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Visualizza Versione Completa : 7 marzo (28 gennaio) - S. Tommaso d'Aquino Dottore della Chiesa



Augustinus
27-01-05, 21:51
Oggi ricorre, tra l'altro, anche la memoria liturgica del grande teologo, S. Tommaso d'Aquino, il Doctor Angelicus.
In suo onore apro il seguente thread.

Augustinus

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dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=22550) con alcune integrazioni:

San Tommaso d'Aquino Sacerdote e dottore della Chiesa

28 gennaio (e 7 marzo)

Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274

Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)

Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, Studenti, Scuole cattoliche

Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico

Emblema: Bue, Stella, sole sul petto per il privilegio avuto dal Papa di portare il SS. Sacramento addosso

Martirologio Romano: Memoria di san Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.
(7 marzo: Nel monastero cistercense di Fossanova nel Lazio, transito di san Tommaso d’Aquino, la cui memoria si celebra il 28 gennaio).

Martirologio tradizionale (7 marzo): Nel Monastero di Fossanova, presso Terracina, nella Campania, san Tommaso d'Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa, dell'Ordine dei Predicatori, assai illustre per la nobiltà del sangue, per la santità della vita e per la scienza della Teologia, dal Papa Leone decimoterzo dichiarato celeste Patrono di tutte le Scuole cattoliche.

S. Tommaso, nato verso la fine del 1225 dal conte d'Aquino, nel castello di Roccasecca, all'età di 18 anni, contro la volontà del padre e addirittura inseguito dai fratelli che avrebbero voluto sequestrarlo, entrò nell'ordine dei Predicatori di S. Domenico. Completò la sua formazione a Colonia, alla scuola di S. Alberto Magno, e poi a Parigi. Nello studio parigino da studente divenne docente di filosofia e teologia. Tenne cattedra anche ad Orvieto, Roma e Napoli.
Mite e silenzioso (a Parigi lo avevano soprannominato "il bue muto"), obeso di costituzione, contemplativo e devoto, rispettoso di tutti e da tutti amato, Tommaso era soprattutto un intellettuale. Costantemente immerso negli studi, perdeva facilmente la nozione del tempo e del luogo: durante una traversata in mare non avvertì neppure la terribile burrasca e il forte rollio della nave sbattuta dai flutti, tant'era immerso nella lettura. Ma le sue non furono letture sterili né fine a se stesse. Il suo motto, "contemplata aliis tradere", partecipare agli altri i frutti della propria riflessione, si tradusse in una mole di libri che hanno del prodigioso, se si tiene presente che la morte lo colse all'ancor giovane età di 48 anni.
Morì infatti all'alba del 7 marzo 1274, nel monastero cistercense di Fossanova, mentre si recava al concilio di Lione, convocato dal B. Gregorio X. L'opera sua più celebre è la Summa Theologiae, dallo stile semplice e preciso, di una chiarezza cristallina, unita a una straordinaria capacità di sintesi. Quando Giovanni XXII lo iscrisse nell'albo dei santi, il 18 luglio 1323, a quanti obiettavano che Tommaso non aveva compiuto grandi prodigi nè in vita nè dopo morte, il papa rispose con una frase famosa: "Quante proposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece". Il Pontefice San Pio V, nel 1567, lo proclamò Dottore della Chiesa. Papa Leone XIII, nel 1879, lo ha dichiarato celeste Patrono delle scuole cattoliche. Il 28 gennaio si commemora la deposizione delle sue reliquie, avvenuta nel 1369 a Tolosa nella chiesa a lui dedicata. Trasportate durante la Rivoluzione Francese, nel 1792, nella cripta di Saint Sernin, nel 1974 sono ritornate finalmente nella loro primitiva sede.
Il primato dell'intelligenza, la chiave di volta di tutta l'opera teologica e filosofica del Dottore angelico (come venne denominato dopo il XV secolo), non si risolveva in un astratto intellettualismo, fine a se stesso. L'intelligenza è condizionata e condizionante l'amore. "Luce intellettual piena d'amore amor di vero ben pien di letizia...", così Dante, uno dei primi tomisti, traduce in poesia il concetto tomistico di intelligenza-beatitudine... Il pensiero di S. Tommaso è stato per secoli la base degli studi filosofici e teologici dei seminaristi, ed ha conosciuto una singolare rifioritura proprio nei nostri tempi ad opera di Leone XIII e Jacques Maritain. E forse particolarmente attuali, più che le grandi Summae, sono proprio gli Opuscoli teologico-pastorali e gli Opuscoli spirituali, sempre ristampati.
San Tommaso è raffigurato solitamente non solo con l’ostensorio, ma soprattutto con il sole fulgente sul petto. Egli ebbe infatti il privilegio dal papa di recare addosso il Santissimo.

Autore: Piero Bargellini

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Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico (con integrazioni mie):

Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.

Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli

Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.
Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta.
Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.
A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore.

Domenicano; incomprensioni della famiglia

Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi.
I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.
Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.

Studente a Colonia con s. Alberto Magno

Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica.
Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.
A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.
Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia

Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.
Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.
Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.
Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore.
Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università.
Già con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).
A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.

Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici

All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.
Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici.
Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.
Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.
Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.

La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo

A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.
Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.
Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.

Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli

Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi.
All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio.
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.

L’interruzione radicale del suo scrivere

Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli.
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.

I doni mistici

La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.
Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.

Sempre più ammalato; in viaggio per Lione

Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta.
Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.
Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia.

La sua fine nell’abbazia di Fossanova

Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.
Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.
Dante Alighieri, nella Commedia (Purgatorio, canto XX, v. 69) sostiene che il grande teologo sia stato avvelenato per ordine di Carlo d'Angiò; il Villani (Cronache IX, 218) riprende questa credenza, mentre l'Anonimo Fiorentino descrive il crimine e le sue motivazioni. Il Muratori, al contrario, riproducendo il resoconto di uno degli amici del teologo, non fa accenni ad eventuali congiure.

Il suo insegnamento teologico

La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham.
L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio 1323.

Il suo culto

Nel 1567 s. Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.
La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369.
Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città.
A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia.

“Pange lingua” di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)

Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.

In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.

Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.

Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.

Amen.

“Pange lingua” (Traduzione italiana)

Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.

Amen.

Autore: Antonio Borrelli

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http://www.transintelligence.org/images/thomas1.jpg Sandro Botticelli, S. Tommaso d'Aquino, Fondation Abegg, Riggisberg, Berna

Augustinus
27-01-05, 21:52
Fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire.
Fu anzitutto un rimedio, perché è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati.
Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita.
Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.
Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.
Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano.
Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non apri la sua bocca (cfr. At 8, 32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia» (Eb 12, 2).
Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.
Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte: «Come per la disobbedienza di uno solo, cioè di Adamo, tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5, 19).
Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il Re dei re e il Signore dei signori, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 3, 2). Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.
Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perché «si sono divise tra loro le mie vesti» (Gv 19, 24); non gli onori, perché ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr. Is 53, 4); non alle dignità, perché intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr. Mc 15, 17); non ai piaceri, perché «quando avevo sete, mi han dato da bere aceto» (Sal 68, 22).

http://www.wga.hu/art/l/lippi/flippino/carafa/3scene.jpg http://www.wga.hu/art/l/lippi/flippino/carafa/3scene3.jpg Filippino Lippi, Scena dalla vita di S. Tommaso, 1489-91, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella Carafa, Roma

http://www.wga.hu/art/l/lippi/flippino/carafa/1hereti.jpg http://www.wga.hu/art/l/lippi/flippino/carafa/1hereti2.jpg Filippino Lippi, Trionfo di S. Tommaso (S. Tommaso, circondato dalla Filosofia, dall'Astronomia, dalla Teologia e dalla Grammatica, trionfa degli eretici Ario, Apollinario, Averroes (a sinistra) e Sabellio, Euchite e Mani a destra), 1489-91, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Roma

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/madd.jpg Beato Angelico, Vergine con Bambino tra i SS. Domenico e Tommaso d'Aquino, 1424-30, Hermitage, San Pietroburgo

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/5various/7aquinas.jpg Benozzo Gozzoli, Trionfo di S. Tommaso d'Aquino, 1471, Musée du Louvre, Parigi

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/tomm.jpg Antoine Nicolas, S. Tommaso d'Aquino fontana della Saggezza, 1648 circa, Transetto della Basilica di Notre Dame, Parigi

http://www.wga.hu/art/r/ricci/sebastia/2/altar.jpg Sebastiano Ricci, SS. Pio V, Tommaso d'Aquino e Pietro martire, 1730-33, Basilica di S. Maria del Rosario (Gesuati), Venezia

Augustinus
27-01-05, 21:53
http://www.wga.hu/art/t/traini/thomas.jpg Francesco Traini, Trionfo di S. Tommaso, 1340 circa, Basilica di Santa Caterina, Pisa

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/tom.jpg Guercino, S. Tommaso d'Aquino scrive assistito dagli angeli, 1662, Basilica di S. Domenico, Bologna

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/tho.jpg http://img228.imageshack.us/img228/7255/apoteosi0mi.jpg http://img19.imageshack.us/img19/8263/mbasembaseos21e170plgba5.jpg Francisco de Zurbarán, Apoteosi di S. Tommaso d'Aquino, 1631, Museo de Bellas Artes de Sevilla, Siviglia

http://www.artandarchitecture.org.uk/assets/aa_image/700/6/4/f/f/64ff197bbfa464c3685d0460a0e113097513c154.jpg Abraham Jansz. van Diepenbeeck, S. Tommaso d'Aquino, 1640-50, Courtauld Institute of Art Gallery, Londra

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/santho.jpg http://www.wga.hu/art/s/santi/stthomas.jpg Santi di Tito, S. Tommaso dedica la sua opera a Cristo alla presenza della Vergine e Santi (Giovanni evangelista, Caterina d'Alessandria e Maria Maddalena), 1593, Basilica di S. Marco, Firenze

Augustinus
27-01-05, 21:54
(Citato in Delfieux, Evangeliques, Fayard, 1988, p.28)

Il principio di ogni bene sta in questo: la legge dell'amore è fonte di vita spirituale. E' un fatto naturale e manifesto che il cuore amante è abitato da ciò che ama. Colui che ama‑Dio lo possiede in sé. Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (1 Gv 4,16). La natura dell'Amore è proprio questa: trasforma nell'essere amato. Ama Dio e sarai divino. Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito (l Cor 6,17).

E' questione di vita o di morte, perché Dio è la vita dell'anima; senza la carità, l'anima non agisce più. Chi non ama rimane nella morte (1Gv 3,14). Potreste possedere tutti i carismi dello Spirito santo, ma senza l'amore siete morti. Il dono delle lingue, il dono della fede, tutti i doni possibili e immaginabili non ti renderanno mai un vivente, se non ami, ma un morto: magari rivestito di oro e di gioielli, però soltanto un cadavere. L'amore illumina il cuore; infatti la Scrittura ci rivela che siamo circondati da tenebre. Spesso non sappiamo bene cosa fare, che desiderare. L'amore ci insegna tutto quanto è necessario per la salvezza. Il suo Spirito vi insegnerà ogni cosa (Cf. Gv 14,26) ci dice Gesù. Appunto perché dove sta l'amore, c'e lo Spirito Santo che tutto conosce, e ci conduce sulla via retta. E poi l'amore riversa in noi la gioia e la pace perfette; spetta a lui costituire la vera grandezza dell'uomo. Da schiavo lo rende amico. Perciò grazie all'amore non soltanto diveniamo liberi, ma figli, non di nome, ma in realtà. Tutti i doni scendono dal Padre dei lumi, ma nessuno eguaglia l'amore. Tutti gli altri possono essere posseduti senza l'amore, ma solo l'amore ci fa ricevere lo Spirito di santità.

http://www.irc.na.cnr.it/pub/CI/IMAGES/STOMMASO.JPG Francesco Solimena, S. Tommaso d'Aquino, Basilica di S. Domenico Maggiore, Napoli

http://img54.imageshack.us/img54/2426/tayoung1gu.jpg http://img74.imageshack.us/img74/3691/tommasoaquino5kk.jpg Guido di Pietro da Mugello, Polittico di S. Pietro Martire con la Madonna e Santi (SS. Tommaso d'Aquino, Pietro Martire, Domenico e Giovanni Battista), 1428-1429, Museo di S. Marco, Firenze

http://img186.imageshack.us/img186/5821/cacciavisionesantommasoiu9.jpg Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, Visione di S. Tommaso d'Aquino, 1608-1613, Chiesa di S. Croce, Bosco Marengo

http://gabrieleweis.de/2-bldungsbits/philo-bits/bilder/h-scholastik3.jpg Joos van Ghent, S. Tommaso d'Aquino, 1460-75

http://img382.imageshack.us/img382/7496/elmuseo74mtjw3.jpg http://www.catholictradition.org/Galleries/virgine98.jpg http://img74.imageshack.us/img74/8392/100gf3.jpg Murillo, La visione di Fra Lauterio, 1638-40 circa, Fitzwilliam Museum, Cambridge. Si racconta che un frate e teologo francescano, Lauterio, avesse delle difficoltà circa una questione riguardante i suoi studi. Invocò S. Francesco d'Assisi che lo aiutasse a risolvere il quesito. In quel momento gli apparve la Vergine col Bambino ed i SS. Tommaso d'Aquino e Francesco d'Assisi. Il Serafico Padre suggerì al suo frate di consultare la Summa Theologica dell'Aquinate, dove avrebbe trovato la soluzione ai suoi dubbi, e che il frate non aveva studiato. Terminata l'apparizione, il frate consultò la Summa che trovò aperta alla pagina dove vi era la soluzione ai suoi dubbi teologici.

Augustinus
27-01-05, 21:58
Dai «Commenti sulla prima lettera ai Corinzi», Torino 1953, vol. I, 240-241

Gesù Cristo mi ha mandato a evangelizzare, ma non con la sapienza delle parole, cioè con la sapienza mondana. Per sapienza delle parole l'Apostolo intende la retorica che insegna a parlare in modo cattivante, tanto da indurre gli uomini a assentire a errori e falsità.Ma dal momento che il testo greco riporta il termine «Logos», che significa «ragione» e «parola», si potrebbe più convenientemente intendere la ragione umana, la quale è inadeguata a evangelizzare perché i contenuti della fede la trascendono. Bisogna tuttavia notare che legittimamente usa della ragione umana colui che, supponendo i fondamenti della vera fede, assume a servizio della fede quelle verità che eventualmente trova nelle dottrine dei filosofi. Anche sant'Agostino dice: «La tecnica dell’eloquenza è indifferente quanto a indurre al male o al bene: perché non viene assimilata dai buoni con lo studio e l'esercizio per porla al servizio della bontà, dal momento che i cattivi la usurpano per le loro iniquità?» (De Doct. Christi 4,2.2).

Alcune volte il modo di insegnare non è adatto all'argomento, soprattutto quando non si presta a esporre le verità principali di quella materia, come ad esempio capiterebbe a chi volesse procedere in dimostrazioni intellettuali attraverso metodi che non vanno oltre il livello dell'immaginazione e quindi di per sé non esprimono un contenuto intellettuale e astratto. Ciò che è precipuo nella religione cristiana è la salvezza nella croce di Cristo, per cui l'Apostolo dice: «lo ritenni infatti di non sapere altro di mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2,2). Chi nell'insegnare il cristianesimo si appoggia soprattutto alla sapienza umana, per quel che lo riguarda rende vana la croce di Cristo. Quindi insegnare con sapienza di parole umane non è modo conveniente alla catechesi cristiana. E' per questo che l'Apostolo dice: «Perché non venga resa vana la croce di Cristo» (1 Cor 1, 17), cioè, affinché, oscurata dai mezzi umani di sapienza, non venga meno la fiducia nella croce di Cristo.

Più sopra abbiamo quindi precisato che se si dà la precedenza alla sapienza umana si rende vana la croce di Cristo: «La parola della Croce infatti», cioè l'annuncio della croce di Cristo, «è stoltezza», cioè sembra qualcosa di stolto «per quelli che vanno in perdizione» (1 Cor 1, 18), cioè per gli infedeli che si reputano sapienti secondo questo mondo, per il fatto che la predicazione della croce di Cristo contiene qualcosa che secondo l'umana sapienza pare impossibile; per esempio che Dio muoia e che l'onnipotente perisca sotto le mani dei violenti. La medesima predicazione presenta inoltre alcuni contenuti che sembrano contrari alla sapienza umana; per esempio che qualcuno, potendolo, non rifugga dalle umiliazioni: quanto Festo fece notare a Paolo che gli annunciava la potenza della croce: «Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello» (At 26,24) e Paolo risponde nelle sue lettere: «Noi stolti a causa di Cristo» (1 Cor 4,10).

Ma perché non si creda che la parola della croce contiene veramente in sé della stoltezza, aggiunge: «Ma per quelli che si salvano, per noi», cioè fedeli di Cristo che siamo da lui salvati, «è potenza di Dio» (1 Cor 1, 18), poiché essi attraverso la croce di Cristo conoscono un annientamento divino che ha il potere di vincere il demonio e il mondo: «Ha vinto il leone della tribù di Giuda» (Ap 5,5); morendo con Cristo ai vizi e alle concupiscenze, riconoscono in sé una forza superiore, secondo quanto è scritto: «Quelli che sono in Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5,24), per cui «Da lui (Gesù) usciva una forza che sanava tutti» (Lc 6,19).

Augustinus
27-01-05, 22:19
I. - Potentia et actus ita dividunt ens, ut quidquid est, vel sit actus purus, vel ex potentia et actu tanquam primis atque intrinsecis principiis necessario coalescat.
(Cf. S. Thomas, Métaphysiques, V, 14; IX, surtout I. I, 5, 7, 8, 9.- De Potentia, q. 1, a. 1 et 3; Somme théologique, Ire Partie, question 77, article 1, conclusion.)

II.- Actus, utpote perfectio, non limitatur, nisi per potentiam, quae est capacitas perfectionis. Proinde in quo ordine actus est purus, in eodem non nisi illimitatus et unicus existit; ubi vera est finitus ac multiplex, in veram incidit cum potentia compositionem.
(Cf. S. Thomas, I Contra Gentiles, ch. 43; I Sentences, dist. 43, q. 2.)

III.- Quapropter in absoluta ipsius esse ratione unus subsistit Deus, unus est simplicissimus : cetera cunsta quae ipsum esse participant, naturam habent qua esse coarctatur, ac tamquam distinctis realiter principiis, essentia et esse constant.
(Cf. S. Thomas, I Contra Gentiles, cc. 38, 52-54; Somme théologique, Ire Partie, q. 50, a. 2, ad. 3; L'Être et l'Essence, c. 5.)

IV.- Ens, quod denominatur ab esse, non univoce de Deo, et creaturis dicitur, nec tamen prorsus aequivoce, sed analogice, analogia tum attributionis tum proportionalitatis.
(Cf. S. Thomas, I Contra Gentiles, cc. 32-34; De Potentia, q. 7, a. 7.)

V.- Est praeterea in omni creatura realis compositio subjecti subsistentis cum formis secundario additis, sive accidentibus : ea vera nisi esse realiter in essentia distincta reciperetur, intelligi non posset.
(Cf. S. Thomas, I Contra Gentiles, c. 23; II Contra Gentiles, c. 52; Somme théologique, Ire Partie, q. 3; a. 6; L'Être et l'Essence, c. 7)

VI.- Praeter absoluta accidentia est etiam relativum, sive ad aliquid. Quamvis enim ad aliquid non significet secundum propriam rationem aliquid alicui inhaerens, saepe tamen causam in rebus habet, et ideo realem entitatem distinctam a subjecto.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, q. 28, surtout a. 1.)

VII.- Creatura spiritualis est in sua essentia omnino simplex. Sed remanet in ea compositio duplex : essentiae cum esse et substantiae cum accidentibus.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, questions 50-51 et 54; De spiritualibus creaturis, a. 1.)

VIII.- Creatura vero corporalis est quoad ipsam essentiam composita potentia et actu; quae potentia et actus ordinis essentiae materiae et formae nominibus designantur.
(Cf. S. Thomas, De spiritualibus creaturis, a. 1.)

IX.- Earum partium neutra per se esse habet, nec per se producitur vel corrumpitur, nec ponitur in praedicamento nisi reductive ut principium substantiale.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, q. 45, a. 4; De Potentia, q. III, a. 1, ad. 12.)

X.- Etsi corpoream naturam extensio in partes integrales consequitur, non tamen idem est corpori esse substantiam et esse quantum. Substantia quippe ratione sui indivisibilis est, non quidem ad modum puncti, sed ad modum ejus quod est extra ordinem dimensionis. Quantitas vero, quae extensionem substantiae tribuit, a susbtantia realiter differt, et est veri nominis accidens.
(Cf. S. Thomas, IV Contra Gentiles, c. 65; I Sent., dist. 37, q. 2, a. 1, ad. 3; II Sent., dist. 30, q. 2, a. 1.)

XI.- Quantitate signata materia principium est individuationis, id est numericae distinctionis (quae in puris spiritibus esse non potest) unius individui ab alio in eadem natura specifica.
(Cf. S. Thomas, II Contra Gentiles, cc. 92-93; Somme théologique, Ire Partie, q. 50, a. 4; L'Être et l'Essence, c. II.)

XII.- Eadem efficitur quantitate ut corpus circumscriptive sit in loco, et in uno tantum loco de quacumque potentia per hunc modum esse possit.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, IIIe Partie, q. 75; IV Sent., dist. 10, a. 3; Quodlib., III.)

XIII.- Corpora dividuntur bifariam : quaedam enim sunt viventia, quaedam expertia vitae. In viventibus, ut in eodem subjecto pars movens et pars mota per se habeantur, forma substantialis, animae nomine designata, requirit organicam dispositionem, seu partes heterogeneas.
(Cf. S. Thomas, I Contra Gentiles, c. 97; Somme théologique, Ire Partie, q. 18, aa. 1-2; q. 75, a. 1; V Métaphysiques, lect. 14e; De Anima, passim., et spécialement L. II, c.I.)

XIV.- Vegetalis et sensibilis ordinis animae nequaquam per se subsistunt, nec per se producuntur, sed sunt tantummodo ut principium quo vivens est et vivit, et, cum a materia se tolis dependeant, corrupto composito, eo ipso per accidens corrumpuntur.
(Cf. S. Thomas, II Contra Gentiles, cc. 80, 82; Somme théologique, Ire Partie, q. 75, a. 3, et q. 90, a. 2.)

XV.- Contra, per se subsistit anima humana, quae, cum subjecto sufficienter disposito potest infundi, a Deo creatur, et sua natura incorruptibilis est atque immortalis.
(Cf. S. Thomas, II Contra Gentiles, cc. 83 et suiv.; Somme théologique, Ire Partie, q. 75, a. 2; q. 90; q. 118; Questions disputées, De Anima, a. 14; De Potentia, q. 3, a. 2.)

XVI.- Eadem anima rationalis ita unitur corpori, ut sit ejusdem forma substantialis unica, et per ipsam habet homo ut sit homo et animal et vivens et corpus et substantia et ens. Tribuit igitur anima homini omnem gradum perfectionis essentialem; insuper communicat corpori actum essendi, quo ipsa est.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, q. 76; II Contra Gentiles, cc. 56, 68-71; De Anima, a. 1; Quest. Disp., De Spiritualibus creaturis, a. 3.)

XVII.- Duplicis ordinis facultates, organicae et inorganicae, ex anima humana per naturalem resultantiam emanant : priores, ad quas sensus pertinet, in composito subjectantur, posteriores in anima sola. Est igitur intellectus facultas ab organo intrinsece independens.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, qq. 77-79; II Contra Gentiles, c. 72; De Spiritualibus creaturis, a. 11 et suiv.; De Anima, a. 12 et ss.)

XVIII.- Immaterialitatem necessario sequitur intellectualitas, et ita quidem ut secundum gradus elongationis a materia, sint quoque gradus intellectualitatis. Adaequatum intellectionis objectum est communiter ipsum ens; proprium vero intellectus humani objectum in praesenti statu unionis, quidditatibus abstractis a conditionibus materialibus continetur.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, q. 14, a. 1; q. 84, a. 7; q. 89, aa. 1-2; II Contra Gentiles, cc. 59, 72.)

XIX.- Cognitionem ergo accipimus a rebus sensibilibus. Cum autem sensibile non sit intelligibile in actu, praeter intellectum formaliter intelligentem, admittenda est in anima virtus activa, quae species intelligibiles a phantasmatibus abstrahat.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, q. 79, aa. 3-4; q. 84, aa. 6-7; II Contra Gentiles, c. 76 et suiv.; De Spiritualibus creatoris, a. 10.)

XX.- Per has species directe universalia cognoscimus; singularia sensu attingimus, tum etiam intellectu per conversionem ad phantasmata; ad cognitionem vero spiritualium per analogiam ascendimus.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, questions 85-88.)

XXI.- Intellectum sequitur, non praecedit voluntas, quae necessario appetit id quod sibi praesentatur tanquam bonum ex omni parte explens appetitum, sed inter plura bona, quae judicio mutabili appetenda proponuntur, libere eligit. Sequitur proinde electio judicium practicum ultimum; at quod sit ultimum, voluntas efficit.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, qq. 82-83; II Contra Gentiles, cc. 72 et suiv.; De Veritate, q. 22, a. 5; De Malo, q. 11.)

XXII.- Deum esse neque immediata intuitione percipimus, neque a priori demonstramus, sed utique a posteriori, hoc est, per ea quae facta sunt, ducto argumento ab effectibus ad causam : videlicet, a rebus quae moventur et sui motus principium adaequatum esse non possunt, ad primum motorem immobilem : a processu rerum mundanarum e causis inter se subordinatis, ad primam causam incausatam; a corruptibilibus, quae aequaliter se habent ad esse et non esse, ad ens absolute necessarium; ab iis quae secundum minoratas perfectiones essendi, vivendi, intelligendi, plus et minus sunt, vivunt, intelligunt, ad eum qui est maxime intelligens, maxime vivens, maxime ens; denique ab ordine universi ad intellectum sezparatum qui res ordinavit, disposuit et dirigit in finem.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, q. 2; I Contra Gentiles, cc. 12 et 31; III Contra Gentiles, qq. 10 et 11; De Veritate, qq. 1 et 10; De Potentia, qq. 4 et 7.)

XXIII.- Divina essentia, per hoc quod exercitae actualitati ipsius esse identificatur, seu per hoc quod est ipsum Esse subsistens, in sua veluti metaphysica ratione bene nobis constituta proponitur, et per hoc idem rationem nobis exhibet suae infinitatis in perfectione.
(Cf. S. Thomas, I Sent., dist. 8, q. 1; Somme théologique, Ire Partie, q. 4, a. 2; q. 13, a. 11.)

XXIV.- Ipsa igitur puritate sui esse, a finitis omnibus rebus secernitur Deus. Inde infertur primo, mumdum nonnisi per creationem a Deo procedere potuisse; deinde virtutem creativam, qua per se primo attingitur ens in quantum ens, nec miraculose ulli finitae naturae esse communicabilem; nullum denique creatum agens in esse cujuscumque effectus influere, nisi motione accepta a prima Causa.
(Cf. S. Thomas, Somme théologique, Ire Partie, qq. 44-45, 105; II Contra Gentiles, cc. 6-15; III, cc. 66-69; IV, c. 44; Questions disputées : de Potentia, surtout q. 3, a. 7.)

FONTE (http://etexts.free.fr/filos/aquinas_24%20tesi.html)

Augustinus
28-01-05, 00:02
De rationibus fidei, nell’ed. Leonina di Opera omnia, XL, Roma 1969, pp. 56 ss.

Cristo scelse per sé genitori poveri e tuttavia perfetti nella virtù, affinché nessuno si glori della sola nobiltà del sangue e delle ricchezze dei genitori. Condusse vita povera per insegnare a disprezzare le ricchezze. Visse in semplicità, senza ostentazione, allo scopo di tenere lontani gli uomini dalla disordinata brama degli onori. Sostenne la fatica, la fame, la sete e le afflizioni del corpo affinché gli uomini proclivi alle voluttà e delicatezze, a motivo delle asprezze di questa vita non si sottraessero all’esercizio della virtù. Infine sostenne la morte per impedire che il timore di essa facesse abbandonare a qualcuno la verità. E perché nessuno avesse paura di incorrere in una morte spregevole a causa della verità, scelse il più orribile genere di morte, cioè la morte in croce. Così dunque fu conveniente che il Figlio di Dio fatto uomo patisse la morte, per indurre col suo esempio gli uomini alla pratica della virtù, di modo che risulti vero ciò che Pietro dice: “Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme"(1 Pt 2,21).

Se infatti fosse vissuto ricco nel mondo e rivestito di potere e di qualche grande dignità, si sarebbe potuto credere che la sua dottrina e i suoi miracoli fossero accolti in forza del favore degli uomini e della potenza umana. Perciò, affinché fosse manifesta l’opera della divina potenza, scelse tutto ciò che nel mondo è vile e debole: una madre povera, una vita indigente, discepoli e messaggeri incolti, il disprezzo e la condanna a morte da parte dei magnati della terra, onde apparisse chiaramente che l’accettazione dei suoi miracoli e della sua dottrina non erano opera di potenza umana ma divina.

A proposito di tutto questo c’è ancora un’altra cosa da tener presente. Secondo lo stesso piano provvidenziale per il quale il Figlio di Dio fatto uomo volle prendere su se stesso le debolezze umane, stabilì che anche i suoi discepoli – da lui costituiti ministri dell’umana salvezza - fossero essi pure disprezzati nel mondo. Perciò non li scelse dotti e nobili, ma senza cultura e di bassa condizione sociale, ossia poveri pescatori. E mandandoli a lavorare per l’umana salvezza, comandò loro di praticare la povertà, di accettare persecuzioni e ingiurie, e di subire anche la morte per la verità, cosicché la loro predicazione non apparisse esercitata per vantaggi terreni, e la salvezza del mondo non venisse attribuita alla sapienza e alla potenza dell’uomo, bensì soltanto a quella di Dio: per cui in essi – che secondo il giudizio del mondo sembravano spregevoli - non venne meno la potenza divina che opera cose mirabili.

Questo era necessario per l’umana salvezza, affinché gli uomini imparassero a non confidare orgogliosamente nelle proprie forze, ma solo in Dio. Infatti per la perfezione della santità umana è richiesto che l’uomo si sottometta in tutte le cose a Dio, da lui speri di poter conseguire il possesso di ogni bene e riconosca di averlo da lui ricevuto.

Augustinus
28-01-05, 00:03
Opuscula theologica, II, nn. 1137-1154, ed. Marietti, 1954.

E’ evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano conoscere e dalla cui osservanza. nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato. E questa è la legge della divina carità. Ad essa accenna l’Apostolo con quelle parole: “Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve” (Rm 9, 28).

Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme alla regola della divina carità. Quando invece è in contrasto con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta.

Questa legge dell’amore divino produce nell’uomo quattro effetti molto desiderabili. In primo luogo genera in lui la vita spirituale. E’ noto infatti che per sua natura l’amato è nell’amante. E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv 4, 16). E’ pure la legge dell’amore, che l’amante venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Signore, diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui ” (1 Cor 6, 17). A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima ”. L’anima perciò agisce in maniera virtuosa e perfetta quando opera per mezzo della carità, mediante la quale Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3, 14). Se perciò qualcuno possedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d’oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita.

Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: “L’amore di Dio non è mai ozioso — dice san Gregorio Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante intraprende cose grandi e difficili per 1’amato: “Se uno mi ama osserva la mia parola”(Gv 14, 25). Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell’amore divino, adempie tutta la legge.

Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio ”(Rm 8, 28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama.

Il quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. La felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E così si vede come la carità ottenga in noi questo quadruplice risultato.

Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con Dio.

Thomas Aquinas
28-01-05, 00:06
In rilievo, per oggi, nel forum principale.

Augustinus
28-01-05, 21:14
Su S. Tommaso (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=144362)

Database (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=144012)

Liturgia (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=144380)

Pensieri tomistici (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=143746)

Introduzione alla filosofia (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=143595)

S. Teresa Benedetta della Croce e S. Tommaso (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=142314)

Riflessioni "tomistiche" (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=143941)

Omaggio e difesa del "bue muto" (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=300346)

S. Alberto Magno (o di Colonia) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=383776)

Augustinus
27-01-06, 21:40
In rilievo

Aug. :) :) :)

Augustinus
28-01-06, 10:08
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 838-839

7 MARZO

SAN TOMMASO D'AQUINO,
DOTTORE DELLA CHIESA[1]

Gloria di san Tommaso

Salutiamo oggi uno dei più luminosi interpreti della divina verità. La Chiesa l'ha generato molti secoli dopo l'età apostolica, molto tempo dopo che la parola d'Ambrogio, di Agostino, di Girolamo e di Gregorio aveva cessato di risuonare; ma san Tommaso ha dimostrato che il seno della Madre comune è sempre fecondo, e questa, nella gioia di averlo dato alla luce, lo ha chiamato il Dottore Angelico. È dunque in mezzo al coro degli Angeli che devono cercarlo i nostri occhi, perché la sua nobile e pura intelligenza lo associò ai Cherubini del ciclo; come la tenerezza di Bonaventura, suo emulo ed amico, annoverò il discepolo di san Francesco nella schiera dei Serafini.

La gloria di Tommaso d'Aquino è quella dell'umanità, della quale è uno dei più grandi geni; è quella della Chiesa, la cui dottrina espose nei suoi scritti con tanta lucidità e precisione che nessun altro Dottore aveva mai raggiunto; è quella di Cristo stesso, che si rallegrò con lui per avere spiegato degnamente i suoi misteri. In questi giorni che ci devono ricondurre a Dio, il più gran bisogno delle nostre anime è di conoscere lui; come la più grande disavventura fu quella di non averlo conosciuto abbastanza.

Imploriamo da san Tommaso quella "luce immacolata che converte le anime, quella dottrina che dà saggezza ai piccoli, che rallegra i cuori e rischiara l'intelligenza" (Sal 18). Vedremo allora la vanità di tutto ciò che non è Dio, la giustizia dei suoi precetti, la malizia delle nostre trasgressioni, la bontà infinita che accoglierà il nostro pentimento.

VITA. - San Tommaso d'Aquino nacque verso il 1225, da famiglia nobilissima. Nel 1243 entrò nell'Ordine dei Frati Predicatori; andò a Parigi a studiare sotto la guida di sant'Alberto Magno, e non tardò a sua volta ad assumere l'insegnamento. La sua dottrina e la sua pietà gli guadagnarono una grande celebrità. Chiamato a Roma dal Papa Urbano IV, compose l'Ufficio del Santissimo Sacramento. Mentre si recava al Concilio di Lione, nel 1274, s'ammalò all'abbazia cistercense di Fossanova e vi morì il 7 marzo. Il Papa Giovanni XXII lo canonizzò nel 1323; Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa nel 1567 e, nel 1880, Leone XIII lo proclamò patrono delle scuole cattoliche.

Il Dottore Angelico.

Gloria a te, luce del mondo! tu ricevesti i raggi dal Sole di giustizia e li irradiasti sulla terra. Il tuo limpido occhio contemplò la verità, così che in te si realizzò la parola: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Vincitore nella lotta contro la carne, conquistasti le delizie dello spirito; e il Salvatore, rapito dagl'incanti della tua angelica anima, ti scelse per celebrare nella Chiesa il Sacramento dell'amore. La scienza non inaridì in te la sorgente dell'umiltà; la preghiera fu sempre il tuo aiuto nella ricerca della verità; e, dopo tanto lavoro, non aspirasti che ad una unica ricompensa, quella di possedere il Dio che il tuo cuore amava.

La tua vita mortale fu allora interrotta, e partisti lasciando incompiuto il capolavoro della tua dottrina; ma tu sempre rifulgi sulla Chiesa di Dio. Tu l'assisterai nelle battaglie contro l'errore poiché si compiace di appoggiarsi ai tuoi insegnamenti, e perché sa che nessuno conosce più intimamente di te i segreti del tuo Sposo. In questi tempi in cui le verità sono venute meno tra i figli degli uomini (Sal 11,2), fortifica, ravviva la fede dei credenti, confondi l'audacia di quegli spiriti vani che credono di sapere qualche cosa ed approfittano dell'oscuramento generale delle intelligenze, per usurpare nella vacuità del loro sapere la missione dei dottori. Le tenebre s'addensano intorno a noi; la confusione regna ovunque; riportaci a quelle nozioni che per la loro semplicità sono la vita dello spirito e la gioia del cuore.

Preghiera.

Proteggi l'Ordine Domenicano, che si propaga sempre più ed è uno dei primi ausiliari della Chiesa.

La Quaresima vedrà i figli della Chiesa prepararsi ad entrare nella grazia del Signore loro Dio; svelaci quella somma Santità che offendemmo coi nostri peccati; fa' che comprendiamo lo stato doloroso di un'anima che ha rotto ogni rapporto con l'eterna giustizia. Inorriditi alla vista delle brutture che ci coprono, aspireremo a purificare i nostri cuori nel sangue dell'Agnello immacolato e a riparare le colpe con opere di penitenza.

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NOTE

[1] Nel vecchio calendario la ricorrenza di S. Tommaso si celebrava il 7 marzo. Oggi, con la riforma, si celebra il 28 gennaio.

http://img48.imageshack.us/img48/649/tommaso3vv.jpg Carlo Crivelli, S. Tommaso d'Aquino, XV sec., The National Gallery, Londra

http://aevo.homeunix.org/muvi/museonazionaledabruzzo/imago/piano2/corridoio/41592.jpg Vincenzo Damiani, S. Tommaso d'Aquino incatena l'Eresia, 1739, Museo Nazionale d'Abruzzo, L'Aquila

Augustinus
27-01-07, 16:59
In rilievo

Aug. :) :) :)

Augustinus
27-01-07, 17:09
http://img362.imageshack.us/img362/371/toulousestthomasdaquinbh2.jpg Urna con le reliquie di S. Tommaso nella Chiesa del convento "des Jacobins" (dei Giacobini) di Tolosa

Augustinus
27-01-07, 17:36
La vita e le Opere di San Tommaso d'Aquino

(1225 -1274)

di Astrid Filangieri

Il sorgere dell’astro d'Aquino

San Tommaso nacque nel 1225 circa a Roccasecca, dal ramo cadetto dei d'Aquino. Il padre, Landolfo, fu uomo d'arme fin dalla gioventù e condottiero di milizie, ma mostrò anche attitudini per la cultura e capacità di governo, quale giustiziere di Terra di Lavoro, e fu uomo retto e religioso.

La madre, Teodora, era anch'essa di nobile famiglia e dotata di grandi virtù familiari, ma non era esente da una concezione piuttosto dispotica dell'autorità materna.

L'ambiente familiare si distingueva per la sincera pratica della religione, pur tra le asprezze della vita feudale, ed esercitò un influsso notevole sulla formazione del carattere di Tommaso, che conservò sempre per i suoi congiunti un tenero affetto, nonostante la breve, dolorosa parentesi dell'opposizione alla sua vocazione religiosa.

L'educazione presso i Benedettini

All'età di cinque anni Tommaso fu condotto al Cenobio di Montecassino, che brillava come un faro di luce per la pietà e la cultura dei suoi monaci, presso la tomba di San Benedetto, il Patriarca del Monachesimo occidentale.

Il piccolo Tommaso era offerto a Dio dai geni*tori, spinti dal desiderio di avere un figlio consacrato al Signore, anche se non mancava un po' di orgoglio feudale, che faceva presagire nel fanciullo il futuro capo della potente abbazia.

Ma c'era nel gesto anche un motivo politico, perché, nel 1229, la rocca di Montecassino, considerata un baluardo della potenza papale, era stata assalita e sconvolta dalle milizie di Federico II, con l'appoggio dei d'Aquino. Quando, nel luglio del 1230, a San Germano, fu segnata la pace fra l'Imperatore e il Papa, i d'Aquino, offrendo il loro figlioletto all'abbazia, vollero dare una garanzia dei loro nuovi sentimenti di pace e di amicizia.

Tommaso trascorse a Montecassino circa nove anni, fino al 1239, quando Federico II riprese la lotta contro il Papa e l'abbazia fu di nuovo sotto la minaccia delle armi imperiali, per cui i d'Aquino posero al sicuro il figlio, richiamandolo in famiglia per poi inviarlo a Napoli, a continuare gli studi presso l'Università.

L'educazione benedettina, semplice ed aristocratica, familiare ed austera, lasciò un solco indelebile nella personalità di Tommaso, temprandolo al silenzio contemplativo, all'amore per lo studio, all'attivo dominio di sé, alla pietà affettiva, al gusto per la liturgia, che si manifesterà soprattutto quando comporrà l'ufficio e gl'inni mirabili per la festa del «Corpus Domini».

E' storicamente accertato l'episodio di Tommaso fanciullo che, passeggiando meditabondo sotto gli austeri chiostri o spaziando lo sguardo verso i cieli sconfinati e i lontani orizzonti, chiedeva insistentemente ai suoi maestri: «Ditemi chi è Dio? »

Erano i primi sprazzi del suo genio indagatore.

La giovinezza all’ università di Napoli

Dal mistico raccoglimento monastico, dopo alcuni mesi trascorsi nel caldo clima della famiglia, l'adolescente Tommaso si trasferiva nella vita libera e movimentata dell' Ateneo napoletano.

Il brusco passaggio a condizioni ambientali così diverse dalle precedenti avrebbe potuto provocare in lui una crisi fatale; ma la sua forte struttura morale, ancorata a salde convinzioni e sempre pronta ad attingere energie soprannaturali dalla preghiera e dalla vita sacramentale, lo preservò dalle cadute, ed egli continuò, nello studio e nella meditazione, l'appassionata ricerca della verità, iniziata all'ombra del cenobio benedettino. L'università di Napoli era famosa in tutta l'Europa, perché Federico II vi aveva chiamato insigni docenti e aveva assicurato agli studenti agiate condizioni di vita, perché potessero dedicarsi con profitto agli studi. San Tommaso vi frequentò la Facoltà delle Arti che comprendeva il trivio e il quadrivio. Il trivio corrispondeva, in qualche modo, ai corsi di cultura umanistica e filosofica, mentre il quadrivio si estendeva allo studio delle scienze naturali.

Uno dei maestri di Tommaso fu Pietro d'Ibernia, chiamato da Pier delle Vigne, in nome di Federico II, a ricoprire la carica di titolare del quadrivio. Era un profondo conoscitore di Aristotele, su cui scrisse importanti commenti e tenne dotte dispute, fra cui rimase celebre quella tenuta alla presenza del re Manfredi. Il giovane Tommaso veniva così a contatto con le opere del sommo filosofo greco, che un giorno avrebbe sapientemente utilizzato nel magistero e negli scritti.

Una prova del profitto con cui Tommaso si dedicò agli studi è data dal fatto che egli fu scelto dai maestri a fare da ripetitore, ossia da assistente di cattedra. La vasta cultura, e la chiarezza dell'esposizione e la modestia del tratto gli conquistarono la stima e l'affetto dei colleghi studenti, i quali provarono un vivo rimpianto nell'apprendere che Tommaso lasciava l'ambiente universitario, per consacrarsi alla vita religiosa.

La vocazione

Verso la fine del 1243 il giovane studente diciottenne decise di entrare nell'Ordine dei Frati Predicatori, che si era ormai diffuso nelle principali città dell'Europa, col compito principale di difendere e diffondere le verità della Fede, soprattutto con l'insegnamento e la predicazione.

A Napoli i Domenicani avevano aperto un convento fin dal 1231, con una scuola di Teologia, ed esercitavano un apostolato attivissimo fra la gioventù studentesca.

Tommaso scelse come guida spirituale fra Giovanni di San Giuliano e si sentì fortemente attratto dall'ideale domenicano. La sua scelta non era nata da un effimero entusiasmo, ma era la conseguenza di una decisione consapevolmente maturata nella meditazione e nella generosa risposta all'invito della Grazia. Il motto programmatico dei Domenicani: «contemplata aliis tradere» gli si presentò pienamente congeniale e decise di consacrare tutta la sua vita alla contemplazione e alla irradiazione della verità.

Ma la sua vocazione fu violentemente contrastata dalla famiglia, che, nella decisione presa dal giovane senza il consenso dei genitori, vedeva una ribellione all'inflessibile disciplina familiare e soprattutto vedeva svanire tutti i sogni di grandezza terrena, vagheggiati per il futuro del figlio. La madre stessa, pur dotata di forti virtù domestiche, ordinò ai figli Rainaldo e Landolfo, accampati ad Acquapendente con le milizie di Federico II, di catturare il fuggitivo in rotta per Bologna. Raggiuntolo a Bolsena lo rinchiusero nel castello di Roccasecca, dove, all’insaputa della madre, ordirono un ignobile attentato alla virtù di Tommaso, ma l’intrepido giovane fugò l’ignobile tentatrice con un tizzone ardente. Intanto giunsero al castello le sorelle per cercare di piegare con la tenerezza dell’affetto quell’indomita volontà. Ma né la prigionia nelle fortezze di Monte San Giovanni e di Roccasecca, né l'ignobile attentato tramato dai fratelli, né le lacrime delle sorelle poterono smuovere quell’eroica fermezza. Liberato dalla prigionia, dopo un breve periodo trascorso nel convento di San Domenico a Napoli e poi in quello di Santa Sabina a Roma, Tommaso fu inviato fuori d'Italia e affidato al più celebre maestro di quel tempo, frate Alberto di Colonia, che passerà alla storia col nome di Sant'Alberto Magno.

Il periodo presso Sant’ Alberto

Prima a Parigi, poi a Colonia, Tommaso seguì le lezioni di Alberto Magno.

Chiuso nella sua modestia, il giovane domenicano italiano sembrò ai condiscepoli impacciato e tardo d’ingegno, per cui, con una punta d'ironia, gli affibbiarono il nomignolo di «bue muto». Ma vennero presto le occasioni a svelare l'acume del suo intelletto.

Un condiscepolo si era offerto a fargli da ripetitore, ma dovette presto accorgersi che l’allievo, con tutta semplicità, invertiva le parti e dava all'incauto, improvvisato maestro spiegazioni così lucide e profonde da costringerlo a riconoscere e manifestare l'ingegno superiore di Tommaso.

Un'altra volta cadde in mano ai condiscepoli, non si sa come, una pagina di appunti presi da Tommaso alle lezioni di Alberto; e dovettero con grande stupore ammettere che non si trattava di un semplice, anche se preciso, riassunto delle lezioni, ma di un profondo ripensamento delle questioni trattate.

Ma la prova più decisiva venne in occasione di una pubblica disputa, nella quale Tommaso aveva il compito di espositore e difensore di una tesi teologica, mentre il maestro stesso, frate Alberto da Colonia, svolgeva il ruolo di contraddittore.

Le obiezioni incalzavano sempre più serrate e insidiose e Tommaso calmo e sereno le risolveva lucidamente, mostrando una tale padronanza della materia da strappare gli applausi del maestro e dei condiscepoli.

Il giovane italiano rimaneva umile nel suo trionfo. Stimava talmente il valore della sincerità che, giovane, non si sottrasse all'invito di alcuni suoi confratelli burloni, che gli dicevano: "Tommaso, vieni a vedere un bue che vola!". Taciturno, era chiamato dai suoi condiscepoli “il gran bue muto di Sicilia" (così i confratelli tedeschi, per i quali tutta l'Italia era Sicilia): ma Alberto Magno, suo maestro, che ben lo conosceva, rivolto agli allievi, esclamò: «Voi lo chiamate bue muto, ma egli darà tale muggito nella dottrina che tutto il mondo ne risuonerà».

Con intuizione sicura e precisa, Alberto svelava la natura eccezionale dell'allievo, predicendone la grandezza e avviando il giovane verso la luce della notorietà. Un giorno lo chiamerà «la luce e la gloria del mondo». A Colonia Tommaso fu ordinato sacerdote e si confermò nella sua vocazione di discepolo e predicatore della Verità.

Spesso durante la Messa si commuoveva fino alle lacrime. E quando passava a piedi per i campi, i contadini meravigliati dalla sua imponenza si voltavano verso di lui. Amante della verità sopra ogni cosa, consacrava tutto il suo tempo alla riflessione. Cosicché anche durante i pasti egli continuava a pensare, e i suoi confratelli potevano cambiagli le pietanze nel piatto senza che egli se ne accorgesse.

Dalla cattedra di Parigi

Nel 1252, Tommaso, ventisettenne, lasciava la Germania, perché il maestro lo aveva proposto per l'insegnamento della teologia a Parigi, all' università della Sorbona, che era uno dei primi centri intellettuali dell'epoca. Il compito affidatogli era grande e difficile, ma egli che non aveva sollecitato l'onore, si piègò all'ubbidienza, ponendo tutte le forze del suo ingegno e tutto l'impegno della sua tenace volontà nell'approfondimento delle verità teologiche.

Dal 1252 al 1256 svolse il suo insegnamento in qualità di baccelliere biblico, il cui compito era di commentare i Libri Sacri, e, nel 1256, iniziò il corso dottorale. Fin dalla prolusione suscitò entusiasmo per la chiarezza dell'esposizione, la profondità delle argomentazioni e la larghezza di visuale.

Proprio in quegli anni si scatenò a Parigi una lotta accanita da parte dei maestri secolari della Sorbona contro i religiosi domenicani e francescani che, con l'opera e l'insegnamento, suscitavano sempre più vasta ammirazione fra gli studenti e la popolazione. Gli avversari ricorsero anche a libelli ingiuriosi e calunniosi, tendenti prima a ridurre e poi a togliere ai maestri religiosi la facoltà di insegnare; e riuscirono anche a brigare presso i prelati della Curia Romana fino a impressionare il Papa Innocenzo IV che, ingannato dai calunniatori, ritenne opportuno restringere e quasi sopprimere i privilegi degli Ordini religiosi, che insegnavano alla Sorbona. Ma il successore Alessandro IV seppe sventare le mene dei calunniatori e abolì tutte le restrizioni, reintegrando Francescani e Domenicani nei loro diritti.

Nell'imperversare della tempesta, Tommaso continuò l'insegnamento con una serenità che gli veniva dalla volontà ferrea e dalla piena consapevolezza della sublimità della sua missione. E quando gli avversari tentarono di colpire la libertà d'insegnamento e la stessa libertà religiosa, egli intervenne a difendere la nobile causa con la sua vasta scienza e il suo vigore di polemista.

Nell'opuscolo «Contra impugnantes Dei cultum et religionem» difese l'ideale degli Ordini religiosi e il loro diritto d'insegnare e di predicare l'eterna Verità.

Gli avversari continuarono a tramare nell'ombra, e Tommaso scrisse, fra il 1269 e il 1270, altre due opere «De perfectione vitae spiritualis» e «Contra pestiferam doctrinam retrahentium homines a religionis ingressu».

San Raimondo da Pennafort e il Maestro generale dei Domenicani, Umberto de Romans, incaricarono San Tommaso di un manuale chiaro e preciso di sintesi della filosofia cristiana. Era necessario che i futuri evangelizzatori acquistassero una buona conoscenza delle lingue dei popoli che volevano convertire. Ma si richiedeva soprattutto una preparazione filosofica adeguata, per dare una base razionale alla esposizione della dottrina cristiana e confutare le obiezioni che venivano mosse contro la fede dai pensatori arabi e giudaici, che facevano riferimento anche alla filosofia greca, in particolare al platonismo e all'aristotelismo.

San Tommaso, nel 1251, iniziò, con fervore missionario, l'opera richiesta, che fu intitolata: «Summa contra gentiles» o «Liber de veritate fidei christianae contra errores infidelium».

E' una vera apologia delle verità cristiane contro gli errori di tutti i tempi; piena di rispetto e amore verso gli erranti, ma ferma e implacabile contro gli errori.

Il decennio trascorso in Italia fu straordinariamente operoso: insegnamento in varie città (Anagni, Orvieto,Viterbo) al seguito della Corte Pontificia, in qualità di Capo della scuola teologica della Curia papale; Ufficio di Predicatore generale dell’Ordine, che lo impegnava a occuparsi degli studi e delle scuole domenicane; intensa attività del ministero sacerdotale, particolarmente con la predicazione; e dal 1265 al1267, moderatore degli studi al convento di Santa Sabina a Roma che lo aveva accolto agli inizi della vita religiosa. Tornato a Parigi nel 1268, venne coinvolto in una controversia con il filosofo fiammingo Sigieri di Brabante e altri seguaci del filosofo arabo Averroè. Tommaso conciliò fede e intelletto e realizzò una sintesi filosofica (che poi accordò con la Bibbia e la dottrina cattolica) delle opere e degli insegnamenti di Aristotele e di altri filosofi antichi; di Agostino e altri padri della Chiesa; di Averroè, Avicenna e altri studiosi islamici; di pensatori ebrei come Maimonide e Avicebron e di precedenti filosofi della tradizione scolastica.

Pur così impegnato, egli delineava l’opera che più di ogni altra avrebbe portato l’impronta del suo genio, la «Summa Teologica», composta parte in Italia, fra il 1266 e il 1268, parte nella sua seconda permanenza a Parigi fra il 1269 e il 1272, e continuata a Napoli tra la fine del 1272 e il 1273. Scopo del Santo era quello di dare ai giovani studenti domenicani un manuale di teologia che non si esaurisse nelle aule scolastiche, ma desse una chiara e sistematica esposizione delle verità rivelate a coloro che dovevano essere maestri di cultura a tutto il mondo intellettuale. La Summa si sviluppa in tre parti.

Nella prima tratta i grandi argomenti dell’ esistenza di Dio.

Nella seconda parte tratta della morale, in cui è studiato l’uomo che, essendo dotato di intelligenza e di libera volontà, è padrone e responsabile dei suoi atti e con la suo opera deve rivolgersi a Dio, Fine Supremo. Analizza la vita emotiva e la psicologia delle passioni da ordinare e illuminare come forze potenti per la vita morale. Esamina le virtù intellettuali e teologali. Pone l’etica come cardine di tutte le scienze sociali e giuridiche.

Nella terza tratta dei problemi cristologici.

Tommaso è il principale esponente della filosofia scolastica del 1200. Egli cercava di riallineare la filosofia aristotelica al Cristianesimo. La filosofia scolastica partiva dal presupposto secondo cui l'intelligenza umana è in grado di raggiungere la verità mediante il metodo speculativo e assumeva che esistono tre diversi ordini di verità a cui rivolgere la speculazione.

Il suo sistema filosofico, detto "tomismo", costituì per secoli il filone principale sia della dottrina teologica sia dell'insegnamento etico sia della visione del mondo della Chiesa cattolica.

L'opera di Tommaso segna una tappa decisiva nella storia della filosofia e al suo sistema, detto "tomismo", si rifecero per secoli il pensiero cattolico e la dottrina teologica. In alcune encicliche papa Leone XIII e papa Pio XII riconobbero nella filosofia tomista la guida più sicura per la dottrina e l'istruzione scolastica cattolica, scoraggiando qualunque allontanamento da essa. In epoca contemporanea, il neotomismo rappresenta ancora una fra le principali scuole di pensiero; tra i pensatori che si confrontarono con il pensiero di Tommaso vi furono i filosofi francesi Jacques Maritain ed Etienne Gilson.

Accanto alla tematica del giusto prezzo di Aristotele dagli scolastici veniva formulata la teoria del "giusto salario", ossia quella che mantiene al lavoratore un livello di vita adeguato alla sua condizione sociale. Secondo gli scolastici il giusto prezzo doveva garantire la giustizia commutativa, cioè lo scambio uguale, in modo che nessuno, dallo scambio di merci, potesse ottenere più di quanto dava. Per quanto riguarda la MONETA essa, a differenza delle merci reali, che possedevano un "valore intrinseco", aveva un valore convenzionale. Appunto tra gli scolastici predomina una teoria convenzionalista della moneta: la moneta è un segno ed è stata inventata dagli uomini per misurare il valore delle merci ed agevolare gli scambi; è un bene fungibile che si consuma con l'uso. Da qui la condanna all'usura. In Tommaso D'Aquino troviamo infine il tentativo di giustificare la proprietà privata: Dio ha creato la terra per tutti gli uomini, nessuno può arrogarsi un diritto che privi gli altri uomini dell'uso dei beni creati. Nonostante ciò la proprietà privata può essere giustificata come stimolo al lavoro perciò va intesa come una forma di concessione che la comunità fa all'individuo e va esercitata come un servizio.

La metafisica di Tommaso è essenzialmente la metafisica aristotelica tramandata dagli Arabi. La differenza fondamentale è nell'introduzione del concetto di atto e potenza applicati non solo al mondo sensibile, ma anche a livello ontologico.

Per San Tommaso l’essenza è potenza dell'esistenza. Possiamo chiamare l'esistenza atto d'essere, usando il termine di Tommaso, o semplicemente essere.

L'estasi

Nel 1269 San Tommaso era di nuovo nominato maestro di teologia dell'Università di Parigi, dove già si era affermato, suscitando l'entusiasmo degli allievi e il rispetto degli stessi avversari.

Dopo un triennio, fervido di opere e di attività, fu richiamato in Italia; partecipò a Firenze al Capitolo generale dei Domenicani, dove fu deciso di aprire un nuovo studio generale dell'Ordine a Napoli, e di affidare l'insegnamento a San Tommaso.

Passando per Roma, il Santo rivide la pia sorella Teodora col marito conte Ruggiero di Sanseverino, ch'era stato costituito da re Carlo d'Angiò suo vicario nell'Urbe; tornò brevemente ai paesi della sua fanciullezza; provvide a sistemare la tutela del figlioletto della sorella Adelasia, rimasta vedova del conte di Traetto.

San Tommaso fu a Salerno dove tenne una serie di lezioni straordinarie nella celebre Scuola Medica che aveva sollecitato l’onore ed il decoro della parola del Santo.

Rivide Napoli dopo ben ventisette anni e iniziò subito le sue lezioni nella scuola domenicana, ch'era riconosciuta come Facoltà teologica dell'Università, con regio assenso di re Carlo, che fissò anche lo stipendio dovuto al grande maestro.

L'Università di Napoli, anche in periodi di acceso laicismo, ha sempre considerato suo vanto e decoro il magistero universitario del Santo Dottore, che nel 1852 fu proclamato celeste patrono dell' Ateneo.

Le lezioni del maestro erano seguite da numerosi alunni e anche da persone insigni tra cui cui l'arcivescovo di Capua e l'arcivescovo di Salerno, Matteo Della Porta.

Oltre ad attendere all'insegnamento e alla compilazione di opuscoli apologetici e filosoficoteologici, il Santo si dedicava al sacro ministero della predicazione. Nel 1273 predicò il Quaresimale nella chiesa napoletana di San Domenico e, fatto nuovo per quei tempi, invece del latino, usò la lingua volgare, per poter essere accessibile a tutti.

Intanto attendeva al completamento della terza parte della Somma Teologica.

Egli non era freddo, distaccato ragionatore, ma andava alla verità con tutta l'anima. Il pensatore e il santo erano due aspetti indissolubili della sua personalità. Per dedicarsi completamente al servizio della verità, aveva rifiutato alte cariche ecclesiastiche, quali la nomina ad abate di Montecassino, consentendogli di conservare il saio domenicano, e la nomina ad arcivescovo di Napoli. La profonda umiltà e la purità angelica, eliminando l'orgoglio dello spirito e l'orgoglio della carne, permisero al suo genio di spaziare nei cieli del sapere, mentre la preghiera e la contemplazione gli aprirono le sorgenti della Sapienza celeste.

Il 6 dicembre 1273, mentre celebrava nella chiesa di San Domenico a Napoli, fu rapito in estasi e dovettero scuoterlo, per farlo tornare alle normali occupazioni, ma da quel giorno non volle più scrivere.

Al confratello fra Reginaldo da Piperno, che gli faceva continue, dolci insistenze a riprendere la penna, per completare la Somma Teologica, Tommaso disse:

«Tutto quello che ho scritto mi sembra un pugno di paglia a paragone di quello che ho visto e mi è stato rivelato. E' venuta la fine della mia scrittura, e spero che sia vicina la fine della mia vita».

Chiamato dal Papa Gregorio X a partecipare come esperto al Concilio di Lione, insieme con altri insigni teologi del tempo (Sant'Alberto Magno, San Bonaventura da Bagnoregio, Pietro di Tarantasia) fu colto da improvviso malore lungo il viaggio, e fraternamente ospitato dai monaci di Fossanova nel Lazio. Erano con lui anche fra' Giacomo da Salerno, umile fratello laico domenicano, che fu addetto al servizio di San Tommaso, e fra Reginaldo da Piperno suo confessore. Riferisce il suo biografo Guglielmo da Tocco, fra Giacomo e fra Reginaldo furono testimoni di un’estasi che san Tommaso ebbe a Salerno «cum esset in conventu fratrum» e un’altra che ebbe nel castello di Sanseverino.

Il sole del suo genio e della sua santità dava gli ultimi bagliori. Commentò in modo stupendo il libro sacro del Cantico dei cantici e, prima di ricevere il Santo Viatico, in umile e fervida adorazione, rinnovò la sua professione di fede: «Ricevo Te, prezzo della redenzione dell'anima mia, per il cui amore ho studiato, vegliato, lavorato. Ho predicato Te, ho insegnato Te. Non ho detto mai nulla contro di Te».

Queste parole sono il più bel compendio di tutta la sua mirabile vita e indicano il segreto della sua prodigiosa attività.

Il 7 marzo 1274, chiudeva la sua giornata terrena ed entrava nella gloria, da lui più volte pregustata nell'estasi orante.

Il Papa Giovanni XXII, trattando la sua causa di canonizzazione, scrisse: «Non dubitiamo che fra Tommaso d'Aquino sia glorioso nel cielo, perché la sua vita è stata santissima e la sua dottrina prodigiosa. Egli solo ha sparso più luce nella Chiesa che tutti gli altri Dottori».

Molte sono le reliquie di questo santo sparse nel mondo.

Il corpo si venera nella chiesa di St. Sernin. Sepolto originariamente a Fossanova, fu traslato, nel gennaio del 1369, a Tolosa dove rimase fino al 1791. In questa occasione il braccio destro fu dato ai Domenicani di Parigi che, in seguito, lo portarono a Roma dove, nella chiesa dei Ss. Domenico e Sisto, veniva esposto ai fedeli l’8 marzo. Un’altra reliquia, sempre proveniente da un braccio, fu donata da Urbano VIII, il 15 maggio del 1633, alla chiesa della Concezione a Via Veneto.

La custodia della reliquia della mano destra è vantata dalla chiesa di San Domenico a Salerno. La contessa Teodora, nel 1288, aveva chiesto all’abate di Fossanova di avere come reliquia la mano destra del santo fratello. E, come narra Guglielmo da Tocco, l’abate staccò la mano destra dal corpo del Santo e la consegnò alla contessa che dapprima la collocò nella cappella del castello di Sanseverino e poi, d’accordo con il figlio Tommaso (colui che edificò la certosa di Padula), decise di donarla alla chiesa domenicana di Salerno.

Le sue Opere:

De ente et essentia
1255

De veritate (quaestio disputata)
1256-9

Summa contra Gentiles
1258-63

De potentia (quaestio disputata)
1259-68

Contra errores graecorum
1263

Compendium theologiae
1265-7

De regimine principum
1266 (secondo Chenu non fu portato a termine da Tommaso stesso (Introd. à l'Etude de S.Thomas, p. 287-8)

De anima (quaestio disputata)
1266

Summa theologiae
1266-73

De spiritualibus creaturis
1266-9

De unione Verbi incarnati
1269-71

De malo (quaestio disputata)
1269-72

De unitate intellectus
1270

Contra impugnantes Dei cultum
1270 (in difesa della vita religiosa dei mendicanti)

De aeternitate mundi
1270 (71)

Bibliografia:

mons. Alfonso Tisi, San Tommaso d’Aquino e Salerno, grafica Jannone Salerno, edizione febbraio 1974

siti internet:

www.enrosadira.it

www.culturanuova.net

www.skuola.net

www.storiafi.altervista.org

www.cronologia.it

FONTE (http://www.ilportaledelsud.org/stommaso.htm)

Augustinus
27-01-07, 17:38
Preghiera per ricevere il dono della purezza

Preghiera fatta da San Tommaso dopo aver riportato vittoria su una forte tentazione contro la purezza facendosi il segno di croce
Del segno di croce San Tommaso scriverà che “è il segno trionfale della vittoria di Cristo contro i demoni” (crux triumphale signum victoriae Christi contra daemones – Commento ai Galati, lectio 4, cap. 6)

Signore, mio Dio, io so molto bene che senza di Te non posso essere casto, né avere in me la purità se da te non mi è data. Ti prego dunque per la tua infinita misericordia che tu voglia ricevere questa mia anima e questo mio corpo che ora ti offro, e che tu non voglia mai abbandonarmi affinché per tutto il tempo della mia vita possa servirti con purità perché solo a Te consacro e dedico questo mio corpo e tutto il mio spirito Ricevimi Signore sotto le tue ali, né permettere che io mai ti offenda o da te mi allontani.

Preghiera dello studente a San Tommaso

O San Tommaso d’Aquino, Dottore Angelico, al tuo illuminato patrocinio affido i miei doveri di cristiano e di studente: sviluppa nel mio spirito il seme divino di una fede intelligente e feconda;
conserva puro il mio cuore nel limpido riflesso dell’amore e delle bellezze divine;
sostieni la mia intelligenza e la mia memoria nello studio della scienza umana;
conforta lo sforzo della mia volontà nell’onesta ricerca della verità;
difendimi dalla sottile insidia dell’orgoglio che allontana da Dio;
guidami con mano sicura nei momenti di dubbio;
rendimi degno erede della tradizione scientifica e cristiana dell’umanità;
illumina il mio cammino attraverso le meraviglie del creato affinché impari a conoscere e amare il Creatore, che è Dio, Sapienza infinita. Amen.

Preghiera liturgica

O Dio, che nella tua provvidenza hai donato alla Chiesa Tommaso d'Aquino maestro di sapienza e modello di santità per sua intercezzione fa' che ti cerchiamo con sincerità e ti amiamo con tutte le nostre forze.
Per Cristo Nostro Signore. Amen

oppure

O Dio, che in San Tommaso d'Aquino hai dato alla tua Chiesa un modello sublime di santità e di dottrina, donaci la luce per comprendere e suoi insegnamenti e la forza per imitare i suoi esempi.
Per Cristo Nostro Signore. Amen

FONTE (http://www.amicidomenicani.it/santommaso.php)

Augustinus
27-01-07, 17:40
San Tommaso D'Aquino a Fossanova

Nel febbraio del 1274 alloggiò per qualche giorno a Fossanova San Tommaso d’Aquino. Era di passaggio, dovendosi recare al Concilio di Lione in rappresentanza di Papa Gregorio X. Tommaso trovò invece qui la morte e il suo corpo fu conservato nella Chiesa fino al 1368, quando il Pontefice Urbano V dispose il trasferimento delle spoglie a Tolosa, accogliendo le richieste dei Domenicani, Ordine al quale era appartenuto Tommaso.

Sembra però, ma la vicenda appare torbida, oltre che macabra, che fra Giovanni da Presenziano, Monaco a Fossanova, trafugò alcune parti del corpo del Santo, tra cui la testa, sostituendole con altre procuratesi altrove. Nascose poi i poveri resti in altre zone della Chiesa, occultando la testa separatamente dalle altre spoglie. Su queste ultime pare che Fra Giovanni appose una targa di piombo con su un’iscrizione, a testimonianza della sua impresa. La testa fu rinvenuta nel 1585 dal Priore Giovanni Viele, il resto delle reliquie solo nel 1772 dall’Abate Pio Piermartini. I Dominicani si sono sempre fieramente opposti a questa versione, accusando il Viele dimanovre appositamente architettate per ridonare prestigio alla Chiesa di Fossanova.

FONTE (http://www.istitutospiov.it/iccd_latina/pagina.3a.1.3.5.htm)

D'Aquino
28-01-07, 11:12
come potevo non intervenire su una discussione che richiama il santo a cui si ispira il mio nick?
S.Tommaso, pietra miliare della teologia cristiano-cattolica.
Nessun confronto con i teologi di oggi (mi perdonino, ma la penso così).
Per non parlare della mole degli scritti, enorme; ma razionali, lucidi, chiari.
Grazie caro Tommaso, prega per noi.

D'Aquino
28-01-07, 11:14
ah, mi dimenticavo di ringraziare Augustinus per il materiale cha ha raccolto e pubblicato sul forum a propositio del santo.

Augustinus
28-01-07, 11:43
http://www.cattolicesimo.com/immsacre/tom1.jpg Diego Velazquez, Tentazione di S. Tommaso d'Aquino, 1631-32, Museo Diocesano, Orihuela. Il dipinto si riferisce al tentativo fatto dai suoi fratelli di ostacolarlo nella vocazione: prevedendo per lui un avvenire ben diverso, lo rinchiusero nell’avito castello di Roccasecca e gli introdussero una donna nella stanza che il santo, brandendo un tizzone, mise in fuga, mentre due angeli gli legavano saldamente i fianchi.

http://www.wga.hu/art/l/lotto/1507-10/04recan2.jpg Lorenzo Lotto, SS. Tommaso d'Aquino e Flaviano, Pietro martire e Vito, 1508, Pinacoteca Comunale, Recanati

http://www.wga.hu/art/s/sassetta/eucharis/60thomas.jpg Sassetta, S. Tommaso ispirato dallo Spirito Santo, 1423, Museum of Fine Arts, Budapest

http://img147.imageshack.us/img147/6746/aquino1hh2.jpg Francisco Bayeu y Subías, S. Tommaso d'Aquino vince le eresie, 1759-60, Museo di Saragozza

http://img329.imageshack.us/img329/1948/aquino2kv0.jpg Marco Palmezzano, Madonna con Bambino e Santi (SS. Lorenzo martire, Franesco d'Assisi, Giovanni Battista, Antonio abate, Tommaso d'Aquino, Pietro), 1537, Musei Vaticani, Roma

http://img147.imageshack.us/img147/9333/aquino3da6.jpg Giovan Francesco Gessi, La tentazione di San Tommaso d’Aquino, XVII sec., Reggio Emilia

http://www.juntadeandalucia.es/cultura/museos/media/fotos/MBASE_os_29_e506p_lg.jpg Francisco de Herrera, detto il Monco, S. Tommaso scrive il Pange lingua, 1656 circa, Museo de Bellas Artes, Siviglia

Augustinus
28-01-07, 13:38
BENEDETTO XVI

ANGELUS

Domenica, 28 gennaio 2007

Cari fratelli e sorelle!

Il calendario liturgico ricorda oggi san Tommaso d’Aquino, grande dottore della Chiesa. Con il suo carisma di filosofo e di teologo, egli offre un valido modello di armonia tra ragione e fede, dimensioni dello spirito umano, che si realizzano pienamente nell’incontro e nel dialogo tra loro. Secondo il pensiero di san Tommaso, la ragione umana, per così dire, "respira": si muove, cioè, in un orizzonte ampio, aperto, dove può esprimere il meglio di sé. Quando invece l’uomo si riduce a pensare soltanto ad oggetti materiali e sperimentabili e si chiude ai grandi interrogativi sulla vita, su se stesso e su Dio, si impoverisce. Il rapporto tra fede e ragione costituisce una seria sfida per la cultura attualmente dominante nel mondo occidentale e, proprio per questo, l’amato Giovanni Paolo II ha voluto dedicarvi un’Enciclica, intitolata appunto Fides et ratio – Fede e ragione. Ho ripreso anch’io quest’argomento recentemente, nel discorso all’Università di Regensburg.

In realtà, lo sviluppo moderno delle scienze reca innumerevoli effetti positivi, che vanno sempre riconosciuti. Al tempo stesso, però, occorre ammettere che la tendenza a considerare vero soltanto ciò che è sperimentabile costituisce una limitazione della ragione umana e produce una terribile schizofrenia, ormai conclamata, per cui convivono razionalismo e materialismo, ipertecnologia e istintività sfrenata. È urgente, pertanto, riscoprire in modo nuovo la razionalità umana aperta alla luce del Logos divino e alla sua perfetta rivelazione che è Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo. Quando è autentica la fede cristiana non mortifica la libertà e la ragione umana; ed allora, perché fede e ragione devono avere paura l’una dell’altra, se incontrandosi e dialogando possono esprimersi al meglio? La fede suppone la ragione e la perfeziona, e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali. La ragione umana non perde nulla aprendosi ai contenuti di fede, anzi, questi richiedono la sua libera e consapevole adesione.

Con lungimirante saggezza, san Tommaso d’Aquino riuscì ad instaurare un confronto fruttuoso con il pensiero arabo ed ebraico del suo tempo, sì da essere considerato un maestro sempre attuale di dialogo con altre culture e religioni. Egli seppe presentare quella mirabile sintesi cristiana tra ragione e fede che per la civiltà occidentale rappresenta un patrimonio prezioso, a cui attingere anche oggi per dialogare efficacemente con le grandi tradizioni culturali e religiose dell’est e del sud del mondo. Preghiamo affinché i cristiani, specialmente quanti operano in ambito accademico e culturale, sappiano esprimere la ragionevolezza della loro fede e testimoniarla in un dialogo ispirato dall’amore. Chiediamo questo dono al Signore per intercessione di san Tommaso d’Aquino e soprattutto di Maria, Sede della Sapienza.

Timoteo (POL)
16-10-07, 21:42
Se il bene sia concettualmente prima del vero (S. Th. I, q. 16, a. 4)

SEMBRA che il bene sia concettualmente prima del vero. Infatti:
1. Ciò che è più universale, concettualmente è prima, come insegna Aristotele. Ora, il bene è più universale del vero, perché il vero è un certo bene, ossia è il bene dell'intelletto. Dunque il bene concettualmente è prima del vero.
2. Il bene è nelle cose, il vero invece è nel comporre e nel dividere dell'intelligenza, come si è detto. Ora, ciò che è nella realtà delle cose è anteriore a ciò che è nell'intelletto. Dunque il bene concettualmente è prima del vero.
3. Secondo Aristotele, la verità è una virtù. Ma la virtù rientra nel bene: perché, al dire di S. Agostino, è una buona qualità dell'animo. Dunque il bene è prima del vero.

IN CONTRARIO: Quello che è più comune, è concettualmente anteriore. Ora, il vero è in alcune cose nelle quali non si trova il bene, cioè nelle entità matematiche. Dunque il vero è prima del bene.

RISPONDO: Nonostante che il vero e il bene siano in concreto identici all'ente, tuttavia differiscono concettualmente. E sotto questo riguardo il vero, assolutamente parlando, è anteriore al bene, per due motivi. Primo motivo: perché il vero è più vicino all'ente, il quale è prima del bene. Infatti, il vero dice rapporto all'essere stesso semplicemente ed immediatamente, mentre la nozione di bene consegue all'essere, in quanto l'essere, in certo modo, dice perfezione; infatti sotto questo aspetto l'essere è appetibile. - Secondo motivo: perché la conoscenza naturalmente precede l'appetizione. Quindi, siccome il vero dice rapporto alla cognizione, e il bene alla facoltà appetitiva, il vero è concettualmente prima del bene.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La volontà e l'intelletto si includono a vicenda, perché l'intelletto conosce la volontà, e la volontà muove l'intelletto a conoscere. Così, dunque, tra le cose che dicono ordine all'oggetto della volontà, si trovano anche quelle che riguardano l'intelletto, e viceversa. Quindi, nell'ordine del desiderabile, il bene ha ragione di universale e il vero ha ragione di particolare; nell'ordine poi dell'intelligibile è l'inverso. Per il fatto, dunque, che il vero è un certo bene, ne segue che il bene sia prima nell'ordine degli appetibili, non però che sia prima assolutamente.
2. Una cosa è concettualmente anteriore, perché considerata per prima dall'intelletto. L'intelletto innanzi tutto raggiunge l'ente; in secondo luogo conosce se stesso nell'atto di intendere l'ente; in terzo luogo conosce se stesso nell'atto di desiderare l'ente. Perciò, prima abbiamo la nozione di ente, dipoi la nozione di vero, finalmente la nozione di bene, per quanto il bene sia intrinseco alle cose.
3. La virtù detta verità (o veracità), non è la verità in genere, ma è quella specie di verità per la quale l'uomo nel dire e nel fare si palesa quale è. In senso più ristretto parliamo di verità della vita in quanto l'uomo nella sua vita attua quello a cui è ordinato dalla divina intelligenza: nel senso in cui, come abbiamo spiegato, la verità è in tutte le cose. Si dà poi una verità della giustizia quando l'uomo rispetta gli obblighi che ha verso gli altri secondo le disposizioni della legge. Ma da queste (accezioni del termine) verità (così) particolari non si possono fare deduzioni circa la verità in generale.

Augustinus
07-03-08, 09:28
St. Thomas Aquinas

Philosopher, theologian, doctor of the Church (Angelicus Doctor), patron of Catholic universities, colleges, and schools. Born at Rocca Secca in the Kingdom of Naples, 1225 or 1227; died at Fossa Nuova, 7 March, 1274.

I. LIFE

The great outlines and all the important events of his life are known, but biographers differ as to some details and dates. Death prevented Henry Denifle from executing his project of writing a critical life of the saint. Denifle's friend and pupil, Dominic Prümmer, O.P., professor of theology in the University of Fribourg, Switzerland, took up the work and published the "Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis, notis historicis et criticis illustrati"; and the first fascicle (Toulouse, 1911) has appeared, giving the life of St. Thomas by Peter Calo (1300) now published for the first time. From Tolomeo of Lucca ... we learn that at the time of the saint's death there was a doubt about his exact age (Prümmer, op. cit., 45). The end of 1225 is usually assigned as the time of his birth. Father Prümmer, on the authority of Calo, thinks 1227 is the more probable date (op. cit., 28). All agree that he died in 1274.

Landulph, his father, was Count of Aquino; Theodora, his mother, Countess of Teano. His family was related to the Emperors Henry VI and Frederick II, and to the Kings of Aragon, Castile, and France. Calo relates that a holy hermit foretold his career, saying to Theodora before his birth: "He will enter the Order of Friars Preachers, and so great will be his learning and sanctity that in his day no one will be found to equal him" (Prümmer, op. cit., 18). At the age of five, according to the custom of the times, he was sent to receive his first training from the Benedictine monks of Monte Cassino. Diligent in study, he was thus early noted as being meditative and devoted to prayer, and his preceptor was surprised at hearing the child ask frequently: "What is God?".

About the year 1236 he was sent to the University of Naples. Calo says that the change was made at the instance of the Abbot of Monte Cassino, who wrote to Thomas's father that a boy of such talents should not be left in obscurity (Prümmcr, op. cit., 20). At Naples his preceptors were Pietro Martini and Petrus Hibernus. The chronicler says that he soon surpassed Martini at grammar, and he was then given over to Peter of Ireland, who trained him in logic and the natural sciences. The customs of the times divided the liberal arts into two courses: the Trivium, embracing grammar, logic, and rhetoric; the Quadrivium, comprising music, mathematics, geometry, and astronomy ... Thomas could repeat the lessons with more depth and lucidity than his masters displayed. The youth's heart had remained pure amidst the corruption with which he was surrounded, and he resolved to embrace the religious life.

Some time between 1240 and August, 1243, he received the habit of the Order of St. Dominic, being attracted and directed by John of St. Julian, a noted preacher of the convent of Naples. The city wondered that such a noble young man should don the garb of poor friar. His mother, with mingled feelings of joy and sorrow, hastened to Naples to see her son. The Dominicans, fearing she would take him away, sent him to Rome, his ultimate destination being Paris or Cologne. At the instance of Theodora, Thomas's brothers, who were soldiers under the Emperor Frederick, captured the novice near the town of Aquapendente and confined him in the fortress of San Giovanni at Rocca Secca. Here he was detained nearly two years, his parents, brothers, and sisters endeavouring by various means to destroy his vocation. The brothers even laid snares for his virtue, but the pure-minded novice drove the temptress from his room with a brand which he snatched from the fire. Towards the end of his life, St. Thomas confided to his faithful friend and companion, Reginald of Piperno, the secret of a remarkable favour received at this time. When the temptress had been driven from his chamber, he knelt and most earnestly implored God to grant him integrity of mind and body. He fell into a gentle sleep, and, as he slept, two angels appeared to assure him that his prayer had been heard. They then girded him about with a white girdle, saying: "We gird thee with the girdle of perpetual virginity." And from that day forward he never experienced the slightest motions of concupiscence.

The time spent in captivity was not lost. His mother relented somewhat, after the first burst of anger and grief; the Dominicans were allowed to provide him with new habits, and through the kind offices of his sister he procured some books — the Holy Scriptures, Aristotle's Metaphysics, and the "Sentences" of Peter Lombard. After eighteen months or two years spent in prison, either because his mother saw that the hermit's prophecy would eventually be fulfilled or because his brothers feared the threats of Innocent IV and Frederick II, he was set at liberty, being lowered in a basket into the arms of the Dominicans, who were delighted to find that during his captivity "he had made as much progress as if he had been in a studium generale" (Calo, op. cit., 24).

Thomas immediately pronounced his vows, and his superiors sent him to Rome. Innocent IV examined closely into his motives in joining the Friars Preachers, dismissed him with a blessing, and forbade any further interference with his vocation. John the Teutonic, fourth master general of the order, took the young student to Paris and, according to the majority of the saint's biographers, to Cologne, where he arrived in 1244 or 1245, and was placed under Albertus Magnus, the most renowned professor of the order. In the schools Thomas's humility and taciturnity were misinterpreted as signs of dullness, but when Albert had heard his brilliant defence of a difficult thesis, he exclaimed: "We call this young man a dumb ox, hut his bellowing in doctrine will one day resound throughout the world".

In 1245 Albert was sent to Paris, and Thomas accompanied him as a student. In 1248 both returned to Cologne. Albert had been appointed regent of the new studium generale, erected that year by the general chapter of the order, and Thomas was to teach under him as Bachelor. (On the system of graduation in the thirteenth century see ORDER OF PREACHERS -- II, A, 1, d). During his stay in Cologne, probably in 1250, he was raised to the priesthood by Conrad of Hochstaden, archbishop of that city. Throughout his busy life, he frequently preached the Word of God, in Germany, France, and Italy. His sermons were forceful, redolent of piety, full of solid instruction, abounding in apt citations from the Scriptures.

In the year 1251 or 1252 the master general of the order, by the advice of Albertus Magnus and Hugo a S. Charo (Hugh of St. Cher), sent Thomas to fill the office of Bachelor (sub-regent) in the Dominican studium at Paris. This appointment may be regarded as the beginning of his public career, for his teaching soon attracted the attention both of the professors and of the students. His duties consisted principally in explaining the "Sentences" of Peter Lombard, and his commentaries on that text-book of theology furnished the materials and, in great part, the plan for his chief work, the "Summa theologica".

In due time he was ordered to prepare himself to obtain the degree of Doctor in Theology from the University of Paris, but the conferring of the degree was postponed, owing to a dispute between the university and the friars. The conflict, originally a dispute between the university and the civic authorities, arose from the slaying of one of the students and the wounding of three others by the city guard. The university, jealous of its autonomy, demanded satisfaction, which was refused. The doctors closed their schools, solemnly swore that they would not reopen them until their demands were granted, and decreed that in future no one should be admitted to the degree of Doctor unless he would take an oath to follow the same line of conduct under similar circumstances. The Dominicans and Franciscans, who had continued to teach in their schools, refused to take the prescribed oath, and from this there arose a bitter conflict which was at its height when St. Thomas and St. Bonaventure were ready to be presented for their degrees. William of St-Amour extended the dispute beyond the original question, violently attacked the friars, of whom he was evidently jealous, and denied their right to occupy chairs in the university. Against his book, "De periculis novissimorum temporum" (The Perils of the Last Times), St. Thomas wrote a treatise "Contra impugnantes religionem", an apology for the religious orders (Touron, op. cit., II, cc. vii sqq.). The book of William of St-Amour was condemned by Alexander IV at Anagni, 5 October, 1256, and the pope gave orders that the mendicant friars should be admitted to the doctorate.

About this time St. Thomas also combated a dangerous book, "The Eternal Gospel" (Touron, op. cit., II, cxii). The university authorities did not obey immediately; the influence of St. Louis IX and eleven papal Briefs were required before peace was firmly established, and St. Thomas was admitted to the degree of Doctor in Theology. The date of his promotion, as given by many biographers, was 23 October, 1257. His theme was "The Majesty of Christ". His text, "Thou waterest the hills from thy upper rooms: the earth shall be filled with the fruit of thy works" (Psalm 103:13), said to have been suggested by a heavenly visitor, seems to have been prophetic of his career. A tradition says that St. Bonaventure and St. Thomas received the doctorate on the same day, and that there was a contest of humility between the two friends as to which should be promoted first.

From this time St. Thomas's life may be summed up in a few words: praying, preaching, teaching, writing, journeying. Men were more anxious to hear him than they had been to hear Albert, whom St. Thomas surpassed in accuracy, lucidity, brevity, and power of exposition, if not in universality of knowledge. Paris claimed him as her own; the popes wished to have him near them; the studia of the order were eager to enjoy the benefit of his teaching; hence we find him successively at Anagni, Rome, Bologna, Orvieto, Viterbo, Perugia, in Paris again, and finally in Naples, always teaching and writing, living on earth with one passion, an ardent zeal for the explanation and defence of Christian truth. So devoted was he to his sacred task that with tears he begged to be excused from accepting the Archbishopric of Naples, to which he was appointed by Clement IV in 1265. Had this appointment been accepted, most probably the "Summa theologica" would not have been written.

Yielding to the requests of his brethren, he on several occasions took part in the deliberations of the general chapters of the order. One of these chapters was held in London in 1263. In another held at Valenciennes (1259) he collaborated with Albertus Magnus and Peter of Tarentasia (afterwards Pope Innocent V) in formulating a system of studies which is substantially preserved to this day in the studia generalia of the Dominican Order (cf. Douais, op. cit.).

It is not surprising to read in the biographies of St. Thomas that he was frequently abstracted and in ecstasy. Towards the end of his life the ecstasies became more frequent. On one occasion, at Naples in 1273, after he had completed his treatise on the Eucharist, three of the brethren saw him lifted in ecstasy, and they heard a voice proceeding from the crucifix on the altar, saying "Thou hast written well of me, Thomas; what reward wilt thou have?" Thomas replied, "None other than Thyself, Lord" (Prümmer, op. cit., p. 38). Similar declarations are said to have been made at Orvieto and at Paris.

On 6 December, 1273, he laid aside his pen and would write no more. That day he experienced an unusually long ecstasy during Mass; what was revealed to him we can only surmise from his reply to Father Reginald, who urged him to continue his writings: "I can do no more. Such secrets have been revealed to me that all I have written now appears to be of little value" (modica, Prümmer, op. cit., p. 43). The "Summa theologica" had been completed only as far as the ninetieth question of the third part (De partibus poenitentiae).

Thomas began his immediate preparation for death. Gregory X, having convoked a general council, to open at Lyons on 1 May, 1274, invited St. Thomas and St. Bonaventure to take part in the deliberations, commanding the former to bring to the council his treatise "Contra errores Graecorum" (Against the Errors of the Greeks). He tried to obey, setting out on foot in January, 1274, but strength failed him; he fell to the ground near Terracina, whence he was conducted to the Castle of Maienza, the home of his niece the Countess Francesca Ceccano. The Cistercian monks of Fossa Nuova pressed him to accept their hospitality, and he was conveyed to their monastery, on entering which he whispered to his companion: "This is my rest for ever and ever: here will I dwell, for I have chosen it" (Psalm 131:14). When Father Reginald urged him to remain at the castle, the saint replied: "If the Lord wishes to take me away, it is better that I be found in a religious house than in the dwelling of a lay person." The Cistercians were so kind and attentive that Thomas's humility was alarmed. "Whence comes this honour", he exclaimed, "that servants of God should carry wood for my fire!" At the urgent request of the monks he dictated a brief commentary on the Canticle of Canticles.

The end was near; extreme unction was administered. When the Sacred Viaticum was brought into the room he pronounced the following act of faith:

If in this world there be any knowledge of this sacrament stronger than that of faith, I wish now to use it in affirming that I firmly believe and know as certain that Jesus Christ, True God and True Man, Son of God and Son of the Virgin Mary, is in this Sacrament ... I receive Thee, the price of my redemption, for Whose love I have watched, studied, and laboured. Thee have I preached; Thee have I taught. Never have I said anything against Thee: if anything was not well said, that is to be attributed to my ignorance. Neither do I wish to be obstinate in my opinions, but if I have written anything erroneous concerning this sacrament or other matters, I submit all to the judgment and correction of the Holy Roman Church, in whose obedience I now pass from this life.

He died on 7 March, 1274. Numerous miracles attested his sanctity, and he was canonized by John XXII, 18 July, 1323. The monks of Fossa Nuova were anxious to keep his sacred remains, but by order of Urban V the body was given to his Dominican brethren, and was solemnly translated to the Dominican church at Toulouse, 28 January, 1369. A magnificent shrine erected in 1628 was destroyed during the French Revolution, and the body was removed to the Church of St. Sernin, where it now reposes in a sarcophagus of gold and silver, which was solemnly blessed by Cardinal Desprez on 24 July, 1878. The chief bone of his left arm is preserved in the cathedral of Naples. The right arm, bestowed on the University of Paris, and originally kept in the St. Thomas's Chapel of the Dominican church, is now preserved in the Dominican Church of S. Maria Sopra Minerva in Rome, whither it was transferred during the French Revolution.

A description of the saint as he appeared in life is given by Calo (Prümmer, op. cit., p. 401), who says that his features corresponded with the greatness of his soul. He was of lofty stature and of heavy build, but straight and well proportioned. His complexion was "like the colour of new wheat": his head was large and well shaped, and he was slightly bald. All portraits represent him as noble, meditative, gentle yet strong. St. Pius V proclaimed St. Thomas a Doctor of the Universal Church in the year 1567. In the Encyclical "Aeterni Patris", of 4 August, 1879, on the restoration of Christian philosophy, Leo XIII declared him "the prince and master of all Scholastic doctors". The same illustrious pontiff, by a Brief dated 4 August, 1880, designated him patron of all Catholic universities, academies, colleges, and schools throughout the world.

IIa. WRITINGS (GENERAL REMARKS)

Although St. Thomas lived less than fifty years, he composed more than sixty works, some of them brief, some very lengthy. This does not necessarily mean that every word in the authentic works was written by his hand; he was assisted by secretaries, and biographers assure us that he could dictate to several scribes at the same time. Other works, some of which were composed by his disciples, have been falsely attributed to him.

In the "Scriptores Ordinis Praedicatorum" (Paris, 1719) Fr. Echard devotes eighty-six folio pages to St. Thomas's works, the different editions and translations (I, pp. 282-348). Touron (op. cit., pp. 69 sqq.) says that manuscript copies were found in nearly all the libraries of Europe, and that, after the invention of printing, copies were multiplied rapidly in Germany, Italy, and France, portions of the "Summa theologica" being one of the first important works printed. Peter Schöffer, a printer of Mainz, published the "Secunda Secundae" in 1467. This is the first known printed copy of any work of St. Thomas. The first complete edition of the "Summa" was printed at Basle, in 1485. Many other editions of this and of other works were published in the sixteenth and seventeenth centuries, especially at Venice and at Lyons. The principal editions of all the work (Opera Omnia) were published as follows: Rome, 1570; Venice, 1594, 1612, 1745; Antwerp, 1612; Paris, 1660, 1871-80 (Vives); Parma, 1852-73; Rome, 1882 (the Leonine). The Roman edition of 1570, called "the Piana", because edited by order of St. Pius V, was the standard for many years. Besides a carefully revised text it contained the commentaries of Cardinal Cajetan and the valuable "Tabula Aurea" of Peter of Bergamo. The Venetian edition of 1612 was highly prized because the text was accompanied by the Cajetan-Porrecta commentaries ... The Leonine edition, begun under the patronage of Leo XIII, now continued under the master general of the Dominicans, undoubtedly will be the most perfect of all. Critical dissertations on each work will be given, the text will be carefully revised, and all references will be verified. By direction of Leo XIII (Motu Proprio, 18 Jan., 1880) the "Summa contra gentiles" will be published with the commentaries of Sylvester Ferrariensis, whilst the commentaries of Cajetan go with the "Summa theologica".

The latter has been published, being volumes IV-XII of the edition (last in 1906). St. Thomas's works may be classified as philosophical, theological, scriptural, and apologetic, or controversial. The division, however, cannot always be rigidly maintained. The "Summa theologica", e.g., contains much that is philosophical, whilst the "Summa contra gentiles" is principally, but not exclusively, philosophical and apologetic. His philosophical works are chiefly commentaries on Aristotle, and his first important theological writings were commentaries on Peter Lombard's four books of "Sentences"; but he does not slavishly follow either the Philosopher or the Master of the Sentences (on opinions of the Lombard rejected by theologians, see Migne, 1841, edition of the "Summa" I, p. 451).

IIb. WRITINGS (HIS PRINCIPAL WORKS)

Amongst the works wherein St. Thomas's own mind and method are shown, the following deserve special mention:

(1) "Quaestiones disputatae" (Disputed Questions) -- These were more complete treatises on subjects that had not been fully elucidated in the lecture halls, or concerning which the professor's opinion had been sought. They are very valuable, because in them the author, free from limitations as to time or space, freely expresses his mind and gives all arguments for or against the opinions adopted. These treatises, containing the questions "De potentia", "De malo", "De spirit. creaturis", "De anima", "De unione Verbi Incarnati", "De virt. in communi", "De caritate", "De corr. fraterna", "De spe", "De virt. cardinal.", "De veritate", were often reprinted, e.g. recently by the Association of St. Paul (2 vols., Paris and Fribourg, Switzerland, 1883).

(2) "Quodlibeta" (may be rendered "Various Subjects", or "Free Discussions") -- They present questions or arguments proposed and answers given in or outside the lecture halls, chiefly in the more formal Scholastic exercises, termed circuli, conclusiones, or determinationes, which were held once or twice a year.

(3) "De unitate intellectus contra Averroistas" -- This opusculum refuted a very dangerous and widespread error, viz., that there was but one soul for all men, a theory which did away with individual liberty and responsibility. (See AVERROES)

(4) "Commentaria in Libros Sententiarum" (mentioned above) -- This with the following work are the immediate forerunners of the "Summa theologica".

(5) "Summa de veritate catholicae fidei contra gentiles" (Treatise on the Truth of the Catholic Faith, against Unbelievers) -- This work, written at Rome, 1261-64, was composed at the request of St. Raymond of Pennafort, who desired to have a philosophical exposition and defence of the Christian Faith, to be used against the Jews and Moors in Spain. It is a perfect model of patient and sound apologetics, showing that no demonstrated truth (science) is opposed to revealed truth (faith). The best recent editions are those of Rome, 1878 (by Uccelli), of Paris and Fribourg, Switzerland, 1882, and of Rome, 1894. It has been translated into many languages. It is divided into four books: I. Of God as He is in Himself; II. Of God the Origin of Creatures; III. Of God the End of Creatures; IV. Of God in His Revelation. It is worthy of remark that the Fathers of the Vatican Council, treating the necessity of revelation (Constitution "Dei Filius", c. 2), employed almost the very words used by St. Thomas in treating that subject in this work (I, cc. iv, V), and in the "Summa theologica" (I:1:1).

(6) Three works written by order of Urban IV --

The "Opusculum contra errores Graecorum" refuted the errors of the Greeks on doctrines in dispute between them and the Roman Church, viz., the procession of the Holy Ghost from the Father and the Son, the primacy of the Roman pontiff, the Holy Eucharist, and purgatory. It was used against the Greeks with telling effect in the Council of Lyons (1274) and in the Council of Florence (1493). In the range of human reasonings on deep subjects there can be found nothing to surpass the sublimity and depth of the argument adduced by St. Thomas to prove that the Holy Ghost proceeds from the Father and the Son (cf. Summa I:36:2); but it must be borne in mind that our Faith is not based on that argument alone.
"Officium de festo Corporis Christi". Mandonnet (Ecrits, p. 127) declares that it is now established beyond doubt that St. Thomas is the author of the beautiful Office of Corpus Christi, in which solid doctrine, tender piety, and enlightening Scriptural citations are combined, and expressed in language remarkably accurate, beautiful, chaste, and poetic. Here we find the well-known hymns, "Sacris Solemniis", "Pange Lingua" (concluding in the "Tantum Ergo"), "Verbum Supernum" (concluding with the "O Salutaris Hostia") and, in the Mass, the beautiful sequence "Lauda Sion". In the responses of the office, St. Thomas places side by side words of the New Testament affirming the real presence of Christ in the Blessed Sacrament and texts from the Old Testament referring to the types and figures of the Eucharist. Santeuil, a poet of the seventeenth century, said he would give all the verses he had written for the one stanza of the "Verbum Supernum": "Se nascens dedit socium, convescens in edulium: Se moriens in pretium, Se regnans dat in praemium" -- "In birth, man's fellow-man was He, His meat, while sitting at the Board: He died his Ransomer to be, He reigns to be his Great Reward" (tr. by Marquis of Bute). Perhaps the gem of the whole office is the antiphon "O Sacrum Convivium" (cf. Conway, "St. Thomas Aquinas", London and New York, 1911, p. 61).
The "Catena Aurea", though not as original as his other writings, furnishes a striking proof of St. Thomas's prodigious memory and manifests an intimate acquaintance with the Fathers of the Church. The work contains a series of passages selected from the writings of the various Fathers, arranged in such order that the texts cited form a running commentary on the Gospels. The commentary on St. Matthew was dedicated to Urban IV. An English translation of the "Catena Aurea" was edited by John Henry Newman (4 vols., Oxford, 1841-1845; see Vaughan, op. cit., vol. II,) pp. 529 sqq..

(7) The "Summa theologica"-- This work immortalized St. Thomas. The author himself modestly considered it simply a manual of Christian doctrine for the use of students. In reality it is a complete scientifically arranged exposition of theology and at the same time a summary of Christian philosophy (see SUMMÆ). In the brief prologue St. Thomas first calls attention to the difficulties experienced by students of sacred doctrine in his day, the causes assigned being: the multiplication of useless questions, articles, and arguments; the lack of scientific order; frequent repetitions, "which beget disgust and confusion in the minds of learners". Then he adds: "Wishing to avoid these and similar drawbacks, we shall endeavour, confiding in the Divine assistance, to treat of these things that pertain to sacred doctrine with brevity and clearness, in so far as the subject to he treated will permit".

In the introductory question, "On Sacred Doctrine", he proves that, besides the knowledge which reason affords, Revelation also is necessary for salvation first, because without it men could not know the supenatural end to which they must tend by their voluntary acts; secondly, because, without Revelation, even the truths concerning God which could be proved by reason would be known "only by a few, after a long time, and with the admixture of many errors". When revealed truths have been accepted, the mind of man proceeds to explain them and to draw conclusions from them. Hence results theology, which is a science, because it proceeds from principles that are certain (Answer 2). The object, or subject, of this science is God; other things are treated in it only in so far as they relate to God (Answer 7). Reason is used in theology not to prove the truths of faith, which are accepted on the authority of God, but to defend, explain, and develop the doctrines revealed (Answer 8). He thus announces the division of the "Summa": "Since the chief aim of this sacred science is to give the knowledge of God, not only as He is in Himself, but also as He is the Beginning of all things, and the End of all, especially of rational creatures, we shall treat first of God; secondly, of the rational creature's advance towards God (de motu creaturae rationalis in Deum); thirdly, of Christ, Who, as Man, is the way by which we tend to God." God in Himself, and as He is the Creator; God as the End of all things, especially of man; God as the Redeemer -- these are the leading ideas, the great headings, under which all that pertains to theology is contained.

(a) Sub-divisions

The First Part is divided into three tracts:

On those things which pertain to the Essence of God;
On the distinction of Persons in God (the mystery of the Trinity);
On the production of creatures by God and on the creatures produced.

The Second Part, On God as He is in the End of man, is sometimes called the Moral Theology of St. Thomas, i.e., his treatise on the end of man and on human acts. It is subdivided into two parts, known as the First Section of the Second (I-II, or 1a 2ae) and the Second of the Second (II-II, or 2a 2ae).

The First of the Second. The first five questions are devoted to proving that man's last end, his beatitude, consists in the possession of God. Man attains to that end or deviates from it by human acts, i.e. by free, deliberate acts. Of human acts he treats, first, in general (in all but the first five questions of the I-II), secondly, in particular (in the whole of the II-II). The treatise on human acts in general is divided into two parts: the first, on human acts in themselves; the other, on the principles or causes, extrinsic or intrinsic, of those acts. In these tracts and in the Second of the Second, St. Thomas, following Aristotle, gives a perfect description and a wonderfully keen analysis of the movements of man's mind and heart.

The Second of the Second considers human acts, i.e., the virtues and vices, in particular. In it St. Thomas treats, first, of those things that pertain to all men, no matter what may be their station in life, and, secondly, of those things that pertain to some men only. Things that pertain to all men are reduced to seven headings: Faith, Hope, and Charity; Prudence, Justice, Fortitude, and Temperance. Under each title, in order to avoid repetitions, St. Thomas treats not only of the virtue itself, but also of the vices opposed to it, of the commandment to practise it, and of the gift of the Holy Ghost which corresponds to it. Things pertaining to some men only are reduced to three headings: the graces freely given (gratia gratis datae) to certain individuals for the good of the Church, such as the gifts of tongues, of prophecy, of miracles; the active and the contemplative life; the particular states of life, and duties of those who are in different states, especially bishops and religious.

The Third Part treats of Christ and of the benefits which He has conferred upon man, hence three tracts: On the Incarnation, and on what the Saviour did and suffered; On the Sacraments, which were instituted by Christ, and have their efficacy from His merits and sufferings; On Eternal Life, i.e., on the end of the world, the resurrection of bodies, judgment, the punishment of the wicked, the happiness of the just who, through Christ, attain to eternal life in heaven.

Eight years were given to the composition of this work, which was begun at Rome, where the First Part and the First of the Second were written (1265-69). The Second of the Second, begun in Rome, was completed in Paris (1271). In 1272 St. Thomas went to Naples, where the Third Part was written, down to the ninetieth question of the tract On Penance (see Leonine edition, I, p. xlii). The work has been completed by the addition of a supplement, drawn from other writings of St. Thomas, attributed by some to Peter of Auvergne, by others to Henry of Gorkum. These attributions are rejected by the editors of the Leonine edition (XI, pp. viii, xiv, xviii). Mandonnet (op. cit., 153) inclines to the very probable opinion that it was compiled by Father Reginald de Piperno, the saint's faithful companion and secretary.

The entire "Summa" contains 38 Treatises, 612 Questions, subdivided into 3120 articles, in which about 10,000 objections are proposed and answered. So admirably is the promised order preserved that, by reference to the beginning of the Tracts and Questions, one can see at a glance what place it occupies in the general plan, which embraces all that can be known through theology of God, of man, and of their mutual relations ... "The whole Summa is arranged on a uniform plan. Every subject is introduced as a question, and divided into articles ... Each article has also a uniform disposition of parts. The topic is introduced as an inquiry for discussion, under the term Utrum, whether -- e.g. Utrum Deus sit? The objections against the proposed thesis are then stated. These are generally three or four in number, but sometimes extend to seven or more. The conclusion adopted is then introduced by the words, Respondeo dicendum. At the end of the thesis expounded the objections are answered, under the forms, ad primum, ad secundum, etc." ... The "Summa" is Christian doctrine in scientific form; it is human reason rendering its highest service in defence and explanation of the truths of the Christian religion. It is the answer of the matured and saintly doctor to the question of his youth: What is God? Revelation, made known in the Scriptures and by tradition; reason and its best results; soundness and fulness of doctrine, order, conciseness and clearness of expression, effacement of self, the love of truth alone, hence a remarkable fairness towards adversaries and calmness in combating their errors; soberness and soundness of judgment, together with a charmingly tender and enlightened piety -- these are all found in this "Summa" more than in his other writings, more than in the writings of his contemporaries, for "among the Scholastic doctors, the chief and master of all, towers Thomas Aquinas, who, as Cajetan observes (In 2am 2ae, Q. 148, a. 4) 'because he most venerated the ancient doctors of the Church in a certain way seems to have inherited the intellect of all'" (Encyclical, "Aeterni Patris", of Leo XIII).

(b) Editions and Translations

It is impossible to mention the various editions of the "Summa", which has been in constant use for more than seven hundred years. Very few books have been so often republished. The first complete edition, printed at Basle in 1485, was soon followed by others, e.g., at Venice in 1505, 1509, 1588, 1594; at Lyons in 1520, 1541, 1547, 1548, 1581, 1588, 1624,1655; at Antwerp in 1575. These are enumerated by Touron (op. cit., p. 692), who says that about the same time other editions were published at Rome, Antwerp, Rouen, Paris, Douai, Cologne, Amsterdam, Bologna, etc. The editors of the Leonine edition deem worthy of mention those published at Paris in 1617, 1638, and 1648, at Lyons in 1663, 1677, and 1686, and a Roman edition of 1773 (IV, pp. xi, xii). Of all old editions they consider the most accurate two published at Padua, one in 1698, the other in 1712, and the Venice edition of 1755. Of recent editions the best are the following: the Leonine; the Migne editions (Paris, 1841, 1877); the first volume of the 1841 edition containing the "Libri quatuor sententiarum" of Peter Lombard; the very practical Faucher edition (5 vols. small quarto, Paris, 1887), dedicated to Cardinal Pecci, enriched with valuable notes; a Roman edition of 1894. The "Summa" has been translated into many modern languages as well.

IIc. WRITINGS (METHOD AND STYLE)

It is not possible to characterize the method of St. Thomas by one word, unless it can be called eclectic. It is Aristotelean, Platonic, and Socratic; it is inductive and deductive; it is analytic and synthetic. He chose the best that could he found in those who preceded him, carefully sifting the chaff from the wheat, approving what was true, rejecting the false. His powers of synthesis were extraordinary. No writer surpassed him in the faculty of expressing in a few well-chosen words the truth gathered from a multitude of varying and conflicting opinions; and in almost every instance the student sees the truth and is perfectly satisfied with St. Thomas's summary and statement. Not that he would have students swear by the words of a master. In philosophy, he says, arguments from authority are of secondary importance; philosophy does not consist in knowing what men have said, but in knowing the truth (In I lib. de Coelo, lect. xxii; II Sent., D. xiv, a. 2, ad 1um). He assigns its proper place to reason used in theology (see below: Influence of St. Thomas), but he keeps it within its own sphere. Against the Traditionalists the Holy See has declared that the method used by St. Thomas and St. Bonaventure does not lead to Rationalism (Denzinger-Bannwart, n. 1652). Not so bold or original in investigating nature as were Albertus Magnus and Roger Bacon, he was, nevertheless, abreast of his time in science, and many of his opinions are of scientific value in the twentieth century. Take, for instance, the following: "In the same plant there is the two-fold virtue, active and passive, though sometimes the active is found in one and the passive in another, so that one plant is said to be masculine and the other feminine" (3 Sent., D. III, Q. ii, a 1).

The style of St. Thomas is a medium between the rough expressiveness of some Scholastics and the fastidious elegance of John of Salisbury; it is remarkable for accuracy, brevity, and completeness. Pope Innocent VI (quoted in the Encyclical, "Aeterni Patris", of Leo XIII) declared that, with the exception of the canonical writings, the works of St. Thomas surpass all others in "accuracy of expression and truth of statement" (habet proprietatem verborum, modum dicendorum, veritatem sententiarum). Great orators, such as Bossuet, Lacordaire, Monsabré, have studied his style, and have been influenced by it, but they could not reproduce it. The same is true of theological writers. Cajetan knew St. Thomas's style better than any of his disciples, but Cajetan is beneath his great master in clearness and accuracy of expression, in soberness and solidity of judgment. St. Thomas did not attain to this perfection without an effort. He was a singularly blessed genius, but he was also an indefatigable worker, and by continued application he reached that stage of perfection in the art of writing where the art disappears. "The author's manuscript of the Summa Contra Gentiles is still in great part extant. It is now in the Vatican Library. The manuscript consists of strips of parchment, of various shades of colour, contained in an old parchment cover to which they were originally stitched. The writing is in double column, and difficult to decipher, abounding in abbreviations, often passing into a kind of shorthand. Throughout many passages a line is drawn in sign of erasure" (Rickaby, Op. cit., preface: see Ucelli ed., "Sum. cont. gent.", Rome, 1878).

III. INFLUENCES EXERTED ON ST. THOMAS

How was this great genius formed? The causes that exerted an influence on St. Thomas were of two kinds, natural and supernatural.

A. Natural Causes

(1) As a foundation, he "was a witty child, and had received a good soul" (Wisdom 8:19). From the beginning he manifested precocious and extraordinary talent and thoughtfulness beyond his years.

(2) His education was such that great things might have been expected of him. His training at Monte Cassino, at Naples, Paris, and Cologne was the best that the thirteenth century could give, and that century was the golden age of education. That it afforded excellent opportunities for forming great philosophers and theologians is evident from the character of St. Thomas's contemporaries. Alexander of Hales, Albertus Magnus, St. Bonaventure, St. Raymond of Pennafort, Roger Bacon, Hugo a S. Charo, Vincent of Beauvais, not to mention scores of others, prove beyond all doubt that those were days of really great scholars. (See Walsh, "The Thirteenth, Greatest of Centuries", New York, 1907.) The men who trained St. Thomas were his teachers at Monte Cassino and Naples, but above all Albertus Magnus, under whom he studied at Paris and Cologne.

(3) The books that exercised the greatest influence on his mind were the Bible, the Decrees of the councils and of the popes, the works of the Fathers, Greek and Latin, especially of St. Augustine, the "Sentences" of Peter Lombard, the writings of the philosophers, especially of Plato, Aristotle, and Boethius. If from these authors any were to be selected for special mention, undoubtedly they would be Aristotle, St. Augustine, and Peter Lombard. In another sense the writings of St. Thomas were influenced by Averroes, the chief opponent whom he had to combat in order to defend and make known the true Aristotle.

(4) It must be borne in mind that St. Thomas was blessed with a retentive memory and great powers of penetration. Father Daniel d'Agusta once pressed him to say what he considered the greatest grace he had ever received, sanctifying grace of course excepted. "I think that of having understood whatever I have read", was the reply. St. Antoninus declared that "he remembered everything be had read, so that his mind was like a huge library" (cf. Drane, op. cit., p. 427; Vaughan, op. cit., II, p. 567). The bare enumeration of the texts of Scripture cited in the "Summa theologica" fills eighty small-print columns in the Migne edition, and by many it is not unreasonably supposed that he learned the Sacred Books by heart while he was imprisoned in the Castle of San Giovanni. Like St. Dominic he had a special love for the Epistles of St. Paul, on which he wrote commentaries (recent edition in 2 vols., Turin, 1891).

(5) Deep reverence for the Faith, as made known by tradition, characterizes all his writings. The consuetudo ecclesiae -- the practice of the Church -- should prevail over the authority of any doctor (Summa II-II:10:12). In the "Summa" he quotes from 19 councils, 41 popes, and 52 Fathers of the Church. A slight acquaintance with his writings will show that among the Fathers his favourite was St. Augustine (on the Greek Fathers see Vaughan, op. cit., II, cc. iii sqq.).

(6) With St. Augustine (II De doctr. Christ., c. xl), St. Thomas held that whatever there was of truth in the writings of pagan philosophers should be taken from them, as from "unjust possessors", and adapted to the teaching of the true religion (Summa I:84:5). In the "Summa" alone he quotes from the writings of 46 philosophers and poets, his favourite authors being Aristotle, Plato, and, among Christian writers, Boethius. From Aristotle he learned that love of order and accuracy of expression which are characteristic of his own works. From Boethius he learned that Aristotle's works could be used without detriment to Christianity. He did not follow Boethius in his vain attempt to reconcile Plato and Aristotle. In general the Stagirite was his master, but the elevation and grandeur of St. Thomas's conceptions and the majestic dignity of his methods of treatment speak strongly of the sublime Plato.

B. Supernatural Causes

Even if we do not accept as literally true the declaration of John XXII, that St. Thomas wrought as many miracles as there are articles in the "Summa", we must, nevertheless, go beyond causes merely natural in attempting to explain his extraordinary career and wonderful writings.

(1) Purity of mind and body contributes in no small degree to clearness of vision (see St. Thomas, "Commentaries on I Cor., c. vii", Lesson v). By the gift of purity, miraculously granted at the time of the mystic girdling, God made Thomas's life angelic; the perspicacity and depth of his intellect, Divine grace aiding, made him the "Angelic Doctor".

(2) The spirit of prayer, his great piety and devotion, drew down blessings on his studies. Explaining why he read, every day, portions of the "Conferences" of Cassian, he said: "In such reading I find devotion, whence I readily ascend to contemplation" (Prümmer, op. cit., p. 32). In the lessons of the Breviary read on his feast day it is explicitly stated that he never began to study without first invoking the assistance of God in prayer; and when he wrestled with obscure passages of the Scriptures, to prayer he added fasting.

(3) Facts narrated by persons who either knew St. Thomas in life or wrote at about the time of his canonization prove that he received assistance from heaven. To Father Reginald he declared that he had learned more in prayer and contemplation than he had acquired from men or books (Prümmer, op. cit., p. 36). These same authors tell of mysterious visitors who came to encourage and enlighten him. The Blessed Virgin appeared, to assure him that his life and his writings were acceptable to God, and that he would persevere in his holy vocation. Sts. Peter and Paul came to aid him in interpreting an obscure passage in Isaias. When humility caused him to consider himself unworthy of the doctorate, a venerable religious of his order (supposed to be St. Dominic) appeared to encourage him and suggested the text for his opening discourse (Prümmer, op. cit., 29, 37; Tocco in "Acta SS.", VII Mar.; Vaughan, op. cit., II, 91). His ecstasies have been mentioned. His abstractions in presence of King Louis IX (St. Louis) and of distinguished visitors are related by all biographers. Hence, even if allowance be made for great enthusiasm on the part of his admirers, we must conclude that his extraordinary learning cannot be attributed to merely natural causes. Of him it may truly be said that he laboured as if all depended on his own efforts and prayed as if all depended on God.

IVa. INFLUENCE OF ST. THOMAS (ON SANCTITY)

The great Scholastics were holy as well as learned men. Alexander of Hales, St. Albertus Magnus, St. Thomas, and St. Bonaventure prove that learning does not necessarily dry up devotion. The angelic Thomas and the seraphic Bonaventure represent the highest types of Christian scholarship, combining eminent learning with heroic sanctity. Cardinal Bessarion called St. Thomas "the most saintly of learned men and the most learned of saints". His works breathe the spirit of God, a tender and enlightened piety, built on a solid foundation, viz. the knowledge of God, of Christ, of man. The "Summa theologica" may he made a manual of piety as well as a text-book for the study of theology (Cf. Drane, op. cit., p. 446). St. Francis de Sales, St. Philip Neri, St. Charles Borromeo, St. Vincent Ferrer, St. Pius V, St. Antoninus constantly studied St. Thomas. Nothing could be more inspiring than his treatises on Christ, in His sacred Person, in His life and sufferings. His treatise on the sacraments, especially on penance and the Eucharist, would melt even hardened hearts. He takes pains to explain the various ceremonies of the Mass ("De ritu Eucharistiae" in Summa III:83), and no writer has explained more clearly than St. Thomas the effects produced in the souls of men by this heavenly Bread (Summa III:79). The principles recently urged, in regard to frequent Communion, by Pius X ("Sacra Trid. Synodus", 1905) are found in St. Thomas (Summa III:79:8, III:80:10), although he is not so explicit on this point as he is on the Communion of children. In the Decree "Quam Singulari" (1910) the pope cites St. Thomas, who teaches that, when children begin to have some use of reason, so that they can conceive some devotion to the Blessed Sacrament, they may be allowed to communicate (Summa III:80:9). The spiritual and devotional aspects of St. Thomas's theology have been pointed out by Father Contenson, O.P., in his "Theologia mentis et cordis". They are more fully explained by Father Vallgornera, O.P., in his "Theologia Mystica D. Thomae", wherein the author leads the soul to God through the purgative, illuminative, and unitive ways. The Encyclical Letter of Leo XIII on the Holy Spirit is drawn largely from St. Thomas, and those who have studied the "Prima Secundae" and the "Secunda Secundae" know how admirably the saint explains the gifts and fruits of the Holy Ghost, as well as the Beatitudes, and their relations to the different virtues Nearly all good spiritual writers seek in St. Thomas definitions of the virtues which they recommend.

IVb. INFLUENCE OF ST. THOMAS (ON INTELLECTUAL LIFE)

Since the days of Aristotle, probably no one man has exercised such a powerful influence on the thinking world as did St. Thomas. His authority was very great during his lifetime. The popes, the universities, the studia of his order were anxious to profit by his learning and prudence. Several of his important works were written at the request of others, and his opinion was sought by all classes. On several occasions the doctors of Paris referred their disputes to him and gratefully abided by his decision (Vaughan, op. cit., II, 1 p. 544). His principles, made known by his writings, have continued to influence men even to this day. This subject cannot be considered in all its aspects, nor is that necessary. His influence on matters purely philosophical is fully explained in histories of philosophy. (Theologians who followed St. Thomas will be mentioned in THOMISM. See also ORDER OF PREACHERS -- II, A, 2, d) His paramount importance and influence may be explained by considering him as the Christian Aristotle, combining in his person the best that the world has known in philosophy and theology. It is in this light that he is proposed as a model by Leo XIII in the famous Encyclical "Aeterni Patris". The work of his life may be summed up in two propositions: he established the true relations between faith and reason; he systematized theology.

(1) Faith and Reason

The principles of St. Thomas on the relations between faith and reason were solemnly proclaimed in the Vatican Council. The second, third, and fourth chapters of the Constitution "Dei Filius" read like pages taken from the works of the Angelic Doctor. First, reason alone is not sufficient to guide men: they need Revelation; we must carefully distinguish the truths known by reason from higher truths (mysteries) known by Revelation. Secondly, reason and Revelation, though distinct, are not opposed to each other. Thirdly, faith preserves reason from error; reason should do service in the cause of faith. Fourthly, this service is rendered in three ways:

reason should prepare the minds of men to receive the Faith by proving the truths which faith presupposes (praeambula fidei);
reason should explain and develop the truths of Faith and should propose them in scientific form;
reason should defend the truths revealed by Almighty God.

This is a development of St. Augustine's famous saying (De Trin., XIV, c. i), that the right use of reason is "that by which the most wholesome faith is begotten ... is nourished, defended, and made strong." These principles are proposed by St. Thomas in many places, especially in the following: "In Boethium, da Trin. Proem.", Q. ii, a. 1; "Sum. cont. gent.", I, cc. iii-ix; Summa I:1:1, I:1:5, I:1:8, I:32:1, I:84:5. St. Thomas's services to the Faith are thus summed up by Leo XIII in the Encyclical "Aeterni Patris": "He won this title of distinction for himself: that singlehanded he victoriously combated the errors of former times, and supplied invincible arms to put to rout those which might in after times spring up. Again, clearly distinguishing, as is fitting, reason and faith, he both preserved and had regard for the rights of each; so much so, indeed, that reason, borne on the wings of Thomas, can scarcely rise higher, while faith could scarcely expect more or stronger aids from reason than those which she has already obtained through Thomas".

St. Thomas did not combat imaginary foes; he attacked living adversaries. The works of Aristotle had been introduced into France in faulty translations and with the misleading commentaries of Jewish and Moorish philosophers. This gave rise to a flood of errors which so alarmed the authorities that the reading of Aristotle's Physics and Metaphysics was forbidden by Robert de Courçon in 1210, the decree being moderated by Gregory IX in 1231. There crept into the University of Paris an insidious spirit of irreverence and Rationalism, represented especially by Abelard and Raymond Lullus, which claimed that reason could know and prove all things, even the mysteries of Faith. Under the authority of Averroes dangerous doctrines were propagated, especially two very pernicious errors: first, that philosophy and religion being in different regions, what is true in religion might be false in philosophy; secondly, that all men have but one soul. Averroes was commonly styled "The Commentator", but St. Thomas says he was "not so much a Peripatetic as a corruptor of Peripatetic philosophy" (Opusc. de unit. intell.). Applying a principle of St. Augustine (see I:84:5), following in the footsteps of Alexander of Hales and Albertus Magnus, St. Thomas resolved to take what was true from the "unjust possessors", in order to press it into the service of revealed religion. Objections to Aristotle would cease if the true Aristotle were made known; hence his first care was to obtain a new translation of the works of the great philosopher. Aristotle was to be purified; false commentators were to be refuted; the most influential of these was Averroes, hence St. Thomas is continually rejecting his false interpretations.

(2) Theology Systematized

The next step was to press reason into the service of the Faith, by putting Christian doctrine into scientific form. Scholasticism does not consist, as some persons imagine, in useless discussions and subtleties, but in this, that it expresses sound doctrine in language which is accurate, clear, and concise. In the Encyclical "Aeterni Patris" Leo XIII, citing the words of Sixtus V (Bull "Triumphantis", 1588), declares that to the right use of philosophy we are indebted for "those noble endowments which make Scholastic theology so formidable to the enemies of truth", because "that ready coherence of cause and effect, that order and array of a disciplined army in battle, those clear definitions and distinctions, that strength of argument and those keen discussions by which light is distinguished from darkness, the true from the false, expose and lay bare, as it were, the falsehoods of heretics wrapped around by a cloud of subterfuges and fallacies". When the great Scholastics had written, there was light where there had been darkness, there was order where confusion had prevailed. The work of St. Anselm and of Peter Lombard was perfected by the Scholastic theologians. Since their days no substantial improvements have been made in the plan and system of theology, although the field of apologetics has been widened, and positive theology has become more important.

IVc. INFLUENCE OF ST. THOMAS (HIS DOCTRINE FOLLOWED)

Within a short time after his death the writings of St. Thomas were universally esteemed. The Dominicans naturally took the lead in following St. Thomas. The general chapter held in Paris in 1279 pronounced severe penalties against all who dared to speak irreverently of him or of his writings. The chapters held in Paris in 1286, at Bordeaux in 1287, and at Lucca in 1288 expressly required the brethren to follow the doctrine of Thomas, who at that time had not been canonized (Const. Ord. Praed., n. 1130). The University of Paris, on the occasion of Thomas's death, sent an official letter of condolence to the general chapter of the Dominicans, declaring that, equally with his brethren, the university experienced sorrow at the loss of one who was their own by many titles (see text of letter in Vaughan, op. cit., II, p. 82). In the Encyclical "Aeterni Patris" Leo XIII mentions the Universities of Paris, Salamanca, Alcalá, Douai, Toulouse, Louvain, Padua, Bologna, Naples, Coimbra as "the homes of human wisdom where Thomas reigned supreme, and the minds of all, of teachers as well as of taught, rested in wonderful harmony under the shield and authority of the Angelic Doctor". To the list may be added Lima and Manila, Fribourg and Washington.

Seminaries and colleges followed the lead of the universities. The "Summa" gradually supplanted the "Sentences" as the textbook of theology. Minds were formed in accordance with the principles of St. Thomas; he became the great master, exercising a world-wide influence on the opinions of men and on their writings; for even those who did not adopt all of his conclusions were obliged to give due consideration to his opinions. It has been estimated that 6000 commentaries on St. Thomas's works have been written. Manuals of theology and of philosophy, composed with the intention of imparting his teaching, translations, and studies, or digests (études), of portions of his works have been published in profusion during the last six hundred years and today his name is in honour all over the world (see THOMISM).

In every one of the general councils held since his death St. Thomas has been singularly honoured. At the Council of Lyons his book "Contra errores Graecorum" was used with telling effect against the Greeks. In later disputes, before and during the Council of Florence, John of Montenegro, the champion of Latin orthodoxy, found St. Thomas's works a source of irrefragable arguments. The "Decretum pro Armenis" (Instruction for the Armenians), issued by the authority of that council, is taken almost verbatim from his treatise, "De fidei articulis et septem sacramentis" (see Denzinger-Bannwart, n. 695). "In the Councils of Lyons, Vienne, Florence, and the Vatican", writes Leo XIII (Encyclical "Aeterni Patris"), "one might almost say that Thomas took part in and presided over the deliberations and decrees of the Fathers contending against the errors of the Greeks, of heretics, and Rationalists, with invincible force and with the happiest results".

But the chief and special glory of Thomas, one which he has shared with none of the Catholic doctors, is that the Fathers of Trent made it part of the order of the conclave to lay upon the altar, together with the code of Sacred Scripture and the decrees of the Supreme Pontiffs, the Summa of Thomas Aquinas, whence to seek counsel, reason, and inspiration. Greater influence than this no man could have.

Before this section is closed mention should be made of two books widely known and highly esteemed, which were inspired by and drawn from the writings of St. Thomas. The Catechism of the Council of Trent, composed by disciples of the Angelic Doctor, is in reality a compendium of his theology, in convenient form for the use of parish priests. Dante's "Divina Commedia" has been called "the Summa of St. Thomas in verse", and commentators trace the great Florentine poet's divisions and descriptions of the virtues and vices to the "Secunda Secundae".

IVd. INFLUENCE OF ST. THOMAS (APPRECIATION)

(1) In the Church

The esteem in which he was held during his life has not been diminished, but rather increased, in the course of the six centuries that have elapsed since his death. The position which he occupies in the Church is well explained by that great scholar Leo XIII, in the Encyclical "Aeterni Patris", recommending the study of Scholastic philosophy: "It is known that nearly all the founders and framers of laws of religious orders commanded their societies to study and religiously adhere to the teachings of St. Thomas ... To say nothing of the family of St. Dominic, which rightly claims this great teacher for its own glory, the statutes of the Benedictines, the Carmelites, the Augustinians, the Society of Jesus, and many others, all testify that they are bound by this law." Amongst the "many others" the Servites, the Passionists, the Barnabites, and the Sulpicians have been devoted in an especial manner to the study of St. Thomas. The principal ancient universities where St. Thomas ruled as the great master have been enumerated above. The Paris doctors called him the morning star, the luminous sun, the light of the whole Church. Stephen, Bishop of Paris, repressing those who dared to attack the doctrine of "that most excellent Doctor, the blessed Thomas", calls him "the great luminary of the Catholic Church, the precious stone of the priesthood, the flower of doctors, and the bright mirror of the University of Paris" (Drane, op. cit., p. 431). In the old Louvain University the doctors were required to uncover and bow their heads when they pronounced the name of Thomas (Goudin, op. cit., p. 21).

"The ecumenical councils, where blossoms the flower of all earthly wisdom, have always been careful to hold Thomas Aquinas in singular honour" (Leo XIII in "Aeterni Patris"). This subject has been sufficiently treated above. The "Bullarium Ordinis Praedicatorum", published in 1729-39, gives thirty-eight Bulls in which eighteen sovereign pontiffs praised and recommended the doctrine of St. Thomas (see also Vaughan, op. cit., II, c. ii; Berthier, op. cit., pp. 7 sqq.). These approbations are recalled and renewed by Leo XIII, who lays special stress on "the crowning testimony of Innocent VI: `His teaching above that of others, the canons alone excepted, enjoys such an elegance of phraseology, a method of statement, a truth of proposition, that those who hold it are never found swerving from the path of truth, and he who dare assail it will always be suspected of error (ibid.).'" Leo XIII surpassed his predecessors in admiration of St. Thomas, in whose works he declared a remedy can be found for many evils that afflict society (see Berthier, op. cit., introd.). The notable Encyclical Letters with which the name of that illustrious pontiff will always be associated show how he had studied the works of the Angelic Doctor. This is very noticeable in the letters on Christian marriage, the Christian constitution of states, the condition of the working classes, and the study of Holy Scripture. Pope Pius X, in several letters, e.g. in the "Pascendi Dominici Gregis" (September, 1907), has insisted on the observance of the recommendations of Leo XIII concerning the study of St. Thomas. An attempt to give names of Catholic writers who have expressed their appreciation of St. Thomas and of his influence would be an impossible undertaking; for the list would include nearly all who have written on philosophy or theology since the thirteenth century, as well as hundreds of writers on other subjects. Commendations and eulogies are found in the introductory chapters of all good commentaries. An incomplete list of authors who have collected these testimonies is given by Father Berthier (op. cit., p. 22) ...

(2) Outside the Church

(a) Anti-Scholastics -- Some persons have been and are still opposed to everything that comes under the name of Scholasticism, which they hold to be synonymous with subtleties and useless discussions. From the prologue to the "Summa" it is clear that St. Thomas was opposed to all that was superfluous and confusing in Scholastic studies. When people understand what true Scholasticism means, their objections will cease.

(b) Heretics and Schismatics -- "A last triumph was reserved for this incomparable man -- namely, to compel the homage, praise, and admiration of even the very enemies of the Catholic name" (Leo XIII, ibid.). St. Thomas's orthodoxy drew upon him the hatred of all Greeks who were opposed to union with Rome. The united Greeks, however, admire St. Thomas and study his works (see above Translations of the "Summa"). The leaders of the sixteenth-century revolt honoured St. Thomas by attacking him, Luther being particularly violent in his coarse invectives against the great doctor. Citing Bucer's wild boast, "Take away Thomas and I will destroy the Church", Leo XIII (ibid.) remarks, "The hope was vain, but the testimony has its value".

Calo, Tocco, and other biographers relate that St. Thomas, travelling from Rome to Naples, converted two celebrated Jewish rabbis, whom he met at the country house of Cardinal Richard (Prümmer, op. cit., p. 33; Vaughan, op. cit., I, p. 795). Rabbi Paul of Burgos, in the fifteenth century, was converted by reading the works of St. Thomas. Theobald Thamer, a disciple of Melancthon, abjured his heresy after he had read the "Summa", which he intended to refute. The Calvinist Duperron was converted in the same way, subsequently becoming Archbishop of Sens and a cardinal (see Conway, O.P., op. cit., p. 96).

After the bitterness of the first period of Protestantism had passed away, Protestants saw the necessity of retaining many parts of Catholic philosophy and theology, and those who came to know St. Thomas were compelled to admire him. Überweg says "He brought the Scholastic philosophy to its highest stage of development, by effecting the most perfect accommodation that was possible of the Aristotelian philosophy to ecclesiastical orthodoxy" (op. cit., p. 440). R. Seeberg in the "New Schaff-Herzog Religious Encyclopedia" (New York, 1911) devotes ten columns to St. Thomas, and says that "at all points he succeeded in upholding the church doctrine as credible and reasonable" (XI, p. 427).

For many years, especially since the days of Pusey and Newman, St. Thomas has been in high repute at Oxford. Recently the "Summa contra gentiles" was placed on the list of subjects which a candidate may offer in the final honour schools of Litterae Humaniores at that university (cf. Walsh, op. cit., c. xvii). For several years Father De Groot, O.P., has been the professor of Scholastic philosophy in the University of Amsterdam, and courses in Scholastic philosophy have been established in some of the leading non-Catholic universities of the United States. Anglicans have a deep admiration for St. Thomas. Alfred Mortimer, in the chapter "The Study of Theology" of his work entitled "Catholic Faith and Practice" (2 vols., New York, 1909), regretting that "the English priest has ordinarily no scientific acquaintance with the Queen of Sciences", and proposing a remedy, says, "The simplest and most perfect sketch of universal theology is to be found in the Summa of St. Thomas" (vol. II, pp. 454, 465).

V. ST. THOMAS AND MODERN THOUGHT

In the Syllabus of 1864 Pius IX condemned a proposition in which it was stated that the method and principles of the ancient Scholastic doctors were not suited to the needs of our times and the progress of science (Denzinger-Bannwart, n. 1713).

In the Encyclical "Aeterni Patris" Leo XIII points out the benefits to be derived from "a practical reform of philosophy by restoring the renowned teaching of St. Thomas Aquinas". He exhorts the bishops to "restore the golden wisdom of Thomas and to spread it far and wide for the defence and beauty of the Catholic Faith, for the good of society, and for the advantage of all the sciences". In the pages of the Encyclical immediately preceding these words he explains why the teaching of St. Thomas would produce such most desirable results: St. Thomas is the great master to explain and defend the Faith, for his is "the solid doctrine of the Fathers and the Scholastics, who so clearly and forcibly demonstrate the firm foundations of the Faith, its Divine origin, its certain truth, the arguments that sustain it, the benefits it has conferred on the human race, and its perfect accord with reason, in a manner to satisfy completely minds open to persuasion, however unwilling and repugnant". The career of St. Thomas would in itself have justified Leo XIII in assuring men of the nineteenth century that the Catholic Church was not opposed to the right use of reason. The sociological aspects of St. Thomas are also pointed out: "The teachings of Thomas on the true meaning of liberty, which at this time is running into license, on the Divine origin of all authority, on laws and their force, on the paternal and just rule of princes, on obedience to the highest powers, on mutual charity one towards another -- on all of these and kindred subjects, have very great and invincible force to overturn those principles of the new order which are well known to be dangerous to the peaceful order of things and to public safety" (ibid.).

The evils affecting modern society had been pointed out by the pope in the Letter "Inscrutabili" of 21 April, 1878, and in the one on Socialism, Communism, and Nihilism ("The Great Encyclicals of Leo XIII", pp. 9 sqq.; 22 sqq.). How the principles of the Angelic Doctor will furnish a remedy for these evils is explained here in a general way, more particularly in the Letters on the Christian constitution of states, human liberty, the chief duties of Christians as citizens, and on the conditions of the working classes (ibid., pp. 107, 135, 180, 208).

It is in relation to the sciences that some persons doubt the reliability of St. Thomas's writings; and the doubters are thinking of the physical and experimental sciences, for in metaphysics the Scholastics are admitted to be masters. Leo XIII calls attention to the following truths: (a) The Scholastics were not opposed to investigation. Holding as a principle in anthropology "that the human intelligence is only led to the knowledge of things without body and matter by things sensible, they well understood that nothing was of greater use to the philosopher than diligently to search into the mysteries of nature, and to be earnest and constant in the study of physical things" (ibid., p. 55). This principle was reduced to practice: St. Thomas, St. Albertus Magnus, Roger Bacon, and others "gave large attention to the knowledge of natural things" (ibid., p. 56). (b) Investigation alone is not sufficient for true science. "When facts have been established, it is necessary to rise and apply ourselves to the study of the nature of corporeal things, to inquire into the laws which govern them and the principles whence their order and varied unity and mutual attraction in diversity arise" (p. 55).

Will the scientists of today pretend to be better reasoners than St. Thomas, or more powerful in synthesis? It is the method and the principles of St. Thomas that Leo XIII recommends: "If anything is taken up with too great subtlety by the Scholastic doctors, or too carelessly stated; if there be anything that ill agrees with the discoveries of a later age or, in a word, is improbable in any way, it does not enter into our mind to propose that for imitation to our age" (p. 56). Just as St. Thomas, in his day, saw a movement towards Aristotle and philosophical studies which could not be checked, but could be guided in the right direction and made to serve the cause of truth, so also, Leo XIII, seeing in the world of his time a spirit of study and investigation which might be productive of evil or of good, had no desire to check it, but resolved to propose a moderator and master who could guide it in the paths of truth.

No better guide could have been chosen than the clear-minded, analytic, synthetic, and sympathetic Thomas Aquinas. His extraordinary patience and fairness in dealing with erring philosophers, his approbation of all that was true in their writings, his gentleness in condemning what was false, his clear-sightedness in pointing out the direction to true knowledge in all its branches, his aptness and accuracy in expressing the truth -- these qualities mark him as a great master not only for the thirteenth century, but for all times. If any persons are inclined to consider him too subtle, it is because they do not know how clear, concise, and simple are his definitions and divisions. His two summae are masterpieces of pedagogy, and mark him as the greatest of human teachers. Moreover, he dealt with errors similar to many which go under the name of philosophy or science in our days. The Rationalism of Abelard and others called forth St. Thomas's luminous and everlasting principles on the true relations of faith and reason. Ontologism was solidly refuted by St. Thomas nearly six centuries before the days of Malebranche, Gioberti, and Ubaghs (see Summa I:84:5). The true doctrine on first principles and on universals, given by him and by the other great Scholastics, is the best refutation of Kant's criticism of metaphysical ideas (see, e.g., "Post. Analyt.", I, lect. xix; "De ente et essentia", c. iv; Summa I:17:3 corp. and ad 2um; I:79:3; I:84:5; I:84:6 corp and ad 1um; I:85:2 ad 2um; I:85:3 ad 1um, ad 4um; Cf. index to "Summa": "Veritas", "Principium", "Universale"). Modern psychological Pantheism does not differ substantially from the theory of one soul for all men asserted by Averroes (see "De unit. intell." and Summa I:76:2; I:79:5). The Modernistic error, which distinguishes the Christ of faith from the Christ of history, had as its forerunner the Averroistic principle that a thing might be true in philosophy and false in religion.

In the Encyclical "Providentissimus Deus" (18 November, 1893) Leo XIII draws from St. Thomas's writings the principles and wise rules which should govern scientific criticism of the Sacred Books. From the same source recent writers have drawn principles which are most helpful in the solution of questions pertaining to Spiritism and Hypnotism. Are we to conclude, then, that St. Thomas's works, as he left them, furnish sufficient instruction for scientists, philosophers, and theologians of our times? By no means. Vetera novis augere et perficere -- "To strengthen and complete the old by aid of the new" -- is the motto of the restoration proposed by Leo XIII. Were St. Thomas living today he would gladly adopt and use all the facts made known by recent scientific and historical investigations, but he would carefully weigh all evidence offered in favour of the facts. Positive theology is more necessary in our days than it was in the thirteenth century. Leo XIII calls attention to its necessity in his Encyclical, and his admonition is renewed by Pius X in his Letter on Modernism. But both pontiffs declare that positive theology must not be extolled to the detriment of Scholastic theology. In the Encyclical "Pascendi", prescribing remedies against Modernism, Pius X, following in this his illustrious predecessor, gives the first place to "Scholastic philosophy, especially as it was taught by Thomas Aquinas", St. Thomas is still "The Angel of the Schools".

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIV, 1912, New York (http://www.newadvent.org/cathen/14663b.htm)

Augustinus
07-03-08, 09:38
Thomism

In a broad sense, Thomism is the name given to the system which follows the teaching of St. Thomas Aquinas in philosophical and theological questions. In a restricted sense the term is applied to a group of opinions held by a school called Thomistic, composed principally, but not exclusively, of members of the Order of St. Dominic, these same opinions being attacked by other philosophers or theologians, many of whom profess to be followers of St. Thomas.

To Thomism in the first sense are opposed, e.g., the Scotists, who deny that satisfaction is a part of the proximate matter (materia proxima) of the Sacrament of Penance. Anti-Thomists, in this sense of the word, reject opinions admittedly taught by St. Thomas.
To Thomism in the second sense are opposed, e.g. the Molinists, as well as all who defend the moral instrumental causality of the sacraments in producing grace against the system of physical instrumental causality, the latter being a doctrine of the Thomistic School.

Anti-Thomism in such cases does not necessarily imply opposition to St. Thomas: It means opposition to tenets of the Thomistic School. Cardinal Billot, for instance, would not admit that he opposed St. Thomas by rejecting the Thomistic theory on the causality of the sacraments. In the Thomistic School, also, we do not always find absolute unanimity. Baflez and Billuart do not always agree with Cajetan, though all belong to the Thomistic School. It does not come within the scope of this article to determine who have the best right to be considered the true exponents of St. Thomas.
The subject may be treated under the following headings:

I. Thomism in general, from the thirteenth century down to the nineteenth;
II. The Thomistic School;
III. Neo-Thomism and the revival of Scholasticism. IV. Eminent Thomists

I. THE DOCTRINE IN GENERAL

A. Early Opposition Overcome

Although St. Thomas (d. 1274) was highly esteemed by all classes, his opinions did not at once gain the ascendancy and influence which they acquired during the first half of the fourteenth century and which they have since maintained. Strange as it may appear, the first serious opposition came from Paris, of which he was such an ornament, and from some of his own monastic brethren. In the year 1277 Stephen Tempier, Bishop of Paris, censured certain philosophical propositions, embodying doctrines taught by St. Thomas, relating especially to the principle of individuation and to the possibility of creating several angels of the same species. In the same year Robert Kilwardby, a Dominican, Archbishop of Canterbury, in conjunction with some doctors of Oxford, condemned those same propositions and moreover attacked St. Thomas's doctrine of the unity of the substantial form in man. Kilwardby and his associates pretended to see in the condemned propositions something of Averroistic Aristoteleanism, whilst the secular doctors of Paris had not fully forgiven one who had triumphed over them in the controversy as to the rights of the mendicant friars. The storm excited by these condemnations was of short duration. Blessed Albertus Magnus, in his old age, hastened to Paris to defend his beloved disciple. The Dominican Order, assembled in general chapter at Milan in 1278 and at Paris in 1279, adopted severe measures against the members who had spoken injuriously of the venerable Brother Thomas. When William de la Mare, O.S.F., wrote a "Correptorium fratris Thom~", an English Dominican, Richard Clapwell (or Clapole), replied in a treatise "Contra corruptorium fratris Thomae". About the same time there appeared a work, which was afterwards printed at Venice (1516) under the title, "Correctorium corruptorii S. Thomae", attributed by some to Ægidius Romanus, by others to Clapwell, by others to Father John of Paris. St. Thomas was solemnly vindicated when the Council of Vienna (1311-12) defined, against Peter John Olivi, that the rational soul is the substantial form of the human body (on this definition see Zigliara, "De mente Conc. Vicnn.", Rome, 1878). The canonization of St. Thomas by John XXII, in 1323, was a death-blow to his detractors. In 1324 Stephen de Bourret, Bishop of Paris, revoked the censure pronounced by his predecessor, declaring that "that blessed confessor and excellent doctor, Thomas Aquinas, had never believed, taught, or written anything contrary to the Faith or good morals". It is doubtful whether Tempier and his associates acted in the name of the University of Paris, which had always been loyal to St. Thomas. When this university, in 1378, wrote a letter condemning the errors of John de Montesono, it was explicitly declared that the condemnation was not aimed at St. Thomas: "We have said a thousand times, and yet, it would seem, not often enough, that we by no means include the doctrine of St. Thomas in our condemnation." An account of these attacks and defences will be found in the following works: Echard, "Script. ord. prad.", I, 279 (Paris, 1719); De Rubeis, "Diss. crit.", Diss. xxv, xxvi, I, p. cclxviii; Leonine edit. Works of St. Thomas; Denifle, "Chart. univ. Paris" (Paris, 1890-91), I, 543, 558, 566; II, 6, 280; Duplessis d'Argentré, "Collectio judiciorum de novis erroribus" (3 vols., Paris, 1733-36), 1, 175 sqq.; Du Boulay, "Hist. univ. Par.", IV, 205, 436, 618, 622, 627; Jourdain, "La phil. de S. Thomas d'Aquin" (Paris, 1858), II, i; Douais, "Essai sur l'organization des études dans l'ordre des ff. prêcheurs" (Paris and Toulouse, 1884), 87 sqq.; Mortier, "Hist. des maîtres gén. de l'ordre des ff. prêch.", II, 115142, 571; "Acta cap. gen. ord. praed.", ed. Reichert (9 vols., Rome, 1893-1904, II; Turner, "Hist. of Phil." (Boston, 1903), xxxix.

B. Progress of Thomism

The general chapter of the Dominican Order, held at Carcassonne in 1342, declared that the doctrine of St. Thomas had been received as sound and solid throughout the world (Douais, op. cit., 106). His works were consulted from the time they became known, and by the middle of the fourteenth century his "Summa Theologica" had supplanted the "Libri quatuor sententiarum", of Peter Lombard as the text-book of theology in the Dominican schools. With the growth of the order and the widening of its influence Thomism spread throughout the world; St. Thomas became the great master in the universities and in the studia of the religious orders (see Encyc. "Aeterni Patris" of Leo XIII). The fifteenth and sixteenth centuries saw Thomism in a triumphal march which led to the crowning of St. Thomas as the Prince of Theologians, when his "Summa was laid beside the Sacred Scriptures at the Council of Trent, and St. Pius V, in 1567, proclaimed him a Doctor of the Universal Church. The publication of the "Piana" edition of his works, in 1570, and the multiplication of editions of the "Opera omnia" and of the "Summa" during the seventeenth century and part of the eighteenth show that Thomism flourished during that period. In fact it was during that period that some of the great commentators (for example, Francisco Suárez, Sylvius, and Billuart) adapted his works to the needs of the times.

C. Decline of Scholasticism and of Thomism

Gradually, however, during the seventeenth and eighteenth centuries, there came a decline in the study of the works of the great Scholastics. Scholars believed that there was need of a new system of studies, and, instead of building upon and around Scholasticism, they drifted away from it. The chief causes which brought about the change were Protestantism, Humanism, the study of nature, and the French Revolution. Positive theology was considered more necessary in discussions with the Protestants than Scholastic definitions and divisions. Elegance of dietion was sought by the Humanists in the Greek and Latin classics, rather than in the works of the Scholastics, many of whom were far from being masters of style. The discoveries of Copernicus (d. 1543), Kepler (d. 1631), Galileo (d. 1642), and Newton (d. 1727) were not favourably received by the Scholastics. The experimental sciences were in honour; the Scholastics including St. Thomas, were neglected (cf. Turner, op cit., 433). Finally, the French Revolution disorganized all ecclesiastical studies, dealing to Thomisn a blow from which it did not fully recover until the last quarter of the nineteenth century. At the time when Billuart (d. 1757) published his "Summa Sancti Thoma hodiernis academiarum moribus accomodata" Thomism still held an important place in all theological discussion. The tremendous upheaval which disturbed Europe from 1798 to 1815 affected the Church as well as the State. The University of Louvain, which had been largely Thomistic, was compelled to close its doors, and other important institutions of learning were either closed or seriously hampered in their work. The Dominican Order, which naturally had supplied the most ardent Thomists, was crushed in France, Germany, Switzerland, and Belgium. The province of Holland was almost destroyed, whilst the provinces of Austria and Italy were left to struggle for their very existence. The University of Manila (1645) continued to teach the doctrines of St. Thomas and in due time gave to the world Cardinal Zephyrinus González, O.P., who contributed in no small degree to the revival of Thomism under Leo XIII.

D. Distinctive Doctrines of Thomism in General

(1) In Philosophy

The angels and human souls are without matter, but every material composite being (compositum) has two parts, prime matter and substantial form. In a composite being which has substantial unity and is not merely an aggregate of distinct units, there can be but one substantial form. The substantial form of man is his soul (anima rationalis) to the exclusion of any other soul and of any other substantial form. The principle of individuation, for material composites, is matter with its dimensions: without this there can be no merely numerical multiplication: distinction in the form makes specific distinction: hence there cannot be two angels of the same species.
The essences of things do not depend on the free will of God, but on His intellect, and ultimately on His essence, which is immutable. The natural law, being derived from the eternal law, depends on the mind of God, ultimately on the essence of God; hence it is intrinsically immutable. Some actions are forbidden by God because they are bad: they are not bad simply because He forbids them [see Zigliara, "Sum. phil." (3 vols., Paris, 1889), ccx, xi, II, M. 23, 24, 25].
The will moves the intellect quoad exercitium, i.e. in its actual operation: the intellect moves the will quoad specificationem, i.e. by presenting objects to it: nil volitum nisi praecognitum. The beginning of all our acts is the apprehension and desire of good in general (bonum in communi). We desire happiness (bonum in communi) naturally and necessarily, not by a free deliberate act. Particular goods (bona particularia) we choose freely; and the will is a blind faculty, always following the last practical judgment of the intellect (Zigliara, 51).
The senses and the intellect are passive, i.e. recipient, faculties; they do not create, but receive (i.e. perceive) their objects (St. Thomas, I, Q. lxxviii, a. 3; Q. lxxix, a. 2; Zigliara, 26, 27). If this principle is borne in mind there is no reason for Kant's "Critique of Pure Reason". On the other hand those faculties are not like wax, or the sensitive plate used by photog raphers, in the sense that they are inert and receive impressions unconsciously. The will controls the exercise of the faculties, and the process of acquiring knowledge is a vital process: the moving cause is always within the living agent.
The Peripatetic axiom: "Nihil est in intellectu quod non prius in sensu" (Nothing is in the intellect that was not first in the senses), is admitted; but St. Thomas modifies it by saying: first, that, once the sense objects have been perceived, the intellect ascends to the knowledge of higher things, even of God; and, secondly, that the soul knows its own existence by itself (i.e. by its own act), although it knows its own nature only by refiection on its acts. Knowledge begins by sense perception, but the range of the intellect is far beyond that of the senses. In the soul as soon as it begins to act are found the first principles (prima principia) of all knowledge, not in the form of an objective illumination, but in the form of a subjective inclination to admit them on account of their evidence. As soon as they are proposed we see that they are true; there is no more reason for doubting them than there is for denying the existence of the sun when we see it shining (see Zigliara, op. cit., pp. 32-42).
The direct and primary object of the intellect is the universal, which is prepared and presented to the passive intellect (intellectus possibilis) by the active intellect (intellectus agens) which illuminates the phantasmata, or mental images, received through the senses, and divests them of all individuating conditions. This is called abstracting the universal idea from the phantasmata, but the term must not be taken in a matrialistic sense. Abstraction is not a transferring of something from one place to another; the illumination causes all material and individuating conditions to disappear, then the universal alone shines out and is perceived by the vital action of the intellect (Q. lxxxiv, a. 4; Q. lxxxv, a. 1, ad lum, 3um, 4um). The process throughout is so vital, and so far elevated above material conditions and modes of action, that the nature of the acts and of the objects apprehended proves the soul to be immaterial and spiritual.
The soul, by its very nature, is immortal. Not only is it true that God will not annihilate the soul, but from its very nature it will always continue to exist, there being in it no principle of disintegration (Zigliara, p. 9). Hence human reason can prove the incorruptibility (i.e. immortality) of the soul.
The existence of God is not known by an innate idea, it cannot be proved by arguments a priori or a simultaneo; but it can be demonstrated by a posteriori arguments. Ontologism was never taught by St. Thomas or by Thomists (see Lepidi, "Exam. phil. theol. de ontologismo", Louvain, 1874, c. 19; Zigliara, Theses I, VIII).
There are no human (i.e. deliberate) acts indifferent in individuo.

(2) In Theology

Faith and science, i.e. knowledge by demonstration, cannot co-exist in the same subject with regard to the same object (Zigliara, O, 32, VII); and the same is true of knowledge and opinion.
The metaphysical essence of God consists, according to some Thomists, in the intelligere actualissimum, i.e. fulness of pure intellection, according to others in the perfection of aseitas, i.e. in dependent existence (Zigliara, Th. VIII, IX).
The happiness of heaven, formally and in the ultimate analysis, consists in the vision, not in the fruition, of God.
The Divine attributes are distinguished from the Divine nature and from each other by a virtual distinction, i.e. by a distinctio rationis cum fundamento a parte rei. The distinctio actualis formalis of Scotus is rejected.
In attempting to explain the mystery of the Trinity -- in as far as man can conceive it -- the relations must be considered perfectiones simpliciter simplices, i.e. excluding all imperfection. The Holy Ghost would not be distinct from the Son if He did not proceed from the Son as well as from the Father.
The angels, being pure spirits, are not, properly speaking, in any place; they are said to be in the place, or in the places, where they exercise their activity (Summa, I, Q. lii, a. 1). Strictly speaking, there is no such thing as an angel passing from place to place; but if an angel wishes to exercise its activity first in Japan and afterwards in America, it can do so in two instants (of angelic time), and need not pass through the intervening space (Q. liii). St. Thomas does not discuss the question "How many angels can dance on the point of a needle?" He reminds us that we must not think of angels as if they were corporeal, and that, for an angel, it makes no difference whether the sphere of his activity be the point of a needle or a continent (Q. lii, a. 2). Many angels cannot be said to be in the same place at the same time, for this would mean that whilst one angel is producing an effect others could be producing the same effect at the same time. There can be but one angel in the same place at the same time (Q. lii, a. 3). The knowledge of the angels comes through ideas (species) infused by God (QQ. lv, a.2, lvii, a.2, lviii, a.7). They do not naturally know future contingents, the secrets of souls, or the mysteries of grace (Q. lvii, aa. 3, 45). The angels choose either good or evil instantly, and with full knowledge; hence their judgment is naturally final and irrevocable (Q. lxiv, a. 2).
Man was created in the state of sanctifying grace. Grace was not due to his nature, but God granted it to him from the beginning (I, Q. xcv, a. 1). So great was the per fection of man in the state of original justice, and so perfect the subjection of his lower faculties to the higher, that his first sin could not have been a venia] sin (I-II, Q. lxxxix, a. 3).
It is more probable that the Incarnation would not have taken place had man not sinned (III, Q. i, a. 3). In Christ there were three kinds of knowledge: the scientia beata, i.e. the knowledge of things in the Divine Essence; the scientia infusa, i.e. the knowledge of things through infused ideas (species), and the scientia acquisita, i.e. acquired or experimental knowledge, which was nothing more than the actual experience of things which he already knew. On this last point St. Thomas, in the "Summa" (Q. ix, a. 4), explicitly retracts an opinion which he had once held (III Sent., d. 14, Q. iii, a. 3).
All sacraments of the New Law, including confirmation and extreme unction, were instituted immediately by Christ. Circumcision was a sacrament of the Old Law and conferred grace which removed the stain of original sin. The children of Jews or of other unbelievers may not be baptized without the consent of their parents (III, Q. lxviii, a. 10; 11-Il, Q. x, a. 12; Denzinger-Bannwart, n. 1481). Contrition, confession, and satisfaction are the proximate matter (materia proxima) of the Sacrament of Penance. Thomists hold, against the Scotists, that when Transubstantiation takes place in the Mass the Body of Christ is not made present per modum adduclionis, i.e. is not brought to the altar, but they do not agree in selecting the term which should be used to express this action (cf. Billuart, "De Euchar.", Diss. i, a. 7). Cardinal Billot holds ("Dc cccl. sacr.", Rome, 1900, Th. XI, "Dc euchar.", p. 379) that the best, and the only possible, explanation is the one given by St. Thomas himself: Christ becomes present by transubstantiation, i.e. by the conversion of the substance of bread into the substance of His body (III, Q. lxxv, a. 4; Sent., d. XI, Q. i, a. 1, q. 1). After the consecration the accidents (accidentia) of the bread and wine are preserved by Almighty God without a subject (Q. lxxxvii, a. 1). It was on this question that the doctors of Paris sought enlightenment from St. Thomas (see Vaughan, "Life and Labours of St. Thomas", London, 1872, II, p. 544). The earlier Thomists, following St. Thomas (Suppl., Q. xxxvii, a. 2), taught that the sub-diaconate and the four minor orders were partial sacraments. Some recent Thomists -- e.g., Billot (op. cit., p. 282) and Tanquerey (De ordine, n. 16) -- defend this opinion as more probable and more in conformity with the definitions of the councils. The giving of the chalice with wine and of the paten with bread Thomists generally held to be an essential part of ordination to the priesthood. Some, however, taught that the imposition of hands was at least necessary. On the question of divorce under the Mosaic Law the disciples of St. Thomas, like the saint himself (Suppl., Q. lxvii, a. 3), wavered, some holding that a dispensation was granted, others teaching that divorce was merely tolerated in order to avoid greater evils.

THE THOMISTIC SCHOOL

The chief doctrines distinctive of this school, composed principally of Dominican writers, are the following:

A. In Philosophy

The unity of substantial form in composite beings, applied to man, requires that the soul be the substantial form of the man, so as to exclude even the forma corporeitatis, admitted by Henry of Ghent, Scotus, and others (cf. Zigliara, P. 13; Denzinger-Bannwart, in note to n. 1655).
In created beings there is a real distinction between the essentia (essence) and the existentia (existence); between the essentia and the subsistentia; between the real relation and its foundation; between the soul and its faculties; between the several faculties. There can be no medium between a distinctio realis and a distinctio rationis, or conceptual distinction; hence the distinctio formalis a parte rei of Scotus cannot be admitted. For Thomistic doctrines on free will, God's knowledge, etc., see below.

B. In Theology

In the beatific vision God's essence takes the place not only of the species impressa, but also of the species expressa.
All moral virtues, the acquired as well as the infused, in their perfect state, are interconneted.
According to Billuart (De pecc., diss. vii, a. 6), it has been a matter of controversy between Thomists whether the malice of a mortal sin is absolutely infinite.
In choosing a medium between Rigorism and Laxism, the Thomistic school has been Antiprobabilistic and generally has adopted Probabiliorism. Some defended Equiprobabilism, or Probabilism cum compensatione. Medina and St. Antoninus are claimed by the Probabilists.
Thomistic theologians generally, whilst they defended the infallibility of the Roman pontiff, denied that the pope had the power to dissolve a matrimonium ratum or to dispense from a solemn vow made to God. When it was urged that some popes had granted such favours, they cited other pontiffs who declared that they could not grant them (cf. Billuart, "De matrim.", Diss. v, a. 2), and said, with Dominic Soto, "Factum pontificium non facit articulum fidei" (The action of a pope does not constitute an article of faith, in 4 dist., 27, Q. i, a. 4). Thomists of today are of a different mind, owing to the practice of the Church.
The hypostatic union, without any additional grace, rendered Christ impeccable. The Word was hypostatically united to the blood of Christ and remained united to it, even during the interval between His death and resurrection (Denzinger-Bannwart, n. 718). During that same interval the Body of Christ had a transitory form, called forma cadaverica (Zigliara, P. 16, 17, IV).
The sacraments of the New Law cause grace not only as instrumental moral causes, but by a mode of causality which should be called instrumental and physical. In the attrition required in the Sacrament of Penance there should be at least a beginning of the love of God; sorrow for sin springing solely from the fear of hell will not suffice.
Many theologians of the Thomistic School, especially before the Council of Trent, opposed the doctrine of Mary's Immaculate Conception, claiming that in this they were following St. Thomas. This, however, has not been the opinion either of the entire school or of the Dominican Order as a body. Father Rouard de Card, in his book "L'ordre des freres precheurs et l'Immaculée Conception "(Brussels, 1864), called attention to the fact that ten thousand professors of the order defended Mary's great privilege. At the Council of Trent twenty-five Dominican bishops signed a petition for the definition of the dogma. Thousands of Dominicans, in taking degrees at the University of Paris, solemnly pledged themselves to defend the Immaculate Conception.
The Thomistic School is distinguished from other schools of theology chiefly by its doctrines on the difficult questions relating to God's action on the free will of man, God's foreknowledge, grace, and predestination. In the articles on these subjects will be found an exposition of the different theories advanced by the different schools in their effort to explain these mysteries, for such they are in reality. As to the value of these theories the following points should be borne in mind:



No theory has as yet been proposed which avoids all difficulties and solves all doubts;
on the main and most difficult of these questions some who are at times listed as Molinists -- notably Bellarmine, Francisco Suárez, Francis de Lugo, and, in our own days, Cardinal Billot ("De deo uno et trino", Rome, 1902, Th. XXXII) -- agree with the Thomists in defending predestination ante praevisa merita. Bossuet, after a long study of the question of physical premotion, adapted the Thomistic opinion ("Du libre arbitre", c. viii).
Thomists do not claim to be able to explain, except by a general reference to God's omnipotence, how man remains free under the action of God, which they consider necessary in order to preserve and explain the universality of God's causality and the independent certainty of His foreknowledge. No man can explain, except by a reference to God's infinite power, how the world was created out of nothing, yet we do not on this account deny creation, for we know that it must be admitted. In like manner the main question put to Thomists in this controversy should be not "How will you explain man's liberty?" but "What are your reasons for claiming so much for God's action?" If the reasons assigned are insufficient, then one great difficulty is removed, but there remains to be solved the problem of God's foreknowledge of man's free acts. If they are valid, then we must accept them with their necessary consequences and humbly confess our inability fully to explain how wisdom "reacheth . . . from end to end mightily, and ordereth all things sweetly" (Wisdom 8:1).
Most important of all, it must be clearly understood and remembered that the Thomistic system on predestination neither saves fewer nor sends to perdition more souls than any other system held by Catholic theologians. In regard to the number of the elect there is no unanimity on either side; this is not the question in dispute between the Molinists and the Thomists. The discussions, too often animated and needlessly sharp, turned on this point: How does it happen that, although God sincerely desires the salvation of all men, some are to be saved, and must thank God for whatever merits they may have amassed, whilst others will be lost, and will know that they themselves, and not God, are to be blamed? -- The facts in the case are admitted by all Catholic theologians. The Thomists, appealing to the authority of St. Augustine and St. Thomas, defend a system which follows the admitted facts to their logical conclusions. The elect are saved by the grace of God, which operates on their wills efficaciously and infallibly without detriment to their liberty; and since God sincerely desires the salvation of all men, He is prepared to grant that same grace to others, if they do not, by a free act, render themselves unworthy of it. The faculty of placing obstacles to Divine grace is the unhappy faculty of sinning; and the existence of moral evil in the world is a problem to be solved by all, not by the Thomists alone. The fundamental difficulties in this mysterious question are the existence of evil and the non-salvation of some, be they few or be they many, under the rule of an omnipotent, all-wise, and all-merciful God, and they miss the point of the controversy who suppose that these difficulties exist only for the Thomists. The truth is known to lie somewhere between Calvinism and Jansenism on the one hand, and Semipelagianism on the other. The efforts made by theologians and the various explanations offered by Augustinians, Thomists, Molinists, and Congruists show how difficult of solution are the questions involved. Perhaps we shall never know, in this world, how a just and merciful God provides in some special manner for the elect and yet sincerely loves all men. The celebrated Congregatio de Auxiliis did not forever put an end to the controversies, and the question is not yet settled.

III. NEO-THOMISM AND THE REVIVAL OF SCHOLASTICISM

When the world in the first part of the nineteenth century began to enjoy a period of peace and rest after the disturbances caused by the French Revolution and the Napoleonic Wars, closer attention was given to ecclesiastical studies and Scholasticism was revived. This movement eventually caused a revival of Thomism, because the great master and model proposed by Leo XIII in the encyclical "Aeterni Patris" (4 Aug., 1879) was St. Thomas Aquinas ... The Thomistic doctrine had received strong support from the older universities. Among these the Encyclical "Aeterni Patris" mentions Paris, Salamanca, Alcalá Douai, Toulouse, Louvain, Padua, Bologna, Naples, and Coimbra as "the homes of human wisdom where Thomas reigned supreme, and the minds of all, teachers as well as taught, rested in wonderful harmony under the shield and authority of the Angelic Doctor". In the universities established by the Dominicans at Lima (1551) and Manila (1645) St. Thomas always held sway. The same is true of the Minerva school at Rome (1255), which ranked as a university from the year 1580, and is now the international Collegio Angelico. Coming down to our own times and the results of the Encyclical, which gave a new impetus to the study of St. Thomas's works, the most important centres of activity are Rome, Louvain, Fribourg (Switzerland), and Washington. At Louvain the chair of Thomistic philosophy, established in 1880, became, in 1889-90, the "Institut supérieur de philosophie" or "Ecole St. Thomas d'Aquin," where Professor Mercier, now Cardinal Archbishop of Mechlin, ably and wisely directed the new Thomistic movement (see De Wulf, "Scholasticism Old and New", tr. Coffey, New York, 1907, append., p. 261; "Irish Ecel. Record", Jan. 1906). The theological department of the University of Fribourg, Switzerland, established in 1889, has been entrusted to the Dominicans. By the publication of the "Revue thomiste" the professors of that university have contributed greatly to a new knowledge and appreciation of St. Thomas. The Constitution of the Catholic University of America at Washington enjoins special veneration for St. Thomas; the School of Sacred Sciences must follow his leadership ("Const. Cath. Univ. Amer.", Rome, 1889, pp. 38, 43). The University of Ottawa and Laval University are the centres of Thomism in Canada. The appreciation of St. Thomas in our days, in Europe and in America, is well set forth in Perrier's excellent "Revival of Scholastic Philosophy in the Nineteenth Century" (New York, 1909).

IV. EMINENT THOMISTS

After the middle of the fourteenth century the vast majority of philosophical and theological writers either wrote commentaries on the works of St. Thomas or based their teachings on his writings. It is impossible, therefore, to give here a complete list of the Thomists: only the more important names can be given. Unless otherwise noted, the authors belonged to the Order of St. Dominic. Those marked (*) were devoted to Thomism in general, but were not of the Thomistic School. A more complete list will be found in the works cited at the end of this article.

Thirteenth Century

Thomas de Cantimpré (1270); Hugh of St. Cher (1263); Vincent of Bauvais (1264); St. Raymond de Pennafort (1275); Peter of Tarentaise (Pope Innocent V -- 1276); Giles de Lassines (1278); Reginald de Piperno (1279); William de Moerbeka (1286); Raymond Marti (1286); Bernard de Trilia (1292); Bernard of Hotun, Bishop of Dublin (1298); Theodoric of Apoldia (1299); Thomas Sutton (1300).

Fourteenth Century

Peter of Auvergne (1301); Nicholas Boccasini, Benedict XI (1304); Godfrey of Fontaines (1304); Walter of Winterburn (1305); Ægidius Colonna (Aigidius Romanus), O.S.A (1243-1316); William of Paris (1314); Gerard of Bologna, Carmelite (1317); four biographers, viz Peter Calo (1310); William de Tocco (1324); Bartolommeo of Lucca (1327); Bernard Guidonis* (1331); Dante (1321); Natalis Hervieus (1323); Petrus de Palude (Paludanusi -- 1342); Thomas Bradwardin, Archbishop of Canterbury (1349); Robert Holkott (1349); John Tauler (1361); Bl. Henry Suso (1365); Thomas of Strasburg, O.S.A. (1357); Jacobus Passavante (1357); Nicholas Roselli (1362); Durandus of Aurillac (1382), sometimes called Durandulus, because he wrote against Durandus a S. Portiano*, who was first a Thomist, afterwards an independent writer, attacking many of St. Thomas's doctrines; John Bromyard (1390); Nicholas Eymeric (1399).

Fifteenth Century

Manuel Calecas (1410); St. Vincent Ferrer (1415); Bl. John Dominici (1419); John Gerson*, chancellor of the University of Paris (1429); Luis of Valladolid (1436); Raymond Sabunde (1437); John Nieder (1437); Capreolus (1444), called the "Prince of Thomists"; John de Montenegro (1445); Fra Angelico (1455); St. Antoninus (1459); Nicholas of Cusa*, of the Brothers of the Common Life (1464); John of Torquemada (de Turrecrematai, 1468); Bessarion, Basilian (1472); Alanus de Rupe (1475); John Faber (1477); Petrus Niger (1471); Peter of Bergamo (1482); Jerome Savonarola (1498).

Sixteenth Century

Felix Faber (1502); Vincent Bandelli (1506); John Tetzel (1519); Diego de Deza (1523); Sylvester Mazzolini (1523); Francesco Silvestro di Ferrara (1528); Thomas de Vio Cajetan (1534) (commentaries by these two are published in the Leonine edition of the works of St. Thomas); Conrad Koellin (1536); Chrysostom Javelli (1538); Santes Pagnino (1541); Francisco de Vitoria (1546); Franc. Romseus (1552); Ambrosius Catherinus* (Lancelot Politi, 1553); St. Ignatius of Loyola (1556) enjoined devotion to St. Thomas; Matthew Ory (1557); Dominic Soto (1560); Melchior Cano (1560); Ambrose Pelargus (1561); Peter Soto (1563); Sixtus of Siena (1569); John Faber (1570); St. Pius V (1572); Bartholomew Medina (1581); Vincent Justiniani (1582); Maldonatus* (Juan Maldonado, 1583); St. Charles Borromeo* (1584); Salmerón* (1585); Ven. Louis of Granada (1588); Bartholomew of Braga (1590); Toletus* (1596); Bl. Peter Canisius* (1597); Thomas Stapleton*, Doctor of Louvain (1598); Fonseca (1599); Molina* (1600).

Seventeenth Century

Valentia* (1603); Domingo Baflez (1604); Vásquez* (1604); Bart. Ledesma (1604); Sánchez* (1610); Baronius * (1607); Capponi a Porrecta (1614); Aur. Menochio * (1615); Petr. Ledesma (1616); Francisco Suárez* (1617); Du Perron, a converted Calvinist, cardinal (1618); Bellarmine* (1621); St. Francis de Sales* (1622); Hieronymus Medices (1622); Lessius* (1623); Becanus* (1624); Malvenda (1628); Thomas de Lemos (1629); Alvarez; Laymann* (1635); Joann. Wiggers*, doctor of Louvain (1639); Gravina (1643); John of St. Thomas (1644); Serra (1647); Ripalda*, S.J. (1648); Sylvius (Du Bois), doctor of Douai (1649); Petavius* (1652); Goar (1625); Steph. Menochio, S.J.* (1655); Franc. Pignatelli* (1656); De Lugo* (1660); Bollandus* (1665); Jammy (1665); Vallgornera (1665); Labbe* (1667); Pallavicini* (1667); Busenbaum* (1668); Nicolni* (1673); Contenson (1674); Jac. Pignatelli* (1675); Passerini* (1677); Gonet (1681); Bancel (1685); Thomassin* (1695); Goudin (1695); Sfrondati* (1696); Quetif (1698); Rocaberti (1699); Casanate (1700). To this period belong the Carmelite Salmanticenses, authors of the "Cursus theologicus" (1631-72).

Eighteenth Century

Guerinois (1703); Bossuet, Bishop of Meaux; Norisins, O.S.A. (1704); Diana (1705); Thyrsus González* (1705); Massoulié (1706); Du hamel* (1706); Wigandt (1708); Piny (1709); Lacroix* (1714); Carrières* (1717); Natalis Alexander (1724); Echard (1724); Tourney*, doctor of the Sorbonne (1729); Livarius de Meyer* (1730); Benedict XIII* (1730); Graveson (1733); Th. du Jardin (1733); Hyacintha Serry (1738); Duplessis d'Argentré* (1740); Gotti (1742); Drouin* (1742); Antoine* (1743); Lallemant* (1748); Milante* (1749); Preingue (1752); Concina (1759); Billuart (1757); Benedict XIV* (1758); Cuiliati (1759); Orsi (1761); Charlevoix* (1761); Reuter* (1762); Baumgartner* (1764); Berti* (1766); Patuzzi (1769); De Rubeis (1775); Touron (1775); Thomas de Burgo (1776); Gener* (1781); Roselli (1783); St. Aiphonsus Liguori (1787); Mamachi (1792); Richard (1794).

Nineteenth Century

In this century there are few names to be recorded outside of those who were connected with the Thomistic revival either as the forerunners, the promoters, or the writers of the Neo-Scholastic period.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIV, 1912, New York (http://www.newadvent.org/cathen/14698b.htm)

Augustinus
09-03-08, 22:21
Omelie su san Tommaso d'Aquino del Servo di Dio Padre Tomas Josef M. Tyn O. P.

Oltre al "De Divinis Nominibus", che non poteva mancare, e il "De Gerarchia Coelestis et Ecclesiastis", le due somme sono le due cattedrali costruite da San Tommaso, cioè la Summa Theologiae, che voi conoscete nella divisione fondamentale. Se seguirete i corsi dell’Ordo Praedicatorum, presso la venerabile basilica di San Domenico a Bologna, allora prenderete molta familiarità con la Summa Teologiae.

La prima parte è dedicata alla dogmatica, con i trattati de Deo Uno, de Deo Trino, de Deo Creatore e dell’ordo disciplinae. Questo ordine non si può cambiare, perché San Tommaso ha trovato quell’ordinamento delle questioni che è attinente alla cosa in sé. Certo uno potrebbe dire che è una impostazione troppo deduttiva e poco pedagogica, invece l’uomo deve elevarsi alla verità, non pretendere di abbassare la verità a sé, come è di cattivo gusto al giorno di oggi. Temo che San Tommaso abbia ragione contro i moderni nel dire: "l’ordo disciplinae" è questo: prima de Deo Uno, l’unità, l’esistenza e l’essenza di Dio, le due questioni: essenza ed esistenza di Dio, successivamente il mistero della Trinità Santissima. Vedremo come distingue tra filosofia e teologia, come la Trinità per lui è mistero essenzialmente rivelato, non è assolutamente accessibile alla ragione filosofica.

È bellissimo il trattato "De Deo Creatore", che non a caso si aggiunge in qualche modo al trattato trinitario. C’è una analogia, solo un’analogia, (non che sia una continuazione), tra le processioni divine ad intra, cioè interiori rispetto a Dio, e le processioni ad extra, che è la processione delle cose create da Dio.

Segue il trattato sulla creazione, che si articola secondo le singole opere create da Dio. C’è anche il trattato "De Nomine", l’antropologia tomistica, il trattato "De Angelis", per il quale San Tommaso si meritò il titolo di dottore angelico, doctor angelicus o anche doctor communis, perché cattolico, trasparente per tutto il popolo di Dio. Dunque: il trattato sugli Angeli e il trattato sul governo di Dio rispetto al mondo.

La seconda parte si divide in "Prima Secundae" e "Secunda Secundae", questa ultima è la parte morale. San Tommaso dice che è il reditus rationalis creaturae in Deum, cioè il ritorno della creatura razionale in Dio. Anche qui è geniale nella sua impostazione. Tutta la sua morale poggia sul fine. La prima questione della morale non è la costituzione della legge, dei precetti. Tutto questo deriva da che cosa? Dal fine. Cioè la legge di Dio non è campata per aria, è fondata nell’essere, è proprio quello che i moderni non riescono a stabilire, il legame fra ontologia e deontologia, quello che San Tommaso stabilisce tramite la finalità. La prima questione della morale è quella della finalità, dell’atto umano, atto libero, che in qualche modo è sottoposto, responsabilizzato dal fine, sottoposto alle esigenze del fine. Un atto umano buono è quello che adempie le esigenze della finalità umana, un atto umano disordinato è quello che si sottrae a queste finalità. Vedete come la morale di San Tommaso comincia con la questione del fine ultimo.

Segue il trattato sugli abiti umani, dove parla della soggettività dell’atto umano, l’influsso sul volontario. Prima vengono esaminati gli abiti, poi le virtù, i peccati e i vizi. Infine il trattato sulla legge e la grazia. Nei principi estrinseci c’è Dio che ci istruisce tramite la legge, poi ci aiuta tramite la grazia: questa è la morale generale.

Inizia poi la morale particolare, con questa ironica constatazione del prologo, nel quale San Tommaso dice: "Sermones morales universales sunt minus utiles", "i sermoni morali troppo universali sono meno utili". In morale bisogna agire. San Tommaso è un pragmatista, perché la sua morale è impostata in vista della visione beata del Cielo. Con San Bonaventura dice chiaramente che la beatitudine dell’uomo non sta né nell’amare Dio, né nel godere di Dio, ma sta nel conoscere Dio. Quindi le virtù intellettuali, come in Aristotele (anche se è chiaro in chiave cristiana, soprannaturale), continuano ad avere la preminenza sulle virtù morali. Però le virtù morali predispongono alla beatitudine che consiste nella piena realizzazione dell’intelligenza umana. Chiaramente questo atto dell’intelletto che vede Dio non è senza amore di Dio e senza godimento di Dio, questo è ovvio, però San Tommaso pone la beatitudine nell’atto dell’intelligenza.

Nella morale particolare sono trattate le virtù nella loro specie, anzitutto le virtù teologali, quindi la fede, la speranza e la carità. Seguono le altre quattro virtù cardinali, tra cui la prudenza, che per San Tommaso è molto importante. Bello questo, i moralisti oggi hanno molto dimenticato questo ruolo, di quella che è l’auriga virtutum, cioè quella che è la guida di tutte le virtù. Poi il trattato sulla giustizia, sulla fortezza e sulla temperanza. Sono così ordinate le virtù perché la prudenza è la più razionale, nell’intelletto pratico. La giustizia sta nella volontà, sempre razionale, però derivata in qualche modo dalla parte volitiva. Poi ci sono le virtù che regolano gli appetiti sensitivi, prima di tutto l’appetito irascibile, la fortezza (San Tommaso spiega che anche l’ira è una cosa buona), quindi la fortezza e la magnanimità. E’ stupendo San Tommaso nel trattato sulla magnanimità, come spiega che l’umiltà non esclude la magnanimità, ma anzi l’uomo umile è quello che ha la giusta stima di sé, alla luce di Dio, si capisce, e quindi si sente spronato a cose grandi, il cristiano non è quello che si abbassa e quindi dice: "Io sono un buono a nulla!", questo potrebbe essere anche un bel alibi per non far niente. San Tommaso dice: "Il cristiano è uno che aspira alla santità ha una visione grandiosa del cristianesimo, però umile". Vedete la grandezza dell’umiltà, San Tommaso in questo è un grande maestro.

Infine c’è il trattato aggiunto alla Secunda Secundae, che è quello sugli stati di vita, quindi lo stato clericale, laicale e lo stato religioso.

Nella terza parte, che è l’ultima, dulcis in fundo, tratta del Cristo, che ricapitola in sé tutte le cose. Oggi ci sono quelli che si scandalizzano e che dicono: "Come, San Tommaso mette il Cristo nella terza parte, come se fosse in un angolino!", invece è lì, a ragion veduta, per sottolineare la gratuità con cui Dio ci ha redenti in Cristo. Nessuno poteva pensare ad un Redentore così grande, un Redentore che fosse nel contempo Dio e Uomo, quindi San Tommaso nella terza parte svolge questi trattati sul Cristo, sull’Incarnazione del Verbo anzitutto, poi sulla soteriologia, sul Cristo salvatore, sui sacramenti. Il resto è stato aggiunto dopo traendolo dalle sentenze di Reginaldo di Priverno.

Tutto deve concludersi con i novissimi: ben vedete che la terza parte finisce con l’esecuzione, cioè il regno si è compiuto, si arriva alla meta. La Somma è un’opera proprio geniale, meravigliosa, non ho parole per descriverla. Vedere per provare, come si dice, andate a vedere, provare per credere. Provate a leggere la Summa Theologiae e vedrete che gusterete questa profonda sapienza, tanto razionale e anche tanto elevata.

L’altra Summa, quella "Contra Gentes" è anche questa meritevole di attenzione, ha una struttura veramente interessante, decisamente apologetica. Si dice che San Tommaso l’abbia scritta proprio come manuale per i predicatori che andavano in missione presso i Saraceni. Allora c’era l’idea, secondo me anche giusta, di convertire gli infedeli e non tanto di fare dialogo o eucumenismo con loro. San Tommaso inquadrava la conversione in un dialogo con loro, però lo scopo del dialogo era quello di portarli al cattolicesimo, senza scherzi.

Scrive questa "Contra Gentes" con i primi tre libri che trattano gli argomenti naturali, proprio di filosofia naturale, poi il quarto libro, che tratta di argomenti teologici. Infatti San Tommaso è ben convinto, lo dice esplicitamente, (vedete come ci insegna il vero metodo apologetico), da un lato avere il coraggio dell’apologetica. Cioè non dire dialogo, dialogo e niente apologetica, ma dialogo apologetico. Certo dialogo signorile, nessuno è più signore di San Tommaso in queste cose, tuttavia dialogo in vista della conversione. Il sottotitolo di questa Contra Gentes è: "iter de veritate cattolicae fidis" cioè il libro sulla verità della fede cattolica. In San Tommaso non c’è una specie di commercio: "noi vi diamo un pezzettino del nostro dogma e voi ci concedete qualche cosa d’altro". Ad esempio, parlando con i luterani dire: voi accettate la Madonna e noi vi sacrifichiamo i Santi. Non è un compromesso serio. Per San Tommaso non ci sono compromessi, la pienezza della verità c’è nella fede cattolica, non per merito nostro, ma per bontà, per grazia di Dio.

Tuttavia dice che per dialogare, in vista della conversione, con gli infedeli bisogna sempre procedere fondandosi su quello che loro ammettono. E i gradi sono questi: con gli eretici cristiani, che si rifanno a Cristo, per esempio con Ariani ecc., bisogna disputare basandosi sul nuovo Testamento, perché loro accettano anche quello. Con i Giudei, che accettano l’Antico Testamento, bisogna disputare almeno in base all’antico testamento, ovviamente non si può disputare sulla base del nuovo testamento, perché loro lo rifiutano. Però non perché continuino a rifiutarlo, ma affinché lo accettino. Qualcuno potrebbe dire: "San Tommaso è estremamente moderno in questo", però la sua mentalità è quella di iniziare da quello che c’è di comune, per condurre poi alla pienezza.

Quando non c’è neppure il vecchio testamento, una cosa però rimane, (è ottimista San Tommaso), "quidiquid est intellegi potest", tutto ciò che è si può conoscere con la ragione. Quindi anche se manca il lume della fede, non dovrebbe almeno mancare la ragione. San Tommaso ahimè è più ottimista di me, dice: "natura non deficit in necessariis", la natura non viene meno nelle cose necessarie, non manca il lume della ragione naturale e quindi si può sempre disputare sul terreno della filosofia. San Tommaso ha capito bene l’importanza apologetica della filosofia, è estremamente importante. La mia vocazione tomistica si fonda in gran parte su questa convinzione: oggi per condurre anime alla fede e per consolidare la fede, è necessario appoggiarla su una solida filosofia.

Troviamo molte altre questioni disputate ad esempio sulla fedeltà, sull’uso del denaro ecc. Infine le quaestiones quodlibetales, de quo libet. Si distinguevano due tipi di disputazioni all’università: una era la disputazione diciamo così determinata, nel senso che l’argomento era fissato, si diceva: "Si discuterà sul tale tema" quindi gli studenti si radunavano, c’era il magister, il cancelliere, gli studenti e si disputava su quella determinata questione. Invece nei sacri tempi dell’avvento e della quaresima si diputavano le quaestiones quodlibetales. Pensate alla vita cristiana dell’università, mi dispiace per il rettore della nostra Alma Mater Bononiensis, il quale affermava che il merito dell’università di Bologna era stato quello di separare la cultura dal cristianesimo. Invece la cultura nasce dal cristianesimo. C’era l’antica cultura scaligera, prima di quella cristiana, ma quella universitaria, c’è poco da fare, nasce con il cristianesimo. Non solo, io aggiungo che finisce con il cristianesimo. Basta guardare come è ridotta l’università al giorno di oggi per rendersene conto.

Notate come al tempo di San Tommaso la vita cristiana rientra nello svolgimento delle lezioni universitarie, c’era quasi un divertimento penitenziale, in questi tempi ove la liturgia vestiva in viola, ci si incontrava per queste dispute de quo libet. Era veramente de quo libet, domande di ogni tipo, è interessante leggerle. Per esempio sulla liceità della confessione ai laici, dice San Tommaso, "se un Crucis signatus", un crociato in sostanza, "se rimane accerchiato dai nemici e teme per la sua vita, che cosa deve fare? Si può confessare ai cavalieri, che sono laici? E’ tutta una cosa pia, però non è una assoluzione valida". Dice la scrittura che dobbiamo confessarci i peccati gli uni agli altri, quindi sistema un poco la questione, nel dire che non è una confessione sacramentale, però è una cosa buona, la confessione all’altro. Altre curiosità, come il quesito con quali fasce la Madonna avvolse Gesù Bambino, oppure diatribe sul libro della vita, quello su qui l’Angelo porterà i nomi scritti , questioni disputate di diverso tipo.

Dopo l’analisi delle opere, che potete vedere sia dall’elenco delle edizioni Marietti, sia in altre edizioni, adesso affrontiamo la dottrina. Anzitutto il rapporto tra ragione e fede. Abbiamo già visto con Sant’Alberto che la filosofia si distingue nettamente dalla teologia. Ebbene San Tommaso corrobora fortemente questa convinzione. Distinzione, separazione, ma mai contraddizione. Combatte contro due fronti, contro gli agostiniani, dice: "C’è distinzione, non si può confondere filosofia con teologia e non si fa un’opera a favore della teologia non rispettando l’autonomia della filosofia" San Tommaso parte da questa ottimistica considerazione, (questa volta l’ottimismo è fondato), questa convinzione che la ragione non può che essere amica della fede. La ragione amica della fede.

Quindi dice: "La filosofia va rispettata nella sua autonomia". San Tommaso non sarebbe contento perciò dell’espressione "filosofia cristiana". C’è il cristiano che è anche filosofo, però il suo essere filosofo sarebbe un accidens rispetto al suo cristianesimo. Suona quasi orribilmente dire che uno è cristiano per accidens rispetto alla filosofia, cioè è cristiano per sé, per la salvezza della sua anima, essenzialmente per la sua anima, ma rispetto alla filosofia lo è per accidens. Autonomia della ragione: la ragione va rispettata nella sua autonomia, proprio perché lo splendore della ragione prepari la via alla fede, non che lo conduca alla fede, ma la prepari. La fede ha quasi la funzione di Giovanni Battista, prepara la via della salvezza. Quindi distinzione tra ragione e fede.

Tommaso combatte contro gli agostiniani che riducevano la filosofia al cristianesimo. San Tommaso dice: "No, la filosofia è disciplina razionale, a sé stante, anche i pagani hanno filosofi a pieno titolo", però poi si oppone alla teoria della duplice verità. Non è concepibile che uno possa dire: "Io come cristiano, dico che l’anima è immortale, ma come avveroista dico che l’anima non è spirituale", non è possibile . Si può citare la "Humani Generis" quella bella opera di Pio XII, il quale condanna tutte le tendenze pericolose della teologia moderna e tra tante tendenze c’è anche quella evoluzionistica. Il Papa dice: "Va bene, il cristiano in tema evoluzionistico non deve pronunciarsi si o no, è un tema scientifico. Però uno scienziato cristiano non è libero in materia del monogenismo o poligenismo, perché il concilio di Trento insegna autorevolmente che l’eredità del peccato delle origini viene trasmesso mediante le generazioni". Quindi sarebbe un’assurdità se la stirpe umana fosse generata sulla terra da molti luoghi, uno in Africa, mettiamo, e l’altro in Australia, uno potrebbe dire: "Bene, quelli dell’Africa hanno il peccato originale, quelli dell’Australia sono innocenti". Non è possibile, perché sono nati sotto il peccato. Vedete che qui la fede obbliga a fare opzioni anche a livello razionale, non di violentare la ragione, semplicemente essere coerenti

San Tommaso non avrebbe ammesso il discorso di oggi: "Io sono un buon cristiano, che va a Messa tutte le domeniche, però nel contempo in materia di evoluzione la penso come Darwin etc"

Adesso vi cito un articolo dello stesso San Tommaso che mette molto bene in luce questa distinzione tra la teologia e filosofia, è nella prima parte della "Summa Theologiae" (quando dico "Summa" è sempre Theologiae, altrimenti dico "Contra Gentes"), quindi nella prima parte della "Summa", questione 32, articolo 1, (San Tommaso è molto sostanziale, senza fronzoli, però bello), San Tommaso dice: "Impossibile est per rationem naturalem ad cognitonem Trinitatis divinarum Personarum pervenire", è impossibile tramite la ragione naturale giungere alla cognizione della Trinità delle Divine Persone. Veramente San Anselmo tranquillamente pensava che si potesse pensare questa verità con la ragione, San Tommaso dice di no. È impossibile per principio che la ragione umana giunga alla conoscenza della Trinità delle Persone Divine. E aggiunge: "Per rationem naturalem conosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non ea quae pertinent ad distintionem Personarum", cioè tramite la ragione, con l’aiuto della ragione naturale, si possono conoscere di Dio tutte quelle cose che riguardano l’unità della sua essenza, non quelle cose che riguardano la distinzione delle Divine Persone. Poi dice: "Qui autem", bella questa osservazione: "Qui autem provare nititur Trinitatem Personarum naturali ratione, fidei derogant", chi ci prova a dimostrare la Trinità delle Persone Divine con la ragiona naturale, deroga alla fede, oltraggia la fede. Interessante, uno potrebbe dire: "Ma come, avere questo discorso: consistente significa non contraddittoria rispetto ad altre posizioni".

Quindi è possibile elaborare un sistema di proposizioni che è privo di contraddizioni. Però le proposizioni non significano nulla, o se significano qualcosa non dicono il vero. Però non è possibile costruire un sistema che sia vero e che sia contraddittorio. La condizione sine qua non della verità è che non sia contraddittoria. Perciò nessuna verità su un ambito può contraddire una verità di un altro ambito. Noi abbiamo sia l’evidenza naturale delle verità filosofiche, che l’evidenza soprannaturale delle verità di fede. Le due evidenze, dato che ci forniscono la verità, non possono entrare in conflitto. Nel caso che un conflitto si costituisse, bisognerebbe riesaminare la situazione, cioè con ogni probabilità la nostra ragione non è riuscita o ad afferrare bene la dimostrazione filosofica o ad interpretare bene la Sacra scrittura. Però la colpa non è delle verità, la colpa è del nostro intelletto che non riesce in qualche modo ad afferrarla a pieno.

San Tommaso, dinanzi a Galileo, avrebbe poche critiche, avrebbe detto: "se la terra gira intorno al sole o il sole intorno alla terra non fa differenza, l’uomo rimane sempre centro dell’universo, tramite la sua costituzione metafisica. Non è la sua collocazione topografica che fa la sua centralità". Quindi avrebbe detto: "Il sistema eliocentrico non cambia nulla nella fede" . E’ molto importante questo, il saper distinguere il duplice aspetto della verità naturale e soprannaturale ed ammettere anche la loro perfetta complementarità, senza contraddizioni.

Riposate un pochino, poi di nuovo tornate alla santa predica.

Seconda parte

Secondo San Tommaso la ragione è a servizio della fede in quanto ne dimostra i preamboli, i "praeambula fidei", motivi di credibilità, cosa importantissima. Miei cari, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ha voluto che non solo avessimo la fede soprannaturale, ossia questa luce divina, partecipata alla nostra anima, per contemplare, sia pure in enigma, non ancora faccia a faccia, quello ci è promesso per la vita eterna, quella verità che è nascosta da secoli eterni nell’essenza di Dio, "alla Tua luce, o Signore, vedremo la luce", non solo noi nella fede conosciamo delle realtà di per sé sconosciute alla luce naturale della ragione, ma oltre questo, c’è un ambito esplorabile dalla ragione, con la luce naturale dalla ragione. Nell’ambito soprannaturale, ove si esige un supplemento di luce intellettiva, qui troviamo appunto la virtù della fede.

Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo non voleva solo che l’uomo credesse sentimentalmente: "Io credo perché la fede è così bella!". È vero, è bella la nostra cara fede cattolica, però non basta, non è fede quella, miei cari, i fideisti non credono, è questo il guaio. Dice uno scritto romano del settecento, non ricordo bene di chi "Non è possibile credere, dubitando se Dio si sia rivelato", cioè l’adesione dell’uomo alla fede suppone l’evidenza della credibilità del fatto. Altrimenti io potrei credere a qualsiasi sciocchezza, io potrei credere alla reincarnazione, potrei credere ad Hari Krisna, se mi piacesse. Quindi importante è che io non solo dia l’adesione ad una verità ma che la mia adesione abbia l’evidenza della credibilità.

Motivi di credibilità sono i miracoli del Salvatore. Perché Gesù fa tanti miracoli? Non per accontentare la curiosità della gente, nemmeno per condurli alla fede, perché molti non hanno creduto, il miracolo non obbliga alla fede, però il miracolo dà la credibilità, dà l’evidenza che lì c’è il dito di Dio. Come dice Gesù stesso: "Con il dito di Dio, Io scaccio i demoni". Quindi il miracolo è un motivo di credibilità.

Un altro motivo di credibilità è la grande diffusione della Santa Chiesa. Ma il motivo più grande, il più bello è quello filosofico, è l’analogia fidei, cioè lo splendore dei misteri rivelati, la convenienza della rivelazione rispetto alla ragione naturale dell’uomo. Quindi San Tommaso si adopera bene a spiegare questi preambula fidei, cioè ad elaborare quegli elementi che portano la parte suprema della ragione quasi a contatto, (non a contatto di continuità, ma a contatto analogico, di partecipazione similitudinaria) con quella luce superiore che è la luce della fede.

Questo schema è un po’ neoplatonico, nel senso già detto da Plotino, che la realtà suprema dell’ordine inferiore arriva a contatto con la realtà infima dell’ordine superiore. A contatto, però non nel senso che ci sia una continuità, non che si passi da un ordine all’altro, c’è una certa similitudine, affinità e quindi bisogna coltivare la metafisica, la dottrina dell’essere, che è quella più affine alla dottrina di quell’Essere per sé sussistente, che è l’Essere Increato, che è l’actus purus essendi sussistens, ossia che è Dio. Questo actus purus essendi adesso lo conosciamo metafisicamente, inadeguatamente tramite l’essere comune, oppure si conosce analogicamente tramite la metafisica e poi tramite la fede. Quindi c’è un’affinità tra la fede che ci rivela la pienezza dell’essere sussistente in Dio e la metafisica in quanto tratta dell’essere in quanto essere. Non è la stessa cosa, però c’è un’affinità. Perciò il teologo buono deve coltivare la metafisica, la sapienza filosofica.

Esprimeva Domenico delle Fiandre un’idea che San Tommaso avrebbe subito fatta sua, diceva: "Qui ignorat methaphysicam, in theologia semper erit peregrinus", come la maggior parte dei nostri nuovi teologi. Allora i nostri nuovi teologi, che sono molto nuovi ma poco teologi, ebbene non coltivando sufficientemente la metafisica, combinano dei guai, perché la teologia suppone questa cultura metafisica, presuppone i preamboli della fede.

Notate che il Concilio Eucumenico Vaticano I autorevolmente stabilisce questo fatto, che la ragione umana può conoscere delle verità naturali rispetto a Dio e scomunica (tuttora scomuniche valide, sapete, anche dopo il Vaticano II), scomunica chiunque osasse dire che non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio e di tanti suoi attributi. Ci sono delle verità naturali che sono dei preamboli rispetto alla fede. E non solo San Tommaso, ma tutta la Chiesa, che fa sua la dottrina di San Tommaso a questo riguardo, ci insegna che bisogna approfondire i preamboli della fede, per avere una fede sempre più matura. Mi commuovo talvolta quando sento delle persone buone, ma un po’ fideistiche, e mi preoccupo per quelle anime. Uno potrebbe dire: "Ma no, padre, non si preoccupi per quelle anime, sono buoni, credono…" invece no, la fede emotiva non è fede, le emozioni non sono il soggetto della fede, soggetto della fede è l’intelletto speculativo, c’è poco da fare. Che uno possa amare visceralmente il Cristo, come dice San Paolo, nei suoi fratelli, va bene, però la fede è assoggettata all’intelletto speculativo.

Per questo motivo è estremamente importante che la fede sia coltivata, proporzionalmente alla cultura del singolo credente, ma sia coltivata in maniera razionale, teologica, teologico-filosofica, perché la teologia implica sempre filosofia. Come l’ordine soprannaturale suppone la natura, secondo quel bel detto dei medioevali, che San Tommaso spesso cita, che dice "gratia naturam non tollit, sed supponit et perficit", (questo scrivetelo a lettere d’oro nelle vostre anime beate, cioè la grazia non toglie la natura, ma la suppone e la porta a compimento), come la grazia suppone la natura, così analogicamente, secondo analogia di proporzionalità propria, la fede suppone l’intelligenza.

Ora San Tommaso si fa esplicitamente la domanda se uno che ragiona troppo, non si metta al di fuori della fede, non diminuisca il merito della fede. Si fa questa domanda, lui è molto interessato a rispondere in un certo senso, ma penso che sia stato onesto a rispondere così nella Summa, questione 32, ove dice: "bisogna distinguere, se uno ha la pretesa di dimostrare la Trinità e dice: se tu apostolo, tu predicatore non mi dimostri la Trinità delle persone divine, io non ci credo" quel tale non ha merito di fede, si chiude alla fede. Però uno che ragiona non già pretendendo la dimostrabilità di quanto non è dimostrabile, ma svolgendo delle dimostrazioni, accettando le premesse della fede cioè svolgendo il lavoro di teologo, questo lavoro di approfondimento razionale della fede non solo non la danneggia, non solo non diminuisce i meriti, ma è segno di grande amore per le verità rivelate. Riguardo ciò che si ama, si è sempre attenti. In fondo la teologia significa usare le premesse della fede ed aggiungendo le premesse della ragione, esplicitare questi stessi principi della fede. La teologia arriva a delle conclusioni, servendosi della ragione, ma partendo dai principi di fede. Un uomo che ama un bene, è sempre attento a quel bene, lo coltiva, quindi se uno ama la verità rivelata da Dio, come potrebbe non pensarci, come potrebbe non coltivarla? In questo San Tommaso è molto amico di San Bonaventura, anche per lui il motore della teologia è l’amore, però l’amore non immediatamente, ma l’amore della verità, caritas veritatis, proprio il carisma dell’Ordo Praedicatorum.

San Tommaso non poteva essere che domenicano, in questo senso, era convinto di fare la carità suprema alle anime, conducendole alla verità. Le praeambula fidei, la cultura filosofica sono indispensabile per avere anche una adeguata cultura teologica.

Ahimè, al giorno di oggi così non è, la filosofia è considerata come qualche cosa di razionalisticamente indipendente e quindi come qualche cosa di immanentistico, che con la fede non ha assolutamente niente a che fare e poi dall’altra parte la fede viene considerata come qualche cosa che deve tenersi ben lontano da qualsivoglia filosofia, addirittura da qualsivoglia pensiero, cosa che è veramente avvilente e mortificante.

In questo senso San Tommaso è veramente è un grande maestro, ci dice che compito della ragione è porsi al servizio della fede, "Philosophia ancilla Thelogiae", vi spiegai già questa espressione molto bella, che non avvilisce per nulla la ragione, la sua autonomia, ma le dà la partecipazione a qualche cosa di più nobile, di più grande ancora. Il compito della filosofia, ancella della teologia è quello anzitutto di approfondire i preambula fidei, cioè colere metaphysicam, coltivare la metafisica, per avere molta convinzione riguardo a ciò che di Dio si può conoscere naturalmente.

Ho già detto, ma qui è il luogo per sottolinearlo, per illustrare questo stato di cose, che un fideista non riesce a dare una risposta soddisfacente. Un fideista dice: "Io amo tanto il Signore" e il poeta dice: "L’amore ti dà alla testa", spesso capita agli innamorati. E’ un gioco molto facile, con questi fideisti viscerali. San Tommaso dice: "Guarda che qui c’è l’obbiettività dell’essere, della realtà, di quella realtà che non si può negare, volendo mantenere in piedi l’evidenza. Questa realtà da cui io parto mi conduce in ultima analisi all’altrettanto obbiettiva, reale esistenza di Dio". Non è che con questo io abbia già la rivelazione, ma è il presupposto della obbiettività della rivelazione.

La Sacra Scrittura non contiene delle traveggole, come per esempio, Geremia avrebbe avuto nel deserto per quanto ha digiunato. Ho sentito anch’io una interpretazione di questo tipo: "Geremia ha digiunato troppo, poi gli è venuto un capogiro..", non è così. Perché? Perché Dio può rivelarsi obbiettivamente, come Dio obbiettivamente esiste e diventare interlocutore dell’uomo. Nella Scrittura non è l’uomo che parla a sé stesso, è Dio che gli parla.

Un altro compito della ragione rispetto alla fede è quello di esemplificare simbolicamente i contenuti della fede, la teologia simbolica, analogie, paragoni etc., esemplifica quelle verità difficili della fede. D’altra parte la stessa Scrittura si serve di questi paragoni con il linguaggio mistico, molto poetico. Per esempio, il Cantico dei Cantici è uno scritto eminentemente spirituale, che però si serve del linguaggio della poesia proprio dell’amore, della poesia riguardante l’amore nuziale, sponsale, per descrivere non tanto il rapporto tra l’anima e Dio, quanto il legame che esiste tra Dio e il popolo alleato con Lui nell’antico Testamento: l’alleanza di Israele con Dio è un’alleanza nuziale.

San Tommaso stesso dirà che la Scrittura volutamente si serve di simboli manifestamente quasi materiali, quasi sconvolgenti nella loro materialità. Un tomistico si metterebbe a ridere se sentisse sacerdoti anche buoni, che vogliono condurre i ragazzi a Dio e poichè sanno che i ragazzi fanno esperienze sentimentali, dicono: "è come quando uno vuole bene ad una ragazza". Non è come quando uno vuole bene, è tutta un’altra cosa voler bene al Signore. Però l’analogia è buona, ma solo come analogia, è questo il punto. Infatti San Tommaso sottolinea che si tratta di un’analogia metaforica. La metafora è volutamente urtante, perché se fosse troppo spirituale, potrebbe indurci all’idolatria. Una creatura che appaia come angelica, potrebbe essere scambiata con Dio stesso. La Scrittura usa a volte termini materiali, dice che Dio con braccio esteso ha liberato i figli di Israele dalla casa di schiavitù, li ha condotti dall’Egitto alla terra promessa. Tertulliano commenta tranquillamente: "La Scrittura dice che Dio ha un braccio, quindi Dio ha un corpo", ma è un ragionare da testimoni di Jeova ante litteram. La Sacra scrittura volutamente usa il braccio, proprio per dire il contrario, non per dire che Dio ha un corpo, ma per significare la potenza di Dio con un simbolo molto umano, molo materiale, volendo significare, con il linguaggio umano più povero che ci sia, una cosa così sublime.

C’è quasi una legge di inversa proporzione, più la Scrittura usa immagini banali, più sublime è il mistero che si cela in essa. San Tommaso conosceva tutta la dottrina della pluralità dei sensi della Scrittura, dice che c’è una pluralità anche dei sensi letterali, poi naturalmente dei sensi spirituali della Scrittura. Si chiede perché ci sono tanti sensi, anche letterali e fra le tante altre cose dice anche: "perché gli uomini si diano da fare". Quasi a dire, per dare lavoro agli esegeti, in sostanza, tanti sensi perché l’uomo si dia da fare per capire quello che si cela nelle divine Scritture.

Ovviamente lo scopo della ragione nella teologia è anche apologetico. Il teologo deve disputare con chi nega la fede. Non può dimostrargliela, però può smentire apparenti dimostrazioni dell’avversario. Se uno mi dice: "La Trinità è impossibile!", allora io gli chiedo: "Perché? Favorisca dimostrarmelo", dice : "Tre non possono essere uno!", io dico : "In che senso lei dice che tre è tre e uno è uno?", poi viene fuori che uno è per lui uno matematico e tre è ancora tre matematico. C’è da distinguere, distinguere oportet, e quindi cerco di condurlo dal tre matematico al tre metafisico. Vedete il metodo apologetico, in cui, più che in ogni altro settore, vale questa sapienza degli antichi scolastici, i discepoli di San Tommaso. Si dice appunto di un buon tomista: "Raro concedit, numquam negat, semper distinguit", raramente concede qualcosa, non nega, perché generalmente è buono, però distingue, distingue sempre, queste sfumature, coglie le sfumature del discorso. Questa è la funzione apologetica della ragione nell’ambito della fede.

La ragione è autonoma a causa dei suoi primi principi. I primi principi della ragione hanno una evidenza apodittica, sono certi, ovvi, non c’è bisogno di nessuna illuminazione, di nessun tipo da parte di Dio. San Tommaso respinge nettamente la tesi agostiniana della illuminazione divina. Quindi i primi principi della ragione, le famose verità eterne di San Agostino, le verità eterne per San Tommaso non derivano affatto dalla divina rivelazione, ma sono quelle verità che appartengono in proprio all’intelletto umano. Vedete come San Tommaso dà vita alla giusta autonomia dell’intelligenza umana e fa vedere come ridurre la creatura al Creatore, non è fare un piacere al Creatore, perché il Creatore si mostra grande nel decentramento delle sue creature.

Una creatura meschina, ridotta, non manifesta un Creatore grande. Una creatura robusta, (scusate se dico così, non penso alla robustezza fisica), robusta ontologicamente, ricca ontologicamente, una creatura ontologicamente consistente narra le meraviglie dell’ente, canta le glorie di Dio.

San Tommaso è ben convinto di questo, che Dio fece le creature dotandole di una certa autonomia persino da Lui, proprio perché questa è la più grande manifestazione della sua bontà. Quindi se l’uomo fosse pensante tramite l’intelletto divino, certo sarebbe una bella cosa, ma l’uomo non sarebbe uomo, l’intelletto non gli apparterrebbe. San Tommaso osserva sia negli agostiniani, sia negli avverroisti la disistima dell’uomo, la stessa disistima, disprezzo quasi implicito, per la natura umana. Gli uni credono che l’uomo pensa con il cervello dell’infima sfera animale, gli altri dicono che l’uomo pensa come la mente di Dio. In entrambi i casi non è l’uomo che pensa. Invece San Tommaso ha questa semplice convinzione che sia proprio l’uomo che pensi e con questo l’uomo è creatura, ma questa creatura dotata dell’autonomia dell’essere, del pensare, dell’agire rivela la grandezza di Dio. E’ comprensibile questo discorso? E’ un punto importante per capire questa impostazione tomistica. Perché talvolta ai cristiani di oggi San Tommaso appare quasi troppo profano, quasi empio (San Tommaso mi perdoni).

San Tommaso sottolinea l’autonomia della creatura per mettere in risalto la grandezza di Dio. In San Tommaso non c’è mai questo aut, aut, c’è questo et, et, c’è l’analogia, non la dialettica. Un guaio, ho letto un bel libro riguardo a Lutero, dice delle cose attendibili e tra l’altro dice che Lutero aveva la mentalità dialettica, o una cosa o l’altra, se non la prima, allora l’altra, come dire: "Giustificazione forense, allora non la grazia interiore". San Tommaso direbbe tranquillamente: "Ma c’è l’una e c’è l’altra". E’ chiaro che Dio mi giustifica con un atto di giustificazione esterna, dice: "Io ti perdono, figliolo", ma nel contempo mi dà la grazia che è l’effetto del suo perdono. Questa è la mentalità di San Tommaso che si potrebbe chiamare non dialettica, ma analettica, ricorre all’analogia.

Questo et, et ha diversi gradi di essere, non di un essere contro un non essere che si combattono a vicenda. Quindi in tal senso San Tommaso non dice: "Se c’è creatura, c’è poco Creatore", no, San Tommaso dice: "Più c’è della creatura, più c’è del Creatore, più l’uomo pensa, più è il riflesso di quel pensiero sussistente che è Dio". In questo senso, dice San Tommaso, l’intelligenza umana è autonoma, perché la luce della nostra intelligenza è in grado di cogliere i primi principi, che sono interamente suoi, mentre i principi di fede derivano, questi sì, dalla illuminazione divina. I principi di fede sono estrinseci, derivano da Dio, mentre i primi principi evidenti della ragione derivano dalla ragione stessa, prescindendo dai postulati di fede. Questi sono i principi evidenti, assolutamente indimostrabili, perché nella proposizione è per sé evidente il legame fra soggetto e predicato ed è talmente stretto, che non può esservi inserito un termine intermedio, non è suscettibile di dimostrazione. Anche in questo San Tommaso segue Aristotele che dice: "l’intelletto umano ha dei primi principi evidenti e su questa evidenza dei primi principi fonda poi le precognizioni".

Tuttavia la nostra intelligenza nel conoscere dipende da un lato dai primi principi, per sé evidenti, da un altro lato ha un’altra dipendenza, la dipendenza dei sensi. Vedete il realismo di San Tommaso. A San Anselmo diceva: "Guarda che mi piace la tua definizione di Dio come l’essenza assoluta, pensata dall’anima umana, però quello che noi pensiamo di Dio è ben poco, l’essenza non la afferriamo, se no sarebbe già la visione beatifica. Gli angioletti, mi dispiace, ma gli angioletti non li vedo". San Tommaso penso che si preoccuperebbe se li vedesse troppo spesso. Ogni tanto, in qualche atto mistico gli capitava anche questo, sapete che prima di morire ebbe questa visione, durante la celebrazione della Santa Messa (egli aveva tanta devozione eucaristica, sempre celebrava una Santa Messa lui, poi seguiva un’altra Messa come ringraziamento, poco liturgico secondo le ultime norme, ma è bello ringraziare con una Messa, per aver celebrato una Messa prima), durante una di quelle Messe, San Tommaso è entrato in estasi. Gli chiede poi fra Reginaldo, che era suo amico: "Maestro, perché non scrive più?", gli faceva quasi capire, poco fraternamente, che doveva morire presto. San Tommaso ha capito bene questa obbiezione implicita e dice: "No, non posso scrivere, perché ho visto delle cose davanti alle quali la Summa mi appare come una paglia.." Da quel tempo in poi gli anti-intellettualisti dicono: "Bé, anche San Tommaso dice che è tutto paglia, quindi chi ce lo fa fare studiare la Summa?". Però prima di dire che è tutto paglia, bisogna aver scritto tutta la Summa. Non ci sono scorciatoie nella divina filosofia. In tal senso San Tommaso era anche un grande mistico, ma aveva questo realismo nel dire che la visione di Dio, delle cose spirituali, non ci è data abitualmente. Quindi il nostro intelletto, di per sé, nella condizione naturale, è legato al senso.

La stessa conoscenza mistica sarà poi un’attuazione dei doni dello Spirito Santo, soprattutto del dono della sapienza, ma la conoscenza a noi connaturale è legata ai sensi: noi conosciamo astraendo dai dati sensibili. Vi anticipo ora questo, ma lo ripeterò, vi stancherò, ma è molto importante. San Tommaso è d’accordo su questo punto con Kant, Kant pure dice che la nostra intelligenza è limitata alla sensibilità, anche San Tommaso dice: "La nostra intelligenza si limita ai sensi", però, dice San Tommaso: "come punto di partenza, non come punto di arrivo". Kant ha una limitazione dell’intelligenza ai sensi nel punto di arrivo, San Tommaso nel punto di partenza. Noi nel dato sensibile, per astrazione, scorgiamo qualcosa che oltrepassa la sensibilità, ossia noi non abbiamo l’immediato contatto con l’intelligibile, noi contempliamo l’intelligibile nel sensibile, però nel sensibile noi non contempliamo solo il sensibile, ma anche l’intelligibile.

Quindi io le leggi dell’essere, dell’ente in quanto ente, non le contemplo in sé, se no sarei nella visione beatifica, io vivendo su questa terra conosco le leggi dell’ente in quanto ente nelle cose sensibili, però nelle cose sensibili afferro dei principi che appartengono alle cose sensibili, non in quanto sensibili nella loro contingenza passeggera, ma in quanto enti. Importantissimo questo, se si capisce questo, si capisce quasi tutto San Tommaso, dico quasi, ma è veramente fondamentale.

Notiamo poi che il trascendente è spiegabile con la estrapolazione analogica, cioè in qualche modo il dato sensibile è univoco, però nell’univoco si contemplano delle proprietà, che poi analogicamente competono al sensibile e a ciò che sensibile non è. Quindi è permesso all’intelletto umano dal sensibile, analogicamente, innalzarsi al non sensibile. Noi non possiamo vedere gli angioletti, ma possiamo ragionare sugli angioletti, checchè ne dica Kant. Tanto più su Dio.

Adesso in breve accenno solo alla fede, poi alla filosofia, per spiegarvi come San Tommaso distingueva questi due aspetti della ragione e della fede. La fede è interamente grazia, però non vale il discorso: "se la fede è grazia, io quella grazia non ce l’ho, quindi non credo". Sarebbe troppo facile. San Tommaso dice che la fede si può definire come l’adesione obbediente dell’intelletto speculativo alle verità rivelate. Questa evidenza o certezza la fede l’ha in comune con la scienza. Però la differenza sta qui, cioè nell’origine dell’evidenza, l’evidenza della fede non deriva interamente dalla ragione. Vi farò una sottile, bizantina distinzione, ma importante, cioè la fede si attua nella ragione, la fede è sempre un atto della ragione, ma non è un atto che ha la sua evidenza dalla ragione. Chi crede è la ragione, non è il cuore, né altre viscere, però non ha la sua evidenza interamente nella ragione. Mentre la scienza non solo è propria della ragione, ma anche la sua evidenza deriva interamente dalla ragione. Non amo tante parole, perché diceva già Lucrezio, di beata memoria, che sarebbe stoltezza compiacersi troppo in questi giochi di parole, che in filosofia sono inevitabili. Questa distinzione tra fede della ragione, ma non dalla ragione mi sembra non possa distinguersi in altri termini.

Il credente crede con un atto di ragione, però l’evidenza della fede, che il credente ha in comune con lo scienziato, questa evidenza non deriva dalla ragione, come nella scienza, ma da che cosa? Ecco la domanda: "da che cosa?" E qui San Tommaso si manifesta, (perché lo era), un grande discepolo di San Agostino. Non lo segue da per tutto, come abbiamo visto, ma qui lo segue e dice: "la fede è un assenso cogitato", da cogitare, pensare, con assenso. Questo assenso è dato dall’amore della verità rivelata, l’amore è una disposizione della volontà, quindi ci deve essere la volontà che muova la ragione in direzione di Dio, che ci fa aderire alla verità rivelata. Chi muove la volontà? Ecco qui la grazia attuale: l’inizio della fede in San Tommaso è la grazia attuale di Dio, che muove la volontà, la volontà muove l’intelligenza e l’intelligenza, aderendo alla verità rivelata, (questo atto di condizione soprannaturale), induce l’atto di fede.

Adesso parliamo della teoria della conoscenza, gnoseologia. Qui San Tommaso è in disputa con tutti i moderni. E non a caso i sommi Pontefici, quasi idolatri agli occhi dei moderni, si raccomandavano ai frati, ai preti e compagnia bella di ritornare a San Tommaso :"ite ad Thomam!", esclamava ancora il Papa Giovanni XXIII, ripetendo la frase "ite ad Joseph", quando Giuseppe era in Egitto e il padre diceva ai fratelli "ite ad Joseph!", quando i fratelli di Giuseppe avevano fame, andavano in Egitto, "andate da Giuseppe che vi darà da mangiare!". Diceva Giovanni XXIII ai suoi preti: "Ite ad Thomam!" e loro non lo hanno seguito, significa che la fame del corpo ha ben più esigenze della fame dello spirito, "Ite ad Tomam!", perché? Perché la depravazione (scusate se parlo schietto), la depravazione dei tempi moderni, (questa moderna calamitas di cui parla Pio X nella "Pascendi Dominici Gregis", il grande santo pastore della Chiesa), questa modernistica depravazione consiste anzitutto nel soggettivismo e non c’è medicina più serena, più buona, più solida, più robusta e più chiara nel contempo del tomismo.

Il modernismo tenta questo duplice gioco riguardo al tomismo: o non prenderlo in considerazione oppure metterlo in sincretismo con Kant, Hegel, Haidegger. C’è l’uno e l’altro metodo, ma non praevalebunt. San Tommaso avrà ancora la meglio, perché è fin troppo lampante, leggendo in certe pagine di Haidegger come distorce San Tommaso, per adeguarlo a Kant. Insomma fra San Tommaso e Kant non ci sono possibilità di scendere a patti, non c’è possibilità di una certa concordia tra un sistema genialmente soggettivistico, come quello kantiano (vedete bisogna avere rispetto di questo grande pensatore, io l’ho perché veramente, Kant è un grande filosofo, uno dei più grandi), ma certamente con realismo, come dicevano una volta i bravi commentatori di San Tommaso, come diceva padre Garrigou Lagrange, oggi un poco nel dimenticatoio, il quale sottolineava quella che è la consapevolezza di San Tommaso, che non c’è composizione tra soggettivismo e realismo epistemologico con una posizione non contraria, suscettibile di qualche cosa di intermedio, ma contraddizione come l’opposizione tra l’affermazione e la sua negazione, senza la possibilità di mediazione. Purtroppo è così, bisogna avere anche il coraggio dei contrasti. Pur stimando l’intelligenza, tuttavia quia magna res agitur, si tratta di una grande cosa, questa opzione (che poi opzione non è, ma evidenza), questo incamminarsi in un senso o nell’altro determina tutta la filosofia. Tutto il pensiero dipende da questa direzione, direbbe Hegel, da questo dirimere la questione se il pensiero dipende dall’essere, come dice San Tommaso, o se l’essere dipende dal pensiero, come dice Kant. Non c’è altra possibilità.

San Tommaso è convinto che la facoltà conoscitiva, tutte le facoltà conoscitive, non solo l’intelletto, anche i sensi, tutte le facoltà conoscitive siano transoggettive. Uso una parola difficile, ma poi è facile comprenderla, voi che siete avvezzi alla divina filosofia, quindi conoscete anche i vocaboli. Tutte le facoltà conoscitive sono transoggettive, trans vuol dire "al di là", cioè oltrepassano la soggettività, incontrando ovviamente l’oggetto. Quindi sono aperte alla rappresentazione dell’oggetto. San Tommaso ha questa bella domanda nella Summa, cioè se l’intelligenza conosce le proprie idee o se conosce l’essere tramite le proprie idee, una domanda ben posta. Il soggettivismo moderno risponde: "La nostra mente non conosce l’essere, conosce il proprio pensare", allora ovviamente in ultima analisi l’esistenza di Dio non può essere ammessa, perché esiste solo la mente, che sia autodivinizza

Il sottoscritto, l’avete ben capito, crede ancora agli spiriti del male e vede qui l’aspetto satanico, demoniaco di questa autodivinizzazione dell’uomo, il quale pensa di poter determinare l’essere tramite il pensiero. E’ chiaro, qui c’è già implicitamente, anche se non si trae la conseguenza esplicita, c’è già la negazione di Dio. Dio, per me, in quel momento non esiste, perché l’essere non l’ho ricevuto, l’essere ce l’ho perché lo penso. "Cogito ergo sum", però nel senso santo della parola: Cartesio è innocente, fino a quel punto non ci arriva. Il peccato delle origini: mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, la mela non è quello che la gente generalmente pensa. Un peccato molto raffinato quello delle origini, la superbia intellettuale. Non il peccato di aver pensato, come dicono i marxisti, quando ripetono che i cattolici considerano il pensare un peccato. San Tommaso sarebbe un grande peccatore! Il peccato non è quello di pensare, ma quello di presumere di determinare, con il pensiero, l’essere. Invece San Tommaso è convinto che non è il pensiero che determina l’essere, ma è l’essere che determina il pensiero.

Solo Dio si può permettere il lusso di essere idealista, perché solo Dio determina l’essere, distinto da Lui, ovviamente, perché il suo essere non è determinabile, però tutti gli altri esseri distinti da Dio sono determinati dal pensiero di Dio. Quindi l’uomo che pensa di poter pensare le proprie idee, indipendentemente dall’essere, è un uomo che si pone al posto di Dio. Qui c’è veramente una affinità con la demonologia, l’antropologia diventa demonologia.

San Tommaso aveva questa convinzione che la mente umana è transoggettiva, cioè aperta all’oggetto e vi cito, per avviare il discorso che completeremo domani, questo bel testo di San Tommaso nel De Anima, cioè il commento al De Anima di Aristotele, terzo libro, ottavo capitolo, lezione 13, ove San Tommaso dice così: "Per hunc modum dicitur intellectus in actu esse, ipsum intellectum in actu", "in questo modo l’intelletto in atto si dice la stessa cosa intellettivamente conosciuta in atto". Che cosa vuol dire? Per San Tommaso l’atto di cognizione consiste nell’attuare identità tra il conoscente in atto e il conosciuto in atto. Molto profonda questa osservazione. L’essenza della conoscenza consiste non nel passaggio dalla potenza all’atto: le cose fisiche si muovono passando dalla potenza all’atto, le cose conoscenti non hanno un’attività fisica, hanno un’attività psichica, cognitiva, intenzionale, che consiste non nel passaggio dalla potenza all’atto, ma nella presenza di un atto a un altro atto, nella fusione di due atti. L’atto dell’intelligibile è l’atto dell’intelletto, l’intellegibile e l’intelligente si fondono nell’atto dell’intelligere, cioè nell’atto dell’intelletto umano.

Prosegue poi San Tommaso: "In quantum species intellecti est species intellectus in actu", cioè in quanto la specie della cosa conosciuta, è la specie dell’intelletto conoscente in atto. Notate bene che nel concetto noi rappresentiamo la cosa esterna quanto alla sua specie. Quindi la stessa specie che costituisce l’uomo (tanto per fare un ovvio esempio), è nell’uomo in quanto all’essere. La stessa specie c’è anche nel concetto, quanto al conoscere intellettivo. C’è identità tra la specie rappresentata e la specie che c’è nella cosa e che nel contempo è la stessa specie nell’intelletto conoscente. Vedete il modo di essere è il vero, la specie è il conoscere. Cioè l’umanità conosciuta è un duplice conoscere: è l’umanità in Deo e l’umanità nella mia intelligenza, mentre mi riconosco come uomo. Quindi ha un essere più sicuro ed un esse cognitum, ma l’umanità è sempre la stessa.

"Anima data est homini loco omnium formarum", l’anima è stata data all’uomo in luogo, in sostituzione quasi, di tutte le altre forme, "ut sit homo quodadmodum…."affinché l’uomo sia in qualche modo tutto l’ente. Vedete il privilegio dell’uomo, come Dio ci ha voluto bene creandoci uomini! Dio ci ha dato un’anima che in qualche modo è tutto l’essere. Tutte le altre cose extraumane sono solo sé stesse, il canarino è un canarino e basta, poi ha qualche impressione sensoriale e basta. Invece l’anima umana, intellettiva è non solo sé stessa, cioè l’uomo, ma è anche tutte le cose che conosce, universalmente. San Tommaso dice, commentando Aristotele, che l’anima umana è data in luogo di tutte le forme, perché l’uomo sia in qualche modo tutto l’ente. "In quantum secundum animam est quodamomodo omnia", bello questo "quodamomodo omnia". Cioè l’uomo, secondo la sua anima, è in un certo qual modo tutte le cose. La sua anima determina due esistenze nell’uomo: uno l’essere fisico dell’uomo, poi tanti esseri.

Secondo San Tommaso l’intelletto, facoltà di un’anima legata al corpo, dipende da un lato dai sensi, ma nel conoscere le entità materiali, procede per astrazione dai corpi. Quindi per il legame coi sensi l’anima non conosce se non tramite i sensi, dall’altro lato però ha anche l’emergenza dai sensi. Tramite che cosa? Tramite l’astrazione. Cioè l’anima parte dal dato sensibile, ma non si ferma ad esso, trascende il dato sensibile su cui si appoggia la sua conoscenza, l’anima lo trascende tramite l’astrazione intellettiva.

Ci sono molti che si chiamano tommasiani per non chiamarsi tomisti, sono un po’ sofisti, il fatto è che i tomisti erano della brava gente, prima hanno capito tutto San Tommaso, certo, ma i grandi maestri hanno sempre la sfortuna di non essere mai capiti in tutto. Io stesso vi confesso che San Tommaso mi sembra un tale gigante, che ho sempre gli stessi sentimenti di Savonarola, il quale diceva che leggeva la Summa per esercizio di umiltà. Entrare nella Summa è come entrare in un tempio, quella elevatezza, come quella di una cattedrale, che toglie il fiato, come Notre Dame di Parigi o altre: viene meno il fiato nel vedere queste volte così slanciate verso l’alto. Analogamente la Summa Theologiae provoca lo stesso effetto di ammirazione, quello che San Tommaso stesso avrebbe chiamato timore riverenziale. Non bisogna pretendere che tutti i tomisti abbiano capito tutto San Tommaso, il grande Gaetano, Priceps tomistarum, certamente mette in evidenza tanti aspetti giusti, altri aspetti li vede un po’ meno bene, ma c’è la complementarietà nella scuola tomistica.

C’è chi dice: "Si vis intelligere Caietanum, lege Thomam" questa è un po’ una malizia, sapete il Gaetano era il grande commentatore di San Tommaso, del cinquecento, ebbene questo dire "se vuoi capire Gaetano leggi San Tommaso è poco carino verso il Gaetano, come dire, il commento è del tutto inutile, per capire il commento, bisogna interpretarlo alla luce del testo originale. Questa è una cattiveria, nel senso che il Gaetano spiega tante cose, però non sempre è ligio alla lettera di San Tommaso, quindi bisogna leggere sempre entrambi, cioè bisogna leggere San Tommaso, la lettera, il testo, poi i commentari cardinalis Caietani, (bellissimi sono soprattutto i commenti di San Giovanni di San Tommaso, una cosa monumentale, stupenda). Purtroppo la parte metafisica, la filosofia non c’è. C’è la logica, la psicologia, ma non c’è la metafisica. C’è invece un "Cursus Theologiae" completo e quindi le implicazioni metafisiche le vedrete poi eventualmente nel cursus theologicus. Perché dico questo? Il pensiero tomistico è qualche cosa di vivo, qualche cosa che continua, che và sempre avanti. E’ curioso che questi innovatori ad oltranza amino fare delle cesure nella storia, per annientare la tradizione.

Quindi gli scolastici, giustamente interpretando San Tommaso, sogliono differenziare l’oggetto formale, che è quello che dà specie alla conoscenza, cioè specifica, determina il tipo di conoscenza dall’oggetto materiale. Quello materiale è la cosa in sé, la cosa conosciuta, ogni cosa, in quanto conoscibile, è l’oggetto materiale. Non ha tanta importanza la cosa che si conosce, quanto piuttosto l’aspetto sotto il quale la si conosce. Questo si chiama l’oggetto formale. Vi posso fare un esempio tratto dalla teologia delle virtù teologali, la speranza e la carità hanno lo stesso oggetto materiale: Dio, non cambia. Nessuna virtù teologale può avere come fine, come oggetto, qualche bene creato, sia la speranza che la carità si rapportano a Dio. Tuttavia vi si rapportano in maniera diversa. La carità ama Dio perché è Dio, la speranza anche essa ama Dio, ma non tanto perché è Dio (anche quello!), ma soprattutto perché Dio è beatificante rispetto all’uomo. La speranza vuole Dio per noi, la carità vuole Dio per sé. Sono virtù tutte e due, anche se vi erano dei rigoristi che negavano la validità della speranza: i protestanti, i giansenisti, tendono a questi slanci dell’amore più puro, senza interesse. Lutero che dice: "Io voglio andare all’inferno, è questo il vero amore". No, il buon Dio non ha piacere che tu voglia andare all’inferno, il Signore vuole che lo amiamo con purezza, ma anche con questo santo interesse di andare non all’inferno, ma in paradiso. Quindi la carità non è inquinata dalla speranza, la carità però è incommensurabilmente superiore alla speranza, questo è giusto affermarlo.

La differenza sta proprio nel modo di rapportarsi della volontà all’oggetto. E’ sempre la volontà che si rapporta a Dio, in questo non c’è differenza, ma è l’aspetto del rapportarsi che è diverso: la speranza vuole Dio per noi, come la beatitudine dell’anima, mentre la carità vuole Dio in sé, vuole che Dio sia Dio, si compiace nel fatto che il Signore sia così grande.

Quindi la speranza e la carità non sono distinte né dal soggetto, né dall’oggetto materiale, ma dall’oggetto formale. L’oggetto formale si distingue ancora in oggetto formale comune e proprio (vedete gli scolastici che belle distinzioni! edificano sempre con questo rigore logico), quindi l’oggetto formale comune e l’oggetto formale proprio. L’oggetto formale comune è quello che compete a una facoltà in quanto è sé stessa, cioè quella determinata facoltà. L’oggetto proprio le compete in quanto è così concretamente realizzata.

L’oggetto proprio le compete in quanto è così in questo determinato modo concretamente realizzata, per esempio l’intellettualità realizzata nell’uomo in maniera imperfetta, cioè a titolo di razionalità discorsiva. Adesso applichiamo questo concetto alla intellettualità e alla razionalità. L’oggetto formale comune spetta all’intelletto in quanto è intelletto, non si differenzia ancora l’intelletto di Dio, degli Angeli e dell’uomo, l’intellettualità in sé. Poi l’oggetto formale proprio è quello che si addice alla facoltà in quanto è realizzata in quel determinato modo, perfetto o imperfetto, in quel soggetto: perfettissimamente in Dio, più perfetto riguardo all’uomo negli Angeli, meno perfettamente nell’uomo. Sicché l’oggetto formale comune dell’intelletto in quanto intelletto, altro non è se non l’ente in quanto è: la realtà, il reale, in tutta la sua estensione, in tutta la sua ricchezza. Siccome l’ente è ciò che ha l’essere, in ultima analisi l’ente in quanto ente comprende in sé, come sommo analogato, l’essere, che è l’ipsum esse, lo stesso essere. L’intelligenza umana intravede con una prospettiva come di rana, anziché con una prospettiva di aquila, vede l’essere da quaggiù in su, invece che da lassù in giù, come fa l’aquila.

In sostanza ogni intelletto mira alla comprensione dell’ente in quanto ente e del suo sommo analogato che è l’ipsum esse. Anche il nostro intelletto ci ha aiutato, molto sporadicamente. Perciò questo è l’oggetto formale comune di ogni intelletto. Però il nostro intelletto umano, come oggetto formale proprio, ha la capacità di acquisire le cose materiali, cioè l’essenza delle cose materiali, l’essenza dei sensibili. Vedete questa dualità è molto importante, questo sdoppiamento dell’oggetto formale comune e proprio è molto importante, soprattutto nell’intelligenza. Così vedete che sia Dio, sia l’Angelo, sia l’uomo sempre conoscono l’ente, solo che Dio conosce l’ente tramite la pienezza dell’essere, l’Angelo tramite la spiritualità della sua essenza, l’uomo tramite un’essenza che non è nemmeno spirituale.

E’ quello che bisogna dire contro Kant: Kant dice: "dal dato sensibile non si può passare a qualche cosa che non è non è afferrabile con i sensi". Invece San Tommaso è del parere ben contrario, dice: "E’ vero che noi conosciamo solo la quiddità delle cose sensibili, però nella quiddità delle cose sensibili conosciamo le leggi dell’essere, che competono al sensibile, non in quanto è sensibile, ma in quanto è ente". Quindi l’uomo è capace di metafisica, non solo è capace, ma è obbligato ad essere metafisico, giacché lo è per natura. Pensateci bene, perché qui c’è proprio l’opposizione tra San Tommaso e Kant, Kant che determina in gran parte la mentalità moderna che è nettamente antimetafisica, perciò stesso, dico io, antiumana. Non c’è da meravigliarsi che la vita moderna si disumanizzi sempre più, bisogna tornare alla metafisica per darle un’impronta di umanità di nuovo. Bisogna elevarsi sopra all’uomo, per diventare uomini. Questo è l’insegnamento tomistico dell’oggetto formale comune e proprio. Non bisogna accontentarsi di contemplare nel sensibile il sensibile, come fa la scienza. E’ già molto e gli scienziati ci riescono con grande perfezione, però è poco rispetto a quello che è il nostro dovere, dobbiamo contemplare ben di più, cioè lo stesso essere nel sensibile. Sempre nel sensibile, purtroppo, perché non siamo né angeli, né tanto meno Dio, però nel sensibile possiamo e dobbiamo contemplare, anche se con minore precisione, pure l’essere in quanto tale, l’ente in quanto ente.

Mi sono spiegato? Questo mi conforta al massimo, perché questo è un tema non facile, ma siccome lo riprenderemo spesso (voi lo sapete che io sono ripetitivo in certe cose, in certi pallini che ho, li tiro sempre fuori) allora penso di avere ancora occasione di parlarne.

Quindi abbiamo detto che l’intelletto nella conoscenza stessa dell’oggetto suo proprio, che è l’attività delle cose materiali, procede astrattivamente: è l’astrazione dell’intelletto. Conoscere è astrarre. Con voi, miei cari, talora posso anche sfogarmi, quindi vi comunico anche le mie emozioni personali, quando sento certe sciocchezze. Una di queste sciocchezze è quando si dice: "Sa, padre, quel discorso è molto bello, ma è troppo astratto", bisognerebbe anzi dire: "Quel discorso è molto bello, perché è molto astratto". Il fatto è che la concretezza coincide con l’imbecillità, scusate la mia schiettezza. Solo l’astrazione è intelligenza, l’astrazione si identifica con l’intelligenza, l’astratto è bello. Perché? L’astratto è l’intelligibile, l’astrazione è quel processo in cui si rende intelligibile ciò che causa la sua materialità, di per sé non intelligibile. La qualità che c’è nell’uomo lo obbliga ad elevarsi al di sopra della materia, partendo dalla materia. Quindi l’uomo parte dal dato sensibile, ma non si ferma ad esso, perché è il senso che conosce il sensibile, ma l’intelletto, tramite il senso, fondandosi sul senso, conosce il suo oggetto, che va al di là del sensibile, benché parta dal sensibile. Come è possibile trascendere il sensibile, partendo dal sensibile? Ebbene, intellettualizzando il sensibile, questa intellettualizzazione del sensibile è una sua immaterializzazione, ovvero una sua universalizzazione. L’astrazione è un processo di immaterializzazione ed universalizzazione e perciò stesso il processo di rendere intelligibile quello che di per sé non è tale.

Il materiale, il concreto non è intelligibile, già Aristotele diceva: "De singularibus non est scientia". Ovviamente parlava formalmente, non diceva: "Io non conosco un uomo singolo, una cosa singola", no conosco i singoli, ma tramite l’essenza universale, non conosco il singolo in quanto è singolo, conosco il singolo tramite il concetto che è universale.

Ci siamo? Allora procediamo con coraggio. Dunque San Tommaso dice che il processo della conoscenza è anzi tutto un processo astrattivo. Questa astrazione per sé (non l’ho previsto nel corso su San Tommaso annuale, lo accenno brevemente), questa astrazione è di un duplice tipo, si parla di astrazione totale e formale. Lo accenno appena, perché lo vedrete poi in epistemologia. L’astrazione totale è quella che astrae il tutto dalle sua parti inferiori. Per esempio: il concetto uomo che astrae dai singoli uomini. Come vedete, questa astrazione totale, che astrae il tutto dalle parti inferiori, cioè tutto l’uomo, da tutti gli inferiori che sono Tizio, Caio e Sempronio, questa astrazione è però depauperante, cioè svuota il contenuto del concetto, la tipica astrazione logica. Giustamente si dice: il concetto è esteso, ma è povero di contenuto, questo è il tipo di astrazione totale. Poi c’è l’astrazione detta formale, questa astrazione prescinde dalla parte materiale, mantenendo la parte formale. Non è la separazione del tutto da tutte le parti, ma è la separazione della parte formale dalla parte materiale, l’astrazione della forma, si potrebbe dire. Così per esempio per conosce l’anima, come il costitutivo dell’uomo, si astrae l’anima dal corpo. Anche l’essenza, considerata come forma, non come universale, ma come forma costitutiva della sostanza, anche l’essenza è afferrata a livello di una astrazione formale, l’essenza che fa parte della sostanza.

Il genere è astratto dalla specie, la specie dagli individui, tramite l’astrazione totale. La forma è astratta dalla materia e l’essenza dalla sostanza concreta, tramite l’astrazione formale. Naturalmente l’astrazione metafisicamente, conoscitivamente decisiva è quella formale, che però sempre suppone anche quella totale. La formazione del concetto è astrazione totale, però poi nell’astrazione totale, grazie ad essa, si afferra la parte formale.

L’astrazione formale a sua volta si colloca a tre livelli di astrazione, ove, per quanto abbiamo visto, l’astrazione è conoscenza. Conoscere significa astrarre, tuttavia fra questi tre gradi astrattivi non significa di per sé che uno sia meglio dell’altro. Sotto un certo aspetto, si può anche dire che indicano una maggiore nobiltà dell’oggetto intelligibile, il terzo grado ha un oggetto più nobile, in quanto la sua intelligibilità, rispetto il secondo e il secondo rispetto al primo. Tuttavia nell’uomo, nell’intelletto imperfetto come quello umano, la nobiltà dell’oggetto è accompagnata dalla imprecisione di conoscenza che se ne ha. Quindi se la metafisica conosce Dio e la matematica conosce dei rapporti di quantità, è chiaro che la metafisica è superiore alla matematica per quanto concerne l’oggetto, però la matematica è ben più precisa della metafisica, perché la metafisica è balbuziente rispetto a Dio, la matematica fa un preciso discorso rispetto alle quantità.

San Tommaso dice sempre che quel poco che sappiamo di metafisica è ben più prezioso di quel molto che con tanta precisione sappiamo nelle altre discipline. Questo un filosofo deve sempre meditarlo in cuor suo: questo detto è più che giusto.

Allora i tre gradi astrattivi sono questi: il primo grado di astrazione astrae dalla materia infima, lasciando da parte la materia individuale, la concretezza, ultimamente determinata, mantenendo però la materia sensibile universale, specifica. Faccio un esempio banale, pensiamo alla zootecnica, uno zoologo studia i cavalli e chissà quanti altri animali domestici. Ciò che interessa di per sé non è l’individualità del cavallo, quello che lo interessa è effettivamente il suo essere cavallo, ovviamente poi con i vari tipi dell’animale, ci possono essere varie razze, etc., quindi lo zootecnico astrae da varie individualità del cavallo, afferra però che cosa? Afferra il cavallo, ciò che spetta al cavallo, ad ogni cavallo, per così dire, l’anatomia, la fisiologia di ogni cavallo in quanto tale, astraendo da quella istanza concreta, non lo interessa quel tale cavallo.

[…]

Lo zootecnico studia quello che prescinde dalla materia individuale, da quello o quell’altro animale, mantenendo però l’animale nella sua materialità sensibile specifica. Alla cavallinità, per usare un termine platonico, spetta avere materia, avere corpo, anche se si astrae dalla differenziazione individuale. Il secondo stato di astrazione è quello matematico, la matematica considera la quantità astratta, la fisica moderna è molto dipendente dalla matematica, quindi si potrebbe pensare che sia in qualche modo uno stato intermedio tra il primo e il secondo grado astrattivo. Voi mi dite, perché la quantità? La quantità si può rendere in qualche modo indipendente dalla sostanza a cui appartiene, proprio perché la quantità, essendo proprietà della materia, precede la costituzione della sostanza tramite la forma.(è una cosa curiosa, pensateci voi stessi, io ve lo propongo come tema di meditazione).

Questo è già un esistenzialismo che gli altri accidenti non hanno. E’ possibile in qualche modo porre la quantità di per sé, cioè separandola dalla sostanza a cui appartiene, così il matematico non è interessato a sapere se il due e il tre che fanno cinque insieme sono mele, pere o che altro. Ai bambini si insegna la matematica con i numeri concreti, ove vi è rilevanza se il tre sono pere o mele, la matematica cerca poi di sganciarsi da questo. Interessa il due, tre quattro, cinque in sé, non rispetto a ciò che è quantificato, la materia specifica non c’è più. Nel cavallo la materia è specifica, nel due, tre o cinque non c’è materia specifica, non c’è la materia della pera o della mela o del cavallo, però una materialità intelligibile, la chiamano gli scolastici, ci deve pur essere, perché la quantità è una proprietà della materia. Quindi il matematico, considerando le relazioni di quantità, struttura un qualche cosa che lui pensa a modo materiale, senza che sia materiale. Pensate che la matematica più avanzata parla di spazi, uno spazio topologico non esiste, però questi rapporti complessi di quantità li struttura sapendo che c’è qualcosa di strutturato e allora lo chiama spazio, in linea teorica li chiama campi.

Tutte immagini abbastanza materiali, che danno ragione a San Tommaso in questo, quindi anche la matematica modernissima, euclidea è definibile perfettamente in chiave del secondo stato astrattivo, cioè si astrae sempre dalla realtà sensibile, però poi la matematica è molto indipendente, può immaginarsi numeri che non esistono, degli spazi a N dimensione, però partendo sempre dalla fondamentale astrazione di uno spazio che esiste. Non è il caso che mi si dica: "Padre, lo spazio N dimensionale non è estraibile dai sensibili", certamente no, però lo spazio tridimensionale certamente lo è, poi se gli aggiungo N-3 altre dimensioni, questa è una estrapolazione astrattiva che è consentita dal tipo di astrazione matematica.

Non posso estrapolare da una cavallinità qualunque altre proprietà, nella matematica invece sì, c’è più libertà, io ho dinanzi a me una materia intellettiva quantificabile, e la quantifico facendo delle supposizioni, parto da assiomi e deduco dei teoremi, anche dei teoremi che poi non hanno corrispondenza nel mondo sensibile. Questa è l’astrazione matematica.

L’astrazione metafisica invece è quella che prescinde da ogni tipo di materialità, anche dalla materia diciamo così intelligibile, prescinde persino (questo è molto importante), dalla stessa differenza fra materia e forma, da materia e spirito. Quindi studia anche le forme materiali, ma facendo come se non fossero materiali, anzi l’uomo non può studiare nella metafisica se non le cose materiali, però studiando, nelle cose materiali, ciò che si applica anche al di là delle cose materiali. Una volta c’era un nostro confratello che ci predicava gli esercizi spirituali, mi è rimasto impresso, mi citò un suo maestro di filosofia che fece stupire, per esemplificare come dagli esseri infimi si può dedurre la realtà più sublime, diceva che un buon metafisico è in grado di dedurre tutta la metafisica da uno sterco di cavallo. Diceva: "c’è tutto, c’è la sostanza, ci sono gli accidenti, c’è la disposizione accidentale, c’è una certa operatività". Comunque questo metafisico entusiasta si servì di questo esempio decisamente estremo per spiegare che nella realtà sensibile infima si deduce tutta questa bellezza dell’essere, dell’essenza, della forma, della materia, delle forme separate, delle gerarchie angeliche, tutta la metafisica è deducibile dal dato sensoriale, da cui facciamo astrazione in concreto, ma comunque da qualunque dato materiale, si può dedurre tutta la metafisica.

Questo è molto importante, il metafisico non perde l’aggancio con la materia. E’ questo che spesso si obbietta contro la metafisica. Noi siamo antimetafisici, perché? Perché noi conosciamo solo il dato sensibile. Anche San Tommaso lo sapeva, ma San Tommaso sapeva che nel sensibile c’è l’universale, c’è l’intelligibile, c’è l’essere. In ogni sensibile, anche nel più modesto, in tutto l’universo, nessuna cosa esclusa, c’è la partecipazione dell’essere ed anche la partecipazione similitudinaria della suprema essenza, che è quella divina. In qualche modo l’uomo per quanto è legato ai sensi, è però in grado di elevarsi al di sopra dei sensi, ed essendo in grado, è anche obbligato a farlo.

San Tommaso dice: "tutta questa dottrina è fondata su un moderato realismo" ed ancora: "Nello stesso dato sensibile è insito l’universale. In questi strati ci sono gli elementi materiali". Per esempio nel tavolino, che cosa c’è? C’è il pezzo di legno, di una determinata specie, un botanico potrebbe fare l’analisi di questo legno, potrebbe prendere un campione e vedere a che specie di albero appartiene. Ecco le tre dimensioni nelle quali allo sguardo del metafisico e comunque dello scienziato, si svela la realtà delle cose partendo dal sensibile. Il primo colpo d’occhio, la prima dimensione, è quella di vedere la specie della cosa materiale. Il botanico, da un tavolino, che è già una materia più nobile, il botanico fa vedere che appartiene a quella specie di albero di cui fa tutta la storia, come l’albero è strutturato, quali sono le sua proprietà. Il matematico considera nel tavolino, che cosa? La qualità astratta, lo misura, fa vedere a quali leggi quantitative di estensioni sottostà, lo studia da geometra, nel senso classico della parola, nel senso che misura le cose. Però il misurato è concreto, la misura è astratta, quindi l’operazione matematica è dalla parte del misurante.

Infine il metafisico considera il tavolino né come una natura fisica, né come una quantità estraibile a livello matematico, ma lo considera come un ente. Allora si chiede: il tavolino è una essenza? E’ una sostanza? Che tipo di sostanza è? Subito scopre per esempio che il tavolino non è sostanza, è un artefatto, quindi è un accidens. Si chiederà di quali sostanze è composto, dal legno, dal ferro. Perché il legno è una sostanza? Perché ha una struttura essenziale etc. Queste sono le domande che si fa il metafisico, invece il matematico, lo scienziato naturalista non si pongono queste domande. Ecco i tre attimi di rivelazione dell’universale nel concreto: c’è questo oggetto formale, ai tre tipici gradi di astrazione questo oggetto nella sua universalità è insito nel concreto. Sono riuscito a spiegarmi? Oggi lo Spirito Santo me la manda proprio buona, perché non è facile.

Ricordate quello che dice San Tommaso: solo l’universale è conoscibile. De singularibus non est scientia, dunque l’uomo conoscendo si converte ai fantasmi sensibili, alle rappresentazioni sensibili, per compiere l’astrazione.

Bisogna fare un collegamento con Kant, che mi pare importantissimo, Kant diventa soggettivista perché è estremo nominalista. La tesi di Kant dice: "Tutte le proposizioni necessarie ed universali sono a priori". Dunque l’universale necessario non c’è nell’oggetto, sta unicamente dalla parte del soggetto. Perché Kant dice questo? Ebbene, per partito preso, perché secondo lui, nominalista come era, l’universale non esiste in re, dove esiste? Nelle forme della soggettività, nelle forme a priori della sensibilità, come categorie dell’intelletto. Notate questa anima nominalistica della filosofia kantiana. San Tommaso avrebbe contestato Kant dicendo che l’universale a priori non puoi dimostrarlo, perché l’universale è insito nelle cose stesse. Il cavallo concreto, certamente è concreto, ma non si riduce nella sua concretezza, è portatore di proprietà che sono comuni anche ad altri cavalli, così è per tutte le altre cose. Quindi bisogna vedere come nel concreto si realizza qualche cosa che oltrepassa il concreto, questo permette all’uomo, all’intelligenza umana, di partire dal sensibile, ma di trascenderlo mediante il processo dell’astrazione.

Ora l’astrazione psicologicamente procede così: ci sono cinque sensi esterni, i quali sono coordinati dal senso detto comune, il primo senso interno. Interessante come i neurologi approvano molto la dottrina di San Tommaso sui sensi interni, proprio perché vedono una corrispondenza con le tesi moderne. Quindi c’è una specie di coordinamento dei sensi esterni. Notate che tutti i sensi esterni hanno un organo corporeo, per esempio la vista è nell’occhio, però anche qualche cosa di psichico, che è localizzato nel cervello, nel sistema nervoso, il nervo ottico, poi i centri cerebrali della vista. San Tommaso insiste nel dire che i sensi sono organicamente legati, quindi anche il senso interno è il primo senso comune che coordina il dato sensibile, di per sé disparato. Dice San Tommaso nella teoria del sogno: "Noi abbiamo talvolta dei sogni un po’ strani, proprio perché il senso comune non coordina, è come se le sensazioni accumulate durante la giornata, mantenute nella memoria sensitiva, nella fantasia, fossero non più dominate dal senso comune, quindi in qualche modo ci sono delle cose assurde che uno può sognare". Il senso comune è coordinatore.

Poi c’è la fantasia immaginativa, l’immaginazione, che elabora già minimamente, visualizza il sensibile, c’è la memoria sensitiva e la vis estimativa, la memoria sensitiva che conserva questi fantasmi, questi elaborati immaginativi e possiede una certa prontezza nell’evocarli, secondo la legge dell’associazione. E’ qui appunto a livello della memoria sensitiva che si colloca quello che noi chiamiamo la memoria psicologica, il processo inconscio dell’associazione. Poi c’è la vis estimativa, che è qualcosa di conoscitivo, ma conoscitivo per appetito, per istinto, una conoscenza tramite l’istinto. San Tommaso la spiega dicendo: "La pecora appena nata trova da mangiare presso la mamma senza aver bisogno che qualcuno glie lo indichi, trova immediatamente il nutrimento. Così poi, quando cresce, impara a mangiare l’erba e via dicendo. Sicuramente fugge il nemico naturale, il lupo, le pecore non hanno bisogno di dirsi a vicenda che il lupo è pericoloso, per istinto fuggono il lupo". E’ ovviamente banale, però illustra questo fatto, che anche l’inclinazione istintuale dà un’informazione.

Questa vis estimativa avrà la sua importanza, perché nell’uomo poi si chiamerà la vis cogitativa o la ratio interior, si avvicina già molto alla ragione. Aristotele ha questa affermazione un po’ amena, per la verità cioè dice che la pecora fuggendo il lupo è già in grado di annunciare una proposizione negativa, cioè con la fuga nega il lupo, mentre il nutrimento lo afferma, quindi ha già la capacità di giudizi affermativi e negativi.

Ora importante è questo: i sensi esterni in qualche modo raccolgono i dati che sono poi ordinati dal senso interno, il così detto senso comune. La fantasia fa una rudimentale astrazione, che però non giunge all’universale, ma ha questo di proprio, che riesce a mantenere, conservare, fissare il dato sensibile. La fantasia non solo in qualche modo eleva il dato sensibile, ma è in grado di percepirlo anche là dove l’oggetto sensibile non c’è. Il senso può elaborare solo alla presenza della sensazione, la fantasia no, è indipendente. E’ interessante questa elevazione della fantasia. Ora nella fantasia ci sono i dati sensibili come sigillati e mantenuti, conservati ed è sulla fantasia che fa leva l’astrazione. L’astrazione non si fa direttamente sulla percezione sensibile, ma bensì sui fantasmi conservati dalla fantasia stessa e dalla memoria, che poi è in grado di rievocarli. Noi, quando pensiamo, tiriamo fuori dal registro della memoria sensitiva. Facciamo l’esempio del tavolo. Quando io dico "il tavolo", concettualizzo, vi porto il concetto del tavolo, tuttavia nel contempo mi ricordo di qualche tavolo particolare, dal quale io ho astratto il tavolo come tale. C’è sempre ricorso ai fantasmi. Introspettivamente ci rendiamo conto che è proprio così. San Tommaso era d’accordo.

L’astrazione ritorna sul fantasma, questo dato sensibile rielaborato dalla fantasia, tramite l’intelletto agente, il quale è pura attività intellettiva, privo di contenuto, è la pura attività di concettualizzare, non passa dalla potenza sensitiva. E’ un puro atto, non di contenuto, di essenza, ma puro atto di attività intellettiva. Si potrebbe quasi dire, (qui vedete la parentela tra uomo e Dio, il Signore non si offenda, non è la stessa cosa), ma si potrebbe dire che come Dio è l’atto puro di essere, così l’intelletto agente è l’atto puro di svolgere in qualche modo un’attività astraente (non di pensare, perché i contenuti non ci sono). L’intelletto agente illumina il fantasma e lo eleva in maniera tale da astrarne l’atto umano, il concetto. Il concetto in un primo stadio, in una prima tappa si chiama la specie impressa, perché astratto dall’intelletto agente, il concetto è ricevuto dall’intelletto detto possibile. Poi l’intelletto possibile, pensando alla specie impressa, esprime questa specie come specie espressa, che termina con l’intelletto possibile. Quindi la specie impressa è il mezzo tramite il quale si conoscono le cose. Ma questo bisogna che lo facciamo la prossima volta, perché abbiamo già fatto tardi, quindi chiedo scusa. Finiamo il discorso quando ci vediamo la settimana prossima. Vi ringrazio tanto della gentile attenzione, buon fine settimana.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, amen. Ti rendiamo grazie o Signore Dio Onnipotente per tutti i tuoi benefici, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli, amen.

Di nuovo grazie.

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San Tommaso, la dottrina, parte seconda

Carissimi, abbiamo già visto in parte la dottrina della conoscenza di San Tommaso. Raccomando molto alla vostra attenzione quello che abbiamo detto, come l’anima umana sia considerata da San Tommaso quasi la forma di tutte le forme. Partendo da Aristotele, San Tommaso mette in rilievo questa apertura universale dell’anima intellettiva. Già l’anima sensitiva è dotata di conoscenza, però una conoscenza sempre materiale e particolare. Il materiale è sempre concreto, la parte individuale è sempre materiale, le sostanze materiali sono individue, sono concrete. Invece il processo dell’intelligenza è un processo di concettualizzazione e quindi di universalizzazione, Perciò la nostra anima è in grado di cogliere non solo le forme della materia, come il senso, che poi è la forma della materia nella concretezza, ma la nostra mente è in grado di cogliere la forma nel suo essere forma, questo si chiama processo di astrazione.

Questa capacità dell’anima di avere presente in sé la forma della realtà altrui, in quanto è altrui, avere in sé la forma nella sua alterità, fa sì che la nostra anima sia in qualche modo tutte le cose, come dice già Aristotele, "quodammodo omnia". Ed è interessantissimo questo, cioè la nostra anima non è solo, per così dire, sé stessa, non è solo la forma del corpo umano, ma anche ha la funzione di essere la forma di tutte le cose, di ricevere in sé in qualche modo tutto l’ente e tutte le differenze dell’ente, tutto il reale e tutte le differenze e le sfumature del reale. Questo fa sì che la teologia tomistica, già a livello naturale, filosofico (perché qui siamo in filosofia) fa vedere come l’uomo sia portatore nella sua anima di una somiglianza con Dio. Infatti è proprio di Dio essere non solo qualche cosa in particolare, ma essere eminentemente tutte le possibilità dell’essere, in Dio non c’è nessuna possibilità di essere che rimanga non attuata. Non è ovviamente che Dio sia per esempio il minerale o la pianta, certamente no, ma Dio è infinitamente più che un minerale o di una pianta, quindi tutte le differenze dell’essere sono in qualche modo racchiuse in Dio. Similmente nell’uomo tutte le differenze dell’essere sono racchiuse nell’uomo, perché l’uomo non è pari a Dio, però ci sono nell’uomo tutte le differenze dell’essere in quanto al pensiero, perché se io non sono il tavolino, tuttavia io posso pensare al tavolino. Si potrebbe dire che la concezione filosofica tomistica faccia vedere la verità dell’uomo, quale essere che, pur nella sua finitezza entitativa, tuttavia è infinitamente aperto sotto l’aspetto della intenzionalità. Qui mi pare che la filosofia moderna abbia molte difficoltà.

E’ interessante questo paradosso dell’uomo, l’uomo si pone al confine tra il finito e l’infinito: questa è la sua grandezza, ma anche la sua grande tentazione. In fondo il peccato delle origini è proprio quello di aver scambiato il pensiero con l’esistenza, una tentazione tremenda. Il nostro idealismo (scusate se butto lì nella filosofia un poco di teologia), il nostro idealismo moderno è rifare il peccato di Adamo, cioè mangiare dall’albero del bene e del male significa avere la pretesa, non già di fare qualche peccatuccio banale (quando penso alla mela penso ai peccatucci piuttosto superficiali)), non è questo il peccato di Adamo e di Eva: l’aver mangiato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male significa aver la pretesa di determinare la differenza fra il bene e il male, che è la stessa differenza che corre tra l’essere e il non essere con il solo pensiero. Questo solo Dio può farlo, perché solo Dio, in cui il pensiero è l’essere, determina l’essere con il pensiero. L’uomo con il pensiero pensa l’essere, ma non lo determina.

Ora l’uomo è dotato di questa apertura infinita, Aristotele dice: "In fondo gli dei non hanno dato all’uomo nessuno strumento di difesa" non abbiamo i denti, come gli animali, gli artigli, però abbiamola mente e abbiamo la mano, che è lo strumento degli strumenti, così che possiamo con la mano elaborare qualsiasi strumento adatto alla difesa o al lavoro. Similmente con la mente possiamo in qualche modo adattarci a quella che è la realtà che ci circonda, molto meglio di quanto non si adattino gli animali. Una cosa molto curiosa, si riconnette con il problema dell’evoluzionismo. E’ paradossale, Darwin non la spiega bene questa faccenda, già ammesso per assurdo che l’uomo si sia evoluto da qualche scimmione o da qualche altro animaletto, non ha importanza quale, il fatto è questo che se c’è qualcosa di disadattato, se c’è un ludus naturae, un gioco, quasi una presa in giro della natura, ebbene è davvero il cervello, la mente umana, perché è veramente un guasto della natura, qualcosa di disadattato in partenza, che però si adatta nelle conseguenze. Quindi non è così facile spiegare nei termini di puro adattamento all’ambiente il nascere del cervello. Certamente, di per sé, almeno nelle origini, il cervello è molto disadattato, perché il cervello tende a divagare, a distrarsi, a porsi sopra alle nuvole, anziché adattarsi ai rigori dell’ambiente che ci circonda, quindi io credo molto di più a queste meditazioni platoniche, aristoteliche, che fanno vedere come in fondo l’uomo è un animale sprovveduto, al quale poi gli dei danno un dono, che non è un dono particolare, ma un dono universale, che contiene in sé, nonostante la sprovvedutezza, tutti gli altri doni.

Quindi come l’uomo ha la mano che è lo strumento di tutti gli strumenti, così l’uomo ha la mente che è forma del corpo, il pensiero che è in grado di pensare ogni reale, ma di pensarlo, non di crearlo e di determinarlo. La tentazione della filosofia moderna è di pretendere che l’uomo sia il buon Dio e quando si accorge che l’uomo non è il buon Dio, se la prende con il buon Dio. Sartre, Camus, tutta la faccenda dell’esistenzialismo moderno, farebbe ridere, se non facesse piangere, questo uomo che pretende di essere Dio! Poi si riconosce dio fallito, ma non gli viene in mente neanche per sogno che potrebbe avere un riflesso del divino, senza però essere Dio. Però è molto importante vedere questa imago Dei, questa apertura universale dell’anima. L’uomo è portatore di pensiero, è portatore dell’infinito, portatore di una realtà veramente infinita. Questo è San Tommaso nel suo commento al De Anima.

Ora l’ultima volta ci siamo fermati a questo processo astrattivo, cioè abbiamo visto come l’intelletto, a differenza del senso che conosce i particolari, conosce la realtà diversa dal soggetto, ogni conoscere consiste nell’aver presente il diverso in quanto è diverso, aver in sé qualche cosa che non è sé stesso, qualche cosa di altro. Anche gli animali hanno in sé la conoscenza, la capacità di ricevere in sé la rappresentazione di altro da sé, però ricevono questa rappresentazione solo nel concreto, non hanno una capacità di astrarre la forma in sé stessa. Io dico sempre forma e materia. Invece nell’uomo c’è la capacità intellettiva. Sottolineo con veemenza questo fatto, perché mi sta a cuore, sentendo questi discorsi materialistici, il volgare materialismo che dilaga un po’ da per tutto al giorno di oggi, che si camuffa in apparenze diverse dal materialismo. L’angelo delle tenebre si traveste da angelo della luce, altrimenti non farebbe nessun colpo, non trascinerebbe all’inferno nessuna anima, se non rendesse l’inferno un po’ appetibile, così il materialismo si camuffa con il pragmatismo. L’agire è bello, il contemplare è un pregiudizio borghese, l’agire è bello, il fare è il sommo dell’uomo. Per di più c’è questa tendenza a dire: "Il concreto è bello", il discorso astratto è un discorso in qualche modo emarginato in partenza, Socrate non ha fortuna ai nostri tempi, come non l’aveva in Atene. Il fatto è che il materialista quasi istintivamente compie un processo estremamente metafisico (quello che il metafisico sa), dicendo che la materialità è sorgente di concretezza, l’uomo non metafisico lo intuisce, cioè lui sa che la materialità è concretezza, quindi ama la concretezza, perché ama la materialità.

Si dice al giorno di oggi: "Che prediche astratte dobbiamo sentire! No, concretezza, ci vuole, bisogna parlare del terzo mondo!". Non voglio esagerare ma il fatto è questo: bisogna pensare che astrazione è intelligenza, perché? Perché la nostra mente conosce immaterializzando il suo io. L’oggetto, in quanto è materiale e concreto, non è intelligibile, manca di intelligibilità. Dice già Aristotele, molto saggiamente, "de singularibus non est scientia", e non lo sarà mai. Noi potremmo inventare microscopi elettronici potentissimi, ma il concreto, in quanto è concreto, non lo conosceremo mai. Conosceremo i quark, ma non li conosceremo nella particolarità in quanto è particolarità, sempre avremo un concetto di quello che è un quark o mesone o qualche particella subatomica.

In sostanza la nostra mente astrattiva adatta l’oggetto al ricettacolo che è essa stessa, che è immateriale. Ora la nostra mente si sforza e riesce a conoscere, a separare conoscitativamente, non entitativamente, qui c’è l’errore di Platone, dice Aristotele, l’unico errore di Platone sta in questo: che lui ha scambiato il pensiero con l’essere, ma non alla maniera degli idealisti moderni, i quali pensano che l’essere dipenda dal pensiero. Platone faceva dipendere piuttosto il pensiero dall’essere, ma sempre identificandolo. Secondo Platone il vero essere è l’essere pensato, ma è l’essere, l’essere reale, che è l’intelligibile e l’intelligente. San Tommaso commenta l’errore di Platone, seguendo Aristotele, in questi termini, esso consiste nell’aver pensato che le cose esistono come noi le pensiamo. Siccome noi pensiamo le cose come stato di astrazione, cioè di separazione, Platone pensava che le cose esistessero in stato di astrazione. Platone ha perfettamente ragione in quanto al pensiero, non in quanto all’essere. L’uomo ideale di Platone esiste, ma esiste nella nostra mente, non esiste nella realtà. Però ogni volta che noi pensiamo formiamo un concetto, basandoci su un dato sensibile, ma innalzandoci al di sopra di esso.

Ora questo processo di astrazione è compiuto da una duplice facoltà intellettiva. C’è una certa dualità, nella volontà e nella intelligenza, perché la volontà è una facoltà che tende al fine e tendendo al fine, assieme al fine, per giungere al fine considera anche i mezzi. San Tommaso infatti giustamente paragona la volontà al movimento. Non che la volontà sia movimento, perché qui si tratta di analogie, ma nella volontà c’è qualche cosa di analogico al movimento. Se un treno si muove, per esempio da Bologna a Roma e fa via Firenze, attraverso Firenze arriva fino a Roma, non c’è un movimento fino a Firenze ed uno fino a Roma, c’è una fermata di mezzo. La volontà si muove verso il fine ultimo, ma nella intentio, nello stesso movimento volitivo coinvolge anche i mezzi.

Invece l’intelletto, a differenza della volontà, che è una facoltà motiva, l’intelletto è una facoltà rappresentativa, la conoscenza è sempre rappresentativa. Però questo essere presente, siccome avviene tramite l’astrazione, bisogna pensare che sia l’attuazione della mente umana per mezzo dell’intelligibile in atto. Vi ricordo ancora questo perno, attorno al quale gira tutta l’epistemologia realistica di San Tommaso, cioè l’identità reale tra l’intelligibile e l’intelletto nell’atto dell’intelligenza. San Tommaso ha questa bellissima frase che dice: "l’intelligibile e l’intelletto in atto sono la stessa cosa, si identificano". In qualche modo ciò che è l’atto della cosa conosciuta, diventa anche l’atto della mente pensante. Per esempio, se io al tavolino (faccio questo esempio che è vicino), se io penso al tavolino, che cosa faccio? Astraggo la sua forma e la imprimo nella mia mente. Ora la mia mente, quando conosce, quando è in atto di conoscere, sottostà alla stessa forma alla quale sottostà il tavolino fisicamente. La mia mente, nel conoscere l’oggetto, sottostà conoscitivamente, astrattivamente alla stessa forma alla quale sottostà la realtà fisica conosciuta. Importantissimo questo: identità della forma. La forma poi che assume due aspetti diversi, notate come si pone nella dottrina tomistica nella distinzione tra essenza ed essere. C’è l’essenza della forma, che è sempre la stessa, che però assume due modi di essere, uno ce l’ha già, fisico, l’altro lo riceve dall’astrazione della mente. Notate che la mente è attuata dall’aver presente non tutta la forma, che è materiale, ma la forma separata per astrazione dalla cosa.

A questo punto giustamente San Tommaso è d’accordo con Aristotele, anche se ci sono coloro che si dichiarano tomisti e che si ribellano contro questo sdoppiamento, che mi pare che sia inevitabile. Certo non bisogna moltiplicare gli enti senza necessità, ma qui mi sembra che la necessità ci sia, c’è uno sdoppiamento tra intelletto agente e intelletto possibile. L’intelletto possibile riceve l’attuazione dalla forma astratta, dal concetto, però il concetto per poter attuare l’intelletto possibile, deve in qualche modo essere derivato dalla cosa nell’intelletto possibile. Ora chi compie questa attività di derivazione, di astrazione della forma, per imprimerla nell’intelletto possibile? Certo non l’intelletto possibile, perché nulla, che è in potenza, può indurre sé stesso dalla potenza all’atto, quindi bisogna pur pensare all’intelletto agente. Intelletto agente, pur non essendo l’essere, altrimenti sarebbe Dio in persona, il puro atto di pensare, il contenuto pensato, questo intelletto agente, è una specie di luce che illumina l’oggetto. Però una luce attiva, se volete, come la luce che cade sull’oggetto divino, è una luce che illumina ed estrae la forma, attivamente, l’intelletto agente estrae questa forma che è nella materia, per imprimerla poi in questo substrato della separazione intenzionale- astrattiva, per imprimerla nell’intelletto.

In questo processo di astrazione (voi lo sapete dalla psicologia, vi dico cose già conosciute, ma poiché rientrano nel tomismo, bisogna pur dirle) in questa astrazione l’intelletto agente, che è la causa principale, il fantasma sensibile, l’immagine sensibile elaborata dall’immaginazione, è come strumento della stessa astrazione. Notate che in ogni pensiero umano c’è sempre la conversione, il fantasma, San Tommaso è sempre molto realista, la nostra mente è sempre molto legata ai sensi. Non solo la prima volta, quando noi formiamo il concetto, cioè ci facciamo alla materia sensibile, ma abbiamo anche una memoria sensitiva in cui rimane impresso il fantasma che abbiamo elaborato prima, quando facemmo la prima astrazione. Quindi ogni volta che noi pensiamo ad un concetto, in quel concetto è contenuto il primo fantasma, da cui lo abbiamo astratto, anche se l’oggetto sensibile non c’è più. Talvolta vi sono dei sorprendenti aspetti psicologici, ci si ricorda anche della propria infanzia, poiché succede che l’astrazione avviene quando vi è l’uso della ragione, quel momento felice in cui si risveglia la razionalità, a questo punto avvengono le prime astrazioni. Pensando, ad esempio, ad un tavolino, si pensa a un tavolino che uno ha visto a cinque anni, è persino un po’ buffo. Non è che sempre uno si renda conto dell’astrazione, però sempre c’è questa connotazione del sensibile in ogni concetto. C’è questa dualità: il fantasma sensibile, che è il punto di partenza e poi il concetto che viene astratto. ……..

Seconda parte della dottrina

S. Anselmo ha chiarito solo una cosa: non che Dio esista realmente, ma che l’essenza di Dio non è pensabile, se non come esistente, ma l’esistenza che io penso di Dio è un’esistenza solo pensata, non un’esistenza reale, da qui l’esigenza di un confronto del giudizio tra l’essere pensato con l’essere reale. Quindi per arrivare ad un giudizio che rappresenti non un essere puramente pensato, ma un essere reale, bisogna partire da qualche cosa di reale e nel contempo conoscibile dall’uomo.

Ora ciò che è realmente per noi, ciò che si conosce da parte nostra, è l’oggetto proprio della nostra mente, l’attività delle cose materiali, il mondo sensibile. Ecco perché San Tommaso esclude tutte le prove, tranne quella cosmologica, che parte dal dato sensibile.

Perciò Dio, che è il primo intelligibile in sé, è l’ultimo inteso, cioè conosciuto intellettivamente da noi. Noi abbiamo bisogno di dimostrare l’esistenza di Dio e lo possiamo solo fare partendo dalle realtà più umili, più basse nella scala dell’essere, però delle quali abbiamo la certezza che esistano realmente. Ora le prove tomistiche sono cinque: sono le celebri vie per dimostrare l’esistenza di Dio. Queste cinque vie dimostrative, suscettibili di esplicitazioni diverse, ma raggruppabili in questi cinque tipi, hanno una struttura paradigmatica comune: partono sempre dal dato sensibile, per elevarsi a Dio tramite la causalità.

Questa salita a Dio tramite la causalità avviene oltrepassando il dato sensibile e questo è possibile solo se il dato sensibile è visto come qualche cosa di dipendente da altro. Quindi, per aprire la strada a Dio, bisogna in qualche modo afferrare quello che io chiamo la insufficienza ontologica del dato sensibile. Cioè il dato sensibile è un ente, che però non è pienamente ente, cioè è un ente finito, limitato, dipendente, causalmente dipendente. Si fa vedere, alla base delle prove, in quanti modi un ente sensibile, da me afferrabile, dipenda da altro, dall’essere, in quanti modi è causato.

I tipi di causalità su cui San Tommaso fa leva sono anzitutto la causalità efficiente, passiva ed attiva: passiva essere causato ed attiva causare, però in dipendenza da un’altra causa che mi muove a causare. Poi la causalità quasi materiale, la contingenza del sensibile, la non necessità del sensibile, la corruttibilità del sensibile. Ancora la causalità formale estrinseca od esemplare, il fatto che le perfezioni limitate dipendono dalla perfezione illimitata, non partecipata, essenziale. Ed infine la causalità finale, delle tendenze teleologiche, finalistiche, che dipendono da un finalizzatore. Finalizzatore, non architetto del mondo di massonica memoria, finalizzatore creatore, cioè il creatore delle finalità, non architetto come un uomo che prende i mattoni e costruisce il mondo. Questo meriterebbe del tempo, mi limito a dire che San Tommaso insiste col dire che l’essere è dato all’essenza secondo la proporzione dell’essenza stessa. Quindi Dio è causa datrice dell’essere, questo è il punto delicato, solo Dio ha questo attento rispetto dell’essenza, solo Lui può averlo, perché raggiunge l’essenza finita tramite l’essere che infonde all’essenza. Una essenza entra in conflitto con un’altra se si agisce sul piano essenziale, cioè una essenza contro un’altra essenza, mentre in Dio non c’è un’essenza che entra in conflitto con un’essenza finita, ma è un datore di essere che dona un essere partecipato alle essenze limitate. Ecco come San Tommaso in chiave metafisica, cioè in chiave della dottrina dell’essere dell’essenza, riesce filosoficamente ad interpretare questo fortiter et suaviter, su cui abbiamo meditato anche all’inizio dell’avvento, quando abbiamo cantato quella bella antifona che parla della sapienza che raggiunge i confini dell’universo, con fortezza e dispone tutto con soavità. Iddio pervade tutto con l’essere, però l’Essere si adatta ad ogni essenza, quindi dispone tutto con soavità. Questa è la chiave di lettura che è appunto l’analogia entis.

In tal senso non si pone il problema della libertà e della predeterminazione divina. Dio predetermina la libertà all’uomo libero, determina la libertà a determinare sé stessa. Ovviamente è da distinguere la necessità di infallibilità e la necessità di coazione, cioè se Dio mi predestina a fare del bene, in quel determinato momento, ebbene allora io lo farò, ma ciò non toglie che io lo farò liberamente, perché la libertà si dice rispetto alla causa seconda, la infallibilità rispetto a quella prima. Quindi un’azione può essere benissimo infallibile, nel contempo libera. Infallibilmente accadrà che io liberamente faccia del bene. Questo è un po’ la formula. Similmente San Tommaso risolve una questione un po’ capziosa, c’è chi dice: "Ma se c’è la predestinazione, inutile pregare, perché con la preghiera non posso cambiare nulla". San Tommaso dice: "Attenzione, il Buon Dio conosce tutto, ma conosce anche le tue preghiere, quindi ha tutto predisposto, ma lo ha predisposto tenendo conto anche di quello che tu dirai nella tua orazione". Quindi pregare non guasta, più si prega, meglio è e la predestinazione non toglie nulla né alla preghiera, né alle opere buone. Vedete come San Tommaso è sempre attento sia a questa supremazia di Dio, a questa trascendenza di Dio, ma nel contempo alla consistenza delle cause seconde. Il fascino della dottrina tomistica sta proprio in questo: l’aver sempre dato il primato a Dio, ma senza schiacciare, anzi promuovendo al massimo quella che può essere la consistenza degli enti derivati da Dio, quelli che sono enti per partecipazione e non per essenza. Inutile che ci dilunghiamo.

Accenniamo solo brevemente alla politica secondo San Tommaso. Egli ha anche degli scritti politici, sia il commento ad Aristotele, sia il famoso scritto al re di Cipro. Si dice che il re di Cipro avesse delle inclinazioni tiranniche e che fosse alquanto sorpreso da queste tesi sovversive, a suo modo di vedere le cose, di San Tommaso. Pensate che lo stesso Santo Padre Pio IX ebbe un piccolo sussulto quando i domenicani gli presentarono le tesi di San Tommaso, perché sapete che Pio IX col Sillabo (giustamente, secondo il contesto storico) ha condannato i tirannicidi, perché è troppo facile dire che uno è tiranno per ammazzarlo, altrimenti qualsiasi gruppo sovversivo può trovare questa legittimazione. Questo anche San Tommaso lo dice chiaramente, dice che sono sempre i cittadini meno onesti che gridano contro il tiranno, ad ogni disposizione, ad ogni autorità, subito c’è una sommossa da parte dei cittadini, non sempre i più edificanti.

Quindi non c’è dubbio che Pio IX fece bene, il Sillabo è un’opera stupenda. Però ricevette una scossa leggendo San Tommaso, che asseconda in sostanza la tesi degli antichi, secondo la quale uccidere un tiranno, che però sia oggettivamente tale, non è peccato. Bisogna però che non si faccia per vendetta privata, ma deve essere proprio legittima difesa. San Tommaso dice che la tirannide è una specie di guerra civile, cioè è una guerra che il tiranno muove al popolo che pretende di governare, quindi sopprimere il tiranno diventa una legittima difesa. Però il re di Cipro, che si vedeva nella figura del tiranno, non fu molto convinto dalla lettura di questo libro. Al di là di queste curiosità storiche, è importante vedere il modo in cui San Tommaso considera la legge. C’è questa bellissima triade di leggi: c’è la legge eterna, la legge naturale e la legge positiva.

Al giorno di oggi, quando si parla di legge, sempre se ne parla con un pochino di rifiuto, perché le norme non piacciono. Ebbene, quando si pensa alla legge, al giorno di oggi, si pensa al codice. San Tommaso dice: "C’è anche quel terzo grado di legge è la legge positiva, quella dello stato, la legge canonica, tutto quello è la legge positiva", ciò ha una notevolissima importanza, però bisogna vedere quali sono queste disposizioni umane (doverose, perché non tutto è regolato dalla natura). La natura deve essere aiutata dall’arte, l’arte politica è proprio in qualche modo l’impostare la convivenza umana secondo l’arte, perché lì la natura non l’ha ancora determinata questa convivenza, però ne ha determinato le regole fondamentali. Quindi è necessaria l’opera del legislatore umano, però quello a cui San Tommaso tiene molto (e oggi ce ne dimentichiamo) è che il legislatore umano non può legiferare contro il legislatore divino. Cioè la legge umana, dice San Tommaso, o è applicazione della legge naturale o "est potius corruptio legis quam lex". Ogni volta che sento parlare delle disposizioni in tema di aborto mi viene in mente questa frase. Con ciò non vuol dire che tutto il codice sia sbagliato, perché ci sono delle parti oneste, ma ce ne sono alcune che sono un po’ preoccupanti.

Perché dico questo? Perché qui si tratta di legiferare contro la legge naturale. Sant’ Agostino dice che non è necessario che il legislatore umano sopprima tutti i vizi, d’altra parte sarebbe impossibile, questo è evidente. E’ chiaro che il legislatore umano può tollerare certi vizi, addirittura lo deve. Tuttavia un certo tipo di male non và tollerato, ed è il male di ingiustizia, tutti i tipi di ingiustizia. Il cittadino ha diritto di aspettarsi dai suoi governanti che lo proteggano in materia di giustizia, perché proprio questo gli spetta per natura, non per contratto uso umano, ma per natura. Ora quando il legislatore umano depenalizza un assassinio vero e proprio, ha mancato al suo dovere. Ci sono determinati contenuti morali che non possono non trovare una corrispondenza anche nel codice. Se non trovano quella corrispondenza, la legislazione per quella parte è già opposta alla legge naturale di Dio.

Quindi San Tommaso è molto attento a questa duplice partecipazione: che la legge naturale sia una partecipazione della legge eterna e che della legge umana debba essere, se onesta e corretta, una partecipazione alla legge naturale, un’applicazione della legge naturale.

Per legge eterna si intende la stessa disposizione divina nell’intelletto divino, l’essenza stessa divina, l’intelligenza divina che tutto dispone. Però ex parte intellectus Dei, dalla stessa parte dell’intelletto divino. Anche quella è una legge, perché universalmente si definisce legge ( San Tommaso ne da questa definizione) quella disposizione dell’intelletto pratico di chi ha l’autorità su una società perfetta, a condizione che questa disposizione sia promulgata dalla stessa autorità. Questa è la definizione della legge.

Ebbene, Iddio promulga nel suo stesso intelletto delle disposizioni intellettive, che a noi sono sconosciute ovviamente, però al vertice di tutte le leggi c’è questa lex divina, eterna. Poi dalla legge eterna discende la legge naturale, che ne è un’espressione. Cioè Dio dispone di creare, di porre in essere determinate creature. Però Dio onnipotente non dà solo alla creatura la sua essenza o natura, ma le dà anche la sua operatività. Cioè Dio non si è semplicemente accontentato di dare alle cose la dignità di esistenti, ma ha dato anche alle cose la dignità di operanti, di agenti. Iddio ha dato all’uomo, che è un agente libero, che quindi dispone sé stesso al fine ultimo ed anche ai fini intermedi, la libertà, però al di là della libertà gli ha dato anche un certo indirizzo finalistico, al quale l’uomo deve sottostare per agire onestamente. Questo indirizzo finalistico, insito nella stessa natura umana, si chiama legge naturale. Iddio ha promulgato in qualche modo la sua volontà legislativa nei nostri riguardi. Se io vedo, per esempio, che l’intelligenza aspira al vero, non posso dire che l’intelligenza possa servire ad altro, che a conoscere il vero. L’intelligenza non può essere usata con astuzia per ingannare, per esempio. Io posso usarla anche così, però allora agisco immoralmente, perché agisco contro la legge naturale, faccio violenza alla mia intelligenza, perché di per sé l’intelligenza tende a conoscere il vero, a comunicare il vero al prossimo etc.

Così tutte le altre facoltà umane, ne abbiamo già parlato. L’esempio più discusso è quello della facoltà procreativa, che viene adesso contestato che sia procreativa. Pare che sia abbastanza evidente che Dio creatore ha voluto indirizzare questa facoltà in quel determinato modo, avendo ovviamente anche altri aspetti, però sempre facendone un uso onesto, secondo la legge naturale, se si rispetta il fine così detto primario della facoltà procreativa nella sessualità umana. Analogamente per tutte le altre facoltà: ognuna ha il suo indirizzo particolare ed in base a questa finalità si organizza in qualche modo la legge naturale.

Poi c’è la legge positiva, la quale, come abbiamo visto, applica la legge naturale secundum artem, cioè l’arte della natura non determina nulla e il legislatore umano deve organizzare la convivenza umana, ma sempre nel religioso rispetto di quelle che sono le esigenze della legge naturale. E’ interessante questo punto, San Tommaso non era affatto un clericale, si pone al di là della disputa tra clericali e laicisti, San Tommaso dice chiaramente che il governo della cosa pubblica ha un contenuto assolutamente naturale, cioè spetta all’ambito laicale, in sostanza, governare non spetta ai sacerdoti, in quanto sacerdoti. Anzi, è dannoso per la loro professione sacra immischiarsi in negozi politici. Voi sapete che il codice commina le pene ecclesiastiche ai sacerdoti, a persone ecclesiastiche che si impegnano direttamente in politica, che militano nei partiti e cose del genere. In sostanza il governo deve essere affidato alla ragione umana, che certo ha bisogno della illuminazione della fede, ma sempre indirettamente, in quanto c’è la piaga del peccato delle origini, quindi una inclinazione al male. Di per sé è la ragione umana dovrebbe giungere ad orientare bene la cosa pubblica.

Quindi San Tommaso ha questa convinzione dell’autonomia della ragione, della natura nell’ambito politico. Dice che la sorgente di ogni autorità discende da Dio, questo vale non solo sul piano soprannaturale, ma anche sul piano naturale. Gesù dice dinanzi a Pilato: "Tu non avresti nessuna autorità su di me, se non ti fosse data dall’alto". Ogni autorità discende da Dio, ogni governo, che sia monarchico, democratico o qualsiasi altro non ha importanza, ogni governo è governo per volontà di Dio, non per volontà del popolo. San Tommaso ha questa difficoltà: la costituzione deve iniziare, come si faceva nel medio evo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e poi segue tutto il resto. Invece ora si dice: " nel nome del popolo" e via dicendo, c’è un certo contrasto nella impostazione. Però San Tommaso non esclude il popolo. E’ interessante notare questo, che nel medio evo: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo era scontato, però il popolo, questa era una novità. San Tommaso effettivamente lo fa entrare, cioè dice: "L’autorità discende da Dio, però strumentalmente passa attraverso la moltitudine politica". Quindi il popolo è detentore della sovranità, datagli però da Dio, perché Dio ne è la causa in ultima analisi. Il popolo detiene questa sovranità, ma non la detiene per tenersela, ma la detiene strumentalmente per delega. Un governo totalmente referendario sarebbe un’anarchia. San Tommaso è convinto che il popolo, per quanto sia sovrano, in questo senso strumentale, deve ricevere la sovranità da Dio e passarla a coloro che si sceglie come suoi governanti. C’è un principio di libertà, quasi di democrazia si potrebbe dire, in questa impostazione.

E’ noto poi che San Tommaso, seguendo Aristotele, riconosce tre tipi legittimi di governo, cioè un governo monarchico, aristocratico e democratico. E’ chiaro che per lui il governo monarchico è quello più vicino alla perfezione di Dio, la perfezione con cui Dio governa l’universo. Però sosteneva che c’è bisogno di temperare gli eccessi di una costituzione con elementi tratti da altre costituzioni. Questa è già una esigenza della politeia aristotelica e penso che quella sia una grande saggezza, poiché le costituzioni estreme sono sempre destinate a crollare. Questo per quanto riguarda la politica tomistica, potrete poi approfondirla leggendo letteratura a tale riguardo.

San Tommaso parla di estetica, anche se non ha scritto un trattato su questo tema. Ha una considerazione molto profonda del pulchrum, del bello. Tanto è vero che gli scolastici giustamente dicono che il pulchrum (San Tommaso esplicitamente lo dice) è un trascendentale, una perfezione che conviene all’ente. Ogni ente, in quanto ente è bello, e Dio, che è il sommo ente, è sommamente bello. Questo è un aspetto che la teologia moderna riesce ancora ad intravedere. Comunque questo è un aspetto dell’essere di Dio, Dio è anche sommamente bello. Notate che San Tommaso in questo si riallaccia al platonismo, sgancia la bellezza dalla materialità, belle sono non solo le cose materiali, opere d’arte o cose del genere, bello è l’essere, l’essere, in quanto essere, è bello.

Però che cosa fa sì che l’essere sia bello? E’ diciamo la bontà, quindi il pulchrum è un aspetto del bene, però è una bontà particolare, la bontà della verità, un certo splendore della verità. Una convenienza della verità al soggetto, che la conosce. San Tommaso dice che noi in ammirazione davanti ad un’opera d’arte, ammiriamo non tanto il rappresentato, ma il modo della rappresentazione. Cioè il rappresentato può essere anche qualche cosa di brutto, di violento, di distorto, però la rappresentazione deve essere bella, cioè deve piacere. Veramente qui faccio la mia confessione agostiniana, cesso di essere tomista a questo punto e scendo nella positività. Un’arte, miei cari, un’arte che rinuncia a servire il bello, cessa anche di essere un’arte e non ci sono scuse di sorta. Ogni tanto sento dire: "L’arte moderna è così brutta (non si può fare a meno di riconoscerlo), ma ha il diritto di essere brutta perché l’uomo moderno è tormentato". Ebbene, non c’è tormento che possa in qualche modo spiegare questa abdicazione al servizio del bello. L’artista deve sempre sentirsi al servizio del bello. Certe aberrazioni sono offensive, l’arte ha una certa affinità con la religione, profanare il bello è come profanare il sacro, una cosa spaventosa in sostanza. Generalmente quando crolla una cultura, crollano tutte le idee platoniche, crolla questa triade: il bene, il vero, il bello. In tutti tre gli ambiti c’è una specie di crisi, sia rispetto al vero, soggettivismo, sia rispetto al bene, relativismo, sia rispetto al bello, il culto della bruttura, lo vedete da per tutto.

San Tommaso invece è convinto che è lecito rappresentare cose brutte, ma se le rappresento e sono un artista onesto, devo farlo in maniera bella, piacevole, con una grande dignità. Così si dice dice: "Io sono tormentato, quindi per offendere il prossimo, gli piazzo lì un oggetto orrendo". Certi musei di arte moderna ostentano oggetti veramente sgradevoli sotto ogni aspetto, alla vista, all’olfatto, non mi dilungo, che cose orrende! In ogni modo questo non è legittimato dal fatto che uno soffra, che è tormentato dentro. L’arte, ogni arte, è obbligata rispetto alla bellezza. Può essere tormentata, spesso la poesia nasce dalla sofferenza, non c’è nessun poeta che non abbia sofferto, però è necessario che abbia questa dignità. E’ questione di una certa nobiltà spirituale, questo non perdere le staffe, in sostanza. Soffrire con dignità, quindi anche le cose più tormentate esprimerle con stile, San Tommaso ci tiene a questo aspetto.

Per quanto riguarda i sensi che sono in grado di percepire il bello, questo splendore del vero, questa bontà del vero, richiedono sempre l’intelletto. L’intelletto gode nel conoscere il vero. Per esempio la filosofia è questione anche di estetica, quando uno contempla un essere, contempla la struttura ontologica, metafisica, evidentemente ha un certo compiacimento nella bontà della verità che gli si manifesta e questa è proprio una percezione spirituale del bello. I sensi percepiscono il bello, ma solo a livello dei sensi più spirituali, più emancipati dalla utilità, perchè il bello, a questo livello, è onesto, imparentato con l’onesto, il bello è fine a sé stesso. L’uomo di oggi ha una grossa difficoltà ad amare le cose per sé stesse, una crisi di benevolenza, una crisi di affettività, per dire la verità, proprio una impossibilità di amare un bene semplicemente perché è buono, si insinua sempre la domanda: "E chi me lo fa fare? E a che cosa serve?" Socrate andava in escandescenze quando uno gli faceva la domandina: "E a che cosa mi serve?". Poverino, in Atene aveva ancora il paradiso in terra, al giorno di oggi chissà quali tribolazioni avrebbe dovuto subire. Ebbene, il fatto è che l’arte è sempre innamorata del bene, della verità per il bene stesso, non ha secondi fini, l’arte è un lusso, sempre è un lusso, inutile dire: "E’ possibile che qualche cosa sia bello ed utile nel contempo". E’ possibile, materialmente, che lo stesso oggetto sotto un aspetto sia bello, sotto un altro sia anche utile, però in quanto è bello, non è utile, in quanto utile, non è bello.

E’ per questo che solo i sensi più emancipati dalla materialità sono in grado di percepire il bello. Solo l’uomo ha sviluppato l’estetica, San Tommaso è convinto di questo. Solo i due sensi più spirituali ne sono capaci, che sono la vista e l’udito. L’olfatto, il tatto, il gusto partecipano in maniera molto oscura e molto ridotta. C’è chi dice che gli animali sono utilitaristi, un leone non si rallegra del muggito di un bue, è solo una preda. Tanto meno si rallegra di una sinfonia, la quinta di Beethoven, perché naturalmente non ci vede la preda. Invece l’uomo, il quale ha questa emancipazione della vista e dell’udito dalla pura utilità, legata al senso tattile, al puro istinto nutritivo e sessuale, l’uomo che si eleva al di sopra di questi istinti, ha questa emancipazione dei sensi e quindi la possibilità di godere del piacevole per sé stesso. Benché, sia detto fra parentesi, io abbia sentito dire che hanno trasmesso la musica rock a dei pesciolini e sembra che abbiano protestato. Pare che abbiano anche loro il buon gusto.

Ad ogni modo, per San Tommaso c’è questo triplice aspetto del bello, che è appunto la integrità, cioè la perfezione, l’integrità della realtà, poi la debita proportio ed infine una certa claritas. Integritas, debita proportio, claritas, queste sono le condizioni del bello.

Timoteo (POL)
23-01-09, 00:32
Preghiera di San Tommaso d'Aquino
Prima dello studio

O Signore, dammi intelligenza
nell’apprendere, ordine nel sintetizzare,
capacità nel ricordare e facilità nel parlare.
Concedimi che io ardentemente desideri,
chiaramente conosca
e perfettamente compia ciò che a te piace.
Fa che io non insuperbisca nelle circostan-
ze liete, né mi abbatta nei momenti difficili.
Fa che io non gioisca se non di quello che a
Te conduce e non mi addolori se non di
quello che da Te mi allontana.
Mi sia gradito per Te il lavoro e mi sia
sgradito il riposo senza di Te.
Mi siano care tutte le tue creature, ma Tu,
Dio, sopra di tutto. Amen

Holuxar
07-03-17, 23:03
7 marzo 2017: MARTEDÌ DELLA PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMA, SAN TOMMASO D’AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…
Papa Giovanni XXII lo canonizzò nel 1323; Papa Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa nel 1567 e, nel 1880, Papa Leone XIII lo proclamò patrono delle scuole cattoliche.
San Tommaso d'Aquino prega per noi!





"San Tommaso d'Aquino, dottore, 7 marzo"
Guéranger, L'anno liturgico - 7 marzo. San Tommaso d'Aquino, Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-7mar.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-7mar.htm

“7 MARZO SAN TOMMASO D'AQUINO, DOTTORE DELLA CHIESA.”
UNA VOCE VENETIA - 7 marzo 2013 San Tommaso d'Aquino Confessore e Dottore. Giovedì dopo la Terza Domenica di Quaresima (http://www.unavoce-ve.it/013003-07Gquar3ve-bb.htm)
http://www.unavoce-ve.it/013003-07Gquar3ve-bb.htm
“Nel Monastero di Fossanova, presso Terracina, nella Campania, san Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa, dell’Ordine dei Predicatori, assai illustre per la nobiltà del sangue, per la santità della vita e per la scienza della Teologia; il quale dal Papa Leone decimo terzo fu dichiarato celeste Patrono di tutte le Scuole cattoliche.
A Cartagine il natale delle sante Perpetua e Felicita Martiri; una di esse, Felicita, essendo gravida (come racconta sant’Agostino) e aspettandosi, secondo le leggi, che partorisse, nei dolori del parto si lamentava, ma gettata alle fiere era allegra. Con esse patirono il martirio anche Satiro, Saturnino, Revocato Secondolo; l’ultimo dei quali morì in carcere, e tutti gli altri furono maltrattati da varie fiere, ed infine uccisi a colpi di spada sotto il Principe Severo. Ma la festa delle sante Perpetua e Felicita si celebra nel giorno precedente.”


Guéranger, L'anno liturgico - Martedì della Prima Settimana di Quaresima (http://www.unavoce-ve.it/pg-quaresima-mar1.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-quaresima-mar1.htm




https://forum.termometropolitico.it/1139-la-somma-teologica-di-san-tommaso-d-aquino-la-cattedrale-del-pensiero-cattolico.html
https://forum.termometropolitico.it/333119-7-marzo-28-gennaio-s-tommaso-d-aquino-dottore-della-chiesa.html
https://forum.termometropolitico.it/333119-7-marzo-28-gennaio-s-tommaso-d-aquino-dottore-della-chiesa-3.html
https://forum.termometropolitico.it/158946-san-tommaso-d-aquino.html




Summa (http://www.carimo.it/somma-teologica/schema.htm)
http://www.carimo.it/somma-teologica/schema.htm



San Tommaso d'Aquino - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-tommaso-daquino/)
“7 marzo, San Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274), gloria dell’Ordine domenicano e della teologia cattolica, definito “Doctor Angelicus”.
O Signore, che rendeste sommamente distinto il vostro servo S.Tommaso, per l’amore delicato alla santa purezza, per la scienza sublime delle cose divine, così da risplendere nella vostra Chiesa come Angelo e Maestro; noi vi preghiamo, che sull’esempio di lui, che non volle altro premio che la vostra gloria, noi pure, rimuovendo ogni vano ed orgoglioso desiderio, alla vostra gloria abbiamo ad indirizzare i nostri studi e nel solo e purissimo vostro amore trovare compenso e consolazione. Così sia.”



“Carlo Di Pietro - Sursum Corda
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare san Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa, dell'Ordine dei Predicatori, assai illustre per la nobiltà del sangue, per la santità della vita e per la scienza della Teologia, dal Papa Leone decimoterzo dichiarato celeste Patrono di tutte le Scuole cattoliche.
Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Confessore e Dottore della Chiesa, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, san Tommaso d’Aquino possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr”


“Carlo Di Pietro - Sursum Corda
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
San Tommaso d'Aquino prega per noi.
Dalla Studiorum ducem: "Per evitare poi gli errori che sono la prima origine di tutte le miserie della nostra età, occorre rimanere fedeli, oggi ancor più che in altri tempi, alle dottrine dell’Aquinate. Le varie opinioni e teorie dei Modernisti sono da lui vittoriosamente confutate, tanto le filosofiche, difendendo, come vedemmo, il valore e la forza dell’intelligenza umana e provando con fermissimi argomenti l’esistenza di Dio; quanto le dogmatiche, ben distinguendo l’ordine naturale dal soprannaturale e illustrando le ragioni del credere e tutti quanti i dogmi; e mostrando nella teologia che le cose credute per fede non si appoggiano sopra un’opinione, ma sulla verità e sono immutabili; nella scienza biblica dando il vero concetto della divina ispirazione; nella disciplina morale, sociale e giuridica, con lo stabilir bene i principii della giustizia sia legale e sociale, sia commutativa e distributiva, e le relazioni della giustizia stessa con la carità; nell’ascetica col dare insegnamenti sulla perfezione della vita cristiana e contrastando coloro che al suo tempo avversavano gli ordini religiosi. E contro quella emancipazione da Dio che oggi si vanta, egli afferma i diritti della prima Verità e l’autorità che ha sopra di noi Iddio supremo Signore. Da qui si rileva perché i Modernisti nessun altro dottore della Chiesa paventino quanto Tommaso d’Aquino. Come dunque un giorno fu detto agli Egiziani, nel loro estremo bisogno di vivere, « Andate da Giuseppe » perché avessero da lui in abbondanza il frumento per alimentare il loro corpo, così ora a tutti gli affamati di verità Noi diciamo: « Andate da Tommaso » per aver da lui, che ne ha tanta abbondanza, il pascolo della sana dottrina e il nutrimento delle loro anime per la vita eterna. Che un tal cibo sia pronto e alla portata di tutti fu attestato con la santità del giuramento quando si trattò di ascrivere Tommaso nel catalogo dei Santi: «Alla scuola luminosa ed aperta di questo Dottore fiorirono moltissimi maestri religiosi e secolari per il suo modo succinto, facile, e chiaro … ed anche laici ed uomini di scarsa intelligenza desiderano avere i suoi scritti »".”




Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
"Intransigeants sur la doctrine; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum]."
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
“7 Mars : Saint Thomas d'Aquin, Docteur de l'Église (1226-1274)”





Famiglia Aquino (http://www.nobili-napoletani.it/aquino.htm)
http://www.nobili-napoletani.it/aquino.htm
“(...) L’antichissima e illustre famiglia d’Aquino, di origini longobarde, è annoverata tra le Serenissime Sette Grandi Case del Regno (Le famiglie d’Aquino, Acquaviva, del Balzo, Celano, de Moliso, Sanseverino e Ruffo sono annoverate tra le Serenissime Sette Grandi Case del Regno) per aver contribuito in maniera determinante alla storia del Meridione d’Italia, con i suoi grandi personaggi che hanno ricoperto le più alte cariche in campo civile, militare ed ecclesiastico.
Il capostipite, molto probabilmente, fu RADOALDO che possedette la città di Aquino, in Terra di Lavoro, verso la fine del IX secolo da cui, successivamente ADENOLFO (~997 † ~1022) prese il cognome; in precedenza erano chiamati “Summicula”.
Da tempi antichissimi i d’Aquino sono stati conti, infatti già dal 970 circa si hanno notizie di ADENOLFO, conte di Aquino e Pontecorvo.
(...) San TOMMASO d’Aquino (Roccasecca, 1225 † Fossanova, 1274), figlio del conte Landolfo feudatario di Roccasecca e di Teodora di Napoli probabile nipote di Federico Barbarossa, alla tenera età di cinque anni fu inviato nell’abazia di Montecassino, destinataria di numerose e continue donazioni, per intraprendere i primi studi.
A quattordici continuò gli studi a Napoli presso il convento di San Domenico Maggiore ove fu affascinato dalla filosofia aristotelica e maturò l’idea di farsi frate. Fu contrastato dalla famiglia che lo tenne prigioniero per un anno nell’avito castello di Monte San Giovanni Campano; fu liberato dall’intervento di papa Innocenzo IV ed iniziò a viaggiare, per approfondire gli studi: Napoli, Roma, Parigi e Colonia. Fu soprannominato il “bue muto” per la corporatura e il carattere taciturno; il suo mastro Alberto Magno, dopo un raro ma entusiastico intervento di Tommaso durante una discussione, esclamò: “Quello che voi chiamate bue muto un giorno muggirà così forte che lo sentiranno in tutto il mondo”. E così fu.
A trent’anni fu nominato Magister in teologia; scrisse molti libri tra cui “Summa contro gentiles” e “Summa thelogiae”, divenne il più grande filosofo del suo secolo.
Ritornò a Napoli ove trascorse il resto della vita insegnando l’ontologia; morì il 7 marzo 1274 a Fossanova mentre si stava recando al Concilio di Lione. Papa Giovanni XXII lo proclamò santo e, a coloro che obiettarono la mancanza di miracoli, così rispose: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”. In Napoli, accanto alla cappella della Natività, è scolpito il suo busto."

D'AQUINO : LINEE ANTICHE (http://www.genmarenostrum.com/pagine-lettere/letterad/d'aquino/d'Aquino-antico.htm)
http://www.genmarenostrum.com/pagine-lettere/letterad/d'aquino/d'Aquino-antico.htm
“D’AQUINO
I d’Aquino erano di origine longobarda, secondo alcuni storici erano discendenti o imparentati con i principi longobardi di Capua.
A1. Rodoaldo, nobiluomo longobardo, fu il primo Gastaldo (= governatore di un distretto amministrativo nel principato di Capua) della città di Aquino.”





Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org/)
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“7 MARZO 2017:SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA.
Gloria di san Tommaso.
Salutiamo oggi uno dei più luminosi interpreti della divina verità. La Chiesa l'ha generato molti secoli dopo l'età apostolica, molto tempo dopo che la parola d'Ambrogio, di Agostino, di Girolamo e di Gregorio aveva cessato di risuonare; ma san Tommaso ha dimostrato che il seno della Madre comune è sempre fecondo, e questa, nella gioia di averlo dato alla luce, lo ha chiamato il Dottore Angelico. È dunque in mezzo al coro degli Angeli che devono cercarlo i nostri occhi, perché la sua nobile e pura intelligenza lo associò ai Cherubini del ciclo; come la tenerezza di Bonaventura, suo emulo ed amico, annoverò il discepolo di san Francesco nella schiera dei Serafini.
La gloria di Tommaso d'Aquino è quella dell'umanità, della quale è uno dei più grandi geni; è quella della Chiesa, la cui dottrina espose nei suoi scritti con tanta lucidità e precisione che nessun altro Dottore aveva mai raggiunto; è quella di Cristo stesso, che si rallegrò con lui per avere spiegato degnamente i suoi misteri. In questi giorni che ci devono ricondurre a Dio, il più gran bisogno delle nostre anime è di conoscere lui; come la più grande disavventura fu quella di non averlo conosciuto abbastanza.
Imploriamo da san Tommaso quella "luce immacolata che converte le anime, quella dottrina che dà saggezza ai piccoli, che rallegra i cuori e rischiara l'intelligenza" (Sal 18). Vedremo allora la vanità di tutto ciò che non è Dio, la giustizia dei suoi precetti, la malizia delle nostre trasgressioni, la bontà infinita che accoglierà il nostro pentimento.
VITA. - San Tommaso d'Aquino nacque verso il 1225, da famiglia nobilissima. Nel 1243 entrò nell'Ordine dei Frati Predicatori; andò a Parigi a studiare sotto la guida di sant'Alberto Magno, e non tardò a sua volta ad assumere l'insegnamento. La sua dottrina e la sua pietà gli guadagnarono una grande celebrità. Chiamato a Roma dal Papa Urbano IV, compose l'Ufficio del Santissimo Sacramento. Mentre si recava al Concilio di Lione, nel 1274, s'ammalò all'abbazia cistercense di Fossanova e vi morì il 7 marzo. Il Papa Giovanni XXII lo canonizzò nel 1323; Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa nel 1567 e, nel 1880, Leone XIII lo proclamò patrono delle scuole cattoliche.
Il Dottore Angelico.
Gloria a te, luce del mondo! tu ricevesti i raggi dal Sole di giustizia e li irradiasti sulla terra. Il tuo limpido occhio contemplò la verità, così che in te si realizzò la parola: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Vincitore nella lotta contro la carne, conquistasti le delizie dello spirito; e il Salvatore, rapito dagl'incanti della tua angelica anima, ti scelse per celebrare nella Chiesa il Sacramento dell'amore. La scienza non inaridì in te la sorgente dell'umiltà; la preghiera fu sempre il tuo aiuto nella ricerca della verità; e, dopo tanto lavoro, non aspirasti che ad una unica ricompensa, quella di possedere il Dio che il tuo cuore amava.
La tua vita mortale fu allora interrotta, e partisti lasciando incompiuto il capolavoro della tua dottrina; ma tu sempre rifulgi sulla Chiesa di Dio. Tu l'assisterai nelle battaglie contro l'errore poiché si compiace di appoggiarsi ai tuoi insegnamenti, e perché sa che nessuno conosce più intimamente di te i segreti del tuo Sposo. In questi tempi in cui le verità sono venute meno tra i figli degli uomini (Sal 11,2), fortifica, ravviva la fede dei credenti, confondi l'audacia di quegli spiriti vani che credono di sapere qualche cosa ed approfittano dell'oscuramento generale delle intelligenze, per usurpare nella vacuità del loro sapere la missione dei dottori. Le tenebre s'addensano intorno a noi; la confusione regna ovunque; riportaci a quelle nozioni che per la loro semplicità sono la vita dello spirito e la gioia del cuore.
Preghiera.
Proteggi l'Ordine Domenicano, che si propaga sempre più ed è uno dei primi ausiliari della Chiesa.
La Quaresima vedrà i figli della Chiesa prepararsi ad entrare nella grazia del Signore loro Dio; svelaci quella somma Santità che offendemmo coi nostri peccati; fa' che comprendiamo lo stato doloroso di un'anima che ha rotto ogni rapporto con l'eterna giustizia. Inorriditi alla vista delle brutture che ci coprono, aspireremo a purificare i nostri cuori nel sangue dell'Agnello immacolato e a riparare le colpe con opere di penitenza.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 838-839.”



La conoscenza di Dio mediante la ragione naturale e mediante la grazia, secondo S. Tommaso d?Aquino | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/11/la-conoscenza-di-dio-mediante-la-ragione-naturale-e-mediante-la-grazia-secondo-s-tommaso-daquino/)
"Le XXIV Tesi del Tomismo in estrema sintesi, per come sono state approvate da S. Pio X"
Le XXIV Tesi del Tomismo in estrema sintesi, per come sono state approvate da S. Pio X | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/07/le-xxiv-tesi-del-tomismo-in-estrema-sintesi-per-come-sono-state-approvate-da-s-pio-x/)
“Così si dividono le XXIV Tesi:
• La metafisica tomistica — dalla I alla VII tesi
• La cosmologia tomistica — dalla VIII alla XII tesi
• La psicologia razionale tomistica — dalla XIII alla XXI tesi
• La teologia naturale tomistica — dalla XIXI alla XXIV tesi
Prima di passare oltre, risulta utile citare il Padre Garrigou-Lagrange, “mostro sacro” del Tomismo, il quale ci ammonisce: “Il tomismo è più nei suoi principi e nell’ordine generale delle sue parti che non nell’una o nell’altra delle sue conclusioni. Da ciò proviene chiaramente la sua unità e la sua forza”. (La sintesi tomistica, Queriniana, 1953, p. 379)
Riferisce giustamente don Curzio Nitoglia che il 7 marzo 1916 la ‘S. Congregazione degli Studi’ a nome del papa Benedetto XV stabilì che “Tutte le XXIV Tesi filosofiche esprimono la genuina dottrina di San Tommaso e son proposte come sicure (tutae) norme direttive”. Tuttavia «il Papa, pur insistendo “doversi proporre tutte le Tesi della dottrina di san Tommaso quali sicure regole direttive”, non imponeva il dovere di abbracciarle con assenso interno. Evidentemente Benedetto XV non voleva dare alle XXIV Tesi un valore dogmatico, ma un valore di alta importanza disciplinare […], come la dottrina preferita dalla Chiesa».
Cornelio Fabro nella sua Introduzione a San Tommaso, riporta il testo approvato da San Pio X.
Si approvano alcune tesi contenute nella dottrina di san Tommaso d’Aquino e proposte da alcuni professori di filosofia (Sacra Congregazione degli Studi, 27 luglio 1914).”
"Tomistica. Obiezioni e risposte di Garrigou-Lagrange"
"Tomistica. L'eccellenza del Tomismo"
Tomistica. L?eccellenza del Tomismo | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/01/tomistica-leccellenza-del-tomismo/)
http://www.radiospada.org/2016/01/tomistica-leccellenza-del-tomismo/
Archivio per | Radio Spada (http://www.radiospada.org/tag/tomismo/)
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Radio Spada
“7 MARZO 2017: MARTEDÌ DELLA PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMA.
La Stazione è, a Roma, in S. Anastasia, nella medesima chiesa dove anticamente si celebrava la Messa dell'Aurora il giorno di Natale. Sotto gli auspici di questa santa Martire oggi sono presentati i nostri voti al Padre delle misericordie.
LEZIONE (Is 55,6-11). - In quei giorni il profeta Isaia parlò e disse: Cercate il Signore quando può essere trovato, invocatelo quando è vicino. L'empio abbandoni la sua via, l'iniquo i suoi pensieri, e ritorni al Signore che ne avrà misericordia, al nostro Dio che largheggia nel perdono. Perché io non penso secondo i vostri pensieri; il mio modo di agire non è come il vostro, dice il Signore. E come i cieli sono sopra la terra, così le mie vie sono sopra le vostre, i miei pensieri sopra i vostri. E come la pioggia e la neve discende dal cielo e non vi torna più, ma penetra e feconda la terra o la fa germogliare, in modo da donare il seme al seminatore e il pane a colui che mangia; così sarà della mia parola che uscirà dalla mia bocca: non tornerà a me senza frutto, ma opererà tutto quello che io ho stabilito, e compirà tutte quelle cose per le quali l'ho mandata (nella mente degli uomini): così dice il Signore onnipotente.
Confidenza e vigilanza.
Il Profeta ci fa sapere da parte del Signore che, se il nostro ritorno sarà sincero, discenderà sopra di noi la sua misericordia. Invano l'uomo si sforzerà di misurare la distanza infinita che separa la somma santità di Dio dallo stato di sozzura in cui giace l'anima del peccatore; niente di tutto ciò impedirà la riconciliazione della creatura col suo Creatore. La sua onnipotente bontà creerà un cuor puro (Sal 50,12) nell'uomo che si pente, e "dove abbondò il peccato sovrabbonderà la grazia" (Rm 5,12). Come una pioggia benefica sopra una terra sterile ed arida scenderà dal cielo la parola del perdono, e quella terra produrrà una messe abbondante. Però il peccatore ascolti tutta la profezia. È forse padrone l'uomo d'accettare o rifiutare la parola che viene dall'alto? Può egli lasciarla cadere oggi, pensando che la raccoglierà forse più tardi, al termine della vita? No; perché Dio ci dice per bocca del Profeta: "Cercate il Signore quando può essere trovato, invocatelo quando è vicino". Dunque, non sempre possiamo trovare il Signore quando vogliamo, e neppure ci è sempre vicino. Dobbiamo stare attenti ai suoi momenti; è suonata l'ora della misericordia, poi verrà quella della giustizia. "Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta" (Gn 3,4), gridava Giona per le strade di quella superba città. Ninive non lasciò passare i quaranta giorni senza tornare al Signore e senza placarlo col digiuno, sotto la cenere ed il cilizio: e Dio perdonò a Ninive. Noi dobbiamo immedesimarci dei sentimenti di quella città, colpevole ma pentita; non sfidiamo la divina giustizia, rifiutando la penitenza o adempiendola in maniera imperfetta. Può darsi che la Quaresima che stiamo celebrando sia l'ultima che ci ha preparato la divina bontà: se non ci convenissimo, chi sa se il Signore tornerà un'altra volta! Meditiamo le parole dell'Apostolo che si riferiscono a quelle di Isaia: "La terra la quale beve la pioggia che spesso cade su di lei, e produce utili erbe per chi la coltiva, riceve la benedizione di Dio; ma se non da che spine e triboli, non è stimata niente, sta per essere maledetta e va a finire sotto le fiamme" (Ebr 6,7-8).
VANGELO (Mt 21,10-17). - In quel tempo: Entrando Gesù in Gerusalemme, tutta la città si commosse e ci si domandava: Chi è costui? E le turbe rispondevano: È Gesù, il Profeta di Nazaret di Galilea. E Gesù, entrato nel tempio di Dio, si mise a cacciare dal cortile dei gentili quelli che vi compravano e vendevano, e rovesciò le tavole dei cambiamonete e i banchi dei venditori di colombe, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia sarà chiamata casa d'orazione; ma voi l'avete fatta una caverna di ladri. E si avvicinarono a lui nel tempio ciechi e zoppi, e li guarì. Ma i prìncipi dei sacerdoti e gli Scribi, avendo vedute le meraviglie da lui operate, ed i fanciulli che gridavano nel tempio: Osanna al figlio di David, gli dissero indignati: Senti quel ch'essi dicono? Si, replicò loro Gesù, e non avete mai letto: Per bocca dei fanciulli e dei lattanti hai resa perfetta la tua lode? Poi, lasciati loro, uscì fuori dalla città per recarsi a Betania, dove passò la notte.
L'obbediente.
La santa Quaresima è appena al suo inizio; ma prima che volga al termine assisteremo al supplizio del Giusto. Ecco rizzarsi davanti a lui i suoi implacabili nemici. A che prò i loro occhi furono testimoni dei suoi prodigi? L'invidia e la superbia hanno disseccato i loro cuori, ed essi non hanno voluto intendere nulla. Nel vedere Gesù esercitare un atto d'autorità nel tempio, quegl'infedeli custodi della casa di Dio ammutolirono; una meraviglia mista a terrore s'era impossessata di loro. Neppure fiatarono, quando Gesù chiamò il tempio sua casa, soggiogati com'erano dall'ascendente della sua virtù e temendo il suo potere sovrumano. Ora hanno ripreso la loro audacia; percosse le loro orecchie dalla voce dei fanciulli che gridano Osanna, s'indignano ed osano brontolare contro l'omaggio reso al figlio di David, che passa beneficando. Accecati dalla passione, questi dottori della Legge non sanno più riconoscere le profezie, ne costatarne l'avveramento. Si attuava appunto l'oracolo d'Isaia che abbiamo letto poco fa: perché non hanno voluto cercare il Signore quando l'avevano vicino, non sanno più riconoscerlo, anche quando parla loro. Lo sentono e lo benedicono i bambini, ma i sapienti d'Israele non vedono in lui che un nemico di Dio ed un bestemmiatore.
Approfittiamo almeno noi della vita di Gesù, affinché non ci abbandoni come abbandonò quei falsi sapienti. Allentandosi da loro Gesù lasciò la città e ritornò a Betania nei pressi di Gerusalemme (Mt 21,17). Lì abitava Lazzaro, insieme alle due sorelle Marta e Maria Maddalena; lì pure s'era ritirata Maria, Madre di Gesù, nell'attesa del terribile avvenimento che stava per compiersi. San Girolamo fa notare, nel suo commento su S. Matteo, che la parola Betania significa casa dell'obbedienza; da ciò apprendiamo, che il Salvatore s'allontana dai cuori che si ribellano alla sua grazia, ed ama riposare in quelli obbedienti.
Accogliamo l'intera lezione di Gesù e dimostriamo, in questi giorni di salute, con la nostra obbedienza alla Chiesa e la sottomissione alla guida della nostra coscienza, che finalmente riconosciamo dov'è riposta la nostra salute, cioè nell'umiliazione della nostra superbia e nella semplicità del nostro cuore.
PREGHIAMO
Salgano a te, o Signore, le nostre preghiere; e tu allontana dalla tua Chiesa ogni male.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 516-519.”




“Preghiera di San Tommaso d'Aquino Prima dello studio
O Signore, dammi intelligenza
nell’apprendere, ordine nel sintetizzare,
capacità nel ricordare e facilità nel parlare.
Concedimi che io ardentemente desideri,
chiaramente conosca
e perfettamente compia ciò che a te piace.
Fa che io non insuperbisca nelle circostan-
ze liete, né mi abbatta nei momenti difficili.
Fa che io non gioisca se non di quello che a
Te conduce e non mi addolori se non di
quello che da Te mi allontana.
Mi sia gradito per Te il lavoro e mi sia
sgradito il riposo senza di Te.
Mi siano care tutte le tue creature, ma Tu,
Dio, sopra di tutto. Amen.”






Luca, Sursum Corda!

Holuxar
07-03-18, 23:58
7 MARZO 2018: MERCOLEDÌ DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA; SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…



Guéranger, L'anno liturgico - 7 marzo. San Tommaso d'Aquino, Dottore della Chiesa (http://www.unavoce-ve.it/pg-7mar.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-7mar.htm
“7 MARZO SAN TOMMASO D'AQUINO, DOTTORE DELLA CHIESA.”

UNA VOCE VENETIA - 7 marzo 2013 San Tommaso d'Aquino Confessore e Dottore. Giovedì dopo la Terza Domenica di Quaresima (http://www.unavoce-ve.it/013003-07Gquar3ve-bb.htm)
http://www.unavoce-ve.it/013003-07Gquar3ve-bb.htm




http://www.documentacatholicaomnia.eu/03d/1225-1274,_Thomas_Aquinas,_Summa_Theologiae_(p_Centi_Cu rante),_IT.pdf



Famiglia Aquino (http://www.nobili-napoletani.it/aquino.htm)
http://www.nobili-napoletani.it/aquino.htm





San Tommaso d'Aquino - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-tommaso-daquino/)
http://www.sodalitium.biz/san-tommaso-daquino/
«7 marzo, San Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274), gloria dell’Ordine domenicano e della teologia cattolica, definito “Doctor Angelicus”.
“Nel Monastero di Fossanóva, presso Terracina, nella Campania, san Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa, delFOrdine dei Predicatori, assai illustre per la nobiltà del sangue, per la santità della vita e per la scienza della Teologia, dal Papa Leone decimoterzo dichiarato celeste Patrono di tutte le Scuole cattoliche”.
O Signore, che rendeste sommamente distinto il vostro servo San Tommaso, per l’amore delicato alla santa purezza, per la scienza sublime delle cose divine, così da risplendere nella vostra Chiesa come Angelo e Maestro; noi vi preghiamo, che sull’esempio di lui, che non volle altro premio che la vostra gloria, noi pure, rimuovendo ogni vano ed orgoglioso desiderio, alla vostra gloria abbiamo ad indirizzare i nostri studi e nel solo e purissimo vostro amore trovare compenso e consolazione. Così sia.»


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/tommaso-daquino-2-235x300.jpg


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/tommaso-daquino-2-235x300.jpg






Il dolomitico aquinate - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/il-dolomitico-aquinate/)
http://www.centrostudifederici.org/il-dolomitico-aquinate/
«Il dolomitico aquinate 7 marzo 2018
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 25/18 del 7 marzo 2018, San Tommaso d’Aquino
Il dolomitico aquinate
Oggi la Chiesa festeggia san Tommaso d’Aquino, gloria dell’Ordine domenicano e della teologia cattolica, definito da mons. Umberto Benigni nella “Storia Sociale della Chiesa” gigante dell’ortodossia e il dolomitico aquinate. San Tommaso era uno dei santi invocati in special modo dai membri del Sodalitium Pianum, l’associazione fondata da mons. Benigni per applicare il programma antimodernista tracciato da san Pio X, tra cui la difesa del tomismo osteggiato dai modernisti. In onore di san Tommaso pubblichiamo alcuni paragrafi dedicati all’Ordine domenicano tratti dalla “Storia Sociale della Chiesa” (La crisi medievale, vol. V, Casa Editrice Vallardi, pagg. 633 e 634).
“I Domenicani
Ed ecco l’Ordine domenicano. Compreso dall’intuito del bisogno, il Fondatore volle che i suoi frati si dessero alla predicazione professionale, e fossero mendicanti cioè fossero a contatto del popolo minuto che avrebbe avuto da loro la predica, muta, eloquente, dell’esempio, prima di quella della parola.
Idea generosa ma non attuabile permanentemente. In grande accadde al domenicanesimo quello che in breve spazio era accaduto alla Scuola cristiana d’Alessandria. Cominciata come scuola catechetica, cioè a predicazione fissa, con Panteno, assorse naturalmente a più alto grado con Clemente Alessandrino e con Origene, e divenne quello che nel medioevo si sarebbe chiamato Studium od Università filosofico-teologica. Analogamente il domenicanesimo sorse colla predicazione, catechismo ambulante (e gli stessi 15 misteri del Rosario sono un embrione di catechismo). Ma questo primo stadio additava la via da ascendere, al dottorato professionale, al professorato.
Ed ecco l’Ordine diventare quello dei grandi professori universitari con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, giù giù, malgrado la decadenza; giacché è gloria domenicana l’aver tentato la riforma cattolica prima della pseudo-riforma protestante, con riformatori indefessi come il beato Venturino da Bergamo (1304-46) in Lombardia. Le Confraternite del Rosario erano un grande strumento di riforma come i Terz’Ordini. Nell’arte sempre più «laica», si vede lo sforzo domenicano del beato Angelico. Nell’irrequieto e deviato Savonarola freme l’impeto della riforma che s’imponeva a tutti, dal Borgia ai popolino.
Scoppiata la Riforma di Lutero e di Calvino si ebbe la rinascita contro-riformistica della scienza dei domenicani. Giacche se il frate predicatore Tetzel fece il guaio di liberare le anime del purgatorio colla contabilità del tintinnare dei soldi buttati nella cassetta delle elemosine, dando cosi occasione ai frementi nemici della Roma medicea di gridare con Hutten: «i denari, che mandate a Roma, vanno non a Cristo ma ai fiorentini», — scoppiata la bufera l’Ordine domenicano offerse alla Controriforma due insuperati teologi, gli spagnuoli Melchior Cano (1560) e Pietro de Soh (t 1563), fedeli maestri della tradizione tomista, che doveva avere in un altro grande scienziato spagnuolo, il gesuita Francesco Suarez, una divergenza fondamentale a cominciare dalla questione della essenza ed esistenza.
Allora il convento domenicano si elevò automaticamente a qualche cosa di analogo della solenne abbadia, tanto più che vi si univa il formidabile potere inquisitoriale. È difficile concepire Torquemada in giro colla bisaccia fra due autodafé.
Ma la mendicità primigenia, voluta ed attuata da Domenico in persona, fu provvidenziale, perchè introdusse il predicatore e prossimo inquisitore fra il popolo, nella simpatica popolare figura del frate mendicante, che fece la fortuna del francescano.
Sulla cattedra universitaria, nel seggio di giudice «inquisitor contra haereticam pravitatem» il domenicano è una grande figura. Anche negli eccessi del Savonarola si sente la tempera del lottatore per la riforma cristiana.
E nel gran quadro storico, Francesco e Domenico splendono come un radioso dittico, che i loro figli hanno dimenticato qualche volta nella sovreccitazione delle lotte di scuola. Ma resta sempre, vera e luminosa, l’antifona cantata dai due Ordini: «il cherubico Domenico ed il serafico Francesco c’insegnarono la legge tua, Signore!».”
Per acquistare la ristampa della “Storia Sociale della Chiesa”:
http://www.sodalitiumshop.it/epages/106854.sf/it_IT/?ObjectPath=/Shops/106854/Products/099»


http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2018/03/Barron-AQUINAS-300x228.png


http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2018/03/Barron-AQUINAS-300x228.png







Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
7 mars : Saint Thomas d'Aquin, Docteur de l'Église (1226-1274) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/7-mars-saint-thomas-daquin)
“7 Mars : Saint Thomas d'Aquin, Docteur de l'Église (1226-1274)”


http://liguesaintamedee.ch/application/files/1915/2002/3933/St-thomas-aquin.jpg



“C'était le 7 mars 1965 : le futur "saint" Paul VI célébrait pour la première fois la "messe" dans la langue vernaculaire.”


“La Ligue Saint Amédée n'invente rien. Nous souscrivons pleinement au Sodalitium Pianum de Mgr Benigni, approuvé par Saint Pie X.”
Programme du Sodalitium Pianum - Sodalitium (http://www.sodalitium.eu/programme-sodalitium-pianum/)







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“Carlo Di Pietro - Sursum Corda
San Tommaso d'Aquino prega per noi.”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/28870260_1634973533205716_6651771414823974189_n.jp g?oh=7874554c413c1789bc1f3a0d40c9b843&oe=5B45086A


"7 marzo 1874. Il Creatore e Redentore del genere umano fondò la Chiesa come suo regno visibile sulla terra non solo per trasmettere col soprannaturale carisma dell’infallibile magistero la sacra dottrina e per promuovere il culto divino del santo sacerdozio e la santificazione delle anime con il sacrificio e con i sacramenti, ma lo dotò anche di un proprio e pieno potere legislativo, giudiziario ed esecutivo per tutto ciò che riguarda il fine specifico del regno di Dio sulla terra. Il potere soprannaturale del governo della Chiesa è, per lo stesso volere di Gesù Cristo, del tutto diverso e indipendente dal potere politico. Il regno di Dio sulla terra è il regno di una società perfetta e, come tale, è sostenuto e governato da proprie leggi, da propri diritti, da propri capi che vigilano attentamente, sapendo di dover rendere conto delle anime non ai governanti della società civile, ma a Gesù Cristo, Principe dei pastori, che li ha costituiti pastori e maestri, non soggetti, nell’esercizio del ministero di salvezza, a nessun potere terreno (cf. Eb 13,17; Ef 4,11; 1Pt 5,2). Perciò, come spetta ai Vescovi il dovere di governare, così spetta a tutti i fedeli, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, il dovere di ubbidire e di stare sottomessi a loro; e i popoli cattolici hanno il sacrosanto diritto di non essere ostacolati da un governo civile in questo compito, imposto da Dio, di seguire la dottrina, la disciplina e le leggi della Chiesa.
Da S. S. Pio IX
Vix dum a nobis"


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“Santa Messa Most Holy Trinity Seminary.”

https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/28577008_1633492496687153_2152172859400493402_n.jp g?oh=b541b1cb7821041844b41e5d7edb651d&oe=5B0C93DD










"Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org) e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com "
“7 marzo 2018: MERCOLEDÌ DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA.”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/28577503_2037373369625655_8876807227766767325_n.jp g?oh=85f88fef075181acf2ca23da0e808b0b&oe=5B069AF8



“7 MARZO 2018:SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA.”


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“Il 7 marzo 1724 muore Papa Innocenzo XIII dei Conti di Segni, Sommo Pontefice.”


“Il 7 marzo 1965 Paolo VI celebrava la prima messa in italiano.
«Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come una vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.»
(Dom Prosper Guéranger, "L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia" - Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n° 7-9, 1997, 13-23).”


“È un governo che è stato inaugurato verso l'anno 30 e che, nonostante i "ministri", non è ancora caduto.”


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Tomistica. L?eccellenza del Tomismo | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/01/tomistica-leccellenza-del-tomismo/)
Le XXIV Tesi del Tomismo in estrema sintesi, per come sono state approvate da S. Pio X | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/07/le-xxiv-tesi-del-tomismo-in-estrema-sintesi-per-come-sono-state-approvate-da-s-pio-x/)
La conoscenza di Dio mediante la ragione naturale e mediante la grazia, secondo S. Tommaso d?Aquino | Radio Spada (http://www.radiospada.org/2016/11/la-conoscenza-di-dio-mediante-la-ragione-naturale-e-mediante-la-grazia-secondo-s-tommaso-daquino/)
Archivio per | Radio Spada (http://www.radiospada.org/tag/tomismo/)






“Preghiera di San Tommaso d'Aquino Prima dello studio
O Signore, dammi intelligenza
nell’apprendere, ordine nel sintetizzare,
capacità nel ricordare e facilità nel parlare.
Concedimi che io ardentemente desideri,
chiaramente conosca
e perfettamente compia ciò che a te piace.
Fa che io non insuperbisca nelle circostan-
ze liete, né mi abbatta nei momenti difficili.
Fa che io non gioisca se non di quello che a
Te conduce e non mi addolori se non di
quello che da Te mi allontana.
Mi sia gradito per Te il lavoro e mi sia
sgradito il riposo senza di Te.
Mi siano care tutte le tue creature, ma Tu,
Dio, sopra di tutto. Amen.”




Luca, Sursum Corda!

Holuxar
08-03-19, 01:13
7 MARZO 2019: MARTIRIO DELLE SANTE PERPETUA E FELICITA (FESTA IL GIORNO PRECEDENTE, 6 MARZO); SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…



«6 MARZO SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI»
Guéranger, L'anno liturgico - 6 marzo. Santa Perpetua e Felicita, Martiri (http://www.unavoce-ve.it/pg-6mar.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-6mar.htm


«7 MARZO SAN TOMMASO D'AQUINO, DOTTORE DELLA CHIESA»
http://www.unavoce-ve.it/pg-7mar.htm



«Mercoledì delle Ceneri
http://www.unavoce-ve.it/pg-ceneri-mer.htm
Giovedì dopo le Ceneri
http://www.unavoce-ve.it/pg-ceneri-gio.htm
Venerdì dopo le Ceneri
http://www.unavoce-ve.it/pg-ceneri-ven.htm
Sabato dopo le Ceneri
http://www.unavoce-ve.it/pg-ceneri-sab.htm
TEMPO DI QUARESIMA
Capitolo I - Storia della Quaresima
http://www.unavoce-ve.it/pg-quaresima-st.htm
Capitolo II - Mistica della Quaresima
http://www.unavoce-ve.it/pg-quaresima-mist.htm
Capitolo III - Pratica della Quaresima
http://www.unavoce-ve.it/pg-quaresima-pr.htm »




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
http://www.domusmarcellefebvre.it/
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
Sacre Ceneri
https://www.youtube.com/watch?v=240n2FtviH0
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso».





http://www.sodalitium.biz/sante-messe/


«Della Quaresima - Sodalitium
Della Quaresima - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/della-quaresima/)
http://www.sodalitium.biz/della-quaresima/
Catechismo Maggiore di San Pio X – Della Quaresima»


Della Quaresima - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/della-quaresima/)
Disciplina del digiuno e dell'astinenza - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/disciplina-del-digiuno-dellastinenza/)
http://www.sodalitium.biz/disciplina-del-digiuno-dellastinenza/
La Quaresima - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/la-quaresima-3/)
http://www.centrostudifederici.org/la-quaresima-3/




https://www.agerecontra.it/2019/03/della-quaresima/
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https://www.agerecontra.it/2019/03/la-quaresima/
«Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
La Quaresima
“L’osservanza della Quaresima è il vincolo della nostra milizia; con quella ci distinguiamo dai nemici della Croce di Gesù Cristo; con quella allontaniamo i flagelli dell’ira divina; con quella, protetti dal soccorso celeste durante il giorno, ci fortifichiamo contro i prìncipi delle tenebre. Se ci abbandoniamo a tale rilassamento, è tutto a detrimento della gloria di Dio, a disonore della religione cattolica, a pericolo per le anime cristiane; né si deve dubitare che tale negligenza non possa divenire sorgente di sventure per i popoli, di rovine nei pubblici affari e di disgrazie nelle cose private”
(Costituzione Non ambigimus di Benedetto XIV, 30 maggio 1741).
Catechismo Maggiore di San Pio X – Della Quaresima
Della Quaresima - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/della-quaresima/)
Il digiuno e l’astinenza
Disciplina del digiuno e dell'astinenza - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/disciplina-del-digiuno-dellastinenza/)
fonte – La Quaresima - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/la-quaresima-3/) »
https://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2019/03/quaresima-300x300.jpg





http://www.sodalitium.biz/9169-2/
«7 marzo, San Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274), gloria dell’Ordine domenicano e della teologia cattolica, definito “Doctor Angelicus”.
“Nel Monastero di Fossanóva, presso Terracina, nella Campania, san Tommaso d’Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa, dell’Ordine dei Predicatori, assai illustre per la nobiltà del sangue, per la santità della vita e per la scienza della Teologia, dal Papa Leone decimoterzo dichiarato celeste Patrono di tutte le Scuole cattoliche”.
O Signore, che rendeste sommamente distinto il vostro servo San Tommaso, per l’amore delicato alla santa purezza, per la scienza sublime delle cose divine, così da risplendere nella vostra Chiesa come Angelo e Maestro; noi vi preghiamo, che sull’esempio di lui, che non volle altro premio che la vostra gloria, noi pure, rimuovendo ogni vano ed orgoglioso desiderio, alla vostra gloria abbiamo ad indirizzare i nostri studi e nel solo e purissimo vostro amore trovare compenso e consolazione. Così sia.»
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http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/tommaso-daquino-2-1.jpg





In ricordo ed onore di Don Paolo De Töth (Udine, 7 marzo 1881 - Maiano, 25/12/1965) nell'anniversario della sua nascita e nel centenario della fondazione della sua importante rivista anti-modernista e cattolico-integrale "Fede e Ragione”:


http://www.paolodetoth.it/chi-siamo/
http://www.paolodetoth.it/biografia-di-don-paolo-de-toth/
«Biografia di don Paolo De Töth (Estratta dalla rivista Sodalitium n°61 del luglio 2007)»
http://www.paolodetoth.it/category/scritti-di-don-de-toth/
https://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/61.pdf


http://www.centrostudifederici.org/campioni-della-fede-don-paolo-de-toth/
«Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 20/19 del 7 marzo 2019, San Tommaso d’Aquino
I campioni della fede: don Paolo De Töth
Nel giorno di san Tommaso d’Aquino del 1881 nacque a Udine don Paolo De Töth (morì a Maiano, frazione di Fiesole, il 25/12/1965), uno dei principali esponenti del cattolicesimo integrale, fondatore e direttore della rivista antimodernista “Fede e Ragione”. Nel centenario della fondazione della rivista, è nato il Centro Studi “don Paolo De Töth”, che abbiamo il piacere di presentare attraverso il sito del sodalizio.
Chi siamo
Analogicamente ad iniziative simili (il C.S. Giuseppe Federici a Rimini, il C. S. Davide Albertario a MiIano ed il C. S. Giacomo Margotti a Torino), ed in collaborazione con l’Istituto “Mater Boni Consilii”, il Centro Studi “don Paolo De Töth” nasce ispirandosi, già dal nome, a questo sacerdote autenticamente ed integralmente cattolico: sicuramente uno dei principali esponenti dei cosiddetti “Cattolici Integrali” che per tutta la vita combatté il Modernismo, smascherandolo e attaccandolo in ogni sua implicazione nei vari ambiti della vita religiosa e civile, consapevole che detta eresia (o meglio, ‘coacervo di tutte le eresie’ secondo la celebre definizione che dette san Pio X del Modernismo nell’Enc. Pascendi), non poteva essere sottovalutata o considerata addirittura superata, come purtroppo la ritenne una stragrande maggioranza fra i cattolici del tempo, lasciando così che sopravvivesse e si diffondesse ovunque.
Dopo ormai un secolo dall’inizio di quella tremenda battaglia, che don De Töth affrontò valorosamente dalle colonne della Rivista Fede e Ragione da lui fondata e diretta (di cui il primo numero porta la data del Dicembre 1919), vogliamo rileggere dalle parole stesse di don Paolo le indicazioni, i progetti e i tanti insegnamenti che siamo convinti aiuteranno ancora oggi tanti cattolici, che tali vogliono rimanere, ad essere conformi con la Fede senza rinunciare alla Ragione:
“LA NOSTRA RIVISTA SORGE PER DIFENDERE LA INTEGRITÀ DELLA DOTTRINA CATTOLICA E CON LO SCOPO PRECISO CHE LA STESSA DOTTRINA TORNI AD ESSERE E SIA FATTA LA NORMA SUPREMA DI TUTTE LE MANIFESTAZIONI DEL PENSIERO E DELLA VITA DEI CATTOLICI”.
“Fede e Ragione sorge non solamente per ricordare e riaffermare quello che, sui diversi punti accennati, insegna e impone il dottrinale cattolico, la dottrina della Chiesa, ma per essere ancora un centro di raccolta di quanti cattolici, preti e laici, intendono di unirsi a noi per opporre una azione franca e coraggiosa alla invadenza dei principi nefasti del liberalismo, del naturalismo del laicismo, che minacciano di travolgere ogni nostra attività”.
“Noi siamo, in primo luogo, puramente ed integralmente cattolici in questo senso che noi riconosciamo il pieno diritto della dottrina, della disciplina e delle direttive della Chiesa non solo sull’individuo e nelle questioni strettamente religiose, ma sulla società ancora, ed al riguardo pure di qualunque quistione mista, o sia tale che anche indirettamente tocchi la Fede e la morale”.
“Noi speriamo che il nostro appello troverà largo consenso e corrispondenza in mezzo ai nostri fratelli cattolici, che sentono, come noi, la gravezza dell’ora, che volge, e anelano a quella restaurazione cristiana che unica potrà dare alla società nostra la sua pace. All’opera dunque!”
Questo Centro Studi si propone pertanto – particolarmente in Toscana dove don Paolo de Töth visse almeno dal marzo 1908, quando chiamato da San Pio X divenne direttore dell’Unità Cattolica, e fino al 25 dicembre 1965, quando morì nella sua parrocchia di Maiano – di mantenere viva la memoria della vita e del pensiero di don Paolo de Töth, di curare la pubblicazione di suoi scritti o di studi sulla sua persona e la sua opera, di organizzare convegni, conferenze o iniziative in sua memoria, di aver cura della sue spoglie mortali che riposano nel cimitero di Fiesole e di suffragarne l’anima con la preghiera ed il S. Sacrificio della Messa. Il nostro Centro Studi, insomma, vorrebbe idealmente ricevere il testimone di quella competizione intrapresa e sempre sostenuta da don De Töth ‘usque ad mortem’ per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e per la Chiesa Cattolica Romana da Lui fondata, e vivamente speriamo, invocando l’intercessione dell’Apostolo delle Genti, che anche noi al termine della corsa della nostra vita e dopo aver combattuto la buona battaglia, avremo conservato integralmente la FEDE, senza la quale è impossibile piacere a Dio.
Il 7 marzo 2019, nell’anniversario della nascita di don Paolo de Töth, e nell’anno centenario della fondazione di “Fede e Ragione”.
Sito del Centro Studi “don Paolo De Töth”: http://www.paolodetoth.it/ »
http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2019/03/CS-Paolo-De-T%C3%B6th-v3.png



http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2019/03/CS-Paolo-De-T%C3%B6th-v3.png




“I campioni della fede: don Paolo De Töth”
https://www.agerecontra.it/2019/03/i-campioni-della-fede-don-paolo-de-toth/
https://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2019/03/CS-Paolo-De-To%CC%88th-v3-300x53.png

https://www.agerecontra.it/tag/centro-studi-federici/







https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«MARTIROLOGIO ROMANO, 1955. Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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«7 MARZO 2019: SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA»
https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/03/san-tommaso-daquino-confessore-e.html?m=1
“SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA
Doppio.
Paramenti bianchi.
San Tommaso, nato in Roccasecca dai conti d’Aquino nel 1225, fanciullo fu offerto come oblato all’Abazzia di Montecassino. Nel 1244 entra, contro la volontà nella famiglia, nell’Ordine dei Predicatori. Insigne maestro di teologia, insegnò a Parigi, a Napoli e a Colonia, esponendo e difendendo la fede cattolica sfruttando anche il pensiero della filosofia classica. Per volontà di Urbano IV compose l'Ufficio della festa del Corpus Domini. Mentre si recava al Concilio Lugdunense II, morì tra i Cistercensi di Fossanova il 7 marzo 1274. Giovanni XXIII lo iscrisse fra i Santi nel 1323. San Pio V nel 1567 lo proclamò Dottore della Chiesa col titolo di Angelico. Leone XIII gli decretò il titolo di Dottore Comune (1879) e Pio XI quello di Dottore Eucaristico (1923).”
https://4.bp.blogspot.com/-YkmyOVqUuns/WiSeUn0dIkI/AAAAAAAAAwg/dDAiBwABpJAsa89-AXKMpf5xUjg50YmygCLcBGAs/s1600/17191128_683542521806400_1802223661979978364_n.jpg


https://4.bp.blogspot.com/-YkmyOVqUuns/WiSeUn0dIkI/AAAAAAAAAwg/dDAiBwABpJAsa89-AXKMpf5xUjg50YmygCLcBGAs/s1600/17191128_683542521806400_1802223661979978364_n.jpg


“GIOVEDÌ DOPO LE CENERI
Stazione a San Giorgio in Velabro.
Semidoppio.
Paramenti violacei.
La Chiesa Romana vuole oggi insegnare ai fedeli che la prima e più importante pratica, soprattutto durante gli esercizi quaresimali, è la preghiera: essa è il mezzo ordinario per ottenere le grazie e per impetrare da Dio la protezione da ogni nemico visibile ed invisibile. In virtù della loro fiduciosa preghiera vengono esauditi il Re Ezechia e il centurione romano di Cafarnao.”

“L'ANGOLO PATRISTICO
Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Libro 2 sulla Concordanza dei Vangeli, c. 20 tomo 4.
Vediamo se Matteo e Luca convengano intorno al racconto di questo servo del centurione. Perché Matteo dice: «Gli si presentò un centurione, e lo pregava, dicendo: Il mio servo giace in casa paralizzato» (Matth. 8.5). Al che sembra contraddire quanto riferisce Luca: «E sentito parlare di Gesù, mandò da lui gli anziani dei Giudei a pregarlo che andasse a guarire il suo servo. Questi dunque, andati a Gesù, lo pregavano istantemente dicendogli: Egli merita che tu gli faccia questo: perché ama la nostra nazione e ci ha fabbricato lui stesso la sinagoga. Gesù pertanto andò con loro: e, quando ormai non era lontano dalla casa, il centurione mandò degli amici a dirgli: Signore, non ti disturbare: io non son proprio degno che tu entri sotto il mio tetto» (Luc. 7.3-4).
Ché se veramente la cosa andò così, come ammettere la verità del racconto di Matteo: «Gli si presentò un centurione», quando non gli si presentò lui, ma mandò degli amici, se non dopo attenta osservazione che ci farà comprendere Matteo non aver qui lasciato affatto di usare una maniera di parlare assai ordinaria? Perché non solo noi sogliamo dire che uno è andato da un altro anche prima d'esser giunto là dove si dice d'essere andato: onde così diciamo: È andato poco lontano, o molto lontano secondo la mèta che si vuol raggiungere: ma diciamo ancora spesso che si è andati da uno al quale si desidera d'arrivare, ancorché, chi ci è arrivato, non veda colui al quale è arrivato, dacché per mezzo d'un amico è arrivato presso quegli che ha interesse di vedere. Questa maniera di parlare è talmente passata in uso, che si dà volgarmente il nome di arrivisti a coloro che, coll'aiuto di raggiri ambiziosi, agiscono sull'animo di certi personaggi potenti per interposizione di quelli che hanno presso di essi più facile accesso.
Il centurione essendo dunque andato dal Signore per mezzo di altri, Matteo, per abbreviare, ben poté usare questa forma di parlare che può essere compresa da tutti: «Gli si presentò un centurione». Tuttavia non è da considerare con leggerezza la profondità del senso mistico di questa locuzione del santo Evangelista, secondo che sta scritto nel Salmo: «Avvicinatevi a lui, e sarete illuminati» (Ps. 33:6). Perciò avendo Gesù fatto della fede del centurione, per la quale ci avviciniamo veramente a lui, questo magnifico elogio: «Neppure in Israele ho trovato tanta fede» (Matth. 8:10), l'Evangelista non senza motivo ha voluto dire ch'egli (il centurione) per questa virtù s'era avvicinato a Cristo più di coloro che aveva incaricati della sua richiesta.”







https://forum.termometropolitico.it/562141-6-marzo-7-marzo-ss-perpetua-e-felicita.html
“Martirologio tradizionale (6 marzo): Le sante Perpetua e Felicita Martiri, che nel giorno seguente ricevettero dal Signore la gloriosa corona del martirio.
(7 marzo): A Cartagine il natale delle sante Perpetua e Felicita Martiri: di esse, Felicita, essendo gravida (come racconta sant'Agostino) e aspettandosi, secondo le leggi, che partorisse, nei dolori del parto si lamentava, ma gettata alle fiere era lieta. Con esse patirono il martirio anche Satiro, Saturnino, Revocato e Secondolo, l'ultimo dei quali morì in carcere, e tutti gli altri furono maltrattati da varie fiere, ed infine uccisi a colpi di spada sotto il Principe Severo. Ma la festa delle sante Perpetua e Felicita si celebra nel giorno precedente.”
http://santiebeati.it/immagini/Original/22950/22950A.JPG







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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda»
“ITE AD JOSEPH - San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria e Patrono della Chiesa Universale.”
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https://www.sursumcorda.cloud/settimanale/indici-sursum-corda.html

https://www.sursumcorda.cloud/sostienici/libri.html
“Appunti sulla questione del cosiddetto «papa eretico»”
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“Preghiera di San Pietro Canisio per conservare la vera fede”
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«7 MARZO 2019: SAN TOMMASO D'AQUINO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA»
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“7 marzo 2019: GIOVEDÌ DOPO LE CENERI.”

«Quaresima: i “misteri” numerici spiegati da Innocenzo III.
https://www.radiospada.org/2019/03/quaresima-i-misteri-numerici-spiegati-da-innocenzo-iii/
[…] Il secondo digiuno, quello che si durante l’astinenza quaresimale, per tre motivazioni si celebra una volta l’anno per quaranta giorni: in virtù di tre esempi, in forza del divino precetto e a motivo del mistero che racchiude il numero.
In virtù dell’esempio, digiuniamo quaranta giorni perché Cristo, Mosè ed Elia tanto digiunarono, prima della legge, sotto la legge, dopo la legge. Cioè all’inizio della legge, durante la legge, e alla fine della legge. Prima della legge digiunò Mosè, che per ricevere la legge salì sul monde e là rimase col Signore quaranta giorni, non mangiando pane, né bevendo acqua (Exod. XXXVI). Sotto la legge digiunò Elia, il quale sostentato da un solo pane camminò quaranta giorni per il deserto fino al monte di Dio, l’Oreb (III Reg. XIX). Dopo la legge digiunò Cristo, che subito dopo il battesimo fu portato dallo Spirito nel deserto e lì digiunò quaranta giorni e quaranta notti, dopo di che ebbe fame (Matth. IV). Per questo ai discepoli apparvero Mosè ed Elia a colloquio con Cristo durante la Trasfigurazione.
Il numero quaranta è infatti un numero santo nelle Scritture. Infatti per quaranta giorni e quaranta notti Dio durante diluvio fece piovere le acque dell’abisso (Gen. VII). Per quaranta giorni gli inviati di Mosè esplorarono la terra promessa ad Israele (Num. XIII). Per quarant’anni Israele fu nutrito nel deserto col pane degli Angeli (Exod. XVI). Per lo spazio di quaranta giorni, Giona profetizzò la distruzione di Ninive (Jon. III). Quaranta giorni rimase sulla terra Cristo dopo la resurrezione (Act. I). In questo tempo più che in un altro digiuniamo, perché come l’esempio imita l’esemplare, così il digiuno dei Cristiani segue il digiuno di Cristo. E come in questo tempo l’abbondanza degli umori rilassa le membra rispetto al male, così per l’astinenza dai cibi le membra siano sciolte per fare il bene. E come in questo tempo Adamo per aver mangiato il cibo proibito discese nella morte, così per l’astinenza dal cibo che pure è lecito, il Cristiano ascenda alla vita perché patiamo unitamente al Cristo paziente (II Tim. 1). Perché se vogliamo regnare con Cristo dobbiamo anche associarci ai suoi patimenti. Sebbene “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rom. VIII), mondati grazia all’astinenza, più puri che mai accostiamoci all’Eucaristia, che “chi mangia indegnamente, mangia e beve la sua propria condanna, non riconoscendo il Corpo del Signore” (I Cor. XI).
Per precetto invero digiuniamo quaranta giorni, perché Dio nella legge ha comandato che di ogni cosa venga devoluta la decima parte, precetto che pure si estende al tempo. È composto infatti l’anno solare 365 giorni e un quadrante; la decima di ciò è trentasei giorni e mezza, più un decimo di quadrante. Perché sia completato il numero di quaranta giorni, si aggiunge la decima della decima, che per precetto della legge i leviti minori rendevano al sommo sacerdote (Exod. XXII). Anche la Chiesa nel versare a Cristo, Pontefice dei beni futuri e Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech (Heb. V, Psal. CIX), la decima del tempo, prende dai trentacinque giorni tre giorni come decima della decima, e un mezzo per completare il numero di quaranta. E poiché non restava altro ancora da dare come decima, se non un giorno e un quadrante, e la decima parte del quadrante, allora spostò con la messa il digiuno fino alla notte nel Sabato Santo di Pasqua, conforme quanto si dice nella Colletta: “Dio, che in questa sacralissima notte, etc”.
Anche a motivo del mistero (del numero) digiuniamo quaranta giorni. Il numero quadragenario è infatti un numero sovrabbondante e dall’aggregazione delle sue parti si sale al numero quinquagenario. Queste sue parti aggregate sono sette: il vigenario, il denario, l’ottonario, il quinario, il quaternario, il binario, e l’unità; le quali aggregante danno il quinquagenario. Quest’ultimo significa la quieta e la remissione dei peccati, a motivo del giubileo dei cinquant’anni in cui si rimettevano i debiti e tutto era pacificato (Levit. XXV). Digiuniamo dunque quaranta giorni, volendo con ciò significare, che come con le parti aggregate del numero quaranta si ottiene il numero cinquanta, così il digiuno di quaranta giorni conduce alla quiete e al perdono eterni.
(Innocenzo III, Sermo XI. In die Cinerum seu in capite jejunii. PL 217, 362-363)
Testo raccolto da Giuliano Zoroddu
Leggi anche: Perché Gesù digiunò 40 giorni? Ce lo spiega sant’Agostino. »
https://www.radiospada.org/2019/03/perche-gesu-digiuno-40-giorni-ce-lo-spiega-santagostino/


“Il 7 marzo 1965 Paolo VI celebrava la prima messa in italiano.”
“«Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come una vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.»
(Dom Prosper Guéranger, "L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia" - Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n° 7-9, 1997, 13-23)”







Como ovejas sin Pastor (http://sicutoves.blogspot.com/)
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"Apoteosis de Santo Tomás de Aquino. F. de Zurbaran. XVII."
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"Santo Tomás de Aquino. Efigie. S. XVI"
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"Santo Tomás de Aquino predicando en presencia de Gregorio X.
Bartolomeo degli Erri. XV."
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"Santo Tomás entre San Marcos y San Luis de Toulouse.
Vittore Carpaccio. S. XVI."
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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
“Mieux vaut une petite œuvre dans la Vérité, qu’une grande dans l’erreur.”


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“7 mars : Saint Thomas d'Aquin, Docteur de l'Église (1226-1274)”
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"Discipline originelle du carême chrétien."
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Lodato sempre sia il Santissimo nome di Gesù, Giuseppe e Maria!!!
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!