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Visualizza Versione Completa : Le Tif'eret Medinat Israel



Pieffebi
08-05-03, 21:13
Buon Compleanno Israele.
http://www.israel-amb.it/bandieraisrael.gif


Shalom!!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:14
da www.israele.net

" Israele: un fotografia all'eta' di 55 anni

Un articolo del prof. Sergio Minerbi
7 maggio 2003

Il 55esimo Giorno dell'Indipendenza iniziato martedi` sera e` stato preceduto come al solito dal Giorno della Rimembranza per ricordare i 21.460 caduti nelle guerre d'Israele. Questo fatto da solo toglie molta retorica alle celebrazioni e ricorda ai cittadini quanto sangue sia costata questa indipendenza, quanti morti sono sepolti nei cimiteri militari.
Gli israeliani si precipitano nella natura; la settimana scorsa almeno mezzo milione di persone sono straripate a bordo di veicoli, possibilmente a quattro ruote motrici, fuori delle citta` attraverso i campi e le colline sotto un sole che brucia. Anche l'umore della popolazione, pessimo in seguito al terrorismo e l'incomprensione europea, e` migliorato. La Borsa di Tel Aviv e` salita del 34% negli ultimi tre mesi e il tasso di cambio del dollaro (l'altro lato della medaglia economica) e` sceso per la prima volta da 16 mesi a meno di 4,50 shekel per dollaro ossia alla quota dell'inizio del 2002.
Secondo le piu` recenti statistiche, Israele conta oggi 6,7 milioni di abitanti, dei quali 5,4 milioni di ebrei, ossia l'81% della popolazione totale, contro 806.000 anime nel 1948 quando fu fondato lo Stato d'Israele. L'immigrazione continua e nei dodici mesi precedenti sono arrivati 31.000 nuovi immigranti, tra i quali 5.000 dall'Argentina.
Gli Arabi sono 1,3 milioni (erano 150.000 nel 1948), in maggioranza mussulmani, ed il 9% sono cristiani. Gerusalemme e` una metropoli di 680.000 abitanti con un alto tasso di fertilita` dovuto agli ultra-religiosi ebrei e ai mussulmani arabi.
Nei dodici mesi scorsi sono nati 140.000 neonati, dei quali almeno 15.000 all'ospedale Soroka di Beer Sheba.
La nomina di Abu Mazen a primo ministro palestinese fa sperare che si possa arrivare quanto prima ad una tregua e successivamente a un accordo, anche se lunedi` sera il Fatah di Arafat ha ucciso un giovane israeliano a bordo di un veicolo ferendo gravemente la figlia di sei anni e un altro passeggero.
L'attentato di Tel Aviv e` stato compiuto da due pakistani con passaporti britannici, terroristi che non sono ne` umiliati ne` disperati ma piuttosto militanti di organizzazioni mondiali che oltrepassano talvolta i palestinesi, e sono istruiti, spesso universitari, aizzati dai fondamentalisti islamici.
La maggioranza degli israeliani, il 53%, e` soddisfatta di Sharon, sostiene Abu Mazen (46%) divenuto ormai parte dell'orizzonte politico israeliano, ed appoggia la "road map" americana col 52%. Da Damasco per la prima volta dopo molti anni arrivano per vie traverse voci che richiedono il dialogo e Sharon dichiara la sua disponibilita`.
Tutto va bene, madama la Marchesa? Certamente no, la societa` israeliana soffre di un divario eccessivo fra i salari piu` bassi e quelli piu` alti, di un numero di disoccupati che oltrepassa i 200.000, di un livello educativo nelle scuole che lascia a desiderare. Gravi le divergenze fra laici e religiosi ebrei, e fra ebrei ed arabi che minacciano la compattezza sociale. La crescita del Pil e` per ora solo una speranza, legata al ritorno del High Tech nel quale Israele eccelle. Ma un rapido sguardo indietro al maggio 1948, quando nacque lo Stato, permette di essere soddisfatti del cammino percorso.
(Sergio Minerbi per israele.net, 6.05.03) "

Shalom !!!!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:16
La Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele.
http://www.israel-amb.it/LoStato/dichiar.jpg
" In ERETZ ISRAEL è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri.
Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica.

Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma'apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all'indipendenza nazionale.

Nell'anno 5657 (1897), alla chiamata del precursore della concezione d'uno Stato ebraico Theodor Herzl, fu indetto il primo congresso sionista che proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo paese.

Questo diritto fu riconosciuto nella dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, dava sanzione internazionale al legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz Israel [Terra d’Israele] e al diritto del popolo ebraico di ricostruire il suo focolare nazionale.

La Shoà [catastrofe] che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico, in cui milioni di ebrei in Europa sono stati massacrati, ha dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria e di indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel che spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la posizione di membro a diritti uguali nella famiglia delle nazioni.

I sopravvissuti all'Olocausto nazista in Europa, così come gli ebrei di altri paesi, non hanno cessato di emigrare in Eretz Israel, nonostante le difficoltà, gli impedimenti e i pericoli e non hanno smesso di rivendicare il loro diritto a una vita di dignità, libertà e onesto lavoro nella patria del loro popolo.

Durante la seconda guerra mondiale, la comunità ebraica di questo paese diede il suo pieno contributo alla lotta dei popoli amanti della libertà e della pace contro le forze della malvagità nazista e, col sangue dei suoi soldati e il suo sforzo bellico, si guadagnò il diritto di essere annoverata fra i popoli che fondarono le Nazioni Unite.

Il 29 novembre 1947, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel. L'Assemblea Generale chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile.


Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano.

Quindi noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità Ebraica in Eretz Israele e del Movimento Sionista, siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su Eretz Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e della risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di Stato d'Israele.

Decidiamo che, con effetto dal momento della fine del Mandato, stanotte, giorno di sabato 6 di Iyar 5708, 15 maggio 1948, fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la Costituzione che sarà adottata dall'Assemblea costituente eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del Popolo opererà come provvisorio Consiglio di Stato, e il suo organo esecutivo, l'Amministrazione del Popolo, sarà il Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato Israele.

Lo Stato d’Israele sarà aperto per l'immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d'Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

Lo Stato d’Israele sarà pronto a collaborare con le agenzie e le rappresentanze delle Nazioni Unite per l'applicazione della risoluzione dell'Assemblea Generale del 29 novembre 1947 e compirà passi per realizzare l'unità economica di tutte le parti di Eretz Israel.

Facciamo appello alle Nazioni Unite affinché assistano il popolo ebraico nella costruzione del suo Stato e accolgano lo Stato ebraico nella famiglia delle nazioni.

Facciamo appello - nel mezzo dell'attacco che ci viene sferrato contro da mesi - ai cittadini arabi dello Stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.

Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d'Israele è pronto a compiere la sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero.

Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell'immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell'antica aspirazione: la redenzione di Israele.

Confidando nell'Onnipotente, noi firmiamo questa Dichiarazione in questa sessione del Consiglio di Stato provvisorio, sul suolo della patria, nella città' di Tel Aviv, oggi, vigilia di sabato 5 Iyar 5708, 14 maggio 1948. "

Shalom!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:19
al sito dell'ambasciata Israeliana a Roma:
" Saluto del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi in occasione del 55 Anniversario dell’indipendenza dello Stato d’Israele

http://roma.mfa.gov.il/mfm/Data/24497.bmp

Sono particolarmente lieto di celebrare insieme a voi i 55 anni di indipendenza dello Stato d’Israele e sono al tempo stesso consapevole che la breve storia del vostro Paese, densa di avvenimenti a volte tragici, rappresenta la concreta realizzazione storica di un grande sogno ideale che il popolo ebraico ha saputo custodire nel suo cuore con incrollabile tenacia per migliaia di anni.

Anche per questa ragione, sono sinceramente orgoglioso di poter affermare che in questi anni l’Italia non ha fatto mancare il suo sostegno e la sua vicinanza al popolo israeliano. La forza e la costanza di tali sentimenti, rafforzate dalla comune fede nei valori della democrazia e dello Stato di diritto, riposano su un principio fondmentale e irrinunciabile: il diritto di Israele a esistere in piena sicurezza.

A vivificare questo comune sentire vi e’ inoltre la grande amcizia e solidarieta’ - al di la’ dei trattati e delle alleanze - che Italia e Israele nutrono per gli Stati Uniti d’America.

Con questi sentimenti, largamente maggioritari nell’opinione pubblica italiana, il mio Governo ha posto la ripresa attiva del “Processo di Pace” al primo posto fra le questioni cui intende dare il proprio convinto contributo, anche nella prospettiva della prossima presidenza di turno dell’Unione Europea.

Siamo peraltro consapevoli che la premessa indispensabile per tale ripresa e’ data dalla cessazione degli atti terroristici da parte delle organizzazioni arabo-palestinesi.

Nell’incontro del dicembre scorso con il Presidente dello Stato d’Israele, Moshe Katsav, ho reiterato l’offerta italiana di ospitare in una localita’ italiana, la bella cittadina di Erice in Sicilia, la futura Conferenza di pace per il Medio-Oriente e ho espresso la convinzione che sara’ possibile riavviare positivamente il negoziato quando saranno completati la rifondazione democratica e il cambiamento della dirigenza paelstinese, di cui i primi significativi passi sono ora in corso.

Tutti sappiamo quanto l’integrazione economica, nella misura in cui comporta la difesa di interessi condivisi, favorisca la pace fra i popoli. Per tale motivo ho proposto ai nostri Partners europei un “Piano economico per la ricostruzione della Palestina”, incentrato nella promozione di un forte settore economico privato attraverso una rete di piccole e medie aziende, cui l’Italia, che ha una consolidata tradizione nel settore, potra’ dare un particolare impulso con interventi mirati.

Questo intervento economico dovra’ naturalmente tenere conto delle esigenze israeliane e puntare alla creazione di un mercato economico integrato a livello regionale: molte saranno quindi le possibili sinergie con lo Stato d’Israele.

Con questo atteggiamento - fermo sui principi e concreto sui mezzi - l’Italia intende mantenere all’attenzione dell’Unione Europea la questione israelo-palestinese.

Se l’atteggiamento italiano sulla questione mediorientale e’ parte fondamentale degli ottimi rapporti fra Italiae Israele, la cooperazione economica e culturale fra i due Paesi ne costituisce la trama tradizionale, sempre piu’ ricca di sviluppi promettenti.

Voglio anche ricordare, per citare solo uno dei piu’ recenti episodi di positiva collaborazione bilaterale in campo economico, il cofinanziamento di progetti di ricerca industriale. L’apposita Commissione mista ha di recente approvato il finanziamento di ben otto progetti pilota di cooperazione in settori ad altrissima tecnologia, che - per i noti effetti a cascata - contribuiranno a creare ultreiori occasioni di collaborazione ecomomico-industriale fra i nostri Paesi.

Sulla base di questa positiva realta’ di fondo e nella certezza dei comuni valori che ci uniscono, sono pertanto sinceramente lieto di far pervenire al Governo e a tutto il popolo israeliano attraverso le pagine di questa rivista felicemente edita dall’Ambasciata d’Israele a Roma, il mio piu’ cordiale augurio nel 55 anniversario della fondazione dello Stato d’Israele.popolo israeliano attraverso le pagine di questa rivista felicemente edita dall’Ambasciata d’Israele a Roma, il mio piu’ cordiale augurio nel 55 anniversario della fondazione dello Stato d’Israele. "

Shalom!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:21
" Israele e la sinistra italiana
di Piero Fassino, Segretario Generale Democratici di Sinistra
http://roma.mfa.gov.il/mfm/Data/24500.bmp
Il rapporto tra l’ebraismo e la sinistra è un rapporto storico e culturale molto profondo. Si può - anzi, si deve - affermare che una della radici culturali della sinistra, quanto meno di quella europea, è la cultura ebraica. Basterebbe pensare come alla fine dell’Ottocento il movimento socialista e quello sionista nascano insieme. E l’identità comune non sia solo temporale, ma riguardi anche le persone, che spesso sono le stesse, in un caso e nell’altro. Il sionismo contiene dentro di sé una carica di liberazione che non è soltanto nazionale e religiosa, ma anche sociale. Nel testo fondamentale di Teodoro Herzl Lo Stato ebraico, si ipotizza che la bandiera del movimento sionista possa essere una bandiera azzurra con sette stelle, che Herzl motiva come le sette ore di lavoro. D’altra parte, i dirigenti dei partiti socialisti all’inizio del Novecento in molti paesi dell’Europa centrale erano molto spesso personalità di cultura e di religione ebraica. E lo stesso accadde dopo la Rivoluzione d’ottobre per molti partiti comunisti dell’Europa centrale e orientale.

Il Bund, l’organizzazione socialista ebraica, era riconosciuta dall’Internazionale Comunista. Per non menzionare quanto la comune lotta contro il nazismo e il fascismo, e la tragedia della shoah, avessero cementato il rapporto tra ebraismo e sinistra. Per decenni, d’istinto, un ebreo si sentiva sicuro a sinistra, e la sinistra si sentiva naturalmente vicina agli ebrei. Se guardo dentro casa mia, tra gli amici di mio padre ricordo molti ebrei - i Finzi, i Donini, i Levi, i Fubini, i Bedarida - uniti a noi dalla comune esperienza della lotta antifascista che aveva creato rapporti di fratellanza fortissimi.

Negli archivi della federazione torinese del Pci ho ritrovato una locandina del 1948, illustrata con quello stile di verismo tipico dell’epoca, sulla quale era disegnato di un piroscafo in partenza da Livorno verso la Palestina: era una locandina per promuovere una sottoscrizione di fondi alla Fiat, organizzata dal Pci per pagare il viaggio degli ebrei che volevano andare a vivere in Israele.

Come mai “sinistra” e “Israele”, che subito dopo la seconda guerra mondiale erano quasi sinonimi - tanto che l’Unione Sovietica non solo fu uno dei primi paesi a votare all’Onu a favore del piano di spartizione dell’ex mandato britannico della Palestina che fece nascere Israele, ma anche gli fornì, attraverso la Cecoslovacchia, le armi per combattere gli eserciti arabi entrati in Palestina il 15 maggio 1948 - sono successivamente diventati termini così lontani?

La frattura fra sinistra ed ebraismo comincia con lo stalinismo, ed il suo indegno uso dell’antisionismo come una delle forme con cui reprimere i dirigenti delle nascenti repubbliche popolari dell’est Europa, utilizzando il fatto che molti di essi fossero ebrei. In Unione Sovietica negli anni Cinquanta, nell’epoca delle purghe staliniane più dure, fu frequente l’accusa di essere sionisti rivolta a coloro che venivano giustiziati o mandati nei lager. Nel gennaio del 1953 addirittura si inventò, per scatenare una delle ricorrenti ondate repressive contro gli oppositori, il “complotto dei camici bianchi” contro Stalin, accusando un gruppo di medici ebrei di avere tramato per ucciderlo. La frattura tra sinistra e ebraismo nasce dunque nel blocco sovietico negli anni ’50. E tuttavia, è solo nel 1967 che si allarga all’Europa occidentale come riflesso dello scontro bipolare. Nella guerra dei Sei giorni nel 1967 Israele viene infatti sostenuta dagli Stati Uniti, mentre tutta la sinistra sostiene i paesi arabi, in quegli anni guidati dall’Egitto di Nasser e sostenuti dall’Urss. Una lacerazione che si ripetè nel ’73, in occasione della guerra del Kippur.

Dunque, a dividere sinistra e Israele fu più la guerra fredda e la forzata riduzione di tutte le posizioni ad essere o di qua o di là che un vero e proprio “divorzio” irrimediabile.

Ciononostante, e forse proprio per questo, la lacerazione fu un dramma soprattutto in tantissimi ebrei di sinistra. Il Pci in Italia si sforzò di contenerne la frattura e - al contrario di tutti gli altri partiti comunisti dell’Europa occidentale - non interruppe mai i rapporti con Israele. Naturalmente in quegli anni la sinistra italiana sosteneva soprattutto la causa palestinese e si schierava in modo acritico con il mondo arabo, ma mantenendo tuttavia sempre un filo di rapporti con Israele e la sinistra israeliana e con la comunità ebraica italiana, parte della sua carne viva.

Il primo momento di svolta avvenne nel 1982 con la guerra in Libano. Al contrario di quelle del ’67 e del ’73, la guerra in Libano sollevò molti dubbi nella società israeliana. Dopo i massacri di Sabra e Chatila la società israeliana manifestò la sua protesta e sdegno - con la grande manifestazione di 400mila persone a Tel Aviv, il che significa che un israeliano su dieci era fisicamente in quella piazza -rendendo evidente ciò che si sarebbe già dovuto sapere, anche da parte della sinistra italiana: che Israele è un paese profondamente democratico - il che non vuol dire che non sbagli o non commetta torti, è ovvio, ma semplicemente che opera attraverso il consenso della maggioranza dei suoi cittadini - nel quale esiste una estesa ed autentica dialettica politica. Ogni caricatura compiacente di questo piccolo, ma grande paese cominciò così a essere messa in discussione.

Iniziò lì una marcia di riavvicinamento e di interlocuzione sempre più intensa tra sinistra e Israele e sinistra e ebraismo, che porterà il principale partito della sinistra - prima come Pci e poi come Pds e Ds - a stabilire intensi e forti rapporti di collaborazione con le forze politiche israeliane e, in Italia, con le comunità ebraiche.

Oggi il rapporto tra Israele e la sinistra italiana è intenso, solido ed amichevole, perché cresce e si rafforza nella chiarezza e nella lealtà. Noi ci sentiamo vicini ad Israele nella sua aspirazione a vivere sicuro. Anche per questo siamo molto preoccupati per la guerra che si sta combattendo in Iraq e per l’escalation drammatica di violenza che sta travolgendo il Medio Oriente, insanguinando ogni giorno con nuove vittime la terra d’Israele e i Territori Palestinesi. Per questo siamo pieni di orrore per gli attentati kamikaze che fanno strage di innocenti civili israeliani, e per gli innocenti morti palestinesi di tutte le età coinvolti dagli interventi dell’esercito israeliano. “La guerra è come la notte: copre tutto” ha scritto nel suo bellissimo “L’alba” il premio Nobel per la pace Elie Wiesel.

Siamo figli dell’Europa e sappiamo, lo abbiamo appreso dai nostri genitori e dalla nostra storia, quanto sia forte - a volte quasi irresistibile - la tentazione di porre mano alle armi in contese con il proprio vicino. Però sappiamo anche che è possibile un’altra strada "

Cordiali saluti

Pieffebi
08-05-03, 21:23
" Perche' dalla parte di Israele



http://roma.mfa.gov.il/mfm/Data/24507.bmp
di Giuliano Ferrara, Direttore Il Foglio
Ci sono molti motivi per amare Israele. Ciascuno ha il proprio. Ma c’è una ragione che dovrebbe essere comune a tutti per difendere il diritto di Israele a esistere in pace e sicurezza accanto ai suoi vicini. Israele è una democrazia accerchiata, una democrazia con molte anime laiche e profonde passioni religiose. Gli ebrei hanno fatto del loro focolare nazionale, del loro Stato, l’avamposto di molte cose belle che il Novecento aveva rinnegato e ha poi, a un costo molto alto, salvato e ricostruito nella tragedia del nazifascismo.
Bisogna rovesciare in un paradosso il semplice sostegno a quel che Israele rappresenta nel mondo. Certo che noi difendiamo Israele. Ma lo facciamo perché sappiamo che Israele ci difende. La sua esistenza, i suoi progressi oltre il confine oscuro delle minacce, sono testimonianza della nostra forza e del nitore, magari caotico e contraddittorio, con cui difendiamo le nostre idee. Quando penso all’amoroso lavorio filosofico e scientifico dell’Università ebraica di Gerusalemme, da Gershom Scholem a oggi, penso che vorrei nel mio paese una scuola altrettanto appassionata e severa. Quando penso alla veemenza di tratto dell’Ambasciatore Ehud Gol, e alla sottigliezza della macchina diplomatica israeliana che egli rappresenta e fa funzionare con il suo lavoro, provo invidia per la serietà di quel piccolo e imponente Stato. Quando penso all’integrazione progressiva delle culture e delle etnie e delle culture diverse che in Israele si fondono, dura e impietosa integrazione ma piena di speranza, scorgo in quel paese i tratti della giovane America e della giovane Europa, due avvisaglie del XXI secolo.
Israele è anche dolore e contraddizione. E’ la necessità dell’autodifesa e della repressione del terrorismo. I meschini pensano che quello sia un costo che l’esistenza di Israele fa pagare a noi, le persone generose sanno che gli israeliani sono costretti dal ‘48 a pagare loro il costo politico, civile e morale che l’ignavia della comunità internazionale non vuole saldare. Insomma, mettiamola così: finché c’è Israele come paese libero e sicuro, ci sono anch’io, e finché ci sono io deve esserci anche Israele. Uno Stato che è la più alta manifestazione della politica nel Novecento e la più ingegnosa e contagiosa costruzione della libertà umana da cent’anni a questa parte. "

Shalom!!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:28
" La collaborazione italo-israeliano nel settore delle telecomunicazioni

di Maurizio Gasparri, Ministro delle Comunicazioni
http://roma.mfa.gov.il/mfm/Data/24501.bmp
Nel contesto del felice salto di qualità e quantità impresso con l’avvento del Governo di centro-destra in Italia, ai rapporti bilaterali italo - israeliani in generale, la collaborazione nel settore delle telecomunicazioni occupa oggi un posto di tutto rispetto.

Tale sviluppo non sorprende in quanto Italia e Israele sono fermamente convinti che il mondo delle telecomunicazioni nel quale operiamo debba innanzitutto aiutarci a costruire una nuova prospettiva di sviluppo e sicurezza.

Mercato, competizione, servizi innovativi e nuove regole costituiscono le grandi traiettorie che guidano in tutti i Paesi industrializzati il cambiamento indotto dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

In Italia il Governo Berlusconi ha avvertito pienamente l’importanza strategica della priorità da attribuire alla crescita ed al rafforzamento delle reti di telecomunicazioni nel più ampio quadro di sviluppo e di modernizzazione del Paese, ed ha definito il Piano nazionale di sviluppo del settore con la finalità di individuare i livelli minimi di interattività che devono essere garantiti alla fascia più ampia possibile della popolazione entro il 2005.

In questo contesto, le richieste che proverranno dal settore pubblico potranno avere un ruolo rilevante e di sostegno, difatti l’Italia ha approvato nella primavera del 2001 una nuova legge che prevede la fine delle trasmissioni televisive analogiche e il passaggio definitivo al digitale entro l’anno 2006.

Il digitale terrestre consentirà di potenziare le risorse trasmissive e il superamento delle barriere che hanno finora diviso i vari comparti della comunicazione.

Al dilemma se portare la Tv nel computer o inserire il computer nella televisione si risponderà nei fatti con un modello industriale, produttivo, tecnologico e culturale fondato su applicazioni multimediali.

In sostanza, la televisione non sarà più solo televisione.

Davanti a noi si sta aprendo un nuovo scenario della comunicazione, complesso e strutturalmente differente rispetto al passato. Uno scenario che impone una nuova coniugazione tra regole e mercato, tra domanda e offerta, tra industrie e cittadini consumatori. Uno scenario che sollecita nuove responsabilità da parte dei referenti politici, nuove responsabilità della cui necessità il nostro Governo è ben consapevole.

L’Italia ha davanti a sè poco più di 3 mesi per riscrivere le regole della competizione sul mercato delle telecomunicazioni e dei nuovi media e ciò perchè per la definizione delle nuove regole è già fissata la scadenza del 24 luglio 2003.

E’ una data che coincide con l’inizio della nostra Presidenza del semestre europeo e rappresenta un’occasione ed un’opportunità per l’Italia. L’obiettivo è far si che i risultati concreti effettivamente conseguiti in ambito domestico offrano soluzioni originali replicabili anche in altre realtà europee e pertanto anche Mediterranee. Come Paese rivierasco di tale mare, l’Italia è particolarmente interessata allo sviluppo di una strategia di cooperazione tra le nazioni della sponda nord e della sponda sud centrata sulle tecnologie dell’Informazione e della comunicazione, come è dimostrato dal rilancio di Med-Net, un progetto panmediterraneo promosso dal mio Ministero e centrato su vari temi applicativi: dalla cooperazione tecnologica alla telemedicina, dalla formazione a distanza allo scambio tra le culture del bacino.

Parte rilevante di Med-Net è il Mediterranean Nautilus, un’importante iniziativa che vede impegnanti Telecom Italia e società israeliane come Aurec, Clalcom, Globescom e Kama, unitamente alla presenza di Grecia e Turchia, per la realizzazione di una rete capace di trasportare oltre 3.000 miliardi di bit di traffico al secondo, pari a 45 milioni di convenzioni telefoniche contemporanee oppure a 300 ore di video digitale al secondo.

In tal senso, l’ulteriore sviluppo dell’interscambio economico, scientifico e culturale con Israele diventa una grande opportunità di crescita reciproca. Vorrei sottolineare come il mio Paese abbia già sviluppato nel corso degli anni un interscambio complessivo con lo Stato di Israele di tutto rispetto: l’Italia è infatti il terzo partner commerciale dello Stato d’Israele.

Ma ciò che assume significato crescente è la grande potenzialità di rapporto tra i settori dell’alta tecnologia italiani e israeliani, un vero e proprio motore, quest’ultimo, che è cresciuto del 300% negli ultimi sei anni, con una forte base produttiva (oltre 4.000 aziende impegnate in software, bioinformatica e biotecnologie) e con un fatturato che copre la metà del valore delle esportazioni.

Israele guarda con attenzione all’Europa e in particolare all’Italia, per cercare accordi ed alleanza con le aziende del nostro continente e l’Italia guarda con pari attenzione ad Israele.

Nello scorso mese di novembre ho avuto il privilegio di essere invitato dall’allora Ministro delle Comunicazioni, e attuale Speaker della Knesset, Reuven Riulin , a partecipare a Telecom - Israel 2002, con una folta e qualificata delegazione di operatori italiani del settore delle telecomunicazioni.

Dai colloqui avuti è emerso il grande interesse comune ad intensificare ulteriormente le relazioni commerciali italo-israeliane nel campo dell’alta tecnologia, che vede appunto Italia e Israele in posizioni di primo piano. Mi rallegro vivamente che in seguito a tale visita si siano registrati concreti positivi sviluppi di collaborazione tra gruppi italiani e israeliani, a testimonianza di come il settore delle telecomunicazioni si confermi particolarmente ricco di prospettive per i rapporti commerciali bilaterali e per i ritorni di tecnologia. "

Shalom!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:32
" Italia e Israele dal 1948 ad oggi

di Francesco Cossiga, Presidente Emerito della Repubblica
http://roma.mfa.gov.il/mfm/Data/24498.bmp

Tracciare i rapporti che, dalla proclamazione dello stato d'Israele sino ad oggi, sono intercorsi tra quel Paese e l'Italia, significa ripercorrere una tracciato storico variegato e multiforme che non può esaurirsi nei rapporti ufficiali tra due governi, ma deve, per forza di cose, prendere in considerazione l'atteggiamento dell'opinione pubblica italiana e dei partiti che in varia misura la rappresentavano e la rappresentano.

La storia delle relazioni italo-israeliane consiste in due fasi ben distinte, di cui la prima ha le sue radici nel periodo successivo al termine della Seconda Guerra Mondiale. Sin dal 1945, l'Italia appoggiò, sebbene ufficiosamente, il trasferimento dei profughi ebrei, confluiti numerosi entro i suoi confini, in Palestina, nonché il traffico d'armi destinate ai gruppi sionisti impegnati nella creazione di uno stato ebraico al termine del Mandato britannico in Medio Oriente.

Le motivazioni che stanno alla base di tale appoggio sono da attribuirsi certamente ad sentimento di rivalsa per il trattamento riservato dalla Gran Bretagna all'Italia alla fine della seconda guerra mondiale; all'innegabile "senso di colpa" che doveva opprimere l'Italia per l'emanazione delle leggi razziali e per il suo protratto silenzio in merito alla persecuzione degli ebrei in Europa; ma anche e soprattutto alla natura stessa di un popolo che aveva in larga parte disobbedito alle leggi antiebraiche e che poteva annoverare tra i suoi rappresentanti uomini coraggiosi, se non eroici, di cui Giorgio Perlasca è uno degli esempi più fulgidi. Al di là delle posizioni ufficiali delle autorità, i grandi personaggi della storia italiana del dopoguerra, da Alcide De Gasperi, a Giulio Andreotti, al generale Ligobbi, medaglia d'oro per la Resistenza ed in seguito insignito di un'onorificenza militare dello stato d'Israele, si impegnarono a favorire il trasferimento dei profughi e a chiudere un occhio sul traffico delle armi dirette in Palestina.
All'indomani della proclamazione dello stato d'Israele, l'appoggio ufficioso delle autorità italiane al passaggio dei profughi e delle armi gruppi di profughi dovettero si trasformò nel rapporto, ormai, di necessità, formale, di un governo nei confronti di un altro.

Non appartenendo all'ONU e non avendo dunque preso parte al voto della risoluzione per la spartizione della Palestina, l'Italia si trovava in una situazione in qualche modo privilegiata nei suoi rapporti sia con il mondo arabo che con quello del nascente stato israeliano. Come ben chiarisce una nota di palazzo Chigi all'ANSA all'indomani della fine del Mandato britannico, l'atteggiamento italiano era "di imparzialità nei riguardi sia degli arabi che degli ebrei". Se la delicata situazione politica interna italiana dopo le elezioni elettorali del 15 aprile del 1948 richiedeva, da parte del Governo, una cauta presa di posizione, il dibattito all'interno dei partiti e sulla stampa assumeva toni di discussione vivace e talvolta aspra. La parte più moderata mostrava freddezza nei confronti del nuovo stato ebraico che non solo nasceva su basi marcatamente socialiste, ma aveva l'appoggio dell'Unione Sovietica, e si opponeva, spesso in modo deciso, al sionismo mostrando un'ostilità di stampo decisamente anticomunista. I gruppi di sinistra, dal canto loro, e proprio per quegli stessi motivi che causavano l'avversione dei moderati, rivelavano una maggiore simpatia per l'appena nato Paese che simboleggiava, in un certo senso, la sconfitta dell'egemonia britannica in Medio Oriente e la fine del colonialismo.

Ma con il mutare della situazione politica italiana, mutò anche l'atteggiamento ufficiale dell'Italia nei confronti di Israele. Tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 si passa dunque alla seconda fase dei rapporti tra i due paesi, caratterizzata, da una parte, dall'atteggiamento di socialisti, liberali e repubblicani che continuarono a dare sostegno allo stato ebraico, sottolineandone la democraticità rispetto alle dittature arabe; e, dall'altra, da un marcato atteggiamento filo-arabo sia degli esponenti di maggior spicco della Democrazia Cristiana, da Aldo Moro, ad Amintore Fanfani, allo Giulio Andreotti, sebbene, quest'ultimo, con maggiore prudenza, sia degli esponenti di una parte della sinistra e in particolare del Partito Comunista, allineato con Mosca nell'appoggio a Nasser. Le posizioni dei governi italiani, seppur sempre improntate a mantenere ufficialmente un basso profilo sulla questione mediorientale derivavano, in gran parte, da questioni economiche ed in special modo da quelle legate all'ENI che, in vista dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi in Medio Oriente, necessitava di un rafforzamento dei rapporti con gli stati arabi. Ma è innegabile che causa del mutato atteggiamento fu anche il rifluire dell'anti-ebraismo cattolico che, mentre i tragici ricordi della Shoah divenivano man mano più sfocati e lontani, riaffiorava tra gli italiani e tra la loro classe dirigente. A poco, in questo senso, sono serviti i coraggiosi documenti del Concilio Vaticano II che hanno ufficialmente cancellato l'ignobile condanna del popolo ebraico quale uccisore di Cristo, ma che ben poco hanno potuto operare sulle coscienze individuali!

Il vero e proprio catalizzatore per il mutamento delle posizioni della sinistra, e del partito comunista in particolare, fu la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Se Togliatti aveva addirittura definito la nascita dello stato d’Israele come "una grande vittoria antimperialista", una sconfitta per "l'imperialismo inglese filoarabo", dopo lo scoppio di quella guerra parteggiare per Israele significò immediatamente dare sostegno "alle potenze capitaliste contro i popoli arabi". La spaccatura in seno al partito comunista riecheggia sulla stampa del periodo, mentre si profila nel "caso Benedetti", fondatore dell'Espresso tacciato di "razzismo antiarabo" e costretto a dimettersi, uno schieramento alquanto ambiguo di cui facevano parte comunisti, appartenenti al PSIUP e una certa frangia cattolica.

Corsi e ricorsi storici, diceva Gian Battista Vico. Oggi, come allora, vediamo manifestare sotto la stessa bandiera multicolore rappresentati della sinistra, dell'estrema sinistra e di un certo cattolicesimo (un tempo li chiamavamo cattocomunisti!) che ha dimenticato -o forse non ha mai conosciuto!- gli storici ed illuminati progressi compiuti dalla Chiesa nei rapporti con il mondo ebraico e con lo stato d'Israele. L'antiebraismo di stampo "vetero-cattolico" e l'antisionismo di sinistra stanno alla base dell'antiamericanismo oggi dilagante che trasforma la causa per la pace, scelta etica e legittima, in un atteggiamento meramente fazioso; ed anzi, ormai, antiamericanismo ed antiebraismo sembrano diventati sinonimi ed intercambiabili, per cui ogni marcia contro la guerra in Iraq è diventata anche marcia contro Israele.

Forse, in questo momento, una parte d'Italia dovrebbe fermarsi e riflettere: sul suo inconscio -ma nemmeno troppo!- atteggiamento di odio e rivalsa contro gli Stati Uniti e sulla sua convinzione che un legittimo stato Palestinese non possa esistere senza l'eliminazione di Israele.

L'antisionismo, diceva Jean Paul Sartre, è una forma velata e più moderna di antisemitismo. E su questo dovremmo riflettere tutti. "

Shalom!!!!!

Pieffebi
08-05-03, 21:35
da www.ilmanifesto.it

" 'Ebrei contro' oggi a Roma
La rete europea «European Jews for a Just Peace», di cui per l'Italia fa parte la rete «Ebrei contro l'Occupazione» è costituita da 18 gruppi di ebrei per la pace in Medio Oriente provenienti da nove Paesi europei. Dopo un primo incontro svoltosi ad Amsterdam nel settembre del 2002, questa rete europea si è strutturata nel convegno tenuto a Bruxelles dal 13 al 15 marzo 2003 e sta presentando in questi giorni in tutti i Paesi dove è rappresentata, il testo della risoluzione politica approvata a Bruxelles nella quale si richiede l'applicazione della decisione della commissione europea dell'aprile 2002 di sospendere l'accordo di associazione tra Israele e la Comunità Europea. Tale richiesta origina da due constatazioni: in primo luogo la clausola 2. dell'accordo impegna Israele al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici che sono invece quotidianamente violati. In secondo luogo, l'impossibilità di distinguere tra prodotti provenienti da Israele e quelli prodotti negli insediamenti all'interno dei territori occupati costituisce di per sé un'applicazione irregolare dell'accordo stesso.

Oggi, 8 maggio, dopo un apposito incontro con un rappresentante del Ministero degli Esteri, alle ore 12.30, è convocata una conferenza stampa aperta al pubblico presso la Sala delle Bandiere del Parlamento Europeo (Via 4 novembre, 149) alla quale sono invitate le forze politiche ed i movimenti. Seguirà un dibattito per la presentazione delle campagne di solidarietà getsitite da «Rete ebrei contro l'occupazione» insieme al «Movimento palestinese per la cultura e la democrazia».

"

Cordiali saluti

Pieffebi
08-05-03, 21:37
da www.shalom.it

" Gli israeliani hanno molte riserve sulla stesura della Road Map statunitense
Una "mappa stradale" piena di incognite

di Herb Keinon e Khaled Abu Toameh dal Jerusalem Post


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Pare che gli Stati Uniti abbiano garantito agli israeliani che potranno avanzare le loro riserve alla cosiddetta "road map" (mappa stradale) per la pace in Medio Oriente prima che essa venga resa pubblica ufficialmente. Lo ha dichiarato un alto funzionario della diplomazia israeliana.
Dov Weisglass, capo dell'ufficio del Primo ministro israeliano Ariel Sharon, discuterà a Washington il piano con l'amministrazione Bush. Gli Stati Uniti hanno detto che pubblicheranno la "mappa" quando il parlamento palestinese approverà il nuovo governo guidato da Abu Mazen. Weisglass, che è il principale referente israeliano presso l'amministrazione americana e si reca a Washington circa una volta al mese per discutere un'ampia serie di questioni bilaterali, ha dichiarato in un'intervista alla Israel Radio che lo Stato ebraico avvierà negoziati con Mazen una volta che questi sarà effettivamente diventato Primo ministro dell'Autorità Palestinese. Uno dei passi che Israele prenderebbe in considerazione in questo senso sarebbe il ritiro delle forze da una città palestinese se Mazen garantirà che verranno sostituite da forze di sicurezza palestinesi capaci e disposte a contrastare il terrorismo. Circa la questione insediamenti, tema su cui ci si attendono forti pressioni internazionali dopo la conclusione della campagna militare in Iraq, Weisglass ha definito una "questione interna israeliana" quella degli avamposti che, secondo le bozze della "mappa stradale", dovrebbero essere rimossi "immediatamente". La "mappa" prevederebbe inoltre che, "a seguito di un cessate il fuoco globale", Israele dovrà congelare tutte le attività di insediamento, compresa la loro crescita naturale, e progetti specifici che minaccerebbero la continuità territoriale delle aree abitate palestinesi, come quelle attorno a Gerusalemme. Nell'intervista Weisglass ha chiarito che ciò non accadrà finché i palestinesi non adotteranno le misure cui sono tenuti nella prima fase della "mappa stradale", e cioè lo smantellamento delle strutture del terrorismo.

Secondo una fonte diplomatica, vi è la possibilità che l'amministrazione Bush ascolti educatamente le riserve presentate da Weisglass, e poi pubblichi la "mappa" senza cambiamenti offrendo a entrambe le parti la possibilità di presentare di nuovo le proprie riserve. Gli europei, dal canto loro, non vogliono esporre il piano a lunghi negoziati. D'altra parte il segretario di stato Colin Powell, durante la recente visita a Bruxelles, ha affermato che il piano semplicemente non potrà funzionare se verrà imposto alle parti. Secondo il Washington Post, sia fra i Repubblicani che fra i Democratici americani sta montando una crescente opposizione verso ciò che sembra profilarsi come un tentativo di imporre il piano a Israele. Il quotidiano lascia intendere che peserebbe in questo senso l'approssimarsi dell'anno elettorale. La "mappa stradale" sarà probabilmente una delle questioni sul tappeto nel prossimo incontro in Irlanda fra il presidente Usa George W. Bush e il primo ministro britannico Tony Blair: quest'ultimo ha chiesto infatti la pubblicazione immediata del piano così com'è. La posizione di Blair viene generalmente attribuita a preoccupazioni di politica interna, ma vari osservatori a Gerusalemme fanno notare che anche Bush ha problemi al suo interno che spingono invece contro l'idea di esercitare una pressione eccessiva su Israele.

Nel frattempo è stata messa in agenda una prossima riunione fra il Primo ministro israeliano Ariel Sharon, il ministro degli Esteri Silvan Shalom e quello della Difesa Shaul Mofaz per discutere la bozza della "mappa" e la posizione israeliana. Israele avanza infatti una serie di riserve. Le principali sono:

- il calendario previsto dalla "mappa" non è realistico;

- deve essere messo in chiaro che i palestinesi devono fare uno sforzo al cento per cento per fermare il terrorismo prima che Israele faccia altre concessioni;

- il piano di pace saudita (con il suo riferimento al cosiddetto "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi all'interno di Israele) deve essere tolto dalla "mappa";

- i palestinesi devono riconoscere il diritto di Israele a esistere come Stato ebraico, cioè devono abbandonare la pretesa di un "ritorno" in massa all'interno di Israele, prima che venga loro riconosciuto uno Stato entro confini provvisori.

Non c'è alcuna ragione per discutere adesso la questione insediamenti: essa sarà discussa nel quadro dei negoziati con i palestinesi sullo status finale, come previsto dagli accordi di Oslo. Questa la posizione espressa da Sharon nella riunione di governo di domenica. Sharon ha anche detto che non intende divulgare adesso i dettagli sulle riserve che Israele ha presentato agli americani circa la "mappa stradale", e che la mappa verrà sottoposta al governo israeliano, per avere la sua approvazione, solo nella sua versione definitiva.

Il ministro degli Esteri Shalom ha specificato che Israele intende appoggiare la "mappa" nella misura in cui essa rispecchierà in modo fedele la prospettiva indicata dal Presidente Bush nel suo discorso sul Medio Oriente del 24 giugno scorso. In questo senso, secondo Shalom, Israele respinge l'interpretazione palestinese che vede la "mappa" come due binari di impegni paralleli, israeliani e palestinesi. "La lotta contro il terrorismo è la prima condizione per ogni ulteriore progresso" ha spiegato Shalom, aggiungendo che Israele non è più disposto ad accettare che il terrorismo palestinese accompagni lo svolgimento di negoziati. Israele inoltre vuole che l'applicazione della "mappa" avvenga sotto la guida degli Usa più che degli altri tre membri del "quartetto" (Ue, Russia, Onu).

Durante la discussione di gabinetto, il ministro Tzipi Livne ha chiesto che fosse messo in chiaro che la questione dei profughi palestinesi deve essere affrontata fin dalla prima fase. Secondo la Livne, Israele deve insistere affinché sia sancito il principio che la nascita di uno Stato palestinese estinguerà la questione dei profughi palestinesi. Sharon ha detto che queste preoccupazioni sono tenute presenti nelle riserve che Israele sottoporrà agli Stati Uniti. "

Shalom!

Pieffebi
08-05-03, 21:42
http://digilander.libero.it/thatsthequestion/israel-arab.gif

Pieffebi
08-05-03, 21:43
dalla rete:
" Giovedì 1 Maggio 2003, 0:31


Presentato il piano di pace per il Medioriente

ATTACCO KAMIKAZE A TEL AVIV



WASHINGTON - Un tracciato di pace per ridisegnare il Medioriente. E' quanto hanno stilato gli Stati Uniti, la Russia, l'Unione europea e l'Onu con l'obiettivo di creare entro il 2005 uno Stato Palestinese. Nella road map, consegnata da un ambasciatore americano al premier israeliano Ariel Sharon e ad Abu Mazen da parte degli inziati in Medioriente di Onu, Ue e Russia, vengono illustrare le condizioni per la creazione del nuovo Stato.

Tre le fasi principali del processo di pace e molte le scadenze flessibili previste dalla road map. La flessibilità delle scadenze deriva soprattutto dal fatto che è prevista la verifica passo a passo degli adempimenti degli obblighi reciproci che Israele e palestinesi dovrebbero assumere.

Ma vediamo in dettaglio le fasi del processo delineato dal quartetto Usa, Russia, Ue e Onu.

La prima fase contempla la cessazione del terrorismo e delle violenze. Si tratta di un prerequisito fondamentale e prevede la proclamazione da parte dei palestinesi della fine delle azioni terroristiche e l'effettivo sforzo volto ad arrestare le persone e reprimere i gruppi che conducono e pianficano atti di violenza contro gli israeliani. Sempre in questa fase i palestinesi dovrebbero ristrutturare i propri apparati di sicurezza e procedere ai sequestri delle armi detenute illegalmente da gruppi e movimenti politici. Per quanto riguarda Israele, è previsto nella fase uno lo stop ad ogni azione che potrebbe compromettere la fiducia nell'avanzamento del processo di pace e, in particolare, le deportazioni di palestinesi, gli attacchi contro i civili, le confische e le demolizioni di case. Contestualmente a un'azione di monitoraggio da parte del quartetto, le forze di sicurezza israeliane e palestinesi dovrebbero riprendere a cooperare per il mantenimento dell'ordine e svolgere le altre azioni comuni previste dal piano Tenet.

Da parte dei Paesi arabi occorre l'alt al finanziamento pubblico o privato ai gruppi che appoggiano o commettono atti di terrorismo, mentre tutti i contributi esteri ai palestinesi debbono essere diretti al ministero della finanza palestinese. Man mano che la situazione migliora e si stabilizza, l'esercito israeliano procede nel ritiro dalle zone occupate dopo il 28 settembre 2000.

In questa fase si inizia già a lavorare alla creazione delle istituzioni del futuro stato palestinese, favorendo la democratizzazione della vita politica e promovendo libere elezioni. Al contempo Israele deve riaprire le istituzioni palestinesi di Gerusalemme Est e adottare misure per migliorare la situazione umanitaria. Israele, inoltre, deve smantellare gli insediamenti e le postazioni ebraiche erette dopo il marzo 2001 e "congelare" ogni attività di crescita degli insediamenti.

Nella seconda fase si apre il processo di transizione. Questa fase inizia dopo lo svolgimento di elezioni palestinesi e si conclude con la possibile creazione di uno stato palestinese. Sono previste la convocazione di una conferenza internazionale dedicata alla ripresa economica palestinese e alla creazione di uno stato indipendente con confini provvisori. In questa fase si concludono anche i lavori sulla costituzione che va approvata dalle istituzioni palestinesi e si deve insediare un governo delle riforme. Passaggio ulteriore è la creazione di uno stato palestinese con frontiere provvisorie attraverso un processo di dialogo tra palestinesi e israeliani. Il Quartetto promuove a questo punto il riconoscimento internazionale dello stato palestinese, compresa l'ammissione nell'Onu.


Terza e ultima fase. Si punta a risolvere i problemi riguardanti la soluzione definitiva per Gerusalemme, i problemi dei profughi e degli insediamenti. Si affrontano anche i rapporti tra Israele e Libano e tra Israele e Siria. - Entro il 2005 dovrebbe venire posto fine al conflitto israelo-palestinese e dovrebbero essere risolte tutte le succitate questioni, in base ai principi stabiliti nelle risoluzioni dell'Onu 242, 338 e 1397. In questa fase gli stati arabi dovranno avere riallacciato rapporti normali con Israele. La terza fase è rimasta volutamente generale, senza indicazioni su come risolvere le questioni più difficili per arrivare alla pace globale tra arabi e israeliani.
" http://it.news.yahoo.com/030430/180/29t0h.html

Shalom!!

Pieffebi
08-05-03, 22:50
ONU - COSTITUZIONE E GOVERNI FUTURI DELLA PALESTINA

OGGETTO: RISOLUZIONE 181 - Fine del mandato, spartizione e indipendenza

1. Il mandato per la Palestina avrà fine al più presto possibile e in ogni caso il 1° agosto 1948:
2. Le forze armate della potenza mandataria evacueranno progressivamente la Palestina; al più tardi il 1° agosto 1948.
La potenza mandataria farà tutto ciò che è in suo potere al fine di assicurare l'evacuazione di una zona situata sul territorio dello Stato ebraico e dotato di un porto marittimo e di un retroterra sufficienti per offrire le strutture necessarie in vista di un'importante immigrazione.
3. Gli Stati indipendenti arabo ed ebraico, così come il regime internazionale particolare previsto per la città di Gerusalemme, cominceranno ad esistere in Palestina due mesi dopo che l'evacuazione delle forze armate della potenza mandataria sarà portata a termine. Le frontiere saranno indicate qui sotto.

Capitolo primo: Luoghi santi, edifici e siti religiosi.
1. Non sarà recato attentato alcuno ai diritti esistenti che riguardano i luoghi santi, edifici e siti religiosi.
2. Per ciò che riguarda i luoghi santi, la libertà d'accesso, di visita e di transito, sarà garantita a tutti i residenti o cittadini dell'altro Stato e della città di Gerusalemme, con riserva di considerazioni di sicurezza nazionale dell'ordine pubblico e della decenza.

Capitolo secondo: Diritti religiosi e diritti delle minoranze
1. La libertà di coscienza e il libero esercizio di tutte le forme di culto compatibili con l'ordine pubblico e i buoni costumi saranno garantiti a tutti.
2. Non sarà fatta alcuna discriminazione in base a differenze di razza, di religione, di lingua o di sesso.
3. Tutte le persone che ricadono sotto la giurisdizione dello Stato avranno egualmente diritto alla protezione della legge.
4. Il diritto familiare tradizionale e lo statuto personale delle diverse minoranze, così come i loro interessi religiosi saranno rispettati.
6. Lo Stato assicurerà alla minoranza, araba o ebraica, l'insegnamento primario e secondario, nella sua lingua, e conformemente alle sue tradizioni culturali.
7. Non sarà appaortata alcuna restrizione all'uso, da parte di ogni cittadino dello Stato, di qualunque lingua, nelle sue relazioni personali, nel commercio, nella religione, nella stampa, nelle pubblicazioni d'ogni genere o nelle riunioni pubbliche.

CITTA' DI GERUSALEMME
La città di Gerusalemme sarà costituita in corpus separatum sotto un regime internazionale speciale e sarà amministrata dalle Nazioni Unite.
1. meccanismo di governo: i suoi fini particolari. L'autorità incaricata dell'amministrazione, perseguirà i seguenti fini particolari.
a) Proteggere e preservare gli interessi spirituali e religiosi che trovano ricetto nella città; a tal fine, fare in modo che l'ordine e la pace regnino a Gerusalemme.
b) Stimolare lo spirito di cooperazione fra tutti gli abitanti della città, contribuire all'evoluzione pacifica delle relazioni tra i due popoli.
10. Le lingue ufficiali. L'arabo e l'ebraico saranno le lingue ufficiali della città
11. Cittadinanza. Tutti i residenti diventeranno ipso facto cittadini della città di Gerusalemme.
------------------------------------------------------------------------

"

Shalom

Pieffebi
08-05-03, 22:59
Stato d'Israele: 1948 -1960


1948
(14 maggio) Proclamazione d'indipendenza dello Stato d'Israele "in virtu' del nostro diritto storico e naturale e della risoluzione dell'Assemblea generale della Nazioni Unite". La dichiarazione recita, fra l'altro: "Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli stati e ai loro popoli intorno a noi e facciamo loro appello per creare legami di cooperazione e di aiuto reciproco col popolo ebraico sovrano stabilitosi nella propria terra".
(15 maggio) Israele attaccato dagli eserciti di cinque stati arabi. Il segretario della Lega Araba Azzam Pascia' annuncia "una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlera' come dei massacri dei mongoli e delle crociate".
Nasce Tzahal (Forze di Difesa Israeliane).
Inizia la guerra d'indipendenza d'Israele o prima guerra arabo-israeliana (maggio 1948 - gennaio 1949).
Ha inizio il dramma dei profughi arabi di Palestina: talvolta istigati dalla propaganda araba (come in Galilea), altre volte espulsi (come a Lod, sulla strada per Gerusalemme), ma per lo piu' semplicemente in fuga di fronte all'infuriare dei combattimenti, circa 700mila arabi palestinesi sfollano di alcuni chilometri verso zone sotto controllo arabo. Le autorita' arabe li rinchiuderanno per decenni in campi-profughi, molti all'interno della stessa Palestina.
(dicembre) Risoluzione Onu 194, che prevede la possibilita' di un ritorno dei "profughi" (arabi ed ebrei), purche' in tempi brevi e in modo pacifico, o di compensazioni economiche nel quadro di un processo di "riconciliazione" tra israeliani e arabi. Votano contro Egitto, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Siria e Yemen. Viene creata l'UNRWA, agenzia Onu di assistenza dei profughi palestinesi.

1949
(gennaio) Cessa la prima guerra arabo-israeliana, costata allo Stato d'Israele 6.000 morti (su 600.000 abitanti).
Accordi d'armistizio firmati a Rodi tra Israele ed Egitto (febbraio), Libano (marzo), Transiordania (aprile) e Siria (luglio). L'Iraq non firma nessun armistizio. Su insistenza degli stati arabi, che non intendono riconoscere l'esistenza di Israele, gli accordi specificano che la linea di cessate il fuoco (Linea Verde) "e' una linea d'armistizio che non deve in alcun modo essere considerata un confine di stato in senso politico o territoriale e non pregiudica i diritti, le aspirazioni e le posizioni delle parti riguardo all'assetto futuro del contenzioso".
Con l'armistizio, Israele si ritira da alcune aree egiziane e libanesi.
L'Egitto occupa la striscia di Gaza. La Transgiordania occupa la Cisgiordania. In queste aree non nasce lo stato arabo di Palestina.
Gerusalemme resta divisa tra Israele e Giordania. La Giordania vieta agli ebrei (non solo israeliani) l'accesso ai loro luoghi santi. Tombe e sinagoghe ebraiche vengono profanate e saccheggiate.
Gli armistizi prevedono l'avvio di negoziati che iniziano a Losanna sotto gli auspici dell'Onu, ma si arenano subito perche' le delegazioni arabe si rifiutano di incontrare direttamente gli israeliani.
Mentre 160.000 arabi palestinesi restano in Israele e diventano cittadini israeliani, tutte le comunita' ebraiche nei territori che finiscono sotto controllo arabo vengono cancellate senza eccezioni, sia quelle recenti, come alcuni kibbutz, sia quelle secolari, come il quartiere ebraico di Gerusalemme vecchia (17.000 gli ebrei cacciati dalle zone della Palestina occupate dagli arabi).
In Israele viene eletta la prima Knesset (parlamento).
Israele diventa il 59esimo stato membro delle Nazioni Unite.

1948-52
Israele cancella tutte le disposizioni del Libro Bianco che limitavano l'immigrazione ebraica.
Immigrazione in massa di centinaia di migliaia di ebrei dall'Europa (scampati alla Shoa') e dall'Asia e nord Africa.
In pochi anni 850mila ebrei sono costretti a fuggire da paesi arabi dove vivevano da secoli, abbandonando le loro proprieta'. Piu' di 600.000 profughi ebrei dai paesi arabi si riversano in Israele. Gli immigrati vengono temporaneamente ospitati in accampamenti di fortuna (ma'abarot). La popolazione dello stato di Israele raddoppia nel giro di tre anni. Viene varato un rigido programma di austerita' economica, con razionamento dei beni di prima necessita'.

1950
La Knesset proclama Gerusalemme capitale d'Israele e approva la Legge del Ritorno, che permette a ogni ebreo di stabilirsi in Israele.
Amman annette ufficialmente la Cisgiordania alla Transgiordania: nasce il Regno Hashemita di Giordania che, unico tra gli stati arabi, concede la cittadinanza ai palestinesi residenti.

1951
Indipendenza della Libia

1948-54
Israele compie svariati tentativi di dare soluzione al problema dei profughi arabo-palestinesi: propone il rimpatrio di 100mila persone (Losanna, aprile 1948), avvia apposite trattative con Giordania (1951) ed Egitto (fine 1952), partecipa alla apposita conferenza Onu di Parigi con Egitto, Giordania, Libano, Siria (novembre 1951), avanza proposte a Giordania ed Egitto (21 agosto 1954). Tutti i tentativi incontrano il rifiuto da parte araba di risolvere il problema in modo concordato. Israele avvia comunque un programma di ricongiungimenti famigliari che, nel corso degli anni successivi, portera' al rientro in Israele di circa 70mila profughi palestinesi.

1951
(20 luglio) Re Abdallah di Giordania viene assassinato nella moschea di Al-Aqsa, a Gerusalemme, dal palestinese Moussa Husaini a causa delle sue aperture verso Israele per un trattato di non aggressione (che avrebbe anche dovuto dare sistemazione al problema dei profughi). Gli succede il nipote Hussein.
(1 settembre) Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu riconferma il diritto di navigazione attraverso il Canale di Suez anche da e per Israele.
La Knesset istituisce il Giorno della Memoria della Shoa'.
Israele avvia le bonifiche nella valle di Hula (estremo nord del paese).

1952
Presa del potere in Egitto da parte dei Liberi Ufficiali guidati da Nasser.
Israele partecipa per la prima volta ai giochi olimpici (Helsinki).

1953
A Gerusalemme viene fondato lo Yad VaShem, il memoriale e archivio storico della Shoa'.

1954
Con la protezione egiziana, nascono i primi gruppi di fedayin che lanciano centinaia di incursioni, attentati e atti di sabotaggio contro militari e civili israeliani.
Gli archeologi scoprono la necropoli di Bet Shearim (Galiela).
Inizia la guerra d'indipendenza in Algeria.

1955
Primo accordo militare Urss-Egitto che segna l'ingresso dell'Unione Sovietica (e della guerra fredda) nell'area.
Primi segni di ripresa economica in Israele.
(luglio) Il ministro israeliano David Ben Gurion dichiara: "Se vi e' un qualunque statista arabo disposto a parlare con me per migliorare le nostre relazioni, sono pronto a incontrarlo in qualunque luogo e momento".

1956
Si intensificano gli attacchi di feddayin palestinesi ai confini d'Israele, in particolare dalla striscia di Gaza sotto controllo egiziano.
L'Egitto nazionalizza il Canale di Suez e blocca la navigazione da e per Israele nello stretto di Tiran (Golfo di Eilat).
(ottobre) Con un'azione congiunta, alla quale si associa Israele, Francia e Gran Bretagna attaccano l'Egitto. Ultimatum degli Stati Uniti. Israele, che ha occupato il Sinai, accetta di ritirarsi purche' il confine fra i due paesi venga smilitarizzato e presidiato dall'Onu (UNEF) e sia garantita la navigazione da e per Israele nello stretto di Tiran e nel Canale di Suez: la violazione di questi principi costituira' il casus belli nel 1967.
Ebrei vengono cacciati dall'Egitto.
Indipendenza di Tunisia e Marocco.

1957
Israele si ritira completamente dai territori egiziani e della striscia di Gaza.
Si concludono i lavori di bonifica nella Valle di Hula.

1958
Israele celebra il decimo anniversario dell'indipendenza. La popolazione raggiunge i 2 milioni di abitanti.
Viene fondato il Mashav, ente per la cooperazione di Israele con i paesi in via di sviluppo. Negli anni successivi il Mashav portera' in Israele migliaia di giovani dei paesi in via di sviluppo per corsi di qualificazione professionali di ogni tipo.
Viene inaugurato il nuovo campus di Givat Ram dell'Universita' di Gerusalemme.
Crisi e scontri civili in Libano.
Colpo di stato in Iraq con uccisione di re Feisal e svolta filosovietica.

1959
L'Urss vieta l'emigrazione dei cittadini ebrei.
Nasce l'organizzazione armata palestinese Al Fatah ("qualunque trattativa che non si basi sul diritto di annientare Israele sara' considerata alla stregua di un tradimento"). "

Pieffebi
08-05-03, 23:01
"Stato d'Israele: 1961 -1970

1960
Inaugurato a Ein Kerem (Gerusalemme) il centro medico Hadassa dell'Universita' Ebraica.
Aumenta l'immigrazione ebraica da Marocco e Romania.

1962
Vetrate di Marc Chagall al centro medico Hadassa' dell'Universita' di Gerusalemme.
Il Marocco apre le porte all'emigrazione ebraica: 80.000 immigrati arrivano in Israele entro il 1964.
Indipendenza dell'Algeria.

1962-64
Massiccia campagna araba di governi e stampa contro la bozza di Dichiarazione in discussione al Concilio Vaticano II che cancellerebbe l'accusa di deicidio contro il popolo ebraico.
Adolf Eichmann, il principale pianificatorfe del programma di sterminio nazista, viene arrestato da agenti israeliani in Argentina e condotto a Gerusalemme, dove viene processato e condannato per i crimini commessi nella Shoa. E' l'unica condanna a morte emessa ed eseguita in Israele.

1963
Il primo ministro David Ben Guiron si dimette. Gli succede Levi Eshkol.
Iniziano estesi scavi archeologici a Masada.
Vengono fondate le citta' di sviluppo di Carmiel (Galilea) e Arad (Negev).

1964
Dopo che per anni le minacce siriane dal Golan (140 israeliani uccisi da cecchini siriani negli anni 1948-67) hanno impedito a Israele di sfruttare appieno le fonti del Giordano, Israele completa l'Acquedotto Nazionale che porta acqua dal Lago Kinneret (Tiberiade) al sud semi-arido.
Breve pellegrinaggio di papa Paolo VI ai luoghi cristiani in Israele, ma senza rapporti ufficiali fra Santa Sede e Stato d'Israele.
(maggio) Viene fondata l'Olp, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, sotto stretto patrocinio dei paesi arabi. In un periodo in cui Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme Est sono ancora sotto il controllo degli eserciti arabi, la Carta dell'Olp proclama la necessita' di distruggere Israele con la lotta armata come obiettivo strategico della nazione araba nel suo complesso.

1965
Eli Cohen, l'agente israeliano che era riuscito a penetrare fin nelle piu' alte sfere della dirigenza siriana, viene scoperto e impiccato a Damasco.
(28 ottobre) Il Concilio Vaticano II pubblica la Dichiarazione "Nostra Aetate" che cancella l'accusa di deicidio contro il popolo ebraico e apre la strada al dialogo ebraico-cristiano.
A Gerusalemme viene inaugurato il Santuario del Libro per custodire i preziosi Rotoli del Mar Morto.

1966
Inaugurato il nuovo edificio della Knesset a Gerusalemme.
Lo scrittore israeliano Smuel Yosef Agnon e' insignito del Premio Nobel per la Letteratura.
Prime trasmissioni della televisione israeliana.
Si infittiscono le incursioni terroristiche lungo i confini.

1967
(maggio) Gli stati arabi completano l'accerchiamento militare, diplomatico, propagandistico, economico e terroristico d'Israele e i preparativi per sferrare una guerra risolutiva. L'Egitto ordina ai 3.500 uomini dell'Onu che presidiano i confini di Israele di ritirarsi immediatamente. L'Onu obbedisce.
(17 maggio) Israele sollecita le potenze a fermare la spirale di guerra e annuncia che il blocco della navigazione sarebbe considerato casus belli.
(22 maggio) I paesi arabi bloccano la navigazione da e per Israele nello stretto di Tiran. Nasser annuncia una guerra di sterminio contro Israele.
(30 maggio) Egitto e Giordania formano un comando militare congiunto in vista dell'imminente attacco.
(4 giugno) Analogo accordo fra Egitto e Iraq.
(5 giugno) L'attacco preventivo sferrato a sorpresa da Israele annienta le forze aeree arabe. Israele offre alla Giordania la possibilita' di non essere coinvolta, ma la risposta sono cannoneggiamenti su Gerusalemme Ovest.
In sei giorni di guerra Israele assume il controllo di Sinai, Golan, Cisgiordania e striscia di Gaza.
Dopo 19 anni Gerusalemme viene riunificata. Complessivamente la citta' conta 250.000 abitanti, di cui 180.000 ebrei. Nei trent'anni successivi la popolazione di Gerusalemme aumentera' del 139%, ma la proporzione delle sue componenti resta pressoche' uguale (ca. 70% ebrei, 30% non ebrei).
(27 giugno) La Legge israeliana per la Protezione dei Luoghi Santi garantisce liberta' di culto e di accesso ai fedeli di ogni religione.
(27 giugno) Il primo ministro israeliano Eshkol delinea la posizione di Israele dopo la guerra dei sei giorni: "Finche' i nostri vicini persisteranno nella loro politica di belligeranza e continueranno a progettare la nostra distruzione, noi non lasceremo i territori che sono ora sotto il nostro controllo e che riteniamo necessari per la nostra sicurezza e autodifesa. Se invece i paesi arabi accetteranno di discutere di pace con noi direttamente, allora non vi sara' problema che non potra' essere risolto in negoziati diretti a vantaggio di tutte le parti".
(1 settembre) La Lega Araba riunita a Khartoum (Sudan) ribadisce i tre no: "no al riconoscimento di Israele, no al negoziato con Israele, no alla pace con Israele".
(22 novembre ) La risoluzione 242 dell'Onu stabilisce che una pace giusta e duratura dovra' essere negoziata dalle parti sulla base dei seguenti principi: ritiro israeliano da (parte dei) territori occupati; rispetto di sovranita', integrita' territoriale e indipendenza politica di ogni stato della regione che ha diritto a vivere entro confini sicuri e riconosciuti; soluzione equa del problema dei profughi; liberta' di navigazione. E' la risoluzione che fara' da cornice ai negoziati tra Israele ed Egitto (1978-79) e tra Israele e palestinesi (anni Novanta).
Gunnar Jarring, inviato speciale dell'Onu incaricato di avviare il negoziato previsto dalla 242, fa inutilmente la spola fra le capitali ma si scontra col rifiuto arabo di intavolare negoziati diretti con Israele.

1968-69
Israele istituisce la politica dei "ponti aperti" per il passaggio di persone e beni tra Giordania e territori, benche' formalmente in stato di guerra con quel paese. Tra il 1967 e il 1992 il Prodotto Interno Lordo dei territori di Cisgiordania e Gaza e' piu' che triplicato, un tasso di crescita maggiore di quello dei paesi arabi circostanti.

1968
(maggio) Arafat, leader di Fatah, diventa capo dell'Olp.
La Carta dell'Olp viene modificata, ribadendo l'obiettivo di distruggere Israele con la violenza. Il termine arabo per indicare il carattere "nazionale" del movimento passa da "qawmi" (nazionalita' pan-araba) a "wattani" (nazionalita' territoriale di un singolo paese arabo): e' la nascita ufficiale di uno specifico "nazionalismo arabo-palestinese", modellato sull'esempio sionista e distinto da quello pan-arabo in generale.
(23 giugno) Il presidente egiziano Nasser ribadisce i tre no di Khartoum.
(26 dicembre - 6 settembre) Serie di dirottamenti di aerei di linea e di attentati ad opera dell'Olp: inizia la stagione del terrorismo internazionale indiscriminato, in collegamento con altre organizzazioni terroristiche in Europa e Asia.

1969
Golda Meir e' primo ministro in Israele.
(aprile) Violando il cessate il fuoco, l'Egitto scatena la guerra d'attrito contro Israele lungo il Canale di Suez, che durera' fino al 1970.

1968-70
L'Urss ricostruisce gli eserciti egiziano e siriano.
Israele avvia una lunga stagione di lavori che porteranno a una profonda riqualificazione urbana e valorizzazione di tutta la citta' di Gerusalemme.
L'amministrazione israeliana apporta anche un parziale miglioramento delle spaventose condizioni in cui vivevano i palestinesi dei territori, soprattutto nei campi-profughi. Nel corso degli anni successivi Israele consentira' il rientro nei territori di Cisgiordania e Gaza di 114.000 profughi palestinesi sulla base di motivi umanitari.

1970
Le formazioni dell'Olp insediate in Giordania si muovono come uno stato nello stato e usano il paese come base per le loro azioni terroristiche mettendo a rischio la stabilita' del regno Hashemita.
(6 settembre) La fazione dell'Olp Fplp dirotta quattro aerei in Giordania e li fa esplodere davanti alle telecamere dei giornalisti. E' sfida aperta all'autorita' hashemita.
(6-27 settembre) Re Hussein reagisce con durezza scatenando la Legione Araba contro i palestinesi ("settembre nero"). Espulsione delle organizzazioni armate palestinesi verso il Libano.
(28 settembre) Muore Nasser.
Continua la lotta dei "refusnik", gli ebrei sovietici cui viene negato il diritto a emigrare in Israele.
Nuovo edificio del Teatro Habima, a Tel Aviv.
Proteste sociali degli ebrei piu' poveri di origine afro-asiatica. Vengono avviati i primi programmi per porvi rimedio. " [/b]

Pieffebi
08-05-03, 23:03
" Stato d'Israele: 1971 -1980

1971
Inaugurato il nuovo Museo di Tel Aviv.
Israele raggiunge i tre milioni di abitanti.
Colpo di stato in Libia: Gheddafi prende il potere. Gli ebrei vengono cacciati dalla Libia.

1972
(30 maggio) All'aeroporto di Lod (Tel Aviv) terroristi giapponesi affiliati a Settembre Nero (Olp) massacrano i passeggeri (25 morti, oltre 80 feriti).
(18 luglio) Sadat, succeduto a Nasser, espelle dall'Egitto i "consiglieri" militari sovietici (quasi 20mila uomini).
(5 settembre) Alle olimpiadi di Monaco (Germania) la squadra israeliana viene sterminata da un commando palestinese di Settembre Nero.
Prima ondata di immigrati ebrei dall'Unione Sovietica (100mila in due anni).

1973
(15 gennaio) Per la prima volta il Papa riceve in udienza ufficiale un primo ministro d'Israele, ma la Santa Sede continua a rifiutare il riconoscimento diplomatico dello Stato di Israele.
(1 marzo) Azione terroristica palestinese contro l'ambasciata dell'Arabia Saudita a Khartoum (Sudan) per ottenere la liberazione dei membri della banda tedesca Baadel-Meinhof e dell'assassino palestinese di Robert Kennedy. Uccisione di diplomatici americani ed europei.
(10 aprile) Commandos israeliani sbarcano a Beirut e distruggono basi operative di Fatah e Settembre Nero, uccidendo diversi capi.
(6 ottobre) Nel giorno piu' sacro del calendario ebraico (Yom Kippur), Egitto e Siria lanciano un massiccio attacco contro Israele, appoggiati da reparti inviati da Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Libia, Marocco, Algeria e Giordania. Sfondamento della prima linea di difesa israeliana sul Sinai e strenua resistenza sul Golan. Ponte aereo di aiuti militari sovietici a Siria ed Egitto, americani a Israele.
(14 ottobre) Dopo aver fermato l'avanzata siriana sul Golan, Israele rovescia le proprie forze sul fronte egiziano fino a ribaltare le sorti della guerra.
(17 ottobre) Gli stati arabi produttori di petrolio decretano il primo embargo petroliferco contro tutti gli stati che essi giudicano troppo tiepidi con Israele. Recessione economica in Europa. Nei mesi successivi l'Organizzazione per L'Unita' Africana, il Movimento dei Paesi Non Allineati, la Comunita' Europea e vari organismi delle Nazioni Unite adottano mozioni anti-israeliane e di condanna del sionismo: inizia la stagione dell'isolamento diplomatico di Israele.
(11 novembre) Quando le forze egiziane nel Sinai sono accerchiate e le forze israeliane, sbarcate sulla costa africana, sono a 101 km dal Cairo e a 32 km da Damasco, gli arabi accettano il cessate il fuoco. Iniziano trattative tra le parti.
Risoluzione Onu 338, che chiede alle parti di negoziare per applicare la 242 del 1967.
(21 dicembre) Sulla base della risoluzione 338, Usa e Urss convocano una Conferenza a Ginevra fra Israele, Egitto e Giordania. Dopo la sessione d'apertura, la Conferenza viene aggiornata sine die e mai piu' riconvocata per il rifiuto da parte araba di negoziare direttamente con Israele.
(31 dicembre) Attacco di terroristi palestinesi a Fiumicino (Roma): 31 civili morti.
Muore David Ben Gurion.

1974
Yitzhak Rabin e' primo ministro in Israele.
(gennaio) Accordi di disimpegno tra le forze israeliane ed egiziane, mediati dalla "diplomazia della spola" del segretario di stato Usa Henry Kissinger. Israele si ritira da tutti i territori conquistati in Egitto nella guerra di Yom Kippur.
(24 febbraio) A Lahore i capi dei paesi islamici riconoscono l'Olp come unico rappresentante del popolo palestinese.
(11 aprile) A Kiryat Shmona' (nord di Israele) un commando palestinese uccide 8 donne, 8 bambini e 3 soldati israeliani.
(15 maggio) A Ma'alot (Galilea) un commando palestinese uccide 21 scolari in gita scolastica, un'intera famiglia sorpresa in casa, 2 donne arabe e 3 uomini.
(maggio) Accordi di disimpegno tra le forze israeliane e siriane, mediati dal segretario di stato Usa Henry Kissinger. Israele si ritira da tutti i territori conquistati sul Golan nella guerra di Yom Kippur.
(giugno) Il Consiglio Nazionale dell'Olp approva il "piano a fasi": l'obiettivo di distruggere Israele verra' perseguito dichiarando lo stato palestinese indipendente su ogni porzione di "Palestina liberata", per poi utilizzare questo stato come base per il proseguimento della lotta contro Israele.
(14 ottobre) L'Onu attribuisce all'Olp lo status di rappresentante del popolo palestinese. Nabil Sha'at ribadisce la volonta' dell'Olp di cancellare Israele dalla regione.
(19 novembre) Attentato a Bet Shean (Galiela): 7 morti.
(22 novembre) L'Assemblea dell'Onu riconosce ai palestinesi il diritto a far valere la sovranita' sulla Palestina "con ogni mezzo": inizia la stagione delle rituali risoluzioni anti-israeliane a maggioranza automatica (paesi dell'est, paesi arabi, paesi non allineati).

1975
(gennaio) Attentato contro aerei israeliani all'aeroporto di Orly (Parigi)
(6 marzo) Attentato di Fatah contro albergo a Tel Aviv: 14 morti.
(marzo) L'Unesco esclude Israele da ogni forma di collaborazione.
(14 luglio) Attentato a Gerusalemme: 14 morti.
(settembre) Secondo accordo di disimpegno fra Israele ed Egitto mediato da Kissinger: Israele si ritira ulteriormente senza contropartite da parte araba.
(10 novembre) L'Onu approva la risoluzione 3379 che equipara il sionismo a una forma di razzismo (verra' abrogata nel 1991).
Trattato di libero scambio per prodotti industriali fra Israele e Mercato Comune Europeo.
Nel Libano, destabilizzato da innumerevoli milizie etnico-politiche e dalla massiccia presenza delle organizzazioni armate palestinesi, scoppia la guerra civile che durera' fino al 1991 con numerose violenze e stragi reciproche.

1976
(27 giugno) Terroristi palestinesi dirottano aereo francese su Entebbe (Uganda) e in accordo con terroristi tedeschi e polizia ugandese sequestrano i 106 passeggeri, separando quelli ebrei. Forze speciali israeliane aviotrasportate liberano tutti gli ostaggi.
Truppe siriane entrano in Libano per "pacificarlo": inizia l'occupazione siriana del paese.
(agosto) Assedio e massacro di palestinesi nel campo di Tal el Zaatar ad opera di cristiani libanesi appoggiati dai siriani.
Israele inaugura la politica della "buona frontiera" con il Libano: migliaia di libanesi del sud verranno ogni giorno in Israele per lavoro e cure mediche.
Zubin Mehta viene nominato direttore musicale dell'Orchestra Filarmonica d'Israele.

1977
(giugno) Svolta elettorale in Israele e primo governo del partito conservatore Likud pongono fine a trent'anni di governi a maggioranza laburista.
(19 novembre) Il presidente egiziano Sadat, rompendo per la prima volta l'ostracismo arabo, accetta un invito di Israele e si reca in visita a Gerusalemme accolto trionfalmente dalla popolazione israeliana. L'iniziativa di Sadat viene condannata da tutto il mondo arabo e palestinese.

1978
(gennaio-marzo) Ondata di attentati terroristici palestinesi dal Libano contro la popolazione israeliana soprattutto in Galilea.
(11 marzo) Commando di Fatah sbarca sulla strada costiera e massacra 35 passeggeri di due autobus israeliani (tra cui 13 bambini).
(marzo) Israele penetra nel Libano meridionale per colpire le basi palestinesi. Risoluzione Onu 425 che chiede il ritiro israeliano, il ripristino della sovranita' libanese su tutto il territorio del paese (in parte occupato da truppe siriane), pace e sicurezza ai confini fra i due paesi. Primo invio di caschi blu nella zona.
(maggio-agosto) Attentati antiebraici in Francia, Inghilterra e Israele.
(5-17 settembre) Negoziati e accordi di Camp David (Usa) fra Israele ed Egitto con la mediazione del presidente americano Carter. Viene steso un accordo globale per una soluzione del conflitto arabo-israeloiano (che prevede un autogoverno palestinese) e un accordo per la pace bilaterale.
(2 novembre) Vertice arabo a Bagdad (Iraq): gli accordi di Camp David vengono rifiutati da tutti i paesi arabi e dai palestinesi. Le linee di Camp David verranno riprese solo con l'avvio del processo di pace all'inizio degli anni Novanta.
Inaugurato il Museo delle comunita' della Diaspora a Tel Aviv.

1979
(gennaio) La rivoluzione khomeinista in Iran segna l'inizio di una grande stagione di ascesa dell'integralismo islamico in tutto il Medio Oriente arabo-musulmano. Ebrei fuggono dall'Iran.
(26 marzo) Firma a Washington del Trattato di pace tra Israele ed Egitto.
(27 marzo) L'Egitto viene espulso dalla Lega Araba.
(22 aprile) Dopo un mese di attentati, a Naharya (nord di Israele) viene occupato un condominio e uccisa un'intera famiglia. Sanguinosi attentati antiebraici anche a Parigi.
(25 luglio) Israele inizia il ritiro per fasi dal Sinai egiziano secondo quanto pattuito a Camp David. L'Egitto espelle verso Gaza i palestinesi che dopo il 1967 si erano stabiliti a El Arish (Sinai).
(29 novembre) L'Assemblea dell'Onu condanna gli accordi di Camp David e li dichiara "non validi".
Il primo ministro israeliano Menachem Begin e il presidente egiziano Anwar Sadat insigniti del Premio Nobel per la Pace.
(novembre) Studenti islamici iraniani, appoggiati dalle autorita', occupano l'ambasciata americana a Teheran e prendono in ostaggio il personale diplomatico. Gli ostaggi verranno rilasciati solo nel gennaio 1981.
Israele accoglie gruppi di profughi vietnamiti ("boat people").
Seconda crisi petrolifera in Europa.

1980
(16 aprile) Terroristi palestinesi prendono in ostaggio i bambini nell'asilo del kibbutz Misgav Am e ne uccidono uno.
(3 maggio) Commando dell'Olp attacca fedeli ebrei nelle Tombe dei Patriarchi a Hebron: 6 morti.
(giugno) Con la Dichiarazione di Venezia la Comunita' Economica Europea si schiera a fianco dell'Olp, che rifiuta il quadro negoziale di Camp David, e non spende una parola in difesa dell'Egitto che ha scelto la via della pace.
(luglio) La Knesset approva una legge che sancisce l'indivisibilita' di Gerusalemme, capitale di Israele, e ribadisce il libero accesso ai luoghi santi di tutte le religioni.
(27 luglio) Terroristi palestinesi attaccano autobus di bambini ebrei ad Anversa (Belgio) e ne uccidono uno.
(10 settembre) Terroristi uccidono 4 persone all'uscita da una sinagoga di Parigi.
Dopo varie scaramucce di confine, l'Iraq attacca l'Iran: inizia la prima guerra del Golfo (finira' nel 1988) "

Pieffebi
08-05-03, 23:06
" Stato d'Israele: 1981 -1990

1981
(giugno) Forze aeree israeliane distruggono il reattore nucleare iracheno di Osirak appena prima che diventi operativo.
L'Olp lancia missili katyusha contro la popolazione della Galilea dal Libano meridionale, dove spadroneggia ("Fatahland").
Sadat viene assassinato da militari egiziani islamisti. Il successore Hosni Mubarak tiene fede all'accordo di pace con Israele.
Israele estende la legislazione israeliana alle alture del Golan.
Scavi archeologici a Gerusalemme mettono in luce strati risalenti alle epoche del primo e secondo Tempio.

1982
(aprile) Israele completa il ritiro in tre fasi dal Sinai egiziano, secondo quanto stabilito dagli accordi di pace.
(giugno) Viene lanciata l'Operazione Pace in Galilea contro forze e basi terroristiche palestinesi in Libano. Le infrastrutture dell'Olp vengono demolite. Le formazioni armate palestinesi (piu' di 10.000 uomini), inseguite fino a Beirut, devono lasciare il paese. Arafat si insedia prima a Tripoli di Libano (da dove verra' cacciato dai siriani nel novembre 1983) e poi a Tunisi. Il tracollo militare costringe l'Olp a ripensare tutta la propria strategia.
Viene inviata in Libano una forza multinazionale di pace (cui partecipa anche l'Italia).
Israele firma con il governo a Beirut un trattato di pace che viene cancellato dall'assassinio del presidente libanese Amin Jemayel.
(settembre) Nei campi palestinesi di Sabra e Chatila, a sud di Beirut, si consuma la vendetta dei cristiani libanesi per l'uccisione del presidente: e' una della tante stragi della guerra civile libanese, ma avviene mentre le truppe israeliane hanno il controllo della citta'. Seguono vaste proteste in Israele e l'istituzione di una commissione d'inchiesta per accertare le responsabilita' indirette dei dirigenti israeliani. Israele si ritira da Beirut.
(ottobre) Attentato palestinese alla sinagoga di Roma (muore un bambino ebreo italiano).

1983
Crisi bancaria in Israele e inflazione galoppante.
Manifestazioni del movimento "Pace adesso" per il ritiro delle truppe dal Libano.
Iniziano gli attacchi delle formazioni terroristiche sciite libanesi (filo-iraniane) contro le Forze multinazionali di pace e contro le forze israeliane.

1984
Elezioni in Israele, governo di unita' nazionale (laburisti e Likud) e staffetta Peres-Shamir alla carica di primo ministro.
Con l'operazione Mose' vengono portati in Israele 7.000 ebrei dell'antica comunita' d'Etiopia.

1985
Accordo di libero scambio tra Israele e Stati Uniti.
Varato un programma di risanamento economico-finanziario, che riesce a frenare l'inflazione.
(giugno) Le Forze di Difesa israeliane si ritirano dal Libano, mantenendo solo il controllo su una "fascia di sicurezza" a ridosso del confine presidiata con l'alleato Esercito del Libano Meridionale (verra' definitivamente sgomberata nel 2000).
(ottobre) Dirottamento della nave Achille Lauro e assassinio di un turista ebreo americano invalido. Gli americani arrestano gli esecutori e il loro mandante (Abu Abbas). L'Italia si fa consegnare gli esecutori (a Sigonella) ma lascia fuggire Abu Abbas.
L'aviazione israeliana bombarda il quartier generale dell'Olp a Tunisi.
Siccita' record: le acque del Lago di Tiberiade si ritirano scoprendo i resti di una barca del tempi di Gesu'.
Attentati palestinesi agli aeroporti di Roma e Vienna.

1986
(luglio) Il ministro degli esteri israeliano Shimon Peres accetta un invito di re Hassan II e si reca in Marocco per discutere le possibilita' di pace.
Natan Sharansky, famoso "prigioniero di Sion", viene rilasciato dall'Urss e arriva in Israele.
Un pilota israeliano, Ron Arad, catturato da terroristi libanesi, non verra' mai piu' rilasciato e di lui, come di altri tre soldati dispersi in Libano, non si avranno piu' notizie.

1987
Anche Ida Nudel, nota "refusnik", viene liberata dall'Urss e giunge in Israele.
A Gerusalemme, processo contro John Ivan Demanjuk accusato di essere "Ivan il terribile", assassino e torturatore di ebrei nel campo di Treblinka. Verra' rilasciato per mancanza di prove certe sulla sua identita'.
(novembre) La Lega Araba avvia una lenta revoca dell'ostracismo contro l'Egitto decretato dopo gli accordi di Camp David.
Violenti scontri nella guerra civile libanese ("guerra dei campi"): truppe siriane rientrano a Beirut.
(dicembre) Scoppiano vasti disordini e violenze nei territori (intifada). Dureranno quasi tre anni.

1988
Elezioni e nuovo governo di unita' nazionale in Israele.
Firmato tra Israele e Stati Uniti un memorandum che amplia la cooperazione fra i due paesi.
Con il nuovo corso a Mosca, lento miglioramento delle relazioni tra Israele e Urss.
Israele manda un ospedale da campo a soccorrere i terremotati in Armenia.
(luglio) Re Hussein di Giordania rinuncia a tutte le sue rivendicazione sulla Cisgiordania.
(agosto) Il movimento fondamentalista islamico palestinese Hamas pubblica la sua Carta fondamentale che invoca la jihad (guerra santa) senza compromessi contro l'esistenza di Israele.
(agosto) Cessate il fuoco fra Iran e Iraq. Finisce la prima guerra del Golfo a confini praticamente invariati (un milione di morti, decine di migliaia i bambini mandati al fronte).
(novembre) Ad Algeri il Consiglio Nazionale dell'Olp accetta per la prima volta la risoluzione di spartizione 181 del 1948 e approva la creazione di uno stato palestinese nei territori (Dichiarazione di indipendenza palestinese).

1989
(maggio) Israele lancia una iniziativa di pace in quattro punti, che resta inascoltata da parte araba e palestinese.
Le foreste in Israele sono vittime di incendi dolosi appiccati da attivisti dell'intifada, mentre aumenta il terrorismo palestinese.
L'Urss apre le porte: inizia un'ondata di immigrazione di massa di ebrei sovietici (in dieci anni ne arrivera' quasi un milione), provvisoriamente sistemati in accampamenti di prefabbricati.
Accordi di Teif per la pacificazione del Libano sotto controllo siriano

1990
(febbraio) Attentato palestinese contro un autobus di turisti israeliani in Egitto (10 morti)
(agosto) L'Iraq invade il Kuwait. Condanna dell'Onu. Si forma la coalizione internazionale guidata dagli Usa, cui partecipa anche l'Italia. L'Olp si schiera a fianco dell'Iraq. In Israele si distribuiscono maschere antigas nel timore di attacchi chimici iracheni.
Riallacciate le relazioni Israele-Urss e con altri paesi dell'Europa dell'est (interrotte dal 1967). "

Pieffebi
08-05-03, 23:10
" Stato d'Israele: 1991 - 2001

1991
(gennaio-febbraio) Guerra del Golfo tra coalizione internazionale e Iraq per liberare il Kuwait occupato. Israele, che non partecipa al conflitto, viene bombardato da 39 missili Scud iracheni.
(maggio) L'operazione Salomone porta in Israele altri 15.000 ebrei d'Etiopia.
(maggio) Termina la guerra civile in Libano sotto stretto controllo delle truppe siriane. Firma di un trattato di alleanza fra i due paesi. Vengono disarmate tutte le milizie ad eccezione degli Hezbollah anti-israeliani.
(30 ottobre-3 novembre) Sotto gli auspici di Usa e Urss, viene convocata a Madrid una Conferenza di pace per il Medio Oriente che vede per la prima volta seduti allo stesso tavolo i rappresentanti di Israele, Egitto, Giordania, Libano, Siria e palestinesi. La conferenza da' vita a una lunga serie di negoziati multilaterali sui problemi regionali (controllo degli armamenti, cooperazione economica, risorse idriche, gestione dell'ambiente, problema dei profughi) e di negoziati bilaterali tra Israele e vicini arabi.
(dicembre) Decretata la fine dell'Unione Sovietica.
(16 dicembre) L'Assemblea Generale dell'Onu cancella la risoluzione 3379 del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo.

1992
Dopo la fine dell'Unione Sovietica, Israele riallaccia rapporti diplomatici con numerosi paesi dell'Europa orientale e anche, per la prima volta, con Cina e India. Tra il 1991 e il 1995 piu' di 50 paesi stabiliscono rapporti diplomatici con Israele.
In Algeria un pronunciamento militare ferma l'avanzata del Fis (Fronte di salvezza islamico) dando inizio a una sanguinosa guerra civile. Anche in Egitto attentati islamisti contro polizia, turisti e cristiani copti.
(17 marzo) Un attentato terroristico all'ambasciata israeliana a Buenos Aires (Argentina) provoca 29 morti.
(aprile) Crolla il regime filosovietico in Afganistan: migliaia di arabi che hanno combattuto a fianco dei movimenti islamici afgani entrano a far parte dei gruppi del terrorismo integralista internazionale.
(giugno) Elezioni e nuovo governo guidato dal laburista Yitzhak Rabin.
Inaugurato il nuovo edificio della Corte Suprema a Gerusalemme.
Israele vince le sue prime medaglie alle Olimpiadi di Barcellona.

1993
(febbraio) Attentato di integralisti islamici al City's World Trade Center di New York (6 morti).
(marzo) Israele accoglie e assiste un gruppo di profughi musulmani dalla Bosnia in guerra.
(9-10 settembre) Scambio di lettere Rabin-Arafat. Arafat a nome del popolo palestinese riconosce lo stato di Israele e accetta il metodo del negoziato, rinunciando all'uso della violenza e impegnandosi a modificare in questo senso la propria Carta Nazionale. Rabin a nome di Israele riconosce l'Olp come rappresentante del popolo palestinese.
(13 settembre) Dopo mesi di trattative segrete a Oslo e lo scambio di lettere, Rabin e Arafat firmano alla Casa Bianca, davanti al presidente Clinton, una Dichiarazione di Principi in cui si delinea il quadro per una soluzione graduale del conflitto (negoziati per una sistemazione ad interim e negoziati per una sistemazione definitiva): e' l'inizio del cosiddetto "processo di Oslo".
(14 settembre) Israele e Giordania firmano una agenda congiunta in vista di un accordo di pace.
(30 dicembre) La Santa Sede riconosce lo Stato di Israele: vengono avviate relazioni diplomatiche tra Israele e Vaticano.

1994
(25 febbraio) L'estremista israeliano Baruch Goldstein compie una strage di fedeli musulmani nella moschea dei Patriarchi, a Hebron (29 morti). Il presidente d'Israele Ezer Wezman: "Nessuna indulgenza, nessuna giustificazione".
(31 marzo) Grazie a intensi negoziati, Israele e Olp firmano un Accordo su Hebron per normalizzare la vita nella citta' dopo la strage. L'accordo prevede una Presenza Internazionale Temporanea (160 osservatori norvegesi, danesi e italiani) e la ripresa dei negoziati.
(aprile) Due attentati suicidi contro autobus israeliani ad Afula (8 morti) e a Hadera (5 morti). Ma dalla stretta di mano Rabin-Arafat del 13 settembre 93 sono gia' 44 gli israeliani uccisi in una trentina di attentati minori.
(29 aprile) Israele e Olp firmano l'Accordo economico di Parigi.
(4 maggio) Accordo del Cairo su Gaza e Gerico: con il ritiro israeliano dalle due citta' viena attuata la prima forma di autogoverno palestinese prevista dal processo di Oslo.
(18 luglio) Autobomba fa esplodere una sede di organizzazioni ebraiche a Buenos Aires, in Argentina (96 morti).
(25 luglio) Israele e Giordania decretano la fine dello stato di belligeranza fra i due paesi.
(26 luglio) Due attentati a Londra contro ambasciata israeliana e sede ebraica.
(30 settembre) I ministri degli esteri dei paesi arabi dichiarano la fine del boicottaggio economico contro Israele e contro chiunque fosse in affari con Israele. Il boicottaggio durava dal 1948.
(settembre-ottobre) Scambio di uffici di rappresentanza tra Israele, Tunisia e Marocco.
(9 ottobre) Terroristi palestinesi fanno fuoco sulla folla a Gerusalemme (tre morti).
(14 ottobre ) Rapimento e uccisione di un soldato israeliano.
(19 ottobre) Attentato suicida contro un autobus nel centro di Tel Aviv (22 morti).
(26 ottobre) Accordo di pace tra Israele e Giordania firmato al passaggio di frontiera fra Eilat e Aqaba.
(1 novembre) Prima conferenza economica del Nord Africa e del Medio Oriente, cui partecipa anche Israele.
(11 novembre) Attentato suicida contro pattuglia israeliana (3 morti).
Continuano anche gli attacchi Hezbollah dal Libano.
Yitzchak Rabin, Shimon Peres e Yasser Arafat insigniti del Premio Nobel della Pace.

1995
(22 gennaio) Doppio attentato suicida a Netanya (19 morti).
Firma di un Trattato economico tra Israele e Unione Europea che rinnova ed estende quello del 1975.
(aprile-giugno) Ancora razzi katyusha dal Libano su Israele.
(24 luglio) A Ramat Gan attentato suicida contro autobus israeliano (6 morti).
(21 agosto) Attentato suicida contro autobus a Gerusalemme (4 morti).
(28 settembre) Firma dell'Accordo ad interim detto Oslo Due (perche' rappresenta la seconda fase di attuazione degli accordi di Oslo). E' il documento che regola i rapporti fra Israele e palestinesi fino alla futura firma dell'accordo per lo status definitivo. Prevede la nascita dell'Autorita' Palestinese e della polizia palestinese, elezioni palestinesi, ridispiegamento delle Forze di Difesa israeliane, pattuglie congiunte, provvisoria suddivisione delle responsabilita' israeliane e palestinesi in zone A, B e C.
(4 novembre) Il primo ministro Yitzchak Rabin viene assassinato dall'israeliano estremista Yigal Amir al termine di una manifestazione per la pace. Anche i leader arabi partecipano ai funerali di Rabin a Gerusalemme.
Peres subentra nella carica di primo ministro.

1996
(20 gennaio) Vengono eletti il Consiglio Legislativo e il presidente dell'Autorita' Palestinese (Yasser Arafat).
Le Forze di Difesa israeliane avviano il primo ridispiegamento dai territori come previsto dagli accordi.
(25 febbraio) Duplice attentato a Gerusalemme e Ashkelon (25 morti)
(aprile) Ripetuti attacchi dei fondamentalisti Hezbollah dal Libano e reazione israeliana.
(aprile) L'Olp vota la cancellazione di alcuni articoli della sua Carta Nazionale in contrasto con il processo di pace, ma non specifica quali e rimanda il lavoro di riformulazione. Riprendono i negoziati israelo-palestinesi a Taba sull'attuazione degli accordi.
Scambio di uffici rappresentanza tra Israele, Oman e Qatar.
(29 maggio) Rinnovo della Knesset e prima elezione diretta del primo ministro (Benjamin Netanyahu del Likud).
(4 settembre) Primo incontro Netanyahu-Arafat.
(settembre) La falsa accusa che Israele starebbe scavando un tunnel sotto le moschee di Gerusalemme scatena attacchi palestinesi contro soldati e civili israeliani con numerosi morti e feriti. Per la prima volta poliziotti palestinesi usano le armi d'ordinanza contro gli israeliani.

1997
(15 gennaio) Nel quadro dell'attuazione degli accordi ad interim, Netanyahu e Arafat firmano il protocollo su Hebron (la citta' e' ripartita in zone H1 e H2).
Con il ridispiegamento di Israele a Hebron, piu' del 95% della popolazione palestinese non e' piu' sotto controllo israeliano.
(giugno) A trent'anni dalla riunificazione, Gerusalemme conta 600.000 abitanti, di cui 422.000 ebrei.
(30 luglio) Attentato nel mercato Mahane Yehuda di Gerusalemme.
(dicembre) Scolare israeliane uccise da un soldato giordano. Re Hussein porta di persona le sue condoglianze alle famiglie colpite.

1998
Israele celebra 50 anni di indipendenza. Il paese tocca i 6 milioni di abitanti (80% ebrei).
(7 agosto) Attentati terroristici, attribuiti al gruppo fondamentalista del miliardario di origine saudita Osama bin Laden, distruggono le ambasciate degli Stati Uniti in Kenya e Tanzania (300 morti).
(settembre) Netanyahu e Arafat firmano il Memorandum di Wye Plantation per l'applicazione degli accordi ad interim.
(29 ottobre) Terrorista suicida si getta con autobomba contro scuolabus israeliano nella striscia di Gaza, soldato israeliano muore sventando l'attentato con la propria jeep.
(6 novembre) Autobomba nel mercato Mahane Yehuda di Gerusalemme (2 morti).
(14 dicembre) Il Consiglio Nazionale Palestinese, riunito a Gaza alla presenza del presidente americano Bill Clinton, approva ufficialmente gli emendamenti alla Carta dell'Olp promessi da Arafat nella lettera a Rabin del 1993.

1999
(febbraio) Muore re Hussein di Giordania. Gli succede il figlio Abdullah II.
(17 maggio) Elezioni anticipate in Israele. Seconda elezione diretta del primo ministro (Ehud Barak, laburista).
(luglio) Muore dopo 38 anni di regno re Hassan II. Gli succede il figlio Mohammed VI.
(settembre) Barak e Arafat firmano il Memorandum di Sharm el-Sheikh che definisce un calendario per l'attuazione degli accordi ad interim e l'avvio dei negoziati per lo status definitivo.
(ottobre) La Siria rifiuta la proposta ufficiosa israeliana di un ritiro completo dal Golan sulle linee del 1948.
(7 novembre) Bomba nella citta' israeliana di Netanya.
(novembre) Incidente diplomatico fra Israele e Santa Sede perche' gli israeliani non si oppongono al progetto di una grande moschea a Nazareth.

2000
(marzo) Visita ufficiale di papa Giovanni Paolo II in Israele.
(maggio) Israele si ritira unilateralmente dalla "fascia di sicurezza" nel Libano meridionale.
(giugno) Muore il presidente siriano Hafez el-Assad. Gli succede il figlio Bashar.
(luglio) A Camp David, Ehud Barak offre ad Arafat la piu' avanzata proposta israeliana per porre definitivamente termine al conflitto: ritiro quasi totale dai territori, forme di condivisione di Gerusalemme e dei Luoghi Santi. Arafat rifiuta.
(settembre-ottobre) Cogliendo il pretesto di una visita del leader dell'opposizione Ariel Sharon al Monte del Tempio di Gerusalemme, i palestinesi scatenano un'ondata di attacchi e violenze, con ampio uso di armi da fuoco e attentati terroristici, lungo i "confini" fra Israele e Autorita' Palestinese. Bambini palestinesi mandati in prima linea contro i soldati. Linciaggio di due israeliani nelle mani della polizia palestinese a Ramallah. Distruzione della Tomba di Giuseppe a Nablus. Tre soldati israeliani vengono sequestrati da terroristi Hezbollah libanesi. Si blocca la cooperazione economica e la collaborazione per la sicurezza. E' la crisi piu' grave da quando e' iniziato il processo di pace.
(dicembre) Dimissioni del primo ministro israeliano Ehud Barak.

2001
(gennaio) Il presidente uscente Bill Clinton rende nota una sua proposta di compromesso. Israele accetta in linea di principio, i palestinesi pongono condizioni.
(gennaio) Lenta ripresa dei negoziati diretti. Dichiarazione congiunta israelo-palestinese di Taba.
(6 febbraio) Elezioni anticipate in Israele per la sola carica di primo ministro. Viene eletto con larga maggioranza Ariel Sharon (Likud). Percentuale di votanti ai minimi storici.
(7 marzo) Nasce il governo Sharon (coalizione di 7 partiti fra cui Likud, laburisti, Shas). La Knesset abroga l'elezione diretta del primo ministro.
(maggio) Rapporto della commissione internazionale Mitchell che prevede: cessazione immediata e incondizionata delle violenze, periodo di tregua, misure reciproche per ricreare fiducia, ripresa dei negoziati di pace.
(22 maggio) Israele accetta il rapporto Mitchell e annuncia cessate-il-fuoco unilaterale. Nessuna tregua da parte palestinese.
(1 giugno) Attentato suicida a discoteca Tel Aviv: uccisi 21 adolescenti israeliani. Sotto pressioni Usa e del ministro tedesco Fischer, Arafat annuncia cessate-il-fuoco, ma le violenze continuano. Mediazione del direttore della Cia Tenet per applicazione tregua.
(13 giugno) Entra ufficialmente in vigore la tregua Tenet. Ma le violenze palestinesi continuano con agguati, tiri di mortaio, ordigni, granate e spararatorie.
(9 agosto) Attentato suicida palestinese alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme (18 morti).
(11 settembre) Quattro aerei civili vengono dirottati da terroristi suicidi e fatti schiantere sulle Twin Towers di New York e sul Pentagono, a Washington. Piu' di tremila morti. Gli Usa, la Nato e numerosi altri paesi in tutto il mondo si dichiarano pronti a combattere il terrorismo internazionale e coloro che lo appoggiano.
(2 ottobre) Primo caso negli Usa di carbonchio da bacillo antrace. Si teme attentato batteriologico.
(7 ottobre) Inizio operazioni militari anglo-americane contro regime Talebani in Afghanistan che protegge Osama Bin Laden e la sua rete terroristica Al-Qaeda, principale sospettato degli attentati dell'11 settembre.
(17 ottobre) A Gerusalemme, attentato terroristico rivendicato dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Habbash (che fa base in Siria): assassinato in albergo il parlamentare e ministro israeliano Rehavam Ze'evi.
(13 novembre) Cade Kabul: i Talebani abbandonano la capitale afghana dopo cinque anni di regime oscurantista.
(1-2 dicembre) Week-end di sangue in Israele: due attentati suicidi e un'autobomba a Gerusalemme, attentato suicida a Haifa piu' alcuni agguati e attentati in Cisgiordania e striscia di Gaza: 26 morti e 275 feriti nel giro di 24 ore.
(12-13 dicembre) Tre attentati terroristici palestinesi causano 10 morti e piu' di 30 feriti. Il governo israeliano dichiara "non piu' rilevante" il ruolo di Arafat. "

(note storico-crologiche tratte da www.israele.net)

il resto è....attualità.

Shalom!!!

Pieffebi
09-05-03, 15:26
da www.shalom.it

" L'esperienza educativa di Angelica Calò Livné dimostra che ragazzi israeliani e palestinesi possono vivere fianco a fianco
Crescere insieme è possibile

di Amedeo Moscato


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Metti due bambine (le chiameremo Samia e Vered) una davanti all'altra, una araba e una israeliana. Qualcuno direbbe: "impossibile". Anche loro forse non riuscirebbero a guardarsi negli occhi con la semplicità e la spontaneità che contraddistingue i più piccoli. L'israeliana ha paura, ricorda l'amichetto morto nell'attentato terroristico e ha perso un parente; l'araba stanca di vivere nella povertà e tra gli spari della guerra, continuamente costretta ad odiare il vicino ebreo, il nemico.
Da una parte la bimba araba con in mano un volantino in cui un aereo si schianta contro una Moschea; la bimba, impaurita e con gli occhi spenti, ti guarda e ti chiede se sei felice di vedere quell'immagine, proprio tu che sei ebreo. Tu le rispondi che nessuno può essere felice di sapere che degli innocenti stanno morendo senza motivo, "nessun essere umano può essere felice della morte di un altro essere umano, perché siamo tutti uguali", è la tua replica. La bambina scoppia a piangere. Tu che le chiedi: "Quanti ebrei conosci?" Lei risponde: "Io non li conosco".

E poi una bambina israeliana che improvvisamente non vuole più saperne di vivere vicino agli arabi, ai palestinesi, che ha il terrore di giocare con un altro bambino che non sia ebreo. Una bambina che non vuole raccontarti il perché, fino a quando, durante un incontro psicologico per far aprire i piccoli all'espressione delle proprie paure e dei propri dolori, esplode in un pianto e inizia a parlare senza fermarsi dicendo: "Ma che ne sapete voi della paura; mio fratello aveva appena fatto il Bar Mitzvà e mio padre ci aveva portato tutti in vacanza a Mombasa. Ci hanno accolto con fiori e petali di rosa, ma ad un certo punto ho sentito un' esplosione, ho visto i feriti e i morti da tutte le parti; la piscina era diventata tutta rossa e piena di sangue. Perché? Perché ci vogliono ammazzare tutti? Io ero in vacanza, non ho fatto nulla e i terroristi sono venuti a cercarci anche fuori da Israele".

Questa è la realtà. Un pezzo della realtà del popolo palestinese e del popolo israeliano, visto dai più piccoli, da coloro che possono e devono cambiare il futuro. Questa è la realtà che vive e ci racconta Angelica Edna Calò Livné, un'ebrea romana che dal 1975 vive, con il marito e i quattro figli, a Sasa, un kibbutz dell'Hashomer Hatzair nell'estremo nord d'Israele, al confine con il Libano. Angelica non ama essere chiamata pacifista, ma piuttosto "una donna per la pace". Lei lo è davvero, e lo dimostra ogni giorno lavorando con i giovani, insegnando e coinvolgendo docenti e studenti arabi ed ebrei a Ybellin, un villaggio arabo vicino Haifa. Samia e Vered sono sue alunne, sue amiche; quelle due bimbe oggi riescono a guardarsi negli occhi, grazie all'impegno di chi, come Angelica, crede che l'unica strada percorribile sia quella che porta alla pace, con tutte le difficoltà e i dolori ancora da vivere. L'esperienza di questa donna speciale è oggi nel libro "Un si, un inizio, una speranza", (edito da "Tempi) che Angelica ha presentato insieme al giornalista della Rai Giancarlo Santalmassi, conosciuto lungo la via del dialogo attraverso Internet.

"Ognuno di noi credo che abbia un compito - dice Angelica - e il mio è quello di creare un ponte tra arabi e israeliani. Loro sono 300 milioni, noi 6 milioni, la maggior parte vorrebbe la nostra fine, ma molti vogliono la pace. Io devo cercare a tutti i costi queste persone" ha raccontato. "Negli ultimi due anni insegno sempre più a ragazzi arabi e israeliani insieme, nonostante le difficoltà che oggi rallentano il dialogo e nonostante i piccoli palestinesi vengano indottrinati all'odio. L'educazione è fondamentale, e per questo io insegno e voglio che i ragazzi arabi e israeliani crescano insieme" ha proseguito Angelica.

Nel percorso di questa esperienza resterà indimenticabile l'incontro con Rav Efraim, salvato in un burrone da Yehudà, marito di Angelica; è nata un'amicizia tra un religioso di destra e un kibbutznik di sinistra, ma nonostante ciò il Rav ha invitato Angelica e la sua famiglia a passare uno Shabbat a casa sua e ad aprire loro le 'porte' di Mea Shearim.

Altro episodio memorabile è l'amicizia nata tra Angelica e Samar, una donna araba che gestisce un villaggio di orfani composto da 180 bambini arabi e una casa con 50 bambine arabe. Le due donne attraversano Israele, rischiando anche la vita, per incontrarsi ed organizzare iniziative comuni tra ragazzi arabi e israeliani. "Samia e Vered oggi giocano insieme - ha detto Santalmassi - solo perché qualcuno ha spiegato loro la verità, solo perché una parola d'amore è stata più forte del grido di dolore e delle bugie, solo perché è insegnando ad amare il prossimo che qualcuno può sorriderti, solo perché i bambini vanno amati e non costretti ad uccidere il proprio vicino, solo perché è educando i ragazzi che domani il mondo vedrà tramontare l'odio. Solo perché una donna dai capelli ricci e neri, con un'energia quasi magica, con una luce piena di emozioni, vuole la pace e non vuole più leggere lettere come quella che Dani Cohen, un giovane soldato israeliano, aveva scritto ai propri genitori. Una lettera in cui li ringraziava di tutto e dove chiedeva loro di non avere rimpianti se fosse caduto, perché lui era fiero della sua famiglia. Dani Cohen è morto, gli hanno sparato in testa mentre, insieme a 13 suoi compagni, cadeva in un'imboscata. Un bambino aveva invitato i soldati a seguirlo dentro un cunicolo per essere aiutato. Quel bambino era in un luogo dove l'odio, la povertà, le ingiustizie, si intrecciano con il destino di un altro giovane e della sua vita caratterizzata dal dolore, dalle bombe dentro gli autobus, nei bar".

Ognuno di noi ha un bambino nel suo destino, ma Angelica vuole la pace per poter vedere milioni di bambini salutarsi e sorridere al destino con l'unico messaggio possibile: la pace. Per un futuro dove Samia e Vered non debbano più veder cadere i propri figli.



In occasione della presentazione del suo libro, SHALOM ha intervistato Angelica Calò Livnè.



Qual è il tuo rapporto con la sinistra israeliana e con i movimenti pacifisti?

Io non amo avere, e non ho, nessun rapporto con la politica. Sono delusa perché questa sinistra nega a priori i diritti anche ad Israele. Non fa altro che schierarsi con i palestinesi solo perché Israele è un Paese sviluppato, invece di aiutare gli arabi concretamente. Questo è un sistema antisocialista: chi è veramente di sinistra si prodiga per la pace, crea ponti e non rotture, agisce sul campo, e non sventola bandiere della pace di parte.



Perché la sinistra israeliana ha perso le elezioni e il proletariato ha votato per il centro destra?

Perché il Paese è in difficoltà e la sinistra ha un immagine calma, tesa al dialogo. Sharon invece ha il polso forte e trasmette sicurezza. La sinistra ha fallito ed è stata tradita da Arafat. Una parte del popolo attribuisce alla sinistra la colpa della non pace e di quello che ora sta accadendo.



Tu hai un figlio che sta facendo il militare. Cosa senti come madre e come donna di pace?

Questo è il dilemma e la tragedia di ogni madre israeliana. Tutti vorremmo i nostri figli a casa, ma, da donna pacifista, per fortuna sono almeno consapevole che mio figlio indossa una divisa militare che è quella dell'esercito più morale del mondo, un esercito fondamentale per la difesa dello Stato d'Israele. Un esercito di difesa, non di attacco. Mio figlio ha sempre giocato fin da piccolo con il Lego, con le macchinine, mai con le armi. E' cresciuto con i valori del rispetto, della pace, della democrazia. Lui può e deve, come tutti gli ebrei, dare l'esempio, un esempio positivo.

E' per questo che essere pacifista non è in contraddizione con il fatto che un figlio abbia un'arma con sè.

Proprio lui che conosce le regole del rispetto saprà affrontare il prossimo con un atteggiamento giusto e volto alla pace.



Cosa pensi della guerra all'Iraq da pacifista e da israeliana?

Conosco la guerra e sono contro ogni forma di guerra, ma da ebrea credo che occorra fare qualcosa contro chi distrugge l'equilibrio del mondo attraverso il terrorismo.

Queste persone non possono restare impunite. Sono un pericolo per tutti, e oggi per il futuro d'Israele, visto che vogliono la nostra fine.



Tra qualche anno gli arabi israeliani saranno più degli israeliani. Oggi la proporzione è 6 milioni di ebrei, 1 milione di arabi. Israele può rischiare di ritrovarsi invasa da una popolazione in maggioranza araba?

In Galilea gli arabi oggi rappresentano il 51% della popolazione. Ebrei ed arabi si rispettano. Israele è il paese degli ebrei e dipenderà da noi se gli arabi israeliani vivranno bene a tal punto da non odiarci e da volere la pace. Noi dobbiamo dare loro l'esempio. Non c'è alternativa. Dobbiamo vivere insieme.



Un messaggio per i giovani?

Essere presenti, guardare, capire, indagare senza farsi convincere. Devono rimanere con la purezza e con il senso di giustizia che sono propri dei giovani. Ragazzi guardate sempre i due lati della medaglia, e se non ve lo permettono andate a scoprire la verità! "

Shalom!

Pieffebi
09-05-03, 20:41
da www.aljazira.it

" [..] Il sondaggio israelo-palestinese conferma l’appoggio alla «Road Map»

Il sondaggio d’opinione realizzato in due distretti, uno palestinese e uno israeliano, diffuso mercoledì scorso [16 aprile 2003, n.d.r.] dalla stampa palestinese, ha mostrato che la maggioranza dei Palestinesi e degli Israeliani appoggia il progetto della «Road Map» per la convivenza pacifica in Medio Oriente e la designazione di Mahmûd ‘Abbâs (Abû Mâzen) a Primo Ministro, in quanto vi vedono la speranza di tornare al tavolo delle trattative . Il distretto palestinese ha effettuato il sondaggio politico esaminando le proposte del governo e dell’Istituto Truman che dipende dall’Università Araba per la Ricerca della Pace. Il sondaggio ha rivelato che il 55% dei Palestinesi e il 61% degli Israeliani appoggiano la «Road Map» proposta dalla commissione quadrilaterale composta da Onu, Usa, Ue e Russia. Dal sondaggio viene fuori anche che il 71% dei Palestinesi è per la fine delle azioni violente da entrambe le parti . Il sondaggio ha mostrato che il 46% dei Palestinesi appoggia la posizione del Primo Ministro all’interno dell’Autorità Palestinese, e il 70% dei Palestinesi e il 65% degli Israeliani ritengono che il governo di Abû Mâzen sarà in grado di far riprendere i negoziati di pace.
Il sondaggio risulta favorevole alla continuazione delle consultazioni tra Abû Mâzen e il Presidente palestinese Yâser ‘Arafât per la formazione di un nuovo governo che sia in linea con la posizione del nuovo Primo Ministro.
I più alti responsabili palestinesi, mercoledì scorso, hanno dichiarato che Israele si conformerà al rifiuto americano di modificare la «Road Map» in cambio dell’appianamento del conflitto israelo-palestinese. Questo spirito ha caratterizzato tutti gli incontri con il principale alleato di Israele, e si auspica che Washington prenda in considerazione le misure preventive israeliane in modo che la questione resti legata all’applicazione del documento che la Commissione quadrilaterale ha elaborato per il Medio Oriente.
Zelman Shofal, consigliere diplomatico del Primo Ministro Ariel Sharon, ha detto alla rappresentanza francese a Parigi: “Certamente preferiamo che l’emendamento del testo avvenga prima delle sua pubblicazione, ma la cosa basilare è che venga applicato”. Ed ha aggiunto: “Il mondo ha tutti i motivi di credere che in quel momento gli Stati Uniti prenderanno in considerazione le nostre osservazioni”.
Un responsabile del Ministero degli Esteri, da parte sua, rifiutando di rivelare il proprio nome, ha detto che “non è nelle nostre previsioni che Washington cambi (la «Road Map») prima della sua pubblicazione.
Il Ministro degli Esteri americano Colin Powell ha dichiarato martedì scorso [15 aprile 2003, n.d.r.] che la «Road Map», che stabilisce la costituzione di uno Stato palestinese per tappe entro il 2005, sarebbe stata pubblicata senza modifiche, dopo che Israele, all’ultimo momento, aveva chiesto di apportare delle variazioni. Powell ha detto che il documento verrà pubblicato nell’ultima versione “che è stata redatta nel dicembre scorso” ed ha affermato che il documento indicherà le richieste del Primo Ministro palestinese designato Mahmûd ‘Abbâs (Abû Mâzen).


Shalom: “E’necessario che la leadership palestinese rinunci al sogno di una «Grande Palestina»”

Tel Aviv, di volta in volta, per bocca dei suoi responsabili ha tentato di conoscere la formazione del nuovo governo palestinese, desiderandolo conforme alle sue esigenze e condizioni. Ma dopo aver visto che l’Intifâda e le lotte interne dei Palestinesi hanno frenato le condizioni per poter tornare al tavolo dei negoziati, ha affermato la necessità che la leadership palestinese rinunci al sogno di una «Grande Palestina».
Il Ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom, nell’esporre la «Road Map» americana ha dichiarato: “ Abbiamo raggiunto il punto che ci ha permesso di riprendere le operazioni di pace, e per questo motivo c’è bisogno di una leadership palestinese coraggiosa che rinunci al sogno di una «Grande Palestina», il che significherebbe l’annientamento dello Stato d’Israele ”. Concludendo l’incontro con l’Ambasciatore americano a Tel Aviv Dan Kurtzer, avvenuto ieri sera a Gerusalemme, Shalom ha poi aggiunto: “Le operazioni odierne provano che non c’è stato alcun cambiamento nel modo di pensare della leadership palestinese. Quindi Israele si attende dall’Autorità Palestinese che faccia pervenire un chiaro messaggio alle organizzazioni palestinesi, sia a parole che nei fatti, manifestando la sua intenzione di limitarne l’attività”.
Nel contempo, l’Ambasciatore degli Stati Uniti a Tel Aviv ha detto che i colloqui con il capo di Gabinetto del Primo Ministro israeliano Dov Weisglass a Washington sono stati “ottimi e proficui”, indicando che “ gli Stati Uniti sono sempre stati pronti ad ascoltare l’opinione di Tel Aviv, e terranno in grande considerazione la sua sicurezza in quanto fedele alleato strategico ”. "

Shalom!!!

Pieffebi
10-05-03, 21:32
dal sito dell'ambasciata d'Israele in Italia:

" E' l'ora delle scelte coraggiose in Medio Oriente

http://roma.mfa.gov.il/mfm/Data/24502.jpg
di Carlo Rossella, Direttore Panorama

Certe sinistre italiane, sempre così critiche anche nei confronti dello Stato di Israele, e sempre così tolleranti nei confronti di Arafat e delle sue bande armate, dovrebbero leggere e meditare l’intervista rilasciata domenica 13 aprile dal premier Ariel Sharon al quotidiano Haaretz. Dopo la guerra degli alleati all’Iraq e la vittoria anglo-americana contro il regime criminale di Saddam Hussein , Arafat ha perso uno dei principali alleati del terrorismo palestinese.

In Medio Oriente é l’ora delle scelte coraggiose, della real-politik. Sharon ha dimostrato , dichiarandosi pronto a compiere passi dolorosi, di essere all’altezza dei tempi. Sharon ha detto chiaro che ora c’é la chance di un accordo coi palestinesi. Purché costoro siano così intelligenti da capirlo. L’atteggiamento israeliano, pieno di speranze dopo la fine dell’incubo Saddam e la messa in guardia del regime-canaglia che governa a Damasco, arriva alla vigilia della presidenza italiana della Comunità europea.

Un semestre nel quanle la nostra diplomazia , oggi, fortunatamente , meno filo palestinese di due anni fa e molto più equilibrata, potrà svolgere un ruolo importantissimo. La road map é una via che Israele intende percorrere in modo pacifico e realista.

L’Italia, governata da un uomo saggio come il primo ministro Silvio Berlusconi , saprà camminare su questa strada verso la pace insieme con lo stato ebraico e con chi, nel campo arabo-palestinese, vorrà essere disponibile. Il governo del Polo delle Libertà ha fatto molto per migliorare le relazioni politiche ed economiche con Israele. La politica estera più bilanciata dell’Italia deriva da una più chiara visione dell’interesse nazionale.



Israele, democrazia circondata da stati autoritari é un alleato naturale dell’Italia. Abbiamo valori comuni ampiamente condivisi. E i nostri legami possono diventare ancora più forti col governo di Gerusalemme. In più siamo enrambi sinceri amici degli Stati Uniti. Roma può fare da ponte, nel Mediterraneo, fra Israele e i regimi arabi moderati. Dando così un forte contributo al processo di pace e di stabilità. "

Shalom!!!

Pieffebi
10-05-03, 22:18
LA CARTINA DELLO STATO DI ISRAELE (amministrativa)

http://digilander.libero.it/thatsthequestion/israele.gif


composizione della popolazione dello Stato:

ebrei 80,5%
musulmani 14,6%
cristiani 3,2%
drusi 1,7%


le dimensioni dello Stato di Israele:

http://digilander.libero.it/thatsthequestion/Italia%20e%20Israele.gif

SUPERFICIE: Kmq 20.700
POPOLAZIONE: 5.850.000



Shalom!!!

Pieffebi
11-05-03, 20:35
Cartina Politica dello Stato di Israele

http://www.lib.utexas.edu/maps/cia02/israel_sm02.gif



L'atlante stradale della regione ... al seguente indirizzo internet:
http://www.templebuilders.com/maps/maphtm.htm

Pieffebi
12-05-03, 16:51
da www.israele.net

" Lunedi' 12 Maggio 2003
Scegli un tuo interesse
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NOTIZIE BREVI

Lunedi' 12 MAG 2003

Il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si incentreranno prima del viaggio di Sharon a Washington del prossimo fine settimana.

Ripresi i colloqui israelo-palestinesi sulla sicurezza, fra Amos Gilad, responsabile della politica israeliana nei territori, e Muhammad Dahlan, ministro palestinese per gli affari della sicurezza.

Verranno scarcerati lunedi' altri 110 detenuti palestinesi, portando a 180 il totale dei detenuti palestinesi scarcerati negli ultimi due gironi come misure da di buona volonta' da parte israeliana in occasione della visita del segretario di stato Usa Colin Powell. Inoltre Israele,nonostante la perdurante minaccia del terrorismo, intende: allentare la chiusura di sicurezza attorno ai territori, rilasciare altri 25.000 permessi di lavoro in Israele, riaprire e ampliare i passaggi di Erez e Karni fra striscia di Gaza e Israele, avviare un dialogo con l'Autorita' Palestinese sull'ampliamento dell'area industriale a Gaza per offrire maggiori opportunita' di lavoro ai palestinesi, rilanciare i colloqui israelo-palestinesi sulla sicurezza. Il ministro della difesa Shaul Mofaz ha poi ribadito la disponibilita' di Israele a ritirarsi dalla parte nord della striscia di Gaza non appena l'Autorita' Palestinese sara' in grado di assumere effettivamente il controllo della sicurezza nella zona.

A causa di numerosi allarmi-attentato, Israele ripristina domenica sera la chiusura di sicurezza attorno ai territori. "

Shalom!!!

Pieffebi
12-05-03, 20:58
dal sito di IDEAZIONE

" Roadmap, tutti i dubbi di Israele
di Stefano Magni

Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Onu, il “quartetto” che ha presentato il nuovo “percorso di pace” per il Medio Oriente, sembrano soddisfatti. Le dimissioni di Arafat e la nomina di un nuovo governo dell’Autorità Nazionale Palestinese, guidato da Mahmud Abbas (Abu Mazen), giudicato universalmente come la colomba palestinese, hanno reso euforiche le cancellerie e la stampa internazionale. Sembra che, come alla fine della precedente guerra del Golfo, il Medio Oriente sia destinato ad attraversare un nuovo periodo di pace e stabilità.

Tuttavia, soprattutto dopo i due attentati a Kfar Saba e Tel Aviv, avvenuti proprio mentre erano in corso le trattative per il nuovo governo palestinese, gli israeliani non paiono così ottimisti come i loro alleati d’oltre oceano. Gli ultimi attentati suicidi, secondo la rivendicazione pervenuta all’agenzia France Presse, sono frutto di un’operazione congiunta degli integralisti Hamas (organizzazione che può ostacolare, come sempre ha fatto, il nuovo processo di pace) e dei “laici” delle Brigate Martiri di Al Aqsa, braccio armato di Fatah, il partito di Arafat e dello stesso Abu Mazen. Lotta di potere fra il vecchio e il nuovo leader sulla pelle degli israeliani? Può darsi. Rimane il fatto che nuovi attentati nel corso delle trattative, gettano un’ombra già all’inizio del nuovo “percorso di pace”.

Altro dubbio israeliano: Arafat ha veramente lasciato il potere ad Abu Mazen? Come da accordi raggiunti, contemporaneamente al giuramento del nuovo governo, Arafat ha ordinato la creazione di un Consiglio di Sicurezza Nazionale, il cui compito è quello di controllare, in modo trasparente, tutti gli apparati della sicurezza dell’ANP. Dopo una tenace opposizione di Arafat e dopo un lungo e feroce dibattito interno, il nuovo organo di controllo non è stato affidato al vecchio leader dell’Olp, ma a un altro dirigente palestinese considerato una “colomba”: Mohammed Dahlan. Non senza giungere a un compromesso, però: l’Intelligence Generale e Forza 17 sono tuttora sotto il controllo diretto di Arafat. Ciò viola gli accordi che erano alla base del “percorso di pace”. E non si tratta di particolari irrilevanti nell’apparato di sicurezza palestinese: l’Intelligence Generale, guidata da Tawfik al Tirawi è l’ente più sospettato di coprire il terrorismo suicida delle brigate Al Aqsa da tre anni a questa parte. Al Tirawi, infatti, compariva in tutti i documenti sequestrati dai militari Israeliani durante l’Operazione Muro di Difesa, quale principale anello di congiunzione fra Arafat e le Brigate Martiri. Il mantenimento del controllo dei servizi di sicurezza palestinesi da parte di Arafat, combinato con i due ultimi attentati suicidi, gettano un’ombra ancora più pesante sull’inizio del “percorso di pace” .

Terzo dubbio israeliano: Mahmud Abbas/Abu Mazen è veramente quella “colomba” così come viene dipinto dalla stampa e da tutte le cancellerie impegnate nel processo di pace? Nel suo discorso di investitura, Mazen ha incluso nel suo programma il cosiddetto “diritto al ritorno”, ciò che aveva contribuito a far naufragare i precedenti accordi di Camp David: il programma prevede il reintegro in Israele di tutti gli otto milioni [sic! ndr] di profughi palestinesi (compresi i loro discendenti, anche coloro che in Israele non sono mai vissuti) cosa che, obiettivamente, costituirebbe una bomba demografica tale da cancellare, di fatto, lo Stato di Israele. Su questo punto è possibile che le future trattative fra israeliani e palestinesi possano naufragare . Nel passato recente, Abu Mazen si è presentato come il leader moderato e pronto alla trattativa con Israele, ma da lui non è mai giunta una sola autentica condanna al terrorismo palestinese. Il 3 marzo aveva dichiarato al giornale arabo di Londra Al Sharq Al Awsat: “Sulla base degli accordi presi al Cairo (con Hamas e la Jihad, ndr) abbiamo raggiunto un accordo per il congelamento delle operazioni militari palestinesi per un anno (…) Questo non vuol dire, naturalmente, che abbiamo accantonato la lotta armata. L’Intifada deve continuare”.

In un’altra dichiarazione pubblica, dopo aver condannato il terrorismo islamico, Abu Mazen aveva fatto dei distinguo molto importanti, sostenendo che la “resistenza armata” contro Israele non deve essere confusa con il terrorismo. Anzi: Abu Mazen ha sempre elogiato la “ coraggiosa insurrezione contro l’aggressione israeliana” e i palestinesi che “hanno combattuto con onore”. E nel linguaggio abituale del nuovo leader palestinese, i terroristi suicidi sono ancora chiamati “martiri” . Il passato meno recente di Mazen rivela dei particolari ancora meno confortanti. Sospettato di essere uno dei finanziatori del massacro della squadra olimpica israeliana alle Olimpiadi di Monaco, Abu Mazen ha studiato a Mosca dove si è specializzato in tesi anti-sioniste. Secondo il leader “moderato”, il movimento internazionale sionista avrebbe inventato l’Olocausto per giustificare la nascita di Israele. Senza temere contraddizioni, un altro suo testo, “La relazione segreta fra il nazismo e il movimento sionista”, sostiene invece che i sionisti abbiano premuto sui nazisti per intensificare lo sterminio degli ebrei, onde ottenere maggior consenso per la creazione di uno Stato di Israele . Nonostante tutto, il premier israeliano Ariel Sharon e il ministro della Difesa Shaul Mofaz parlano del governo di Abu Mazen come di uno “sviluppo positivo” . Evidentemente la leadership palestinese non ha niente di meglio da offrire.

9 maggio 2003

stefano.magni@fastwebnet.it "

Shalom!!!

Pieffebi
13-05-03, 19:47
http://www.amicidisraele.org/images/israel.gif

L'inno Israeliano:

http://www.amicidisraele.org/images/hatikva.gif

Ha-Tikva

Kol od ba-levav penima
Nefesh Yehudi homia
Ul'fa'atei mizrakh kadima
Ayin le'Tzion tzofiya
Od-lo avda tikvateynu
Ha'tikvah bat shnot alpayim
Lihyot am khofshi be-artzeynu
Eretz Tziyon v'Yrushalayim.

traduzione:

La speranza

Fintanto che nell'intimo del cuore freme l'anima ebraica
e l'occhio guarda a Sion, là nell'oriente lontano.
Non è ancora perduta la nostra speranza
la speranza, due volte millenaria
di essere un popolo libero nella nostra terra
la terra di Sion e Gerusalemme.

Shalom!!!

Pieffebi
14-05-03, 20:45
http://www.maps.com/magellan/Images/JERSUL-W1.gif

Pieffebi
15-05-03, 16:08
da www.israele.net

" Incontro Sharon-Abu Mazen nel fine settimana

14 maggio 2003

Il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si incontreranno alla fine di questa settimana, probabilmente sabato sera: sara' il primo colloquio al vertice israelo-palestinese da quasi tre anni. L'incontro potrebbe aver luogo nella residenza ufficiale di Sharon a Gerusalemme.
Secondo il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom, l'incontro Sharon-Abu Mazen segnera' anche la ripresa dei contatti a vari livelli fra Israele e palestinesi e della cooperazione congiunta sulla sicurezza.
In un'intervista al Jerusalem Post, Sharon smentisce che si tratti di "negoziati sotto il fuoco", un'opzione che ha sempre detto di non voler accettare. "La discussione vertera' su possibili intese per la sicurezza e contro l'istigazione alla violenza, e sulle richieste israeliane in questo campo - ha detto Sharon - I tempi dei discorsi, delle dichiarazioni e delle promesse sono finiti. Oggi bisogna attuare cose concrete. Alcuni ingenui, dieci anni fa, avevano pensato di potersi fidare delle promesse, ora non lo fa piu' nessuno. L'unica cosa che conta sono i fatti". Sulla soluzione "due popoli-due stati", Sharon ha aggiunto: "Non ho nessuna obiezione a uno stato palestinese come soluzione per il popolo palestinese e per i profughi palestinesi. Penso che sia una cosa positiva per noi e per i palestinesi. Non penso che possiamo continuare a mantenere il controllo su un altro popolo". Sharon ha poi sottolineato che lo stato palestinese dovra' rispondere anche al problema dei profughi palestinesi. " Non puo' darsi una situazione in cui alla fine ci sono due stati per un solo popolo ", ha concluso il primo ministro israeliano.
(Jersualem Post, 14.05.03) "

Shalom!!!

Pieffebi
18-05-03, 17:16
http://www.lastampa.it/redazione/_img/ngroadmap.jpg


Shalom!!!

DrugoLebowsky
19-05-03, 18:44
Originally posted by Pieffebi
Buon Compleanno Israele.
http://www.israel-amb.it/bandieraisrael.gif


Shalom!!!!

Le Tif'eret Medinat Israel

cmq io sapevo che, stando al calendario-atlante De Agostini, si scrive "Yisra'el" (ma potrei sbagliarmi).

Pieffebi
19-05-03, 20:15
Le traslitterazioni da lingue scritte con alfabeti diversi dai nostri sono sempre....variabili. Non sbagli affatto. Tu hai riportato una traslitterazione classica e tradizionale, io una più moderna.
Pensa alle traslitterazioni dal cirillico russo, ad esempio quell'ebreo Bronstein detto Trotzky, il cui nome di battaglia si trova translitterato modernamente in Trockji, Trotski, Trotskji e in svariati altri moti ancora..

Shalom!

Tsabar
19-05-03, 22:35
...con l' amico AngelodiCentro,e colgo l' occasione per ringraziare Pieffebi,organizzatore di questa piccola,simbolica celebrazione forumistica del 55° compleanno di Israele.

Shalòm alei adamòt (=pace sulla terra)


Tsabar

Tsabar
22-05-03, 14:24
Originally posted by AngelodiCentro
....anche 55 anni di terrorismo, morte, paura e distruzione per il popolo d'Israele. In questi giorni c'è anche l'escalation... :rolleyes:
ma gli assassini non vinceranno, la Pace avrà la meglio. questo è poco ma sicuro.
___________________________________

...me lo auguro di cuore!

Tuttavia,permettimi di essere piuttosto scettico (disilluso dai fallimenti del passato):attuando ben 5 devastanti attentati suicidi nelle sole 24 ore seguenti il primo vertice Sharon-Abu Mazen,i terroristi palestinesi hanno dimostrato tutta la loro...sincera volontà di pace.

Speriamo...

Shalòm!


Tsabar.

Pieffebi
23-05-03, 22:28
da www.corriere.it

" Bush: «Disponibile a vertice con con Sharon e Mazen»
Sharon: Israele pronto a dire sì al piano di pace
Domenica il premier sottoporrà la «road map» all'approvazione del suo governo. L'apertura dopo i colloqui con Washington

Il premier israeliano Ariel Sharon (Ap)
http://www.corriere.it/Hermes%20Foto/2003/05_Maggio/23/0HF8NYQP

GERUSALEMME - Il premier israeliano Ariel Sharon ha detto che Israele è pronto ad accettare il piano di pace noto come «road map» aggiungendo che lo sottoporrà domenica all'approvazione del suo governo. L'apertura di Sharon arriva dopo che gli Stati Uniti hanno promesso di prendere seriamente in considerazione le obiezioni sollevate da Israele nei confronti del documento messo a punto dal Quartetto (Stati Uniti, Ue, Russia e Onu). In un comunicato, Sharon informa di aver annunciato la decisione al presidente degli Stati Uniti George Bush, che, dopo aver ricevuto il messaggio, si è detto a sua volta disponibile per un vertice a tre, con il premier israeliano e quello palestinese.

SOSTEGNO USA - La Casa Bianca si è impegnata ad affrontare le «rilevanti preoccupazioni» esposte da Israele sull'itinerario di pace israelo-palestinese, che culminerà nella nascita dello Stato di Palestina. «Il governo degli Stati Uniti ha ricevuto una risposta dal governo di Israele in cui sono espresse 'rilevanti preoccupazionì riguardo la roadmap», hanno fatto sapere in una nota ufficiale il segretario di Stato americano, Colin Powell, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, signora Condoleezza Rice, dopo un colloquio con il presidente nella sua fattoria di Crowford, in Texas. «Gli Stati Uniti condividono il punto di vista del governo di Israele sul fatto che si tratti di preoccupazioni fondate che saranno affrontate per intero e con serietà nell'attuazione della roadmap», conclude la nota.

VERTICE A TRE - Dopo l'accettazione da parte del leader israeliano della «Road map», George Bush ha dichiarato oggi che «prenderà seriamente in considerazione» la possibilità di un incontro con il premier israeliano Ariel Sharon ed il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen, la mappa verso la pace in Medio Oriente. Così, durante la conferenza stampa congiunta con il premier giapponese Junichiro Koizumi nel suo ranch texano di Crawford, il presidente ha rispoto alle domande riguardo alle voci di un possibile incontro a tre - appunto Sharon, Abu Mazen e Bush - a giugno, secondo alcuni a Ginevra, secondo altri a Sharm el-Sheik. «Se un incontro potrá aiutare a fare progressi verso due stati che vivano l'uno a fianco dell'altro in pace, prenderò seriamente in considerazione questa possibilita» ha detto il presidente Usa.
23 maggio 2003 "

Shalom!!!

Tsabar
23-05-03, 23:13
...tutti noi desideriamo ardentemente la pace per quella terra splendida e martoriata:ma io resto del pessimistico avviso che essa resterà irragiungibile,sino alla liquidazione politica del boss della mafia terrorista "don" Yasser Arafat.

Tanto più che la "moderata" ANP arafattiana prosegue imperterrita a lavorare per la pace,secondo una sua consolidata prassi...
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NEL MONDO

Mo: Israele, marina intercetta nave hezbollah con armi

(ANSA) -GERUSALEMME, 22 MAG -Unita' speciali della marina e dell'aviazione militare di Israele hanno sequestrato al largo della costa libanese la nave Abu Hussein carica di armi da guerra. Lo riferiscono oggi i media israeliani, secondo cui a bordo c'erano due ufficiali della guerriglia Hezbollah e sono stati trovati documenti, armi ed esplosivi destinati all'Autorita' nazionale palestinese a Gaza. La notizia e' stata confermata da due tv arabe,tra cui la qatariota Al Jazira.
2003-05-22 - 16:14:00

© Copyright ANSA Tutti i diritti riservati

Pieffebi
25-05-03, 15:23
da www.israele.net

" Una "road map" imperniata sui risultati per una soluzione permanente del conflitto israelo-palestinese basata su due stati
(30 aprile 2003)

25 maggio 2003

Il presente documento e' una road map operativa e mirata, con fasi distinte, tempi d'attuazione, scadenze e capisaldi specifici. Grazie all'impegno di entrambe le parti, essa mira a conseguire avanzamenti in campo politico, economico, umanitario e in quello della sicurezza e della creazione di istituzioni, sotto l'egida del Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, Nazioni Unite e Russia). Obiettivo finale e' la completa risoluzione del conflitto israelo-palestinese entro il 2005, come gia' delineato nell'intervento del Presidente Bush del 24 giugno, e sottoscritto da Ue, Russia e Onu nelle dichiarazioni ministeriali del Quartetto del 16 luglio e del 17 settembre.
Una soluzione al conflitto israelo-palestinese mediante la creazione di due stati sara' possibile da una parte, solo grazie alla fine della violenza e del terrorismo, quando il popolo palestinese avra' una classe dirigente disposta a costruire una democrazia di fatto basata sui valori di tolleranza e liberta' e che agisca risolutamente contro il terrorismo; dall'altra solo quando Israele sara' pronta a operare attivamente per la creazione di uno stato palestinese. Solo, cioe', quando entrambe le parti saranno pronte ad accettare, inequivocabilmente, un accordo negoziato come quello descritto in questa sede. Il Quartetto collaborera' e favorira' l'attuazione del piano, che avra' inizio con la Fase I, comprendente, se necessario, contatti diretti tra le parti. Il piano prevede scadenze realistiche di attuazione. Poiche' si tratta, pero', di un piano operativo, il suo successo dipendera' unicamente dalla buona volonta' delle parti e dal rispetto degli obblighi sotto elencati. Piu' rapida sara' l'osservanza dei rispettivi obblighi, tanto piu' rapida sara' la transizione da una fase all'altra. Per contro, l'inadempienza del piano ne ostacolera' l'attuazione.
Un accordo, negoziato tra le parti, fara' nascere uno stato palestinese indipendente, democratico e vitale. Uno stato capace di convivere in pace e in sicurezza con Israele e gli stati confinanti. L'accordo risolvera' il conflitto israelo-palestinese e l'occupazione iniziata nel 1967, sulla base di quanto stabilito nella Conferenza di Madrid, dal principio "terra in cambio di pace" (Land for Peace Principle), dalle risoluzioni 242, 338 e 1397 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dagli accordi siglati in passato dalle due parti e dall'iniziativa di Sua Altezza il Principe saudita Abdullah - sostenuto dal vertice della Lega Araba di Beirut - che sollecita l'accettazione dello stato di Israele quale nazione pacifica e sicura nel contesto di un accordo piu' ampio. Questa iniziativa rappresenta un elemento vitale nell'impegno internazionale per la promozione di una pace duratura su tutti fronti, compresi quelli tra Siria e Israele e tra Libano e Israele.
Il Quartetto si incontrera' regolarmente ad alto livello per valutare il comportamento delle due parti rispetto all'attuazione del piano. E' previsto che, in ogni fase, le parti rispettino i propri obblighi in modo parallelo, salvo diversa indicazione.

FASE I: FINE DEL TERRORISMO E DELLA VIOLENZA, NORMALIZZAZIONE DELLA VITA DEI PALESTINESI E CREAZIONE DI ISTITUZIONI PROPRIE: ENTRO MAGGIO 2003

Nella Fase I i palestinesi cesseranno immediatamente e categoricamente ogni forma di ostilita' secondo le istruzioni descritte in questa sede; tale azione verra' accompagnata e rinsaldata da misure parallele adottate da parte israeliana. Palestinesi e israeliani sono tenuti a riprendere la cooperazione in materia di sicurezza basata sul piano Tenet, per porre fine alla violenza, al terrorismo e all'incitamento alla violenza tramite l'efficace riorganizzazione dei servizi di sicurezza palestinesi.
I palestinesi devono assumersi l'impegno di una riforma politica globale in vista dell'acquisizione del nuovo status di nazione che comprende la creazione della bozza di costituzione dello stato palestinese e l'organizzazione di elezioni libere ed eque in base ai provvedimenti summenzionati. Israele e' tenuta a favorire la normalizzazione della vita dei palestinesi: deve ritirarsi dai territori palestinesi occupati dal 28 settembre 2000 e, con il ripristino della sicurezza e della cooperazione, entrambe le parti devono tornare allo status quo antecedente a quella data. Israele deve altresi' congelare ogni attivita' di insediamento, conformemente al rapporto Mitchell.
All'inizio della Fase I:
- La leadership palestinese emanera' una dichiarazione inequivocabile che riaffermi il diritto di Israele a esistere, in pace e in sicurezza, ed esiga l'immediato e incondizionato cessate il fuoco per porre fine alla violenza e a qualsiasi azione armata intentata ovunque contro lo stato di Israele. Tutte le istituzioni palestinesi devono porre fine all'incitamento alla violenza contro gli israeliani.
- La leadership israeliana emanera' una dichiarazione inequivocabile in cui affermi il proprio impegno per la realizzazione del piano che prevede la creazione di uno stato palestinese indipendente, sovrano e vitale in condizioni di pace e sicurezza al fianco di Israele, come concepito dal presidente Bush; tale dichiarazione esige la fine della violenza contro i palestinesi, ovunque. Tutte le istituzioni israeliane devono porre fine all'incitamento alla violenza contro i palestinesi.
SICUREZZA
- I palestinesi dovranno dichiarare, in termini inequivocabili, la fine di ogni violenza e del terrorismo, intraprendendo chiare misure a livello locale per arrestare, interrompere e reprimere individui e gruppi che conducano e pianifichino ovunque attacchi violenti contro gli israeliani.
- L'apparato di sicurezza dell'Autorita' Palestinese, debitamente riorganizzato e rinnovato, dovra' intraprendere operazioni efficaci, mirate e prolungate, volte a confrontarsi con chiunque risulti coinvolto in atti terroristici, e dovra' altresi' smantellarne le reti e le relative infrastrutture. Cio' implica la confisca di armi illegali e il consolidamento delle forze di sicurezza, dissociati da ogni possibile connivenza con il terrorismo e la corruzione.
- Il governo d'Israele non deve intraprendere alcuna azione che possa compromettere la fiducia, come le espulsioni, gli attacchi contro civili; la confisca e/o la demolizione di case e proprieta' del popolo palestinese, come misura punitiva o tendente a favorire l'avanzamento degli israeliani; la distruzione di istituzioni e infrastrutture palestinesi e tutti gli altri provvedimenti definiti nel piano Tenet.
- I rappresentanti del Quartetto, usufruendo di meccanismi gia' in opera e di risorse in loco, inizieranno un monitoraggio informale e si consulteranno con le parti per stabilire un meccanismo formale di monitoraggio e predisporne l'attuazione.
- Gli Stati Uniti, come precedentemente concordato, attueranno il piano di sicurezza e cooperazione a sorveglianza esterna (Usa-Egitto-Giordania) per la ricostruzione, la formazione del personale e il ripristino dei servizi di sicurezza. Il Quartetto garantisce il mantenimento di un cessate il fuoco completo e duraturo.
* Tutte le organizzazioni di sicurezza palestinesi saranno consolidate e suddivise in tre dipartimenti che faranno capo ad un ministro degli interni con rinnovati poteri.
* Le forze di sicurezza palestinesi, cosi' ristrutturate dopo un'adeguata formazione del personale, e le Forze di Difesa Israeliane riprenderanno progressivamente la cooperazione in materia di sicurezza ed altre attivita' relative all'attuazione del piano Tenet, compresi regolari incontri stabiliti ad alto livello, con la partecipazione di funzionari dei servizi di sicurezza statunitensi.
- Gli stati arabi interromperanno tutti i finanziamenti istituzionali e privati ai gruppi che appoggiano o compiano atti di terrorismo o violenza.
- Tutti i donatori che sostengono la causa palestinese dovranno far affluire i loro finanziamenti tramite lo sportello unico di finanziamento (Single Treasury Account) del ministero delle finanze palestinese.
- Con il consolidamento della riorganizzazione completa dei servizi di sicurezza, le Forze di Difesa israeliane si ritireranno progressivamente dalle zone occupate dal 28 settembre 2000, e le due parti torneranno allo status quo antecedente a quella data. Le forze di sicurezza palestinesi verranno dislocate nelle zone abbandonate dalle Forze di Difesa israeliane.
CREAZIONE DELLE ISTITUZIONI PALESTINESI
- Inizio immediato e attendibile della riforma delle istituzioni con la creazione della bozza di costituzione dello stato palestinese. La diffusione della bozza della costituzione palestinese, basata su un parlamento solido e democratico, e su un gabinetto facente capo all'autorita' del primo ministro, avverra' il piu' rapidamente possibile per favorire un dibattito pubblico e relativi commenti in proposito. Dopo le elezioni, il comitato costituzionale sottoporra' la bozza alle istituzioni palestinesi competenti per l'approvazione.
- Nomina di un primo ministro ad interim o di un gabinetto con comitato esecutivo plenipotenziario o avente potere esecutivo.
- Il governo d'Israele favorira' in ogni modo i trasferimenti dei funzionari palestinesi per le riunioni del Consiglio Legislativo palestinese e del Gabinetto, per gli aggiornamenti in materia di sicurezza e sorveglianza internazionali, per le attivita' elettorali e di riforma e per ogni altro provvedimento relativo al piano di riforma.
- Saranno nominati ministri palestinesi con l'autorita' di intraprendere le riforme fondamentali, per tutto il tempo necessario. Saranno inoltre completate ulteriori misure per ottenere una reale separazione dei poteri, comprendenti tutte le relative riforme del sistema giuridico palestinese.
- Sara' inoltre istituita una commissione elettorale palestinese indipendente. Il Consiglio Legislativo palestinese redigera' ed emendera' le leggi elettorali.
- Saranno attuati i capisaldi del sistema giuridico, amministrativo ed economico istituiti dalla Task Force internazionale per le riforme dell'Autorita' Palestinese.
- Non appena possibile, saranno indette elezioni libere, eque e aperte a tutti, fondate su un sistema multipartitico libero, sulla base dei provvedimenti summenzionati e contestualmente a un dibattito aperto e a una campagna elettorale/selezione di candidati trasparente.
- Il governo d'Israele favorira' le attivita' della Task Force che collaborera' all'organizzazione delle elezioni, all'iscrizione degli elettori, al movimento dei candidati e dei funzionari elettorali. Saranno inoltre sostenute le attivita' delle ONG coinvolte nel processo elettorale.
- Il governo d'Israele riaprira' la Camera di Commercio ed altre istituzioni palestinesi da tempo chiuse nel settore orientale della citta' di Gerusalemme; queste istituzioni, a loro volta, si impegneranno a operare sulla base di accordi precedenti siglati da entrambe le parti.
RISPOSTA UMANITARIA
- Israele prendera' tutti i provvedimenti per migliorare la situazione umanitaria. Israele e i palestinesi attueranno appieno tutte le raccomandazioni del rapporto Bertini per il miglioramento delle condizioni umanitarie, togliendo il coprifuoco e facilitando il movimento di persone e merci; consentendo pertanto liberta' di accesso senza impedimenti e in sicurezza al personale umanitario e internazionale impegnato.
- Il Comitato di collegamento appositamente creato (Ad Hoc Liaison Committee) controllera' la situazione umanitaria e le prospettive di sviluppo economico della Cisgiordania e della striscia di Gaza, e lancera' un massiccio piano di assistenza sovvenzionato da donatori, oltre a specifiche attivita' di riforma.
- Il governo d'Israele e l'Autorita' Palestinese continueranno il processo di regolarizzazione delle entrate e il trasferimento di fondi ed arretrati, secondo un meccanismo di monitoraggio trasparente e approvato precedentemente.
SOCIETA' CIVILE
- Sara' garantito un continuo sostegno ai donatori, affiancato da ulteriori finanziamenti ricavabili tramite le Organizzazioni volontarie private e le ONG, per programmi "dalla gente per la gente" (people to people), per lo sviluppo del settore privato e per le iniziative della società civile.
INSEDIAMENTI
- Il governo d'Israele smantellera' immediatamente gli insediamenti costruiti dopo il marzo 2001.
- In conformita' al Rapporto Mitchell, il governo d'Israele congelera' ogni attivita' di crescita degli insediamenti (compresi quelli a sviluppo naturale).

FASE II: TRANSIZIONE - GIUGNO 2003-DICEMBRE 2003

Nella seconda fase, gli impegni saranno finalizzati alla creazione di uno stato palestinese sovrano e indipendente con frontiere provvisorie, basato sulla nuova costituzione quale fase transitoria verso una soluzione definitiva. Come rilevato in precedenza, tale obiettivo potra' essere raggiunto solo quando il popolo palestinese disporra' di una leadership risoluta, capace di agire con determinazione contro il terrorismo e in grado di costruire una democrazia di fatto basata sui valori di tolleranza e di liberta'. In presenza di una tale leadership, di istituzioni civili riformate e di strutture in grado di garantire la sicurezza, i palestinesi potranno contare sul sostegno attivo del Quartetto e della piu' vasta comunita' internazionale nell'istituzione di uno stato indipendente e vitale.
Il passaggio alla Fase II sara' basato sul giudizio consensuale del Quartetto che prendera' in esame i comportamenti di entrambe le parti e valutera' se esistono le condizioni appropriate per procedere. Assecondando e sostenendo l'impegno volto a normalizzare la vita dei palestinesi e a costruire istituzioni palestinesi, la Fase II iniziera' dopo lo svolgimento delle elezioni palestinesi e terminera' nel 2003 con la potenziale creazione di uno Stato palestinese indipendente con confini provvisori. Finalita' primarie di tale fase saranno la riorganizzazione completa e duratura dei servizi di sicurezza e una cooperazione efficace per garantirla, l'incessante normalizzazione della vita dei palestinesi e la creazione di istituzioni proprie, nonche' un'ulteriore ampliamento e rafforzamento degli obiettivi designati nella Fase I, la ratifica della costituzione democratica palestinese, l'istituzione del ruolo di Primo Ministro, il consolidamento della riforma politica e la creazione di uno stato palestinese con frontiere provvisorie.
- CONFERENZA INTERNAZIONALE: Convocata dal Quartetto, previa consultazione con le parti, subito dopo la conclusione delle elezioni palestinesi, sara' finalizzata a sostenere la ripresa economica palestinese e ad avviare il processo di istituzionalizzazione di un stato palestinese indipendente con frontiere provvisorie.
* La conferenza comprendera' tutte le parti interessate e sara' finalizzata al raggiungimento di una pace totale in Medio Oriente (comprendente le relazioni tra Israele e Siria e tra Israele e Libano), e si basera' sui principi descritti nel preambolo del presente documento.
* Gli stati arabi dovranno ripristinare le relazioni con Israele che esistevano prima dell'intifada (uffici commerciali ecc.).
* Saranno ripristinati gli impegni multilaterali su alcune questioni comprendenti le risorse idriche della regione, l'ambiente, lo sviluppo economico, il flusso dei profughi e il controllo degli armamenti.
- La nuova costituzione dello stato palestinese democratico e indipendente sara' definita e approvata dalle istituzioni palestinesi competenti. Nuove elezioni, se necessarie, dovranno svolgersi dopo l'approvazione della nuova costituzione.
- Il gabinetto del primo ministro, unito all'istituzione del ruolo di quest'ultimo, avra' competenza in materia di riforme, conformemente alla bozza di costituzione.
- I servizi di sicurezza dovranno essere totalmente riorganizzati e la cooperazione volta a garantire l'efficacia della sicurezza sulle basi indicate nella Fase I.
- Sara' creato uno stato palestinese indipendente con frontiere provvisorie, da realizzare mediante il reciproco impegno israelo-palestinese avviato dalla conferenza internazionale. Parte integrante del processo e' l'attuazione degli accordi precedenti, volti ad ampliare al massimo la contiguita' territoriale e comprendenti ulteriori disposizioni per gli insediamenti, di pari passo con l'istituzione di uno stato palestinese con frontiere provvisorie.
- Il ruolo internazionale di controllo della fase transitoria dovra' essere potenziato con il sostegno attivo, prolungato e operativo del Quartetto.
- I membri del Quartetto promuoveranno il riconoscimento internazionale dello stato palestinese, compresa una potenziale ammissione nelle Nazioni Unite.

FASE III: ACCORDO SULLO STATUS PERMANENTE E FINE DEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE -- 2004-2005

Il passaggio alla Fase III, basata sul giudizio consensuale del Quartetto, che valutera' il comportamento di entrambe le parti sotto il controllo esercitato dal Quartetto. Obiettivi della Fase III sono il consolidamento delle riforme e la stabilizzazione delle istituzioni palestinesi; la riorganizzazione efficace e durevole dei servizi di sicurezza palestinesi e i negoziati israelo-palestinesi finalizzati al raggiungimento di un accordo conclusivo nel 2005.
- SECONDA CONFERENZA INTERNAZIONALE: Sara' convocata dal Quartetto, previa consultazione con le parti, all'inizio del 2004, per appoggiare l'accordo precedentemente raggiunto per la creazione di uno stato palestinese indipendente con confini provvisori e per avviarne formalmente il processo di realizzazione con il sostegno attivo, durevole e operativo del Quartetto, che dovra' concludersi con una risoluzione finale e permanente nel 2005, riguardante i confini, lo status di Gerusalemme, i profughi, gli insediamenti; e per sostenere qualsiasi progresso verso un accordo complessivo per il Medio Oriente tra Israele e Libano e tra Israele e Siria, da raggiungere al piu' presto possibile.
- Sviluppi efficaci, esaustivi e durevoli del programma di riforma delineato dalla Task Force in preparazione dell'accordo finale.
- Riorganizzazione continua, durevole ed efficace dei servizi di sicurezza e cooperazione efficace, volta a garantirla sulle basi indicate nella Fase I.
- Impegno internazionale per favorire le riforme e rendere stabili le istituzioni e l'economia palestinesi in preparazione dell'accordo finale.
- Le parti raggiungeranno un accordo complessivo che porra' fine al conflitto israelo-palestinese nel 2005, mediante un accordo negoziato tra le parti, sulla base delle risoluzioni 242, 338 e 1397 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che porra' fine all'occupazione iniziata nel 1967 e che comprendera' una soluzione concordata, giusta, equa e realistica sulla questione dei profughi, e una risoluzione negoziata sullo status della citta' di Gerusalemme che prenda in debita considerazione gli interessi politici e religiosi di entrambe le parti e protegga la cultura religiosa di ebrei, cristiani e musulmani a livello mondiale, realizzando la visione politica di due stati: Israele e uno stato palestinese sovrano, indipendente, democratico e vitale, coesistenti l'uno a fianco dell'altro in pace e in sicurezza.
- Accettazione da parte degli stati arabi di relazioni normali e complete con Israele e sicurezza per tutti gli stati della regione nel quadro di una pace globale arabo-israeliana.
(Dipartimento di Stato Usa, ufficio del portavoce, 30.04.03) "


Shalom!!

Pieffebi
26-05-03, 19:56
da www.israele.net

" [i] Domenica 25 MAG 2003

Il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha annunciato venerdi' che a' pronto ad accettare la road map elaborata da Usa, Ue, Inu e Russia, e che la sottoporra' al governo israeliano domenica, o al piu' tardi lunedi', per la sua approvazione. La decisione di Sharon e' giunta subito dopo che l'amministrazione Bush, per bocca del segretario di stato Colin L. Powell e del consigliere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice, aveva espresso comprensione per le preoccupazioni israeliane circa la road map e aveva garantito che tali riserve sarebbero state tenute in seria considerazione . " Gli Stati Uniti - si legge nel comunicato ufficiale americano - condividono il punto di vista del governo israeliano secondo cui [quelle di Israele] sono preoccupazioni concrete che saranno tenute pienamente e seriamente in considerazione nell'attuazione della road map volta a realizzare la prospettiva indicata dal presidente Bush il 24 giungo 2002 ".

L'amministrazione americana sta considerando la possibilita' di convocare un vertice regionale per il 4 giugno a Sharm al-Sheikh (Egitto) , con la presenza del primo ministro israeliano Ariel Sharon e del primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). [/i "]


Shalom!!!

Pieffebi
26-05-03, 20:05
da www.iltempo.it

" Primo ponte verso la pace
http://62.110.253.162/home/sharon3.jpg

Il premier israeliano Ariel Sharon tornerà ad incontrarsi «entro questa settimana» con il suo collega palestinese Abu Mazen (Mahmuad Abbas). Lo prevedono fonti politiche israeliane, citate dalla stampa locale. I due statisti dovrebbero incontrarsi a Gerusalemme e dedicare il loro colloquio alla realizzazione della prima parte della road map, il percorso di pace approvato ieri in principio dal governo israeliano. Per il successivo vertice a tre con il presidente George Bush - previsto per i primi di giugno - la località preferita da Israele è Aqaba, il porto giordano affacciato sul mar Rosso. Lo ha riferito stamane la radio militare israeliana .

ISRAELE PRONTO AD ASSECONDARE I TENTATIVI DI PACIFICAZIONE PALESTINESI. Israele è disposto ad assecondare per alcune settimane il tentativo del premier palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) di ottenere dai gruppi armati islamici l'impegno a rispettare una «hudna», ossia una sospensione provvisoria dei loro attacchi anti-israeliani. «In questo momento - ha detto il ministro della difesa Shaul Mofaz (Likud) - Abu Mazen non potrebbe certo fare di più». «Israele - ha quindi precisato - è disposto ad accettare la 'hudna' solo per una fase transitoria, dopo la quale Abu Mazen dovrà dimostrare la propria capacità di combattere davvero il terrorismo». Mofaz ha confermato che Israele è disposto a cedere ai palestinesi il controllo di alcune porzioni della striscia di Gaza e della Cisgiordania. Ma in caso di allarme per attentati di imminente esecuzione - ha avvertito - Israele non esiterebbe a penetrare, per sventarli, nelle zone tornate sotto controllo palestinese.

Ultimo aggiornamento lunedì 26 maggio 2003 ore 13.00
"

Shalom!!!

Pieffebi
27-05-03, 12:37
da www.israele.net

" Road Map: commenti dalla stampa israeliana

27 maggio 2003

Scrive Ha'aretz: "Il governo israeliano domenica ha deciso a larga maggioranza (12 a favore, 7 contro, 4 astenuti) di accettare le misure previste dalla Road Map che l'amministrazione degli Stati Uniti ha consegnato alle parti il 30 aprile scorso. Questa maggioranza relativamente ampia e' stata raggiunta dopo che il primo ministro Ariel Sharon ha dichiarato che le 14 "riserve" avanzate da Israele agli Stati Uniti costituiscono delle "linee rosse" sulle quali Israele non intende scendere a compromessi. La votazione di domenica comprende fra l'altro una riserva che esclude l'ingresso di profughi palestinesi all'interno dello stato di Israele. Tuttavia, nonostante lo sforzo di limitare la portata della votazione con riserve e postille, il suo significato non puo' essere minimizzato: un governo israeliano con una maggioranza inequivocabilmente di destra, guidato da Ariel Sharon, acconsente ad avviare negoziati volti a porre fine all'occupazione iniziata nel 1967 e a creare uno stato palestinese."

Scrive il Jerusalem Post: "Per la prima volta il governo israeliano si e' formalmente e ufficialmente pronunciato per la creazione di uno stato palestinese ad ovest del Giordano. Si parlera' molto delle riserve che il governo ha approvato congiuntamente al suo appoggio alla Road Map. E tuttavia nessuna delle riserve di fondo avanzate da Israele altera il senso fondamentale del documento: uno stato palestinese. Il fatto degno di nota non sono tanto le riserve quanto che un governo cosi' nettamente di destra che Ariel Sharon ne rappresenta l'ala sinistra ha deciso di sostenere a larga maggioranza l'indipendenza palestinese. Il discorso di Bush del 24 giugno per la prima volta condizionava l'indipendenza palestinese al comportamento dei palestinesi, a una nuova dirigenza, a un giro di vite contro il terrorismo, alla democratizzazione. La Road Map torna indietro, gettando di nuovo il peso della responsabilita' su Israele. Se gli Stati Uniti continueranno a cercare di mostrare "equidistanza" facendo pressioni su Israele e trascurando cio' che Israele si aspetta dai palestinesi, allora la Road Map finira' a coprirsi di polvere insieme a tanti altri piani che l'hanno preceduta. Se invece gli Stati Uniti cambieranno approccio e attribuiranno al mondo arabo la principale responsabilita' di smantellare l'intero edificio di ostilita' che esso ha edificato cosi' solido e radicato, allora c'e' qualche chance che questo malaugurato inizio venga corretto.
(Ha'aretz, Jerusalem Post, 26.05.03) "

Shalom!!!

Pieffebi
27-05-03, 12:39
da www.israele.net

" ANALISI E COMMENTI

Road Map: le riserve di Israele

27 maggio 2003

Quello che segue e' il testo delle 14 condizioni poste da Israele per accettare la Road Map, cosi' come riportato da IMRA (Independent Media Review and Analysis).

1. Sia all'inizio, sia durante il processo, e come condizione per il suo proseguimento, dovra' essere preservata la calma. I palestinesi smantelleranno le attuali strutture di sicurezza e attueranno riforme sulla sicurezza nel corso delle quali verranno formate nuove organizzazioni che agiranno per combattere il terrorismo, la violenze e l'istigazione (l'istigazione deve cessare immediatamente e l'Autorita' Palestinese deve impegnarsi nell'educazione alla pace). Queste organizzazioni si impegneranno in una genuina azione di prevenzione del terrorismo e delle violenze con arresti, interrogatori, azioni di prevenzione e la realizzazione delle basi legali per indagini, incriminazioni e condanne. Nella prima fase del piano e come condizione per il passaggio alla seconda fase, i palestinesi completeranno lo smantellamento delle organizzazioni terroristiche (Hamas, Jihad islamica, Fronte Popolare, Fronte Democratico, Brigate Al Aqsa e altri apparati) e delle loro infrastrutture, la confisca di tutte le armi illegali e il loro trasferimento a una parte terza affinche' vengano rimosse dall'area e distrutte, la cessazione del contrabbando e della produzione di armi all'interno dell'Autorita' Palestinese, l'attivazione piena dell'apparato di prevenzione e la cessazione dell'istigazione. Non vi sara' passaggio alla seconda fase senza la piena attuazione delle condizioni di cui sopra relative alla guerra contro il terrorismo. I piani per la sicurezza che dovranno essere attuati sono i piani Tenet e Zinni.
2. Risultati completi saranno la condizione per il passaggio da una fase all'altra all'interno del piano. La prima condizione per il passaggio sara' la completa cessazione del terrorismo, delle violenze e dell'istigazione. Il passaggio da una fase all'altra avverra' soltanto dopo la piena attuazione di ogni fase precedente. Non si porra' attenzione alle scadenze di calendario, bensi' a precisi indicatori dei risultati ottenuti (le scadenze di calendario serviranno solo come punti di riferimenti).
3. Avvento di una nuova e diversa dirigenza nell'Autorita' Palestinese nel quadro delle riforme di governo. La formazione di una nuova dirigenza costituisce una condizione per il passaggio alla seconda fase del piano. In questo contesto, in coordinamento con Israele, si terranno elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese.
4. Il meccanismo di monitoraggio sara' sotto gestione americana. La principale attivita' di verifica si concentrera' sulla creazione di un'altra entita' palestinese e sui progressi nel processo di riforme civili all'interno dell'Autorita' Palestinese. La verifica verra' fatta esclusivamente su base professionale e per temi (economia, diritto, finanza) senza creare meccanismi combinati o unificati. Le decisioni sostanziali resteranno nelle mani delle due parti.
5. Il carattere dello stato palestinese provvisorio sara' determinato attraverso negoziati tra l'Autorita' Palestinese e Israele. Lo stato provvisorio avra' confini provvisori e certe dotazioni di sovranita', sara' pienamente smilitarizzato senza forze militari ma solo forze di polizia e per la sicurezza interna con un numero limitato di uomini e armi, non avra' l'autorita' di stringere alleanze difensive o di collaborazione militare, e Israele manterra' il controllo su ingresso e uscita di personale e merci, cosi' come sullo spazio aereo ed elettromagnetico.
6. Per quanto riguarda sia le dichiarazioni iniziali sia la composizione finale, devono essere fatti espliciti riferimenti al diritto ad esistere di Israele come stato ebraico e alla rinuncia a qualunque "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi dentro lo stato di Israele.
7. La fine del processo condurra' alla fine di ogni rivendicazione, e non solo alla fine del conflitto.
8. La futura composizione verra' raggiunta attraverso accordo e negoziati diretti tra le due parti, in conformita' con la prospettiva indicata dal presidente Usa Bush nel suo discorso del 24 giungo.
9.[Durante il processo] non vi sara' coinvolgimento su questioni riguardanti la composizione finale. Tra le questioni che non saranno discusse: insediamenti in Giudea, Samaria e Gaza (a parte il congelamento e le postazioni non autorizzate), lo status dell'Autorita' Palestinese e delle sue istituzioni a Gerusalemme e tutte le altre materie la cui sostanza riguarda la composizione finale.
10. Rimozione di ogni riferimento che non sia quello alle risoluzioni 242 e 338 (risoluzioni 1397, iniziativa saudita e iniziativa araba adottata a Beirut). Una composizione basata sulla Road Map sara' una composizione autonoma che deriva da se stessa la sua propria validita'. L'unico possibile riferimento deve essere quello alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 242 e 338, e anche queste soltanto in quanto linee generali per la conduzione dei futuri negoziati su una composizione definitiva.
11. Promozione del processo di riforme nell'Autorita' Palestinese. Sara' stesa una costituzione transitoria palestinese, verra' creata una struttura legale palestinese e sara' rinnovata la cooperazione con Israele in questo campo. In campo economico, proseguiranno gli sforzi internazionali per riabilitare l'economia palestinese. In campo finanziario, sara' pienamente applicato l'accordo israelo-americano-palestinese come condizione per la continuazione del trasferimento delle entrate fiscali.
12. Il dispiegamento delle Forze di Difesa israeliane lungo le linee del settembre 2000 sara' vincolato al rispetto dell'articolo 4 (calma totale) e sara' attuato conformemente ai cambiamenti che saranno richiesti dalla natura delle nuove circostanze e necessita' create in tal modo. Si prestera' particolare attenzione alla separazione delle responsabilita' e dell'autorita' civile come era nel settembre 2000, piu' che alla posizione delle forze sul terreno in quella data.
13. Compatibilmente con le condizioni di sicurezza, Israele si adoperera' per ripristinare la normale vita palestinese: promuovendo la situazione economica, lo sviluppo di legami commerciali, dando incoraggiamento e assistenza all'opera di agenzie umanitarie riconosciute. Non si fara' alcun riferimento al rapporto Bertini come fonte vincolante nel contesto della questione umanitaria.
14. Gli stati arabi assisteranno il processo con la condanna delle attivita' terroristiche. Non verra' stabilito alcun legame fra binario palestinese e altri binari (siro-libanese).
(Jerusalem Post, 26.05.03) "

Shalom!!!

Pieffebi
02-06-03, 19:29
da www.iltempo.it

"
lunedì 2 giugno 2003 19.32.47
LA MINACCIA DEGLI ARABI ISRAELIANI


di GIORGIO TORCHIA

A CINQUANTACINQUE anni dalla sua nascita, Israele è prigioniera della sua vittoria del 1967? E tocca a Sharon che di quegli eventi bellici fu uno dei maggiori protagonisti, con un ruolo ancor più eclatante nella successiva guerra del 1973 (quella del Kippur) "liberarlo" da quella vittoria. La road map che, con quattordici riserve, ha accettato di discutere con i palestinesi, rappresentati ora dal moderato Abu Mazen, è una strada che dovrebbe portare al superamento delle conquiste di quella guerra lampo durata sette giorni e che si concluse con la sconfitta degli eserciti egiziano, siriano e giordano, determinando l’attuale situazione.
Nell’euforia della vittoria del 1967, con Gerusalemme riunificata, le conquiste territoriali (Cisgiordania, Gaza, Sinai, poi restituito all’Egitto, e Golan) rappresentavano un evento risolutivo ai fini della sicurezza dello Stato ebraico. La mancanza di una profondità territoriale, più grave della strettoia centrale che pose drammatici problemi durante la guerra del 1948 per rifornire Gerusalemme, ha rappresentato sempre un incubo per gli strateghi israeliani. Ora quello che era stato un campo trincerato accerchiato e con delle prime linee immediate, disponeva degli spazi necessari per una difesa in profondità. Ma su questo concetto puramente militare, una sicurezza avanzata che si allungava dagli altipiani del Golan al Canale di Suez e sino alle rive del Giordano, s’inseriva una visione politica e storica, con radici bibliche che portava a considerare la Cisgiordania come la regione della memoria ebraica. La Giudea e la Samaria riconquistate. Queste due visioni hanno portato alla colonizzazione, cioè all’insediamento di 130 colonie popolate da 216 mila ebrei. Costoro da una parte sono quel che resta di un sogno infranto, piuttosto all’utopia di una Grande Israele, dall’altra di una scelta strategica che affidava loro il compito di presidiare in profondità un territorio ed una popolazione ostile dividendoli a macchia di leopardo.
Questo disegno negli anni si è rivelato una trappola. Perché l’idea di una Grande Israele si scontrava con una realtà che nel 1967 e negli anni immediatamente successivi, era stata sottovalutata. Considerando che, al contrario del 1948 gli arabi non erano scappati e che anzi si sommavano a quelli (ora circa un milione) rimasti in Israele, lo Stato ebraico con dentro 3 milioni e mezzo di arabi, rischiava di perdere la sua identità storica, religiosa e culturale.
Dal punto di vista militare, con lo scoppio della seconda Intifada che ha finito con l’assumere aspetti insurrezionali, con in più il terrorismo kamikaze, la situazione è diventata gravissima. Tsahal, che non ha certo inesauribili riserve umane (circa 200 mila uomini), si trova alle prese con un compito che ha logorato la sua affermata fama di forze armate di grandi capacità. Sin quando si è trattato di sconfiggere il nemico in conflitti convenzionali, la capacità di manovra dei suoi generali, la superiorità in carri armati, aerei e tecnologia, l’alto livello di preparazione dei soldati, il grande entusiasmo che li sorregge, ed una eccezionale rapidità di mobilitazione delle riserve, Tsahal è riuscito a vincere completamente quattro guerre ed una ai punti (Libano). Ma ora, in parallelo con la lotta al terrorismo, si trova a dovere assicurare la protezione delle colonie, presidiare territori palestinesi rioccupati, montare la guardia alla frontiera libanese (dopo un disastroso ritiro) e siriana (sul Golan). Sottoposte all’offensiva terroristica, le forze di sicurezza israeliane, si trovano alle prese con una serie di problemi operativi, psicologici e sociali, particolarmente gravi.
È questo un elemento che incide sulle prospettive della road map che deve tenere conto della nuova dimensione della sicurezza di Israele. Che non è più sulle frontiere, ma dentro.
C’è una nuova sicurezza che è dettata dall’evoluzione della tecnologia militare e dai cambiamenti geopolitici della regione. Israele dispone di un’industria bellica d’avanguardia (esporta armi per 4,18 miliardi di dollari), è protetta dai sistemi anti missile Patriot ed Arrow, dispone di una forza atomica, non ammessa, che si basa sui missili Jericho 2 di una portata di 2.500 km. Eliminato Saddam questo tipo di minaccia è ormai per il momento sotto controllo.
Ma la minaccia vera è interna e coinvolge anche il milione di arabi israeliani. Ridisegnare le colonie, smantellando il grosso delle macchie di leopardo e consentire a Tsahal di razionalizzare le forze a sua disposizione è la condizione indispensabile per assicurare ad Israele una nuova sicurezza. È questa la difficile partita di Sharon.

lunedì 2 giugno 2003 "

Shalom!!!

Pieffebi
03-06-03, 18:36
da www.ansa.it

" MO: FRATTINI; USA VOGLIONO BERLUSCONI QUARTO ATTORE
MADRID - Il presidente americano George W. Bush ha chiesto al presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi di ''svolgere un ruolo particolare'' nel processo di pace in Medio oriente in qualita' di prossimo presidente di turno dell'Ue e di essere ''un quarto attore'' del processo accanto agli stessi Usa, ai palestinesi e agli israeliani. Lo ha detto il ministro degli esteri italiano Franco Frattini sottolineando che e' questo il senso della richiesta avanzata dal leader Usa al premier italiano, affinche' ''il paese che da luglio avra' la presidenza di turno dell'Ue eserciti incoraggiamento e raccordo tra palestinesi ed israeliani, grazie all'amicizia che ci lega ad entrambi, e che ci lega agli Stati Uniti''.
Sul processo di pace, il ministro ha pero' chiesto realismo: ''Noi siamo grati agli Usa per il loro impegno al massimo livello, e riconoscenti a israeliani e palestinesi che si stanno impegnando con altrettanta volonta' per arrivare a un risultato. Ma sarebbe estremamente fuori luogo lanciare messaggi trionfalistici come 'abbiamo fatto la pace'. Ancora bisogna che si siedano attorno a un tavolo concretamente. L'impegno di ognuno di noi deve essere serio e non assolutamente trionfalistico. Solo cosi' si arriva a risultati tangibili''. Per Frattini e' questo il risultato del suo scambio di opinioni di ieri con il segretario di stato Usa Colin Powell: ''Approccio pragmatico, flessibile, lavorare fino al risultato finale, ma non dare per scontato il risultato fino a un minuto prima. Questo e' l'approccio che io ritengo corretto''.

SHARM EL-SHEIKH - Per risolvere la crisi in Medio Oriente, il presidente americano George W. Bush dice no ai terroristi kamikaze, ''pochi killer che distruggono le speranze e i sogni di molti'', ma dice anche a Israele di dare ai palestinesi la terra su cui realizzare il loro Stato.
''Israele ha responsabilita''': deve gestire i territori e gli insediamenti in modo che ci sia un 'continuo' di terra che i palestinesi possano chiamare patria.
Bush lo ha detto, aprendo la sessione plenaria del Vertice con i leader arabi a Sharm el Sheikh. Le parole del presidente (pronunciate con tono insolitamente grave) sono state captate grazie al pool di giornalisti americani presente al centro di conferenze di Movenpick, dopo che la tv egiziana aveva sospeso la diretta.
Bush ha anche aggiunto: ''Sono un uomo che sa quel che dice: se dico che il Mondo ha bisogno di uno Stato palestinese libero vuol dire che faro' ogni sforzo per realizzare questa visione''.
Il presidente americano George W. Bush ha iniziato la sua prima giornata di diplomazia mediorientale incontrando il presidente egiziano Hosni Mubarak, poco dopo che da Israele era giunta notizia dell'avvio della scarcerazione di un centinaio di detenuti palestinesi concordata fra i premier israeliano Ariel Sharon e palestinese Abu Mazen.
03/06/2003 16:10 "

Cordiali saluti

Pieffebi
08-06-03, 20:46
da www.israele.net

" Esperienza e speranze dopo Aqaba

Da un editoriale del Jerusalem Post
6 giugno 2003

Abbiamo assistito al summit di Aqaba con un misto di nostalgia e di deja vu. La presenza, in particolare, di un presidente americano, ricordava la scena della stretta di mano fra Begin e Sadat mediata da Jimmy Carter e quella della stretta di mano fra Rabin e Arafat mediata da Bill Clinton. Come le cose procederanno da qui in avanti dipende in qualche misura dalle lezioni apprese in quelle esperienze passate.
Diciamo subito chiaramente che il nostro punto di vista su questo summit non si limita alla malinconia. La storica premessa su cui si sono formate generazioni di leader israeliani, quella per cui uno stato palestinese sarebbe poco piu' che una punta di lancia conficcata nel cuore di Israele, che costringerebbe Israele in quelli che Abba Eban una volta descrisse come "i confini di Auschwitz", appare meno verosimile oggi, nel Medio Oriente post-Saddam. Anche le circostanze che hanno generato la significativa assenza di Yasser Arafat contribuiscono a fare di questo summit una cosa diversa. E abbiamo visto abbastanza di questo presidente americano per concedergli il beneficio del dubbio nel momento in cui spinge avanti un processo di pace che non avremmo fiduciosamente affidato al suo predecessore.
E poi siamo rimasti molto colpiti dal discorso di Abu Mazen. L'impegno del primo ministro palestinese a porre fine agli attacchi contro gli israeliani "dovunque essi si trovino", in altre parole all'interno e oltre la linea verde, marca un cambiamento qualitativo rispetto alle vuote parole di condanna del terrorismo che faceva finora l'Autorita' Palestinese. Lo stesso vale per l'esplicito impegno di Abu Mazen a "garantire che non vi sia istigazione proveniente dalle istituzioni palestinesi". Quando ha detto "noi non ignoriamo le sofferenze degli ebrei nella storia", e' sembrato che volesse implicitamente riconoscere, e abbandonare solennemente, il suo stesso passato di intellettuale che non solo ignorava, ma negava la storia dell'Olocausto. E quando ha detto "vogliamo costruire un tipo di stato democratico che rappresentera' un ampliamento positivo della comunita' internazionale", ha sottoscritto, almeno a parole, l'agenda di riforme indicata dal presidente Bush nel suo celebre discorso del 24 giugno 2002.
In altre parole, Abu Mazen ha fatto un discorso bello e importante, che si e' occupato piu' di cosa devono fare i palestinesi che non di cosa debbano fare gli israeliani, e nel quale le parole chiave erano rivolte contro i gruppi come Hamas e Jihad islamica e contro lo stesso malgoverno dell'Autorita' Palestinese che non contro Israele. Come inizio fa ben sperare.
Cionondimeno il discorso di Abu Mazen non e' del tutto nuovo. Abbiamo gia' sentito in passato promesse simili, poi rinnegate, da parte di un altro leader palestinese. Anche allora nel discorso spiccava l'assenza di qualunque riferimento a Israele come stato ebraico, assenza che in gergo significa lasciare aperta la porta al cosiddetto "diritto al ritorno". Gli israeliani sanno perfettamente che cosa si intende con "diritto al ritorno" (la pretesa dei palestinesi che i circa 800.000 profughi arabi del 1948 e i loro tre milioni e passa di discendenti abbiano il diritto di "tornare" all'interno di Israele), dunque ci rivolgiamo direttamente agli stranieri che ci ascoltano.
Siccome l'insistenza dei palestinesi su questo "diritto" appare allo stesso tempo inflessibile e campato per aria, i diplomatici occidentali tendono a liquidarla come una specie di figura retorica, a uso e consumo interno dell'opinione pubblica palestinese e forse per gratificare l'autostima palestinese, ma per il resto sostanzialmente irrilevante ai fini di qualunque accordo di pace. Durante gli anni di Oslo, la questione dei profughi venne lasciata da parte finche', ai negoziati di Camp David, non si rivelo' quella mina che era. La Road Map ripete lo stesso errore quando rimanda la questione al termine del processo, evidentemente sulla base del presupposto che sara' piu' facile risolverla se per adesso non la si tocca.
Dal punto di vista di Israele, lo spirito di un accordo aumenta o cala in base al fatto che il riconoscimento da parte dei suoi vicini della sua esistenza come stato ebraico sia pieno, inequivocabile e strategico anziche' meramente tattico. In questo senso un difetto fatale della Road Map e' che non inizia esplicitamente con l'adozione di questo principio, anziche' terminare con esso.
Sul piano tattico le parole di mercoledi' ad Aqaba non saranno altro che una nota pie' pagina nella sanguinosa storia di questa regione se non saranno seguite da un'azione risoluta per sradicare la violenza che e' stata e continua ad essere rivolta contro i cittadini israeliani, nonche' il sofisticato sistema di fanatizzazione che le sta dietro.
Il consenso di Arel Sharon a sgomberare gli avamposti non autorizzati deve essere visto come un sacrificio particolarmente difficile per un uomo la cui carriera politica e' stata dominata dalla creazione di insediamenti in Cisgiordania. Ancora piu' gravoso, per lui e per il suo partito, sarebbe abbandonare parte della terra per il futuro stato palestinese. La decisione dell'attuale governo israeliano di centro-destra di permettere la nascita di un tale stato e' una decisione memorabile che di fatto pone fine a 66 anni di dibattito interno al movimento sionista sul principio della spartizione. La comunita' internazionale e gli Stati Uniti in particolare farebbero bene a tenere a mente non solo il coraggio che comporta prendere queste decisioni, ma anche l'aspettativa del pubblico israeliano che esse siano accompagnate da un'offerta concreta e immediata di riconoscimento, sicurezza e stabilita'.
(Jerusalem Post, 5.06.03) "


Cordiali saluti

Pieffebi
08-06-03, 21:12
da www.israele.net

" Sharon: "Due Stati democratici, nella pace e nella sicurezza"

4 giugno 2003

Il testo completo della dichiarazione del primo ministro israeliano Ariel Sharon alla conclusione del vertice di Aqaba (Giordania), 4 giugno 2003.

Desidero ringraziare Sua Maesta' re Abdullah per aver organizzato questo incontro ed esprimere l'apprezzamento di Israele al presidente Bush per essere venuto qui a incontrare il primo ministro Abbas e me. Grazie.
Come primo ministro di Israele - il paese che e' stato la culla del popolo ebraico - la sicurezza del popolo e dello stato d'Israele costituiscono la mia suprema responsabilita'. Non vi possono essere compromessi con il terrorismo e Israele, insieme ad altre nazioni libere, continuera' a combattere il terrorismo fino alla sua definitiva sconfitta.
In definitiva, la sicurezza duratura richiede la pace e la pace duratura puo' essere ottenuta solo con la sicurezza. Oggi c'e' la speranza di una nuova opportunita' di pace tra israeliani e palestinesi.
Israele, come altri, ha dato il suo convinto sostegno alla prospettiva, espressa dal presidente Bush il 24 giugno 2002, di due Stati - Israele e uno Stato palestinese - che vivano fianco a fianco nella pace e nella sicurezza. Il governo e il popolo d'Israele vedono con favore l'opportunita' di rinnovare negoziati diretti, seguendo i passi della Road Map cosi' come approvata dal governo israeliano, per raggiungere questa prospettiva.
E' nell'interesse di Israele non governare i palestinesi, e che i palestinesi governino se stessi nel loro proprio Stato.
Uno Stato palestinese democratico pienamente in pace con Israele promuovera' la sicurezza e il benessere a lungo termine di Israele in quanto stato ebraico.
Tuttavia non vi puo' essere pace senza la rinuncia e l'eliminazione del terrorismo, delle violenze e dell'istigazione. Opereremo insieme ai palestinesi a ad altri Stati per combattere il terrorismo, le violenze e l'istigazione di ogni genere.
Nel momento in cui ogni parte adempira' ai propri doveri, cercheremo di ripristinare la vita normale palestinese, di migliorare la situazione umanitaria, di ricostruire la fiducia e di promuovere progressi verso la prospettiva indicata dal Presidente Bush. Agiremo nel rispetto della dignita' e dei diritti umani di tutti i popoli.
Possiamo inoltre garantire ai nostri interlocutori palestinesi che comprendiamo l'importanza di una continuita' territoriale in Cisgiordania per uno Stato palestinese che sia praticabile. La politica israeliana nei territori che sono oggetto di negoziati diretti con i palestinesi riflettera' questo fatto.
Accettiamo il principio che nessuna azione unilaterale, da qualunque parte, debba pregiudicare il risultato dei nostri negoziati.
Per quanto riguarda gli avamposti non autorizzati, voglio ribadire che Israele e' una societa' governata dallo stato di diritto. Pertanto inizieremo immediatamente a rimuovere gli avamposti non autorizzati.
Israele persegue la pace con tutti i suoi vicini arabi. Israele e' pronto a negoziare in buona fede dovunque vi siano interlocutori. Quando verranno stabilite relazioni normali, sono certo che essi troveranno in Israele un vicino e un popolo impegnati per una pace complessiva e per la prosperita' di tutti i popoli della regione . Grazie a voi tutti.
( dal Ministero degli esteri israeliano, 4.06.03) "

Shalom!!!

Pieffebi
09-06-03, 21:20
da www.shalom.it

" Lo Stato di Israele festeggiato dalle massime autorità politiche, civili e militari italiane
Il tricolore vicino alla Stella di Davide

di Daniel Della Seta


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Chi avrebbe mai potuto immaginare dieci anni fa di poter contare fra gli invitati dell'Ambasciata d'Israele in Italia, alla serata di celebrazione di Yom-Hazmauth un numero così nutrito di personalità della politica italiana, rappresentanti di Governo e di importanti realtà imprenditoriali?
Fra i quasi mille ospiti di un noto hotel capitolino, sin dal crepuscolo, un susseguirsi di auto blu e scorte hanno portato al Galà per i 55 anni dello Stato d'Israele, oltre quaranta parlamentari, ambasciatori, ministri, i presidenti della Camera Casini e del Senato Pera, giunti appositamente a testimoniare la loro simpatia e vicinanza all'ambasciatore Ehud Gol che ha ricevuto, assieme alla moglie Sharon, le numerose delegazioni estere, fra le quali quella statunitense con l'ambasciatore Mel Sembler, e gli ospiti accorsi per un evento che davvero segna una tappa importante nella maturità d'Israele e nei rapporti con il Governo italiano.

Unico grande assente Silvio Berlusconi, impegnato a San Siro per la partita di andata della semifinale di Champions League tra Milan ed Inter.

Proprio una battuta spiritosa di Gol sul calcio, davanti alla gigantesca torta alla mimosa celebrativa con la grande bandiera e la stella di David a guarnizione, ha rallegrato un'atmosfera assai poco formale ed anzi tutta tesa all'apparente reciproca comprensione fra i numerosi attori delle vicende politiche italiane, fra cui: il Ministro Gasparri , il Ministro per i rapporti con il Parlamento Giovanardi , il governatore del Lazio Storace , il sottosegretario all'Economia Mario Baldassarre , il presidente della Commissione Esteri della Camera Selva , il vicepresidente del Senato Fisichella , i parlamentari Antonio Tafani , Valdo Spini e il leghista Speroni , i sottosegretari agli Esteri Margherita Boniver e Alfredo Mantica .

Presente pure il presidente dell'Unione Industriali di Roma e del Lazio, Giancarlo Elia Valori, amico da lunga data delle istituzioni ebraiche e convinto assertore d'un piano di pace nella risoluta convinzione di sostenitore della causa israeliana.

"Oggi Israele celebra cinquantacinque anni di vita libera e democratica come Stato occidentale in Medio Oriente - ha evidenziato Ehud Gol - Dal giorno in cui Ben Gurion proclamò l'indipendenza del moderno Stato d'Israele, tanta acqua è passata sotto i ponti. Abbiamo dovuto difenderci in ben cinque guerre imposteci dai nostri vicini, la maggior parte dei quali ancora oggi si rifiuta di accettare la nostra presenza come legittima espressione del diritto del popolo ebraico ad esistere. Israele non ha ancora trovato la sua pace. Sin dalla fondazione del nostro Stato, non è passato decennio senza che fossimo chiamati a resistere agli attacchi degli eserciti arabi e al terrorismo islamico. Tutti i tentativi di distruggerci sono falliti. L'Egitto e la Giordania hanno infine riconosciuto che la coesistenza è preferibile alla guerra e hanno firmato con noi trattati di pace. Mi auguro che il prossimo anno si possa coronare il sogno di pacifica convivenza nell'intera area mediorientale", ha concluso l'Ambasciatore, sottolineando come sia diverso il clima politico di oggi, rispetto alle tensione di appena dodici mesi fa, determinate dall'occupazione della Chiesa della Natività a Betlemme e dalle manifestazioni antisioniste e antisraeliane che avevano offuscato l'immagine e le relazioni tra il Paese ebraico e parte della classe politica italiana.

" E' un altro Israel Day - ha sottolinea il vice premier Gianfranco Fini nel salutare Massimo Teodori , che di quella giornata memorabile fu il principale ispiratore - . Soprattutto alla luce di quello che continua ad accadere in Medio Oriente e alla luce di ripugnanti posizioni antisioniste e antisemite, la mia presenza a questa serata va interpretata come un dovere morale, oltre che politico ed istituzionale, poiché rappresento l'espressione leale e con sentimenti di amicizia di tutti gli italiani, di qualunque fede politica o religiosa. Quel che accade in Israele, non deve farci sfuggire che è imprescindibile la difesa dell'unica democrazia dello scacchiere mediorientale, ove governano tuttora regimi che nulla hanno a che fare con le istituzioni rappresentative democratiche ".

Parole ascoltate con attenzione dal presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Amos Luzzatto , accanto a Giorgio Napolitano presidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo e a Ferdinando Adornato , presidente della Commissione Cultura alla Camera.

Ernst Nolte è già un lontano ricordo e il presidente del Senato Marcello Pera, ribadisce e rafforza i concetti e i sentimenti di vicinanza all'intero popolo ebraico.

Gianni De Michelis discute accanto al presidente del CNEL Pietro Larizza e a Pietro Fassino . Poco più in là Massimo D'Alema , circondato da alcuni intellettuali. Si riconoscono il senatore dell'Ulivo, Franco De Benedetti , Umberto Ranieri [/b}, il direttore dell'Ansa Pierluigi Magnaschi, i giornalisti Furio [b] Colombo , Cesara Buonamici, Magdi Allam, Alain Elkann e Giuliano Ferrara .

Sul finire giungono anche Gianni Letta e Pierferdinando Casini , colti in fraterne strette di mano con l'attuale consigliere del premier Sharon, Avi Pazner, indimenticato Ambasciatore a Roma e a Parigi negli anni '90.

Nel salutare gli ospiti, l'Ambasciatore Gol si è detto ottimista per la nomina a Primo ministro dell'autorità Palestinese di Mahmoud Abbas (Abu Mazen): "Potrebbe essere la luce alla fine del tunnel – ha precisato - ma ciò dipende da due fattori: la capacità di Abu Mazen di allontanarsi dall'ombra e dal controllo di Arafat e la pressione con cui la comunità internazionale riuscirà a spingerlo a comportarsi da vero leader del suo popolo".

I mesi a venire saranno dunque cruciali per un possibile e auspicato punto di svolta nella storia del Medio Oriente con l'aiuto anche dell'Italia che si appresta ad assumere la presidenza del semestre europeo. "


Shalom!!!

Pieffebi
12-06-03, 21:59
da www.israele.net

" Proteggere i terroristi non serve alla pace

Da un editoriale del Jerusalem Post
12 giugno 2003

Lo scorso gennaio, dopo aver condannato Richard Reid, il bombarolo di Al-Qaeda con l'esplosivo nelle scarpe, il giudice William Young della corte distrettuale americana si e' rivolto direttamente a Reid e gli ha detto: "Lei non e' un combattente nemico, lei e' un terrorista. Noi non negoziamo con i terroristi. Noi non firmiamo documenti con i terroristi. Noi ai terroristi diamo la caccia uno per uno e li trasciniamo davanti alla giustizia".
Abdel Aziz Rantisi e' un terrorista. E' uno degli esponenti principali di Hamas e in quanto tale e' un importante terrorista. Da anni e' coinvolto a ogni livello nella struttura terroristica di Hamas. Rantisi incita i fedeli musulmani a trasformarsi in attentatori suicidi. Raccoglie fondi per le armi. Recluta attivisti per sferrare i colpi. E dopo ogni attentato riuscito, si assume il ruolo di portavoce e apologeta del terrorismo. Secondo la Difesa israeliana, Rantisi da mesi si occupa personalmente della supervisione delle operazioni terroristiche, avendo preso il posto di Salah Shehada, ucciso, e di Muhammad Deif, messo fuori combattimento da azioni delle Forze di Difesa israeliane. Rantisi risulta personalmente corresponsabile della morte violenta di almeno 227 israeliani e del ferimento o mutilazione di altri 1.393 da quando e' iniziata la guerra terroristica palestinese contro Israele poco meno di tre anni fa. Inoltre, dal momento che e' uno dei capi di Hamas, Rantisi, come il leader "spirituale" Ahmed Yassin, porta la responsabile delle criminali azioni della sua organizzazione indipendentemente dal fatto che abbia emesso personalmente ogni singolo ordine di uccidere. Rantisi e Yassin sono i cervelli di Hamas. Sotto la loro direzione Hamas compie in continuazione atti di assassinio. Sotto la loro guida Hamas cresce e guadagna sempre maggiori appoggi. Essi, insieme ad altri terroristi come Yasser Arafat, sono responsabili del martellante indottrinamento di larghe fasce della societa' palestinese, convinte che uccidere ebrei sia un atto di per se' morale e giusto.
Dopo il fallito tentativo, martedi', da parte delle Forze di Difesa israeliane, di uccidere Rantisi, il portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer ha prontamente dichiarato che il presidente degli Stati Uniti George W. Bush era "profondamente turbato" dall'azione israeliana. A quanto pare, Bush ritiene che eliminare uno come Rantisi danneggerebbe il processo di pace. Non ci eravamo resi conto che, dal punto di vista degli Stati Uniti, Hamas e' un'organizzazione da proteggere e garantire. Tanto piu' che Rantisi e' nemico giurato anche degli Stati Uniti: alla vigilia dell'intervento americano contro il regime di Saddam Hussein in Iraq, Rantisi lancio' un appello agli iracheni perche' compiessero attentati suicidi contro gli americani.
Dunque, mentre da un lato sembra fuori discussione che chiunque sia collegato ad Al-Qaeda e' un terrorista, dall'altro ci viene invece spiegato che esiste una netta distinzione tra ala "politica" e ala "militare" quando si tratta di organizzazioni terroristiche il cui scopo principale e' massacrare cittadini israeliani. In realta', l'unica cosa "politica" che si puo' dire di Rantisi e' che ha l'abitudine di ordinare ad altri di fare lo sporco lavoro al posto suo. Gli Stati Uniti, che cercano di eliminare chiunque abbia a che fare con Al-Qaeda, a Israele chiedono che salvaguardi gli equivalenti palestinesi di bin Laden nel business del terrorismo. Secondo questa logica, Israele dovrebbe starsene quieto a guardare mentre costoro si riuniscono liberamente, progettano e realizzano stragi, vanno in televisione a istigare attentati in arabo e a giustificarli in inglese e intanto "negoziano" con l'Egitto e l'Unione Europea.
(Jerusalem Post, 11.06.03) "

Ineccepibile. Israele ha il diritto sacrosanto di difendersi e di combattere duramente contro l'estremismo terrorista dei palestinesi oltranzisti protetti da Arafat. Tuttavia deve anche sapere che non c'è alternativa alla pace, e che questo è il momento di tenere i nervi saldi perchè una parte importante del mondo arabo e del mondo palestinese NON vuole la pace, ma qualcun altro è stufo della guerra insensata.

Shalom!!!!!

Pieffebi
19-06-03, 19:25
da www.israele.net

" ANALISI E COMMENTI

La Road Map e il vero nodo del conflitto

Da un'analisi di Barry Rubin, direttore della Middle East Review of International Affairs
18 giugno 2003

Cosa si puo' dire della famosa "Road Map per la pace basata sui risultati"? Beh, prima di tutto che, per l'appunto, e' "basata sui risultati" e dunque non e' un calendario di scadenze automatiche.
In sostanza, dal punto di vista della struttura e dei contenuti, si tratta del diretto successore dei tanti piani di pace elaborati e dimenticati nell'era di Oslo, dal 1993 al 2000. Come per quelli, anche per la Road Map il quesito principale non riguarda tanto i singoli dettagli quanto il fatto stesso se verra' applicata oppure no. In questo senso, chi vuole capire quale sia il nodo vero intorno a cui ruota il conflitto e le reali possibilita' di risolverlo, con o senza Road Map, abbia la compiacenza di leggere questo articolo fino alla fine.
La principale novita' contenuta nella Road Map e' che per la prima volta indica esplicitamente, nero su bianco, che alla fine del processo vi sara' uno stato palestinese indipendente: una promessa che era solo implicita in tutti gli accordi firmati nel quadro del processo di Oslo degli anni Novanta. Secondo la mentalita' politica del Quartetto che sponsorizza la Road Map (Usa, Ue, Russia, Onu), questa novita' e' assolutamente cruciale. Quando i palestinesi capiranno che avranno il loro stato, pensano gli sponsor del Quartetto, e che dunque avra' termine la presenza israeliana nei territori contesi di Cisgiordania e Gaza, non potranno che essere ansiosi di attuare l'accordo. In effetti e' vero che qui si tocca un punto centrale della questione, ma purtroppo in un senso abbastanza diverso da quello che immagina il Quartetto, e per diverse ragioni.
Innanzitutto, per quanto buona possa essere l'offerta che viene fatta, essa arriva ai palestinesi solo attraverso il filtro della loro leadership, che sistematicamente li disinforma sui contenuti delle offerte. Anche quando il primo ministro palestinese Abu Mazen fa del suo meglio, viene immediatamente contraddetto da cio' che affermano il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat, i mass-media ufficiali palestinesi, i capi di Fatah, i predicatori di Hamas ecc. (Come ebbe a dichiarare in un'intervista a Fox News Dennis Ross, l'inviato americano per il Medio Oriente fino agli ultimi giorni dell'amministrazione Clinton: "Ancora oggi i palestinesi non hanno detto alla loro gente in cosa consisteva davvero la proposta di pace americana del dicembre 2000".)
Inoltre la maggior parte della dirigenza palestinese considera essenziale "come" viene ottenuto lo stato. I sintesi, essi ritengono che lo stato palestinese debba essere raggiunto con una soluzione che sia imposta a Israele o che perlomeno ne aggiri la volonta'. E questo perche' vogliono evitare di dover fare concessioni a Israele, di doversi impegnare con esso, di trovarsi con le mani legate rispetto alla futura continuazione della lotta. Dunque sperano di ottenere lo stato palestinese grazie a una combinazione di continue violenze anti-israeliane e di un intervento internazionale.
Per la dirigenza palestinese non conta tanto l'obiettivo in se' di uno stato indipendente, quanto piuttosto le condizioni da imporre alla controparte. Essi chiedono, e i paesi arabi li appoggiano, non un centimetro di meno di tutta la Cisgiordania, la striscia di Gaza e Gerusalemme Est piu' il pieno "diritto al ritorno" di tutti i profughi palestinesi e dei loro discendenti all'interno di Israele. Ovviamente sanno che Israele non accettera' mai di propria spontanea volonta' queste condizioni. Dunque sanno che, se vogliono arrivare a tanto, possono farlo solo con una conquista militare, con il terrore e l'intimidazione, o con l'imposizione da parte della comunita' internazionale. Se il primo e piu' urgente obiettivo dei palestinesi fosse davvero uno stato indipendente, come e' noto avrebbero potuto ottenerlo gia' nel 2000, e probabilmente anche nel 1970, nel 1980 e nel 1990. Dunque si prenda nota: la questione piu' difficile nei negoziati non sara' Gerusalemme, bensi' il cosiddetto "diritto al ritorno", un tema sul quale anche Abu Mazen e' su posizioni intransigenti.
Tutto questo significa che la Road Map e' un errore o una pessima cosa? No. Studiosi o giornalisti possono tranquillamente dire che una certa iniziativa e' destinata al fallimento, ma i politici e i diplomatici hanno il dovere di tentare questa strada, non fosse altro perche' e' la migliore delle (poche) opzioni possibili.
Va tentata perche', nonostante eventuali fallimenti a breve termine, e' necessario sviluppare possibilita' di pace sul lungo periodo. Gli Stati Uniti cercano di farlo tentando di favorire - compito assai arduo - la formazione di una dirigenza palestinese piu' ragionevole. Abu Mazen non e' l'ideale (cosa che si potrebbe dire anche dei suoi interlocutori sul versante israeliano), ma rappresenta qualcuno che vuole porre fine alla violenza e risolvere il conflitto. Mostrare ai palestinesi che esiste un modo pacifico per risolvere il conflitto e' assolutamente vitale.
In secondo luogo, un cessate il fuoco risparmierebbe vite umane e migliorerebbe la situazione per tutti. Dunque vale la pena in ogni caso adoperarsi con forza per questo risultato.
Poi e' comunque possibile che ne scaturisca qualche concreto progresso diplomatico, anche se le probabilita' sono scarse.
Infine e' anche importante mostrare chi si assume la responsabilita' di far fallire le possibilita' di pace o anche solo di un cessate il fuoco. In questo senso e' essenziale che Israele si attenga agli impegni che si e' assunto. Mentre le misure di sicurezza si spiegano con le esigenze dell'auto-difesa, sarebbe un errore madornale non procedere con lo smantellamento degli avamposti nei territori. Israele li puo' smantellare, migliorando anzi le proprie condizioni di sicurezza, mentre al contrario tergiversare e litigare su questo punto offrirebbe un comodo argomento a chi vuole accusare Israele di violare il piano. Non c'e' alcun bisogno di commettere questo errore.
Detto tutto questo, resta il problema di capire come mai il conflitto israelo-arabo-palestinese si protrae da cosi' tanto tempo, e' cosi' difficile da risolvere e genera cosi' tanti lutti e violenze nonostante i termini della soluzione sembrino chiari a tutti e a portata di mano. Per farlo basta andare a rileggersi l'ultimo grande sondaggio d'opinione realizzato dalla Pew Foundation. Secondo questo sondaggio, alla domanda se l'esistenza di Israele e i diritti dei palestinesi possano conciliarsi il 70% degli europei e degli americani risponde si'. Quasi uguale (67%) la percentuale di israeliani che si dice favorevole alla nascita di uno stato palestinese che viva in pace a fianco di Israele. Per inciso, su questo tema i cittadini arabi israeliani esprimono un punto di vista pressoche' identico a quello dei loro concittadini ebrei. Invece, fra i palestinesi dei territori una schiacciante maggioranza dell'80% sostiene che i loro diritti e le loro esigenze "non possono essere soddisfatti finche' esiste lo stato di Israele". E' facile immagine quali percentuali si toccherebbero se la stessa domanda fosse posta ai palestinesi in Libano, in Giordania o altrove. La radice del problema e' tutta qui, e c'e' da domandarsi quanta gente in occidente, governanti europei inclusi, abbia la minimia idea di come stanno le cose e dunque di quale sia il vero e principale ostacolo alla realizzazione di qualunque Road Map per la pace.

(Barry Rubin, 16.06.03) "


Shalom!!!

Pieffebi
23-06-03, 20:53
da www.israele.net

" Sharon: "Siamo pronti a trasferire responsabilita' all'Autorita' Palestinese"

23 giugno 2003

Il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha detto domenica che Israele e' pronto a trasferire qualunque parte dei territori per cui i palestinesi siano disposti a prendersi la responsabilita' di mantenere sicurezza e ordine pubblico. Ma se i palestinesi non si impegnano a sradicare il terrorismo nelle zone sotto il loro controllo, ha aggiunto Sharon, Israele si riserva il diritto di intervenire per applicare misure preventive.
In ogni caso, ha spiegato Sharon venerdi' al segretario di stato Usa Colin Powell, che sia o meno in grado di assumere il controllo della sicurezza nei territori, Israele chiede che l'Autorita' Palestinese disponga la cessazione immediata dell'istigazione all'odio e alla violenza contro Israele.
Circa gli avamposti abusivi, Sharon ha ribadito che Israele continuera' a smantellarli, in conformita' con l'impegno assunto due anni fa dall'allora ministro degli esteri Shimon Peres.
Dal canto suo il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz ha lamentanto il fatto che i palestinesi sono completamente passivi verso il terrorismo e che i tentativi di compiere attentati contro Israele continuano senza sosta. Cercando di negoziare un sorta di tregua, provvisoria e parziale, con Hamas prima di aver assunto il controllo nella striscia di Gaza, ha detto Mofaz, i palestinesi di fatto mettono nelle mani dei gruppi terroristi le chiavi del processo di pace.

(Jerusalem Post, 22,06.03) "


Saluti liberali

Pieffebi
25-06-03, 13:52
da www.ilfoglio.it

" Il senatore Mitchell, mediatore con Clinton, spiega perché la road map ha novità che fanno ben sperare
Individua alcuni errori del suo rapporto del 2001, ora superati, e invita all’ottimismo
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Los Angeles. “Non ci sono conflitti irrisolvibili”. E’ un ottimista, ma la definizione, tout court, non gli si addice. Perché il suo è un ottimismo ponderato, che poco ha in comune con certo idealismo generoso, ma inconsapevole della realtà. Il senatore George J. Mitchell sceglie di vedere il bicchiere mezzo pieno perché così gli detta l’esperienza. Perché il lusso della speranza non l’ha maturato nell’aria rarefatta di un think tank ma sul campo, “proprio quando tutto sembrava essere irrimediabilmente perduto”. E forse siccome una missione quasi impossibile l’ha già portata a termine con il “Good Friday Agreement”, Mitchell può indicare come un cancro la categoria dell’inevitabile. Invocare comprensione reciproca, perseveranza e buona volontà senza il rischio di sembrare retorico in un paesaggio come quello mediorientale. Che occorra fermare la violenza per arrivare alla pace potrà apparire tautologico – spiega Mitchell al Foglio – ma in Irlanda del Nord la ricetta ha già funzionato. “Il conflitto si trascinava da generazioni. Dopo due anni di negoziato le parti iniziavano a ricostruire la fiducia reciproca. Poi all’improvviso è riesplosa la violenza e tutti hanno abbandonato il tavolo delle trattative. Ma è stata la società stessa a ribellarsi alla nuova ondata di morte. E’ stata la determinazione degli irlandesi e soprattutto delle donne irlandesi da entrambi i lati della barricata a salvare il processo di pace”. E la ricetta del senatore democratico del Maine, plenipotenziario in Irlanda di Bill Clinton, ha convinto anche il presidente George W. Bush che ha confermato l’investitura del suo predecessore, avvenuta a ridosso dello scoppio dell’Intifada nel settembre del 2000. Il risultato di sette mesi di indagine per una piattaforma comune tra israeliani e palestinesi fu il “rapporto Mitchell” (pubblicato sul Foglio del 24 maggio 2001) che si articola in dodici raccomandazioni, ma può essere sintetizzato in tre punti interdipendenti: fermare la violenza, per ricostruire la fiducia e tornare a negoziare. “E’ molto difficile per dei leader politici avviare dei negoziati e affrontare gli indispensabili compromessi quando impazza la violenza, – dice Mitchell – le emozioni sono troppo acute. La riduzione della violenza va cercata attimo per attimo difendendo la calma relativa”. Secondo Mitchell, è infatti poco realistico aspettarsi un’assenza di violenza totale e inequivocabile e finché non si arriva all’accordo finale, ogni giorno può essere considerato un fallimento. Anche perché “a lungo termine nessun leader politico può garantire l’assenza della violenza”. Questo non esclude che l’impegno debba essere teso al massimo per raggiungere questo scopo, e per quanto le leadership delle due parti in causa, Israele e palestinesi, possano anche sembrare imperfette, con queste deve lavorare chi vuole la pace, perché intanto “almeno una drastica riduzione della violenza deve essere ottenuta”. Nel rapporto Mitchell si pretendeva dalle autorità palestinesi il 100 per cento degli sforzi per combattere il terrorismo. Una formulazione – racconta il senatore – suggerita da Israele, consapevole che la dirigenza palestinese non aveva, realisticamente, sufficiente controllo sul suo territorio. Purtroppo lo sforzo – dice Mitchell – finora non c’è stato e l’impegno del primo ministro Abu Mazen sarà per questo ancora più gravoso. Non ci sono alternative Ma mentre Israele, che continua a non vedere sforzi, prende provvedimenti ed esegue la sua condanna a morte contro l’ennesimo uomo di Hamas che già promette vendetta, Mitchell riesce ancora a dirsi fiducioso. Fiducioso nella natura umana perché alla pace non ci sono alternative. “Israeliani e palestinesi sono senza via d’uscita”. L’obiettivo degli israeliani è la sicurezza, hanno uno Stato, ma per quanto facciano non possono garantirgli la sicurezza e questo rende la loro vita insopportabile. I palestinesi, invece, non hanno uno Stato e ne vogliono uno, politicamente ed economicamente indipendente e geograficamente localizzato su unità territoriali contigue. L’unico modo per uscirne è che entrambi cedano qualcosa. “Nessuno dei due potrà mai raggiungere il proprio obiettivo negando quello dell’altro. Gli israeliani non avranno mai la sicurezza fino a che i palestinesi non avranno il loro Stato”. Come tutti nella regione, anche i siriani hanno un interesse nel promuovere la pace, la stabilità e la crescita economica. Hanno bisogno di modernizzare la loro economia per far fronte alla povertà, all’esplosione demografica, alla crescita del fondamentalismo. Il problema è che in Siria come in altri paesi arabi permane la fantasia che Israele possa un giorno essere annientato e questo non accadrà mai. Per dare sostanza al sogno della pace, Mitchell cita un sondaggio in base al quale la maggioranza, in entrambe le società, è a favore della soluzione “due Stati” e appoggia il processo politico che si è posto questo obiettivo. “E’ l’esasperazione che deriva dall’aggressività reciproca a impedire che le parti riescano a tenere fede agli impegni assunti e che a crescere siano soltanto rabbia, paura, tradimento e il senso dell’inevitabilità del conflitto”. Il futuro della road map è difficile da prevedere, ammette il senatore, ma “fino a quando non si arriverà al giorno tanto agognato della pace, ogni alba e ogni tramonto saranno salutati come un fallimento”. Insiste più volte sul concetto. Gli osservatori – nota il senatore – possono permettersi di recitare l’ultima unzione a ogni crisi e a ogni stallo delle negoziazioni, ma questo non vale per gli attori coinvolti, mediatori e non, che non possono smettere di credere. Rispetto ai tentativi passati, inoltre, la road map prevede per Mitchell elementi nuovi che potrebbero fare la differenza. In primo luogo l’allargamento degli intermediari a formare il Quartetto (Stati Uniti, Unione europea, Nazioni Unite e Russia), in secondo luogo l’aver stabilito un preciso percorso a tappe che si pone obiettivi ben definiti entro una griglia spazio-temporale. “Cosa che non figura nel nostro rapporto (Mitchell) e che adesso considero come un errore, così come ritengo ora sbagliato l’aver affidato alle parti la determinazione della tempistica e la valutazione dei risultati raggiunti”. In più, ci possono essere pure delle differenze tra i protagonisti del Quartetto, per esempio, sul modo di trattare Yasser Arafat; può sembrare un problema, ma intanto c’è un accordo condiviso da tutti gli attori della mediazione – questo è il dato significativo – e le differenze tra i mediatori possono addirittura essere viste come garanzie buone per le parti in causa. Potranno esserci passi indietro o momenti di stasi, ma Mitchell, è assolutamente contrario all’ipotesi di una forma di “trusteeship” per il futuro Stato palestinese, idea che circola da tempo in alcuni think thank e che è recentemente rimbalzata dalle pagine di Foreign Affairs. “E’ necessario impegnarsi fino in fondo sul cammino intrapreso nonostante le momentanee sconfitte”. Prima della pace – sottolinea Mitchell – ogni giorno è una sconfitta. Insiste sul concetto. “Il pessimismo che ora esiste in Medio Oriente esisteva anche all’inizio del negoziato nell’Irlanda del Nord”, ricorda il senatore che insegue la pace ma dice, per carità, di non essere un pacifista. “Ci sono occasioni nelle quali la forza è perfettamente giustificata – nota ridendo – e come potrei pensare altrimenti visto che gli Stati Uniti sono nati da una rivoluzione contro gli inglesi?”. Non è l’astratta adesione a un principio sublime ad aver animato le sue missioni, quanto la consapevolezza che “i conflitti sono creati, originati portati avanti dagli esseri umani ed è quindi nella natura delle cose che vi possa essere posto un termine dagli esseri umani. Non esistono conflitti che non possono essere terminati”. Il ruolo decisivo degli Stati Uniti E’ dalla prima uscita del presidente statunitense riguardo alla necessità di creare uno Stato palestinese, poco dopo l’11 settembre, che il senatore Mitchell si augura un intervento deciso dell’Amministrazione per la pace in Medio Oriente. Perché l’impegno di tutti è necessario, ma soltanto Washington può avere un ruolo davvero decisivo. “Spero che il presidente continui su questa linea, va assolutamente incoraggiato”. Perché nonostante le accuse di imperialismo mosse sempre più frequentemente agli Stati Uniti e non soltanto dagli interlocutori più sgraditi, ogni volta che accade qualcosa di negativo in Medio Oriente – sottolinea il sessantanovenne senatore del Maine – la prima reazione è di chiedere un maggiore coinvolgimento americano. L’Onu non è fuori gioco, la Nato è stata e sarà importante, il futuro dirà chi si è comportato bene e chi male nelle ultime crisi di dialogo tra Stati Uniti ed Europa, e tra europei con differenti idee, ma la realtà è che una nazione come gli Stati Uniti, in una posizione così preminente rispetto alle altre nazioni, ha un ruolo unico e non può abdicare. “Siamo una potenza dominante – dice Mitchell – per il nostro peso militare ed economico, ma non solo, come spesso viene creduto all’estero, ma anche da taluni americani. Siamo una potenza perché potenti sono anche i nostri valori, le nostre libertà, i nostri diritti in cui in molti nelle più lontane regioni del mondo si riconoscono”. E dinanzi all’accusa che spesso viene mossa agli Stati Uniti di non vivere all’altezza di quegli ideali, Mitchell risponde che il suo potrà non essere un paese perfetto, ma gli americani in quei valori credono davvero. E sebbene le opportunità della politica internazionale possano occasionalmente condurre gli Stati Uniti a scelte contraddittorie, questo è un corollario delle relazioni internazionali dove non ci può sempre essere una perfetta coerenza tra princìpi e obiettivi. Stabilisci dei traguardi molto alti e fai del tuo meglio per ottenerli, ma se non ce la fai non puoi essere criticato per questo. "

Shalom!!!

benfy
28-06-03, 20:04
http://benfy.altervista.org/me.jpeg

Dario
30-06-03, 01:41
In origine postato da AngelodiCentro
Pieffebi dì la tua per favore :D
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=576403#post576403 E' un modo unilaterale (perciò parziale, perciò sbagliato) di vedere la questione palestinese.

Così come parziale e sbagliato sarebbe guardare la questione in modo unilaterale da parte di Israele.

E non c'è niente da ridere, solo da piangere....

Pieffebi
01-07-03, 19:27
da www.israele.net

" ANALISI E COMMENTI

Terzo incontro Sharon-Abu Mazen

1 luglio 2003

Terzo incontro, martedi' pomeriggio, tra il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il primo dopo il vertice di Aqaba del 4 giugno scorso.
Entrambi i leader hanno ribadito l'impegno a proseguire lungo la strada indicata dalla Road Map e a combattere il terrorismo. Nella conferenza stampa congiunta, che si e' tenuta nell'ufficio del primo ministro israeliano a Gerusalemme, Abu MAzen ha detto: "Ogni giorno che passa senza un accordo con Israele e' un giorno perso, e i palestinesi vogliono porre fine la conflitto con Israele". E ha continuato: "Basta uccisioni, basta morti, basta dolore. Muoviamoci insieme con coraggio e senza esitazioni verso il futuro che tutti noi meritiamo". "Qualunque uccisione terroristica sarebbe un attacco contro l'umanita' - ha concluso Abu Mazen - Dobbiamo dimenticare il passato e operare per il futuro".
"Vogliamo vivere in pace con tutti i nostri vicini - ha dichiarato Sharon - Oggi le speranze per la pace sono piu' grandi che mai. La mia prima responsabilita' verso il popolo d'Israele e' la sicurezza. Non vi puo' essere pace senza sicurezza. Gli israeliani non vogliono governare su un altro popolo. Gli israeliani vogliono vivere in pace, fianco a fianco con i loro vicini palestinesi. Israele potrebbe dover fare dolorose concessioni, ma insieme raggiungeremo il nostro obiettivo della sicurezza e della pace per entrambi i popoli". Sharon ha ricordato che, "oltre alle speranze e alle possibilita', vi sono anche rischi e pericoli: ci sono ancora molti che vogliono vedere sconfitto questo processo, che vogliono vedere sconfitto qualunque processo di pace".
Secondo Ha'aretz, durante l'incontro, centrato sulla questione del disimpegno delle Forze di Difesa israeliane da alcune citta' della Cisgiordania e sul rilascio di detenuti di sicurezza palestinesi, Sharon ha detto ad Abu Mazen che Israele non cessera' di combattere contro il terrorismo, e lo ha avvertito che non vi puo' essere pace finche' perdura il terrorismo.

(Ma'ariv, Ha'aretz, 1.07.03) "

Cordiali saluti

jesi1194 (POL)
18-07-03, 17:51
In origine postato da AngelodiCentro
Pieffebi dì la tua per favore :D
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&postid=576403#post576403


In origine postato da AngelodiCentro
anche qui una discussione molto interessante:
http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=59448&perpage=20&pagenumber=1 :)

http://www.intercam.it/valcam/assoc/protez/immagini/ricognitore.gif


http://www.democraticiperlulivo.it/immagini/rassegnastampa/ep3

Mod. AdC-AP.

Uso tattico. Individuazione obiettivo. Calcolo coordinate. Trasmissione dati alla fortezza volante PFB.

Ogni tanto incappa nel contadino iraqeno che lo tira giù a forconate.

Shambler
20-07-03, 03:40
ehi angelino, ho visto giuso ieri che piange e si dispera che sembra una matta.
dice che , da quando ti sei dato alla politica,sei sparito dalla circolazione.
e poi è curioso di vedere come stai ora che ti sei fatto circoncidere

Pieffebi
26-07-03, 20:27
up per atterraggio morbido

Pieffebi
12-08-03, 12:57
da www.ansa.it

" MO: ATTENTATO IN CENTRO COMMERCIALE, MORTI E FERITI
GERUSALEMME - Due attentati suicidi, in cui due israeliani sono stati uccisi - oltre a due kamikaze palestinesi - e almeno altri 11 sono stati feriti, hanno bruscamente di nuovo posto lo stato ebraico davanti all' incubo degli attentati e sollevato pesanti dubbi sul proseguimento della tregua in vigore dalla fine di giugno. Il primo attentato e' avvenuto intorno alle ore 08.30 (07.30 in Italia), quando un palestinese si e' fatto esplodere all' interno di un drugstore, vicino alle casse, nella citta' di Rosh Ha-Ayn, a nord est di Tel Aviv.

Malgrado la potenza relativamente bassa dell'ordigno, secondo la polizia, un israeliano e' stato ucciso e circa una decina sono stati feriti, due dei quali in modo grave. L'esplosione, inoltre, ha provocato l'incendio di un negozio adiacente al drugstore. Poco tempo dopo, questa volta all' altezza dell' insediamento urbano di Ariel, in Cisgiordania, un altro terrorista si e' fatto esplodere a una fermata per autostoppisti, causando, oltre alla sua, la morte di un altro israeliano e il ferimento di altri due.

Nel timore di nuovi attentati polizia e esercito hanno fortemente accentuato le misure di sicurezza nella regione. Queste sono state poi ridotte dopo la cattura di un palestinese dei Territori, sospettato di aver trasportato in automobile l' autore dell'attentato a Rosh Ha-Ayn e forse anche il kamikaze di Ariel. Nessuno dei due attentati risulta sia stato finora apertamente rivendicato da gruppi palestinesi. Il premier palestinese Abu Mazen ha condannato i due attentati e ha affermato che l' Autorita' palestinese vuole, nel suo stesso interesse, il proseguimento della tregua. Abu Mazen ha abbreviato una sua visita in corso nel Golfo e tornera' oggi stesso nei Territori. Il movimento di resistenza islamico Hamas e la Jihad Islamica, pur affermando di ignorare chi siano i responsabili degli attentati, hanno tuttavia affermato che questi sono una diretta conseguenza di asserite violazioni di Israele della tregua e delle condizioni a questa legate. In una prima reazione, il governo israeliano ha intanto bloccato la liberazione di 69 detenuti palestinesi che oggi dovevano essere scarcerati.

Il premier Ariel Sharon, secondo quanto ha riferito la radio pubblica, ha intanto dichiarato che non ci sara' nessun passo avanti nel dialogo politico con i palestinesi fino a quando l' Autorita' palestinese (Anp) non sciogliera', disarmera' e arrestera' i membri di tutti i gruppi militanti palestinesi, che Israele considera terroristici. Il ministro palestinese responsabile per la sicurezza Mohammed Dahlan ha affermato che l'Anp non ha per ora la capacita' materiale di neutralizzare i gruppi armati operanti in Cisgiordania.
12/08/2003 12:59 "


Shalom!!!

Pieffebi
08-09-03, 20:16
da www.israele.net


" ANALISI E COMMENTI

Abu Mazen "dimissionato"

Alcuni commenti dalla stampa israeliana
7 settembre 2003

Scrive Yediot Aharonot: L'errore fatale che il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha commesso, come leader e come patriota, e che ha posto termine ai suoi cento giorni di governo, e' stato quello di avere il coraggio di dire la verita' alla popolazione palestinese. Quello che Abu Mazen ha detto alla sua gente e' che bisogna ripudiare la guerra contro il Sionismo e accettare la coesistenza a fianco di Israele anziche' adoperarsi per la sua distruzione. Per questo Abu Mazen e' stato destituito, anche se la destituzione e' passata sotto il nome di dimissioni, prima che potesse mettere alla prova i suoi argomenti. Un esito da imputare al presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat, che non e' mai stato veramente interessato a uno stato palestinese indipendente a fianco di Israele. Arafat, continua l'editoriale, ha condotto il suo popolo da un disastro all'altro, dal dolore alla sofferenza, perche' solo nella distruzione e nella sofferenza egli puo' essere certo che i palestinesi continueranno a considerarlo come un salvatore, il solo detentore della chiavi della salvezza .

Scrive Khaled Abu Toameh, sul Jerusalem Post: Yasser Arafat e' riuscito a raggirare e umiliare diversi successivi leader israeliani, europei e americani per almeno vent'anni . Sabato scorso ha aggiunto a questa impressionante lista il presidente degli Stati Uniti George W. Bush. Mahmoud Abbas (Abu Mazen), l'uomo che meno di due mesi fa era stato celebrato alla Casa Bianca come il leader palestinese gradito a tutto il mondo, e' stato ridotto a zero semplicemente perche' non era gradito ad Arafat. Sono bastati ad Arafat cento giorni per gettare nella pattumiera il sogno del presidente americano d'aver trovato il leader giusto per i palestinesi. Un esito chiaro fin dall'inizio. Era chiaro che Arafat, che non ha mai accettato di dividere il suo potere con qualunque altro palestinese, avrebbe fatto di tutto per indebolire Abu Mazen e provocarne la caduta. Ora Arafat sta cercando un nuovo primo ministro che gli obbedisca, e cerchera' di nominare uno suo fedelissimo o comunque un personaggio che non osi nemmeno sfidare il suo regime autocratico. Se c'e' una cosa che appare evidente dal dramma andato in scena sabato a Ramallah e' che per Arafat l'unico leader palestinese accettabile e' se stesso. Per dirla con le parole di Sari Nusseibeh, il preside dell'universita' palestinese al-Quds, "questa e' una situazione perdente, dove la popolazione puo' solo perdere". Arafat ha vinto un'altra battaglia, ma il popolo palestinese ne esce sicuramente sconfitto. Per dirla con le parole di Sari Nusseibeh, il preside dell'universita' palestinese al-Quds, "questa e' una situazione perdente, dove la popolazione puo' solo perdere". Arafat ha vinto un'altra battaglia, ma il popolo palestinese ne esce sicuramente sconfitto .

(Yediot Aharonot, Jerusalem Post, 7.09.03) "


Shalom!!!!

Pieffebi
10-09-03, 22:03
da www.ansa.it


" WASHINGTON - La road map per il processo di pace in Medio Oriente ''resta valida''. Lo ha detto il presidente americano George W. Bush, rispondendo a domande di giornalisti dopo avere accolto nello Studio Ovale il premier del Kuwait. Bush ha anche invitato il nuovo premier palestinese Abu Ala a lottare contro il terrorismo. Del nuovo premier, Bush a riportare la pace nella Regione. Il presidente, che ha ringraziato il suo ospite, lo sceicco Sabah al-Ahmad al-Sabah per l'appoggio dato alla lotta contro il terrorismo e alla causa della pace, ha ribadito la visione ''di due Stati che vivano l'uno accanto all'altro in pace'', sempre ''valida per il Medio Oriente''. Le dichiarazioni di Bush vengono dopo la riesplosione della violenza tra israeliani e palestinesi negli ultimi giorni.

GAZA - Le Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato del movimento integralista islamico Hamas, hanno rivendicato con un comunicato i due attentati kamikaze di ieri che, nei pressi di Tel Aviv e a Gerusalemme, hanno provocato 15 morti e una sessantina di feriti. ''Le nostre dolorose operazioni sono un messaggio che dice al nemico che noi possiamo colpirlo anche quando mette in campo le misure di sicurezza piu' strette, come e' stato il caso ieri'', si legge nel comunicato giunto all'agenzia francese Afp. ''Abbiamo voluto far capire al terrorista Sharon (il premier israeliano) e alla banda di nazisti del suo governo che, grazie a Dio, possiamo colpire i nostri obbiettivi dove e quando vogliamo''.

Martedi' sera, subito dopo l'attentato di Gerusalemme, le Brigate avevano diffuso un altro documento in cui non rivendicavano apertamente le due operazioni suicide ma affermavano che Israele aveva gia' cominciato a ''restituire il dovuto'', dopo il mancato tentativo di eliminare lo sceicco Ahmed Ysssin, il leader spirituale del movimento. La temuta vendetta di Hamas per l'attacco mirato israeliano contro lo sceicco Yassin si e' consumata martedi' con una micidiale e sanguinosa doppietta di attentati suicidi, il primo in una base militare vicino Tel Aviv e il secondo in un caffe' a Gerusalemme, dove due kamikaze integralisti si sono fatti saltare in aria uccidendo in tutto almeno 15 israeliani (tra soldati e civili) e ferendone altre decine, alcuni dei quali versano in gravissime condizioni.



Gli israeliani hanno lanciato un attacco nel quartiere di Gaza dove si trova la casa di A-Zahar, uno dei massimi dirigenti politici di Hamas. Nei bombardamenti sono stati uccisi il figlio di A-Zahar e la sua guardia del corpo e si parla anche di una terza vittima. Il dirigente dell'organizzazione palestinese e' rimasto ferito pare in modo non grave. Testimoni parlano di numerosi feriti nella zona. Intanto e' massima allerta in Israele nella convinzione che gli attentati di ieri, che hanno fatto 15 morti - tra cui un bambino di 4 anni - e circa 100 feriti, siano solo l'inizio di una nuova ondata terroristica.

CASA BIANCA, NUOVA LEADERSHIP CONDANNI TERRORISMO - La Casa Bianca ha lanciato un appello alla nuova leadership palestinese, e in particolare al premier designato Abu Ala, perche' condanni in modo esplicito il ricorso al terrorismo. Lo ha indicato, a Washington, il portavoce del presidente George W. Bush, Scott McClellan, a un gruppo di giornalisti.
10/09/2003 15:10 "


Shalom!!!!

Pieffebi
21-09-03, 20:48
dal sito di Ideazione


" La tela di Penelope della Road Map
di Cristiana Vivenzio

La lunga crisi mediorientale non conosce tregua. Dopo le dimissioni di Abu Mazen e la nomina di uno dei membri del governo più vicini al leader palestinese Arafat, Abu Ala, l’escalation del terrore è ripresa, più rapida che mai. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non sembrano lasciar intravedere spiragli di un’evoluzione in positivo, mentre a morire sono sempre di più vittime innocenti. Il nuovo premier palestinese, che appena pochi giorni fa ha sciolto la riserva nell’accettare l’incarico di governo, ha immediatamente chiesto ai vertici israeliani una riapertura del dialogo. Il governo di Abu Ala, che sarà composto da un numero ristretto di ministri (tra sette e otto), si è reso disponibile a fare un primo passo, a suo modo dimostrativo delle intenzioni del nuovo esecutivo: raggruppare tutte le forze di sicurezza sotto il controllo del primo ministro. Una richiesta di marca statunitense, che il predecessore di Abu Ala non era stato in grado di assicurare, anche per i continui contrasti con il presidente Arafat.

Da parte loro gli israeliani misurano le mosse future. Una delle quali sembra pendere quota: l’intervento a Gaza, volto a smantellare le cosiddette infrastrutture del terrore. Si colpirebbe in questo modo alla base la struttura di Hamas, distruggendo i depositi di armi e di esplosivo, fino alla cattura o l’uccisione dei leader del braccio armato su campo aperto. Una iniziativa che sembra trovare sempre più consensi anche all’interno dell’esausta popolazione israeliana e tra i vertici governativi e militari. “Se le eliminazioni mirate sollevano ancora molta discussione, pure l'idea che compierle risponda a una morale superiore, per cui uccidendo il promotore politico, ideologico, operativo degli attacchi suicidi si risparmiano molte vite, sta diventando senso comune”. Il nodo cruciale rimane lui, il vecchio leader dell’Olp, del quale il governo di Sharon, in una drammatica riunione d’emergenza del gabinetto di sicurezza, ha chiesto l’esilio. Ma proseguendo in questa direzione il premier israeliano rischia di andare a sbattere contro le resistenze americane, che temono una recrudescenza del terrore e una sacralizzazione del mito Arafat, una volta fuori dalla fortezza di Ramallah. In questo modo si spegnerebbero le flebili speranze di proseguire sul sentiero della pace manifestate da Abu Ala. Inizia ora la fase più difficile, almeno su campo palestinese. Il nuovo premier sarà impegnato su due fronti: sul piano interno, per ottenere credibilità internazionale, dovrà dimostrare di essere in grado di riportare sotto il suo controllo le spinte estremistiche, ma sul fronte esterno dovrà riuscire nell’arduo compito di restituire ad Arafat, anche se in misura mediata, un posto al tavolo delle trattative.

In casa Usa, il presidente Bush richiama il suo popolo ad un impegno di lungo periodo contro il terrorismo, anche se tra l’opinione pubblica americana, ed anche tra le fila neoconservatrici, c’è chi sostiene che la crisi mediorientale abbia distolto forze e risorse dall’obiettivo principale: lo smantellamento della rete del terrore, senza contribuire, di fatto, a risolvere la crisi in Medio Oriente. Secondo questa opinione, infatti, l’epicentro del problema terrorismo non è individuabile tanto nel territorio di Israele ma negli Stati limitrofi. La strategia del terrore “è un fenomeno guidato e alimentato dall'Iran, dalla Siria, e dalle fazioni estremiste che si trovano in Arabia Saudita - ha dichiarato Michael Ledeen in un’intervista - sono loro i mandanti che lo finanziano, lo sostengono e indicano gli obiettivi generali. Fino a quando gli ayatollah saranno al potere a Teheran, Assad governerà la Siria, e tra i sauditi nessuno cercherà davvero di bloccare gli estremisti, noi non riusciremo a sconfiggere il terrorismo né in Israele, né in altre parti del Medio Oriente ”. Ciò che rimane di fatto è altro: ognuno piange i suoi morti. Gli americani, quelli dell’11 settembre; i palestinesi le vittime dei raid israeliani, gli israeliani gli oltre seicento civili caduti in poco meno di tre anni sotto le bombe cieche di Hamas, Jihad e al Aqsa. E la crisi si fa sempre più lunga e sanguinosa.

12 settembre 2003
vivenzio@ideazione.com "

Shalom!!!!!

Pieffebi
06-10-03, 20:24
da www.iltempo.it

" Israele, è scontro su risoluzione


Slitta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il voto sulla risoluzione di condanna aD Israele presentata dalla Siria ieri, in una riunione straordinaria dei 15 convocata poche ore dopo il raid aereo contro la presunta base di terroristi palestinesi all'interno dei suoi confini. Il voto avverrà molto probabilmente nei prossimi giorni. Damasco, che aveva inoltre chiesto ieri al Consiglio di agire in modo da prevenire altre azioni militari israeliane, aveva invece sollecitato un voto immediato. La Siria ha denunciato che il raid aereo minaccia la pace e la stabilità regionale. Ma gli Stati Uniti si oppongono al testo presentato da Damasco. Israele, aveva detto ieri al Palazzo di Vetro l'inviato siriano, Fayssal Mekdad, «viola la Carta delle Nazioni Unite tanto che gli arabi e numerose popolazioni del mondo ritengono che il Paese si considera al di sopra della legge». Damasco ha quindi chiesto agli altri 14 membri del Consiglio di sollecitare Israele a rinunciare ad azioni che potrrebbero scatenare «conseguenze imprevedibili che, a loro volta, rischiano di mettere in crisi la pace nella regione».

DURE ACCUSE ALLA SIRIA. A sua volta, Israele, attraverso le parole dell'ambasciatore Dan Gillerman, irato perché la riunione è stata convocata alla vigilia dello Yom Kippur, ha accusato la Siria di «assicurare protezione, siti di addestramento, supporto logistico e finanziario» a organizzazioni terroristiche. La richiesta di Damasco, ha detto, è «come se dopo l'undici settembre i Taleban avessero chiesto un dibattito». L'ambasciatore americano al Palazzo di Vetro, Presidente del Consiglio di sicurezza nel mese di ottobre John Negroponte, ha invitato «tutte le parti a cercare di non aumentare la tensione e a pensare attentamente alle conseguenze delle loro azioni», senza condannare Israele. Ma anzi sottolineando che la Siria «si trova dalla parte sbagliata nella guerra al terrorismo». « Riteniamo che sia negli interessi della Siria, e negli interessi più ampi della pace in Medio Oriente, che la Siria cessi di ospitare e supportare gruppi che perpetrano atti come quello avvenuto ieri », ha aggiunto Negroponte riferendosi all'attentato suicida contro il ristorante Maxim di Haifa. Decisa invece la condanna del raid israeliano da parte di Francia e Gran Bretagna.

Ultimo aggiornamento lunedì 6 ottobre 2003 ore 14.00 "


Shalom!!!!!!

Pieffebi
03-11-03, 15:51
da www.israele.net

" Sharon: "Siamo alla vigilia di una svolta"

31 ottobre 2003

"Sono convinto che siamo alla vigilia di una svolta e di un avvio sulla strada che conduce verso la tranquillita' e la pace". Lo ha dichiarato il primo ministro israeliano Ariel Sharon giovedi' sera parlando a un forum economico che si e' tenuto a Tel Aviv. Sharon ha aggiunto che contatti tra rappresentanti israeliani e palestinesi proseguono, sebbene non a livello di primi ministri.
Nel frattempo si apprende che il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz ha in programma un incontro la prossima settimana con alti funzionari dell'Autorita' Palestinese, incontro che fa seguito a colloqui gia' in corso fra rappresentanti palestinesi e Amos Gilad, capo del dipartimento politico e della sicurezza del ministero della difesa.
"Il motivo per cui non abbiamo contatti a livello di primi ministri - ha spiegato Sharon - nasce dal fatto che gli stessi palestinesi ci hanno chiesto di dare tempo al neo designato primo ministro palestinese Ahmed Qureia (Abu Ala) affinche' consolidi il suo governo. Noi siamo pronti ad avviare negoziati in qualunque momento".
Circa quattro settimane fa Qureia e' stato posto da Yasser Arafat alla testa di un ristretto governo d'emergenza palestinese, con un mandato limitato della durata di un mese che dovrebbe scadere il prossimo 4 novembre. Arafat ha poi chiesto a Qureia di formare per quella data un governo completo, ma finora non sembra che l'incaricato sia riuscito nel compito anche a causa di forti disaccordi sorti con lo stesso Arafat soprattutto sulla questione del controllo delle forze di sicurezza palestinesi.
Sia Israele che Stati Uniti hanno adottato una politica di non dialogo con Arafat, accusato di essere connivente e complice con il terrorismo. La mancanza di un governo palestinese stabile e autorevole a sua volta ha bloccato i colloqui sull'applicazione del piano delineato nella Road Map, che prevede la cessazione immediata delle violenze e una decisa azione per lo smantellamento delle strutture terroristiche, per arrivare alla nascita di uno stato palestinese attraverso tre fasi da concludersi indicativamente entro il 2005.
Da Washington il portavoce del Dipartimento di stato americano Richard Boucher ha dichiarato che, fino a quando non vi sara' un primo ministro palestinese in grado di adottare misure serie e credibili contro il terrorismo e la violenza, "sara' difficile fare progressi verso la prospettiva [due stati, Israele e Palestina, uno accanto all'altro] indicata dal presidente Bush" e sottoscritta dal governo israeliano.

(Jerusalem Post, 31.10.03)
"


Shalom!!!

Dario
03-11-03, 17:03
Sono rimasto sbalordito dal risultato del sondaggio fatto a livello europeo, secondo il quale il 59% degli intervistati giudica ISRAELE il più grosso pericolo per la pace europea. La cosa ha ovviamente indignato gli israliani.

Ma si sa, gli europei sono una massa di antisemiti, antisionisti e bastardi dentro. Non vi preoccupate, Sharon & C. continuate a costruire in pace il vostro muretto e ad abbattere le case dei palestinesi.

Questa è la via più sicura per la pace....

Pieffebi
03-11-03, 21:25
La gran parte sono stati indubbiamente ....DISinformati......e sappiamo come. Una parte però è certamente affetta da PREGIUDIZI che lo stesso Romano Prodi ha definito giustamente preoccupanti. Questi pregiudizi si sintetizzano senz'altro in un vocabolo: ANTISEMITISMO.

Shalom!!!

Pieffebi
12-04-04, 16:35
da www.israele.net

" Territorio e popolazione: alle radici del conflitto

Intervista al prof. Sergio Della Pergola, docente di Demografia all'Universita' di Gerusalemme
1 aprile 2004

Cosa ci dice la demografia dell'area israelo-palestinese? Qual e' stato l'andamento demografico delle popolazioni che vi risiedono?
La studio della demografia dell'area israelo-palestinese va affrontato in forma molto precisa e sistematica a causa delle evidenti implicazioni politiche che emergono dai dati e che si riverberano sul conflitto mediorientale, che e' articolato almeno su tre livelli: il livello locale, con israeliani e palestinesi che si contendono la sovranita' su un territorio; il livello regionale, cioe' il conflitto che coinvolge gli stati arabi limitrofi e non; il livello globale, dove si affrontano un mondo islamico e un mondo occidentale a cui viene associato l'ebraismo. Sull'area che comprende lo Stato d'Israele e i territori dell'Autorita' Palestinese, corrispondente grossomodo a un'estesa regione italiana come la Campania o la Lombardia, nel corso degli ultimi due millenni si sono verificate profonde fluttuazioni di popolazione. Se nel I secolo dell'era volgare la componente ebraica della popolazione era prevalente, nel corso dei secoli essa e' progressivamente decresciuta ed e' stata notevolmente marginalizzata. Solo nella seconda meta' del XIX secolo la popolazione ebraica dell'area aumenta fino a raddoppiare, per poi accrescersi progressivamente fino al 1948, anno in cui si verifica il sorpasso rispetto alle altre componenti non ebraiche. Tra il 1947 e il 1970 si verifichera' un ulteriore raddoppio, fenomeno che tende a ripetersi ogni 25 anni. E' rilevante notare che non piu' di 1/4 dell'attuale popolazione (sia ebraica che non ebraica) che vive in quest'area era gia' presente sul territorio nel 1948.

Come cambiano gli assetti demografici con la nascita dello stato d'Israele?
Il 29 novembre 1947 e' la data in cui viene decisa dall'Onu la spartizione del territorio in questione in due entita' statali. Agli ebrei toccano essenzialmente le citta' ebraiche della fascia costiera, il sud desertico del Negev e le sponde del lago di Tiberiade. Sono interessanti i rilievi fatti all'epoca dai rispettivi rappresentanti. Il dottor Silver dell'Agenzia Ebraica approva il piano obtorto collo, ma chiede di annettere i quartieri ebraici di Gerusalemme. Amin el Husseini dell'Alto Comitato Arabo condanna l'introduzione in se' di un corpo estraneo e chiede uno stato esclusivamente arabo sull'intera Palestina. Vincendo la guerra scatenata dalla Lega Araba nel 1948, il neonato Stato d'Israele migliora le proprie linee di confine e acquisisce fasce territoriali in cui pero' e' predominante la popolazione araba. Il conflitto comporta anche altre importanti conseguenze: 1) si verifica l'evacuazione quasi totale delle comunita' ebraiche degli stati del Nord Africa e del Medio Oriente: da un milione che erano, gli ebrei si riducono a poche migliaia; 2) la diaspora palestinese (gia' esistente prima del 1948) si ingrandisce: i profughi palestinesi (valutati in una cifra che oscilla tra 600.000 e 850.000) si insediano nella Cisgiordania e nella striscia di Gaza, allora sotto controllo arabo, ma anche all'interno dei altri paesi limitrofi, e nel continente americano.

Com'e' distribuita oggi la popolazione araba in Israele?
Il territorio israeliano oggi e' caratterizzato da un'alta densita' di abitanti e una distribuzione disomogenea della popolazione. La popolazione araba israeliana si addensa nella parte centrale di Israele (circa 200.000 persone), nella Galilea occidentale, nel Negev settentrionale (abitato da beduini), sulle alture del Golan (abitate da Drusi) e nei quartieri orientali di Gerusalemme (formalmente annessi allo Stato d'Israele).

Quale potrebbe essere la tendenza demografica in futuro?
E' noto che l'andamento demografico dipende da piu' fattori quali l'incremento naturale, l'immigrazione, l'aspettativa di vita (nell'area di cui stiamo parlando le condizioni socio-sanitarie sono in continuo miglioramento). Dal 1947 al 2002, il fattore migratorio ha avuto un peso determinante sull'incremento demografico d'Israele, ma ha seguito un andamento irregolare prodotto dalle condizioni di pericolosita' e/o precarieta' delle diverse comunita' diasporiche. Le prime ondate migratorie provengono dall'Europa (i sopravvissuti allo sterminio) e dai paesi arabi. Successivamente, dalla seconda meta' degli anni '80, dalla Russia e dall'Etiopia. Se le migrazioni sono principalmente una fuga di necessita', oggi la geografia del mondo ebraico non offre analoghe ragioni di spinta. C'e' quindi una tendenza al ribasso dal fattore migratorio: le previsioni fanno riferimento a quantita' irrilevanti. Per quanto riguarda il fattore natalita', attualmente abbiamo diverse interessanti caratteristiche. La fecondita' media delle famiglie ebraiche e' di 2,5-3 nati per donna, con una raggiunta omogeneita' tra il gruppo cosiddetto sefardita e il gruppo cosiddetto ashkenazita. Drusi e arabi cristiani seguono un percorso convergente. La natalita' media tra i musulmani israeliani e' diminuita da una media di 10 a quella di 4,7-4,5 nati per donna. Dunque, benche' diminuita, la natalita' di ebrei e musulmani in Israele resta superiore rispetto a quella di altre aree a parita' di condizioni socio-economiche e sanitarie. Si tratta di una natalita' voluta, strettamente collegata alle tensioni cui entrambe le popolazioni sono sottoposte. Non solo, ma tale natalita' e' destinata a mantenersi alta, se e' vero che il modello familiare preferito fra gli arabi e' di 4-5 bambini per nucleo, e di 3,5-4 bambini per nucleo fra gli ebrei. Complessivamente, gli scenari futuri prevedono su tutta l'area una popolazione di 23 milioni al 2050 (supponendo una diminuzione della natalita' araba). Una previsione che desta forte preoccupazione visto il contesto territoriale e ambientale.

Che interventi richiede questa prospettiva?
Sono urgenti per l'immediato futuro forti investimenti per fare fronte all'incremento demografico, scegliendo politiche di piano nettamente differenziate nelle diverse aree, in corrispondenza dell'amdamento della natalita' e in funzione della dominanza di un gruppo rispetto all'altro per fasce d'eta' (se si considera ad esempio la fascia 0-14 anni, i bambini palestinesi sono piu' numerosi). A parte questo, se e' vero che esiste un nesso tra conflitto e alto tasso di natalita', allora la fine del conflitto potrebbe contribuire ad allentare la tensione demografica.

E si torna alla domanda di fondo: come porre termine al conflitto?
Diciamo che non si porra' fine al conflitto con discussioni storiche, ne' con il solo uso della forza, ne' con l'intervento di una forza terza che funga da arbitro, garante ecc, e nemmeno cancellando specifiche e rispettive identita'. Si potra' porre fine al conflitto solo con un compromesso che implichi una spartizione territoriale il piu' omogenea possibile per popolazione e il piu' equilibrata possibile per estensione. Un'ipotesi che abbiamo avanzato, insieme ad altri ricercatori, e' quella di un compromesso basato sullo scambio di territori anziche' sullo scambio di popolazioni. A Israele andrebbero quei dintorni di Gerusalemme abitati quasi esclusivamente da popolazione ebraica; al futuro stato palestinese la parte orientale di Gerusalemme, la fascia a nord est di Tel Aviv abitata da arabi israeliani e cosi' via. Non e' solo un'ipotesi accademica, dal momento che e' stata presa in considerazione dai laburisti e lo stesso primo ministro Ariel Sharon vi ha fatto cenno. Si tratterebbe di una ottimizzazione tecnicamente fattibile, senza richiedere lo spostamento di popolazioni, che tuttavia finora ha suscitato una vivace opposizione da parte degli arabi israeliani, i quali non gradiscono la prospettiva di finire sotto una sovranita' palestinese percepita come meno democratica del paese di cui oggi fanno parte. Ma qui si ferma il contributo del tecnico. La decisione ultima spetta alla politica.

(www.israele.net, 1.04.04 - si ringrazia Laura Wofsi Rocca) "

Shalom!

Pieffebi
22-04-04, 22:37
da www.israele.net

" ANALISI E COMMENTI

Il piano di disimpegno di Sharon

21 aprile 2004

Questo il testo completo del piano di disimpegno dalla striscia di Gaza e da una parte della Cisgiordania comunicato alla stampa il 18 aprile 2004.

1. Linee generali

Israele e' impegnato per il processo di pace e aspira ad arrivare a una soluzione concordata del conflitto sulla base del principio "due stati per due popoli", lo stato di Israele come stato del popolo ebraico e uno stato palestinese come stato del popolo palestinese, nel quadro dell'attuazione della prospettiva indicata dal presidente Bush [nel discorso del 24 giugno 2002].
Israele si preoccupa di far progredire e di migliorare la situazione attuale. Israele e' giunto alla conclusione che attualmente non esiste un interlocutore palestinese affidabile con cui possa fare progressi nel processo di pace bilaterale. Di conseguenza, Israele ha sviluppato un piano di disimpegno unilaterale basato sulle seguenti considerazioni:
I. Lo stallo imposto dalla situazione attuale e' dannoso. Per uscire dallo stallo, Israele deve avviare iniziative indipendenti dalla cooperazione palestinese.
II. Il piano condurra' a un miglioramento delle condizioni di sicurezza, perlomeno a lungo termine.
III. Il concetto secondo cui qualunque futura composizione definita non prevedera' citta' o villaggi israeliani nella striscia di Gaza. D'altra parte, e' chiaro che in Cisgiordania vi sono zone che faranno parte dello stato di Israele, comprese citta', cittadine e villaggi, aree e installazioni di sicurezza e altri luoghi di interesse particolare per Israele.
IV. Il trasferimento dalla striscia di Gaza e dalla Samaria settentrionale (come indicato nella mappa) ridurra' le frizioni con la popolazione palestinese e comportera' un potenziale miglioramento dell'economia e delle condizioni di vita palestinesi.
V. La speranza e' che i palestinesi colgano l'occasione creata dal disimpegno per interrompere la spirale di violenze e tornare a impegnarsi nel processo negoziale.
VI. Il processo di disimpegno servira' a cancellare attribuzioni di responsabilita' a Israele per i palestinesi nella striscia di Gaza.
VII. Il processo di disimpegno non pregiudica gli accordi israelo-palestinesi. Le inetse pertinenti continueranno a essere applicate.
VIII. Quando la parte palestinese dimostrera' la volonta', la capacita' e l'attuazione in concreto della lotta contro il terrorismo e delle riforme istituzionali previste dalla Road Map, allora sara' possibile tornare al dialogo e al tavolo negoziale.

2. Elementi principali

I. Striscia di Gaza
1) Israele sgombrera' la striscia di Gaza, comprese tutte le cittadine ei villaggi israeliani che vi esistono, e si riposizionera' al di fuori della striscia di Gaza.Cio' non comprende il dispiegamento militare nell'area di confine tra la striscia di Gaza e l'Egitto (la "Philadelphi Route"), come specificato piu' oltre.
2) Una volta completato questo processo, non vi sara' piu' alcuna presenza permanente di civili o di forze di sicurezza israeliane nelle parti di territorio della striscia di Gaza che saranno state sgomberate.
3) Di conseguenza non vi sara' piu' fondamento per sostenere che la striscia di Gaza e' territorio occupato.


II. Cisgiordania
1) Israele sgomberera' un'Area Settentrionale della Samaria (vedi mappa), compresi quattro villaggi e tutte le installazioni militari, e di riposizionera' al di fuori dell'area sgomberata.
2) Una volta completato questo processo, non vi sara' piu' alcuna presenza permanente di civili o di forze di sicurezza israeliane nell'Area Settentrionale della Samaria.
3) La manovra permettera' la continuita' territoriale per i palestinesi nell'Area Settentrionale della Samaria.
4) Israele migliorera' le infrastrutture dei trasporti in Cisgiordania al fine di agevolare la continuita' dei trasporti palestinesi.
5) Il processo agevolera' le attivita' economiche e commerciali palestinesi in Cisgiordania.
6) Barriera di sicurezza: Israele continuera' a costruire la barriera di sicurezza, in conformita' con le pertinenti decisioni del governo.Il tracciato terra' conto di considerazioni umanitarie.


3. Situazione della sicurezza dopo il disimpegno

I. Striscia di Gaza
1) Israele custodira' e monitorera' il perimetro di territorio esterno alla striscia di Gaza, continuera' a mantenere esclusiva autorita' sullo spazio aereo di Gaza e continuera' ad esercitare attivita' di sicurezza nel mare di fronte alla costa della striscia di Gaza.
2) La striscia di Gaza sara' smilitarizzata e priva di armamenti la cui presenza non sia conforme agli accordi israelo-palestinesi.
3) Israele si riserva il proprio inalienabile diritto all'autodifesa, sia preventiva che reattiva, compreso quando necessario l'uso della forza a fronte di minacce provenienti dalla striscia di Gaza.

II. Cisgiordania
1) Una volta completato lo sgombero dall'Area Settentrionale della Samaria, non restera' alcuna presenza militare israeliana permanente nell'area.
2) Israele si riserva il proprio inalienabile diritto all'autodifesa, sia preventiva che reattiva, compreso quando necessario l'uso della forza a fronte di minacce provenienti dall'Area Settentrionale della Samaria.
3) In altre aree della Cisgiordania continueranno le attuali attivita' di sicurezza. Comunque, circostanze permettendo, Israele prendera' in considerazione la riduzione di tali attività nelle citta' palestinesi.
4) Israele operera' per ridurre il numero di posti di blocco all'interno della Cisgiordania.

4. Installazioni militari e infrastrutture nella striscia di Gaza e nell'Area Settentrionale della Samaria

In generale saranno smantellate e rimosse, ad eccezione di quelle che Israele decidera' di lasciare e trasferire ad un altro soggetto.

5. Assistenza ai palestinesi sulla sicurezza

Israele concorda che, in coordinazione con esso, vengano forniti consulenza, aiuto e addestramento alle forze di sicurezza palestinesi per l'adempimento del loro compito di combattere il terrorismo e mantenere l'ordine pubblico, ad opera di esperti americani, britannici, egiziani, giordani o altri, in accordo con Israele. Nessuna forza di sicurezza straniera puo' entrare nella striscia di Gaza o in Cisgiordania senza coordinamento e approvazione d'Israele.

6. L'area di confine fra striscia di Gaza ed Egitto (Philadelphi Route)

Inizialmente Israele continuera' a mantenere una presenza militare lungo il confitto tra striscia di Gaza ed Egitto (Philadelphi route). Questa presenza e' una necessita' di sicurezza essenziale. In certi luoghi, considerazioni di sicurezza possono richiedere un ampliamento dell'area in cui viene condotta l'attivita' militare.
Successivamente verra' preso in considerazione lo sgombero da quest'area. Lo sgombero dall'area dipendera', fra l'altro, dalla situazione di sicurezza e dal grado di cooperazione con l'Egitto nel creare un accomodamento alternativo affidabile.
Se e quando le condizioni permetteranno lo sgombero da quest'area, Israele sara' disposto a considerare la possibilita' di istituire un porto marittimo e un aeroporto nella striscia di Gaza, in conformita' con intese da concordare con Israele.

7. Citta' e villaggi Israeliani

Israele si sforzera' di lasciare intatti beni immobili relativi a cittadine e villaggi israeliani. Il trasferimento di attivita' economiche israeliane ai palestinesi comporta una potenzialita' di significativo miglioramento dell'economia palestinese. Israele propone che venga istituito un ente internazionale (sulla falsariga dell'AHLC) che, con l'accordo di Stati Uniti e Israele, ricevera' da Israele il possesso di proprieta' che resteranno in loco e stimera' il valore di tali beni.
Israele si riserva il diritto di richiedere che si tenga conto del valore economico dei beni lasciati nelle aree sgomberate.

8. Infrastrutture civili e intese

Infrastrutture relative ad acqua, elettricita', scarichi e telecomunicazioni che servono i palestinesi resteranno al loro posto. Israele si sforzera' di lasciare al loro posto le infrastrutture relative ad acqua, elettricita' e scarichi che attualmente servono cittadine e villaggi israeliani. In generale, Israele permettera' la continuazione delle forniture di elettricita', acqua, gas e benzina ai palestinesi, in conformita' con le attuali intese. Resteranno in vigore altre intese oggi in atto, come quelle relative alle sfere idrica ed elettromagnetica.

9. Attivita' delle organizzazioni internazionali

Israele riconosce la grande importanza della continua attivita' delle organizzazioni internazionali che assistono la popolazione palestinese. Israele coordinera' delle intese con queste organizzazioni per facilitare tali attivita'.

10. Intese economiche

In generale, le intese economiche attualmente in atto tra Israele e palestinese resteranno nel frattempo in vigore. Tali intese comprendono, fra l'altro:
I. l'ingresso di lavoratori in Israele in conformita' ai criteri esistenti
II. l'ingresso e l'uscita di beni tra striscia di Gaza, Cisgiordania, Israele e l'estero
III. il regime monetario
IV. intese su tasse e dogane
V. intese su poste e telecomunicazioni.
A lungo termine, in linea con l'interesse che ha Israele nell'incoraggiare una maggiora indipendenza economica palestinese, Israele conta di ridurre il numero di lavoratori palestinesi che entrano in Israele. Israele appoggia lo sviluppo di fonti di impiego nella striscia di Gaza e nelle aree palestinesi della Cisgiordania.

11. Zona industriale di Erez

La zona industriale di Erez, situata nella striscia di Gaza, da' lavoro a circa 4.000 lavoratori palestinesi. La continua operativita' della zona e' prima di tutto un chiaro interesse palestinese. Israele considerera' la continuazione dell'operativita' della zona sulle basi attuali, a due condizioni:
I. l'esistenza di appropriate intese sulla sicurezza
II. l'esplicito riconoscimento da parte della comunita' internazionale che la continua operativita' della zona sulle basi attuali non verra' considerata come continuazione del controllo d'Israele sull'area.
In alternativa, la zona industriale verra' trasferita alla responsabilita' di un ente palestinese o internazionale concordato.
Israele cerchera' di esaminare, insieme all'Egitto, la possibilita' di creare un'area industriale congiunta nella zona tra la striscia di Gaza, l'Egitto e Israele.

12. Passaggi internazionali

I. Il passaggio internazionale tra striscia di Gaza e Egitto
1) Continuera' l'accomodamento attuale
2) Israele e' interessato a spostare il passaggio nella zona "dei tre confini", approssimativamente due chilometri a sud dell'attuale collocazione. Cio' va attuato in coordinamento con l'Egitto. Tale mossa permetterebbe di estendere le ore di operativita' del passaggio.

II. I passaggi internazionali tra Cisgiordania e Giordania:
Continueranno gli accomodamenti attuali.

13. Il punto di passaggio di Erez

La parte israeliana del punto di passaggio di Erez sara' spostata in un luogo all'interno di Israele secondo un calendario da stabilire separatamente.

14. Calendario

Il processo di sgombero e' programmato per essere completato entro la fine del 2005. Gli stadi dello sgombero e il calendario dettagliato saranno resi noti agli Stati Uniti.

15. Conclusione

Israele conta su un vasto sostegno al piano di disimpegno da parte della comunita' internazionale. Questo sostegno e' essenziale al fine di portare i palestinesi a rispettare nel concreto il loro dovere di combattere il terrorismo e attuare le riforme, permettendo cosi' alle parti di tornare al tavolo negoziale.

Impegni degli Usa come parte del piano di disimpegno

1. Il 14 aprile con una lettera presidenziale gli Stati Uniti si sono assunti i seguenti impegni:
- Mantenere il principio fondamentale del governo secondo cui nessun processo politico con i palestinesi avra' luogo prima dello smantellamento delle organizzazioni terroristiche, come previsto dalla Road Map.
- Impegno americano che non verra' esercitata alcuna pressione politica su Israele affinche' adotti altri piani oltre alla Road Map e che non vi saranno negoziati politici con i palestinesi finche' non rispetteranno i loro impegni sulla base della Road Map (piena cessazione di terrorismo, violenza e istigazione; smantellamento delle organizzazioni; cambio di leadership e attuazione di riforme complessive nell'Autorita' Palestinese).
- Inequivocabile riconoscimento americano del diritto di Israele a confini sicuri e riconosciuti, che siano confini difendibili.
- Riconoscimento americano del diritto di Israele a difendersi, da se' e ovunque, e salvaguardia del suo potere deterrente contro ogni minaccia.
- Riconoscimento americano del diritto di Israele di difendersi da attivita' terroristiche e organizzazioni terroristiche dovunque siano, comprese le aree da cui Israele si sara' ritirato. - Inequivocabile posizione americana circa i profughi, secondo cui non vi sara' ritorno di profughi in Israele.
- Posizione americana secondo cui non vi sara' ritorno alle linee del 1967 sulla base di due considerazioni principali: importanti centri di popolazione israeliana e attuazione del criterio confini difendibili.
- Posizione americana secondo cui importanti centri di popolazione israeliana saranno in ogni caso parte di Israele. Tutte le restanti aree di Giudea e Samaria saranno soggette a negoziato.
- Gli Stati Uniti pongono chiare condizioni per la creazione di un futuro stato palestinese e dichiarano che lo stato palestinese non sara' creato finche' le organizzazioni terroristiche non saranno smantellate, finche' la leadership non sara' sostituita e non saranno completate riforme complessive nell'Autorita' Palestinese.
2. Le lettere del presidente Bush al primo ministro israeliano e del primo ministro israeliano al presidente Bush costituiscono parte del complessivo piano di disimpegno. Queste intese con gli Stati Uniti saranno valide solo se il piano di disimpegno sara' approvato da Israele. Lo scambio di lettere tra il presidente Bush e il primo ministro israeliano, nonche' la lettera del capo ufficio del primo ministro al consigliere Usa per la sicurezza nazionale vengono allegate a questo piano e ne costituiscono parte integrante.
3. Secondo la Road Map adottata dal governo d'Israele, Israele si e' assunto un certo numero di impegni riguardo allo smantellamento di avamposti non autorizzati, limiti alla crescita degli insediamenti ecc. Nel quadro dei negoziati con gli americani, tutti i precedenti impegni d'Israele su tali questioni davanti all'amministrazione americana sono stati inclusi nella lettera del capo ufficio del primo ministro al consigliere Usa per la sicurezza nazionale.

(Ministero degli esteri israeliano, 18.04.04) "

Shalom!!!

Pieffebi
26-04-04, 21:34
da www.israele.net

" 6,8 milioni gli israeliani, a 56 anni dall'indipendenza

Alla vigilia della sua 56esima Giornata dell'Indipendenza, la popolazione dello Stato di Israele conta 6.780.000 cittadini secondo i dati diffusi domenica dal Central Bureau of Statistics israeliano. Di questi, l'81% sono ebrei.
Gerusalemme risulta essere la piu' popolosa citta' israeliana, con 692.000 abitanti, dei quali 464.000 ebrei e 288.888 arabi.
In tutta Israele si registrano 14 citta' con piu' di 100.000 abitanti, per lo piu' localizzate nell'area metropolitana attorno a Tel Aviv. Al momento della fondazione dello stato, nel 1948, l'unica citta' con piu' di 100.000 abitanti era Tel Aviv-Jaffa, la cui municipalita' oggi conta 364.300 abitanti.
Haifa, terza grande citta' del paese, oggi ha 270.500 abitanti. Tra le altre citta' con piu' di 100.000 abitanti figurano alcune delle primissime comunita' fondate dagli ebrei immigrati negli anni Ottanta del XIX secolo: Rishon Letzion, la prima di queste comunita', e' oggi la quarta citta' d'Israele con piu' di 200.000 abitanti. Nel 1948 ne aveva solo 11.000. Anche altre due comunita' di pionieri, Petah Tikva e Rehovot, sono vistosamente cresciute negli ultimi 56 anni fino a contare, oggi, rispettivamente 174.000 e 100.000 abitanti.
Il 66% dei cittadini ebrei di Israele e' nato nel paese. Nel 1948 la proporzione era invertita, con solo il 35% della popolazione ebraica nata nel paese. Circa il 30% degli ebrei che oggi vivono in Israele (1,5 milioni di persone) sono nati da padre a sua volta nato israeliano nel paese.
Circa 1,2 milioni di abitanti d'Israele sono nati nei paesi dell'ex Unione Sovietica o da padre nato nell'ex Unione Sovietica.
Circa 500.000 degli abitanti d'Israele dichiarano di avere origine marocchina, 245.000 origine irachena, 240.000 origine rumena e 220.000 origine polacca.
Negli ultimi dodici mesi sono nati 144.000 bambini in Israele e sono immigrate 21.000 persone. Dei nuovi immigrati, 11.000 sono venuti dall'ex Unione Sovietica, 2.600 dall'Etiopia, 1.800 dalla Francia , 1.600 dagli Stati Uniti e 1.200 dall'Argentina.

(Da: Ha'aretz, 25.04.04) "

Shalom!!!

Pieffebi
27-04-04, 16:40
da www.shalom.it

" "Una futura vocazione europea per Israele"
Pubblicato Mercoledì, 14 aprile 2004 @ 10:23:32 CEST


di Barbara Pontecorvo
"Shalom" al seguito del Ministro degli Esteri Frattini in visita a Israele

Frattini anticipa i contenuti della sua (prima) visita in Israele dichiarando che l'Italia, come ha già affermato più volte in Europa e nei passati incontri bilaterali con il Governo israeliano, riconosce il diritto di Israele alla sicurezza del suo popolo come una priorità assoluta e come pietra miliare della Road Map.

Riguardo al preannunciato ritiro israeliano da Gaza, Frattini afferma che occorre un'ampia concertazione con l'Unione Europea e con i Paesi che - come l'Italia - comprendono ed apprezzano questa decisione coraggiosa, nonché una concertazione con i Paesi arabi moderati della regione e con i palestinesi.

La necessità di una fase di consultazione mediata deve portare ad evitare che il ritiro da Gaza possa esser percepito dal mondo arabo radicale come fuga di fronte agli atti di terrorismo, mentre non è (e non deve essere) un ritiro dettato dalla paura.

Sulla barriera di sicurezza, riconosciuta come strumento di legittima difesa, il Capo della Farnesina richiama le posizioni europee, affermando che il diritto di Israele alla propria autodifesa non si discute, ma che l'Italia invita gli amici israeliani a ripensare al tracciato della barriera, nella parte in cui questa invade il territorio palestinese.

Appena arrivata a Gerusalemme, in tarda serata, una ristretta delegazione del Ministro degli Esteri viene ricevuta dal Primo Ministro Ariel Sharon.

A Sharon Frattini ribadisce l'amicizia dell'Italia nei confronti del Paese e la necessità di una consultazione dell'Italia, come ponte con l'Unione Europea.

Il dialogo fra i due Paesi inizierà a breve e - come primo passo - il Ministro italiano ed il Capo del Governo israeliano hanno previsto un "piano di disimpegno", che dovrà svolgersi a Roma, con l'invio - da parte israeliana - di una delegazione composta dal Consigliere Diplomatico di Sharon, Shalom Tugeman e del suo Capo di Gabinetto, Don Weisglass, al fine di illustrare le modalità e la tempistica del ritiro da Gaza.

Sharon ha spiegato al Ministro Frattini che il piano di ritiro rimane un piano unilaterale (a causa della comprovata assenza di un interlocutore) e che l'Italia sarà il primo Paese con cui il proprio governo sarà disposto a discutere nel dettaglio le condizioni.

Sharon ha, infine, ribadito le dure posizioni di Israele nei confronti dell'Iran quale "Stato canaglia", non celando una velata critica nei confronti dell'atteggiamento dell'Italia nella questione delle ispezioni atomiche; ha poi chiesto al Ministro Frattini di intercedere con il governo iraniano per conoscere le sorti del pilota Ron Arad, scomparso nel lontano 1986.

Il giorno seguente, il ministro degli Esteri italiano, in visita presso la Sinagoga italiana di Conegliano Veneto, accolto da alcuni esponenti della Comunità italiana di Gerusalemme, affronta il tema dell'antisemitismo.

"L'antisemitismo è un virus che purtroppo esiste ancora", afferma Frattini e, di fronte alle preoccupazioni espresse per il riemergere in Italia del fenomeno, rivela che si sta organizzando per giugno a Roma una grande conferenza sull'antisemitismo, in concerto con la Anti Defamation League (il cui presidente Abraham Foxman è da poco tempo stato ricevuto da Frattini a Roma).

L'Italia ritiene che in Europa vivano ancora sentimenti di antipatia ed intolleranza nei confronti degli ebrei e, con la conferenza di giugno, si propone l'obiettivo primario di ricordare agli europei che questa piaga deve essere debellata.

L'incontro con il Presidente dello Stato ebraico Moshè Katzav è volto a ribadire la forte e duratura amicizia tra i due Paesi ed a meglio far comprendere alla delegazione italiana quanto Israele non abbia un interlocutore disposto a spostare il conflitto sul piano del dialogo.

Katzav rivela a Frattini che, nella stessa sala della propria residenza dove si trovano oggi, non più tardi di due settimane prima aveva invitato e ricevuto un folto gruppo di giornalisti palestinesi. Con questi ultimi, Katzav ha condotto un lungo dibattito, all'esito del quale, si è dovuto constatare che neanche una parola è stata scritta - nei giorni successivi - sulla stampa palestinese.

Il Presidente ha ribadito, con un esempio emblematico, che Israele è alla continua ricerca di un dibattito costruttivo e che ogni volta è costretta a fare i conti con un fermo rifiuto da parte del mondo palestinese.

Con il Ministro degli Affari Esteri israeliano Silvan Shalom, Frattini affronta diversi temi e rivela di aver firmato un accordo di cooperazione scientifica tra i due Paesi. Il Ministro israeliano riconosce la coraggiosa posizione italiana e la grande capacità di mediazione finora svolta con l'Europa.

Shalom esprime gratitudine per l'impegno di Berlusconi contro il terrorismo, per la creazione di un task force per l'Olocausto, per l'inserimento - nel corso del semestre europeo - di Hamas nelle liste delle organizzazioni terroristiche e per il monito a che vengano esercitati maggiori controlli sulla destinazione dei fondi umanitari ai Palestinesi, da parte dell'Unione Europea.

Da parte sua, Israele si impegna sin d'ora a supportare l'Italia nel conseguimento di un seggio nel Consiglio di Sicurezza per il biennio 2007-2009.

Italia ed Israele oggi concordano sulla necessità di una politica bilanciata per il Mediterraneo, come presupposto per una pace duratura e stabile. "

Shalom!

Pieffebi
28-04-04, 16:54
Di notevole interesse per comprendere il dibattito interno allo Stato di Israele fra le forze della destra sionista e quelle della sinistra ..........il seguente pezzo.....

da www.israele.net

" Confini dettati dal realismo

Da un editoriale del Jerusalem Post

Per quasi tutti gli ultimi trent’anni, la destra e la sinistra israeliana hanno sostenuto due argomenti curiosamente speculari. La destra era consapevole della necessità di stabilire confini sicuri e difendibili con tutti i paesi vicini, ma non con i palestinesi. La sinistra era consapevole della necessità di stabilire un confine fra noi e i palestinesi, ma fantasticava di un “nuovo” Medio Oriente senza frontiere simile all’Unione Europea.
Può essere una descrizione fin troppo semplificata delle rispettive posizioni, ma fa capire bene come entrambe le parti, su una questione di capitale importanza come quella dei confini, sostanzialmente cadessero in contraddizione.
Nel Medio Oriente immaginato da Shimon Peres, Israele avrebbe avuto tutto l’accesso che voleva ai paesi vicini. Resta da spiegare perché mai i nostri vicini avrebbero dovuto accogliere con favore questa prospettiva. Dall’altra parte, l’idea di mantenere il controllo sulla totalità dei territori di Cisgiordania e striscia di Gaza si basava sul presupposto che gli israeliani potessero vivere in pace e relativa amicizia con i palestinesi, un assunto che la stessa destra considerava con molto scetticismo quando si trattava di immaginare la convivenza con il resto del mondo arabo.
Certo, c’era anche un ragionamento strategico alla base dell’idea di controllare tutta la terra, e cioè la necessità di garantirsi una profondità strategica (rispetto ai confini indifendibili pre-67). Ma anche il ragionamento strategico si fondava sul presupposto che i palestinesi all’interno di Israele ponessero meno rischi e minacce degli eserciti arabi ammassati all’esterno.
Ora c’è qualcosa di nuovo. Con la probabile approvazione da parte del governo israeliano del piano di disimpegno del primo ministro Ariel Sharon, lo Stato d’Israele si ritrova finalmente unito senza ambiguità sulla necessità di stabilire dei confini. Non si tratta dei confini su cui insiste l’Onu, le presunte “legittime” linee armistiziali del 1949 (che in realtà gli stessi armistizi dichiaravano provvisorie). E non si tratta neanche dei confini di tutta la terra conquistati nel 1967. Si tratta, invece, dei confini dettati dal realismo.
Fino alla fine degli anni settanta i confini dettati dal realismo arrivavano sino al Canale di Suez. Queste erano le linee imposte dalla minaccia rappresentata, allora, da eserciti arabi armati e sostenuti dall’Unione Sovietica, in particolare quello egiziano. Ma l’intelligenza politica di Anwar Sadat pose fine alla necessità di mantenere quella linea.
A est, la linea dettata dal realismo continua ad essere quella che corre lungo il fiume Giordano. La situazione in Iraq è tutt’altro che stabilizzata, e le prospettive di stabilità a lungo termine del Regno Hashemita di Giordania suscitano dubbi legittimi.
Sul fronte siriano, poi, il confine dettato dal realismo resterà alle porte di Quneitra (sul Golan) almeno finché a Damasco resterà al potere un regime che sponsorizza il terrorismo.
Con i palestinesi, gli ultimi quaranta mesi e più di feroce terrorismo hanno convinto la maggior parte degli israeliani di due cose. Primo, che la pace con i palestinesi è, almeno per il momento, impossibile. Secondo, che la separazione è necessaria.
Non possiamo governare all’infinito una popolazione che rifiuta violentemente il nostro governo, indipendentemente da quanto benevoli possano essere le nostre intenzioni. E dobbiamo avere un confine per meglio difenderci dagli attentati suicidi, la sola arma dell’arsenale palestinese per noi realmente devastante.
Si obietta che un confine nella forma di una barriera di separazione è un ostacolo debole a fronte di un nemico implacabile. Può darsi, ma finora sembra che attorno alla striscia di Gaza abbia funzionato abbastanza bene. E comunque la sfida non è quella di difendersi dalle minacce future, ma da quelle di oggi.
Si obietta anche che un confine privo di legittimazione internazionale non è un vero confine. Ma allora cos’era la Linea Verde pre-67? E cos’è la Linea di Controllo in Kashmir? Il grande obiettivo del confine è quello di separare noi da loro, di mettere prima di tutto ciascuna parte al sicuro dall’altra. Si potrebbe persino sostenere che questo è anche il grande obiettivo del sionismo.
Forse ci vorrà molto tempo prima che Israele possa avere i confini sicuri pacifici e riconosciuti che merita e cui ha diritto. Per adesso il meglio che possiamo sperare è di tenere i confini che possiamo realisticamente difendere. E questo obiettivo, per fortuna, non è più tanto lontano.

(Jerusalem Post, 24.04.04) "


Shalom!!!

Pieffebi
01-05-04, 17:13
da http://www.hakeillah.com/ (ebrei italiani di sinistra)

" OPPOSTI E COMPLEMENTARI

di

David Sorani



L’11 marzo di Madrid e il 22 marzo di Gaza, pur nella loro diversità di caratteri e di proporzioni, ci fulminano come due istantanee dei nostri giorni, giunteci dall’abisso del terrorismo e dei suoi effetti, in uno scacchiere ormai mondiale, globalizzato. Da un lato il terrorismo di massa sulla popolazione civile, che da New York e dall’Indonesia si sposta nel cuore dell’Europa, praticamente a casa nostra; dall’altro l’ennesima esecuzione mirata nel quadro di una lotta spietata e “degenerata” a quel terrorismo di massa: degenerata perché contraria ai principî giuridici delle democrazie occidentali. Israele e l’Europa rischiano entrambi, in questa lotta inquietante contro un nemico invisibile e silenziosamente potente, capace di colpirti in ogni momento e senza preavviso.

Rischia Israele dopo Gaza, in una duplice dimensione. Se è vero che Yassin era un puro terrorista e la sua fine (come quella di altri pianificatori di morte collettiva) non muove a pietà, la scelta strategica degli omicidi mirati rischia di intaccare il tessuto della democrazia israeliana, trasformandosi in pratica abituale e confinando in un angolo le regolari procedure della giustizia. D’altro lato, c’è la concreta prospettiva che dopo l’eliminazione del leader di Hamas il terrorismo diffuso si ampli e generalizzi, che l’intifada si esasperi in lotta collettiva, con un aumento esponenziale del pericolo per i cittadini israeliani: e tutto ciò non poteva non essere previsto da chi ha deciso questa azione.

Rischia l’Europa dopo Madrid, esitante sull’orlo di un baratro. Non pare avere compreso fino in fondo che cosa c’è dietro il terrorismo islamico, quali ne siano le matrici e gli obiettivi complessivi. Non pare avere compreso che se la difesa tenace della propria identità democratica è importante, di fronte alle pulsioni distruttive del fondamentalismo non basta resistere saldi sui propri principî. Non pare cogliere che l’autocolpevolizzazione (un Islam estremo è terrorista perché oggi un Occidente dominatore umilia il sud del mondo) non spiega davvero la volontà di distruzione nei confronti della civiltà occidentale, una volontà che ha a che fare con un progetto di vendetta o dominio che parte molto più da lontano, che appare radicato in una visione storica dimensionata sui secoli e non misurata sulla stretta attualità. Non pare rendersi conto, in definitiva, che Bin Laden e i suoi agiscono e trovano adepti comunque, a prescindere dalle specifiche e congiunturali posizioni dell’Occidente: perché per loro l’Occidente è, comunque, il nemico. Non capisce dunque che in fondo non ha senso, in questa lotta spietata, “essere più buoni” sperando di “rischiare di meno”. Non capisce che la questione essenziale è rimanere se stessi (occidentali, democratici) senza compromessi: non vendere la propria anima democratica al primo “esportatore” americano di democrazia a buon mercato, ma difendere la democrazia occidentale senza sconti, usando le armi del diritto che includono – se serve – il diritto delle armi.

Israele ha un vantaggio. Ha capito la natura, la portata, l’autonomia della terribile jihad che l’Islam integralista ha scatenato contro l’Occidente. L’ha compresa sulla propria pelle, lacerata dalle bombe umane della intifada Al Aqsa. E ha capito che per combatterla occorre anche una lotta dura, spietata, aperta talvolta a mezzi “non ortodossi”, con tutti i rischi che questi comportano. Ma Sharon e il suo governo non sanno andare oltre questa realtà; non sanno fare politica, usarla come strumento di controllo e prevenzione, in preparazione del futuro. Non si rendono conto (come invece un duro quale Rabin a suo tempo aveva perfettamente compreso) che la salvezza potrà venire solo da un accordo, e per raggiungerlo occorrono aperture e contatti con il nemico. Altrimenti non ci saranno più interlocutori tra i nemici palestinesi, ma solo terroristi, kamikaze reali o potenziali.

L’Europa, che non ha capito il baratro del terrorismo in cui l’Occidente è entrato, ha dalla sua proprio la politica, la capacità di mediare, la sua tradizione democratica, alla quale deve fornire unità e forza.

Dunque Israele e l’Europa si trovano in una condizione di opposizione e di complementarietà, una diversità che potrebbe aiutare entrambi nella lotta contro il terrorismo. Forse davvero servirebbe a entrambi l’ingresso di Israele nell’Unione Europea.

David Sorani

25.3.2004 "

Shalom!!!

Pieffebi
02-05-04, 21:54
da www.ansa.it

" TEL AVIV - Nell'attacco avvenuto a Kissufim, nella Striscia di Gaza, sono rimaste uccise una donna israeliana e quattro delle sue figlie. A quanto si e' appreso dai coloni della zona, la donna era al nono mese di gravidanza. Altri suoi figli si sarebbero salvati per essere rimasti a casa, in una colonia del Gush Katif (nel sud della striscia di Gaza).

Stamane - hanno detto i conoscenti - era partita con le figlie per convincere i membri del Likud chiamati a votare sul futuro di Gaza ad esprimersi contro lo sgombero in massa delle colonie proposto dal premier Ariel Sharon. Il marito si era invece recato al lavoro, nella vicina citta' israeliana di Ashqelon, dove egli insegna. Giunta all'altezzo del valico di Kissufim, la donna si e' trovata sotto al fuoco automatico di due palestinesi, che l'hanno colpita da distanza ravvicinata. Per lei e per le figlie non c'e' stato scampo: i soccorritori hanno stabilito la loro morte mentre erano ancora nella zona dell'attentato.

IL BILANCIO DELL'ATTACCO
Nove morti, fra israeliani e palestinesi: questo il bilancio del duro scontro a fuoco avvenuto a Kissufim (Gaza) secondo fonti israeliane e palestinesi. Fonti palestinesi aggiungono da Gaza che quattro palestinesi (probabilmente gli attaccanti) sono pure rimasti uccisi. La loro identita' non e' ancora nota. L'attentato e' avvenuto poco dopo che il premier Ariel Sharon aveva partecipato al referendum del Likud sul ritiro unilaterale da Gaza. Sharon aveva votato a Sderot, una cittadina israeliana molto vicina alla striscia di Gaza.

JIHAD ISLAMICA RIVENDICA ATTENTATO
Le 'Brigate al-Quds' - il braccio armato della Jihad islamica - hanno rivendicato la paternita' dell'attacco anti-israeliano avvenuto nel sud della striscia di Gaza. In un comunicato diffuso a Gaza hanno precisato di aver coordinato la operazione assieme con le 'Brigate del Saladino', il braccio armato dei 'Comitati di resistenza popolare' (Crp) attivi nel sud della Striscia. La Jihad islamica ha aggiunto di aver ripreso la operazione con una telecamera. Presumbilmente il filmato sara' divulgato in un secondo tempo. Sul numero dei palestinesi rimasti uccisi giungono ancora informazioni discordanti. Alcune parlano di due militanti colpiti a morte dai soldati israeliani. Radio Hurrya, una emittente locale, aggiunge che oltre a loro sarebbero rimasti uccisi uno o due passanti palestinesi: queste ultime informazioni non hanno pero' finora conferma.
02/05/2004 16:35 "


da www.israele.net

" Sharon: Disimpegno per combattere il terrorismo

“Israele non si piegherà e continuerà a combattere contro il terrorismo fino alla sua distruzione esattamente come lo stiamo combattendo ora”. Lo ha detto il primo ministro israeliano Ariel Sharon dopo l’attacco terrorista palestinese che domenica ha causato l’uccisione a sangue freddo di una madre incinta all'ottavo mese e delle sue quattro figlie (di 11, 9, 7 e 2 anni) mentre viaggiavano nella loro auto presso presso Gush Katif (nella striscia di Gaza).
Sharon, che ha definito l’attentato un feroce crimine contro cittadini e bambini israeliani, ha aggiunto: “I palestinesi faranno di tutto per impedire l’adozione del piano di disimpegno. Questo assassinio aveva lo scopo di ritardare e interferire con il piano. Combatteremo il terrorismo e faremo tutto il possibile per impedire attentati come questo in futuro. Questo è il motivo per cui mi batto per l’applicazione del mio piano”.

(Jerusalem Post, 2.04.04) "


da www.ansa.it

" Israele, Likud respinge piano Sharon, exit-poll tv
Riguarda il ritiro da Gaza
(ANSA) - GERUSALEMME, 2 MAG - Il piano di ritiro da Gaza di Sharon e' stato respinto dagli iscritti al Likud che hanno partecipato oggi al referendum. Secondo il primo canale della televisione il 62% ha votato contro il piano e il 38% a favore. Secondo i sondaggi condotti dai tre canali tv questi i risultati: Canale 1: 62% contrari, 38% favorevoli; Canale 2: 56% contrari, 44% favorevoli;canale 10: 56% contrari, 44% favorevoli. /writer
02/05/2004 21:13 "


Cordiali saluti

Pieffebi
04-05-04, 22:09
da www.ilfoglio.it

" Dopo il “no” del suo Likud
Sharon si sente scottato ma non sconfitto, farà in qualche modo da solo
Il referendum perso è frutto anche di guai interni al governo ed è la prova della portata strategica del ritiro israeliano
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Ritocchi al piano su Gaza-Roma. Contro il partito dei coloni ce l’avrebbe anche fatta, nonostante l’orrendo agguato dei terroristi palestinesi a una colona incinta e alle sue quattro figlie, non ce l’ha fatta contro un regolamento di conti interno, non ce l’ha fatta contro i quadri mediocri del partito, quelli che di conservazione, e di guerra, pensano di sopravvivere, ma che francamente si sono anche spaventati delle dimensioni del gesto. E’ la prova dell’enormità, della grandiosità, del piano, altro che tatticismo, complice Bush, che è diventato talmente dirimente da spaccare un partito di governo; è anche la prova che Ariel Sharon il suo partito lo ama, ma lo sfida, a modo suo, da guerriero, ma soprattutto da stratega coraggioso, qualche volta sprezzante, prepotente, nel modo antagonistico con il quale ha fatto carriera nell’esercito, ma che se finora aveva praticamente vinto sempre, domenica ha perso, e come scrive il saggio Jerusalem Post, è finita l’era del movimento obbediente, al servizio del leader, com’era ai tempi di Jabotinsky. Begin, Shamir, fino a Netanyahu. Il no, 60 a 40, del Likud al ritiro unilaterale da Gaza e da una parte di West Bank, costringe il premier israeliano a una fermata che non aveva previsto, ma non cambia nella sostanza i suoi progetti, chi gli sta vicino assicurava ieri al Foglio che si sente scottato ma non sconfitto, che è certo che in un referendum popolare verrebbe dimostrato che quelli che lo hanno eletto, un milione e 700 mila israeliani, sono con lui, e con Bush. Di più, che il Likud miope che domenica ha affossato il piano di ritiro, considerato dalla maggioranza degli elettori una misura seria di sicurezza, stabilità di confini, relativa pace, rischia ora, sondaggi popolari alla mano, la rabbia e il rigetto degli elettori, e che a lui, Sharon, non c’è alternativa. Che alla fine i capi bastone che hanno animato la congiura, o restandosene a casa o agitando il voto perduto dei coloni, dovranno rimangiarsi tutto. Tuttavia l’immagine del premier oggi è inevitabilmente appannata, tuttavia un errore lo ha commesso di certo, ed è di presunzione, non andare direttamente al referendum popolare, che certo avrebbe richiesto del tempo di organizzazione e di legislazione, perché era convinto di spuntarla più rapidamente con i quadri di partito. Non è stato così, e probabilmente, che decida o no di ritoccare cosmeticamente il piano di ritiro, il primo ministro ora deve affrontare un momento difficile. Intanto a votare c’è andato solo il 40 per cento del comitato centrale, gli altri sono rimasti a casa; di questo 40 per cento più della metà ha detto di no, che vuol dire non prendersi la responsabilità di una scelta troppo importante, di sancire la fine del sogno del grande Israele. Bush non cambia idea, si riunisce il Quartetto Non si apre per questo un problema di relazioni con gli Stati Uniti, Bush non cambierà idea, anche se il piano gli era stato venduto per fatto, e questo crea al presidente un doppio problema di immagine: 1) ha creduto a un progetto che ha fallito alla prima prova ufficiale, 2) la sua copertura è stata snobbata dai quadri del Likud; nemmeno cambierà nulla nella riunione di oggi a Washington, che vede un po’ di convenuti alla veglia della fu road map, visto che idee nuove e interlocutori palestinesi autorevoli e autorizzati non ce ne sono. Il problema immediato e urgente è tutto interno al governo israeliano, agli alleati più vicini. Escluso il vice, Ehud Olmert, non è azzardato affermare che buona parte dei ministri erano contrari al ritiro, e hanno gradualmente ceduto all’imperio del capo, convinti dai successi delle operazioni contro i capi del terrorismo, dalla constatazione che non sarebbe stato un ritiro vergognoso, umiliante, come quello deciso dal laburista Ehud Barak dal Libano, che sarebbe stato accompagnato alla costruzione della barriera di sicurezza, che in fondo a pagare il prezzo della pace sarebbero stati solo 7.500 coloni, una parte minima degli abitanti d’insediamenti nella West Bank. Che, infine, a Yasser Arafat sarebbe caduta la maschera, costretto come sarebbe stato a gestire Gaza contro Hamas. Gli ultimi due ministri avevano ceduto solo dopo il successo dell’eliminazione di Rantisi, capo di Hamas, che ha seguito di poco quella dello sceicco Yassin. Ora tornano cauti e dubbiosi, si fanno invece arroganti gli alleati esterni, il partito religioso, quello dei coloni. Né Arik può fare il minimo affidamento su un’opposizione laburista, sfatta e intrisa di propaganda. Farà in qualche modo da solo. "

Shalom!!!

Pieffebi
05-05-04, 16:44
da www.israele.net

" Sei opzioni per Sharon
Da un articolo di Gideon Alon
Dopo il voto negativo nella consultazione interna del Likud sul suo piano di disimpegno unilaterale dalla striscia di Gaza e da parti della Cisgiordania settentrionale, al primo ministro israeliano Ariel Sharon si prospettano sei opzioni possibili.

1. Sharon annuncia che, essendo il piano una questione di massimo interesse nazionale che riguarda tutti i cittadini del paese e non solo quelli iscritti al Likud, egli intende sottoporlo a un referendum nazionale. Ciò richiede l’approvazione da parte della Knesset di un’apposita legge sui referendum (istituto attualmente non previsto dalla legislazione israeliana). La legge riconoscerebbe il diritto di voto nel referendum a tutti i cittadini elettori e ne affiderebbe l’attuazione alla Commissione Elettorale Centrale, presieduto da un ex giudice della Corte Suprema, sulla falsariga delle votazioni politiche per il parlamento. L’approvazione di una siffatta legge prevedrebbe tempi piuttosto lunghi.

2. Sharon informa il presidente d’Israele Moshe Katsav che intende sciogliere la Knesset. Sharon ha fatto allusione a questa possibilità in un’intervista venerdì sera al Canale Due della tv israeliana. In base alla Legge Fondamentale “Il Governo”, il primo ministro deve avere l’approvazione del presidente per sciogliere la Knesset e indire nuove elezioni. Secondo la legge, Sharon dovrebbe riferire a Katsav che la maggior parte dei deputati si oppone al suo governo rendendone impossibile un appropriato funzionamento nella gestione degli affari dello Stato e costringendolo ad andare alle urne. Il presidente non è obbligato ad accogliere questa richiesta. Secondo la legge, durante i 21 giorni tra la decisione di sciogliere il parlamento e la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, un gruppo di 61 deputati (su 120) può chiedere al presidente di conferire a un altro parlamentare l’incarico di formare una coalizione alternativa.

3. Sharon scioglie la Knesset per via parlamentare, con l’approvazione in aula di un’apposita legge per lo scioglimento anticipato della legislatura circa tre anni prima della sua scadenza naturale (novembre 2007). Per farlo, il primo ministro necessita dell’appoggio di altri gruppi parlamentari o perlomeno di quello laburista, il principale gruppo d’opposizione, il quale probabilmente accoglierebbe con favore l’iniziativa. Per i laburisti, elezioni anticipate significherebbero una chance di tornare al governo o, quantomeno, di aumentare il loro numero di seggi in parlamento.

4. Sharon annuncia che accetta il risultato del voto interno del Likud di domenica e che intende riformulare il suo piano di disimpegno, annacquandolo abbastanza da ottenere il consenso della suo partito.

5. Sharon decide di aggirare l’opposizione interna del Likud cercando di ottenere l’approvazione al suo piano prima da parte del governo e poi della Knesset. In ogni caso, nulla garantisce che riesca a ottenere il voto favorevole della maggioranza dei suoi ministri. Resta in dubbio, infatti, come voterebbero i ministri del Likud Benjamin Netanyahu, Limor Livnat e Silvan Shalom dopo che il piano è stato bocciata dalla base del partito, dietro alla quale i tre potrebbero trincerarsi, votando contro il piano insieme a ministri come Uzi Landau, Tzachi Hanegbi e Natan Sharansky.

6. Sharon informa il presidente che intende dare le dimissioni. In tal caso, il presidente conferisce l’incarico di formare un nuovo governo al parlamentare che ritiene abbia le migliori possibilità di riuscirci: molto probabilmente Benjamin Netanyahu. Questa opzione appare assai improbabile dal momento che Sharon ha già affermato che non ha intenzione di dimettersi piegandosi all’ala destra del suo partito e ai partiti della destra.

(Da: Ha’aretz, 3.05.04) "


Shalom

Pieffebi
11-05-04, 22:14
La democrazia Israeliana...persino esagerata...

da www.israele.net

" 11/05/2004 La renitenza alla leva può essere un fenomeno positivo. Secondo il procuratore generale d’Israele Menachem Mazuz, ''obiezione di coscienza e disobbedienza civile politicamente motivate sono diventate parte integrante del dibattito pubblico israeliano”. "


Shalom!!!

Pieffebi
12-05-04, 21:57
In origine postato da Pieffebi
Buon Compleanno Israele.
http://www.israel-amb.it/bandieraisrael.gif


Shalom!!!!

Un altro compleanno si avvicina!

Shalom!!!

Pieffebi
29-05-04, 20:46
da www.israele.net

" 28-05-2004
Se fallisce il terrorismo, crescono le possibilità di negoziato

Quasi quattro anni di incessante terrorismo non hanno spezzato il morale né minato le capacità di recupero (resilienza) della popolazione israeliana. E’ quanto emerge da un’ampia ricerca condotta dal National Security Studies Center dell’Università di Haifa nel quadro del progetto sull’Indice di Resilienza Nazionale avviato nell’ottobre 2000, subito dopo lo scoppio della cosiddetta seconda intifada di Al-Aqsa.
“ La gente ha imparato a convivere con il terrorismo come una minaccia affrontabile, almeno finché non supera un certo livello di frequenza di attentati e di vittime ”, ha spiegato il direttore del centro, prof. Gabriel Ben-Dor.
Il centro ha condotto otto diversi sondaggi, l’ultimo nello scorso aprile, ciascuno su campioni rappresentativi di più di duemila adulti intervistati (margine d’errore 2%), concentrando le domande su quattro questioni: livello di paura e ansia fra la gente, livello di sentimenti patriottici, livello di fiducia nelle istituzioni, atteggiamento verso posizioni militanti. Lo studio dell’Indice venne avviato sulla base dell’assunto che la resilienza nazionale della popolazione è un fattore determinante per la capacità d’Israele di affrontare e resistere alle sfide che deve fronteggiare.
I risultati del sondaggio d’aprile rivelano che il livello di paura fra gli ebrei israeliani che il terrorismo colpisca loro stessi o i loro familiari è ancora molto elevato (tocca il 75%, contro l’80% dell’ottobre 2000). Il sondaggio rivela inoltre che l’85% degli israeliani è convinto che il terrorismo palestinese costituisca una minaccia strategica per lo Stato. “Un numero crescente di persone ritiene che una protratta guerra d’attrito con l’uso continuo di metodi terroristici, comporti oggi una minaccia esistenziale per la sicurezza nazionale”, spiega Ben-Dor. D’altra parte, anche il livello dei sentimenti patriottici fra gli ebrei d’Israele si è mantenuto elevato, con l’87% degli intervistati in aprile che afferma di amare ed essere fieri del proprio paese (erano l’89% tre anni e mezzo fa). Inoltre, più del 90% degli ebrei israeliani esprime un altro livello di fiducia nelle Forze di Difesa israeliane, anche questo un dato che si è mantenuto pressoché invariato dal 2000 a oggi. L’88% degli intervistati afferma di considerare Israele come la propria casa e di non avere alcuna intenzione di andarsene.
Secondo Ben-Dor i dati mostrano che, nonostante la paura e la condizione di stress indotte dal terrorismo, la grande maggioranza della popolazione ebraica d’Israele esprime forti sentimenti patriottici: l’obiettivo dei terroristi di minare il morale degli israeliani e spingerli a lasciare il paese è fallito.
Parallelamente alla fiducia nelle Forze di Difesa israeliane, va sottolineato che il 78% degli israeliani (compresi gli arabi israeliani) esprime grande fiducia nel sistema giudiziario del paese, soprattutto nella Corte Suprema. Solo il 40% esprime altrettanta fiducia nei partiti politici. “Il fatto che gli ebrei israeliani abbiano fiducia nelle misure adottate dalle forze armate e, contemporaneamente, nella Corte Suprema indica un buon grado di tenuta della democrazia israeliana, nonostante gli evidenti problemi di sicurezza”, conclude Ben-Dor.
(Da: Jerusalem Post, 27.05.04)

Secondo un sondaggio condotto su 40.000 intervistati, sia israeliani che palestinesi, il 76% di entrambe le popolazioni si dice favorevole alla formula “due popoli-due stati” come soluzione del conflitto che li divide.
Benché non ancora elaborati del tutto, i risultati del sondaggio, commissionato dall’organizzazione "One Voice" che milita per la promozione della pace fra le popolazioni prima che fra statisti e diplomatici, sono stati recentemente illustrati alla stampa a New York.
Dal sondaggio risulta inoltre che la grande maggioranza dei palestinesi è contraria alla presenza di insediamenti israeliani nei territori, mentre la grande maggioranza degli israeliani è contraria al cosiddetto diritto al ritorno (dei profughi palestinesi e dei loro discendenti all’interno di Israele).
(Da: Ma’ariv, 27.05.04)

"


Shalom

Pieffebi
30-05-04, 21:18
da www.ilfoglio.it

" Sharon fiuta la trappola di Netanyahu e finché può non svela il suo gioco
Al piano di ritiro da Gaza serve un’altra maggioranza, ma i laburisti si defilano e la destra non ha i numeri. Al voto?
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Gerusalemme. Domenica il premier israeliano Ariel Sharon discuterà il piano di disimpegno da Gaza in una riunione del governo, ma secondo le ultime indiscrezioni, raccolte da Channel 2, non lo metterà ai voti. Perché il tentativo di modificare il progetto per renderlo meno indigesto ai riottosi membri del Likud non è ancora riuscito. Benjamin Netanyahu, Limor Livnat e Silvan Shalom, pretendenti al trono del partito, si rifiutano di cambiare la loro posizione, nonostante avessero sostenuto il piano dopo il suo annuncio a Washington l’aprile scorso. Sharon forse prende tempo perché si trova in una situazione davvero difficile. Non può contare sull’opposizione: i numeri per formare una coalizione alternativa ci sono, ma i laburisti per ora non ne vogliono sapere, causa inchieste a carico del premier e politica economica del governo. Quand’anche il caso Sharon fosse chiuso dal procuratore Menachem Mazuz (che non sembra aver fretta di decidere), resta lo scoglio economico: se Sharon, come si mormora, punisse Netanyahu estromettendolo dal governo, i laburisti non sono sicuri di entrare nemmeno in cambio del ministero delle Finanze. Parte del partito preferisce andare alle urne, convinto com’è di poter vincere di fronte alla paralisi del Likud e all’impossibilità per Sharon d’imporre il piano al suo partito. Parte dei laburisti si oppone ideologicamente a qualsiasi accordo con il Likud, preferendo virare a sinistra nonostante i sondaggi non diano garanzie. Di fronte al rischio scissione, e con il partito di Yossi Beilin a perseguire una politica di scavalcamento a sinistra, i laburisti, al loro minimo storico e con una crisi di leadership senza precedenti, non possono rischiare di esporsi. Il premier però non vuole andare al voto: vincerebbe le elezioni, ma con quale partito? Il Likud, dopo il referendum, ha respinto la posizione politica che Sharon gli ha fatto guadagnare virando al centro tre anni fa. La destra rimane fedele alla sua storia: irriducibile nell’ideologica illusione che il sogno possa sconfiggere la realtà, fino al punto di aver abbandonato – con conseguenze disastrose per la propria causa – ogni premier di destra che il paese ha avuto. Dopo aver lasciato Menachem Begin e Yitzhak Shamir, favorendo il ritorno della sinistra al potere nel 1984 e nel ’92, la destra del Likud e i suoi satelliti (il Partito nazionale religioso, i coloni e l’Unione nazionale) hanno affondato il governo di Netanyahu nel ’98 per ottenere il medesimo controproducente risultato. Ora, dopo il referendum vinto contro Sharon, vorrebbero mandare a casa il premier anzitempo. Otterrebbero, ancora una volta, il contrario di quanto sperano. Come andò con Barak Circola voce che Netanyahu potrebbe sostituire Sharon e formare una coalizione di destra contraria a qualsiasi ritiro da Gaza. I numeri però non tornano. Il Likud, è vero, conta 40 membri, e con la destra e i partiti religiosi esiste una maggioranza. Ma parte dei 40 del Likud sostiene Sharon e il suo centrismo, non Netanyahu e il suo trasformismo. Al centro dello schieramento politico la vita non è meno facile. Tommy Lapid, leader di Shinui, ha promesso a Sharon il sostegno di tutti e cinque i ministri, se il piano di disimpegno non sarà rimaneggiato. Se la destra del governo rifiuta anche un mini disimpegno, la sinistra del governo richiede un pieno disimpegno per restare nella coalizione. L’esercito non facilita le cose. Di andarsene a fasi, come previsto nella versione corretta, non se ne parla. O tutto o niente. Gli americani non digerirebbero un mini ritiro dopo tutti i doni diplomatici fatti a Sharon allorché il piano originale è stato presentato a Washington in aprile. Un governo di destra ritroverebbe forse l’unità d’intenti, ma condannerebbe Israele al definitivo isolamento internazionale, americani compresi. Sharon affronta il momento forse più difficile della sua carriera. Domenica, può forzare il voto, perdere, licenziare i ministri rivoltosi del Likud e i partner di coalizione contrari, e cercare di formare una nuova coalizione, o discutere ancora e attendere tempi più propizi per nuove alleanze. L’opinione pubblica è con lui: vuole lasciare Gaza e gli insediamenti alla storia. Chi si frega le mani pensando che la sconfitta di Sharon segnerebbe la sua fine politica nell’illusione che nuove elezioni – e il rivoluzionario precedente da lui creato – porterebbero comunque a un ritiro a breve dimentica l’esperienza Barak. Anche Ehud Barak ruppe tutti i tabù, creò tutti i precedenti necessari e andò a nuove elezioni. Ma da allora nulla si è sbloccato. "

Shalom

Pieffebi
07-06-04, 22:36
da www.israele.net

" 07-06-2004
Approvato il piano di disimpegno

Il governo israeliano ha approvato domenica sera il piano di disimpegno del primo ministro israeliano Ariel Sharon dalla striscia di Gaza e da parti della Cisgiordania settentrionale con 14 voti favorevoli e 7 contrari
La votazione è avvenuta dopo che era stata superata una crisi dell’ultimo momento circa l’inclusione nella nuova versione del piano di un riferimento al carteggio Sharon-Bush, che vincola il primo ministro a rimuovere gli insediamenti nella striscia di Gaza.
Sharon ha dichiarato domenica che la decisione del governo costituisce un chiaro messaggio rivolto a Israele, ai palestinesi e a tutto il mondo. “I sraele – ha detto Sharon – prende il proprio futuro nelle proprie mani, il disimpegno è avviato. Il governo ha deciso che entro la fine del 2005 Israele lascerà (i 21) insediamenti della striscia di Gaza e quattro insediamenti in Cisgiordania (settentrionale). Israele ha fatto un passo decisivo per il prorpio futuro. La maggior parte della gente in Israele capisce il grande valore di questo piano. E’ una decisione per il bene di Israele sul piano politico ed economico e per il bene del popolo ebraico in Terra d’Israele sul piano demografico. La decisione di oggi – ha aggiunto Sharon – dà speranza a tutti ”.
Ribadendo i punti nel suo celebre "discorso di Herzliya", tenuto nel dicembre 2002, Sharon ha detto che “Israele non intende aspettare ancora i palestinesi. Essi sanno bene che, se non agiranno contro il terrorismo, continueranno a perdere terreno, come afferma a chiare lettere la lettera d’impegno del presidente Bush. Spero che ora capiranno che per avere la pace devono adoperarsi per fermare il terrorismo, le violenze e l’istigazione all’odio”.
Il vice primo ministro Ehud Olmert ha detto che darà immediatamente disposizione alla Israel Lands Authority di congelare tutte le nuove richieste di licenze edilizie nella striscia di Gaza.
Il governo ha votato dopo che l’Alta Corte aveva respinto cinque ricorsi contro il licenziamento da parte di Sharon dei due ministri di Unione Nazionale, Benny Elon e Avigdor Lieberman, contrari al piano.
Secondo la nuova versione, il piano è stato approvato ma gli insediamenti potranno essere effettivamente rimossi solo dopo un ulteriore voto del governo nel marzo 2005, che avverrà “tenendo conto delle circostanze del momento”. Nel frattempo, in questi nove mesi dovranno essere approntate le infrastrutture necessarie per rendere possibile lo sgombero degli insediamenti. Il ministero della difesa dovrà preparare i piani del ritiro militare dalla striscia di Gaza e da parti della Cisgiordania. Una commissione speciale formulerà criteri per la questione degli indennizzi. Il ministero di giustizia appronterà la legislazione necessaria, mentre l’Agenzia Ebraica sarà incaricata da assistere nell’opera di reinsediamento degli israeliani evacuati.

(Da: Jerusalem Post, Ha'aretz, 6.06.04) "


Shalom!!!!!

Pieffebi
04-07-04, 17:04
da www.israele.net

" Sharon soddisfatto per la decisione della Corte
Il primo ministro israeliano Ariel Sharon non intende appoggiare proposte di legge volte ad aggirare la decisione della Corte Suprema relativa alla barriera di sicurezza. Sharon ha anzi detto di essere soddisfatto del pronunciamento della Corte, che riconosce in linea di principio la necessità di costruire la barriera anti-terrorismo.
La scorsa settimana la Corte Suprema israeliana ha dichiarato che alcune parti del tracciato della barriera tra Israele e Cisgiordania, nella sezione a nord-ovest di Gerusalemme, non sono legali e devono essere modificati tenendo maggiormente conto delle esigenze umanitarie della popolazione palestinese della zona.
Domenica, nel corso della riunione settimanale del governo israeliano, il primo ministro Sharon ha sottolineato che la decisione della Corte Suprema ha due aspetti, uno di principio e uno pratico. “Desidero esprimere grande soddisfazione per l’aspetto di principio della decisione della Corte – ha affermato Sharon – che stabilisce che la barriera viene costruita per ragioni meramente di sicurezza, e non per scopi politici, e respinge l’accusa secondo cui la barriera rappresenterebbe una forma di annessione di territorio contraria al diritto internazionale”.
La Corte Suprema, aggiunge Sharon, ha sentenziato che non è illegale procedere alla confisca di terreni allo scopo di costruire la barriera anti-terrorismo, e che non è illegale nemmeno che in alcuni casi la barriera separi i residenti dai loro terreni, quando strettamente necessario.
Sharon ha sottolineato che non intende appoggiare proposte di legge volte ad aggirare la decisione della Corte Suprema, spiegando che “non è così che si comporta un governo rispettoso della legge”.
Sharon ha detto inoltre che la decisione della Corte rappresenta “un’importante risposta legale alle calunnie prodotte contro Israele di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia”, e ha espresso fiducia che la decisione dell’Alta Corte israeliana possa contribuire a correggere l’opinione della Corte dell’Aia, attesa entro la fine di questa settimana.
“Mi rendo conto che alcuni soggetti nella Difesa ritengono che la Corte Suprema si sia spinta troppo lontano su questa o quella parte del tracciato della barriera – ha detto infine Sharon – Ciò nondimeno dobbiamo attenerci alla decisione della Corte”.
Sharon ha dato disposizione al procuratore generale Meni Mazuz e all’ufficio del procuratore di stato di individuare un nuovo tracciato della barriera anti-terrorismo che ottemperi ai criteri delineati dalla Corte. Nel frattempo, i lavori sugli altri tratti della barriera non interessati dalla sentenza continueranno come previsto.

(Ma’ariv, 4.07.04) "


Saluti liberali

Pieffebi
14-09-04, 11:18
da www.israele.net

" 14-09-2004
Rosh Hashanah: 6,8 milioni gli abitanti di Israele

Alla vigilia di Rosh Hashanah (capodanno ebraico) dell’anno 5765, la popolazione dello Stato d’Israele tocca i 6,8 milioni di abitanti, di cui 5,5 milioni ebrei (pari all’81% del totale) e 1,3 milioni arabi.
E’ quanto emerge dalle cifre dell’ultimo censimento diffuse lunedì dall’Ufficio Centrale di Statistica israeliano.
Il dato indica un incremento di 110.000 persone rispetto all’anno scorso (+ 1,6%), mentre l’anno precedente la popolazione israeliana era cresciuta dell’1,8%.
L’Ufficio Centrale di Statistica ha registrato 22.000 nuovi immigrati, di cui la metà arrivati dai paesi dell’ex Unione Sovietica, il 15% (pari a 3.400 persone) dall’Etiopia, il 9% dalla Francia, il resto da vari altri paesi. Il numero di nuovi immigrati, il più basso degli ultimi 14 anni, indica un calo di 5.000 unità rispetto all’anno precedente.
Nel corso degli ultimi dodici mesi in Israele sono nati 143.000 bambini, 6.000 in più rispetto all’anno precedente.
Il numero di lavoratori stranieri attualmente nel paese si aggira sui 189.000.
Secondo dati pubblicati dalla Jewish Agency sul sito IBA, in tutto il mondo oggi si contano 13 milioni di ebrei, dei quali il 40% vive in Israele. Altri 5,6 milioni vivono in Nord America, più di un milione nei paesi dell’Europa occidentale e 400.000 nei paesi dell’ex Unione Sovietica.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, 14.09.04) "


Shalom

nuvolarossa
07-12-04, 15:23
Bentornato Azzam

http://www.debka.com/photos/803.jpg
"Sono orgoglioso di essere nato in questo Paese". Sono state queste le prime parole pronunciate, al suo arrivo in Israele, da Azzam Azzam, il druso israeliano arrestato otto anni fa in Egitto e tenuto prigioniero innocente. La sua cattura fu il segnale che all'epoca le relazioni tra Israele ed Egitto erano tutt'altro che idilliache ...... (continua ... sotto)
(http://www.nuvolarossa.org/modules/news/article.php?storyid=493)
http://www.nuvolarossa.org/modules/news/article.php?storyid=493

Pieffebi
18-12-04, 13:05
da www.israele.net

" Sharon: “2005, anno di opportunità da non perdere”

Il primo ministro israeliano ha dichiarato giovedì sera che il suo piano di disimpegno serve a unire la nazione, aggiungendo che per Israele “il 2005 sarà l’anno di una grande opportunità storica”.
Il leader dell’Olp e principale candidato alla presidenza dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha reagito al discorso di Sharon respingendo l’offerta di coordinare con Israele il previsto ritiro dalla striscia di Gaza e da parte della Cisgiordania settentrionale.
Il piano di disimpegno, ha spiegato Sharon nel suo intervento alla Conferenza annuale di Herzliya, ha migliorato la posizione di Israele nell’arena internazionale tanto più che “è chiaro a tutti che noi non saremo più a Gaza una volta che sarà raggiunto l’accordo per la composizione definitiva del conflitto”.
“Nel 2005 – ha poi detto Sharon – saremo di fronte alla grande, storica opportunità di cambiare la situazione di Israele” e uno degli elementi chiave sarà proprio l’attuazione del piano di disimpegno. “Per farlo – ha detto Sharon – bisogna fare concessioni da entrambe le parti. Per questo dobbiamo prendere l’iniziativa”.
Sharon ha spiegato che l’uscita di Israele da Gaza allenterà la pressione demografica sul paese, che deve continuare a essere uno stato democratico con una solida maggioranza ebraica.
A proposito delle elezioni per la presidenza dell’Autorità Palestinese del 9 gennaio, Sharon ha detto che Israele “sosterrà in ogni modo possibile” gli sforzi dei palestinesi perché le elezioni siano valide e corrette. Secondo Sharon, la scomparsa di Yasser Arafat lo scorso 11 novembre offre una nuova chance per l’emergere di leader palestinesi che siano disposti a fare un accordo di pace con Israele. “Ci troviamo di fronte a una finestra di opportunità unica. Chissà quando avremo un’occasione simile in futuro. Non dobbiamo perdere questa occasione di arrivare a un accordo”.
Rivolgendosi direttamente ai palestinesi, il primo ministro israeliano ha detto: “Non abbiamo nessun desiderio di governare su di voi né di gestire le vostre vite. Mi sono assunto dei grossi rischi per garantire una strada aperta alla pace. Mi auguro che anche voi sappiate fare passi rischiosi per arrivare a una pace possibile”.
Israele aveva già annunciato che ritirerà le proprie truppe fuori dai centri abitati palestinesi per almeno 72 ore a cavallo delle operazioni di voto. Tuttavia, ha aggiunto Sharon, i palestinesi devono “eliminare il terrorismo”, cioè “prendere misure concrete contro il terrorismo e fermare l’insegnamento della cultura dell’odio”, come condizione indispensabile per fare progressi verso una composizione di pace.
Sharon ha specificato che Israele sarebbe pronto a coordinare il suo ritiro da Gaza con una nuova dirigenza palestinese che fosse pronta ad assumersi la responsabilità di combattere il terrorismo. L’offerta di coordinamento, tuttavia, è stata respinta la stessa sera di giovedì dal leader palestinese Abu Mazen. “Le condizioni poste da Sharon non sono nuove – ha detto Abu Mazen in un’intervista telefonica dal Qatar – e sono inaccettabili”.
I palestinesi devono avere il loro stato, ha affermato inoltre Sharon nel suo intervento a Herzliya, giacché continuare con il controllo israeliano sui palestinesi “significa un popolo che controlla un altro popolo”, e cioè una situazione insostenibile.
Circa il recente miglioramento dei rapporti con l’Egitto, Sharon ha ringraziato il presidente egiziano Hosni Mubarak per la scarcerazione del cittadino druso israeliano Azzam Azzam, rilasciato all’inizio del mese dopo otto anni di detenzione al Cairo con un’accusa di spionaggio. Sharon ha aggiunto che una efficace prevenzione da parte egiziana del traffico palestinese di armi tra Sinai e Gaza permetterebbe a Israele di ritirarsi dalla Philadelphi Route, la striscia di terra larga 25 metri al confine fra Egitto e striscia di Gaza che i soldati israeliani pattugliano in base agli accordi di Oslo.
Sharon ha elogiato le forze di sicurezza israeliane per la loro difficile lotta contro le organizzazioni terroristiche, ricordando come negli ultimi quattro anni, dopo l’inizio dell’intifada, Israele abbia dovuto affrontare terrorismo, recessione economica e isolamento internazionale. “Abbiamo dovuto evitare un collasso sul piano economico e della sicurezza. Ci siamo riusciti grazie ai nostri coraggiosi soldati e alle riforme finanziarie, che hanno posto Israele in condizione di tornare a crescere e integrarsi nell’economia globale. Il miglioramento delle condizioni di sicurezza ci permetterà di investire di più in campo sociale ed educativo e di operare per restringere i gap socio-economici”.
Il sostegno che Iran e Siria offrono alle organizzazioni terroristiche ostacola gli sforzi degli Stati Uniti per portare riforme e democrazia in Medio Oriente. L’Iran e gruppi come Hamas, Jihad Islamica e Hezbollah invocano pubblicamente ed esplicitamente la distruzione dello Stato di Israele. Dunque l’esistenza di Israele è ancora in pericolo. Ma oggi, secondo Sharon, ci troviamo di fronte a una grande opportunità. “Siamo costretti a difenderci dal terrorismo e lo sappiamo fare. Ma il 2005 può essere l’anno della grande occasione, l’occasione di porre fine alle minacce contro la pace e dare inizio a un duraturo accordo fra israeliani e palestinesi. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per assicurarci che il prossimo anno sia un anno di opportunità e non un anno di occasioni mancate”.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, 16.12.04) "

Shalom

benfy
26-12-04, 16:05
interessante sito dal contenuto agghiaciante ha tra i siti amici amnesty e human rights watch quindi non è neo cons

se è vero quel che dicono e pare di si c'è da avere i brividi

http://www.tellthechildrenthetruth.com

Pieffebi
27-12-04, 15:08
dal sito di IDEAZIONE...

" Lo zio di Arafat: buon sangue non mente
di Dimitri Buffa
[03 dic 04]

Buon sangue non mente. Se Arafat ha sognato fino all'ultimo di marciare su Gerusalemme alla testa di un milione di "shaid" per cacciare gli ebrei nel mare, suo zio sognava di avvelenare le falde acquifere di Tel Aviv. Dopo avere letto l'interessantissimo saggio di Stefano Fabei su "Studi piacentini" a proposito delle manovre dell'ex Gran Muftì di Gerusalemme Haji Amin Ali al Husayni per terrorizzare la popolazione ebraica di Palestina e i soldati britannici, il primo pensiero che viene alla mente è proprio questo. Infatti quel muftì era zio per parte di padre del defunto Yassir Arafat, nato al Cairo ma mandato a vivere proprio a Gerusalemme all'età di sei anni, e cercò di convincere Mussolini per quasi tutta la seconda metà degli anni Trenta della bontà dei propri progetti terroristici, incluso quello di avvelenare l'acqua dell'acquedotto di Tel Aviv.

In pratica lo stato d'Israele all'epoca era ben al di là da venire ma i despoti palestinesi già possedevano una rodata fede anti-semita che li metteva in sintonia con i nazisti e, ma questo più che altro se lo auspicava lo zio di Arafat, anche con i fascisti nostrani. Il Duce in compenso, che aveva tutti i difetti del mondo ma non quello di essere avventato in politica estera, sebbene avesse ovviamente grossi interessi a fomentare la rivolta arabo palestinese in Medio Oriente, si guardò bene dal fornire ad al Husayni tutti quei soldi e quelle armi che lui gli chiedeva insistentemente, fino a "mettere in dubbio che gli italiani fossero così amici degli arabi come proclamavano".

Per di più, e questo dimostra come i palestinesi non abbiano mai imparato le lezioni storiche, a "tradire" le aspirazioni genocide dello zio di Arafat fu proprio il vecchio re dei sauditi, Ibn al Saud, che doveva mettere a disposizione i propri soldi e le proprie istituzioni affinchè il regime fascista salvasse la faccia, almeno a livello ufficiale, nell'appoggio a quella che oggi molti retoricamente ricordano come "la prima intifada palestinese", ma che sarebbe più giusto definire una rivolta anti britannica fomentata dal fascismo e dal nazismo.

Fomentata però non fino al punto di sporcarsi troppo le mani, cosa che i rais dell'epoca ritenevano invece indispensabile per proseguire la lotta contro le guarnigioni britanniche.
I contatti diplomatici con il muftì zio di Arafat vennero tenuti dallo psichiatra Carlo Alberto Enderle, nome islamico Ali Ibn Jafer, in realtà rumeno, naturalizzato italiano e di genitori musulmani. Il ministro degli esteri era ovviamente Galeazzo Ciano. I palestinesi chiedevano soldi in continuazione, più precisamente volevano 75 mila sterline dell'epoca ogni anno, più armi, munizioni e agenti per l'addestramento alla guerriglia. Il regime fascista da parte sua non intendeva finanziare direttamente e pretendeva che fosse il re Saud ad acquistare armi in Italia perchè con il ricavato si potesse pagare indirettamente la rivolta e il terrorismo. Il tira e molla su questo punto tra sauditi, fascisti e il gran Muftì di Gerusalemme si risolse in una sorta di dialogo tra sordi.

Le trattative che erano andate avanti dal 1933 al 1939 un bel giorno si interruppero per sempre con un nulla di fatto. Il gran Muftì da parte sua si accontentò di quelle 140 mila sterline di assaggio che il Duce era riuscito a fargli avere sottobanco. Probabilmente incassandole piuttosto che devolvendole alla causa arabo-palestinese. E anche in questa circostanza il richiamo della foresta con il sangue con Arafat risulta evidente. Si badi bene: il progetto di avvelenare l'acquedotto di Tel Aviv aveva ricevuto l'approvazione di Mussolini, ma la condizione per fare decollare economicamente questi progetti era che i feddayn palestinesi del gran Muftì ricevessero ben altri finanziamenti e soprattutto armi leggere e pesanti. Di fatto il fascismo, probabilmente operando una sorta di gioco delle parti con il regime saudita, usando lo spauracchio della rivolta araba come arma di pressione sugli inglesi, non spinse mai sull'accelleratore.

E quando il 30 marzo 1938 l'ambasciatore italiano comunicò al sottopancia di al Husayni, tale al Alami, l'intenzione dell'Italia di interrompere ogni ulteriore finanziamento, lo zio di Arafat non potè che prendere atto del fatto che tutto era abortito per il voltafaccia del re saudita. Che a suo tempo, cioè un anno prima, si era rifiutato di fare passare da Ryad le armi e le munizioni, nonchè i soldi che gli italiani avevano accumulato. Nella primavera del 1938 tutte quelle armi erano ancora chiuse nelle casse di alcune navi che stavano nel porto di Taranto. Benchè nei propri colloqui con la diplomazia fascista lo zio di Arafat avesse fatto di tutto per convincere l'asse Roma-Berlino che la formazione di un enclave ebraico, "o peggio di uno stato", sotto il mandato e la protezione britanniche, sarebbero stati una jattura per tutta l'Europa, con toni anti-semiti che sorpresero non pochi interlocutori (in fondo, molti scetticamente ragionavano così, anche questi palestinesi come tutti gli arabi sono pur sempre popolazioni semite!), Mussolini alla fine bloccò tutta l'operazione.

Magari non perchè amasse gli ebrei in quanto tali. Anzi è certo che il 7 di luglio 1937 la Commissione reale aveva pubblicato un documento in cui si spiegavano i pericoli che potevano giungere per l'Italia dell'epoca dalla creazione di uno stato ebraico come era nei progetti inglesi fin dalla dichiarazione di Balfour nel 1917. Probabilmente però la real politik di allora deve avere suggerito a Mussolini che il gioco non valeva la candela: terroristi di quel tipo, come gli armati dello zio di Arafat, potevano anche mettere in crisi i britannici e frustrare le ambizioni territoriali sioniste, ma alla fine non sarebbero potuti più venire controllati da nessuno. Almeno non una volta che fossero stati armati, finanziati e istruiti di tutto punto.

E la stessa cosa deve avere pensato anche re Saud. E questo, se non altro, a ulteriore riprova e spiegazione del perchè ieri come oggi i peggiori nemici dell'ideologia e delle ambizioni pan arabe e indipendentiste dei palestinesi siano spesso stati gli stessi regimi arabi. Perchè se è vero, ad esempio, che la dinastia saudita avrebbe fatto carte false per evitare che un domani, dopo la guerra, gli ebrei avessero avuto il loro stato nel cuore della "umma" araba, è altrettanto certo che quella stessa corte di sceicchi (che di lì a poco sarebbero diventati super ricchi con il petrolio) vedeva come il fumo agli occhi la creazione di uno stato indipendente palestinese. Magari laico e con obblighi di riconoscenza nei confronti dell'Europa nazi-fascista.

03 dicembre 2004 "


Shalom

Pieffebi
13-05-05, 14:12
BUON COMPLEANNO, ISRAELE!

" Perché festeggiamo

Da un editoriale del Jerusalem Post


Cinquantasette anni dopo l’indipendenza proclamata da David Ben-Gurion, la vita di tutti giorni nello stato d’Israele sembra, stando alle apparenze, fastidiosamente simile a quella di tanti altri. Lo stato degli ebrei è profondamente coinvolto in intrighi diplomatici e in conflitti regionali. I suoi politici sono impegolati nei contrasti con i giudici, con i generali e con i loro colleghi politici. Nonostante il suo genuino desiderio di realizzare la visione di giustizia di Isaia, anche Israele ha la sua iniqua porzione di poveri, disoccupati e persone in vario modo svantaggiate. E nonostante la tradizionale stima del popolo ebraico per lo studio, gli scolari e gli studenti israeliani troppo spesso non raggiungono gli standard internazionali di successo scolastico, e troppi cittadini in età universitaria non possono permettersi i più alti livelli di istruzione.
Eppure, messi in prospettiva, tutti questi problemi si ridimensionano rispetto a ciò che è stato realizzato, in questo paese, a partire dal 1948.
Ben-Gurion, che fondò uno stato di soli 600.000 ebrei, avrebbe difficilmente creduto che, entro l’arco della vita dei suoi stessi figli, questo numero si sarebbe moltiplicato per dieci. Sbalordirebbe se sapesse che solo fra pochi anni il paese di Sion diventerà la dimora della più popolosa comunità ebraica del mondo, cosa che non era più accaduta non dico dai tempi della distruzione del Secondo Tempio, ma da quelli della distruzione del Primo Tempio, quasi duemila e cinquecento anni fa.
Il successore Ben-Gurion, Moshe Sharett, che diede vita al ministero degli esteri israeliano, resterebbe incantato se venisse a sapere che Israele, ai suoi tempi ostracizzato dalla maggior parte dei paesi non occidentali, ha successivamente intaurato piene relazioni con la Cina, la Russia, l’India, l’Egitto, la Giordania, con tutti i paesi dell’ex blocco sovietico e con quasi tutti i paesi del terzo mondo.
Il successore di Sharett, Levi Eshkol, per lungo tempo tesoriere di Ben-Gurion, non crederebbe ai suoi occhi se potesse vedere che, oggi, il reddito medio pro capite in Israele è più alto di quello di metà dei paesi dell’Unione Europea, e che lo stato degli ebrei ha una delle valute più stabili al mondo e uno dei più invidiati sistemi tecnologico-industriali.
Il successore di Eshkol, Golda Meir, che fu la prima rappresentante d’Israele a Mosca e che, come primo ministro, si adoperò con grande determinazione per cancellare il divieto all’emigrazione dall’Urss, sarebbe elettrizzata se sapesse che non soltanto i famosi Prigionieri di Sion, per i quali si era battuta, bensì tutto l’ebraismo sovietico è stato liberato e in gran parte si è trasferito in Israele.
Il successore di Golda Meir, Menachem Begin, che si batté per l’immigrazione degli ebrei dall’Etiopia e dalla Siria, sarebbe sopraffatto dalla gioia se sapesse della loro piena liberazione e del loro arrivo in Israele.
In effetti, lo stesso Theodor Herzl, che pure aveva scritto nel 1897 che lo stato degli ebrei si sarebbe realizzato entro cinquant’anni, sarebbe sbalordito nell’apprendere che, almeno per adesso, e per la prima volta dai tempi dell’antichità, a parte l’Iran non c’è più una sola comunità ebraica in tutto il mondo che sia ufficialmente oppressa dal governo del paese in cui vive.
Alle stesso modo Chaim Weizmann, che per decenni si impegnò nella ricerca di un’armonia fra arabi e sionisti, esulterebbe se sapesse che lo stato degli ebrei ha firmato la pace con due fra i principali paesi arabi, che ne condividono i confini più lunghi.
Per la verità, i successi di Israele sono impressionanti, oggi, non solo se considerati nella loro prospettiva storica, ma anche a confronto con gli attuali trend globali.
Sul piano strategico, Israele è in testa a molti paesi nel contrastare la peggiore minaccia del dopo-guerra fredda: il terrorismo.
Sul piano sociale, in un mondo sempre più afflitto da paesi sviluppati che non riescono né a fermare né ad assorbire flussi di immigranti dai paesi poveri, Israele in poco più di un decennio ha saputo accogliere un’ondata di immigrazione pari a un quinto della sua popolazione dell’epoca. Smentendo le previsioni pessimistiche, questi immigrati nel loro complesso hanno trovato casa, lavoro e istruzione, e di fatto si sono spesso inseriti nella middle class e nel mainstream culturale.
Sul piano demografico, mentre la popolazione della maggior parte dei paesi occidentali si contrae, quella israeliana continua a crescere grazie a tassi di fertilità più alti, ed età di matrimonio e tassi di divorzio più bassi rispetto al resto dell’occidente.
Sul piano economico, in un mondo sviluppato in cui anche le più sperimentate economie come quella tedesca e francese faticano a conservare tassi di crescita accettabili, Israele è riuscito a ripristinare la sua crescita economica anche dopo essere stato per alcuni anni sfibrato da una feroce guerra terroristica.
Infine, ed è la cosa più importante, in un mondo dove le culture vengono spesso sopraffatte dalle forze del commercio internazionale, in Israele la lingua e la cultura ebraica, che solo un secolo fa esistevano appena, sono fioriscono rigogliose.
Mentre si celebra l’anniversario dell’indipendenza d’Israele, bisogna tenere conto di tutto questo e ricordare che, con tutti i limiti, gli ostacoli e le avversità che comporta l’esistenza in questo paese, tutto considerato ne vale davvero la pena.

(Da: Jerusalem Post, 11.05.05) "


Shalom

Pieffebi
01-07-05, 15:25
da www.informazionecorretta.com

" Il ritiro da Gaza e l'obiettivo del sionismo

A pagina 2 di Europa del 2005-06-29, Stefano Baldolini firma un articolo dal titolo «Sharon alza la voce contro i coloni;»

EUROPA di mercoledì 29 giugno 2005 pubblica un articolo di Stefano Baldolini che riporta parti del discorso tenuto dal premier israeliano Sharon all'Agenzia ebraica.

Ecco il testo

I comportamenti incivili di una minoranza mettono a repentaglio l’esistenza stessa di Israele. Ariel Sharon sceglie di tornare alle origini del sionismo e rivolge un duro messaggio ai coloni che si oppongono al disengagement, il piano di disimpegno previsto dal 15 agosto con lo sgombero di 21 colonie ebraiche dalla striscia di Gaza e quattro dalla Cisgiordania.
L’occasione – il discorso all’Assemblea dell’agenzia ebraica riunita a Gerusalemme – è quanto mai simbolica. L’agenzia infatti risale al 1929, quando venne istituita si mandato britannico per dare alla comunità ebraica una rappresentanza di fronte ai governi stranieri e alle organizzazioni internazionali, funzione che dal 1923 veniva svolta dall'Organizzazione sionistica in Palestina.
Dopo aver lanciato un appello all’unità – “ritirarsi dalla striscia di gaza è difficile e doloroso per tutti” –il premier stigmatizza il comportamento di una “piccola minoranza che infrange la legge e intende usare la forza contro i nostri soldati e le nostre forze di sicurezza” E lancia un monito. “Questa minoranza non rappresenta tutti i coloni. Dobbiamo tutti ricordare che gli appelli alla disobbedienza dei soldati e i tentativi di stravolgere la vita degli israeliani sono atti che mettono a repentaglio l’esistenza di Israele come paese ebraico e democratico”.
Le dure parole di Sharon – “sono certo che le autorità legali del paese adotteranno le misure necessarie per fermare questi comportamenti incivili –giungono mentre nel paese monta la tensione in vista del controverso ritiro.
Lunedì sera a Gerusalemme, migliaia di automobilisti hanno risposto all’appello degli ebrei ultra-nazionalisti che si oppongono al ritiro, creando lunghe file di autovetture. Per quindici minuti agli incroci principali della città, centinaia di persone che indossavano indumenti con il colore arancione, in riferimento alla rivoluzione ucraina, hanno scandito il grido “Gli ebrei non scacciano gli ebrei”.
Più o meno con le stesse parole (“un ebreo non deporterà altri ebrei) domenica scorsa, il caporal maggiore Avi Beiber, 19 anni decideva di dare il via alla disobbedienza civile –seguito da 12 commilitoni – rifiutandosi di partecipare agli scontri in seguito alla demolizione di 12 case abbandonate sulla spiaggia di Gush Katif, a Gaza. Le operazioni erano state decise per impedire che i coloni vi si barricassero dentro. Ma accanto alle rovine lasciate dai buldozer, il giorno successivo una trentina di nazionalisti occupavano un ostello abbandonato. Intanto Beiber veniva condannato a 56 giorni di reclusione.
Gli episodi di protesta preoccupano le autorità israeliane che temono il rallentamento delle massicce operazioni (si calcola che parteciperanno quarantamila poliziotti e ventimila poliziotti) e l’aumento del rischio di violenza nelle zone da sgomberare dove abitano circa 8000 persone. Ma nonostante la tensione Sharon può contare sul sostegno della popolazione. Secondo un recente sondaggio dell’università di Haifa, il 54% degli ebrei israeliani sarebbe favorevole al ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, e il 41% contrario.
Comunque, a poche settimane dal via, il primo ministro israeliano sembra voler tornare alle radici politiche del suo piano di disimpegno e tentare la difficile operazione di legarlo ai “padri nobili” degli anni 20. Così nel discorso all’Assemblea, cita Zeev Jabotinsky che in un articolo del 1923 intitolato “Maggioranza”, definiva scopo del sionismo “la creazione di una maggioranza ebraica”. “Sognavamo uno stato per gli ebrei su tutte le parti della Terra d’Israele – ha affermato il primo ministro – purtroppo non possiamo realizzare questo sogno. Quello che possiamo fare è realizzare parti importanti di quel sogno. E’ sulla base di questo ragionamento che ho avviato il piano dio disimpegno. Ci stiamo ritirando dalla striscia di Gaza, un’area ne3lla quale non c’è la possibilità di creare una maggioranza ebraica e che, come è chiaro a tutti, non farà mai parte dello Stato di Israele in nessun accordo finale. Nello stesso tempo stiamo impiegando la maggior parte dei nostri sforzi per garantire la nostra esistenza nelle aree più importanti: la Galilea, il Negev, l’area di Gerusalemme, i blocchi di insediamenti, le zone di sicurezza strategica.
E’ proprio per lo sviluppo di Negev e Galilea, secondo il Jerusalem Post, gli Stati Uniti starebbero valutando aiuti straordinari a Israele (si parla di un miliardo di dollari) a disimpegno avvenuto. "


Shalom

ARI6
14-11-05, 03:33
http://img485.imageshack.us/img485/179/palestinesi8rt.jpg

Pieffebi
26-11-05, 20:31
"25-11-2005
Un mondo imperfetto

Da un articolo di Aluf Benn

In un mondo perfetto forse Netzarim non sarebbe mai esistito. Né, forse, gli altri insediamenti e con essi l’enorme prezzo politico ed economico sostenuto da Israele. In un mondo perfetto, Israele la scorsa estate avrebbe festeggiato i cinque anni dall’accordo finale fra Ehud Barak e Yasser Arafat a Camp David. Non vi sarebbero attentati terroristici, uccisioni mirate né barriere di separazione fra israeliani e palestinesi, ma solo reciproco rispetto e fratellanza fra nazioni.
Ma il mondo non è perfetto. Esistono l’odio dei palestinesi e le stragi terroristiche. Esiste l’occupazione israeliana. Esistono l’arroganza e l’ambizione di politici e generali. E decine di insediamenti che sono stati miopemente costruiti, e che ora dovranno essere sgomberati.
Questo mondo imperfetto ha bisogno, talvolta, di leader imperfetti come Ariel Sharon, capaci di prendere delle decisioni e di metterle in pratica, anziché sognare la pace a Ginevra o stare in Svezia a sviscerare i grovigli del diritto internazionale.
Il ritiro da Gush Katif non è stata una favola. Tutt’altro. Israele non ha consegnato ad Abu Mazen le chiavi delle case dei coloni in un cofanetto con un bel nastro, chiedendo perdono per l’occupazione. Non ha nemmeno contribuito alla campagna per la sua elezione. Anzi, Sharon ha lasciato Gaza senza nemmeno sentire il parere dei palestinesi. Non è stato a pensare se lo sgombero serviva agli interessi di Fatah nella sua lotta con Hamas, ma se serviva agli interessi di Israele.
Nel mondo perfetto della sinistra sarebbe stato meglio restare a Netzarim e a Morag finché non fosse stato possibile consegnarli ad Abu Mazen con un accordo, rafforzando il suo regime. Secondo questo approccio, come in un problema di matematica ciò che conta è il procedimento, non il risultato. Ma i leader israeliani vengono eletti per fare gli interessi di Israele, non quelli di Fatah. Netzarim è stato demolito per sbarazzarsi di un peso molesto e superfluo, non per influenzare i risultati delle elezioni nell’Autorità Palestinese.
È triste scoprire che sia la destra che la sinistra israeliana soffrono di una visione stereotipata e superficiale dei palestinesi. Gli avversari dell’accordo di pace li considerano una banda di incorreggibili assassini di ebrei. Dall’altra parte i fan dell’accordo di pace li trattano come se fossero totalmente privi di volontà autonoma e agissero unicamente in reazione ai comportamenti di Israele. Gli stessi esperti che oggi spiegano che la pressione di Israele sull’Autorità Palestinese indebolisce Abu Mazen, solo un anno fa ci dicevano che quella pressione rafforzava Arafat. Allora ci spiegavano che l’incorreggibile ostinazione israeliana non faceva che unire i palestinesi dietro ad Arafat. Oggi ci dicono che essa li disunisce, e che solo gesti generosi potrebbero aiutare. Ma non potrebbe darsi che la debolezza di Abu Mazen sia dovuta anche a ragioni tutte interne, ad esempio carenza di carisma, cattiva gestione, paura del confronto?
Non è una controversia accademica. Dopo le elezioni, sarà sul tappeto il graduale sgombero di circa 60.000 israeliani che vivono negli insediamenti al di là della barriera di sicurezza. Se l’interesse nazionale richiede di tirarli fuori da là sulla base di considerazioni demografiche, politiche e di sicurezza, allora è importante farlo nel modo più efficace, senza provocare la rottura della società israeliana.
Sarebbe auspicabile e preferibile arrivare a un accordo con l’Autorità Palestinese. Ma non dobbiamo conferirle un potere di veto sull’accordo e cadere di nuovo nella trappola della “composizione definitiva del conflitto”, restando aggrappati a ogni più remoto avamposto finché i palestinesi non ci useranno la cortesia di arrivare a un accordo sulle questioni di Gerusalemme e del profughi. È più importante arrivare a un accordo interno su una uscita e risistemazione dignitosa degli israeliani sgomberati, per reintegrarli nella società israeliana.
L’ideologia conta nel formare l’opinione pubblica, nell’istruzione e nelle piattaforme dei partiti. Ma l’arte della politica pragmatica deve tenere in considerazione i vincoli e occuparsi di ciò che è possibile, non delle fantasie. Sharon l’ha capito da tempo. Anche Amir Peretz, che crede nell’interlocutore palestinese e nello sforzo per un accordo finale, conosce la differenza fra discorsi elettorali e iniziative post-elettorali. Sa che la pace richiede consenso interno, e che talvolta realizzare qualcosa di meno può voler dire ottenere molto di più sul lungo periodo.

(Da: Ha’aretz, 24.11.05) "


Shalom

Pieffebi
01-06-06, 18:38
dal sito di IDEAZIONE...

" Israele e la guerra al terrorismo

di Alessandro Marrone
[01 giu 06]

Tel Aviv e Gaza, gli omicidi mirati e i kamikaze, lo Zahal e Al-Aqsa. E poi ancora Usa, Ue, Anp, opinione pubblica internazionale, conflitto “non convenzionale”. Queste le parole-chiave della presentazione del libro “Israele e la guerra al Terrorismo” di Beniamino Irdi Nirenstein, svoltasi venerdì 26 Maggio alla Luiss Guido Carli e trasmessa da Radio Radicale, con un panel di particolare spessore: il Generale Carlo Jean, l’editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli Della Loggia, il direttore dell’Istituto Diplomatico Maurizio Serra, moderati dal presidente della Fondazione Magna Carta Gaetano Quagliariello. Il dibattito, così come il libro, è partito dalla strategia che il governo israeliano ha messo in atto dal 2000 al 2004 per contenere il terrorismo palestinese, che aveva raggiunto un nuovo apice dopo la seconda Intifada. In quel quadriennio sono stati organizzati in Israele 23mila attentati, 430 dei quali hanno provocato circa un migliaio di morti. Se per ipotesi tutti gli attentati fossero andati a segno ci sarebbero state circa 35mila vittime, che su una popolazione di 6 milioni di abitanti avrebbero avuto lo stesso peso che 300mila morti in Italia. Il peso cioè di un dramma sociale di dimensioni tali da raggiungere quello che, come ha sottolineato Jean, è l’obiettivo ultimo del terrorismo palestinese: spaventare gli ebrei al punto da spingerli a tornare al sicuro negli Usa o in Europa, lasciando tutta la Palestina agli arabi.

Di fronte a questa minaccia all’esistenza stessa dello stato d’Israele, si comprende come i vertici militari e governativi israeliani giudichino irrilevante la condanna della Corte Internazionale di Giustizia alla costruzione della barriera difensiva, che separa i territori israeliani da quelli al momento controllati dai palestinesi. Mentre, come ha fatto notare Galli Della Loggia, gli europei sembrano disabituati a pensare i problemi internazionali anche in termini di uso della forza armata, perchè assorbiti ormai dall’ottica ideologica del politically correct e dalla prospettiva giuridica del diritto internazionale. Ottica e prospettiva che spesso in Medio Oriente, come ogni telespettatore può vedere ogni giorno, contano assai meno di un razzo Kassam o di un elicottero Apache. A questa miopia di gran parte della classe politica dell’Europa continentale si affianca, sembra desumersi dalle parole di Quagliariello, una specie di strabismo per cui si tende a giustificare la violenza attuata da strutture terroristiche palestinesi, mentre si condanna senza appello quella decisa dalla democrazia israeliana. Non cogliendo anzi il merito del popolo israeliano di aver continuato a credere nelle proprie istituzioni e nella loro capacità di reagire, senza lasciarsi quindi andare a violente reazioni spontanee, quali per esempio si sono avute in Olanda con il rogo di 31 moschee in risposta all’omicidio di Theo van Gogh.

Le istituzioni israeliane, governo, intelligence ed esercito innanzitutto, hanno risposto perseguendo due obiettivi in contrasto tra loro: da un lato colpire basi e fiancheggiatori dei kamikaze per limitare gli attentati e soprattutto le vittime provocate, dall’altro risparmiare i civili palestinesi per non rendere politicamente impossibile una pace con l’Anp. Per mediare tra questi due scopi si è accettato un alto numero di perdite, nella battaglia di Jenin, 38 soldati israeliani morti a fronte di 53 terroristi palestinesi uccisi, pur di non utilizzare aviazione e artiglieria pesante come hanno fatto gli americani a Falluja. Per comprendere il comportamento dell’esercito israeliano inoltre non bisogna dimenticare il contesto giuridico e culturale in cui si colloca, come ha ricordato Serra: lo Zahal nasce come esercito di popolo, pur acquisendo subito la professionalità e la disciplina di recente mostrata al mondo con lo sgombero di Gaza, ed è regolato da “leggi fondamentali” che rispecchiano una cultura giuridica nazionale che in parte differisce da quella europea, ad esempio vietando categoricamente ogni forma di tortura mentre è più sfumata la posizione sugli omicidi mirati.

Dalla lettura del libro si può concludere che le operazioni offensive per catturare o uccidere gli organizzatori degli attentati, unite al filtro difensivo costituito dal tanto contestato “muro”, e ovviamente all’incessante opera svolta dall’intelligence israeliana, hanno limitato così drasticamente l’effetto degli attentati negli ultimi anni da far sì che essi non abbiano né raggiunto l’obbiettivo di smobilitare lo stato israeliano, né abbiano influenzato le decisioni politiche del governo, tanto che lo storico ritiro da Gaza è stato deciso e condotto unilateralmente e da una posizione di forza. Ma questa vittoria tattica, ha concluso l’autore, non si è tradotta in una vittoria in senso “clausewitziano”, cioè non ha portato a una pace: perché essa possa esserci è necessario che si giunga a un accordo con la controparte su un nuovo status quo della regione. Ma perché ciò avvenga, si potrebbe aggiungere, ci sarebbe bisogno di “una” controparte palestinese e non di una guerra civile strisciante tra Hamas e Fatah per il controllo del potere.

01 giugno 2006
"


Shalom

Pieffebi
23-08-06, 20:04
" il discorso di Cossiga in visita in Israele


"Quale e' dunque lo scopo di questo viaggio? Io, non ricopro alcuna carica pubblica rappresentativa dello Stato, rappresento soltanto me stesso e moralmente, almeno lo spero, quegli italiani, pochi o molti in verita' in questo momento di confusione non lo so piu', che la pensano come me. Non ho, lo ripeto, alcun mandato dal governo del mio paese. E poi esso ha qui i suoi rappresentanti e invia qui i suoi ministri, compreso e sopratutto il ministro degli Affari esteri, politico di grande autorita', leader della sinistra italiana, che piu' e meglio di me possono esprimere la linea del governo della Repubblica. Io questa linea non ho il diritto di rappresentarla, e voglio, ancora una volta affermarlo, non la esprimo quindi ad alcun titolo e ad alcun effetto - dichiara ancora Cossiga -.

Perche' sono venuto in Israele? Sono venuto in Israele per testimoniare in un momento difficile e che, forse, potrebbe anche divenire tragico, alla comunita' israeliana e alla Stato d'Israele e con essi a tutto il popolo ebraico, in Israele e nella Diaspora, la mia solidarieta'. Non nascondiamoci che la tregua non vuole dire 'pace in atto' e diciamo anche che fa anche fatica ad affermarsi, dato che gli Hezbollah non l'hanno in pratica accettata, che del disarmo di queste milizie, braccio dell'estremismo sciita, non si parla piu' nonostante le precedenti e mai applicate risoluzioni del consiglio di Sicurezza, che questo disarmo non rientra nel mandato conferito alla forza di interposizione, che perfino un ministro del governo italiano, che non e' un governo nemico ne' di Israele ne' del tormentato Libano, il tentativo di disarmare le milizie Hezbollah: 'sarebbe una pazzia e porterebbe alla guerra civile nel Libano', dato anche che, per dichiarazione del premier libanese, cristiano e notoriamente filo-siriano, queste milizie debbono considerarsi ormai parte dell'apparato difensivo del governo di Beirut e di cui alcuni ministri europei auspicano addirittura l'integrazione nelle forze armate libanesi, che cosi', oltre ad essere in parte politicamente influenzate dalla Siria, sarebbero sotto l'influenza spirituale e il controllo politico del governo teocratico, sciita integralista, di Teheran; considerato che in Libano e nelle sue forze armate regna una grande confusione con ministri figli di combattenti cristiani assassinati da sicari siriani e ministri pro-Damasco, con ufficiali, sottufficiali e soldati che appartengono non tanto a religioni diverse, che questo di per se' nulla in un paese che fosse democratico dovrebbe contare: pensiamo agli Stati Uniti, alla Germania e alla Svizzera, ma anche a fazioni religiose che guardano non a Beirut, ma a Damasco e a Teheran; dato che l'Iran ha bollato negativamente la risoluzione del consiglio di Sicurezza e che si rischia quindi di avere una forza militare d'interposizione delle Nazioni unite debole e incerta, composta forse anche da unita' militari di paesi certo non amici dello Stato d'Israele e non ostili o che comunque non hanno riserve nei confronti degli Hezbollah. Vengo qui a dare la mia solidarieta' di democratico, di antifascista 'liberal', di occidentale e di cristiano" - spiega il senatore a vita -.

"Perche' di democratico? Perche' non posso e non voglio dimenticare che il sacrificio degli ebrei europei ha costituito un enorme contributo alla causa della liberta' dell'Europa, perche' l'insurrezione del ghetto di Varsavia contro l'occupante germanico e' uno degli episodi piu' gloriosi della epopea della Resistenza europea contro la repressione nazista. Perche' la Shoah e' un lascito morale, certo doloroso e tragico, ma prezioso, perche' la democrazia senza i valori della liberta' religiosa, dell'uguaglianza e della pieta' non vive! Perche' lo Stato d'Israele e' l'unico Stato democratico del medio-oriente. Difendere l'esistenza e la liberta' dello Stato d'Israele e insieme la liberta' e l'identita' degli ebrei della diaspora e' difendere l'Occidente contro la 'guerra santa' che si vuole condurre dall'estremismo islamico contro 'gli ebrei e i crociati', difendere la democrazia, difendere la liberta' - sostiene Francesco Cossiga nel discorso -. Perche' come antifascista 'liberale'? Perche', lo riconosco, storicamente si puo' essere anche 'antifascisti' della specie cosidetta 'progressiva', e insieme antisraeliani e 'antisionisti' e cioe' in pratica antiebrei, come lo erano i comunisti sovietici, lo sono stati la piu' parte dei comunisti italiani, come lo e' oggi e lo dico con rispetto, una gran parte di coloro che militano nella sinistra italiana della quale fanno parte anche persone che stimo e la cui azione politica in altri tempi ho sostenuto, investendo in essa il mio, anche se modesto, ma onesto e dignitoso, patrimonio politico, e che mostrano lealmente e sinceramente la loro propensione per l'Islam, non certo quale grande religione e grande civilta', che mi troverebbero concordi, ma per un Islam da loro 'idealizzato', una volta dissoltosi il mito del 'comunismo internazionalista', quale nuova 'forza rivoluzionaria antimperialista', che mostrano inoltre una considerazione amichevole per gli Hezbollah e, almeno alcuni di loro, ma non pochi, 'comprensione' per Al Qaeda e per i metodi terroristici di lotta di Hamas. Perche' come 'occidentale'? - spiega ancora il senatore -. Si', perche' io sono 'occidentale', quali lo sono gli europei, tutti gli europei, Russie comprese, gli americani di tutte le Americhe e lo Stato d'Israele, questo Occidente della cui civilta' la religione e la cultura ebraica sono elementi costitutivi. E ne sono fiero, anche perche' solo nell'affermazione di questa mia identita' posso confrontarmi e colloquiare con altre grandi civilta', da quella islamica a quella dell'Africa nera a quella cinese e dell'estremo Oriente".

"Perche' anche come cristiano? Perche' voi israeliani ed ebrei siete i miei 'fratelli maggiori', il popolo che fu 'eletto' da Dio per l'Alleanza, il popolo cui questa terra fu promessa e poi data da Dio, un popolo senza il quale io non avrei ricevuto il dono della fede e della liberta'. E anche per ringraziarvi di questo, io sono oggi qui, non contro i palestinesi e contro l'Islam, ma accanto a voi e contro i vostri nemici. Come cristiano, perche' penso al peso che sento gravare anche su di me come cristiano, per le ingiuste persecuzioni che gli ebrei hanno subito nella loro tormentata storia. Dalla cristiana Isabella di Castiglia, indegnamente chiamata 'la Cattolica', che da Toledo, con la cacciata degli ebrei dalle terre della Corona, la Sardegna, la mia 'piccola patria'!, compresa, per purificare il Regno, espulsione sciaguratamente effettuata con 'approvazione della Chiesa spagnola, ha avuto inizio il triste cammino della diaspora ebraica in Europa, che si e' tragicamente concluso con lo sterminio ad Auschwitz di milioni di ebrei, ma anche di numerosi cristiani, tra cui la martire perche' ebrea e santa: la cattolica, tedesca, filosofa, monaca Edith Stein, e anche di rom e di democratici, di sacerdoti cattolici e di pastori protestanti, e anche di comunisti non antiebrei. Perche' penso ai ghetti che sono stati inventati dai papi; perche' penso ai 'pogrom' che hanno avuto la loro origine nella Polonia cattolica.

Grandi sono le responsabilita' di noi cattolici e cristiani - sostiene il presidente emerito -. Perche' solo con la Dichiarazione conciliare del Concilio Vaticano II si e' cancellata la triste falsita' storica, purtroppo avallata dalla liturgia tridentina, degli 'ebrei deicidi', ma ora giustamente e con coraggio 'polacco' ribattezzati: 'i nostri fratelli maggiori'; perche' gli ebrei sono la 'gente' cui appartenevano Gesu', Maria, Pietro e Paolo; perche' solo con questa dichiarazione e con le sante parole e i santi atti di Papa Giovanni Paolo II, il Grande e di Papa Benedetto XVI, tedesco e, appunto, lo ripeto, con il martirio da cristiana, ma perche' ebrea, di Edith Stein, si e' cancellata almeno in parte la tremenda macchia del 'prudente silenzio' che ombreggiava il manto della Chiesa che, pur sempre nel mistero di Dio: 'Sancta et meretrix', doveva essere anche in questo caso immacolato, salvo che del sangue di Cristo, Pietro e Paolo, ebrei, essendo eccezioni esemplari, ma grazie a Dio non le sole, i vescovi tedeschi von Galen, oggi beato e von Preysing, e il pastore luterano tedesco, il martire Bonhöffer e tanti laici, religiosi e religiose che si sono esposti o che anche sono caduti sotto il piombo delle SS germaniche o da loro impiccati per aiutare e salvare dagli aguzzini nazisti quelli che un grande Papa avrebbe giustamente chiamato, appunto, i nostri fratelli maggiori, con i quali siamo legati dallo stesso Antico Patto. E infine, il per me cattolico, triste e doloroso 'silenzio prudente' di parte della gerarchia cattolica sulla atroce persecuzione nazista e fascista degli ebrei, che ha funestato l'Europa da Roma a Berlino, da Vichy a Budapest, e infine perfino, Dio misericordioso ci perdoni e perdoni la sua Santa Chiesa, sull'Olocausto finale. Ma io non sono certo nemico dell'Islam! E ben so quanto la civilta', specie mediterranea, debba alla cultura islamica. Ammiro la religiosita' profonda dei musulmani che adorano come unico Dio il nostro stesso Dio, il Dio di noi cristiani e ebrei: il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe".

"Non condivido certo, da democratico e da cristiano, il carattere teocratico della loro filosofia politico-sociale relativamente alla concezione della comunita' religiosa e della societa' civile, e ho paura dell'estremismo religioso, e quindi per loro anche politico, di una parte di essi, che arriva perfino a giustificare il terrorismo, anche nella forma del sacrificio personale di giovani e giovanette, che forse saranno anche, come disse un pur grande Imam moderato della grande universita' islamica de Il Cairo in un convegno ecumenico a Milano a proposito dei giovani 'kamikaze' che insanguinavano questa terra, possono anche essere considerati soggettivamente 'santi e martiri' di fronte a Dio, ma di fronte a Dio certamente fanatici assassini sono quelli che li educano a siffatti sentimenti e azioni. Sono anche amico da lungo tempo dei palestinesi! E certamente per il movimento palestinese e per la costituzione dell'Autorita' nazionale palestinese in vista della costituzione del futuro necessario Stato palestinese, da ministro dell'Interno, anche violando la legge, e da presidente del Consiglio dei ministri, che fece approvare dal Consiglio europeo di Venezia del 1980 la prima risoluzione a favore di uno Stato palestinese, e da presidente della Repubblica (ho avuto leali e regolari contatti politici di lunga data con Arafat e con molti dirigenti dell'Autorita' nazionale palestinese, ed egli fu anche piu' volte mio ospite), ho fatto molto di piu' che non certi 'filopalestinesi d'accatto' della nostra sinistra d'oggi.

Certo, non vedo con favore e non condivido, i numerosi eccessi del regime islamico dell'Iran, di quello baathista della Siria e aborro con forza i terroristi, chiunque siano e qualunque siano le motivazioni e l'appartenenza, Al Qaeda in prima linea. Nutro grandi riserve nei confronti del governo, in gran parte troppo pedissequamente filosiriano, del martoriato Libano. Ma per la salvezza del popolo e dello Stato israeliano e per la costituzione dello Stato arabo-palestinese, per la creazione di uno stato di stabilita' e di sicurezza, credo che forse occorrera' trattare senza pregiudizi anche con loro, ma solo da posizioni consolidate di forza e di sicurezza. Ma vedo crescere con dolore e orrore, purtroppo anche nelle file cristiane, vescovi (penso al Patriarca latino di Gerusalemme) e perfino qualche cardinale, in Italia e in Europa, contro il Concilio Vaticano II e contro le parole e i comportamenti di due grandi papi, una sorta di pericoloso antiebraismo, magari malamente camuffato da antisraelismo. Ma pur essendo antisraeliani e non, come invece io sono 'filoisraeliani' (in fondo per convinzioni religiose sono contro la istituzione dello Stato d'Israeale anche alcuni ebrei ortodossi americani, o ebrei cosi' detti 'liberali' e 'laici', per motivi politici e di 'laicismo'; anche alcuni ebrei di sinistra della diaspora in Italia lo sono!, certo mai bisognerebbe parteggiare o anche solo essere indulgenti per chi vuole distruggere Israele con una nuova Shoah!".
"Sono, da tempo e non lo nego, per la costituzione di uno Stato palestinese, soggetto alle leggi internazionali di pace e di guerra, ed anche membro della Nazioni unite, ma sono anche per la sicurezza e l'integrita' dello Stato d'Israele. Ma debbo ricordare, per rispetto della verita' storica, che anche qualcuno nel mio paese ha recentemente almeno sottaciuto, che non fu il neonato Stato di Israele o l'ebraismo mondiale, ma furono Stati arabi e gli stessi arabo-palestinesi che non vollero a suo tempo l'applicazione della risoluzione delle Nazioni unite relativa alla costituzione di uno stato arabo-palestinese, e che porto' invece alla costituzione unitariamente prevista dello Stato d'Israele, subito peraltro aggredito da forze arabe e non solo arabo-palestinesi, proprio perche' non volevano la nascita dello Stato d'Israele. E mentre con un mandato confuso e incerto (ho compreso il 'dove', meno il 'come' e il 'perche'': ma e' il massimo che le Nazioni unite oggi ci possano passare), sta per dispiegarsi, anche con la doverosa e tuttavia sommamente rischiosa, partecipazione di unita' militari italiane, al confine tra il Libano e Israele, un forza di interposizione delle Nazioni unite, voglio ricordare che non contro il Libano per se stesso, lo Stato d'Israele dovette dare inizio ad operazioni militari, certo con dolorosi lutti e distruzioni da entrambe le parti (piango i morti di Cana, ma anche quelli di Haifa), ma per difendersi dai banditeschi rapimenti dei suoi soldati, non ancora liberati, e dai continui attacchi proditori degli Hezbollah, un movimento islamico sciita estremista contro cui un tempo, non dimentichiamolo, per difendere la loro identita' dovettero combattere gli stessi libanesi cristiani, un movimento sorretto dal governo totalitario e teocratico di Teheran che proclama il dovere religioso della distruzione dello Stato d'Israele e che si e' impegnato in un programma di armamento nucleare da cui certo non sara' il debole, confuso e incerto (e forse anche non coraggioso e alquanto opportunista!) segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan a dissuaderlo, ne' l'Agenzia nucleare delle Nazioni unite, controllata da alcuni quasi-complici.

È questo un movimento che pratica non solo la guerra, ma il terrorismo e sulla cui natura nutrono idee sciaguratamente errate anche esponenti politici e di governo del mio paese, arrivando a considerarlo un 'legittimo partito politico', e non invece una fanatica forza politico-militare d'ispirazione islamico- estremista, che pratica la guerra e il terrorismo, sostenuto finanziariamente, armato robustamente e ispirato religiosamente e politicamente dal governo teocratico di Teheran. Ma a ben vedere allora anche il nazismo, il 'male assoluto' del XX secolo, dovrebbe considerarsi da un punto dei vista formale un 'partito politico legittimo', perche' andato al potere nella disgraziata Germania, tra violenze alle cose e alle persone, ma comunque in forza del libero voto popolare espresso dalla maggioranza del popolo tedesco contro i partiti democratici; contro i socialdemocratici, contro i comunisti, contro i liberali e i cattolici democratici, nazionali e bavaresi, il cui leader fini' presto a Dachau e li' fu ucciso! E spero che nessun uomo politico e di governo della sinistra del nostro paese, su questa linea del 'libero suffragio popolare', voglia, come dovrebbe in nome del parallelismo, riabilitarlo perche' 'partito politico legittimo, andato al potere in forza del libero voto popolare', come in questi giorni ha tentato di riabilitare gli Hezbollah. Il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe benedica, come da secoli fa, pur nelle prove cui nella sua misteriosa Provvidenza lo ha sottoposto e ancora lo sottopone e lo sottoporra', Israele. E protegga e salvi lo Stato d'Israele! Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe protegga gli ebrei della Diaspora! Dio faccia tornare in questa contrada da Lui prediletta e scelta come 'terra promessa' per i popoli dell'Alleanza, la terra che per noi cristiani e' la terra del nostro salvatore Gesu' di Nazaret, ebreo, la pace nella giustizia e nella liberta' per tutti: ebrei, islamici e cristiani! Amen!" - conclude Cossiga. "



Shalom

Pieffebi
09-05-08, 23:25
Da 60 anni sulla carta geografica


Da un articolo di Gerald M. Steinberg

Il maggior successo di Israele in sessant’anni di indipendenza è quello di essere sopravvissuto: essere rimasto sulla carta geografica come stato sovrano, con uno status eguale alle altre nazioni del mondo. I tanti successi in campo economico e culturale hanno sicuramente contribuito a garantire questa sopravvivenza, sebbene il desiderio di pace con i nostri vicini rimanga in gran parte frustrato. Ma il vero trionfo è che siamo qui.
L’obiettivo primario del sionismo era e rimane la ricostituzione della sovranità e dell’autodeterminazione del popolo ebraico nella sua terra. Oltre alla realizzazione del sogno, vecchio di duemila anni, del ritorno in Terra d’Israele, c’è che la storia di persecuzioni (specie nell’Europa cristiana), espulsioni e pogrom culminata nella Shoà ha mostrato i pericoli legati alla dipendenza da altri. Nel mondo moderno, il popolo ebraico poteva sopravvivere, sia fisicamente che culturalmente, soltanto riguadagnando e preservando l’indipendenza nazionale, su un piede di eguaglianza con le nazioni cristiane d’Europa, le nazioni islamiche del Medio Oriente, e altre nazioni in tutto il mondo. L’alternativa era scomparire, insieme alla ricchezza della lingua ebraica e a un patrimonio di quattromila anni di storia e tradizioni ebraiche.
Sessant’anni fa, mentre gli inglesi si apprestavano ad andarsene e gli eserciti arabi pianificavano la loro invasione, la maggior parte dei politici e degli osservatori prevedeva un disastro per il nascente stato degli ebrei. Leader arabi come Azzam Pasha, che era segretario generale della Lega Araba, proclamavano: “Questa sarà una guerra di sterminio, un grande massacro di cui si parlerà come dei massacri mongoli e crociati”. Ufficiali e diplomatici americani ed europei osservavano il vantaggio apparentemente soverchiante degli arabi in fatto di armi, dimensioni della popolazione e del territorio, e esortavano gli ebrei a rinunciare alla dichiarazione di indipendenza.
Contro tutte queste previsioni, la tenacia e la motivazione degli israeliani, aiutati dalla profonda immedesimazione e dall’appoggio della Diaspora, garantirono l’indipendenza dello stato degli ebrei.
Per il “fronte del rifiuto” arabo e musulmano (compresi gli iraniani, che si mettono alla testa di questo gruppo), l’idea di una sovranità ebraica nel “Medio Oriente islamico” era e rimane inaccettabile. Questo scontro di fondo – e non le divergenze sui confini, sugli insediamenti post-1967 o sull’occupazione – è quello che sta al cuore del conflitto, e che ha portato a guerre d’aggressione e attentati stragisti contro Israele.
Il rifiuto si esprime spesso sottoforma di proposte per la soluzione “un stato unico”, con la cancellazione dei simboli ebraici dello stato israeliano (compresi stemma e bandiera), e la pretesa che milioni di arabi, che si attribuiscono lo status di profughi del 1948, esercitino un “diritto al ritorno” creando in questo modo un’immediata maggioranza araba dentro Israele.
Alla stessa stregua, anche il tentativo di negare i quattromila anni di storia della Gerusalemme ebraica, formulato nei libri di testo scolastici palestinesi e dallo stesso Yasser Arafat al presidente Clinton durante il vertice di Camp David nel 2000, riflette lo sforzo di rovesciare lo status di Israele quale stato ebraico indipendente.
Le campagne in Europa occidentale e altrove che utilizzano etichette come “apartheid” o “razzista” in riferimento a Israele e al sionismo, e la strategia volta a boicottare, disinvestire e imporre sanzioni, fanno parte degli sforzi intesi a negare la legittimità della sovranità ebraica.
Lo stesso vale per le condanne generalizzate di ogni risposta israeliana agli attacchi del terrorismo, e il tentativo di negare ad Israele il diritto all’autodifesa riconosciuto a tutte le nazioni sovrane e indipendenti. Similmente, le false accuse di “crimini di guerra” e di “punizioni collettive” vengono costantemente usate per demonizzare Israele alle Nazioni Unite, e da organizzazioni non-governative che sfruttano la retorica della moralità per demonizzare Israele. Questo era anche il principale obiettivo della famigerata Conferenza Onu di Durban del 2001 e della Conferenza di Verifica (Durban Due) prevista per il 2009 sotto la guida di Iran, Libia e Cuba.
La delegittimazione e la demonizzazione del sionismo e la faziosità che prende di mira Israele in modo speciale, cancellando sistematicamente il contesto del terrorismo palestinese e di altre minacce e attacchi violenti con cui Israele deve fare i conti, sono diventate la forma moderna dell’antisemitismo. In moltissimi casi, la martellante propaganda anti-israeliana ripropone temi classici dell’antiebraismo cristiano, comprese le calunnie sull’uso diabolico del sangue.
Nonostante questa intensa e perdurante ostilità, la capacità di Israele non solo di sopravvivere, ma anche di svilupparsi e prosperare, è la vicenda principale che contraddistingue questi sessant’anni di indipendenza.
Con sei milioni di cittadini ebrei in Israele, dieci volte di più che nel 1948, la lingua ebraica è rifiorita e la cultura ebraica si è preservata ed evoluta. Intanto, i progressi verso la piena accettazione di una sovranità ebraica eguale fra le nazioni del mondo sono penosamente lenti, e la lotta continua ad essere, come in passato, estenuante. Ma non c’è scelta: per il popolo ebraico e per Israele non vi sono strade alternative.

(Da: Jerusalem Post, 5.05.08)


www.israele.net


Shalom

Pieffebi
10-05-08, 20:10
http://it.youtube.com/watch?v=jZX7WKsn5QE

Pieffebi
11-05-08, 12:28
http://www.amicidisraele.org/e107_images/newspost_images/display_image.aspx.jpg



Buon Yom Hatzmaut