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Visualizza Versione Completa : 11 ottobre (1° gennaio) - Maria Madre di Dio



Augustinus
01-01-04, 10:44
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=20100):

Maria Santissima Madre di Dio

1 gennaio - Solennità

Maria figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui (LG, 56). Nel Concilio di Efeso (431), dove venne affermata la natura umana e divina dell’unica persona del Verbo in Gesù Cristo, venne affermata anche la maternità divina di Maria.

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Martirologio Romano: Nell’ottava del Natale del Signore e nel giorno della sua Circoncisione, solennità della santa Madre di Dio, Maria: i Padri del Concilio di Efeso l’acclamarono Theotókos, perché da lei il Verbo prese la carne e il Figlio di Dio abitò in mezzo agli uomini, principe della pace, a cui fu dato il Nome che è al di sopra di ogni nome.

Martirologio tradizionale (11 ottobre): Festa della Maternità della beata Vergine Maria.

La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l'uso pagano delle "strenae" (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il "Natale Sanctae Mariae" cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori.
La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato "in octava Domini": in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch'essa alla festa che inaugurava l'anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 10 gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l'11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio.
Nestorio aveva osato dichiarare: "Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi "; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: "Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna". Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria.
E’ da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: " Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"" (Lc 11,27s).
In realtà, "Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56).

Autore: Piero Bargellini

http://img56.imageshack.us/img56/2759/theotokos077mjze7.jpg

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/mother1.jpg

Augustinus
01-01-04, 10:50
Alma Redemptóris Mater
quae pérvia coeli porta manes,
et stella maris,
succúrre cadénti,
súrgere qui curat, pópulo:
tu quæ genuísti, natura miránte,
tuum sanctum Genitórem,
Virgo prius ac postérius,
Gabriélis ab ore
Sumens illud Ave,
peccatórum miserére.

Traduzione:

O santa Madre del Redentore,
porta del cielo sempre aperta,
stella del mare,
soccorri un popolo decaduto,
che desidera risorgere,
tu, che nello stupore della natura,
generasti il tuo Genitore,
tu, vergine prima e dopo,
che dalla bocca di Gabriele
udisti quell'Ave,
abbi pietà dei peccatori.

http://www.maranatha.it/Festiv2/natale/0101-w2.jpg

Augustinus
01-01-04, 10:53
Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma; da te (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità (cfr. 1 Cor 15, 53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra è sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: Cristo per noi divenne lui stesso maledizione (cfr. Gal 3, 13). L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E' rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/1/22grandu.jpg Raffaello Sanzio, Madonna del Granduca, 1504, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze

http://www.wga.hu/art/m/murillo/3/305muril.jpg Bartolomé Esteban Murillo, Madonna con Bambino ed angeli musicanti, 1675, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.wga.hu/art/m/murillo/2/215muril.jpg Bartolomé Esteban Murillo, Madonna con Bambino, 1670 circa, Gemäldegalerie, Dresda

http://www.wga.hu/art/m/murillo/3/308muril.jpg Bartolomé Esteban Murillo, Madonna con Bambino distribuisce il pane ai pellegrini, 1678, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.ac-nancy-metz.fr/ia88/musee/601/19.jpg Jacques Stella (1596-1657), Vergine che contempla il Bambino che dorme, Nancy

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/cat.jpg Leonardo da Vinci, Madonna Litta, Hermitage, San Pietroburgo

Augustinus
01-01-04, 13:22
http://www.wga.hu/art/b/bellini/giovanni/1460-69/031madon.jpg Giovanni Bellini, Madonna con Bambino, 1460-64, Pinacoteca di Brera, Milano

http://www.wga.hu/art/d/durer/1/10/1madpear.jpg Albrecht Dürer, Madonna e Bambino con pera, 1526, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/l/lorenzet/ambrogio/1triptyc.jpg Ambrogio Lorenzetti, Madonna e Bambino con le Sante Maria Maddalena e Dorotea, 1325 circa, Pinacoteca Nazionale, Siena

Augustinus
01-01-04, 13:30
GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

mercoledì 27 novembre 1996

Il titolo di Maria Madre di Dio

1. La contemplazione del mistero della nascita del Salvatore ha condotto il popolo cristiano non solo a rivolgersi alla Vergine Santa come alla Madre di Gesù, ma anche a riconoscerla Madre di Dio. Tale verità fu approfondita e percepita come appartenente al patrimonio della fede della Chiesa già dai primi secoli dell'era cristiana, fino ad essere solennemente proclamata dal Concilio di Efeso nell'anno 431.
Nella prima comunità cristiana, mentre cresce tra i discepoli la consapevolezza che Gesù è il Figlio di Dio, risulta sempre più chiaro che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio. Si tratta di un titolo che non appare esplicitamente nei testi evangelici, sebbene in essi sia ricordata "la Madre di Gesù" e venga affermato che Egli è Dio (Gv 20,28; cf.5,18; 10,30.33). Maria viene comunque presentata come Madre dell'Emmanuele, che significa Dio con noi (cf. Mt 1,22-23).
Già nel III secolo, come si deduce da un'antica testimonianza scritta, i cristiani dell'Egitto si rivolgevano a Maria con questa preghiera: "Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta" (Dalla Liturgia delle Ore). In questa antica testimonianza, per la prima volta, l'espressione Theotokos, "Madre di Dio", appare in forma esplicita.
Nella mitologia pagana, succedeva spesso che qualche dea fosse presentata come madre di qualche dio. Zeus, ad esempio, dio supremo, aveva per madre la dea Rea. Tale contesto ha forse facilitato, da parte dei cristiani, l'uso del titolo "Theotokos", "Madre di Dio", per la madre di Gesù. Bisogna tuttavia notare che questo titolo non esisteva, ma fu creato dai cristiani per esprimere una fede che non aveva niente a che vedere con la mitologia pagana, la fede nel concepimento verginale, nel seno di Maria, di Colui che era da sempre il Verbo eterno di Dio.

2. Con il IV secolo, il termine Theotokos è ormai di uso frequente in Oriente e in Occidente. La pietà e la teologia fanno riferimento sempre più frequentemente a tale termine, ormai entrato nel patrimonio di fede della Chiesa.
Si comprende perciò il grande movimento di protesta, che si sollevò nel V secolo, quando Nestorio mise in dubbio la legittimità del titolo "Madre di Dio". Egli, infatti, essendo propenso a ritenere Maria soltanto madre dell'uomo Gesù, sosteneva che fosse dottrinalmente corretta solo l'espressione "Madre di Cristo". A tale errore Nestorio era indotto dalla sua difficoltà ad ammettere l'unità della persona di Cristo e dall'interpretazione erronea della distinzione fra le due nature - divina e umana -, presenti in Lui.
Il Concilio di Efeso, nell'anno 431, condannò le sue tesi e, affermando la sussistenza della natura divina e della natura umana nell'unica persona del Figlio, proclamò Maria Madre di Dio.

3. Le difficoltà e le obiezioni mosse da Nestorio ci offrono ora l'occasione per alcune riflessioni utili per comprendere e interpretare correttamente tale titolo. L'espressione Theotokos, che letteralmente significa "colei che ha generato Dio", a prima vista può risultare sorprendente; suscita, infatti, la domanda su come sia possibile che una creatura umana generi Dio. La risposta della fede della Chiesa è chiara: la divina maternità di Maria si riferisce solo alla generazione umana del Figlio di Dio e non invece alla sua generazione divina. Il Figlio di Dio è stato da sempre generato da Dio Padre e gli è consustanziale. In questa generazione eterna Maria non ha evidentemente nessun ruolo. Il Figlio di Dio, però, duemila anni fa, ha assunto la nostra natura umana ed è stato allora concepito e partorito da Maria.
Proclamando Maria "Madre di Dio" la Chiesa intende, quindi, affermare che Ella è la "Madre del Verbo incarnato, che è Dio". La sua maternità non riguarda, pertanto, tutta la Trinità, ma unicamente la seconda Persona, il Figlio che, incarnandosi, ha assunto da lei la natura umana.
La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera. Maria, dunque, avendo generato secondo la natura umana la persona di Gesù, che è persona divina, è Madre di Dio.

4. Proclamando Maria "Madre di Dio", la Chiesa professa con un'unica espressione la sua fede circa il Figlio e la Madre. Questa unione emerge già nel Concilio di Efeso; con la definizione della divina maternità di Maria i Padri intendevano evidenziare la loro fede nella divinità di Cristo. Nonostante le obiezioni, antiche e recenti, circa l'opportunità di riconoscere a Maria questo titolo, i cristiani di tutti i tempi, interpretando correttamente il significato di tale maternità, ne hanno fatto un'espressione privilegiata della loro fede nella divinità di Cristo e del loro amore per la Vergine.
Nella Theotokos la Chiesa, da una parte, ravvisa la garanzia della realtà dell'Incarnazione, perché - come afferma sant'Agostino -"se la Madre fosse fittizia, sarebbe fittizia anche la carne... fittizie le cicatrici della risurrezione" (Tract. in Ev. Ioannis, 8,6-7). E, dall'altra, essa contempla con stupore e celebra con venerazione l'immensa grandezza conferita a Maria da Colui che ha voluto essere suo figlio. L'espressione "Madre di Dio" indirizza al Verbo di Dio, che nell'Incarnazione ha assunto l'umiltà della condizione umana per elevare l'uomo alla figliolanza divina. Ma tale titolo, alla luce della sublime dignità conferita alla Vergine di Nazaret, proclama, pure, la nobiltà della donna e la sua altissima vocazione. Dio infatti tratta Maria come persona libera e responsabile e non realizza l'Incarnazione di suo Figlio se non dopo aver ottenuto il suo consenso.
Seguendo l'esempio degli antichi cristiani dell'Egitto, i fedeli si affidano a Colei che, essendo Madre di Dio, può ottenere dal divin Figlio le grazie della liberazione dai pericoli e dell'eterna salvezza.

http://img44.exs.cx/img44/7699/marychild1a.jpg

Augustinus
01-01-04, 13:43
CONCILIO DI EFESO

Dal 22 giugno al 31 luglio 431

Convocato dall'Imperatore Teodosio I.
Cinque sessioni. Presenti 120 vescovi.
Divina Maternità di Maria contro Nestorio.
6 canoni.

SECONDA LETTERA DI CIRILLO A NESTORIO

Cirillo saluta nel Signore il piissimo e sommamente amato da Dio Nestorio, suo collega.

Sono venuto a sapere che alcuni tentano con vane ciance di detrarre al mio buon nome presso la tua Riverenza - e ciò frequentemente - soprattutto in occasione di riunioni di persone assai in vista. Forse pensando addirittura di accarezzare le tue orecchie, essi spargono voci incontrollate. Sono persone che non ho offeso in nessun modo, li ho invece ripresi con le debite maniere: l'uno perché trattava ingiustamente ciechi e bisognosi; l'altro, perché aveva impugnato la spada centro la propria madre; un altro ancora, perché aveva rubato con la sua serva l'oro degli altri, ed aveva sempre avuto una fama, quale nessuno augurerebbe neppure al suo peggior nemico. Del resto, non intendo interessarmi troppo di costoro, perché non sembri che io estenda la misura della mia pochezza al di sopra del mio signore e maestro, e al di sopra dei padri: non è possibile, infatti, evitare le stoltezze dei malvagi, in qualsiasi modo si viva. Costoro, però, che hanno la bocca piena di maledizione e di amarezza (Cfr. Rm 3, 14), dovranno rendere conto al giudice di tutti. lo, invece, tornando a ciò che credo più importante, ti ammonisce anche ora, come fratello in Cristo, perché tu esponga la dottrina e il pensiero sulla fede al popolo con ogni cautela e prudenza perché tu rifletta che lo scandalizzare anche uno piccoli che credono in Cristo (Cfr. Mt 18, 6), suscita la insopportabile, indignazione (di Dio). Se poi coloro che sono stati fossero una moltitudine, non dobbiamo forse usa arte per evitare, con prudenza, gli scandali e presentare rettamente una sana esposizione della fede a chi cerca la verità? Ciò avverrà nel modo migliore se leggendo le opere dei santi padri, cercheremo di apprezzarle molto, ed esaminando noi stessi, se siamo nella vera fede conforme della Scrittura (Cfr. II Cor 13, 5), conformiamo perfettamente il nostro modo di vedere il loro pensiero retto e irreprensibile.

Dice, dunque, il santo e grande concilio (di Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo natura da Dio Padre, Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per mezzo del quale il Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si è fatto uomo, ha sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo. Dobbiamo attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo bene cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il Verbo, unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si fece uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo, non assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta non che questa unità annulli la differenza delle nature ma piuttosto la divinità e l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che risulta da esse; con la loro unione arcana ed i nell'unità. Così si può affermare che, pur sussistendo prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere); ma poiché per noi e per la nostra salvezza, ha assunto l'umana natura in unità di persona, ed è nato da una donna così si dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la nascita della propria carne.

Così, diciamo che egli ha sofferto ed è risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse, i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire, perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo che era divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti, che non poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale, incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto, per grazia di Dio, come dice Paolo (Cfr. Eb 2, 9), ha gustato la morte per ciascuno di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia provato la morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte. Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è risuscitato il suo corpo.

Allo stesso modo, confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo due Figli a sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se noi rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo) arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio (di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è unita la persona di un uomo ma che si fece carne (Cfr. Gv 1, 14). Ora che il Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue (Cfr. Eb 2, 14): fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era.

Questo afferma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne.

Scrivo queste cose anche ora spinto dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.

TERZA LETTERA DI CIRILLO DI ALESSANDRIA A NESTORIO

[...]
Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture (Cfr. Mt 3, 6). Apparso fanciullo, e in fasce, e ancor nel seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la creazione, essendo Dio, e sedeva alla destra del suo genitore; poiché la divinità non ha quantità, né grandezza, e non conosce limiti.

Noi confessiamo, quindi, che il Verbo di Dio si è unito personalmente alla carne umana, ma adoriamo un solo Figlio e Signore Gesù Cristo, non separando né dividendo l'uomo e Dio, come se fossero uniti l'uno all'altro dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti, sarebbe puro suono e niente altro), e neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo di Dio, e separatamente l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo un solo Cristo, e cioè il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora egli, come noi, è stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il beato Giovanni evangelista (Cfr. Gv 3, 34). Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi (Gv 1, 14) ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità (Col 2, 9), crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. Non vi è, dunque, che un solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice unione di un uomo, nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità infatti, non può unire le nature. Così Pietro e Giovanni sono uguali in dignità, come gli altri apostoli e discepoli; ma i due non erano uno. Infatti non concepiamo il modo dell’unione come una giustapposizione (ciò, del resto, non sarebbe neppure sufficiente ad una unità naturale), o come una unione per relazione, come quando noi, aderendo a Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito solo con lui (Cf. I Cor 6, 17); evitiamo piuttosto il termine stesso di "congiunzione" in quanto inadeguato ad esprimere il mistero dell'unità.

E non chiamiamo il Verbo di Dio Padre neppure "Dio" o "Signore" di Cristo, per non dividere di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e Figlio e Signore, cadendo nel di bestemmia, facendo di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti, sostanzialmente, alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso. Il solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha detto che suo padre era il suo Dio (Cfr. Gv 20, 17), pur essendo Dio per natura e della sostanza di Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso? Quindi, in quanto uomo, e in quanto si può accordare con la misura del suo annientamento, egli afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si assoggettò alla legge (Cfr. Gal 4, 4), pur avendo espresso egli la legge, ed essendo legislatore, in quanto Dio. Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se impossibile secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi, secondo le Scritture (Cfr. I Pt 4, 1), ed era nel corpo crocifisso, facendo sue, senza soffrire, le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò la morte (Eb 2, 9) per la salvezza di tutti; ed offri ad essa il proprio corpo, quantunque egli sia per natura la vita ed egli stesso la resurrezione (Cfr. Gv 11, 25).

Egli, sconfiggendo la morte con la sua ineffabile potenza, fu nella sua propria carne il primogenito tra i morti e la primizia di coloro che si erano addormentati (nel Signore) (Cfr Col 1, 18 e I Cor 15, 20), ed aprì all'umana natura la via del ritorno all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo accennato, egli gustò la morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo giorno, spogliò l'Ade. Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è avvenuta attraverso un uomo (Cfr. I Cor 15, 21), per uomo, però, intendiamo quello che era nello stesso tempo il Verbi di Dio, per mezzo del quale è stato distrutto l'impero della morte. Questi verrà, a suo tempo, come unico Figlio e Signore nella gloria del Padre, per giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le Scritture (Cfr At 17, 31).

E’ necessario aggiungere anche questo. Annunziando la, morte, secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio, cioè di Gesù Cristo, e la sua resurrezione dai morti, e confessando la sua assunzione al cielo, noi celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci avviciniamo così alle mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti, Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune carne (Dio ci guardi dal pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e unito al Verbo mediante un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé l'abitazione di Dio, ma una carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso. Essendo infatti, vita per natura in quanto Dio, poiché è divenuto una cosa sola con la propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice: In verità vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il sito sangue (Gv 6, 53), non dobbiamo comprendere che essa sia la carne di un qualunque uomo come noi (e come potrebbe essere vivificante la carne di un uomo, considerata secondo la propria natura?); ma, invece, come la carne di Colui che per noi si fece e si fece chiamare figlio dell'Uomo.

Quanto alle espressioni del nostro Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le attribuiamo a due diverse sussistenze o persone. Non è infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche se si debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due differenti realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo composto di anima e di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà composta di due elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine, sono state dette da un solo (Cristo). Quando egli, infatti, con linguaggio divino, afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo una sola cosa (Gv 14, 9 e 10, 30), noi pensiamo alla sua divina ed ineffabile natura, per cui egli è uno col Padre in forza dell'identità della sostanza, egli, immagine e figura e splendore della sua gloria (Cfr Eb 1, 3). Quando, invece, non reputando indegna la condizione umana, dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho detto la verità (Gv 8, 40) di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al Padre, il Dio Verbo anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti, dobbiamo credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo con anima razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue espressioni siano state dette in modo umano? Poiché, se egli avesse rifiutato le espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse a farsi uomo come noi? Colui che si è abbassato, per noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché mai dovrebbe poi rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le espressioni dei Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona, ossia all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore Gesù Cristo, secondo le Scritture (Cfr. I Cor 8, 6).

Se, infatti, viene chiamato apostolo e pontefice della nostra confessione (Eb 3) inquantoché ha offerto in sacrificio a Dio Padre la confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a Dio Padre, e anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il Figlio unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso da lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti è divenuto mediatore fra Dio e gli uomini (I Tm 2, 5) li ha riconciliati per la pace, offrendosi vittima di soavità a Dio padre (Cfr. Ef 5, 2). Perciò ha detto: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai dato un corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione del peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me che io debba fare, o Dio, la tua volontà (Eb 10, 5-7). Egli ha offerto in odore di soavità il proprio corpo per noi, non certo per se stesso. Di quale sacrificio ed offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti sono peccatori e sono privati della gloria di Dio (Rm 3, 23) inquantoché siamo inclinati ad ogni vento di peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per il peccato - per lui, però, non fu così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che egli si è offerto per sé e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun modo e non ha commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver bisogno, non essendovi alcun peccato, per cui avrebbe dovuto offrirla?

Quando poi afferma dello Spirito: Egli mi glorificherà (Gv 16, 14), rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di essere glorificato da lui come se un uomo, riferendosi alla forza che è in lui o alla sua scienza dicesse: "mi glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà per cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito di verità (Gv 16, 13), e Cristo è appunto la verità (Cfr. Gv 14, 6), e procede da lui come da Dio Padre. Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo glorificò; fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per mezzo del proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16, 14). E in nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e potente per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di nessun bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza del Padre, che è il Figlio (Cfr I Cor 1, 24), per questo è realmente sapienza e potenza.

E poiché la Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente alla carne, per questo noi diciamo che essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio (Gv 1, 1). Egli è il creatore dei secoli, coeterno al Padre e autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo già detto, avendo unito a sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che avesse bisogno necessariamente o per propria natura anche della nascita temporale, avvenuta in questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il principio stesso della nostra esistenza, e perché, avendo una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è unito l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda a morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai alla luce i figli nella sofferenza (Gen 3, 16), e realizzasse la parola del profeta: la morte è stata assorbita nella vittoria (I Cor 15, 54) e l'altra: Dio asciugò ogni lacrima da ogni volto (Is 25, 8). Per questo motivo diciamo che egli, da buon amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu invitato, con i santi apostoli, a Cana di Galilea (Cfr. Gv 2, 1-2).

Ci hanno insegnato a pensare così sia i santi apostoli ed evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente ispirata sia le veraci professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di tutti questi bisogna che concordi e si armonizzi anche tua pietà. Ciò che la tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa nostra lettera.

I dodici anatematismi

1. Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne (Gv 1, 14), sia anatema.

2. Se qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema.

3. Se qualcuno divide nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di potenza, e non, piuttosto con un'unione naturale, sia anatema.

4. Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema.

5. Se qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il verbo si fece carne (Gv 1, 14) e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue (Cfr. Eb 2, 14), sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) secondo le Scritture, sia anatema.

7. Se qualcuno afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di Dio, e che gli è stata attribuita la dignità di unigenito, come ad uno diverso da lui, sia anatema.

8. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14), sia anatema.

9. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema.

10. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione (Eb 3, 1), e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre (Cfr. Ef 5, 2). Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi noia conobbe peccato), sia anatema.

11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.

12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti (Cfr. Col 1, 18), inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.

SENTENZA PRONUNCIATA CONTRO NESTORIO A SUA CONDANNA

Il santo sinodo disse: oltre al resto, poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro invito né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo dovuto necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti, dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da testimoni, che egli pensa e predica empiamente, spinti dai canoni dalla lettera del nostro santissimo padre e collega nel ministero Celestino, vescovo della chiesa di Roma, siamo dovuti giungere, spesso con le lacrime agli occhi, a questa dolorosa condanna contro di lui.

Gesù Cristo stesso, nostro signore, da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo santissimo concilio che lo stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile e da qualsiasi collegio sacerdotale.

LETTERA SINODALE GENERALE

[...]

[I. Di quei metropoliti che parteggiano per Nestorio e Celestio]

Poiché è necessario che anche quelli che non hanno partecipato a questo santo sinodo e sono rimasti nella propria provincia, non debbano ignorare quanto è stato decretato, informiamo la santità tua che:

Se il metropolita di una provincia, staccandosi da questo santo e universale Concilio, avesse aderito a quel consesso di apostasia, o dopo ciò, aderisse ancora ad esso, o abbia condiviso le idee di Celestio, o le condividerà in futuro, questi non potrà prendere alcuna decisione contro i vescovi della sua provincia, né aver parte, in seguito, ad alcuna comunione ecclesiastica: già fin d'ora, infatti, è scacciato da questo sacro sinodo e privo di ogni autorità; al contrario, sarà soggetto ai vescovi della provincia e ai metropoliti delle province confinanti di retta ortodossia, e sarà privato del grado di vescovo.

[II. Dei vescovi che aderiscono a Nestorio].

Se qualcuno dei vescovi provinciali, allontanandosi da questo santo sinodo, ha abbracciato l'apostasia o tenta di abbracciarla; e, dopo aver sottoscritto la condanna di Nestorio, è poi ritornato al concilio della apostasia, questi, secondo quanto ha stabilito il santo Concilio, è da considerarsi del tutto estraneo al sacerdozio, e decaduto dal suo grado.

[III. Dei chierici che per la loro retta fede sono stati deposti da Nestorio]

Se vi fossero dei chierici in qualsiasi città, che siano stati sospesi dal loro ufficio da Nestorio o dai suoi partigiani per il loro retto sentire, è bene che anche questi riprendano il loro posto. In genere, poi, comandiamo che quei chierici che aderiscono a questo ecumenico e ortodosso Concilio, o che aderiranno ad esso, sia ora che in seguito, in qualsiasi tempo, non debbano essere assolutamente e in nessun modo e tempo soggetti ai vescovi che hanno abbandonato, o sono diventati avversi, o hanno trasgredito i sacri canoni e la retta fede.

[IV. Dei chierici che seguono le opinioni di Nestorio].

I chierici che allontanatisi (da questo santo sinodo) sia in pubblico che in privato; mostrino di avere le idee di Nestorio, anche questi sono deposti dal sacro sinodo.

[V. Dei chierici puniti e accolti da Nestorio].

Quanti, per azioni indegne siano stati condannati da questo santo Concilio, o dai propri vescovi, e contro ogni norma ecclesiastica siano restituiti nella comunione o nel grado da Nestorio o dai suoi seguaci, abbiamo stabilito non ne abbiano tuttavia alcun giovamento e rimangano deposti

[VI. Di chi volesse sconvolgere i decreti del Sinodo].

Ugualmente, se vi fosse chi volesse metter sotto sopra in qualsiasi modo, le singole decisioni del santo sinodo questo stabilisce che, se si tratta di vescovi o di chierici siano senz'altro privati del loro grado, se di laici, che siano privati della comunione.

DEFINIZIONE SULLA FEDE DI NICEA

Il concilio di Nicea espose questa fede: Crediamo...

[segue il simbolo niceno]

E’ bene, quindi, che tutti convengano in questa fede: è, infatti, piamente e sufficientemente utile a tutta la terra.

Ma poiché alcuni, pur simulando di confessarla e di convenirne, ne interpretano male il vero senso secondo il loro modo di vedere ed alterano la verità, figli dell'errore e della perdizione, è stato assolutamente necessario aggiungere le testimonianze dei santi ed ortodossi padri, adatte a dimostrare in qual modo essi compresero e predicarono con coraggio questa fede, perché sia anche chiaro che tutti quelli che hanno una fede retta ed irreprensibile la comprendono, l'interpretano e la predicano in questo modo.

[Segue un florilegio di passi degli scritti dei padri].

Letti questi documenti il santo sinodo stabilisce che non è lecito ad alcuno proporre, redigere o comporre una nuova fede diversa da quella che è stata definita dai santi padri raccolti a Nicea con lo Spirito Santo. Quelli che osassero comporre una diversa fede o presentarla o proporla a chi vuole convertirsi alla conoscenza della verità o dall'Ellenismo o dal Giudaismo, o da qualsiasi eresia, se sono vescovi o chierici siano considerati decaduti, i vescovi dall'episcopato, i chierici dalla loro dignità ecclesiastica; se poi costoro fossero laici, siano anatema. Similmente se fossero scoperti dei vescovi, dei chierici o dei laici, che ritengano o insegnino le dottrine contenute nella esposizione già presentata del presbitero Carisio circa l'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, o anche le empie e perverse dottrine di Nestorio, che ci sono state sottoposte, siano colpiti dai decreti di questo santo Concilio ecumenico, essendo chiaro che chi è vescovo sarà eliminato dall'episcopato e deposto, chi è chierico sarà ugualmente decaduto da chierico; se poi si tratta di un laico, sia condannato, conforme a quanto è stato detto.

DEFINIZIONE CONTRO GLI EMPI MESSALIANI O EUCHITI

Radunatisi presso di noi i piissimi e religiosissimi vescovi Valeriano e Anfilochio, fu proposto alla comune discussione il caso di quelli che in Panfilia sono chiamati Messaliani, ossia Euchiti o entusiasti, o in qualsiasi modo debba chiamarsi questa setta, la più empia di quante se ne possano ricordare. Mentre, dunque, si discuteva, il piissirno e religiosissimo vescovo Valeriano ci mostra un voto sinodale, scritto sul conto di questi stessi nella grande Costantinopoli, sotto Sisinnio, di beata memoria. Letta dinanzi a tutti, sembrò fatta bene e secondo la retta dottrina. E piacque a tutti noi, compresi i santi vescovi Valeriano e Anfilochio e tutti i piissimi vescovi delle diocesi della Panfilia e della Licaonia, che tutto ciò che era esposto nello scritto sinodale dovesse aver forza di legge e che in nessun modo dovesse esser trasgredito, e che fosse valido anche quanto era stato fatto in Alessandria e, cioè, che tutti quelli che per tutta la diocesi appartenessero alla setta dei Messaliani o degli entusiasti, o fossero sospetti di essere infetti di questa malattia, sia chierici che laici vengano istruiti con prudenza. Se abiureranno per iscritto i loro errori, secondo quanto viene esposto nello scritto sinodale già ricordato, i chierici rimangano chierici, i laici siano ammessi nella comunione della chiesa. Se rifiutassero ciò e non volessero abiurare, allora i sacerdoti, i diaconi, e quelli che hanno un qualsiasi grado nella chiesa, siano considerati decaduti dal clero, dal grado e dalla comunione ecclesiastica; i laici siano anatematizzati. Non sia permesso a coloro che sono stati convinti di errore, di continuare ad avere i monasteri, perché la zizzania non si estenda e non si rafforzi. Perché queste disposizioni vengano eseguite con energia usino la loro diligenza sia gli stessi santi vescovi Valeriano e Anfilochio, che i reverendissimi vescovi di tutta la provincia. E’ sembrato bene, inoltre, anatematizzare il libro di quella infame eresia, che essi chiamano Ascetico, portato dal pio e santo vescovo Valeriano, perché composto dagli eretici; e se presso qualcuno si trovasse qualche altra raccolta delle loro empie dottrine, anche questa venga anatematizzata.

CHE I VESCOVI DI CIPRO PROVVEDANO ALLE LORO CONSACRAZIONI

Il santo vescovo Regino e i reverendissimi vescovi della provincia di Cipro che sono con lui, Zenone ed Evagrio, hanno fatto presente un fatto nuovo contrario alle costituzioni ecclesiastiche e ai canoni dei santi padri che coinvolge la libertà di tutti. A mali comuni si richiedono più efficaci rimedi, onde evitare maggiori danni. Se non è uso antico che il vescovo di Antiochia faccia in Cipro le consacrazioni come hanno dimostrato con i loro opuscoli e con la propria voce i religiosissimi uomini che si sono presentati a questo santo sinodo, coloro che sono preposti alle sante chiese di Cipro avranno tranquillità e sicurezza, secondo i canoni dei santi e venerandi padri, facendo le consacrazioni dei reverendissimi vescovi da se stessi, secondo l'antica consuetudine. Queste stesse norme verranno osservate anche per le altre diocesi e ovunque, per ogni provincia; cosicché nessuno dei venerabili vescovi possa appropriarsi di una provincia che un tempo non fosse sotto la sua autorità o di coloro che governarono prima di lui. In caso, poi, che uno se ne sia impadronito e l'abbia ridotta sotto la sua giurisdizione con la violenza, deve senz'altro restituirla, perché non siano trasgrediti i canoni dei padri e, sotto l'apparenza del servizio di Dio non si introduca a poco a poco e di nascosto la vanità della umana potenza, né avvenga che senza accorgerci, a poco a poco perdiamo la libertà, che ci ha donato col suo sangue il Signore nostro Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli uomini. E’ sembrato bene dunque a questo sinodo santo e universale, di conservare a ciascuna provincia puri e intatti i propri diritti, che ciascuna ha avuti fin dal principio, secondo la consuetudine antica, e che il metropolita abbia facoltà di addurre la documentazione necessaria per la sicurezza della sua provincia. Che se qualcuno adducesse documenti in contrasto con quanto è stato ora stabilito, questo santo e universale sinodo dichiara nullo tutto ciò!

FORMULA DI UNIONE

Per quanto poi riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione, non con l'intenzione di fare un'aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall'inizio l'abbiamo appresa dalle sacre scritture e dai santi padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea.

Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell'uomo.

Noi quindi confessiamo che il nostro signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l'umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, essendo avvenuta l'unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.

Conforme a questo concetto di unione in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa.

Quanto alle affermazioni evangeliche ed apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo che i teologi alcune le hanno considerate comuni, e cioè relative alla stessa, unica persona, altre le hanno distinte come appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio le hanno riferite alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità.

Augustinus
01-01-04, 15:09
GIOVANNI PAOLO II

DISCORSO RADIOFONICO PER IL
1600° ANNIVERSARIO DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
E DEL 1550° ANNIVERSARIO DEL CONCILIO DI EFESO

Domenica 7 giugno 1981

I. Atto di venerazione

1. “Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem”.

Queste parole, con le quali la Chiesa professa la sua fede, ci hanno fatto riunire, nel mattino dell’odierna Pentecoste, nella Basilica di san Pietro. Infatti quest’anno si compiono milleseicento anni dal primo Concilio Costantinopolitano, che proprio con queste parole ha espresso la fede nella divinità dello Spirito Santo: “Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur”.

Le stesse parole ci fanno venire, in queste ore serali della Pentecoste, alla Basilica di santa Maria Maggiore. Se infatti, venerabili fratelli nell’Episcopato, dobbiamo rendere un pieno omaggio di adorazione allo Spirito Santo che “dà la vita” (credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem!) allora dobbiamo venerarlo soprattutto in Gesù Cristo: in quel Gesù che fu concepito dallo Spirito Santo, e nacque da Maria Vergine. Egli infatti, Egli solo, Egli unico, è il frutto più splendido dell’opera dello Spirito Santo in tutta la storia della creazione e della redenzione. Egli è la pienezza più perfetta di questa vita che lo Spirito Santo dà: Dio da Dio, Luce da Luce, generato – come Figlio dalla stessa sostanza del Padre – e non creato, che per noi uomini e per la nostra salvezza si è incarnato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.

2. Per venerare quindi lo Spirito Santo nella ricorrenza di quest’anno giubilare, che richiede da noi tutti una particolare devozione verso di Lui, veniamo ora nella sera di Pentecoste, a questa Basilica Mariana di Roma, nel tempio che da tanti secoli esalta proprio qui quel culmine e quella pienezza dell’opera dello Spirito Santo nell’uomo.

Ci induce a questo nuovo incontro anche la circostanza che nell’Anno del Signore 1981, in cui si compiono i sedici secoli dal primo Concilio Costantinopolitano, ricorrono anche 1550 anni dal successivo Concilio in Efeso, che nella viva tradizione della Chiesa si è iscritto come il Concilio cristologico e mariologico insieme. L’opera più splendida realizzata dallo Spirito Santo mediante l’incarnazione, cioè il divenire uomo del Verbo Eterno, del Dio Figlio, si è compiuta col consapevole assenso e con l’umile “fiat” di Colei che, diventando la Madre di Dio, ha detto di se stessa: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1,38).

Così dunque l’opera dello Spirito Santo, l’opera più perfetta nella storia della creazione e della salvezza, è contemporaneamente costituita dal fatto che il Figlio di Dio, della stessa sostanza dell’Eterno Padre, si è fatto uomo – e che Maria di Nazaret, la serva del Signore della stirpe di Davide, è diventata la vera Madre di Dio: Theotokos. Questa verità i Padri del Concilio di Efeso hanno professato, e tutto il popolo cristiano ha accolto tale proclamazione con grandissima gioia.
3. Veniamo quindi, venerabili fratelli, e insieme voi tutti, amati figli e figlie, a questa Basilica Mariana di Roma per annunziare – approfittando dei due importanti anniversari che convergono – i “magnalia Dei”: le grandi opere di Dio, che illuminano la via della Chiesa attraverso i secoli ed i millenni. In questo tempo, in cui ci avviciniamo al termine del secondo millennio dalla venuta di Gesù Cristo, desideriamo con rinnovato slanciò di fede rivedere queste vie che lo hanno introdotto nel mondo e l’hanno congiunto con la storia della grande famiglia umana per tutti i tempi. Queste vie sono passate attraverso l’inscrutabile azione dello Spirito Santo – Colui che è Signore e dà la vita – e nello stesso tempo attraverso il cuore umile della serva del Signore, Maria di Nazaret.

“Benedictus Dominus Deus Israel, quia visitavit et fecit redemptionem plebis suae”! (Lc 1,68).
“Magnificat anima mea Dominum... quia fecit mihi magna qui potens est”! (Lc 1,46-49).

II. Atto di ringraziamento

4. Quando, questa mattina ci siamo riuniti nella Basilica di san Pietro in Vaticano, quello splendido tempio ci è sembrato che fosse il povero Cenacolo gerosolimitano, nel quale Cristo si presentò dopo la sua Risurrezione, e, dopo aver salutato gli Apostoli con l’augurio di pace, alitò su di essi dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). Mediante queste parole essi ricevettero il Dono, che Egli aveva ottenuto loro mediante la sua passione, e contemporaneamente furono affidati allo Spirito Santo sulla strada della missione, che Cristo aveva aperto dinanzi a loro: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (cf. Gv 20,21). Tutta la Chiesa fu allora affidata allo Spirito Santo per tutti i tempi.

Nelle parole pronunciate la sera del giorno della Risurrezione ebbe già inizio la Pentecoste delle festività gerosolimitane. Noi che siamo riuniti nella festa di Pentecoste dell’Anno del Signore 1981, desideriamo ricevere di nuovo lo stesso Dono, perseverando come successori degli Apostoli del Cenacolo nella fervida dedizione allo Spirito Santo, al quale Cristo già allora ha affidato la Chiesa in modo irreversibile, fino alla fine del mondo.

5. E qui, in questa Basilica Mariana di Roma, sentiamo in modo ancor nuovo la somiglianza con gli Apostoli che, riuniti nel Cenacolo, perseveravano in preghiera con Maria, Madre di Cristo. Siamo venuti qui perché, ricordando in modo particolare la presenza di Maria alla nascita della Chiesa, fissiamo lo sguardo nella sua mirabile Maternità, che è per noi speranza e ispirazione sulle vie della missione ereditata dagli Apostoli – ereditata dopo il giorno della Pentecoste gerosolimitana.

6. Oh quanto è bello essere qui!

Quanto è bello che il Concilio Vaticano II, annunciando nel nostro secolo i “magnalia Dei”, ci abbia manifestato il posto particolare di Maria nel mistero di Cristo e insieme della Chiesa; e ci abbia indicato questo posto, seguendo fedelmente l’insegnamento degli antichi Concili e la luce ereditata dai grandi Padri della Chiesa e Maestri della fede.

“La Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo... Orbene, la Chiesa, la quale contempla l’arcana santità di Lei e ne imita la carità... diventa essa pure madre: poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio... Onde anche nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a Colei, che generò Cristo concepito appunto dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine per nascere e crescere anche nel cuore dei fedeli per mezzo della Chiesa” (Lumen Gentium, 63-65).

7. Ringraziamo lo Spirito Santo per il giorno della Pentecoste! Ringraziamolo per la nascita della Chiesa! Ringraziamolo perché a questa nascita fu presente la Madre di Cristo, che perseverava nella preghiera con la Comunità primitiva!

Ringraziamo per la Maternità di Maria che si è comunicata e continua a comunicarsi alla Chiesa! Ringraziamo per la Madre sempre presente nel cenacolo della Pentecoste! Ringraziamo perché possiamo chiamarla anche Madre della Chiesa!

III. Atto di affidamento

8. O Tu, che più di ogni altro essere umano sei stata affidata allo Spirito Santo, aiuta la Chiesa del tuo Figlio a perseverare nello stesso affidamento, perché possa riversare su tutti gli uomini gli ineffabili beni della Redenzione e della Santificazione, per la liberazione dell’intera creazione (cf. Rm 8,21).

O Tu, che sei stata con la Chiesa agli inizi della sua missione, intercedi per essa affinché, andando in tutto il mondo, ammaestri continuamente tutte le nazioni ed annunzi il Vangelo ad ogni creatura. La parola della Verità Divina e lo Spirito dell’Amore trovino accesso nei cuori degli uomini, i quali senza questa Verità e senza questo Amore non possono davvero vivere la pienezza della vita.

O Tu, che nel modo più pieno hai conosciuto la forza dello Spirito Santo, quanto ti è stato concesso di concepire nel Tuo seno verginale e di dare alla luce il Verbo Eterno, ottieni alla Chiesa che possa continuamente far rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo i figli e le figlie di tutta la famiglia umana, senza alcuna distinzione di lingua, di razza, di cultura, dando loro in tal modo il “potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

O Tu, che sei così profondamente e maternamente legata alla Chiesa, precedendo sulle vie della fede, della speranza e della carità tutto il Popolo di Dio, abbraccia tutti gli uomini che sono in cammino, pellegrini attraverso la vita temporale verso gli eterni destini, con quell’amore che lo stesso Redentore divino, tuo Figlio, ha riversato nel tuo cuore dall’alto della croce. Sii la Madre di tutte le nostre vie terrene, perfino quando esse diventino tortuose, affinché tutti ci ritroviamo alla fine, in quella grande Comunità che il tuo Figlio ha chiamato ovile, offrendo per essa la sua vita come Buon Pastore.

O Tu, che sei la prima Serva dell’unità del Corpo di Cristo, aiutaci, aiuta tutti i fedeli che risentono così dolorosamente il dramma delle divisioni storiche del Cristianesimo, a ricercare con costanza la via dell’unità perfetta del Corpo di Cristo mediante la fedeltà incondizionata allo Spirito di Verità e di Amore, che è stato a loro dato a prezzo della Croce e della Morte del tuo Figlio.

O Tu, che sempre hai desiderato di servire! Tu che servi come Madre tutta la famiglia dei figli di Dio, ottieni alla Chiesa che, arricchita dallo Spirito Santo con la pienezza dei doni gerarchici e carismatici, prosegua con costanza verso il futuro per la via di quel rinnovamento che proviene da ciò che dice lo Spirito Santo e che ha trovato espressione nell’insegnamento del Vaticano II, assumendo in tale opera di rinnovamento tutto ciò che è vero e buono, senza lasciarsi ingannare né in una direzione né nell’altra, ma discernendo assiduamente tra i segni dei tempi ciò che serve all’avvento del Regno di Dio.

O Madre degli uomini e dei popoli, tu conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre che scuotono il mondo – accogli il nostro grido rivolto nello Spirito Santo direttamente al tuo cuore ed abbraccia con l’amore della Madre e della Serva del Signore coloro che questo abbracciò più aspettano, e insieme coloro il cui affidamento tu pure attendi in modo particolare. Prendi sotto la tua protezione materna l’intera famiglia umana che, con affettuoso trasporto a te, o Madre, noi affidiamo.

S’avvicini per tutti il tempo della pace e della libertà, il tempo della verità, della giustizia e della speranza.

O tu, che mediante il mistero della tua particolare santità, libera da ogni macchia sin dal momento del tuo Concepimento, risenti in modo particolarmente profondo che “tutta la creazione geme e soffre... nelle doglie del parto” (Rm 8,22) mentre, “Sottomessa alla caducità”, “nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 6,20-21), contribuisci, senza sosta, alla “rivelazione dei figli di Dio”, che “la creazione stessa attende con impazienza” (Rm 8,19), per entrare nella libertà della loro gloria (cf. Rm 8,21).

O Madre di Gesù, glorificata ormai in cielo nel corpo e nell’anima quale immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura – qui sulla terra, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cf. 2Pt 3,10) non cessare di brillare innanzi al Popolo pellegrinante di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione (cf. Lumen Gentium, 68).

Spirito Santo Dio! che con il Padre e il Figlio sei adorato e glorificato! Accetta queste parole di umile affidamento indirizzate a te nel cuore di Maria di Nazaret, tua Sposa e Madre del Redentore, che anche la Chiesa chiama sua Madre, perché sin dal cenacolo della Pentecoste da Lei apprende la propria vocazione materna! Accetta queste parole della Chiesa pellegrinante, pronunciate tra le fatiche e le gioie, tra le paure e le speranze, parole di affidamento umile e fiducioso, parole con cui la Chiesa affidata a te, Spirito del Padre e del Figlio, nel Cenacolo della Pentecoste per sempre, non cessa di ripetere insieme con te al suo Sposo divino: Vieni!

“Lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù “Vieni”” (cf. Ap 22,17). “Così la Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 4).

Così noi oggi ripetiamo: “Vieni”, confidando nella tua materna intercessione, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

Augustinus
01-01-04, 15:11
GIOVANNI PAOLO II

LETTERA APOSTOLICA

A CONCILIO CONSTANTINOPOLITANO I

PER IL 1600° ANNIVERSARIO
DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
E PER IL 1550° ANNIVERSARIO
DEL CONCILIO DI EFESO

Carissimi Fratelli nell'Episcopato,

I.

1. Mi spinge a scrivervi questa lettera, che è insieme una riflessione teologica e un invito pastorale, nato dal profondo del cuore, anzitutto la ricorrenza del XVI centenario del primo Concilio di Costantinopoli, celebrato appunto nel 381. Esso, come ho sottolineato fin dall'alba del nuovo anno nella Basilica di San Pietro, «dopo il Concilio di Nicea fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa... al quale dobbiamo il "Credo" che è recitato costantemente nella liturgia. Un'eredità particolare di quel Concilio è la dottrina sullo Spirito Santo così proclamata nella liturgia latina: «"Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas"» («L'Osservatore Romano», 2-3 gennaio 1981).

Queste parole ripetute nel «Credo» da tante generazioni cristiane avranno perciò quest'anno per noi un particolare significato dottrinale e affettivo, e ci ricorderanno i vincoli profondi che legano la Chiesa del nostro tempo - nella prospettiva ormai dell'avvento del terzo millennio della sua vita prodigiosamente ricca e provata, continuamente partecipe della Croce e della Risurrezione del Cristo, nella virtù dello Spirito Santo - a quella del quarto secolo, nell'unica continuità delle sue prime origini, e nella fedeltà all'insegnamento del Vangelo e alla predicazione apostolica.

Basta quanto enunciato per comprendere come l'insegnamento del Concilio Costantinopolitano I sia tuttora l'espressione dell'unica fede comune della Chiesa e di tutto il cristianesimo. Confessando questa fede - come facciamo ogni volta che recitiamo il «Credo» - e ravvivandola nella prossima commemorazione centenaria, noi vogliamo mettere in rilievo ciò che ci unisce con tutti i nostri fratelli, nonostante le divisioni avvenute nei secoli. Facendo questo a 1600 anni dal Concilio Costantinopolitano I, noi ringraziamo Dio per la Verità del Signore, che, grazie all'insegnamento di quel Concilio, illumina le vie della nostra fede, e le vie della vita in virtù della fede. In questa ricorrenza si tratta non soltanto di ricordare una formula di fede, che è in vigore da sedici secoli nella Chiesa, ma al tempo stesso di rendere sempre più presente al nostro spirito, nella riflessione, nella preghiera, nel contributo della spiritualità e della teologia, quella forza personale divina che da la vita, quel Dono ipostatico - «Dominum et Vivifcantem» - quella Terza Persona della Santissima Trinità che in questa fede viene partecipata dalle singole anime e dalla Chiesa tutta. Lo Spirito Santo continua a vivificare la Chiesa, e a spingerla sulle vie della santità e dell'amore. Come bene sottolinea Sant'Ambrogio, nell'opera «De Spiritu Sancto», «sebbene Egli sia inaccessibile per natura, tuttavia può essere ricevuto da noi grazie alla sua bontà; riempie tutto con la sua virtù, ma di lui partecipano soltanto i giusti; è semplice nella sua sostanza, ricco di virtù, presente in tutti, divide ciò che è suo per donarlo a ognuno ed è tutto intero in ogni luogo» (Sant'Ambrogio «De Spiritu Sancto», I, V, 72; ed. O. Faller, CSEL 79, Vindobonae 1964, p. 45).

2. Il ricordo del Concilio di Costantinopoli, che fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa, rende consapevoli noi, uomini del cristianesimo del secondo millennio che sta per finire, di quanto fosse vivo, nei primi secoli del primo millennio, in mezzo alla crescente comunità dei credenti, il bisogno di intendere e di proclamare giustamente, nella confessione della Chiesa, l'inscrutabile mistero di Dio nella sua trascendenza assoluta: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo, ed altri contenuti chiave della verità e della vita cristiana, hanno prima di tutto attirato su di sé l'attenzione dei fedeli; pure intorno a tali contenuti sono nate numerose interpretazioni, anche divergenti, le quali esigevano la voce della Chiesa, la sua solenne testimonianza in virtù della promessa fatta da Cristo nel cenacolo: «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, ...vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26); Egli, lo Spirito di verità, «vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13).

Così, nel corrente anno 1981, dobbiamo in modo speciale ringraziare lo Spirito Santo perché in mezzo alle molteplici oscillazioni del pensiero umano, ha permesso alla Chiesa di esprimere la propria fede, pur nelle peculiarità espressive dell'epoca, in piena coerenza con la «verità tutta intera».

«Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti», così suonano le parole del simbolo di fede del primo Concilio di Costantinopoli nel 381 (Così citato per la prima volta negli Atti del Concilio Calcedonense, act. II: ed. E. Schwarts, «Acta Conciliorum Oecumenicorum, II Concilium universale Chalcedonense», Berolini et Lipsiae 1927-32, 1, 2, p. 80; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, p. 24), che ha illustrato il mistero dello Spirito Santo, della sua origine dal Padre, affermando così l'unità e l'uguaglianza nella divinità di questo Spirito Santo con il Padre e con il Figlio.

II.

3. Ricordando il XVI centenario del Concilio Costantinopolitano I non posso peraltro passare sotto silenzio un'altra significativa circostanza, che riguarda il 1981: quest'anno, infatti, ricorre anche il 1550° anniversario del Concilio di Efeso, celebrato nel 431. E' un ricordo che si pone come all'ombra del precedente Concilio, ma che riveste anch'esso una importanza particolare per la nostra fede, ed è sommamente degno di essere ricordato.

Nello stesso simbolo noi recitiamo infatti, nel cuore della comunità liturgica che si prepara a rivivere i Divini Misteri: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est: e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo». Il Concilio Efesino ebbe pertanto un valore soprattutto cristologico, definendo le due nature in Gesù Cristo, quella divina e quella umana, per precisare la dottrina autentica della Chiesa già espressa dal Concilio di Nicea nel 325, ma che era stata messa in pericolo dalla diffusione di differenti interpretazioni della verità già chiarita in quel Concilio, e specialmente di alcune formule usate nell'insegnamento nestoriano. In stretta connessione con queste affermazioni, il Concilio di Efeso ebbe inoltre un significato soteriologico, ponendo in luce che - secondo il noto assioma - «ciò che non è assunto non è salvato». Ma altrettanto strettamente congiunto col valore di quelle definizioni dogmatiche, era altresì la verità concernente la Vergine Santa, chiamata all'unica e irripetibile dignità di Madre di Dio, di «Theotokos», come è messo in solare evidenza principalmente dalle lettere di san Cirillo a Nestorio («Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, Concilium universale Ephesinum»: ed E. Schwartz, I, 1, pp 25-28; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 40-44; 50-61) e dalla splendida «Formula unionis» del 433 («Acta Conciliorum Oecumenicorum», I, I, 4, pp 8s (A); cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 69s ). E' stato tutto un inno innalzato da quegli antichi padri alla incarnazione del Figlio Unigenito di Dio, nella piena verità delle due nature nell'Unica persona: è stato un inno all'opera della salvezza, realizzata nel mondo per opera dello Spirito Santo: e tutto ciò non poteva non ridondare ad onore della Madre di Dio, prima cooperatrice della potenza dell'Altissimo, che l'ha adombrata nel momento dell'Annunciazione nel luminoso sopravvenire dello Spirito (cfr. Lc 1,35). E così compresero le nostre sorelle e i nostri fratelli di Efeso, che la sera del 22 giugno, giorno inaugurale del Concilio, celebrato nella Cattedrale della «Madre di Dio», acclamarono con quel titolo la Vergine Maria e portarono in trionfo i Padri al termine di quella prima sessione.

Mi sembra pertanto molto opportuno che anche quell'antico Concilio, il terzo della storia della Chiesa, sia da noi ricordato nel suo ricco contesto teologico ed ecclesiale. La Vergine santissima è Colei che, all'ombra della potenza della Trinità, è stata la creatura più strettamente associata all'opera della salvezza. L'incarnazione del Verbo è avvenuta sotto il suo cuore, per opera dello Spirito Santo. In Lei si è accesa l'aurora della nuova umanità che con Cristo si presentava nel mondo per portare a compimento il piano originario dell'alleanza con Dio, infranta dalla disobbedienza del primo uomo. «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine».

4. I due anniversari, sia pure a diverso titolo e con diversa rilevanza storica, ridondano ad onore dello Spirito Santo. Tutto ciò si è compiuto per opera dello Spirito Santo. Si vede quanto profondamente queste due grandi commemorazioni, a cui è doveroso fare riferimento nell'anno del Signore 1981, siano unite tra loro nell'insegnamento e nella professione della fede della Chiesa, della fede di tutti i cristiani. Fede nella Santissima Trinità: fede nel Padre, da cui provengono tutti i doni (cfr. Gc 1,17). Fede nel Cristo Redentore dell'uomo. Fede nello Spirito Santo. E, in questa luce, venerazione alla Madonna, che «acconsentendo alla parola divina diventò Madre di Gesù, e, abbracciando con tutto l'animo e senza impedimento alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo» e perciò «non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma... cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza» («Lumen Gentium», 56). Ed è tanto bello che, come Maria aspettò con questa fede la venuta del Signore, così, anche in questa fine de secondo millennio, essa sia presente a illuminare la nostra fede, in tale prospettiva di «avvento».

Tutto ciò è per noi fonte di immensa gioia, fonte di gratitudine per la luce di questa fede, mediante la quale partecipiamo agli inscrutabili misteri divini, facendone il contenuto vitale delle nostre anime, dilatando in esse gli orizzonti della nostra dignità spirituale e dei nostri destini umani. E perciò, anche questi grandi anniversari non possono rimanere per noi solamente un ricordo del lontano passato. Devono rivivere nella fede della Chiesa, devono risuonare con un'eco nuova nella sua spiritualità, devono anzi trovare la manifestazione esterna della loro sempre viva attualità per l'intera comunità dei credenti.

5. Scrivo queste cose prima di tutto a voi, miei amati e venerati fratelli nel servizio episcopale. Mi rivolgo, al tempo stesso, ai fratelli sacerdoti, i più stretti collaboratori nella vostra sollecitudine pastorale «in virtute Spiritus Sancti». Mi rivolgo ai fratelli e sorelle di tutte le famiglie religiose maschili e femminili, in mezzo alle quali dovrebbe essere particolarmente viva la testimonianza dello Spirito di Cristo ed altresì particolarmente cara la missione di Colei che ha voluto essere l'Ancella del Signore (cfr. Lc 1,38). Mi rivolgo infine a tutti i fratelli e sorelle del laicato della Chiesa, i quali, professandone la fede, insieme a tutti gli altri membri della comunità ecclesiale, tante volte e da tante generazioni rendono sempre vivo il ricordo dei grandi Concili. Sono convinto che essi accetteranno con gratitudine la rievocazione di queste date e di questi anniversari, specialmente quando insieme ci renderemo conto di quanto «attuali» siano, al tempo stesso, i misteri, ai quali i due Concili hanno dato una autorevole espressione già nella prima metà del primo millennio della storia della Chiesa.

Oso infine nutrire la speranza, che la commemorazione dei Concili di Costantinopoli e di Efeso, i quali sono stati l'espressione di fede insegnata e professata dalla Chiesa indivisa, ci faccia crescere nella reciproca comprensione con i nostri amati fratelli nell'Oriente e nell'Occidente, con i quali ancora non ci unisce la piena comunione ecclesiale, ma insieme ai quali cerchiamo nella preghiera, con umiltà e con fiducia, le vie all'unità nella verità. Che cosa, infatti, può meglio affrettare il cammino verso questa unità, quanto il ricordo e, insieme, la vivificazione di ciò che per tanti secoli è stato ill contenuto della fede professata in comune, anzi di ciò che non ha cessato di essere tale, anche dopo le dolorose divisioni che si sono verificate nel corso dei secoli?

III.

6. E' pertanto mia intenzione che questi avvenimenti siano vissuti nel loro profondo contesto ecclesiologico. Non dobbiamo infatti soltanto ricordare questi grandi anniversari come fatti del passato - ma rianimarli anche con la nostra contemporaneità, e collegarli in profondità con la vita e i compiti della Chiesa della nostra epoca, così come essi sono stati espressi nell'intero messaggio del Concilio della nostra epoca: Il Vaticano II. Quanto profondamente vivono in tale magistero le verità definite in quei Concili e quanto esse hanno pervaso il contenuto dell'insegnamento sulla Chiesa, che è centrale nel Vaticano II! Quanto sono sostanziali e costitutive per quest'insegnamento e, ugualmente, quanto intensamente queste fondamentali e centrali verità del nostro «Credo» vivono, per così dire una vita nuova e brillano con una luce nuova nell'insieme dell'insegnamento del Vaticano II!

Se il principale compito della nostra generazione, e può darsi anche delle generazioni future nella Chiesa, sarà di realizzare e di introdurre nella vita l'insegnamento e gli orientamenti di questo grande Concilio, quest'anno gli anniversari dei Concili Costantinopolitano I ed Efesino offrono l'opportunità di adempiere questo compito nel vivo contesto della verità che, attraverso i secoli, dura in eterno.

7. «Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e perché i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Gv 4,14; 7,38-39); per Lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Cor 3,16; 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel mistero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni" (cfr. Ap 22,17). Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"» («Lumen Gentium», 4): ecco il passo certamente più ricco, più sintetico, anche se non unico, il quale indica come, nella totalità dell'insegnamento del Vaticano II viva di una vita nuova e brilli con uno splendore nuovo la verità sullo Spirito Santo, alla quale 1600 anni fa ha dato così autorevole espressione il Concilio Costantinopolitano I.

Tutta l'opera di rinnovamento della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha così provvidenzialmente proposto e iniziato - rinnovamento che deve essere ad un tempo «aggiornamento» e consolidamento in ciò che è eterno e costitutivo per la missione della Chiesa - non può realizzarsi se non nello Spirito Santo, cioè con l'aiuto della sua luce e della sua potenza. Questo è importante, tanto importante, per tutta la Chiesa nella sua universalità, come pure per ogni Chiesa particolare nella comunione con tutte le altre Chiese particolari. Questo è importante anche per la via ecumenica all'interno del cristianesimo e per la sua via nel mondo contemporaneo, la quale deve svilupparsi nella direzione della giustizia e della pace. Questo è importante, anche per l'opera delle vocazioni sacerdotali o religiose e, al tempo stesso, per l'apostolato dei laici, come frutto di una nuova maturità della loro fede.

8. Le due formulazioni del simbolo Niceno-Costantinopolitano: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto... Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem» ci ricordano poi che la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo, alla quale incessantemente tutte le altre si riferiscono, attingendo da essa come ad una sorgente, e proprio quella dell'incarnazione del Verbo Eterno, nel seno della Vergine Maria.

Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo, è il centro della storia: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri e oggi...» (Eb 13,8). Se i nostri pensieri e i nostri cuori permangono rivolti verso di Lui nella prospettiva del secondo millennio, che sta per chiudersi e che ci separa dalla sua prima venuta nel mondo, allora con ciò stesso essi si rivolgono verso lo Spirito Santo, per opera del quale è avvenuto il suo umano concepimento; e si rivolgono anche a Colei, dalla quale è stato concepito ed è nato: alla Vergine Maria. Proprio gli anniversari dei due grandi Concili dirigono quest'anno in modo speciale i nostri pensieri e i nostri cuori verso lo Spirito Santo e verso la madre di Dio, Maria. E se ricordiamo quanta gioia ed esultanza suscitò 1550 anni fa a Efeso la professione di fede nella maternità divina della Vergine Maria (Theotokos), comprendiamo allora che in quella professione di fede è stata insieme glorificata la particolare opera dello Spirito Santo: cioè quella che compongono sia l'umano concepimento e la nascita del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, sia, sempre per opera dello stesso Spirito Santo, la maternità santissima della Vergine Maria. Questa maternità non solo è fonte e fondamento di tutta l'eccezionale santità di Maria e della sua particolarissima partecipazione a tutta l'economia della salvezza, ma stabilisce anche un permanente legame materno con la Chiesa, derivante dal fatto stesso che Essa è stata scelta dalla Santissima Trinità come Madre di Cristo, il quale è il Capo del Corpo, cioè della Chiesa» (Col 1,18). Questo legame si rivela particolarmente sotto la croce, dove Maria, «soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, ...dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: «Donna, ecco il tuo figlio» (cfr. Gv 19,26-27)» («Lumen Gentium», 58).

Il Concilio Vaticano II, poi, sintetizza felicemente la relazione inscindibile di Maria Santissima con Cristo e con la Chiesa: «Essendo piaciuto a Dio di non manifestare solennemente il mistero della salvezza umana prima di avere effuso lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli Apostoli prima del giorno della Pentecoste "perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria Madre di Gesù e i fratelli di Lui" (At 1,14), e anche Maria implorante con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l'aveva già ricoperta nell'Annunciazione» («Lumen Gentium», 59). Con questa espressione il testo del Concilio unisce tra di loro i due momenti, nei quali la maternità di Maria è più strettamente legata all'opera dello Spirito Santo: dapprima, il momento dell'Incarnazione, e poi quello della nascita della Chiesa nel Cenacolo di Gerusalemme.

IV.

9. Tutti questi grandi e importanti motivi, e il confluire di circostanze così significative persuadono pertanto a far sì che nell'anno in corso, doppiamente giubilare, si metta in particolare evidenza la solennità della Pentecoste in tutta la Chiesa.

Invito perciò a Roma in quel giorno tutte le Conferenze Episcopali della Chiesa Cattolica e i Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali cattoliche, nella rappresentanza che piacerà loro di inviare, affinché insieme possiamo rinnovare quell'eredita che abbiamo ricevuto dal Cenacolo della Pentecoste e nella potenza dello Spirito Santo: è Lui infatti che ha mostrato alla Chiesa, nel momento della sua nascita, quella via che conduce a tutte le nazioni, a tutti i popoli e lingue, e al cuore di tutti gli uomini.

Trovandoci raccolti nell'unità collegiale come gli eredi della sollecitudine apostolica per tutte le Chiese (cfr. 2Cor 11,28) attingeremo all'abbondanza sorgiva dello stesso Spirito, che guida la missione della Chiesa sulle vie dell'umanità contemporanea alla fine del secondo millennio dopo l'Incarnazione del Verbo, per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria.

10. La prima parte della solennità ci riunirà, al mattino, nella Basilica di san Pietro in Vaticano per cantare con tutto il cuore il nostro Credo «in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui locutus est per prophetas... Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam». A tanto ci spinge il 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I: come gli Apostoli nel Cenacolo, come i Padri di quel Concilio ci riunirà Colui il quale «con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa» e «continuamente la rinnova» (cfr. «Lumen Gentium», 4).

In tal modo la solennità della Pentecoste di quest'anno diventerà una sublime e riconoscente professione di quella fede nello Spirito Santo, Signore e Datore di vita, che in modo particolare dobbiamo a quel Concilio. E al tempo stesso, diventerà un'umile preghiera e un'ardente invocazione affinché questo stesso Spirito Santo ci aiuti a «rinnovare la faccia della terra», anche mediante l'opera di rinnovamento della Chiesa secondo il pensiero del Vaticano II. Che quest'opera si svolga in modo maturo e regolare in tutte le Chiese, in tutte le comunità cristiane; che essa si compia prima di tutto nelle anime degli uomini, perché non è possibile un vero rinnovamento senza una continua conversione a Dio. Chiederemo allo Spirito di Verità di rimanere, sulla via di questo rinnovamento, perfettamente fedeli a quel «parlare dello Spirito», che è per noi attualmente l'insegnamento del Vaticano II, di non lasciare questa via spinti da un certo riguardo verso lo spirito del mondo. Chiederemo inoltre a Colui che e «fons vivus, ignis, caritas» - acqua viva, fuoco, amore -, di permeare noi stessi e tutta la Chiesa, e infine la famiglia umana, di quell'amore che «tutto spera, tutto sopporta», e che «non avrà mai fine» (1Cor 13,7-8).

Non c'è alcun dubbio che, nella presente tappa della storia della Chiesa e dell'umanità, si senta un particolare bisogno di approfondire e di rianimare questa verità. Ce ne darà occasione, a Pentecoste, la commemorazione del 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I. Che lo Spirito Santo accetti questa nostra manifestazione di fede. Accolga, nella funzione liturgica della solennità della Pentecoste, quest'umile aprirsi dei cuori a Lui, il Consolatore, nel quale si rivela e si realizza il dono dell'unità.

11. In una seconda parte della celebrazione, ci riuniremo quel giorno, nelle ore del tardo pomeriggio, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove la parte mattutina sarà completata con i contenuti, che offre alla nostra riflessione il 1550° anniversario del Concilio di Efeso. Ce lo suggerirà anche la singolare coincidenza che la Pentecoste cadrà quest'anno il 7 giugno, come già avvenne nel 431, e in quel giorno solenne, che era stato fissato per l'inizio delle sessioni (spostate poi al 22 giugno), cominciarono ad affluire a Efeso i primi gruppi di Vescovi.

Tali contenuti saranno tuttavia visti anch'essi attraverso l'apporto del Concilio Vaticano II, con un particolare riguardo al mirabile capitolo VII della Costituzione «Lumen Gentium». Così come il Concilio di Efeso, mediante l'insegnamento cristologico e soteriologico, permise di riconfermare la verità sulla Maternità Divina di Maria - la Theotokos - così il Vaticano II ci permette di ricordare che la Chiesa, la quale nasce nel Cenacolo gerosolimitano dalla potenza dello Spirito Santo, comincia a guardare a Maria come all'esempio della maternità spirituale della Chiesa stessa, e perciò come alla sua figura archetipa. In quel giorno Colei, che da Paolo VI fu chiamata anche Madre della Chiesa, irradia la sua potenza di intercessione sulla Chiesa-Madre e ne protegge quella spinta apostolica di cui questa tuttora vive, generando a Dio i credenti di tutti i tempi e di tutte le latitudini.

E perciò la liturgia pomeridiana della solennità di Pentecoste ci riunirà nella principale Basilica Mariana di Roma per ricordare in modo particolare, mediante tale atto, che nel cenacolo gerosolimitano gli Apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con.... Maria, la Madre di Gesù...» (At 1,14), preparandosi alla venuta dello Spirito Santo. Similmente anche noi, in quel giorno così importante, desideriamo di essere assidui nella preghiera insieme con Colei la quale, secondo le parole della Costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, come Madre di Dio «è figura della Chiesa... nell'ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» («Lumen Gentium», 63). E così, perseverando nella preghiera insieme con Lei e pieni di fiducia in Lei, affideremo alla potenza dello Spirito Santissimo la Chiesa, e la sua missione tra tutte le nazioni del mondo di oggi e di domani. Noi infatti portiamo in noi stessi l'eredità di coloro, ai quali Cristo Risorto ha ordinato di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15).

Nel giorno di Pentecoste, riuniti nella preghiera insieme con Maria, la Madre di Gesù, essi si sono convinti di poter compiere questo ordine con la potenza dello Spirito Santo, disceso su di loro conformemente al preannunzio del Signore (cfr. At 1,8). In quello stesso giorno noi, loro eredi, ci stringeremo nello stesso atto di fede e di preghiera.

V.

12. Diletti miei fratelli!

So che il Giovedì Santo voi rinnovate, nella comunità del presbiterio delle vostre diocesi, il memoriale dell'Ultima Cena, durante la quale il pane e il vino, mediante le parole di Cristo e la potenza dello Spirito Santo, sono diventati il corpo e il sangue del nostro Salvatore, cioè l'Eucaristia della nostra redenzione.

In quel giorno, o anche in altre occasioni opportune, parlate a tutto il Popolo di Dio di questi anniversari e avvenimenti importanti, affinché siano similmente ricordati e vissuti anche in ogni Chiesa locale e in ogni comunità della Chiesa, così come essi meritano, nel modo che sarà stabilito dai singoli Pastori, secondo le indicazioni delle rispettive Conferenze Episcopali e dei Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali.

Nel desiderio vivissimo delle annunciate celebrazioni, mi è caro impartire a tutti voi, venerati e carissimi fratelli nell'Episcopato, e, insieme con voi, alle vostre singole comunità ecclesiali, la mia particolare benedizione apostolica.

Dato in Roma, presso san Pietro, il 25 marzo 1981, Solennità dell'Annunciazione del Signore, terzo anno del Pontificato.

Augustinus
01-01-04, 15:19
GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 13 dicembre 1995

La presenza di Maria nel Concilio Vaticano II

1. Vorrei oggi soffermarmi a riflettere sulla particolare presenza della Madre della Chiesa in un evento ecclesiale che è sicuramente il più importante del nostro secolo: il Concilio Ecumenico Vaticano II, iniziato da Papa Giovanni XXIII, la mattina dell'11 ottobre 1962, e concluso da Paolo VI, l'8 dicembre 1965.
Una singolare intonazione mariana caratterizza in effetti l'Assise conciliare, sin dalla sua indizione. Già nella Lettera Apostolica "Celebrandi Concilii Oecumenici", il mio venerato predecessore, il Servo di Dio, Giovanni XXIII aveva raccomandato il ricorso alla potente intercessione di Maria, "Madre della grazia e patrona celeste del Concilio" [11 aprile 1961, AAS 53 (1961) 242]. Successivamente, nel 1962, nella festa della Purificazione di Maria, Papa Giovanni fissava l'apertura del Concilio all'11 ottobre, spiegando di aver scelto questa data in ricordo del grande Concilio di Efeso, che, proprio in tale data, aveva proclamato Maria "Theotokos", Madre di Dio [Motu proprio Concilium; AAS 54 (1962) 67-68]. Alla "Soccorritrice dei Cristiani, Soccorritrice dei Vescovi" il Papa affidava poi, nel discorso di apertura, il Concilio stesso implorando la sua materna assistenza per il felice compimento dei lavori conciliari [AAS 54 (1962) 795].
A Maria rivolgono espressamente il loro pensiero anche i Padri del Concilio che, nel messaggio al mondo, all'apertura delle sessioni conciliari, affermano: "Noi, successori degli Apostoli, tutti quanti uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù, formiamo un solo corpo apostolico" (Acta Synodalia, I,I,254), ricollegandosi in tal modo, nella comunione con Maria, alla Chiesa primitiva in attesa dello Spirito Santo (cfr. At 1,14).

2. Nella seconda sessione del Concilio fu proposto di introdurre la trattazione sulla beata Vergine Maria nella Costituzione sulla Chiesa. Iniziativa che, anche se espressamente raccomandata dalla Commissione teologica, suscitò diversità di pareri.
Alcuni, considerandola insufficiente per evidenziare la specialissima missione della Madre di Gesù nella Chiesa, sostenevano che solo un documento separato avrebbe potuto esprimerne la dignità, la preminenza, l'eccezionale santità e il ruolo singolare di Maria nella Redenzione operata dal Figlio. Ritenendo, inoltre, Maria in un certo modo al di sopra della Chiesa, manifestavano il timore che la scelta di inserire la dottrina mariana nella trattazione sulla Chiesa, non mettesse sufficientemente in evidenza i privilegi di Maria, riducendo la sua funzione al livello degli altri membri della Chiesa (Acta Synodalia, II, III, 338-342).
Altri, invece, si esprimevano in favore della proposta della Commissione teologica, mirante ad inserire in un unico documento l'esposizione dottrinale su Maria e sulla Chiesa. Secondo questi ultimi, tali realtà non potevano essere separate in un Concilio che, prefiggendosi la riscoperta della identità e della missione del Popolo di Dio, doveva mostrarne la connessione intima con Colei che è tipo ed esempio della Chiesa nella verginità e nella maternità. La Beata Vergine, infatti, nella sua qualità di membro eminente della Comunità ecclesiale, occupa un posto speciale nella dottrina della Chiesa. Inoltre, ponendo l'accento sul nesso fra Maria e la Chiesa, si rendeva più comprensibile ai cristiani della Riforma la dottrina mariana proposta dal Concilio (Acta Synodalia, II, III, 343-345). I Padri conciliari, animati dal medesimo amore per Maria, tendevano così a privilegiare, esprimendo posizioni dottrinali differenti, aspetti diversi della sua figura. Gli uni contemplavano Maria principalmente nel suo rapporto a Cristo, gli altri la consideravano piuttosto in quanto membro della Chiesa.

3. Dopo un confronto denso di dottrina e attento alla dignità della Madre di Dio ed alla sua particolare presenza nella vita della Chiesa, si decise di inserire la trattazione mariana all'interno del documento conciliare sulla Chiesa (cfr. AS II, III, 627).
Il nuovo schema sulla Beata Vergine, elaborato per essere integrato nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, manifesta un reale progresso dottrinale. L'accento posto sulla fede di Maria e una preoccupazione più sistematica di fondare la dottrina mariana sulla Scrittura, costituiscono elementi significativi ed utili ad arricchire la pietà e la considerazione del popolo cristiano per la benedetta Madre di Dio.
Col passare del tempo, inoltre, i pericoli di riduzionismo, paventati da alcuni Padri, si sono rivelati infondati: la missione e i privilegi di Maria sono stati ampiamente riaffermati; la sua cooperazione al piano divino di salvezza è stata posta in rilievo; l'armonia di tale cooperazione con l'unica mediazione di Cristo è apparsa più evidente.
Per la prima volta, inoltre, il Magistero conciliare proponeva alla Chiesa una esposizione dottrinale sul ruolo di Maria nell'opera redentiva di Cristo e nella vita della Chiesa. Dobbiamo, quindi, ritenere l'opzione dei Padri conciliari, rivelatasi molto feconda per il successivo lavoro dottrinale, una decisione veramente provvidenziale.

4. Nel corso delle sessioni conciliari, emerse il voto di molti Padri di arricchire ulteriormente la dottrina mariana con altre affermazioni sul ruolo di Maria nell'opera della salvezza. Il particolare contesto in cui si svolse il dibattito mariologico del Vaticano II non permise l'accoglienza di tali desideri, pur consistenti e diffusi, ma il complesso della elaborazione conciliare su Maria rimane vigorosa ed equilibrata e gli stessi temi, non pienamente definiti, hanno ottenuto significativi spazi nella trattazione complessiva.
Così, le esitazioni di alcuni Padri dinanzi al titolo di Mediatrice non hanno impedito al Concilio di usare una volta tale titolo, e di affermare in altri termini la funzione mediatrice di Maria dal consenso all'annuncio dell'angelo alla maternità nell'ordine della grazia (cfr. LG, 62). Inoltre, il Concilio afferma la sua cooperazione "in modo tutto speciale" all'opera che restaura la vita soprannaturale delle anime (LG, 61). Infine, anche se evita di usare il titolo di "Madre della Chiesa", il testo della "Lumen gentium" chiaramente sottolinea la venerazione della Chiesa verso Maria come Madre amantissima.
Dall'intera esposizione del Capitolo VIII della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, risulta chiaro che le cautele terminologiche non hanno intralciato l'esposizione di una dottrina di fondo molto ricca e positiva, espressione della fede e dell'amore per Colei che la Chiesa riconosce Madre e Modello della sua vita. D'altro canto, i differenti punti di vista dei Padri, emersi nel corso del dibattito conciliare, si sono rivelati provvidenziali, perché fondendosi in armonica composizione hanno offerto alla fede ed alla devozione del Popolo cristiano una presentazione più completa ed equilibrata della mirabile identità della Madre del Signore e del suo ruolo eccezionale nell'opera della redenzione.

Augustinus
19-02-04, 14:41
L'INNO AKATHISTOS

È uno tra i più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theotokos (Genitrice di Dio).
Akathistos si chiama per antonomasia quest'inno liturgico del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti."Akathistos" non è il titolo originario, ma una rubrica:"a-kathistos" in greco significa "non-seduti", perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo "stando in piedi", come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio.

La struttura metrica e sillabica dell'Akathistos si ispira alla celeste Gerusalemme descritta dal cap. 21 dell'Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale "Sposa" senza sposo terreno, Sposa vergine dell'Agnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione.

L'inno consta di 24 stanze (in greco: oikoi), quante sono le lettere dell'alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza comincia. Ma fu sapientemente progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti - quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari - una cristologica, l'altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s'illumina il mistero della Madre di Dio. Le due parti dell'inno a loro volta sono impercettibilmente suddivise ciascuna in due sezioni di 6 stanze: tale suddivisione è presente in modo manifesto nell'attuale celebrazione liturgica. L'inno tuttavia procede in maniera binaria, in modo che ogni stanza dispari trova il suo complemento - metrico e concettuale - in quella pari che segue. Le stanze dispari si ampliano con 12 salutazioni mariane, raccolte attorno a un loro fulcro narrativo o dommatico, e terminano con l'efimnio o ritornello di chiusa: "Gioisci, sposa senza nozze!". Le stanze pari invece, dopol'enunciazione del tema quasi sempre a sfondo cristologico, terminano con l'acclamazione a Cristo: "Alleluia!". Così l'inno si presenta cristologico insieme e mariano, subordinando la Madre al Figlio, la missione materna di Maria all'opera universale di salvezza dell'unico Salvatore.

La prima parte dell'Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli dell'Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2).
Essa propone e canta il mistero dell'incarnazione (stanze 1-4), l'effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5),la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l'adorazione dei pastori(stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l'accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo.

La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati. Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo riconduce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell'Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l'uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l'Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l'ultima Pasqua (stanza 23); è l'Avvocata di misericordia nell'ultimo giorno (stanza 24).

L'Akathistos è una composizione davvero ispirata. Conserva un valore immenso:
— a motivo del suo respiro storico-salvifico, che abbraccia tutto il progetto di Dio coinvolgendo la creazione e le creature, dalle origini all'ultimo termine, in vista della loro pienezza in Cristo;
— a motivo delle fonti, le più pure: la Parola di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento, sempre presente in modo esplicito o implicito; la dottrina definita dai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), dai quali direttamente dipende; le esposizioni dottrinali dei più grandi Padri orientali del IV e del V secolo, dai quali desume concetti e lapidarie asserzioni;
— a motivo di una sapiente metodologia mistagogica, con la quale — assumendo le immagini più eloquenti dalla creazione e dalle Scritture — eleva passo passo la mente e la porta alle soglie del mistero contemplato e celebrato: quel mistero del Verbo incarnato e salvatore che — come afferma il Vaticano II — fa di Maria il luogo d'incontro e di riverbero dei massimi dati della fede (cf Lumen Gentium 65).

Circa l'Autore, quasi tutta la tradizione manoscritta trasmette anonimo l'inno Akathistos. La versione latina redatta dal Vescovo Cristoforo di Venezia intorno all'anno 800, che tanto influsso esercitò sulla pietà del medioevo occidentale, porta il nome di Germano di Costantinopoli ( 733). Oggi però la critica scientifica propende ad attribuirne la composizione ad uno dei Padri di Calcedonia: in tal modo, questo testo venerando sarebbe il frutto maturo della tradizione più antica della Chiesa ancora indivisa delle origini, degno di essere assunto e cantato da tutte le Chiese e comunità ecclesiali.

INNO

PARTE NARRATIVA

1. Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal Cielo
per dir "Ave" alla Madre di Dio.
Al suo incorporeo saluto
vedendoti in Lei fatto uomo,
Signore,
in estasi stette,
acclamando la Madre così:

Ave, per Te la gioia risplende;
Ave, per Te il dolore s'estingue.
Ave, salvezza di Adamo caduto;
Ave, riscatto del pianto di Eva.
Ave, Tu vetta sublime a umano intelletto;
Ave, Tu abisso profondo agli occhi degli Angeli.
Ave, in Te fu elevato il trono del Re;
Ave, Tu porti Colui che il tutto sostiene.
Ave, o stella che il Sole precorri;
Ave, o grembo del Dio che s'incarna.
Ave, per Te si rinnova il creato;
Ave, per Te il Creatore è bambino.
Ave, Sposa non sposata!

2. Ben sapeva Maria
d'esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva:
«Il tuo singolare messaggio
all'anima mia incomprensibile appare:
da grembo di vergine
un parto predici, esclamando:
Alleluia!»

3. Desiderava la Vergine
di capire il mistero
e al nunzio divino chiedeva:
«Potrà il verginale mio seno
mai dare alla luce un bambino?
Dimmelo!»
E Quegli riverente
acclamandola disse così:

Ave, Tu guida al superno consiglio;
Ave, Tu prova d'arcano mistero.
Ave, Tu il primo prodigio di Cristo;
Ave, compendio di sue verità.
Ave, o scala celeste
che scese l'Eterno;
Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo.
Ave, dai cori degli Angeli cantato portento;
Ave, dall'orde dei dèmoni esecrato flagello.
Ave, la Luce ineffabile hai dato;
Ave, Tu il «modo» a nessuno hai svelato.
Ave, la scienza dei dotti trascendi;
Ave, al cuor dei credenti risplendi.
Ave, Sposa non sposata!

4. La Virtù dell'Altissimo
adombrò e rese Madre
la Vergine ignara di nozze:
quel seno, fecondo dall'alto,
divenne qual campo ubertoso per tutti,
che vogliono coglier salvezza
cantando così:
Alleluia!

5. Con in grembo il Signore
premurosa Maria
ascese e parlò a Elisabetta.
Il piccolo in seno alla madre
sentì il verginale saluto,
esultò,
e balzando di gioia
cantava alla Madre di Dio:

Ave, o tralcio di santo Germoglio;
Ave, o ramo di Frutto illibato.
Ave, coltivi il divino Cultore;
Ave, dai vita all'Autor della vita.
Ave, Tu campo che frutti ricchissime grazie;
Ave, Tu mensa che porti pienezza di doni.
Ave, un pascolo ameno Tu fai germogliare;
Ave, un pronto rifugio prepari ai fedeli.
Ave, di suppliche incenso gradito;
Ave, perdono soave del mondo.
Ave, clemenza di Dio verso l'uomo;
Ave, fiducia dell'uomo con Dio.
Ave, Sposa non sposata!

6. Con il cuore in tumulto
fra pensieri contrari
il savio Giuseppe ondeggiava:
tutt'ora mirandoti intatta
sospetta segreti sponsali, o illibata!
Quando Madre ti seppe
da Spirito Santo, esclamò:
Alleluia!

7. I pastori sentirono
i concenti degli Angeli
al Cristo disceso tra noi.
Correndo a vedere il Pastore,
lo mirano come agnellino innocente
nutrirsi alla Vergine in seno,
cui innalzano il canto:

Ave, o Madre all'Agnello Pastore,
Ave, o recinto di gregge fedele.
Ave, difendi da fiere maligne,
Ave, Tu apri le porte del cielo.
Ave, per Te con la terra esultano i cieli,
Ave, per Te con i cieli tripudia la terra.
Ave, Tu sei degli Apostoli la voce perenne,
Ave, dei Martiri sei l'indomito ardire.
Ave, sostegno possente di fede,
Ave, vessillo splendente di grazia.
Ave, per Te fu spogliato l'inferno,
Ave, per Te ci vestimmo di gloria.
Ave, Vergine e Sposa!

8. Osservando la stella
che guidava all'Eterno,
ne seguirono i Magi il fulgore.
Fu loro sicura lucerna
andando a cercare il Possente,
il Signore.
Al Dio irraggiungibile giunti,
l'acclaman beati:
Alleluia!

9. Contemplarono i Magi
sulle braccia materne
l'Artefice sommo dell'uomo.
Sapendo ch'Egli era il Signore
pur sotto l'aspetto di servo,
premurosi gli porsero i doni,
dicendo alla Madre beata:

Ave, o Madre dell'Astro perenne,
Ave, o aurora di mistico giorno.
Ave, fucine d'errori Tu spegni,
Ave, splendendo conduci al Dio vero.
Ave, l'odioso tiranno sbalzasti dal trono,
Ave, Tu il Cristo ci doni clemente Signore.
Ave, sei Tu che riscatti dai riti crudeli,
Ave, sei Tu che ci salvi dall'opre di fuoco.
Ave, Tu il culto distruggi del fuoco,
Ave, Tu estingui la fiamma dei vizi.
Ave, Tu guida di scienza ai credenti,
Ave, Tu gioia di tutte le genti.
Ave, Vergine e Sposa!

10. Banditori di Dio
diventarono i Magi
sulla via del ritorno.
Compirono il tuo vaticinio
e Te predicavano, o Cristo,
a tutti, noncuranti d'Erode,
lo stolto, incapace a cantare:
Alleluia!

11. Irradiando all'Egitto
lo splendore del vero,
dell'errore scacciasti la tenebra:
ché gli idoli allora, o Signore,
fiaccati da forza divina caddero;
e gli uomini, salvi,
acclamavan la Madre di Dio:

Ave, riscossa del genere umano,
Ave, disfatta del regno d'inferno.
Ave, Tu inganno ed errore calpesti,
Ave, degl'idoli sveli la frode.
Ave, Tu mare che inghiotti il gran Faraone,
Ave, Tu roccia che effondi le Acque di Vita.
Ave, colonna di fuoco che guidi nel buio,
Ave, riparo del mondo più ampio che nube.
Ave, datrice di manna celeste,
Ave, ministra di sante delizie.
Ave, Tu mistica terra promessa,
Ave, sorgente di latte e di miele.
Ave, Vergine e Sposa!

12. Stava già per lasciare
questo mondo fallace
Simeone, ispirato vegliardo.
Qual pargolo a lui fosti dato,
ma in Te riconobbe il Signore perfetto,
e ammirando stupito
l'eterna sapienza esclamò:
Alleluia!

PARTE TEMATICA

13. Di natura le leggi
innovò il Creatore,
apparendo tra noi, suoi figlioli:
fiorito da grembo di Vergine,
lo serba qual era da sempre, inviolato:
e noi che ammiriamo il prodigio
cantiamo alla Santa:

Ave, o fiore di vita illibata,
Ave, corona di casto contegno.
Ave, Tu mostri la sorte futura,
Ave, Tu sveli la vita degli Angeli.
Ave, magnifica pianta che nutri i fedeli,
Ave, bell'albero ombroso che tutti ripari.
Ave, Tu in grembo portasti la Guida agli erranti,
Ave, Tu desti alla luce Chi affranca gli schiavi.
Ave, Tu supplica al Giudice giusto,
Ave, perdono per tutti i traviati.
Ave, Tu veste ai nudati di grazia,
Ave, Amore che vinci ogni brama.
Ave, Vergine e Sposa!

14. Tale parto ammirando,
ci stacchiamo dal mondo
e al cielo volgiamo la mente.
Apparve per questo fra noi,
in umili umane sembianze l'Altissimo,
per condurre alla vetta
coloro che lieti lo acclamano:
Alleluia!

15. Era tutto qui in terra,
e di sé tutti i cieli
riempiva il Dio Verbo infinito:
non già uno scambio di luoghi,
ma un dolce abbassarsi di Dio verso l'uomo
fu nascer da Vergine,
Madre che tutti acclamiamo:

Ave, Tu sede di Dio, l'Infinito,
Ave, Tu porta di sacro mistero.
Ave, dottrina insicura per gli empi,
Ave, dei pii certissimo vanto.
Ave, o trono più santo del trono cherubico,
Ave, o seggio più bello del seggio serafico.
Ave, o tu che congiungi opposte grandezze,
Ave, Tu che sei in una e Vergine e Madre.
Ave, per Te fu rimessa la colpa,
Ave, per Te il paradiso fu aperto.
Ave, o chiave del regno di Cristo,
Ave, speranza di eterni tesori.
Ave, Vergine e Sposa!

16. Si stupirono gli Angeli
per l'evento sublime
della tua Incarnazione divina:
ché il Dio inaccessibile a tutti
vedevano fatto accessibile, uomo,
dimorare fra noi
e da ognuno sentirsi acclamare:
Alleluia!

17. Gli oratori brillanti
come pesci son muti
per Te, Genitrice di Dio:
del tutto incapaci di dire
il modo in cui Vergine e Madre Tu sei.
Ma noi che ammiriamo il mistero
cantiamo con fede:

Ave, sacrario d'eterna Sapienza,
Ave, tesoro di sua Provvidenza.
Ave, Tu i dotti riveli ignoranti,
Ave, Tu ai retori imponi il silenzio.
Ave, per Te sono stolti sottili dottori,
Ave, per Te vengon meno autori di miti.
Ave, di tutti i sofisti disgreghi le trame,
Ave, Tu dei Pescatori riempi le reti.
Ave, ci innalzi da fonda ignoranza,
Ave, per tutti sei faro di scienza.
Ave, Tu barca di chi ama salvarsi,
Ave, Tu porto a chi salpa alla Vita.
Ave, Vergine e Sposa!

18. Per salvare il creato,
il Signore del mondo,
volentieri discese quaggiù.
Qual Dio era nostro Pastore,
ma volle apparire tra noi come Agnello:
con l'umano attraeva gli umani,
qual Dio l'acclamiamo:
Alleluia!

19. Tu difesa di vergini,
Madre Vergine sei,
e di quanti ricorrono a Te:
che tale ti fece il Signore
di tutta la terra e del cielo, o illibata,
abitando il tuo grembo
e invitando noi tutti a cantare:

Ave, colonna di sacra purezza,
Ave, Tu porta d'eterna salvezza.
Ave, inizio di nuova progenie,
Ave, datrice di beni divini.
Ave, Tu vita hai ridato ai nati nell'onta,
Ave, hai reso saggezza ai privi di senno.
Ave, o Tu che annientasti il gran seduttore,
Ave, o Tu che dei casti ci doni l'autore.
Ave, Tu grembo di nozze divine,
Ave, che unisci i fedeli al Signore.
Ave, di vergini alma nutrice,
Ave, che l'anime porti allo Sposo.
Ave, Vergine e Sposa!

20. Cede invero ogni canto
che presuma eguagliare
le tue innumerevoli grazie.
Se pure ti offrissimo inni
per quanti granelli di sabbia, Signore,
mai pari saremmo ai tuoi doni
che desti a chi canta:
Alleluia!

21. Come fiaccola ardente
per che giace nell'ombre
contempliamo la Vergine santa,
che accese la luce divina
e guida alla scienza di Dio tutti,
splendendo alle menti
e da ognuno è lodata col canto:

Ave, o raggio di Sole divino,
Ave, o fascio di Luce perenne.
Ave, rischiari qual lampo le menti,
Ave, qual tuono i nemici spaventi.
Ave, per noi sei la fonte dei sacri Misteri,
Ave, Tu sei la sorgente dell'Acque abbondanti.
Ave, in Te raffiguri l'antica piscina,
Ave, le macchie detergi dei nostri peccati.
Ave, o fonte che l'anime mondi,
Ave, o coppa che versi letizia.
Ave, o fragranza del crisma di Cristo,
Ave, Tu vita del sacro banchetto.
Ave, Vergine e Sposa!

22. Condonare volendo
ogni debito antico,
fra noi, il Redentore dell'uomo
discese e abitò di persona:
fra noi che avevamo perduto la grazia.
Distrusse lo scritto del debito,
e tutti l'acclamano:
Alleluia!

23. Inneggiando al tuo parto
l'universo ti canta
qual tempio vivente, o Regina!
Ponendo in tuo grembo dimora
Chi tutto in sua mano contiene, il Signore,
tutta santa ti fece e gloriosa
e ci insegna a lodarti:

Ave, o «tenda» del Verbo di Dio,
Ave, più grande del «Santo dei Santi».
Ave, Tu «Arca» da Spirito aurata,
Ave, «tesoro» inesausto di vita.
Ave, diadema prezioso dei santi sovrani,
Ave, dei pii sacerdoti Tu nobile vanto.
Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente,
Ave, Tu sei per l'Impero qual forte muraglia.
Ave, per Te innalziamo trofei,
Ave, per Te cadon vinti i nemici.
Ave, Tu farmaco delle mie membra,
Ave, salvezza dell'anima mia.
Ave, Vergine e Sposa!

24. Grande ed inclita Madre,
Genitrice del sommo fra i Santi,
Santissimo Verbo,
or degnati accogliere il canto!
Preservaci da ogni sventura, tutti!
Dal castigo che incombe
Tu libera noi che gridiamo:
Alleluia!

http://www.maranatha.it/MessaleBVM/L26.jpg

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/API.jpg Orazio Gentileschi, Madonna col Bambino

FONTE (http://www.maranatha.it/akathistos/akaPage.htm)

Augustinus
31-12-04, 10:07
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1170-1176

11 OTTOBRE

MATERNITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA

Il titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua ragion d'essere, il motivo di tutti i suoi privilegi e delle sue grazie. Per noi il titolo racchiude tutto il mistero della Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia sorgente per Maria di lodi e per noi di gioia. Sant'Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una prova sicura della nostra fede.

La Chiesa quindi non celebra alcuna festa della Vergine Maria senza lodarla per questo privilegio. E così saluta la beata madre di Dio nell'Immacolato Concepimento, nella Natività, nell'Assunzione e noi nella recita frequentissima dell'Ave Maria facciamo altrettanto.

L'eresia nestoriana.

"Theotókos", Madre di Dio, è il nome con cui nei secoli è stata designata Maria Santissima. Fare la storia del dogma della maternità divina sarebbe fare la storia di tutto il cristianesimo, perché il nome era entrato così profondamente nel cuore dei fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato.

Era allora vescovo di Alessandria san Cirillo, l'uomo suscitato da Dio per difendere l'onore della Madre del suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: "Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la fede che ci hanno trasmesso gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri".

Il Concilio di Efeso.

Nestorio non cambiò pensiero e l'imperatore convocò un concilio, che si aprì ad Efeso il 24 giugno 431 sotto la presidenza di san Cirillo, legato del papa Celestino. Erano presenti 200 vescovi i quali proclamarono che "la persona di Cristo è una e divina e che la Santissima Vergine deve essere riconosciuta e venerata da tutti quale vera Madre di Dio". I cristiani di Efeso intonarono canti di trionfo, illuminarono la città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i vescovi "venuti - gridavano essi - per restituirci la Madre di Dio e ratificare con la loro santa autorità ciò che era scritto in tutti i cuori".

Gli sforzi di Satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un magnifico trionfo alla Madonna e, se vogliamo credere alla tradizione, i Padri del Concilio, per perpetuare il ricordo dell'avvenimento, aggiunsero all'Ave Maria le parole: "Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte". Milioni di persone recitano ogni giorno questa preghiera e riconoscono a Maria la gloria di Madre di Dio, che un eretico aveva preteso negare.

La festa dell'undici ottobre.

Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata "cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante" come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua divozione alla Madonna, scrisse l'Enciclica Lux veritatis, restaurò la basilica di S. Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che "avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la divozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli, Maria e la sacra Famiglia di Nazareth", affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l'educazione della gioventù.

Che cosa implichi per Maria la dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle feste del primo gennaio e del 25 marzo, ma l'argomento è inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.

Maria sterminio delle eresie.

"Godi, o Vergine, perché da sola hai sterminato nel mondo intero le eresie". L'antifona della Liturgia insegna che il dogma della maternità divina è sostegno e difesa di tutto il cristianesimo. Confessare la maternità divina è confessare la natura divina e l'umanità del Verbo Incarnato in unità di persona ed è altresì affermare la distinzione delle persone in Dio nell'unità di natura ed è ancora riconoscere tutto l'ordine soprannaturale della grazia e della gloria.

Maria vera Madre di Dio.

Riconoscere che Maria è vera Madre di Dio è cosa facile. "Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Pio XI nell'Enciclica Lux veritatis, colei che l'ha generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la persona di Gesù Cristo è una e divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l'anima umana, così Maria ha acquistato la maternità divina per aver generato l'unica persona del Figlio suo".

Conseguenze della maternità divina.

"Derivano di qui, come da sorgente misteriosa e viva, la speciale grazia di Maria e la sua suprema dignità davanti a Dio. La beata Vergine ha una dignità quasi infinita, che proviene dal bene infinito, che è Dio, dice san Tommaso. E Cornelio a Lapide spiega le parole di san Tommaso così: Maria è la Madre di Dio, supera in eccellenza tutti gli Angeli, i Serafini, i Cherubini. È la Madre di Dio ed è dunque la più pura e più santa di tutte le creature e, dopo quella di Dio, non è possibile pensare purezza più grande. È Madre di Dio, sicché, se i santi ottennero qualche privilegio (nell'ordine della grazia santificante) Maria ebbe il suo prima di tutti".

Dignità di Maria.

Il privilegio della maternità divina pone Maria in una relazione troppo speciale ed intima con Dio, perché possano esserle paragonate dignità create di qualsiasi genere, la pone in un rapporto immediato con l'unione ipostatica e la introduce in relazioni intime e personali con le tre persone della Santissima Trinità.

Maria e Gesù.

La maternità divina unisce Maria con il Figlio con un legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha generato il Figlio, l'Uomo-Dio, con la sua stessa sostanza e Gesù è premio della sua verginità e appartiene a Maria per la generazione e per la nascita nel tempo, per l'allattamento col quale lo nutrì, per l'educazione che gli diede, per l'autorità materna esercitata su di lui.

Maria e il Padre.

La maternità divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell'eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità. "Se il Padre ci manifestò un'affezione così sincera, dandoci suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l'amore che aveva per te, o Maria, gli fece concepire ben altri disegni a tuo riguardo e ha stabilito che Gesù fosse tuo come è suo e, per realizzare con te una società eterna, volle che tu fossi la Madre del suo unico Figlio e volle essere il Padre del tuo Figlio" (Discorso sopra la devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.

La maternità divina unisce Maria allo Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo ha concepito il Verbo nel suo seno. In questo senso Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Enc. Divinum munus, 9 maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il santuario privilegiato, per le inaudite meraviglie che ha operate in lei.

"Se Dio è con tutti i Santi, afferma san Bernardo, è con Maria in modo tutto speciale, perché tra Dio e Maria l'accordo è così totale che Dio non solo si è unita la sua volontà, ma la sua carne e con la sua sostanza e quella della Vergine ha fatto un solo Cristo, e Cristo se non deriva come egli è, né tutto intero da Dio, né tutto intero da Maria, è tuttavia tutto intero Dio e tutto intero di Maria, perché non ci sono due figli, ma c'è un solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L'Angelo dice: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. È con te non solo il Signore Figlio, che rivestisti della tua carne, ma il Signore Spirito Santo dal quale concepisti e il Signore Padre, che ha generato colui che tu concepisti. È con te il Padre che fa sì che suo Figlio sia tuo Figlio; è con te il Figlio, che, per realizzare l'adorabile mistero, apre il tuo seno miracolosamente e rispetta il sigillo della tua verginità; è con te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio santifica il tuo seno. Sì, il Signore è con te" (3a Omelia super Missus est).

MESSA

EPISTOLA (Eccli 24,23-31). - Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori danno frutti di gioia e di ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della via e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso, e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.

A buon diritto la Chiesa anche qui applica alla Madonna un testo che è stato scritto con riferimento al Messia. Non è Maria la vera vigna, che ci ha data l'uva generosa, che riceviamo tutti i giorni nell'Eucaristia? Vi è gloria paragonabile a quella di Maria, che, essendo vergine, è divenuta Madre di Dio, senza perdere la verginità? La Chiesa la canta con gioia Madre del bell'amore e ci invita ad accostarci a lei con confidenza, perché in Maria si incontra ogni speranza della vita e della virtù e chi l'ascolta non sarà mai confuso.

VANGELO (Lc 2,43-51). - In quel tempo: Al ritorno il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, ma i suoi genitori non se ne accorsero. Supponendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme in cerca di lui. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto fra i dottori ad ascoltarli ed interrogarli, mentre gli uditori stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vedendolo, ne furono meravigliati. E sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Vedi, tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te. Egli rispose loro: E perché cercarmi? non sapevate che mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre? Ma essi non compresero quanto aveva loro detto. Poi se ne andò con loro e tornò a Nazaret, e stava loro sottomesso.

L'amore di Gesù per la Madre.

"Se fosse permesso spingere tanto innanzi l'analisi del suo sviluppo umano, si direbbe che in Gesù, come in altri, vi fu qualcosa dell'influenza della Madre sua. La grazia, la finezza squisita, la dolcezza indulgente appartengono solo a Lui, ma proprio per tali cose si distinguono coloro, che spesso hanno sentito il cuore come addolcito dalla tenerezza materna e lo spirito ingentilito, per la conversazione con la donna venerata e amata teneramente, che si compiaceva iniziarli alle sfumature più delicate della vita. Gesù fu davvero, come lo chiamavano i concittadini, il 'figlio di Maria'.

Egli tanto ha ricevuto da Maria, perché l'amò infinitamente. Come Dio, la scelse e le donò prerogative uniche di verginità, di purezza immacolata, e nello stesso tempo la grazia della maternità divina; come uomo, l'amò tanto fedelmente che sulla croce, in mezzo alle spaventevoli sofferenze, l'ultimo pensiero fu per lei: Donna, ecco tuo figlio. Ecco tua Madre.

Ma il doppio amore gli fece scegliere per la madre una parte degnissima di lei. Il profeta aveva preannunziato lui come il servo di Jahvé e la Madre fu la Serva del Signore nell'oblio di sé, nella devozione e nel perfetto distacco: 'vi è più gioia nel dare che nel ricevere'. Cristo, che aveva preso per sé questa gioia, la diede alla Madre e Maria comprese così bene questo dono che nei ricordi d'infanzia segnò con attenzione particolare i rapporti che a un lettore superficiale sembrano duri: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?' E più tardi: 'Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?... ' Gesù vuole insegnarci il distacco che da noi esige e darcene l'esempio" (Lebreton, La Vie e l'enseignement de J. C. N. S., p. 62).

Maria nostra Madre.

Salutandoti oggi col bel titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che "avendo dato la vita al Redentore del genere umano, sei per questo fatto stesso divenuta Madre nostra tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio suo, Dio ti ha inculcato sentimenti del tutto materni, che respirano solo amore e perdono" (Pio XI Enc. Lux veritatis).

"O Vergine tutta santa, è per i tuoi figli cosa dolce dire di te tutto ciò che è glorioso, tutto ciò che è grande, ma ciò facendo dicono solo il vero e non riescono a dire tutto quello che tu meriti" (Basilio di Seleucia, Omelia 39, n. 6, PG 85, 452). "Tu sei infatti la meraviglia delle meraviglie e di quanto esiste o potrà esistere, Dio eccettuato, niente è più bello di te" (Isidoro di Tessalonica, Discorso per la Presentazione di Maria, PG 189, 69).

Dalla gloria del cielo ove sei, ricordati di noi, che ti preghiamo con tanta gioia e confidenza. "L'Onnipotente è con te e tu sei onnipotente con Lui, onnipotente per Lui, onnipotente dopo di Lui", come dice san Bonaventura. Tu puoi presentarti a Dio non tanto per pregare quanto per comandare, tu sai che Dio esaudisce infallibilmente i tuoi desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma tu sei divenuta Madre di Dio per causa nostra e "non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a te sia stato abbandonato. Animati da questa confidenza, o Vergine delle vergini, o nostra Madre, veniamo a te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci prostriamo ai tuoi piedi. Madre del Verbo incarnato, non disprezzare le nostre preghiere, degnati di esaudirle" (san Bernardo).

Augustinus
01-01-05, 02:08
"Nelle feste e specialmente nelle nozze, la gente ha l’abitudine, tradizionale, di danzare e di cantare... Per queste nozze è giusto che noi danziamo. Davide, re e profeta, danzò davanti all’arca ... nel suo spirito infatti vedeva una sua discendente, Maria, unirsi in nozze a Cristo ... Quest’arca davanti alla quale danzò il profeta, non corrisponde forse alla vergine Maria? L’arca racchiudeva in sé le tavole dell’alleanza, Maria portava in sé l’erede dell’alleanza ..." (S. Massimo di Torino, Sermone 42,4-5).

"Mentre Eva, sviata dal messaggio del diavolo, disobbedì alla parola divina e si alienò da Dio, Maria invece, guidata dall’annuncio dell’angelo, obbedì alla parola divina e meritò di portare Dio nel suo grembo. Quella dunque si lasciò sedurre e disubbidì, questa si lasciò persuadere e ubbidì. In tal modo la vergine Maria poté divenire avvocata dalla vergine Eva" (S. Ireneo, Adv. haer., 5, 19).

"Credette in virtù della fede, concepì in virtù della fede... Conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo... Ha custodito infatti più la verità nella sua mente, che la carne nel suo grembo. Cristo è verità, Cristo è carne; Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è nella mente di ciò che è nel grembo..." (S. Agostino d'Ippona, Disc. 25, 7-8).

"Ti salutiamo, o Maria, Madre di Dio, venerabile tesoro di tutta la terra, lampada inestinguibile, corona della verginità, scettro della retta dottrina, tempio indistruttibile, abitacolo di colui che non può essere circoscritto da nessun luogo, madre e vergine insieme per la quale nei santi vangeli è chiamato «benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21,9) ... " (S. Cirillo d'Alessandria, Omelia tenuta nel Concilio di Efeso)

Augustinus
01-01-05, 11:53
Alma Redemptoris Mater

ALMA Redemptoris Mater, quae pervia caeli
Porta manes, et stella maris, succurre cadenti,
Surgere qui curat, populo: tu quae genuisti,
Natura mirante, tuum sanctum Genitorem
Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore
Sumens illud Ave, peccatorum miserere.

Usque ad diem 23 decembris:

V. Angelus Domini nuntiavit Mariae.
R. Et concepit de Spiritu Sancto.

Oremus. Gratiam tuam, quaesumus, Domine, mentibus nostris infunde; ut, qui, angelo nuntiante, Christi Filii tui incarnationem cognovimus, per passionem ejus et crucem, ad resurrectionis gloriam perducamur. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

A die 24 decembris:

V. Post partum, Virgo, inviolata permansisti.
R. Dei Genitrix, intercede pro nobis.

Oremus. Deus, qui salutis aeternae, beatae Mariae virginitate fecudna, humano generi praemia praestitisti: tribue, quaesumus, ut ipsam pro nobis intercedere sentiamus, per quam meruimus auctorem vitae suscipere, Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum. Amen.

Augustinus
01-01-05, 19:16
http://www.wga.hu/art/b/botticel/22/50bardi.jpg http://www.wga.hu/art/b/botticel/22/51bardi.jpg Sandro Botticelli, Madonna con Bambino in Trono (con i SS. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista), Pala Bardi, 1484, Staatliche Museen, Berlino

http://www.wga.hu/art/b/botticel/22/30magnif.jpg Sandro Botticelli, Madonna del Magnificat, 1480-81, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/b/botticel/22/40pomegr.jpg Sandro Botticelli, Madonna del Melograno, 1487 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/1early/03fortu3.jpg Benozzo Gozzoli, Madonna col Bambino e angelo, 1450, San Fortunato, Montefalco

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/1early/03fortu1.jpg Benozzo Gozzoli, Madonna col Bambino tra i SS. Francesco d'Assisi e Bernardino da Siena, 1450, San Fortunato, Montefalco

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/1early/02madonn.jpg Benozzo Gozzoli, Madonna col Bambino, 1449, Basilica di Santa Maria sopra Minerva, Roma

Augustinus
01-01-05, 19:24
http://www.wga.hu/art/l/leonardo/02/2virg_p.jpg http://www.wga.hu/art/l/leonardo/02/2virg_p1.jpg Leonardo Da Vinci, Vergine delle rocce, 1483-86, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/l/leonardo/02/3virg_l.jpg Leonardo Da Vinci, Vergine delle rocce, 1495-1508, National Gallery, Londra

http://img91.imageshack.us/img91/6986/3pomegra0ikql6.jpg Leonardo Da Vinci, Madonna con Bambino e melograno, 1472-76, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/l/leonardo/01/5benois.jpg Leonardo Da Vinci, Madonna del Fiore (Madonna Benois), 1478 circa, Hermitage, San Pietroburgo

http://www.wga.hu/art/l/leonardo/01/6carnat.jpg http://www.wga.hu/art/l/leonardo/01/6carnat1.jpg Leonardo Da Vinci, Madonna del garofano, 1478-80, Alte Pinakothek, Monaco

Augustinus
01-01-05, 19:47
http://www.wga.hu/art/l/leonardo/05copies/1yarnwin.jpg Leonardo Da Vinci, Madonna del fuso, 1501 circa, Collezione privata (opera rubata)

http://www.wga.hu/art/l/leonardo/05copies/2yarnwi.jpg Leonardo Da Vinci, Madonna del fuso, dopo 1510, Collezione privata, New York

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/5various/1madonna.jpg Benozzo Gozzoli, Madonna con Bambino, 1460 circa, Institute of Arts, Detroit

http://www.wga.hu/art/m/mignard/pierre/v_grapes.jpg Pierre Mignard, Madonna del grappolo, 1640 circa, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/r/raphael/1early/06madonn.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino, 1503 circa, Norton Simon Museum of Art, Pasadena

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/1/23connes.jpg Raffaello Sanzio, Madonna del libro (Madonna Connestabile), 1504, Hermitage, San Pietroburgo

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/1/24cowper.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino, 1504-05, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/1/32prato.jpg Raffaello Sanzio, Madonna di Belvedere (o Madonna del Prato) (con S. Giovannino), 1506, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Augustinus
01-01-05, 19:48
http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/2/33cardel.jpg Raffaello Sanzio, Madonna del cardellino (con S. Giovannino), 1507, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/2/34ardin.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino (o Bella Giardiniera), 1507, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/2/39cowper.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino, 1508, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/2/40tempi.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino (o Madonna Tempi), 1508, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/r/raphael/2firenze/2/42ester.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino, 1508, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.wga.hu/art/r/raphael/5roma/1/02garvag.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino (o Madonna Aldobrandini), 1510, National Gallery, Londra

http://www.wga.hu/art/r/raphael/5roma/1/03diadem.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino (o Madonna del diadema blu), 1510-11, Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
01-01-05, 20:20
http://www.wga.hu/art/r/raphael/5roma/1/06alba.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino (o Madonna Alba), 1511, National Gallery of Art, Washington

http://img412.imageshack.us/img412/6518/senzanome5an0su.jpg http://www.wga.hu/art/r/raphael/5roma/2/07sedia2.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino (o Madonna della seggiola), 1514, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze

http://www.wga.hu/art/r/raphael/5roma/2/08tenda.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino e S. Giovannino (o Madonna della tenda), 1514, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/t/tiepolo/gianbatt/7_1760s/08goldfi.jpg Giambattista Tiepolo, Madonna con Bambino (o Madonna del cardellino), 1760 circa, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/p/piero/francesc/madonna/delparto.jpg Piero della Francesca, Madonna del parto o della tenda, 1467, Cappella del cimitero, Monterchi (Arezzo)

http://www.wga.hu/art/p/piero/francesc/madonna/senigall.jpg Piero della Francesca, Madonna di Senigallia, tardo 1470, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

http://www.wga.hu/art/v/vouet/1/3virginc.jpg Simon Vouet, Madonna con Bambino, Musée des Beaux-Arts, Lione

Augustinus
01-01-05, 20:36
http://www.wga.hu/art/z/zurbaran/2/mad_chil.jpg Francisco de Zurbarán, Madonna con Bambino, 1658, Museo Pushkin, Mosca

http://www.wga.hu/art/z/zurbaran/2/nazareth.jpg Francisco de Zurbarán, Casa di Nazareth, 1630 circa, Museum of Art, Cleveland

http://www.wga.hu/art/m/morales/madonna.jpg Luis de Morales, Madonna con Bambino, 1570 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/p/parmigia/longneck.jpg Parmigianino, Madonna dal collo lungo, 1534-40, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/p/parmigia/mad_sain.jpg Parmigianino, Madonna con Bambino e Santi, 1530 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/p/parmigia/madchild.jpg Parmigianino, Madonna con Bambino, 1525 circa, Galleria Doria-Pamphili, Roma

http://www.cult.gva.es/mbav/data/3860.jpg Abdón Castañeda, Madonna con Bambino e angeli musicanti, 1610–20, Museo de Bellas Artes San Pío V, Valencia

http://cgfa.sunsite.dk/b/biljert1.jpg Jan Hermansz. van Biljert, Madonna con Bambino, 1635, Collezione privata, New York

Augustinus
01-01-05, 21:05
In Dormitione Mariae, I-II, in PG 98, 342-343.347-358.

O Maria, negli ultimi tempi tu hai dato alla luce il Verbo di Dio Padre, esistente fin dal principio. Subito dopo averlo messo al mondo, anche le schiere degli angeli guardarono giù dai cieli lodando il Dio nato dal tuo grembo: osannavano ai cieli, d'ora in poi ingioiellati di una gloria più grande, e salutavano la terra che dalla Pace era stata visitata.
Da allora, tra angeli e uomini, tra cielo e terra, non esiste più una separazione d'inimicizia, ma insieme essi formano come una città armoniosa, i cui canti concordano e si innalzano come un’unica lode verso il Dio uno e trino.
Il Padre si rivolge al suo Figlio unigenito. Rendendo testimonianza alla tua maternità che non ebbe bisogno di uno sposo terreno, egli dichiara: Io oggi ti ho generato. E anche: Dal mio seno, prima dell’aurora io ti ho generato.

Queste parole del Padre sono pregnanti dei misteri divini. Se questo figlio è l'Unigenito di Dio prima di essere generato da te, o Vergine e Madre, come il Padre può dire a lui: Io oggi ti ho generato. È chiaro che l'oggi non indica che l'esistenza dell'Unigenito in seno alla divinità sia recente, ma rivela la sua venuta corporea tra gli uomini.
Le parole Io ti ho generato manifestano la compresenza - nel Padre - del principio divino e, insieme, della cooperazione dello Spirito Santo. Lo Spirito è inseparabile dal Padre; quando pone la sua dimora in Maria, vergine e madre, il Padre lo manda, secondo il suo beneplacito; perciò il Padre fa sua l'azione del suo santissimo Spirito. E avendo causato insieme con lo Spirito la processione nuova e corporea del Figlio che nasce da Maria, egli può dire al Figlio: Oggi ti ho generato.
Medesimo è il senso di queste altre parole: Dal mio seno, prima dell’aurora, io ti ho generato. La nostra fede vi coglie l'essenza eterna della divinità del Figlio, coeterna con il Padre; e vi scopre anche l'incarnazione fisica e assolutamente reale di questo medesimo Figlio, avvenuta grazie a te, o Semprevergine, nella pienezza dei tempi.

Il seno che genera prima dell'aurora significa, secondo il linguaggio scritturistico, la processione di questa Luce che trascende i cieli e la terra. Prima di ogni creatura visibile o invisibile l'Unigenito fu generato dal Padre senza principio, come Luce da Luce. Ma quel Seno fu anche il tuo grembo materno, o Maria, per mostrarci che l'Unigenito è uscito da te per dimorare tra noi nella carne.
Prima dell'aurora, sì, durante la notte, prima dello spuntare del giorno, sopraggiunge l'ora del tuo parto; nel seno della notte, tu hai messo al mondo la luce per coloro che giacevano nelle tenebre. Infatti il vangelo racconta. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.
Ecco la gloria aggiunta ai cieli per mezzo di te, o Madre di Dio. Se i cieli avessero già avuta la pienezza della gloria, gli angeli non avrebbero potuto cantare gloria a Dio nel più alto dei cieli proprio nel momento in cui scoprivano la tua ineffabile maternità.
Ma anche quale fu lo splendore per la terra! Attraverso la tua carne immacolata l’uomo fu reso cittadino del cielo, i pastori si mescolarono agli angeli; essi furono elevati fino alla gloria del mistero divino, perché impararono a conoscere la consustanzialità del Padre con il Figlio da cui egli procede non per creazione, ma per nascita eterna.

Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano, o Madre di Dio; dicano sempre: Il Signore è grande coloro che amano il tuo nome glorioso. Poiché la lingua dei cristiani celebrerà la tua giustizia, canterà la tua lode per sempre celebrando la tua verginale purezza e la tua santa maternità.
Tramite te, o Maria, i poveri hanno contemplato la ricchezza della bontà di Dio. Videro e dissero: Della sua grazia è piena la terra. Attraverso di te i peccatori cercarono Dio e furono salvati; anch'essi dissero: Se il Signore non fosse stato il nostro aiuto, incarnandosi da una vergine, in breve abiteremmo nel regno del silenzio, nell'abisso della morte, divorante ogni cosa.
Davvero, o Madre di Dio, il tuo aiuto è potente per la salvezza e non ha bisogno di alcun altro intercessore presso Dio. Tu sei la madre della Vita realmente vera. Tu sei il lievito messo nella pasta umana per rigenerarla.
Tu sei la libertà dalle colpe di Eva. Quella fu madre della polvere, tu sei madre della Luce. La matrice di quella fu matrice di corruzione; il tuo seno di incorruttibilità. Quella fu abitazione della morte, tu sei allontanamento dalla morte.
Dal tempo di Eva le nostre palpebre erano abbassate verso terra, tu le hai rese aperte e sveglie, tu le hai fatto riflettere la gloria. I figli di Eva sono dolore, il tuo Figlio è la gioia perfetta. Quella, poiché era terra, alla terra tornò; tu ci hai generato la Vita, alla Vita sei ritornata, e hai avuto la forza di procurare vita agli uomini anche dopo la morte.
Non ci sazieremo mai di ammirarti, o Vergine santa: il mistero della tua Dormizione nella vita, del tuo passaggio nell’altro mondo, offre agli uomini che sanno contemplarlo una meditazione che non ha fine.

O Maria, se tu non ci avessi mostrato il cammino, nessun uomo sarebbe divenuto spirituale, nessuno avrebbe adorato Dio in spirito. L'uomo è divenuto un solo spirito con Dio, quando tu diventasti abitazione dello Spirito Santo. Nessuno è pieno della conoscenza di Dio, se non grazie a te, Madre di Dio; nessuno è libero da pericoli, se non per il tuo mezzo, o Vergine Madre; nessuno è redento, se non per mezzo tuo, o Genitrice di Dio, nessuno ha ricevuto i doni della misericordia divina se non grazie a te, Madre e Tempio di Dio. Chi più di te prende le difese dei peccatori? Chi tanto intercede per i cuori induriti? Ognuno di coloro che talvolta avrebbero potuto portare aiuto, si tratteneva dall'elevare suppliche per noi, supponendo che il fico sterile della parabola sarebbe stato abbattuto. Temevano cioè di ottenere una risposta sfavorevole, a causa della nostra infruttuosità.
Ma tu, tu hai presso Dio il potere di madre; tu procuri in sovrabbondanza il perdono a coloro che abbondantemente peccano.

Non è possibile che tu non sia ascoltata, o Maria, poiché colui che è Dio attraverso tutto e in tutto, obbedisce a te come alla sua vera e immacolata Madre sua. Perciò chi è afflitto a ragione si rifugia presso di te; chi è senza forza a te si appoggia; chi è assalito si arma di te contro i suoi nemici.
Di Dio tu spegni l'ira ardente, la collera, lo sdegno, la tribolazione e i messaggeri di sventure inviati contro di noi. Tu fai volgere indietro la giusta minaccia e la sentenza della condanna, poiché ami grandemente il popolo che porta il nome del tuo Figlio. Perciò anche il tuo popolo cristiano, consapevole della sua condizione, a te ricorre per presentare apertamente le sue preghiere a Dio. O tutta santa, con fiducia noi osiamo di farti spesso violenza nelle nostre suppliche, perché abbiamo sperimentato la tua bontà e l'abbondanza dei tuoi benefici verso di noi.

Tutti ti benedicono, o Maria. In te possiamo contemplare Dio con un'intuizione che supera quella delle intelligenze angeliche, in te troviamo una fonte di felicità finora a noi sconosciuta. In te la stirpe dei cristiani ha la sua origine, tu sei il rifugio a cui affluiscono i peccatori.
Il tuo nome, di ora in ora, si trova sulla nostra bocca. Un credente che sia colpito dalla sventura o anche solo inciampi col piede, subito invoca il tuo nome. E non suppone di glorificarti chi incessantemente ti loda, perché egli inizia sempre di nuovo con ardore insaziabile. È impossibile celebrarti degnamente.
Vorremmo magnificarti mediante una continua glorificazione, quasi fosse possibile così diminuire il nostro debito verso di te. Ti dobbiamo tutto e non possiamo contraccambiarti in nulla. Perciò noi moltiplichiamo il nostro rendimento di grazie e tu la tua protezione. I tuoi benefici non conoscono limite, giacché donazione ottima è quella che non ha fine; perciò noi non facciamo che ricominciare sempre, come all'inizio, il nostro ringraziamento.

Grazie a te, le nostre ossa saranno rigogliose come erba fresca, secondo le parole del profeta. Tu sei la madre dell'Agnello e la madre del Pastore e ci procuri tutti i beni, - lo sappiamo. O Madre ammirabile, tutto in te è verità, pienamente giusto, desiderabile più dell’oro, di molto oro fino, più dolce del miele e di un favo stillante. I tuoi servi ne vengono illuminati, ripagati nel desiderarlo.
Ma chi comprenderà la bontà del Signore? La stessa nostra impotenza a lodarti, ecco la nostra lode. In verità, in te stessa va cercata la tua lode, poiché sei stata rivelata Madre di Dio. Tu hai ottenuto questo titolo, non soltanto perché con i nostri orecchi l'abbiamo udito quando è letta la Scrittura, o perché i nostri padri ce l'hanno raccontato, nonostante la loro testimonianza totalmente veridica. Altro è il motivo: l'opera che per noi hai compiuto ti ha reso - senza menzogna o esagerazione verbale, ma nella piena verità della fede cattolica - Madre di Dio.

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http://www.cult.gva.es/mbav/data/4154.jpg Francisco Ribalta, Vergine di Portacoeli, 1625-27, Museo de Bellas Artes San Pío V, Valencia

http://www.cult.gva.es/mbav/data/0193.jpg Juan Sariñena, Vergine della Speranza con angeli musicanti, 1610 circa, Museo de Bellas Artes San Pío V, Valencia

Augustinus
01-01-05, 21:07
Sermo CLXXXVI, in Natale Domini, 1-2, in PL 38, 999-1000.

Rallegriamoci, fratelli, gioiscano e si allietino le genti. Questo giorno per noi venne reso sacro non dall'astro solare che vediamo, ma dal suo Creatore invisibile quando, divenuto visibile per noi, lo partorì la Vergine Madre, feconda pur rimanendo integra, anche lei creata dal Creatore invisibile. Vergine nel concepirlo, vergine nel portarlo in grembo, vergine dopo averlo partorito, vergine per sempre.
Perché ti meravigli di questo, o uomo? Era conveniente che nascesse così Dio, quando si degnò di diventare uomo. Così l'ha creata colui che è stato fatto da lei. Prima che venisse formato nel seno materno già esisteva e, poiché era onnipotente, poté essere formato pur rimanendo ciò che era prima. Si formò una madre, mentre era presso il Padre; e mentre veniva fatto dalla madre, rimase sempre nel Padre. Come avrebbe potuto smettere di essere Dio quando cominciò ad essere uomo, se alla sua madre fece dono di non smettere di essere vergine quando lo partorì?
Il Verbo si fece carne non significa che cessò di essere Verbo per divenire carne mortale, ma che la carne si unì al Verbo per non essere più mortale. Con l'uomo è formato di anima e di corpo, così Cristo è Dio e uomo. È uomo e insieme Dio; è Dio e insieme uomo: senza confusione della natura, ma nell'unità della persona. Colui che come figlio di Dio è da sempre coeterno al Padre che lo genera, è lo stesso che cominciò ad essere dalla Vergine come figlio dell'uomo.

Se Verbo significa Dio e carne significa uomo, che significa: Il Verbo si fece carne se non: Colui che era Dio si è fatto uomo? Perciò colui che era Figlio di Dio è divenuto figlio dell'uomo assumendo ciò che era inferiore, non mutando ciò che era superiore; prendendo ciò che non era, non perdendo ciò che era.
Come potremmo affermare nella professione di fede che il Figlio di Dio è nato da Maria Vergine, se fosse nato dalla Vergine Maria non il Figlio di Dio, ma un figlio dell'uomo? Nessun cristiano nega che da quella donna nacque un figlio d'uomo; afferma però che Dio si è fatto uomo per cui un uomo è divenuto Dio. Infatti il Verbo era Dio e il Verbo si fece carne.
La vera fede è che colui che era Figlio di Dio, per poter nascere dalla Vergine Maria, prese le sembianze di servo, divenne figlio dell'uomo restando ciò che era e assumendo ciò che non era. Cominciò ad essere nella natura umana, inferiore al Padre, continuò a rimanere nella natura divina, nella quale lui e il Padre sono una cosa sola.

Augustinus
01-01-05, 21:11
Grande, profondo e veramente stupendo è questo mistero della religione, in cui gli stessi santi angeli desiderarono fissare lo sguardo. Dice infatti un discepolo del Signore a proposito di ciò che i santi profeti avevano predetto di Cristo salvatore del mondo: Ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo nello Spirito Santo mandato dal cielo, cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo. Quegli angeli, infatti, penetrando con la loro intelligenza questo grande divino mistero, quando Cristo apparve nella carne, resero grazie per noi cantando: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama. Come non avrebbero potuto traboccare di letizia vedendo nascere il Salvatore e il liberatore del mondo dalla Vergine quegli angeli che giubilano per un solo peccatore che si converte! Proprio così come afferma il Signore.

C'è anche la moltitudine degli spiriti beati, la quale esulta per noi. Quale è il motivo della loro gioia? L'incarnazione del Figlio unigenito, la sua nascita tra gli uomini, l'abisso della sua bontà, la grandezza della sua incomparabile amicizia per noi. La morte trionfante divorò la terra scrive il beato Isaia, ma aggiunge: Il Signore Dio ha asciugato le lacrime su ogni Volto. E in che modo ha asciugato le lacrime su ogni volto? Come ha ridotto al nulla l'antica maledizione e ha abbattuto il funesto potere della morte? Sarà il sapiente Paolo questa volta a comunicarcelo: Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la Vita. Che cosa vuol dire: ne è divenuto partecipe? Niente d'altro se non il fatto di essere nato tra di noi, da Maria, la santa Madre di Dio, nel sangue e nella carne, Colui che della sua pienezza riempie il mondo volle umiliarsi fino all'annientamento. Si umiliò per noi, senza alcuna costrizione, assumendo anzi liberamente per noi la forma di schiavo, egli che per natura era libero; si fece uno di noi colui che sta al di sopra dì ogni creatura: si fece mortale, egli da cui prende vita ogni cosa. Egli infatti è il pane vivo che dà la vita al mondo. Si sottomise alla legge, lui che era al di sopra della legge, anzi addirittura il creatore della legge, essendo Dio. Si fece come uno di quelli la cui vita ha inizio, egli che era prima di tutti i secoli, anzi che degli stessi secoli è l'autore e il creatore. In qual modo si fece simile a noi? Assumendo, in modo davvero prodigioso, un corpo dalla Vergine: un corpo non privo di anima, come affermano alcuni eretici, ma informato da un'anima razionale. Uomo perfetto, dunque, nacque da donna, senza peccato: uomo vero, non semplice apparenza, senza però abdicare alla sua natura divina, o senza cessare di essere quello che era sempre stato, è e sarà: vero Dio.

Ne segue che per enunciare una professione di fede retta e irreprensibile basta confessare che la Vergine è Madre di Dio, Theotokos. Aggiungere che è anche la madre di un uomo non ha il minimo interesse Infatti ci hanno insegnato a credere in un solo Dio, anche dopo l'Incarnazione: un solo Dio, un solo mediatore tra Dio e gli uomini. Affermiamo ora con certezza che il Verbo di Dio si è fatto uomo, senza affatto mutarsi. E a proposito della sua natura corporea diciamo che la Vergine ha generato un corpo consustanziale al suo e al nostro. Proclamarla Madre di Dio pone in perfetto risalto questa verità: Maria non ha dato alla luce una divinità pura e semplice, ma il Verbo dì Dio unito alla carne. Il termine "Madre di Dio" non sopporta alcun altro significato, eccetto quello che gli diamo, in cui il concetto dell'Incarnazione è posto in piena luce.Concludiamo dunque: la Vergine è davvero Madre di Dio, perché ha messo al mondo in modo soprannaturale un solo Cristo che è partecipe della carne e del sangue e che sul piano umano procede dalla medesima sostanza che appartiene a sua madre e a noi. Sì, Cristo ha preso carne da Maria, Madre di Dio.

Augustinus
01-01-05, 21:12
La vita eterna è una fonte inesauribile che irriga tutto il paradiso. Lo irriga? Anzi lo inebria, è la fontana dei giardini e la polla d'acque vive che scaturiscono con impeto dal Libano. E' il fiume che rallegra la città di Dio. E chi è questa fonte di vita se non il Signore Gesù? L'apostolo ci dice infatti: Quando si manifesterà Cristo. la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria . Davvero: la pienezza si è annichilita per essere la nostra giustizia, la nostra santificazione, il nostro perdono. Questa fonte cessò di apparire come vita, gloria e beatitudine e deviò verso di noi, le sue acque invasero le piazze; soltanto chi vuole tenersene lontano non può berne. Quella scaturigine del cielo è giunta a noi attraverso un acquedotto: non prorompe in tutta l'abbondanza della fonte, ma lascia cadere nei nostri aridi cuori la grazia a goccia a goccia, a chi più e a chi meno. L'acquedotto, naturalmente, è pieno, affinché tutti possano attingere alla sua pienezza che, peraltro, rimane sempre intatta. Avete già capito, se non erro, di quale acquedotto intendo parlare: questo acquedotto ha ricevuto dal cuore del Padre la pienezza della fonte stessa e l'ha data a noi se non come è in sé stessa, almeno nella misura di cui noi siamo capaci. Sapete infatti a chi fu detto: Ti saluto, piena di grazia C'è da meravigliarsi allora se Maria, proprio lei, sia l'acquedotto?

In che modo questo nostro acquedotto riuscì a collegarsi con una fonte tanto sublime? In nessun'altra maniera se non con un desiderio intensissimo, con il fervore della pietà e la preghiera pura. Sta scritto infatti: La preghiera del giusto penetra i cieli. E chi è giusto se non Maria, dalla quale è nato il nostro Sole di giustizia? Proprio bussando e cercando, ella si è accostata all'inarrivabile maestà di Dio e, alla fine, ottenne quel che cercava. Hai trovato grazia presso Dio, le aveva detto l'angelo. Perché? Se è già piena, di grazia, come può aver trovato ancora grazia? Ma era degna di trovare quel che cercava colei alla quale non basta la propria pienezza, colei che non può essere paga del bene che possiede. Nel libro sacro sta scritto: Quelli che mi bevono, avranno ancora sete. Maria diede a Dio una sovrabbondanza di grazia per la salvezza del mondo. Lo Spirito Santo scenderà su di te, e quel balsamo prezioso si riverserà in te in misura così ricca da traboccare copiosissimo per ogni parte. E' così: noi già lo sentiamo e i nostri volti diventano radiosi: uno sparso unguento è il tuo nome, esclamiamo; e la tua memoria va di generazione in generazione. E ciò non è inutile perdita; il profumo si effonde, ma non si sperde; e quindi le giovanette, cioè le anime semplici, amano e non poco, lo Sposo divino, il cui olio scende non solo fino alla barba, ma arriva fino a toccare i lembi della sua veste.

Avete notato così come il nostro acquedotto sale sino alla fonte; non penetra i cieli soltanto con la preghiera, ma con la verginità, la quale avvicina a Dio. Si tratta infatti di una Vergine santa di corpo e di spirito, a cui ben si addicono le parole: La nostra patria è nei cieli. Santa, ripeto, di corpo e di spirito, perché nessuno nutra dubbi su questo acquedotto: sublime certo, e molto, ma sempre incorrotto; un giardino chiuso, una fonte sigillata, tempio del Signore, tabernacolo dello Spirito Santo. Non si tratta di una vergine stolta rimasta senz'olio nella lampada. Maria ha il vaso pieno d'olio, cioè il cuore e la parola colmi di Dio in sublimante preghiera. A Maria, perciò si rivolgeva il canto ispirato del libro sacro: Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna.. fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati? Maria infatti sta al di sopra del genere umano, oltre gli angeli e qualsiasi altra creatura celeste; bisogna che ella attinga al di sopra degli angeli quell'acqua viva che deve poi riversare sugli umani. Vediamo come Maria si elevò fino agli angeli per la sua pienezza di grazia e come superò gli angeli per la venuta dello Spirito Santo in lei. Negli angeli c'è carità, purezza e umiltà. E quale di queste virtù brillò in Maria? L'abbiamo già spiegato sopra così come ci fu possibile. Vediamo ora qualcosa di più. A chi mai degli angeli è stato detto: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la suo ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio La verità, dunque, è nata dalla natura umana, non da quella angelica: non la natura degli angeli, ma il seme di Adamo essa prese. E' grande l'angelo quale ministro di Dio; ma è sublime Maria, perché madre del Signore. Pertanto la maternità di Maria è gloria eminentissima, tanto più eccellente rispetto agli angeli per il suo singolare privilegio, quanto più è diverso il suo titolo di Madre da quello, proprio degli angeli, di ministri di Dio. Maria, già piena di grazia, ebbe questa grazia: lei fervente nella carità, integra nella verginità, pia nell'umiltà, ebbe la grazia di diventare madre senza intervento dell'uomo e senza dolore nel parto. Ma è ancora poco. C'è di più: quel che è nato in lei si chiama il Santo ed è il Figlio di Dio.

Augustinus
01-01-05, 21:13
E' stupendo contemplare Maria posta sulle altezze. Nulla eguaglia Maria; tranne Dio nulla è più grande di lei. A Maria Dio diede il Figlio suo unico, che dal suo seno aveva generato uguale a sé stesso e che amava come sé stesso; e da Maria plasmò il Figlio, non un altro, ma il medesimo, in modo che secondo la natura fosse l'unico e medesimo figlio comune di Dio e di Maria. Dio creò ogni creatura, e Maria generò Dio; Dio che aveva creato ogni cosa, si fece lui stesso creatura di Maria, e ha ricreato così tutto quello che aveva creato. E mentre aveva potuto creare tutte le cose dal nulla, dopo la loro rovina non volle restaurarle senza Maria. Dio dunque è il padre delle cose create, Maria la madre delle cose ricreate. Dio è padre della fondazione del mondo, Maria la madre della sua riparazione; poiché Dio ha generato colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, e Maria ha partorito colui per opera del quale tutte le cose sono state salvate. Dio ha generato colui senza del quale niente assolutamente è, e Maria ha partorito colui senza del quale niente è bene. Davvero con te è il Signore. il quale volle che tutte le creature e lui stesso insieme, dovessero tanto a te.

Cielo, stelle, terra e fiumi, giorno e notte e tutte le creature sottoposte al potere dell'uomo o disposte per sua utilità, si rallegrano, o Signore, di essere stati per mezzo tuo in certo modo risuscitati allo splendore che avevano perduto, e di aver ricevuto una grazia nuova, inesprimibile. Erano tutte come morte le cose, poiché avevano perduto la dignità originale alla quale erano state destinate. Loro fine era di servire al dominio o alle necessità delle creature cui spetta di elevare la lode a Dio. Erano schiacciate dall'oppressione e avevano perso vivezza per l'abuso di coloro che si erano fatti servi degli idoli. Ma agli idoli non erano destinate. Ora invece, quasi risuscitate, si rallegrano di essere rette dal dominio e abbellite dall'uso degli uomini che lodano Dio. Hanno esultato come di una nuova e inestimabile grazia, sentendo che Dio stesso, lo stesso loro Creatore, non solo invisibilmente le regge dall'alto, ma anche. presente e visibile tra di loro, le santifica servendosi di esse. Questi beni così grandi sono venuti dal frutto benedetto del grembo benedetto di Maria benedetta.

Potrei essere pago, o Madre di Dio, di dire che i tuoi benefici riempiono l'universo quando invece penetrano negli inferì e svettano più alti del cielo? Per la pienezza della tua grazia anche le creature che erano negli inferi si rallegrano nella gioia di essere liberate, e quelle che sono sulla terra, gioiscono dì essere rinnovate. Invero per il medesimo glorioso Figlio della tua gloriosa verginità, esultano, liberati dalla loro prigionia, tutti i giusti che sono morti prima della sua morte vivificatrice, e gli angeli si rallegrano perché è rifatta nuova la loro città diroccata. 0 Donna piena e sovrabbondante di grazia. ogni creatura rinverdisce, inondata dal traboccare della tua pienezza. 0 vergine bella per il nostro sguardo, amabile a contemplarti, dolcissima da amare, tu superi ogni capacità del mio cuore.

Vergine santa, tu sei la madre della giustificazione e dei giustificati, della riconciliazione e dei riconciliati, madre della salvezza e dei salvati. Beata certezza e rifugio garantito! La madre di Dio è nostra madre. La madre del nostro unico motivo di sperare e temere è madre nostra. Madre benedetta ed esaltata non soltanto per te ma anche per noi, che vedo arrivarci per opera tua? Qualcosa di enorme, degno d'amore! Questa vista mi colma di una gioia inesprimibile. Se tu, Maria, sei madre di Dio, gli altri tuoi figli non sono forse suoi fratelli? Ma quali fratelli e di chi? Oserò proferire quel che fa esultare il mio cuore o tacerò per tema di sembrare presuntuoso? Eppure quel che credo così ardentemente, perché non proclamarne le lodi? Parlerò allora non per vanità ma per gratitudine. Infatti colui che nascendo da una madre, volle condividere la nostra natura e, restituendoci la vita, renderci figli della madre sua, proprio lui ci invita a riconoscerci suoi fratelli. Il nostro giudice è quindi nostro fratello. Il Salvatore del mondo è nostro fratello. In una parola, il nostro Dio si è fatto, grazie a Maria, nostro fratello.

Augustinus
02-01-05, 00:43
Homilia in Dormitione Mariae, 1-4.8.14, in SC 80, 81-119.

La memoria del giusto è in benedizione (Prv 10,7 (LXX)), ci dice il sapientissimo Salomone, e Davide, l'antenato di Cristo,aggiunge Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli (Sal 115,15 (LXX)).
Se il ricordo dei giusti è trasmesso con elogi, come non lodare la fonte della loro giustizia e il tesoro della loro santità? Non per aggiungere qualcosa alla gloria di Dio, ma per penetrare noi nella gloria eterna. La dimora di Dio non ha bisogno di glorificazione da parte nostra, ché su di lei sono state pronunciate parole esaltanti, come quelle che le rivolse il divino Davide, esclamando: Di te si dicono cose stupende, città di Dio (Sal 86,3).
La città del Dio invisibile e illimitato, che contiene l'universo nel cavo della mano, chi è se non Maria? Lei sola ha accolto realmente, in modo soprannaturale e sovressenziale, il Verbo di Dio sovressenziale e illimitato. Per lei sono state dette parole magnifiche dal Signore stesso. E cosa vi è di più glorioso che aver accolto il disegno di Dio?
Né lingua umana né intelligenza supercosmica possono celebrare in modo adeguato Maria, perché in lei contempliamo distintamente riflessa la gloria del Signore. E allora? Rimarremo zitti, trattenuti dal timore, perché non siamo in grado di celebrarla degnamente? Niente affatto.

Con quale titolo inghirlandarti, o sovrana? Con quali espressioni ti saluteremo? Con quale diadema di lodi incoronare il tuo capo santo e glorioso, o donatrice di beni, dispensatrice di ricchezze, splendore del genere umano, orgoglio di tutta la creazione, resa da te tanto beata? Colui che l'universo non poteva contenere, per opera tua ora lo contiene. Colui sul quale non riuscivamo a fissare lo sguardo, ora lo contempliamo a viso scoperto. Aprici, o Verbo di Dio, la bocca restia a parlare; dona alle nostre labbra una parola piena di grazia. Soffia in noi il dono dello Spirito, grazie al quale umili pescatori diventano eloquenti, e illetterati parlano disinvolti della sapienza che supera l'uomo. Allora anche la nostra debole voce proclamerà, sia pur confusamente, le grandezze della tua amatissima Madre.

O Cristo, il Padre ti ha generato fuori del tempo, senza uscire da sé e senza alterazioni, e nel suo piano di benevolenza ha scelto fin dal principio Maria che ti concepì negli ultimi tempi. Ella ha dato carne della sua carne a te, nostra propiziazione e salvezza, nostra giustizia e redenzione, perché sei la vita nata dalla vita e la luce nata dalla luce, Dio vero da Dio vero. Tua madre fu concepita in modo straordinario: la sua nascita oltrepassò la natura e l'intelligenza umana, e portò la salvezza al mondo; la sua dormizione fu gloriosa, davvero santa e degna di lodi. Il Padre l'ha predestinata; i profeti, per mezzo dello Spirito Santo, l'hanno preannunziata; poi la potenza santificatrice dello Spirito l'ha visitata, purificandola, ed è come se l'avesse irrigata.

O Verbo di Dio, tu sei la definizione e la manifestazione del Padre. Hai preso dimora in Maria, senza subire limiti. Hai elevato la nullità della nostra natura sino all'infinita altezza della tua irraggiungibile divinità. Di questa natura umana hai ottenuto le primizie dal sangue totalmente casto, immacolato e purissimo della Vergine santa. In Maria ti sei circondato di una carne dotata di un'anima razionale e intelligente, perché assumendola, potesse sussistere in te. Sei diventato uomo perfetto, senza cessare di essere perfettamente Dio e consostanziale al Padre, ma prendendo la nostra debolezza con ineffabile misericordia.
Poi, sei uscito dal seno materno come un solo Cristo, un solo Signore, un solo Figlio, Dio e uomo insieme, perfetto Dio e perfetto uomo, completamente Dio e completamente uomo, una sola persona in due nature perfette.

O Figlio di Dio, non sei unicamente Dio e semplicemente uomo, ma Dio incarnato, Figlio unigenito, Dio e uomo in una sola persona. Tu presenti in te stesso le proprietà innate delle due diverse nature ipostaticamente unite senza confondersi né separarsi: quella increata e quella creata, quella mortale e quella immortale, quella visibile e quella invisibile, quella circoscritta e quella illimitata. Sei dotato di una volontà divina e di una volontà umana, di un'attività divina e di un'attività umana, entrambe libere, la divina come l'umana. In te ci sono le meraviglie divine e le inclinazioni umane, quelle naturali e innocenti. O Signore, hai assunto il primo Adamo nella sua interezza, libero però dal peccato. Misericordioso come sei, hai accolto un corpo, un'anima, uno spirito e le loro facoltà naturali prima della trasgressione, per salvare tutta la mia persona; è vero infatti che quello che non è stato assunto, non è stato guarito.

O Cristo, tu sei l'unico mediatore tra Dio e gli uomini. Hai annullato l'inimicizia e ricondotto al Padre l'uomo che si era fatto lontano. Hai corretto ciò che si era pervertito, illuminando ciò che era ottenebrato; hai rinnovato ciò che si era infranto, hai reso incorruttibile quello che si era corrotto. Hai liberato la creazione dal mito politeistico. Figli di Dio tu hai reso gli uomini, dichiarando partecipi della tua gloria divina quelli che si erano disonorati. Chi era stato condannato agli inferi, l'hai innalzato sopra ogni principato e potenza; sul trono regale, in te stesso, hai fatto sedere i condannati a tornare alla terra e ad abitare l'Ade. Quale fu lo strumento di questi immensi benefici che oltrepassano ogni pensiero e comprensione? Non forse colei che ti ha generato, la Semprevergine? Vedete, padri e fratelli amati da Dio, la grazia del giorno presente. Vedete la solennità e la grandezza di colei che oggi è celebrata. Non vi incutono tremore questi misteri pieni di meraviglie? Beati coloro che vi sanno cogliere tutto ciò che va contemplato. Beati quelli che possiedono tale sensibilità spirituale.

O incolmabile bontà di Dio! 0 amore ingiustificabile! Colui che chiama all'esistenza ciò che non esiste, che riempie cielo e terra, colui per il quale il cielo è trono e la terra sgabello per i piedi, ha fatto della propria serva una spaziosa dimora e vi realizza il mistero più nuovo. Dio diviene uomo, generato in modo soprannaturale; egli apre il grembo materno senza violare il sigillo della verginità. Viene portato in braccio come un neonato, lui che è del Padre irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (Eb 1,3); lui che sostiene l'universo con la parola della sua bocca. O meraviglie davvero divine! Sono misteri che trascendono la natura e l'intelligenza. Sono privilegi sovrumani della verginità. Qual è questo grande mistero che ti circonda, o santa madre e vergine? Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo (Lc 1,42)! Beata sei fra generazioni di generazioni, l'unica degna di essere chiamata beata.

Anche noi, oggi, ti stiamo dinanzi, o sovrana; sì, lo ripeto, sovrana, madre di Dio e vergine, a noi tu sei di speranza e le nostre anime si legano a te come all'ancora più salda e infrangibile. Ti consacriamo tutta la nostra persona, anima e corpo, e vogliamo onorarti, per quanto a noi è possibile, con salmi, inni e cantici spirituali (Ef 5,19), anche se sarà sempre lode inadeguata. Secondo le Scritture, l'onore reso ai compagni di servitù è segno dell'affetto verso il comune padrone. Come allora oseremmo essere pigri nel lodare la Madre del Signore? Non va ricercato con alacrità l'onore che ti spetta? Non va stimato più prezioso del nostro respiro, perché è fonte di vita? In tal modo potremo testimoniare meglio l'affetto al nostro Signore. Accetta comunque con benevolenza questo desiderio appassionato, sapendo che va oltre le nostre forze. Volgi lo sguardo verso di noi, nobile sovrana, madre del nostro Sovrano. Governa e dirigi il nostro destino, come tu credi; frena l'impeto delle nostre passioni, guidaci al porto senza tempeste della divina volontà, gratificandoci della felicità futura, della dolce illuminazione che scende dal Verbo, il quale in te si è incarnato.

Augustinus
02-01-05, 00:45
Sermo IV in Vigilia Nativitatis Domini, 1, 3-6, in PL 183, 101-103.

Il Verbo ci arreca oggi la consolazione: lui, gaudio e delizia degli angeli, si è fatto salvezza e conforto degli infelici; lui, il re grande e sublime della santa Gerusalemme, riversa la felicità sui suoi abitanti; lui, piccolo e umile nell'esilio, porta la gioia agli esiliati; lui, la gloria del Padre nell'alto dei cieli, dona in terra la pace agli uomini che egli ama. Oggi un piccolo è donato ai piccoli, per renderli grandi e gloriosi, quando, divenuto lui stesso grande e glorioso, potrà giustificarli. Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5). Chi parla così? L'Agnello che siede sul trono, Agnello pieno di tenerezza, di bontà e d'unzione. Egli merita di essere definito pieno d'unzione, perché questo significa il suo nome di Cristo. Verso di chi potrebbe mostrarsi duro e sgradevole quando nascendo non provocò né amarezza né dolore? E' un prodigio nuovo davvero questo casto concepimento, questo venire al mondo indolore.

La maledizione che pesava su Eva non grava più su Maria: ella dà alla luce il figlio senza dolore. La maledizione si cambia in benedizione all'annunzio di Gabriele:
Benedetta tu fra le donne (Lc 1, 42). Maria è davvero beata, perché l'unica libera dalla comune maledizione, la sola a non conoscere le doglie del parto. Non stupitevi, fratelli: poteva apportare sofferenza alla madre colui che doveva portare le sofferenze del mondo? Isaia dice infatti: Egli si è addossato i nostri dolori (Is 53,4). Alla fragilità umana ripugnano due cose: l'umiliazione e il dolore. Cristo ci libera da entrambe, perché se le prende su di sé. Il momento cruciale di questa liberazione fu la sua condanna a morte, alla morte più vergognosa, sentenziata da gente iniqua. Per rassicurarci che davvero ci dona la liberazione, Cristo la anticipò in sua madre con il casto concepimento, con il dare alla luce in modo indolore.

L'orizzonte si espande: ecco la grazia accumulare gloria e ricchezze, producendo nuovi segni, compiendo nuovi miracoli. Non vi è solo un casto concepimento, e un parto indolore, ma la madre conserva l'integrità verginale. La novità è inaudita: una vergine dà alla luce e resta vergine dopo il parto; in lei si coniugano la fecondità e l'integrità, la gioia di diventare madre con l'onore di restare vergine. lo aspetto, ormai pieno di fiducia, la gloria promessa dell'incorruttibilità nella vita definitiva, perché fin da quaggiù Cristo ha preservato sua madre dalla corruzione della verginità. Colui che ha il potere di conservare la verginità della madre al momento della nascita, potrà facilmente rivestire il nostro corpo corruttibile d'incorruttibilità, facendolo risorgere. Ma ecco ricchezze ancora più grandi, una gloria più alta: Se nella madre non è alterata la verginità, nel Figlio è assente ogni traccia di peccato. La maledizione di Eva non si rovescia sulla madre e il Figlio sfugge al destino comune di cui parla il profeta: Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno. (Gb 14,4 (LXX)). Ecco un bambino senza sozzura, il solo che sia tale davvero, perché è la Verità.

L'angelo Gabriele aveva annunziato a Maria: Sarà chiamato figlio dell'Altissimo (Lc 1,32). Sappiamo tutti chi è l'Altissimo, ma Gabriele specifica ancora, per togliere ogni ambiguità: Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio (Lc 1,35). Veramente egli è santo! E se il Signore non lascia che il suo Santo conosca la corruzione della carne, ha pure preservato sua madre dalla perdita dell'integrità verginale. Ancora nuovi miracoli, tesori stupendi: colei che dà alla luce è insieme vergine e madre, ma chi viene al mondo è Dio e uomo ad un tempo. Eppure quel tesoro deve rimanere nascosto, solo più tardi sarà manifesto; il concepimento casto è dissimulato dal fidanzamento, il parto indolore è coperto dai vagiti del neonato, l'integrità verginale della madre si occulta dietro la purificazione legale, l'innocenza del bambino è velata dalla tradizionale circoncisione. Nascondi il tuo bambino, o Maria, nascondi il fulgore di questo nuovo sole. Deponilo nella greppia, avvolgilo nelle fasce. Quei panni sono più preziosi della porpora, quella mangiatoia è più gloriosa di un trono regale, perché la povertà di Cristo è ricchezza ineguagliábile rispetto a tutti i tesori del mondo. Cos'è più pregiato dell'umiltà? Che vi è di più prezioso? Con essa si ottiene il regno dei cieli, con essa si acquista la grazia divina.

Augustinus
02-01-05, 09:40
Sermone 72/A, 7

Ecco, fratelli miei, ponete attenzione, ve ne scongiuro, a ciò che dice Cristo Signore stendendo la mano verso i suoi discepoli: Sono questi mia madre e i miei fratelli. E se uno farà la volontà del Padre mio che mi ha inviato, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre (Mt 12,49-50). Non fece forse la volontà del Padre la vergine Maria, la quale per la fede credette, per la fede concepì, fu scelta perché da lei la salvezza nascesse per noi tra gli uomini, e fu creata da Cristo prima che Cristo fosse creato nel suo seno? Santa Maria fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo; vale di più, è una prerogativa felice essere stata discepola anziché madre di Cristo. Maria era felice poiché, prima di darlo alla luce, portò nel ventre il Maestro. Vedi se non è come dico. Mentre il Signore passava seguito dalle folle e compiva miracoli propri di Dio, una donna esclamò: Beato il ventre che ti ha portato! (Lc 11,27). Il Signore però, perché non si cercasse la felicità nella carne, che cosa rispose? Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 11,28). È per questo dunque che anche Maria fu beata, poiché ascoltò la parola di Dio e la mise in pratica. Custodì la verità nella mente più che la carne nel ventre. La verità è Cristo, la carne è Cristo: Cristo verità nella mente di Maria, Cristo carne nel ventre di Maria; vale più ciò che è nella mente anziché ciò che si porta nel ventre. Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che non la vergine Maria. Perché? Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tuttavia un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo, senza dubbio più importante di un membro è il corpo. Il capo è il Signore, e capo e corpo formano il Cristo totale. Che dire? Abbiamo un capo divino, abbiamo Dio per capo.

Augustinus
10-10-05, 14:13
In rilievo.
Trattasi - quello della Divina Maternità di Maria - di un dogma non accettato dai razionalisti, antichi e moderni (QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=216611)).
Che Dio possa toccare i loro cuori, aprendoli a questa sublime Verità.

Aug. :) :) :)

Augustinus
10-10-05, 14:16
http://img462.imageshack.us/img462/12/tiepolomadonnaandchild1759spri.jpg Giambattista Tiepolo, Vergine con Bambino, 1759, Amherst College and Springfiel Quadrangle, Hadley

Augustinus
01-01-06, 11:22
Vigilia di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213999)

Natale del Signore (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149208)

Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149653)

Annunciazione della Beata Vergine Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144748)

Visitazione della Beata Vergine Maria a S. Elisabetta (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144750)

Per la fine dell'Anno civile (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=394467)

Ottava di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149217)

Santissimo Nome di Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=313431)

Dedicazione della Basilica di S. Maria Maggiore o Madonna della Neve (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144760)

S. Cirillo d'Alessandria, Vescovo e dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=354798)

Augustinus
05-01-06, 13:01
LA MONTAGNA SACRA: INCORONATA

Una notte di fine aprile del 1001, il conte di Ariano Irpino sognò di fare una caccia copiosa di selvaggina nel bosco di Cervaro, vicino l'odierna Foggia, e traendo buoni auspici dal sogno, si mise subito in viaggio. L'ultimo sabato del mese, durante una battuta alle prime luci dell'alba, il conte ferì un daino che però nonostante sanguinasse riuscì a fuggire. L'uomo lo inseguì e poco dopo lo trovò inginocchiato ai piedi di una grande quercia. Si avvicinò per prenderlo, ma quando fu sotto la quercia l'albero fu avvolto da una luce abbagliante e da "lampi di fuoco" che sembravano bruciarla. Quella stessa mattina anche Strazzacappa, un pastore del luogo, aveva perso due buoi nel bosco. Anch'egli li ritrovò sotto la quercia, e quando si avvicinò per prenderli fu come il conte folgorato dal grande bagliore, e si ritrasse smarrito. Mentre i due uomini erano in preda allo stupore, una voce si alzò dalla luce. "Non abbiate paura," disse, "io sono Maria, la Madre di Dio. Desidero qui una cappella in mio onore, e io la renderò famosa per le grazie concesse a quanti mi invocheranno con cuore sincero di figli. Pregatemi dunque dinanzi a questa immagine." Quando la voce cessò, anche il bagliore che avvolgeva la quercia scomparve, e fra i rami dell'albero il conte e Strazzacappa videro una Madonna Nera con il Bambino Gesù sulle ginocchia. Quella stessa notte una schiera di angeli e santi scesero nel bosco in una cavalcata celeste e incoronarono la statua che da allora fu conosciuta come Madonna Incoronata, così come il luogo divenne il bosco dell'Incoronata. Dopo l'apparizione il conte di Ariano se ne ritornò nelle sue terre, e qualche tempo dopo si ammalò gravemente. Strazzacappa, invece, per devozione alla Madonna mise dell'olio nella "caldarella", la pentola di rame che usava per cuocere il cibo, e con uno stoppino ne fece una lampada votiva che appese ai rami della quercia. E fu testimone di un secondo prodigio. La fiamma della "caldarella" arse per giorni e mesi senza consumare l'olio. I pellegrini che già venivano in gran numero a pregare la Madonna si unsero allora con l'olio miracoloso e molti di essi che avevano chiesto la grazia furono guariti nel corpo e nell'anima. Il conte di Ariano, ormai in fin di vita, venne a sapere delle proprietà miracolose dell'olio; allora si unse anche lui, e in un istante risanò completamente. Questa volta non mancò di ringraziare la Vergine per il miracolo e sul luogo dell'apparizione fece erigere la prima cappella su cui poi sorgeranno gli edifici che diventeranno il grande e moderno santuario di oggi. La leggenda dell'Incoronata, come si vede, segue uno schema comune a quelle dei santuari garganici. Come la "Sipontina", inoltre, essa è una statua lignea di stile bizantino, di quelle scolpite o dipinte che i monaci basiliani portarono e nascosero in Puglia ai tempi della persecuzione iconoclasta; e come queste ha sulle ginocchia un Bambino Gesù che farà dare loro l'appellativo di Odigitria, "Colei che mostra la via". La statuetta del Bambino dell'Incoronata andò però presto dispersa, insieme alle braccia della Madonna, e mentre queste furono sostituite fin dall'antichità, un nuovo Bambino, anch'esso di legno scuro, è stato posto sul grembo materno il 24 maggio del 1987 da papa Giovanni Paolo II. Di anno in anno viene anche sostituito l'abito riccamente ricamato della Madonna, che il mercoledì precedente l'ultimo sabato d'aprile, giorno della festa dell'Incoronata, viene posto sul "camiciotto" bianco che veste la statua. Il santuario è stato mèta di pellegrini lungo tutto il millennio dalla sua fondazione. Davanti alla Vergine e al "santo legno" - il resto dell'antica quercia dell'apparizione oggi custodito sotto l'altare della cripta - sono venuti a pregare San Francesco d'Assisi e S. Antonio da Padova, S. Vincenzo Ferreri e San Gerardo. Nel 1916, durante la sua breve permanenza nel convento di Foggia, è venuto Padre Pio da Pietrelcina, e ai giorni nostri, come si è detto, Papa Woitila, che della Madonna è particolarmente devoto. Il santuario che i pellegrini visitano oggi - inaugurato nel 1965 - è molto diverso dal modesto monastero di soli cinquant'anni fa. Accogliente e dotato di grandi spazi, esso conserva sotto il porticato sinistro una parte degli innumerevoli ex-voto che i fedeli hanno portato lungo gli anni a testimonianza di grazie ricevute, mentre nella grande aula della chiesa è sospesa una enorme corona - di dieci metri di diametro e quaranta quintali di peso - che porta incisa l'invocazione Salve Regina. Qui, dietro l'altare maggiore, i pellegrini salgono i gradini della "scala santa" che porta alla statua della Vergine, e poi, oggi come mille anni fa, ripetono il rito dell'unzione con l'olio della "caldarella" , che essi stessi portano perché non si spenga mai il lume della Madonna.

Testo: Stefano Tatullo

FONTE (http://www.itineraweb.com/it/gt/ms_incoronata.php)

Augustinus
05-01-06, 13:02
http://www.donbosco-torino.it/image/04/4-Foggia_S_Maria_Incoronata.jpg

Augustinus
05-01-06, 13:05
FOGGIA APRILE 1001: MARIA SANTISSIMA INCORONATA

SIGNORA DI SOVRUMANA BELLEZZA

«Voglio che qui sorga un Santuario in mio onore, senza ori ed ornamenti preziosi. Sarò io a renderlo celebre con le tante grazie che elargirò ai devoti che verranno ad onorarmi».

L’ultima settimana, e più precisamente l’ultimo sabato, del mese d’aprile dell’anno 1001, il conte di Ariano Irpino, uno dei signori della Puglia, dopo una concitata giornata di caccia, passa la notte in una rustica capanna nei pressi del torrente Cervaro, in pieno bosco. Nel cuore della notte viene svegliato di sorpresa dai servi ed amici cacciatori e invitato a fuggire con loro, spaventati da strani bagliori, quasi si tratti di incendio. Il Conte si alza, sorpreso, atterrito, terrorizzato anche lui, ma più che seguire gli amici nella corsa, preferisce accertarsi dello strano fenomeno, e con cautela grande si dirige verso il luogo da dove provengono quei bagliori. Con gran sorpresa, ormai vicino al luogo del «fuoco», il Conte si accorge che quelle che vede non sono fiamme vive, crepitanti di rami di alberi che bruciano, ma fiamme strane di luce, di richiamo. Incuriosito osserva con attenzione, e con meraviglia scorge, in mezzo a quei bagliori, una bellissima Signora, di sovrumana bellezza, splendente di vivissima luce, che, a lui curioso e spaventato, volge il suo dolce sguardo; lo incoraggia e con dolcezza gli dice di non temere perché Lei è la Madre di Dio. Poi, additandogli un grande albero, gli fa vedere su di esso una statua della Madonna dal volto bruno assisa in trono, e aggiunge: «Voglio che qui sorga un Santuario in mio onore, senza ori ed ornamenti preziosi. Sarò io a renderlo celebre con le tante grazie che elargirò ai devoti che verranno ad onorarmi».
In quell’istante giunge nello stesso luogo un contadino, un certo Nicola, soprannominato Strazzacappa, che è diretto al suo lavoro quotidiano; anche lui vede la visione, ode anche lui le parole della meravigliosa Signora e stupisce... quasi estasiato dinanzi a quella visione di cielo.
Scompare intanto la bella e splendente Signora, scompaiono i luminosi bagliori. Il Conte ed il contadino, nell’entusiasmo fraterno si abbracciano uniti negli stessi sentimenti, nella stessa felicità e nel proposito di costruire al più presto una Cappella nel luogo dell’Apparizione, presso quella quercia che, tra i suoi folti rami, mostra la statua di Maria, assisa in trono, con accanto due Angeli che reggono sul suo capo una triplice corona, lassù nascosta forse da fedeli devoti per sottrarla alla distruzione, durante la lotta iconoclasta.
Da questo momento cominciano i prodigi nel bosco dell’Incoronata!
La notizia del prodigioso avvenimento, infatti, si divulga in modo sorprendente e i fedeli a migliaia, da tutte le parti, accorrono a vedere, ad onorare, a pregare la Madonna, che, buona e benigna, è prodiga di favori e di grazie verso i suoi figli. Intanto viene costruita una Cappella e la statua della Vergine, rimossa dalla quercia, viene posta «su più dignitoso trono».
L’accorrere incessante di numerosi fedeli suggerisce poi di provvedere alla custodia e cura della Cappella. In un primo tempo, quali custodi, si offrono volontari alcuni eremiti che amano trascorrere la vita solitaria e penitente nei boschi. In seguito giungono i Monaci Basiliani, i quali vi costruiscono locali più ampi per l’abitazione propria e per l’alloggio dei pellegrini, ma nel 1140, per motivi politici, i Monaci sono costretti ad abbandonare il luogo che rimane privo d’assistenza e di custodia. Dopo qualche anno arrivano i Verginiani, guidati da Guglielmo da Vercelli, che vi si stabiliscono, rimettono ordine dappertutto e ingrandiscono in poco tempo sia la Chiesa che il monastero. Quando poi i Verginiani si fondono con i Cistercensi l’ormai celebre monastero passa alla cura di questi monaci. Varie, e piuttosto dolorose, sono le sorti secolari del Santuario.
Solo nel 1929, dopo il Concordato tra la S. Sede e lo Stato Italiano, l’Incoronata torna sotto la giurisdizione ecclesiastica e il Vescovo del tempo, Mons. Fortunato Maria Farina, coadiuvato da Sacerdoti secolari, ne assume tutta la responsabilità, finché nel 1950 l’affida definitivamente ai figli di D. Orione con piena libertà d’azione e serio impegno di ripristinarlo, riordinarlo e farlo tornare all’antico splendore.
Abbattute le pericolanti mura, essi rifanno sia la Chiesa che gli annessi locali; costruiscono un Seminario, un centro di Spiritualità ed ampi spazi per i pellegrini, rendendolo un moderno ed attrezzato Santuario, elevato da Paolo VI il 31 maggio 1978 alla dignità di Basilica minore.
Lungo è l’elenco dei visitatori insigni che attraverso i secoli sono venuti ai piedi dell’Incoronata per renderLe onore ed implorare grazie. Tra di essi sono da ricordare: San Francesco d’Assisi; San Tommaso d’Aquino, San Francesco da Paola, Sant’Antonio da Padova, San Vincenzo Ferreri, San Bernardino da Siena, Sant’Alfonso e San Gerardo.
L’Incoronata però rimane il Santuario della povera gente: dei pastori, dei montanari, dei contadini che, nelle gravi necessità, ricorrono alla Vergine, l’invocano e, tante volte la loro fede viene premiata in modo meraviglioso (1).

Don Mario Morra

(1) Giovanni D’Onorio De Meo, L’Incoronata di Foggia, Edizioni Santuario dell’Incoronata, Foggia 1975.

FONTE: Rivista di Maria Ausiliatrice, 2004, fasc. n. 4 (http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/calendario/04-05/4-Foggia_S_Maria_Incoronata.html)

Augustinus
05-01-06, 13:06
http://www.preghiereagesuemaria.it/immaginisacre/madonna_dell'incoronata.jpg

Augustinus
05-01-06, 13:11
http://img233.imageshack.us/img233/4404/momchildyh7.jpg

Augustinus
05-01-06, 13:19
http://puffin.creighton.edu/jesuit/andre/images/incarnate_word.jpg

http://www.stinnocent.net/images/Theotokos.gif

http://www.theotokos.co.za/adventism/MotherofGodFull.jpg

Augustinus
05-01-06, 14:13
http://img232.imageshack.us/img232/2624/reginaangelorum4rl.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine con Bambino ed angeli, 1900, Musée du Petit Palais, Parigi

http://img232.imageshack.us/img232/4683/lamadoneauxroses7ai.jpg Adolphe William Bouguereau, Madonna delle Rose, 1903, Museum Jay Gould, Lyndhurst Castle, Tarrytown

http://www.cattolicesimo.com/ImmSacre/boug1.jpg Adolphe William Bouguereau, Madonna assisa, 1888, Art Gallery of South Australia, Adelaide

http://img232.imageshack.us/img232/9567/laviergelenfantjesusetsaintjea.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine con Bambino e S. Giovanni Battista, 1875, Collezione privata

http://img232.imageshack.us/img232/6721/linnocence1lp.jpg Adolphe William Bouguereau, L'innocenza, 1893, Collezione privata

http://img232.imageshack.us/img232/1272/laviergeaulys2dt.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine dei gigli, 1899, Collezione privata

Augustinus
05-01-06, 14:35
http://img232.imageshack.us/img232/5369/laviergelenfantjesusetsaintjea1.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine con Bambino e S. Giovanni Battista, 1881, Herbert F. Johnson Museum of Art Cornell University

http://www.cattolicesimo.com/ImmSacre/boug3.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine con gli angeli, 1881, Museum at Forest Lawn Memorial-Park, Glendale

http://img232.imageshack.us/img232/5552/saintefamille2jz.jpg Adolphe William Bouguereau, Sacra famiglia, 1863, Collezione privata

http://img232.imageshack.us/img232/3327/laviergealagneau2mx.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine con Bambino ed agnello, 1903, Collezione privata

http://img232.imageshack.us/img232/1619/notredamedesanges1al.jpg Adolphe William Bouguereau, Nostra Signora degli Angeli, 1889, Collezione privata

http://www.cattolicesimo.com/ImmSacre/boug2.jpg Adolphe William Bouguereau, Vergine Consolatrice, 1875, Les Musées de la Ville, Strasburgo

Augustinus
31-12-06, 18:38
http://img175.imageshack.us/img175/8492/maria1dl2.jpghttp://img175.imageshack.us/img175/9400/maria2fm4.jpg
http://img294.imageshack.us/img294/6383/maria3eu8.jpghttp://img151.imageshack.us/img151/7778/maria4gj9.jpg
http://img151.imageshack.us/img151/7784/maria5ha3.jpghttp://img101.imageshack.us/img101/4014/maria6pf0.jpg
http://img101.imageshack.us/img101/1981/maria7xv4.jpghttp://img151.imageshack.us/img151/2775/maria8mg1.jpg Franz Ittenbach, Madonna con Bambino ovvero Mater amabilis, 1855, Institute of Arts, Minneapolis

Augustinus
31-12-06, 22:05
Maria Santissima Madre di Dio

Mariologia e Cristologia

La Vergine Maria è innanzitutto la Madre del Verbo Incarnato, la Madre di Dio. Questo è il suo titolo principale e il fondamento di tutti i suoi privilegi. Possiamo quindi dire che la mariologia, almeno nel suo aspetto essenziale, è una parte della cristologia. Già S. Tommaso infatti tratta di Maria Santissima nella parte della Somma Teologica dedicata al mistero di Cristo. Il fatto poi che la trattazione di Maria sia stata inserita dal Concilio nella Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa non deve trarre in inganno. Scrive G. Söll:

«L'inserimento della dottrina mariana nello schema della Costituzione sulla Chiesa avvenne in conseguenza della volontà della maggioranza del Concilio di non elaborare alcuno schema proprio per Maria, e il fatto non può perciò essere inteso come un'assegnazione, confermata dal Magistero, della dottrina mariana all'ecclesiologia. Il luogo genuino della trattazione di questa parte della dogmatica, giustificato dalla storia dei dogmi, resta il trattato sulla persona e l'opera salvifica del Redentore».

Del resto questo fatto è ricordato anche dai Sommi Pontefici, come ad esempio da Pio XII, che scrive:

«Da questo sublime ufficio di Madre di Dio, come da arcana fonte limpidissima, sembrano derivare tutti quei privilegi e quelle grazie che adornarono in modo e misura straordinaria la sua anima e la sua vita».

Identico il pensiero di Paolo VI:

«Questa dignità e gloria della Madre di Dio non ha pari tra le creature, ed è per Maria un sommo titolo di onore, poiché nella divina maternità trovano fondamento tutti i privilegi e le prerogative di Maria».

Il Cardinale Suenens riporta il pensiero di un teologo ortodosso, Aleksander Schmeman:

«Affrontando il tema in modo alquanto paradossale, dirò che se null'altro fosse rivelato nella Scrittura all'infuori del fatto puro e semplice dell'esistenza di Maria, e cioè che Cristo, Dio e uomo, ha una madre e che il nome di questa era Maria, già questo fatto sarebbe sufficiente perché la Chiesa l'ami, la pensi in relazione al figlio e tragga conclusioni teologiche da questa contemplazione. Non abbiamo nessun bisogno di rivelazioni supplementari o speciali: Maria è una dimensione evidente ed essenziale del Vangelo stesso».

Vogliamo vedere dunque se, e perché, e in che senso Maria può e deve essere detta Madre di Dio, e cominciamo a esaminare la Sacra Scrittura.

I fondamenti biblici del titolo «Madre di Dio»

La formula «Madre di Dio» non appare esplicitamente nella Sacra Scrittura, ma in essa sono affermate nel modo più chiaro due verità: la prima è che Gesù è veramente Dio; la seconda è che Gesù è veramente figlio di Maria. A questo punto la logica ci obbliga a porre questo sillogismo:

Gesù è Dio;
Maria è la madre di Gesù:
quindi Maria è la madre di Dio.

Tuttavia possiamo trovare nella Scrittura anche delle formulazioni praticamente equivalenti a quella di «Madre di Dio». E procediamo secondo il probabile ordine cronologico dei testi scritturali.

In S. Paolo, come già abbiamo visto nel Primo Capitolo della Prima Parte, leggiamo (Gal 4,4): «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna». Ora, qui il termine «Figlio» è usato in senso forte. Gesù di Nazaret non è soltanto un uomo particolarmente caro a Dio, ma è il Figlio di Dio in senso vero e proprio. È l'Unigenito del Padre. Ora, questo Figlio è nato da una donna: quindi questa donna è sua madre. Così questa donna, madre del Figlio di Dio, che è Dio lui stesso, è la madre di Dio.

In S. Paolo c'è anche un altro testo bellissimo (Rm 9,5): «Da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli». Questo Dio benedetto nei secoli, che è Gesù, proviene dagli Israeliti secondo la carne, cioè secondo la generazione umana, e ciò avviene attraverso Maria, di cui egli è figlio. Quindi Maria è la Madre di colui che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. È quindi Madre di Dio.

In Mc 6,3 leggiamo: «Non è costui il figlio di Maria?». Gesù è il figlio di Maria. Ma Gesù, come noi sappiamo, è Dio. Quindi Maria è la Madre di Dio.

Nel passo di S. Matteo dedicato all'annunzio a Giuseppe (1,18-25) appare chiaramente che il bambino concepito da Maria ha caratteri divini. «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». L'espressione «il suo popolo» è molto forte. Il popolo di Dio è diventato il popolo di Gesù. Quindi Gesù è quello stesso Dio a cui apparteneva il popolo di Israele.

«Dai suoi peccati». Chi può salvare dai peccati se non Dio solo? (cf. Mc 2,7). Qui appare chiaramente che Gesù è il Dio Salvatore, che redime dal peccato il popolo di sua proprietà.

«Emmanuele... Dio con noi». È veramente Dio colui che dirà: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

In S. Luca, come abbiamo già visto a suo tempo, Maria è presentata come madre di Dio o attraverso allusioni all'Antico Testamento (la nuova tenda in 1,35 e la nuova arca in 1,39-44.56), oppure con una professione esplicita da parte di Elisabetta. Infatti, come abbiamo visto, l'espressione «la madre del mio Signore» è equivalente a «la madre del mio Dio». Fra tutti i testi biblici è questo il più diretto e formale.

In S. Giovanni infine Maria è sempre indicata dall'Evangelista come «la madre». La madre di chi? Del Verbo incarnato, di quel Verbo che era presso Dio e che è Dio (1,1.14).

I Santi Padri

Le due verità che abbiamo enunciato, che cioè Gesù è veramente Dio e Maria è la sua vera madre sono presenti nei Santi Padri sin dagli inizi, anche se non compare subito l'espressione «Madre di Dio». Come abbiamo già accennato a suo tempo, forse questa formula compare in Origene, quindi nella prima metà del III secolo. Essa è attestata anche dalla più antica preghiera mariana che si conosca: «Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genetrix...» (Sotto la tua protezione ci rifugiamo, o santa Madre di Dio...), che risale probabilmente al III secolo. All'inizio e nel corso del IV secolo la formula viene usata, soprattutto nell'ambiente alessandrino, anche con l'aggiunta di spiegazioni. La troviamo in Alessandro di Alessandria, Eusebio di Cesarea, Costantino Imperatore, Giuliano l'Apostata («Voi non cessate di chiamare Maria Madre di Dio», egli scrive), S. Atanasio, S. llario, S. Efrem, S. Basilio, S. Cirillo di Gerusalemme, S. Gregorio Nazianzeno, S. Zeno di Verona, S. Gregorio Nisseno, S. Ambrogio, S. Epifanio. Nel V secolo poi, anche prima del Concilio di Efeso (431), l'uso diventa comunissimo e frequente.

L'eresia di Nestorio

Nestorio, eletto patriarca di Costantinopoli nel 428, a un certo punto, nelle sue prediche, inizia a combattere il titolo di Theotókos (Madre di Dio). Per quale motivo? Sentiamo le sue parole:

«Dovunque le Scritture fanno menzione dell'economia del Signore, esse attribuiscono sempre la nascita e la sofferenza non alla divinità, ma all'umanità di Cristo, di modo che, a voler parlare esattamente, si deve chiamare la Vergine Madre di Cristo (Christotókos) e non Madre di Dio (Theotókos). Ascolta il Vangelo che grida: "Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo" (Mt 1,11). È evidente che il Dio Verbo non era figlio di Davide. Ascolta ancora, se vuoi, un'altra testimonianza: "Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, chiamato Cristo" (Mt 1,16) (...)».

«È bene e conforme alla tradizione evangelica confessare che il corpo è il tempio della divinità del Figlio, tempio che gli è unito da una suprema e divina congiunzione, fino al punto che la natura divina fa proprio ciò che appartiene a questo tempio. Ma, col pretesto di questa appropriazione, l'attribuire (al Verbo) le proprietà della carne che gli è unita, voglio dire la nascita, la sofferenza e la morte, questo è, fratello mio, il fatto di una mente fuorviata dagli errori dei Greci, o malata della follia di Apollinare, di Ario o di altre eresie, o di qualche malattia ancora più grave. Infatti, coloro che si lasciano attrarre da questa parola di appropriazione dovranno necessariamente dire che il Dio Verbo, per appropriazione, è stato allattato, è cresciuto un po' alla volta, e nel momento della passione ha avuto paura e ha avuto bisogno dell'aiuto di un angelo. E non parlo della circoncisione, del sudore, della fame; tutto ciò che ha subito per noi nella carne che gli è unita è adorabile; ma l'attribuirlo alla divinità è una menzogna che ci farebbe giustamente accusare di calunnia».

Da questo brano risulta chiaramente che Nestorio non ha un'esatta nozione dell'Incarnazione del Verbo. Noi diciamo che la persona del Verbo, che dall'eternità possedeva la natura divina, ha veramente assunto anche una natura umana («il Verbo si è fatto carne», Gv 1,14), per cui ciò che appartiene alla natura umana va attribuito alla persona divina del Verbo che la ha assunta. Così noi possiamo e dobbiamo dire che il Verbo è nato a Betlemme, ha patito, è morto, è risorto (naturalmente non in quanto Verbo, ma in quanto uomo). Ma siccome il Verbo è Dio, così noi possiamo e dobbiamo dire che Dio è nato a Betlemme, ha patito, è morto, è risorto (sempre secondo la natura umana assunta).

Ciò che Nestorio nega è quindi la «comunicazione degli idiomi» (communicatio idiomatum), cioè la possibilità di attribuire all'unica Persona del Verbo non solo le proprietà della natura divina, ma anche quelle della natura umana. Nestorio nega tale possibilità poiché pone in Cristo non solo due nature, ma anche due persone, una divina e una umana. Ciò che compete alla natura umana va quindi attribuito alla sola persona umana, e non a quella divina. Così dobbiamo dire, secondo Nestorio, che colui che nasce a Betlemme, che patisce, che muore, che risorge, è la persona umana di Gesù, non la sua persona divina. Quindi la persona divina del Verbo, sempre secondo Nestorio, non è nata a Betlemme. Quindi Maria non è sua madre. Maria è madre soltanto della persona umana di Gesù, è madre dell'uomo Gesù. Quindi non è madre di Dio.

Da ciò si vede facilmente come la negazione della maternità divina di Maria non è che un caso particolare, un'applicazione concreta della negazione della comunicazione degli idiomi.

La risposta di S. Cirillo Alessandrino

A questa tesi di Nestorio si contrappone il suo grande avversario, S. Cirillo Alessandrino, che insiste invece sull'unità del Verbo incarnato. Il suo pensiero traspare chiaramente da questo passo della sua seconda lettera a Nestorio, che riportiamo:

«Noi non diciamo che la natura del Verbo si è trasformata in un uomo completo composto di anima e di corpo, ma piuttosto questo: il Verbo, unendo a sé secondo l'ipostasi (cioè la persona) una carne animata da un'anima razionale, è divenuto uomo in modo indicibile e incomprensibile, e si è chiamato Figlio dell'uomo, non soltanto per volontà, né per compiacenza, e neppure assumendone solo il personaggio (prósopon). Differenti sono le nature che si sono incontrate in una vera unità, ma dalle due risulta un solo Cristo e Figlio; la differenza delle nature non è soppressa dall'unione, ma anzi, la divinità e l'umanità formano per noi un solo Signore e Figlio e Cristo, per il loro incontro indicibile e ineffabile nell'unità».

«Così, quantunque sussista prima dei secoli e sia stato generato dal Padre, è anche detto che è stato generato secondo la carne da una donna; non che la natura divina abbia cominciato a essere nella Vergine, né che abbia avuto necessariamente bisogno di una seconda nascita per mezzo di essa, dopo quella che aveva ricevuto dal Padre (infatti è leggerezza e ignoranza dire che Colui che esiste prima dei secoli e che è coeterno con il Padre abbia bisogno di una seconda generazione per esistere), ma siccome è stato per noi e per la nostra salvezza che ha unito a sé l'umanità secondo l'ipostasi, ed è nato da una donna, si dice che è stato generato da lei secondo la carne. Infatti non è stato un uomo ordinario a venire prima generato da Maria e sul quale poi sarebbe venuto a posarsi il Verbo, ma il Verbo, essendosi unito all'umanità fin dal grembo di Maria, si dice che ha accettato una nascita carnale, avendo rivendicato per sé la nascita dalla sua carne (...)».

«Ecco perché hanno osato chiamare Theotókos la Vergine Maria: non nel senso che la natura del Verbo, ossia la sua divinità, abbia preso da Maria il principio della sua esistenza, ma siccome è nato da lei questo santo corpo animato da un'anima razionale a cui il Verbo si è unito secondo l'ipostasi, si dice che da lei il Verbo è stato generato secondo la carne».

Il Concilio di Efeso

Il Concilio di Efeso (431) fa sostanzialmente sua la tesi di S. Cirillo e condanna quella di Nestorio: afferma innanzitutto il dogma dell'unità di Cristo, in un'unità secondo l'ipostasi, cioè secondo la persona, e di conseguenza afferma che Maria deve essere detta «Madre di Dio» (Theotókos).

È importante notare che «la definizione dogmatica di Efeso fu prima di tutto cristologica, ma in conseguenza fu anche mariologica. Quando fu definito il carattere personale divino dell'uomo Cristo, la maternità di Maria fu definita come divina».

Scrive molto bene Max Thurian:

«Il dogma di Efeso ha essenzialmente una portata cristologica: Maria non è chiamata "Madre di Dio" per glorificare la sua persona, ma a causa di Cristo, affinché la verità sulla persona di Cristo sia pienamente messa in luce. Anche là Maria è Serva del Signore; il dogma che la concerne è al servizio della verità che riguarda suo Figlio, il Signore. Il Concilio di Efeso, chiamandola Madre di Dio, riconosce in Cristo due nature, umana e divina, e una sola Persona: esso riconosce così la realtà dell'Incarnazione fin dal concepimento miracoloso del Figlio di Dio nella Vergine Maria».

Il Concilio di Calcedonia, nel 451, riprenderà l'affermazione di Efeso:

«Seguendo i Santi Padri noi proclamiamo tutti con una sola voce un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo (...), generato dal Padre prima dei secoli quanto alla sua divinità, ma negli ultimi giorni, per noi e per la nostra salvezza, generato da Maria Vergine, Madre di Dio, quanto alla sua umanità» (DS 301).

Il medesimo insegnamento verrà ripreso da Giovanni II († 535), dai Concili Costantinopolitano II (553) e III (681) (DS 401, 427, 555) fino al Vaticano II compreso.

Non si tratta di una definizione diretta e formale dal punto di vista giuridico, ma dato che il termine Theotókos è stato assunto solennemente dai Concili ecumenici e accolto senza discussione, esso appartiene senza dubbio al deposito della Rivelazione. Che Maria sia Madre di Dio è quindi una verità di fede.

Volendo a questo punto riassumere ed esprimere l'insegnamento della Chiesa in una formulazione semplice possiamo dire così: Che cosa significa che Maria è Madre di Dio? Non significa certamente che ha generato la divinità, cosa che sarebbe priva di senso, perché la creatura viene sempre dopo il Creatore. Significa invece che ha dato la natura umana al Verbo di Dio, cioè alla seconda Persona della Santissima Trinità, che è Dio. Ma dare la natura umana al Verbo significa generarlo secondo la natura umana, significa essergli Madre. Quindi Maria è Madre del Verbo, che è Dio, cioè è Madre di Dio. Più brevemente ancora: che Maria sia Madre di Dio significa semplicemente che gli ha dato la natura umana.

Ricchezza della formula «Madre di Dio»

C'è un detto antichissimo, e che entrò anche nel Breviario Romano, secondo cui Maria è la vincitrice di tutte le eresie: «Tu sola cunctas haereses interemisti in universo mundo» (Tu sola hai distrutto tutte le eresie in tutto quanto il mondo). Ora, ciò si verifica perfettamente rispetto alle prime tre grandi eresie cristologiche, che Maria distrugge col suo essere proclamata «Madre di Dio».

La prima grande eresia cristologica fu l'Arianesimo. Secondo Ario il Verbo, la seconda Persona della Santissima Trinità, non sarebbe veramente Dio, ma solo una creatura eccelsa, una specie di superangelo. In questo caso Maria non può evidentemente essere detta Madre di Dio, poiché il Verbo, di cui è Madre, non è Dio. Quindi quando noi diciamo che Maria è Madre di Dio distruggiamo l'eresia di Ario.

La seconda grande eresia fu il Nestorianesimo, di cui abbiamo già parlato. Nestorio ammette sì che il Verbo sia Dio, ma dice che non ha assunto la natura umana nell'unità della persona, per cui in Cristo vi sono due persone, quella umana e quella divina, unite solo in senso morale. Maria sarebbe così la madre della persona umana di Gesù, ma non del Verbo, quindi non di Dio. Infatti, come abbiamo visto, Nestorio rifiutava decisamente questa formula. Dicendo quindi che Maria è Madre di Dio noi distruggiamo l'eresia di Nestorio (ed è proprio quello che ha fatto il Concilio di Efeso).

Qualche anno dopo sorge un'altra grande eresia, di segno opposto, l'eresia monofisita. Secondo i monofisiti (monofisismo significa: una sola natura), in Gesù Cristo c'è la persona divina del Verbo con la sua natura divina, ma non c'è una vera umanità, poiché la natura umana è stata come assorbita da quella divina. L'umanità di Gesù è quindi un'umanità apparente. Gesù sembra un uomo, ma non è un vero uomo. In lui c'è soltanto la natura divina e non c'è quella umana. Ora, se le cose stanno così, come fa Maria a essere sua madre? Una donna per essere madre deve comunicare una vera umanità, una vera natura umana. Se l'umanità di Gesù è un'umanità apparente, anche la maternità di Maria nei suoi riguardi sarà una maternità apparente. Quindi se noi accettiamo il monofisismo non possiamo dare a Maria il titolo di «Madre di Dio». Se invece noi affermiamo questo titolo, veniamo a distruggere anche questa eresia.

Così dunque Maria, quando viene proclamata Madre di Dio, distrugge davvero tutte le eresie cristologiche.

La ricchezza e la profondità della formula «Madre di Dio» appare anche considerando le cose da un punto di vista positivo.

Tutta la fede cristiana riguardo al Verbo Incarnato può essere sintetizzata così: Gesù è insieme vero Dio e vero uomo. Dicendo che Maria è Madre «di Dio» diciamo che Gesù è vero Dio; dicendo che Maria è «Madre» di Dio diciamo che Gesù è vero uomo; e diciamo anche che in lui la divinità e l'umanità sono unite nella stessa persona.

Il fondamento della relazione di maternità

Se Maria è Madre di Dio, ciò significa che vi è una relazione fra lei e Dio, più precisamente fra lei e la persona divina del Verbo. Qual è il fondamento di questa relazione? È l'atto generativo di Maria riguardo a Gesù, al Verbo incarnato. Vogliamo quindi considerare qual è l'apporto dato da Maria nella formazione dell'umanità di Cristo. Grazie a questo apporto ella è detta Madre di Cristo, e quindi Madre di Dio.

Ci chiediamo innanzitutto: qual è l'apporto dei genitori nelle generazioni ordinarie? Esso comporta tre elementi: a) l'azione dei genitori (causa seconda) per la formazione del corpo; b) l'azione divina motrice riguardo a questa azione (causa prima); c) l'azione divina creatrice che produce e infonde l'anima. I genitori sono insieme la causa seconda di questa generazione: la causalità di ciascuno è parziale e complementare rispetto a quella dell'altro.

Nel caso di Maria vi è il miracolo della concezione verginale. Con tale miracolo Dio fa sì che l'azione generatrice della donna, che per sua natura è parziale, incapace di produrre quell'effetto che è un nuovo vivente, produca da sola la cellula iniziale del nuovo organismo. Nell'istante stesso della formazione di questa cellula avviene la creazione dell'anima, e con ciò la costituzione di tutta la natura umana, da parte di Dio. Maria è così la Madre di questo nuovo essere vivente che è comparso nel mondo, di questo nuovo uomo: ella è quindi la Madre del Verbo, poiché quest'uomo è il Verbo.

Non è necessario immaginare qualche sopraelevazione dell'azione generatrice di Maria: per il fatto stesso che il Verbo ha assunto una natura umana individuata e del tutto simile alla nostra, ne viene di conseguenza che questa umanità è stata formata da un'azione generatrice naturale (a parte il miracolo della concezione verginale). Questa generazione, anche se verginale, avrebbe prodotto un semplice uomo se non vi fosse stata l'assunzione della natura umana da parte del Verbo.

La relazione di maternità in se stessa

In base al fondamento che abbiamo visto (l'apporto di Maria nella formazione dell'umanità di Gesù), Maria è sua Madre, cioè ha con lui una relazione di maternità. Ma Gesù è Dio, quindi questa relazione rapporta Maria a Dio, o più precisamente al Verbo, alla seconda Persona della Santissima Trinità.

Questa relazione è reale in Maria. Cioè il fatto di essere diventata la Madre del Verbo aggiunge in lei qualcosa, le dona una perfezione che prima non aveva. Viene a questo punto spontaneo chiedersi: nel Verbo sorge una relazione di figliolanza (o di filiazione, per usare un termine più filosofico) nei riguardi di Maria? E se sorge, è una relazione reale o soltanto di ragione? Dobbiamo rispondere che questa relazione sorge, ma è soltanto di ragione, poiché essendo il Verbo Dio, cioè l'Essere perfettissimo, Egli non può ricevere alcun perfezionamento dalle creature. È questa una legge generale che non ammette eccezioni: tutte le relazioni fra Dio e le creature sono relazioni di ragione, a cominciare dalla relazione stessa che nasce dall'atto creativo di Dio. Cioè Dio non ha una relazione reale con il mondo da lui creato. La relazione del Creatore verso la creatura è soltanto di ragione.

Ma allora uno dirà: se la relazione del Creatore verso la creatura è soltanto di ragione e non è reale, ne viene di conseguenza che Dio non è realmente Creatore. Non è vero: Dio è veramente e realmente Creatore, ma non in forza di una relazione reale fra Lui e la creatura, bensì in forza della reale, realissima relazione fra la creatura e Lui.

E così è nel caso di Maria: il Verbo è realmente Figlio di Maria anche se la sua relazione verso di Lei è soltanto di ragione. Infatti è vero Figlio di Maria grazie alla reale, realissima relazione di maternità di Maria verso di Lui.

Che cos'è dunque questa relazione di maternità che si trova in Maria? È qualcosa di straordinario e di unico, per cui il Cardinale Gaetano, il grande commentatore di S. Tommaso, arriva a dire che «Maria ha toccato con la sua operazione i confini stessi della divinità, quando ha concepito, dato alla luce e generato Dio». Qualcosa di simile aveva già detto S. Tommaso, quando aveva scritto che

«l'umanità di Cristo, in quanto è unita a Dio, la beatitudine creata, in quanto è il godimento di Dio, e la Beata Vergine, in quanto è la Madre di Dio, hanno una dignità in certo qual modo infinita, che deriva ad esse dal bene infinito che è Dio. Da ciò consegue che non può essere fatto nulla che sia migliore di queste tre cose, poiché non c'è nulla che sia migliore di Dio» (S. Th., I, q. 25, a. 6, ad 4).

Così da una parte l'azione generatrice di Maria è «naturale» (a parte la concezione verginale), ma da un'altra la maternità che essa fonda è «soprannaturale», poiché raggiunge Dio stesso.

Finora abbiamo considerato la maternità di Maria da un punto di vista puramente fisico e biologico. Ma una maternità che sia veramente umana non si ferma a questo aspetto. Innanzitutto essa comporta l'implicazione di una volontà mossa dall'amore. Una vera madre accoglie liberamente suo figlio con amore. Una madre degna di questo nome deve mettere tutta se stessa in questa maternità.

Inoltre la maternità umana non comporta solo il concepimento, la gestazione e il parto. Essa comporta tutte le cure che il bambino richiede sin da quando viene alla luce, e in seguito la sua educazione da tutti i punti di vista.

Nel caso di Maria poi tutto ciò risulta accentuato dal fatto che Maria è madre vergine, il che significa che l'umanità di Gesù viene unicamente da lei, è un dono esclusivo della madre al figlio. E questo dono è stato fatto nella più totale e perfetta libertà e nel più ardente amore. Da quando ha pronunciato il suo Fiat, Maria è tutta e soltanto di Gesù, e Gesù, come uomo, è tutto e soltanto di Maria. Relazione mirabile!

Scrive molto bene il Melotti: «La genetica moderna ha messo in luce la profondità di azione della madre su tutto l'essere del figlio. Questo influsso ha qui un'intensità eccezionale, poiché Maria è una madre resa feconda da Dio, perfettamente santa ed equilibrata, unica "genitrice". Non si deve temere di dire che Maria ha fornito al Verbo, oltre alla sua carne (caro Christi; caro Mariae, dice S. Agostino) e oltre ai suoi lineamenti fisici, tutto ciò che nell'essere spirituale è condizionato dalla carne: abitudini mentali, una certa qualità di immaginazione, di sensibilità, un dato carattere e temperamento. A partire di qui Maria ha assunto in pienezza il compito materno che va molto più in là della concezione-gestazione-nascita: l'educazione di suo figlio, la formazione della sua anima, come pure quella del suo corpo. Educatrice perfetta di un figlio perfettamente docile (cf. Lc 2,51), quantunque sottomesso innanzitutto al Padre trascendente, Maria lo ha fatto crescere "in statura e in sapienza": iniziazione pratica all'obbedienza, alla sofferenza, il tutto nella luce dell'insegnamento biblico (Gesù è religiosamente istruito dall'Antico Testamento, cf. Lc 2,46-47)».

Scrive a sua volta Ortensio da Spinetoli:

«L'umanità di Gesù, per sé integra e ideale, va assumendo i segni, le note somatiche, ma più ancora le impronte fisico-psichiche, le eredità in una parola, della madre. Anche nel suo spirito, oltre che nel suo fisico, Gesù assomiglia a Maria».

La coscienza di Maria

Trattando della maternità di Maria nei riguardi di Gesù non si può evitare di porsi questo problema: la Vergine Maria era sin dall'inizio cosciente della divinità del bambino da lei concepito e da lei nato? Secondo alcuni autori Maria Santissima era cosciente che quel bambino era il Messia, e anche il Figlio di Dio, intendendo però l'espressione «Figlio di Dio» nel senso di una figliolanza secondo la grazia e l'elezione, com'era nell'uso abituale dell'Antico Testamento.

Romano Guardini, ad esempio, scrive:

«Durante la vita terrena di Gesù Maria non ha ancora riconosciuto in lui il Figlio di Dio nel senso totale della rivelazione cristiana. Prendere parte coscientemente alla vita di un tale essere sarebbe stato al di sopra delle sue forze».

Così la pensano anche altri autori, come Feuillet, Zedda, Galot, Schelkle.

Diversa è invece l'opinione di Laurentin, Lyonnet e altri. Il ragionamento di questi autori si basa sia su motivi esegetici, sia su motivi teologici. I motivi esegetici li abbiamo già accennati nella parte biblica, quando abbiamo visto che dalle parole dell'Angelo, dal saluto di Elisabetta e da altre circostanze Maria poteva intuire che quel bambino da lei concepito era di natura divina. E ciò tenuto conto soprattutto della ricchezza di grazia di cui Maria era ricolma, e quindi della presenza in lei dei doni dello Spirito Santo, in particolare di quelli riguardanti la conoscenza soprannaturale, come i doni della sapienza, dell'intelletto e della scienza. Maria Santissima quindi non soltanto conosceva bene la Bibbia, ma ne coglieva il senso profondo attraverso la sua illuminazione interiore.

Il motivo teologico è che una maternità che sia veramente umana esige di essere consapevole e cosciente. Se Maria non avesse saputo che il suo bambino era veramente Dio, essa sarebbe stata Madre di Dio in senso puramente biologico, non in senso pienamente umano. Per usare il linguaggio filosofico, sarebbe stata Madre di Dio materialmente, non formalmente (materialiter, non formaliter). Scrive M. D. Philippe:

«Se si pretende che Maria nell'Annunciazione non ha creduto alla divinità del Figlio dell'Altissimo, ma soltanto al suo carattere messianico di inviato di Dio, allora bisogna affermare che Maria è soltanto materialmente Madre di Dio».

Si potrebbe anche aggiungere che in questo caso Dio l'avrebbe, in certo qual modo, ... ingannata, facendo sì che divenisse la Madre di Dio senza saperlo, in modo incosciente. Non sembra che questo sia un modo di comportarsi conveniente a Dio, e in particolare al Dio della Rivelazione cristiana, profondamente rispettoso della dignità della persona.

Concedendo dunque che Maria all'Annunciazione comprese che quel bambino che ella era chiamata a concepire era Figlio di Dio nel senso forte della parola, ci chiediamo: quale tipo di conoscenza era quella di Maria, almeno nella fase iniziale? Possiamo rispondere con A. George:

«Maria conosce il legame che esiste tra il Figlio suo e Dio, legame inaudito, unico, che le viene rivelato nella concezione verginale, Essa non ha, però, i concetti intellettuali che le permettano di esprimerlo con chiarezza: ignora gli ulteriori sviluppi teologici, non conosce i termini dei simboli degli Apostoli o di Nicea. Ora, è proprio qui che si trova la risposta alla domanda posta tante volte: Al momento dell'Annunciazione Maria ha creduto nella divinità di suo Figlio? Io rispondo sì senza riserva alcuna. Però essa l'ha pensata nel linguaggio che le era allora accessibile. Non le è stato impartito un corso di teologia mariana; non è questo il modo di Dio... Maria è una mistica che sa, ma non ha la teologia scientifica che le permetta di esprimere la sua esperienza».

Appurato questo punto, possiamo dire che Maria fu la donna unica in cui due sentimenti, in qualche modo apparentati, troveranno la loro esatta coincidenza: l'amore di una madre nei riguardi di suo figlio, e l'amore di una creatura nei riguardi del suo Dio. L'amore materno talvolta diventa adorazione. Il Laurentin riporta due belle citazioni a tale riguardo. La prima è tratta da Basilio di Seleucia († 459):

«Quando ella contemplò quel divino infante, io immagino che, vinta dall'amore e dal timore, parlasse così tra sé: Che nome posso trovare che si convenga a te, figlio mio? Uomo? Ma la tua concezione è divina. Dio? Ma tu hai assunto l'umana incarnazione. Che farò dunque per te? Ti nutrirò di latte o ti celebrerò come un Dio? Avrò cura di te come una madre, o ti servirò come una serva? Ti abbraccerò come un figlio o ti supplicherò come un Dio? Ti offrirò del latte o ti porterò degli aromi?».

L'altro testo è di un autore che mai avremmo pensato che potesse scrivere in questo modo. Si tratta niente meno che di Jean Paul Sartre, il campione dell'ateismo del XX secolo, l'uomo che ha distrutto la fede in intere generazioni di giovani, l'uomo che tanto male ha fatto con i suoi romanzi.

Come mai Jean Paul Sartre ha scritto sulla Madonna? Si era in tempo di guerra, e Sartre era prigioniero. In occasione del Natale fu pregato dai suoi compagni di prigionia di descrivere una scena natalizia. Sartre, il grande romanziere ateo, mosso da un senso di solidarietà verso i suoi compagni, accetta la proposta e scrive, tra l'altro, questa pagina:

«La Vergine è pallida e guarda il bambino. Quel che bisognerebbe dipingere sul suo volto è una meraviglia ansiosa che non è comparsa che una volta su una fisionomia umana. Perché il Cristo è suo figlio, la carne della sua carne e il frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato nove mesi e gli darà il seno, e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E sul momento la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe nelle sue braccia e gli dice: "Piccolo mio"».

«Ma in altri momenti, resta interdetta e pensa: "Dio è qui", ed è presa da un timore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Perché tutte le madri si arrestano a momenti, davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro figlio, e si sentono in esilio davanti a questa vita nuova che si è fatta con la loro vita e che è abitata da strani pensieri. Ma nessun figlio è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, perché egli è Dio e supera da ogni lato ciò che ella può immaginare...».

«Ma io penso che vi siano anche degli altri momenti, rapidi e fuggevoli, in cui lei sente al tempo stesso che il Cristo è suo Figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: "Questo Dio è il mio bambino. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi, e questa forma della sua bocca è la forma della mia, mi assomiglia. Egli è Dio e mi assomiglia". E nessuna donna ha avuto in tal modo il suo Dio per sé sola, un Dio piccolino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira, un Dio che si può toccare e che ride: ed è in uno di questi momenti che io dipingerei Maria se fossi un pittore».

La maternità «divina»

Per esprimere il fatto che Maria Santissima è vera Madre di Dio la teologia, sembra a partire dal XVII secolo, ha coniato l'espressione «maternità divina». La maternità di Maria è una maternità divina. Si tratta di una formula astratta, che tende a far considerare la relazione in se stessa, indipendentemente dal suo soggetto, che è la persona di Maria. Ma a parte questo inconveniente, la formula si presenta assai ricca di contenuto, poiché dice qualcosa di più del semplice fatto che Maria, attraverso la sua maternità, si relaziona in modo tutto speciale, diretto e immediato, al Verbo, che è Dio. Infatti la maternità di Maria appare «divina» anche se è considerata alla luce delle tre Persone della Santissima Trinità.

a) Essa è divina se è vista nella luce del Padre. Infatti la Beata Vergine, in forza della divina maternità, ha conseguito una singolare somiglianza con il Padre. Come il Padre infatti ha generato dall'eternità il Verbo secondo la natura divina, così Maria Santissima lo ha generato nel tempo secondo la natura umana. Come il Padre lo ha generato dalla sua sostanza divina, così la Madre lo ha generato dalla sua sostanza umana. Come il Verbo è l'unico Figlio del Padre, da lui generato verginalmente, così è anche l'unico Figlio della Madre, da lei generato verginalmente. Il tutto è sintetizzato dalle bellissime parole di S. Anselmo: «Il Padre e la Vergine ebbero naturalmente uno stesso Figlio comune» (Naturaliter fuit unus idemque communis Dei Patris et Virginis Filius). Conseguentemente sia il Padre che la Madre, rivolti allo stesso Figlio, possono dirgli in piena verità: «Tu sei mio Figlio». Nessun'altro lo può fare.

b) La maternità di Maria è divina anche se è vista nella luce del Figlio, anzi, lo è soprattutto e in primo luogo sotto questo aspetto. Maria è veramente Madre di Dio, quindi la sua maternità è divina nel suo termine. Qualcuno però potrebbe obiettare: l'attività materna di Maria si esercita nell'ordine corporeo, e non solo essa non genera in alcun modo la divinità, ma Gesù Cristo non riceve da essa la sua personalità divina, che è eterna e preesistente.

A ciò rispondiamo che anche le altre madri non danno ai loro figli né l'anima, che è creata da Dio, né la personalità, che è legata all'anima. Eppure vengono dette madri non del corpo dei loro figli, ma dei loro figli in quanto persone e in quanto dotate di anima e di corpo. Allo stesso modo Maria non è Madre della sola carne di Gesù, ma è Madre di questo Figlio che essa ha concepito e generato. E anche se la persona di Gesù è divina, Maria è veramente Madre di questa Persona, che sussiste nella carne. Ella non è solo Madre del corpo di suo Figlio, ma è, come ogni altra madre, Madre di suo Figlio. È Madre di Gesù, che è Dio.

c) Infine la maternità di Maria è divina anche se è vista nella luce dello Spirito Santo. Gesù infatti fu concepito per opera dello Spirito Santo, il quale agì come causa efficiente nella formazione del suo corpo nel seno di Maria. Maternità divina quindi in quanto operata direttamente da Dio non solo quanto alla creazione dell'anima, ma anche quanto alla formazione del corpo.

La dignità della maternità divina

Vogliamo adesso considerare l'aspetto per così dire «morale» della maternità divina, cioè quello riguardante la dignità che compete alla Beata Vergine per il fatto di essere la Madre di Dio.

Dobbiamo dire che questa dignità è così grande che, dopo quella che compete all'umanità di Gesù, Dio non potrebbe crearne una maggiore. Perché infatti vi possa essere una madre più grande e più perfetta di Maria bisognerebbe che ci fosse un figlio più grande e più perfetto di Gesù, cosa impossibile, non potendovi essere nulla di più grande di Dio. Con la divina maternità Dio ha concesso alla creatura tutto ciò che ad essa si può concedere, dopo l'unione ipostatica.

Ciò risulta anche dal confronto fra questa e le altre dignità create. Ora, è fuori dubbio che la maternità divina supera in dignità tutte le realtà naturali (minerali, vegetali, animali, uomini e angeli considerati secondo la loro natura, prescindendo dalla grazia santificante). Il problema però si pone riguardo alle realtà della grazia. L'ordine della grazia infatti supera talmente l'ordine della natura che S. Tommaso è arrivato a dire che «il bene della grazia di un solo uomo è superiore al bene naturale di tutto l'universo» (S. Th., I-II, q. 113, a. 9, ad 2). Si impone allora il confronto fra la dignità della grazia santificante (che è il germe della gloria) e quella della maternità divina.

È chiaro che se noi consideriamo la maternità divina arricchita di tutte le grazie che la accompagnano, essa è superiore al bene della grazia e della gloria. Ma il problema si pone se consideriamo la maternità divina in astratto, cioè solo in quanto è formalmente maternità e nient'altro. Non mancano in questo caso dei teologi (Vasquez, i Salmanticesi e altri) i quali affermano che l'unione con Dio mediante la grazia e la gloria supera l'unione con Dio mediante la maternità divina. Essi si basano principalmente su due motivi. Il primo si fonda sulla risposta che Gesù diede all'anonima donna del popolo che aveva lodato sua madre «Beato il seno che ti ha portato...»): Gesù infatti risponde che è beato piuttosto «chi ascolta la parola di Dio e la custodisce» (Lc 11,28). Con questa risposta il Signore avrebbe indicato che l'unione della mente con Dio mediante la grazia supera l'unione della creatura con Dio mediante la maternità. Il secondo motivo è che la visione beatifica unisce a Dio in modo immediato, mentre la maternità divina unisce a Dio attraverso l'umanità data al Figlio.

Ciò nonostante la maggioranza dei teologi afferma comunemente che la maternità divina supera incomparabilmente l'ordine stesso della grazia e della gloria. Infatti essa appartiene all'ordine ipostatico, e perciò contiene in sé virtualmente ed esige tutti i privilegi della grazia. Quanto poi alle difficoltà sollevate, dobbiamo dire che la donna anonima del Vangelo non conosceva la maternità divina di Maria, per cui Gesù le risponde mettendosi dal suo punto di vista. Ma anche prescindendo da ciò, bisogna notare che Gesù non parla di dignità, ma di beatitudine. Ora, è chiaro che la beatitudine massima si ha nella visione di Dio, e la maternità divina non è in se stessa beatificante. All'altra difficoltà si risponde invece dicendo che l'unione con Dio data dalla maternità divina è un'unione ontologica e fisica, mentre quella della visione è un'unione intenzionale, cioè posta sul piano conoscitivo. Ora un'unione fisica, anche se mediata, è superiore a un'unione intenzionale, anche se immediata.

Possiamo quindi concludere che la divina maternità supera in dignità ed eccellenza qualsiasi altra dignità creata, compresa la grazia e la gloria.

FONTE (http://www.santorosario.net/mariologia1.htm)

Augustinus
01-01-07, 10:17
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Augustinus
01-01-07, 10:35
http://www.mystudios.com/art/bar/bloemaert/bloemaert-virgin-and-child.jpg Abraham Bloemaert, Madonna con Bambino, 1628, Toronto Art Gallery, Toronto

http://www.marcheworldwide.org/html/crivelliano.jpg http://img249.imageshack.us/img249/1125/commenti0801pm2.jpg Carlo Crivelli, Madonna con Bambino, 1480-86, Pinacoteca Civica, Ancona

http://campus.udayton.edu/mary//gallery/madonna/image9.jpg Carlo Crivelli, Madonna con Bambino, 1472-73, Metropolitan Museum of Art, New York

Augustinus
01-01-07, 10:44
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Augustinus
01-01-07, 11:02
http://img378.imageshack.us/img378/1208/peruginothevirginandchikw9.jpg Pietro Vannucci detto Il Perugino, Madonna con Bambino e Angeli, XV-XVI sec.

http://img451.imageshack.us/img451/7942/madre1su7.jpg Pietro Vannucci detto Il Perugino, Madonna con Bambino e due cherubini, XV sec., Cassa di risparmio di Perugia, Perugia

http://www.beloit.edu/classics/main/courses/fyi2000/museum/renaissance/Virgin_Child-Perugino(p.278)LargerImage.jpg http://img257.imageshack.us/img257/1484/madonnaandchild4448tb6.jpg http://www.studioesseci.net/allegati/mostre/122/NMADONNA_1080A.JPG Pietro Vannucci detto Il Perugino, Madonna della Consolazione, 1496-98, Galleria Nazionale, Perugia

http://www.beloit.edu/classics/main/courses/fyi2000/museum/renaissance/Virgin_Child-Perugino(p.152)LargerImage.jpg http://img257.imageshack.us/img257/13/madonnaandchild4448ly2.jpg Pietro Vannucci detto Il Perugino, Madonna con Bambino, 1500 circa, Institute of Arts, Detroit

http://img146.imageshack.us/img146/4814/madonnaandchild4448xf7.jpg Pietro Vannucci detto Il Perugino, Madonna con Bambino, 1500 circa, National Gallery of Art, Washington

Augustinus
01-01-08, 19:16
Nestorius and Nestorianism

I. THE HERESIARCH

Nestorius, who gave his name to the Nestorian heresy, was born at Germanicia, in Syria Euphoratensis (date unknown); died in the Thebaid, Egypt, c. 451. He was living as a priest and monk in the monastery of Euprepius near the walls, when he was chosen by the Emperor Theodosius II to be Patriarch of Constantinople in succession to Sisinnius. He had a high reputation for eloquence, and the popularity of St. Chrysostom's memory among the people of the imperial city may have influenced the Emperor's choice of another priest from Antioch to be court bishop. He was consecrated in April, 428, and seems to have made an excellent impression. He lost no time in showing his zeal against heretics. Within a few days of his consecration Nestorius had an Arian chapel destroyed, and he persuaded Theodosius to issue a severe edict against heresy in the following month. He had the churches of the Macedonians in the Hellespont seized, and took measures against the Quartodecimans who remained in Asia Minor. He also attacked the Novatians, in spite of the good reputation of their bishop. Pelagian refugees from the West, however, he did not expel, not being well acquainted with their condemnation ten years earlier. He twice wrote to Pope St. Celestine I for information on the subject. He received no reply, but Marius Mercator, a disciple of St. Augustine, published a memoir on the subject at Constantinople, and presented it to the emperor, who duly proscribed the heretics. At the end of 428, or at latest in the early part of 429, Nestorius preached the first of his famous sermons against the word Theotokos, and detailed his Antiochian doctrine of the Incarnation. The first to raise his voice against it was Eusebius, a layman, afterwards Bishop of Dorylaeum and the accuser of Eutyches. Two priests of the city, Philip and Proclus, who had both been unsuccessful candidates for the patriarchate, preached against Nestorius. Philip, known as Sidetes, from Side, his birthplace, author of a vast and discursive history now lost, accused the patriarch of heresy. Proclus (who was to succeed later in his candidature) preached a flowery, but perfectly orthodox, sermon, yet extant, to which Nestorius replied in an extempore discourse, which we also possess. All this naturally caused great excitement at Constantinople, especially among the clergy, who were clearly not well disposed towards the stranger from Antioch. St. Celestine immediately condemned the doctrine. Nestorius had arranged with the emperor in the summer of 430 for the assembling of a council. He now hastened it on, and the summons had been issued to patriarchs and metropolitans on 19 Nov., before the pope's sentence, delivered though Cyril of Alexandria, had been served on Nestorius (6 Dec.). At the council Nestorius was condemned, and the emperor, after much delay and hesitation, ratified its finding. It was confirmed by Pope Sixtus III.

The lot of Nestorius was a hard one. He had been handed over by the pope to the tender mercies of his rival, Cyril; he had been summoned to accept within ten days under pain of deposition, not a papal definition, but a series of anathemas drawn up at Alexandria under the influence of Apollinarian forgeries. The whole council had not condemned him, but only a portion, which had not awaited the arrival of the bishops from Antioch. He had refused to recognize the jurisdiction of this incomplete number, and had consequently refused to appear or put in any defence. He was not thrust out of his see by a change of mind on the part of the feeble emperor. But Nestorius was proud: he showed no sign of yielding or of coming to terms; he put in no plea of appeal to Rome. He retired to his monastery at Antioch with dignity and apparent relief. His friends, John of Antioch, and his party, deserted him, and at the wish of the Emperor, at the beginning of 433, joined hands with Cyril, and Theodoret later did the same. The bishops who were suspected of being favourable to Nestorius were deposed. An edict of Theodosius II, 30 July, 435, condemned his writings to be burnt. A few years later Nestorius was dragged from his retirement and banished to the Oasis. He was at one time carried off by the Nubians (not the Blemmyes) in a raid, and was restored to the Thebaid with his hand and one rib broken. He gave himself up to the governor in order not to be accused of having fled.

The recent discovery of a Syriac version of the (lost) Greek apology for Nestorius by himself has awakened new interest in the question of his personal orthodoxy. The (mutilated) manuscript, about 800 years old, known as the "Bazaar of Heraclides", and recently edited as the "Liber Heraclidis" by P. Bedjan (Paris, 1910), reveals the persistent odium attached to the name of Nestorius, since at the end of his life he was obliged to substitute for it a pseudonym. In this work he claims that his faith is that of the celebrated "Tome", or letter of Leo the Great to Flavian, and excuses his failure to appeal to Rome by the general prejudice of which he was the victim. A fine passage on the Eucharistic Sacrifice which occurs in the "Bazaar" may be cited here: "There is something amiss with you which I want to put before you in a few words, in order to induce you to amend it, for you are quick to see what is seemly. What then is this fault? Presently the mysteries are set before the faithful like the mess granted to his soldiers by the king. Yet the army of the faithful is nowhere to be seen, but they are blown away together with the catechumems like chaff by the wind of indifference. And Christ is crucified in the symbol [kata ton tupon], sacrificed by the sword of the prayer of the Priest; but, as when He was upon the Cross, He finds His disciples have already fled. Terrible is this fault,--a betrayal of Christ when there is no persecution, a desertion by the faithful of their Master's Body when there is no war" (Loofs, "Nestoriana", Halls, 1905, p. 341).

The writings of Nestorius were originally very numerous. As stated above, the "Bazaar" has newly been published (Paris, 1910) in the Syriac translation in which alone it survives. The rest of the fragments of Nestorius have been most minutely examined, pieced together and edited by Loofs. His sermons show a real eloquence, but very little remains in the original Greek. The Latin translations by Marius Mercator are very poor in style and the text is ill preserved. Batiffol has attributed to Nestorius many sermons which have come down to us under the names of other authors; three of Athanasius, one of Hippolytus, three of Amphilochius, thirty-eight of Basil of Selleucia, seven of St. Chrysostom; but Loofs and Baker do not accept the ascription. Mercati has pointed out four fragments in a writing of Innocent, Bishop of Maronia (ed. Amelli in "Spicil. Cassin.", I, 1887), and Armenian fragments have been published by Ludtke.

II. THE HERESY

Nestorius was a disciple of the school of Antioch, and his Christology was essentially that of Diodorus of Tarsus and Theodore of Mopsuestia, both Cilician bishops and great opponents of Arianism. Both died in the Catholic Church. Diodorus was a holy man, much venerated by St. John Chrysostom. Theodore, however, was condemned in person as well as in his writings by the Fifth General Council, in 553. In opposition to many of the Arians, who taught that in the Incarnation the Son of God assumed a human body in which His Divine Nature took the place of soul, and to the followers of Apollinarius of Laodicea, who held that the Divine Nature supplied the functions of the higher or intellectual soul, the Antiochenes insisted upon the completeness of the humanity which the Word assumed. Unfortunately, they represented this human nature as a complete man, and represented the Incarnation as the assumption of a man by the Word. The same way of speaking was common enough in Latin writers (assumere hominem, homo assumptus) and was meant by them in an orthodox sense; we still sing in the Te Deum: "Tu ad liberandum suscepturus hominem", where we must understand "ad liberandum hominem, humanam naturam suscepisti". But the Antiochene writers did not mean that the "man assumed" (ho lephtheis anthropos) was taken up into one hypostasis with the Second Person of the Holy Trinity. They preferred to speak of synapheia, "junction", rather than enosis, "unification", and said that the two were one person in dignity and power, and must be worshipped together. The word person in its Greek form prosopon might stand for a juridical or fictitious unity; it does not necessarily imply what the word person implies to us, that is, the unity of the subject of consciousness and of all the internal and external activities. Hence we are not surprised to find that Diodorus admitted two Sons, and that Theodore practically made two Christs, and yet that they cannot be proved to have really made two subjects in Christ. Two things are certain: first, that, whether or no they believed in the unity of the subject in the Incarnate Word, at least they explained that unity wrongly; secondly, that they used most unfortunate and misleading language when they spoke of the union of the manhood with the Godhead -- language which is objectively heretical, even were the intention of its authors good.

Nestorius, as well as Theodore, repeatedly insisted that he did not admit two Christs or two Sons, and he frequently asserted the unity of the prosopon. On arriving at constantinople he came to the conclusion that the very different theology which he found rife there was a form of Arian or Apollinarian error. In this he was not wholly wrong, as the outbreak of Eutychianism twenty years later may be held to prove. In the first months of his pontificate he was implored by the Pelagian Julian of Eclanum and other expelled bishops of his party to recognize their orthodoxy and obtain their restoration He wrote at least three letters to the pope, St. Celestine I, to inquire whether these petitioners had been duly condemned or not, but he received no reply, not (as has been too often repeated) because the pope imagined he did not respect the condemnation of the Pelagians by himself and by the Western emperor, but because he added in his letters, which are extant, denunciations of the supposed Arians and Apollinarians of Constantinople, and in so doing gave clear signs of the Antiochene errors soon to be known as Nestorian. In particular he denounced those who employed the word Theotokos, though he was ready to admit the use of it in a certain sense: "Ferri tamen potest hoc vocabulum proper ipsum considerationem, quod solum nominetur de virgine hoc verbum hoc propter inseparable templum Dei Verbi ex ipsa, non quia mater sit Dei Verbi; nemo enim antiquiorem se parit." Such an admission is worse than useless, for it involves the whole error that the Blessed Virgin is not the mother of the Second Person of the Holy Trinity. It is therefore unfortunate that Loofs and others who defend Nestorius should appeal to the frequency with which he repeated that he should accept the Theotokos if only it was properly understood. In the same letter he speaks quite correctly of the "two Natures which are adored in the one Person of the Only-begotten by a perfect and unconfused conjunction", but this could not palliate his mistake that the blessed Virgin is mother of one nature, not of the person (a son is necessarily a person not a nature), nor the fallacy: "No one can bring forth a son older than herself." The deacon Leo, who was twenty years later as pope to define the whole doctrine, gave these letters to John Cassian of Marseilles, who at once wrote against Nestorius his seven books, "De incarnatione Christi". Before he had completed the work he had further obtained some sermons of Nestorius, from which he quotes in the later books. He misunderstands and exaggerates the teaching of his opponent, but his treatise is important because it stereotyped once for all a doctrine which the Western world was to accept as Nestorianism. After explaining that the new heresy was a renewal of Pelagianism and Ebionitism, Cassian represents the Constantinoplitan patriarch as teaching that Christ is a mere man (homo solitarius) who merited union with the Divinity as the reward of His Passion. Cassian himself brings out quite clearly both the unity of person and the distinction of the two natures, yet the formula "Two Natures and one Person" is less plainly enunciated by him than by Nestorius himself, and the discussion is wanting in clear-cut distinctions and definitions.

Meanwhile Nestorius was being attacked by his own clergy and simultaneously by St. Cyril, Patriarch of Alexandria, who first denounced him, though without giving a name, in an epistle to all the monks of Egypt, then remonstrated with him personally by letter, and finally wrote to the pope. Loofs is of the opinion that Nestorius would never have been disturbed but for St. Cyril. But there is no reason to connect St. Cyril with the opposition to the heresiarch at Constantinople and at Rome. His rivals Philip of Side and Proclus and the layman Eusebius (afterwards Bishop of Dorylaeum), as well as the Roman Leo, seem to have acted without any impulse from Alexandria. It might have been expected that Pope Celestine would specify certain heresies of Nestorius and condemn them, or issue a definition of the traditional faith which was being endangered. Unfortunately he did nothing of the kind. St. Cyril had sent to Rome his correspondence with Nestorius, a collection of that Patriarch's sermons, and a work of his own which he had just composed, consisting of five books "Contra Nestorium". The pope had them translated into Latin, and then, after assembling the customary council, contented himself with giving a general condemnation of Nestouris and a general approval of St. Cyril's conduct, whilst he delivered the execution of this vague decree to Cyril, who as Patriarch of Alexandria was the hereditary enemy both of the Antiochene theologian and the Constantinoplitan bishop. Nestorius was to be summoned to recant within ten days. The sentence was as harsh as can well be imagined. St. Cyril saw himself obliged to draw up a form for the recantation. With the help of an Egyptian council he formulated a set of twelve anathematisms which simply epitomize the errors he had pointed out in his five books "Against Nestorius", for the pope appeared to have agreed with the doctrine of that work. It is most important to notice that up to this point St. Cyril had not rested his case upon Apollinarian documents and had not adopted the Apollinarian formula mia physis sesarkomene from Pseudo-Anathasius. He does not teach in so many words "two natures after the union", but his work against Nestorius, with the depth and precision of St. Leo, is an admirable exposition of Catholic doctrine, worthy of a Doctor of the church, and far surpassing the treatise of Cassian. The twelve anathematisms are less happy, for St. Cyril was always a diffuse writer, and his solitary attempt at brevity needs to be read in connection with the work which it summarizes.

The Anathematisms were at once attacked, on behalf of John, Patriarch of Antioch, in defence of the Antiochene School, by Andrew of Samosata and the great Theodoret of Cyrus. The former wrote at Antioch; his objections were adopted by a synod held there, and were sent to Cyril as the official view of all the Oriental bishops. St. Cyril published separate replies to these two antagonists, treating Andrew with more respect than Theodoret, to whom he is contemptuous and sarcastic. The latter was doubtless the superior of the Alexandrian in talent and learning, but at this time he was no match for him as a theologian. Both Andrew and Theodoret show themselves captious and unfair; at best they sometimes prove that St. Cyril's wording is ambiguous and ill-chosen. They uphold the objectionable Antiochene phraseology, and they respect the hypostatic union (enosis kath hypostasin) as well as the physike enosis as unorthodox and unscriptural. The latter expression is indeed unsuitable, and may be misleading. Cyril had to explain that he was not summarizing or defining the faith about the Incarnation, but simply putting together the principal errors of Nestorius in the heretic's own words. In his books against Nestorius he had occasionally misrepresented him, but in the twelve anathematisms he gave a perfectly faithful picture of Nestorius's view, for in fact Nestorius did not disown the propositions, nor did Andrew of Samosata or Theodoret refuse to patronize any of them. The anathematisms were certainly in a general way approved by the Council of Ephesus, but they have never been formally adopted by the Church. Nestorius for his part replied by a set of twelve contra-anathematisms. Some of them are directed against St. Cyril's teaching, others attack errors which St. Cyril did not dream of teaching, for example that Christ's Human Nature became through the union uncreated and without beginning, a silly conclusion which was later ascribed to the sect of Monophysites called Actistetae. On the whole, Nestorius's new programme emphasized his old position, as also did the violent sermons which he preached against St. Cyril on Saturday and Sunday, 13 and 14 December, 430. We have no difficulty in defining the doctrine of Nestorius so far as words are concerned: Mary did not bring forth the Godhead as such (true) nor the Word of God (false), but the organ, the temple of the Godhead. The man Jesus Christ is this temple, "the animated purple of the King", as he expresses it in a passage of sustained eloquence. The Incarnate God did not suffer nor die, but raised up from the dead him in whom He was incarnate. The Word and the Man are to be worshipped together, and he adds: dia ton phorounta ton phoroumenon sebo (Through Him that bears I worship Him Who is borne). If St. Paul speaks of the Lord of Glory being crucified, he means the man by "the Lord of Glory". There are two natures, he says, and one person; but the two natures are regularly spoken of as though they were two persons, and the sayings of Scripture about Christ are to be appropriated some of the Man, some to the Word. If Mary is called the Mother of God, she will be made into a goddess, and the Gentiles will be scandalized.

This is all bad enough as far as words go. But did not Nestorius mean better than his words? The Oriental bishops were certainly not all disbelievers in the unity of subject in the Incarnate Christ, and in fact St. Cyril made peace with them in 433. One may point to the fact that Nestorius emphatically declared that there is one Christ and one Son, and St. Cyril himself has preserved for us some passages from his sermons which the saint admits to be perfectly orthodox, and therefore wholly inconsistent with the rest. For example: "Great is the mystery of the gifts! For this visible infant, who seems so young, who needs swaddling clothes for His body, who in the substance which we see is newly born, is the Eternal Son, as it is written, the Son who is the Maker of all, the Son who binds together in the swathing-bands of His assisting power the whole creation which would otherwise be dissolved." And again: "Even the infant is the all-powerful God, so far, O Arius, is God the Word from being subject to God." And: "We recognize the humanity of the infant, and His Divinity; the unity of His Sonship we guard in the nature of humanity and divinity." It will probably be only just to Nestorius to admit that he fully intended to safeguard the unity of subject in Christ. But he gave wrong explanations as to the unity, and his teaching logically led to two Christs, though he would not have admitted the fact. Not only his words are misleading, but the doctrine which underlies his words is misleading, and tends to destroy the whole meaning of the Incarnation. It is impossible to deny that teaching as well as wording which leads to such consequences as heresy. He was therefore unavoidably condemned. He reiterated the same view twenty years later in the "Bazaar of Heraclides", which shows no real change of opinion, although he declares his adherence to the Tome of St. Leo.

After the council of 431 had been made into law by the emperor, the Antiochene party would not at once give way. But the council was confirmed by Pope Sixtus III, who had succeeded St. Celestine, and it was received by the whole West. Antioch was thus isolated, and at the same time St. Cyril showed himself ready to make explanations. The Patriarchs of Antioch and Alexandria agreed upon a "creed of union" in 433 (see EUTYCHIANISM). Andrew of Samosata, and some others would not accept it, but declared the word "Theotokos" to be heretical. Theodoret held a council at Zeuguma which refused to anathematize Nestorius. But the prudent bishop of Cyrus after a time perceived that in the "creed of union" Antioch gained more than did Alexandria; so he accepted the somewhat hollow compromise. He says himself that he commended the person of Nestorius whilst he anathematized his doctrine. A new state of things arose when the death of St. Cyril, in 444, took away his restraining hand from his intemperate followers. The friend of Nestorius, Count Irenaeus had become Bishop of Tyre, and he was persecuted by the Cyrillian party, as was Ibas, Bishop of Edessa, who had been a great teacher in that city. These bishops, together with Theodoret and Domnus, the nephew and successor of John of Antioch, were deposed by Dioscorus of Alexandria in the Robber Council of Ephesus (449). Ibas was full of Antiochene theology, but in his famous letter to Maris the Persian he disapproves of Nestorius as well as of Cyril, and at the Council of Chalcedon he was willing to cry a thousand anathemas to Nestorius. He and Theodoret were both restored by that council, and both seem to have taken the view that St. Leo's Tome was a rehabilitation of the Antiochene theology. The same view was taken by the Monophysites, who looked upon St. Leo as the opponent of St. Cyril's teaching. Nestorius in his exile rejoiced at this reversal of Roman policy, as he thought it. Loofs, followed by many writers even among Catholics, is of the same opinion. But St. Leo himself believed that he was completing and not undoing the work of the Council of Ephesus, and as a fact his teaching is but a clearer form of St. Cyril's earlier doctrine as exposed in the five books against Nestorius. But it is true that St. Cyril's later phraseology, of which the two letters to Succensus are the type, is based upon the formula which he felt himself bound to adopt from an Apollinarian treatise believed to be by his great predecessor Athanasius: mia physis ton Theou Logou sesarkomene. St. Cyril found this formula an awkward one, as his treatment of it shows, and it became in fact the watchword of heresy. But St. Cyril does his best to understand it in a right sense, and goes out of his way to admit two natures even after the union en theoria, an admission which was to save Severus himself from a good part of this heresy.

That Loofs or Harnack should fail to perceive the vital difference between the Antiochenes and St. Leo, is easily explicable by their not believing the Catholic doctrine of the two natures, and therefore not catching the perfectly simple explanation given by St. Leo. Just as some writers declare that the Monophysites always took physis in the sense of hypostasis, so Loofs and others hold that Nestorius took hypostasis always in the sense of physis, and meant no more by two hypostases than he meant by two natures. But the words seem to have had perfectly definite meanings with all the theologians of the period. That the Monophysites distinguished them, is probable (see MONOPHYSITES AND MONOPHYSITISM), and all admit they unquestionably meant by hypostasis a subsistent nature. That Nestorius cannot, on the contrary, have taken nature to mean the same as hypostasis and both to mean essence is obvious enough, for three plain reasons: first, he cannot have meant anything so absolutely opposed to the meaning given to the word hypostasis by the Monophysites; secondly, if he meant nature by hypostasis he had no word at all left for "subsistence" (for he certainly used ousia to mean "essence" rather than "subsistence"); thirdly, the whole doctrine of Theodore of Mopsuestia, and Nestorius's own refusal to admit almost any form of the communicatio idiomatum, force us to take his "two natures" in the sense of subsistent natures.

The modern critics also consider that the orthodox doctrine of the Greeks against Monophysitism -- in fact the Chalcedonian doctrine as defended for many years -- was practically the Antiochene or Nestorian doctrine, until Leontius modified it in the direction of conciliation. This theory is wholly gratuitous, for from Chalcedon onwards there is no orthodox controversialist who has left us any considerable remains in Greek by which we might be enabled to judge how far Leontius was an innovator. At all events we know, from the attacks made by the Monophysites themselves, that, though they professed to regard their Catholic opponents as Crypto-Nestorians, in so doing they distinguished them from the true Nestorians who openly professed two hypostases and condemned the word Theotokos. In fact we may say that, after John of Antioch and Theodoret had made peace with St. Cyril, no more was heard in the Greek world of the Antiochene theology. The school had been distinguished, but small. In Antioch itself, in Syria, and in Palestine, the monks, who were exceedingly influential, were Cyrillians, and a large proportion of them were to become Monophysites. It was beyond the Greek world that Nestorianism was to have its development. There was at Edess a famous school for Persians, which had probably been founded in the days of St. Ephrem, when Nisibis had ceased to belong to the Roman Empire in 363. The Christians in Persia had suffered terrible persecution, and Roman Edessa had attracted Persians for peaceful study. Under the direction of Ibas the Persian school of Edessa imbibed the Antiochene theology. But the famous Bishop of Edessa, Rabbûla, though he had stood apart from St. Cyril's council at Ephesus together with the bishops of the Antiochene patriarchate, became after the council a convinced, and even a violent, Cyrillian, and he did his best against the school of the Persians. Ibas himself became his successor. But at the death of his protector, in 457, the Persians were driven out of Edessa by the Monophysites, who made themselves all-powerful. Syria then becomes Monophysite and produces its Philoxenus and many another writer. Persia simultaneously becomes Nestorian. Of the exiles from Edessa into their own country nine became bishops, including Barsumas, or Barsaûma, of Nisibis and Acacius of Beit Aramage. The school at Edessa was finally closed in 489.

At this time the Church in Persia was autonomous, having renounced all subjection to Antioch and the "Western" bishops at the Council of Seleucia in 410. The ecclesiastical superior of the whole was the Bishop of Seleucia-Ctesiphon, who had assumed the rank of catholicos. This prelate was Babaeus or Babowai (457-84) at the time of the arrival of the Nestorian professors from Edessa. He appears to have received them with open arms. But Barsaûma, having become Bishop of Nisibis, the nearest great city to Edessa, broke with the weak catholicos, and, at a council which he held at Beit Lapat in April, 484, pronounced his deposition. In the same year Babowai was accused before the king of conspiring with Constantinople and cruelly put to death, being hung up by his ring-finger and also, it is said, crucified and scourged. There is not sufficient evidence for the story which makes Barsaûma his accuser. The Bishop of Nisibis was at all events in high favour with King Peroz (457-84) and had been able to persuade him that it would be a good thing for the Persian kingdom if the Christians in it were all of a different complexion from those of the Empire, and had no tendency to gravitate towards Antioch and Constantinople, which were not officially under the sway of the "Henoticon" of Zeno. Consequently all Christians who were not Nestorians were driven from Persia. But the story of this persecution as told in the letter of Simeon of Beit Arsam is not generally considered trustworthy, and the alleged number of 7700 Monophysite martyrs is quite incredible. The town of Tagrit alone remained Monophysite. But the Armenians were not gained over, and in 491 they condemned at Valarsapat the Council of Chalcedon, St. Leo, and Barsaûma. Peroz died in 484, soon after having murdered Babowai, and the energetic Bishop of Nisibis had evidently less to hope from his successor, Balash. Though Barsaûma at first opposed the new catholicos, Acacius in August, 485, he had an interview with him, and made his submission, acknowledging the necessity for subjection to Seleucia. However, he excused himself from being present at Acacius's council in 484 at Seleucia, where twelve bishops were present. At this assembly, the Antiochene Christology was affirmed and a canon of Beit Lapat permitting the marriage of the clergy was repeated. The synod declared that they despised vainglory, and felt bound to humble themselves in order to put an end to the horrible clerical scandals which disedified the Persian Magians as well as the faithful; they therefore enacted that the clergy should make a vow of chastity; deacons may marry, and for the future no one is to be ordained priest except a deacon who has a lawful wife and children. Though no permission is given to priests or bishops to marry (for this was contrary to the canons of the Eastern Church), yet the practice appears to have been winked at, possibly for the regularization of illicit unions. Barsaûma himself is said to have married a nun named Mamoé; but according to Mare, this was at the inspiration of King Peroz, and was only a nominal marriage, intended to ensure the preservation of the lady's fortune from confiscation.

The Persian Church was now organized, if not thoroughly united, and was formally committed to the theology of Antioch. But Acacius, when sent by the king as envoy to Constantinople, was obliged to accept the anathema against Nestorius in order to be received to Communion there. After his return he bitterly complained of being called a Nestorian by the Monopohysite Philoxenus, declaring that he "knew nothing" of Nestorius. Nevertheless Nestorius has always been venerated as a saint by the Persian Church. One thing more was needed for the Nestorian Church; it wanted theological schools of its own, in order that its clergy might be able to hold their own in theological argument, without being tempted to study in the orthodox centres of the East or in the numerous and brilliant schools which the monophysites were now establishing. Barsaûma opened a school at Nisibis, which was to become more famous than its parent at Edessa. The rector was Narses the Leprous, a most prolific writer, of whom little has been preserved. This university consisted of a single college, with the regular life of a monastery. Its rules are still preserved (see NISIBIS). At one time we hear of 800 students. Their great doctor was Theodore of Mopsuestia. His commentaries were studied in the translation made by Ibas and were treated almost as infallible. Theodore's Canon of Scripture was adopted, as we learn from "De Partibus Divinae Legis" of Junilius, (P.L., LXVIII, and ed. By Kihn), a work which is a translation and adaptation of the published lectures of a certain Paul, professor at Nisbis. The method is Aristotelean, and must be connected with the Aristotelean revival which in the Greek world is associated chiefly with the name of Philoponus, and in the West with that of Boethius. The fame of this theological seminary was so great that Pope Agapetus and Cassiodorus wished to found one in Italy of a similar kind. the attempt was impossible in those troublous times; but Cassiodorus's monastery at Vivarium was inspired by the example of Nisibis. There were other less important schools at Seleucia and elsewhere, even in small towns.

Barsaûma died between 492 and 495, Acacius in 496 or 497. Narses seems to have lived longer. The Nestorian Church which they founded, though cut off from the Catholic Church by political exigencies, never intended to do more than practise an autonomy like that of the Eastern patriarchates. Its heresy consisted mainly in its refusal to accept the Councils of Ephesus and Chalcedon. It is interesting to note that neither Junilius nor Cassiodorus speaks of the school of Nisibis as heretical. They were probably aware that it was not quite orthodox, but the Persians who appeared at the Holy Places as pilgrims or at Constantinople must have seemed like Catholics on account of their hatred to the Monophysites, who were the great enemy in the East. The official teaching of the Nestorian Church in the time of King Chosroes (Khusran) II (died 628) is well presented to us in the treatise "De unione" composed by the energetic monk Babai the Great, preserved in a manuscript From which Labourt has made extracts (pp. 280-87). Babai denies that hypostasis and person have the same meaning. A hypostasis is a singular essence (ousia) subsisting in its independent being, numerically one, separate from others by its accidents. A person is that property of a hypostasis which distinguishes it from others (this seems to be rather "personality" than "person") as being itself and no other, so that Peter is Peter and Paul is Paul. As hypostases Peter and Paul are not distinguished, for they have the same specific qualities, but they are distinguished by their particular qualities, their wisdom or otherwise, their height or their temperament, etc. And, as the singular property which the hypostasis possesses is not the hypostasis itself, the singular property which distinguishes it is called "person".

It would seem that Babai means that "a man" (individuum vagum) is the hypostasis, but not the person, until we add the individual characteristics by which he is known to be Peter or Paul. This is not by any means the same as the distinction between nature and hypostasis, nor can it be asserted that by hypostasis Babai meant what we should call specific nature, and by person what we should call hypostasis. The theory seems to be an unsuccessful attempt to justify the traditional Nestorian formula: two hypostases in one person. As to the nature of the union, Babai falls on the Antiochene saying that it is ineffable, and prefers the usual metaphors -- assumption, inhabitation, temple, vesture, junction-to any definition of the union. He rejects the communicatio idiomatum as involving confusion of the natures, but allows a certain "interchange of names", which he explains with great care.

The Persian Christians were called "Orientals", or "Nestorians", by their neighbours on the west. They gave to themselves the name Chaldeans; but this denomination is usually reserved at the present day for the large portion of the existing remnant which has been united to the Catholic Church. The present condition of these Uniats, as well as the branch in India known as "Malabar Christians", is described under CHALDEAN CHRISTIANS. The history of the Nestorian Church must be looked for under PERSIA. The Nestorians also penetrated into China and Mongolia and left behind them an inscribed stone, set up in Feb., 781, which describes the introduction of Christianity into China from Persia in the reign of T'ai-tsong (627-49). The stone is at Chou-Chih, fifty miles south-west of Sai-an Fu, which was in the seventh century the capital of China. It is known as "the Nestorian Monument".

Bibliography

For bibliography see CYRIL OF ALEXANDRIA; EPHESUS, COUNCIL OF; DIOSCURUS, BISHOP OF ALEXANDRIA. Here may be added, on I: GARNIER, Opera Marii Mercatoris, II (Paris, 1673); P.L., XLVII, 669; TILLEMONT, Memoires, XIV; ASSEMANI, Bibliotheca Orient., III, pt 2 (Rome, 1728); LOOFS in Realencyklopadie, s.v. Nestorius; FENDT, Die Christologie des Nestorius (Munich, 1910); BATIFFOL in Revue Biblique, IX (1900), 329-53; MERCATI in Theolog. Revue VI (1907), 63; LUDTKE in Zeitschr. Fur Kirchengesch. XXIX (1909), 385.

On the early struggle with Nestorianism: ASSEMANI, Bibliotheca Orentalis, III, parts 1 and 2 (Rome, 1728); DOUCIN, Histoire du Nestorianisme (1689).

On the Persian Nestorians: the Monophysite historians MICHAEL SYRUS, ed. CHABOT (Paris, 1899) and BARHEBRAEUS, edd. ABBELOOS AND LAMY (Paris, 1872-77); the Mohammedan SAHRASTANI, ed. CURETON (London, 1842); and especially the rich information in the Nestorian texts themselves; GISMONDI, Maris Amri et Slibae de patriarchis Nestoranis commentaria, e codd. Vat.; the Liber Turris (Arabic and Latin, 4 parts, Rome, (1896-99); BEDJAN, Histoire de Mar Jab-Alaha (1317), patriarche, et de Raban Saumo (2nd ed., Paris, 1895); Synodicon of Ebedjesu in MAI, Scriptorum vett. Nova. Coll., X (1838); BRAUN, Das Buch der Synhados (Stuttgart and Vienna, 1900); CHABOT, Synodicon Orientale, ou recueil de Synodes Nestoriens in Notes of Extraits, Synhados (Stuttgart and Vienna, 1900); Chabot Synodicon Orentale, ou recueil de Synodes Nestoriens in Notes et Extraits, XXXVII (Paris, 1902); GUIDI, Ostsyrische bischofe und Bischofsitze in Zeitschrift der Morgen landl. Gesellsch., (1889), XLII, 388; IDEM, Gli statuti della scuola di Nisibi (Syriac text) in Giornaale della Soc. Asiatica Ital., IV; ADDAI SCHER, Chronique de Seert, histoire Nestorienne (Arabic and French), and Cause de la fondation des ecoles (Edessa and Nisibis) in Patrologia Orentalis, IV (Paris, 1908). -See also PETERMANN AND KESSLER in Realencyklop., s.v. Nestorianer; FUNK in Kirchenlex., s.v. Nestorius und die Nestorianer; DUCHESNE, Hist. Ancienne de l'eglise, III (Paris, 1910). -On the "Nestorian Monument", see PARKER in Dublin review, CXXXI (1902), 2, p. 3880; CARUS AND HOLM, The Nestorian Monument (London, 1910).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. X, New York, 1911 (http://www.newadvent.org/cathen/10755a.htm)

Augustinus
01-01-08, 20:00
http://sandstead.com/images/metropolitan/DUCCIO_Madonna_and_Child_ca_1300_source_sandstead_ d2h_02.jpg Duccio di Buoninsegna, Madonna con Bambino, 1300 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

http://img84.imageshack.us/img84/9396/met85mmsourcesandsteaddjv7.jpg Raffaello Sanzio, Madonna con Bambino, Metropolitan Museum of Art, New York

http://img293.imageshack.us/img293/719/murillovirginandchild16ks0.jpg http://img84.imageshack.us/img84/2351/murillovirginandchild16pf7.jpg Bartolomé Esteban Murillo, Vergine con Bambino, 1670-72, Metropolitan Museum of Art, New York

http://img185.imageshack.us/img185/350/peruginolsd2hdz2.jpg Pietro Perugino, Vergine adorante il Bambino e due santi, XV sec., Metropolitan Museum of Art, New York

http://sandstead.com/images/metropolitan/ROSSELLI_Cosimo_Madonna_and_Chilld_with_Angels_c14 80_source_sandstead_d2h_.jpg Cosimo Rosselli, Madonna con Bambino ed angeli, 1480 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

http://img84.imageshack.us/img84/179/riberavirginandchild164jq4.jpg Jusepe de Ribera, Vergine col Bambino, 1646, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia

http://img84.imageshack.us/img84/417/credilorenzodimadonnaanpg5.jpg Lorenzo di Credi, Madonna che allatta il Bambino, 1520 circa, Cincinnati Museum of Art, Cincinnati

Augustinus
01-01-08, 20:13
http://img150.imageshack.us/img150/3259/dyckanthonyflemishvirgioa2.jpg Anthony van Dyck, Madonna con Bambino ed angeli musicanti, 1632 circa, Yale Center for British Art and the Yale University Art Gallery, Yale

http://img185.imageshack.us/img185/2255/sartoandreadelvirginandiq9.jpg Andrea del Sarto, Madonna con Bambino, 1509-10, Museum of Fine Arts, Boston

http://img150.imageshack.us/img150/5849/peruginomadonnaandchildlt0.jpg Pietro Perugino, Madonna con Bambino, 1520 circa, The Walters Art Museum, Baltimore

Augustinus
02-01-08, 18:03
BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 gennaio 2008

Cari fratelli e sorelle!

Un’antichissima formula di benedizione, riportata nel Libro dei Numeri, recita: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,24–26). Con queste parole che la liturgia ci ha fatto riascoltare ieri, primo giorno dell’anno, vorrei formulare cordiali auguri a voi, qui presenti, e a quanti in queste feste natalizie mi hanno fatto pervenire attestati di affettuosa vicinanza spirituale.

Ieri abbiamo celebrato la solenne festa di Maria, Madre di Dio. “Madre di Dio”, Theotokos, è il titolo attribuito ufficialmente a Maria nel V secolo, esattamente nel Concilio di Efeso del 431, ma affermatosi nella devozione del popolo cristiano già a partire dal III secolo, nel contesto delle accese discussioni di quel periodo sulla persona di Cristo. Si sottolineava, con quel titolo, che Cristo è Dio ed è realmente nato come uomo da Maria: veniva così preservata la sua unità di vero Dio e di vero uomo. In verità, quantunque il dibattito sembrasse vertere su Maria, esso riguardava essenzialmente il Figlio. Volendo salvaguardare la piena umanità di Gesù, alcuni Padri suggerivano un termine più attenuato: invece del titolo di Theotokos, proponevano quello di Christotokos, “Madre di Cristo”; giustamente però ciò venne visto come una minaccia alla dottrina della piena unità della divinità con l’umanità di Cristo. Perciò, dopo ampia discussione, nel Concilio di Efeso del 431, come ho detto, venne solennemente confermata, da una parte, l’unità delle due nature, quella divina e quella umana, nella persona del Figlio di Dio (cfr DS, n. 250) e, dall’altra, la legittimità dell’attribuzione alla Vergine del titolo di Theotokos, Madre di Dio (ibid., n. 251).

Dopo questo Concilio si registrò una vera esplosione di devozione mariana e furono costruite numerose chiese dedicate alla Madre di Dio. Tra queste primeggia la Basilica di Santa Maria Maggiore, qui a Roma. La dottrina concernente Maria, Madre di Dio, trovò inoltre nuova conferma nel Concilio di Calcedonia (451) in cui Cristo fu dichiarato “vero Dio e vero uomo (…) nato per noi e per la nostra salvezza da Maria, Vergine e Madre di Dio, nella sua umanità” (DS, n. 301). Com’è noto, il Concilio Vaticano II ha raccolto in un capitolo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, l’ottavo, la dottrina su Maria, ribadendone la divina maternità. Il capitolo s’intitola: “La Beata Maria Vergine, Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa”.

La qualifica di Madre di Dio, così profondamente legata alle festività natalizie, è pertanto l'appellativo fondamentale con cui la Comunità dei credenti onora, potremmo dire, da sempre la Vergine Santa. Essa esprime bene la missione di Maria nella storia della salvezza. Tutti gli altri titoli attribuiti alla Madonna trovano il loro fondamento nella sua vocazione ad essere la Madre del Redentore, la creatura umana eletta da Dio per realizzare il piano della salvezza, incentrato sul grande mistero dell'incarnazione del Verbo divino. In questi giorni di festa ci siamo soffermati a contemplare nel presepe la rappresentazione della Natività. Al centro di questa scena troviamo la Vergine Madre che offre Gesù Bambino alla contemplazione di quanti si recano ad adorare il Salvatore: i pastori, la gente povera di Betlemme, i Magi venuti dall’Oriente. Più tardi, nella festa della “Presentazione del Signore”, che celebreremo il 2 febbraio, saranno il vecchio Simeone e la profetessa Anna a ricevere dalle mani della Madre il piccolo Bambino e ad adorarlo. La devozione del popolo cristiano ha sempre considerato la nascita di Gesù e la divina maternità di Maria come due aspetti dello stesso mistero dell'incarnazione del Verbo divino e perciò non ha mai considerato la Natività come una cosa del passato. Noi siamo “contemporanei” dei pastori, dei magi, di Simeone e di Anna, e mentre andiamo con loro siamo pieni di gioia, perchè Dio ha voluto essere il Dio con noi ed ha una madre, che è la nostra madre.

Dal titolo di “Madre di Dio” derivano poi tutti gli altri titoli con cui la Chiesa onora la Madonna, ma questo è il fondamentale. Pensiamo al privilegio dell’“Immacolata Concezione”, all’essere cioè immune dal peccato fin dal suo concepimento: Maria fu preservata da ogni macchia di peccato perché doveva essere la Madre del Redentore. La stessa cosa vale per il titolo di “Assunta”: non poteva essere soggetta alla corruzione derivante dal peccato originale Colei che aveva generato il Salvatore. E sappiamo che tutti questi privilegi non sono concessi per allontanare Maria da noi, ma al contrario per renderla vicina; infatti, essendo totalmente con Dio, questa Donna è vicinissima a noi e ci aiuta come madre e come sorella. Anche il posto unico e irripetibile che Maria ha nella Comunità dei credenti deriva da questa sua fondamentale vocazione ad essere la Madre del Redentore. Proprio in quanto tale, Maria è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Giustamente, pertanto, durante il Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964, Paolo VI attribuì solennemente a Maria il titolo di “Madre della Chiesa”.

Proprio perché Madre della Chiesa, la Vergine è anche Madre di ciascuno di noi, che siamo membra del Corpo mistico di Cristo. Dalla Croce Gesù ha affidato la Madre ad ogni suo discepolo e, allo stesso tempo, ha affidato ogni suo discepolo all'amore della Madre sua. L'evangelista Giovanni conclude il breve e suggestivo racconto con le parole: “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,27). Così è la traduzione italiana del testo greco: “εis tà íδια”, egli l’accolse nella realtà propria, nel suo proprio essere. Così che fa parte della sua vita e le due vite si compenetrano; e questo accettarla (εis tà íδια) nella propria vita è il testamento del Signore. Dunque, al momento supremo del compimento della missione messianica, Gesù lascia a ciascuno dei suoi discepoli, come eredità preziosa, la sua stessa Madre, la Vergine Maria.

Cari fratelli e sorelle, in questi primi giorni dell'anno, siamo invitati a considerare attentamente l’importanza della presenza di Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esistenza personale. Affidiamoci a Lei perchè guidi i nostri passi in questo nuovo periodo di tempo che il Signore ci dona da vivere, e ci aiuti ad essere autentici amici del suo Figlio e così anche coraggiosi artefici del suo Regno nel mondo, Regno della luce e della verità. Buon Anno a tutti! È questo l'augurio che desidero rivolgere a voi qui presenti e ai vostri cari in questa prima Udienza generale del 2008. Che il nuovo anno, iniziato sotto il segno della Vergine Maria, ci faccia sentire più vivamente la sua presenza materna, così che, sostenuti e confortati dalla protezione della Vergine, possiamo contemplare con occhi rinnovati il volto del suo Figlio Gesù e camminare più speditamente sulle vie del bene.

Ancora una volta, Buon Anno a tutti!

Augustinus
11-10-08, 07:21
Council of Ephesus

The third ecumenical council, held in 431.

The occasion and preparation for the council

The idea of this great council seems to have been due to Nestorius, the Bishop of Constantinople. St. Cyril, Patriarch of Alexandria, had accused him to Pope St. Celestine of heresy, and the pope had replied on 11 August, 430, by charging St. Cyril to assume his authority and give notice in his name to Nestorius that, unless he recanted within ten days of receiving this ultimatum, he was to consider himself excommunicated and deposed. The summons was served on Nestorius on a Sunday, 30 November, or 7 December, by four bishops sent by Cyril. But Nestorius was evidently well informed of what he was to expect. He regarded himself as having been calumniated to the pope, and he did not choose to be given over into the hands of Cyril. The latter was, in his opinion, not merely a personal enemy, but a dangerous theologian, who was reviving to some extent the errors of Apollinarius. Nestorius had influence over the Emperor of the East, Theodosius II, whom he induced to summon a general council to judge of the difference between the Patriarch of Alexandria and himself, and he worked so well that the letters of convocation were issued by the emperor to all metropolitans on 19 November, some days before the messengers of Cyril arrived. The emperor was able to take this course without seeming to favour Nestorius too much, because the monks of the capital, whom Nestorius had excommunicated for their opposition to his heretical teaching, had also appealed to him to call together a council. Nestorius, therefore, paid no attention to the pope's ultimatum, and refused to be guided by the advice to submit which his friend John, the Patriarch of Antioch, volunteered.

The pope was pleased that the whole East should be united to condemn the new heresy. He sent two bishops, Arcadius and Projectus, to represent himself and his Roman council, and the Roman priest, Philip, as his personal representative. Philip, therefore, takes the first place, though, not being a bishop, he could not preside. It was probably a matter of course that the Patriarch of Alexandria should be president. The legates were directed not to take part in the discussions, but to give judgment on them. It seems that Chalcedon, twenty years later, set the precedent that the papal legates should always be technically presidents at an ecumenical council, and this was henceforth looked upon as a matter of course, and Greek historians assumed that it must have been the case at Nicaea.

The emperor was anxious for the presence of the most venerated prelate of the whole world, Augustine, and sent a special messenger to that great man with a letter in honourable terms. But the saint had died during the siege of Hippo in the preceding August, though the troubles of Africa had prevented news from reaching Constantinople.

Theodosius wrote an angry letter to Cyril, and a temperate one to the council. The tone of the latter epistle and of the instructions given to the imperial commander, Count Candidian, to be absolutely impartial, are ascribed by the Coptic Acts to the influence exercised on the emperor by the Abbot Victor, who had been sent to Constantinople by Cyril to act as his agent at the Court on account of the veneration and friendship which Theodosius was known to feel for the holy man.

Arrival of the participants at Ephesus

Nestorius, with sixteen bishops, and Cyril, with fifty, arrived before Pentecost at Ephesus. The Coptic tells us that the two parties arrived on the same day, and that in the evening Nestorius proposed that all should join in the Vesper service together. The other bishops refused. Memnon, Bishop of Ephesus, was afraid of violence, and sent his clergy only to the church. The mention of a Flavian, who seems to be the Bishop of Philippi, casts some doubt on this story, for that bishop did not arrive till later. Memnon of Ephesus had forty suffragans present, not counting twelve from Pamphylia (whom John of Antioch calls heretics). Juvenal of Jerusalem, with the neighbouring bishops whom he looked upon as his suffragans, and Flavian of Philippi, with a contingent from the countries which looked to Thessalonica as their metropolis, arrived soon after Pentecost. The Patriarch of Antioch, John, an old friend of Nestorius, wrote to explain that his suffragans had not been able to start till after the Octave of Easter. (The Coptic Acts say that there was a famine at Antioch.) The journey of thirty days had been lengthened by the death of some horses; he would accomplish the last five or six stages at leisure. But he did not arrive, and it was said that he was loitering because he did not wish to join in condemning Nestorius. Meanwhile the heat was great. Many bishops were ill. Two or three died. Two of John's metropolitans, those of Apamea and Hierapolis, arrived and declared that John did not wish the opening of the council to be deferred on account of his delay. However, these two bishops and Theodoret of Cyrus, with sixty-five others, wrote a memorial addressed to St. Cyril and Juvenal of Jerusalem, begging that the arrival of John should be awaited. Count Candidian arrived, with the imperial decree, and he took the same view.

The council itself

But Cyril and the majority determined to open the council on 22 June, sixteen days having passed since John had announced his arrival in five or six. It was clear to the majority that this delay was intentional, and they were probably right. Yet it is regrettable that all possible allowance was not made, especially as no news had yet come from Rome. For Cyril had written to the pope with regard to an important question of procedure. Nestorius had not recanted within the ten days fixed by the pope, and he was consequently treated as excommunicate by the majority of the bishops. Was he to be allowed a fresh trial, although the pope had already condemned him? Or, on the other hand, was he to be merely given the opportunity of explaining or excusing his contumacy? One might have presumed that Pope Celestine, in approving of the council, intended that Nestorius should have a full trial, and in fact this was declared in his letter which was still on the way. But as no reply had come to Cyril, that saint considered that he had no right to treat the pope's sentence as a matter for further discussion, and no doubt he had not much wish to do so.

First session (June 22)

The council assembled on 22 June, and St. Cyril assumed the presidency both as Patriarch of Alexandria and "as filling the place of the most holy and blessed Archbishop of the Roman Church, Celestine", in order to carry out his original commission, which he considered, in the absence of any reply from Rome, to be still in force.

In the morning 160 bishops were present, and by evening 198 had assembled. The session began by a justification of the decision to delay no longer. Nestorius had been on the previous day invited to attend. He had replied that he would come if he chose. To a second summons, which was now dispatched, he sent a message from his house, which was surrounded with armed men, that he would appear when all the bishops had come together. Indeed only some twenty of the sixty-eight who had demanded a delay had rallied to Cyril, and Nestorius's own suffragans had also stayed away. To a third summons he gave no answer. This attitude corresponds with his original attitude to the ultimatum sent by Cyril. He would not acknowledge Cyril as a judge, and he looked upon the opening of the council before the arrival of his friends from Antioch as a flagrant injustice.

The session proceeded. The Nicene Creed was read, and then the second letter of Cyril to Nestorius, on which the bishops at Cyril's desire, severally gave their judgment that it was in accordance with the Nicene faith, 126 speaking in turn. Next the reply of Nestorius was read. All then cried Anathema to Nestorius. Then Pope Celestine's letter to St. Cyril was read, and after it the third letter of Cyril to Nestorius, with the anathematisms which the heretic was to accept. The bishops who had served this ultimatum on Nestorius deposed that they had given him the letter. He had promised his answer on the morrow, but had not given any, and did not even admit them.

Then two friends of Nestorius, Theodotus of Ancyra and Acacius of Mitylene, were invited by Cyril to give an account of their conversations at Ephesus with Nestorius. Acacius said that Nestorius had repeatedly declared dimeniaion e trimeniaion me dein legesthai Theon. Nestorius's own account of this conversation in his "Apology" (Bethune-Baker, p. 71) shows that this phrase is to be translated thus: "We must not say that God is two or three months old." This is not so shocking as the meaning which has usually been ascribed to the words in modern as well as ancient times (e.g. by Socrates, VII, xxxiv): "A baby of two or three months old ought not to be called God." The former sense agrees with the accusation of Acacius that Nestorius declared "one must either deny the Godhead (theotes) of the Only-begotten to have become man, or else admit the same of the Father and of the Holy Ghost" (Nestorius means that the Divine Nature is numerically one; and if Nestorius really said theotes, and not hypostasis, he was right, and Acacius was wrong).

Acacius further accused him of uttering the heresy that the Son who died is to be distinguished from the Word of God. A series of extracts from the holy Fathers was then read, Peter I and Athanasius of Alexandria, Julius and Felix of Rome (but these papal letters were Apollinarian forgeries), Theophilus, Cyril's uncle, Cyprian, Ambrose, Gregory Nazianzen, Basil, Gregory of Nyssa, Atticus, Amphilochius. After these, contrasted passages from the writings of Nestorius were read. These were of course pièces justificatives brought forward by Cyril, and necessary to inform the council as to the question at issue. Hefele has wrongly understood that the bishops were examining the doctrine of Nestorius afresh, without accepting the condemnation of the pope as necessarily correct. A fine letter from Capreolus, Bishop of Carthage, and primate of a greater number of bishops than any of the Eastern patriarchs, was next produced. He writes in the midst of the devastation of Africa by the Vandals, and naturally could neither hold any synod nor send any bishops. No discussion followed (and Hefele is wrong in suggesting an omission in the Acts, which are already of extraordinary length for a single day), but the bishops accepted with acclamation the words of Capreolus against novelty and in praise of ancient faith, and all proceeded to sign the sentence against Nestorius. As the excommunication by St. Celestine was still in force, and as Nestorius had contumaciously refused to answer the threefold summons enjoined by the canons, the sentence was worded as follows:

The holy synod said: "Since in addition to the rest the most impious Nestorius has neither been willing to obey our citation, nor to receive the most holy and god-fearing bishops whom we sent to him, we have necessarily betaken ourselves to the examination of his impieties; and, having apprehended from his letters and from his writings, and from his recent sayings in this metropolis which have been reported, that his opinions and teachings are impious, we being necessarily impelled thereto both by the canons [for his contumacy] and by the letter [to Cyril] of our most holy father and colleague Celestine, Bishop of the Roman Church, with many tears have arrived at the following grievous sentence against him: Our Lord, Jesus Christ, Who has been blasphemed by him, has defined by this holy synod that the same Nestorius is excluded from all episcopal dignity and from every assembly of bishops.
This sentence received 198 signatures, and some more were afterwards added. A brief notification addressed to "the new Judas" was sent to Nestorius. The Coptic Acts tell us that, as he would not receive it, it was affixed to his door. The whole business had been concluded in a single long session, and it was evening when the result was known. The people of Ephesus, full of rejoicing, escorted the fathers to their houses with torches and incense. Count Candidian, on the other hand, had the notices of the deposition torn down, and silenced the cries in the streets. The council wrote at once to the emperor and to the people and clergy of Constantinople, though the Acts had not yet been written out in full. In a letter to the Egyptian bishops in the same city and to the Abbot Dalmatius (the Coptic substitutes Abbot Victor), Cyril asks for their vigilance, as Candidian was sending false reports. Sermons were preached by Cyril and his friends, and the people of Ephesus were much excited. Even before this, Nestorius, writing, with ten bishops, to the emperor to complain that the council was to begin without waiting for the Antiochenes and the Westerns, had spoken of the violence of the people, egged on by their bishop Memnon who (so the heretic said) had shut the churches to him and threatened him with death.

Arrival of John of Antioch (June 27)

Five days after the first session John of Antioch arrived. The party of Cyril sent a deputation to meet him honourably, but John was surrounded by soldiers, and complained that the bishops were creating a disturbance. Before he would speak to them, he held an assembly which he designated "the holy synod". Candidian deposed that he had disapproved of the assembling of the bishops before John's arrival; he had attended the session and read the emperor's letter (of this not a word in the Acts, so Candidian was apparently lying). John accused Memnon of violence, and Cyril of Arian, Apollinarian, and Eunomian heresy. These two were deposed by forty-three bishops present; the members of the council were to be forgiven, provided they would condemn the twelve anathematisms of Cyril. This was absurd, for most of these could not be understood in anything but a Catholic sense. But John, who was not a bad man, was in a bad temper. It is noticeable that not a word was said in favour of Nestorius at this assembly. The party of Cyril was now complaining of Count Candidian and his soldiers, as the other side did of Memnon and the populace. Both parties sent their report to Rome. The emperor was much distressed at the division, and wrote that a collective session must be held, and the matter begun afresh. The official named Palladius who brought this epistle took back with him many letters from both sides. Cyril proposed that the emperor should send for him and five bishops, to render an exact account.

Second session (10 July)

At last on 10 July the papal envoys arrived. The second session assembled in the episcopal residence. The legate Philip opened the proceedings by saying that the former letter of St. Celestine had been already read, in which he had decided the present question; the pope had now sent another letter. This was read. It contained a general exhortation to the council, and concluded by saying that the legates had instructions to carry out what the pope had formerly decided; doubtless the council would agree. The Fathers then cried:

This is a just judgment. To Celestine the new Paul! To the new Paul Cyril! To Celestine, the guardian of the Faith! To Celestine agreeing to the Synod! The Synod gives thanks to Cyril. One Celestine, one Cyril!
The legate Projectus then says that the letter enjoins on the council, though they need no instruction, to carry into effect the sentence which the pope had pronounced. Hefele wrongly interprets this: "That is, that all the bishops should accede to the Papal sentence" (vol. III, 136). Firmus, the Exarch of Caesarea in Cappadocia, replies that the pope, by the letter which he sent to the Bishops of Alexandria, Jerusalem, Thessalonica, Constantinople, and Antioch, had long since given his sentence and decision; and the synod -- the ten days having passed, and also a much longer period -- having waited beyond the day of opening fixed by the emperor, had followed the course indicated by the pope, and, as Nestorius did not appear, had executed upon him the papal sentence, having inflicted the canonical and Apostolic judgment upon him. This was a reply to Projectus, declaring that what the pope required had been done, and it is an accurate account of the work of the first session and of the sentence; canonical refers to the words of the sentence, "necessarily obliged by the canons", and Apostolic to the words "and by the letter of the bishop of Rome". The legate Arcadius expressed his regret for the late arrival of his party, on account of storms, and asked to see the decrees of the council. Philip, the pope's personal legate, then thanked the bishops for adhering by their acclamations as holy members to their holy head -- "For your blessedness is not unaware that the Apostle Peter is the head of the Faith and of the Apostles." The Metropolitan of Ancyra declared that God had shown the justice of the synod's sentence by the coming of St. Celestine's letter and of the legates. The session closed with the reading of the pope's letter to the emperor.

Third session (July 11)

On the following day, 11 July, the third session took place. The legates had read the Acts of the first session and now demanded only that the condemnation of Nestorius should be formally read in their presence. When this had been done, the three legates severally pronounced a confirmation in the pope's name. The exordium of the speech of Philip is celebrated:

It is doubtful to none, nay it has been known to all ages, that holy and blessed Peter, the prince and head of the Apostles, the column of the Faith, the foundation of the Catholic Church, received from our Lord Jesus Christ, the Saviour and Redeemer of the human race, the keys of the Kingdom, and that to him was given the power of binding and loosing sins, who until this day and for ever lives and judges in his successors. His successor in order and his representative, our holy and most blessed Pope Celestine. ...
It was with words such as these before their eyes that Greek Fathers and councils spoke of the Council of Ephesus as celebrated "by Celestine and Cyril". A translation of these speeches was read, for Cyril then rose and said that the synod had understood them clearly; and now the Acts of all three sessions must be presented to the legates for their signature. Arcadius replied that they were of course willing. The synod ordered that the Acts should be set before them, and they signed them. A letter was sent to the emperor, telling him how St. Celestine had held a synod at Rome and had sent his legates, representing himself and the whole of the West. The whole world has therefore agreed; Theodosius should allow the bishops to go home, for many suffered from being at Ephesus, and their dioceses also must suffer. Only a few friends of Nestorius held out against the world's judgment. A new bishop must be appointed for Constantinople.

Fourth session (July 16)

On 16 July a more solemn session was held, like the first, in the cathedral of the Theotokos. Cyril and Memnon presented a written protest against the conciliabulum of John of Antioch. He was cited to appear, but would not even admit the envoys.

Fifth session (July 17)

Next day the fifth session was held in the same church. John had set up a placard in the city accusing the synod of the Apollinarian heresy. He is again cited, and this is counted as the third canonical summons. He would pay no attention. In consequence the council suspended and excommunicated him, together with thirty-four bishops of his party, but refrained from deposing them. Some of John's party had already deserted him, and he had gained only a few. In the letters to the emperor and the pope which were then dispatched, the synod described itself as now consisting of 210 bishops. The long letter to Celestine give a full account of the council, and mentions that the pope's decrees against the Pelagians had been read and confirmed.

Sixth session

At the end of the sixth session, which dealt only with the case of two Nestorianizing priests, was made the famous declaration that no one must produce or compose any other creed than (para, proeter, "beyond" -- "contrary to"?) the Nicene, and that anyone who should propose any such to pagans, Jews, or heretics, who wished to be converted, should be deposed if a bishop or cleric, or anathematized if a layman. This decision became later a fruitful source of objections to the decrees of later synods and to the addition of the filioque to the so-called Constantinopolitan Creed; but that creed itself would be abolished by this decree if it is taken too literally. We know of several matters connected with Pamphylia and Thrace which were treated by the council, which are not found in the Acts. St. Leo tells us that Cyril reported to the pope the intrigues by which Juvenal of Jerusalem tried at Ephesus to carve himself a patriarchate out of that of Antioch, in which his see lay. He was to succeed in this twenty years later, at Chalcedon.

Seventh session (July 31)

In the seventh and last session on 31 July (it seems) the bishops of Cyprus persuaded the council to approve their claim of having been anciently and rightly exempt from the jurisdiction of Antioch. Six canons were also passed against the adherents and supporters of Nestorius.

Imperial and papal confirmation of the council

The history of the intrigues by which both parties tried to get the emperor on their side need not be detailed here. The orthodox were triumphant at Ephesus by their numbers and by the agreement of the papal legates. The population of Ephesus was on their side. The people of Constantinople rejoiced at the deposition of their heretical bishop. But Count Candidian and his troops were on the side of Nestorius, whose friend, Count Irenaeus, was also at Ephesus, working for him. The emperor had always championed Nestorius, but had been somewhat shaken by the reports of the council. Communication with Constantinople was impeded both by the friends of Nestorius there and by Candidian at Ephesus. A letter was taken to Constantinople at last in a hollow cane, by a messenger disguised as a beggar, in which the miserable condition of the bishops at Ephesus was described, scarce a day passing without a funeral, and entreaty was made that they might be allowed to send representatives to the emperor. The holy abbot, St. Dalmatius, to whom the letter was addressed, as well as to the emperor, clergy, and people of Constantinople, left his monastery in obedience to a Divine voice and, at the head of the many thousand monks of the city, all chanting and carrying tapers, made his way through enthusiastic crowds to the palace. They passed back right through the city, after the abbot Dalmatius had interviewed the emperor, and the letter was read to the people in the church of St. Mocius. All shouted "Anathema to Nestorius!".

Eventually the pious and well-meaning emperor arrived at the extraordinary decision that he should ratify the depositions decreed by both councils. He therefore declared that Cyril, Memnon, and John were all deposed. Memnon and Cyril were kept in close confinement. But in spite of all the exertions of the Antiochan party, the representatives of the envoys whom the council was eventually allowed to send, with the legate Philip, to the Court, persuaded the emperor to accept the great council as the true one. Nestorius anticipated his fate by requesting permission to retire to his former monastery. The synod was dissolved about the beginning of October, and Cyril arrived amid much joy at Alexandria on 30 October. St. Celestine was now dead, but his successor, St. Sixtus III, confirmed the council.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. V, New York, 1909 (http://www.newadvent.org/cathen/05491a.htm)

Augustinus
11-10-08, 07:25
http://01varvara.files.wordpress.com/2008/03/vladimir-borovikovsky-a-vision-of-the-mother-of-god-with-the-christ-child-amongst-the-angels-1823.jpg Vladimir Borovikovsky, Una visione della Madre di Dio con Cristo bambino circondati dagli angeli, 1823

http://www.rollins.edu/Foreign_Lang/Russian/vasn3.jpg http://fatherstephen.files.wordpress.com/2007/05/vasnetsovvirgin1.jpg Viktor Mikhailovich Vasnetsov, Madre di Dio col Bambino Gesù, 1880-90, cattedrale di S. Vladimir, Kiev

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/27/Vasnetsov_Bogomater.JPG Viktor Mikhailovich Vasnetsov, Madre di Dio col Bambino Gesù, 1901

Augustinus
11-10-08, 07:36
http://www.orthodoxphotos.com/Icons_and_Frescoes/Icons/Mother_of_God/8.jpg

Augustinus
11-10-08, 08:03
The Blessed Virgin Mary

The Blessed Virgin Mary is the mother of Jesus Christ, the mother of God.

In general, the theology and history of Mary the Mother of God follow the chronological order of their respective sources, i.e. the Old Testament, the New Testament, the early Christian and Jewish witnesses.

Mary prophesied in the Old Testament

The Old Testament refers to Our Blessed Lady both in its prophecies and its types or figures.

Genesis 3:15

The first prophecy referring to Mary is found in the very opening chapters of the Book of Genesis (3:15): "I will put enmities between thee and the woman, and thy seed and her seed; she shall crush thy head, and thou shalt lie in wait for her heel." This rendering appears to differ in two respects from the original Hebrew text:

(1) First, the Hebrew text employs the same verb for the two renderings "she shall crush" and "thou shalt lie in wait"; the Septuagint renders the verb both times by terein, to lie in wait; Aquila, Symmachus, the Syriac and the Samaritan translators, interpret the Hebrew verb by expressions which mean to crush, to bruise; the Itala renders the terein employed in the Septuagint by the Latin "servare", to guard; St. Jerome [1] maintains that the Hebrew verb has the meaning of "crushing" or "bruising" rather than of "lying in wait", "guarding". Still in his own work, which became the Latin Vulgate, the saint employs the verb "to crush" (conterere) in the first place, and "to lie in wait" (insidiari) in the second. Hence the punishment inflicted on the serpent and the serpent's retaliation are expressed by the same verb: but the wound of the serpent is mortal, since it affects his head, while the wound inflicted by the serpent is not mortal, being inflicted on the heel.

(2) The second point of difference between the Hebrew text and our version concerns the agent who is to inflict the mortal wound on the serpent: our version agrees with the present Vulgate text in reading "she" (ipsa) which refers to the woman, while the Hebrew text reads hu' (autos, ipse) which refers to the seed of the woman. According to our version, and the Vulgate reading, the woman herself will win the victory; according to the Hebrew text, she will be victorious through her seed. In this sense does the Bull "Ineffabilis" ascribe the victory to Our Blessed Lady. The reading "she" (ipsa) is neither an intentional corruption of the original text, nor is it an accidental error; it is rather an explanatory version expressing explicitly the fact of Our Lady's part in the victory over the serpent, which is contained implicitly in the Hebrew original. The strength of the Christian tradition as to Mary's share in this victory may be inferred from the retention of "she" in St. Jerome's version in spite of his acquaintance with the original text and with the reading "he" (ipse) in the old Latin version.

As it is quite commonly admitted that the Divine judgment is directed not so much against the serpent as against the originator of sin, the seed of the serpent denotes the followers of the serpent, the "brood of vipers", the "generation of vipers", those whose father is the Devil, the children of evil, imitando, non nascendo (Augustine). [2] One may be tempted to understand the seed of the woman in a similar collective sense, embracing all who are born of God. But seed not only may denote a particular person, but has such a meaning usually, if the context allows it. St. Paul (Galatians 3:16) gives this explanation of the word "seed" as it occurs in the patriarchal promises: "To Abraham were the promises made and to his seed. He saith not, and to his seeds, as of many; but as of one, and to his seed, which is Christ". Finally the expression "the woman" in the clause "I will put enmities between thee and the woman" is a literal version of the Hebrew text. The Hebrew Grammar of Gesenius-Kautzsch [3] establishes the rule: Peculiar to the Hebrew is the use of the article in order to indicate a person or thing, not yet known and not yet to be more clearly described, either as present or as to be taken into account under the contextual conditions. Since our indefinite article serves this purpose, we may translate: "I will put enmities between you and a woman". Hence the prophecy promises a woman, Our Blessed Lady, who will be the enemy of the serpent to a marked degree; besides, the same woman will be victorious over the Devil, at least through her offspring. The completeness of the victory is emphasized by the contextual phrase "earth shall thou eat", which is according to Winckler [4] a common old-oriental expression denoting the deepest humiliation [5].

Isaias 7:1-17

The second prophecy referring to Mary is found in Isaias 7:1-17. Critics have endeavoured to represent this passage as a combination of occurrences and sayings from the life of the prophet written down by an unknown hand [6]. The credibility of the contents is not necessarily affected by this theory, since prophetic traditions may be recorded by any writer without losing their credibility. But even Duhm considers the theory as an apparent attempt on the part of the critics to find out what the readers are willing to bear patiently; he believes it is a real misfortune for criticism itself that it has found a mere compilation in a passage which so graphically describes the birth-hour of faith.

According to 2 Kings 16:1-4, and 2 Chronicles 27:1-8, Achaz, who began his reign 736 B.C., openly professed idolatry, so that God gave him into the hands of the kings of Syria and Israel. It appears that an alliance had been concluded between Phacee, King of Israel, and Rasin, King of Damascus, for the purpose of opposing a barrier to the Assyrian aggressions. Achaz, who cherished Assyrian proclivities, did not join the coalition; the allies invaded his territory, intending to substitute for Achaz a more subservient ruler, a certain son of Tabeel. While Rasin was occupied in reconquering the maritime city Elath, Phacee alone proceeded against Juda, "but they could not prevail". After Elath had fallen, Rasin joined his forces with those of Phacee; "Syria hath rested upon Ephraim", whereupon "his (Achaz') heart was moved, and the heart of his people, as the trees of the woods are moved with the wind". Immediate preparations must be made for a protracted siege, and Achaz is busily engaged near the upper pool from which the city received the greater part of its water supply. Hence the Lord says to Isaias: "Go forth to meet Achaz ... at the end of the conduit of the upper pool". The prophet's commission is of an extremely consoling nature: "See thou be quiet; hear not, and let not thy heart be afraid of the two tails of these firebrands". The scheme of the enemies shall not succeed: "it shall not stand, and this shall not be." What is to be the particular fate of the enemies?

Syria will gain nothing, it will remain as it has been in the past: "the head of Syria is Damascus, and the head of Damascus is Rasin".
Ephraim too will remain in the immediate future as it has been hitherto: "the head of Ephraim is Samaria, and the head of Samaria the son of Romelia"; but after sixty-five years it will be destroyed, "within threescore and five years Ephraim shall cease to be a people".

Achaz had abandoned the Lord for Moloch, and put his trust in an alliance with Assyria; hence the conditional prophecy concerning Juda, "if you will not believe, you shall not continue". The test of belief follows immediately: "ask thee a sign of the Lord thy God, either unto the depth of hell or unto the height above". Achaz hypocritically answers: "I will not ask, and I will not tempt the Lord", thus refusing to express his belief in God, and preferring his Assyrian policy. The king prefers Assyria to God, and Assyria will come: "the Lord shall bring upon thee and upon thy people, and upon the house of thy father, days that have not come since the time of the separation of Ephraim from Juda with the king of the Assyrians." The house of David has been grievous not merely to men, but to God also by its unbelief; hence it "shall not continue", and, by an irony of Divine punishment, it will be destroyed by those very men whom it preferred to God.

Still the general Messianic promises made to the house of David cannot be frustrated: "The Lord Himself shall give you a sign. Behold a virgin shall conceive, and bear a son, and his name shall be called Emmanuel. He shall eat butter and honey, that he may know to refuse the evil and to choose the good. For before the child know to refuse the evil, and to choose the good, the land which thou abhorrest shall be forsaken of the face of her two kings." Without answering a number of questions connected with the explanation of the prophecy, we must confine ourselves here to the bare proof that the virgin mentioned by the prophet is Mary the Mother of Christ. The argument is based on the premises that the prophet's virgin is the mother of Emmanuel, and that Emmanuel is Christ. The relation of the virgin to Emmanuel is clearly expressed in the inspired words; the same indicate also the identity of Emmanuel with the Christ.

The connection of Emmanuel with the extraordinary Divine sign which was to be given to Achaz predisposes one to see in the child more than a common boy. In 8:8, the prophet ascribes to him the ownership of the land of Juda: "the stretching out of his wings shall fill the breadth of thy land, O Emmanuel". In 9:6, the government of the house of David is said to be upon his shoulders, and he is described as being endowed with more than human qualities: "a child is born to us, and a son is given to us, and the government is upon his shoulders, and his name shall be called Wonderful, Counsellor, God the Mighty, the Father of the World to Come, and the Prince of Peace". Finally, the prophet calls Emmanuel "a rod out of the root of Jesse" endowed with "the spirit of the Lord ... the spirit of wisdom and of understanding, the spirit of counsel, and of fortitude, the spirit of knowledge and of godliness"; his advent shall be followed by the general signs of the Messianic era, and the remnant of the chosen people shall be again the people of God (11:1-16).

Whatever obscurity or ambiguity there may be in the prophetic text itself is removed by St. Matthew (1:18-25). After narrating the doubt of St. Joseph and the angel's assurance, "that which is conceived in her is of the Holy Ghost", the Evangelist proceeds: "now all this was done that it might be fulfilled which the Lord spoke by the prophet, saying: Behold a virgin shall be with child, and bring forth a son, and they shall call his name Emmanuel." We need not repeat the exposition of the passage given by Catholic commentators who answer the exceptions raised against the obvious meaning of the Evangelist. We may infer from all this that Mary is mentioned in the prophecy of Isaias as mother of Jesus Christ; in the light of St. Matthew's reference to the prophecy, we may add that the prophecy predicted also Mary's virginity untarnished by the conception of the Emmanuel [7].

Micheas 5:2-3

A third prophecy referring to Our Blessed Lady is contained in Micah 5:2-3: "And thou, Bethlehem, Ephrata, art a little one among the thousands of Juda: out of thee shall be come forth unto me that is to be the ruler in Israel, and his going forth is from the beginning, from the days of eternity. Therefore will he give them up till the time wherein she that travaileth shall bring forth, and the remnant of his brethren shall be converted to the children of Israel." Though the prophet (about 750-660 B.C.) was a contemporary of Isaias, his prophetic activity began a little later and ended a little earlier than that of Isaias. There can be no doubt that the Jews regarded the foregoing prediction as referring to the Messias. According to St. Matthew (2:6) the chief priests and scribes, when asked where the Messias was to be born, answered Herod in the words of the prophecy, "And thou Bethlehem the land of Juda ..." According to St. John (7:42), the Jewish populace gathered at Jerusalem for the celebration of the feast asked the rhetorical question: "Doth not the Scripture say that Christ cometh of the seed of David, and from Bethlehem, the town where David was?" The Chaldee paraphrase of Micah 5:2, confirms the same view: "Out of thee shall come forth unto me the Messias, that he may exercise dominion in Israel". The very words of the prophecy admit of hardly any other explanation; for "his going forth is from the beginning, from the days of eternity".

But how does the prophecy refer to the Virgin Mary? Our Blessed Lady is denoted by the phrase, "till the time wherein she that travaileth shall bring forth". It is true that "she that travaileth" has been referred to the Church (St. Jerome, Theodoret), or to the collection of the Gentiles united with Christ (Ribera, Mariana), or again to Babylon (Calmet); but, on the one hand, there is hardly a sufficient connection between any of these events and the promised redeemer, on the other hand, the passage ought to read "till the time wherein she that is barren shall bring forth" if any of these events were referred to by the prophet. Nor can "she that travaileth" be referred to Sion: Sion is spoken of without figure before and after the present passage so that we cannot expect the prophet to lapse suddenly into figurative language. Moreover, the prophecy thus explained would not give a satisfactory sense. The contextual phrases "the ruler in Israel", "his going forth", which in Hebrew implies birth, and "his brethren" denote an individual, not a nation; hence we infer that the bringing forth must refer to the same person. It has been shown that the person of the ruler is the Messias; hence "she that travaileth" must denote the mother of Christ, or Our Blessed Lady. Thus explained the whole passage becomes clear: the Messias must be born in Bethlehem, an insignificant village in Juda: his family must be reduced to poverty and obscurity before the time of his birth; as this cannot happen if the theocracy remains intact, if David's house continues to flourish, "therefore will he give them up till the time wherein she that travaileth shall bring forth" the Messias. [8]

Jeremias 31:22

A fourth prophecy referring to Mary is found in Jeremias 31:22; "The Lord has created a new thing upon the earth: A woman shall compass a man". The text of the prophet Jeremias offers no small difficulties for the scientific interpreter; we shall follow the Vulgate version of the Hebrew original. But even this rendering has been explained in several different ways: Rosenmuller and several conservative Protestant interpreters defend the meaning, "a woman shall protect a man"; but such a motive would hardly induce the men of Israel to return to God. The explanation "a woman shall seek a man" hardly agrees with the text; besides, such an inversion of the natural order is presented in Isaias 4:1, as a sign of the greatest calamity. Ewald's rendering, "a woman shall change into a man", is hardly faithful to the original text. Other commentators see in the woman a type of the Synagogue or of the Church, in man the type of God, so that they explain the prophecy as meaning, "God will dwell again in the midst of the Synagogue (of the people of Israel)" or "the Church will protect the earth with its valiant men". But the Hebrew text hardly suggests such a meaning; besides, such an explanation renders the passage tautological: "Israel shall return to its God, for Israel will love its God". Some recent writers render the Hebrew original: "God creates a new thing upon the earth: the woman (wife) returns to the man (her husband)". According to the old law (Deuteronomy 24:1-4; Jeremiah 3:1) the husband could not take back the wife once repudiated by him; but the Lord will do something new by allowing the faithless wife, i.e. the guilty nation, to return to the friendship of God. This explanation rests upon a conjectural correction of the text; besides, it does not necessarily bear the Messianic meaning which we expect in the passage.

The Greek Fathers generally follow the Septuagint version, "The Lord has created salvation in a new plantation, men shall go about in safety"; but St. Athanasius twice [9] combines Aquila's version "God has created a new thing in woman" with that of the Septuagint, saying that the new plantation is Jesus Christ, and that the new thing created in woman is the body of the Lord, conceived within the virgin without the co-operation of man. St. Jerome too [10] understands the prophetic text of the virgin conceiving the Messias. This meaning of the passage satisfies the text and the context. As the Word Incarnate possessed from the first moment of His conception all His perfections excepting those connected with His bodily development, His mother is rightly said to "compass a man". No need to point out that such a condition of a newly conceived child is rightly called "a new thing upon earth". The context of the prophecy describes after a short general introduction (30:1-3) Israel's future freedom and restoration in four stanzas: 30:4-11, 12-22; 30:23; 31:14, 15-26; the first three stanzas end with the hope of the Messianic time. The fourth stanza, too, must be expected to have a similar ending. Moreover, the prophecy of Jeremias, uttered about 589 B.C. and understood in the sense just explained, agrees with the contemporary Messianic expectations based on Isaias 7:14; 9:6; Micah 5:3. According to Jeremias, the mother of Christ is to differ from other mothers in this, that her child, even while within her womb, shall possess all those properties which constitute real manhood [11]. The Old Testament refers indirectly to Mary in those prophecies which predict the Incarnation of the Word of God.

Old Testament types and figures of Mary

In order to be sure of the typical sense, it must be revealed, i.e. it must come down to us through Scripture or tradition. Individual pious writers have developed copious analogies between certain data of the Old Testament and corresponding data of the New; however ingenious these developments may be, they do not prove that God really intended to convey the corresponding truths in the inspired text of the Old Testament. On the other hand, it must be kept in mind that not all truths contained in either Scripture or tradition have been explicitly proposed to the faithful as matters of belief by the explicit definition of the Church.

According to the principle "Lex orandi est lex credenti" we must treat at least with reverence the numberless suggestions contained in the official prayers and liturgies of the Church. In this sense we must regard many of the titles bestowed on Our Blessed Lady in her litany and in the "Ave maris stella". The Antiphons and Responses found in the Offices recited on the various feasts of Our Blessed Lady suggest a number of types of Mary that hardly could have been brought so vividly to the notice of the Church's ministers in any other way. The third antiphon of Lauds of the Feast of the Circumcision sees in "the bush that was not burnt" (Exodus 3:2) a figure of Mary conceiving her Son without the loss of her virginity. The second antiphon of Lauds of the same Office sees in Gideon's fleece wet with dew while all the ground beside had remained dry (Judges 6:37-38) a type of Mary receiving in her womb the Word Incarnate [12]. The Office of the Blessed Virgin applies to Mary many passages concerning the spouse in the Canticle of Canticles [13] and also concerning Wisdom in the Book of Proverbs 8:22-31 [14]. The application to Mary of a "garden enclosed, a fountain sealed up" mentioned in Canticles 4:12 is only a particular instance of what has been said above. [15] Besides, Sara, Debbora, Judith, and Esther are variously used as figures of Mary; the ark of the Covenant, over which the presence of God manifested itself, is used as the figure of Mary carrying God Incarnate within her womb. But especially Eve, the mother of all the living (Genesis 3:20), is considered as a type of Mary who is the mother of all the living in the order of grace [16].

Mary in the gospels

The reader of the Gospels is at first surprised to find so little about Mary; but this obscurity of Mary in the Gospels has been studied at length by Blessed Peter Canisius [17], Auguste Nicolas [18], Cardinal Newman [19], and Very Rev. J. Spencer Northcote [20]. In the commentary on the "Magnificat", published 1518, even Luther expresses the belief that the Gospels praise Mary sufficiently by calling her (eight times) the Mother of Jesus. In the following paragraphs we shall briefly group together what we know of Our Blessed Lady's life before the birth of her Divine Son, during the hidden life of Our Lord, during His public life and after His resurrection.

Mary's Davidic ancestry

St. Luke (2:4) says that St. Joseph went from Nazareth to Bethlehem to be enrolled, "because he was of the house and family of David". As if to exclude all doubt concerning the Davidic descent of Mary, the Evangelist (1:32, 69) states that the child born of Mary without the intervention of man shall be given "the throne of David His father", and that the Lord God has "raised up a horn of salvation to us in the house of David his servant". [21] St. Paul too testifies that Jesus Christ "was made to him [God] of the seed of David, according to the flesh" (Romans 1:3). If Mary were not of Davidic descent, her Son conceived by the Holy Ghost could not be said to be "of the seed of David". Hence commentators tell us that in the text "in the sixth month the angel Gabriel was sent from God ... to a virgin espoused to a man whose name was Joseph, of the house of David" (Luke 1:26-27); the last clause "of the house of David" does not refer to Joseph, but to the virgin who is the principal person in the narrative; thus we have a direct inspired testimony to Mary's Davidic descent. [22]

While commentators generally agree that the genealogy found at the beginning of the first Gospel is that of St. Joseph, Annius of Viterbo proposes the opinion, already alluded to by St. Augustine, that St. Luke's genealogy gives the pedigree of Mary. The text of the third Gospel (3:23) may be explained so as to make Heli the father of Mary: "Jesus ... being the son (as it was supposed of Joseph) of Heli", or "Jesus ... being the son of Joseph, as it was supposed, the son of Heli" (Lightfoot, Bengel, etc.), or again "Jesus ... being as it was supposed the son of Joseph, who was [the son-in-law] of Heli" [23]. In these explanations the name of Mary is not mentioned explicitly, but it is implied; for Jesus is the Son of Heli through Mary.

Her parents

Though few commentators adhere to this view of St. Luke's genealogy, the name of Mary's father, Heli, agrees with the name given to Our Lady's father in a tradition founded upon the report of the Protoevangelium of James, an apocryphal Gospel which dates from the end of the second century. According to this document the parents of Mary are Joachim and Anna. Now, the name Joachim is only a variation of Heli or Eliachim, substituting one Divine name (Yahweh) for the other (Eli, Elohim). The tradition as to the parents of Mary, found in the Gospel of James, is reproduced by St. John Damascene [24], St. Gregory of Nyssa [25], St. Germanus of Constantinople [26], pseudo-Epiphanius [27], pseudo-Hilarius [28], and St. Fulbert of Chartres [29]. Some of these writers add that the birth of Mary was obtained by the fervent prayers of Joachim and Anna in their advanced age. As Joachim belonged to the royal family of David, so Anna is supposed to have been a descendant of the priestly family of Aaron; thus Christ the Eternal King and Priest sprang from both a royal and priestly family [30].

The hometown of Mary's parents

According to Luke 1:26, Mary lived in Nazareth, a city in Galilee, at the time of the Annunciation. A certain tradition maintains that she was conceived and born in the same house in which the Word became flesh [31]. Another tradition based on the Gospel of James regards Sephoris as the earliest home of Joachim and Anna, though they are said to have lived later on in Jerusalem, in a house called by St. Sophronius of Jerusalem [32] Probatica. Probatica, a name probably derived from the sanctuary's nearness to the pond called Probatica or Bethsaida in John 5:2. It was here that Mary was born. About a century later, about A.D. 750, St. John Damascene [33] repeats the statement that Mary was born in the Probatica.

It is said that, as early as in the fifth century the empress Eudoxia built a church over the place where Mary was born, and where her parents lived in their old age. The present Church of St. Anna stands at a distance of only about 100 Feet from the pool Probatica. In 1889, 18 March, was discovered the crypt which encloses the supposed burying-place of St. Anna. Probably this place was originally a garden in which both Joachim and Anna were laid to rest. At their time it was still outside of the city walls, about 400 feet north of the Temple. Another crypt near St. Anna's tomb is the supposed birthplace of the Blessed Virgin; hence it is that in early times the church was called St. Mary of the Nativity [34]. In the Cedron Valley, near the road leading to the Church of the Assumption, is a little sanctuary containing two altars which are said to stand over the burying-places of Sts. Joachim and Anna; but these graves belong to the time of the Crusades [35]. In Sephoris too the Crusaders replaced by a large church an ancient sanctuary which stood over the legendary house of Sts. Joachim and Anna. After 1788 part of this church was restored by the Franciscan Fathers.

Her Immaculate Conception

The Immaculate Conception of Our Blessed Lady has been treated in a SPECIAL ARTICLE.

The birth of Mary

As to the place of the birth of Our Blessed Lady, there are three different traditions to be considered.

First, the event has been placed in Bethlehem. This opinion rests on the authority of the following witnesses: it is expressed in a writing entitled "De nativ. S. Mariae" [36] inserted after the works of St. Jerome; it is more or less vaguely supposed by the Pilgrim of Piacenza, erroneously called Antoninus Martyr, who wrote about A.D. 580 [37]; finally the popes Paul II (1471), Julius II (1507), Leo X (1519), Paul III (1535), Pius IV (1565), Sixtus V (1586), and Innocent XII (1698) in their Bulls concerning the Holy House of Loreto say that the Blessed Virgin was born, educated, and greeted by the angel in the Holy House. But these pontiffs hardly wish to decide an historical question; they merely express the opinion of their respective times.

A second tradition placed the birth of Our Blessed Lady in Sephoris, about three miles north of Bethlehem, the Roman Diocaesarea, and the residence of Herod Antipas till late in the life of Our Lord. The antiquity of this opinion may be inferred from the fact that under Constantine a church was erected in Sephoris to commemorate the residence of Joachim and Anna in that place [38]. St. Epiphanius speaks of this sanctuary [39]. But this merely shows that Our Blessed Lady may have lived in Sephoris for a time with her parents, without forcing us to believe that she had been born there.

The third tradition, that Mary was born in Jerusalem, is the most probable one. We have seen that it rests upon the testimony of St. Sophronius, St. John Damascene, and upon the evidence of the recent finds in the Probatica. The Feast of Our Lady's Nativity was not celebrated in Rome till toward the end of the seventh century; but two sermons found among the writings of St. Andrew of Crete (d. 680) suppose the existence of this feat, and lead one to suspect that it was introduced at an earlier date into some other churches [40]. In 799 the 10th canon of the Synod of Salzburg prescribes four feasts in honour of the Mother of God: the Purification, 2 February; the Annunciation, 25 March; the Assumption, 15 August; the Nativity, 8 September.

The Presentation of Mary

According to Exodus 13:2 and 13:12, all the Hebrew first-born male children had to be presented in the Temple. Such a law would lead pious Jewish parents to observe the same religious rite with regard to other favourite children. This inclines one to believe that Joachim and Anna presented in the Temple their child, which they had obtained by their long, fervent prayers.

As to Mary, St. Luke (1:34) tells us that she answered the angel announcing the birth of Jesus Christ: "how shall this be done, because I know not man". These words can hardly be understood, unless we assume that Mary had made a vow of virginity; for, when she spoke them, she was betrothed to St. Joseph. [41] The most opportune occasion for such a vow was her presentation in the Temple. As some of the Fathers admit that the faculties of St. John the Baptist were prematurely developed by a special intervention of God's power, we may admit a similar grace for the child of Joachim and Anna. [42]

But what has been said does not exceed the certainty of antecedently probable pious conjectures. The consideration that Our Lord could not have refused His Blessed Mother any favours which depended merely on His munificence does not exceed the value of an a priori argument. Certainty in this question must depend on external testimony and the teaching of the Church.

Now, the Protoevangelium of James (7-8), and the writing entitled "De nativit. Mariae" (7-8), [43] state that Joachim and Anna, faithful to a vow they had made, presented the child Mary in the Temple when she was three years old; that the child herself mounted the Temple steps, and that she made her vow of virginity on this occasion. St. Gregory of Nyssa [44] and St. Germanus of Constantinople [45] adopt this report; it is also followed by pseudo-Gregory of Nazianzus in his "Christus patiens". [46] Moreover, the Church celebrates the Feast of the Presentation, though it does not specify at what age the child Mary was presented in the Temple, when she made her vow of virginity, and what were the special natural and supernatural gifts with which God endowed her. The feast is mentioned for the first time in a document of Manuel Commenus, in 1166; from Constantinople the feast must have been introduced into the western Church, where we find it at the papal court at Avignon in 1371; about a century later, Pope Sixtus IV introduced the Office of the Presentation, and in 1585 Pope Sixtus V extended the Feast of the Presentation to the whole Church.

Her betrothal to Joseph

The apocryphal writings to which we referred in the last paragraph state that Mary remained in the Temple after her presentation in order to be educated with other Jewish children. There she enjoyed ecstatic visions and daily visits of the holy angels.

When she was fourteen, the high priest wished to send her home for marriage. Mary reminded him of her vow of virginity, and in his embarrassment the high priest consulted the Lord. Then he called all the young men of the family of David, and promised Mary in marriage to him whose rod should sprout and become the resting place of the Holy Ghost in form of a dove. It was Joseph who was privileged in this extraordinary way.

We have already seen that St. Gregory of Nyssa, St. Germanus of Constantinople, and pseudo-Gregory Nazianzen seem to adopt these legends. Besides, the emperor Justinian allowed a basilica to be built on the platform of the former Temple in memory of Our Lady's stay in the sanctuary; the church was called the New St. Mary's so as to distinguish it from the Church of the Nativity. It seems to be the modern mosque el-Aksa. [47]

On the other hand, the Church is silent as to Mary's stay in the Temple. St. Ambrose [48], describing Mary's life before the Annunciation, supposes expressly that she lived in the house of her parents. All the descriptions of the Jewish Temple which can claim any scientific value leave us in ignorance as to any localities in which young girls might have been educated. Joas's stay in the Temple till the age of seven does not favour the supposition that young girls were educated within the sacred precincts; for Joas was king, and was forced by circumstances to remain in the Temple (cf. 2 Kings 11:3). What 2 Maccabees 3:19, says about "the virgins also that were shut up" does not show that any of them were kept in the Temple buildings. If the prophetess Anna is said (Luke 2:37) not to have "departed from the temple, by fastings and prayer serving night and day", we do not suppose that she actually lived in one of he temple rooms. [49] As the house of Joachim and Anna was not far distant from the Temple, we may supposed that the holy child Mary was often allowed to visit the sacred buildings in order to satisfy her devotion.

Jewish maidens were considered marriageable at the age of twelve years and six months, though the actual age of the bride varied with circumstances. The marriage was preceded by the betrothal, after which the bride legally belonged to the bridegroom, though she did not live with him till about a year later, when the marriage used to be celebrated. All this agrees well with the language of the Evangelists. St. Luke (1:27) calls Mary "a virgin espoused to a man whose name was Joseph"; St. Matthew (1:18) says, when as his mother Mary was espoused to Joseph, before they came together, she was found with child, of the Holy Ghost". As we know of no brother of Mary, we must suppose that she was an heiress, and was obliged by the law of Numbers 36:6 to marry a member of her tribe. The Law itself prohibited marriage within certain degrees of relationship, so that the marriage of even an heiress was left more or less to choice.

According to Jewish custom, the union between Joseph and Mary had to be arranged by the parents of St. Joseph. One might ask why Mary consented to her betrothal, though she was bound by her vow of virginity. As she had obeyed God's inspiration in making her vow, so she obeyed God's inspiration in becoming the affianced bride of Joseph. Besides, it would have been singular among the Jews to refuse betrothal or marriage; for all the Jewish maidens aspired after marriage as the accomplishment of a natural duty. Mary trusted the Divine guidance implicitly, and thus was certain that her vow would be kept even in her married state.

The Annunciation

The Annunciation has been treated in a SPECIAL ARTICLE.

The Visitation

According to Luke 1:36, the angel Gabriel told Mary at the time of the annunciation, "behold, thy cousin Elizabeth, she also hath conceived a son in her old age, and this is the sixth month with her that was called barren". Without doubting the truth of the angel's words, Mary determined at once to add to the pleasure of her pious relative. [50] Hence the Evangelist continues (1:39): "And Mary, rising up in those days, went into the hill country with haste into a city of Juda. And she entered into the house of Zachary, and saluted Elizabeth." Though Mary must have told Joseph of her intended visit, it is hard to determine whether he accompanied her; if the time of the journey happened to coincide with one of the festal seasons at which the Israelites had to go to the Temple, there would be little difficulty about companionship.

The place of Elizabeth's home has been variously located by different writers: it has been placed in Machaerus, over ten miles east of the Dead Sea, or in Hebron, or again in the ancient sacerdotal city of Jutta, about seven miles south of Hebron, or finally in Ain-Karim, the traditional St. John-in-the Mountain, nearly four miles west of Jerusalem. [51] But the first three places possess no traditional memorial of the birth or life of St. John; besides, Machaerus was not situated in the mountains of Juda; Hebron and Jutta belonged after the Babylonian captivity to Idumea, while Ain-Karim lies in the "hill country" [52] mentioned in the inspired text of St. Luke.

After her journey of about thirty hours, Mary "entered into the house of Zachary, and saluted Elizabeth" (Luke 1:40). According to tradition, Elizabeth lived at the time of the visitation not in her city home, but in her villa, about ten minutes distant from the city; formerly this place was marked by an upper and lower church. In 1861 the present small Church of the Visitation was erected on the ancient foundations.

"And it came to pass that, when Elizabeth heard the salutation of Mary, the infant leaped in her womb." It was at this moment that God fulfilled the promise made by the angel to Zachary (Luke 1:15), "and he shall be filled with the Holy Ghost, even from his mother's womb"; in other words, the infant in Elizabeth's womb was cleansed from the stain of original sin. The fullness of the Holy Ghost in the infant overflowed, as it were, into the soul of his mother: "and Elizabeth was filled with the Holy Ghost" (Luke 1:41). Thus both child and mother were sanctified by the presence of Mary and the Word Incarnate [53]; filled as she was with the Holy Ghost, Elizabeth "cried out with a loud voice, and said: Blessed art thou among women, and blessed is the fruit of thy womb. And whence is this to me, that the mother of my Lord should come to me? For behold, as soon as the voice of thy salutation sounded in my ears, the infant in my womb leaped for joy. And blessed art thou that hast believed, because those things shall be accomplished that were spoken to thee by the Lord" (Luke 1:42-45). Leaving to commentators the full explanation of the preceding passage, we draw attention only to two points:

Elizabeth begins her greeting with the words with which the angel had finished his salutation, thus showing that both spoke in the same Holy Spirit;
Elizabeth is the first to call Mary by her most honourable title "Mother of God".

Mary's answer is the canticle of praise commonly called "Magnificat" from the first word of its Latin text; the "Magnificat" has been treated in a SEPARATE ARTICLE.

The Evangelist closes his account of the Visitation with the words: "And Mary abode with her about three months; and she returned to her own house" (Luke 1:56). Many see in this brief statement of the third gospel an implied hint that Mary remained in the house of Zachary till the birth of John the Baptist, while others deny such an implication. As the Feast of the Visitation was placed by the 43rd canon of the Council of Basle (A.D. 1441) on 2 July, the day following the Octave of the Feast of St. John Baptist, it has been inferred that Mary may have remained with Elizabeth until after the child's circumcision; but there is no further proof for this supposition. Though the visitation is so accurately described in the third Gospel, its feast does not appear to have been kept till the thirteenth century, when it was introduced through the influence of the Franciscans; in 1389 it was officially instituted by Urban VI.

Mary's pregnancy becomes known to Joseph

After her return from Elizabeth, Mary "was found with child, of the Holy Ghost" (Matthew 1:18). As among the Jews, betrothal was a real marriage, the use of marriage after the time of espousals presented nothing unusual among them. Hence Mary's pregnancy could not astonish anyone except St. Joseph. As he did not know the mystery of the Incarnation, the situation must have been extremely painful both to him and to Mary. The Evangelist says: "Whereupon Joseph her husband being a just man, and not willing publicly to expose her, was minded to put her away privately" (Matthew 1:19). Mary left the solution of the difficulty to God, and God informed the perplexed spouse in His own time of the true condition of Mary. While Joseph "thought on these things, behold the angel of the Lord appeared to him in his sleep, saying: Joseph, son of David, fear not to take unto thee Mary thy wife, for that which is conceived in her is of the Holy Ghost. And she shall bring forth a son, and thou shalt call his name Jesus. For He shall save His people from their sins" (Matthew 1:20-21).

Not long after this revelation, Joseph concluded the ritual marriage contract with Mary. The Gospel simply says: "Joseph rising up from sleep did as the angel of the Lord had commanded him, and took unto him his wife" (Matthew 1:24). While it is certain that between the betrothal and the marriage at least three months must have elapsed, during which Mary stayed with Elizabeth, it is impossible to determine the exact length of time between the two ceremonies. We do not know how long after the betrothal the angel announced to Mary the mystery of the Incarnation, nor do we know how long the doubt of Joseph lasted, before he was enlightened by the visit of the angel. From the age at which Hebrew maidens became marriageable, it is possible that Mary gave birth to her Son when she was about thirteen or fourteen years of age. No historical document tells us how old she actually was at the time of the Nativity.

The journey to Bethlehem

St. Luke (2:1-5) explains how Joseph and Mary journeyed from Nazareth to Bethlehem in obedience to a decree of Caesar Augustus which prescribed a general enrolment. The questions connected with this decree have been considered in the article BIBLICAL CHRONOLOGY. There are various reasons why Mary should have accompanied Joseph on this journey; she may not wished to lose Joseph's protection during the critical time of her pregnancy, or she may have followed a special Divine inspiration impelling her to go in order to fulfil the prophecies concerning her Divine Son, or again she may have been compelled to go by the civil law either as an heiress or to settle the personal tax payable by women over twelve years of age. [54]

As the enrolment had brought a multitude of strangers to Bethlehem, Mary and Joseph found no room in the caravansary and had to take lodging in a grotto which served as a shelter for animals. [55]

Mary gives birth to Our Lord

"And it came to pass, that when they were there, her days were accomplished, that she should be delivered" (Luke 2:6); this language leaves it uncertain whether the birth of Our Lord took place immediately after Joseph and Mary had taken lodging in the grotto, or several days later. What is said about the shepherds "keeping the night watches over their flock" (Luke 2:8) shows that Christ was born in the night time.

After bringing forth her Son, Mary "wrapped Him up in swaddling clothes, and laid Him in a manger" (Luke 2:7), a sign that she did not suffer from the pain and weakness of childbirth. This inference agrees with the teaching of some of the principal Fathers and theologians: St. Ambrose [56], St. Gregory of Nyssa [57], St. John Damascene [58], the author of Christus patiens [59], St. Thomas [60], etc. It was not becoming that the mother of God should be subject to the punishment pronounced in Genesis 3:16, against Eve and her sinful daughters.

Shortly after the birth of the child, the shepherds, obedient to the angelic invitation, arrived in the grotto, "and they found Mary and Joseph, and the infant lying in the manger" (Luke 2:16). We may suppose that the shepherds spread the glad tidings they had received during the night among their friends in Bethlehem, and that the Holy Family was received by one of its pious inhabitants into more suitable lodgings.

The Circumcision of Our Lord

"And after eight days were accomplished, that the child should be circumcised, his name was called Jesus" (Luke 2:21). The rite of circumcision was performed either in the synagogue or in the home of the Child; it is impossible to determine where Our Lord's Circumcision took place. At any rate, His Blessed Mother must have been present at the ceremony.

The Presentation

According to the law of Leviticus 12:2-8, the Jewish mother of a male child had to present herself forty days after his birth for legal purification; according to Exodus 13:2, and Numbers 18:15, the first-born son had to be presented on the same occasion. Whatever reasons Mary and the Infant might have for claiming an exemption, they complied with the law. But, instead of offering a lamb, they presented the sacrifice of the poor, consisting of a pair of turtle-doves or two young pigeons. In 2 Corinthians 8:9, St. Paul informs the Corinthians that Jesus Christ "being rich ... became poor, for your sakes, that through his poverty you might be rich". Even more acceptable to God than Mary's poverty was the readiness with which she surrendered her Divine Son to the good pleasure of His Heavenly Father.

After the ceremonial rites had been complied with, holy Simeon took the Child in his arms, and thanked God for the fulfilment of his promises; he drew attention to the universality of the salvation that was to come through Messianic redemption "prepared before the face of all peoples: a light to the revelation of the Gentiles, and the glory of thy people Israel" (Luke 2:31 sq.). Mary and Joseph now began to know their Divine Child more fully; they "were wondering at those things which were spoken concerning him" (Luke 2:33). As if to prepare Our Blessed Mother for the mystery of the cross, holy Simeon said to her: "Behold this child is set for the fall, and for the resurrection of many in Israel, and for a sign which shall be contradicted. And thy own soul a sword shall pierce, that, out of many hearts, thoughts may be revealed" (Luke 2:34-35). Mary had suffered her first great sorrow at the time when Joseph was hesitating about taking her for his wife; she experienced her second great sorrow when she heard the words of holy Simeon.

Though the incident of the prophetess Anna had a more general bearing, for she "spoke of him (the Child) to all that looked for the redemption of Israel" (Luke 2:38), it must have added greatly to the wonder of Joseph and Mary. The Evangelist's concluding remark, "after they had performed all things according to the law of the Lord, they returned into Galilee, to their city Nazareth" (Luke 2:39), has been variously interpreted by commentators; as to the order of events, see the article CHRONOLOGY OF THE LIFE OF JESUS CHRIST.

The visit of the Magi

After the Presentation, the Holy Family either returned to Bethlehem directly, or went first to Nazareth, and then moved into the city of David. At any rate, after the "wise men from the east" had followed the Divine guidance to Bethlehem, "entering into the house, they found the child with Mary his mother, and falling down they adored him; and opening their treasures, they offered him gifts; gold, frankincense, and myrrh" (Matthew 2:11). The Evangelist does not mention Joseph; not that he was not present, but because Mary occupies the principal place near the Child. How Mary and Joseph disposed of the presents offered by their wealthy visitors has not been told us by the Evangelists.

The flight to Egypt

Soon after the departure of the wise men Joseph received the message from the angel of the Lord to fly into Egypt with the Child and His mother on account of the evil designs of Herod; the holy man's ready obedience is briefly described by the Evangelist in the words: "who arose, and took the child and his mother by night, and retired into Egypt" (Matthew 2:14). Persecuted Jews had ever sought a refuge in Egypt (cf. 1 Kings 11:40; 2 Kings 25:26); about the time of Christ Jewish colonists were especially numerous in the land of the Nile [61]; according to Philo [62] they numbered at least a million. In Leontopolis, in the district of Heliopolis, the Jews had a temple (160 B.C.-A.D. 73) which rivalled in splendour the temple in Jerusalem. [63] The Holy Family might therefore expect to find in Egypt a certain amount of help and protection.

On the other hand, it required a journey of at least ten days from Bethlehem to reach the nearest habitable districts of Egypt. We do not know by what road the Holy Family effected its flight; they may have followed the ordinary road through Hebron; or they may have gone by way of Eleutheropolis and Gaza, or again they may have passed west of Jerusalem towards the great military road of Joppe.

There is hardly any historical document which will assist us in determining where the Holy Family lived in Egypt, nor do we know how long the enforced exile lasted. [64]

When Joseph received from the angel the news of Herod's death and the command to return into the land of Israel, he "arose, and took the child and his mother, and came into the land of Israel" (Matthew 2:21). The news that Archelaus ruled in Judea prevented Joseph from settling in Bethlehem, as had been his intention; "warned in sleep retired into the quarters of Galilee. And coming he dwelt in a city called Nazareth" (Matthew 2:22-23). In all these details Mary simply followed the guidance of Joseph, who in his turn received the Divine manifestations as head of the Holy Family. There is no need to point out the intense sorrow which Mary suffered on account of the early persecution of the Child.

The Holy Family in Nazareth

The life of the Holy Family in Nazareth was that of the ordinary poor tradesman. According to Matthew 13:55, the townsfolk asked "Is not this the carpenter's son?"; the question, as expressed in the second Gospel (Mark 6:3), shows a slight variation, "Is not this the carpenter?" While Joseph gained the livelihood for the Holy Family by his daily work, Mary attended to the various duties of housekeeper. St. Luke (2:40) briefly says of Jesus: "And the child grew, and waxed strong, full of wisdom; and the grace of God was in him". The weekly Sabbath and the annual great feasts interrupted the daily routine of life in Nazareth.

The finding of Our Lord in the Temple

According to the law of Exodus 23:17, only the men were obliged to visit the Temple on the three solemn feasts of the year; but the women often joined the men to satisfy their devotion. St. Luke (2:41) informs us that "his [the child's] parents went every year to Jerusalem, at the solemn day of the pasch". Probably the Child Jesus was left in the home of friends or relatives during the days of Mary's absence. According to the opinion of some writers, the Child did not give any sign of His Divinity during the years of His infancy, so as to increase the merits of Joseph's and Mary's faith based on what they had seen and heard at the time of the Incarnation and the birth of Jesus. Jewish Doctors of the Law maintained that a boy became a son of the law at the age of twelve years and one day; after that he was bound by the legal precepts.

The evangelist supplies us here with the information that, "when he was twelve years old, they going up into Jerusalem, according to the custom of the feast, and having fulfilled the days, when they returned, the child Jesus remained in Jerusalem, and his parents knew it not" (Luke 2:42-43). Probably it was after the second festal day that Joseph and Mary returned with the other Galilean pilgrims; the law did not require a longer sojourn in the Holy City. On the first day the caravan usually made a four hours' journey, and rested for the night in Beroth on the northern boundary of the former Kingdom of Juda. The crusaders built in this place a beautiful Gothic church to commemorate Our Lady's sorrow when she "sought him [her child] among their kinsfolks and acquaintance, and not finding him, ... returned into Jerusalem, seeking him" (Luke 2:44-45). The Child was not found among the pilgrims who had come to Beroth on their first day's journey; nor was He found on the second day, when Joseph and Mary returned to Jerusalem; it was only on the third day that they "found him [Jesus] in the temple, sitting in the midst of the doctors, hearing them, and asking them questions ... And seeing him, they wondered. And his mother said to him: Son, why hast thou done so to us? behold thy father and I have sought thee sorrowing" (Luke 2:40-48). Mary's faith did not allow her to fear a mere accident for her Divine Son; but she felt that His behaviour had changed entirely from His customary exhibition of docility and subjection. The feeling caused the question, why Jesus had treated His parents in such a way. Jesus simply answered: "How is it that you sought me? did you not know, that I must be about my father's business?" (Luke 2:49). Neither Joseph nor Mary understood these words as a rebuke; "they understood not the word that he spoke to them" (Luke 2:50). It has been suggested by a recent writer that the last clause may be understood as meaning, "they understood not the word he spoke unto them ".

[B][I]The remainder of Our Lord's youth

After this, Jesus "went down with them, and came to Nazareth" where He began a life of work and poverty, eighteen years of which are summed up by the Evangelist in the few words, and he "was subject to them, and ... advanced in wisdom, and age, and grace with God and men" (Luke 2:51-52). The interior life of Mary is briefly indicated by the inspired writer in the expression, "and his mother kept all these words in her heart" (Luke 2:51). A similar expression had been used in 2:19, "Mary kept all these words, pondering them in her heart". Thus Mary observed the daily life of her Divine Son, and grew in His knowledge and love by meditating on what she saw and heard. It has been pointed out by certain writers that the Evangelist here indicates the last source from which he derived the material contained in his first two chapters.

[I]Mary's perpetual virginity

In connection with the study of Mary during Our Lord's hidden life, we meet the questions of her perpetual virginity, of her Divine motherhood, and of her personal sanctity. Her spotless virginity has been sufficiently considered in the article on the Virgin Birth. The authorities there cited maintain that Mary remained a virgin when she conceived and gave birth to her Divine Son, as well as after the birth of Jesus. Mary's question (Luke 1:34), the angel's answer (Luke 1:35-37), Joseph's way of behaving in his doubt (Matthew 1:19-25), Christ's words addressed to the Jews (John 8:19) show that Mary retained her virginity during the conception of her Divine Son. [65]

As to Mary's virginity after her childbirth, it is not denied by St. Matthew's expressions "before they came together" (1:18), "her firstborn son" (1:25), nor by the fact that the New Testament books repeatedly refer to the "brothers of Jesus". [66] The words "before they came together" mean probably, "before they lived in the same house", referring to the time when they were merely betrothed; but even if the words be understood of marital intercourse, they only state that the Incarnation took place before any such intercourse had intervened, without implying that it did occur after the Incarnation of the Son of God. [67]

The same must be said of the expression, "and he knew her not till she brought forth her firstborn son" (Matthew 1:25); the Evangelist tells us what did not happen before the birth of Jesus, without suggesting that it happened after his birth. [68] The name "firstborn" applies to Jesus whether his mother remained a virgin or gave birth to other children after Jesus; among the Jews it was a legal name [69], so that its occurrence in the Gospel cannot astonish us.

Finally, the "brothers of Jesus" are neither the sons of Mary, nor the brothers of Our Lord in the proper sense of the word, but they are His cousins or the more or less near relatives. [70] The Church insists that in His birth the Son of God did not lessen but consecrate the virginal integrity of His mother (Secret in Mass of Purification). The Fathers express themselves in similar language concerning this privilege of Mary. [71]

Mary's divine motherhood

Mary's Divine motherhood is based on the teaching of the Gospels, on the writings of the Fathers, and on the express definition of the Church. St. Matthew (1:25) testifies that Mary "brought forth her first-born son" and that He was called Jesus. According to St. John (1:15) Jesus is the Word made flesh, the Word Who assumed human nature in the womb of Mary. As Mary was truly the mother of Jesus, and as Jesus was truly God from the first moment of His conception, Mary is truly the mother of God. Even the earliest Fathers did not hesitate to draw this conclusion as may be seen in the writings of St. Ignatius [72], St. Irenaeus [73], and Tertullian [74]. The contention of Nestorius denying to Mary the title "Mother of God" [75] was followed by the teaching of the Council of Ephesus proclaiming Mary to be Theotokos in the true sense of the word. [76]

Mary's perfect sanctity

Some few patristic writers expressed their doubts as to the presence of minor moral defects in Our Blessed Lady. [77] St. Basil, e.g., suggests that Mary yielded to doubt on hearing the words of holy Simeon and on witnessing the crucifixion. [78] St. John Chrysostom is of opinion that Mary would have felt fear and trouble, unless the angel had explained the mystery of the Incarnation to her, and that she showed some vainglory at the marriage feast in Cana and on visiting her Son during His public life together with the brothers of the Lord. [79] St. Cyril of Alexandria [80] speaks of Mary's doubt and discouragement at the foot of the cross. But these Greek writers cannot be said to express an Apostolic tradition, when they express their private and singular opinions. Scripture and tradition agree in ascribing to Mary the greatest personal sanctity; She is conceived without the stain of original sin; she shows the greatest humility and patience in her daily life (Luke 1:38, 48); she exhibits an heroic patience under the most trying circumstances (Luke 2:7, 35, 48; John 19:25-27). When there is question of sin, Mary must always be excepted. [81] Mary's complete exemption from actual sin is confirmed by the Council of Trent (Session VI, Canon 23): "If any one say that man once justified can during his whole life avoid all sins, even venial ones, as the Church holds that the Blessed Virgin did by special privilege of God, let him be anathema." Theologians assert that Mary was impeccable, not by the essential perfection of her nature, but by a special Divine privilege. Moreover, the Fathers, at least since the fifth century, almost unanimously maintain that the Blessed Virgin never experienced the motions of concupiscence.

The miracle in Cana

The evangelists connect Mary's name with three different events in Our Lord's public life: with the miracle in Cana, with His preaching, and with His passion. The first of these incidents is related in John 2:1-10.

There was a marriage feast in Cana of Galilee ... and the mother of Jesus was there. And Jesus also was invited, and his disciples, to the marriage. And the wine failing, the mother of Jesus saith to him: They have no wine. And Jesus saith to her: Woman, what is that to me and to thee? my hour is not yet come.
One naturally supposes that one of the contracting parties was related to Mary, and that Jesus had been invited on account of his mother's relationship. The couple must have been rather poor, since the wine was actually failing. Mary wishes to save her friends from the shame of not being able to provide properly for the guests, and has recourse to her Divine Son. She merely states their need, without adding any further petition. In addressing women, Jesus uniformly employs the word "woman" (Matthew 15:28; Luke 13:12; John 4:21; 8:10; 19:26; 20:15), an expression used by classical writers as a respectful and honourable address. [82] The above cited passages show that in the language of Jesus the address "woman" has a most respectful meaning. The clause "what is that to me and to thee" renders the Greek ti emoi kai soi, which in its turn corresponds to the Hebrew phrase mah li walakh. This latter occurs in Judges 11:12; 2 Samuel 16:10; 19:23; 1 Kings 17:18; 2 Kings 3:13; 9:18; 2 Chronicles 35:21. The New Testament shows equivalent expressions in Matthew 8:29; Mark 1:24; Luke 4:34; 8:28; Matthew 27:19. The meaning of the phrase varies according to the character of the speakers, ranging from a most pronounced opposition to a courteous compliance. Such a variable meaning makes it hard for the translator to find an equally variable equivalent. "What have I to do with thee", "this is neither your nor my business", "why art thou troublesome to me", "allow me to attend to this", are some of the renderings suggested. In general, the words seem to refer to well or ill-meant importunity which they endeavour to remove. The last part of Our Lord's answer presents less difficulty to the interpreter: "my hour is not yet come", cannot refer to the precise moment at which the need of wine will require the miraculous intervention of Jesus; for in the language of St. John "my hour" or "the hour" denotes the time preordained for some important event (John 4:21-23; 5:25-28; 7:30; 8:29; 12:23; 13:1; 16:21; 17:1). Hence the meaning of Our Lord's answer is: "Why are you troubling me by asking me for such an intervention? The divinely appointed time for such a manifestation has not yet come"; or, "why are you worrying? has not the time of manifesting my power come?" The former of these meanings implies that on account of the intercession of Mary Jesus anticipated the time set for the manifestation of His miraculous power [83]; the second meaning is obtained by understanding the last part of Our Lord's words as a question, as was done by St. Gregory of Nyssa [84], and by the Arabic version of Tatian's "Diatessaron" (Rome, 1888). [85] Mary understood her Son's words in their proper sense; she merely warned the waiters, "Whatsoever he shall say to you, do ye" (John 2:5). There can be no question of explaining Jesus' answer in the sense of a refusal.

Mary during the apostolic life of Our Lord

During the apostolic life of Jesus, Mary effaced herself almost completely. Not being called to aid her Son directly in His ministry, she did not wish to interfere with His work by her untimely presence. In Nazareth she was regarded as a common Jewish mother; St. Matthew (3:55-56; cf. Mark 6:3) introduces the people of the town as saying: "Is not this the carpenter's son? Is not his mother called Mary, and his brethren James, and Joseph, and Simon, and Jude: and his sisters, are they not all with us?" Since the people wish to lower Our Lord's esteem by their language, we must infer that Mary belonged to the lower social order of townspeople. The parallel passage of St. Mark reads, "Is not this the carpenter?" instead of, "Is not this the carpenter's son?" Since both evangelists omit the name of St. Joseph, we may infer that he had died before this episode took place.

At first sight, it seems that Jesus Himself depreciated the dignity of His Blessed Mother. When He was told: "Behold thy mother and thy brethren stand without, seeking thee", He answered: "Who is my mother, and who are my brethren? And stretching forth his hand towards his disciples, he said: Behold my mother and my brethren. For whosoever shall do the will of my Father, that is in heaven, he is my brother, and my sister, and my mother" (Matthew 12:47-50; cf. Mark 3:31-35; Luke 8:19-21). On another occasion, "a certain woman from the crowd, lifting up her voice, said to him: Blessed is the womb that bore thee, and the paps that gave thee suck. But he said: Yea rather, blessed are they who hear the word of God, and keep it" (Luke 11:27-28).

In reality, Jesus in both these passages places the bond that unites the soul with God above the natural bond of parentage which unites the Mother of God with her Divine Son. The latter dignity is not belittled; as men naturally appreciate it more easily, it is employed by Our Lord as a means to make known the real value of holiness. Jesus, therefore, really, praises His mother in a most emphatic way; for she excelled the rest of men in holiness not less than in dignity. [86] Most probably, Mary was found also among the holy women who ministered to Jesus and His apostles during their ministry in Galilee (cf. Luke 8:2-3); the Evangelists do not mention any other public appearance of Mary during the time of Jesus's journeys through Galilee or Judea. But we must remember that when the sun appears, even the brightest stars become invisible.

Mary during the Passion of Our Lord

Since the Passion of Jesus Christ occurred during the paschal week, we naturally expect to find Mary at Jerusalem. Simeon's prophecy found its fulfilment principally during the time of Our Lord's suffering. According to a tradition, His Blessed Mother met Jesus as He was carrying His cross to Golgotha. The Itinerarium of the Pilgrim of Bordeaux describes the memorable sites which the writer visited A.D. 333, but it does not mention any locality sacred to this meeting of Mary and her Divine Son. [87] The same silence prevails in the so-called Peregrinatio Silviae which used to be assigned to A.D. 385, but has lately been placed in A.D. 533-540. [88] But a plan of Jerusalem, dating from the year 1308, shows a Church of St. John the Baptist with the inscription "Pasm. Vgis.", Spasmus Virginis, the swoon of the Virgin. During the course of the fourteenth century Christians began to locate the spots consecrated by the Passion of Christ, and among these was the place was the place where Mary is said to have fainted at the sight of her suffering Son. [89] Since the fifteenth century one finds always "Sancta Maria de Spasmo" among the Stations of the Way of the Cross, erected in various parts of Europe in imitation of the Via Dolorosa in Jerusalem. [90] That Our Blessed Lady should have fainted at the sight of her Son's sufferings, hardly agrees with her heroic behaviour under the cross; still, we may consider her woman and mother in her meeting with her Son on the way to Golgotha, while she is the Mother of God at the foot of the cross.

Mary's spiritual motherhood

While Jesus was hanging on the cross, "there stood by the cross of Jesus, his mother, and his mother's sister, Mary Cleophas, and Mary Magdalen. When Jesus therefore had seen his mother and the disciple standing whom he loved, he saith to his mother: Woman, behold thy son. After that, he saith to the disciple: Behold thy mother. And from that hour, the disciple took her to his own" (John 19:25-27). The darkening of the sun and the other extraordinary phenomena in nature must have frightened the enemies of Our Lord sufficiently so as not to interfere with His mother and His few friends standing at the foot of the cross. In the meantime, Jesus had prayed for His enemies, and had promised pardon to the penitent thief; now, He took compassion on His desolate mother, and provided for her future. If St. Joseph had been still alive, or if Mary had been the mother of those who are called Our Lord's brethren or sisters in the gospels, such a provision would not have been necessary. Jesus uses the same respectful title with which he had addressed his mother at the marriage feast in Cana. Then he commits Mary to John as his mother, and wishes Mary to consider John as her son.

Among the early writers, Origen is the only one who considers Mary's motherhood of all the faithful in this connection. According to him, Christ lives in his perfect followers, and as Mary is the Mother of Christ, so she is mother of him in whom Christ lives. Hence, according to Origen, man has an indirect right to claim Mary as his mother, in so far as he identifies himself with Jesus by the life of grace. [91] In the ninth century, George of Nicomedia [92] explains Our Lord's words on the cross in such a way as to entrust John to Mary, and in John all the disciples, making her the mother and mistress of all John's companions. In the twelfth century Rupert of Deutz explained Our Lord's words as establishing Mary's spiritual motherhood of men, though St. Bernard, Rupert's illustrious contemporary, does not enumerate this privilege among Our Lady's numerous titles. [93] After this time Rupert's explanation of Our Lord's words on the cross became more and more common, so that in our day it has found its way into practically all books of piety. [94]

The doctrine of Mary's spiritual motherhood of men is contained in the fact that she is the antitype of Eve: Eve is our natural mother because she is the origin of our natural life; so Mary is our spiritual mother because she is the origin of our spiritual life. Again, Mary's spiritual motherhood rests on the fact that Christ is our brother, being "the firstborn among many brethren" (Romans 8:29). She became our mother at the moment she consent to the Incarnation of the Word, the Head of the mystical body whose members we are; and she sealed her motherhood by consenting to the bloody sacrifice on the cross which is the source of our supernatural life. Mary and the holy women (Matthew 17:56; Mark 15:40; Luke 23:49; John 19:25) assisted at the death of Jesus on the cross; she probably remained during the taking down of His sacred body and during His funeral. The following Sabbath was for her a time of grief and hope. The eleventh canon of a council held in Cologne, in 1423, instituted against the Hussites the feast of the Dolours of Our Blessed Lady, placing it on the Friday following the third Sunday after Easter. In 1725 Benedict XIV extended the feast to the whole Church, and placed it on the Friday in Passion Week. "And from that hour, the disciple took her to his own" (John 19:27). Whether they lived in the city of Jerusalem or elsewhere, cannot be determined from the Gospels.

Mary and Our Lord's Resurrection

The inspired record of the incidents connected with Christ's Resurrection do not mention Mary; but neither do they pretend to give a complete account of all that Jesus did or said. The Fathers too are silent as to Mary's share in the joys of her Son's triumph over death. Still, St. Ambrose [95] states expressly: "Mary therefore saw the Resurrection of the Lord; she was the first who saw it and believed. Mary Magdalen too saw it, though she still wavered". George of Nicomedia [96] infers from Mary's share in Our Lord's sufferings that before all others and more than all she must have shared in the triumph of her Son. In the twelfth century, an apparition of the risen Saviour to His Blessed Mother is admitted by Rupert of Deutz [97], and also by Eadmer [98] St. Bernardin of Siena [99], St. Ignatius of Loyola [100], Suarez [101], Maldonado [102], etc. [103] That the risen Christ should have appeared first to His Blessed Mother, agrees at least with our pious expectations.

Though the Gospels do not expressly tell us so, we may suppose that Mary was present when Jesus showed himself to a number of disciples in Galilee and at the time of His Ascension (cf. Matthew 28:7, 10, 16; Mark 16:7). Moreover, it is not improbable that Jesus visited His Blessed Mother repeatedly during the forty days after His Resurrection.

Mary in other books of the New Testament

Acts 1:14-2:4

According to the Book of Acts (1:14), after Christ's Ascension into Heaven the apostles "went up into an upper room", and: "all these were persevering with one mind in prayer with the women, and Mary the mother of Jesus, and with his brethren". In spite of her exalted dignity it was not Mary, but Peter who acted as head of the assembly (1:15). Mary behaved in the upper room in Jerusalem as she had behaved in the grotto at Bethlehem; in Bethlehem she had carried for the Infant Jesus, in Jerusalem she nurtured the infant Church. The friends of Jesus remained in the upper room till "the days of the Pentecost", when with "a sound from heaven, as of a mighty wind coming ... there appeared to them parted tongues as it were of fire, and it sat upon every one of them, and they were all filled with the Holy Ghost" (Acts 2:1-4). Though the Holy Ghost had descended upon Mary in a special way at the time of the Incarnation, He now communicated to her a new degree of grace. Perhaps, this Pentecostal grace gave to Mary the strength of properly fulfilling her duties to the nascent Church and to her spiritual children.

Galatians 4:4

As to the Epistles, the only direct reference to Mary is found in Galatians 4:4: "But when the fulness of time was come, God sent his Son, made of a woman, made under the law". Some Greek and Latin manuscripts, followed by several Fathers, read gennomenon ek gynaikos instead of genomenon ek gynaikos, "born of a woman" instead of "made of a woman". But this variant reading cannot be accepted. For

gennomenon is the present participle, and must be rendered, "being born of a woman", so that it does not fit into the context. [104]
though the Latin variant rendering "natum" is the perfect participle, and does not imply the inconveniences of its Greek original, St. Bede [105] rejects it, on account of its less appropriate sense.
In Romans 1:3, which is to a certain extent a parallel of Galatians 4:4, St. Paul writes genomenos ek stermatos Daveid kata sarka, i.e. "made of the seed of David, according to the flesh".
Tertullian [106] points out that the word "made" implies more than the word "born"; for it calls to mind the "Word made flesh", and establishes the reality of the flesh made of the Virgin.

Furthermore, the Apostle employs the word "woman" in the phrase under consideration, because he wishes to indicate merely the sex, without any ulterior connotation. In reality, however, the idea of a man made of a woman alone, suggests the virginal conception of the Son of God. St. Paul seems to emphasize the true idea of the Incarnation of the Word; a true understanding of this mystery safeguards both the Divinity and the real humanity of Jesus Christ. [107]

The Apostle St. John never uses the name Mary when speaking of Our Blessed Lady; he always refers to her as Mother of Jesus (John 2:1-3; 19:25-26). In his last hour, Jesus had established the relation of mother and son between Mary and John, and a child does not usually address his mother by her first name.

Apocalypse 12:1-6

In the Apocalypse (12:1-16) occurs a passage singularly applicable to Our Blessed Mother:

And a great sign appeared in heaven: A woman clothed with the sun, and the moon under her feet, and on her head a crown of twelve stars; and being with child, she cried travailing in birth, and was in pain to be delivered. And there was seen another sign in heaven: and behold a great red dragon, having seven heads, and ten horns, and on his heads seven diadems; and his tail drew the third part of the stars of heaven; and cast them to the earth; and the dragon stood before the woman who was ready to be delivered; that when she should be delivered, he might devour her son. And she brought forth a man child, who was to rule all nations with an iron rod; and her son was taken up to God, and to his throne. And the woman fled into the wilderness, where she had a place prepared by God, that there they should feed her a thousand two hundred sixty days.
The applicability of this passage to Mary is based on the following considerations:

At least part of the verses refer to the mother whose son is to rule all the nations with a rod of iron; according to Psalm 2:9, this is the Son of God, Jesus Christ, Whose mother is Mary.
It was Mary's son that "was taken up to God, and to his throne" at the time of His Ascension into heaven.
The dragon, or the devil of the earthly paradise (cf. Apocalypse 12:9; 20:2), endeavoured to devour Mary's Son from the first moments of His birth, by stirring up the jealousy of Herod and, later on, the enmities of the Jews.
Owing to her unspeakable privileges, Mary may well be described as "clothed with the sun, and the moon under her feet, and on her head a crown of twelve stars".
It is true that commentators generally understand the whole passage as applying literally to the Church, and that part of the verses is better suited to the Church than to Mary. But it must be kept in mind that Mary is both a figure of the Church, and its most prominent member. What is said of the Church, is in its own way true of Mary. Hence the passage of the Apocalypse (12:5-6) does not refer to Mary merely by way of accommodation [108], but applies to her in a truly literal sense which appears to be partly limited to her, and partly extended to the whole Church. Mary's relation to the Church is well summed up in the expression "collum corporis mystici" applied to Our Lady by St. Bernardin of Siena. [109]

Cardinal Newman [110] considers two difficulties against the foregoing interpretation of the vision of the woman and child: first, it is said to be poorly supported by the Fathers; secondly, it is an anachronism to ascribe such a picture of the Madonna to the apostolic age. As to the first exception, the eminent writer says:

Christians have never gone to Scripture for proof of their doctrines, till there was actual need, from the pressure of controversy; if in those times the Blessed Virgin's dignity was unchallenged on all hands, as a matter of doctrine, Scripture, as far as its argumentative matter was concerned, was likely to remain a sealed book to them.
After developing this answer at length, the cardinal continues:

As to the second objection which I have supposed, so far from allowing it, I consider that it is built upon a mere imaginary fact, and that the truth of the matter lies in the very contrary direction. The Virgin and Child is not a mere modern idea; on the contrary, it is represented again and again, as every visitor to Rome is aware, in the paintings of the Catacombs. Mary is there drawn with the Divine Infant in her lap, she with hands extended in prayer, he with his hand in the attitude of blessing.
Mary in the early Christian documents

Thus far we have appealed to the writings or the remains of the early Christian era in as far as they explain or illustrate the teaching of the Old Testament or the New, concerning the Blessed Virgin. In the few following paragraphs we shall have to draw attention to the fact that these same sources, to a certain extent, supplement the Scriptural doctrine. In this respect they are the basis of tradition; whether the evidence they supply suffices, in any given case, to guarantee their contents as a genuine part of Divine revelation, must be determined according to the ordinary scientific criteria followed by theologians. Without entering on these purely theological questions, we shall present this traditional material, first, in as far as it throws light on the life of Mary after the day of Pentecost; secondly, in as far as it gives evidence of the early Christian attitude to the Mother of God.

Post-pentecostal life of Mary

On the day of Pentecost, the Holy Ghost had descended on Mary as He came on the Apostles and Disciples gathered together in the upper room at Jerusalem. No doubt, the words of St. John (19:27), "and from that hour the disciple took her to his own", refer not merely to the time between Easter and Pentecost, but they extend to the whole of Mary's later life. Still, the care of Mary did not interfere with John's Apostolic ministry. Even the inspired records (Acts 8:14-17; Galatians 1:18-19; Acts 21:18) show that the apostle was absent from Jerusalem on several occasions, though he must have taken part in the Council of Jerusalem, A.D. 51 or 52. We may also suppose that in Mary especially were verified the words of Acts 2:42: "And they were persevering in the doctrine of the apostles, and in the communication of the breaking of bread, and in prayers". Thus Mary was an example and a source of encouragement to the early Christian community. At the same time, it must be confessed that we do not possess any authentic documents bearing directly on Mary's post-Pentecostal life.

Place of her life, death, and burial

As to tradition, there is some testimony for Mary's temporary residence in or near Ephesus, but the evidence for her permanent home in Jerusalem is much stronger.

Arguments for Ephesus

Mary's Ephesian residence rests on the following evidence:

(1) A passage in the synodal letter of the Council of Ephesus [111] reads: "Wherefore also Nestorius, the instigator of the impious heresy, when he had come to the city of the Ephesians, where John the Theologian and the Virgin Mother of God St. Mary, estranging himself of his own accord from the gathering of the holy Fathers and Bishops ... " Since St. John had lived in Ephesus and had been buried there [112], it has been inferred that the ellipsis of the synodal letter means either, "where John ... and the Virgin ... Mary lived", or, "where John ... and the Virgin ... Mary lived and are buried".

(2) Bar-Hebraeus or Abulpharagius, a Jacobite bishop of the thirteenth century, relates that St. John took the Blessed Virgin with him to Patmos, then founded the Church of Ephesus, and buried Mary no one knows where. [113]

(3) Benedict XIV [114] states that Mary followed St. John to Ephesus and died there. He intended also to remove from the Breviary those lessons which mention Mary's death in Jerusalem, but died before carrying out his intention. [115]

(4) Mary's temporary residence and death in Ephesus are upheld by such writers as Tillemont [116], Calmet [117], etc.

(5) In Panaghia Kapoli, on a hill about nine or ten miles distant from Ephesus, was discovered a house, or rather its remains, in which Mary is supposed to have lived. The house was found, as it had been sought, according to the indications given by Catherine Emmerich in her life of the Blessed Virgin.

Arguments against Ephesus

On closer inspection these arguments for Mary's residence or burial in Ephesus are not unanswerable.

(1) The ellipsis in the synodal letter of the Council of Ephesus may be filled out in such a way as not to imply the assumption that Our Blessed Lady either lived or died in Ephesus. As there was in the city a double church dedicated to the Virgin Mary and to St. John, the incomplete clause of the synodal letter may be completed so as to read, "where John the Theologian and the Virgin ... Mary have a sanctuary". This explanation of the ambiguous phrase is one of the two suggested in the margin in Labbe's Collect. Concil. (l.c.) [118]

(2) The words of Bar-Hebraeus contain two inaccurate statements; for St. John did not found the Church of Ephesus, nor did he take Mary with him to Patmos. St. Paul founded the Ephesian Church, and Mary was dead before John's exile in Patmos. It would not be surprising, therefore, if the writer were wrong in what he says about Mary's burial. Besides, Bar-Hebraeus belongs to the thirteenth century; the earlier writers had been most anxious about the sacred places in Ephesus; they mention the tomb of St. John and of a daughter of Philip [119], but they say nothing about Mary's burying place.

(3) As to Benedict XIV, this great pontiff is not so emphatic about Mary's death and burial in Ephesus, when he speaks about her Assumption in heaven.

(4) Neither Benedict XIV nor the other authorities who uphold the Ephesian claims, advance any argument that has not been found inconclusive by other scientific students of this question.

(5) The house found in Panaghia-Kapouli is of any weight only in so far as it is connected with the visions of Catherine Emmerich. Its distance from the city of Ephesus creates a presumption against its being the home of the Apostle St. John. The historical value of Catherine's visions is not universally admitted. Mgr. Timoni, Archbishop of Smyrna, writes concerning Panaghia-Kapouli: "Every one is entire free to keep his personal opinion". Finally the agreement of the condition of the ruined house in Panaghia-Kapouli with Catherine's description does not necessarily prove the truth of her statement as to the history of the building. [120]

Arguments against Jerusalem

Two considerations militate against a permanent residence of Our Lady in Jerusalem: first, it has already been pointed out that St. John did not permanently remain in the Holy City; secondly, the Jewish Christians are said to have left Jerusalem during the periods of Jewish persecution (cf. Acts 8:1; 12:1). But as St. John cannot be supposed to have taken Our Lady with him on his apostolic expeditions, we may suppose that he left her in the care of his friends or relatives during the periods of his absence. And there is little doubt that many of the Christians returned to Jerusalem, after the storms of persecution had abated.

Arguments for Jerusalem

Independently of these considerations, we may appeal to the following reasons in favour of Mary's death and burial in Jerusalem:

(1) In 451 Juvenal, Bishop of Jerusalem, testified to the presence of Mary's tomb in Jerusalem. It is strange that neither St. Jerome, nor the Pilgrim of Bordeaux, nor again pseudo-Silvia give any evidence of such a sacred place. But when the Emperor Marcion and the Empress Pulcheria asked Juvenal to send the sacred remains of the Virgin Mary from their tomb in Gethsemani to Constantinople, where they intended to dedicate a new church to Our Lady, the bishop cited an ancient tradition saying that the sacred body had been assumed into heaven, and sent to Constantinople only the coffin and the winding sheet. This narrative rests on the authority of a certain Euthymius whose report was inserted into a homily of St. John Damascene [121] now read in the second Nocturn of the fourth day within the octave of the Assumption. Scheeben [122] is of opinion that Euthymius's words are a later interpolation: they do not fit into the context; they contain an appeal to pseudo-Dionysius [123] which are not otherwise cited before the sixth century; and they are suspicious in their connection with the name of Bishop Juvenal, who was charged with forging documents by Pope St. Leo. [124] In his letter the pontiff reminds the bishop of the holy places which he has under his very eyes, but does not mention the tomb of Mary. [125] Allowing that this silence is purely incidental, the main question remains, how much historic truth underlies the Euthymian account of the words of Juvenal?

(2) Here must be mentioned too the apocryphal "Historia dormitionis et assumptionis B.M.V.", which claims St. John for its author. [126] Tischendorf believes that the substantial parts of the work go back to the fourth, perhaps even to the second, century. [127] Variations of the original text appeared in Arabic and Syriac, and in other languages; among these must be noted a work called "De transitu Mariae Virg.", which appeared under the name of St. Melito of Sardes. [128] Pope Gelasius enumerates this work among the forbidden books. [129] The extraordinary incidents which these works connect with the death of Mary do not concern us here; but they place her last moments and her burial in or near Jerusalem.

(3) Another witness for the existence of a tradition placing the tomb of Mary in Gethsemani is the basilica erected above the sacred spot, about the end of the fourth or the beginning of the fifth century. The present church was built by the Latins in the same place in which the old edifice had stood. [130]

(4) In the early part of the seventh century, Modestus, Bishop of Jerusalem, located the passing of Our Lady on Mount Sion, in the house which contained the Cenacle and the upper room of Pentecost. [131] At that time, a single church covered the localities consecrated by these various mysteries. One must wonder at the late evidence for a tradition which became so general since the seventh century.

(5) Another tradition is preserved in the "Commemoratorium de Casis Dei" addressed to Charlemagne. [132] It places the death of Mary on Mt. Olivet where a church is said to commemorate this event. Perhaps the writer tried to connect Mary's passing with the Church of the Assumption as the sister tradition connected it with the cenacle. At any rate, we may conclude that about the beginning of the fifth century there existed a fairly general tradition that Mary had died in Jerusalem, and had been buried in Gethsemani. This tradition appears to rest on a more solid basis than the report that Our Lady died and was buried in or near Ephesus. As thus far historical documents are wanting, it would be hard to establish the connection of either tradition with apostolic times. [133]

Conclusion

It has been seen that we have no absolute certainty as to the place in which Mary lived after the day of Pentecost. Though it is more probable that she remained uninterruptedly in or near Jerusalem, she may have resided for a while in the vicinity of Ephesus, and this may have given rise to the tradition of her Ephesian death and burial. There is still less historical information concerning the particular incidents of her life. St. Epiphanius [134] doubts even the reality of Mary's death; but the universal belief of the Church does not agree with the private opinion of St. Epiphanius. Mary's death was not necessarily the effect of violence; it was undergone neither as an expiation or penalty, nor as the effect of disease from which, like her Divine Son, she was exempt. Since the Middle Ages the view prevails that she died of love, her great desire to be united to her Son either dissolving the ties of body and soul, or prevailing on God to dissolve them. Her passing away is a sacrifice of love completing the dolorous sacrifice of her life. It is the death in the kiss of the Lord (in osculo Domini), of which the just die. There is no certain tradition as to the year of Mary's death. Baronius in his Annals relies on a passage in the Chronicon of Eusebius for his assumption that Mary died A.D. 48. It is now believed that the passage of the Chronicon is a later interpolation. [135] Nirschl relies on a tradition found in Clement of Alexandria [136] and Apollonius [137] which refers to a command of Our Lord that the Apostles were to preach twelve years in Jerusalem and Palestine before going among the nations of the world; hence he too arrives at the conclusion that Mary died A.D. 48.

Her assumption into heaven

The Assumption of Our Lady into heaven has been treated in a SPECIAL ARTICLE. [138] The feast of the Assumption is most probably the oldest among all the feasts of Mary properly so called. [139] As to art, the assumption was a favourite subject of the school of Siena which generally represents Mary as being carried to heaven in a mandorla.

Early Christian attitude to the Mother of God

Her image and her name

Depictions of her image

No picture has preserved for us the true likeness of Mary. The Byzantine representations, said to be painted by St. Luke, belong only to the sixth century, and reproduce a conventional type. There are twenty-seven copies in existence, ten of which are in Rome. [140] Even St. Augustine expresses the opinion that the real external appearance of Mary is unknown to us, and that in this regard we know and believe nothing. [141] The earliest picture of Mary is that found in the cemetery of Priscilla; it represents the Virgin as if about to nurse the Infant Jesus, and near her is the image of a prophet, Isaias or perhaps Micheas. The picture belongs to the beginning of the second century, and compares favourably with the works of art found in Pompeii. From the third century we possess pictures of Our Lady present at the adoration of the Magi; they are found in the cemeteries of Domitilla and Calixtus. Pictures belonging to the fourth century are found in the cemetery of Saints Peter and Marcellinus; in one of these she appears with her head uncovered, in another with her arms half extended as if in supplication, and with the Infant standing before her. On the graves of the early Christians, the saints figured as intercessors for their souls, and among these saints Mary always held the place of honour. Besides the paintings on the walls and on the sarcophagi, the Catacombs furnish also pictures of Mary painted on gilt glass disks and sealed up by means of another glass disk welded to the former. [142] Generally these pictures belong to the third or fourth century. Quite frequently the legend MARIA or MARA accompanies these pictures.

Use of her name

Towards the end of the fourth century, the name Mary becomes rather frequent among Christians; this serves as another sign of the veneration they had for the Mother of God. [143]

Conclusion

No one will suspect the early Christians of idolatry, as if they had paid supreme worship to Mary's pictures or name; but how are we to explain the phenomena enumerated, unless we suppose that the early Christians venerated Mary in a special way? [144]

Nor can this veneration be said to be a corruption introduced in later times. It has been seen that the earliest picture dates from the beginning of the second century, so that within the first fifty years after the death of St. John the veneration of Mary is proved to have flourished in the Church of Rome.

Early writings

For the attitude of the Churches of Asia Minor and of Lyons we may appeal to the words of St. Irenaeus, a pupil of St. John's disciple Polycarp [145]; he calls Mary our most eminent advocate. St. Ignatius of Antioch, part of whose life reached back into apostolic times, wrote to the Ephesians (c. 18-19) in such a way as to connect the mysteries of Our Lord's life more closely with those of the Virgin Mary. For instance, the virginity of Mary, and her childbirth, are enumerated with Christ's death, as forming three mysteries unknown to the devil. The sub-apostolic author of the Epistle to Diognetus, writing to a pagan inquirer concerning the Christian mysteries, describes Mary as the great antithesis of Eve, and this idea of Our Lady occurs repeatedly in other writers even before the Council of Ephesus. We have repeatedly appealed to the words of St. Justin and Tertullian, both of whom wrote before the end of the second century.

As it is admitted that the praises of Mary grow with the growth of the Christian community, we may conclude in brief that the veneration of and devotion to Mary began even in the time of the Apostles.

Sources

[1] Quaest. hebr. in Gen., P.L., XXIII, col. 943
[2] cf. Wis., ii, 25; Matt., iii, 7; xxiii, 33; John, viii, 44; I, John, iii, 8-12.
[3] Hebräische Grammatik, 26th edit., 402
[4] Der alte Orient und die Geschichtsforschung, 30
[5] cf. Jeremias, Das Alte Testament im Lichte des alten Orients, 2nd ed., Leipzig, 1906, 216; Himpel, Messianische Weissagungen im Pentateuch, Tubinger theologische Quartalschrift, 1859; Maas, Christ in Type and Prophecy, I, 199 sqq., New York, 1893; Flunck, Zeitschrift für katholische Theologie, 1904, 641 sqq.; St. Justin, dial. c. Tryph., 100 (P.G., VI, 712); St. Iren., adv. haer., III, 23 (P.G., VII, 964); St. Cypr., test. c. Jud., II, 9 (P.L., IV, 704); St. Epiph., haer., III, ii, 18 (P.G., XLII, 729).
[6] Lagarde, Guthe, Giesebrecht, Cheyne, Wilke.
[7] cf. Knabenbauer, Comment. in Isaiam, Paris, 1887; Schegg, Der Prophet Isaias, Munchen, 1850; Rohling, Der Prophet Isaia, Munster, 1872; Neteler, Das Bush Isaias, Munster, 1876; Condamin, Le livre d'Isaie, Paris, 1905; Maas, Christ in Type and Prophecy, New York, 1893, I, 333 sqq.; Lagrange, La Vierge et Emmaneul, in Revue biblique, Paris, 1892, pp. 481-497; Lémann, La Vierge et l'Emmanuel, Paris, 1904; St. Ignat., ad Eph., cc. 7, 19, 19; St. Justin, Dialogue with Trypho; St. Iren., adv. haer., IV, xxxiii, 11.
[8] Cf. the principal Catholic commentaries on Micheas; also Maas, "Christ in Type and Prophecy, New York, 1893, I, pp. 271 sqq.
[9] P.G., XXV, col. 205; XXVI, 12 76
[10] In Jer., P.L., XXIV, 880
[11] cf. Scholz, Kommentar zum Propheten Jeremias, Würzburg, 1880; Knabenbauer, Das Buch Jeremias, des Propheten Klagelieder, und das Buch Baruch, Vienna, 1903; Conamin, Le texte de Jeremie, xxxi, 22, est-il messianique? in Revue biblique, 1897, 393-404; Maas, Christ in Type and Prophecy, New York, 1893, I, 378 sqq..
[12] cf. St. Ambrose, de Spirit. Sanct., I, 8-9, P.L., XVI, 705; St. Jerome, Epist., cviii, 10; P.L., XXII, 886.
[13] cf. Gietmann, In Eccles. et Cant. cant., Paris, 1890, 417 sq.
[14] cf. Bull "Ineffabilis", fourth Lesson of the Office for 10 Dec..
[15] Response of seventh Nocturn in the Office of the Immaculate Conception.
[16] cf. St. Justin, dial. c. Tryph., 100; P.G., VI, 709-711; St. Iren., adv. haer., III, 22; V, 19; P.G., VII, 958, 1175; Tert., de carne Christi, 17; P.L., II, 782; St. Cyril., catech., XII, 15; P.G., XXXIII, 741; St. Jerome, ep. XXII ad Eustoch., 21; P.L., XXII, 408; St. Augustine, de agone Christi, 22; P.L., XL, 303; Terrien, La Mère de Dien et la mère des hommes, Paris, 1902, I, 120-121; II, 117-118; III, pp. 8-13; Newman, Anglican Difficulties, London, 1885, II, pp. 26 sqq.; Lecanu, Histoire de la Sainte Vierge, Paris, 1860, pp. 51-82.
[17] de B. Virg., l. IV, c. 24
[18] La Vierge Marie d'apres l'Evangile et dans l'Eglise
[19] Letter to Dr. Pusey
[20] Mary in the Gospels, London and New York, 1885, Lecture I.
[21] cf. Tertullian, de carne Christi, 22; P.L., II, 789; St. Aug., de cons. Evang., II, 2, 4; P.L., XXXIV, 1072.
[22] Cf. St. Ignat., ad Ephes, 187; St. Justin, c. Taryph., 100; St. Aug., c. Faust, xxiii, 5-9; Bardenhewer, Maria Verkundigung, Freiburg, 1896, 74-82; Friedrich, Die Mariologie des hl. Augustinus, Cöln, 1907, 19 sqq.
[23] Jans., Hardin., etc.
[24] hom. I. de nativ. B.V., 2, P.G., XCVI, 664
[25] P.G., XLVII, 1137
[26] de praesent., 2, P.G., XCVIII, 313
[27] de laud. Deipar., P.G., XLIII, 488
[28] P.L., XCVI, 278
[29] in Nativit. Deipar., P.L., CLI, 324
[30] cf. Aug., Consens. Evang., l. II, c. 2
[31] Schuster and Holzammer, Handbuch zur biblischen Geschichte, Freiburg, 1910, II, 87, note 6
[32] Anacreont., XX, 81-94, P.G., LXXXVII, 3822
[33] hom. I in Nativ. B.M.V., 6, II, P.G., CCXVI, 670, 678
[34] cf. Guérin, Jérusalem, Paris, 1889, pp. 284, 351-357, 430; Socin-Benzinger, Palästina und Syrien, Leipzig, 1891, p. 80; Revue biblique, 1893, pp. 245 sqq.; 1904, pp. 228 sqq.; Gariador, Les Bénédictins, I, Abbaye de Ste-Anne, V, 1908, 49 sq.
[35] cf. de Vogue, Les églises de la Terre-Sainte, Paris, 1850, p. 310
[36] 2, 4, P.L., XXX, 298, 301
[37] Itiner., 5, P.L., LXXII, 901
[38] cf. Lievin de Hamme, Guide de la Terre-Sainte, Jerusalem, 1887, III, 183
[39] haer., XXX, iv, II, P.G., XLI, 410, 426
[40] P.G., XCVII, 806
[41] cf. Aug., de santa virginit., I, 4, P.L., XL, 398
[42] cf. Luke, i, 41; Tertullian, de carne Christi, 21, P.L., II, 788; St. Ambr., de fide, IV, 9, 113, P.L., XVI, 639; St. Cyril of Jerus., Catech., III, 6, P.G., XXXIII, 436
[43] Tischendorf, Evangelia apocraphya, 2nd ed., Leipzig, 1876, pp. 14-17, 117-179
[44] P.G., XLVII, 1137
[45] P.G., XCVIII, 313
[46] P.G., XXXVCIII, 244
[47] cf. Guérin, Jerusalem, 362; Liévin, Guide de la Terre-Sainte, I, 447
[48] de virgin., II, ii, 9, 10, P.L., XVI, 209 sq.
[49] cf. Corn. Jans., Tetrateuch. in Evang., Louvain, 1699, p. 484; Knabenbauer, Evang. sec. Luc., Paris, 1896, p. 138
[50] cf. St. Ambrose, Expos. Evang. sec. Luc., II, 19, P.L., XV, 1560
[51] cf. Schick, Der Geburtsort Johannes' des Täufers, Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins, 1809, 81; Barnabé Meistermann, La patrie de saint Jean-Baptiste, Paris, 1904; Idem, Noveau Guide de Terre-Sainte, Paris, 1907, 294 sqq.
[52] cf. Plinius, Histor. natural., V, 14, 70
[53] cf. Aug., ep. XLCCCVII, ad Dardan., VII, 23 sq., P.L., XXXIII, 840; Ambr. Expos. Evang. sec. Luc., II, 23, P.L., XV, 1561
[54] cf. Knabenbauer, Evang. sec. Luc., Paris, 1896, 104-114; Schürer, Geschichte des Jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, 4th edit., I, 508 sqq.; Pfaffrath, Theologie und Glaube, 1905, 119
[55] cf. St. Justin, dial. c. Tryph., 78, P.G., VI, 657; Orig., c. Cels., I, 51, P.G., XI, 756; Euseb., vita Constant., III, 43; Demonstr. evang., VII, 2, P.G., XX, 1101; St. Jerome, ep. ad Marcell., XLVI [al. XVII]. 12; ad Eustoch., XVCIII [al. XXVII], 10, P.L., XXII, 490, 884
[56] in Ps. XLVII, II, P.L., XIV, 1150;
[57] orat. I, de resurrect., P.G., XLVI, 604;
[58] de fide orth., IV, 14, P.G., XLIV, 1160; Fortun., VIII, 7, P.L., LXXXVIII, 282;
[59] 63, 64, 70, P.L., XXXVIII, 142;
[60] Summa theol., III, q. 35, a. 6;
[61] cf. Joseph., Bell. Jud., II, xviii, 8
[62] In Flaccum, 6, Mangey's edit., II, p. 523
[63] cf. Schurer, Geschichte des Judischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, Leipzig, 1898, III, 19-25, 99
[64] The legends and traditions concerning these points may be found in Jullien's "L'Egypte" (Lille, 1891), pp. 241-251, and in the same author's work entitled "L'arbre de la Vierge a Matarich", 4th edit. (Cairo, 1904).
[65] As to Mary's virginity in her childbirth we may consult St. Iren., haer. IV, 33, P.G., VII, 1080; St. Ambr., ep. XLII, 5, P.L., XVI, 1125; St. Aug., ep CXXXVII, 8, P.L., XXXIII, 519; serm. LI, 18, P.L., XXXVIII, 343; Enchir. 34, P.L., XL, 249; St. Leo, serm., XXI, 2, P.L., LIV, 192; St. Fulgent., de fide ad Petr., 17, P.L., XL, 758; Gennad., de eccl. dogm., 36, P.G., XLII, 1219; St. Cyril of Alex., hom. XI, P.G., LXXVII, 1021; St. John Damasc., de fide orthod., IV, 14, P.G., XCIV, 1161; Pasch. Radb., de partu Virg., P.L., CXX, 1367; etc. As to the passing doubts concerning Mary's virginity during her childbirth, see Orig., in Luc., hom. XIV, P.G., XIII, 1834; Tertullian, adv. Marc., III, 11, P.L., IV, 21; de carne Christi, 23, P.L., II, 336, 411, 412, 790.
[66] Matt., xii, 46-47; xiii, 55-56; Mark, iii, 31-32; iii, 3; Luke, viii, 19-20; John, ii, 12; vii, 3, 5, 10; Acts, i, 14; I Cor., ix, 5; Gal., i, 19; Jude, 1
[67] cf. St. Jerome, in Matt., i, 2 (P.L., XXVI, 24-25)
[68] cf. St. John Chrys., in Matt., v, 3, P.G., LVII, 58; St. Jerome, de perpetua virgin. B.M., 6, P.L., XXIII, 183-206; St. Ambrose, de institut. virgin., 38, 43, P.L., XVI, 315, 317; St. Thomas, Summa theol., III, q. 28, a. 3; Petav., de incarn., XIC, iii, 11; etc.
[69] cf. Exod., xxxiv, 19; Num., xciii, 15; St. Epiphan., haer. lxxcviii, 17, P.G., XLII, 728
[70] cf. Revue biblique, 1895, pp. 173-183
[71] St. Peter Chrysol., serm., CXLII, in Annunt. B.M. V., P.G., LII, 581; Hesych., hom. V de S. M. Deip., P.G., XCIII, 1461; St. Ildeph., de virgin. perpet. S.M., P.L., XCVI, 95; St. Bernard, de XII praer. B.V.M., 9, P.L., CLXXXIII, 434, etc.
[72] ad Ephes., 7, P.G., V, 652
[73] adv. haer., III, 19, P.G., VIII, 940, 941
[74] Against Praxeas 27
[75] Serm. I, 6, 7, P.G., XLVIII, 760-761
[76] Cf. Ambr., in Luc. II, 25, P.L., XV, 1521; St. Cyril of Alex., Apol. pro XII cap.; c. Julian., VIII; ep. ad Acac., 14; P.G., LXXVI, 320, 901; LXXVII, 97; John of Antioch, ep. ad Nestor., 4, P.G., LXXVII, 1456; Theodoret, haer. fab., IV, 2, P.G., LXXXIII, 436; St. Gregory Nazianzen, ep. ad Cledon., I, P.G., XXXVII, 177; Proclus, hom. de Matre Dei, P.G., LXV, 680; etc. Among recent writers must be noticed Terrien, La mère de Dieu et la mere des hommes, Paris, 1902, I, 3-14; Turnel, Histoire de la théologie positive, Paris, 1904, 210-211.
[77] cf. Petav., de incarnat., XIV, i, 3-7
[78] ep. CCLX, P.G., XXXII, 965-968
[79] hom. IV, in Matt., P.G., LVII, 45; hom. XLIV, in Matt. P.G., XLVII, 464 sq.; hom. XXI, in Jo., P.G., LIX, 130
[80] in Jo., P.G., LXXIV, 661-664
[81] St. Ambrose, in Luc. II, 16-22; P.L., XV, 1558-1560; de virgin. I, 15; ep. LXIII, 110; de obit. Val., 39, P.L., XVI, 210, 1218, 1371; St. Augustin, de nat. et grat., XXXVI, 42, P.L., XLIV, 267; St. Bede, in Luc. II, 35, P.L., XCII, 346; St. Thomas, Summa theol., III. Q. XXVII, a. 4; Terrien, La mere de Dieu et la mere des hommes, Paris, 1902, I, 3-14; II, 67-84; Turmel, Histoire de la théologie positive, Paris, 1904, 72-77; Newman, Anglican Difficulties, II, 128-152, London, 1885
[82] cf. Iliad, III, 204; Xenoph., Cyrop., V, I, 6; Dio Cassius, Hist., LI, 12; etc.
[83] cf. St. Irenaeus, c. haer., III, xvi, 7, P.G., VII, 926
[84] P.G., XLIV, 1308
[85] See Knabenbauer, Evang. sec. Joan., Paris, 1898, pp. 118-122; Hoberg, Jesus Christus. Vorträge, Freiburg, 1908, 31, Anm. 2; Theologie und Glaube, 1909, 564, 808.
[86] cf. St. Augustin, de virgin., 3, P.L., XL, 398; pseudo-Justin, quaest. et respons. ad orthod., I, q. 136, P.G., VI, 1389
[87] cf. Geyer, Itinera Hiersolymitana saeculi IV-VIII, Vienna, 1898, 1-33; Mommert, Das Jerusalem des Pilgers von Bordeaux, Leipzig, 1907
[88] Meister, Rhein. Mus., 1909, LXIV, 337-392; Bludau, Katholik, 1904, 61 sqq., 81 sqq., 164 sqq.; Revue Bénédictine, 1908, 458; Geyer, l. c.; Cabrol, Etude sur la Peregrinatio Silviae, Paris, 1895
[89] cf. de Vogüé, Les Eglises de la Terre-Sainte, Paris, 1869, p. 438; Liévin, Guide de la Terre-Sainte, Jerusalem, 1887, I, 175
[90] cf. Thurston, in The Month for 1900, July-September, pp. 1-12; 153-166; 282-293; Boudinhon in Revue du clergé français, Nov. 1, 1901, 449-463
[91] Praef. in Jo., 6, P.G., XIV, 32
[92] Orat. VIII in Mar. assist. cruci, P.G., C, 1476
[93] cf. Sermo dom. infr. oct. Assumpt., 15, P.L., XLXXXIII, 438
[94] cf. Terrien, La mere de Dieu et la mere des hommes, Paris, 1902, III, 247-274; Knabenbauer, Evang. sec. Joan., Paris, 1898, 544-547; Bellarmin, de sept. verb. Christi, I, 12, Cologne, 1618, 105-113
[95] de Virginit., III, 14, P.L., XVI, 283
[96] Or. IX, P.G., C, 1500
[97] de div. offic., VII, 25, P.L., CLIX, 306
[98] de excell. V.M., 6, P.L., CLIX, 568
[99] Quadrages. I, in Resurrect., serm. LII, 3
[100] Exercit. spirit. de resurrect., I apparit.
[101] de myster. vit. Christi, XLIX, I
[102] In IV Evang., ad XXVIII Matth.
[103] See Terrien, La mere de Dieu et la mere des hommes, Paris, 1902, I, 322-325.
[104] cf. Photius, ad Amphiloch., q. 228, P.G., CI, 1024
[105] in Luc. XI, 27, P.L., XCII, 408
[106] de carne Christi, 20, P.L., II, 786
[107] Cf. Tertullian, de virgin. vel., 6, P.L., II, 897; St. Cyril of Jerus., Catech., XII, 31, P.G., XXXIII, 766; St. Jerome, in ep. ad Gal. II, 4, P.L., XXVI, 372.
[108] cf. Drach, Apcal., Pris, 1873, 114
[109] Cf. pseudo-Augustin, serm. IV de symbol. ad catechum., I, P.L., XL, 661; pseudo-Ambrose, expos, in Apoc., P.L., XVII, 876; Haymo of Halberstadt, in Apoc. III, 12, P.L., CXVII, 1080; Alcuin, Comment. in Apoc., V, 12, P.L., C, 1152; Casssiodor., Complexion. in Apoc., ad XII, 7, P.L., LXX, 1411; Richard of St. Victor, Explic. in Cant., 39, P.L., VII, 12, P.L., CLXIX, 1039; St. Bernard, serm. de XII praerog. B.V.M., 3, P.L., CLXXXIII, 430; de la Broise, Mulier amicta sole, in Etudes, April-June, 1897; Terrien, La mère de Dieu et la mere des hommes, Paris, 1902, IV, 59-84.
[110] Anglican Difficulties, London, 1885, II, 54 sqq.
[111] Labbe, Collect. Concilior., III, 573
[112] Eusebius, Church History III.31 and V.24, P.G., XX, 280, 493
[113] cf. Assemani, Biblioth. orient., Rome, 1719-1728, III, 318
[114] de fest. D.N.J.X., I, vii, 101
[115] cf. Arnaldi, super transitu B.M.V., Genes 1879, I, c. I
[116] Mém. pour servir à l'histoire ecclés., I, 467-471
[117] Dict. de la Bible, art. Jean, Marie, Paris, 1846, II, 902; III, 975-976
[118] cf. Le Camus, Les sept Eglises de l'Apocalypse, Paris, 1896, 131-133.
[119] cf. Polycrates, in Eusebius's Church History III.31, P.G., XX, 280
[120] In connection with this controversy, see Le Camus, Les sept Eglises de l'Apocalypse, Paris, 1896, pp. 133-135; Nirschl, Das Grab der hl. Jungfrau, Mainz, 1900; P. Barnabé, Le tombeau de la Sainte Vierge a Jérusalem, Jerusalem, 1903; Gabriélovich, Le tombeau de la Sainte Vierge à Ephése, réponse au P. Barnabé, Paris, 1905.
[121] hom. II in dormit. B.V.M., 18 P.G., XCVI, 748
[122] Handb. der Kath. Dogmat., Freiburg, 1875, III, 572
[123] de divinis Nomin., III, 2, P.G., III, 690
[124] et. XXIX, 4, P.L., LIV, 1044
[125] ep. CXXXIX, 1, 2, P.L., LIV, 1103, 1105
[126] cf. Assemani, Biblioth. orient., III, 287
[127] Apoc. apocr., Mariae dormitio, Leipzig, 1856, p. XXXIV
[128] P.G., V, 1231-1240; cf. Le Hir, Etudes bibliques, Paris, 1869, LI, 131-185
[129] P.L., LIX, 152
[130] Guerin, Jerusalem, Paris, 1889, 346-350; Socin-Benzinger, Palastina und Syrien, Leipzig, 1891, pp. 90-91; Le Camus, Notre voyage aux pays bibliqes, Paris, 1894, I, 253
[131] P.G., LXXXVI, 3288-3300
[132] Tobler, Itiner, Terr. sanct., Leipzig, 1867, I, 302
[133] Cf. Zahn, Die Dormitio Sanctae Virginis und das Haus des Johannes Marcus, in Neue Kirchl. Zeitschr., Leipzig, 1898, X, 5; Mommert, Die Dormitio, Leipzig, 1899; Séjourné, Le lieu de la dormition de la T.S. Vierge, in Revue biblique, 1899, pp.141-144; Lagrange, La dormition de la Sainte Vierge et la maison de Jean Marc, ibid., pp. 589, 600.
[134] haer. LXXVIII, 11, P.G., XL, 716
[135] cf. Nirschl, Das Grab der hl. Jungfrau Maria, Mainz, 1896, 48
[136] Stromat. vi, 5
[137] in Eusebius, Church History I.21
[138] The reader may consult also an article in the "Zeitschrift fur katholische Theologie", 1906, pp. 201 sqq.
[139]; cf. "Zeitschrift fur katholische Theologie", 1878, 213.
[140] cf. Martigny, Dict. des antiq. chrét., Paris, 1877, p. 792
[141] de Trinit. VIII, 5, P.L., XLII, 952
[142] cf. Garucci, Vetri ornati di figure in oro, Rome, 1858
[143] cf. Martigny, Dict. das antiq. chret., Paris, 1877, p. 515
[144] cf. Marucchi, Elem. d'archaeol. chret., Paris and Rome, 1899, I, 321; De Rossi, Imagini scelte della B.V. Maria, tratte dalle Catacombe Romane, Rome, 1863
[145] adv. haer., V, 17, P.G. VIII, 1175

The works treating the various questions concerning the name, the birth, the life, and the death of Mary, have been cited in the corresponding parts of this article. We add here only a few names of writers, or of collectors of works of a more general character: BOURASSE, Summa aurea de laudibus B. Mariae Virginis, omnia complectens quae de gloriosa Virgine Deipara reperiuntur (13 vols., Paris, 1866); KURZ, Mariologie oder Lehre der katholischen Kirche uber die allerseligste Jungfrau Maria (Ratisbon, 1881); MARACCI, Bibliotheca Mariana (Rome, 1648); IDEM, Polyanthea Mariana, republished in Summa Aurea, vols IX and X; LEHNER, Die Marienerehrung in den ersten Jahrhunderten (2nd ed., Stuttgart, 1886).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XV, New York, 1912 (http://www.newadvent.org/cathen/15464b.htm)

Augustinus
11-10-08, 17:44
PIO XI

LETTERA ENCICLICA
LUX VERITATIS

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA

NEL XV CENTENARIO
DEL CONCILIO DI EFESO CHE PROCLAMÒ
LA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

La storia, luce di verità e testimonio dei tempi, se rettamente consultata e diligentemente esaminata, insegna che la promessa fatta da Gesù Cristo: «Io sono con voi… fino alla consumazione dei secoli» [1], non è mai venuta meno alla sua Chiesa e non verrà quindi mai a mancare in avvenire. Anzi quanto più furiosi sono i flutti dai quali è sbattuta la nave di Pietro, tanto più pronto e vigoroso essa sperimenta l’aiuto della grazia divina. E ciò in modo singolarissimo avvenne nei primi tempi della Chiesa, non solo quando il nome cristiano era ritenuto delitto esecrabile da punirsi con la morte, ma anche quando la vera fede di Cristo, sconvolta dalla perfidia degli eretici che imperversavano soprattutto in Oriente, fu messa in gravissima prova. Infatti, come i persecutori dei cristiani, l’uno dopo l’altro, miseramente scomparvero, e lo stesso Impero romano cadde in rovina, così tutti gli eretici, quasi tralci inariditi [2] perché recisi dalla vite divina, più non poterono succhiare la linfa vitale né fruttificare.

La Chiesa di Dio invece, fra tante procelle e vicissitudini di cose caduche, unicamente confidando in Dio, proseguì in ogni tempo il suo cammino con passo fermo e sicuro, né mai cessò di difendere vigorosamente l’integrità del sacro deposito della verità evangelica affidatole dal divino Fondatore.

Questi pensieri si riaffacciano alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, nell’accingerCi a parlarvi in questa Lettera di quel veramente faustissimo avvenimento che fu il Concilio celebrato ad Efeso quindici secoli fa, nel quale, come fu smascherata l’astuta protervia degli erranti, così rifulse la inconcussa fede della Chiesa, sorretta dall’aiuto divino.

Sappiamo che per Nostro consiglio furono costituiti due Comitati di uomini insigni [3], incaricati di promuovere nel modo più solenne commemorazioni di questo centenario, non solo qui in Roma, capitale dell’orbe cattolico, ma in ogni parte del mondo. Né ignoriamo che le persone alle quali affidammo tale incarico speciale si adoperarono alacremente di promuovere la salutare iniziativa, senza risparmio di fatiche o di sollecitudini. Di questa alacrità dunque — assecondata, si può dire, dappertutto dal volenteroso e veramente mirabile consenso dei Vescovi e dei migliori fra i laici — non possiamo che grandemente congratularCi, perché confidiamo che ne abbiano a derivare, anche per l’avvenire, grandi vantaggi per la causa cattolica.

Ma considerando Noi attentamente questo avvenimento storico e i fatti e le circostanze ad esso connessi, stimiamo conveniente all’ufficio apostolico affidatoCi da Dio, rivolgerCi personalmente a voi con un’Enciclica in quest’ultimo scorcio del centenario e nella ricorrenza del tempo sacro in cui la B. V. Maria per noi « diede alla luce il Salvatore », e intrattenerCi con voi intorno a questo argomento che certo è della massima importanza. Nel fare ciò nutriamo ferma speranza che non solo le Nostre parole torneranno gradite ed utili a voi e ai vostri fedeli, ma, se esse verranno attentamente meditate con animo desideroso di verità da quanti Nostri fratelli e figli dilettissimi sono separati dalla Sede Apostolica, confidiamo che essi, convinti dalla storia maestra della vita, non potranno non provare almeno la nostalgia dell’unico ovile sotto l’unico Pastore, e del ritorno a quella vera fede, che gelosamente si conserva sempre sicura e inviolata nella Chiesa Romana. Infatti, nel metodo seguito dai Padri e in tutto lo svolgimento del Concilio di Efeso nell’opporsi all’eresia di Nestorio, tre dogmi della fede cattolica specialmente brillarono agli occhi del mondo nella piena loro luce, e di essi Noi tratteremo in modo speciale. Essi sono: che in Gesù Cristo unica è la persona, e questa divina; che tutti devono riconoscere e venerare la B. V. Maria come vera Madre di Dio; e infine, che nel Romano Pontefice risiede, per divina istituzione, l’autorità suprema, somma e indipendente, su tutti e singoli i cristiani, nelle questioni concernenti la fede e la morale.

I

Per procedere dunque con ordine nella trattazione, facciamo Nostra quella sentenziosa esortazione dell’Apostolo delle genti agli Efesini: « Riuniamoci finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità » [4]. Le quali esortazioni dell’Apostolo, come furono seguite con sì mirabile unione d’animo dai Padri del Concilio di Efeso, così vorremmo che tutti, senza distinzione, facendo tacere ogni pregiudizio, le ritenessero come a sé rivolte e le mettessero felicemente in pratica.

Come è universalmente risaputo, autore di tutta la controversia fu Nestorio; non però nel senso che la nuova dottrina sia sbocciata tutta dal suo ingegno e dal suo studio, avendola egli certamente derivata da Teodoro, vescovo di Mopsuestia; ma egli, svolgendola poscia con maggiore ampiezza, e rimessala a nuovo con una certa apparenza di originalità, si diede a predicarla e a divulgarla con ogni mezzo con grande apparato di parole e di sentenze, dotato com’era di facondia singolare. Nato a Germanicia, città della Siria, si recò da giovane ad Antiochia per istruirsi nelle scienze sacre e profane. In questa città, allora celeberrima, professò dapprima la vita monastica; ma poi, volubile com’era, abbandonato questo genere di vita e ordinato sacerdote, si dedicò totalmente alla predicazione, cercandovi, più che la gloria di Dio, il plauso umano. La fama della sua eloquenza destò tanto favore nel pubblico e talmente si diffuse che, chiamato a Costantinopoli, allora priva del suo Pastore, fu elevato alla dignità episcopale, fra la più grande aspettazione comune. In questa così illustre sede, anziché astenersi dalle massime perverse della sua dottrina, continuò anzi a insegnarle e a divulgarle con maggiore autorità e baldanza.

Per bene intendere la questione, giova qui accennare brevemente ai principali capi dell’eresia nestoriana. Quell’uomo arrogante, giudicando che due ipostasi perfette, vale a dire la umana di Gesù e la divina del Verbo, si fossero riunite in una comune persona, o « prosopo » (com’egli si esprimeva), negò quell’ammirabile unione sostanziale delle due nature, che chiamiamo ipostatica; pertanto insegnò che l’Unigenito Verbo di Dio non s’era fatto uomo, ma si trovava presente nell’umana carne per la sua inabitazione, per il suo beneplacito e per la virtù della sua operazione. Di qui, non doversi Gesù chiamare Dio, ma « Theophoros » ossia Deifero; in modo non molto dissimile da quello per cui i profeti e gli altri santi possono chiamarsi Deiferi, cioè per la grazia divina loro concessa.

Da queste perverse massime di Nestorio seguiva doversi riconoscere in Cristo due persone, l’una divina e l’altra umana; e così ne scendeva necessariamente che la B. V. Maria non era veramente Madre di Dio, ossia « Theotócos », ma piuttosto Madre di Cristo uomo, ossia « Christotócos », o al più Accoglitrice di Dio, ossia « Theodócos » [5].

Questi empi dogmi, predicati non più nell’oscurità del segreto da un uomo privato, ma apertamente in pubblico dallo stesso Vescovo di Costantinopoli, produssero negli animi, massime nella Chiesa orientale, una gravissima perturbazione. E fra gli oppositori dell’eresia nestoriana, che non mancarono nemmeno nella capitale dell’Impero di Oriente, tiene certamente il primo posto quell’uomo santo e vindice della cattolica integrità che fu Cirillo, Patriarca di Alessandria. Questi, non appena conosciuta l’empia dottrina del Vescovo di Costantinopoli, zelantissimo com’era non soltanto dei figli suoi, ma altresì dei fratelli erranti, difese validamente presso i suoi la fede ortodossa, e si adoperò con animo fraterno di ricondurre Nestorio alla norma della verità, indirizzandogli una lettera.

Riuscito vano questo caritatevole tentativo a motivo della pervicace ostinazione di Nestorio, Cirillo, non meno buon conoscitore che fortissimo assertore dell’autorità della Chiesa Romana, non volle spingere più oltre la discussione né sentenziare di sua autorità in una causa tanto grave, senza prima domandare e udire il giudizio della Sede Apostolica. Scrisse perciò « al Beatissimo e a Dio dilettissimo Padre Celestino », una lettera piena di deferenza, dicendogli fra l’altro: « L’antica consuetudine delle Chiese ci induce a comunicare alla Tua Santità simili cause… » [6]. « Né vogliamo abbandonare pubblicamente la comunione di lui (Nestorio), prima di farne cenno alla Tua pietà. Degnati pertanto di significarci la Tua sentenza, onde chiaramente ci possa constare se convenga che noi comunichiamo con uno che favorisce e predica una siffatta erronea dottrina. Quindi l’integrità della Tua mente e il Tuo parere su questo argomento deve venire esposto chiaramente per iscritto ai vescovi piissimi e a Dio devotissimi della Macedonia e ai Pastori di tutto l’Oriente » [7].

Nestorio stesso non ignorava la suprema autorità del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa; e di fatto ripetutamente scrisse a Celestino, sforzandosi di provare la sua dottrina e di guadagnarsi e accattivarsi l’animo del santo Pontefice. Ma indarno; perché gli stessi scritti incomposti dell’eresiarca contenevano errori non lievi; e il Capo della Sede Apostolica non appena li scorse, mettendo subito mano al rimedio perché la peste dell’eresia non divenisse, temporeggiando, più pericolosa, li esaminò giuridicamente in un Sinodo, e solennemente li riprovò e ordinò che parimenti da tutti fossero riprovati.

E qui desideriamo, Venerabili Fratelli, che riflettiate attentamente quanto, in questa causa, il modo di procedere del Romano Pontefice differisca da quello seguito dal Vescovo di Alessandria. Questi infatti, pur occupando una sede stimata la prima della Chiesa Orientale, non volle, come abbiamo detto, dirimere da sé una gravissima controversia concernente la fede cattolica, prima di aver ben conosciuto il pensiero della Sede Apostolica. Celestino invece, riunito a Roma un Sinodo, esaminata ponderatamente la causa, in forza della suprema e assoluta sua autorità su tutto il gregge del Signore, pronunziò solennemente questa decisione sul Vescovo di Costantinopoli e sulla dottrina di lui: « Sappi dunque chiaramente », così scrisse a Nestorio, « che questa è la nostra sentenza: se di Cristo, Dio nostro, non predichi ciò che affermano la Chiesa Romana e Alessandrina e tutta la Chiesa cattolica, come anche ottimamente sostenne la sacrosanta Chiesa di Costantinopoli fino a te, e se entro dieci giorni da computarsi da quello in cui avrai avuto notizia di questa intimazione, non ripudierai, con una confessione chiara e per iscritto, quella perfida novità che tenta di separare ciò che la Sacra Scrittura unisce, sei cacciato dalla comunione di tutta la Chiesa cattolica. Il testo del nostro giudizio su di te abbiamo inviato, per mezzo del ricordato figlio mio il diacono Possidonio, con tutti i documenti, al santo mio consacerdote Vescovo della predetta città di Alessandria, che di tutto questo affare con maggior pienezza C’informò, perché, in nostra vece, faccia in modo che questa nostra decisione venga conosciuta da te e da tutti i fratelli; perché tutti debbono sapere quanto si fa, quando si tratta della causa di tutti » [8].

L’esecuzione di questa sentenza fu poi demandata dal Romano Pontefice al Patriarca di Alessandria con queste gravi parole: « Pertanto, forte dell’autorità della nostra Sede, tenendo le nostre veci, eseguirai, con forte vigore questa sentenza: o entro dieci giorni, da computarsi dal giorno di questa intimazione, egli condannerà con una professione scritta le sue perverse dottrine e confermerà di ritenere intorno alla natività di Cristo, Dio nostro, la fede professata dalla Chiesa Romana, da quella della tua santità e dall’universale sentimento; oppure, se ciò non farà, subito la tua santità, provvedendo a quella Chiesa, sappia ch’egli dev’essere in tutti i modi rimosso dal nostro corpo » [9].

Alcuni scrittori antichi e moderni, quasi per eludere la chiara autorità dei documenti riferiti, vollero su tutta questa controversia proferire giudizio, spesso con un’orgogliosa iattanza. Anche ammesso, così vanno sconsideratamente dicendo, che il Pontefice Romano abbia pronunciato una sentenza perentoria ed assoluta, provocata dal Vescovo di Alessandria emulo di Nestorio, e quindi da lui ben volentieri fatta sua, resta però il fatto che il Concilio, riunitosi più tardi ad Efeso, tornò a giudicare da capo tutta la causa, già giudicata e assolutamente condannata dalla Sede Apostolica, e con la suprema sua autorità stabili ciò che da tutti doveva ritenersi in tale questione. Quindi credono di poter concludere che il Concilio Ecumenico gode di diritti assai maggiori e più forti che non l’autorità del Vescovo di Roma.

Ma chi con lealtà di storico e con animo spoglio di pregiudizi riguardi diligentemente ai fatti e ai documenti scritti, non può non riconoscere che tale obiezione posa sul falso ed è solo una simulazione di verità. Anzitutto conviene avvertire che quando l’imperatore Teodosio, anche in nome del suo collega Valentiniano, indisse il Concilio Ecumenico, la sentenza di Celestino non era ancora giunta a Costantinopoli, e quindi non vi era per nulla conosciuta. In secondo luogo avendo Celestino appreso della convocazione del Concilio di Efeso da parte degli Imperatori, non si mostrò affatto contrario; anzi scrisse a Teodosio [10] e al Vescovo di Alessandria [11] lodando il provvedimento e annunziando la scelta del Patriarca Cirillo, dei Vescovi Arcadio e Proietto e del prete Filippo, quali suoi legati, perché presiedessero al Concilio. Nel fare ciò il Romano Pontefice non rilasciò tuttavia all’arbitrio del Concilio la causa come non ancora giudicata, ma fermo restando, come si espresse, « quanto da Noi già si è stabilito » [12], affidò l’esecuzione della sentenza da lui pronunciata ai Padri del Concilio, in modo che essi, se fosse stato possibile, dopo essersi insieme consultati e aver pregato Iddio, si adoperassero per ricondurre all’unità della fede il Vescovo di Costantinopoli. Infatti, avendo Cirillo domandato al Pontefice come regolarsi in quell’affare, se cioè « il Sacro Sinodo dovesse riceverlo (Nestorio) nel caso che condannasse quanto aveva predicato; oppure valesse la sentenza già da tempo pronunziata, per essere ormai spirato il tempo dell’indugio », Celestino gli rispose: « Sia questo l’ufficio della tua santità insieme col venerando Concilio dei fratelli, di reprimere cioè gli strepiti sorti nella Chiesa, e di far sapere che, con l’aiuto divino, il negozio si è concluso con la desiderata correzione. Né diciamo già di non essere presenti al Concilio, non potendo non essere presenti a coloro con i quali, ovunque essi si trovino, Noi siamo congiunti per l’unità della fede… Costì Noi ci troviamo, perché pensiamo a ciò che costì si tratta per il bene di tutti; trattiamo presenti in ispirito ciò che non possiamo trattare presenti di corpo. Penso alla pace cattolica, penso alla salute di chi perisce, purché questi voglia confessare la sua malattia. E ciò diciamo perché non sembri che veniamo meno a chi forse vuole correggersi… Provi egli che Noi non abbiamo i piedi veloci ad effondere il sangue, conoscendo che anche per lui è offerto il rimedio » [13].

Queste parole di Celestino ne dimostrano l’animo paterno e attestano chiaramente ch’egli non bramava di meglio se non che rifulgesse alle menti accecate il lume della fede, e che la Chiesa fosse rallegrata dal ritorno degli erranti; tuttavia le prescrizioni da lui fatte ai legati in partenza per Efeso, sono certamente tali da manifestare la cura sollecita con cui il Pontefice ordinò che fossero mantenuti intatti i divini diritti della Sede Romana. Si legge infatti, tra l’altro: « Comandiamo che si debba custodire l’autorità della Sede Apostolica; poiché così parlano le istruzioni che vi sono state date, che cioè dobbiate esser presenti al Concilio e che se si venga alla discussione, voi dobbiate giudicare delle loro opinioni, non già entrare nella lotta » [14].

Né diversamente si comportarono i legati, col pieno consenso dei Padri del Concilio. Infatti, ubbidendo con fermezza e fedeltà ai predetti ordini del Pontefice, giunti ad Efeso, quando già era finita la prima tornata, chiesero che fossero loro consegnati tutti i decreti della precedente riunione, perché potessero venire ratificati in nome della Sede Apostolica: «Domandiamo che vogliate esporci quanto fu trattato in questo santo Sinodo prima del nostro arrivo, affinché, secondo la mente del beato nostro Papa e di questo santo Concilio, anche noi lo confermiamo…» [15].

E il prete Filippo pronunciò dinanzi a tutto il Concilio quella famosa sentenza sul primato della Chiesa Romana, che viene riferita nella Costituzione dogmatica « Pastor Aeternus » del Concilio Vaticano [16]. Essa dice: «Nessuno dubita, anzi tutti i secoli conoscono, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno dal Signor Nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, e che a lui fu data la potestà di sciogliere e legare i peccati; ed egli fino a questo tempo e sempre vive nei suoi successori ed esercita il giudizio » [17].

Che più? Forse che i Padri del Concilio Ecumenico si opposero a questo procedere di Celestino e dei suoi legati? Assolutamente no. Anzi rimangono documenti scritti che ne manifestano chiarissimamente la riverenza e l’ossequio. Quando infatti i legati pontifici, nella seconda tornata del Concilio, leggendo la lettera di Celestino, dissero fra l’altro: «Abbiamo inviato, nella nostra sollecitudine, i santi fratelli e consacerdoti, Arcadio e Proietto, Vescovi, e il nostro prete Filippo, uomini specchiatissimi e concordi con Noi, perché intervengano alle vostre discussioni ed eseguano ciò che già da noi è stato stabilito; e ad essi non dubitiamo che la vostra santità debba dare l’assenso…»[18], i Padri, lungi dal ricusare questa sentenza come di giudice supremo, l’applaudirono anzi unanimemente e salutarono il Romano Pontefice con queste onorifiche acclamazioni: «Questo è il giusto giudizio! A Celestino, nuovo Paolo, a Cirillo nuovo Paolo, a Celestino custode della fede, a Celestino concorde col Sinodo, a Celestino tutto il Concilio rende grazie: un solo Celestino, un solo Cirillo, una sola la fede del Sinodo, una sola la fede del mondo » [19].

Come poi si venne alla condanna e alla riprovazione di Nestorio, i medesimi Padri del Concilio non credettero di poter liberamente giudicare da capo la causa, ma apertamente professarono di essere stati prevenuti e « costretti » dal responso del Romano Pontefice: « Conoscendo… che egli (Nestorio) sente e predica empiamente, costretti dai canoni e dalla lettera del Santissimo Padre nostro e consacerdote Celestino, Vescovo della Chiesa Romana, versando lacrime, veniamo necessariamente a questa lugubre sentenza contro di lui. Pertanto Gesù Cristo, nostro Signore, assalito dalle blasfeme voci di lui, per mezzo di questo santo Sinodo ha definito il medesimo Nestorio privato della dignità episcopale e separato da ogni consorzio e riunione sacerdotale »[20].

Questa fu altresì la professione fatta da Fermo, Vescovo di Cesarea, nella seconda sessione del Concilio, con le seguenti chiare parole: « L’Apostolica e Santa Sede del santissimo Vescovo Celestino, con la lettera indirizzata ai religiosissimi Vescovi, prescrisse anche in precedenza la sentenza e la regola intorno a questo caso; conformemente ad esse … giacché Nestorio, da noi citato, non è comparso, mandammo ad effetto quella condanna, proferendo contro di lui il giudizio canonico ed apostolico »[21].

Orbene, i documenti finora da noi ricordati provano in modo così ovvio e significativo la fede già allora comunemente in vigore in tutta la Chiesa intorno all’autorità indipendente ed infallibile del Romano Pontefice su tutto il gregge di Cristo, che Ci richiamano alla mente quella nitida e splendida espressione di Agostino sul giudizio pochi anni prima pronunziato dal papa Zosimo contro i Pelagiani nella sua Epistola Tractoria: « In queste parole la fede della Sede Apostolica è tanto antica e fondata, tanto certa e chiara è la fede cattolica, che non è lecito a un cristiano dubitare di essa » [22].

È così avesse potuto intervenire al Concilio di Efeso il santo Vescovo di Ippona! come vi avrebbe illustrato i dogmi della verità cattolica con quell’ammirabile sua acutezza d’ingegno, vedendo il pericolo delle discussioni, e come li avrebbe difesi con la sua forza d’animo! Ma quando i legati degli Imperatori giunsero ad Ippona per consegnargli la lettera di invito, non poterono far altro che piangere estinto quel chiarissimo luminare della sapienza cristiana e la sua sede devastata dai Vandali.

Non ignoriamo, Venerabili Fratelli, che alcuni di coloro che, specialmente ai nostri giorni, si dedicano alle ricerche storiche, si affannano non solo ad assolvere Nestorio di ogni taccia di eresia, ma ad accusare il santo Vescovo di Alessandria Cirillo quasi che questi, mosso da iniqua rivalità, calunniasse Nestorio e si adoperasse con tutte le sue forze a provocarne la condanna per dottrine non mai da lui insegnate. E i medesimi difensori del Vescovo di Costantinopoli non si peritano di lanciare la medesima gravissima accusa al beato Nostro antecessore Celestino, della cui imperizia Cirillo avrebbe abusato, e allo stesso sacrosanto Concilio di Efeso.

Ma contro un siffatto attentato, non meno vano che temerario, proclama unanime la sua riprovazione la Chiesa tutta, la quale in ogni tempo riconobbe come meritamente pronunziata la condanna di Nestorio, ritenne ortodossa la dottrina di Cirillo, annoverò sempre e venerò il Concilio Efesino tra i Concili Ecumenici celebrati sotto la guida dello Spirito Santo.

Ed infatti, pur tralasciando molte altre eloquentissime testimonianze, valga quella di moltissimi seguaci dello stesso Nestorio. Essi videro svolgersi gli eventi sotto i propri occhi, né erano legati a Cirillo da vincolo alcuno; eppure, benché spinti alla parte contraria dall’amicizia con Nestorio, dalla grande attrattiva dei suoi scritti e dall’acceso ardore delle dispute, nondimeno, dopo il Sinodo Efesino, come colpiti dalla luce della verità, a poco a poco abbandonarono l’eretico Vescovo di Costantinopoli, che appunto secondo la legge ecclesiastica era da evitare. Ed alcuni di essi certamente sopravvivevano ancora, allorché il Nostro predecessore di f. m. Leone Magno, così scriveva al Vescovo di Marsala Pascasino, suo legato al Concilio di Calcedonia: «Tu ben sai che tutta la Chiesa Costantinopolitana, con tutti i suoi monasteri e molti Vescovi, prestò il suo consenso e sottoscrisse alla condanna di Nestorio e di Eutiche, e dei loro errori » [23].

Nella lettera dogmatica, poi, all’imperatore Leone, egli accusa apertissimamente Nestorio come eretico e maestro di eresia, senza che alcuno gli contraddica. Egli scrive: « Si condanni dunque Nestorio, che opinò la Beata Vergine Maria essere madre soltanto dell’uomo e non di Dio, stimando altra essere la persona umana ed altra la divina, e non ritenendo un solo Cristo nel Verbo di Dio e nella carne, ma separando e proclamando altro essere il figlio di Dio, altro il figlio dell’uomo » [24]. Né alcuno può ignorare che questo stesso fu solennemente sancito dal Concilio di Calcedonia, il quale riprovò nuovamente Nestorio e lodò la dottrina di Cirillo. Così pure il santissimo Nostro predecessore Gregorio Magno, non appena fu innalzato alla cattedra del beato Pietro, dopo avere ricordato — nella sua Lettera sinodica alle Chiese orientali — i quattro Concili Ecumenici, cioè il Niceno, il Costantinopolitano, l’Efesino e il Calcedonese, si esprime intorno ad essi con questa, nobilissima ed importantissima sentenza: «… Su di essi si innalza, come su pietra quadrata, l’edificio della santa fede; su di essi poggia ogni vita ed azione; chi non si appoggia ad essi, anche se sembri essere pietra, giace tuttavia fuori dell’edificio » [25].

Tutti dunque ritengano come certo e manifesto che veramente Nestorio propalò errori ereticali, che il Patriarca Alessandrino fu invitto difensore della fede cattolica, e che il Pontefice Celestino, col Concilio di Efeso, difese l’avita dottrina e la suprema autorità della Sede Apostolica.

II

Ma è tempo ormai, Venerabili Fratelli, che passiamo a considerare più profondamente quei punti di dottrina, i quali, mediante la condanna stessa di Nestorio, furono apertamente professati e autorevolmente sanciti dal Concilio Ecumenico di Efeso. Orbene, oltre la condanna dell’eresia Pelagiana e dei suoi fautori, tra i quali senza dubbio era Nestorio, l’argomento principale che vi fu trattato, e che fu solennemente e unanimemente confermato da quei Padri, riguardava la sentenza del tutto empia e contraria alle Sacre Scritture, propugnata da questo eresiarca; ond’è che fu proclamato come assolutamente certo ciò che egli negava, e cioè in Cristo essere una sola persona, la persona divina. Nestorio infatti, come dicemmo, ostinatamente sosteneva che il Divin Verbo si unisce all’umana natura in Cristo, non già sostanzialmente e ipostaticamente, bensì mediante un vincolo meramente accidentale e morale; e i Padri di Efeso, condannando appunto il Vescovo di Costantinopoli, proclamarono apertamente la vera dottrina dell’Incarnazione, che deve essere da tutti fermamente ritenuta. Ed invero Cirillo, nelle sue epistole e nei suoi capitoli, già in precedenza indirizzati a Nestorio e poi inseriti negli Atti di quel Concilio, accordandosi mirabilmente con la Chiesa di Roma, con chiare e ripetute parole ne difende la dottrina: « Pertanto in nessun modo è lecito scindere l’unico Signor nostro Gesù Cristo in due figli… La Scrittura infatti non dice che il Verbo ha associato a sé la persona umana, ma che si è fatto carne. Il dire che il Verbo si è fatto carne, significa che egli, come noi, si è unito con la carne e col sangue; egli dunque fece suo il nostro corpo e nacque uomo dalla donna, senza nondimeno abbandonare la divinità e la filiazione dal Padre: restò quindi, nella stessa assunzione della carne, quello che era » [26].

Infatti, come sappiamo dalle Sacre Scritture e dalla tradizione divina, il Verbo di Dio Padre non si congiunse con un uomo, già in sé sussistente, ma uno stesso e medesimo Cristo è il Verbo di Dio esistente ab aeterno nel seno del Padre e l’uomo fatto nel tempo. Poiché la mirabile unione della divinità e dell’umanità in Cristo Gesù, Redentore del genere umano, la quale a ragione vien detta ipostatica, è appunto quella che è inconfutabilmente espressa nelle Sacre Lettere, allorché lo stesso unico Cristo, non solo è appellato Dio ed uomo, ma viene anche descritto in atto di operare e come Dio e come uomo, ed infine, di morire in quanto uomo e di risorgere glorioso dalla morte in quanto Dio. In altri termini, quello stesso che è concepito per virtù dello Spirito Santo nel seno della Vergine, nasce, giace nel presepe, si dice figlio dell’uomo, soffre, e muore confitto in croce, è quello stesso appunto che dall’Eterno Padre, in modo miracoloso e solenne è proclamato « mio Figlio diletto » [27], dà con potere divino il perdono dei peccati [28], restituisce per virtù propria la sanità agli infermi [29] e richiama i morti alla vita [30]. Ora tutto ciò, mentre dimostra ad evidenza essere in Cristo due nature, dalle quali procedono operazioni umane e divine, non meno evidentemente attesta uno essere Cristo, Dio e Uomo nello stesso tempo, per quella unità della persona divina, per la quale è detto « Theànthropos ».

Inoltre, non vi è chi non veda come questa dottrina, costantemente insegnata dalla Chiesa, sia comprovata e confermata dal dogma della Redenzione umana. Infatti, come avrebbe potuto Cristo essere chiamato « primogenito fra molti fratelli » [31], essere ferito a causa della nostra iniquità [32], redimerci dalla schiavitù del peccato, se non fosse stato dotato di natura umana, come noi? E parimenti come avrebbe Egli potuto del tutto placare la giustizia del Padre celeste, offesa dal genere umano, se non fosse stato insignito, per la sua persona divina, di una dignità immensa e infinita?

Né è lecito negare questo punto della verità cattolica per la ragione che, se si dicesse che il Redentore nostro è privo della persona umana, per ciò stesso potrebbe sembrare che alla sua natura umana mancasse qualche perfezione, e quindi diventerebbe, come uomo, inferiore a noi. Poiché, come sottilmente e sagacemente osserva l’Aquinate, « la personalità in tanto appartiene alla dignità e alla perfezione di qualche cosa, in quanto appartiene alla dignità e alla perfezione di quella cosa l’esistere per se stessa, il che si intende col nome di persona. Però è più degno, per qualcuno, esistere in un altro di sé più elevato, che esistere per sé; quindi la natura umana è in maggiore dignità in Cristo, che non lo sia in noi, perché in noi, esistendo quasi per sé, ha la propria personalità; in Cristo, invece, esiste nella persona del Verbo. Così pure l’essere completivo della specie appartiene alla dignità della forma; tuttavia la parte sensitiva è più nobile nell’uomo per la congiunzione ad una più nobile forma completiva, che non lo sia nel bruto animale, nel quale essa stessa è forma completiva »[33].

Inoltre è bene qui notare che, come Ario, quell’astutissimo sovvertitore dell’unità cattolica, impugnò la natura divina del Verbo, e la sua consostanzialità con l’Eterno Padre, così Nestorio, procedendo per una via del tutta diversa, rigettando cioè l’unione ipostatica del Redentore, negò a Cristo, sebbene non al Verbo, la piena ed integra divinità. Infatti, se in Cristo la natura divina fosse stata unita con quella umana solamente con vincolo morale (come egli stoltamente vaneggiava) — ciò che, come abbiamo detto, hanno in certo qual modo conseguito anche i profeti e gli altri eroi della santità cristiana, per la propria intima unione con Dio — il Salvatore del genere umano poco o nulla differirebbe da coloro che egli ha redenti con la sua grazia e col suo sangue. Rinnegata dunque la dottrina dell’unione ipostatica, sulla quale si fondano ed hanno solidità i dogmi dell’Incarnazione e della redenzione umana, cade e rovina ogni fondamento della religione cattolica.

Però non Ci meravigliamo se, alla prima minaccia del pericolo dell’eresia Nestoriana, tutto l’orbe cattolico ha tremato; non Ci meravigliamo se il Concilio Efesino vivamente si è opposto al Vescovo di Costantinopoli che combatteva con tanta temerità ed astuzia la fede avita, ed eseguendo la sentenza del Romano Pontefice lo ha colpito col tremendo anatema.

Noi pertanto, facendo eco, in armonia di animo, a tutte le età dell’era cristiana, veneriamo il Redentore del genere umano non come « Elia… o uno dei profeti » nei quali abita la divinità per mezzo della grazia, ma ad una voce col Principe degli Apostoli, che ha conosciuto tale mistero per rivelazione divina, confessiamo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » [34].

Posta al sicuro questa verità dogmatica, se ne può facilmente dedurre che l’universale famiglia degli uomini e delle cose create è stata elevata dal mistero dell’Incarnazione a tale dignità, da non potersene certamente immaginare una maggiore, certo più sublime di quella alla quale fu innalzata con l’opera della creazione. Poiché in tal maniera nella discendenza di Adamo vi è uno, cioè Cristo, il quale perviene proprio alla sempiterna e infinita divinità, e con la stessa è congiunto in modo arcano e strettissimo; Cristo, diciamo, fratello nostro, dotato della natura umana, ma anche Dio con noi, ossia Emmanuele, che con la sua grazia e i suoi meriti, riconduce tutti noi al divino Autore, e ci richiama a quella beatitudine, dalla quale eravamo miseramente decaduti a causa del peccato originale. Nutriamo dunque per lui sensi di gratitudine, seguiamo i suoi precetti, imitiamone gli esempi. Così saremo consorti della divinità di colui « che si è degnato farsi partecipe della nostra umanità »[35].

Se però, come abbiamo detto, in ogni tempo, nel corso dei secoli la vera Chiesa di Gesù Cristo ha con somma diligenza difeso pura e incorrotta tale dottrina dell’unità di persona e della divinità del suo Fondatore, non così, purtroppo, avviene presso coloro che miseramente vagano fuori dell’unico ovile di Cristo. Infatti, ogni volta che qualcuno con pertinacia si sottrae al magistero infallibile della Chiesa, abbiamo da lamentare in lui anche una graduale perdita della sicura e vera dottrina intorno a Gesù Cristo. In realtà, se alle tante e così diverse sette religiose, a quelle in modo speciale sorte dal secolo XVI e XVII in poi, le quali si gloriano ancora del nome cristiano e al principio della loro separazione confessavano fermamente Cristo Dio e uomo, domandassimo che cosa ora ne pensano, ne avremmo risposte del tutto dissimili e fra loro contraddittorie; perché, sebbene pochi di essi abbiano conservato una fede piena e retta riguardo alla persona del nostro Redentore, quanto agli altri però, se in qualche maniera affermano qualcosa di simile, questo sembra piuttosto un residuo di quel prezioso aroma di antica fede, di cui ormai hanno perduto la sostanza.

Infatti essi presentano Gesù come un uomo dotato di divini carismi, congiunto in un certo modo misterioso, più degli altri, con la divinità, e a Dio vicinissimo; ma sono molto lontani dalla intera e genuina professione della fede cattolica. Altri infine, non riconoscendo nulla di divino in Cristo, lo dichiarano semplice uomo, adorno sì di esimie doti di corpo e di animo, ma soggetto anche ad errori e alla fragilità umana. Da ciò appare manifesto che tutti costoro, allo stesso modo di Nestorio, vogliono con ardire temerario « separare Cristo » e pertanto, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni, « non sono da Dio » [36].

Noi dunque, dal supremo fastigio di questa Sede Apostolica, esortiamo con cuore paterno tutti coloro che si gloriano di essere seguaci di Cristo, e che in Lui ripongono la speranza e la salute sia dei singoli sia dell’umano consorzio, ad aderire ogni giorno più fermamente e strettamente alla Chiesa Romana, nella quale si crede Cristo con fede unica, integra e perfetta, lo si onora con sincero culto di adorazione, lo si ama con perenne e vivida fiamma di carità. Si ricordino costoro, in modo speciale coloro che governano il gregge da Noi separato, che quella fede dai loro antenati solennemente professata in Efeso, è conservata immutata, e viene strenuamente difesa, come nell’età passata così al presente, da questa suprema Cattedra di verità; si ricordino che una tale purezza e unità di fede è fondata ed ha fermezza nella sola pietra posta da Cristo, e parimenti che solo per mezzo della suprema autorità del Beato Pietro e dei suoi Successori si può conservare incorrotta.

E quantunque di questa unità della religione cattolica abbiamo trattato più diffusamente pochi anni addietro nell’Enciclica Mortalium animos, gioverà tuttavia richiamarla qui brevemente in memoria, poiché l’unione ipostatica di Cristo, confermata in modo solenne nel Concilio Efesino, propone e rappresenta il tipo di quella unità di cui il nostro Redentore volle ornato il suo corpo mistico, cioè la Chiesa, « un solo corpo » [37], « ben compaginato e connesso » [38]. E veramente, se la personale unità di Cristo è l’arcano esemplare al quale Egli stesso volle conformare l’unica compagine della società cristiana, ogni uomo di senno comprende che questa non può affatto sorgere da una certa vana unione di molti discordanti fra loro, ma unicamente da una gerarchia, da un unico e sommo magistero, da un’unica regola del credere, da un’unica fede dei cristiani [39].

Questa unità della Chiesa, che consiste nella comunione con la Sede Apostolica, fu nel Concilio di Efeso splendidamente affermata da Filippo, legato del Vescovo Romano, il quale, parlando ai Padri Conciliari che ad una voce plaudivano alla lettera inviata da Celestino, proferì queste memorande parole: « Rendiamo grazie al santo e venerabile Sinodo, perché letta a voi la lettera del santo e beato Papa nostro, voi, membra sante, vi siete congiunti al capo santo con le vostre sante voci e con le vostre sante acclamazioni. Infatti la vostra beatitudine non ignora che il beato Apostolo Pietro è capo di tutta la fede ed anche degli Apostoli » [40].

Più che in passato, ora maggiormente, Venerabili Fratelli, è necessario che tutti i buoni siano stretti in Gesù Cristo e nella sua mistica sposa, la Chiesa, da un’unica, medesima e sincera professione di fede, poiché dappertutto tanti uomini cercano di scuotere il soave giogo di Cristo, respingono la luce della sua dottrina, calpestano le fonti della grazia, e infine ripudiano la divina autorità di Colui, che è diventato, secondo il detto evangelico, « il segno di contraddizione » [41].

Siccome da tale lacrimevole defezione da Cristo provengono innumerevoli mali che vanno ogni giorno crescendo, tutti cerchino l’opportuno rimedio da Lui, che « è stato dato agli uomini sulla terra e nel quale solamente possiamo avere salvezza » [42].

Così soltanto con l’aiuto del Sacro Cuore di Gesù, potranno spuntare tempi più felici per gli animi dei mortali, tanto per i singoli uomini, quanto per la società domestica e per la stessa società civile, al presente così profondamente sconvolta.

III

Dal punto della dottrina cattolica fin qui toccato, necessariamente deriva quel dogma della divina maternità, che predichiamo, della B. Vergine Maria: «non già come ammonisce Cirillo, che la natura del Verbo o la sua divinità abbia tratto il principio della sua origine dalla Vergine Santissima, ma nel senso che da lei trasse quel sacro corpo informato dall’anima razionale, dal quale il Verbo di Dio, unito secondo la ipostasi, si dice sia nato secondo la carne » [43]. Invero se il figlio della B. Vergine Maria è Dio, per certo colei che lo generò deve chiamarsi con ogni diritto Madre di Dio; se una è la persona di Gesù Cristo, e questa divina, senza alcun dubbio Maria deve da tutti essere chiamata non solamente Genitrice di Cristo uomo, ma Deipara, « Theotòcos ». Colei dunque che da Elisabetta sua cugina è salutata «Madre del mio Signore » [44], della quale Ignazio Martire dice che ha partorito Iddio [45], e dalla quale Tertulliano dichiara che è nato Iddio [46], quella stessa noi veneriamo come alma Genitrice di Dio, cui l’eterno Iddio conferì la pienezza della grazia e che elevò a tanta dignità.

Nessuno poi potrebbe rigettare questa verità, tramandataci fin dall’inizio della Chiesa, per il fatto che la B. Vergine abbia fornito sì il corpo a Gesù Cristo, senza però generare il Verbo del Padre celeste; infatti, come a ragione e chiaramente già fin dal suo tempo risponde Cirillo [47], a quel modo che tutte le altre donne nel cui seno si genera il nostro terreno composto ma non l’anima, si dicono e sono veramente madri, così Ella ha similmente conseguito la divina maternità dalla sola persona del Figlio suo.

Giustamente quindi il Concilio Efesino ancora una volta riprovò solennemente l’empia sentenza di Nestorio, che il Romano Pontefice, mosso dallo Spirito divino, aveva condannato un anno prima.

E il popolo di Efeso era compreso da tanta devozione e ardeva di tanto amore per la Vergine Madre di Dio, che appena apprese la sentenza pronunziata dai Padri del Concilio, li acclamò con lieta effusione di animo e, provvedutosi di fiaccole accese, a folla compatta li accompagnò fino alla loro dimora. E certo, la stessa gran Madre di Dio, sorridendo soavemente dal cielo ad un così meraviglioso spettacolo, ricambiò con cuore materno e col suo benignissimo aiuto i suoi figli di Efeso e tutti i fedeli del mondo cattolico, perturbati dalle insidie dell’eresia nestoriana.

Da questo dogma della divina maternità, come dal getto d’un’arcana sorgente, proviene a Maria una grazia singolare: la sua dignità, che è la più grande dopo Dio. Anzi, come scrive egregiamente l’Aquinate: « La Beata Vergine, per il fatto che è Madre di Dio, ha una dignità in certo qual modo infinita, per l’infinito bene che è Dio » [48]. Il che più diffusamente espone Cornelio a Lapide con queste parole: « La Beata Vergine è Madre di Dio; Ella dunque è di gran lunga più eccelsa di tutti gli Angeli, anche dei Serafini e dei Cherubini. È Madre di Dio; Ella perciò è la più pura e la più santa, così che dopo Dio non si può immaginare una purezza maggiore. È Madre di Dio; perciò qualsiasi privilegio concesso a qualunque Santo, nell’ordine della grazia santificante, Ella lo ha al di sopra di tutti » [49].

E allora perché i Novatori e non pochi acattolici riprovano così acerbamente la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, quasi riducessimo quel culto che solo a Dio è dovuto? Ignorano forse costoro, o non attentamente riflettono come nulla possa riuscire più accetto a Gesù Cristo, che certamente arde di un amore grande per la Madre sua, quanto il venerarla noi secondo il merito, premurosamente riamarla e studiarci, con l’imitazione dei suoi esempi santissimi, di guadagnarcene il valido patrocinio?

Non vogliamo però passare sotto silenzio un fatto che Ci riesce di non lieve conforto, come cioè ai nostri tempi, anche alcuni tra i Novatori siano tratti a conoscere meglio la dignità della Vergine Madre di Dio, e mossi a venerarla ed onorarla con amore. E questo certamente, quando nasca da una profonda sincerità della loro coscienza e non già da un larvato artificio di conciliarsi gli animi dei cattolici, come sappiamo che avviene in qualche luogo, Ci fa del tutto sperare che, con l’aiuto della preghiera, la cooperazione di tutti e con l’intercessione della B. Vergine che ama di amore materno i figli erranti, questi siano finalmente un giorno ricondotti in seno all’unico gregge di Gesù Cristo e, per conseguenza, a Noi che, sebbene indegnamente, ne sosteniamo in terra le veci e l’autorità.

Ma nella missione della maternità di Maria, ancora un’altra cosa, Venerabili Fratelli, crediamo doveroso ricordare: una cosa che torna certamente più dolce e più soave. Avendo Ella dato alla luce il Redentore del genere umano, divenne in certo modo madre benignissima, anche di noi tutti, che Cristo Signore volle avere per fratelli [50]. Scrive il Nostro Predecessore Leone XIII di f.m.: «Tale ce la diede Iddio: nell’atto stesso in cui la elesse a Madre del suo Unigenito, le ispirò sentimenti del tutto materni, che nient’altro effondessero se non misericordia ed amore; tale da parte sua ce l’additò Gesù Cristo, quando volle spontaneamente sottomettersi a Maria e prestarle obbedienza come un figlio alla madre; tale Egli dalla croce la dichiarò allorché, nel discepolo Giovanni, le affidò la custodia e il patrocinio su tutto il genere umano; tale infine si dimostrò Ella stessa, quando, raccolta con animo grande quella eredità d’un immenso travaglio lasciatale dal Figlio moribondo, si diede subito a compiere ogni ufficio di madre » [51].

Per questo avviene che a Lei veniamo attratti come da un impulso irresistibile, e a Lei confidiamo con filiale abbandono ogni cosa nostra — le gioie cioè, se siamo lieti; le pene se siamo addolorati; le speranze se finalmente ci sforziamo di risollevarci a cose migliori —; per questo avviene che se alla Chiesa si preparano giorni più difficili, se la fede viene scossa perché la carità si è raffreddata, se volgono in peggio i privati e pubblici costumi, se qualche sciagura minaccia la famiglia cattolica e il civile consorzio, a Lei ci rifugiamo con suppliche, per chiedere con insistenza l’aiuto celeste; per questo, infine, quando nel supremo pericolo della morte, non troviamo più da nessuna parte speranza ed aiuto, a Lei innalziamo gli occhi lacrimosi e le mani tremanti, chiedendo fervidamente, per mezzo di Lei al Figlio suo, il perdono e l’eterna felicità nei cieli.

A Lei, dunque, ricorrano tutti con più acceso amore nelle presenti necessità dalle quali siamo travagliati; a Lei domandino con suppliche pressanti « di impetrare che le fuorviate generazioni tornino all’osservanza delle leggi, nelle quali è riposto il fondamento d’ogni pubblico benessere, e donde promanano i benefìci della pace e della vera prosperità. A Lei chiedano molto intensamente ciò che tutti i buoni devono avere in cima ai loro pensieri: che la Madre Chiesa ottenga il tranquillo godimento della sua libertà, la quale non indirizza ad altro che alla tutela dei supremi interessi dell’uomo, e dalla quale, come gli individui, così la società, anziché danno, trasse in ogni tempo i più grandi e inestimabili benefìci » [52].

Ma sopra ogni altra cosa, un particolare e certamente importantissimo beneficio desideriamo che da tutti venga implorato, mediante la intercessione della celeste Regina. Ella cioè, che è tanto amata e tanto devotamente onorata dagli Orientali dissidenti, non permetta che questi miseramente fuorviino e che sempre più si allontanino dall’unità della Chiesa e quindi dal Figlio suo, del quale Noi facciamo le veci sulla terra. Tornino a quel Padre comune, la cui sentenza accolsero tutti i Padri del Concilio Efesino e salutarono con plauso unanime quale « custode della Fede »; facciano ritorno a Noi, che per tutti loro portiamo un cuore assolutamente paterno, e volentieri facciamo Nostre quelle tenerissime parole con le quali Cirillo si sforzò di esortare Nestorio, affinché « si conservasse la pace delle Chiese e rimanesse indissolubile tra i sacerdoti di Dio il vincolo della concordia e dell’amore » [53].

Voglia il Cielo che spunti quanto prima quel lietissimo giorno in cui la Vergine Madre di Dio, fatta ritrarre in mosaico dal Nostro antecessore Sisto III nella Basilica Liberiana (opera che Noi stessi abbiamo voluto restituire al primitivo splendore), possa vedere il ritorno dei figli da Noi separati, per venerarla insieme con Noi, con un solo animo e una fede sola. Cosa che certamente Ci riuscirà oltre ogni dire gioconda.

Riteniamo inoltre di buon augurio l’essere toccato a Noi di celebrare questo quindicesimo centenario; a Noi, vogliamo dire, che abbiamo difeso la dignità e la santità del casto connubio contro i cavillosi assalti d’ogni genere [54]; a Noi che abbiamo solennemente rivendicato alla Chiesa i sacrosanti diritti dell’educazione della gioventù, affermando ed esponendo con quali metodi dovesse impartirsi, a quali princìpi conformarsi [55].

Infatti questi due Nostri insegnamenti trovano sia nelle mansioni della divina maternità, sia nella famiglia di Nazaret un esimio modello da proporsi all’imitazione di tutti. Effettivamente, per servirci delle parole del Nostro Predecessore Leone XIII di f. m., « i padri di famiglia hanno in Giuseppe una guida eccellentissima di paterna e vigile provvidenza; nella Santissima Vergine Madre di Dio, le madri hanno un insigne modello di amore, di verecondia, di spontanea sottomissione e di fedeltà perfetta; in Gesù poi, che era a quelli sottomesso, i figli trovano un modello di ubbidienza tale da essere ammirato, venerato ed imitato » [56].

Ma è particolarmente giovevole soprattutto che quelle madri dei tempi moderni, le quali, infastidite della prole e del vincolo coniugale, hanno avvilito e violato i doveri che si erano imposti, sollevino lo sguardo a Maria, e seriamente considerino a quanto grande dignità il compito di madre sia stato da Lei innalzato. Così si può allora sperare che, con la grazia della celeste Regina, siano indotte ad arrossire dell’ignominia inflitta al grande sacramento del matrimonio, e che siano salutarmente animate a conseguire con ogni sforzo i pregi ammirabili delle virtù di Lei.

E qualora tutto ciò avvenga secondo i Nostri desideri, se cioè la società domestica — principio fondamentale di tutto l’umano consorzio — verrà ricondotta a così degnissima norma di probità, senza dubbio potremo affrontare e porre finalmente un riparo a quello spaventoso cumulo di mali da cui siamo travagliati. In tal modo avverrà « che la pace di Dio, la quale supera ogni intendimento, custodirà i cuori e le intelligenze di tutti » [57], e che l’auspicatissimo regno di Cristo venga dovunque e felicemente ristabilito, mediante la mutua unione delle forze e delle volontà. Né vogliamo por fine a questa nostra Enciclica senza manifestarvi, Venerabili Fratelli, una cosa che certamente riuscirà a tutti gradita. Desideriamo cioè che non manchi un ricordo liturgico di questa secolare commemorazione: un ricordo che giovi a rinfervorare nel Clero e nel popolo la più grande devozione verso la Madre di Dio. Perciò abbiamo ordinato alla Sacra Congregazione dei Riti che vengano pubblicati l’Ufficio e la Messa della Divina Maternità, da celebrarsi in tutta la Chiesa universale.

Intanto a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro, come auspicio dei celesti favori e quale pegno del Nostro cuore paterno, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre, nella festa della Natività di N. S. Gesù Cristo, dell’anno 1931, decimo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

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[1] Matth., XXVIII, 20.

[2] Ioann., XV, 6.

[3] Epist. ad Emos Card. B. Pompilj et A. Sincero, d. XXV Dec. MDCCCCXXX.

[4] Ephes. IV, 13-16.

[5] Mansi, Conciliorum Amplissima Collectio, IV, c. 1007; Schwartz, Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, 5, p. 408.

[6] Mansi, l.c., IV, 1011.

[7] Mansi, l.c., IV, 1015.

[8] Mansi, l.c., IV, 1034 sq.

[9] Migne, P. L., 50, 463; Mansi, l.c., IV, 1019 sq.

[10] Mansi, l.c., IV, 1291.

[11] Mansi, l.c., IV, 1292.

[12] Mansi, l.c., IV, 1287.

[13] Mansi. l.c., IV, 1292.

[14] Mansi, l.c., IV, 556.

[15] Mansi, l.c., IV, 1290.

[16] Conc. Vatic., sess. IV, cap. 2.

[17] Mansi, l.c., IV, 1295.

[18] Mansi, l.c., IV, 1287.

[19] Mansi, l.c. IV, 1287.

[20] Mansi, l.c., IV, 1294 sq.

[21] Mansi, l.c., IV, 1287 sq.

[22] Epist. 190; Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, 57, p. 159 sq.

[23] Mansi, l.c., VI, 124.

[24] Mansi, l.c., VI, 351-354.

[25] Migne, P. L., 77, 478; Mansi, l.c., IX, 1048.

[26] Mansi, l.c., IV, 891.

[27] Matth., III, 17; XVII, 5; II Petr., 17.

[28] Matth., IX, 2-6; Luc., V, 20-24; VII, 48 et alibi.

[29] Matth., VIII, 3; Marc, I, 41; Luc., V, 13; Ioann., IX et alibi.

[30] Ioann., XI, 43; Luc., VII, 14 et alibi.

[31] Rom., VIII, 29.

[32] Isai., LIII, 5; Matth., VIII, 17.

[33] Summ. Theol., III, q. II, a. 2.

[34] Matth., XVI, 14.

[35] Ordo Missae.

[36] I Ioann., IV, 3.

[37] I Cor., XII, 12.

[38] Ephes., IV, 16.

[39] Litt. Encycl. Mortalium animos.

[40] Mansi, l.c., 1290.

[41] Luc., II, 34.

[42] Act., IV, 13.

[43] Mansi, l.c., IV, 891.

[44] Luc., I, 43.

[45] Ephes., VII, 18-20.

[46] De carne Chr., 17, P. L., II, 781.

[47] Mansi, l.c., IV, 599.

[48] Summ Theol., I, q. XXV, a. 6.

[49] In Matth., I, 6.

[50] Rom., VIII, 29.

[51] Epist. Encyl. Octobri mense adventante, die XXII Sept. MDCCCXCI.

[52] Epist. Encycl. s. c.

[53] Mansi, l.c., IV, 891.

[54] Litt. Encycl. Casti connubii, die XXI Decemb. MDCCCCXXX.

[55] Litt. Encycl: Divini illius Magistri, die XXI Decemb. MDCCCCXXIX;

[56] Litt. Apost. Neminem fugit, die XIV Ian. MDCCCXXXXII.

[57] Phil., IV, 7.

Augustinus
11-10-08, 18:20
http://www.insecula.com/PhotosNew/00/00/05/81/ME0000058183_3.JPG http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/31477_p0008326.002.jpg Giovanni Battista Salvi (Il Sassoferrato), La Vergine adorante il Bambino, XVII sec., musée du Louvre, Parigi

http://www.insecula.com/PhotosNew/00/00/05/81/ME0000058181_3.JPG http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/31465_p0007271.002.jpg Giovanni Battista Salvi (Il Sassoferrato), Il sonno del Bambino Gesù, XVII sec., musée du Louvre, Parigi

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p00627a01nf2006.jpg Alonso Cano, Vergine col Bambino, 1643 circa, museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01416a01nf2002.jpg Hendrik van Balen - Jan Brueghel Il Vecchio, Madonna con Bambino con ghirlanda di fiori, 1621 circa, museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01417a01nf2005.jpg Jan Brueghel Il Vecchio - Giulio Cesare Procaccini, Madonna con Bambino con ghirlanda di fiori e due angeli, 1620 circa, museo del Prado, Madrid

Augustinus
11-10-08, 18:34
http://www.museodelprado.es/typo3temp/pics/36cc8f1d15.jpg Bernard van Orley, La Vergine di Lovanio, 1520, museo del Prado, Madrid

http://img337.imageshack.us/img337/3897/trevisanilr3.jpg Francesco Trevisani, La Vergine col Bambino addormentato, XVIII sec., museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01537a01nf2006.jpg Gérard David, Vergine col Bambino, 1520 circa, museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01930a01nf2005.jpg Jan Gossaert, Vergine col Bambino, 1527-30, museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01542a01nf2006.jpg Jan Sanders van Hemessen, Vergine col Bambino, 1543, museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p01932a01nf2005.jpg Bernard van Orley, Vergine col Bambino, 1516 circa, museo del Prado, Madrid

http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p02696a01nf2006.jpg Jan Provost, Vergine col Bambino, XVI sec., museo del Prado, Madrid

Augustinus
11-10-08, 18:53
DIE 11 OCTOBRIS

MATERNITATIS BEATAE MARIAE VIRGINIS

Duplex II classis

Introitus

Isai. 7, 14

ECCE VIRGO concípiet, et páriet Fílium, et vocábitur nomen ejus Emmánuel. Ps. 97, 1. Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit. V/. Glória Patri. Ecce Virgo.

Oratio

DEUS, qui de beátae Maríae Vírginis útero Verbum tuum, Angelo nuntiánte, carnem suscípere voluísti: praesta supplícibus tuis; ut, qui vere eam Genitrícem Dei crédimus, ejus apud te intercessiónibus adjuvémur. Per eúmdem Dóminum.

Léctio libri Sapiéntiæ

Eccli. 24, 23-31

EGO quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchrae dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctae spei. In me grátia omnis viae et veritátis: in me omnis spes vitae et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes saeculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam aetérnam habébunt.

Graduale. Isai. 11, 1-2. Egrediétur virga de rádice Jesse, et flos de rádice ejus ascéndet. V/. Et requiéscet super eum Spíritus Dómini.

Allelúja, allelúja. V/. Virgo Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam

Luc. 2, 43-51

IN ILLO témpore: Cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos, et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos, et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant super prudéntia, et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? ecce pater tuus, et ego doléntes quaerebámus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quaerebátis? nesciebátis quia in his quae Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis.

Credo.

Offertorium. Matth. 1, 18. Cum esset desponsáta mater ejus María Joseph, invénta est in útero habens de Spíritu Sancto.

Secreta

TUA, Dómine, propitiatióne, et beátae Maríae semper Vírginis Unigéniti tui Matris intercessióne, ad perpétuam atque praeséntem haec oblátio nobis profíciat prosperitátem et pacem. Per eúmdem Dóminum.

Præfatio de B. Maria Virg. Et te in Festivitáte.

Communio. Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

Postcommunio

HAEC nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genitríce María, caeléstis remédii fáciat esse consórtes. Per eúmdem Dóminum nostrum.

FONTE (http://www.clerus.org/bibliaclerusonline/pt/ob.htm#b4g)

Augustinus
12-10-08, 08:52
http://img380.imageshack.us/img380/6846/madonnaandchild4448sa7.jpg Artemisia Gentileschi, Madonna col Bambino che allatta, 1609-10, Galleria Spada, Roma

http://img56.imageshack.us/img56/3013/madonnaandchild4448ni2.jpg Artemisia Gentileschi, Madonna col Bambino, 1610-12, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Firenze

http://images.corriere.it/Media/Foto/2008/12/12/madonna.jpg Filippo Brunelleschi, Madonna di Fiesole, XV sec., Museo dell'Opificio delle pietre dure, Firenze

Augustinus
02-01-09, 08:48
Maria Santissima Madre di Dio

Il mistero di una madre che allatta il suo Creatore

di Gianfranco Ravasi

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/001q04b1.jpg

"Era molto importante che Dio donasse al mondo questo segno: la Vergine che partorisce, la donna senza uomo: ella, che ha aspettato tutto da Dio e ha dato tutto a Dio, ha ricevuto tutto da lui; così può presentare al mondo il bambino re e salvatore, Dio stesso che viene a cercare il suo popolo". Così Georgette Blacquère, saggista francese, nella sua opera La grâce d'être femme, esaltava la maternità verginale di Maria. E a lei faceva eco un noto teologo suo connazionale, Gustave Martelet, che affermava: "Se Gesù risultasse dall'amore di Giuseppe e di Maria, per quanto grande e santificato fosse questo amore, il futuro sarebbe stato unicamente umano (...) Gesù sarebbe reso figlio da Dio solo per adozione (...) In nessun modo saremmo davanti al mistero che la Scrittura rivela e la fede confessa: quello del Figlio effettivo di Dio fatto uomo con l'Incarnazione".
In pratica si cadrebbe in un'eresia già attestata nell'antichità, quella dell'adozionismo: Cristo sarebbe, sì, nostro fratello, ma con tutti i limiti della nostra realtà, senza la possibilità di trascendere e salvare la nostra condizione. Sarebbe un figlio tra i figli adottivi di Dio, sia pure con un rilievo maggiore.
Sul tema di Maria vergine incinta abbiamo già proposto una precedente riflessione. Ora vorremmo soffermarci su un aspetto apparentemente molto marginale che però ha lasciato una traccia suggestiva nella storia dell'arte e della pietà popolare cristiana: Maria madre che allatta il suo Bambino. Noi ci fermeremo solo sul versante esegetico-teologico, partendo da una "beatitudine" evangelica che sboccia dall'ammirazione di una donna presente nell'uditorio di Gesù. Racconta l'evangelista Luca: "Una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha partorito e il seno da cui sei stato allattato!" (11, 27).
Luca non usa il termine greco tipico per indicare il latte, gàla, ma ricorre a un verbo squisitamente "femminile", ethèlasas, da thelàzein, "allattare", che è generato da thèlys, "donna, femmina". Il verbo risuona quattro altre volte nel Nuovo Testamento. Fa capolino nell'acclamazione della domenica delle Palme, allorché - sulla base di una citazione del salmo 8, 3 - Gesù stesso accoglie gli "osanna" dei fanciulli, ricordando appunto che "dalla bocca dei bambini e dei lattanti (thelazònton)", Dio si procura la lode più cara (Matteo, 21, 16). Le altre tre presenze del vocabolo sono parallele e identiche nei tre evangelisti sinottici e sono segnate da un fremito apocalittico: nel giorno del giudizio finale sulla storia, "guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno (thelazoùsais) in quei giorni!" (Matteo, 24, 19; Marco, 13, 17; Luca, 21, 23).
A questo punto vorremmo idealmente ripercorrere a ritroso la storia biblica di una realtà fisiologica divenuta ben presto un emblema e che potrebbe essere esaminata - come per altro è stato fatto - nell'iconografia mariana. Il latte, in ebraico halab (in arabo leben, "bianco"), produce infatti quasi un filo bianco e dolce che percorre molte pagine anticotestamentarie, legate soprattutto al modello sociale nomadico. Non per nulla il segno più affettuoso dell'ospitalità è nel mondo beduino offrire una tazza di latte fresco, come fa Abramo in quel caldo pomeriggio agli ospiti misteriosi che s'affacciano alla sua tenda sotto le querce di Mamre (Genesi, 18, 8). Attorno al latte si svilupperanno anche tradizioni gastronomiche folcloriche, come quella che darà origine indirettamente alla norma kasher che vieta all'ebreo una dieta che mescoli carne e latticini. Nel libro dell'Esodo si legge, infatti, questa prescrizione: "Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre" (23, 19; il divieto è reiterato in Esodo, 34, 26 e Deuteronomio, 14, 21). Più che a motivi umanitari, come spesso si dice, la proibizione era vincolata al fatto che tale ricetta era in uso presso i cananei, gli indigeni della Terrasanta, nei cui confronti Israele voleva prendere le distanze onde evitare il rischio di sincretismo.
Ma ben presto il latte si trasfigura in simbolo. Incarna, col miele, la rappresentazione della fecondità, della libertà e del benessere, come è attestato da quella celebre formula stereotipata applicata alla terra promessa, "terra ove scorre latte e miele", formula che risuona nell'Antico Testamento almeno una ventina di volte, a partire da Esodo, 3, 8. Il latte è, poi, il segno ovvio del candore: il capo-tribù Giuda, secondo le parole della benedizione del patriarca Giacobbe, ha "i denti bianchi come latte" (Genesi, 49, 12), così come quelli dell'amato del Cantico dei cantici sono "denti bagnati nel latte" (5, 12), mentre la pelle dei giovani di Gerusalemme è "più candida del latte" (Lamentazioni, 4, 7). Questa caratteristica - in un panorama assolato che produce pelli abbronzate - è un indizio di bellezza e di originalità. Il latte è anche evocazione di dolcezza, come si dice riguardo alle parole e ai baci della donna del Cantico, che ha "miele e latte sotto la sua bocca" (4, 11) e il suo amato baciandola dichiara di "suggerne il latte" (5, 1).
Il latte diventa, poi, simbolo dell'era messianica quando l'umanità sarà invitata ad accorrere a dissetarsi con acqua, vino e latte "senza spesa", in un dono che ha al centro i prodotti tipici dell'area mediterranea (Isaia, 55, 1). E alla fine, ecco apparire, solenne e matronale, la personificazione di Gerusalemme come "metro-poli", la città-madre che ha il seno turgido e generoso: "Voi succhierete al suo petto, succhierete deliziandovi all'abbondanza del suo seno" (Isaia, 66, 11). Il latte è, quindi, una componente dell'esistenza che viene assurto a simbolo di benessere, di bellezza, di amore, di speranza e di pienezza. Ed è su questa scia che il latte si affaccia con un suo rivolo anche nel Nuovo Testamento, riproponendosi secondo nuovi profili metaforici.
Abbiamo fatto notare che nel suo grido esclamativo rivolto a Gesù la donna non aveva usato il termine greco gàla, "latte". Questo vocabolo, però, echeggia cinque volte nel Nuovo Testamento e, curiosamente, è solo in un caso che conserva il suo valore di base, realistico e fisiologico. È, infatti, soltanto san Paolo a domandarsi retoricamente: "Chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge?" (1 Corinzi, 9, 7). Ma in quella stessa lettera indirizzata ai cristiani di Corinto si assiste subito a un trapasso allegorico, sorprendentemente negativo, sulla base di un'applicazione metaforica che era nota anche al filosofo giudaico Filone di Alessandria e a Epitteto. Il latte diventa, dunque, il cibo degli immaturi, di coloro che sono ancora "carnali", incapaci di un alimento più ricco e raffinato, proprio come accade ai Corinzi "neonati" nella fede e imperfetti nella loro vita spirituale: "Vi ho dato da bere latte - osserva l'Apostolo - non un nutrimento solido perché non ne eravate capaci" (3, 1-2).
Analoga è l'applicazione che ritroviamo in quella grandiosa omelia o trattato teologico che è la Lettera agli Ebrei ove l'autore si rivolge ai suoi interlocutori con queste parole esplicite: "Siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido: chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido è, infatti, per gli uomini maturi" (5, 12-14). Siamo, quindi, in presenza di un'inversione di tendenza, destinata a trasformare questo cibo in un'immagine di limite, di imperfezione, di "infantilismo". Tuttavia, proprio sulla stessa base simbolica, san Pietro, nella sua prima lettera, ribalterà il significato e, introducendo il tema della nascita battesimale come evento capitale nell'esperienza cristiana, inviterà i neo-battezzati, "come bambini appena nati, a bramare il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza" (2, 2). Le dottrine dei misteri e della gnosi pagana esaltavano il cibo "pneumatico", ossia spirituale, di cui i loro adepti si nutrivano; Pietro, in contrappunto, celebra invece il latte della parola di Cristo e della salvezza che è offerta ai battezzati: per lui è questo il vero cibo spirituale.
È in questa luce che l'antica arte cristiana catacombale - ad esempio, la cappella di San Pietro nella catacomba romana ad duas lauros, nella ii metà del iii secolo - e quella dei sarcofagi hanno raffigurato Cristo buon pastore che regge tra le mani o depone ai suoi piedi una coppa di latte, destinata al gregge dei fedeli. Ormai il latte si era trasfigurato in un emblema della beatitudine perfetta della vita eterna riservata al cristiano. È a questo punto che ha avvio la successiva tradizione cristiana che, però, abbandonerà la simbologia biblica finora delineata e punterà verso l'immagine centrale della Natività di Cristo, evocata indirettamente dalle parole di quella donna. Si apre, così, un itinerario simbolico e storico che non è nostra intenzione ora percorrere, ma che è già stato perlustrato soprattutto nel suo profilo iconografico.
Certo, una madre che allatta il suo piccolo è un'immagine che appartiene a tutte le culture, soprattutto come simbolo di fecondità. Non per nulla il latte è associato spesso alla luna e alla sua luce "lattiginosa", ma anche alla sua capacità notturna di fertilità. La cosmogonia hindù suppone che la creazione avvenga attraverso la solidificazione - con la zangola cosmica del dio creatore - del mare di latte primordiale. Subentreranno, poi, altre accezioni nella tradizione occidentale: si pensi solo all'iconografia delle due madri antitetiche, quella buona e giusta che allatta creature sante e quella perversa che allatta serpi velenose. Oppure alle curiose raffigurazioni su cui san Bernardo da Chiaravalle riceve da Maria il latte - come, nella mitologia, Eracle da Era - per evocare un segno di adozione filiale da parte della Madre del Signore e forse anche per succhiare un nutrimento di immortalità.
L'elemento radicale e generativo rimane, comunque, il "latte di Maria", espressione di una "sacralità umanizzata" e di un'umanità santificata. Non bisogna ignorare, infatti, che in particolare nell'arte della miniatura (i Libri d'Ore) non si aveva nessun imbarazzo nel rappresentare Maria in evidente stato di gravidanza: talora Elisabetta, anch'essa incinta del Battista, non esitava a toccare il ventre di Maria durante la celebre scena della Visitazione, quasi per sentire i movimenti del piccolo Gesù in gestazione, mentre una sorta di fumetto citava le parole del Vangelo di Luca: "Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!" (1, 42). La Chiesa etiopica usa ancor oggi nella liturgia un genere di inni detto malkee (effigie) nel quale si esaltano le parti del corpo di Maria, arrivando a descrivere fino a cinquantadue organi e benedicendo soprattutto il seno che ha allattato e il grembo che ha generato il Signore.

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A Betlemme, a destra di chi ammira il grandioso complesso della Basilica della Natività e gli annessi conventi greco e armeno, si apre una via che in inglese ha un nome significativo, Milk Grotto Road. Essa ha sul suo lato destro una chiesa francescana recentemente riedificata secondo un nuovo progetto disegnato dall'architetto e artista francescano Costantino Ruggeri, scomparso nel giugno 2007. Essa è unita a una grotta in tufo bianco, denominata appunto "la Grotta del latte". Secondo un'antica leggenda la madre di Gesù si sarebbe qui rifugiata durante la ricerca dei bambini betlemiti da parte di Erode e, mentre allattava il piccolo Gesù, qualche goccia del suo latte cadde sulla pietra imbiancandola tutta. La grotta attuale - che all'epoca dei crociati aveva accanto un convento latino che era considerato come fondato da Paola, la discepola di san Girolamo - è stata ed è ancor oggi meta di pellegrinaggi di madri anche musulmane che implorano da Maria l'abbondanza del latte per nutrire i neonati. Le stesse reliquie del latte di Maria, diffuse in Italia, Francia e Spagna, nascevano probabilmente dalla devozione di pellegrini in Terrasanta che portavano in Europa questa tradizione e forse qualche frammento di quel tufo biancastro. Dal VII secolo si diffuse poi la tradizione che proprio nella grotta del latte fossero stati sepolti i santi Innocenti, assassinati da Erode.
Certo è che il canto alla figura di Maria che allatta il Salvatore, versando latte su quelle labbra che poi riceveranno fiele sulla croce, come esclama Romano il Melode (VI secolo), si diffonderà nei primi secoli cristiani, nella convinzione che quelle "mammelle hanno nutrito col loro latte Dio", come dirà nell'VIII secolo Giovanni Damasceno. Clemente Alessandrino nel suo Pedagogo (I, 6) nel II secolo stabilirà già un parallelo tra la Vergine Madre che allatta Gesù e la Chiesa che allatta e nutre i fedeli con "santo latte" della parola e del corpo di Cristo. E questo filo poetico e spirituale procederà nei secoli patristici con intensità e passione, come testimonia ad esempio un discorso del V secolo di Fausto, vescovo di Riez in Gallia, che vogliamo idealmente porre a suggello di questa nostra breve analisi tematica: "O Maria, allatta il tuo Creatore! Allatta il pane del cielo, il riscatto del mondo: offri la mammella a lui che la succhia (...) Il piccolo bambino si nutra con il latte del tuo seno".

Fonte: L'Osservatore Romano, 1.1.2009, p. 4

Holuxar
11-10-18, 23:16
11 OTTOBRE 2018: FESTA DELLA MATERNITÀ DELLA B. V. MARIA…



«11 OTTOBRE MATERNITÀ DELLA B. V. MARIA.»
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 11 ottobre. Maternità della Beata Vergine Maria (http://www.unavoce-ve.it/pg-11ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-11ott.htm




Maternità di B. V. Maria - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/maternita-b-v-maria/)
http://www.sodalitium.biz/maternita-b-v-maria/
«11 ottobre, Maternità di B. V. Maria. Maria “Madre di Dio” è un dogma definito dal Concilio di Efeso nel 431.
“Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata “cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante” come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua divozione alla Madonna, scrisse l’Enciclica Lux veritatis, restaurò la basilica di S. Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che “avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la divozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli, Maria e la sacra Famiglia di Nazareth”, affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l’educazione della gioventù” (dom Prosper Guéranger).»
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Pellegrinaggio a Lourdes (28 - 30 settembre 2018) - Fotogallery - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/pellegrinaggio-lourdes-28-30-settembre-2018-fotogallery/)
http://www.sodalitium.biz/pellegrinaggio-lourdes-28-30-settembre-2018-fotogallery/
“Foto del pellegrinaggio a Lourdes, 28-29-30 settembre 2018.
Ne approfittiamo per augurare a tutti un santo mese d’ottobre pieno di fervore nella vera devozione a Maria, l’Immacolata Concezione.
Recitiamo il Rosario.
«Questo modo di pregare ha il profumo della semplicità evangelica e richiede l’umiltà dello spirito; sprezzata la quale, come il divin Redentore insegna, ci è impossibile l’acquisto del regno celeste» (Pio XI, Ingravescentibus Malis).
SEMPLICITÀ E UMILTÀ.”

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http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio – Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11)”




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»







Tradidi quod et accepi (http://tradidiaccepi.blogspot.com/)
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«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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«FESTA DELLA DIVINA MATERNITÀ DI NOSTRA SIGNORA BEATA VERGINE MARIA SANTISSIMA.
Come la natura umana in Gesù Cristo è stata elevata ad un'altezza infinita, così in Maria Santissima, Madre di Dio, la persona umana è elevata fino ai confini della divinità, "ad fines divinitatis propria operatione attigit" (Gaetano, in 2.2 q. 103, a. 4. ad. 2) ... La dignità di Madre di Dio, dice il Suarez, è di un ordine superiore a qualsiasi altra creata dignità, o che possa crearsi, appartenendo questa dignità in certo modo all'ordine dell'unione ipostatica con una divina Persona, al quale ordine essa è necessariamente congiunta ... Da questa maternità Maria acquista una certa affinità colle tre Persone della Santissima Trinità, "propinquitatem", come dice san Tommaso. Dopo la unione ipsotatica questa è la più stretta che sia possibile, di modo che nessuna altra creatura più si avvicina a Dio.
(Gennaro Bucceroni SJ, La Beata Vergine Maria. Considerazioni sopra i misteri della sua vita, Roma, 1913, pp. 139-140)
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“FESTA DELLA DIVINA MATERNITÀ DI NOSTRA SIGNORA BEATA VERGINE MARIA SANTISSIMA.
Doppio di II classe.
Paramenti bianchi.
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 11 ottobre. Maternità della Beata Vergine Maria (http://www.unavoce-ve.it/pg-11ott.htm)
Nell'anno 1931, con plauso di tutto il mondo cattolico, si celebrarono le feste solenni del XV centenario da quando nel Concilio di Efeso, contro l'eresia di Nestorio, sotto la presidenza di san Cirillo Patriarca di Alessandria e Legato di Papa san Celestino I, fu proclamato dai padri conciliari esservi in Gesù Cristo un’unica Persona, quella divina, ed essere la Beata Vergine Maria vera, da cui è nato Gesù, Madre di Dio, in greco Θεοτόκος (Theotókos).
Il sommo pontefice Pio XI volle, a testimonianza imperitura della sua pietà, che di tale fatto restasse perenne memoria. Pertanto curò con sua munificenza che l'insigne monumento della proclamazione efesina che già esisteva nell'urbe, cioè l'arco trionfale della basilica di santa Maria Maggiore sull'Esquilino, ornato dal suo predecessore Sisto III con meraviglioso mosaico, guastato dal tempo, fosse restaurato insieme con l'ala trasversale della basilica. Descritti poi con la Lettera Enciclica "Lux Veritatis" i lineamenti genuini del concilio ecumenico efesino, spiegò piamente e ampiamente il privilegio ineffabile della divina maternità della beata vergine Maria, affinché la dottrina di un mistero così grande s'imprimesse profondamente nell'anima dei fedeli. Inoltre propose la benedetta fra tutte le donne, Maria madre di Dio e la famiglia di Nazaret quale unico nobilissimo esempio da imitare sia per la dignità e santità del casto matrimonio, sia per la educazione santa da darsi alla gioventù. Infine, affinché non mancasse neppure il ricordo liturgico, ordinò che la festa della Divina Maternità della Beata Vergine Maria, con messa e ufficio proprio, fosse celebrata ogni anno con rito di seconda classe il giorno 11 ottobre.
Testo completo della Lettera Enciclica "Lux Veritatis":
Lux Veritatis (25 dicembre 1931) | PIO XI (http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19311225_lux-veritatis.html)
• Sermone di san Leone papa.
Sermone 1 sulla Natività del Signore.
È scelta una vergine regale, appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio, prima con la mente che col corpo. E perché, ignara del consiglio superno, non si spaventi per una inaspettata gravidanza, apprende dal colloquio con l'angelo quel che lo Spirito Santo deve operare in lei. Ella non crede che sia offesa al pudore il diventare quanto prima genitrice di Dio. Colei a cui è promessa la fecondità per opera dell'Altissimo, come potrebbe dubitare del nuovo modo di concepire? La sua fede, già perfetta, è rafforzata con l'attestazione di un precedente miracolo: una insperata fecondità è data a Elisabetta, perché non si dubiti che darà figliolanza alla Vergine chi già ha concesso alla sterile di poter concepire. Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che «era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta», per liberare l'uomo dalla morte eterna si è fatto uomo.
Sermone 2 sulla Natività del Signore.
Gesù Cristo, Signore nostro, fa il suo ingresso nella bassa condizione di questo mondo: discende dalla sede celeste senza, però, allontanarsi dalla gloria del Padre: è generato in un nuovo stato e con novità nella nascita. È nuovo il suo stato, perché, pur rimanendo invisibile nella sua natura è diventato visibile nella natura nostra. Egli che è l'immenso, ha voluto essere racchiuso nello spazio: pur restando nella sua eternità ha voluto incominciare a esistere nel tempo. Inoltre è stato generato con novità nella nascita, perché è stato concepito dalla Vergine ed è nato dalla Vergine senza l'intervento di padre terreno e senza la violazione della integrità della madre. A chi doveva essere il Salvatore degli uomini era conveniente una tale nascita, perché avesse in sé la natura umana e non conoscesse la contaminazione della umana carne. Dunque la sua origine è diversa dalla nostra, ma la sua natura è uguale alla nostra. Il fatto che la Vergine abbia concepito, che la Vergine abbia partorito e poi sia rimasta ancora vergine, certamente è estraneo alla comune esperienza umana, poiché è fondato sulla divina potenza.
Era necessario che l'integrità di chi nasceva conservasse la nativa verginità della madre, e che l'adombramento della virtù dello Spirito Santo custodisse il sacro recinto del pudore e la sede della santità. Gesù, difatti, aveva stabilito di rialzare la creatura che era precipitata in basso, di rafforzare la creatura conculcata e di donare e accrescere la virtù della castità per cui potesse essere vinta la concupiscenza della carne. Dio ha voluto in tal maniera che la verginità, necessariamente violata nella generazione degli altri uomini, fosse imitabile negli altri con la rinascita spirituale. Il fatto stesso che Cristo abbia scelto di nascere da una vergine, non mostra forse che era mosso da un motivo altissimo? Egli voleva che il diavolo ignorasse la nascita del Salvatore del genere umano; così ignaro dello spirituale concepimento, il maligno non avrebbe pensato a una nascita diversa da quella degli altri uomini, perché lo vedeva non differente dagli altri. Perché questo disegno si attuasse, Cristo, senza intervento di uomo, è stato concepito dalla Vergine, fecondata non dalla unione carnale, ma dallo Spirito Santo. Le madri tutte non concepiscono senza la macchia del peccato; al contrario essa fu purificata dal fatto che concepì.
SANTA MESSA
- Al Vangelo.
• Omelia di san Bernardo abate.
Omelia 1 sulla Lode della Vergine e Madre.
Maria chiamò «figlio» Iddio che è Signore degli angeli. Ella dice: «Figlio, perché ti sei comportato in questo modo?». Quale angelo oserebbe parlare così? Per gli angeli è già molto essere stati fatti e nominati angeli per dono, mentre erano soltanto spiriti per natura. Così dice David: «Egli trasforma gli spiriti in suoi angeli». Maria invece ha la coscienza di esser madre e perciò con molta tranquillità chiama «figlio» quel Dio che gli angeli servono con grande rispetto. Dio stesso non rifiuta di esser chiamato ciò che non rifiutò di diventare. Poco dopo l'evangelista soggiunge: «Era sottomesso a loro». Chi? A chi? Dio, a uomini; ripeto: Dio al quale sono sottomessi gli angeli, al quale obbediscono principati e potestà, lui era sottomesso a Maria.
Ammira tutte e due le cose e scegli quel che ti sembra più ammirabile: la benignissima condiscendenza del Figlio, o la gloriosissima dignità della Madre. Da ogni parte stupore, da ogni parte miracolo: che un Dio obbedisca a una donna, è umiltà senza esempio; e che una donna comandi a un Dio, è una sublimità senza pari. Uomo, impara ad obbedire; terra, impara a sottostare; polvere, impara a sottometterti. L'Evangelista, parlando del tuo Creatore, dice: «Ed era loro sottomesso»; cioè senza dubbio a Maria e a Giuseppe. Vergognati, cenere orgogliosa! Un Dio si abbassa, e tu ti esalti? Un Dio si assoggetta agli uomini e, tu, cercando di dominare gli uomini, ti metti al di sopra del tuo Creatore?
Te felice, o Maria, cui non mancò né l'umiltà né la verginità. Verginità davvero singolare quella che non fu macchiata ma anzi fu onorata dalla fecondità. E ancor più singolare umiltà che non fu tolta, ma anzi sublimata dalla feconda verginità. Incomparabile fecondità che s'accompagna alla verginità e all'umiltà. Che cosa trovi in esse che non sia degno di ammirazione? A che cosa puoi paragonarle? Che cosa in esse non è singolare? Sarebbe davvero strano che tu non ti trovassi imbarazzato nel decidere, dopo aver a lungo riflettuto, se è più degna della tua ammirazione la meravigliosa fecondità nella Vergine, o l'integrità nella Madre; la nobiltà nel generare o l'umiltà in un onore così alto. Senza alcun dubbio alle singole virtù occorre preferire l'insieme di esse, ed è, senza confronto, molto meglio averle colte tutte insieme piuttosto che alcune separatamente. Ma c'è forse da meravigliarsi se Dio, che si manifesta e si riconosce mirabile nei suoi santi, più stupendamente si sia manifestato in sua madre? Venerate, dunque, o sposi, l'integrità della carne in un corpo corruttibile; e voi, o vergini sacre, la fecondità nella Vergine. E voi tutti, imitate l'umiltà della Madre di Dio."
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«11 ottobre 2018: MATERNITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA
Il titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua ragion d'essere, il motivo di tutti i suoi privilegi e delle sue grazie. Per noi il titolo racchiude tutto il mistero della Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia sorgente per Maria di lodi e per noi di gioia. Sant'Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una prova sicura della nostra fede.
La Chiesa quindi non celebra alcuna festa della Vergine Maria senza lodarla per questo privilegio. E così saluta la beata madre di Dio nell'Immacolato Concepimento, nella Natività, nell'Assunzione e noi nella recita frequentissima dell'Ave Maria facciamo altrettanto.
L'eresia nestoriana.
"Theotókos", Madre di Dio, è il nome con cui nei secoli è stata designata Maria Santissima. Fare la storia del dogma della maternità divina sarebbe fare la storia di tutto il cristianesimo, perché il nome era entrato così profondamente nel cuore dei fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato.
Era allora vescovo di Alessandria san Cirillo, l'uomo suscitato da Dio per difendere l'onore della Madre del suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: "Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la fede che ci hanno trasmesso gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri".
Il Concilio di Efeso.
Nestorio non cambiò pensiero e l'imperatore convocò un concilio, che si aprì ad Efeso il 24 giugno 431 sotto la presidenza di san Cirillo, legato del papa Celestino. Erano presenti 200 vescovi i quali proclamarono che "la persona di Cristo è una e divina e che la Santissima Vergine deve essere riconosciuta e venerata da tutti quale vera Madre di Dio". I cristiani di Efeso intonarono canti di trionfo, illuminarono la città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i vescovi "venuti - gridavano essi - per restituirci la Madre di Dio e ratificare con la loro santa autorità ciò che era scritto in tutti i cuori".
Gli sforzi di Satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un magnifico trionfo alla Madonna e, se vogliamo credere alla tradizione, i Padri del Concilio, per perpetuare il ricordo dell'avvenimento, aggiunsero all'Ave Maria le parole: "Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte". Milioni di persone recitano ogni giorno questa preghiera e riconoscono a Maria la gloria di Madre di Dio, che un eretico aveva preteso negare.
La festa dell'undici ottobre.
Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata "cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante" come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua divozione alla Madonna, scrisse l'Enciclica Lux veritatis, restaurò la basilica di S. Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che "avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la divozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli, Maria e la sacra Famiglia di Nazareth", affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l'educazione della gioventù.
Che cosa implichi per Maria la dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle feste del primo gennaio e del 25 marzo, ma l'argomento è inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.
Maria sterminio delle eresie.
"Godi, o Vergine, perché da sola hai sterminato nel mondo intero le eresie". L'antifona della Liturgia insegna che il dogma della maternità divina è sostegno e difesa di tutto il cristianesimo. Confessare la maternità divina è confessare la natura divina e l'umanità del Verbo Incarnato in unità di persona ed è altresì affermare la distinzione delle persone in Dio nell'unità di natura ed è ancora riconoscere tutto l'ordine soprannaturale della grazia e della gloria.
Maria vera Madre di Dio.
Riconoscere che Maria è vera Madre di Dio è cosa facile. "Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Pio XI nell'Enciclica Lux veritatis, colei che l'ha generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la persona di Gesù Cristo è una e divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l'anima umana, così Maria ha acquistato la maternità divina per aver generato l'unica persona del Figlio suo".
Conseguenze della maternità divina.
"Derivano di qui, come da sorgente misteriosa e viva, la speciale grazia di Maria e la sua suprema dignità davanti a Dio. La beata Vergine ha una dignità quasi infinita, che proviene dal bene infinito, che è Dio, dice san Tommaso. E Cornelio a Lapide spiega le parole di san Tommaso così: Maria è la Madre di Dio, supera in eccellenza tutti gli Angeli, i Serafini, i Cherubini. È la Madre di Dio ed è dunque la più pura e più santa di tutte le creature e, dopo quella di Dio, non è possibile pensare purezza più grande. È Madre di Dio, sicché, se i santi ottennero qualche privilegio (nell'ordine della grazia santificante) Maria ebbe il suo prima di tutti".
Dignità di Maria.
Il privilegio della maternità divina pone Maria in una relazione troppo speciale ed intima con Dio, perché possano esserle paragonate dignità create di qualsiasi genere, la pone in un rapporto immediato con l'unione ipostatica e la introduce in relazioni intime e personali con le tre persone della Santissima Trinità.
Maria e Gesù.
La maternità divina unisce Maria con il Figlio con un legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha generato il Figlio, l'Uomo-Dio, con la sua stessa sostanza e Gesù è premio della sua verginità e appartiene a Maria per la generazione e per la nascita nel tempo, per l'allattamento col quale lo nutrì, per l'educazione che gli diede, per l'autorità materna esercitata su di lui.
Maria e il Padre.
La maternità divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell'eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità. "Se il Padre ci manifestò un'affezione così sincera, dandoci suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l'amore che aveva per te, o Maria, gli fece concepire ben altri disegni a tuo riguardo e ha stabilito che Gesù fosse tuo come è suo e, per realizzare con te una società eterna, volle che tu fossi la Madre del suo unico Figlio e volle essere il Padre del tuo Figlio" (Discorso sopra la devozione alla Santa Vergine).
Maria e lo Spirito Santo.
La maternità divina unisce Maria allo Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo ha concepito il Verbo nel suo seno. In questo senso Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Enc. Divinum munus, 9 maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il santuario privilegiato, per le inaudite meraviglie che ha operate in lei.
"Se Dio è con tutti i Santi, afferma san Bernardo, è con Maria in modo tutto speciale, perché tra Dio e Maria l'accordo è così totale che Dio non solo si è unita la sua volontà, ma la sua carne e con la sua sostanza e quella della Vergine ha fatto un solo Cristo, e Cristo se non deriva come egli è, né tutto intero da Dio, né tutto intero da Maria, è tuttavia tutto intero Dio e tutto intero di Maria, perché non ci sono due figli, ma c'è un solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L'Angelo dice: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. È con te non solo il Signore Figlio, che rivestisti della tua carne, ma il Signore Spirito Santo dal quale concepisti e il Signore Padre, che ha generato colui che tu concepisti. È con te il Padre che fa sì che suo Figlio sia tuo Figlio; è con te il Figlio, che, per realizzare l'adorabile mistero, apre il tuo seno miracolosamente e rispetta il sigillo della tua verginità; è con te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio santifica il tuo seno. Sì, il Signore è con te" (3a Omelia super Missus est).
MESSA
EPISTOLA (Eccli 24,23-31). - Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori danno frutti di gioia e di ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della via e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso, e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.
A buon diritto la Chiesa anche qui applica alla Madonna un testo che è stato scritto con riferimento al Messia. Non è Maria la vera vigna, che ci ha data l'uva generosa, che riceviamo tutti i giorni nell'Eucaristia? Vi è gloria paragonabile a quella di Maria, che, essendo vergine, è divenuta Madre di Dio, senza perdere la verginità? La Chiesa la canta con gioia Madre del bell'amore e ci invita ad accostarci a lei con confidenza, perché in Maria si incontra ogni speranza della vita e della virtù e chi l'ascolta non sarà mai confuso.
VANGELO (Lc 2,43-51). - In quel tempo: Al ritorno il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, ma i suoi genitori non se ne accorsero. Supponendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme in cerca di lui. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto fra i dottori ad ascoltarli ed interrogarli, mentre gli uditori stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vedendolo, ne furono meravigliati. E sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Vedi, tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te. Egli rispose loro: E perché cercarmi? non sapevate che mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre? Ma essi non compresero quanto aveva loro detto. Poi se ne andò con loro e tornò a Nazaret, e stava loro sottomesso.
L'amore di Gesù per la Madre.
"Se fosse permesso spingere tanto innanzi l'analisi del suo sviluppo umano, si direbbe che in Gesù, come in altri, vi fu qualcosa dell'influenza della Madre sua. La grazia, la finezza squisita, la dolcezza indulgente appartengono solo a Lui, ma proprio per tali cose si distinguono coloro, che spesso hanno sentito il cuore come addolcito dalla tenerezza materna e lo spirito ingentilito, per la conversazione con la donna venerata e amata teneramente, che si compiaceva iniziarli alle sfumature più delicate della vita. Gesù fu davvero, come lo chiamavano i concittadini, il 'figlio di Maria'.
Egli tanto ha ricevuto da Maria, perché l'amò infinitamente. Come Dio, la scelse e le donò prerogative uniche di verginità, di purezza immacolata, e nello stesso tempo la grazia della maternità divina; come uomo, l'amò tanto fedelmente che sulla croce, in mezzo alle spaventevoli sofferenze, l'ultimo pensiero fu per lei: Donna, ecco tuo figlio. Ecco tua Madre.
Ma il doppio amore gli fece scegliere per la madre una parte degnissima di lei. Il profeta aveva preannunziato lui come il servo di Jahvé e la Madre fu la Serva del Signore nell'oblio di sé, nella devozione e nel perfetto distacco: 'vi è più gioia nel dare che nel ricevere'. Cristo, che aveva preso per sé questa gioia, la diede alla Madre e Maria comprese così bene questo dono che nei ricordi d'infanzia segnò con attenzione particolare i rapporti che a un lettore superficiale sembrano duri: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?' E più tardi: 'Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?... ' Gesù vuole insegnarci il distacco che da noi esige e darcene l'esempio" (Lebreton, La Vie e l'enseignement de J. C. N. S., p. 62).
Maria nostra Madre.
Salutandoti oggi col bel titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che "avendo dato la vita al Redentore del genere umano, sei per questo fatto stesso divenuta Madre nostra tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio suo, Dio ti ha inculcato sentimenti del tutto materni, che respirano solo amore e perdono" (Pio XI Enc. Lux veritatis).
"O Vergine tutta santa, è per i tuoi figli cosa dolce dire di te tutto ciò che è glorioso, tutto ciò che è grande, ma ciò facendo dicono solo il vero e non riescono a dire tutto quello che tu meriti" (Basilio di Seleucia, Omelia 39, n. 6, PG 85, 452). "Tu sei infatti la meraviglia delle meraviglie e di quanto esiste o potrà esistere, Dio eccettuato, niente è più bello di te" (Isidoro di Tessalonica, Discorso per la Presentazione di Maria, PG 189, 69).
Dalla gloria del cielo ove sei, ricordati di noi, che ti preghiamo con tanta gioia e confidenza. "L'Onnipotente è con te e tu sei onnipotente con Lui, onnipotente per Lui, onnipotente dopo di Lui", come dice san Bonaventura. Tu puoi presentarti a Dio non tanto per pregare quanto per comandare, tu sai che Dio esaudisce infallibilmente i tuoi desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma tu sei divenuta Madre di Dio per causa nostra e "non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a te sia stato abbandonato. Animati da questa confidenza, o Vergine delle vergini, o nostra Madre, veniamo a te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci prostriamo ai tuoi piedi. Madre del Verbo incarnato, non disprezzare le nostre preghiere, degnati di esaudirle" (san Bernardo).
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1170-1176.»
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«L'11 ottobre 1954 con l'Enciclica "Ad coeli reginam" Papa Pio XII insegna la Regalità universale di Maria Santissima.»
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“L'11 ottobre 1303 muore Papa Bonifacio VIII Caetani, gloria e difensore del Pontificato Romano.”
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«L'11 ottobre 1946 Monsignor Alojzije Viktor Stepinac viene condannato a sedici anni di lavori forzati da un tribunale titino: "A tutte le accuse che mi sono state mosse rispondo che la mia coscienza è tranquilla. Non intendo difendermi ora, né ricorrere in appello contro la sentenza. Nessuno è tanto ingenuo da non capire che dietro all'accusato Stepinac siede, sul banco degli imputati l'arcivescovo di Zagabria, il metropolita della Croazia, il rappresentante della Chiesa cattolica in Jugoslavia! Sono pronto a morire per la mia fede, per la Chiesa". Pio XII lo creerà Cardinale nel 1953, ma non potrà recarsi a Roma per ricevere la porpora e il titolo. »
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«L'11 ottobre 1962 si apriva il Concilio Vaticano II, "il 1789 della Chiesa".
Il concilio di Trento attuò nella Chiesa la sua “controriforma” risollevandola dalla tempesta: e furono i Santi, ad incominciare da San Carlo Borromeo a realizzare tale trasformazione, applicando le direttive, le disposizioni del Concilio, esponendo fedelmente la dottrina. Il Concilio Vaticano II, invece, ha portato finora nella Chiesa soltanto confusione dottrinale, disgregazione disciplinare, sfaldamento in tutti i campi. E i propugnatori di questo Concilio sono non i Santi, i fedeli del popolo ancora sanamente cattolico, ma i contestatori, i “teologi” ribelli, quanti avevano sognato la continuazione della baraonda chiassosa e piazzaiola del periodo conciliare, con l’uso della stampa “laicista”, dalle tinte funeste: ex-preti, ex-religiosi, sacerdoti ribelli, insofferenti ad ogni disciplina ... comunità di base “e simile lordura” (Inf. XI, 60).
(Mons. Francesco Spadafora, La Tradizione contro il Concilio, Roma, 1989, p. 163).»
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"Domani, 12 ottobre, si celebra la Festa del Pilar di Saragozza. Luogo miracolosissimo dove avvenne la prima apparizione mariana della storia (addirittura prima dell’Assunzione).

Himno de la Virgen del Pilar de Zaragoza:
Virgen Santa - Madre mía
luz hermosa - claro día
que la tierra - aragonesa
te dignaste visitar.
Este pueblo que te adora,
de tu amor favor implora
y te aclama y te bendice
abrazado a tu Pilar.
Pilar sagrado, faro esplendente,
rico presente de caridad.
Pilar bendito, trono de gloria,
tú a la victoria nos llevarás.
Cantad, cantad
himnos de honor y de alabanza
a la Virgen del Pilar."
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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
"11 ottobre 1954. Il popolo cristiano ha sempre creduto a ragione, anche nei secoli passati, che colei, dalla quale nacque il Figlio dell'Altissimo, che "regnerà eternamente nella casa di Giacobbe" (Lc 1,32), (sarà) "Principe della pace" (Is 9,6), "Re dei re e Signore dei signori" (Ap 19,16), al di sopra di tutte le altre creature di Dio ricevette singolarissimi privilegi di grazia. Considerando poi gli intimi legami che uniscono la madre al figlio, attribuì facilmente alla Madre di Dio una regale preminenza su tutte le cose. Si comprende quindi facilmente come già gli antichi scrittori della chiesa, avvalendosi delle parole dell'arcangelo san Gabriele, che predisse il regno eterno del Figlio di Maria (cf. Lc 1,32-33), e di quelle di Elisabetta, che s'inchinò davanti a lei, chiamandola "madre del mio Signore" (Lc 1,43), abbiano, denominando Maria "madre del Re" e "madre del Signore", voluto significare che dalla regalità del Figlio dovesse derivare alla Madre una certa elevatezza e preminenza. Pertanto sant'Efrem, con fervida ispirazione poetica, così fa parlare Maria: "Il cielo mi sorregga con il suo braccio, perché io sono più onorata di esso. Il cielo, infatti, fu soltanto tuo trono, non tua madre. Ora quanto è più da onorarsi e da venerarsi la madre del Re del suo trono!". Da SS Pio XII, Ad caeli reginam.»
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«10 ottobre 2002. Moriva il Padre Noël Barbara. Uno dei primi coraggiosi Sacerdoti a considerare pubblicamente la Sede vacante a causa dell'eresia modernista di Montini (Paolo VI) e del "Vaticano Secondo". Fra i principali errori/eresie del "Vaticano Secondo" ricordiamo la Libertà religiosa, l'Ecumenismo, la Collegialità, il Relativismo dogmatico, la Storicizzazione del Magistero, l'esegesi Storico-Critica (e surrogati protestanti), il tentativo di distruzione dell'Ordine sacro e della Santa Messa.
Padre Noël Barbara riposi in pace!»
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“Carlo Di Pietro - Sursum Corda
Bergoglio, ottobre 2018: Chi pratica aborto è assassino.
Bergoglio, febbraio 2016: Bonino e Napolitano fra i grandi d'Italia oggi.
Papa San Pio X, settembre 1907: Il modernismo è confusione, è derisione per la Chiesa, è preludio per l'ateismo.”


“San Tommaso d’Aquino: «Una cosa può essere considerata possibile considerata in se stessa, mentre riferita a qualcosa di estrinseco risulta impossibile. Dico dunque che è possibile che il giudizio di coloro che presiedono alla Chiesa possa sbagliare in qualsiasi cosa, se si guarda soltanto alla loro persona. Se però si considera la divina provvidenza che dirige la sua Chiesa con lo Spirito Santo affinché non sbagli, come egli stesso promise [Gv 16,10] che lo Spirito che sarebbe giunto avrebbe insegnato tutta la verità, cioè riguardo alle cose necessarie alla salvezza, è certo che è impossibile che il giudizio della Chiesa universale sbagli nelle cose che appartengono alla fede; per cui bisogna stare più alla sentenza del Papa, al quale compete di determinare riguardo alla fede, che proponesse nel suo giudizio, che non all’opinione di qualsivoglia uomo sapiente nella Scrittura, poiché si legge che Caifa, sebbene di nessun valore, tuttavia in quanto pontefice profetizzò anche senza saperlo [Gv 11,51]. Nelle altre sentenze invece, che riguardano fatti particolari, come quando si tratta di possessioni o di crimini o di cose del genere, è possibile che il giudizio della Chiesa sbagli a motivo di falsi testimoni. Ora, la canonizzazione dei santi è intermedia fra queste due cose: poiché tuttavia l’onore che prestiamo ai santi è una certa professione di fede, mediante la quale crediamo la gloria dei santi, bisogna piamente credere che nemmeno in queste cose il giudizio della Chiesa possa sbagliare. RISPOSTA ALLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Pontefice, a cui compete canonizzare i santi, può certificarsi sullo stato di qualcuno mediante l’esame della vita e l’attestazione dei miracoli, e soprattutto mediante l’istinto dello Spirito Santo, che “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” [1 Cor 2,10]. 2. La divina provvidenza assiste la Chiesa affinché in tali cose non si inganni a motivo della testimonianza fallibile degli uomini». [Cf. Se tutti i santi che sono stati canonizzati dalla Chiesa siano nella gloria, o alcuni di essi siano nell’inferno, «Quodlibetal Questions», VIII, a. 1; Cf. «Quodlibet …», IX, a. 16].”

«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
San Tommaso d'Aquino sta parlando di un altro argomento. Ovvero che il Papa non erra nella canonizzazione. E questa è la sentenza della teologia comune, poi del Pontefice Benedetto XIV. Per conseguenza, quindi la dottrina si deduce e non è necessario esporla in questa sede, quel "Pontefice" che dovesse "canonizzare" un candidato non santo, dimostrerebbe di non essere Papa. Dunque la Chiesa dovrebbe interrogarsi sulla sua autorità con l'inquisizione o con pari misure giuridicamente efficaci.»





Ligue Saint Amédée (http://www.SaintAmedee.ch)
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11 octobre : Saint Nicaise et ses Compagnons, Martyrs :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/11-octobre-saint-nicaise)
“11 octobre : Saint Nicaise et ses Compagnons, Martyrs.”
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11 octobre : Maternité divine de la Sainte Vierge :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/11-octobre-maternite-divine-de-la-sainte-vierge)
“11 octobre : Maternité divine de la Sainte Vierge.”
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AVE MARIA!!!
Regina Sacratissimi Rosarii Ora Pro Nobis!!!
Luca, Sursum Corda - Habemus Ad Dominum!!!