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Libertarian
27-06-04, 03:31
Posto questo articolo della Vazzano riguardante il nuovo e interessantissimo testo di Dario Antiseri ("Cristiano perchè relativista, relativista perchè cristiano. Per un razionalismo della contingenza".) sperando di poter aprire un vivo dibattito. Antiseri, infatti, affronta la nota problematica valicando antiche contrapposizioni. I molti limiti della ragione umana che si lacera tra assurdo e fiducia, tra mero relativismo e vivo cristianesimo.

Saluti


Filosofia e teologia: contrasto superabile?
di Sonia Vazzano

Provocatorio da subito, già nel titolo, il libro di Dario Antiseri chiarisce sin nella premessa la posizione del filosofo circa il grande problema del rapporto che lega tra loro la fede e la ragione. La prima parte del titolo è spiegata da Antiseri con la consapevolezza dei fallimenti della ratio e con la possibilità di trovare un senso assoluto, non costruibile, però, dall'uomo. La seconda parte, invece, si rispecchia nella convinzione di quelle persone che abbracciano la fede cristiana, per le quali solo Dio è assoluto. Il filosofo, di fronte a questa biforcazione della vita degli uomini di ogni tempo, si definisce, allora, "relativista", nel senso che si fa promotore di un "razionalismo della contingenza", il quale, partendo dal fallibilismo della conoscenza, rafforzi così la posizione della fede. Si tratta di un "relativismo", inteso come impossibilità di costruire "assoluti terrestri". Il percorso seguito nel volume si avvale, quindi, dell'antica problematica concernente i rapporti che intercorrono tra fede e ragione, ma la indaga con particolare riferimento al nostro tempo, in cui si potrebbe sostenere, parafrasando i sostenitori del cosiddetto "pensiero debole", che "l'unica certezza è la certezza della non-certezza". In tale scenario la fede e la ragione potrebbero apparire come due rette parallele o assomigliare piuttosto a quelle "particolari" del teorema di Euclide che per assurdo si incontrerebbero in un punto. Una concezione così tipicamente matematica potrebbe esserci utile per comprendere il metodo utilizzato da Antiseri per spiegare la sua posizione. Egli, infatti, facendo proprie le suggestioni kantiane e quelle popperiane, cerca di rispondere alla provocazione di Ugo Spirito: "Tu non puoi essere filosofo. Non puoi esserlo perchè sei credente. Un cattolico non può essere filosofo." Il cuore del volume evidenzia perciò i passi compiuti in tal senso da idealisti, positivisti, neopositivisti e scientisti, nella loro pretesa di assolutizzare il pensiero, eliminando la fede.
Il "relativismo" di cui si fregia Antiseri è inteso come l'accettazione della decadenza di una "ragione" che ha preteso troppo da se stessa, finendo, invece, per mostrare un panorama di "scienza senza certezze", di "etica senza verità" e di "metafisica senza fondamenti assoluti". La ragione scientifica, scoprendo così la sua irrazionalità, finisce per accettarne le conseguenze, come quella della riconquista di uno spazio relativo alle scelte di fede. E se, dunque, la ricerca della scienza è un continuo tentativo di soluzione di problemi, essa finisce con l'essere senza fine nonchè soggetta ad errori e critiche. Per questo motivo Antiseri, insieme a Popper e Einstein, abbraccia il cosiddetto "fallibilismo epistemologico", per il quale la conferma di una teoria non è mai logicamente definitiva. Tenendo presente tale posizione, l'autore si muove accostando tra di loro biologi, medici e storici, quindi fisici ed ermeneuti, che sono uniti dallo stesso modo di procedere nella ricerca della verità, cioè seguendo lo schema "problemi-teorie-critiche". L'indagine serve al nostro filosofo per mostrare come la scienza non sia assoluta e quindi come sia stato facile per la ragione perdere nel corso del tempo la sua infallibilità. La componente razionale viene poi ulteriormente messa da parte, in un certo senso, nella morale e nella politica, dove regnano libertà, responsabilità e relativismo dei valori. In realtà, ad essere colpita non è la ragione in sè, quanto piuttosto il suo abuso. Contro quest'ultimo si definisce il compito dello scienziato sociale, che si trova a fare i conti con i "collettivisti" e i "nominalisti", vale a dire rispettivamente con coloro i quali credono nel valore della società e, al contrario, con chi è convinto che solo gli individui "esistono, pensano, e agiscono". In un tale panorama Antiseri prende in esame il contributo del filosofo De Mandeville, nonchè della sua opera "La favola delle api". Il problema della lotta tra "assoluti terrestri" e "assoluto trascendente", due sinonimi forti degli ambiti della razionalità e della fede, sembra trovare, quindi, una parziale conclusione nell'ultima parte del volume. "L'ateismo è difficile...Ma anche credere non è facile", sostiene Antiseri parafrasando Etienne Gilson: "Dio abita dove lo si fa entrare", proclama con Martin Buber; "ho limitato il sapere per fare spazio alla fede", conclude con Kant. Questa, in particolare, è la posizione finale che, con ogni probabilità, è fatta propria dall'autore. Ad essa replicano, alla fine del volume, monsignor Rino Fisichella col suo "Da credente in difesa della ragione" e Sergio Galvan con "Per una razionalità senza dicotomie". Tali contributi arricchiscono ulteriormente il lavoro di Antiseri, che mostra il coraggio di mettersi in discussione, ponendosi tra due "fuochi", che rappresentano proprio i due poli principali del suo discorso.
Fisichella, pur definendosi difensore della fede cristiana, sottolinea il rilievo della ratio in tale campo, un'importanza, però, intesa nel senso che la posizione della ragione è peculiare, ma non assoluta nè esclusiva. Infatti, la fede risponde alla Rivelazione e non alla ratio. Avendo come punto di riferimento forte l'enciclica "Fides et Ratio", il prelato pone l'influenza della ragione non fondando in essa la fede, ma sostenendo solo la possibilità che la prima possa condurre alla seconda. In definitiva, la sua risposta alle tesi di Antiseri si basa sulla non-assolutezza di entrambe e sulla convinzione del fatto che la tradizione cattolica non indebolisce la ragione, perchè non c'è bisogno di una ragione che crolli per rafforzare la fede.
Galvan, invece, convinto come Antiseri della fallibilità della nostra conoscenza, specie di quella scientifica, non lo è invece di alcune conseguenze che quest'ultimo fa discendere da ciò, nè del fatto di volere escludere la ragione teoretica nella trattazione dei problemi circa l'esistenza e la trascendenza. Galvan proprugna piuttosto, in contrapposizione al "relativismo" antiseriano, una sorta di "realismo ontologico", per il quale "la realtà non sia costituita dal soggetto, ma sia da questo riconosciuta come qualcosa di indipendente da esso (anche se intrascendibile dal pensiero.)"
Il volume si conclude così allo stesso modo in cui era iniziato e cioè con una divisione netta all'interno di un interrogativo forte. A questo, l'autore in cuor suo ha cercato di rispondere, senza la pretesa di volerlo condurre a termine, visto che forse una tale conclusione non potrà mai essere possibile. Infatti, tra fede e ragione la ricerca della verità è e resta pur sempre una ricerca, che dà a suo modo un senso al Senso...