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Visualizza Versione Completa : Spunti di riflessione contro il paganesimo. Carmelo Ottaviano



Bellarmino
25-12-04, 19:08
Caro Augustinus,
in questo Santo giorno di Natale desidererei abbandonare screzi personali e differenze dottrinali per aprire codesto thread riservato ai contributi filosofici, dottrinali, religiosi e sociali contro la peste del neo-paganesimo di stampo massonico che purtroppo, oggidì, è tornata prepotentemente ad ammorbare, numerosi ambienti politicamente e culturalmente trasversali.
Inizio postando questo piccolo contributo del filosofo cattolico prof. Carmelo Ottaviano, già maestro del prof. Del Noce.
Spero vivamente che tutti contribuiscano a questa comune, doverosa e necessaria battaglia.
Un saluto e un ringraziamento anticipato.
Bellarmino
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Il paganesimo chiudeva il ciclo delle speranze dell'uomo negli angusti limiti della vita terrena: dopo un breve ciclo di anni, più o meno lieti, in ogni caso amareggiati immancabilmente da dolori, incertezze, sciagure, malattie, la buia voragine della morte conclude la vicenda con il sigillo del nulla. Come si è ripetute volte detto, nelle sue forme più evolute la saggezza pagana si era consolata con la prospettiva di un infinito rinnovarsi della vicenda terrena in una successione ininterrotta di vite, chiuse ciascuna dall'immancabile parentesi della morte, tutte identiche l'una all'altra fin nei minimi particolari («eterno ritorno»). Ne risultava una visione altamente pessimistica e profondamente irrazionale: sia la vita singola in quanto conclusa dall'abisso del nulla, sia le singole vite ripetentisi in una successione indefinita e uniforme, restavano senza scopo e senza significato. Quale mai era il motivo del vivere, un motivo che potesse soddisfare la curiosa ragione?

Sviluppando l'antichissimo motivo dell'eterno ritorno, la filosofia neoplatonica, certamente già in Ammonio Sacca, aveva introdotto il Concetto di emanazione, chiamandolo a svolgere l'ufficio

di collegare necessariamente la materia all'evoluzione interiore della vita divina: la materia emana necessariamente dall'Uno e nell'Uno necessariamente ritorna, ab aeterno e in aeternum. La vita del singolo individuo diventava così un palpito necessario della stessa vita divina. Il male, le imperfezioni, i dolori, le sofferenze e la morte si rivelavano come necessari e venivano mascherati quali momenti indispensabili alla perfezione del tutto: meschino ripiego, che il tutto sarebbe stato ancor più perfetto senza di essi, anzi soltanto allora veramente perfetto. La difficoltà non era superata, anzi veniva ribadita e rinforzata. Il processo di caduta e degradazione dell'universo diventava altrettanto necessario del momento di ascesa, in una vicenda incomprensibile alla ragione.

Perché la caduta? E perché lo sforzo della ripresa? E a che lo sforzo della ripresa se una caduta, identica alla precedente, le avrebbe fatto necessariamente seguito?


La connotazione essenziale del pensiero pagano consiste, come si è più volte detto, nella dottrina dell'eternità della materia (il «Dio negativo») e nella conseguente ineliminabilità, dalla vicenda dell'universo e della vita dell'uomo, di tutte le deficienze che ad essa si accompagnano: l'imperfezione, la limitatezza e la caducità, che trovano la loro espressione nel dolore e nella morte. Il pensiero greco impersonò questo principio, o cardine della sua visione dell'universo, nel Fato o Destino, il più potente di tutti gli Dei, al cui dominio non sfuggiva nemmeno lo stesso Zeus, ossia il

principio delle cose tutte (il «Dio positivo»).

La visione pagana della vita acquistava così, nonostante i suoi fascinosi aspetti letterari rivolti a decantare le bellezze della natura e le gioie del vivere, un colorito profondamente pessimistico. Se

la materia è eterna, e se di conseguenza le deficienze che l'accompagnano vengono a costituire un appannaggio ineliminabile delle cose tutte, quale speranza di felicità può aprirsi alla creatura razionale, che, legata a un corpo di sofferenze, abbandonata alle cieche vicende di un Caso inesorabile, attraverso sventure e malattie, infortuni e dolori di ogni genere, precipita alla fine nella buia voragine della morte, dove respiro e sensibilità, luce e suoni, gioventù e forza svaniscono per sempre nell'immobilità, nella polvere e nel silenzio? Già basta - come tutti abbiamo sperimentato -un semplice malessere a mutare una vita, che pareva di felicità, in un peso insopportabile, in una bieca e inesorabile condanna al cordoglio e, quel che è peggio, alla disperazione.

Alla visione pagana reagiva la visione cristiana, la quale, revocando in dubbio e recisamente negando la tesi pagana dell'eternità della materia - della quale, si noti, nessuna prova mai avevano addotto i filosofi greci, ne è possibile addurla -, si appellava al concetto di creazione, e della materia stessa faceva la creatura di un Dio onnipotente, Primo Principio e Unica Origine di tutte le cose. In quanto creata da Dio, la materia diventava automaticamente un ente buono come tutti gli enti: di conseguenza, il male presente e operante nell'universo e nella vita dell'uomo non poteva risalire ad essa. Bisognava trovargli un'altra causa. E la connessione, costantemente sperimentata, tra male morale e male fisico (quello non si presenta sovente come l'ombra di questo?) la indicava facilmente: la libera volontà dell'uomo. Era, cioè, colpa dell'uomo, se la materia era diventata un peso di dolore e di morte per tutte le creature.


Ovviamente, finito un ciclo storico di avvenimenti, un secondo ciclo identico perfettamente al primo seguirà ad esso il panteismo, la cristallizzazione del morido dal punto di vista metafisico, fisico e storico è inevitabile.

Naturalmente è vano parlare di libero arbitrio.


Carmelo Ottaviano

Augustinus
27-12-04, 14:39
Spunto interessante.
Buona discussione :)

Augustinus :) :) :)

Timoteo (POL)
11-05-07, 00:21
Il paradiso della religione cattolica è un unicum non avente alcunché in comune col paradiso dei pagani. Consiste infatti non nella intellezione e fruizione del mondo creato, ma nella percezione intuitiva della stessa essenza di Dio.
Il paradiso dei pagani, descritto da Virgilio nel libro IV dell’Eneide, è una pietà. I beati si esercitano all’atletica nelle palestre, scandiscono danze sui prati verdeggianti, si misurano nella lotta, pasturano i cavalli e persino fanno merenda sull’erba. Il loro paradiso, come dice Ovidio nelle Metamorfosi, è una proiezione della vita terrena e una continuazione di essa: ”antiquae imitamina vitae”.
I filosofi pagani si levarono talora sino a concepire beatitudine essenzialmente come conoscenza, ma a questa conoscenza non seppero dare che un oggetto finito, cioè il mondo terreno. Vedi Cicerone Tusc. I, 45-6, dove lo spettacolo dei beati è totam terram intueri” e De rep. VI somnium Scipionis, dove similmente la beatitudine è solo una visione cosmica.
Nella teologia cattolica l’intelletto umano balzava invece alla visione dell’essenza divina. Questa visione è di carattere soprannaturale ed esige un avvaloramento dello spirito che è prodotto dal lumen gloriae.
(Romano Amerio - Zibaldone, aforisma 73)

DanielGi.
11-05-07, 09:06
nella teologia cattolica, l'intelletto umano balzava invece alla visione dell'essenza di Dio...

potrei sbagliarmi, ma credo che questa affermazione sia vera non solo per i cattolici, ma anche per l'intera categoria delle Chiese d'oriente, chiamate usualmente ortodosse.