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27-10-04, 06:09
IL LEONE DI GUIDO DI MONTFORT

AUTORE: M. Giuliani

Parlare di araldica appare sempre difficile per chi non sia appena un poco addentro alla materia. Proprio per questo motivo, spero che queste note possano aiutare a capire meglio cosa sia stata l'araldica al tempo in cui veniva usata. L'araldica era un linguaggio figurato e simbolico, fatto di colori, simboli, ognuno dei quali stava a significare cose ben precise: un nome, un gruppo familiare, l'appartenenza politica a una parte e via discorrendo. Così di frequente, nell'Italia medievale, adottare l'aquila come simbolo di fedeltà all'Impero e alla casa di Svevia, come i guelfi, avversari dell'Impero e favorevoli alla casa d'Angiò, usarono i gigli d'oro in campo azzurro come pezza araldica da portare sul capo del loro scudo.
L'araldica dei vari gruppi familiari, che abitavano le città italiane, aveva naturalmente una grandissima varietà, anche se certe costanti sono riscontrabili nei vari stemmari cittadini.
L'attribuzione di uno stemma non era cosa che si potesse fare a proprio gusto e piacere: spesso si adottava lo stemma della propria parrocchia, del gruppo familiare cui si era legati o di cui si era clienti. Altre volte lo stemma veniva concesso da una qualche autorità, in quel caso poteva avvenire una sorta di contaminazione tra il simbolo di quell'autorità e i colori dello scudo originario.
Niente di meglio di un esempio storico per spiegare al meglio queste affermazioni.
Nel marzo del 1270, a Firenze, ser Jean de Britaud, cavaliere francese detto dai fiorentini Giambertaldo, lasciò il posto di vicario generale a Guido di Montfort. Costui, che ebbe una parte notevole nella storia fiorentina, era figlio di Simone di Montfort, già duca di Leicester. Nella storia inglese "The Murder of Evesham" ha un nome sinistro e proprio sui campi di Evesham, nel 1265, Guido di Montfort, fu presente alla battaglia che vide suo padre morire sconfitto e, fattosi adulto, riparò in Francia alla corte di Carlo d'Angiò.
Nel 1270 Guido di Montfort diventò così vicario generale di Carlo d'Angiò a Firenze, come stemma Guido portava uno scudo rosso con sopra un leone rampante bianco - in linguaggio araldico: di rosso al leone d'argento. Per chi volesse avere un'idea più precisa del soggetto in questione esiste una ottima illustrazione dalla matita e dal pennello di Angus Mc Bride, pubblicata nel volume Osprey French medieval Armies.
Una volta a Firenze, il nostro assunse il comando delle truppe della Lega Guelfa, una sorta di alleanza militare intraregionale, composta da soldati a cavallo pagati da Carlo d'Angiò, da Firenze e, in quote differenziate a seconda dell'importanza, da varie altre città della Toscana e dell'Italia centrale. Alla testa di queste truppe, integrate da contingenti fiorentini e orvietani, Guido mosse insieme a Berardo di Raiano, podestà di Firenze contro i centri di resistenza ghibellini in Toscana. L'11 maggio 1270 muovevano contro il Valdarno di Sopra, a Piantravigne dei Pazzi, dove fu distrutto il castello di Ristruccioli dei Pazzi, "ch'era molto forte", secondo il cronista Giovanni Villani. L'oste reduce da Ristruccioli con Guido di Montfort devastò poi la zona di Poggibonsi, dove era un presidio di cavalieri tedeschi e ghibellini che furono sconfitti con la conseguente distruzione del paese.
Seguitando a parlare del personaggio, che ebbe una vita incredibilmente avventurosa, il 10 agosto 1270, a Viterbo, Guido di Montfort sposò Margherita di Aldobrandino di Pitigliano, detto il Conte Rosso. Costui era un feudatario potente nelle maremme a sud di Siena, tra il monte Amiata e il mare, fino al confine con il Lazio odierno. Sua figlia Margherita appare nelle cronache del tempo quasi una sorta di Messalina, ma la storia di Guido continua e l'anno dopo il matrimonio, il 13 marzo 1271, sempre a Viterbo, il nostro cavaliere compie la vendetta della sua stirpe massacrata sui campi di Evesham.
Nella chiesa di San Silvestro, vicino all'altare Guido di Montfort aggredì e uccisa Enrico di Inghilterra; suoi complici nell'assassinio furono il fratel suo Simone e il conte Ildebrandino di Pitigliano, insieme a 300 soldati a cavallo, probabilmente stipendiati dalla lega Guelfa.
Dopo il delitto Guido si rifugiò poi a Montagnoso, castello posto vicino a Montaione in Val d'Evola, qui ospitato da Stoldo Giacoppi dei Rossi, fiorentino irrequieto al quale il cavaliere anglo-francese, in segno di gratitudine, concesse di portare le sue insegne sullo scudo: il leone bianco in campo rosso.
Lo stemma dei Rossi di Firenze era, com'é facile immaginare, tutto dipinto di rosso. Stoldo inquartò l'insegna del Montfort nel suo stemma e da allora i suoi discendenti portarono a Firenze lo stemma rosso con un leone bianco.

27-10-04, 06:11
A ovest nord-ovest di Marsiglia, sul Golfo del Leone, si stende l'antica provincia della Linguadoca i cui abitanti, nel 1208, vennero ammoniti da papa Innocenzo III° per la loro condotta poco cristiana. L'anno successivo, un esercito papale di 30.000 soldati al comando di Simone di Montfort calò sulla regione. Portavano ingannevolmente sul petto la croce rossa dei Crociati in Terra Santa, ma il loro scopo era ben diverso. In realtà erano stati mandati a sterminare la setta ascetica dei catari (i Puri), che risiedevano il Linguadoca e che, secondo il Papa e Filippo II° di Francia, erano eretici. Il massacro, durato 35 anni, costò decine di migliaia di vite umane e culminò con l'orrendo eccidio al seminario di Montségur, dove oltre 200 ostaggi furono bruciati sul rogo nel 1244. In termini religiosi la dottrina dei catari era essenzialmente gnostica: erano persone dotate di grande spiritualità e credevano che lo spirito fosse puro, ma che la materia fisica fosse contaminata. Sebbene le loro convinzioni fossero poco ortodosse, il timore del papa in realtà era causato da qualcosa di molto più minaccioso. Si diceva che i catari fossero i custodi di un grande e sacro tesoro, associato ad un'antica e fantastica conoscenza. La regione della Linguadoca corrispondeva sostanzialmente a quello che era stato il regno ebraico di Septimania nell'VIII° secolo, sotto il merovingio Guglielmo de Gellone. Tutta la zona della Linguadoca e della Provenza era impregnata delle antiche tradizioni di Lazzaro (Simone Zelota) e di Maria Maddalena e gli abitanti consideravano Maria la "Madre del Graal" del vero cristianesimo occidentale. Ai pari dei Templari, i catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l'uguaglianza dei sessi. Nondimeno, furono condannati e brutalmente soppressi dall'Inquisizione cattolica (istituita ufficialmente nel 1233) e accusati di ogni sorta di empietà. Contrariamente alle accuse, i testimoni chiamati a deporre parlavano soltanto della "Chiesa dell'Amore" dei catari e della loro tenace devozione a Gesù. Credevano in Dio e nello Spirito Santo e gestivano una società modello con il proprio sistema assistenziale di scuole e ospedali. I catari non erano eretici, ma semplicemente anticonformisti; predicavano senza autorizzazione e non avevano bisogno di preti, né delle chiese riccamente decorate dei loro vicini cattolici. San Bernardo aveva detto: "Nessun sermone è più cristiano dei loro e la loro morale è pura". Tuttavia l'esercito papale venne, sotto le mentite spoglie di una santa missione, a estirpare la loro comunità dalla regione. L'editto di annientamento si riferiva non soltanto ai catari stessi, ma a tutti i loro sostenitori, che comprendevano quasi tutti gli abitanti della Linguadoca. Per dare maggiore peso alla Santa Inquisizione, i cittadini della regione furono accusati da monaci domenicani di dedicarsi a pratiche sessuali contro natura. Questa accusa ha portato successivamente a ogni tipo di congetture sulla natura di tali perversioni ma di fatto gli abitanti catari della Linguadoca praticavano semplicemente il controllo delle nascite. Come livello di apprendimento e di educazione, i catari erano tra i più colti nell'Europa di quel periodo, permettendo uguale accesso all'istruzione ai ragazzi e alle ragazze. Di tutti i culti religiosi nati in epoca medievale, il catarismo era il meno minaccioso, ma la tradizione sviluppata in Provenza, già dal I° secolo, sulla storia dei discendenti di Gesù alla Chiesa romana non piaceva. Al pari dei Templari i catari non volevano assolutamente sostenere la tesi che Gesù fosse morto sulla croce. Si riteneva così che possedessero sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente la storia della crocifissione. C'era soltanto una soluzione per un regime disperato che aveva paura di perdere credibilità. Dalla Chiesa di Roma fu impartito un ordine: "Uccideteli tutti".


CONCLUSIONI
Tutta la zona della Linguadoca e della Provenza in cui si sviluppò il movimento cataro era impregnata delle antiche tradizioni di Lazzaro (Simone Zelota) e di Maria Maddalena e gli abitanti consideravano Maria la "Madre del Graal" del vero cristianesimo occidentale. Ai pari dei Templari, i catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l'uguaglianza dei sessi. Di tutti i culti religiosi nati in epoca medievale, il catarismo era il meno minaccioso, ma la tradizione sviluppata in Provenza, già dal I° secolo, sulla storia dei discendenti di Gesù alla Chiesa romana non piaceva. Al pari dei Templari i catari non volevano assolutamente sostenere la tesi che Gesù fosse morto sulla croce. Si riteneva così che possedessero sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente la storia della crocifissione. I Catari furono condannati e brutalmente soppressi dall'Inquisizione cattolica (istituita ufficialmente nel 1233) e accusati di ogni sorta di empietà. Il massacro, durato 35 anni, costò decine di migliaia di vite umane e culminò con l'orrendo eccidio al seminario di Montségur, dove oltre 200 ostaggi furono bruciati sul rogo nel 1244.


fonte: qui (http://digilander.libero.it/laquestedugraal/Icatari.htm)

27-10-04, 06:23
Simone di Montfort
I
I
I
Guido di Montfort



Alcune immagini di Simone di Montfort:

http://www.bbc.co.uk/history/timelines/britain/images/simondemontfort.jpg

http://www.baronage.co.uk/2002c/montfort.jpg


http://lescathares.free.fr/images/montfort.JPG

02-11-04, 06:55
Il Graal ed i Templari

saggio postumo di
Umberto Cardini


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(Questo testo inedito è una bozza di appunti ritrovata tra le carte del Prof. Cardini. Apparentemente sembra essere uno schema preliminare di indagine sui rapporti tra quelle che il Cardini spesso ha chiamato "le ali estreme dei movimenti millenaristi". Le intuizioni che lampeggiano in questi appunti, tracciando un cammino di ricerca che purtroppo difficilmente riusciremo a percorre con la sua perizia, ci fanno rimpiangere la sua departita.
È nostro grande dolore e piacere poter inserire questo testo negli atti del Convegno in Memoria del Prof. Cardini. N.d.E.)



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Tre manoscritti contenuti nell'archivio del Fondo Malnipote (dove sono catalogati come FM.P761/762/763; la traduzione di Opizzo Malnipote si trova nel quaderno FM.Q888) aprono un'inaspettata prospettiva nello studio dei rapporti tra diversi movimenti millenaristi.
Si tratta di tre lettere la cui autenticità è stata confermata dalle verifiche scientifici preliminari, e databili agli anni 1245, 1256 e 1270, scritte dal templare Roncelin de Fos al suo confratello Richard de Vichiers. La storia che raccontano e che sostanzialmente è confermata da molti indizi, suggerisce degli stretti collegamenti tra Catari, Templari ed Assassini e perfino una lotta tra due fazioni politiche all'interno della direzione dei Templari.

Dei due corrispondenti, Richard de Vichiers è storicamente sconosciuto; da queste lettere si deduce soltanto che sia il fratello del Gran Maestro Rinaldo (1250-1256) e si può supporre che abbia vissuto nella domus templare di Pieusse. Roncelin de Fos è invece ben noto: Maestro di Provenza fra 1248-1250, Maestro di Inghilterra (1251-1253), e di nuovo di Provenza (1260-1278); dalle sue lettere si deduce un continuo collegamento con Gerusalemme.

Che il "Graal" (qualunque cosa esso sia) fosse in mano dei Templari e soprattutto dei Catari è tesi che è stata sostenuta da Otto Rahn [Ra] con argomenti molto affascinanti ma che si reggono purtroppo solo su voli pindarici senza il minimo supporto storico.
Curiosamente la storia che viene raccontata dalla prima lettera sembra confermare l'intuizione di Rahn: de Fos riferisce infatti che il Natale del 1243 Pierre Bonnet, uno dei diaconi dei Catari (su di lui cf. [Ro] passim) si sarebbe rivolto ai Templari di Pieusse chiedendo una scorta per recuperare dalla grotta di Niaux una loro reliquia (Otto Rahn riconoscerebbe subito il Graal in questa "Reliquia di Giuseppe") e scortare l'oggetto e sette donne catare fino a Gerusalemme; l'intenzione dei Catari apparentemente è di consegnare in custodia l'oggetto ai Templari.

Va subito notato che questa curiosa storia ha già una conferma storica nella deposizione di Imbert de Salles che riferisce dell'evasione di due fratelli Catari col loro tesoro dal castello di Montsegure proprio intorno a Natale ([Ro], vol.IV, p.382-383) e dichiara che il tesoro era in "una grotte du Sabarhes tenue par Pons-Arnaud de Chateauverdun" uomo del conte di Foix una delle cui grotte fortificate è appunto Niaux.
Questa testimonianza apre anche un'interessante prospettiva di ricerca: ricordandosi infatti che proprio a Pieusse si riunì il concilio cataro nel 1226 [Ro, vol. IV, pp.116-117] non è irrealistico ipotizzare una comunione di intenti tra i Catari e i Templari di Pieusse.

Recuperata la Reliquia, le sette donne sono guidate da de Fos ad imbarcarsi nel porto templare di La Rochelle in direzione di Bari e di qui sbarcano ad Acri. È facilissimo datare la parte finale di questo viaggio: de Fos scrive: "Alcuni mesi dopo, nonostante la tragica notizia della caduta di Gerusalemme decidemmo di imbarcarci da Bari per la Terra Santa ma quando sbarcammo ad Acri sapemmo della tragedia: un mese prima le forze cristiane erano state massacrate a La Forbie, dove perì anche il nostro Gran Maestro Armand, che Dio lo abbia in gloria; la speranza di recuperare Gerusalemma era perduta."
La datazione è quindi elementare: i turchi irruppero a Gerusalemme l'11 luglio 1244 e la cittadella si arrese il 23 agosto, mentre la sconfitta di La Forbie a cui sopravvissero solo il patriarca di Gerusalemma e il Montfort, signore di Tiro è del 17 ottobre. ([Ru] pp.877-879)

Giunti in Terra Santa, de Fos si rivolge al fratello del de Vichiers perché provvedesse ad occultare la reliquia; il de Vichiers coinvolge un altro Teamplare, il de Sonnac, il quale li mette in contatto con gli Assassini. Essi offrono come nascondiglio una tomba nelle rovine di Petra, azionata con un meccanismo segreto che viene rivelato alle sette custodi, ad ognuna delle quali consegnano anche un medaglione.
Le donne si separano per ritornare in Europa ma una di loro viene catturata dal Signore di Tiro, Filippo Montfort (nipote del Simone che stava conducendo la crociata contro i catari). Apparentemente il Montfort avrebbe quindi scoperto il ruolo del de Vichiers e del de Sonnac in questo occultamento.

Valga per quello che valga questa storia, essa sembra rivelare una spaccato politico inaspettato. Infatti alcune affermazioni del di Fos potrebbero offrire curiose prospettive di indagine.
Si potrebbe quasi ipotizzare un conflitto interno tra i gruppi dirigenti della Terra Santa, o meglio due partiti occulti impegnati in una battaglia senza quartiere: da una parte un gruppo templare che fa riferimento ai Grandi Maestri Guillaume de Sonnac (1247-1250) e de Vichiers (1250-1256); dall'altra parte, il Signore di Tiro, Filippo Montfort, e il Gran Maestro Richard de Bures (1244-1247) che successe ad Armand de Perigord (1232-1244) defunto a La Forbie ([Ru] p.878).
Dal modo in cui il de Fos descrive la situazione, sembra che il de Sonnac ed il de Vichiers gestissero all'interno del Tempio una fronda segreta che aveva degli stretti rapporti sia con i Catari tramite la casa di Pieusse ed il fratello del de Vichiers, sia con gli Assassini.
In questa fronda segreta forse è entrato anche il de Fos e viene il sospetto che il suo contributo nel salvataggio del tesoro dei Catari giustifichi le sue promozioni: nel 1247 il de Sonnac diventa Gran Maestro e de Fos viene nominato Maestro di Provenza l'anno dopo; nel 1250 diventa Gran Maestro de Vichiers e affida a de Fos l'Inghilterra dove pare che egli abbia introdotto pratiche eteredosse ([Ou] p. 28).
Quale potesse essere il tenore del loro credo è difficile immaginarlo; sicuramente molto eterodosso, se il de Sonac racconta la pia leggenda secondo la quale il Vecchio della Montagna avrebbe consegnato al fondatore dei Templari un "sigillo di grande potere" affinché questo la consegnasse a Bernardo di Chiaravella! Del resto almeno il de Fos è altrettanto ossessionato da questo tema degli "oggetti di potere" quanto i committenti delle indagini del Rahn, e sostiene addirittura che San Bernardo in persona avrebbe affidato a loro il "compito segreto" di "proteggere, custodire e nascondere dai nemici di Dio e dai servi di Satana quegli oggetti potenti che non devono essere rivelati prima dall'ora designata."
Quanto all'altra "ala", la possibilità di valutazione è ancora più scarsa: i Montfort sono sicuramente una mala genia, arrampicatori sociali quasi balzachiani (sorella mandata nel letto del re, matrimoni che garantivano l'accesso ai centri di potere, tradimenti, assassinii in chiesa...) ma l'immagine che ce ne offre il de Fos sembra quasi una caricatura: per riuscire ad interpretare la crociata contro gli albigesi come un tentativo per mettere la mani sulla "Reliquia di Giuseppe" e tutti gli scontri tra il Signore di Tiro ed i Gran Maestri come una vendetta per il loro aver occultato l'oggetto, bisogna essere davvero molto, ma molto paranoici (almeno quel tanto da poter credere davvero che si tratti del Graal!). Per poter leggere tutti gli avvenimenti senza la lente deformante della paranoia e l'ossessione per questo "oggetto di potere", basta del resto conoscere la "storia di famiglia": il comportamento del Montfort non è nient'altro che una banale occupazione dei centri del potere con tutti i mezzi leciti (e soprattutto illeciti).
Le vittime, naturalmente, erano i Grandi Maestri del Tempio: se (come stiamo ipotizzando) essi erano i rappresentanti di spicco di questa frangia eteredossa, forse convinti di essere i custodi del "tesoro dei Catari" affidatogli da San Bernardo, è anche chiaro che essi si siano sentiti minacciati, abbiano fatto un patto comune ed attivato la paranoia di gruppo.
Ma, pur facendo tutte le tare sulla testimonianza del de Fos, è evidente che a cavallo del 1250 queste due forze si sono combattute senza tregua

Il racconto del de Fos parte col massacro di La Forbie a cui muore tutta la classe dirigente del Regno, compreso il Gran Maestro Armand de Perigord; sopravvivono solo il Patrarca ed il Montfort; non è da scartare l'ipotesi che il sospetto del de Fos sia fondato e che il Montfort abbia approfittato della situazione per far nominare come Gran Maestro un suo fantoccio come il de Bures. Del resto il de Fos arriva a Gerusalemme e si mette subito in contatto con gli uomini di spicco di questa frangia eterodossa: la sua visione degli avvenimenti è quindi direttamente influenzata da quella del de Sonnac e del de Vichiers, ossia dei filo-catari convinti.

Si fantastica oggi di un' "eredità dei Templari" tramandata esotericamente tramite la massoneria; è abbastanza affascinante notare che in questa "tradizione" i ventitre Gran Maestri dei Templari (per la cui lista si veda [De])sono ridotti a 22, ossia altrettanti quanti gli Arcani maggiori dei Tarocchi, e che in questa lista sia stato eliminato proprio il de Bures, il fantoccio del Montfort. Verrebbe voglia di fantasticare che l'ala filo-catara con i suoi interessi esoterici e la loro ossessione per "oggetti di potere" stia dietro questa tradizione e che, nelle sue esigenze numerologiche, abbia sacrificato il "traditore".

Ma tornando dalla fantasia alla realtà, il de Bures muore nel 1247 senza lasciare nella storia neanche una nota a piè di pagina (non è neppure listato negli indici della documentatissima storia del Runciman [Ru]!) e l'ala filo-catara riprende il controllo dell'Ordine con la nomina a Gran Maestro del de Sonnac, ma l'anno dopo arriva in Terra Santa San Luigi, il nono re di Francia con quel nome. Il re costrinse le forze di Terra Santa nella disastrosa avventura di Damietta, dove il de Sonnac morì nella sconfitta di Mansura e fu sostituito dal de Vichiers. Tra il re e il Gran Maestro si giunse ben presto ad un incidente politico; opponendosi alla linea di trattative sviluppata dall'Ordine, il Re pretese che questa politica fosse sconfessata pubblicamente e che il Maresciallo Ugo di Jouy che aveva gestito le trattative venisse bandito dalla Terra Santa. Di conseguenza il Capitolo dell'Ordine decise di deporre il de Vichiers ([De], pg. 193; [Ru], pg. 905; [Bo], pg.148). La storia ben nota e raccontata dal Joinville è riferita nella sua seconda lettera dal de Fos che attribuisce questi avvenimenti allo zampino del Montfort; difficile valutare la sua testimonianza, quella di un uomo convinto che la sua setta esoterica avesse un incarico da parte di San Bernardo in persona, e probabilmente convinto che San Luigi sia stato mandato in Testa Santa "dai nemici di Dio e dai servi di Satana" per mettere le mani sull' "oggetto di potere".

Allo stesso modo è impossibile valutare la sua affermazione secondo la quale l'uccisione del Montfort da parte degli Assassini, avvenuta il 17 agosto 1270 e il cui mandante secondo gli storici era il Sultano Baybars ([Ru], pg.968, [Le] pg. 151], rappresenterebbe veramente l'ultimo capitolo di uno scontro tra queste due fazioni all'interno del gruppo dirigente di Terra Santa. È comunque un dato di fatto che la sua uccisione liberava Baybars "dal più autorevole tra i nobili franchi" (Ru], pg.968) ed è quindi realistico supporre che questa sua posizione sia stata ottenuta anche grazie alla sua vittoria contro la fazione guidata dal de Vichiers ottenuta grazie all'intervento di San Luigi.

Se la si sfronda dagli aspetti settari e non ci si lascia incantare dalla favolistica templare, il carteggio contenuto nell'archivio del Fondo Malnipote può essere il punto di partenza per un'analisi dei conflitti interni del gruppo dirigente di Terra Santa negli anni del declino iniziato dalla caduta di Gerusalemme e la morte del de Perigord e concluso con la caduta di Acri.
Da un altro punto di vista, la testimonianza di Roncelin de Fos ci attesta stretti ed espliciti legami tra Catari, Templari ed Assassini intorno ad un coagulo di elementi settari ed esoterici che potrebbe gettare anche una certa luce nella cosiddetta "tradizione" pseudo-massonica.

[Bo] G. Bordonove, La vita quotidiana dei templari nel XIII secolo, Rizzoli (1994)
[De] A. Demurger, Vita e morte dell'ordine dei Templari, Garzanti (1987)
[Le] B. Lewis, Gli assassini, Mondadori (1992)
[Ra] O. Rahn, Crociata contro il Graal, Barbarosa (1979)
[Ro] M. Roquebert, L'epopee cathare, vol.IV, Privat (1989)
[Ru] S. Runciman, Storia delle Crociate, Einaudi (1966)
[Ou] R. Oursel, Le proces ds templiers, Paris (1959)



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A Richard de Vichiers da Roncelin de Fos
Mio caro fratello in Cristo,
qui ad Acri, posso oggi scriverti per riferirti il successo della missione che mi affidasti il giorno della nascita del Nostro Signore nell'anno 1243 quando il diacono dei Buoni Uomini, Pierre Bonnet, giunse alla nostra Casa e chiese il nostro aiuto per proteggere il loro Tesoro.
Tu mi affidasti l'impegno di accompagnare e scortare le Buone Dame e la loro Reliquia al nostro Tempio e consegnarla segretamente a tuo fratello.
Partii la sera stessa dalla nostra casa di Pieusse e fui guidato dal Buon Uomo Bonnet fino alla grotta fortificata di Niaux, dove protette da un Buon Uomo trovai sette Buone Dame.
La notte stessa ci separammo: mentre i due Buoni Fratelli continuavano il loro cammino per nascondere il resto del loro tesoro, le dame viaggiarono, protette da me, su un carro con la Reliquia di Giuseppe.
Seguendo il tuo suggerimento, per confondere gli eventuali inseguitori non ci dirigemmo verso i nostri porti del Mediterraneo ma andammo fino a La Rochelle dove ci imbarcammo per Bari; ritenni infatti più prudente sbarcare in Terra Santa proveniente dalla Sicilia e non dalla Francia.
Alcuni mesi dopo, nonostante la tragica notizia della caduta di Gerusalemme decidemmo di imbarcarci da Bari per la Terra Santa ma quando sbarcammo ad Acri sapemmo della tragedia: un mese prima le forze cristiane erano state massacrate a La Forbie, dove perì anche il nostro Gran Maestro Armand, che Dio lo abbia in gloria; la speranza di recuperare Gerusalemme era perduta.
Arrivato, fortunatamente, seguii di nuovo il tuo consiglio: invece di rivolgermi al Gran Maestro mi rivolsi direttamente a tuo fratello Renaud e questi, quando seppe di cosa si trattasse, mi fece giurare di non farne parola al nuovo Gran Maestro, Richard de Bures, uomo molto amico (e secondo tuo fratello prezzolato) del signore di Tiro, Filippo Montfort, nipote di quel Simone che sta combattendo contro i Buoni Uomini.
La crociata contro il conte di Tolosa, mi spiegò tuo fratello, è stata scatenata da forze malvagie per impossessarsi della Reliquia di Giuseppe e tuo fratello sospetta addirittura che la nomina del Gran Maestro sia stata favorita da queste forze per recuperare altri potenti oggetti che noi Templari proteggiamo, custodiamo e nascondiamo dai nemici perché non siano rivelati prima dall'ora designata.
Tuo fratello si rivolse invece ad un altro fratello, Guillaume de Sonnac, di cui aveva assoluta fiducia; la tremenda situazione in cui si trovano oggi i cristiani sotto gli attacchi di Satana è dimostrata dal fatto che tuo fratello decise, con l'avvallo di Guillaume, di chiedere aiuto agli infedeli, ai seguaci del Saggio della Montagna.
Per calmare i miei scrupoli per questa alleanza con i nemici, non solo mi convinse che il Saggio era più amico nostro che il Montfort, ma mi mostrò un documento straordinario: in esso il nostro fondatore racconta che alla sua morte il Saggio della Montagna gli aveva inviato un sigillo di grande potere magico chiedendogli di nasconderlo e proteggerlo dai seguaci di Satana; perplesso il nostro fondatore era partito per la Francia per consegnarlo al santo uomo che ha redatto la nostra regola. Ma il santo abate ebbe parole di onore per il Saggio e ordinò al nostro fondatore di custodire questo oggetto.
Sappi che il sigillo e la documentazione alla morte del nostro Gran Maestro Armand, che Dio lo abbia in gloria, sono stati nascosti da tuo fratello e da Guillaume che temono le trame del Montfort. Tale sono gli intrighi di Satana che per difendersi bisogna essere "prudenti come serpenti".
I seguaci del Saggio della Montagna, contattati da tuo fratello accompagnarono lui, me e le sette Buone Dame fino alla Valle di Mosè.
Lì vidi una meraviglia che mi lasciò senza fiato: una montagna in cui sono stati scolpiti e scavati templi e palazzi e chiese e tombe.
Lì i seguaci del Saggio ci guidarono ad un altare scavato sul fianco della montagna sulla cima del quale era inciso un simbolo che ti disegno:

(Il disegno è quello del simbolo dell'infinito; ognuno dei due cerchi contiene il simbolo di un otto; ognuno dei quattro cerchi degli otto contiene un punto spesso. N.d.E.)

I seguaci del Saggio ci mostrarono come l'altare può aprirsi: è necessario introdurre contemporaneamente in ognuno dei quattro buchi al centro dei cerchi un medaglione dalla foggia curiosa.
Consegnarono quindi una di queste chiavi a ciascuna delle sette Buone Dame che deposero nella tomba la Reliquia di Giuseppe.
Voglia Dio che resti per sempre nascosta e protetta dagli attacchi di Satana fino all'ora designata per la sua rivelazione, nonostante una possibile minaccia. Una delle sette Buone Dame fu infatti catturata dal signore di Tiro e torturata a morte, che Dio abbia pietà della sua anima. Il signore è venuto quindi in possesso di una delle chiavi ed è a conoscenza del ruolo di tuo fratello, mio e dei seguaci del Saggio a fargli perdere per sempre la reliquia per la quale la sua famiglia ha versato tanto sangue innocente.



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A Richard de Vichiers da Roncelin de Fos
Mio caro fratello in Cristo,
devo scriverti notizie dolorose e che straziano il mio ed il tuo cuore.
Forse ti è già giunta la notizia della tragica morte di tuo fratello, che Dio lo abbia in gloria, insieme a malevoli commenti.
Sappi che tuo fratello è immune delle macchie di cui è accusato: la sua sola colpa è quella di aver seguito il compito che ci era stato affidato dal sant'uomo Bernando che scrisse la nostra regola e ci impose di proteggere, custodire e nascondere dai nemici di Dio e dai servi di Satana quegli oggetti potenti che non devono essere rivelati prima dall'ora designata.
Quando Re Luigi sbarcò a Cipro si crearono subito degli scontri nella gestione delle operazioni tra il Re che voleva agire immediatamente e i nobili locali (tra cui il nostro Gran Maestro Guilleume) che suggerirono prudenza. Lo scontro divenne più duro quando il re ordinò al Gran Maestro di cessare le trattative col sultano di Damasco.
La campagna in Egitto del Re, fu una follia militare e causò la morte del nostro Gran Maestro Guilleume, che Dio lo abbia in gloria, e si concluse con la cattura del Re.
Liberato il Re e tornato ad Acri, Luigi, istigato da Filippo Montfort, pretese che il maresciallo del Tempio, Ugo di Jouy, il quale aveva trattato col sultano per ordine del Gran Maestro Guilleume, venisse rimosso e bandito dalla Terra Santa. Tuo fratello fu costretto a cedere ed Ugo divenne maestro in Catalogna.
Quando il Re lasciò Acri e tornò (finalmente!) in Francia, Filippo Montfort colpì di nuovo: i suoi seguaci nel Capitolo, nel corso di una deliberazione segreta, deposero tuo fratello.
Due giorni dopo, tuo fratello fu trovato ucciso.
Non ho dubbi su chi abbia mosso la mano dei sicari.
Come non ho dubbi su chi ha fatto girare voci sui rapporti tra tuo fratello e i mussulmani.
È vero che tuo fratello da sempre ebbe stretta collaborazione con i seguaci del Saggio della Montagna, ma io, che fui il suo amico e il suo servitore, ti giuro che il suo obbiettivo in ciò era difendere la Terra Santa e seguire il compito segreto affidato a noi dal sant'uomo Bernardo.
E sappi che tuo fratello mi insegnò che noi, i Buoni Uomini e il Saggio della Montagna in questo santo compito siamo stati da sempre alleati.
Sappi dunque che tuo fratello è morto per compiere il nostro compito segreto ed è stato ucciso dall'uomo della stirpe che Satana ha generato sulla terra per recuperare quegli oggetti di potere che non devono essere rivelati prima dall'ora designata.



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A Richard de Vichiers da Roncelin de Fos

Mio caro fratello in Cristo,
mi sembra doveroso farti sapere che tuo fratello è stato vendicato.
Alcuni giorni fa un seguace del Saggio della Montagna, fingendosi un convertito al cristianesimo entrò nella cappella dove Filippo di Tiro e suo figlio Giovanni stavano pregando e pugnalò entrambi.
Giovanni è sopravvissuto mentre l'anima di Filippo ha raggiunto il suo sovrano Satana.
Si dice qui che la mano è stata armata dal sultano dell'Egitto ma io credo che il Saggio abbia voluto vendicare il suo fratello e proteggere ulteriormente il segreto della reliquia di Giuseppe.



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02-11-04, 07:10
http://atlasgeo.span.ch/fotw/images/f/fr-bzd14.gif

Stemma dei Montfort



Seal of Simon de Montfort

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Holding Institution: Archives Nationales (Paris)
Catalog number: D708
Date: 1211
Location: Southwestern France
Size: mm

Personal seal
Simon de Montfort


http://www.nd.edu/~medvllib/seals/roy/d708mont.gif


Simon de Montfort
1160-1218. Descended from a family which had been owning the western part of Gurepoix since the 10th century, Simon de Monfort was one of the principal vassals of the French King in Ile-de-France, associating to his title of baron that of Count of Leicester which he held from his mother, Amicia de Beaumont, sister and joint-heiress of Robert of Leicester.
Simon took part in the Fourth Crusade in 1204, preached by Foulques de Neuilly, but refused to lend his support to the Venetians in their bid to capture Constantinople, returning instead to France.
Answering the call of Innocent III, Simon enthusiastically joined the crusaders’ ranks in 1208 and soon distinguished himself by his ardour and courage in action. After the massacre of Béziers and the capture of Carcassonne, he was was tasked with leading the Crusade against the Albigenses in 1209, and brilliantly won the Battle of Muret in 1213 in which he was opposed to Peter II of Aragon and Raymond VI of Toulouse. Driven by his lust for conquest, he tried to despoil Raymond VI of Toulouse of his estate. In 1215, the Council of Latran bestowed upon him the titles of Count of Toulouse, Duke of Narbonne, Viscount of Béziers and Carcassonne. Shortly thereafter, he had to cope with a general uprising in Languedoc and was killed during the siege of Toulouse.

02-11-04, 20:14
Maison de Montfort (http://www.cathars.org/img/maison_de_montfort.gif )

03-11-04, 15:26
TERMES (Tèrme)

HISTORIQUE

La famille seigneuriale de Termes apparaît pour la première fois dans les textes en 1061. Elle était à la tête d'une vaste circonscription féodale, le Termenès, constituée au début du XIe siècle au sud du comté de Carcassonne à la frontière des possessions des comtes de Cerdagne puis Barcelone. Pendant tout le XIIe siècle cette famille est périodiquement en conflit avec l'abbaye de Lagrasse voisine, notamment pour la possession de mines d'argent de Palairac.

Lors de la Croisade contre les Albigeois, Simon de Montfort, après la prise de Carcassonne, se doit de soumettre les trois principales places fortes du comté : après l'échec du siège de Lastours puis la prise de Minerve, Simon de Montfort se dirige vers Termes. En 1210 au moment du siège le site se présente de la façon suivante : au sommet de l'éperon se trouve le château, résidence de la famille seigneuriale, constitué d'une enceinte sur laquelle s'appuient divers bâtiments dont une chapelle, avec au centre un donjon carré ou rectangulaire. - Autour du château, une seconde enceinte, abrite les maisons des chevaliers. - Sur le flanc sud, le village castral, protégé par une enceinte se greffant sans doute sur la précédente. - Dans la vallée, à l'Est, un bourg (village actuel), où l'église paroissiale est construite depuis 1163. - Sur l'extrémité nord de l'éperon, un fortin appelé le Termenet, qui contrôle l'approche du château par le Nord.



http://paratge.chez.tiscali.fr/histoire/gorges.jpg

Le catharisme semble avoir été bien implanté dans la famille de Termes au moment du siège : Raymond, seigneur de Termes est accusé d'hérésie et n'a pas fait dire la messe dans la chapelle du château depuis plus de trente ans. Le parfait Benoît de Termes, probablement le frère de Raimond, est présent du côté des hérétiques au colloque de Montréal face à Saint-Dominique en 1207, et sera nommé évêque cathare du Razès en 1226.

Le siège commence début août par un duel de catapulte entre les assiégeants et les assiégés. Simon de Montfort échouant dans son attaque par le flanc sud, reporte ses efforts au nord, investit le Termenet, puis bombarde de là le donjon. Mais c'est un problème d'eau qui vient à bout du château : les assiégés qui ont attrapé la dysenterie en buvant l'eau des citernes, fuient le château dans la nuit du 22 au 23 novembre. Raimond de Termes, resté sur place, est arrêté et finit ses jours en prison à Carcassonne. La forteresse, confisquée, est rattachée à la couronne de France en 1228.

Olivier de Termes, fils du seigneur vaincu, continue dans un premier temps, aux côtés du comte de Toulouse et du vicomte de Carcassonne, la résistance aux armées royales jusqu'en 1243, puis se met au service du roi Louis IX en Languedoc et en Terre Sainte, où il meurt le 12 août 1274 à la tête des armées du royaume de Jérusalem. Ami des rois saint Louis, Jacques d'Aragon, du pape Clément IV, il fut considéré par ses contemporains comme un des plus valeureux chevaliers de son époque.

Intégré dans la ligne des places fortes gardant la frontière avec l'Aragon, le château de Termes est reconstruit au milieu du XIIIe siècle, et est occupé par une garnison royale. Au XVIIe siècle, suite au recul de la frontière, la forteresse devenue inutile est détruite sur l'ordre du roi : pendant un an, entre 1653 et 1654, un maître maçon de Limoux démantèle les murailles à la poudre. Dès lors le site sombre dans l'oubli. Il faut attendre le XXe siècle pour que des mesures de protection soient appliquées. Classé en tant que site en 1942, puis en tant que monument historique en 1989, les ruines appartiennent à la commune et sont ouvertes au public depuis cette date.

PLAN DU CHÂTEAU DE TERMES


http://paratge.chez.tiscali.fr/histoire/plan.gif

Élevé sur une plate-forme entourée sur trois côtés par un profond ravin, le château n'est accessible que par la face méridionale. Après le col, on distingue d'abord les vestiges très ruinés de l'enceinte du village médiéval, réutilisés en mur de terrasse. Puis on arrive à la première enceinte du château, dont l'entrée principale s'effectuait au XIIIe siècle dans l'angle sud-est au moyen d'une rampe qui débouchait sur une porte en grande partie détruite. Cette entrée était défendue par une échauguette et par une tour à bossage qui battait la rampe. Dans l'angle sud-est, détruit, se trouvait probablement l'entrée du château avant 1210. Une poterne défendue par une échauguette construite sur des contreforts, occupe la partie nord-ouest.



Enceinte du village médiéval.
Vestiges d’une défense rectangulaire coté ouest réutilisée plus tard en mur de terrasse.



Cette poterne permet d'accéder au site du Termenet : du fortin décrit par un chroniqueur de la Croisade contre les Albigeois, il ne reste qu'un fragment de maçonnerie caché dans une anfractuosité, et quelques aménagement du rocher. On bénéficie de là d'une vue superbe sur le château, les gorges de Termenet et le moulin de la Buade.

La deuxième enceinte, plus ruinée, montre les vestiges d'une rampe d'accès et de la porte, dans l'angle sud-est, avec les traces d'une citerne et d'un lavabo. Le côté ouest est occupé par la chapelle castrale, à la voûte écroulée, éclairée par deux fenêtres romanes dont l'une est cruciforme. Au sommet du site, on distingue les énormes blocs de maçonnerie épars, vestiges du donjon détruit en 1654.


Les fouilles réalisées en 1994 dans la "chapelle" semblent confirmer la destination de l'édifice : derrière un mur tardif divisant la pièce en deux a été mis à jour la base d'un pilier qui supportait sans doute une table d'autel.



Dans l'ensemble, peu de vestiges sont antérieurs à la croisade : une partie de la face sud de la première enceinte, la deuxième enceinte et une partie des bâtiments qu'elle abritait. Le reste est l'œuvre des ingénieurs du roi dans la seconde moitié du XIIIe siècle, et au début du XIVe siècle.



LE VILLAGE

Termes, en contrebas du château sur une pente exposée au sud, est lové dans un méandre que forme le Sou. En 1163 ce lieu n'était qu'un faubourg (barri), où les seigneurs de Termes projetaient de construire une église paroissiale, le village principal se trouvant derrière une enceinte encore visible à mi pente entre le château et le col. Ce premier village ayant été détruit lors du siège de 1210, les habitants reconstruisirent leurs maisons dans la vallée. Au XIIIe siècle Termes devint le chef-lieu d'une circonscription judiciaire, la viguerie du Termenès, et d'une circonscription religieuse, l'archiprêtré du Termenès. L'importance de Termes, qualifié du titre de ville jusqu'au XVIIe siècle, diminua considérablement lorsque le siège de la viguerie fut établi à Félines-Termenès.

Dans la partie la plus haute du village, d'anciennes aires de battage sont encore visibles sous forme de terrasse. Ces modestes aménagements sont les témoins de l'agriculture traditionnelle telle qu'elle s'est pratiquée jusqu'au début du XXe siècle.



L'ÉGLISE DE LA NATIVITÉ DE NOTRE DAME

L'église de Termes aurait été édifiée à partir de 1163, comme le stipule l'acte de partage du château de Termes entre les deux frères, Raimond et Guillaume de Termes. Depuis, le bâtiment n'a pas subi de modifications notoires, excepté la surélévation du mur nord pour diminuer la pente de la toiture en 1890 (on observe encore de ce côté la couverture en lauzes qui subsiste sous les tuiles canales), le déplacement du portail du sud à l'ouest (1880), le remaniement des fenêtres primitives (XIXe siècle), ainsi que la transformation du clocher mur en clocheton à quatre baies à une époque indéterminée.

L'édifice comporte une nef unique rectangulaire et un chevet plat. Le sanctuaire, voûté en berceau brisé, est composé de trois travées. Des pilastres supportent des arcs doubleaux, une corniche moulurée en quart-de-rond court tout au long des murs et se retourne en imposte sur ces mêmes pilastres. Une corniche au profil chanfreiné repose sur des corbeaux en quart-de-rond sur les murs nord et sud. Le portail est formé d'un arc en plein cintre chanfreiné. Le clocheton abrite une cloche de 1541 dédiée à la Vierge. L'intérieur du sanctuaire recèle un bénitier dont le support est agrémenté de trois blasons portant les armes de Pierre de Montbrun, archevêque de Narbonne (1272-1286). Sur le chevet est accrochée une toile du XVIIe siècle représentant la Vierge à l'enfant entre Sainte-Cécile et Sainte-Catherine.



LA CHAPELLE SAINT-ANDRÉ

Au sud-est du village, dans la vallée du Sou, s'élève une modeste chapelle connue sous le vocable de Saint-André. Cet édifice sans doute d'origine médiévale, était en 1673 encore entouré d'un cimetière. Mais dans son état actuel il remonte à une époque récente et fut restauré en 1890. Il renfermait autrefois une statue en bois représentant Saint-André. Durant les périodes de sécheresse les habitants de Termes se rendaient en procession jusqu'à la chapelle pour plonger la statue dans l'eau de la rivière toute proche. Encore toute mouillée, la statue était replacée dans son sanctuaire. Une pluie bienfaitrice devait alors suivre la cérémonie. Cette pratique représentait peut-être le maintient d'une vieille coutume liée à une divinité antérieure au christianisme.



LE MOULIN À EAU DE LA BUADE

Deux moulins existent à Termes. Le premier n'est plus qu'une maison d'habitation dans le village de Termes. Le deuxième, le moulin de la Buade est installé à 2,6 km en aval du village, sur la rive gauche du Sou. L'ensemble du mécanisme est toujours en état de marche, depuis l'arrivée d'eau par le béal, jusqu'aux meules destinées à transformer le blé en farine. Elles sont mises en mouvement par une roue horizontale elle-même actionnée par l'énergie hydraulique. (Propriété privée).



LES GORGES DE TERMENET ET DE COYNEPONT

Entre le moulin de la Buade et le village de Termes, la route percée en 1903, longe en passant sous deux tunnels les Gorges de Termenet au fond desquelles coule le Sou. Il s'agit d'un défilé vertigineux creusé dans des calcaires massifs du Dévonien moyen et inférieur. Au centre, sur toute la hauteur des gorges, on observe une belle veine verticale de marbre rouge. Ces gorges, comprises dans un périmètre protégé, sont fréquentées par les adeptes du Canyoning.

Dans la partie sud de la commune, en amont de la chapelle Saint-André, toujours le long du Sou, existe un autre site naturel protégé : les gorges de Coynepont. Elles sont aussi implantées dans des calcaires du Dévonien inférieur. Dans sa partie médiane, le site forme un cirque naturel et présente dans une portion de son lit un chaos de blocs de travertins, vestige d'un pont naturel disparu. (Coynepont signifiant Pont-Grotte).



LES BUIS TAILLÉS

Comme dans d'autres communes des Corbières de l'ouest, la D 40 qui dessert la commune de Termes est jalonnée de buis aux formes insolites. L'administration de l’Équipement perpétue cette tradition propre aux cantonniers de cette région qui consiste à tailler régulièrement les buis en forme de boule, cube ou autres volumes. Cette attitude ne semble pas remonter avant les années 1900, époque de l'aménagement de la route actuelle.


Itinerario di Simone de Montfort (http://membres.lycos.fr/gautlang/histoire/chateau.htm)

03-11-04, 15:28
http://paratge.chez.tiscali.fr/histoire/chapelle.jpg

Les fouilles réalisées en 1994 dans la "chapelle" semblent confirmer la destination de l'édifice : derrière un mur tardif divisant la pièce en deux a été mis à jour la base d'un pilier qui supportait sans doute une table d'autel.





http://paratge.chez.tiscali.fr/histoire/rempart.jpg

Enceinte du village médiéval.
Vestiges d’une défense rectangulaire coté ouest réutilisée plus tard en mur de terrasse.

Ichthys
05-11-04, 01:49
Grazie ancora una volta per questi interessanti documenti che contribuiscono in maniera decisiva alla crescita culturale di questo forum.

P.S.
Putroppo non è tecnicamente possibile rimuovere quelle scritte di cui mi avete parlato in privato... e comunque non riesco a contattarvi privatamente forse perché avete impostato di non ricevere messaggi privati.

05-11-04, 02:01
Caro amico, mi piace disabilitare la messaggeria, così, per privacy, e me ne scuso.
Non fà niente se non puoi editare le scritte.
In fondo, sbagliare è la caratteristica della nostra naturale umanità.
Sono io che devo ringraziarti, essendo ospite del tuo fora, e spero che la nostra amicizia telematica e stima, duri, dato che ho intenzione di lavorare con impegno e rigore scientifico a tali argomenti.
Con Stima ed Amicizia
Antonio

05-11-04, 02:02
E grazie per aver ripulito il 3d, graficamente bellissimo, in seguito al tua supervisione moderatrice impeccabile.
Antonio

05-11-04, 11:31
http://www.sunfrance.net/venir/images/00031296.gif


http://www.sunfrance.net/venir/images/00023783.gif


La Linguadoca Rossiglione è servita da tre autostrade:

La A61 collega Tolosa a Narbonne, dove si congiunge con la A9.
La A75 collega Parigi via Clermont-Ferrand con Lodève, ci sono due raccordi che vi permettono di raggiungere Montpellier o Béziers percorrendo le strade nazionali.
La A9 (la “Languedocienne”) collega la Spagna con la valle del Rodano e serve tutte le cittadine della costa.

L’organizzazione che gestisce queste autostrade è la ASF (Autostrade del Sud della Francia). Il suo sito web fornisce informazioni sulle condizioni del traffico.

Patrimonio, tradizioni e cultura

La Linguadoca-Rossiglione Septimania è una regione in cui la ricca varietà di pianure costiere, garrigues (la boscaglia di arbusti del sud-ovest)e montagne, vallate ed altipiani ha fortemente caratterizzato lo stile dell'architettura, le condizioni di vita e l'identità culturale dei suoi abitanti.

Il nome stesso della regione ne sottolinea la doppia identità, quella catalana e l'occitanica.

Alcuni esempi di questa cultura locale ci vengono forniti dai carnevali, dalle feste e dai giochi tradizionali che hanno come protagonista il toro negli allevamenti estensivi della Camargue (le feste "Bouvine"), le feste dei pescatori a Gruissan, Sète e Bouzigues ed i tradizionali tornei marittimi di Sète e Mèze.

Con il suo entroterra ancora intatto ed il litorale protetto, la Linguadoca-Rossiglione Septimania spicca notevolmente per le sue ricchezze storiche e culturali: essa vanta edifici storici, abbazie e castelli, nonché i seguenti siti che fanno parte del patrimonio mondiale dell'UNESCO: il Pont du Gard, il Canal du Midi, la città medievale di Carcassonne ed i cammini dei pellegrini verso Santiago de Compostela, con l'abbazia di Saint-Guilhem-le-Désert e la chiesa abbaziale di Saint-Gilles.

Terra di cultura mediterranea, la Linguadoca-Rossiglione Septimania si caratterizza anche per il suo modo di vivere e per essere profondamente legata alle tradizioni ed ai costumi.




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Abbazia di Fontfroide


Le crociate contro i catari

Il catarismo arriva nella Linguadoca verso il XII secolo. Questa religione cristiana afferma, come principio, lo scontro fra il bene e il male.

I suoi primi fedeli sono reclutati, in un primo tempo, fra i commercianti, gli artigiani e fra la piccola e grande nobiltà occitanica.

Questa eresia fu sostenuta da signori importanti come i conti di Foix e di Tolosa, i visconti Trencavel di Béziers e Carcassonne.
Le usanze modeste e umili dei preti catari (chiamati anche “Bonshommes” o “Perfetti”) erano portati ad esempio di fronte alla decadenza dei costumi dei preti e alla ricchezza della chiesa.
La chiesa cattolica non poteva restare indifferente. Incapace di convincere i credenti catari a rientrare tra i ranghi, il Papa Innocente III proclama la prima crociata contro gli eretici albigesi e offre ai crociati le stesse indulgenze che per una spedizione in terra Santa.

Inizia nel 1209 la crociata, guidata da Simon de Montfort e composta in maggioranza da cavalieri originari del Nord della Francia. In un primo tempo l’esercito della fede va a schiacciare i protettori occitani degli eretici catari. Sul suo passaggio, la crociata si dedicò a massacri esemplari, come a Béziers, e all’erezione di roghi dove furono bruciati vivi un gran numero di “perfetti” catari.

A questo punto la crociata assume le sembianze di una guerra di conquista. Nel 1213 a Muret, le forze occitane e catalane coalizzate, al comando del Re Pietro II d’Aragona e del conte di Tolosa Raimondo VI, vengono sconfitte dall’esercito crociato. Pietro II è ucciso e Raimondo VI dovrà abbandonare Tolosa. A partire del 1218, i conti di Tolosa, Raimondo VI e suo figlio Raimond VII, grazie all’appoggio dei loro alleati provenzali e pirenaici riprendono possesso della totalità dei loro possedimenti permettendo una resurrezione della fede catara. Tolosa insorge sapendo del ritorno dei suoi conti.

Simon di Montfort la mette sotto assedio, ma nel 1218 è ucciso dai colpi di un cannone petriero manovrato da donne. Suo figlio Aumary a poco a poco perde tutte le conquiste paterne e finisce per far dono dei suoi diritti al Re di Francia che dovrà però arrangiarsi per ricuperarli.

Nel 1226 il papa Onorio III proclama una seconda crociata. Il Re di Francia, Luigi VIII, delega a suo figlio le operazioni militari. La resistenza occitana fu ancora una volta vinta e il Trattato di Meaux nel 1229 impone al conte Raimondo VII l’annessione definitiva dei paesi di lingua d ‘oc alla corona di Francia. Nel 1233 il papa Gregorio IX crea la Santa Inquisizione che ha come scopo di eliminare definitivamente l’eresia catara.

Nel 1244 scoppia una nuova rivolta sostenuta e incoraggiata dal conte Raimondo VII. L’esercito del re la schiaccia e pone l’assedio al Castello di Montségur dove si erano nascosti gli ultimi rappresentanti della Chiesa Catara. Un rogo di 215 eretici mise fine ad un assedio che durò dieci mesi.

La caduta di Quéribus nel 1255 chiude definitivamente la resistenza militare. Nel 1271, il conte Raimondo VII muore senza lasciare eredi maschi e la sua contea è direttamente annessa al regno di Francia.

05-11-04, 11:42
Aereoporto di Carcassone (http://www.carcassonne.cci.fr/pages/aeroport.htm)


Airfrance (http://www.airfrance.it/)





Per viaggiatori patriottici (http://www.alitalia.it/)


http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/1/18/Alitalia.a321-112.i-bixd.250pix.jpg

Johannitius
22-06-08, 10:14
Il Graal ed i Templari

saggio postumo di
Umberto Cardini


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[...]

Allo stesso modo è impossibile valutare la sua affermazione secondo la quale l'uccisione del Montfort da parte degli Assassini, avvenuta il 17 agosto 1270 e il cui mandante secondo gli storici era il Sultano Baybars ([Ru], pg.968, [Le] pg. 151], rappresenterebbe veramente l'ultimo capitolo di uno scontro tra queste due fazioni all'interno del gruppo dirigente di Terra Santa. È comunque un dato di fatto che la sua uccisione liberava Baybars "dal più autorevole tra i nobili franchi" (Ru], pg.968) ed è quindi realistico supporre che questa sua posizione sia stata ottenuta anche grazie alla sua vittoria contro la fazione guidata dal de Vichiers ottenuta grazie all'intervento di San Luigi.


[...]
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Baybars I (Kiptchak 1223-Damasco 1277) Sultano mamelucco di Egitto, Siria e Palestina dal 1260 al 1277.

http://imagecache2.allposters.com/images/MEPOD/10004990.jpg

...sferrò una violenta jihad per eliminare una volta per tutte i problemi creati dalla presenza crociata in Palestina. Nel 1263 fece un'incursione in Galilea e distrusse la cattedrale di Nazareth; due anni dopo si impadronì di Arsuf e Cesarea. Nel 1266 prese la fortezza templare di Safad, massacrandone i residenti dopo aver promesso di risparmiarli. In effetti, il suo pallino era il massacro o la riduzione in schiavitù dei cristiani, ovunque li scovasse, in piccoli villaggi o grandi cittadelle. Nel 1268 il sultano mammalucco espugnò Giaffa e la saccheggiò brutalmente.
Alla fine di quello stesso anno ordinò al suo esercito di marciare a nord per investire Antiochia, che cadde dopo soli quattro giorni. Fece chiudere le porte della città e trucidare donne e bambini. L'atto efferato sconvolse perfino i cronisti musulmani: fu il più grande massacro dell'intera epoca crociata. Irritato perchè il conte Baemondo VI non si trovava in città, Baybars gli scrisse di suo pugno per descrivergli la strage che si era perso:

Avessi visto i tuoi cavalieri, prostrarsi sotto le zampe dei cavalli, le tue case prese d'assalto dai saccheggiatori e corse dai predoni, le tue ricchezze pesate a quintali, le tue dame vendute a quattro per volta e comprate al prezzo di un dinàr della tua stessa roba! Avessi visto le tue chiese con le croci spezzate, i fogli dei falsi Vangeli sparpagliati, i sepolcri dei Patriarchi sconvolti! Avessi visto il tuo nemico Musulmano calpestare il luogo della messa, e sgozzatisull'altare monaci e preti e diaconi, e i Patriarchi colpiti da repentina sciagura, e i principi reali ridotti in schiavitù! Avessi visto gli incendi propagarsi per i tuoi palazzi, e i vostri morti bruciare al fuoco di questo mondo prima che a quello dell'altro; i tuoi palazzi resi irriconoscibili, la chiesa di San Paolo e quella di Qusyàn [cattedrale di San Pietro, il centro della vita religiosa cristiana di Antiochia, N.d.R.] crollare e distrutte, allora avresti detto: <<Oh foss'io polvere, e non avessi mai avuto una lettera con tale notizia!>>

Francesco Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle crociate, Einaudi, Torino 2002, p. 305