare la coscienza francese. Lo stesso accade, anche se in misura minore, per la storia del periodo nazista in Germania, fascista in Italia, franchista in Spagna, per la guerra civile in Grecia eccetera. In questo secolo di ferro e fuoco sono stati tutti troppo presi dalle proprie disgrazie per compatire quelle altrui.

L'occultamento della dimensione criminale del comunismo rimanda, tuttavia, a tre ragioni più specifiche. La prima riguarda l'attaccamento all'idea stessa di rivoluzione. Il superamento dell'idea di rivoluzione quale era stata concepita nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo è ancora lungi dall'essere concluso. I suoi simboli - bandiera rossa, Internazionale, pugno chiuso - risorgono ogni volta che compare un movimento sociale di una certa portata. Che Guevara ritorna di moda. Diversi gruppi apertamente rivoluzionari continuano a essere attivi e a operare nella piena legalità, trattando con disprezzo la minima riflessione critica sui crimini dei loro predecessori e non esitando a riesumare i vecchi discorsi giustificatori di Lenin, Trotsky o Mao. Tale passione rivoluzionaria non è stata solo degli altri. Diversi autori di questo libro hanno, infatti, creduto alla propaganda comunista, un tempo.

La seconda ragione riguarda la partecipazione dei sovietici alla vittoria sul nazismo, che ha permesso ai comunisti di mascherare dietro un ardente patriottismo i loro fini ultimi, che miravano alla presa del potere. Dal giugno 1941 i comunisti di tutti i paesi occupati sono entrati in una resistenza attiva, e spesso armata, all'occupante nazista e italiano. Come i combattenti di altre fedi, hanno pagato il prezzo della repressione con migliaia di uomini fucilati, massacrati, deportati. E si sono serviti di questi martiri per rendere sacra la causa comunista e impedire qualsiasi critica nei suoi confronti. Inoltre, durante la Resistenza molti non comunisti hanno stretto legami di solidarietà, lotta, parentela con comunisti, il che ha impedito a molti occhi di aprirsi. In Francia l'atteggiamento dei gaullisti è stato spesso dettato da questa memoria comune e incoraggiato dalla politica del generale De Gaulle, che usava l'Unione Sovietica come contrappeso agli Stati Uniti.

La partecipazione dei comunisti alla guerra e alla vittoria sul nazismo ha fatto definitivamente trionfare la nozione di antifascismo come riprova della verità a sinistra e, naturalmente, i comunisti si sono posti come i migliori rappresentanti e i migliori paladini dell'antifascismo. Quest'ultimo è diventato per il comunismo un'etichetta definitiva, in nome della quale è stato facile mettere a tacere i dissenzienti. Francois Furet ha scritto su questo punto cruciale pagine illuminanti. Dato che il nazismo sconfitto era stato bollato dagli Alleati come il Male assoluto, il comunismo è passato quasi automaticamente nel campo del Bene. Ciò risultò evidente durante il processo di Norimberga, in cui i sovietici figuravano fra i pubblici ministeri. Gli episodi imbarazzanti dal punto di vista dei valori democratici, come i patti germano-sovietici del 1939 o il massacro di Katyn', vennero quindi prontamente insabbiati. La vittoria sul nazismo fu considerata la prova della superiorità del sistema comunista. E soprattutto, nell'Europa liberata dagli angloamericani, ebbe l'effetto di suscitare un senso di gratitudine nei confronti dell'Armata rossa (di cui non si era dovuta subire l'occupazione) e un senso di colpa di fronte ai sacrifici sopportati dai popoli dell'Unione Sovietica, sentimenti che la propaganda comunista sfruttò debitamente a proprio favore.

Parallelamente, le modalità della liberazione dell'Europa dell'Est da parte dell'Armata rossa rimasero largamente ignote all'Occidente, dove gli storici fecero propri due tipi di liberazione molto diversi fra loro: uno conduceva alla restaurazione delle democrazie, l'altro apriva la strada all'instaurazione delle dittature. Nell'Europa centrale e orientale il sistema sovietico aspirava a succedere al Reich millenario e Witold Gombrowicz espresse in poche parole il dramma di questi popoli:

"La fine della guerra non ha apportato la libertà ai polacchi. In questa triste Europa centrale, ha significato soltanto lo scambio di una notte con un'altra, dei carnefici di Hitler con quelli di Stalin. Nel momento in cui nei caffè parigini le anime nobili salutavano con un canto radioso «l'emancipazione del popolo polacco dal giogo feudale», in Polonia la stessa sigaretta accesa passava semplicemente di mano e continuava a bruciare la pelle umana".

Qui sta il punto di frattura fra due memorie europee. Eppure, fin dai primi tempi, alcune opere hanno rivelato il modo in cui l'URSS ha liberato dal nazismo polacchi, tedeschi, cechi e slovacchi. L'ultima ragione dell'occultamento è più sottile e più delicata da esprimere. Dopo il 1945 il genocidio degli ebrei è apparso come il paradigma della barbarie moderna, fino a monopolizzare lo spazio riservato alla percezione del terrore di massa nel ventesimo secolo. Dopo avere negato in un primo tempo la specificità della persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, i comunisti hanno capito quanto un simile riconoscimento da parte loro potesse servire a riattivare l'antifascismo. Da allora, a qualsiasi proposito e spesso anche a sproposito, non si è mai più smesso di agitare lo spettro della «bestia immonda, il cui ventre è sempre fecondo», secondo il famoso slogan di Bertolt Brecht. Più recentemente, il fatto di aver messo in evidenza la singolarità del genocidio degli ebrei, sottolineandone l'eccezionale atrocità, ha impedito di percepire altre realtà dello stesso tipo nel mondo comunista. E poi, come si poteva immaginare che coloro che con la loro vittoria avevano contribuito a distruggere un sistema genocida potessero a loro volta adottare quei metodi? La risposta più comune fu il rifiuto di ammettere un simile paradosso.

La prima grande svolta nel riconoscimento ufficiale dei crimini comunisti risale al 24 febbraio 1956. Quella sera Nikita Hruscov, primo segretario, sale sulla tribuna del ventesimo Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, il P.C.U.S. E' una seduta a porte chiuse, a cui assistono soltanto i delegati. In un silenzio assoluto, essi ascoltano attoniti il primo segretario del Partito distruggere sistematicamente l'immagine del «piccolo padre dei popoli», del «geniale Stalin», che per trent'anni era stato l'eroe del comunismo mondiale. Questo rapporto, noto in seguito come il «rapporto segreto», costituisce uno dei cambiamenti di rotta fondamentali del comunismo contemporaneo. Per la prima volta un dirigente comunista di altissimo rango ammetteva ufficialmente, benché a uso esclusivo dei comunisti, che il regime che era salito al potere nel 1917 aveva conosciuto una «deriva» criminale.

Le ragioni che spinsero Hruscov a infrangere uno dei principali tabù del regime sovietico sono molteplici. Il suo obiettivo principale era di imputare i crimini del comunismo unicamente a Stalin e, in questo modo, circoscrivere e rimuovere il male per salvare il regime. Nella sua decisione rientrava anche la volontà di attaccare il clan degli stalinisti, che si opponevano al suo potere in nome dei metodi del loro antico padrone. Fin dall'estate del 1957, infatti, essi vennero tutti destituiti dalle loro cariche. Ma, per la prima volta dal 1934, all'eliminazione politica non seguì un'eliminazione reale, e da questo semplice particolare si può dedurre come le motivazioni di Hruscov fossero più profonde. Lui, che per anni era stato il padrone incontrastato dell'Ucraina e a questo titolo aveva guidato e coperto stragi immani, sembrava stanco di tutto quel sangue. Nelle sue memorie, in cui indubbiamente intende fare bella figura, Hruscov ricorda i suoi stati d'animo: «Il Congresso finirà e verranno votate delle risoluzioni pro forma, ma cosa si farà poi? Rimarranno sulla nostra coscienza le centinaia di migliaia di persone che sono morte fucilate».

Tutt'a un tratto, apostrofa duramente i suoi compagni:

"Quali posizioni assumeremo nei confronti di tutti coloro che sono stati arrestati o eliminati? ... Ora sappiamo che la gente che ha sofferto durante le repressioni era innocente. Abbiamo prove inconfutabili che essi, lontani dall'essere nemici del popolo, erano invece uomini e donne onesti, devoti al Partito, alla rivoluzione, alla causa leninista e all'edificazione del socialismo e del comunismo in Unione Sovietica.... Penso che sia impossibile tacere ancora. Prima o poi la gente uscirà dalle prigioni e dai campi, tornerà nelle città; e una volta a casa, racconterà ai parenti, agli amici e ai compagni cos'è avvenuto.... Perciò abbiamo l'obbligo di fare una completa confessione ai delegati sulla condotta tenuta dalla dirigenza del Partito durante gli anni in questione.... Come potremmo fingere d'ignorare quel che avvenne? ... Sappiamo che ci fu un regime di repressione e leggi arbitrarie nel Partito e noi abbiamo il dovere di dire al Congresso quel che sappiamo.... Per chiunque abbia commesso un crimine, giunge sempre il momento in cui una confessione gli può assicurare l'indulgenza anche se non l'assoluzione".

In alcuni degli uomini che avevano preso parte attiva ai crimini perpetrati durante il regime di Stalin e che, perlopiù, dovevano la promozione all'eliminazione dei loro predecessori, si faceva strada un certo rimorso; un rimorso sicuramente indotto, interessato, un rimorso da politico, ma in ogni caso un rimorso. Bisognava pure che qualcuno fermasse il massacro; Hruscov ebbe questo coraggio, anche se, nel 1956, non esitò a mandare i carri armati sovietici a Budapest. Nel 1961, durante il Ventiduesimo Congresso del P.C.U.S., Hruscov ricordò non soltanto le vittime comuniste, ma tutte le vittime di Stalin e propose persino di erigere un monumento in loro memoria. Probabilmente aveva superato il limite invisibile al di là del quale si rimetteva in discussione il principio stesso del regime: il monopolio del potere assoluto riservato al Partito comunista. Il monumento non vide mai la luce. Nel 1962 il primo segretario autorizzò la pubblicazione di "Una giornata di Ivan Denisovic", di Aleksandr Solzenicyn. Il 24 ottobre 1964 venne brutalmente destituito da tutte le sue funzioni ma nemmeno lui fu liquidato e morì nell'anonimato nel 1971.

Tutti gli studiosi riconoscono l'importanza decisiva del «rapporto segreto», che impresse una svolta fondamentale alla traiettoria del comunismo del ventesimo secolo. Francois Furet, che era uscito dal Partito comunista francese nel 1954, scrive a questo proposito:

"Appena reso noto, il «rapporto segreto» del febbraio 1956 sconvolge improvvisamente lo statuto dell'idea comunista nel mondo. La voce che denuncia i crimini di Stalin non viene più dall'Occidente, ma da Mosca e dal sancta sanctorum di Mosca, il Cremlino. Non è più quella di un comunista messo al bando, ma del primo dei comunisti nel mondo, il capo del partito dell'Unione Sovietica. Non è più lambita dal sospetto che colpisce il discorso degli ex comunisti, ma è rivestita dell'autorità suprema che il sistema ha assegnato al suo capo.... L'enorme impatto del «rapporto segreto» nasce dal fatto di non avere contraddittori".

L'evento era tanto più paradossale in quanto, fin dall'origine, molti contemporanei avevano messo in guardia i bolscevichi contro i pericoli del loro modo di procedere. Fin dal 1917-1918, infatti, all'interno dello stesso movimento socialista si erano scontrati coloro che credevano nella «grande luce dell'Est» e coloro che criticavano implacabilmente i bolscevichi. La disputa verteva essenzialmente sul metodo di Lenin: violenza, crimini e terrore. Mentre dagli anni Venti agli anni Cinquanta il lato oscuro dell'esperienza bolscevica è stato denunciato da molti testimoni, vittime e osservatori qualificati, in numerosi libri e articoli, bisognerà aspettare che gli stessi comunisti al potere riconoscano, sia pur limitatamente, questa realtà perché una porzione sempre più estesa dell'opinione pubblica cominci a prendere coscienza del dramma. Un riconoscimento parziale, poiché il «rapporto segreto» affrontava soltanto la questione delle vittime comuniste; ma un riconoscimento comunque, che costituiva una prima conferma delle testimonianze e degli studi precedenti e rafforzava un sospetto diffuso da tempo: il comunismo aveva provocato in Russia un'immensa tragedia.

I dirigenti di molti «partiti fratelli» non furono immediatamente convinti che bisognasse imboccare la via delle rivelazioni. Di fronte al precursore Hruscov passarono persino per retrogradi: si dovette attendere il 1979 perché il Partito comunista cinese distinguesse nella politica di Mao «grandi meriti», fino al 1957, e «grandi errori» successivamente. I vietnamiti affrontano la questione solo attraverso la condanna del genocidio perpetrato da Pol Pot. Fidel Castro, invece, nega le atrocità commesse sotto la sua egida.

Fino a quel momento la denuncia dei crimini comunisti era venuta soltanto dai loro nemici o dai dissidenti trotzkisti o anarchici; e non era stata particolarmente efficace. I superstiti dei massacri comunisti ebbero la stessa fortissima volontà di testimonianza dei superstiti dei massacri nazisti, ma vennero ascoltati poco o niente, soprattutto in Francia, dove l'esperienza concreta del sistema dei campi di concentramento sovietici toccò direttamente soltanto piccoli gruppi, come i «Malgré-nous» dell'Alsazia-Lorena. Perlopiù, le testimonianze, i flash della memoria, i lavori delle commissioni indipendenti create per iniziativa di pochi individui - quali la Commissione internazionale sul regime dei campi di concentramento di David Rousset, o la Commissione per la verità sui crimini di Stalin - sono stati coperti dalla grancassa della propaganda comunista, accompagnata da un silenzio vile o indifferente. Questo silenzio, che succede generalmente a qualche momento di sensibilizzazione dovuto alla comparsa di un'opera - "Arcipelago Gulag" di Solzenicyn - o di una testimonianza più inconfutabile delle altre - "I racconti di Kolyma" di Varlam Scialamov o "L'utopie meurtrière" di Pin Yathay -, è la manifestazione della resistenza di porzioni più o meno estese delle società occidentali di fronte al fenomeno comunista. Esse si sono finora rifiutate di guardare in faccia la realtà, di ammettere, cioè, che il sistema comunista, pur in diversa misura, comporta una dimensione fondamentalmente criminale. E con tale rifiuto partecipano della menzogna, nel senso in cui la intende Nietzsche: «Rifiutare di vedere qualcosa che si vede, rifiutare di vedere qualcosa come lo si vede».

Nonostante tutte queste difficoltà ad affrontare la questione, molti studiosi si sono cimentati nell'impresa. Dagli anni Venti agli anni Cinquanta, in mancanza di dati più attendibili, accuratamente occultati dal regime sovietico, la ricerca si è basata essenzialmente sulle testimonianze dei transfughi. Suscettibili di essere nutrite dalla vendetta e dalla denigrazione sistematica, o di essere manipolate da un potere anticomunista, queste testimonianze - contestabili da parte degli storici, come qualsiasi testimonianza - venivano regolarmente screditate dagli incensatori del comunismo. Che cosa bisognava pensare, nel 1959, della descrizione del gulag da parte di un transfuga d'alto rango del K.G.B., così come veniva riportata in un libro di Paul Barton?. E che cosa pensare dello stesso Paul Barton, il cui vero nome era Jirì Veltrusky, anch'egli esiliato e organizzatore insieme ad altri dell'insurrezione antinazista di Praga nel 1945, costretto a fuggire dal suo paese nel 1948? Ora, il confronto con gli archivi ormai aperti dimostra che quell'informazione del 1959 era assolutamente attendibile.

Negli anni Settanta e Ottanta la grande opera di Solzenicyn "Arcipelago Gulag" provocò un vero e proprio shock nell'opinione pubblica. Si trattò probabilmente di uno shock letterario, dovuto alla genialità del cronista, più che della presa di coscienza generale dell'orribile sistema che egli descriveva. Eppure Solzenicyn faticò ad abbattere il muro della menzogna, lui che nel 1975 era stato paragonato da un giornalista di un grande quotidiano francese a Pierre Laval, Doriot e Déat «che accoglievano i nazisti come liberatori».

La sua testimonianza è stata, tuttavia, decisiva per una prima presa di coscienza, come lo furono quelle di Scialamov sulla Kolyma o quella di Pin Yathay sulla Cambogia. Più recentemente ancora, Vladimir Bukovskij, una delle principali figure della dissidenza sovietica all'epoca di Breznev, ha lanciato un nuovo grido di protesta richiedendo, nel libro "Jugement à Moscou", l'istituzione di un nuovo tribunale di Norimberga per giudicare le attività criminali del regime. Il saggio, in Occidente, è stato accolto con favore dalla critica, ma ha avuto uno scarso successo di pubblico. Contemporaneamente si assiste a una fioritura di opere che riabilitano Stalin.

Quale motivazione, sul finire di questo ventesimo secolo, può spingere all'esplorazione di un campo così tragico, così cupo, così polemico? Oggi gli archivi non soltanto confermano queste testimonianze puntuali, ma permettono di andare molto più in là. Gli archivi interni del sistema di repressione dell'ex Unione Sovietica, delle ex democrazie popolari e della Cambogia mettono in luce una realtà terribile: il carattere massiccio e sistematico del terrore che, in molti casi, è sfociato nel crimine contro l'umanità. E' giunto il momento di affrontare in modo scientifico, documentato con fatti inconfutabili e libero da implicazioni politico-ideologiche, il problema ricorrente che tutti gli osservatori si sono posti: che ruolo ha il crimine nel sistema comunista?

In questa prospettiva, quale può essere il nostro apporto scientifico? Il nostro intervento risponde in primo luogo a un dovere di storia. Per lo storico nessun tema è tabù e le implicazioni e pressioni di qualunque tipo - politiche, ideologiche, personali - non devono impedirgli di seguire la strada della conoscenza, dell'esumazione e dell'interpretazione dei fatti, soprattutto quando questi ultimi siano stati a lungo e volontariamente sepolti nel segreto degli archivi e delle coscienze. Ora, questa storia del terrore comunista costituisce una delle componenti principali di una storia europea che voglia esaurire completamente la grande questione del totalitarismo. Quest'ultimo ha conosciuto una versione hitleriana ma anche una versione leninista e stalinista, e non si può più accettare una storia incompleta, che ignori il versante comunista. Così come non si può più assumere la posizione di ripiegamento che consiste nel ridurre la storia del comunismo unicamente alla dimensione nazionale, sociale e culturale. Tanto più che questa partecipazione al fenomeno totalitario non si è limitata all'Europa e all'episodio sovietico, ma ha toccato anche la Cina maoista, la Corea del Nord e la Cambogia di Pol Pot. Ogni comunismo nazionale è stato tenuto legato con una sorta di cordone ombelicale alla matrice russa e sovietica, pur contribuendo a diffondere il movimento a livello mondiale. La storia che abbiamo di fronte è quella di un fenomeno che si è sviluppato in tutto il mondo e che riguarda tutta l'umanità.

Il secondo dovere al quale risponde quest'opera è un dovere di memoria. E' un obbligo morale onorare la memoria dei morti, soprattutto quando sono le vittime innocenti e anonime di un moloch dal potere assoluto che ha cercato di cancellarne persino il ricordo. Dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo del centro del potere comunista a Mosca, l'Europa, matrice delle esperienze tragiche del ventesimo secolo, sta ricomponendo una memoria comune; anche noi possiamo portare il nostro contributo. Gli autori di questo libro sono essi stessi latori di questa memoria: chi più vicino all'Europa centrale per vicende di vita personale, chi all'idea e alla pratica rivoluzionaria per via di un impegno politico contemporaneo al Sessantotto o più recente.

Questo doppio dovere, di memoria e di storia, si iscrive in ambiti molto diversi. In alcuni casi tocca paesi in cui il comunismo non ha praticamente mai avuto peso, né sulla società né sul potere: Gran Bretagna, Austria, Belgio eccetera. In altri, si manifesta in paesi in cui il comunismo è stato una potenza temuta - gli Stati Uniti dopo il 1946 - o temibile, anche se non è mai salito al potere: Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo. In altri casi ancora, si impone con forza in paesi in cui il comunismo ha perso il potere che aveva detenuto per diversi decenni: Europa dell'Est, Russia. Infine, vacilla pericolosamente laddove il comunismo è ancora al potere: Cina, Corea del Nord, Cuba, Laos e Vietnam.

L'atteggiamento dei contemporanei di fronte alla storia e alla memoria è diverso in ognuna di queste situazioni. Nei primi due casi essi si limitano a un processo relativamente semplice di conoscenza e di riflessione. Nel terzo caso si trovano di fronte alle necessità imposte dalla riconciliazione nazionale, con o senza punizione dei carnefici; a questo proposito, la Germania riunificata offre probabilmente l'esempio più sorprendente e «miracoloso»; si pensi al disastro iugoslavo. Ma anche la Cecoslovacchia, diventata Repubblica ceca e Slovacchia, la Polonia e la Cambogia conoscono bene le sofferenze della memoria e della storia del comunismo. Un certo grado di amnesia, spontanea o ufficiale, può sembrare indispensabile per curare le ferite morali, psichiche, affettive, personali e collettive provocate da più di mezzo secolo di comunismo. Laddove quest'ultimo è ancora oggi al potere, i carnefici o i loro eredi o organizzano una negazione sistematica, come a Cuba o in Cina, o addirittura continuano a rivendicare il terrore quale metodo di governo, come nella Corea del Nord.

Questo dovere di storia e di memoria ha innegabilmente una portata morale. Qualcuno potrebbe, però, obiettarci: «Chi vi autorizza a definire il Bene e il Male?».

Secondo i criteri che le sono propri, esattamente a questo mirava la Chiesa cattolica quando papa Pio Undicesimo condannò con due encicliche distinte, pubblicate a pochi giorni di distanza l'una dall'altra: il nazismo, "Mit brennender Sorge" del 14 marzo 1937, e il comunismo, "Divini Redemptoris" del 19 marzo 1937. Quest'ultima affermava che Dio aveva dotato l'uomo di prerogative: «Il diritto alla vita, all'integrità del corpo, ai mezzi necessari all'esistenza; il diritto di tendere al suo fine ultimo nella via tracciata da Dio; il diritto d'associazione, di proprietà e il diritto di valersi di questa proprietà». E anche se si può denunciare una certa ipocrisia della Chiesa, che avallava l'arricchimento eccessivo di alcuni in virtù dell'espropriazione di altri, il suo appello al rispetto della dignità umana rimane comunque essenziale.

Già nel 1931, nell'enciclica "Quadragesimo anno", Pio Undicesimo aveva scritto:

"E' insito nell'insegnamento e nell'azione del comunismo un doppio obiettivo, che esso persegue non in segreto e per vie traverse, ma apertamente, alla luce del sole e con tutti i mezzi, anche i più violenti: una lotta di classe implacabile e la totale scomparsa della proprietà privata. Nel perseguire questo scopo, non c'è nulla che non osi, nulla che rispetti; laddove ha preso il potere, si dimostra selvaggio e disumano a un livello che si stenta a credere e che ha del prodigioso, come testimoniano i terribili massacri e le rovine che ha accumulato in immensi paesi dell'Europa orientale e dell'Asia".

L'ammonimento era particolarmente significativo, in quanto proveniva da un'istituzione che, per secoli e in nome della sua fede, aveva giustificato il massacro degli Infedeli, sviluppato l'Inquisizione, imbavagliato la libertà di pensiero e che avrebbe appoggiato regimi dittatoriali come quello di Franco o di Salazar. Tuttavia, se la Chiesa nel dire questo non faceva che tener fede al proprio ruolo di censore morale, quale deve, quale può essere il discorso dello storico di fronte al racconto eroico dei partigiani del comunismo o a quello patetico delle sue vittime? Nelle "Memorie d'oltretomba" Francois René de Chateaubriand scriveva:

"Quando, nel silenzio dell'abiezione, si sente rimbombare soltanto la catena dello schiavo e la voce del delatore; quando tutto trema di fronte al tiranno, e incorrere nel suo favore è altrettanto pericoloso che meritarne la disgrazia, appare lo storico, incaricato della vendetta dei popoli. Invano Nerone prospera, nell'impero è già nato Tacito".

Lungi da noi l'idea di farci sostenitori dell'enigmatica «vendetta dei popoli», alla quale nemmeno Chateaubriand credeva più alla fine della sua vita; ma, al suo modesto livello, lo storico diventa, quasi senza volerlo, il portavoce di coloro che, a causa del Terrore, si sono trovati nell'impossibilità di dire la verità sulla loro condizione. E' lì per fare opera di conoscenza: il suo primo dovere è stabilire fatti ed elementi di verità che diventeranno conoscenza. Inoltre, il suo rapporto con la storia del comunismo è particolare: è costretto a farsi storiografo della menzogna. E, anche se l'apertura degli archivi gli fornisce i materiali indispensabili, deve stare continuamente all'erta, dal momento che molte questioni complesse sono, per loro natura, oggetto di controversie spesso viziate da secondi fini. Tuttavia questa conoscenza storica non può prescindere da un giudizio che dipende da pochi valori fondamentali: il rispetto delle regole della democrazia rappresentativa e, soprattutto, il rispetto della vita e della dignità umana. E' questo il metro con cui lo storico giudica gli attori della storia.

A queste ragioni generali, che stanno alla base di un lavoro di memoria e di storia, si è aggiunta per alcuni una motivazione personale. Alcuni autori di questo libro non sono stati estranei in passato al fascino del comunismo. Talvolta sono stati anche parte attiva, al loro modesto livello, del sistema comunista, sia nella versione ortodossa leninista-stalinista, sia in quelle annesse e dissidenti (trotzkista, maoista). E se rimangono legati alla sinistra - e proprio in virtù di questo fatto -, sono costretti a riflettere sulle ragioni della loro cecità. Questa riflessione ha preso anche le vie della conoscenza, tracciate dalla scelta dei loro argomenti di studio, dalle loro pubblicazioni scientifiche e dalla loro collaborazione con diverse riviste: «La nouvelle alternative», «Communisme». Questo libro è un ulteriore momento della loro riflessione. Una riflessione che continua a impegnarli in quanto hanno coscienza del fatto che non bisogna lasciare a un'estrema destra, sempre più presente, il privilegio di dire la verità; i crimini del comunismo vanno analizzati e condannati in nome dei valori democratici, non degli ideali nazionalfascisti.

Questo approccio implica un lavoro comparativo, dalla Cina all'URSS, da Cuba al Vietnam. Per il momento non disponiamo di una documentazione omogenea. In alcuni casi, gli archivi sono aperti, o semiaperti, in altri no. Ma non ci è sembrata una ragione sufficiente per rimandare il lavoro; ne sappiamo abbastanza, e da fonte «sicura», per lanciarci in un'impresa che, pur non avendo alcuna pretesa di essere esauriente, si definisce pioniera e desidera inaugurare un grande cantiere di ricerca e di riflessione. Abbiamo dato avvio a una prima recensione di una quantità di fatti, a un primo approccio che, una volta concluso, meriterà di essere sviluppato in ben altre opere. Ma bisogna pur incominciare, puntando l'attenzione soltanto sui fatti più chiari, più inconfutabili, più gravi.

Questo libro contiene molte parole e poche immagini. E' questo uno dei punti critici dell'occultamento dei crimini del comunismo: in una società mondiale ipermediatica, in cui per l'opinione pubblica fa testo soltanto l'immagine, fotografica o televisiva, disponiamo di pochissime fotografie d'archivio sul gulag o il laogai, mentre sulla dekulakizzazione o la carestia del Grande balzo in avanti non ne abbiamo neanche una. I vincitori di Norimberga hanno potuto fotografare e filmare a piacimento le migliaia di cadaveri del campo di Bergen-Belsen e le fotografie scattate dai carnefici stessi, come quella del tedesco che spara a freddo su una donna con il figlio in braccio, sono state ritrovate. Per il mondo comunista, in cui il terrore era organizzato nel più rigoroso segreto, non esiste niente di simile.

Il lettore non si accontenti dei pochi documenti iconografici qui riuniti. Dedichi il tempo necessario a prendere coscienza, pagina dopo pagina, del calvario subito da milioni di uomini. Compia l'indispensabile sforzo mentale per rappresentarsi ciò che fu quest'immensa tragedia che continuerà a segnare la storia mondiale per i decenni a venire. Gli si porrà, allora, il quesito fondamentale: perché? perché Lenin, Trotsky, Stalin e gli altri hanno ritenuto necessario sterminare tutti coloro che definivano nemici? perché si sono creduti autorizzati a infrangere il codice non scritto che regola la vita dell'umanità: «Non uccidere»? Tenteremo di rispondere a questa domanda alla fine del libro.

ariel
29-04-05, 03:05
"Gulag l'inferno del comunismo"

di Angelo Crespi

Il Domenicale 6-12-03


Olga ha un bel profilo. I capelli lisci raccolti sulla nuca in uno chignon le incorniciano il viso. La fronte spaziosa, il naso ben disegnato, le labbra carnose serrate. Gli occhi guardano in lontananza. Olga Adamova-Sliozberg così appare in una fotografia degli anni Trenta. È una bella donna: una famiglia agiata, un marito, due piccoli figli, un lavoro appagante. Insomma, un futuro di gioia. Nessuna incertezza, nessun dubbio deturpa quel ritratto. Ancora non presagisce che presto dovrà iniziare il suo cammino. Anzi, Moj put', il mio cammino, una parola, put', che in russo spesso è associata a un'idea di "strada segnata" di "destino". Non sa che il suo destino sarà dunque assai diverso dalle rassicuranti premesse della foto.
Inizi del 1936: Olga rientra a casa dal lavoro e non trova più il marito. "L' hanno portato via" riferisce la bambinaia. Pochi giorni dopo arrestano anche lei. "E meglio che saluti i bambini" dice l'aguzzino, quasi con voce compassionevole. Il maschietto è sveglio, la bambina dorme. Li rivedrà dopo venti anni di Gulag. Inizia così, in modo drammaticamente semplice, senza nessun apparente motivo, la via crucis di uno dei milioni di martiri del comunismo.
Olga avrà la fortuna di sopravvivere alla macchina infernale d'odio e disumanità progettata dal regime staliniano per avverare in terra il paradiso del proletariato. Con una determinazione fuori dal comune, racconterà poi in un diario le tragiche vicissitudini della sua prigionia. Un manoscritto che inizia a circolare clandestinamente dopo il 1956, proposto perla pubblicazione nel 1963, ma che rimane inedito fino al 1989, anno della fine del comunismo. E oggi pubblicato anche in Italia con il titolo, appunto, di Il mio cammino (Le Lettere, Firenze, pp.218, €16,00). Un lavoro di memoria che ripropone al femminile la lucida analisi sul sistema concentrazionario fatta da Aleksandr Solzenicyn in Una giornata di Ivan Denisovic. Un lavoro di memoria che assolve a quel compito morale icasticamente riassunto nella risposta "posso" data da Anna Achmatova, la più grande poetessa russa, mentre era in fila davanti alle carceri di Leningrado in attesa del figlio a una donna che le domandava: "Ma questo lei può descriverlo?". Olga prese infatti la decisione, qualora fosse riuscita a scampare alla morte, di raccontare tutto il male del Gulag proprio sentendo una compagna di cella dire: "Se un giorno uscirò di qui, vivrò come se niente fosse successo. Non racconterò mai a nessuno quello che ho passato e farò di tutto per dimenticarlo"


Un canto corale, quasi epico
Non dimenticare è invece il monito di questa tragica tranche de vie. Olga ripercorre con freddezza i gironi infernali di questa discesa agli inferi. Dal punto di vista psicologico: innanzitutto, la sorpresa quando si viene arrestati. L'incredulità che, quasi comicamente, sfocia nell'idea di rivolgersi a Stalin per far valere la propria innocenza. Poi, l'assunzione della colpa che in modo diabolico il sistema carcerario riesce a insinuare nell'imputato. Quindi la rassegnazione che sostituisce, man mano, un iniziale sentimento di ribellione.
Dal punto di vista fisico: la disumana condizione in cui versano i detenuti dell'arcipelago Gulag, donne comprese. Le torture, gli interrogatori finalizzati a far ammettere al condannato di essere, secondo l'onnicomprensivo articolo 58 del codice penale russo, un "nemico del popolo", le deportazioni fino alla ghiacciata regione della Kolyma, il freddo, il gelo, il lavoro bestiale, la cattiveria dei carcerieri.
E in questo delirio disumano, si intrecciano le storie, altrettanto tristi, delle compagne di sventura, i loro volti emaciati e abbruttiti, i racconti, le delazioni, le false speranze, le amicizie che nascono anche nel luogo del male assoluto, il tentativo di restare persone pur negli ingranaggi spersonalizzanti del Gulag.
Il racconto della Adamova-Sliozberg si fa così canto corale, epica di un popolo abituato alle sofferenze, atto d'accusa definitivo contro il comunismo. Poco importa, che Olga verrà poi liberata. Che otterrà una tardiva quanto inutile riabilitazione: venti anni di sofferenze che nessuno potrà mai restituire, un marito morto, la vita irrimediabilmente segnata.

Un solo male: il nazicomunismo
Resta da capire, pur ormai nell'abbondanza delle fonti, di cui Il mio cammino è solo l'ennesimo tassello, come non si riesca fino in fondo a smitizzare la grandezza del comunismo. Neppure di fronte a esempi lampanti, l'apologeta convinto rinuncia a questa utopia che ha prodotto più di cento milioni di morti nel Novecento.
Soprattutto riesce ancora difficile, l'equiparazione del fenomeno Gulag ai lager nazisti. Come se un male assoluto potesse avere una gradazione differente solo perché differenti le finalità con cui è stato compiuto: da un lato, il progetto di sterminio di una razza, dall'altra il progetto di sterminio di un popolo. Senza sminuire la portata storica della Shoa, oggi il rimontante antisemitismo, fomentato guarda caso da frange della sinistra ex comunista o altromondista, dimostra come si saldino i due poli e possano essere ricompresi in un unico sostantivo: il nazi-comunismo.
L'uso di questa categoria potrebbe finalmente annullare le velleità dei (purtroppo) tanti che ai giorni nostri continuano a salvare il comunismo in nome dell'idea che lo ha mosso. Il termine "comunista" sarebbe, allora, al pari di "nazista" un aggettivo dequalificante da abbandonare e non una bandiera da sventolare con gioiosa protervia, un marchio infame da nascondere e non la felice evoluzione ipotizzabile per ogni democrazia.
Quando nel 1998 fu pubblicato il Libro nero del comunismo di Stéphan Courtois, Norberto Bobbio rilasciò un'intervista a l'Unità, in cui auspicava questo processo di identificazione. Il filosofo torinese diceva: "La ragione dichiarata di questa contabilità (quella presente nel Libro nero... ndr) è di farla finita una volta per sempre di distinguere, rispetto alla vastità del crimine, il comunismo dal nazismo. Ci sarebbe, se mai, da domandarsi - e gli autori indubbiamente lo fanno - perché questa distinzione sia stata fatta e ne sia seguita non soltanto una attenuazione delle responsabilità dei regimi comunisti, ma anche una sopravvivenza del comunismo". E ancora: ". . .non c'è paese in cui sia stato instaurata un regime comunista, ove non si sia imposto un sistema di terrore. Possono variare i meccanismi dell'esercizio del terrore, la quantità e la qualità delle vittime, ma è dovunque, ripetiamo pure con forza, dovunque, identica la spietatezza, l'arbitrarietà e l'enormità dell'uso della violenza per mantenere il potere". E più oltre: "Questo universalismo dispotico appartiene alla natura stessa del comunismo storico. Se è così, e il libro offre una prova ineccepibile che è così, non ci si può non porre la domanda se la forma dispotica del potere non sia connaturata all'essenza stessa del comunismo. Coloro che ne tentano una difesa, hanno un bel dire: "Il comunismo storico è stato una forma degenerativa del comunismo ideale". Ma come mai questa degenerazione è avvenuta sempre e dappertutto?".
La ragione di questo, per ora, non accettato raffronto tra comunismo e nazismo è forse nella falsità che ha ispirato e talora ancora ispira gli intellettuali di sinistra di tutto il mondo. Sosteneva Sartre di essere più sensibile all'uso che la borghesia fa delle rivelazioni sui campi di concentramento piuttosto che alla loro esistenza vera e propria.

Felix (POL)
08-05-05, 01:22
www.storico.org

il G.U.LAG

una realtà a lungo dimenticata, ha caratterizzato una parte importante del mondo, ed ha fortemente influenzato le vicende del Novecento





Nell’agosto 1946 Winston Churchill, nell’università di Fulton, Missouri, pronunciò il famoso discorso della “ cortina di ferro” e disse che l’Unione Sovietica era un “ indovinello, contenuto in un mistero, all’interno di un enigma”, del quale non era dato conoscere nulla. Sul mito della Russia bolscevica due sole erano le posizioni ufficiali: la condanna e l’esaltazione a priori.

Dopo il crollo dell’Urss e la caduta del muro, gli archivi moscoviti hanno spalancato le porte agli studiosi, una mole impressionante di informazioni che si riversa sull’opinione pubblica.

Ai conati “conservatori”, che si oppongono al revisionismo conseguente alla scoperta di nuovi documenti resta solo il potere di rallentare nel tempo la nuova presa di coscienza.

Il sistema dei campi di concentramento punitivi appartiene alla storia sovietica sin dagli esordi, dai tempi di Lenin (già nel ’20, presso le isole Solovki, situate nel Mar Bianco, a circa 200 chilometri dal circolo polare artico, era stato creato un “lager di lavori forzati per i prigionieri della guerra civile”, dove vennero imprigionati tutti coloro che si opponevano al nuovo regime, (non solo zaristi ma anche anarchici, socialisti rivoluzionari, menscevichi) ma il maggiore sviluppo avviene negli anni del potere di Stalin, durante il suo lungo “regno” che va dagli anni 30 fino alla metà degli anni 50. La percezione del Gulag in Occidente ha subito diversi passaggi e per quanto possa sembrare assurdo l’immagine della Russia stalinista godeva di un diffuso “rispetto democratico“ in tutto il mondo.

Gli americani, nel 1933, avevano riconosciuto l’Urss e gli intellettuali concedevano credito e credibilità al regime dello “splendido georgiano” e parecchi di loro, compresa la classe operaia, erano disposti a lasciare l’odiato “inferno capitalista” per trasferirsi nel “paradiso dei lavoratori”. Fred Beal, operaio di estrazione comunista, lasciò l’America e si rifugiò in Russia , dopo una condanna inflittagli in seguito ad uno sciopero. Però durò poco il sogno dell’americano e disilluso dalla realtà sovietica e constatate le condizioni inumane degli operai privati dei loro diritti chiese ed ottenne di tornare negli Usa, dove scontò la pena e dedicò la sua vita a smascherare il mito sovietico; però i comunisti, simpatizzanti sovietici e anche democratici di vecchia scuola non volevano ascoltare nulla sulla atroce realtà del “Paradiso operaio”. Preferivano ascoltare la propaganda che si adattava meglio ai loro ideali e alle loro illusioni.

Raymond Aron nel suo libro: “L’oppio degli intellettuali” denunciò che la responsabilità maggiore di questo clamoroso fenomeno di amnesia etica e storica era nell’animo degli intellettuali.

Maksim Gorkij, grande figura eminente in Russia, alla fine degli anni ’20 compì un viaggio presso il lager delle isole Solovki, difendendone la sua “utilità sociale e la sua capacità rieducativa”. Il suo viaggio fu abilmente pubblicizzato in Russia e all’estero e i lager diventavano “luoghi indispensabili”, dove “aiuole fiorite crescevano intorno alle caserme”.

Persino la Croce Rossa diede credito alle parole dello scrittore e le sue immagini , sorridente tra gli agenti della famigerata Ghepeù fecero il giro del mondo.

Il Gulag è un fattore endemico e perfettamente conseguente al regime instaurato. Una prima riflessione di un certo spessore ci fu solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando alcune prestigiose testimonianze di vittime del Gulag cominciarono ad affiorare. In Francia attirò l’attenzione del mondo il cosiddetto “affare Kravcenko”, che prendeva il nome da quello di un funzionario sovietico che aveva disertato e si era consegnato agli americani.

“Ho scelto la libertà”, il libro che Kravcenko scrisse e che venne tradotto in più di venti lingue, vendendo milioni di copie, era una indubbia testimonianza dall’interno del regime sovietico. Inaugurando una strategia che avrebbero seguito in seguito: quella di accusare il funzionario disertore di “aver scritto sotto dettatura della CIA”, i comunisti occidentali cercarono di isolare la testimonianza del dissidente. Nel processo per diffamazione che ne conseguì,l’attenzione degli inquirenti si concentrò sulla realtà dei campi.

“Istituzioni rieducative dove i diritti umani venivano rispettati”, secondo la propaganda comunista. Nemmeno lo sconvolgente racconto di Margarete Bauber-Neumann (passata attraverso il Gulag e il Lager nazista, dopo che i russi la consegnarono, in quanto ebrea, agli alleati hitleriani) potè qualcosa contro la cieca fedeltà ideologica dei comunisti occidentali.

Voci come Julius Margolin (condannato al Gulag con atto amministrativo, senza essere ascoltato e senza subire processo), Alexandre Weissberg (scienziato austriaco emigrato, volontariamente, in Urss arrestato con l’accusa di spionaggio, di complotto per uccidere Stalin, e di sovversione), Jerzy Gliksman (membro del partito socialista, ebreo polacco, deportato quando, in fuga dai nazisti finì nelle braccia della polizia segreta sovietica) lanciarono uno squarcio di luce sulla realtà entro i confini dell’Urss. David Rousset nel denunciare il sistema dei Gulag sovietici spiegò che: “L’esistenza dei campi non è grave perché ci si soffre e muore; è grave perché vi si vive. Un paese dove esistono campi di concentramento è marcio fino al midollo: sono disumani i suoi detenuti, lo sono i guardiani e lo è soprattutto il regime. Il mondo concentrazionario attiva un contagio inevitabile e questa è la più grande sciagura che si possa conoscere”.

Il “Libro bianco sui campi di concentramento sovietici“ della Commission internationale contre le régime concentrationnaire, pubblicato lo stesso anno, si rivelò un altro documento fondamentale apparso sulla scena culturale francese.

Nemmeno la denuncia ad opera di Kruschev del terrore staliniano, nel XX° congresso del PCUS del 1956, spinse l’Occidente a concentrare la propria attenzione sul fenomeno del Gulag. Quel particolare momento storico, anzi, fu visto unicamente come denuncia dello stalinismo come “deviazione“da un supposto comunismo originario e “democratico” e come suggerimento alla possibilità di una “riforma” del comunismo. Il sogno di cartapesta che lo stesso Gorbaciov, fino al Golpe del 1991, si illuse di poter realizzare. Più tardi, negli anni 70, venne la volta de “La giornata di Ivan Denisovic” (premio Nobel per la letteratura) e di “Arcipelago Gulag” di Alexander Solzenicyn e dei “racconti della Kolyma” di Varlam Salomov. Guardando verso la Francia, antica maestra di libertà, il mondo poteva quindi prendere coscienza degli orrori del sistema comunista già da quarant’anni.

Difficile condividere l’assordante silenzio in Italia di intellettuali, libri scolastici, mass media, dove le riflessioni francesi sono approdate solo dopo il fatidico 1989. Ancor più difficile condividere l’atteggiamento assunto da parte di alcuni ambienti intellettuali, che cercano di chiudere il capitolo, mai definitivamente aperto, del Gulag, con la giustificazione dell’esaurimento della “Guerra Fredda”.

Solzenicyn descrive in “Arcipelago Gulag” il momento dell’arresto di un individuo prima della deportazione: “E’ fatta, siete arrestato. E voi non troverete altro da rispondere che un belato da agnello: Io? Perché?. Ecco cosa è l’arresto, un lampo accecante, una folgorazione che respinge istantaneamente il presente nel passato e fa dell’impossibile un presente di pieno diritto. Ed è tutto. Nelle prime ore e anche nei primi giorni non potete rendervi conto di null’altro. Vi balugina ancora, nella vostra disperazione , una luna da circo, un giocattolo. E’ un errore, se ne renderanno conto! Tutto il resto, tutto quanto è ora entrato a far parte del concetto tradizionale e anche letterario dell’arresto, non è più la memoria vostra che l’immagazzina e l’organizza, ma quella della vostra famiglia e dei vostri coinquilini. E’ una brusca scampanellata nel cuore della notte o un colpo brutale alla porta. E’ la gagliarda irruzione di stivali sporchi, d’insonni agenti. E’, nascosto dietro le loro spalle, il testimone, impaurito e mortificato, che essi hanno reclutato d’autorità. L’arresto tradizionale sono, ancora, le mani tremolanti che preparano la roba di chi viene portato via: un cambio di biancheria, qualche provvista, un pezzo di sapone, nessuno sa che cosa dare, che cosa si può portare con sé, come sarebbe meglio vestirsi; ma gli agenti spronano, vi interrompono bruscamente dicendo: non ha bisogno di nulla. Là gli daranno da mangiare. Fa caldo”.

La grande forza di questo libro è proprio quella di focalizzare gli infiniti effetti dell’incubo del Gulag sulla vita di un uomo. Quell’arresto e tutto ciò che ne seguirà è, quindi, da pensare moltiplicato per decine di milioni di volte. Subito dopo l’Ottobre bolscevico la dirigenza del partito unico cominciò a pianificare un nuovo sistema carcerario.

Già nel 1918 nasceva una Sezione punitiva centrale (CKO)all’interno del Commissariato del popolo alla giustizia, che avrebbe dovuto coordinare tutte le carceri dell’Urss. Questa istituzione fu, in definitiva, la “madre del Gulag”. L’anno seguente, all’interno dell’ NKVD (Commissariato del popolo agli affari Interni) fu creata la Sezione lavori forzati. Già due anni dopo la cosiddetta Rivoluzione, quindi, il nuovo regime dava rigore istituzionale al concetto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in aperto contrasto con le teorie marxiste cui sosteneva d’appellarsi. All’inizio del 1921 nei lager erano rinchiusi già intorno ai 156.000 detenuti. Entro il 1927 i reclusi arrivarono alla cifra di 200.000 persone. Il sistema di reclusione cambiò radicalmente nel 1929. Fuori di ogni retorica, si può affermare che, con il varo del piano quinquennale, il cui scopo era spingere la Russia in un processo di industrializzazione forzata, la “patria del socialismo”, con un clamoroso salto indietro nel tempo, torna alla pratica dello schiavismo. Non tanto clamoroso, in verità, quel salto all’indietro, dal momento che il servaggio della gleba in Russia fu abolito nel 1860.

Il regime bolscevico decideva quindi di creare campi di “rieducazione attraverso il lavoro” in regioni remote e lontane dai grossi centri urbani. La Siberia, già utilizzata in epoca zarista, e la sterminata regione del Nord vennero usate come luogo per ospitare i campi. Ogni campo sarebbe distato dall’altro centinaia di chilometri, in uno spazio sterminato e ghiacciato. Assolutamente impossibile, per chiunque fosse riuscito a fuggire dal complesso carcerario, attraversare quel deserto bianco a piedi e men che meno sarebbe stato possibile varcare il confine. Nel 1930 i detenuti nei lager sovietici salgono, improvvisamente, da 23.000 a 160.000, e nella primavera dello stesso anno viene creata una direzione unica di queste strutture denominata Ulag sotto la guida dell’OGPU.

Un ulteriore riforma amministrativa nell’anno seguente portò alla creazione del Gulag (Glavnoe upravlenje lagerei, Direzione centrale dei lager). E’ di quel periodo la decisione di sfruttare i detenuti per l’imponente costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, questo progetto sarà la chiave di volta sulla quale fiorirà il Gulag, che potrà fornire, gratuitamente, operai e ingegneri (tutti quelli arrestati per “sabotaggio” nelle cicliche “purghe anti-complotto”) al fine di realizzare costruzioni imponenti.

Ovviamente, ciò che veniva costruito a prezzo del sudore (e della morte, solo per questo canale 15.000 persone perirono in condizioni disumane) di migliaia di detenuti veniva presentato all’estero come una gloriosa edificazione del socialismo sovietico.

Contemporaneamente, in Occidente, i sindacati egemonizzati dai comunisti combattevano per i diritti dei lavoratori e glorificavano le conquiste della patria del socialismo.

Nel 1932 fu la volta della costruzione del canale Mosca-Volga, intorno al quale fiorirono diversi Gulag (l’ITL Nord-Est), che ospitò in 25 anni un milione di detenuti, destinati all’estrazione dell’oro e dello stagno che mantenevano l’intero paese.

L’anno 1934 vedeva, in tutta l’Urss, 510.000 persone “ospiti” del Gulag e solo l’anno seguente, nel 1935, i dannati dell’inferno bianco salivano a 730.000.

La crescita esponenziale non si sarebbe fermata perché all’orizzonte si affacciava il periodo più buio della storia sovietica: il Grande Terrore. Stalin lanciava il colpo finale all’interno del partito e gettava le basi di quel “ culto della personalità” che lo porterà ad essere giudice della vita di ogni singolo cittadino sovietico.

Robert Conquest, nel suo illuminante “Il grande terrore”, ricorda come ogni sovietico, in quegli anni, non si sentisse immune dalla possibilità di finire nel Gulag. Il cittadino sovietico e gli stessi membri del partito, che finivano sotto le poche umanitarie attenzioni della polizia segreta imputavano allo sgherro di Stalin, il capo dell’ NKVD Ezov, tutta la responsabilità del terrore. Nella memoria russa, infatti, il grande terrore passerà come “il periodo di Ezov”, ma lo stesso Conquest ricorda come, in quei terribili anni, la vita delle persone veniva decisa da un semplice segno di matita rossa da parte di Stalin. Ezov si limitava ad eseguire gli ordini. Il grande terrore portò ad un eccezionale sviluppo dei Gulag che fino al 1934 erano 14, poi divennero 31 e per la fine del 1938, i detenuti erano saliti al terrificante numero di due milioni di persone.

All’inizio del 1940 i Gulag erano già 57, l’anno successivo 82, per una popolazione incarcerata di 2.350.000 persone. Un certo rallentamento si ebbe negli anni della Seconda Guerra Mondiale; la popolazione dei Gulag scese a 1.750.000 persone e, nel 1944 toccò il numero di 1.200.000 persone. Con la fine del conflitto, però, il Gulag riprese a pieno regime, il nemico esterno era stato sconfitto e, per mantenere salde le redini del potere, Stalin necessitava di un nuovo “giro di vite”. L’aspetto più agghiacciante della storia del Gulag è sicuramente questo: che il numero dei detenuti che avrebbero dovuto popolare il Gulag veniva deciso ad inizio anno, secondo direttive dello stesso Stalin. Esisteva una sorta di pianificazione degli arresti, che andava rispettata numericamente come si faceva per le direttive economiche di un Piano quinquennale. Stalin era pienamente cosciente che tutto il castello delle accuse ai condannati era fondato sulla menzogna; il terrore gli serviva solamente per mantenere saldo il potere. In questo, lo “splendido georgiano” si attenne alle originali direttive del “grande padre” Lenin, che negli anni della guerra civile auspicava l’uso del terrore nei villaggi e tra i contadini come arma rivoluzionaria necessaria alla vittoria.

La fine della guerra, che comportava lo “scomodo” impegno a restituire i prigionieri militari nel frattempo impiegati come forza lavoro, spinse il regime stalinista a ributtarsi nel tetro “arruolamento” nelle file della popolazione sovietica. Gli schiavi servivano e da qualche parte occorreva prenderli.

Nel 1948 le direzioni dei Gulag erano già una novantina e la popolazione detenuta era tornata a toccare il record di 2.000.000 di persone. Nel maggio 1950 i “dannati” erano arrivati, incredibilmente, al numero di 2.800.000 persone. Con la morte di Stalin il sistema del Gulag venne riformato, ma di certo non cancellato. Nel marzo 1953 a pochi giorni dalla morte del satrapo georgiano, venne interrotta la costruzione di nuovi Gulag e un decreto di amnistia del Presidium portò alla scarcerazione di un milione di detenuti e alla riduzione dei campi dal numero esorbitante di 175 al numero di 81. Anche le pene furono mitigate. A metà degli anni cinquanta la popolazione incarcerata nei Gulag era “solo” di un milione.

Il 25 ottobre 1956 la risoluzione del CC del PCUS e del Consiglio dei Ministri dell’Urss decise che era “inopportuna l’ulteriore esistenza degli ITL” ( altra forma burocratica per definire il Gulag).

Nel mese di ottobre il Gulag cambiò nome in GUITK (Direzione centrale delle colonie di rieducazione attraverso il lavoro).

L’inferno cambiava nome, ma le fiamme rimanevano le stesse e non bruciavano certo di meno.



Tratto da “Il Gulag“ di Ferruccio Gattuso



a cura di

Ercolina Milanesi

Red Shadow
25-05-05, 00:05
In Origine postato da dexter
http://www.marxists.org/italiano/reference/nero/intro.htm#topp

Il libro nero del comunismo



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INTRODUZIONE: I crimini del comunismo


- URSS, 20 milioni di morti,
- Cina, 65 milioni di morti,
- Vietnam, un milione di morti,
- Corea del Nord, 2 milioni di morti,
- Cambogia, 2 milioni di morti,
- Europa dell'Est, un milione di morti,
- America Latina, 150 mila morti,
- Africa, un milione 700 mila morti,
- Afghanistan, un milione 500 mila morti,
- movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 mila morti.



... e anchio mi sento male!!!
Quando i komunisti sono arrivati a 6 migliardi di morti avvertitemi che faccio testamento!!!

Red Shadow
25-05-05, 00:24
In Origine postato da durrutibus
scusate, luca66 e ariel, ma invece di continuare a postare articoli, dire un po' cosa pensate voi, troppo difficile?
E' ovvio che quelli di destra non sanno leggere o comunque non capiscono quello che leggono, allora postano affinchè noi feroci comunisti (che però abbiamo studiato) spieghiamo loro il contenuto dei loro post. Ariel in particolare vuole addirittura che gli spieghiamo le figure!!!!!
:lol :lol :lol

Red Shadow
25-05-05, 00:32
INTRODUZIONE: I crimini del comunismo


- URSS, 20 milioni di morti,
- Cina, 65 milioni di morti,
- Vietnam, un milione di morti,
- Corea del Nord, 2 milioni di morti,
- Cambogia, 2 milioni di morti,
- Europa dell'Est, un milione di morti,
- America Latina, 150 mila morti,
- Africa, un milione 700 mila morti,
- Afghanistan, un milione 500 mila morti,
- movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 mila morti.

PS: vi siete dimenticati dei bambini mangiati dai comunisti. Almeno un miliardo!!!

Red Shadow
25-05-05, 00:42
In Origine postato da Ferruccio
Il comunismo e' una ideologia di provenienza illuminista esattamente come il suo opposto il liberalesimo.Tutti e tre illuminismo comunismo e liberalesimo alla fine hanno fallito o stanno fallendo anche nel sangue.

Il comunismo ha portato i libri in tribunale nel 1989 e la procedura non si puo' piu' riaprire.Inutile rivangare.Il fallimento e' stato senza appello, definitivo .

Vogliamo risuscitare un cadavere ? Frankenstein ?

Un saluto
Dimentichi l'economia + dinamica del mondo : quella cinese. Che ha portato un miliardo di persone sotto il 50% dell'Indice Engel ( che misura l'incidenza della spese alimentari sul totale dei consumi) ovvero sopra la soglia del benessere. Questo nel 1994 per la popolazione urbana e nel 2000 per quella rurale.L'Indice Engel è la guida + sicura al miglioramnto del tenore di vita.
Credo che invece le economie occidentali sofrano perlomeno di qualche raffreddore, per non parlare dell'Italia ormai in condizioni disperate grazie alle cure di cavalier Patacca.

Red Shadow
25-05-05, 00:54
Posto questa mia risposta qui perchè dove l'ho messa prima un tizio in fama di liberale mi ha detto che lui interloquisce solo con Bruno Vespa (come d'altra parte tutti i veri liberali)

"Dopo il crollo dell'Urss e la caduta del muro, gli archivi moscoviti hanno spalancato le porte agli studiosi, una mole impressionante di informazioni che si riversa sulla opinione pubblica."

Finalmente!!!! Finalmente si ragiona sugli archivi sovietici e non sui dati taroccati di Robert Conquest. Questi parlano di 10.000.000 di detenuti solo per il 1938. Quando erano in realtà 1.881.570 mentre nel 1950 erano 2.760.095. (V.N.Zemskov. GULAG (istoriko-sotziologiceskij aspekt) Sotziologiceskie Isledovannia. 1991, N°.11, ma questi dati si possono anche trovare nel "Libro nero del Comunismo¡"). Cifre impressionanti intendiamoci tipiche di un paese a tolleranza zero. Cifre che che raggiungono ed addirittura superano, soprattutto nel dopoguerra, i detenuti attuali degli USA. Nel 1999 i detenuti USA erano 2.054.694. Devo dire che questa della tolleranza zero era (ahimè) una politica assai popolare nell'Unione Sovietica come putroppo lo è tuttora negli Stati Uniti (ma per uno di destra non dovrebbe essere così tranne ovviamente che si tratti di indagare sugli affari del nano pelato dove diventate tutti garantisti). Popolare perchè in una situazione sociale allarmante quale quella seguita alla guerra civile toglieva dalle strade un sacco di deliquenti comuni. Infatti l'83% dei detenuti erano assassini, ladri ecc. e nell'altro 17% erano spesso compresi oltre alle spie e ai terroristi anche gente che aveva semplicemente rubato nelle aziende collettive (la cosa era equiparata a delitto politico). Comunque in tutti gli anni '30 complessivamente girarono per il sistema penitenziario sovietico circa 3.500.000 detenuti mentre negli USA nel solo 2002 sono stati 3.000.000. Dal che si ricava facilmente che la percentuale di persone adulte passate per i penitenziari era inferirore nell'Unione Sovietica staliniana.
La mortalità fu particolarmente alta negli anni della guerra raggiungendo cifre simile a certi campi di concentramento alleati (prigionieri italiani nei campi francesi in Nord-africa), comunque era + pericoloso fare l'ufficiale al fronte. Il 92% degli ufficiali che iniziarono la guerra caddero in battaglia compresi due generali di corpo d'armata. Ma con l'introduzione nel dopoguerra delle vaccinazioni la mortalità scese nell'ultimo anno della gestione Stalin, il 1953, allo 0,2% forse un po' minore della mortalità nelle carceri italiane nell'anno 2004. Per quanto rigurda la mortalità dei detenuti si deve considerare che comprende coloro che venivano giustiziati per crimini commessi in carcere. In ogni caso la mortalità negli anni '30 era + o meno in linea con la media degli stati europei.
Nel dopoguerra la cifra dei detenuiti lievitò soprattutto dopo la consegna da parte degli alleati nel 1946 dei collaborazionisti sovietici dell'esercito di Vlasov. Oltre 450.000 furono coloro che vennero condannati assieme per altro ad altri collaborazionisti dei battaglioni ceceni passati ai nazisti, o di quelli tatari della Crimea che si contraddistinsero nella caccia agli ebrei e ai partigiani.
Essendo una nazione invasa l'Unione Sovietica ebbe parecchi collaborazionisti e quindi non si potè comportare come gli USA che condannarono a morte tutti i loro collaborazionisti. Solo i capi subirono la pena capitale gli altri vennero condannati a pene piuttosto miti (in media 6 anni di carcere) questo nonostante ci fossero Stati (come la Jugoslavia) che chiedevano l'estradizione di questi criminali di guerra. L'esercito di Vlasov infatti non fu mai impiegato per ragioni soprattutto razziali dai nazisti contro l'Armata Rossa (si trattava in gran parte di asiatici, i cosidetti mongoli) ma fu impiegato contro le popolazioni civili e i partigiani soprattutto in Jugoslavia e in Italia. Nell'oltrepò pavese dopo le azioni dei "mongoli¡" le autorità fasciste (ma che grandi patrioti!!) decisero di consentire in via straordinaria l'aborto per le donne violentate. Addirittura i tedeschi decisero di compensare i servigi dei "cosacchi¡" ( in realtà per lo + tatari di crimea e popolazioni mussulmane del caucaso) concedendogli una parte di terriorio del Friuli che il "patriota¡" Mussolini aveva regalato assieme a Bolzano, Udine, Gorizia e Trieste al Reich. I cosacchi commisero parecchi saccheggi e distrussero interi villaggi friulani e sloveni.
Chi parla di GULAG come campi di sterminio è evidente che non ha nenche la minima idea di cosa fosse il sistema penitenziario sovietico. Intanto il modello delle colonie penali (perchè di ciò si trattava) è come si sa di invenzione anglosassone. Basta dire che gli Stati Uniti e l'Australia naquero originariamentecome colonie penali.
I dati che ho riferito vengono tutti rigorosamente dalle stesse fonti archivistiche che però vengono citati in modo avulso dal contesto storico e da qualsiasi comparazione. (magari poi continuo).

Ambrogio
25-05-05, 02:45
In Origine postato da Red Shadow
Dimentichi l'economia + dinamica del mondo : quella cinese. Che ha portato un miliardo di persone sotto il 50% dell'Indice Engel ( che misura l'incidenza della spese alimentari sul totale dei consumi) ovvero sopra la soglia del benessere. Questo nel 1994 per la popolazione urbana e nel 2000 per quella rurale.L'Indice Engel è la guida + sicura al miglioramnto del tenore di vita.
Credo che invece le economie occidentali sofrano perlomeno di qualche raffreddore, per non parlare dell'Italia ormai in condizioni disperate grazie alle cure di cavalier Patacca.

Il fatto e' che la CINA popolare ERA uno stato comunista !
Ripeto: ERA !

Oggi che cosa e' ? Mah !

Comunque dai anche noi operai a 100 dollari di costo mensilie e vedi che miracolo economico !

Felix (POL)
25-05-05, 03:01
In Origine postato da Red Shadow
I dati che ho riferito vengono tutti rigorosamente dalle stesse fonti archivistiche che però vengono citati in modo avulso dal contesto storico e da qualsiasi comparazione. (magari poi continuo).

qui si sta sconfinando nel negazionismo, posizione moralmente discutibile per non dire inaccettabile. Si intravede l'intenzione di discolpare il comunismo dal carico di lutti e di sangue che si porta dietro.

Red Shadow
25-05-05, 09:31
Felix tu mi sembri uno di quei comunisti che nel forum di Rifondazione di fronte ai dati che ho postato sulla Cina, cioè il fatto più eclatante degli ultimi 15 anni: 1 miliardo di gente sotratto alla povertà, discutono se questo sia avvenuto applicato il marxismo-leninismo con il trattino in mezzo oppure senza trattino. Io non discuto sulle parole!!! Discuto sui fatti. Nella fattispecie sui dati venuti fuori dagli archivi sovietici. Se poi questi dati negano qualcosa allora saranno i dati ad essere negazionisti. Ad esempio il "Corriere della sera" quando vennero fuori i prima dati fu decisamente negazionista dicendo che smentivano quello che si era detto fino allora. Perchè la maggior parte delle cose che avete postato dopo il richiamo usuale agli archivi parlano di tuttaltro, cioè di fonti letterarie dei soliti noti (Conquest & C) che scrivevano prima dell'apertura degli archivi. Spero che non ti sfuggirà che Conquest è stato dipendente dei servizi segreti inglesi per la disinformazione sui paesi comunisti. Negli anni 70 c'è stata una polemica dai toni aspri sul Guardian sul suo ruolo nella falsificazione di dati e notizie sui paesi dell'Est.
Comunque se voui almeno farti una idea sul dibattito recente da un punto di vista anticomunista ma che almeno fa i conti con i dati
http://www.artukraine.com/famineart/SovietCrimes.pdf
Purtroppo non ci sono siti seriin italiano su queste cose. Ce ne sono di russi però. Io ho comunque citato V.N.Zemskov. GULAG (istoriko-sotziologiceskij aspekt). Sotziologiceskie Isledovannia. 1991, N°11 forse il primo articolo serio sull'argomento basato su dati. Mi rendo conto che non tutti conoscono il russo ed è per questo che ho citato una fonte in inglese per lo più favorevole al tuo punto di vista, cioè nel senso che è anticomunista ma però parla di dati concreti e non dei soliti dati taroccati.

Red Shadow
25-05-05, 10:06
In Origine postato da Ferruccio
Il fatto e' che la CINA popolare ERA uno stato comunista !
Ripeto: ERA !

Oggi che cosa e' ? Mah !

Comunque dai anche noi operai a 100 dollari di costo mensilie e vedi che miracolo economico !

Questa è una tua opinione Ferruccio. Loro si dicono comunisti e io non ho ragioni per contraddirli. L'85% della proprietà in Cina è sociale o cooperativa o autogestita.
A Shanghai il 50% della popolazione vive con circa 300 dollari o poco sotto al mese, il 35% dai 300 ai 600 dollari, il 15% oltre i 600 dollari. E Shanghai non è nemmeno una zona speciale. Quando si parla della moneta cinese bisogna tener conto che ha un cambio fisso con il dollaro. Se fosse fatta fluttuare si rivaluterebbe parecchio. Quindi di solito non si ha una visione reale in Occidente di quanto valga in termini di potere d'acquisto. Ti dico solo che i telefonini in Cina hanno raggiunto la cifra di 300.000.000. Ti dico che di fronte ad aumenti salariali medi dell'8% annuo negli ultimi anni i prezzi sono calati. Invertendo una tendenza che c'è sempre stata nelle economie occidentali sul rapporto aumento dei salari-inflazione. Questo è frutto dell'aumento dell'efficenza e dello sviluppo del mercato interno. Il 90% delle merci è come ovvio ad uso interno. Inoltre la Cina produce 800.000 ingegneri l'anno perchè l'industrializzazione cinese non è più quella degli opifici della Rivoluzione Industriale europea, ormai si fonda su lavoro qualificato, e dunque su salari diversificati. Ha poco senso citare sempre i salari minimi: non danno una idea della Cina.

Ambrogio
25-05-05, 13:03
In Origine postato da Red Shadow
Questa è una tua opinione Ferruccio. Loro si dicono comunisti e io non ho ragioni per contraddirli. L'85% della proprietà in Cina è sociale o cooperativa o autogestita.
A Shanghai il 50% della popolazione vive con circa 300 dollari o poco sotto al mese, il 35% dai 300 ai 600 dollari, il 15% oltre i 600 dollari. E Shanghai non è nemmeno una zona speciale. Quando si parla della moneta cinese bisogna tener conto che ha un cambio fisso con il dollaro. Se fosse fatta fluttuare si rivaluterebbe parecchio. Quindi di solito non si ha una visione reale in Occidente di quanto valga in termini di potere d'acquisto. Ti dico solo che i telefonini in Cina hanno raggiunto la cifra di 300.000.000. Ti dico che di fronte ad aumenti salariali medi dell'8% annuo negli ultimi anni i prezzi sono calati. Invertendo una tendenza che c'è sempre stata nelle economie occidentali sul rapporto aumento dei salari-inflazione. Questo è frutto dell'aumento dell'efficenza e dello sviluppo del mercato interno. Il 90% delle merci è come ovvio ad uso interno. Inoltre la Cina produce 800.000 ingegneri l'anno perchè l'industrializzazione cinese non è più quella degli opifici della Rivoluzione Industriale europea, ormai si fonda su lavoro qualificato, e dunque su salari diversificati. Ha poco senso citare sempre i salari minimi: non danno una idea della Cina.

Che la Cina stia facendo passi da gigante e' un fatto incontestabile.Che il rembimbi sia incollato al dollaro con tutte le conseguenze del caso e' puro un dato di fatto incontrovertibile
come pure che la Cina vende all'estero in dumping per rastrellare mezzi finanziarii: resta pero' il fatto che i loro costi di personale sono ben diversi dai nostri e permettono loro prezzi che " sfondano " e ci fanno fuori sui mercati internazionali.

LA CINA E' VICINA !

Felix (POL)
25-05-05, 16:23
In Origine postato da Red Shadow
Questa è una tua opinione Ferruccio. Loro si dicono comunisti e io non ho ragioni per contraddirli. L'85% della proprietà in Cina è sociale o cooperativa o autogestita.
A Shanghai il 50% della popolazione vive con circa 300 dollari o poco sotto al mese, il 35% dai 300 ai 600 dollari, il 15% oltre i 600 dollari. E Shanghai non è nemmeno una zona speciale. Quando si parla della moneta cinese bisogna tener conto che ha un cambio fisso con il dollaro. Se fosse fatta fluttuare si rivaluterebbe parecchio. Quindi di solito non si ha una visione reale in Occidente di quanto valga in termini di potere d'acquisto. Ti dico solo che i telefonini in Cina hanno raggiunto la cifra di 300.000.000. Ti dico che di fronte ad aumenti salariali medi dell'8% annuo negli ultimi anni i prezzi sono calati. Invertendo una tendenza che c'è sempre stata nelle economie occidentali sul rapporto aumento dei salari-inflazione. Questo è frutto dell'aumento dell'efficenza e dello sviluppo del mercato interno. Il 90% delle merci è come ovvio ad uso interno. Inoltre la Cina produce 800.000 ingegneri l'anno perchè l'industrializzazione cinese non è più quella degli opifici della Rivoluzione Industriale europea, ormai si fonda su lavoro qualificato, e dunque su salari diversificati. Ha poco senso citare sempre i salari minimi: non danno una idea della Cina.

sulla Cina possiamo anche essere d'accordo: é socialista, non c'é alcun dubbio, ed é l'unico esperimento socialista che sino ad oggi abbia dimostrato di garantire un veloce sviluppo economico-sociale senza massacrare ed opprimere la popolazione. Questo successo tuttavia é dovuto anche (oltre che alle enormi risorse del paese):
1-al pragmatismo ideologico (Deng: "non importa il colore del gatto...")
2-alla combinazione di socialismo con nazionalismo. I socialismi che funzionano sono per forza di cose nazionali. Non si vince la battaglia dello sviluppo con ideologie cosmopolite, buoniste o alter-globaliste. I cinesi ce la mettono tutta perché vogliono il trionfo della nazione cinese, non quello di un ipotetico "proletariato mondiale"...

siamo OT, forse converrebbe spostare la discussione in un altro thread...

Ambrogio
25-05-05, 17:21
In Origine postato da Felix
sulla Cina possiamo anche essere d'accordo: é socialista, non c'é alcun dubbio, ed é l'unico esperimento socialista che sino ad oggi abbia dimostrato di garantire un veloce sviluppo economico-sociale senza massacrare ed opprimere la popolazione. Questo successo tuttavia é dovuto anche (oltre che alle enormi risorse del paese):
1-al pragmatismo ideologico (Deng: "non importa il colore del gatto...")
2-alla combinazione di socialismo con nazionalismo. I socialismi che funzionano sono per forza di cose nazionali. Non si vince la battaglia dello sviluppo con ideologie cosmopolite, buoniste o alter-globaliste. I cinesi ce la mettono tutta perché vogliono il trionfo della nazione cinese, non quello di un ipotetico "proletariato mondiale"...

siamo OT, forse converrebbe spostare la discussione in un altro thread...

Pensandoci bene e tenuto conto di quanto ha scritto qui sopra Felix mi sta venendo l'idea che , in fondo, a Mussolini questa Cina sarebben piaciuta parecchio. O sbagflio ?

Red Shadow
25-05-05, 19:28
Ferruccio e Felix. Premetto che io non sono marxista-leninista nè col trattino nè senza e nè tantomeno di Rifondazione. Se andate a leggere ciò che scrivo in appoggio alle recenti prese di posizione di Cofferati a Bologna capirete anche perchè.Sono di sinistra questo è certo. Dire che la Cina è nazionalista credo sia sbagliato almeno nel senso novecentesco del termine. Prendiamo l'Italia. Il nazionalismo italiano si è espresso nella negazione delle minoranze, basta vedere come si è comportato con gli slavi dell'Istria, e nell'espansionismo. La Cina non è nazionalista in questo senso. Le minoranze nazionali sono tutelate, c'è una vasta rete di autonomie locali tantè che una delle maggiori critiche che gli economisti occidentali muovono è che queste autonomie intralciano lo sviluppo economico con legislazioni particolaristiche.
Vi faccio un esmpio di come in Cina trattano le minoranze: il Tibet. Una settimana fà il Dalai Lama ha dichiarato che non chiede l'indipendenza del Tibet perchè i tibetani stanno sfruttando i risultati del boom economico cinese. Tradotto in Italiano in Tibet il Dalai Lama non se lo fila più nessuno, e lui fa di necessità virtù. Andate a vedere cosa ho scritto sulle condizioni del Tibet prima del comunismo e capirete perchè (3D termometro politco). Chi oggi andrebbe a bere la sacra piscia del Dalai Lama, quando il livello di vita dei tibetani aumenta ia una velocità impressionante?Quando solo oggi che è stato debellato l'analfabetismo i tibetani hanno la possibilità di scrivere per la prima volta nella loro lingua? Quando, è l'ho detto citando fonti americane il 70% dei funzionari è tibetano. I tibetani a differenza degli han (i cinesi veri e propri) possono avere anche + di un figlio.Il Dalai Lama rivendica l'autonomia ma questa autonomia i tibetani l'hanno da sempre. Questa è una delle principali differenze con il nazionalismo sciovinista dell'Europa. Poi è sicuro che in quello stato con centinaia di nazionalità che chiamiamo Cina qualche scontento ci sarà pure.

Ambrogio
25-05-05, 23:45
In Origine postato da Red Shadow
Ferruccio e Felix. Premetto che io non sono marxista-leninista nè col trattino nè senza e nè tantomeno di Rifondazione. Se andate a leggere ciò che scrivo in appoggio alle recenti prese di posizione di Cofferati a Bologna capirete anche perchè.Sono di sinistra questo è certo. Dire che la Cina è nazionalista credo sia sbagliato almeno nel senso novecentesco del termine. Prendiamo l'Italia. Il nazionalismo italiano si è espresso nella negazione delle minoranze, basta vedere come si è comportato con gli slavi dell'Istria, e nell'espansionismo. La Cina non è nazionalista in questo senso. Le minoranze nazionali sono tutelate, c'è una vasta rete di autonomie locali tantè che una delle maggiori critiche che gli economisti occidentali muovono è che queste autonomie intralciano lo sviluppo economico con legislazioni particolaristiche.
Vi faccio un esmpio di come in Cina trattano le minoranze: il Tibet. Una settimana fà il Dalai Lama ha dichiarato che non chiede l'indipendenza del Tibet perchè i tibetani stanno sfruttando i risultati del boom economico cinese. Tradotto in Italiano in Tibet il Dalai Lama non se lo fila più nessuno, e lui fa di necessità virtù. Andate a vedere cosa ho scritto sulle condizioni del Tibet prima del comunismo e capirete perchè (3D termometro politco). Chi oggi andrebbe a bere la sacra piscia del Dalai Lama, quando il livello di vita dei tibetani aumenta ia una velocità impressionante?Quando solo oggi che è stato debellato l'analfabetismo i tibetani hanno la possibilità di scrivere per la prima volta nella loro lingua? Quando, è l'ho detto citando fonti americane il 70% dei funzionari è tibetano. I tibetani a differenza degli han (i cinesi veri e propri) possono avere anche + di un figlio.Il Dalai Lama rivendica l'autonomia ma questa autonomia i tibetani l'hanno da sempre. Questa è una delle principali differenze con il nazionalismo sciovinista dell'Europa. Poi è sicuro che in quello stato con centinaia di nazionalità che chiamiamo Cina qualche scontento ci sarà pure.

Non prenderei l'esempio proprio del Tibet.A parte il fatto che la Band dei Quattro ,guardie rosse etc. hanno distrutto la gran parte dei monasteri tibetani . lo spirito e l'identita' del Tibet sono stati spiantati da un'opera di inquinamento ad opera dei cinesi comprese discoteche , etc.etc. Cio' era in atto gia' dal 1981 quando ci fuioper tre settimane ma mi hanno riferito quello che e' successo poi.Forse anche i Tibetani staranno meglio economicamente ma dire che i Cinesi sono stati la' dei campioni di tolleranza ........................comunque il sentimento nazionale in Cina sia piuttosto forte e del resto con tutte le umiliazioni inflitte ai cinesi dagli occidentali ( Guerra dell'Oppio , Hong-Kong, trattati ineguali etc. ) anche giustificato. Comunque il progresso sociale
si realizza anche attraverso il progresso della nazione e la Cina non fa eccezione, almeno penso.

Ambrogio
26-05-05, 00:10
In Origine postato da Red Shadow
Posto questa mia risposta qui perchè dove l'ho messa prima un tizio in fama di liberale mi ha detto che lui interloquisce solo con Bruno Vespa (come d'altra parte tutti i veri liberali)

"Dopo il crollo dell'Urss e la caduta del muro, gli archivi moscoviti hanno spalancato le porte agli studiosi, una mole impressionante di informazioni che si riversa sulla opinione pubblica."

Finalmente!!!! Finalmente si ragiona sugli archivi sovietici e non sui dati taroccati di Robert Conquest. Questi parlano di 10.000.000 di detenuti solo per il 1938. Quando erano in realtà 1.881.570 mentre nel 1950 erano 2.760.095. (V.N.Zemskov. GULAG (istoriko-sotziologiceskij aspekt) Sotziologiceskie Isledovannia. 1991, N°.11, ma questi dati si possono anche trovare nel "Libro nero del Comunismo¡"). Cifre impressionanti intendiamoci tipiche di un paese a tolleranza zero. Cifre che che raggiungono ed addirittura superano, soprattutto nel dopoguerra, i detenuti attuali degli USA. Nel 1999 i detenuti USA erano 2.054.694. Devo dire che questa della tolleranza zero era (ahimè) una politica assai popolare nell'Unione Sovietica come putroppo lo è tuttora negli Stati Uniti (ma per uno di destra non dovrebbe essere così tranne ovviamente che si tratti di indagare sugli affari del nano pelato dove diventate tutti garantisti). Popolare perchè in una situazione sociale allarmante quale quella seguita alla guerra civile toglieva dalle strade un sacco di deliquenti comuni. Infatti l'83% dei detenuti erano assassini, ladri ecc. e nell'altro 17% erano spesso compresi oltre alle spie e ai terroristi anche gente che aveva semplicemente rubato nelle aziende collettive (la cosa era equiparata a delitto politico). Comunque in tutti gli anni '30 complessivamente girarono per il sistema penitenziario sovietico circa 3.500.000 detenuti mentre negli USA nel solo 2002 sono stati 3.000.000. Dal che si ricava facilmente che la percentuale di persone adulte passate per i penitenziari era inferirore nell'Unione Sovietica staliniana.
La mortalità fu particolarmente alta negli anni della guerra raggiungendo cifre simile a certi campi di concentramento alleati (prigionieri italiani nei campi francesi in Nord-africa), comunque era + pericoloso fare l'ufficiale al fronte. Il 92% degli ufficiali che iniziarono la guerra caddero in battaglia compresi due generali di corpo d'armata. Ma con l'introduzione nel dopoguerra delle vaccinazioni la mortalità scese nell'ultimo anno della gestione Stalin, il 1953, allo 0,2% forse un po' minore della mortalità nelle carceri italiane nell'anno 2004. Per quanto rigurda la mortalità dei detenuti si deve considerare che comprende coloro che venivano giustiziati per crimini commessi in carcere. In ogni caso la mortalità negli anni '30 era + o meno in linea con la media degli stati europei.
Nel dopoguerra la cifra dei detenuiti lievitò soprattutto dopo la consegna da parte degli alleati nel 1946 dei collaborazionisti sovietici dell'esercito di Vlasov. Oltre 450.000 furono coloro che vennero condannati assieme per altro ad altri collaborazionisti dei battaglioni ceceni passati ai nazisti, o di quelli tatari della Crimea che si contraddistinsero nella caccia agli ebrei e ai partigiani.
Essendo una nazione invasa l'Unione Sovietica ebbe parecchi collaborazionisti e quindi non si potè comportare come gli USA che condannarono a morte tutti i loro collaborazionisti. Solo i capi subirono la pena capitale gli altri vennero condannati a pene piuttosto miti (in media 6 anni di carcere) questo nonostante ci fossero Stati (come la Jugoslavia) che chiedevano l'estradizione di questi criminali di guerra. L'esercito di Vlasov infatti non fu mai impiegato per ragioni soprattutto razziali dai nazisti contro l'Armata Rossa (si trattava in gran parte di asiatici, i cosidetti mongoli) ma fu impiegato contro le popolazioni civili e i partigiani soprattutto in Jugoslavia e in Italia. Nell'oltrepò pavese dopo le azioni dei "mongoli¡" le autorità fasciste (ma che grandi patrioti!!) decisero di consentire in via straordinaria l'aborto per le donne violentate. Addirittura i tedeschi decisero di compensare i servigi dei "cosacchi¡" ( in realtà per lo + tatari di crimea e popolazioni mussulmane del caucaso) concedendogli una parte di terriorio del Friuli che il "patriota¡" Mussolini aveva regalato assieme a Bolzano, Udine, Gorizia e Trieste al Reich. I cosacchi commisero parecchi saccheggi e distrussero interi villaggi friulani e sloveni.
Chi parla di GULAG come campi di sterminio è evidente che non ha nenche la minima idea di cosa fosse il sistema penitenziario sovietico. Intanto il modello delle colonie penali (perchè di ciò si trattava) è come si sa di invenzione anglosassone. Basta dire che gli Stati Uniti e l'Australia naquero originariamentecome colonie penali.
I dati che ho riferito vengono tutti rigorosamente dalle stesse fonti archivistiche che però vengono citati in modo avulso dal contesto storico e da qualsiasi comparazione. (magari poi continuo).

Penso anch'io che i dati sul sitema penitenziario sovietico siano stati ingigantiti perche' e' sempre così.Si da' al pubblicon quello che ilm pubblicosi sa bche accetta e cosi' si gonfiano le cifre.Con tutto questo ai in URSS la genjte crepava in Siberia eccome.Non sdaranno stati 6 milioni ( strano numero ricorrente )i kulaki morti di freddo e i fame ma certamente furono tanti.
Voglio dire che la propaganda avversa esagera sempre tanto milione piu' milione meno.......

PS. Mussolini e la RSI mai cedettero alcuncheì' del territorio nazionale a chiccessia.I tedeschi forti della situazione di occupazione militare abusarono semplicemmete inquelle zone del ooro potere anche se in Alto Adige entravano anche vfattori etnici e culturali e linguistici molto condizionanti.

La RSI difese sempre le zone dell'Isontino (Reggimenti Bersaglieri del Goffredo Mameli e e Mussolini con perdite di mokte centinaia di uominin e cio' fino al 30 Aprile del 45. Sulel coste dell'Istria e nelle isole della nostra presenza della Dedcima Mas distintasi a nche sull'altipiano della Bainsizza.Tutti mal tollerati dai tedeschi che arrivarono ancyhe a far abbattere dei partigiani bianchi
( democristiani slavi ) il monumento a Gorizia dedicato la 4 Novembre e rimasto ancora oggi come dopo l'attentato a monito
di quel passato antitaliano !

Ripeto MAI la RSI cedette alcunche' a chicchessia.I democratici invece ad Osimo ........................................per non parlare dell'azione dei comunisti e di Togliatti in particolare a favore delle mire slave su quei territori.Ad un certo punto propose financo il baratto di Gorizia con Trieste.Del resto pensa a come vennero accolti i nostri profughi in Italia ad esempio alla stazione di Bologna dove i comunisti non permisero ai nostri ( un treno con piu' di duemila profughi ) neppure di usufrire della assitenza predisposta dalla Pontificia Opera di Assistenza.Neppure permisero di dar loro da bere acqua ! Ai bambini gettarono via le scodelle di latte caldo facendo entrare in stazione bambini loro incaricati di fare questo dispetto !

Pensa al silenzio concordato dai comunisti con i DC e con gli slavi sulle foibe !

Erano gli stessi bolognesi del resto che pochi anni dopo nel 56 sfilavano con gli striscioni inneggianti alla repressione russa a Budapest ed alla gloriosa armata rossa ! Ricordo bene !

Idem ad Ancona. Ne parla Enrico Galli della Loggia nel suo " Morte di una nazione " ma e' comunque notorio.I profughi dall'Istria e dalla Dalmazia trattai come nemici.Vah beh che su Bologna e dintorni ci sarebbe tanto ma tanto da dire .........................

Red Shadow
27-05-05, 13:58
Si è equivicato sul termine di eleiminazione dei Khulak come calsse. In realtà non significava l'eliminazione fisica che non ci fu, ma eliminazione della classe dei possidenti che si opponevano alla collettivizzazione. Essi ebbero una sorte diversa. Alcuni vennero mandati nelle terre che possedevano in altre regioni non soggette a collettivizzazione con Khazakistan ecc, altri vennero spostati all'interno del proprio oblast (provincia) altri ancora in zone in cui si effetuavano lavori pubblici. I Khulak deportati furono 450.000 che vennero raggiunti dalle famiglie per un totale di circa 1.200.000 persone (1% della popolazione agricola). Abbiamo la testimonianza di un tecnico americano consulente in una miniera d'oro in Siberia. Ai khulak vennero affidate baracche dei minatori piuttosto malconce che però potevano eventualmente aggiustare. I khulak non erano dei detenuti ma semplicemente dei cittadini diremmo a soggiorno obbligato. Dovevano presentarsi alla polizia una volta alla settimana, potevano viaggiare ma dovevano comunque risiedere nel posto che gli era stato assegnato. Ricevevano uno stipendio teoricamente uguale agli altri minatori ma in realtà decurtato di una quota che serviva a mantenere coloro che erano impossibilitati al lavoro (per età o malattie). Appena arrivati dice il tecnico la produttività della miniera ne risenti negativamente in quanto era gente spesso incapace di svolgere questo lavoro, poi con il tempo la produttività si alzò. Riguardo ai morti la maggior parte degli storici ritiene che non ci sia stato un eccesso di morti rispetto rispetto al resto della popolazione o comunque non tale da essrere preoccupante. Dunque la teoria dello sterminio dei Khulak si è rivelata infondata sulla base degli archivi sovietici.

Red Shadow
27-05-05, 14:26
Nel 1943il Friuli Venezia Giulia cessa di far parte dello Stato Italiano, diventando territorio direttamente amministrato dal terzo Reich. I tedeschi infatti costituiscono ed annettono al Reich la Adriatisches Kùstenland (Litorale Adriatico) che comprende le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana ( prima occupata dagli italiani), un territorio vasto dall'Alto Adriatico al Bacino del fiume Sava. Hitler nomina governatore della Adriatisches Kustenland, il carinziano Friedrich Rainer che assume pieni poteri il 1 ottobre del 1943. Questo commissario nazista, in breve tempo, sottopone al controllo diretto dei suoi uomini i Prefetti delle provincie ex italiane e i Podestà dei comuni, affiancandoli con i cosiddetti "consiglieri" . Rainer prende anche il comando diretto delle varie milizie territoriali presenti nella vasta area: milizie italiane, croate e slovene. Queste milizie con diverse denominazioni, passano alle dipendenze dirette delle SS e si macchieranno, al pari delle truppe naziste di occupazione, di crimini orrendi. Le milizie fasciste assumono il nome di Milizia Difesa Territoriale ed i vari raggruppamenti di polizia vengono utilizzati nelle operazioni di rastrellamento. Fra i reparti di polizia tristemente famosi, l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, agli ordini dell'Ispettore generale Giuseppe Gueli, la cui sede era presso "Villa Triste" in via Bellosguardo a Trieste. Questo raggruppamento di polizia, creato nell'aprile del '42, con lo specifico compito di controllo della classe operaia nelle grandi fabbriche, di repressione della guerra partigiana e della Resistenza, diviene tristemente noto, nella sua sezione operativa, come "Banda Collotti" dal nome del suo comandante, il Commissario Gaetano Collotti, e proseguì il "suo servizio" anche dopo l'8 settembre fornendo ai tedeschi una preziosa e fattiva collaborazione contro gli antifascisti e nella cattura degli ebrei, grazie alla conoscenza del territorio ed agli informatori sui quali poteva contare.
Questo antecedente fu importante in quanto gli Jugoslavi sostennero che di fatto questo non era più territorio italiano da 2 anni e chiese l'annessione alla Jugoslavia in base alla dottrina Wilson che prevedeva la necessità della continuità territoriale che almeno nel caso di Trieste non c'era. Ancora oggi i comuni che uniscono Monfalcone a Trieste sono a maggioranza slovena. inoltre per loro faceva testo il censimento autroungarico del 1910, ovvero prima della ppulizia etnica fatta dai fascisti in queste zone. Infatti risultava che l'80% del teritorio e il 60% della popolazione erano slavi in Istria. poi c'era la storia degli slavi assimilati (buonaparte degli italiani di Trieste erano slavi assimilati) ecc. In ogni acso questo recedente della annessione tedesca costituitì una formidabile arma in mano agli jugoslavi.

Della cessione di Bolzano abbiamo già parlato. Ti sbagli nel dire che l'Austria avesse perso la guerra e quindi non potesse rivendicare il Sud-Tirol. L'Austria come la Jugoslavia era paese aggredito in base alla illegale annesione al reich del 1938 e il contenzioso del sud Tireolo venne tirato fuori immediatamente dagli austriaci.
Inoltre le truppe di De Gaule avevano invaso la Val D'Aosta e Ventimiglia. La Francia era non solo una delle potenze vinctrici, ma anche paese aggredito dall'Italia (la famosa pugnalata alla schiena per buttare sul piatto delle trattative qualche centinaio di morti) E' veramente stupefacente che l'Italia buttasse sul piatto della bilancia per riavere la Val D'Aosta il fatto che il popolo italiano si era ribellato al fascismo: cioè la tanto diffamata Resistenza!!! E' anche curioso che i francesi siano stati i primi a sminuire il valore dei partigiani italiani (seguiti poi da tanti nostrani patrioti....americani) questi ultimi sono coloro che sostengono che gli italiani non dovevano combattere contro i tedeschi tanto c'erano gli alleati!!! Come vedi sano patriottismo da vigliacchi!!!

Ambrogio
27-05-05, 16:31
In Origine postato da Red Shadow
Si è equivicato sul termine di eleiminazione dei Khulak come calsse. In realtà non significava l'eliminazione fisica che non ci fu, ma eliminazione della classe dei possidenti che si opponevano alla collettivizzazione. Essi ebbero una sorte diversa. Alcuni vennero mandati nelle terre che possedevano in altre regioni non soggette a collettivizzazione con Khazakistan ecc, altri vennero spostati all'interno del proprio oblast (provincia) altri ancora in zone in cui si effetuavano lavori pubblici. I Khulak deportati furono 450.000 che vennero raggiunti dalle famiglie per un totale di circa 1.200.000 persone (1% della popolazione agricola). Abbiamo la testimonianza di un tecnico americano consulente in una miniera d'oro in Siberia. Ai khulak vennero affidate baracche dei minatori piuttosto malconce che però potevano eventualmente aggiustare. I khulak non erano dei detenuti ma semplicemente dei cittadini diremmo a soggiorno obbligato. Dovevano presentarsi alla polizia una volta alla settimana, potevano viaggiare ma dovevano comunque risiedere nel posto che gli era stato assegnato. Ricevevano uno stipendio teoricamente uguale agli altri minatori ma in realtà decurtato di una quota che serviva a mantenere coloro che erano impossibilitati al lavoro (per età o

Appena arrivati dice il tecnico la produttività della miniera ne risenti negativamente in quanto era gente spesso incapace di svolgere questo lavoro, poi con il tempo la produttività si alzò. Riguardo ai morti la maggior parte degli storici ritiene che non ci sia stato un eccesso di morti rispetto rispetto al resto della popolazione o comunque non tale da essrere preoccupante. Dunque la teoria dello sterminio dei Khulak si è rivelata infondata sulla base degli archivi sovietici.

Le cifre dei varii" olocausti " sono sempre da prendere con le molle per ovvie ragioni in quanto spesso frutto di " disinformatia "
interessata.

La badante Anna Josephna ucraina di un mio amico ha nella memoria della sua famiglia il nonno kulako inviato in Siberia
da dove ritorno' dopo tre anni per morire dati i maltrattamenti subiti.Vivevano anche a 50 sottozero in piccoli capanni dove si
...........autoriscaldavano ! Per cibo la kasha, un impasto di legumi
con poche calorie !

La tua rappresentazione di quanto accaduto ai kulaki mi sembra troppo ottimista e del resto salta fuori da qualche entita' credibile ?

Ambrogio
27-05-05, 16:42
In Origine postato da Red Shadow
Nel 1943il Friuli Venezia Giulia cessa di far parte dello Stato Italiano, diventando territorio direttamente amministrato dal terzo Reich. I tedeschi infatti costituiscono ed annettono al Reich la Adriatisches Kùstenland (Litorale Adriatico) che comprende le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana ( prima occupata dagli italiani), un territorio vasto dall'Alto Adriatico al Bacino del fiume Sava. Hitler nomina governatore della Adriatisches Kustenland, il carinziano Friedrich Rainer che assume pieni poteri il 1 ottobre del 1943. Questo commissario nazista, in breve tempo, sottopone al controllo diretto dei suoi uomini i Prefetti delle provincie ex italiane e i Podestà dei comuni, affiancandoli con i cosiddetti "consiglieri" . Rainer prende anche il comando diretto delle varie milizie territoriali presenti nella vasta area: milizie italiane, croate e slovene. Queste milizie con diverse denominazioni, passano alle dipendenze dirette delle SS e si macchieranno, al pari delle truppe naziste di occupazione, di crimini orrendi. Le milizie fasciste assumono il nome di Milizia Difesa Territoriale ed i vari raggruppamenti di polizia vengono utilizzati nelle operazioni di rastrellamento. Fra i reparti di polizia tristemente famosi, l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, agli ordini dell'Ispettore generale Giuseppe Gueli, la cui sede era presso "Villa Triste" in via Bellosguardo a Trieste. Questo raggruppamento di polizia, creato nell'aprile del '42, con lo specifico compito di controllo della classe operaia nelle grandi fabbriche, di repressione della guerra partigiana e della Resistenza, diviene tristemente noto, nella sua sezione operativa, come "Banda Collotti" dal nome del suo comandante, il Commissario Gaetano Collotti, e proseguì il "suo servizio" anche dopo l'8 settembre fornendo ai tedeschi una preziosa e fattiva collaborazione contro gli antifascisti e nella cattura degli ebrei, grazie alla conoscenza del territorio ed agli informatori sui quali poteva contare.
Questo antecedente fu importante in quanto gli Jugoslavi sostennero che di fatto questo non era più territorio italiano da 2 anni e chiese l'annessione alla Jugoslavia in base alla dottrina Wilson che prevedeva la necessità della continuità territoriale che almeno nel caso di Trieste non c'era. Ancora oggi i comuni che uniscono Monfalcone a Trieste sono a maggioranza slovena. inoltre per loro faceva testo il censimento autroungarico del 1910, ovvero prima della ppulizia etnica fatta dai fascisti in queste zone. Infatti risultava che l'80% del teritorio e il 60% della popolazione erano slavi in Istria. poi c'era la storia degli slavi assimilati (buonaparte degli italiani di Trieste erano slavi assimilati) ecc. In ogni acso questo recedente della annessione tedesca costituitì una formidabile arma in mano agli jugoslavi.

Della cessione di Bolzano abbiamo già parlato. Ti sbagli nel dire che l'Austria avesse perso la guerra e quindi non potesse rivendicare il Sud-Tirol. L'Austria come la Jugoslavia era paese aggredito in base alla illegale annesione al reich del 1938 e il contenzioso del sud Tireolo venne tirato fuori immediatamente dagli austriaci.
Inoltre le truppe di De Gaule avevano invaso la Val D'Aosta e Ventimiglia. La Francia era non solo una delle potenze vinctrici, ma anche paese aggredito dall'Italia (la famosa pugnalata alla schiena per buttare sul piatto delle trattative qualche centinaio di morti) E' veramente stupefacente che l'Italia buttasse sul piatto della bilancia per riavere la Val D'Aosta il fatto che il popolo italiano si era ribellato al fascismo: cioè la tanto diffamata Resistenza!!! E' anche curioso che i francesi siano stati i primi a sminuire il valore dei partigiani italiani (seguiti poi da tanti nostrani patrioti....americani) questi ultimi sono coloro che sostengono che gli italiani non dovevano combattere contro i tedeschi tanto c'erano gli alleati!!! Come vedi sano patriottismo da vigliacchi!!!

Comunque resta il fatto che MAI la RSI cedette alcunche' ai tedeschi.Per la Val d'Aosta alla fine i francesi neppure ci misero
piedi prima impediti dagli Alpini della Monterosa e poi dagli alleati.

Dai tedeschi ci si poteva solo difendere ma non condurre azioni tipo via Rasella esponendo la popolazione civile alla inevitabili rappresaglie.Rappresaglie che furono provocate e cercate dai comunisti nel clima del " tanto peggio tanto meglio ".

Il Partito Comunista Italiano e' il vero responsabile della guerra civile del 43-45.Gli estremisti della RSI furono solo la sua " sponda ".Le ragioni per cui il PCI si scatena nell'autunno del 43 le ho gia' scritte molte volte.Devo ripetermi ?

Pieffebi
27-05-05, 16:51
"DOCUMENTI : Dagli archivi di Mosca, le vicende dei comunisti italiani uccisi nei gulag come «trotzkisti»

Antifascisti in Urss, marcia per l’inferno

La storia di Ugo Citterio, volontario contro Franco e liquidato da Stalin


Cognome e nome: Citterio Ugo. Nato a Seregno nel 1900, operaio bronzista, carattere ribelle, antifascista della prima ora. Carriera politica: iscritto al Pci dal 1922, arrestato lo stesso anno per aver scioperato e da allora dentro e fuori le prigioni fasciste; nel ’34 esule a Parigi, disoccupato, inviato dal partito l’anno seguente in Unione Sovietica per evitare una brutta fine. Esperienze successive: volontario alla guerra di Spagna; valoroso combattente antifranchista; giudicato politicamente meritevole, dopo la sconfitta repubblicana, di essere "rimpatriato" in Urss. Conclusione: arrestato il 15 giugno 1940, di ritorno a Mosca, con l’accusa di trotzkismo; condannato a otto anni di lavori forzati nel lager di Uchto-Izemskij; morto l’anno seguente di stenti nell’ospedale del lager; riabilitato dal regime sovietico (con involontaria ironia) il 12 febbraio 1955. Ecco quanto resta di lui: documenti ingialliti e due fotografie scattate dal Kgb poche ore dopo l’arresto. Ma quel che riemerge dalla polvere dell’Archivio di Stato di Mosca è sufficiente a restituirci la tragedia di una vita. Le istantanee lo ritraggono tranquillo, Ugo Citterio, lo sguardo spavaldamente rivolto verso l’obiettivo, un giovane scarmigliato che deve aver fatto l’abitudine alle disavventure e di certo non sospetta d’essere finito in mano ai suoi assassini. Perché, dopotutto, lui rimaneva un comunista, e a Mosca immaginava di trovarsi in terra amica. Se gli avessero detto che la sua stessa fede incorruttibile lo avrebbe condannato, non ci avrebbe creduto: eppure fu così. Passo dopo passo, dall’Italia alla Francia, poi all’Urss e alla Spagna e di nuovo all’Urss, quella stessa limpidezza ideologica che gli aveva consentito di superare tutti gli esami di ortodossia marxista-leninista finì per essergli fatale: una corsa inconsapevole verso l’epilogo nel cimitero anonimo di un gulag.
La storia di Ugo Citterio, pur estrema, è solo una fra le tante dei desaparecidos italiani in Russia; e in particolare di quegli antifascisti che ebbero un destino ingrato, combattendo un totalitarismo soltanto per farsi divorare dall’altro. Come Citterio, un migliaio di nostri emigrati incappò nelle purghe di Stalin senza neppure comprendere in base a quali accuse venissero condannati. Duecento morirono per fame, percosse o fucilazione; agli altri un po’ più fortunati fu concesso di campare fino alla pace: ma anche allora il ritorno in Italia venne loro precluso da Paolo Robotti, dirigente del Pci e cognato di Togliatti, per evitare testimonianze scottanti sulle atrocità sovietiche.
Solo una fra tante, dunque, la vicenda del bronzista di Seregno; eppure seguendone il filo si penetra in un sotterraneo ideologico di connivenze e tradimenti. A Citterio e ad altri tre antifascisti, di cui ora conosciamo i nomi, l’arruolamento in Spagna venne concesso come premio: erano irreprensibili e fidati. Qualità attestate da un documento, sepolto per decenni e ora ritornato alla luce grazie a tre ricercatrici della Fondazione Feltrinelli (Elena Dundovich, Francesca Gori ed Emanuela Guercetti in collaborazione con il Memorial di Mosca).
Il documento russo è eccezionale perché firmato da Ercoli in persona, alias Palmiro Togliatti, già allora capo dei comunisti italiani oltre che uno dei segretari dell’Internazionale. L’anno è probabilmente il 1936: lo stesso di un altro documento che consente di stabilire la responsabilità di Togliatti nella condanna, e conseguente deportazione, di cittadini italiani nei lager sovietici. I giudizi sottoscritti da Ercoli-Togliatti a proposito dei volontari italiani in Spagna sono dettagliati: Ugo Citterio è definito «emigrato politico» con «preparazione militare» e la sua richiesta viene appoggiata senza riserve; di un secondo, Giovanni Peri, Togliatti ricorda che ha «studiato alla scuola leninista», è «politicamente sviluppato» ed è «un compagno serio»; altri due, Giovanni Cemento e Mario Rossi, sono presentati come elementi «utilizzabili» fra gli emigrati.
Che cosa dimostra questo documento? Anzitutto il ruolo determinante del capo comunista nel decidere sulla vita o la morte dei compagni; proprio mentre in Urss cominciava l’epoca delle purghe, inviare qualche italiano in Occidente, sia pure per imbracciare un fucile, significava sottrarlo a morte probabile (e infatti queste partenze volontarie degli antifascisti italiani rifugiatisi in Russia si spiegano soprattutto come un tentativo di sottrarsi all’asfissiante clima poliziesco di Mosca). E poi, il documento qualifica Citterio e compagni come «militanti fidati». Per altri il giudizio di Togliatti sarà meno favorevole: e di questi ben pochi lasceranno mai l’Urss.
I prescelti invece? Quando giungono in Spagna, vengono schedati su basi politiche insieme agli altri 3500 italiani desiderosi di combattere Franco. Si battono bene, ma i commissari del partito non li perdono di vista: del resto hanno l’avallo dello stesso Togliatti, giunto in Spagna nell’estate del ’37.
Seguono fatti tristemente noti: il regolamento dei conti con gli anarchici, la vittoria di Franco, il dramma degli antifascisti sconfitti che, mentre nazismo e fascismo dilagano, non hanno più un paese dove rifugiarsi. Ed ecco il paradosso: tutto il gigantesco materiale di schedatura viene portato in Russia, dove si esamina caso per caso allo scopo di concedere il visto d’ingresso ai soli «compagni più fidati». Fra questi figurano tre italiani: Giosuè Elli, un certo Cosessi e il nostro Ugo Citterio. Altri, esclusi dall’onore del "rimpatrio", dovranno vedersela con l’Ovra e la Gestapo; invece i comunisti "fidati" troveranno ad accoglierli gli agenti di Stalin e finiranno nei lager. Molti moriranno tra gli stenti; in maggioranza concluderanno i loro giorni in qualche sperduto luogo della pianura russa.
Ugo Citterio appartiene alla prima schiera: il lager di Uchto Izemskij non restituirà mai il suo corpo, soltanto due fotografie e un certificato di morte. Oggi rimane quel volto, fra i tanti che Stalin rese invisibili per sempre.

Dario Fertilio

Le biografie degli scomparsi, a cura della Fondazione Feltrinelli: www.gulag-italia.it

Corriere della Sera
5 giugno 2002 "


Saluti liberali

Red Shadow
27-05-05, 21:49
29 APRILE
"La 92a divisione della 5a armata USA raggiunge Torino già liberata dai partigiani. Mentre in Val d'Aosta avvengono scontri fra gli stessi partigiani italiani e le truppe francesi che intendono mantenere le posizioni conquistate nella valle."
In un altro sito si dice che la Monterosa passa quasi interamente coi partigiani

http://www.italianiestero.antoniodipietro.it
/sezioni/rubrica6/articoli.php?a1=149

"In queste condizioni si giunse al 1945 e alla fine della guerra. I francesi occuparono la Valle d'Aosta e alcune parti del Piemonte, mentre Tito, il 1° maggio, occupava Trieste. Com'è noto, a giugno gli Alleati ordinarono alla Jugoslavia di ritirarsi dal capoluogo giuliano (ma non dagli altri territori della frontiera orientali già italiani)."

Mentre lo "stalinista" Nenni:

Quando poi, il Ministero degli esteri passò da De Gasperi a Nenni, il leader socialista iniziò una intensa azione diplomatica verso i laburisti inglesi, nella speranza di potere portare Londra verso le posizioni italiane.

http://www.arcipelagoadriatico.it/intervento20.ht

Red Shadow
27-05-05, 22:18
Via Rasella fu una eccellente azione militare compiuta da militari italiani (tali erano i partigiani per gli accordi Cln-governo Bonomi). Il governo riconobbe infatti il C.L.N. come organo dei partiti antifascisti e lo delegava a rappresentarlo nella lotta.
Compito della guerriglia è attaccare non difendersi. In quanto l'elemento fondamentale è la sorpresa.
La guerriglia ha una grande tradizione nel risorgimento italiano. Un trattato, quello di Carlo Bianco di Saint Jorioz che pare fosse conosciuto addirittura da Che Guevara. Saint Jorioz cerco di applicarlo durante la tentata insurrezione mazziniana in Savoia. Garibaldi nasce come guerrigliero al pari dell'ex carbonaro Generale Cialdini ( capo guerrigliero carlista in Spagna).
Mazzini aveva una concezione "leninista" dell'insurrezione ma sosteneva che la guerriglia doveva servire per colpire un eventuale esercito invasore che fosse intervenuto contro i rivoluzionari. Mazzini aveva studiato la guerriglia antinapoleonica, che egli rese famosa in Italia. Poi per dirla tutta sull'uso di Mazzini nella RSI, Mazzini non solo fu cofondatore dell'Internazionale assieme a Marx ed Engels ma volle adottare la Bandiera rossa come simbolo dei repubblicani. Infatti questa rappresenta il sangue dei caduti nelle rivoluzioni europee del 48. Tuttora sezioni repubblicane romagnole e carraresi adottano la bandiera rossa. La stessa canzone Bandiera rossa oltre a essere uno degli inni ufficiali del Labour Party fu originariamente canzone repubblicana.

Red Shadow
27-05-05, 23:08
Sui khulak (in russo) "Skolko bylo soslano kulakov"
http://www.geocities.com/CapitolHill/Parliament/7231/kulak.htm
Con numerosi dati anche sulle regioni di provenienza

Ambrogio
28-05-05, 00:20
In Origine postato da Red Shadow
29 APRILE
"La 92a divisione della 5a armata USA raggiunge Torino già liberata dai partigiani. Mentre in Val d'Aosta avvengono scontri fra gli stessi partigiani italiani e le truppe francesi che intendono mantenere le posizioni conquistate nella valle."
In un altro sito si dice che la Monterosa passa quasi interamente coi partigiani

http://www.italianiestero.antoniodipietro.it
/sezioni/rubrica6/articoli.php?a1=149

"In queste condizioni si giunse al 1945 e alla fine della guerra. I francesi occuparono la Valle d'Aosta e alcune parti del Piemonte, mentre Tito, il 1° maggio, occupava Trieste. Com'è noto, a giugno gli Alleati ordinarono alla Jugoslavia di ritirarsi dal capoluogo giuliano (ma non dagli altri territori della frontiera orientali già italiani)."

Mentre lo "stalinista" Nenni:

Quando poi, il Ministero degli esteri passò da De Gasperi a Nenni, il leader socialista iniziò una intensa azione diplomatica verso i laburisti inglesi, nella speranza di potere portare Londra verso le posizioni italiane.

http://www.arcipelagoadriatico.it/intervento20.ht

I "partigiani" italiani erano ancora quelli della Monterosa appunto ! Non risulta che i francesi arrivassero mai ad Aosta o Courmaieur. Caso mai sui passi del San Bernardo o giu' di li'.


p

Ambrogio
29-05-05, 18:15
In Origine postato da Red Shadow
Via Rasella fu una eccellente azione militare compiuta da militari italiani (tali erano i partigiani per gli accordi Cln-governo Bonomi). Il governo riconobbe infatti il C.L.N. come organo dei partiti antifascisti e lo delegava a rappresentarlo nella lotta.
Compito della guerriglia è attaccare non difendersi. In quanto l'elemento fondamentale è la sorpresa.
La guerriglia ha una grande tradizione nel risorgimento italiano. Un trattato, quello di Carlo Bianco di Saint Jorioz che pare fosse conosciuto addirittura da Che Guevara. Saint Jorioz cerco di applicarlo durante la tentata insurrezione mazziniana in Savoia. Garibaldi nasce come guerrigliero al pari dell'ex carbonaro Generale Cialdini ( capo guerrigliero carlista in Spagna).
Mazzini aveva una concezione "leninista" dell'insurrezione ma sosteneva che la guerriglia doveva servire per colpire un eventuale esercito invasore che fosse intervenuto contro i rivoluzionari. Mazzini aveva studiato la guerriglia antinapoleonica, che egli rese famosa in Italia. Poi per dirla tutta sull'uso di Mazzini nella RSI, Mazzini non solo fu cofondatore dell'Internazionale assieme a Marx ed Engels ma volle adottare la Bandiera rossa come simbolo dei repubblicani. Infatti questa rappresenta il sangue dei caduti nelle rivoluzioni europee del 48. Tuttora sezioni repubblicane romagnole e carraresi adottano la bandiera rossa. La stessa canzone Bandiera rossa oltre a essere uno degli inni ufficiali del Labour Party fu originariamente canzone repubblicana.

L'azione partigiana di via Rasella NON fu decisa dal CLN ma solo dai vertici del PCI Amendola in primis .Pertanto fu una azione della guerra " privata " dei comunisti. NON ebbe alcuna approvazione popolare specie a Roma e si fece carico ai comunisti anche delle vittime della feroce rappresaglia nazista.Rappresaglia che fu " cercata " perche' serviva a qualcuno.Ci sono piu' che fondati sospetti che sia stata diretta contro gli elementi dell'antifascismo democratico per toglierlo di mezzo in vista della
prossima liberazione di Roma.Erano infatti da diverse settimane
che lettere e telefonate anonime segnalavano alla polizia fascista ed ai tedeschi il luogo e l'ora di ritrovi di elementi della resistenza democratica motivo per il quale al momento dell'attentato di Via Rasella si trovava in carcere il fior fiore della Resistenza monarchica e antcomunista di Roma e su questa si scarico'
la vendetta nazista,.Il PCI ebbe cosi' due risultati : rappresaglia
cnazista da sfruttare ed eliminazione di avversari politici conn i quali lo scontro sarebbe stato sicuro non appena gli alleati fossero arrivati a Roma.

Per far fuori una trentina di tedeschi si sacrificarono coscientemente 335 italiani alle fosse Ardeatine piu' cinque altri
civili italiani morti proprio in via Rasella.

I tedeschi avevano avvisato chiaramente che attentati contro di loro sarebbero stati puniti con rappresaglie secondo gli accordi dell'Aja in vigore a quei tempi.I partigiani di via Rasella non possono essere definiti terroristi avendo essi agito non contro civili ma contro militari in divisa ma in modo militarmemente illegale del resto la prima sentenza su via Rasella definì quell'attentato come " azione proditoria ed inutila " cioe' vile etc.etc.
Su questa sentenza i parenti delle vittime cominciarono a reclamare dallo Stato Italiano il risarcimento dei danni subiti.Solo in un socondo tempo si sentenziò di una "azione di guerra" dai confini comunque quanto mai equivoci e sospetti.

Quanto al Risorgimento italiano a parte le teorie di Mazzini ( rivoluzionario per corrispondenza come lo definiva Garibaldi )
non mi sembra che abbia conosciuto un gran che di guerra partigiana salvo il fenomeno del banditismo nel Sud che poi tanto banditismo non era dato che in sostanza fu una ribellione
dei meridionali contro i piemontesi brutali invasori e sostanzialmente a sfondo politico.Duro' per almeno sei anni e fu una delle concause della sconfitta di Custoza del 66 essendo l'esercito italiano stremato da quella guerriglia meridionale ( con contorno di malaria etc. ).

PS: Nella sala superiore dei mercati Traianei ingresso dai via Nazionale c'e' una lapide che ricorda una di queste riunioni durante la quale furono catturati quelli di cui ho parlato.Solo chi " sapeva " poteva fare la soffiata ai tedeschi cosi' diligente e puntuale dato il luogo inusuale !

Red Shadow
29-05-05, 19:22
ATTENTATO DI VIA RASELLA IN ROMA DEL 23 MARZO 1944 - DEFINIZIONE COME LEGITTIMA AZIONE DI GUERRA, AI SENSI DEL D. L.VO LGT. 12 APRILE 1945 N. 194.

(Cassazione - Sezione I Penale sent. n. 1560/99 - Presidente R. Teresi - Relatore A. Mabellini)

L'attentato, accuratamente preparato (cfr. anche pag. 33 provvedimento impugnato), fu deciso ed attuato da appartenenti a formazioni dei G.A.P. (Gruppi Azione Patriottica), dipendenti dal Comando Garibaldi per l'Italia
Centrale, e comandati in Roma all'epoca del fatto da Carlo Salinari. Essi erano collegati alla Giunta Militare del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) attraverso Giorgio Amendola ed altri. I G.A.P. rivendicarono
apertamente la paternità dell'azione, diretta a contrastare l'occupazione tedesca ed a restituire le libertà conculcate da regime fascista.

L'azione fu attuata facendo esplodere, mediante detonatore collegato ad una miccia, 18 kg. di tritolo contenuti in un carretto per la spazzatura, in coincidenza del passaggio, usuale e previsto, di una compagnia del battaglione "Bozen". Secondo la ricostruzione del consulente tecnico della parte offesa Zuccheretti, riportata nel provvedimento impugnato (pag. 14), l'esplosione dell'ordigno ebbe a determinare la morte di 42 soldati tedeschi
(dei quali 32 morti quasi immediatamente e gli altri nei giorni seguenti), e di almeno due civili italiani, il minore Pietro Zuccheretti e Antonio Chiaretti.

b) I1 fatto oggetto della richiesta di archiviazione proposta dal P.M. e del provvedimento impugnato per la qualità di chi lo commise, per l'obiettivo contro il quale era diretto e per la finalità che lo animava, rientra, in tutta
evidenza, nell'ambito di applicazione del D.L.vo Lgt.12.4.1945 n. 194, che dispone: "Sono considerate azioni di guerra, e pertanto non punibili a termini delle leggi comuni, gli atti di sabotaggio, le requisizioni e ogni altra
operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi e i fascisti nel periodo dell'occupazione nemica. Questa disposizione si applica tanto ai patrioti inquadrati nelle formazioni militari riconosciute dai comitati di liberazione nazionale, quanto agli altri cittadini che li abbiano aiutati o abbiano, per loro ordine, in qualsiasi modo concorso nelle operazioni per assicurarne la riuscita".

Azione di guerra fatta dai patrioti come vedi collegati alla Giunta Militare del CLN a cui apparteneva Giorgio Amendola. Quindi soldati italiani per gli accordi intercorsi tra CLN e governo Bonomi!!!

Red Shadow
29-05-05, 19:39
Dall'intervista a Ettore Gallo ex presidente della Corte Costituzionale
D.: Nel dopoguerra quale fu allora la strategia processuale di Kappler?

Kappler aveva una munita difesa giuridica, avvocati di valore. E capì presto - anche perché il Pubblico Ministero contestava le cose che diceva - che doveva abbandonare la linea principale della vera e propria rappresaglia perché mancava la legittimazione; fra l'altro le vittime non erano nemmeno legate da un rapporto di contingenza a quello che era avvenuto perché erano in prigione da tempo, facevano sì parte della lotta di liberazione, ma ne erano tagliati fuori, in sostanza. Eppoi c'erano degli ebrei che erano stati arrestati solo perché tali e quindi non c'entravano proprio!
La difesa di Kappler, una volta resasi conto che da un punto di vista tecnico -Non esiste, l'atto internazionalmente illecito riferibile al Governo legittimo italiano e conseguentemente già per questo la rappresaglia era illegittima- ha allora subordinatamente sostenuto che potesse trattarsi di un'altra misura coercitiva che si chiama repressione collettiva e che è disposta dall'occupante ai sensi dell'articolo 50 del regolamento dell'Aja. Quindi, invocava una norma internazionale. Però, questo articolo 50 invocato, dispone - è scritto in francese, lo traduco - "che nessuna pena collettiva, pecuniaria o di altro genere, potrà essere stabilita contro le popolazioni a causa di fatti individuali di cui esse non potrebbero essere considerate come solidarmente responsabili".
Allora, intanto, si tratta di vedere che significa "pena pecuniaria o altre".
Bè, è difficile pensare che, mettendo come voce principale la pena pecuniaria, poi l'altra potrebbe essere la pena di morte! non è pensabile che l'articolo 50 avesse indicato la pena di morte, quindi già questo scartava un eccidio di quel genere.

Questa la difesa di Kapller fatta da "avvocati di valore" che praticamente avevano raschiato la botte per poter lenire la pena per Kappler

Red Shadow
29-05-05, 20:20
Traggo dal WEB

1848

Iniziano le grandi rivoluzioni europee e il 18 marzo anche Milano insorge contro gli austriaci: sono le famose "Cinque Giornate". Sorgono le barricate. Tra il 19 e il 20 gli austriaci abbandonano il centro cittadino e si attestano sui bastioni.
Carlo Cattaneo costituisce il Consiglio di Guerra per dirigere le azioni di guerriglia. Il 23 marzo tutti i soldati imperiali sono stati cacciati dalla città. A maggio si vota per l'annessione al Piemonte.

Garibaldi
Combatte in Brasile e in Uruguay ed accumula una grande esperienza nelle tattiche della guerriglia basate sul movimento e sulle azioni a sorpresa. Questa esperienza avrà un grande valore per la formazione di Giuseppe Garibaldi sia come condottiero di uomini sia come tattico imprevedibile.

Gli scontri coinvolgono gli eserciti Piemontese, Austriaco, Francese, Borbonico, Pontificio, i volontari Garibaldini e Toscani, e bande di Lombardi, Veneti, Cadorini, Napoletani, Calabresi e Siciliani.
La notevole e curiosa varietà di combattenti coinvolti è affiancata dalla varietà delle situazioni, che comprendono grosse battaglie, piccoli scontri, combattimenti urbani, azioni di guerriglia, attacchi a fortificazioni,

5 giornate di Milano
Giunti davanti a Melegnano, gli Austriaci si videro sbarrare il passo dagli abitanti di quel villaggio, i quali però, dopo qualche resistenza, furono cacciati dal paese, e come regalo messo a sacco. Ma essendosi i fuggiaschi portatisi sul Lambro a fare guerriglia, gli Austriaci dovettero fermarsi e passare in quel luogo la notte.


Ma venimo al dunque se volessimo considerare criminali o comunque illegittimi gli attentati partigiani del 43-45 per il fatto che erano commessi non da soldati in divisa ma da uomini in borghese, non ci toccherebbe poi retrospettivamente considerare in qualche modo criminali anche episodi del nostro Risorgimento come le Cinque Giornate di Milano( gli insorti erano in borghese o in divisa?) l'attentato dei patrioti Monti e Tognetti a Roma nel 1867 o 68? Non usavano metodi tipo GAP? in quegli episodi che siamo abituati a giustificare. L'eroe detto Balilla, patriota risorgimentale genovese tanto caro ai fascisti anche se lanciò solo un sasso non era comunque una specie di "attentatore" in abiti borghesi?

Red Shadow
29-05-05, 20:51
Vorrei ritornare sull'intervento di Gallo, che sostiene che la rappresaglia fu effetuata da soldati tedeschi sul territorio dello "stato di fatto" chiamato RSI. Questa azione non si poteva giustificare ne in base a leggi della RSI in quanto fatta da tedeschi, ne in base a leggi tedesche in quanto al difuori del territorio tedesco in uno "stato di fatto" riconosciuto dai tedeschi, ma solo sulla base di convenzioni internazionali tra i due stati che non esistevano nella fattispecie. E' per questo che i difensori si richiamarono al regolamento dell'Aja che però tratta delle regole di un esercito su un territorio occupato. Quindi gli avvocati consideravano l'Italia non sotto la giurizdizione della RSI ma semplicemente territorio occupato dai tedeschi!!
Ma proprio la convenzione dell'Aja tratta dei crimini di guerra, oltre che delle punizioni collettive.
Se fossi un fascista ci metterei una pietra sopra a questo episodio, perchè i fascisti italiani ne escono malconci!!!!!

Ambrogio
29-05-05, 22:01
In Origine postato da Red Shadow
ATTENTATO DI VIA RASELLA IN ROMA DEL 23 MARZO 1944 - DEFINIZIONE COME LEGITTIMA AZIONE DI GUERRA, AI SENSI DEL D. L.VO LGT. 12 APRILE 1945 N. 194.

(Cassazione - Sezione I Penale sent. n. 1560/99 - Presidente R. Teresi - Relatore A. Mabellini)

L'attentato, accuratamente preparato (cfr. anche pag. 33 provvedimento impugnato), fu deciso ed attuato da appartenenti a formazioni dei G.A.P. (Gruppi Azione Patriottica), dipendenti dal Comando Garibaldi per l'Italia
Centrale, e comandati in Roma all'epoca del fatto da Carlo Salinari. Essi erano collegati alla Giunta Militare del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) attraverso Giorgio Amendola ed altri. I G.A.P. rivendicarono
apertamente la paternità dell'azione, diretta a contrastare l'occupazione tedesca ed a restituire le libertà conculcate da regime fascista.

L'azione fu attuata facendo esplodere, mediante detonatore collegato ad una miccia, 18 kg. di tritolo contenuti in un carretto per la spazzatura, in coincidenza del passaggio, usuale e previsto, di una compagnia del battaglione "Bozen". Secondo la ricostruzione del consulente tecnico della parte offesa Zuccheretti, riportata nel provvedimento impugnato (pag. 14), l'esplosione dell'ordigno ebbe a determinare la morte di 42 soldati tedeschi
(dei quali 32 morti quasi immediatamente e gli altri nei giorni seguenti), e di almeno due civili italiani, il minore Pietro Zuccheretti e Antonio Chiaretti.

b) I1 fatto oggetto della richiesta di archiviazione proposta dal P.M. e del provvedimento impugnato per la qualità di chi lo commise, per l'obiettivo contro il quale era diretto e per la finalità che lo animava, rientra, in tutta
evidenza, nell'ambito di applicazione del D.L.vo Lgt.12.4.1945 n. 194, che dispone: "Sono considerate azioni di guerra, e pertanto non punibili a termini delle leggi comuni, gli atti di sabotaggio, le requisizioni e ogni altra
operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi e i fascisti nel periodo dell'occupazione nemica. Questa disposizione si applica tanto ai patrioti inquadrati nelle formazioni militari riconosciute dai comitati di liberazione nazionale, quanto agli altri cittadini che li abbiano aiutati o abbiano, per loro ordine, in qualsiasi modo concorso nelle operazioni per assicurarne la riuscita".

Azione di guerra fatta dai patrioti come vedi collegati alla Giunta Militare del CLN a cui apparteneva Giorgio Amendola. Quindi soldati italiani per gli accordi intercorsi tra CLN e governo Bonomi!!!

Io sto parlando della prima sentenza del processo Kappler nel 1948 ! Altro peso !

In ogni caso a Roma furono i comunisti a decidere e fare l'attentato senza coinvolgere il CLN e compromettendo questo
di fronte all'opinione pubblico.

I comunisti sfruttavano il CLN e facevano quello che gli pareva
infischiandosene delle conseguenze sui civili.Lo stesso fecero per Gentile. per gli attentati di viale Abruzzi che poi genero' la rapopresaglia di piazzale Loreto e tanti altri come alla stazione centrale di Milano dove ammazzarono con una bomba a tempo due ausiliarie dell'esercito tedesco ,e via di questo passo.

IL CLN NON aveva controllo alcuno sulle azioni condotte dai comunisti e al massimo timidamente protestava come fecero gli azionisti per Gentile ad esempio.

Ambrogio
29-05-05, 22:08
In Origine postato da Red Shadow
Dall'intervista a Ettore Gallo ex presidente della Corte Costituzionale
D.: Nel dopoguerra quale fu allora la strategia processuale di Kappler?

Kappler aveva una munita difesa giuridica, avvocati di valore. E capì presto - anche perché il Pubblico Ministero contestava le cose che diceva - che doveva abbandonare la linea principale della vera e propria rappresaglia perché mancava la legittimazione; fra l'altro le vittime non erano nemmeno legate da un rapporto di contingenza a quello che era avvenuto perché erano in prigione da tempo, facevano sì parte della lotta di liberazione, ma ne erano tagliati fuori, in sostanza. Eppoi c'erano degli ebrei che erano stati arrestati solo perché tali e quindi non c'entravano proprio!
La difesa di Kappler, una volta resasi conto che da un punto di vista tecnico -Non esiste, l'atto internazionalmente illecito riferibile al Governo legittimo italiano e conseguentemente già per questo la rappresaglia era illegittima- ha allora subordinatamente sostenuto che potesse trattarsi di un'altra misura coercitiva che si chiama repressione collettiva e che è disposta dall'occupante ai sensi dell'articolo 50 del regolamento dell'Aja. Quindi, invocava una norma internazionale. Però, questo articolo 50 invocato, dispone - è scritto in francese, lo traduco - "che nessuna pena collettiva, pecuniaria o di altro genere, potrà essere stabilita contro le popolazioni a causa di fatti individuali di cui esse non potrebbero essere considerate come solidarmente responsabili".
Allora, intanto, si tratta di vedere che significa "pena pecuniaria o altre".
Bè, è difficile pensare che, mettendo come voce principale la pena pecuniaria, poi l'altra potrebbe essere la pena di morte! non è pensabile che l'articolo 50 avesse indicato la pena di morte, quindi già questo scartava un eccidio di quel genere.

Questa la difesa di Kapller fatta da "avvocati di valore" che praticamente avevano raschiato la botte per poter lenire la pena per Kappler

Kappler fu condonnato a causa dei 5 fucilati in piu' rispetto alla
legittima rappresaglia di 330 e non per questi ultimi.Questo in base alla Convenzione dell'Aja allora in vigore che consentiva la
rappresaglia fino a 10 contro uno.Devo ricordare che gli americani in Francia fucilarono 200 francesi a causa della perdita di un solo loro soldato.I francesi applicarono invece la propozione di 50 a uno.Kappler in sostanza fu assolto per la morte dei 330 !Lo disse la sentenza !

Ambrogio
29-05-05, 22:08
In Origine postato da Red Shadow
Dall'intervista a Ettore Gallo ex presidente della Corte Costituzionale
D.: Nel dopoguerra quale fu allora la strategia processuale di Kappler?

Kappler aveva una munita difesa giuridica, avvocati di valore. E capì presto - anche perché il Pubblico Ministero contestava le cose che diceva - che doveva abbandonare la linea principale della vera e propria rappresaglia perché mancava la legittimazione; fra l'altro le vittime non erano nemmeno legate da un rapporto di contingenza a quello che era avvenuto perché erano in prigione da tempo, facevano sì parte della lotta di liberazione, ma ne erano tagliati fuori, in sostanza. Eppoi c'erano degli ebrei che erano stati arrestati solo perché tali e quindi non c'entravano proprio!
La difesa di Kappler, una volta resasi conto che da un punto di vista tecnico -Non esiste, l'atto internazionalmente illecito riferibile al Governo legittimo italiano e conseguentemente già per questo la rappresaglia era illegittima- ha allora subordinatamente sostenuto che potesse trattarsi di un'altra misura coercitiva che si chiama repressione collettiva e che è disposta dall'occupante ai sensi dell'articolo 50 del regolamento dell'Aja. Quindi, invocava una norma internazionale. Però, questo articolo 50 invocato, dispone - è scritto in francese, lo traduco - "che nessuna pena collettiva, pecuniaria o di altro genere, potrà essere stabilita contro le popolazioni a causa di fatti individuali di cui esse non potrebbero essere considerate come solidarmente responsabili".
Allora, intanto, si tratta di vedere che significa "pena pecuniaria o altre".
Bè, è difficile pensare che, mettendo come voce principale la pena pecuniaria, poi l'altra potrebbe essere la pena di morte! non è pensabile che l'articolo 50 avesse indicato la pena di morte, quindi già questo scartava un eccidio di quel genere.

Questa la difesa di Kapller fatta da "avvocati di valore" che praticamente avevano raschiato la botte per poter lenire la pena per Kappler

Kappler fu condonnato a causa dei 5 fucilati in piu' rispetto alla
legittima rappresaglia di 330 e non per questi ultimi.Questo in base alla Convenzione dell'Aja allora in vigore che consentiva la
rappresaglia fino a 10 contro uno.Devo ricordare che gli americani in Francia fucilarono 200 francesi a causa della perdita di un solo loro soldato.I francesi applicarono invece la propozione di 50 a uno.Kappler in sostanza fu assolto per la morte dei 330 !Lo disse la sentenza !

Ambrogio
29-05-05, 22:20
In Origine postato da Red Shadow
Vorrei ritornare sull'intervento di Gallo, che sostiene che la rappresaglia fu effetuata da soldati tedeschi sul territorio dello "stato di fatto" chiamato RSI. Questa azione non si poteva giustificare ne in base a leggi della RSI in quanto fatta da tedeschi, ne in base a leggi tedesche in quanto al difuori del territorio tedesco in uno "stato di fatto" riconosciuto dai tedeschi, ma solo sulla base di convenzioni internazionali tra i due stati che non esistevano nella fattispecie. E' per questo che i difensori si richiamarono al regolamento dell'Aja che però tratta delle regole di un esercito su un territorio occupato. Quindi gli avvocati consideravano l'Italia non sotto la giurizdizione della RSI ma semplicemente territorio occupato dai tedeschi!!
Ma proprio la convenzione dell'Aja tratta dei crimini di guerra, oltre che delle punizioni collettive.
Se fossi un fascista ci metterei una pietra sopra a questo episodio, perchè i fascisti italiani ne escono malconci!!!!!

Devo ricordare che allora Roma si trovava nell'immediato retrofronte ed in zona di retrofronte azioni come quella di via Rasella qualsiasi esercito le considera anche piu' gravi che se avvenissero in zone lontane dal fronte.Il fronte era a quaranta kilometri, mezzora di macchina !

Gli americani applicarono in zona di guerra ( francia ) la proporzione di 200 a uno ed i francesi di 50 a uno.
Comunque Kapler NON fu condannato per i primi 330 uccisi
nella ma per la negligenza di avene uccisi cinque in più.


Nella vicenda Rasella-Fosse Ardeatine i fascisti entrarono come Pilato nel credo ! F coinvolto il solo Questore Caruso ma pretestuosamente perche' fece quello che NON poteva evitare per causa di forza maggiore.Come il Direttore di Regina Coeli Carela linciato per le accuse senza fondamento di una donna isterica.

Ambrogio
29-05-05, 22:33
In Origine postato da Red Shadow
Traggo dal WEB

1848

Iniziano le grandi rivoluzioni europee e il 18 marzo anche Milano insorge contro gli austriaci: sono le famose "Cinque Giornate". Sorgono le barricate. Tra il 19 e il 20 gli austriaci abbandonano il centro cittadino e si attestano sui bastioni.
Carlo Cattaneo costituisce il Consiglio di Guerra per dirigere le azioni di guerriglia. Il 23 marzo tutti i soldati imperiali sono stati cacciati dalla città. A maggio si vota per l'annessione al Piemonte.

Garibaldi
Combatte in Brasile e in Uruguay ed accumula una grande esperienza nelle tattiche della guerriglia basate sul movimento e sulle azioni a sorpresa. Questa esperienza avrà un grande valore per la formazione di Giuseppe Garibaldi sia come condottiero di uomini sia come tattico imprevedibile.

Gli scontri coinvolgono gli eserciti Piemontese, Austriaco, Francese, Borbonico, Pontificio, i volontari Garibaldini e Toscani, e bande di Lombardi, Veneti, Cadorini, Napoletani, Calabresi e Siciliani.
La notevole e curiosa varietà di combattenti coinvolti è affiancata dalla varietà delle situazioni, che comprendono grosse battaglie, piccoli scontri, combattimenti urbani, azioni di guerriglia, attacchi a fortificazioni,

5 giornate di Milano
Giunti davanti a Melegnano, gli Austriaci si videro sbarrare il passo dagli abitanti di quel villaggio, i quali però, dopo qualche resistenza, furono cacciati dal paese, e come regalo messo a sacco. Ma essendosi i fuggiaschi portatisi sul Lambro a fare guerriglia, gli Austriaci dovettero fermarsi e passare in quel luogo la notte.


Ma venimo al dunque se volessimo considerare criminali o comunque illegittimi gli attentati partigiani del 43-45 per il fatto che erano commessi non da soldati in divisa ma da uomini in borghese, non ci toccherebbe poi retrospettivamente considerare in qualche modo criminali anche episodi del nostro Risorgimento come le Cinque Giornate di Milano( gli insorti erano in borghese o in divisa?) l'attentato dei patrioti Monti e Tognetti a Roma nel 1867 o 68? Non usavano metodi tipo GAP? in quegli episodi che siamo abituati a giustificare. L'eroe detto Balilla, patriota risorgimentale genovese tanto caro ai fascisti anche se lanciò solo un sasso non era comunque una specie di "attentatore" in abiti borghesi?

Le Cinque Giornate di Milano furono una insurrezione popolare
con tanto di milizia cittadina riconoscibile da coccarda.Del resto lo stesso a Venezia e Brescia nel 49.NON furono episodi di guerra civile comunque !

Non dubito che nel nostro Risorgimento ci siano stati episodi assimilabili alle guerriglia ma furono episodi molto modesti
non riconducibili comunque ai sistemi dei GAP aventi come scopo lo scatenamento della guerra civile.Tanto che da un punto di vista militare la Resistenza italiana diede risultati men che modesti.
Gli alletati nell'autunno del 44 invitarono financo i partigiani a tornersene a casa perche' costavano troppo e rendevano nulla
( manifesto Gen.Alexander Novembre 44 ).

Grande la responsabilita' degli inglesi che da Radio Bari incitavano alla guerra civile dando financo istruzioni su chi dove quando e come uccidere .La ricordo benissimo ! E il CLN.......
........abbozzava !

Red Shadow
30-05-05, 01:03
Sarei curioso di sapere dove trovi nella convenzione dell'Aja il diritto di rappresaglia.
Art, 50: Nessuna pena collettiva, pecuniaria o altra, potrà essere decretata contro un'intera popolazione, a cagione di fatti individuali, di cui essa non potesse essere come solidariamente responsabile.

Ambrogio
30-05-05, 09:08
In Origine postato da Red Shadow
Sarei curioso di sapere dove trovi nella convenzione dell'Aja il diritto di rappresaglia.
Art, 50: Nessuna pena collettiva, pecuniaria o altra, potrà essere decretata contro un'intera popolazione, a cagione di fatti individuali, di cui essa non potesse essere come solidariamente responsabile.

Nella convenzione attuale e' stato tolto il diritto di rappresaglia almeno teoricamente perche' poi vediamo tutti i giorni che esso c'e' eccome..................................allora c'era e del resto nessun esrcito puo' tollerare che gli si spario alle spalle da gente non riconoscibile come combattente ed in particolare in zona di guerra.

Comunque ed in ogni caso i tedeschi avevano avvisato di che cosa sarebbe successo nel caso di attacchi ai propri combattenti da parte di civili . Kesselring ne deiede avviso con manifesti
affissi in tutta l'Italia fin dalla fine del 43 inizio 44.

Red Shadow
30-05-05, 19:46
5 morti in +? = mito neofascista

E' sempre Gallo che parla

D.: Allora, non è vero che Kappler sia stato condannato solo per i cinque in più?

R.: Noo. Assolutamente! È una favola questa, che Kappler sia stato condannato per i 5 in più: neanche per sogno! Basta leggere le sentenze del tribunale militare e ci si rende conto che è stato condannato: prima, perché è stato riconosciuto che la rappresaglia che è stata eseguita dai tedeschi in quella occasione alle Fosse Ardeatine non era legittima, cioè non era conforme alle regole stabilite dalle convenzioni internazionali.
Poi è stato condannato anche perché fu respinta la subordinata avanzata da Kappler; Kappler aveva detto: va bè, se non è valida la rappresaglia così come è prevista dalle convenzioni internazionali, io credo però che mi si possa applicare l'articolo 50 del regolamento... E questo era inapplicabile.
Quindi il tribunale ha respinto anche questa subordinata e ha dichiarato il Kappler colpevole dell'intero fatto delle Fosse Ardeatine, non soltanto, quindi, dei 5 in più: è stato dichiarato colpevole dell'intero fatto delle Fosse Ardeatine e come tale condannato.

Non è certo il regolamento dell'Aja del 1907 (che era in vigore durante la II Guerra) che consente la rappresaglia. La rappresaglia proviene dal diritto medievale e in specie dal diritto barbarico è per regolamentarla o escluderla che fu creato il regolamento dell'Aja. Ma il diritto di rappresaglia esite non tanto nel codice di guerra quanto in altre parti del diritto internazonale che regola i rapporti tra stati, vale a dire se tu tratti male un mio cittadino allora io posso trattare male il tuo, per via rasella questa strada era impraticabile per la difesa in quanto sotto la sovranità di fatto di uno stato amico la RSI. La rappresaglia deve essere comunque proporzionata. E io ti sfido a trovarmi una legge di diritto internazionale o anche solo una sentenza che abbia mai giustificato una rappresaglia superiore all'1 a 1. In generale i fascisti italiani che commisero rappresaglie si giustificarono con leggi italiane della prima guerra che prevedevano la decimazione dei disertori e renitenti, ma spesso invece i tribunali riconobbero nei partigiani i veri soldati italiani per l'accordo CLN-Bonomi e anche perchè i partigiani erano riconoscibili dai distintivi, fazzoletto verde o rosso, stella rossa ecc.

Ambrogio
30-05-05, 22:16
In Origine postato da Red Shadow
5 morti in +? = mito neofascista

E' sempre Gallo che parla

D.: Allora, non è vero che Kappler sia stato condannato solo per i cinque in più?

R.: Noo. Assolutamente! È una favola questa, che Kappler sia stato condannato per i 5 in più: neanche per sogno! Basta leggere le sentenze del tribunale militare e ci si rende conto che è stato condannato: prima, perché è stato riconosciuto che la rappresaglia che è stata eseguita dai tedeschi in quella occasione alle Fosse Ardeatine non era legittima, cioè non era conforme alle regole stabilite dalle convenzioni internazionali.
Poi è stato condannato anche perché fu respinta la subordinata avanzata da Kappler; Kappler aveva detto: va bè, se non è valida la rappresaglia così come è prevista dalle convenzioni internazionali, io credo però che mi si possa applicare l'articolo 50 del regolamento... E questo era inapplicabile.
Quindi il tribunale ha respinto anche questa subordinata e ha dichiarato il Kappler colpevole dell'intero fatto delle Fosse Ardeatine, non soltanto, quindi, dei 5 in più: è stato dichiarato colpevole dell'intero fatto delle Fosse Ardeatine e come tale condannato.

Non è certo il regolamento dell'Aja del 1907 (che era in vigore durante la II Guerra) che consente la rappresaglia. La rappresaglia proviene dal diritto medievale e in specie dal diritto barbarico è per regolamentarla o escluderla che fu creato il regolamento dell'Aja. Ma il diritto di rappresaglia esite non tanto nel codice di guerra quanto in altre parti del diritto internazonale che regola i rapporti tra stati, vale a dire se tu tratti male un mio cittadino allora io posso trattare male il tuo, per via rasella questa strada era impraticabile per la difesa in quanto sotto la sovranità di fatto di uno stato amico la RSI. La rappresaglia deve essere comunque proporzionata. E io ti sfido a trovarmi una legge di diritto internazionale o anche solo una sentenza che abbia mai giustificato una rappresaglia superiore all'1 a 1. In generale i fascisti italiani che commisero rappresaglie si giustificarono con leggi italiane della prima guerra che prevedevano la decimazione dei disertori e renitenti, ma spesso invece i tribunali riconobbero nei partigiani i veri soldati italiani per l'accordo CLN-Bonomi e anche perchè i partigiani erano riconoscibili dai distintivi, fazzoletto verde o rosso, stella rossa ecc.

Gli attentatori di via Rasella NON portavano alcun distintivo che potesse qualificarli come soldati regolari e del resto la loro azione
fu particolarmente efferata ed odiosa.Aja o non Aja il diritto di rappresaglia e' sempre esistito ed e' stato tolto , teoricamente, solo qualche anno fa.

Il territorio della citta' di Roma comunque era zona di guerra con tutte le conseguenze del caso e la sovranita' della RSI non entre per nulla.Era una sovranita' limitata dalle necessita' di guerra dei tedeschi e consisteva soprattutto nella sovranita' " civile ".
I tuoi mi sembrano dei cavilli.In ogni caso e' vero che Kappler fu condannato per via dei 5 in piu' e comunque questi ebbero granede peso nella sua condanna.

La potenziale rappresaglia era nota a tutti e prima di tutto agli attentatori che invece se ne sbatterono altamente di cosa sarebbe successo DOPO. A parte i piu' che sospetti di cui ho gia' parlato.

L'attentato di via Rasella resta un esempio della volonta' comunista di far precipitare le cose scavalcando lo stesso CLN
per scopi loro e niente altro. Cosa che il PCI sempre fece strumetalizzando la sua partecipazione al CLN per scopo di partito.Il CLN fu sempre succube del PCI il maggior responsabile della guerra civile italiana e delle stragi seguite al Nord tra il 45 e il 48 vedi Emilia e la stessa Milano dove imperversava la cosidetta Volante Rossa . Giaccone di pelle , mano davanti agli occhi per non farsi riconoscere nelle foto li si vedono sfilare financo in occasione del centenario delle Cinque Giornate di Milano !

Red Shadow
31-05-05, 00:52
In Origine postato da percy
il diritto di rappresaglia è previsto dal DIRITTO CONSUETUDINARIO DI GUERRA, che per definizione NON è scritto (ma che ha valore legale).
se vuoi recare un utile contributo al dibattito puoi citare una fonte - credibile - online dove poter controllare il trattato del 1907 (ma dubito che la troverai perchè circolano versioni non integrali)

II Convenzione internazionale dell' Aja del 1899 su leggi ed usi della guerra terrestre
Testo integrale si può scaricare
ttp://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20041031201007

Convenzione internazionale dell' Aja del 1907 su leggi ed usi della guerra terrestre
Testo integrale in pdf gli articoli che interessano vanno dal 48 al 53
http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20041031202458

In effetti hai colto nel segno richiamandoti al diritto consuetudinario.
La Rappresaglia è una azione di guerra o misura coercitiva attuata da uno Stato in reazione al comportamento di un altro Stato ritenuto lesivo dei propri diritti. Il diritto internazionale tende a proibire le rappresaglie. Ad esempio scontri di confine e l'occupazione delle ambasciate come quella USA a Tehran non vengono configurate come ragioni sufficenti per una rappresaglia. Tutte e quattro le convenzioni di Ginevra del 1949 vietano categoricamente ogni tipo di rappresaglia. Si sono comunque accumulate nel tempo alcune regole del diritto consuetudinario che stabiliscono i limiti entro i quali un'azione di rappresaglia può essere considerata legittima: l'azione non deve essere prioritaria (deve cioè essere compiuta solo dopo il fallimento di ogni altro mezzo disponibile), deve essere notificata alla controparte, deve essere proporzionata (i danni inflitti non devono essere maggiori di quelli causati dall'azione ritenuta illecita), deve avere carattere temporaneo (deve terminare quando l'avversario smette di perpetrare l'azione illecita).
Il problema di Via Rasella è che l'azione era avvenuta sul territorio di uno satato di fatto la RSI ( che in alcune sentenze viene configurato come Stato insurrezionqale) considerato amico dai tedeschi quindi la rappresaglia contro la popolazione di uno stato amico è dubbio che rientri nella casistica ( i giudici ritennero di no), di fatti si cercò prima di farla rientrare nelle leggi dei singoli stati per al diserzione, l'ammutinamento e quantaltro, poi si ripiegò sul concetto di pena collettiva (quindi si abbandonò definitivamente la rappresaglia) della conferenza dell'Aja ( ancora una volta i giudici ritennero non pertinete la cosa).

Dico tutto questo perchè in una certa vulgata neofascista si ritiene la rappresaglia 1:10 come prevista da non meglio identificate norme del diritto internazionale il che è completamente assudo dato che i regolamenti di guerra vennero fatti proprio per evitare il ricorso al diritto consuetudinario.

Ambrogio
31-05-05, 09:10
Questo il manifesto a firma Maresciallo Kesselring fatto affiggere dai tedeschi in tutto il territorio italiano a finbe 43 inizio 44.Trascrivo da una fotocopia del manifesto originale che trovasi presso l'Archivio Giulio Benatti di Brescia.

ITALIANI !

Dopo Badoglio anche il generale inglese Alexander in un proclama ho ordinato , tra l'altro :

" Assalite i comandi e piccoli centri militari ! Uccidete i germanici alle spalle , in modo da sfuggire allea reazione per poterne uccidere degli altri ! "

Badoglio , che ha sospinto gli Italiani al fratricidio , si e' condannato da solo e anche il generale Alexander , con suo proclama , si e' messo al bando di ogni onore militare.

Questo e' il mio parere di soldato ! Come uomo condanno inoltre
l'invito a uccidere alle spalle,poiche' immenso sarebbe il lutto portato nelle famiglie italiane che non hanno colpa, a seguito
della nostra rappresaglia.

Finora ho dimostrato con i fatti che il rispetto dei principi umani è per me un cosa di logica normale.Come Capo responsabile però
non posso piu' esitare ad impedire coi mezzi piu' repressivi , questo spregevOlissimo e medioevale sistema di combattere.

Avverto che userò immediatamente questi mezzi e ammonisco BADOGLIANI E SOVVERSIVI A NON CONTINUARE NEL CONTEGNO TENUTO FINORA.

Il Felmaresciallo

KESSELRING

Ambrogio
31-05-05, 18:03
In Origine postato da percy
in questo caso la vulgata neofascista non ha torto: si tende infatti a dimenticare che nelle due guerre mondiali la rappresaglia 1:10 rientrava nel diritto consuetudinario, di cui il trattato dell'aja ha cercato di limitare l'applicazione, senza peraltro abrogarlo.
ciò che conta è che nella seconda guerra mondiale gli alleati applicavano una ratio anche di 1:100 e nessuno ha chiesto di processarli.

Anche di 1 a 200 nel caso degli americani in Francia !

Red Shadow
31-05-05, 18:27
In Origine postato da percy
in questo caso la vulgata neofascista non ha torto: si tende infatti a dimenticare che nelle due guerre mondiali la rappresaglia 1:10 rientrava nel diritto consuetudinario, di cui il trattato dell'aja ha cercato di limitare l'applicazione, senza peraltro abrogarlo.
ciò che conta è che nella seconda guerra mondiale gli alleati applicavano una ratio anche di 1:100 e nessuno ha chiesto di processarli.

Tu evidentemente confondi consuetudine con diritto consuetudinario che è sempre positivo cioè stabilisce dei limiti alle consuetudini. (C'è una cosuetudine a rubare ma essa non è un diritto) I limiti sono quelli che ho detto, ad esempio la rappresaglia deve essere proporzionata. Quindi non può essere 1:10 ma semmai 1:1. Il trattato dell'Aja la cui ultima stesura è del 1909 non poteva essere una conseguenza dell'applicazione delle rappresaglie nella due guerre mondiali, evidentemente ti confondi con le Convenzioni di Ginevra. Le decimazioni della prima guerra mondiale rientravano nei codici militari nazionali di guerra in quanto erano dirette contro i propri soldati. Il fatto che gli alleati abbiano condotto rappresaglie non significa che altri fossero legittimati a farlo. Il fatto che uno ruba non significa che tutti siano legittimati a rubare ( se rimaniamo dal punto di vista del diritto).
Infatti in tutti i processi per le stragi condotte dai nazifascisti si è sempre invocato il codice nazionale di guerra, cioè la decimazione per diserzione e ammutinamento, ma è successo che come nel caso di una strage commessa dalla Tagliamento che i giudici non riconoscessero la continuità giuridica della RSI con lo stato italiano e considerasero i repubblichini come disertori, e la fucilazione dei partigiani come ammutinamento contro soldati leali allo stato italiano!!!
Quando gli avvocati dei tedeschi accusati di crimini di guerra hanno invocato la rappresaglia lo hanno fatto considerando l'Italia territorio occupato e non soggetto alla RSI, dunque la rappresaglia avveniva nei confronti di popolazione ostile del regno d'Italia.( la rappresaglia è sempre contro un altro stato se no non è rappresaglia). Ma siccome le rappresaglie di solito eccedevano la proporzionalità allora hanno dovuto richiamarsi all'articolo 50 del regolamento dell'Aja sulle pene collettive (che è proprio l'ultima spiaggia) e sono sempre stati condannati.

Felix (POL)
08-06-05, 23:38
In Origine postato da percy
ciò che conta è che nella seconda guerra mondiale gli alleati applicavano una ratio anche di 1:100 e nessuno ha chiesto di processarli.

da che mondo é mondo purtroppo nessuno processa i vincitori. La vittoria serve a coprire le malefatte di una delle parti in conflitto. Se a vincere fosse stato l'Asse nel 1942-43, i "grandi crimini" di guerra oggi esecrati sarebbero i bombardamenti terroristici alleati sui civili in Europa e in Giappone.
Oggi l'informazione é piú libera, ed é difficile imporre una visione unilaterale: per esempio in Iraq hanno vinto gli angloamericani (tanto per cambiare...) ma le loro malefatte sono altrettanto note di quelle dei baathisti (bombardamenti, Abu Ghraib, Falluja...).

Red Shadow
17-06-05, 00:34
Cosa pensava Stalin dei bombardamenti inglesi sulla Germania?
17 marzo 1945
"Di sera da Stalin assieme a Molotov. Abbiamo discusso di questioni riguardanti la Germania. Gli inglesi vogliono dividere la Germania (Beviera e Austria, la regione renana ecc.). Cercano con tutti i mezzi di distruggere il loro concorrente. Bombardano rabbiosamente le fabbriche tedesche. Noi non facciamo passare la loro aviazione nella nostra zona della Germania. Ma loro cercano di bombardare in tutti i modi anche lì. I tedeschi continuano testardamente a battersi. Vanno chiaramente verso la rovina. Hitler percepisce la propria fine e trascina con sè nell'abisso anche la popolazione tedesca. E' necessario che emergano dei dei tedeschi per salvare ciò che ancora può salvare per la vita del popolo tedesco. Organizzare le municipalità, sistemare la vita economica ecc. nei territori tedeschi occupati e in via di occupazione da parte dell'Armata Rossa. Creare organi di amministrazione locale dai quali alla fine esca anche un governo tedesco."
Riportato da G. Dimitrov, Diario. Gli anni di Mosca.