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Visualizza Versione Completa : Cavalcanti rifugia in Tolosa.Polemica con i Fedeli D'Amore.



26-10-04, 08:36
Guido Cavalcanti, può considerarsi l'anima più estrema, o del radicalismo ermetico, dei Fedeli D'Amore.
La sua amicizia spirituale e umana con Dante, non gli impedì mai di esprimere all'Alighiero le sue perplessità circa la sua posizione troppo filocattolica.
Naturalmente, è palese che all'interno dei Fedeli D'Amore ogni membro esprimesse una sua peculiare posizione politica.
Ritengo, senza avere nessuna prova scientifica in merito, che il Cavalcanti nelle seguenti rime che riporterò, esprimesse la sua volontà concreta di affiliarsi ad una setta catara, più affine alle sue vedute spirituali.
Ecco le rime:

XXIX - Una giovane donna di Tolosa
sonetto

Una giovane donna di Tolosa,
bell'e gentil, d'onesta leggiadria,
è tant'e dritta e simigliante cosa,
04 ne' suoi dolci occhi, della donna mia,

che fatt' ha dentro al cor disiderosa
l'anima, in guisa che da lui si svia
e vanne a lei; ma tant'e paurosa,
08 che non le dice di qual donna sia.

Quella la mira nel su' dolce sguardo,
ne lo qual face rallegrare Amore
11 perché v'è dentro la sua donna dritta;

po' torna, piena di sospir', nel core,
ferita a morte d'un tagliente dardo
14 che questa donna nel partir li gitta.


XXX - Era in penser d'amor quand' i' trovai
ballata media

Era in penser d'amor quand' i' trovai
due foresette nove.
L'una cantava: - E' piove
gioco d'amore in noi - .

05 Era la vista lor tanto soave
e tanto queta, cortese e umìle,
ch'i' dissi lor: - Vo', portate la chiave
di ciascuna vertù alta e gentile.
Deh, foresette, no m'abbiate a vile
10 per lo colpo ch'io porto;
questo cor mi fue morto
poi che 'n Tolosa fui. -

Elle con gli occhi lor si volser tanto
che vider come 'l cor era ferito
15 e come un spiritel nato di pianto
era per mezzo de lo colpo uscito.
Poi che mi vider così sbigottito,
disse l'una, che rise:
- Guarda come conquise
20 forza d'amor costui! -

L'altra, pietosa, piena di mercede,
fatta di gioco in figura d'amore,
disse: - 'L tuo colpo, che nel cor si vede,
fu tratto d'occhi di troppo valore,
25 che dentro vi lasciaro uno splendore
ch'i' nol posso mirare.
Dimmi se ricordare
di quegli occhi ti puoi - .

Alla dura questione e paurosa
30 la qual mi fece questa foresetta,
i' dissi: - E' mi ricorda che 'n Tolosa
donna m'apparve, accordellata istretta,
Amor la qual chiamava la Mandetta;
giunse sì presta e forte,
35 che fin dentro, a la morte,
mi colpir gli occhi suoi - .

Molto cortesemente mi rispuose
quella che di me prima avea riso.
Disse: - La donna che nel cor ti pose
40 co la forza d'amor tutto 'l su' viso,
dentro per li occhi ti mirò sì fiso,
ch'Amor fece apparire.
Se t'è greve 'l soffrire,
raccomàndati a lui - .

45 Vanne a Tolosa, ballatetta mia,
ed entra quetamente a la Dorata,
ed ivi chiama che per cortesia
d'alcuna bella donna sie menata
dinanzi a quella di cui t'ho pregata;
50 e s'ella ti riceve,
dille con voce leve:
- Per merzé vegno a voi - .



Come si evince, la Mandetta [vv 30,35], donna accordellata istretta...
teniamo conto che Tolosa fù un fiorente centro del pensiero cataro e cortese.
Suppongo che, il Cavalcanti avesse preso contatti con una setta catara di Tolosa, coperta e ben protetta.
Si può pensare anche ad una "sezione francese" degli stessi Fedeli D'Amore, o fantasticando, ad una magione Templare supercoperta.
Non avendo nessuna prova storica e documentaria, le mie sono solo supposizioni, mi piacerebbe leggere l'intervento di Voi forumisti ed un Vostro parere in merito.
Con deferenza
geom.antonio


http://www.gransito.com/Cronologia/Imgs/Img%20Letteratura/cavalcanti_dante.jpg

I due Amici, Dante e Cavalcanti.

pcosta
26-10-04, 09:12
Guido i' vorrei...

Qualche commentatore fa della "mandetta" solo una descrizione di una statua (pur se in una importante chiesa albigese):

"Nel Musée des Augustins a Tolosa si conservano reperti tratti dalla chiesa del XII secolo, detta La Dorata, la Daurade, per le sue vetrate. Si conserva questa statua di una donna che con l'indice della mano destra invita a guardare in alto e con la mano sinistra tiene un rotolo dispiegato di scrittura.

http://www.dismec.unige.it/revue/didat/img/tolo.gif

La giovane donna menzionata nel sonetto e nella ballata appare al poeta "accordellata istretta", proprio come la statua, che gli studiosi del ciclo di statue ipotizzano raffigurare la regina di Saba."

Naturalmente nulla vieta di pensare che invece della Regina di Saba si tratti della Maddalena.

Invece Renzo Guerci (http://www.panistudi.info/dantesca.html), analizzando il tormentato rapporto tra Dante e Guido, ne indica chiaramente la causa nell'eresia catara e gnostica di quest' ultimo:

"Dante e Guido, nei tempi dell’iniziazione e del sodalizio nei Fedeli d’Amore, appaiono su posizioni molto consonanti e l’attenzione e la devozione di Dante per l’amico è palpabile nella Vita Nova.
Poi succede qualcosa, che certamente ebbe un riscontro anche negli avvenimenti politici della Firenze di quei tempi, ma che ha radici altrove. I segni li troviamo in almeno tre sonetti, già acutamente rilevati dal Valli nella sua analisi del "gergo" dei fedeli d’Amore.
Il primo è il famoso "Guido io vorrei che tu e Lapo ed io" in cui Dante rievoca e auspica, con un sottofondo di nostalgia e di speranza, l’unità di intendimenti che avvertiamo in tutta la Vita Nova. E’ significativo che nel "trio" Dante ponga Lapo Gianni, sulla cui "fedeltà d’ Amore" Cavalcanti aveva sollevato in altre rime alcuni dubbi, chiedendo proprio a Dante di "controllare" se Lapo " fosse in compagnia d’Amore" ( si vedano, di Cavalcanti, i sonetti: "Se vedi Amore, assai ti priego, Dante" e " Dante, un sospiro messager del core" ).
Nel sonetto, come è noto, Dante auspica l’esistenza di una imbarcazione ( un vasel) su cui possano vivere insieme lui stesso, Guido e Lapo Gianni, Monna Vanna e Monna Lagia e la donna ‘ch’è sul numer delle trenta’, in riferimento a Beatrice. L’allegoria della nave sarà peraltro ripresa più volte in punti cruciali della Commedia, a significare il percorso verso la conoscenza.
In merito ai sospetti ed al rapporto tra Cavalcanti e Lapo Gianni non ci è dato conoscere di più, ma nei confronti di Dante la risposta di Guido è tassativa e stronca ogni speranza di ricostruire l’antica amicizia. La risposta di Cavalcanti al sonetto dantesco, S’io fosse quelli che d’amor fu degno, rivela infatti la "distanza" che ormai separa i due poeti: "S’io fosse quelli che d’amor fu degno/del qual non trovo sol che rimembranza,/e la donna tenesse altra sembianza,/assai mi piaceria siffatto legno".
E’ quindi la "sembianza" della donna che separa i due antichi amici, è Beatrice che Cavalcanti non accetta: il viaggio di Guido a Tolosa ( dove si trova la chiesa più importante degli Albigesi), il suo contatto con la "mandetta" e quindi il suo successivo avvicinamento all’eresia catara, fanno sì che egli non comprenda il progressivo addentrarsi di Dante dentro l’esoterismo cristiano e la dottrina tradizionale, fatto che Cavalcanti scambia per una caduta nelle braccia dell’ortodossia cattolica o, peggio, della Curia romana.
Il terzo sonetto I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte suona infatti come un’ accusa molto grave di Cavalcanti al vecchio amico. Guido esordisce: "I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte/e trovoti pensar troppo vilmente/allor mi duol della gentil tua mente,/e d’assai tue virtù che ti son tolte". E’ un’accusa disperata quella di Guido, tutta soffusa dalla speranza che l’amico si ravveda; e per altre due volte insiste sulla viltà ( "per la vil tua vita" e " si partirà dall’anima invilita" ), quella viltà che Cavalcanti aveva già indicato come principale nemica di Amore, nel sonetto in cui richiamava l’attenzione su Lapo Gianni. I termini che ricorrono sono ‘viltà’ e ‘ noia’ o parole da essi derivate; parole che ritroveremo, in un contesto ben diverso, sulla bocca di Virgilio, nei primi canti dell’Inferno; si rammenti ad es. : ‘ma tu perché ritorni a tanta noia?’ (I,76) oppure ‘ l’anima tua è da viltade offesa’ (II,45) o anche ‘ogni viltà convien che qui sia morta’ (III,15).
La diatriba con Cavalcanti si preciserà ulteriormente nella Commedia quando Dante, alla richiesta del padre, spiegherà perchè il figlio Guido non è con lui:


E io a lui: " Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno"
(Inf. X, 61-63 )


Il disdegno di Guido per Virgilio è indicativo del motivo stesso per cui Dante sceglie per guida proprio Virgilio: è il modo di concepire la tradizione e la gnosi che ha separato i due amici. E come acutamente osserva Guénon: " da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante la catena della tradizione non fu senza dubbio rotta sulla terra d’Italia".
D’altra parte, anche nell’ambito della gnosi, cui entrambi gli amici fanno riferimento, esistevano ormai delle sostanziali differenze. Nel Purgatorio Dante mette in bocca a Bonaggiunta l’apprezzamento per il manifesto della sua dottrina, quella canzone della Vita Nova, "Donne ch’avete intelletto d’amore", che segna il passaggio ad una diversa visione esoterica, dopo il colloquio con Amore e la trasfigurazione ( o visione mistica ).
Nel sonetto " S’i fosse quello che d’amor fu degno", visto più sopra, Cavalcanti dopo aver affermato la sua non concordanza con il " vasel" proposto da Dante, aggiunge: ‘ e tu, che se’ de l’amoroso regno là onde di merzé nasce speranza’. E’ proprio la "speranza dei beati" – auspicata da Dante nella Canzone ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’, che separa il cataro ortodosso Guido da Dante.
Per Guido il mondo è male, frutto di un demiurgo malvagio, e la salvezza sta esclusivamente nell’uscire dal mondo della materia, del divenire, senza altra speranza in questa realtà.
Dante è invece nel regno d’Amore in cui è possibile la speranza e di quale speranza si tratti lo dice Dante stesso nella sua canzone.
Come ha rilevato Pascoli "la speranza dei beati", contraddizione palese se riferita a coloro che sono nell’Empireo, diventa comprensibile se è la speranza della contemplazione di Dio, che la pietà vuole sulla terra tra gli uomini (come dice Dante nella canzone ), speranza di vita contemplativa che si identifica con Beatrice. In questo modo Dante si ricollega a tutto l’esoterismo cristiano dei secoli che lo hanno preceduto."

26-10-04, 11:30
Grazie del Tuo prezioso contributo.
Rimango della personale idea, che Cavalcanti, parlando della Mandetta, faccia riferimento ad una setta francese, con la quale aveva contatti.
Inoltre, pare che, secondo gli storici fiorentini, (in questo momento mi sfugge il nome di tale cronisti),
il Cavalcanti si sia recato personalmente in Tolosa.
Ad avvalorare questa tesi, c'è da considerare che "Donna" per i Fedeli D'Amore stesse a significare la confraternita segreta, o più significati.
Solo la critica infantile e semplicistica considera Beatrice esclusivamente una giovincella fiorentina.
Che sia esistita una giovincella fiorentina di nome Beatrice, di cui era invaghito Dante, questo è sicuro, così come Laura per Petrarca significava una donna terrena e non solo, essendo Petrarca un Fedele D'Amore.
In realtà, Beatrice, oltre a simboleggiare la Sapienza Santa, sicuramente nasconde e cela la setta fiorentina dei Fedeli D'Amore.
Dato che si pensa che a Bologna vi fosse un'altra setta dei Fedeli D'Amore, cosa che traspare da qualche scritto di Fedeli D'Amore diciamo, di seconda fila.
E non mi meraviglia l'idea che altre sette, dei Fedeli D'Amore fossero dislocate in molte zone d'Italia.
Concludo, nell'affermare che non bisogna sottovalutare, che Firenze trabboccava di Catari, e gran parte delle famiglie ghibelline Fiorentine erano Segretamente Catare.
Il Cavalcanti era un aristocratico.
Lasciami dire ancora che, secondo autorevoli fonti cronistiche francesi, molti Tempieri, durante l'assedio di Montsegur, si fecero Catari, indossando un mantello grigio senza insegne e combattendo al fianco degli eretici provenzali.
Con Stima
geom.antonio

http://www.url.it/pagine/arte/storia/img2/preraffaelliti.jpg

04-11-04, 06:56
Les Templiers
Les débuts de l'ordre
Les origines de l'ordre sont mal connues, les archives ayant été perdues au moment de sa dissolution en 1311. Il est certain pourtant que les Templiers sont apparus plus beaucoup plus tard que les autres ordres militaires, dont ils deviennent les grands rivaux, et d'autre part qye leur vocation militaire est pratiquement d'origine — ce qui montre bien l'évolution des mentalités entre le XIe et le XIIe s.

La fondation
Fin 1119, Hugues de Payns (petit noble de Champagne) et Geoffroy de Saint-Omer, deux chevaliers français, fondent l'ordre des Pauvres Chevaliers du Christ, futur ordre du Temple. Leur objectif est de protéger les pélerins par les armes, notamment sur la route Jaffa-Jérusalem. Ils se placent sous la protection de Baudouin II, qui vient d'être couronné roi de Jérusalem. L'ordre observe la règle des chanoines réguliers du Saint-Sépulcre, et s'installe dans la partie méridionale du Temple de Jérusalem, qui leur a été donnée par Baudouin. En 1128, il y a déjà 14 frères chevaliers.

En 1127, Hugues de Payns, sur la suggestion de Baudouin, part au Saint-Siège demander la confirmation de son ordre. Il est renvoyé au concile de Troyes de 1128. Celui-ci approuve l'ordre et lui donne une règle rénovée. Hugues de Payns parcourt ensuite la France et l'Angleterre, recevant de nombreux dons, mais échoue à recevoir la bénédiction de Bernard de Clairvaux — on sait que S. Bernard a dissuadé le comte de Champagne d'entrer chez les Templiers, la milice ne lui paraissant pas conforme à son idéal religieux. S. Bernard se ravise néanmoins : en janvier 1128, il fait venir les Templiers devant le concile de Sens, pour qu'ils exposent leur projet. Il rédige également une Louange de la nouvelle milice où il vante les mérites des Templiers : « ils doivent apprendre à combattre comme des lions et à haïr l'ennemi. » Tous les cisterciens ne sont pas si enthousiastes : le théologien Isaac de l'Étoile craint qu'ils « ne prennent le goût du sang ».

Croissance de l'ordre
En 1139, Innocent II confirme dans sa bulle Omne datum optimum l'ordre du Temple. Il leur accorde l'exemption et ils reçoivent la garde de forteresses en Orient. En 1199, Innocent III leur donne le privilège de n'être excommuniés que par le Pape, ils sont ensuite exemptés des taxes pontificales (décimes et annates). L'ordre connaît un développement rapide : à la mort de Robert de Craon, 2e grand maître, il y a déjà deux couvents à Jérusalem (environ 350 chevaliers). Au XIIIe s., on compte en Occident 13 provinces (Provence, France, Poitou, Bourgogne, Angleterre, Aragon-Catalogne, Castille Portugal, Toscane-Lombardie, Sicile-Pouilles, Hongrie, Magdebourg et Mayence), ainsi que les deux sous-provinces de Trêves et de Valencia. En Palestine, il y en a trois (Jérusalem, Tripoli, Antioche), ainsi que la sous-province de Petite Arménie depuis 125.

Organisation
À la tête de l'ordre se trouve le grand maître, souveraineté représentative du chapitre général, à l'autorité limitée (les décisions importantes étaient prises à la majorité absolue du chapitre, sa voix comptant pour une seule). Il était assisté d'un chapelain, d'un clerc, de plusieurs sergent, d'un interprète, d'un ou plusieurs turcoples et écuyers, de quelques chevaliers de rang. En campagne, il était accompagné du gonfanon baussant (parti d'argent et de sable).

Liste des maîtres du Temple Noms Période à la tête du Temple
Hugues de Payns 1119–1136
Robert de Craon 1136–1147
Évrard des Barres 1147–1151
Bernard de Tremblay 1151–1153
Évrard 1153–1154
André de Montbard 1154–1156
Philippe de Milly 1156–1169
Eudes de Saint–Amand 1171–1179
Arnaud de la Tour Rouge 1181–1184
Gérard de Rodefort 1184–1889
Robert de Sablé 1189–1193
Gilbert Arail 1193–1200
Philippe du Plaissis 1201–1209
Guillaume de Chartes 1210–1218
Pierre de Montaigu 1219–1232
Armand de Périgord 1232–1244
Guillaume de Sonnac 1244–1250
Renaud de Vichier 1250–1252
Thomas Béraud 1252–1273
Guillaume de Beaujeu 1273–1291
Thomas Gaudin 1291–1292
Jacques de Molay 1292–1314

Son second et suppléant était le sénéchal. Le maréchal, lui, disposait de l'autorité militaire. Le rôle de trésorier était rempli par le commandeur de la terre et du royaume de Jérusalem. Le drapier s'occupait de l'habillement.

Venaient ensuite les commandeurs de province. Les trois principaux étaient l'hospitalier, commandeur de Jérusalem, chargé des pèlerins, puis les commandeurs de Tripoli et d'Antioche. Il faut distinguer les pays de combat de ceux de rapport. Dans les pays de combat, comme la Palestine ou l'Espagne, les commandeurs de province, nommés directement par le chapitre général, nommaient les commandeurs de leur choix. Dans les pays de rapport en revanche, les provinces étaient divisées en régions, chacune ayant à sa tête un commandant régional. L'unité de base était la maison, plusieurs maisons étant regroupée sous l'autorité d'un commandant majeur.

Le chapitre général se réunissait tous les ans en Palestine. Il comprenait tous les dignitaires de Palestine, les dignitaires de pays de rapport ne s'y rendant qu'une fois tous les 5 ans.

Histoire du Temple
L'histoire de l'ordre est étroitement liée à celle des Croisades et de la Reconquista. Comme les cisterciens, les Templiers accomplirent un vaste travail de défrichement et d'irrigation. Rapidement, l'ordre acquit de grandes richesses, et devint le banquier des papes et des rois. Son activité militaire fut également importante, les Templiers participant aux grandes batailles à la fois au Moyen Orient (Ascalon, Ansur, Gaza, Daroum, Ramlah, Damiette, Alep et Mansourah) et en Espagne (Las Navas de Tolosa, Badajoz, Cáceres, Alarcos, Salvatierra).

Nicolas IV et Clément IV promulguèrent de nombreuses bulles pour confirmer les privilèges Templiers. Mais quand Martin IV et le Templier Raymond de Lille tentèrent d'unir Hospitaliers et Templiers, la réforme échoua. Elle fut tentée de nouveau par Boniface VIII, mais celui-ci se heurta à l'opposition du maître Jacques de Molay.

La chute de l'Empire latin d'Orient précipita le destin du Temple. Au lieu de se replier en Espagne, l'ordre se concentra en France, où il n'avait pas de rôle militaire à tenir. Philippe le Bel, les jugeant encombrants, décida donc de s'en débarrasser. Le 13 octobre 1307, tous les Templiers de France furent jetés en prison. Philippe le Bel saisit la tour du Temple, où se trouvaient leurs archives leur trésor et leur comptabilité. Les dominicains chargés de l'interrogatoire firent avouer aux frères toutes sortes d'ignominies, mais plusieurs se rétractèrent ensuite. Clément V, circonscrit par Philippe le Bel, fit lire à l'ouverture de la 2e session du Concile de Vienne (avril 1312) la suppression par provision de l'ordre, en attendant un concile définitif sur le sujet (qui ne se réunit jamais). En 1314, Jacques de Molay et le commandeur de Normandie furent brûlés vifs dans l'île aux Juifs.

Les Hospitaliers héritèrent des biens du Temple sauf en Aragon et Portugal où furent créés des ordres successeurs du Temple, Notre-Dame de Montesa en Aragon en 1317 et l'ordre du Christ en 1319 au Portugal. De nombreux Templiers rejoignirent les Hospitaliers ou se retirèrent dans des maisons religieuses. Au XVIIe s., certaines observances maçonniques prétendirent avoir une filiation avec les Templiers, mais sans fondement.

Vie quotidienne
Les devoirs religieux se cantonnaient à l'assistance aux offices dits par les frères chapelains et à la récitation de prières pendant les heures canoniales. Il y avait jeûne tous les vendredis de la Toussaint à Pâques, et maigre quatre fois par semaine. Les frères mangeaient à deux sur chaque écuelle. On note pourtant des accomodements avec la règle monastique : les templiers mangent plus de viande, et le vin n'est pas rationné (ce qui donnera l'expression « boire comme un templier »).

Le code disciplinaire était sévère. Les peines encourues étaient l'exclusion (pour simonie, révélation des choses du chapitre, meurtre d'un chrétien, vol, évacuation d'une maison, complot, trahison, désertion, sodomie, mensonge lors de la réception d'un frère), la privation du port de l'habit (bataille avec un frère, compagnie de femmes, accusations calomnieuses contre un frère, etc.), perte de l'habit pour 3 jours avec jeûne, jeûne pendant 2 jours, pendant 1 jour, discipline en communauté, etc.

Le trousseau comprenait deux chemises, deux paires de chausses, deux braies, un justaucorps, une pelisse, deux manteaux dont un avec fourrure pour l'hiver, une chape, une tunique et une ceinture. La couleur du manteau différait suivant le statut : blanc pour les chevaliers, noir pour les chapelains, les sergents et les écuyers. Tous les manteaux recevaient la croix ancrée rouge, donnée par le pape Eugène III en 1146. La tenue de campagne comprenait un haubert et des chausses de fer, un heaume, des espalières, des souliers d'arme et un jupon d'arme. L'armement comprenait un écu en bois recouvert de cuir, une épée, une lance, une masse turque et un couteau d'arme. Les harnais de prix, en or ou en argent, sont interdits. Les frères doivent garder la barbe et les cheveux courts pour ne pas être gênés au combat.

04-11-04, 07:00
http://www.templiers.net/bernard/images/bernard.jpg

Bernard de Clairvaux, saint (1090-1153), moine cistercien français, fondateur de l'abbaye de Clairvaux, docteur de l'Église mystique et théologien prédicateur de la deuxième croisade. Bernard de Clairvaux a joué un rôle politique éminent et a été l'une des plus grandes figures de la tradition spirituelle chrétienne occidentale.
Vie
Né au château de Fontaine, près de Dijon, d'une famille de la noblesse, Bernard devient moine dans l'abbaye cistercienne de Cîteaux en 1113, petit village au sud de Dijon. Il fonde en 1115 l'abbaye de Clairvaux, au nord de Dijon, dans l'Aube, et en est le premier abbé. Sous sa direction, l'abbaye de Clairvaux se développe considérablement et devient l'abbaye la plus éminente de l'ordre cistercien, essaimant elle-même rapidement en cent soixante monastères. La rumeur selon laquelle Bernard accomplirait de nombreux miracles et ses sermons éloquents attirent de nombreux pèlerins. Sa personnalité et sa spiritualité influencent considérablement l'Occident chrétien. Il intervient dans les affaires publiques et conseille les princes, les évêques et les papes. Il aurait rédigé la règle de l'ordre des Templiers et, en 1128, il obtient des responsables ecclésiastiques la reconnaissance officielle de l'ordre. Dans la lutte pour la papauté entre le pape Innocent II et l'antipape Anaclet II, Bernard tranche, au concile d'Étampes en 1131, en faveur d'Innocent II. En 1146, à la demande du pape Eugène III, son disciple, Bernard commence à prêcher pour la deuxième croisade. Son sermon, prononcé à Vézelay, déchaîne l'enthousiasme en France. Il parcourt la Lorraine, les Flandres, la Rhénanie et participe activement à la formation des armées dans le nord de la France, dans les Flandres et en Allemagne. Louis VII, roi de France, est convaincu et se joint à la croisade. L'échec de la croisade est une grande déception pour Bernard. Il meurt à l'abbaye de Clairvaux le 20 août 1153. Il a été canonisé en 1174 et nommé docteur de l'Église en 1830. Sa fête est le 20 août dans l'Église catholique.
Oeuvre spirituelle
Bernard a été un opposant résolu des hérésies et de la théologie rationaliste, et notamment de celle du philosophe et théologien français Pierre Abélard, dont il a obtenu la condamnation au concile de Sens en 1140. Il a soutenu des polémiques contre l'ordre de Cluny.
Il a écrit un grand nombre de sermons, de lettres et d'hymnes dont certains sont encore chantés dans les églises catholiques et protestantes. Bernard a écrit sur la vérité, la liberté, la volonté et la grâce. Il a combattu les théologies qui, selon lui, abusaient de la méthode spéculative.
Les degrés de la vérité sont, pour lui, l'humilité, la charité et la contemplation qu'il faut considérer respectivement comme vérité sévère, vérité miséricordieuse et vérité pure. Le premier degré est l'œuvre du Fils, le deuxième celle de l'Esprit et le troisième est l'œuvre du Père. Bernard distinguait trois libertés: le libre arbitre (liberté à l'égard de la nécessité) qui est l'image de Dieu en l'homme; la liberté de conseil (liberté à l'égard du péché) et la liberté de bon plaisir (liberté à l'égard de la misère) qui sont en l'homme la ressemblance à Dieu. Il considérait le monde comme énigme et manifestation visible du Dieu invisible. Il voulait que l'homme tende vers la liberté glorieuse des enfants de Dieu. Parmi ses œuvres importantes, on trouve De Diligendo Deo (De l'amour de Dieu, en 1126), un appel à aimer Dieu parce qu'il est Dieu, et De Consideratione (Considérations à Eugène III, en 1149).

04-11-04, 07:01
http://kurt.helborg.free.fr/images/banderole_templier.png

Non a noi, Signore, non a noi, ma solo al Tuo nome sia gloria

Ichthys
05-11-04, 01:53
NON NOBIS DOMINE, NON NOBIS, SED NOMINI TUO DA GLORIAM

http://www.webcom97.com/templari/crocedef150.GIF

Motto che esprime l’aspirazione al retto agire secondo la dottrina tradizionale.

Non nobis Domine, non nobis,* sed nomini tuo da gloriam: Super misericordia tua et veritate tua:* nequando dicant gentes: Ubi est Deus eorum? Deus autem noster in cælo:* omnia quæcumque voluit, fecit. Simulacra gentium argentum et aurum,* opera manuum hominum. Os habent, et non loquentur:* oculos habent, et non videbunt. Aures habent, et non audient:* nares habent, et non odorabunt. Manus habent, et non palpabunt:* pedes habent, et non ambulabunt: non clamabunt in gutture suo. Similes illis fiant qui faciunt ea:* et omnes qui confidunt in eis. Domus Israël speravit in Domino:* adjutor eorum et protector eorum est. Domus Aaron speravit in Domino:* adjutor eorum et protector eorum est. Qui timent Dominum speraverunt in Domino:* adjutor eorum et protector eorum est. Dominus memor fuit nostri:* et benedixit nobis. Benedixit domui Israël:* benedixit domui Aaron. Benedixit omnibus qui timent Dominum,* pusillis cum majoribus. Adjiciat Dominus super vos:* super vos, et super filios vestros. Benedicti vos a Domino,* qui fecit cælum et terram. Cælum cæli Domino:* terram autem dedit filiis hominum. Non mortui laudabunt te Domine:* neque omnes qui descendunt in infernum. Sed nos qui vivimus, benedicimus Domino,* ex hoc nunc et usque in sæculum. Amen.