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oggettivista
19-04-09, 21:55
Sotto riporto articoli tratti dal sito della "Federazione dei Comunisti Anarchici" (www.fdca.it) ricchissimo di informazioni che non hanno mancato di destare il mio interesse.

Comunisti anarchici, perché? (http://www.fdca.it/ciclostile/perche-ca.htm)

Gruppo Comunista Anarchico di Firenze

(dal n°3 de "L'informatore di parte", luglio 1979, trimestrale dei comunisti anarchici di Firenze)



(...)
L'anarchismo (teoria anarchica in divenire) si viene definendo come comunismo antiautoritaria nella Prima Internazionale, durante la quale Bakunin e la maggioranza delle sezioni gettano le basi della teoria comunista anarchica (dualismo organizzativo, ruolo delle masse come veri soggetti rivoluzionari, ruolo delle minoranze coscienti come "timonieri invisibili" inseriti nell'organizzazione di massa, l'A.I.L., anarchia come utopica gestione della società comunista egualitaria e libertaria da raggiungere).

Ma se l'anarchismo nasce decisamente comunista, è pur vero che le persecuzioni dell'Internazionale da parte della maggioranza dei governi dell'epoca portano a delle deviazioni rispetto alla teoria bakuninista, deviazioni che lasceranno il segno nella storia del movimento anarchico, soprattutto italiano.

Accanto alla "propaganda col fatto", un tentativo di spingere le masse all'insurrezione, ma di fatto scavalcandole, anche se non nelle intenzioni, si fa strada e trae alimento da questa la corrente antiorganizzatrice che ha le sue basi teoriche nel kropotkianesimo.

Nella teoria kropotkiniana anarco-comunista, infatti, il fine dell'azione rivoluzionaria è sempre la società in cui "ognuno dà secondo le sue capacità, ognuno riceve secondo i suoi bisogni", cioè il comunismo. Ma questo comunismo è visto come uno stato armonico naturale a cui l'umanità tende inevitabilmente sotto due spinte parallele: la natura intrinsecamente solidale dell'uomo, e questa concezione dell'originaria bontà dell'animo umano porta a privilegiare qualsiasi forma di spontaneismo; ed il progresso scientifico. Quest'ultimo, che sotto il dominio capitalistico è volto ad allontanare l'uomo dalla natura, liberato dal dominio del capitale sarà potente fattore per la formazione di un uomo nuovo, cosciente ed in armonia con la natura; ed è questo secondo aspetto che porta gli anarco-comunisti a privilegiare le scienze naturali come fattore progressivo in se stesse, per quanto snaturate dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo nel loro utilizzo. Comunque è la prospettiva teorica che meno ci interessa, in questa sede, dell'anarco-comunismo.

Più prolifico di conseguenze per lo scopo del discorso che si intende qui fare è il primo dei due atteggiamenti suddetti. Infatti se il comunismo è lo sbocco inevitabile della storia umana e se ad esso di arriva spontaneamente sotto la spinta di fattori ineluttabili, quali l'indole stessa dell'uomo e le leggi che governano la natura, allora qualsiasi traccia di strategia politica è del tutto inutile. Anzi, di più, è da rifiutare qualsiasi forma di organizzazione sia politica che sindacale, in quanto entrambe sono forma di canalizzazione della spontaneità, intrinsecamente buona e tendente automaticamente al comunismo. Mentre per i comunisti anarchici l'organizzazione è al tempo stesso necessità per le lotte e per la garanzia di uno sbocco rivoluzionario di esse.

L'organizzazione invece per gli anarco-comunisti è una cosa borghese che comprimendo la spontaneità allontana dallo sbocco finale ed impedisce il dispiegarsi della bontà della natura umana e della sua tendenza ad una positiva auto-organizzazione. Perfino la povertà è un bene perché allontana dai vincoli della società statalista e stimola l'autogestione (C. WARD, L'anarchia come organizzazione, Edizioni Antistato, Milano 1976).

Da queste premesse l'anarco-comunismo, radicatosi soprattutto nell'anarchismo anglosassone, ma pericolosamente paracadutato anche in Italia nel dopoguerra, sfocia in due sole possibilità. Poiché quello che conta è la purezza della dottrina nella sua visione armonica del mondo, cioè il fine da raggiungere visto come buono per l'uomo, la lotta di classe è al più uno strumento utile per il raggiungimento dello scopo finale. L'anarco-comunismo si allontana così dal filone storico del comunismo anarchico inteso come teoria dell'emancipazione delle classi subalterne, e quindi legato indissolubilmente alla lotta di classe, per divenire una teoria valida per tutti gli uomini. Così da una parte hai il rifiuto della lotta di classe vista come limitativa di una teoria astorica, valida per sempre e che fa leva solo sull'aspirazione eterna di ogni essere umano alla propria libertà: si pone l'accento solo sul rapporto di "potere" e non sul rapporto di sfruttamento. N. Walter, anarco-comunista anglosassone arriva addirittura ad affermate in "Cos'è l'anarchismo", RL, Pistoia, 1970, che gli anarchici sono solo dei liberali di sinistra. Posizioni di questo tipo, che i GAAP a suo tempo definirono "resistenzialiste", sono rappresentate in Italia dalla Rivista A. (1)

Chi d'altra parte individua nella lotta di classe solo uno strumento utile all'emancipazione dell'umanità, rimane deluso dalla lentezza e discontinuità con cui il movimento operaio risponde al richiamo della giustizia sociale, per il suo bisogno costante di ottenere giorno per giorno condizioni di vita migliori all'interno di questa società. Nasce così negli anarco-comunisti di questa tendenza una profonda sfiducia nelle masse viste come riformiste, economiciste ed incapaci di prospettive più ampie (posizioni espresse negli Stati Uniti da Galleani e da "Cronaca Sovversiva").

Nel primo caso lo sbocco pratico è solo quello di una propaganda ideologica indiscriminata, volta a conquistare nuovi adepti alla teoria: una sorta di educazionismo in cui si aspetta che gli altri capiscano "l'intrinseca bellezza dell'ideale".

Nel secondo caso l'unico sbocco possibile è quello dell'azione dei rivoluzionari in sostituzione delle masse, nella convinzione, da una parte che l'atto farà da scintilla all'insurrezione spontanea, dall'altra che qualsiasi azione, pur se priva di un inquadramento strategico, in quanto coerente con i fini e con la coscienza del rivoluzionario, sia una tappa verso il comunismo armonico. Se la rivoluzione deve essere armata e distruggere lo Stato, inteso come centro di oppressione, occorre che i rivoluzionari, per adeguare i mezzi ai fini, subito, fin dall'oggi, pratichino in concreto la lotta armata contro lo Stato. Ecco così che questo secondo filone è storicamente disponibile a pratiche avventuriste che non escludono il terrorismo, a legarsi con i propagandisti dell'azione individuale. Essi, infatti, non devono rispondere a nessun tipo di organizzazione di massa, non hanno da inserire -come devono fare i comunisti anarchici- la loro azione all'interno di un processo di crescita politica della classe operaia e dei suoi alleati volto alla riappropriazione da parte loro della capacità di autogestione delle lotte e della società. Di fatto per gli anarco-comunisti basta rompere i legami del potere perché spontaneamente si sviluppi questa capacità, perché essa è un dato intrinseco della natura umana e non una faticosa e lenta maturazione. Gli anarco-comunisti non hanno in definitiva che da rispondere alla propria coscienza.

Partendo da queste premesse, gli anarco-comunisti si fanno carico, in quanto rivoluzionari coscienti, di spezzare le catene dell'umanità, senza curarsi del processo di riappropriazione della conoscenza da parte del proletariato, nella convinzione che la caduta dello Stato provocherà, senza nessuna preparazione precedente, l'avviarsi dell'umanità liberata sulla via del comunismo spontaneamente.

Se l'anarchismo dunque cadde alla fine del secolo scorso in un periodo di isolamento, di terrorismo, che ha lasciato, come abbiamo visto, tracce anche nella storia attuale, in molte nazioni esso ritroverà una base di massa attraverso l'anarcosindacalismo, l'azione cioè nelle organizzazioni operaie che lentamente riporterà l'anarchismo alle sua basi comuniste. Non è un caso che accanto a forti organizzazioni anarcosindacaliste (l'U.G.T. in Francia, la F.O.R.A. in Argentina, la C.N.T. in Spagna, l'U.S.I, in Italia, per citare le più conosciute), nei primi venti anni del nuovo secolo si affianchino organizzazioni decisamente comuniste anarchiche (come la Fédération Communiste Revolutionnaire in Francia o la F.A.I. spagnola) e organizzazioni di tendenza comunista anarchica e poi trasformatesi in organizzazioni di sintesi (come l'U.A.I. in Italia che nel '19 si forma con la significativa sigla Unione Comunista Anarchica d'Italia). La storia dell'anarchismo del secondo dopoguerra sarà di nuovo tutta intessuta di questo costante dibattersi dell'anarchismo fra la scelta comunista e i tentativi sempre falliti di unificare le varie deviazioni sotto una sola organizzazione (per inciso, anche nel 1945 la F.A.I. rinasce come organizzazione di sintesi, dopo che nel marzo '43 era stata fondata la Federazione Comunista Anarchica Italiana).

Cerchiamo ora di vedere quali sono gli elementi distintivi di questa teoria. Il comunismo anarchico, riprendendo dalla teoria bakuninista, ha chiara la distinzione fra movimento politico di classe (minoranza rivoluzionaria) e movimento economico di classe (organizzazione di massa). La prima organizza tutti i militanti dell'organizzazione di massa che hanno la medesima teoria, una stessa strategia ed un'articolata tattica omogenea. Compito di questa organizzazione è da una parte di essere depositaria della memoria di classe, e dall'altra di elaborare una strategia comune che permetta il collegamento fra le varie situazioni di lotta all'interno della classe, e che ne sia di stimolo e di guida. Riprendendo Bakunin che si rivolge "Ai compagni d'Italia": "...voi isolati, operando ciascuno di propria testa, sarete certamente impotenti; uniti, organizzando le vostre forze, per quanto esse siano scarse in sul principio, in una sola azione collettiva, ispirata al medesimo pensiero, dal medesimo scopo, dalla medesima posizione, (la sottolineatura è nostra) voi sarete invincibili".

L'organizzazione di massa è invece l'organizzazione che il proletariato si dà per la difesa dei suoi interessi, un'organizzazione quindi eterogenea, che ha come fine l'emancipazione della classe attraverso l'azione diretta, l'autogestione e che pratica questi due metodi costantemente. Lo scopo dell'azione di massa realmente autonoma è l'espropriazione del capitale da parte dei lavoratori associati, la restituzione cioè ai produttori e per essi alle loro associazioni, di tutto ciò che ha prodotto il lavoro della classe operaia attraverso i secoli. Lo scopo immediato è sviluppare sempre di più lo spirito di solidarietà fra gli operai e di resistenza contro gli oppressori, tener esercitato il proletariato con la lotta continua nelle sue forme più diverse, conquistare oggi stesso tutto ciò che è possibile strappare per quanto poco esso sia, al capitalismo in libertà e benessere.

E' evidente dalla stessa definizione del ruolo dell'organizzazione politica e dell'organizzazione di massa che il ruolo della organizzazione comunista anarchica è ben distante da quella leninista, in quanto l'organizzazione politica non è riconosciuta da nessuna istanza sancita all'interno dell'organizzazione di massa, non è e non deve essere una dirigenza riconosciuta ed istituzionalizzata che come tale deve imporre delle soluzioni e pretendere leninisticamente di rappresentare i "reali" interessi della classe; ma solo un punto di confronto e di elaborazione dei compagni politicamente omogenei che preparano e finalizzano il loro intervento e le loro proposte alla loro analisi e alla loro ideologia, senza pretendere che essa venga accolta sulla base di deleghe, ma solo che essa venga accettata in virtù del confronto all'interno dell'organizzazione di massa. Tale accettazione della linea dei comunisti anarchici è solo la riprova della correttezza delle loro proposte; ed il rifiuto della loro linea da parte delle masse evidenzia un loro errore nell'impostazione dell'analisi, rendendo necessaria una revisione della strategia o della tattica
Un'ideologia, quella comunista anarchica, quindi che assegna un ruolo ben preciso di "motore" del processo rivoluzionario all'organizzazione politica ed assegna il ruolo di agente rivoluzionario per intero alle masse. In questa concezione del ruolo dell'organizzazione si delinea la differenza prioritaria con i marxisti, da un lato, ma anche con tutte le deviazioni dell'anarchismo.

Firenze, luglio 1979


NOTE

(1): I Gruppi Anarchici di Azione Proletaria, che rappresentarono, se pur con dei limiti, il filone di classe dell'anarchismo negli anni '50, pubblicarono nel 1954 un'accurata critica delle posizioni della rivista "Volontà", sotto il titolo di Resistenzialismo: piano di sconfitta.


(originale ciclostilato in Archivio Storico della Sezione FdCA di Fano)

oggettivista
24-04-09, 23:59
Gruppo Comunista Anarchico di Firenze (http://www.fdca.it/ciclostile/perche-ca.htm)

(dal n°3 de "L'informatore di parte", luglio 1979, trimestrale dei comunisti anarchici di Firenze)



(...)
L'anarchismo (teoria anarchica in divenire) si viene definendo come comunismo antiautoritaria nella Prima Internazionale, durante la quale Bakunin e la maggioranza delle sezioni gettano le basi della teoria comunista anarchica (dualismo organizzativo, ruolo delle masse come veri soggetti rivoluzionari, ruolo delle minoranze coscienti come "timonieri invisibili" inseriti nell'organizzazione di massa, l'A.I.L., anarchia come utopica gestione della società comunista egualitaria e libertaria da raggiungere).

Ma se l'anarchismo nasce decisamente comunista, è pur vero che le persecuzioni dell'Internazionale da parte della maggioranza dei governi dell'epoca portano a delle deviazioni rispetto alla teoria bakuninista, deviazioni che lasceranno il segno nella storia del movimento anarchico, soprattutto italiano.

Accanto alla "propaganda col fatto", un tentativo di spingere le masse all'insurrezione, ma di fatto scavalcandole, anche se non nelle intenzioni, si fa strada e trae alimento da questa la corrente antiorganizzatrice che ha le sue basi teoriche nel kropotkianesimo.

Nella teoria kropotkiniana anarco-comunista, infatti, il fine dell'azione rivoluzionaria è sempre la società in cui "ognuno dà secondo le sue capacità, ognuno riceve secondo i suoi bisogni", cioè il comunismo. Ma questo comunismo è visto come uno stato armonico naturale a cui l'umanità tende inevitabilmente sotto due spinte parallele: la natura intrinsecamente solidale dell'uomo, e questa concezione dell'originaria bontà dell'animo umano porta a privilegiare qualsiasi forma di spontaneismo; ed il progresso scientifico. Quest'ultimo, che sotto il dominio capitalistico è volto ad allontanare l'uomo dalla natura, liberato dal dominio del capitale sarà potente fattore per la formazione di un uomo nuovo, cosciente ed in armonia con la natura; ed è questo secondo aspetto che porta gli anarco-comunisti a privilegiare le scienze naturali come fattore progressivo in se stesse, per quanto snaturate dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo nel loro utilizzo. Comunque è la prospettiva teorica che meno ci interessa, in questa sede, dell'anarco-comunismo.

Più prolifico di conseguenze per lo scopo del discorso che si intende qui fare è il primo dei due atteggiamenti suddetti. Infatti se il comunismo è lo sbocco inevitabile della storia umana e se ad esso di arriva spontaneamente sotto la spinta di fattori ineluttabili, quali l'indole stessa dell'uomo e le leggi che governano la natura, allora qualsiasi traccia di strategia politica è del tutto inutile. Anzi, di più, è da rifiutare qualsiasi forma di organizzazione sia politica che sindacale, in quanto entrambe sono forma di canalizzazione della spontaneità, intrinsecamente buona e tendente automaticamente al comunismo. Mentre per i comunisti anarchici l'organizzazione è al tempo stesso necessità per le lotte e per la garanzia di uno sbocco rivoluzionario di esse.

L'organizzazione invece per gli anarco-comunisti è una cosa borghese che comprimendo la spontaneità allontana dallo sbocco finale ed impedisce il dispiegarsi della bontà della natura umana e della sua tendenza ad una positiva auto-organizzazione. Perfino la povertà è un bene perché allontana dai vincoli della società statalista e stimola l'autogestione (C. WARD, L'anarchia come organizzazione, Edizioni Antistato, Milano 1976).

Da queste premesse l'anarco-comunismo, radicatosi soprattutto nell'anarchismo anglosassone, ma pericolosamente paracadutato anche in Italia nel dopoguerra, sfocia in due sole possibilità. Poiché quello che conta è la purezza della dottrina nella sua visione armonica del mondo, cioè il fine da raggiungere visto come buono per l'uomo, la lotta di classe è al più uno strumento utile per il raggiungimento dello scopo finale. L'anarco-comunismo si allontana così dal filone storico del comunismo anarchico inteso come teoria dell'emancipazione delle classi subalterne, e quindi legato indissolubilmente alla lotta di classe, per divenire una teoria valida per tutti gli uomini. Così da una parte hai il rifiuto della lotta di classe vista come limitativa di una teoria astorica, valida per sempre e che fa leva solo sull'aspirazione eterna di ogni essere umano alla propria libertà: si pone l'accento solo sul rapporto di "potere" e non sul rapporto di sfruttamento. N. Walter, anarco-comunista anglosassone arriva addirittura ad affermate in "Cos'è l'anarchismo", RL, Pistoia, 1970, che gli anarchici sono solo dei liberali di sinistra. Posizioni di questo tipo, che i GAAP a suo tempo definirono "resistenzialiste", sono rappresentate in Italia dalla Rivista A. (1)

Chi d'altra parte individua nella lotta di classe solo uno strumento utile all'emancipazione dell'umanità, rimane deluso dalla lentezza e discontinuità con cui il movimento operaio risponde al richiamo della giustizia sociale, per il suo bisogno costante di ottenere giorno per giorno condizioni di vita migliori all'interno di questa società. Nasce così negli anarco-comunisti di questa tendenza una profonda sfiducia nelle masse viste come riformiste, economiciste ed incapaci di prospettive più ampie (posizioni espresse negli Stati Uniti da Galleani e da "Cronaca Sovversiva").

Nel primo caso lo sbocco pratico è solo quello di una propaganda ideologica indiscriminata, volta a conquistare nuovi adepti alla teoria: una sorta di educazionismo in cui si aspetta che gli altri capiscano "l'intrinseca bellezza dell'ideale".

Nel secondo caso l'unico sbocco possibile è quello dell'azione dei rivoluzionari in sostituzione delle masse, nella convinzione, da una parte che l'atto farà da scintilla all'insurrezione spontanea, dall'altra che qualsiasi azione, pur se priva di un inquadramento strategico, in quanto coerente con i fini e con la coscienza del rivoluzionario, sia una tappa verso il comunismo armonico. Se la rivoluzione deve essere armata e distruggere lo Stato, inteso come centro di oppressione, occorre che i rivoluzionari, per adeguare i mezzi ai fini, subito, fin dall'oggi, pratichino in concreto la lotta armata contro lo Stato. Ecco così che questo secondo filone è storicamente disponibile a pratiche avventuriste che non escludono il terrorismo, a legarsi con i propagandisti dell'azione individuale. Essi, infatti, non devono rispondere a nessun tipo di organizzazione di massa, non hanno da inserire -come devono fare i comunisti anarchici- la loro azione all'interno di un processo di crescita politica della classe operaia e dei suoi alleati volto alla riappropriazione da parte loro della capacità di autogestione delle lotte e della società. Di fatto per gli anarco-comunisti basta rompere i legami del potere perché spontaneamente si sviluppi questa capacità, perché essa è un dato intrinseco della natura umana e non una faticosa e lenta maturazione. Gli anarco-comunisti non hanno in definitiva che da rispondere alla propria coscienza.

Partendo da queste premesse, gli anarco-comunisti si fanno carico, in quanto rivoluzionari coscienti, di spezzare le catene dell'umanità, senza curarsi del processo di riappropriazione della conoscenza da parte del proletariato, nella convinzione che la caduta dello Stato provocherà, senza nessuna preparazione precedente, l'avviarsi dell'umanità liberata sulla via del comunismo spontaneamente.

Se l'anarchismo dunque cadde alla fine del secolo scorso in un periodo di isolamento, di terrorismo, che ha lasciato, come abbiamo visto, tracce anche nella storia attuale, in molte nazioni esso ritroverà una base di massa attraverso l'anarcosindacalismo, l'azione cioè nelle organizzazioni operaie che lentamente riporterà l'anarchismo alle sua basi comuniste. Non è un caso che accanto a forti organizzazioni anarcosindacaliste (l'U.G.T. in Francia, la F.O.R.A. in Argentina, la C.N.T. in Spagna, l'U.S.I, in Italia, per citare le più conosciute), nei primi venti anni del nuovo secolo si affianchino organizzazioni decisamente comuniste anarchiche (come la Fédération Communiste Revolutionnaire in Francia o la F.A.I. spagnola) e organizzazioni di tendenza comunista anarchica e poi trasformatesi in organizzazioni di sintesi (come l'U.A.I. in Italia che nel '19 si forma con la significativa sigla Unione Comunista Anarchica d'Italia). La storia dell'anarchismo del secondo dopoguerra sarà di nuovo tutta intessuta di questo costante dibattersi dell'anarchismo fra la scelta comunista e i tentativi sempre falliti di unificare le varie deviazioni sotto una sola organizzazione (per inciso, anche nel 1945 la F.A.I. rinasce come organizzazione di sintesi, dopo che nel marzo '43 era stata fondata la Federazione Comunista Anarchica Italiana).

Cerchiamo ora di vedere quali sono gli elementi distintivi di questa teoria. Il comunismo anarchico, riprendendo dalla teoria bakuninista, ha chiara la distinzione fra movimento politico di classe (minoranza rivoluzionaria) e movimento economico di classe (organizzazione di massa). La prima organizza tutti i militanti dell'organizzazione di massa che hanno la medesima teoria, una stessa strategia ed un'articolata tattica omogenea. Compito di questa organizzazione è da una parte di essere depositaria della memoria di classe, e dall'altra di elaborare una strategia comune che permetta il collegamento fra le varie situazioni di lotta all'interno della classe, e che ne sia di stimolo e di guida. Riprendendo Bakunin che si rivolge "Ai compagni d'Italia": "...voi isolati, operando ciascuno di propria testa, sarete certamente impotenti; uniti, organizzando le vostre forze, per quanto esse siano scarse in sul principio, in una sola azione collettiva, ispirata al medesimo pensiero, dal medesimo scopo, dalla medesima posizione, (la sottolineatura è nostra) voi sarete invincibili".

L'organizzazione di massa è invece l'organizzazione che il proletariato si dà per la difesa dei suoi interessi, un'organizzazione quindi eterogenea, che ha come fine l'emancipazione della classe attraverso l'azione diretta, l'autogestione e che pratica questi due metodi costantemente. Lo scopo dell'azione di massa realmente autonoma è l'espropriazione del capitale da parte dei lavoratori associati, la restituzione cioè ai produttori e per essi alle loro associazioni, di tutto ciò che ha prodotto il lavoro della classe operaia attraverso i secoli. Lo scopo immediato è sviluppare sempre di più lo spirito di solidarietà fra gli operai e di resistenza contro gli oppressori, tener esercitato il proletariato con la lotta continua nelle sue forme più diverse, conquistare oggi stesso tutto ciò che è possibile strappare per quanto poco esso sia, al capitalismo in libertà e benessere.

E' evidente dalla stessa definizione del ruolo dell'organizzazione politica e dell'organizzazione di massa che il ruolo della organizzazione comunista anarchica è ben distante da quella leninista, in quanto l'organizzazione politica non è riconosciuta da nessuna istanza sancita all'interno dell'organizzazione di massa, non è e non deve essere una dirigenza riconosciuta ed istituzionalizzata che come tale deve imporre delle soluzioni e pretendere leninisticamente di rappresentare i "reali" interessi della classe; ma solo un punto di confronto e di elaborazione dei compagni politicamente omogenei che preparano e finalizzano il loro intervento e le loro proposte alla loro analisi e alla loro ideologia, senza pretendere che essa venga accolta sulla base di deleghe, ma solo che essa venga accettata in virtù del confronto all'interno dell'organizzazione di massa. Tale accettazione della linea dei comunisti anarchici è solo la riprova della correttezza delle loro proposte; ed il rifiuto della loro linea da parte delle masse evidenzia un loro errore nell'impostazione dell'analisi, rendendo necessaria una revisione della strategia o della tattica
Un'ideologia, quella comunista anarchica, quindi che assegna un ruolo ben preciso di "motore" del processo rivoluzionario all'organizzazione politica ed assegna il ruolo di agente rivoluzionario per intero alle masse. In questa concezione del ruolo dell'organizzazione si delinea la differenza prioritaria con i marxisti, da un lato, ma anche con tutte le deviazioni dell'anarchismo.

Firenze, luglio 1979



NOTE

(1): I Gruppi Anarchici di Azione Proletaria, che rappresentarono, se pur con dei limiti, il filone di classe dell'anarchismo negli anni '50, pubblicarono nel 1954 un'accurata critica delle posizioni della rivista "Volontà", sotto il titolo di Resistenzialismo: piano di sconfitta.



(originale ciclostilato in Archivio Storico della Sezione FdCA di Fano)