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Visualizza Versione Completa : 18 ottobre - S. Luca, evangelista



Augustinus
18-10-04, 07:08
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=21800):

San Luca, Evangelista

18 ottobre - Festa

Antiochia di Siria - Roma (?) - Primo secolo dopo Cristo

Luca, evangelista e autore degli Atti degli Apostoli, è chiamato "lo scrittore della mansuetudine del Cristo". Paolo lo chiama "caro medico", compagno dei suoi viaggi missionari, confortatore della sua prigionia. Il suo vangelo, che pone in luce l'universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri, offre testimonianze originali come il vangelo dell'infanzia, le parabole della misericordia e annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti. Nel libro degli Atti delinea la figura ideale della Chiesa, perseverante nell'insegnamento degli Apostoli, nella comunione di carità, nella frazione del pane e nelle preghiere. (Mess. Rom.)

Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi

Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino

Emblema: Bue

Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

Martirologio tradizionale (18 ottobre): In Bitinia il natale del beato Luca Evangelista, il quale, dopo aver molto sofferto per il nome di Cristo, morì pieno di Spirito Santo. Le sue ossa furono in seguito portate a Costantinopoli, e di là trasferite a Padova.

(9 maggio): A Costantinopoli la Traslazione dei santi Andrea Apostolo e Luca Evangelista dall'Acaia, e di san Timoteo, uno dei discepoli del beato Paolo Apostolo, da Efeso. I1 corpo di sant'Andrea, dopo molto tempo trasportato in Amalfi, ivi dal pio concorso dei fedeli è onorato, e dal suo sepolcro continuamente scaturisce un liquido, che sana le infermità.

Ma che c’entra Teofilo? E chi lo conosce? Da sempre ci pare un po’ abusivo questo personaggio ignoto, che vediamo riverito e lodato all’inizio del vangelo di Luca e dei suoi Atti degli Apostoli. La risposta si trova nella formazione ellenistica dell’autore. Con la dedica fatta a Teofilo che doveva essere un cristiano eminente egli segue l’uso degli scrittori classici, che appunto erano soliti dedicare le loro opere a personaggi insigni.
Luca, infatti, ha studiato, è medico, e tra gli evangelisti è l’unico non ebreo. Forse viene da Antiochia di Siria (oggi Antakya, in Turchia). Un convertito, un ex pagano, che Paolo di Tarso si associa nell’apostolato, chiamandolo "compagno di lavoro" (Filemone 24) e indicandolo nella Lettera ai Colossesi come "caro medico" (4,14). Il medico segue Paolo dappertutto, anche in prigionia: due volte. E la seconda, mentre in un duro carcere attende il supplizio, Paolo scrive a Timoteo che ormai tutti lo hanno abbandonato. Meno uno. "Solo Luca è con me" (2Timoteo 4,11). E questa è l’ultima notizia certa dell’evangelista.
Luca scrive il suo vangelo per i cristiani venuti dal paganesimo. Non ha mai visto Gesù, e si basa sui testimoni diretti, tra cui probabilmente alcune donne, fra le prime che risposero all’annuncio. C’è un’ampia presenza femminile nel suo vangelo, cominciando naturalmente dalla Madre di Gesù: Luca è attento alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi silenzi. Di Gesù egli sottolinea l’invitta misericordia, e quella forza che uscendo da lui "sanava tutti": Gesù medico universale, chino su tutte le sofferenze. Gesù onnipotente e “mansueto” come lo credeva Dante nelle parole di Luca.
Gli Atti degli Apostoli raccontano il primo espandersi della Chiesa cristiana fuori di Palestina, con i problemi e i traumi di questa universalizzazione. Nella seconda parte è dominante l’attività apostolica di Paolo, dall’Asia all’Europa; e qui Luca si mostra attraente narratore quando descrive il viaggio, la tempesta, il naufragio, le buone accoglienze e le persecuzioni, i tumulti e le dispute, gli arresti, dal porto di Cesarea Marittima fino a Roma e alle sue carceri.
Secondo un’antica leggenda, Luca sarebbe stato anche pittore e, in particolare, autore di numerosi ritratti della Madonna. Altre leggende dicono che, dopo la morte di Paolo, egli sarebbe andato a predicare fuori Roma; e si parla di molti luoghi. Di troppi. In realtà, nulla sappiamo di lui dopo le parole di Paolo a Timoteo dal carcere. Ma il vangelo di Luca continua a essere annunciato insieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni in tutto il mondo. E con esso anche gli Atti degli Apostoli. Nella liturgia della Parola, durante la Messa e in tutte le lingue, Luca continua davvero a predicare; anche ai nostri giorni, incessantemente.

Autore: Domenico Agasso

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Augustinus
18-10-04, 07:15
Sermo 53, in PL 144, 800‑806.

Il mondo, cari fratelli, è passato dalle tenebre alla luce grazie al vangelo. Per questa ragione il popolo cristiano celebra la gloria degli evangelisti e questo discorso sarà dedicato a san Luca, uno di essi. Luca ha tracciato la storia evangelica e apostolica in un duplice stile, l'umano e il divino. Egli ha arricchito di numerosi frutti il campo della Chiesa, perché il popolo possa vivere e il gregge di Cristo trovi rigogliosi pascoli di salvezza. Quali sono la dignità e l'eccellenza di san Luca? Possiamo coglierle chiaramente da questo fatto: Marco fu istruito da Pietro. Come Matteo e Giovanni, egli scrisse un vangelo, dopo aver conosciuto sulla terra la storia del Redentore. Invece Luca è l'unico ad aver scritto un vangelo per cosi dire sceso dal cielo. Lo Spirito Santo, infatti, rivelò a Paolo questo vangelo, e, per sua mediazione, Cristo lo fece conoscere a Luca. Ecco perché Paolo afferma: Voi cercate una prova che Cristo parla in me (2 Cor 13, 3). Dal cielo, Cristo effuse su Paolo i misteri della sua storia, poi li travasò in Luca attraverso un canale d'oro, per cui l'oracolo divino, riferito da Isaia, si addice perfettamente a questo santo: A Sion e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di cose liete (Is 41, 27).

Matteo conobbe il vangelo direttamente dalle labbra del Signore, durante la vita terrena di lui; Luca invece lo ricevette dal cielo. Non dipende dunque dal caso, ma dal magistero dello Spirito Santo se Matteo enumera quaranta generazioni in linea discendente, mentre Luca menziona settantasette generazioni in linea ascendente. La storia della nostra redenzione è cosi ripartita tra i due evangelisti, i quali hanno preso per sé la parte che gli andava bene. Matteo, descrivendo l'albero genealogico in discendenza mostra Cristo che viene dal cielo fino a noi, peccatori. Luca, risalendo dal mistero del battesimo fino al Padre, mostra Cristo che ci lava dalle brutture dei peccati e ci trae con sé nella gloria del cielo. Il primo sottolinea che Cristo scese in terra per misericordia, il secondo proclama che il Signore ci eleva alle realtà celesti. Matteo mostra il pastore che lascia nei pascoli del deserto le novantanove pecore, Luca insegna che Gesù si è caricato sulle spalle la pecora perduta. Il primo attesta che il medico è sceso accanto ai malati, il secondo dimostra che ci ha guariti e ricondotti con sé verso le gioie dei secoli incorruttibili. Matteo mostra il Figlio unigenito mandato a noi dal Padre, Luca insegna che il Figlio ha trasferito nella patria del cielo una folla di eletti.

Il beato apostolo Paolo ha condensato in una frase le intenzioni dei due evangelisti, quando ha detto: Mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato. Dio ha condannato il peccato nella carne (Rm 8, 3). Nel sottolineare la missione del Figlio nella nostra condizione umana e peccatrice, l'Apostolo dimostra che Cristo ha assunto la nostra mortalità, ciò che apertamente dichiara Matteo quando enumera le quaranta generazioni partendo da Abramo. Quando Paolo soggiunge che il Figlio fu mandato per vincere il peccato nell'uomo carnale, indica l'abolizione dei peccati che Luca sicuramente esprime tracciando la genealogia delle settantasette generazioni. Paolo riassume le due formule in un versetto, dicendo che Gesù, nostro Signore e stato messo a morte per i nostri peccati ed e stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4, 25). Cristo, infatti, è disceso per sottrarci al potere del peccato, ed è risuscitato per generare in noi un cuore puro mediante il fulgore della sua giustizia.

La genealogia, sia in Matteo sia in Luca, fa. risaltare un contrasto significativo. Matteo la fa passare per Salomone, la cui madre commise adulterio con Davide. Luca, al contrario, la fa passare per Natan, il cui omonimo profeta fu lo strumento del Signore per far espiare a Davide il suo crimine. Dopo essere caduto, Davide fu infatti rialzato dalla misericordia divina. Matteo ci insegna così che il Figlio di Dio si è chinato umilmente fino a noi, mentre Luca ne proclama l'esaltazione al cielo in una gloria trionfale che ingloba anche noi umani. Cristo è sceso fino agli uomini che giacevano a terra, per elevarli vittoriosi con sé, fino alle stelle. Possiamo scorgere un segno del cielo persino nel nome del nostro evangelista, dato che in ebraico Luca significa "colui che si alza", tradotto in latino come "colui che innalza". Quanto perciò avrebbe scritto sul Salvatore era prefigurato dal suo nome, dal momento che il Redentore, levandosi dai morti, ci ha risuscitati ed elevati fino al cielo.

Le genealogie di Matteo e di Luca non tralasciano che il nostro Redentore è vero re e vero sacerdote. Matteo descrive la sua genealogia regale, mentre Luca ne indica la dignità sacerdotale lungo tutto il percorso del suo libro. Nel raccontare le varie fasi della storia del Signore, Luca tratta più di una volta dell'ufficio sacerdotale e non si scosta mai da quanto riguarda il sacerdozio. Egli parla dell'ufficio assegnato al sacerdote, della sua famiglia, della sua classe, del sacrificio, del tempio, e tra i numerosi elementi che inserisce nella storia sacra, non perde di vista l'intenzione di parlare del sacerdozio. Notate l'inizio della sua narrazione; non dice forse: Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e aveva in moglie una discendente di Aronne (Lc 1, 5)? Poi Luca fa comparire Zaccaria che offre l'incenso davanti all'altare; un po' più in là, conduce la Vergine Maria da Elisabetta, presso la casa di questo sacerdote. Luca e i unico evangelista che ci riferisce i tre cantici che dovevano cantarsi nella liturgia della Chiesa: il primo è quello di Zaccaria, il secondo quello di Maria, il terzo quello di Simeone.

Sempre interessato al tema del sacerdozio, Luca ci e riferisce la presentazione del Signore al tempio, quaranta giorni dopo la sua nascita, accompagnato dalla Madre. Poi ce lo mostra quando a dodici anni è seduto nel tempio in mezzo ai dottori. A tal proposito l'evangelista narra che i genitori di Gesu avevano l'abitudine di salire tutti gli anni a Gerusalemme a pregare per la festa di Pasqua. Ascoltate come termina il vangelo lucano: Essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24, 52‑53). San Luca è rappresentato con il simbolo del bue, secondo l'iconografia descritta in Ezechiele e nell'Apocalisse. Ora, nel tempio, l'offerta abituale era quella di un bue. Questo simbolo connota molto bene Luca, perché egli ara il terreno del nostro cuore con il vomere della sua lingua sacra e lo feconda gettandovi la semenza evangelica che porterà frutti di vita.

Luca ci ha lasciato scritta la documentazione delle fatiche e degli atti degli Apostoli, a cui collaborò di persona. Egli ha scritto pure l'Evangelo, ricevuto dal cielo come un rotolo sigillato contenente un grande tesoro. Sicché la profezia di Isaia può essergli applicata alla perfezione: Per voi ogni visione sarà come la parola di un libro sigillato: si da a uno che sappia leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non posso. perché sigillato (Is 29, 11). Che libro è questo volume sigillato se non il santo vangelo? Esso è circondato da figure misteriose, che superano nettamente la comprensione della mente umana per lontananza di arcane profondità. Si deve certamente trattare del libro di cui parla Giovanni nell'Apocalisse: Vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno. sigillato con sette sigilli (Ap 5, 1). E quali sono i sigilli che chiudono il libro dei Vangeli? Si tratta dei sette misteri del Salvatore che costituiscono l'economia salvifica voluta da Dio: l'incarnazione, la natività, la passione, la risurrezione, l'ascensione al cielo, l'ultimo giudizio e infine il Regno. L'evangelo fu sigillato perché nessuno potesse aprirlo, tranne il Signore, come sta scritto: Ecco, ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide; egli dunque aprirà il libro i suoi sette sigilli (Ap 5, 5).

Negli Atti degli Apostoli, Luca narra una semplice storia. Potremmo dire che egli allatta la tenera infanzia della Chiesa nascente. Notate che Luca è medico, per cui la storia che riferisce è precisamente un farmaco per le anime inferme. Il nostro scrittore racconta in modo molto lineare la vita della Chiesa primitiva e ci invita a seguire direttamente il medesimo percorso. Cerchiamo, perciò, secondo le nostre forze, di vivere come i primi cristiani, affinché la purezza, che scaturisce dalla fonte originaria, si mantenga intatta lungo tutto il percorso ecclesiale sino alla foce. Il vangelo di Luca è infatti uno dei quattro fiumi del paradiso, che irriga con l'abbondanza della sua dottrina l'intero orbe terrestre. Isaia parla delle acque di questo fiume, dicendo: Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua (Is 35, 6). Facciamo ritorno, dilettissimi, all'innocenza della Chiesa primitiva. Impariamo ad abbandonare i nostri beni, a bearci nella semplicità di una povertà regale. Non lasciamoci curvare a terra dal peso dei possedimenti terreni, giacché il Re del cielo ci invita alla gloria della Gerusalemme celeste.

Augustinus
18-10-04, 07:18
Homilia XVII, 3‑7 in Evangelium; in PL 76, 1139‑1142.

Fratelli, voi dovete pregare per noi, i predicatori, perché la nostra opera sia feconda. Pregate che la nostra lingua non si intorpidisca, quando invece ha assunto il ministero della predicazione, e perché il fatto di aver taciuto non ci condanni presso il giusto giudice. Capita spesso che la lingua dei predicatori si inceppi sia a causa dei loro difetti personali sia per colpa dei fedeli. Il proprio peccato può rendere muto il predicatore, secondo la parola del salmista: All'empio dice Dio: "Perché vai ripetendo i miei decreti?" (Sal 49, 16). Ma la voce del predicatore può ugualmente spegnersi per colpa dei fedeli, come il Signore ha detto a Ezechiele: Ti farò aderire la lingua al palato e resterai muto: cosi non sarai più per loro uno che li rimprovera, perché sono una genia di ribelli (Ez 3, 26). Come se Dio chiaramente dicesse: "Ti tolgo la parola per predicare, poiché questo popolo mi esaspera con il suo agire; esso non è degno di venire esortato alla verità".Non è facile perciò sapere per colpa di chi il predicatore perda la possibilità di parlare. Sta di fatto che il silenzio del pastore a volte fa male a lui, ma al popolo nuoce sempre.

Siamo mandati come agnelli tra lupi, perché un'innocenza consapevole ci preservi dal morso della malvagità. Chi assume il compito di predicare, non deve suscitare il male, ma sopportarlo, rimanendone magari ferito. La sua mansuetudine mitigherà il furore di chi lo attacca e guarirà le piaghe dei peccatori. Se talora, per zelo di bene, il predicatore infierisse contro certi fedeli, il suo sdegno nasca da amore, non da crudeltà. Cosi, mentre all'esterno fa valere la disciplina, nell'intimo amerà con affetto paterno quelli che sferza. Sono doveri che il superiore compie bene quando non ama sé stesso per tornaconto personale, non ha nessuna bramosia mondana e non si lascia assoggettare dall'ansia del possesso. Non portate borsa., né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada, ci dice il vangelo. Il predicatore deve avere tanta fiducia in Dio, da non angustiarsi per la gestione della vita presente, nella certezza assoluta che nulla verrà a mancargli. Altrimenti, l'assillo per le cose materiali lo lascerebbe meno libero di procurare agli altri i beni eterni.

In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritome su di voi. La pace offerta dal predicatore rimane nella casa se vi è un figlio di pace; in caso contrario, ritorna al predicatore. Infatti o vi sarà qualcuno predestinato alla vita eterna che, ascoltando la parola divina, la mette in pratica; oppure nessuno avrà voluto ascoltarla. Il predicatore, comunque, non rimane mai senza frutto, perché il Signore ricompensa la fatica del suo lavoro, facendo tornare a lui la pace. Ecco poi che il Signore proibisce di portare borsa o bisaccia, mentre autorizza a vivere con i frutti ricavati dalla predicazione: Restate in quella casa. mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio e degno della sua mercede. Se in una casa la pace è stata accolta, è giusto che il predicatore vi rimanga mangiando e bevendo, perché così riceve un salario terreno in cambio dei beni della patria celeste da lui offerti a chi lo ha ospitato.

Il Signore afferma che l'operaio é degno della sua mercede, intendendo che gli alimenti necessari alla vita sono parte della ricompensa per l'evangelizzazione. Iniziata già fin d'ora, questa ricompensa avrà compimento nel giorno eterno con la visione della verità. Notiamo qui che i nostri atti sono doppiamente retribuiti: sia nel pellegrinaggio terreno, sia nella patria celeste. La prima ricompensa sostiene nella fatica, la seconda ci colmerà alla risurrezione finale. La mercede che riceviamo nella vita presente deve spingerci a tendere con più energia verso la ricompensa futura. Il predicatore autentico non deve parlare per ricevere beni terreni; tuttavia, li accoglie per poter vivere e predicare. Chiunque annunziasse il vangelo per riceverne applausi e onori, comprometterebbe senza dubbio la sua ricompensa eterna. Al contrario, c'è il predicatore che si studia d'attirare l'attenzione con un dire elegante e piacevole, non per autoglorificazione ma allo scopo di far amare Dio; oppure egli accetta un compenso, perché la miseria non spenga la sua voce. Costoro non pongono nessun ostacolo alla ricompensa nella patria celeste, perché durante l'esodo terreno hanno unicamente percepito il necessario.

Augustinus
18-10-04, 07:19
Om. 17, 1-3; PL 76, 1139

Il nostro Signore e Salvatore, fratelli carissimi, ci ammonisce ora con la parola, ora con i fatti. A dire il vero, anche le sue azioni hanno valore di comando, perché mentre silenziosamente compie qualcosa ci fa conoscere quello che dobbiamo fare. Ecco che egli manda a due a due i discepoli a predicare, perché sono due i precetti della carità: l'amore di Dio, cioè, e l'amore del prossimo.
Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare per indicarci tacitamente che non deve assolutamente assumersi il compito di predicare chi non ha la carità verso gli altri.
Giustamente poi è detto che «li inviò avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10, 1). Il Signore infatti segue i suoi predicatori, perché la predicazione giunge prima, e solo allora il Signore viene ad abitare nella nostra anima, quando lo hanno preceduto le parole dell'annunzio, attraverso le quali la verità è accolta nella mente. Per questo dice Isaia ai medesimi predicatori: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3). E il salmista dice loro: «Spianate la strada a chi sale sul tramonto» (Sal 67, 5 volg.). Il Signore salì «sul tramonto» che fu la sua morte.
Effettivamente il Signore salì «sul tramonto» in quanto la sua morte gli servì come alto piedistallo per manifestare maggiormente la sua gloria mediante la risurrezione. Salì «sul tramonto» perché risorgendo calpestò la morte che aveva affrontato.
Noi dunque spianiamo la strada a colui che sale «sul tramonto» quando predichiamo alle vostre menti la sua gloria; perché, venendo poi egli stesso, le illumini con la presenza del suo amore.
Ascoltiamo quello che dice nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi. Di questa scarsità non possiamo parlare senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova assai di rado chi lavora nella messe del Signore. Ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta.
Perciò riflettete attentamente, fratelli carissimi, sulla parola del Signore: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, perché siamo in grado di operare per voi come si conviene; perché la lingua non resti inattiva dall'esortare, e il nostro silenzio non condanni, presso il giusto giudice, noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori.

Augustinus
18-10-05, 12:27
http://www.wga.hu/art/b/blondeel/st_luke.jpg Lanceloot Blondeel, S. Luca dipinge la Vergine, 1545, Groeninge Museum, Bruges

http://www.wga.hu/art/d/donatell/2_mature/sacristy/1sacri11.jpg http://img185.imageshack.us/img185/8734/lukeii5.jpg Donatello, S. Luca, 1428-43, Vecchia Sacrestia, Chiesa di S. Lorenzo, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/ghirland/domenico/6tornab/63tornab/5vault4.jpg Domenico Ghirlandaio, S. Luca, 1486-90, Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/17/1701grec.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.XIR.267230.7055475/29583.JPG El Greco, S. Luca, 1605-10, Cattedrale, Toledo

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/01/0102grec.jpg El Greco, S. Luca dipinge la Vergine, prima del 1567, Benaki Museum, Atene

Augustinus
18-10-05, 12:27
http://www.wga.hu/art/g/guercino/1/st_luke.jpg Guercino, S. Luca dipinge la Vergine, 1652-53, Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City

http://www.wga.hu/art/h/hals/frans/02-1626/22stluke.jpg Frans Hals, S. Luca, 1625 circa, Museum of Western European and Oriental Art, Odessa

http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1450pr/01stluke.jpg Fra Filippo Lippi, S. Luca, 1454 circa, Duomo, Prato

http://www.wga.hu/art/l/lochner/saints.jpg Stefan Lochner, SS. Marco, Barbara e Luca, 1445-50, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

http://www.wga.hu/art/n/nanni/banco/st_luke.jpg Nanni di Banco, S. Luca, 1408-15, Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

http://www.wga.hu/art/p/pontormo/4capponi/3tondo2.jpg Jacopo Pontormo, S. Luca, 1525 circa, Cappella Capponi, Santa Felicità, Firenze

Augustinus
18-10-05, 12:28
http://www.wga.hu/art/w/weyden/rogier/02stluke/1luke.jpg http://img185.imageshack.us/img185/460/lukeul6.jpg Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1435, Museum of Fine Arts, Boston

http://www.wga.hu/art/w/weyden/rogier/02stluke/2luke.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.BAL.087040.7055475/37601.JPG Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, Hermitage, San Pietroburgo

http://www.wga.hu/art/w/weyden/rogier/02stluke/3luke.jpg Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1450 circa, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/w/weyden/rogier/02stluke/4luke.jpg http://img356.imageshack.us/img356/5435/lukeaz4.jpg Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, Groeninge Museum, Bruges

Augustinus
18-10-05, 13:01
S. Marco, evangelista (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=95881)

S. Matteo, apostolo ed evangelista (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=192811)

S. Giovanni, apostolo ed evangelista (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=78675)

S. Pietro, apostolo e martiri (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=108019)

S. Paolo, apostolo e martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=444471)

Commemorazione di S. Paolo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=444783)

Augustinus
18-10-05, 13:06
da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1196-1199

18 OTTOBRE

SAN LUCA, EVANGELISTA

La benignità del Salvatore.

San Paolo, nell'epistola a Tito, ricorda per due volte che è "apparsa sulla terra la benignità e l'umanità di Dio Salvatore". Si direbbe che abbia ripetute spesso quelle parole al discepolo prediletto, san Luca, nelle conversazioni, nei viaggi, nella loro lunga intimità.

Se è cosa difficile stabilire differenze e anche soltanto fare confronti tra i Santi e più ancora fra gli Evangelisti, si può tuttavia notare che il Vangelo di san Luca ci presenta prima di tutto un Salvatore buono e misericordioso. San Luca era uomo di talento, conosceva in modo mirabile il greco, descriveva e dipingeva con garbo scene e paesaggi e aveva un'anima squisita per bontà e dolcezza che dava al talento un'attrattiva straordinaria.

Il medico.

San Luca aveva fatto studi di medicina e san Paolo lo chiama "medico carissimo". Nelle narrazioni di guarigioni operate da Gesù rivela la sua qualità di medico sa dissimulare a perfezione quando qualcosa non giova alla buona fama dei medici, come nel caso dell'emorroissa, mentre gli altri evangelisti indugiano sulla incapacità della scienza umana quasi con compiacenza.

Il ritrattista.

L'abilità di narratore e di pittore gli ha fatto attribuire il ritratto della Vergine Maria, ma il ritratto più bello della Madre del Salvatore egli ce lo dà nel Vangelo e negli Atti e si pensa con ragione che egli abbia conosciuti i dettagli sull'infanzia del Signore da Maria stessa o dai suoi confidenti immediati.

Si può dire ancora che egli fu un pittore eccellente del salvatore Gesù. Nel suo racconto, non solo evitò qualsiasi anche apparente severità per le persone, ma notò pure appena di passaggio le crudeltà delle quali il Salvatore fu vittima durante la Passione. Si fermò invece con compiacenza a descrivere a lungo i primi tempi della vita di Gesù, presentandolo sempre con la Madre e parlando spesso della sua preghiera, della sua misericordia per i peccatori, della sua pazienza verso i nemici. Egli ci ha dato i racconti della donna peccatrice, del buon Samaritano, del figlio prodigo, del buon ladrone, dei discepoli di Emmaus e in tutta la narrazione appare preoccupato ispirarci confidenza nella "benignità e umanità del nostra Salvatore" venuto per salvare "tutti gli uomini". Egli vuole persuaderci che tutte le miserie umane, fisiche e morali, possono essere guarite dal Salvatore del quale l'Apostolo, i primi discepoli e la Vergine stessa gli hanno parlato; vuole che intendiamo come rivolte a noi le parole di tenerezza di Gesù: "Dico a voi, che siete miei amici... Non temete, piccolo gregge... " e, leggendo si comprende che lo sguardo di Gesù durante la Passione non si ferma solo su Pietro, ma sopra ciascuno di noi.

La mortificazione della croce.

Tuttavia san Luca non pecca di omissione. Ci attira al Maestro, ma non esita a dirci che per seguirlo ed essere degni di Lui, bisogna prendere la croce, rinunciare totalmente a se stessi, abbandonare le proprie cose. Siccome questo non si fa senza sacrificio, egli ce lo dice con dolcezza, imitando la melodia gregoriana del Communio del Comune dei martiri, che si fa carezzevole, seducente, per portarci a prendere con Gesù la croce ogni giorno.

Egli pure prese la sua croce e la Chiesa nell'Orazione della Messa lo loda "per aver portato sempre nel suo corpo la mortificazione della croce, per la gloria di Dio". Se la Chiesa usa il colore rosso dei martiri, per onorare colui che fra gli Apostoli e gli Evangelisti solo non versò il sangue per Cristo, bisogna che la sua mortificazione sia stata ben meritoria. Fu essa il suo martirio, martirio non di qualche giorno o di qualche ora, ma di tutta la vita, forse ignoto ai contemporanei, ma noto alla Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo lo glorifica oggi nella Liturgia.

L'insegnamento.

Per noi c'è qui un insegnamento. Come san Luca, possiamo e dobbiamo essere martiri. Col battesimo ci siamo impegnati a preferire la morte al peccato mortale e avviene che noi dobbiamo scegliere tra la morte e il peccato. Bisogna allora scegliere senza esitazione, certi della ricompensa che seguirà alla scelta.

Ma d'ordinario non possiamo scegliere tra morte e peccato, e la coscienza ci impone soltanto di rinunciare al nostro egoismo e ce lo impone tutti i giorni e, siccome tutti i giorni lo sforzo si rinnova, noi qualche volta cediamo, rinunciando all'amicizia o per lo meno all'intimità divina, conservando nel cuore un poco di amor proprio. Se vi rinunciassimo, ci assicureremmo la gloria che riceve san Luca nella sua eternità beata. La sua intercessione e il suo esempio possano aiutarci a camminare sulle sue orme e su quelle del salvatore e della Madre sua dei quali il Vangelo ci presenta una così seducente figura.

VITA. - Luca nacque ad Antiochia da famiglia pagana e si convertì senza dubbio verso l'anno 40. Incontrandolo a Troade, san Paolo lo prese per compagno nel secondo viaggio a Filippi, nel 49. Più tardi Luca si unisce definitivamente all'Apostolo. Dopo la morte di san Paolo, Luca lascia Roma e da allora noi perdiamo le sue tracce e più nulla sappiamo di lui.

Luca è tutto bontà e dolcezza e sfrutta il suo talento letterario, scrivendo il suo Vangelo verso il 60 con lo scopo di attirare i gentili verso la bellezza e la misericordia del Signore. Più tardi scrive gli Atti degli Apostoli. Muore, senza versare il sangue per Cristo, ma la Chiesa l'onora come martire, per la mortificazione e le sofferenze sopportate in vita per la causa del Vangelo.

La mortificazione della croce.

Sii benedetto, o Evangelista dei gentili, per aver posto fine alla lunga notte, che ci teneva prigionieri e soffocava i nostri cuori.. Confidente nella Madre di Dio, l'anima tua risente del profumo verginale di queste relazioni e lo riverbera negli scritti e in tutta la vita. Nell'opera grandiosa in cui l'Apostolo delle genti, troppo spesso abbandonato e tradito, ti trovò ugualmente fedele nel momento del naufragio (At 27) e della prigionia (2Tm 4,11) come nei giorni migliori furono tua parte la tenerezza discreta e la silenziosa devozione. Perciò a buon diritto la Chiesa applica a te le parole che Paolo diceva di se stesso: sempre siamo tribolati, esitanti, perseguitati, abbattuti, portando nel nostro corpo la morte di Gesù, questa morte che manifesta senza fine la vita del Signore nella nostra carne mortale (2Cor 4,8-11). Il figlio dell'uomo, che la tua penna ispirata ci fece amare nel suo Vangelo, tu lo riproduci nella sua santità in te stesso.

Il pittore.

Custodisci in noi il frutto dei tuoi molteplici insegnamenti. Se i pittori cristiani ti onorano, se è bene che imparino da te che l'ideale di ogni bellezza risiede nel Figlio e nella Madre sua, vi è tuttavia un'arte, che sorpassa quella delle linee e dei colori: quella che produce in noi la rassomiglianza divina. In questa noi vogliamo eccellere alla tua scuola, perché sappiamo di san Paolo, il tuo maestro, che la conformità di immagine con il Figlio di Dio è l'unico titolo alla predestinazione degli eletti (Rm 8,29).

Il medico.

Proteggi i medici fedeli, che si onorano di camminare suoi tuoi passi e si appoggiano, nel loro ministero di sacrificio e di carità, alla fiducia di cui tu godi presso l'autore della vita. Aiutali nelle cure rivolte a guarire e a sollevare le sofferenze e ispira il loro zelo quando il momento di una temibile morte si approssima.

Purtroppo il mondo, nella sua senile debolezza, richiede la dedizione di chiunque sia in grado, con la preghiera e con l'azione di scongiurare la sua crisi. Quando il figlio dell'uomo ritornerà credete che troverà ancora la fede sulla terra? (Lc 18,8) così parla il Signore nel tuo Vangelo, ma aggiunge che bisogna pregare senza interruzione (ibidem), per la Chiesa dei tempi nostri e di tutti i tempi secondo la parabola della vedova importuna, che finisce per aver ragione del giudice iniquo, che ha in mano la sua causa. Dio non renderà giustizia ai suoi eletti, se continuamente lo supplicheranno? tollererà che siano oppressi senza fine? Io vi dico: li vendicherà con prontezza (ivi, 2-8).

Augustinus
18-10-05, 13:14
http://img528.imageshack.us/img528/1212/sanlucaevangelmp4.jpg

Augustinus
18-10-05, 13:24
San Luca testimone della fede che unisce

Presentato a Padova il volume con i risultati scientifici della ricognizione delle reliquie di san Luca

di Lorenzo Bianchi
Primo ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali

Dopo oltre cinque anni dall’apertura, avvenuta il 17 settembre 1998, dell’arca marmorea collocata nel lato sinistro del transetto della Basilica di Santa Giustina a Padova e contenente la cassa di piombo con uno scheletro privo del capo che la tradizione attribuisce a san Luca Evangelista, e a più di tre anni dalla presentazione dei primi risultati delle indagini nel congresso internazionale tenutosi a Padova dal 16 al 21 ottobre 2000, sono finalmente pubblicati nel dettaglio i dati raccolti dai singoli studiosi che hanno a vario titolo collaborato alle ricerche e le conclusioni proposte dalla Commissione scientifica, nominata a suo tempo dal vescovo di Padova Antonio Mattiazzo per la ricognizione delle reliquie avviata su esplicita richiesta del vescovo ortodosso di Tebe in Beozia per ottenerne, in gesto ecumenico, un frammento e collocarlo in quello che, a Tebe, la tradizione conosce come il primo sepolcro di san Luca.

http://www.30giorni.it/foto/1078746685383.jpg San Luca evangelista e il suo simbolo, miniatura tratta dai Vangeli detti di sant’Agostino, fine VI secolo, Corpus Christi College Library, Cambridge

La raccolta delle indagini scientifiche è apparsa infatti lo scorso mese di settembre, ed è stata presentata ufficialmente il 21 gennaio 2004 presso il Collegio Sacro a Padova. Il volume termina con la seguente dichiarazione, firmata dal presidente della commissione scientifica professor Vito Terribile Wiel Marin, anatomopatologo, e dai componenti professori monsignor Claudio Bellinati, Gianmario Molin e Mariantonia Capitanio: "In conclusione, non esiste un solo elemento contrario al fatto che si tratti dello scheletro di san Luca Evangelista".
Si ribadisce così sostanzialmente quanto già veniva emergendo in via provvisoria nel corso della prima giornata del congresso (cfr. anche quanto pubblicato su queste stesse pagine: 30Giorni, n. 10, ottobre 2000, pp. 78-89): ma, rispetto ad allora, quelle che erano prime anticipazioni sono ora dati analitici finalmente illustrati nella loro completezza, con esplicitazione e descrizione dei procedimenti metodologici che li hanno prodotti e la cui validità scientifica è dunque ora verificabile da chiunque. In più, rispetto a quel momento, nuove indagini sono state compiute. In particolare, a seguito del dibattito scientifico sviluppatosi al termine delle relazioni presentate il 16 ottobre 2000, chi scrive è stato cooptato, insieme a Margherita Cecchelli, titolare della cattedra di Archeologia cristiana presso l’Università di Roma "La Sapienza", nella Commissione scientifica con l’incarico dello studio archeologico della cassa di piombo contenente le reliquie, e in particolare del simbolo che vi appare a rilievo su uno dei due lati corti.
Occorre però, per comprendere e valutare appieno i risultati delle analisi scientifiche, richiamare rapidamente i termini della questione.
Lo scheletro privo del capo era contenuto in una cassa parallelepipeda di piombo delle dimensioni di circa cm 180 x 48, alta circa cm 40, con un coperchio a spiovente con timpani triangolari. La cassa, forata sul fondo in tre diversi punti, conteneva anche altri resti ossei rivelatisi pertinenti ad animali. Nessun segno distintivo era presente, se non il simbolo a rilievo sull’esterno di uno dei lati corti, una specie di stella ad otto bracci. Insieme alla cassa erano vari oggetti, tra i quali due tavolette attestanti la pertinenza delle ossa a Luca Evangelista.
Di Luca, "antiocheno di Siria, medico per professione, discepolo degli apostoli", scrittore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli, sappiamo che visse nel I secolo, ma sembra non aver mai visto né seguito Gesù sulla terra. Fu discepolo di Paolo, lo accompagnò a Roma dove dovette incontrare Pietro e Marco. Dopo il martirio di Paolo, le notizie su Luca si fanno incerte. La tradizione più antica relativa alla morte e sepoltura di san Luca sembra doversi leggere nelle parole di un anonimo copista della fine del II secolo (un testo che però fu rivisto, e non sappiamo se integrato nella parte che ci interessa, nel IV secolo) che, in testa a un codice che conteneva i libri del Nuovo Testamento, inserì uno scritto contro l’eretico Marcione. Questo testo, il cosiddetto Prologo antimarcionita, parla del martirio di Luca in Beozia, e, secondo una variante, specificatamente a Tebe, capitale di quella regione greca, città dove sarebbe morto all’età di ottantaquattro anni e dove è conservato un sarcofago pagano riutilizzato, all’incirca della fine del II secolo, di imitazione attica, in pietra locale, che la tradizione orientale considera il luogo della prima sepoltura dell’Evangelista.
Un’altra tradizione, che potrebbe anch’essa essere veritiera, testimoniata da san Girolamo, parla invece della morte di Luca in Bitinia, sempre a ottantaquattro anni. Sicuramente da scartare sono invece altre testimonianze, sempre del IV secolo, risalenti sia a Gregorio di Nazianzo che a Gaudenzio vescovo di Brescia, che parlano, equivocando, del martirio di Luca a Patrasso, in Grecia.
La data della morte di Luca, come si deduce dalle fonti, deve dunque collocarsi ai primi anni del II secolo. Ancora da Girolamo sappiamo che nella seconda metà del IV secolo, e precisamente nell’anno 357, l’imperatore Costanzo portò i corpi di san Luca e sant’Andrea a Costantinopoli, nuova capitale dell’Impero (De viris illustribus III, 7, 6). Questa notizia è ripetuta dal Chronicon Paschale della prima metà del VII secolo, che testimonia anche, nell’anno precedente e cioè nel 356, la traslazione di Timoteo da Efeso a Costantinopoli. I corpi dei tre santi furono collocati nell’Apostoleion, la Basilica degli Apostoli; e quando, verso il 527, Giustiniano riedificò la Basilica, si ritrovarono, come testimonia Procopio di Cesarea (De aedificiis I, 4, 18-23), le loro bare: o meglio, furono viste, ma — particolare importante — non aperte (la fonte non lo specifica), le casse di legno che si era certi contenessero i corpi di Andrea, Luca e Timoteo.

http://www.30giorni.it/foto/1078746766633.jpg La Basilica di Santa Giustina a Padova, nel complesso del monastero benedettino. All’interno di essa, in un’arca marmorea, sono conservate dal 1313 le spoglie attribuite a san Luca

Fin qui la tradizione di epoca antica o tardoantica. Ad essa si aggiungono notizie che risalgono al medioevo. Una di queste testimonierebbe la traslazione del corpo di san Luca da Costantinopoli a Padova all’epoca dell’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363), per sottrarlo al pericolo di distruzione. Un’altra tradizione invece parla del trasferimento del corpo di san Luca da Costantinopoli a Padova ad opera del sacerdote Urio, custode dell’Apostoleion, per salvare le reliquie che lì si custodivano dalla furia degli iconoclasti (dunque in un periodo ipotizzabile tra il 740 e il 771): egli avrebbe portato con sé a Padova, dove esisteva una comunità greca, sia i resti di san Luca che quelli di san Mattia, anch’essi ritrovati nell’area della Basilica di Santa Giustina e lì ora conservati, insieme all’immagine lignea detta "Madonna costantinopolitana", tuttora presente, anch’essa, in basilica.
Ultima nota storica da aggiungere: sappiamo con certezza che alla fine del VI secolo ad opera di Gregorio Magno, all’epoca apocrisario del papa Pelagio II, giunge a Roma, prelevata dall’Apostoleion, la testa allora ritenuta di san Luca, e ora conservata in Vaticano. Quella testa non ha nulla a che vedere con lo scheletro di Padova, il cui capo è conservato nella cattedrale di San Vito a Praga, prelevato da Padova il 9 novembre 1354 per essere donato all’imperatore Carlo IV, che l’aveva richiesto per valorizzare come apostolica la nuova cattedrale della sua città d’origine. Come meglio specificato oltre, le indagini scientifiche hanno dimostrato che la testa prelevata da Gregorio Magno non può, con certezza, essere appartenuta a Luca, e questo mette fortemente in dubbio anche la presenza delle reliquie di Luca a Costantinopoli all’epoca della notizia di Procopio di Cesarea.
Il corpo attribuito a san Luca fu rinvenuto all’interno di una cassa di piombo nel cimitero di Santa Giustina a Padova il 14 aprile del 1177, come attesta un documento che riporta quella data. Nel racconto che descrive il momento del ritrovamento si legge che il riconoscimento del corpo come quello dell’Evangelista avvenne sulla base di tre vituli (non rinvenuti nella ricognizione del 1998) e di una doppia croce impressi all’esterno del contenitore, e per la presenza, all’interno di esso, di un’iscrizione che recava il nome del santo. La cassa con il corpo fu poi deposta nell’arca marmorea appositamente scolpita nel 1313 per volontà dell’abate Gualpertino Mussato e sistemata nella cappella chiamata appunto di San Luca. Una ricognizione venne effettuata nel 1463, in seguito a un processo per stabilire se fosse questo il vero corpo di san Luca o un altro custodito a Venezia (che si rivelò essere invece il corpo di un giovane morto duecento anni prima). Un’ulteriore ricognizione avvenne nel 1562, quando, essendo già a buon punto la costruzione dell’attuale Basilica, l’arca fu spostata nel transetto di sinistra, dove ancora oggi si trova. Infine, si arriva direttamente alla ricognizione avviata nel 1998, con la successiva rideposizione nel maggio del 2001.

http://www.30giorni.it/foto/1078747296789.jpg Particolare della cassa di piombo contenente le reliquie attribuite a san Luca. Si nota il disegno a rilievo della doppia croce a stella

Riassunti brevemente questi dati essenziali, veniamo ad illustrare che cosa hanno dimostrato le analisi scientifiche ora pubblicate. Esse sono precedute, nel volume, dalla dettagliata cronistoria delle sessioni di lavoro, tenutesi dal 17 settembre 1998 al 6 giugno 2001. È possibile così farsi un’idea puntuale di tutti gli interventi degli studiosi attorno ai reperti rinvenuti nell’arca marmorea di Santa Giustina. I singoli contributi contenuti nel volume danno quindi le seguenti principali conferme:
- lo scheletro risulta maschile, appartenente ad un uomo anziano, di statura di circa cm 163, normale per l’epoca romana antica, nella quale visse san Luca (Mariantonia Capitanio), sofferente in particolare di artrosi per invecchiamento (Terribile Wiel Marin), con episodi ciclici di deficienza nutrizionale durante la crescita (Raffaele Scapinelli - Luigi Capasso);
- le analisi del radiocarbonio 14C, condotte separatamente in due diversi laboratori (Tucson e Oxford), forniscono per lo scheletro una datazione probabile tra la seconda metà del I secolo d.C e l’inizio del V secolo d.C., con la massima probabilità tra il II e il IV secolo (Gianmario Molin et alii);
- il cranio conservato nella cattedrale di Praga corrisponde senza alcun dubbio allo scheletro di Padova, vista la perfetta articolazione con l’atlante (Emanuel Vlc�ek); il cranio portato a Roma da Gregorio Magno, viceversa, appartiene a un altro corpo ed è stato datato dalle analisi del radiocarbonio 14C al V-VI secolo d.C. (Gianmario Molin). Questo significa con certezza, ripetiamo, che questo cranio non è quello di san Luca; che a Gregorio Magno fu dato un cranio diverso o perché non ci si volle privare del vero cranio di san Luca oppure (cosa che a noi sembra molto più probabile) perché alla fine del VI secolo il corpo di san Luca non era più sepolto nell’Apostoleion di Costantinopoli; e questo perché era stato traslato altrove, o forse addirittura (ma meno probabilmente) perché a Costantinopoli non era mai arrivato il vero san Luca;
- lo scheletro di Padova è in relazione cronologica di contemporaneità con la cassa di piombo in cui è stato trovato; infatti sia la presenza di pupe di ditteri necrofagi fossilizzati in cerussite (Sergio Zangheri), sia le analisi isotopiche del piombo della cassa e delle incrostazioni presenti sulle ossa del bacino (Molin), sia, ad abundantiam, l’integrità e la completezza dello scheletro anche per quello che riguarda le ossa più piccole (Capitanio) dimostrano che il corpo al quale apparteneva lo scheletro si è decomposto rapidamente proprio nella cassa di piombo, che è stata evidentemente destinata ad accoglierlo fin dal momento della morte;
- lo studio del Dna mitocondriale estratto da due denti permette di escludere che il corpo appartenesse a un individuo di origine greca, mentre l’appartenenza a un individuo di origine siriana, anche se non l’unica ad essere possibile, tuttavia risulta essere la maggiormente probabile (Guido Barbujani et alii);
- il ritrovamento di numerosi scheletri di colubridi (serpenti) tipici dell’area padana, datati dalle analisi del radiocarbonio 14C al periodo tra il 410 e il 545 d.C., all’interno della cassa di piombo, probabilmente entrativi attraverso i tre fori presenti sul fondo e lì morti durante il periodo di letargo a causa di un allagamento (la cassa era posta in una zona soggetta a inondazioni), dà la certezza che verso il V secolo la cassa medesima con le reliquie all’interno già si trovava a Padova (Benedetto Sala). Tre livelli di allagamento, da attribuirsi al periodo di permanenza della cassa a Padova, risultano ancora visibili all’interno della cassa (Eliana Fornaciari — Pier Paolo Vergerio); i fori — riteniamo — sono stati provocati probabilmente da un processo di naturale corrosione del piombo. Queste risultanze permettono di escludere come veritiera la tradizione della traslazione di san Luca a Padova nel periodo iconoclasta (VIII secolo);
- le analisi palinologiche dei reperti rinvenuti all’esterno della cassa di piombo evidenziano una palinoflora rappresentata da piante indigene del Padovano, ovvero da piante esotiche storicamente introdotte nel Padovano; al contrario, le analisi dei reperti rinvenuti all’interno della cassa di piombo evidenziano anche la presenza di specie tipiche dell’area del bacino del Mediterraneo, ma assenti nel Padovano. In particolare, la presenza di foglie e di polline di abete greco, il cui areale è circoscritto alla sola Grecia, dimostra oggettivamente che quello è il luogo di provenienza delle reliquie e molto probabilmente della cassa (Arturo Paganelli). La natura dei reperti dell’abete greco rinvenuti esclude che la loro presenza possa essere dovuta a una contaminazione occasionale e successiva alla deposizione;
- nella cassa di piombo è stata accertata la presenza di alcuni residui di graminacee e di larve di insetti che si nutrono di granaglie (Sergio Zangheri - Paolo Fontana). Questo potrebbe anche fare ipotizzare, tra le varie possibilità, una temporanea collocazione della cassa in un ambiente utilizzato per la conservazione o il trasporto del grano, come ad esempio una nave oneraria;

http://www.30giorni.it/foto/1078747115226.jpg Monastero di Santa Giustina, 22 maggio 2001. La cassa di piombo con le reliquie di san Luca viene sigillata dopo tre anni di indagini per essere riposta in Basilica

- le analisi geochimiche-isotopiche del carbonato di piombo delle incrostazioni dello scheletro, del piombo della cassa e di quello del coperchio attestano che i campioni delle incrostazioni e della cassa sono uguali fra loro, e nettamente diversi dai campioni del coperchio. Questo risulta anche avere nettamente uno stato di diversa e migliore conservazione rispetto alla cassa, indice di conservazione in condizioni ambientali diverse, ed è dunque, con assoluta certezza, di fattura diversa e posteriore, forse databile, dal confronto con altri reperti, ad epoca rinascimentale (Molin et alii; e questo nonostante un diverso risultato proponga il chimico organico Guido Galiazzo, il cui contributo — che tra l’altro in maniera singolare ritiene di avventurarsi in una sintesi generale dei dati delle altre discipline, omettendone alcuni e fraintendendone altri — lascia però al lettore parecchie perplessità in ordine al procedimento metodologico). Dalla diversità tra cassa e coperchio consegue — a nostro parere — che nessun significato può avere allo scopo dell’identificazione delle reliquie lo studio archeologico-tipologico della forma del coperchio, non essendo questo un reperto antico. Si può ipotizzare ragionevolmente che il coperchio originario sia andato perduto in epoca corrispondente o successiva al momento dell’inventio delle reliquie nel 1177. La composizione isotopica del piombo della cassa non è riconducibile, allo stato attuale delle conoscenze, alla produzione di specifici giacimenti, e può essere interpretabile come effetto del riciclaggio di varie miniere dell’area mediterranea, procedimento molto diffuso in epoca imperiale;
- anche se di fattura tarda, una delle iscrizioni relative a san Luca e un’altra, relativa alle reliquie di san Mattia, conservate anch’esse a Santa Giustina in una cassetta di piombo, hanno dato indicazioni interessanti. Le due iscrizioni sono entrambe incise su tavolette di piombo. Quella relativa a san Luca, bilingue, riporta una scritta rinascimentale corsiva in greco (Iesous Christos Parthenos Maria), e poi, in capitale: OSSA LVCAE EVANGELISTAE, in latino, e: OSTA TOU LOUKA EUAGGELHSTOU, in greco. Sebbene l’analisi isotopica del piombo situi la tavoletta in epoca rinascimentale (Molin et alii), l’analisi del testo e la terminologia richiamano con certezza una sua composizione di periodo anteriore al VI secolo (Franco Ghinatti). La superficie originaria su cui era inciso il testo andò dunque, per un motivo che ci sfugge, perduta, e il testo fu evidentemente ricopiato in occasione di una delle ricognizioni delle reliquie. Dell’iscrizione relativa a san Mattia è invece da sottolineare che il piombo della tavoletta, evidentemente riutilizzata (tracce di lettere al di sotto dell’attuale scritta), appare essere dello stesso tipo di quello della cassa di san Luca (Molin et alii; Ghinatti). Potrebbe forse trattarsi di un frammento dell’originario coperchio della cassa?

http://www.30giorni.it/foto/1078747115289.jpg L’epigrafe rinvenuta nell’arca marmorea di Santa Giustina. La scritta, in latino e in greco, recita: “Ossa di Luca Evangelista”. Le caratteristiche formali della scrittura nonché la terminologia usata attestano che si tratta di copia di un originale antico, forse di epoca imperiale e certamente antecedente al VI secolo, redatto in Occidente

- i rilievi fotogrammetrici della cassa, il calco del simbolo, la ripetizione sperimentale del suo procedimento di realizzazione e dunque l’individuazione e lo studio di una tipologia, quella della croce a stella (Lorenzo Bianchi — Paolo Salonia — Margherita Cecchelli) hanno permesso di stabilire che la cassa di piombo, di tipologia classica ma priva di particolari decorazioni ornamentali, e di per sé indatabile con precisione, è tuttavia ampiamente compatibile con l’ambito cronologico, geografico e culturale di san Luca. Il simbolo è la combinazione di una croce greca con una croce decussata, impostate esattamente (anche se l’impressione ottica è diversa) sul medesimo centro, e richiama la forma di una stella a otto terminazioni, simbologia giudeo-cristiana che appare già negli ossuari della Palestina del I-II secolo. Quelle che per qualcuno potrebbero sembrare delle punte di freccia sono probabilmente invece, come lo studio analitico della tecnica di impressione ha indicato, l’esito di rudimentali ritocchi operati dall’artigiano durante la preparazione della cassa per tentare di correggere imperfezioni nel disegno. Cadono dunque così — a nostro avviso — tutti i tentativi di paragone con ben diverse iconografie richiamanti dardi, frecce o quant’altro, che altri, isolatamente e in polemica concorrenza con gli Atti del Congresso (ma utilizzandone sorprendentemente a piene mani le bozze, senza alcuna autorizzazione degli autori), presentano come risolutivi per giustificare a tutti i costi una tesi precostituita (datazione del reperto al IV secolo e significato pagano del segno). Una tesi argomentata con metodo di discutibilissimo valore scientifico, laddove ci si dimentica di citare quei dati oggettivi che si rivelano contrastanti e non funzionali. Al contrario, l’analisi archeologica della cassa non consente in nessun modo di smentire le risultanze di compatibilità date dalle altre analisi scientifiche, anzi le rafforza;
- è infine da sottolineare (Claudio Bellinati) che la stessa decorazione dell’arca marmorea, che nel XIV secolo fu costruita per accogliere la cassa di piombo (a meno che non si voglia affermare che sia stata una voluta e ben riuscita mistificazione), è indizio a sostegno di quanto ci narra il racconto dell’inventio, quando riproduce i vituli, decorazioni scomparse forse con la distruzione del coperchio di piombo originale, e ancor di più quando riproduce, sulla manica di un angelo turiferario, il simbolo presente sulla cassa di piombo chiaramente nella forma di una croce a stella.
Di fronte alla serie disparata di testimonianze della tradizione relativamente alla traslazione di san Luca a Padova, i dati escludono il periodo medievale; ci riportano piuttosto al IV secolo, ma resta incerta la provenienza (Costantinopoli o forse direttamente Tebe) e ipotetica l’occasione (le persecuzioni di Giuliano l’Apostata), anche se naturalmente non esclusa. Certamente nuovi dati potranno venire dallo studio analitico della tomba che si conserva a Tebe, dalla quale sarebbe stata traslata la cassa di piombo ora a Padova. Ed altri chiarimenti potrebbero emergere da un nuovo studio sulla storia e la tradizione relative alle sepolture dell’Apostoleion di Costantinopoli, sia per quanto riguarda Luca stesso, sia per quanto riguarda Andrea e Timoteo, che la tradizione vuole giunti in Italia per altre vie e in altro momento, successivamente al sacco della città operato dai combattenti della IV crociata nel 1204.

http://www.30giorni.it/foto/1078747115258.jpg Tebe in Beozia. Sarcofago pagano riutilizzato, della fine del II secolo, da dove proverrebbe la cassa di piombo contenente le reliquie attribuite a san Luca Evangelista

Fonte: 30 Giorni, 2004, fasc. n. 2 (http://www.30giorni.it/it/articolo_stampa.asp?id=2949)

Augustinus
18-10-05, 13:27
GIOVANNI PAOLO II

MESSAGGIO ALL’ARCIVESCOVO-VESCOVO DI PADOVA
IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SAN LUCA

Al venerato Fratello
ANTONIO MATTIAZZO
Arcivescovo - Vescovo di Padova

1. Tra le glorie di codesta Chiesa, di grande significato è il particolare rapporto che la lega alla memoria dell'evangelista Luca, del quale - secondo la tradizione - custodisce le reliquie nella splendida Basilica di santa Giustina: tesoro prezioso e dono veramente singolare, giunto attraverso un provvidenziale cammino. San Luca infatti - secondo antiche testimonianze - morì in Beozia e fu sepolto a Tebe. Di là, come riferisce san Girolamo (cfr De viris ill. VI, I), le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli, nella Basilica dei Santi Apostoli. Successivamente, stando a fonti che le ricerche storiche vanno esplorando, furono trasferite a Padova.

Un'occasione propizia per ravvivare l'attenzione e la venerazione per questa «presenza», che si radica nella storia cristiana di codesta Città, è stata ora offerta dalla ricognizione del corpo del Santo Evangelista, nonché dal Congresso Internazionale a lui dedicato. A questo si è inteso dare una significativa ispirazione ecumenica, sottolineata anche dal fatto che l'Arcivescovo ortodosso di Tebe, Hieronymos, ha chiesto di poter ricevere un frammento delle reliquie, da deporre là dove è venerato ancora oggi il primo sepolcro dell'Evangelista.

Le celebrazioni che si svolgono in occasione del menzionato Congresso offrono un nuovo stimolo, perché codesta diletta Chiesa che è in Padova riscopra il vero tesoro che san Luca ci ha lasciato: il Vangelo e gli Atti degli Apostoli.

Nel rallegrarmi per l'impegno posto in tale direzione, desidero indugiare brevemente su alcuni aspetti del messaggio lucano, perché codesta Comunità possa trarne orientamento ed incoraggiamento per il suo cammino spirituale e pastorale.

2. Ministro della parola di Dio (cfr Lc 1, 2), Luca ci introduce alla conoscenza della luce discreta ed insieme penetrante che da essa promana illuminando la realtà e gli eventi della storia. Il tema della parola di Dio, filo d'oro che attraversa i due scritti che compongono l'opera lucana, unifica anche le due epoche da lui contemplate, il tempo di Gesù e quello della Chiesa. Quasi narrando la "storia della parola di Dio", il racconto di Luca ne segue la diffusione, dalla Terra Santa fino ai confini del mondo. Il cammino proposto dal terzo Vangelo è profondamente segnato dall'ascolto di questa parola che, come seme, dev'essere accolta con bontà e prontezza di cuore, superando gli ostacoli che le impediscono di attecchire e portare frutto (cfr Lc 8,4-15).

Un aspetto importante che Luca evidenzia è il fatto che la parola di Dio misteriosamente cresce e si afferma anche attraverso la sofferenza e in un contesto di opposizioni e di persecuzioni (cfr At 4,1-31; 5,17-42; passim). La parola che san Luca addita è chiamata a farsi, per ogni generazione, evento spirituale capace di rinnovare l'esistenza. La vita cristiana, suscitata e sorretta dallo Spirito, è dialogo interpersonale che si fonda proprio sulla parola che il Dio vivente ci rivolge, chiedendoci di accoglierla senza riserve nella mente e nel cuore. Si tratta in definitiva di diventare discepoli disposti ad ascoltare con sincerità e disponibilità il Signore, sull'esempio di Maria di Betania, la quale "ha scelto la parte migliore", perché "sedutasi ai piedi di Gesù ascoltava la sua parola" (cfr Lc 10,38-42).

In questa prospettiva, desidero incoraggiare, nella programmazione pastorale di codesta diletta Chiesa, la proposta delle "Settimane bibliche", l'apostolato biblico e i pellegrinaggi in Terra Santa, il luogo dove la Parola si è fatta carne (cfr Gv 1,14). Vorrei anche stimolare tutti - presbiteri, religiosi, religiose, laici -a praticare e promuovere la lectio divina, sino a far diventare la meditazione della Sacra Scrittura un tassello essenziale della propria vita.

3. "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23).

Per Luca esser cristiani significa seguire Gesù sulla via che Egli percorre (Lc 19,57; 10, 38; 13, 22; 14, 25). E' Gesù stesso che prende l'iniziativa e chiama a seguirlo, e lo fa in modo deciso, inconfondibile, mostrando così la sua identità del tutto fuori dal comune, il suo mistero di Figlio, che conosce il Padre e lo rivela (cfr Lc 10,22). All'origine della decisione di seguire Gesù vi è l'opzione fondamentale in favore della sua Persona. Se non si è stati affascinati dal volto di Cristo è impossibile seguirlo con fedeltà e costanza, anche perché Gesù cammina per una via impervia, pone condizioni estremamente esigenti e si dirige verso un destino paradossale, quello della Croce. Luca sottolinea che Gesù non ama compromessi e richiede l'impegno di tutta la persona, un deciso distacco da ogni nostalgia del passato, dai condizionamenti familiari, dal possesso dei beni materiali (cfr Lc 9,57-62; 14,26-33).

L'uomo sarà sempre tentato di attenuare queste esigenze radicali e di adattarle alle proprie debolezze, oppure di desistere dal cammino intrapreso. Ma è proprio su questo che si decide l'autenticità e la qualità della vita della comunità cristiana. Una Chiesa che vive nel compromesso sarebbe come il sale che perde il sapore (cfr Lc 14,34-35).

Occorre abbandonarsi alla potenza dello Spirito, capace d'infondere luce e soprattutto amore per Cristo; occorre aprirsi al fascino interiore che Gesù esercita sui cuori che aspirano all'autenticità, rifuggendo dalle mezze misure. Questo è certo difficile per l'uomo, ma diventa possibile con la grazia di Dio (cfr Lc 18,27). D'altra parte, se la sequela di Cristo implica che si porti ogni giorno la Croce, questa a sua volta è albero di vita che conduce alla risurrezione. Luca, che accentua le esigenze radicali della sequela di Cristo, è anche l'Evangelista che descrive la gioia di coloro che diventano discepoli di Cristo (cfr Lc 10,20; 13,17; 19,6.37; At 5,41; 8,39; 13,48).

4. E' nota l'importanza che Luca dà, nei suoi scritti, alla presenza e all'azione dello Spirito, a partire dall'Annunciazione, quando il Paraclito discende su Maria (cfr Lc 1,35), fino alla Pentecoste, quando gli Apostoli, mossi dal dono dello Spirito, ricevono la forza necessaria per annunciare in tutto il mondo la grazia del Vangelo (cfr At 1,8; 2,1-4). E' lo Spirito Santo a plasmare la Chiesa. San Luca ha delineato nei tratti della prima comunità cristiana il modello sul quale la Chiesa di tutti i tempi deve rispecchiarsi: è una comunità unita in "un cuor solo e un'anima sola", assidua nell'ascolto della parola di Dio; una comunità che vive di preghiera, spezza con letizia il Pane eucaristico, apre il cuore alle necessità dei bisognosi fino a condividere con loro i beni materiali (At 2,42-47; 4,32-37). Ogni rinnovamento ecclesiale dovrà attingere a questa fonte ispiratrice il segreto della propria autenticità e freschezza.

A partire dalla Chiesa madre di Gerusalemme, lo Spirito allarga gli orizzonti e sospinge gli Apostoli e i Testimoni fino a raggiungere Roma. Sullo sfondo di queste due città si svolge la storia della Chiesa primitiva, una Chiesa che cresce e si dilata nonostante le opposizioni che la minacciano dall'esterno e le crisi che dall'interno ne appesantiscono il cammino. Ma in tutto questo percorso, ciò che realmente preme a Luca è presentare la Chiesa nell'essenza del suo mistero: esso è costituito dalla perenne presenza del Signore Gesù che, agendo in essa con la forza del suo Spirito, le infonde consolazione e coraggio nelle prove del cammino nella storia.

5. Secondo una pia tradizione, Luca è ritenuto pittore dell'immagine di Maria, la Vergine Madre. Ma il vero ritratto che Luca traccia della Madre di Gesù è quello che emerge dalle pagine della sua opera: in scene divenute familiari al Popolo di Dio, egli delinea un'immagine eloquente della Vergine. L'Annunciazione, la Visitazione, la Natività, la Presentazione al Tempio, la vita nella casa di Nazareth, la disputa con i dottori e lo smarrimento di Gesù, la Pentecoste hanno fornito ampia materia, lungo i secoli, all'incessante rielaborazione di pittori, scultori, poeti e musicisti.

Opportunamente, quindi, al Congresso Internazionale è stata prevista una riflessione sul tema dell'arte, ed insieme si è allestita una mostra ricca di pregevoli opere.

Quello che tuttavia è più importante cogliere è che, attraverso quadri di vita mariana, Luca ci introduce nella interiorità di Maria, facendoci scoprire nello stesso tempo la sua funzione unica nella storia della salvezza.

Maria è colei che pronuncia il «fiat», un sì personale e pieno alla proposta di Dio, definendosi "Serva del Signore" (Lc 1,38). Questo atteggiamento di totale adesione a Dio e disponibilità incondizionata alla sua Parola costituisce il modello più alto della fede, l'anticipazione della Chiesa come comunità dei credenti.

La vita di fede cresce e si sviluppa in Maria nella meditazione sapienziale delle parole e degli eventi della vita di Cristo (cfr Lc 2,19.51). Ella "medita nel cuore" per comprendere il senso profondo delle parole e dei fatti, assimilarlo e poi anche comunicarlo agli altri.

Il Canto del Magnificat (cfr Lc 1,46-55) manifesta un altro importante tratto della «spiritualità» di Maria: Ella incarna la figura del povero, capace di riporre pienamente la sua fiducia in Dio, che abbatte i troni dei potenti ed esalta gli umili.

Luca ci delinea anche la figura di Maria nella Chiesa dei primi tempi, mostrandola presente nel Cenacolo in attesa dello Spirito Santo: "Tutti questi (gli undici Apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di Lui" (At 1,14).

Il gruppo raccolto nel Cenacolo costituisce come la cellula germinale della Chiesa. Al suo interno Maria svolge un duplice ruolo: da una parte intercede per la nascita della Chiesa ad opera dello Spirito Santo; dall'altra comunica alla Chiesa nascente la sua esperienza di Gesù.

L'opera di Luca propone così alla Chiesa che è in Padova un efficace stimolo a valorizzare la "dimensione mariale" della vita cristiana nel cammino della sequela di Cristo.

6. Un'altra dimensione essenziale della vita cristiana e della Chiesa, su cui la narrazione lucana proietta vivida luce, è quella della missione evangelizzatrice. Di questa missione Luca indica il fondamento perenne, e cioè l'unicità e l'universalità della salvezza operata da Cristo (cfr At 4,12). L'evento salvifico della morte-risurrezione di Cristo non conclude la storia della salvezza, ma segna l'avvio di una nuova fase, caratterizzata dalla missione della Chiesa, chiamata a comunicare i frutti della salvezza operata da Cristo a tutte le nazioni. Per questa ragione, Luca fa seguire al Vangelo, come logica conseguenza, la storia della missione. E' lo stesso Risorto che dà agli Apostoli il «mandato» missionario: "Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto" (Lc 24,45-48).

La missione della Chiesa comincia a Pentecoste "da Gerusalemme" per estendersi "sino ai confini della terra". Gerusalemme non indica solo un punto geografico. Sta piuttosto a significare un punto focale della storia della salvezza. La Chiesa non parte da Gerusalemme per abbandonarla, ma per innestare sull'ulivo d'Israele le nazioni pagane (cfr Rm 11,17).

Compito della Chiesa è immettere nella storia il lievito del Regno di Dio (cfr Lc 13,20-21). Compito impegnativo, descritto negli Atti degli Apostoli come un itinerario faticoso e accidentato, ma affidato a «testimoni» pieni di entusiasmo, di intraprendenza, di gioia, disponibili a soffrire e a dare la vita per Cristo. Questa energia interiore è comunicata loro dalla comunione di vita con il Risorto e dalla forza dello Spirito che egli dona.

Quale grande risorsa può costituire, per la Chiesa che è in Padova, il continuo confronto con il messaggio dell'Evangelista, di cui custodisce i resti mortali!

7. Alla luce di questa visione lucana, auspico che codesta Comunità diocesana, in piena docilità al soffio dello Spirito, sappia testimoniare con audacia creativa Gesù Cristo, sia nel proprio territorio, sia, secondo la sua bella tradizione, nella cooperazione missionaria con le Chiese dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia.

Questo impegno missionario trovi un ulteriore impulso in questo Anno giubilare, che celebra i duemila anni dalla nascita di Cristo e chiama la Chiesa a un profondo rinnovamento di vita. Proprio il Vangelo di Luca riporta il discorso con cui Gesù, nella Sinagoga di Nazareth, proclama "l'anno di grazia del Signore", annunciando la salvezza come liberazione, guarigione, buona novella ai poveri (cfr Lc 4,14-20). Lo stesso Evangelista presenterà poi la forza risanante dell'amore misericordioso del Salvatore in pagine toccanti come quella della pecorella smarrita e del figlio prodigo (cfr Lc 15).

Di questo annuncio il nostro tempo ha più che mai bisogno. Esprimo, dunque, il mio fervido incoraggiamento a codesta Comunità, perché l'impegno per la nuova evangelizzazione sia sempre più forte ed incisivo. Esorto anche a proseguire e sviluppare le iniziative ecumeniche che sono state avviate con alcune Chiese Ortodosse in termini di collaborazione sul piano delle opere di carità, della cultura teologica, della pastorale. Il Congresso Internazionale su san Luca rappresenti una tappa significativa nel cammino di codesta Chiesa, aiutandola a radicarsi sempre più nel terreno della Parola di Dio e ad aprirsi con rinnovato slancio alla comunione e alla missione.

Con tali auspici, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, ed a quanti sono affidati alle sue cure pastorali, una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 15 Ottobre 2000

Augustinus
18-10-05, 13:33
Padova - San Luca

Il caro medico

Giuseppe Frangi

Tutto comincia nel 1992, con una richiesta del Metropolita ortodosso di Tebe al Vescovo di Padova circa le reliquie dell’Evangelista. Da lì una serie di studi che confermano l’autenticità delle ossa conservate a Santa Giustina nonché la storicità della tradizione

Luca, colui che Paolo di Tarso definisce «il caro medico», l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli che più di ogni altro ha saputo descrivere la compassione e la misericordia per i miseri e gli afflitti, riposa a Padova. Nella basilica benedettina di Santa Giustina, un’antica chiesa che si affaccia nella grande piazza di Prato della Valle, è conservata da mille anni una cassa di piombo che contiene lo scheletro di un uomo morto in tarda età: quelle reliquie, dopo due anni di studi e di ricerche interdisciplinari commissionate dalla diocesi, sono state attribuite proprio al cronista che Dante definì scriba mansuetudinis Christi.

Una strana richiesta

La storia ha inizio nell’ottobre 1992, quando il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo si vede recapitare una lettera in greco scritta dal metropolita ortodosso di Tebe Hyeronimus, che gli chiede «un frammento significativo delle reliquie di san Luca da deporre là dove si trova ed è venerato oggi il sepolcro sacro dell’evangelista». Secondo un’antica tradizione, infatti, la tomba di Luca è venerata a Tebe. Nel Prologo monarchiano, della fine del II secolo, si legge: «Luca siro, di nazione Antiocheno, medico di professione, discepolo degli apostoli, più tardi fu seguace di Paolo fino al martirio di lui servendo Dio senza delitto. Poiché, non avendo avuto moglie né mai figli, di anni 74 [secondo un’altra variante 84; ndr], morì in Beozia pieno di Spirito Santo. Costui, essendo già stati scritti i Vangeli di Matteo in Giudea e di Marco in Italia, per impulso dello Spirito Santo nelle parti di Acaia scrisse questo Vangelo, mostrando anch’egli a principio che dapprima erano stati scritti gli altri…». Notizie simili sono contenute anche nel coevo Prologo antimarcionita.
Il vescovo Mattiazzo fa un salto sulla sedia. Com’è possibile che il confratello ortodosso sia così certo che a Padova si conservano i resti di san Luca? In effetti il culto per l’evangelista, nella città del Santo è rimasto negli ultimi decenni praticamente sconosciuto, o comunque molto elitario. Mattiazzo decide di agire. E prima di soddisfare la richiesta del Metropolita di Tebe, vuole studiare più approfonditamente la tradizione e sottoporla al vaglio della scienza. Si arriva così, passo dopo passo, alla ricognizione del 1998 e alla conclusione degli esperimenti nel 2000, con un sorprendente risultato che conferma l’antica tradizione. La diocesi patavina ha dedicato nelle scorse settimane un importante convegno internazionale alla scoperta. In quella occasione l’anatomopatologo dell’Università di Padova Vito Terribile Wiel Marin, che ha coordinato la ricerca, ha affermato: «Se prima dell’indagine, in base ai dati storici in nostro possesso, si riteneva di avere a Padova le reliquie di san Luca, dalla somma di tutti i risultati delle indagini oggi si può dire che l’ipotesi è comprovata con elevatissime probabilità. Poiché alla scienza non appartiene mai il cento per cento, potremmo comunque parlare di un dato assai vicino alla certezza».

Un culto antichissimo

Quando nel 1998 gli esperti della diocesi e i frati di Santa Giustina rimuovono i sigilli vecchi di 400 anni dalla grande cassa di piombo lunga 190 centimetri, larga 40 e profonda 50, del peso di ben 600 chili, si trovano di fronte alle ossa di uno scheletro completo (a esclusione del cranio), protette da un sudario di tessuto bianco trasparente, che si suppone sia stato utilizzato per l’ultima ostensione pubblica, avvenuta nel 1562. Le ossa attribuite al Santo sono mescolate ad alcune costole e vertebre di piccoli roditori, alcuni gusci di conchiglie, residui vegetali (forse resti di fiori lasciati cadere dai fedeli), una ciotola di terracotta e alcuni vasetti contenenti pergamene e monete. Poi, sul fondo della cassa, altre monete, in tutto 34, la più antica delle quali risale al 299 dopo Cristo. Sono presenti anche una lastra e una targa che testimoniano le ricognizioni avvenute nel 1463 e nel 1562, e ribadiscono l’attribuzione delle spoglie all’autore del terzo Vangelo. A parte l’ulna destra e l’astragalo sinistro (un piccolo osso del piede), lo scheletro privo di capo è completo e perfettamente conservato. L’antropologa Mariantonia Capitanio, dell’Università di Padova, ha spiegato che il corpo «non è mai stato sepolto in una tomba sotto terra, ma sempre in contenitori che ne potessero garantire una conservazione duratura anche in caso di traslazione». Ciò sta a testimoniare un culto antichissimo, attestato anche dalla forte presenza di mirto nella bara, particolarmente usato nelle cerimonie funebri antiche e che, tra l’altro, collocherebbe la morte tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, vista la stagionalità della sua fioritura. Inoltre, date le considerevoli misure della cassa di piombo, risulta evidente che questa non sia stata fabbricata per contenere le reliquie dello scheletro, ma il corpo dell’evangelista. Una conferma interessante arriva proprio da Tebe: il sepolcro marmoreo venerato come tomba di Luca contiene alla perfezione la cassa di piombo, che vi si inserisce con una precisione millimetrica.

Un siriano vecchio e malato

Dalle ricerche è emerso che le ossa sono attribuibili a un individuo di razza siriana. A queste conclusioni è arrivato, grazie all’esame del Dna, il genetista Guido Barbujani. Lo scheletro appartiene a un uomo morto in tarda età, presumibilmente tra i 70 e gli 85 anni (un dato perfettamente in linea con le notizie dei due Prologhi), di statura intorno a un metro e 63 centimetri e di corporatura robusta. Il professor Terribile Wiel Marin ha riscontrato nelle ossa una grave forma di osteoporosi, un’artrosi della colonna vertebrale e una notevole usura dei denti. Inoltre, dalla curvatura delle costole si deduce la presenza di un enfisema polmonare. Tra i risultati più interessanti delle ricerche c’è quello relativo alla datazione col radiocarbonio, esame effettuato in due laboratori, a Tucson (Arizona) e a Oxford. Da questi è emerso che la morte della persona a cui appartiene lo scheletro risale a un periodo compreso tra il 130 e il 400 dopo Cristo. Un dato che non contraddice la tradizione, che colloca la morte dell’evangelista nei primi decenni del II secolo.
Infine, gli studi del palinologo Arturo Paganelli sui pollini presenti nella cassa di piombo e sulle ossa del bacino hanno stabilito che si tratta di pollini tipici dell’Italia meridionale e soprattutto del bacino mediterraneo, dati che confermerebbero la provenienza del corpo e della bara da quella zona e che coincidono con la tradizione della morte e sepoltura in Beozia.

Il giallo del cranio

Alle ossa di Padova manca, come abbiamo detto, il capo. Proprio da questa “mancanza” è arrivata un’ulteriore conferma e autenticazione delle reliquie. Dai documenti storici risulta che nel 1354 l’imperatore Carlo IV prelevò dallo scheletro di Padova il teschio e lo portò con sé a Praga e lì, nella cattedrale di San Vito, è rimasto e continua a essere venerato. Il vescovo Mattiazzo ha chiesto al cardinale Miloslav Vlk di poter esaminare la reliquia e così nel settembre 1998 il Decano della cattedrale di Praga e un esperto paleontologo hanno attraversato l’Europa e sono arrivati a Padova con la reliquia. Per tre giorni gli studiosi coordinati dal professor Terribile Wiel Marin hanno esaminato il cranio per verificare se questo si articolava con l’atlante, cioè con la prima vertebra cervicale dello scheletro conservato a Santa Giustina. «La corrispondenza è parsa indiscutibile a me - ha detto il professore -, alla professoressa Capitanio e al professor Emanuel Vlcek venuto da Praga». L’articolazione cranio-atlante è considerata “altamente specifica”, del tipo chiave-serratura: è assolutamente impensabile che un altro teschio possa adattarsi alla prima vertebra. Inoltre il teschio è risultato dolicocefalo, cioè allungato all’indietro e stretto. Una forma ben compatibile con la popolazione di Antiochia di Siria del I e del II secolo, e non invece con la popolazione della stessa regione geografica nell’anno Mille né tantomeno con quella di oggi. Dunque un’ulteriore conferma della tradizione.

Il viaggio di san Luca

Come sono giunte a Padova queste reliquie, che dopo la scoperta diventano le più importanti attribuite a un evangelista? Una tradizione confermata dalla testimonianza di san Girolamo attesta che la cassa con le ossa venne trasportata a Costantinopoli all’epoca dell’imperatore Costanzo (IV secolo) e quindi sistemata all’interno della basilica dei Santi Apostoli. Da lì sarebbe stata poi traslata a Padova. Secondo alcuni studiosi ciò sarebbe avvenuto dopo il sacco di Costantinopoli da parte dei crociati. Ma studi più recenti, condotti da monsignor Claudio Bellinati, direttore dell’Archivio storico di Padova, rivelano che la presenza delle ossa è registrata nella città del Santo già nell’anno 1177, quando la cassa di piombo - che a causa delle incursioni barbariche era stata nascosta nel cimitero di Santa Giustina con tutti gli altri corpi che si conservavano nella chiesa - venne ritrovata e posta nuovamente all’interno della basilica. Il documento ritrovato da monsignor Bellinati fa cadere l’ipotesi che a trasportare le reliquie di Luca siano stati i crociati. «Le ossa potrebbero essere arrivate molto prima - ha detto lo studioso -, nell’VIII secolo, durante il periodo delle lotte iconoclaste». La tradizione vuole, infatti, che un sacerdote di nome Urio, custode della basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli, portò con sé a Padova le spoglie di san Luca, quelle attribuite a san Mattia e un’icona della Madonna, tuttora presenti a Santa Giustina.

La costola più vicina al cuore

Un mese fa, quando ormai i preparativi per il convegno e per l’annuncio dell’attribuzione erano ultimati, monsignor Mattiazzo ha prelevato una costola dallo scheletro di san Luca, quella più vicina al cuore e si è imbarcato sull’aereo che lo ha condotto a Tebe. La Congregazione per la causa dei santi, la Segreteria di Stato vaticana e il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani avevano già da tempo autorizzato il Vescovo di Padova a soddisfare la commovente richiesta del metropolita Hyeronimus di avere una significativa reliquia da venerare nel sepolcro vuoto. E così lo scriba mansuetudinis Christi, diciannove secoli dopo la sua morte, è stato l’occasione per un passo in avanti del cammino ecumenico.

Il fascino del volto di Cristo

Giovanni Paolo II ha voluto inviare un messaggio al Vescovo di Padova in occasione del convegno internazionale che ha annunciato l’attribuzione delle reliquie all’autore del terzo Vangelo. Sono parole commoventi, che colgono la bellezza del racconto dell’evangelista e testimoniano la dinamica del cristianesimo: non uno sforzo volontaristico, non il risultato di un indottrinamento, non la ripetizione di formule giuste, ma l’imbattersi in un fascino, in una bellezza che ti viene incontro, ti coinvolge e senza alcun merito da parte tua ti dona la forza di seguire. «Per Luca - scrive il Papa - essere cristiani significa seguire Gesù sulla via che egli percorre. È Gesù stesso che prende l’iniziativa e che chiama a seguirlo, e lo fa in modo deciso, inconfondibile, mostrando così la sua identità del tutto fuori dal comune, il suo mistero di Figlio che conosce il Padre e lo rivela». «All’origine della decisione di seguire Gesù - continua Giovanni Paolo II - è l’opzione fondamentale in favore della sua persona. Se non si è stati affascinati dal volto di Cristo è impossibile seguirlo con fedeltà e costanza, anche perché Gesù cammina per una via impervia, pone condizioni estremamente esigenti e si dirige verso un destino paradossale, quello della croce».
«Occorre abbandonarsi alla potenza dello Spirito - spiega papa Wojtyla -, capace di infondere luce e soprattutto amore per Cristo; occorre aprirsi al fascino interiore che Gesù esercita sui cuori che aspirano all’autenticità, rifuggendo dalle mezze misure. Questo è certo difficile per l’uomo, ma diventa possibile con la grazia di Dio».

Lo scriba e le sue fonti

I Magi «andarono in fretta e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino coricato nella mangiatoia. E poi che l’ebbero veduto, fecero conoscere quanto era stato detto loro di quel bambino. E tutti quelli che li udirono, si meravigliarono delle cose che erano state loro dette dai pastori, ma Maria conservava tutte queste cose e le meditava nel suo cuore». (Lc 2,16-19). Il dodicenne Gesù «rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapete che io devo essere presso il Padre mio?”. Ma essi non compresero questa parola che egli aveva detto. E scese con essi e venne a Nazareth, e stava loro soggetto; e sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,49-51). Sono queste due delicatissime, ma suggestive indicazioni che fanno credere all’abate Giuseppe Ricciotti - autore dell’insuperato e fortunatissimo volume Vita di Gesù Cristo - che proprio la madre del Salvatore sia stata tra le fonti dell’evangelista Luca. Certo non risulta se il medico siriano abbia conosciuto personalmente Maria di Nazareth o se invece qualcuno abbia fatto da tramite per quelle notizie. Risulta comunque evidente che certi particolari della nascita e dell’infanzia di Gesù potevano essere stati raccontati soltanto da lei ed è per questo che Luca per due volte suggerisce, con grande attenzione e discrezione, l’autorevole origine delle sue informazioni.
Una tardiva tradizione, non attestata prima di Teodoro il Lettore (VI secolo), presenta Luca come il pittore di un ritratto di Maria, ma il vero ritratto della Madonna è quello che emerge dalle pagine dell’evangelista. San Luca, l’accompagnatore di Paolo, non ha conosciuto personalmente Gesù. Quando si accinge alla stesura del suo Vangelo, Marco e Matteo hanno già scritto. Luca, come lui stesso premetterà alla narrazione, vuole «riandare appresso dal principio» ai fatti della vita di Cristo, dunque risistemare il materiale già esistente, ma anche integrarlo con nuove notizie di “testimoni oculari” e connettere cronologicamente la storia del Vangelo con la storia profana contemporanea. In Luca circa la metà del racconto è propria soltanto del suo Vangelo e non si ritrova negli altri sinottici: in queste aggiunte sono inclusi sette miracoli di Gesù, una ventina di parabole e soprattutto il racconto della nascita e dell’infanzia del Salvatore.
L’originalità dell’evangelista, il più attento a descrivere la misericordiosa mansuetudine di Gesù verso i poveri, i malati, i peccatori e gli afflitti, emerge soprattutto nella parte centrale del suo Vangelo, quella che narra del viaggio di Cristo verso Gerusalemme: la parabola del buon samaritano, del figliol prodigo, del ricco epulone, del fariseo e del pubblicano. Più volte Luca ripete che la buona novella è per i piccoli mentre si dilunga a descrivere i gesti di perdono e di accoglienza di Gesù. Appartiene solo alla narrazione lucana, ad esempio, l’episodio della prostituta che irrompe nella casa del fariseo che ospitava a pranzo il Nazareno e «piangendo, cominciò con lacrime a bagnargli i piedi e li asciugava con i capelli, e gli copriva di baci i piedi e li ungeva con l’unguento» (Lc 7,36-50). È solo grazie a Luca che conosciamo l’episodio del buon ladrone che viene perdonato e accolto da Gesù morente e riesce così a “rubare” in un istante il Paradiso.

La mostra

“Luca Evangelista. Parola e immagine tra Oriente e Occidente”. Venti secoli di tradizione e di storia di san Luca evangelista sono ripercorsi da un’importante mostra inserita tra i grandi eventi del calendario giubilare della Diocesi di Padova. La mostra, allestita al Museo Diocesano padovano dal 14 ottobre 2000 al 6 gennaio 2001, è promossa dalla Diocesi e dall’Abbazia di Santa Giustina, con il contributo della Regione Veneto, della Provincia e del Comune di Padova. Attraverso oltre 100 esemplari delle molteplici espressioni dell’arte - provenienti da biblioteche, musei, pinacoteche, archivi privati e luoghi sacri di tutta Italia, ma anche da Parigi, Berlino, Colonia, Ohrid,… - vengono messi in luce i diversi volti di Luca. In esposizione antichissimi papiri, mosaici, pregiate miniature, dipinti su tela e tavola, icone, arazzi, oreficerie di mirabile fattura, che documentano la tradizione dei testi dell’Evangelista e la storia della devozione al Santo presso le comunità cristiane di Oriente e di Occidente, a partire dagli inizi del cristianesimo. Per informazioni 049/652855.

di Andrea Tornielli

Fonte: Tracce, novembre 2000, n. 10 (http://www.tracce.it/det_Articoli.asp?Sezione=novembre+2000&ID=20001122)

Augustinus
17-10-07, 16:24
http://santiebeati.it/immagini/Original/21800/21800J.JPG

Augustinus
18-10-07, 10:46
Gospel of Saint Luke

The subject will be treated under the following heads:

I. Biography of Saint Luke;
II.Authenticity of the Gospel;
III. Integrity of the Gospel;
IV. Purpose and Contents;
V. Sources of the Gospel: Synoptic Problem;
VI. Saint Luke's Accuracy;
VII. Lysanias, Tetrarch of Abilene;
VIII. Who Spoke the Magnificat?
IX. The Census of Quirinius;
X. Saint Luke and Josephus.

I. BIOGRAPHY OF SAINT LUKE

The name Lucas (Luke) is probably an abbreviation from Lucanus, like Annas from Ananus, Apollos from Apollonius, Artemas from Artemidorus, Demas from Demetrius, etc. (Schanz, "Evang. des heiligen Lucas", 1, 2; Lightfoot on "Col.", iv, 14; Plummer, "St. Luke", introd.)

The word Lucas seems to have been unknown before the Christian Era; but Lucanus is common in inscriptions, and is found at the beginning and end of the Gospel in some Old Latin manuscripts (ibid.). It is generally held that St. Luke was a native of Antioch. Eusebius (Hist. Eccl. III, iv, 6) has: Loukas de to men genos on ton ap Antiocheias, ten episteuen iatros, ta pleista suggegonos to Paulo, kai rots laipois de ou parergos ton apostolon homilnkos--"Lucas vero domo Antiochenus, arte medicus, qui et cum Paulo diu conjunctissime vixit, et cum reliquis Apostolis studiose versatus est." Eusebius has a clearer statement in his "Quæstiones Evangelicæ", IV, i, 270: ho de Loukas to men genos apo tes Boomenes Antiocheias en--"Luke was by birth a native of the renowned Antioch" (Schmiedel, "Encyc. Bib."). Spitta, Schmiedel, and Harnack think this is a quotation from Julius Africanus (first half of the third century). In Codex Bezæ (D) Luke is introduced by a "we" as early as Acts 11:28; and, though this is not a correct reading, it represents a very ancient tradition. The writer of Acts took a special interest in Antioch and was well acquainted with it (Acts 11:19-27; 13:1; 14:18-21, 14:25, 15:22, 23, 30, 35; 18:22). We are told the locality of only one deacon, "Nicolas, a proselyte of Antioch", 6:5; and it has been pointed out by Plummer that, out of eight writers who describe the Russian campaign of 1812, only two, who were Scottish, mention that the Russian general, Barclay de Tolly, was of Scottish extraction. These considerations seem to exclude the conjecture of Renan and Ramsay that St. Luke was a native of Philippi.

St. Luke was not a Jew. He is separated by St. Paul from those of the circumcision (Colossians 4:14), and his style proves that he was a Greek. Hence he cannot be identified with Lucius the prophet of Acts 13:1, nor with Lucius of Romans 16:21, who was cognatus of St. Paul. From this and the prologue of the Gospel it follows that Epiphanius errs when he calls him one of the Seventy Disciples; nor was he the companion of Cleophas in the journey to Emmaus after the Resurrection (as stated by Theophylact and the Greek Menol.). St. Luke had a great knowledge of the Septuagint and of things Jewish, which he acquired either as a Jewish proselyte (St. Jerome) or after he became a Christian, through his close intercourse with the Apostles and disciples. Besides Greek, he had many opportunities of acquiring Aramaic in his native Antioch, the capital of Syria. He was a physician by profession, and St. Paul calls him "the most dear physician" (Colossians 4:14). This avocation implied a liberal education, and his medical training is evidenced by his choice of medical language. Plummer suggests that he may have studied medicine at the famous school of Tarsus, the rival of Alexandria and Athens, and possibly met St. Paul there. From his intimate knowledge of the eastern Mediterranean, it has been conjectured that he had lengthened experience as a doctor on board ship. He travailed a good deal, and sends greetings to the Colossians, which seems to indicate that he had visited them.

St. Luke first appears in the Acts at Troas (16:8 sqq.), where he meets St. Paul, and, after the vision, crossed over with him to Europe as an Evangelist, landing at Neapolis and going on to Philippi, "being assured that God had called us to preach the Gospel to them" (note especially the transition into first person plural at verse 10). He was, therefore, already an Evangelist. He was present at the conversion of Lydia and her companions, and lodged in her house. He, together with St. Paul and his companions, was recognized by the pythonical spirit: "This same following Paul and us, cried out, saying: These men are the servants of the most high God, who preach unto you the way of salvation" (verse 17). He beheld Paul and Silas arrested, dragged before the Roman magistrates, charged with disturbing the city, "being Jews", beaten with rods and thrown into prison. Luke and Timothy escaped, probably because they did not look like Jews (Timothy's father was a gentile). When Paul departed from Philippi, Luke was left behind, in all probability to carry on the work of Evangelist. At Thessalonica the Apostle received highly appreciated pecuniary aid from Philippi (Phil., iv, 15, 16), doubtless through the good offices of St. Luke. It is not unlikely that the latter remained at Philippi all the time that St. Paul was preaching at Athens and Corinth, and while he was travelling to Jerusalem and back to Ephesus, and during the three years that the Apostle was engaged at Ephesus. When St. Paul revisited Macedonia, he again met St. Luke at Philippi, and there wrote his Second Epistle to the Corinthians.

St. Jerome thinks it is most likely that St. Luke is "the brother, whose praise is in the gospel through all the churches" (2 Corinthians 8:18), and that he was one of the bearers of the letter to Corinth. Shortly afterwards, when St. Paul returned from Greece, St. Luke accompanied him from Philippi to Troas, and with him made the long coasting voyage described in Acts, xx. He went up to Jerusalem, was present at the uproar, saw the attack on the Apostle, and heard him speaking "in the Hebrew tongue" from the steps outside the fortress Antonia to the silenced crowd. Then he witnessed the infuriated Jews, in their impotent rage, rending their garments, yelling, and flinging dust into the air. We may be sure that he was a constant visitor to St. Paul during the two years of the latter's imprisonment at Cæarea. In that period he might well become acquainted with the circumstances of the death of Herod Agrippa I, who had died there eaten up by worms" (skolekobrotos), and he was likely to be better informed on the subject than Josephus. Ample opportunities were given him, "having diligently attained to all things from the beginning", concerning the Gospel and early Acts, to write in order what had been delivered by those "who from the beginning were eyewitnesses and ministers of the word" (Luke 1:2, 3). It is held by many writers that the Gospel was written during this time, Ramsay is of opinion that the Epistle to the Hebrews was then composed, and that St. Luke had a considerable share in it. When Paul appealed to Cæsar, Luke and Aristarchus accompanied him from Cæsarea, and were with him during the stormy voyage from Crete to Malta. Thence they went on to Rome, where, during the two years that St. Paul was kept in prison, St. Luke was frequently at his side, though not continuously, as he is not mentioned in the greetings of the Epistle to the Philippians (Lightfoot, "Phil.", 35). He was present when the Epistles to the Colossians, Ephesians and Philemon were written, and is mentioned in the salutations given in two of them: "Luke the most dear physician, saluteth you" (Colossians 4:14); "There salute thee . . . Mark, Aristarchus, Demas, and Luke my fellow labourers" (Philem., 24). St. Jerome holds that it was during these two years Acts was written.

We have no information about St. Luke during the interval between St. Paul's two Roman imprisonments, but he must have met several of the Apostles and disciples during his various journeys. He stood beside St. Paul in his last imprisonment; for the Apostle, writing for the last time to Timothy, says: "I have fought a good fight, I have finished my course. . . . Make haste to come to me quickly. For Demas hath left me, loving this world. . . . Only Luke is with me" (2 Timothy 4:7-11). It is worthy of note that, in the three places where he is mentioned in the Epistles (Colossians 4:14; Philemon 24; 2 Timothy 4:11) he is named with St. Mark (cf. Colossians 4:10), the other Evangelist who was not an Apostle (Plummer), and it is clear from his Gospel that he was well acquainted with the Gospel according to St. Mark; and in the Acts he knows all the details of St. Peter's delivery--what happened at the house of St. Mark's mother, and the name of the girl who ran to the outer door when St. Peter knocked. He must have frequently met St. Peter, and may have assisted him to draw up his First Epistle in Greek, which affords many reminiscences of Luke's style. After St. Paul's martyrdom practically all that is known about him is contained in the ancient "Prefatio vel Argumentum Lucæ", dating back to Julius Africanus, who was born about A.D. 165. This states that he was unmarried, that he wrote the Gospel, in Achaia, and that he died at the age of seventy-four in Bithynia (probably a copyist's error for Bœotia), filled with the Holy Ghost. Epiphanius has it that he preached in Dalmatia (where there is a tradition to that effect), Gallia (Galatia?), Italy, and Macedonia. As an Evangelist, he must have suffered much for the Faith, but it is controverted whether he actually died a martyr's death. St. Jerome writes of him (De Vir. III., vii). "Sepultus est Constantinopoli, ad quam urbem vigesimo Constantii anno, ossa ejus cum reliquiis Andreæ Apostoli translata sunt [de Achaia?]."

St. Luke its always represented by the calf or ox, the sacrificial animal, because his Gospel begins with the account of Zachary, the priest, the father of John the Baptist. He is called a painter by Nicephorus Callistus (fourteenth century), and by the Menology of Basil II, A.D. 980. A picture of the Virgin in S. Maria Maggiore, Rome, is ascribed to him, and can be traced to A.D. 847 It is probably a copy of that mentioned by Theodore Lector, in the sixth century. This writer states that the Empress Eudoxia found a picture of the Mother of God at Jerusalem, which she sent to Constantinople (see "Acta SS.", 18 Oct.). As Plummer observes. it is certain that St. Luke was an artist, at least to the extent that his graphic descriptions of the Annunciation, Visitation, Nativity, Shepherds. Presentation, the Shepherd and lost sheep, etc., have become the inspiring and favourite themes of Christian painters.

St. Luke is one of the most extensive writers of the New Testament. His Gospel is considerably longer than St. Matthew's, his two books are about as long as St. Paul's fourteen Epistles: and Acts exceeds in length the Seven Catholic Epistles and the Apocalypse. The style of the Gospel is superior to any N.T. writing except Hebrews. Renan says (Les Evangiles, xiii) that it is the most literary of the Gospels. St. Luke is a painter in words. "The author of the Third Gospel and of the Acts is the most versatile of all New Testament writers. He can be as Hebraistic as the Septuagint, and as free from Hebraisms as Plutarch. . . He is Hebraistic in describing Hebrew society and Greek when describing Greek society" (Plummer, introd.). His great command of Greek is shown by the richness of his vocabulary and the freedom of his constructions.

II. AUTHENTICITY OF THE GOSPEL

A. Internal Evidence

The internal evidence may be briefly summarized as follows:

The author of Acts was a companion of Saint Paul, namely, Saint Luke; and
the author of Acts was the author of the Gospel.

The arguments are given at length by Plummer, "St. Luke" in "Int. Crit. Com." (4th ed., Edinburgh, 1901); Harnack, "Luke the Physician" (London, 1907); "The Acts of the Apostles" (London, 1909); etc.

(1) The Author of Acts was a companion of Saint Paul, namely, Saint Luke

There is nothing more certain in Biblical criticism than this proposition. The writer of the "we" sections claims to be a companion of St. Paul. The "we" begins at Acts, xvi, 10, and continues to xvi, 17 (the action is at Philippi). It reappears at xx, 5 (Philippi), and continues to xxi, 18 (Jerusalem). It reappears again at the departure for Rome, xxvii, 1 (Gr. text), and continues to the end of the book.

Plummer argues that these sections are by the same author as the rest of the Acts:

from the natural way in which they fit in;
from references to them in other parts; and
from the identity of style.

The change of person seems natural and true to the narrative, but there is no change of language. The characteristic expressions of the writer run through the whole book, and are as frequent in the "we" as in the other sections. There is no change of style perceptible. Harnack (Luke the Physician, 40) makes an exhaustive examination of every word and phrase in the first of the "we" sections (xvi, 10-17), and shows how frequent they are in the rest of the Acts and the Gospel, when compared with the other Gospels. His manner of dealing with the first word (hos) will indicate his method: "This temporal hos is never found in St. Matthew and St. Mark, but it occurs forty-eight times in St. Luke (Gospels and Acts), and that in all parts of the work." When he comes to the end of his study of this section he is able to write: "After this demonstration those who declare that this passage was derived from a source, and so was not composed by the author of the whole work, take up a most difficult position. What may we suppose the author to have left unaltered in the source? Only the 'we'. For, in fact, nothing else remains. In regard to vocabulary, syntax, and style, he must have transformed everything else into his own language. As such a procedure is absolutely unimaginable, we are simply left to infer that the author is here himself speaking." He even thinks it improbable, on account of the uniformity of style, that the author was copying from a diary of his own, made at an earlier period. After this, Harnack proceeds to deal with the remaining "we" sections, with like results. But it is not alone in vocabulary, syntax and style, that this uniformity is manifest. In "The Acts of the Apostles", Harnack devotes many pages to a detailed consideration of the manner in which chronological data, and terms dealing with lands, nations, cities, and houses, are employed throughout the Acts, as well as the mode of dealing with persons and miracles, and he everywhere shows that the unity of authorship cannot be denied except by those who ignore the facts. This same conclusion is corroborated by the recurrence of medical language in all parts of the Acts and the Gospel.
That the companion of St. Paul who wrote the Acts was St. Luke is the unanimous voice of antiquity. His choice of medical language proves that the author was a physician. Westein, in his preface to the Gospel ("Novum Test. Græcum", Amsterdam, 1741, 643), states that there are clear indications of his medical profession throughout St. Luke's writings; and in the course of his commentary he points out several technical expressions common to the Evangelist and the medical writings of Galen. These were brought together by the Bollandists ("Acta SS.", 18 Oct.). In the "Gentleman's Magazine" for June, 1841, a paper appeared on the medical language of St. Luke. To the instances given in that article, Plummer and Harnack add several others; but the great book on the subject is Hobart "The Medical Language of St. Luke" (Dublin, 1882). Hobart works right through the Gospel and Acts and points out numerous words and phrases identical with those employed by such medical writers as Hippocrates, Arctæus, Galen, and Dioscorides. A few are found in Aristotle, but he was a doctor's son. The words and phrases cited are either peculiar to the Third Gospel and Acts, or are more frequent than in other New Testament writings. The argument is cumulative, and does not give way with its weakest strands. When doubtful cases and expressions common to the Septuagint, are set aside, a large number remain that seem quite unassailable. Harnack (Luke the Physician! 13) says: "It is as good as certain from the subject-matter, and more especially from the style, of this great work that the author was a physician by profession. Of course, in making such a statement one still exposes oneself to the scorn of the critics, and yet the arguments which are alleged in its support are simply convincing. . . . Those, however, who have studied it [Hobart's book] carefully, will, I think, find it impossible to escape the conclusion that the question here is not one of merely accidental linguistic coloring, but that this great historical work was composed by a writer who was either a physician or was quite intimately acquainted with medical language and science. And, indeed, this conclusion holds good not only for the 'we' sections, but for the whole book." Harnack gives the subject special treatment in an appendix of twenty-two pages. Hawkins and Zahn come to the same conclusion. The latter observes (Einl., II, 427): "Hobart has proved for everyone who can appreciate proof that the author of the Lucan work was a man practised in the scientific language of Greek medicine--in short, a Greek physician" (quoted by Harnack, op. cit.).

In this connection, Plummer, though he speaks more cautiously of Hobart's argument, is practically in agreement with these writers. He says that when Hobart's list has been well sifted a considerable number of words remains. "The argument", he goes on to say "is cumulative. Any two or three instances of coincidence with medical writers may be explained as mere coincidences; but the large number of coincidences renders their explanation unsatisfactory for all of them, especially where the word is either rare in the LXX, or not found there at all" (64). In "The Expositor" (Nov. 1909, 385 sqq.), Mayor says of Harnack's two above-cited works: "He has in opposition to the Tübingen school of critics, successfully vindicated for St. Luke the authorship of the two canonical books ascribed to him, and has further proved that, with some few omissions, they may be accepted as trustworthy documents. . . . I am glad to see that the English translator . . . has now been converted by Harnack's argument, founded in part, as he himself confesses, on the researches of English scholars, especially Dr. Hobart, Sir W. M. Ramsay, and Sir John Hawkins." There is a striking resemblance between the prologue of the Gospel and a preface written by Dioscorides, a medical writer who studied at Tarsus in the first century (see Blass, "Philology of the Gospels"). The words with which Hippocrates begins his treatise "On Ancient Medicine" should be noted in this connection: 'Okosoi epecheiresan peri iatrikes legein he graphein, K. T. L. (Plummer, 4). When all these considerations are fully taken into account, they prove that the companion of St. Paul who wrote the Acts (and the Gospel) was a physician. Now, we learn from St. Paul that he had such a companion. Writing to the Colossians (iv, 11), he says: "Luke, the most dear physician, saluteth you." He was, therefore, with St. Paul when he wrote to the Colossians, Philemon, and Ephesians; and also when he wrote the Second Epistle to Timothy. From the manner in which he is spoken of, a long period of intercourse is implied.

(2) The Author of Acts was the Author of the Gospel

"This position", says Plummer, "is so generally admitted by critics of all schools that not much time need be spent in discussing it." Harnack may be said to be the latest prominent convert to this view, to which he gives elaborate support in the two books above mentioned. He claims to have shown that the earlier critics went hopelessly astray, and that the traditional view is the right one. This opinion is fast gaining ground even amongst ultra critics, and Harnack declares that the others hold out because there exists a disposition amongst them to ignore the facts that tell against them, and he speaks of "the truly pitiful history of the criticism of the Acts". Only the briefest summary of the arguments can be given here. The Gospel and Acts are both dedicated to Theophilus and the author of the latter work claims to be the author of the former (Acts 1:1). The style and arrangement of both are so much alike that the supposition that one was written by a forger in imitation of the other is absolutely excluded. The required power of literary analysis was then unknown, and, if it were possible, we know of no writer of that age who had the wonderful skill necessary to produce such an imitation. It is to postulate a literary miracle, says Plummer, to suppose that one of the books was a forgery written in Imitation of the other. Such an idea would not have occurred to anyone; and, if it had, he could not have carried it out with such marvellous success. If we take a few chapters of the Gospel and note down the special, peculiar, and characteristic words, phrases and constructions, and then open the Acts at random, we shall find the same literary peculiarities constantly recurring. Or, if we begin with the Acts, and proceed conversely, the same results will follow. In addition to similarity, there are parallels of description, arrangement, and points of view, and the recurrence of medical language, in both books, has been mentioned under the previous heading.

We should naturally expect that the long intercourse between St. Paul and St. Luke would mutually influence their vocabulary, and their writings show that this was really the case. Hawkins (Horæ Synopticæ) and Bebb (Hast., "Dict. of the Bible", s. v. "Luke, Gospel of") state that there are 32 words found only in St. Matt. and St. Paul; 22 in St. Mark and St. Paul; 21 in St. John and St. Paul; while there are 101 found only in St. Luke and St. Paul. Of the characteristic words and phrases which mark the three Synoptic Gospels a little more than half are common to St. Matt. and St. Paul, less than half to St. Mark and St. Paul and two-thirds to St. Luke and St. Paul. Several writers have given examples of parallelism between the Gospel and the Pauline Epistles. Among the most striking are those given by Plummer (44). The same author gives long lists of words and expressions found in the Gospel and Acts and in St. Paul, and nowhere else in the New Testament. But more than this, Eager in "The Expositor" (July and August, 1894), in his attempt to prove that St. Luke was the author of Hebrews, has drawn attention to the remarkable fact that the Lucan influence on the language of St. Paul is much more marked in those Epistles where we know that St. Luke was his constant companion. Summing up, he observes: "There is in fact sufficient ground for believing that these books. Colossians, II Corinthians, the Pastoral Epistles, First (and to a lesser extent Second) Peter, possess a Lucan character." When all these points are taken into consideration, they afford convincing proof that the author of the Gospel and Acts was St. Luke, the beloved physician, the companion of St. Paul, and this is fully borne out by the external evidence.

B. External Evidence

The proof in favour of the unity of authorship, derived from the internal character of the two books, is strengthened when taken in connection with the external evidence. Every ancient testimony for the authenticity of Acts tells equally in favour of the Gospel; and every passage for the Lucan authorship of the Gospel gives a like support to the authenticity of Acts. Besides, in many places of the early Fathers both books are ascribed to St. Luke. The external evidence can be touched upon here only in the briefest manner. For external evidence in favour of Acts, see ACTS OF THE APOSTLES.

The many passages in St. Jerome, Eusebius, and Origen, ascribing the books to St. Luke, are important not only as testifying to the belief of their own, but also of earlier times. St. Jerome and Origen were great travellers, and all three were omniverous readers. They had access to practically the whole Christian literature of preceding centuries; but they nowhere hint that the authorship of the Gospel (and Acts) was ever called in question. This, taken by itself, would be a stronger argument than can be adduced for the majority of classical works. But we have much earlier testimony. Clement of Alexandria was probably born at Athens about A.D. 150. He travelled much and had for instructors in the Faith an Ionian, an Italian, a Syrian, an Egyptian, an Assyrian, and a Hebrew in Palestine. "And these men, preserving the true tradition of the blessed teaching directly from Peter and James, John and Paul, the holy Apostles, son receiving it from father, came by God's providence even unto us, to deposit among us those seeds [of truth] which were derived from their ancestors and the Apostles". (Strom., I, i, 11: cf. Euseb., "Hist. Eccl.", V, xi). He holds that St. Luke's Gospel was written before that of St. Mark, and he uses the four Gospels just as any modern Catholic writer. Tertullian was born at Carthage, lived some time in Rome, and then returned to Carthage. His quotations from the Gospels, when brought together by Rönsch, cover two hundred pages. He attacks Marcion for mutilating St. Luke's Gospel. and writes: "I say then that among them, and not only among the Apostolic Churches, but among all the Churches which are united with them in Christian fellowship, the Gospel of Luke, which we earnestly defend, has been maintained from its first publication" (Adv. Marc., IV, v).

The testimony of St. Irenæus is of special importance. He was born in Asia Minor, where he heard St. Polycarp give his reminiscences of St. John the Apostle, and in his numerous writings he frequently mentions other disciples of the Apostles. He was priest in Lyons during the persecution in 177, and was the bearer of the letter of the confessors to Rome. His bishop, Pothinus, whom be succeeded, was ninety years of age when he gained the crown of martyrdom in 177, and must have been born while some of the Apostles and very many of their hearers were still living. St. Irenæus, who was born about A.D. 130 (some say much earlier), is, therefore, a witness for the early tradition of Asia Minor, Rome, and Gaul. He quotes the Gospels just as any modern bishop would do, he calls them Scripture, believes even in their verbal inspiration; shows how congruous it is that there are four and only four Gospels; and says that Luke, who begins with the priesthood and sacrifice of Zachary, is the calf. When we compare his quotations with those of Clement of Alexandria, variant readings of text present themselves. There was already established an Alexandrian type of text different from that used in the West. The Gospels had been copied and recopied so often, that, through errors of copying, etc., distinct families of text had time to establish themselves. The Gospels were so widespread that they became known to pagans. Celsus in his attack on the Christian religion was acquainted with the genealogy in St. Luke's Gospel, and his quotations show the same phenomena of variant readings.

The next witness, St. Justin Martyr, shows the position of honour the Gospels held in the Church, in the early portion of the century. Justin was born in Palestine about A.D. 105, and converted in 132-135. In his "Apology" he speaks of the memoirs of the Lord which are called Gospels, and which were written by Apostles (Matthew, John) and disciples of the Apostles (Mark, Luke). In connection with the disciples of the Apostles he cites the verses of St. Luke on the Sweat of Blood, and he has numerous quotations from all four. Westcott shows that there is no trace in Justin of the use of any written document on the life of Christ except our Gospels. "He [Justin] tells us that Christ was descended from Abraham through Jacob, Judah, Phares, Jesse, David--that the Angel Gabriel was sent to announce His birth to the Virgin Mary--that it was in fulfillment of the prophecy of Isaiah . . . that His parents went thither [to Bethlehem] in consequence of an enrolment under Cyrinius--that as they could not find a lodging in the village they lodged in a cave close by it, where Christ was born, and laid by Mary in a manger", etc. (Westcott, "Canon", 104). There is a constant intermixture in Justin's quotations of the narratives of St. Matthew and St. Luke. As usual in apologetical works, such as the apologies of Tatian, Athenagoras, Theophilus, Tertullian, Clement of Alexandria, Cyprian, and Eusebius, he does not name his sources because he was addressing outsiders. He states, however, that the memoirs which were called Gospels were read in the churches on Sunday along with the writings of the Prophets, in other words, they were placed on an equal rank with the Old Testament. In the "Dialogue", cv, we have a passage peculiar to St. Luke. "Jesus as He gave up His Spirit upon the Cross said, Father, into thy hands I commend my Spirit' [Luke, xxiii. 46], even as I learned from the Memoirs of this fact also." These Gospels which were read every Sunday must be the same as our four, which soon after, in the time of Irenæus, were in such long established honour, and regarded by him as inspired by the Holy Ghost. We never hear, says Salmon, of any revolution dethroning one set of Gospels and replacing them by another; so we may be sure that the Gospels honoured by the Church in Justin's day were the same as those to which the same respect was paid in the days of Irenæus, not many years after. This conclusion is strengthened not only by the nature of Justin's quotations, but by the evidence afforded by his pupil Tatian, the Assyrian, who lived a long time with him in Rome, and afterwards compiled his harmony of the Gospels, his famous "Diatessaron", in Syriac, from our four Gospels. He had travelled a great deal, and the fact that he uses only those shows that they alone were recognized by St. Justin and the Catholic Church between 130-150. This takes us back to the time when many of the hearers of the Apostles and Evangelists were still alive; for it is held by many scholars that St. Luke lived till towards the end of the first century.

Irenæus, Clement, Tatian, Justin, etc., were in as good a position for forming a judgment on the authenticity of the Gospels as we are of knowing who were the authors of Scott's novels, Macaulay's essays, Dickens's early novels, Longfellow's poems, no. xc of "Tracts for the Times" etc. But the argument does not end here. Many of the heretics who flourished from the beginning of the second century till A.D. 150 admitted St. Luke's Gospel as authoritative. This proves that it had acquired an unassailable position long before these heretics broke away from the Church. The Apocryphal Gospel of Peter, about A.D. 150, makes use of our Gospels. About the same time the Gospels, together with their titles, were translated into Latin; and here, again, we meet the phenomena of variant readings, to be found in Clement, Irenæus, Old Syriac, Justin, and Celsus, pointing to a long period of previous copying. Finally, we may ask, if the author of the two books were not St. Luke, who was he?

Harnack (Luke the Physician, 2) holds that as the Gospel begins with a prologue addressed to an individual (Theophilus) it must, of necessity, have contained in its title the name of its author. How can we explain, if St. Luke were not the author, that the name of the real, and truly great, writer came to be completely buried in oblivion, to make room for the name of such a comparatively obscure disciple as St. Luke? Apart from his connection, as supposed author, with the Third Gospel and Acts, was no more prominent than Aristarchus and Epaphras; and he is mentioned only in three places in the whole of the New Testament. If a false name were substituted for the true author, some more prominent individual would have been selected.

III. INTEGRITY OF THE GOSPEL

Marcion rejected the first two chapters and some shorter passages of the gospel, and it was at one time maintained by rationalistic writers that his was the original Gospel of which ours is a later expansion. This is now universally rejected by scholars. St. Irenæus, Tertullian, and Epiphanius charged him with mutilating the Gospel; and it is known that the reasons for his rejection of those portions were doctrinal. He cut out the account of the infancy and the genealogy, because he denied the human birth of Christ. As he rejected the Old Testament all reference to it had to be excluded. That the parts rejected by Marcion belong to the Gospel is clear from their unity of style with the remainder of the book. The characteristics of St. Luke's style run through the whole work, but are more frequent in the first two chapters than anywhere else; and they are present in the other portions omitted by Marcion. No writer in those days was capable of successfully forging such additions. The first two chapters, etc., are contained in all the manuscripts and versions, and were known to Justin Martyr and other competent witnesses. On the authenticity of the verses on the Bloody Sweat, see AGONY OF CHRIST.

IV. PURPOSE AND CONTENTS

The Gospel was written, as is gathered from the prologue (i, 1-4), for the purpose of giving Theophilus (and others like him) increased confidence in the unshakable firmness of the Christian truths in which he had been instructed, or "catechized"--the latter word being used, according to Harnack, in its technical sense. The Gospel naturally falls into four divisions:

Gospel of the infancy, roughly covered by the Joyful Mysteries of the Rosary (ch. i, ii);
ministry in Galilee, from the preaching of John the Baptist (iii, 1, to ix, 50);
journeyings towards Jerusalem (ix, 51-xix, 27);
Holy Week: preaching in and near Jerusalem, Passion, and Resurrection (xix, 28, to end of xxiv).

We owe a great deal to the industry of St. Luke. Out of twenty miracles which he records six are not found in the other Gospels: draught of fishes, widow of Naim's son, man with dropsy, ten lepers, Malchus's ear, spirit of infirmity. He alone has the following eighteen parables: good Samaritan, friend at midnight, rich fool, servants watching, two debtors, barren fig-tree, chief seats, great supper, rash builder, rash king, lost groat, prodigal son, unjust steward, rich man and Lazarus, unprofitable servants, unjust judge, Pharisee and publican, pounds. The account of the journeys towards Jerusalem (ix, 51-xix, 27) is found only in St. Luke; and he gives special prominence to the duty of prayer.

V. SOURCES OF THE GOSPEL; SYNOPTIC PROBLEM

The best information as to his sources is given by St. Luke, in the beginning of his Gospel. As many had written accounts as they heard them from "eyewitnesses and ministers of the word", it seemed good to him also, having diligently attained to all things from the beginning, to write an ordered narrative. He had two sources of information, then, eyewitnesses (including Apostles) and written documents taken down from the words of eyewitnesses. The accuracy of these documents he was in a position to test by his knowledge of the character of the writers, and by comparing them with the actual words of the Apostles and other eyewitnesses.

That he used written documents seems evident on comparing his Gospel with the other two Synoptic Gospels, Matthew and Mark. All three frequently agree even in minute details, but in other respects there is often a remarkable divergence, and to explain these phenomena is the Synoptic Problem. St. Matthew and St. Luke alone give an account of the infancy of Christ, both accounts are independent. But when they begin the public preaching they describe it in the same way, here agreeing with St. Mark. When St. Mark ends, the two others again diverge. They agree in the main both in matter and arrangement within the limits covered by St. Mark, whose order they generally follow. Frequently all agree in the order of the narrative, but, where two agree, Mark and Luke agree against the order of Matthew, or Mark and Matthew agree against the order of Luke; Mark is always in the majority, and it is not proved that the other two ever agree against the order followed by him. Within the limits of the ground covered by St. Mark, the two other Gospels have several sections in common not found in St. Mark, consisting for the most part of discourses, and there is a closer resemblance between them than between any two Gospels where the three go over the same ground. The whole of St. Mark is practically contained in the other two. St. Matthew and St. Luke have large sections peculiar to themselves, such as the different accounts of the infancy, and the journeys towards Jerusalem in St. Luke. The parallel records have remarkable verbal coincidences. Sometimes the Greek phrases are identical, sometimes but slightly different, and again more divergent. There are various theories to explain the fact of the matter and language common to the Evangelists. Some hold that it is due to the oral teaching of the Apostles, which soon became stereotyped from constant repetition. Others hold that it is due to written sources, taken down from such teaching. Others, again, strongly maintain that Matthew and Luke used Mark or a written source extremely like it. In that case, we have evidence how very closely they kept to the original. The agreement between the discourses given by St. Luke and St. Matthew is accounted for, by some authors, by saying that both embodied the discourses of Christ that had been collected and originally written in Aramaic by St. Matthew. The long narratives of St. Luke not found in these two documents are, it is said, accounted for by his employment of what he knew to be other reliable sources, either oral or written. (The question is concisely but clearly stated by Peake "A Critical Introduction to the New Testament", London, 1909, 101. Several other works on the subject are given in the literature at the end of this article.)

VI. SAINT LUKE'S ACCURACY

Very few writers have ever had their accuracy put to such a severe test as St. Luke, on account of the wide field covered by his writings, and the consequent liability (humanly speaking) of making mistakes; and on account of the fierce attacks to which he has been subjected.

It was the fashion, during the nineteenth century, with German rationalists and their imitators, to ridicule the "blunders" of Luke, but that is all being rapidly changed by the recent progress of archæological research. Harnack does not hesitate to say that these attacks were shameful, and calculated to bring discredit, not on the Evangelist, but upon his critics, and Ramsay is but voicing the opinion of the best modern scholars when he calls St. Luke a great and accurate historian. Very few have done so much as this latter writer, in his numerous works and in his articles in "The Expositor", to vindicate the extreme accuracy of St. Luke. Wherever archæology has afforded the means of testing St. Luke's statements, they have been found to be correct; and this gives confidence that he is equally reliable where no such corroboration is as yet available. For some of the details see ACTS OF THE APOSTLES, where a very full bibliography is given.

For the sake of illustration, one or two examples may here be given:

(1) Sergius Paulus, Proconsul in Cyprus

St. Luke says (Acts 13) that when St. Paul visited Cyprus (in the reign of Claudius) Sergius Paulus was proconsul (anthupatos) there. Grotius asserted that this was an abuse of language, on the part of the natives, who wished to flatter the governor by calling him proconsul, instead of proprætor (antistrategos), which he really was; and that St. Luke used the popular appellation. Even Baronius (Annales, ad Ann. 46) supposed that, though Cyprus was only a prætorian province, it was honoured by being ruled by the proconsul of Cilicia, who must have been Sergius Paulus. But this is all a mistake. Cato captured Cyprus, Cicero was proconsul of Cilicia and Cyprus in 52 B.C.; Mark Antony gave the island to Cleopatra; Augustus made it a prætorian province in 27 B.C., but in 22 B.C. he transferred it to the senate, and it became again a proconsular province. This latter fact is not stated by Strabo, but it is mentioned by Dion Cassius (LIII). In Hadrian's time it was once more under a proprætor, while under Severus it was again administered by a proconsul. There can be no doubt that in the reign of Claudius, when St. Paul visited it, Cyprus was under a proconsul (anthupatos), as stated by St. Luke. Numerous coins have been discovered in Cyprus, bearing the head and name of Claudius on one side, and the names of the proconsuls of Cyprus on the other. A woodcut engraving of one is given in Conybeare and Howson's "St. Paul", at the end of chapter v. On the reverse it has: EPI KOMINOU PROKAU ANTHUPATOU: KUPRION--"Money of the Cyprians under Cominius Proclus, Proconsul." The head of Claudius (with his name) is figured on the other side. General Cesnola discovered a long inscription on a pedestal of white marble, at Solvi, in the north of the island, having the words: EPI PAULOU ANTHUPATOU--"Under Paulus Proconsul." Lightfoot, Zochler, Ramsay, Knabenbauer, Zahn, and Vigouroux hold that this was the actual (Sergius) Paulus of Acts, xiii, 7.

(2) The Politarchs in Thessalonica

An excellent example of St. Luke's accuracy is afforded by his statement that rulers of Thessalonica were called "politarchs" (politarchai--Acts 17:6, 8). The word is not found in the Greek classics; but there is a large stone in the British Museum, which was found in an arch in Thessalonica, containing an inscription which is supposed to date from the time of Vespasian. Here we find the word used by St. Luke together with the names of several such politarchs, among them being names identical with some of St. Paul's converts: Sopater, Gaius, Secundus. Burton in "American Journal of Theology" (July, 1898) has drawn attention to seventeen inscriptions proving the existence of politarchs in ancient times. Thirteen were found in Macedonia, and five were discovered in Thessalonica, dating from the middle of the first to the end of the second century.

(3) Knowledge of Pisidian Antioch, Iconium, Lystra, and Derbe

The geographical, municipal, and political knowledge of St. Luke, when speaking of Pisidian Antioch, Iconium, Lystra, and Derbe, is fully borne out by recent research (see Ramsay, "St. Paul the Traveller", and other references given in GALATIANS, EPISTLE TO THE).

(4) Knowledge of Philippian customs

He is equally sure when speaking of Philippi, a Roman colony, where the duumviri were called "prætors" (strategoi--Acts 16:20, 35), a lofty title which duumviri assumed in Capua and elsewhere, as we learn from Cicero and Horace (Sat., I, v, 34). They also had lictors (rabsouchoi), after the manner of real prætors.

(5) References to Ephesus, Athens, and Corinth

His references to Ephesus, Athens, Corinth, are altogether in keeping with everything that is now known of these cities. Take a single instance: "In Ephesus St. Paul taught in the school of Tyrannus, in the city of Socrates he discussed moral questions in the market-place. How incongruous it would seem if the methods were transposed! But the narrative never makes a false step amid all the many details as the scene changes from city to city; and that is the conclusive proof that it is a picture of real life" (Ramsay, op. cit., 238). St. Luke mentions (Acts 18:2) that when St. Paul was at Corinth the Jews had been recently expelled from Rome by Claudius, and this is confirmed by a chance statement of Suetonius. He tells us (ibid., 12) that Gallio was then proconsul in Corinth (the capital of the Roman province of Achaia). There is no direct evidence that he was proconsul in Achaia, but his brother Seneca writes that Gallio caught a fever there, and went on a voyage for his health. The description of the riot at Ephesus (Acts 19) brings together, in the space of eighteen verses, an extraordinary amount of knowledge of the city, that is fully corroborated by numerous inscriptions, and representations on coins, medals, etc., recently discovered. There are allusions to the temple of Diana (one of the seven wonders of the world), to the fact that Ephesus gloried in being her temple-sweeper her caretaker (neokoros), to the theatre as the place of assembly for the people, to the town clerk (grammateus), to the Asiarchs, to sacrilegious (ierosuloi), to proconsular sessions, artificers, etc. The ecclesia (the usual word in Ephesus for the assembly of the people) and the grammateus or town-clerk (the title of a high official frequent on Ephesian coins) completely puzzled Cornelius a Lapide, Baronius, and other commentators, who imagined the ecclesia meant a synagogue, etc. (see Vigouroux, "Le Nouveau Testament et les Découvertes Archéologiques", Paris, 1890).

(6) The Shipwreck

The account of the voyage and shipwreck described in Acts (xxvii, xxvii) is regarded by competent authorities on nautical matters as a marvellous instance of accurate description (see Smith's classical work on the subject, "Voyage and Shipwreck of St. Paul" (4th ed., London, 1880). Blass (Acta Apostolorum, 186) says: "Extrema duo capita habent descriptionem clarissimam itineris maritimi quod Paulus in Italiam fecit: quæ descriptio ab homine harum rerum perito judicata est monumentum omnium pretiosissimum, quæ rei navalis ex tote antiquitate nobis relicta est. V. Breusing, 'Die Nautik der Alten' (Bremen, 1886)." See also Knowling "The Acts of the Apostles" in "Exp. Gr. Test." (London, 1900).

VII. LYSANIAS TETRARCH OF ABILENE

Gfrörer, B. Bauer, Hilgenfeld, Keim, and Holtzmann assert that St. Luke perpetrated a gross chronological blunder of sixty years by making Lysanias, the son of Ptolemy, who lived 36 B.C., and was put to death by Mark Antony, tetrarch of Abilene when John the Baptist began to preach (iii, 1). Strauss says: "He [Luke] makes rule, 30 years after the birth of Christ, a certain Lysanias, who had certainly been slain 30 years previous to that birth--a slight error of 60 years." On the face of it, it is highly improbable that such a careful writer as St. Luke would have gone out of his way to run the risk of making such a blunder, for the mere purpose of helping to fix the date of the public ministry. Fortunately, we have a complete refutation supplied by Schürer, a writer by no means over friendly to St. Luke, as we shall see when treating of the Census of Quirinius. Ptolemy Mennæus was King of the Itureans (whose kingdom embraced the Lebanon and plain of Massyas with the capital Chalcis, between the Lebanon and Anti-Lebanon) from 85-40 B.C. His territories extended on the east towards Damascus, and on the south embraced Panias, and part, at least, of Galilee. Lysanias the older succeeded his father Ptolemy about 40 B.C. (Josephus, "Ant.", XIV, xii, 3; "Bell Jud.", I, xiii, 1), and is styled by Dion Cassius "King of the Itureans" (XLIX, 32). After reigning about four or five years he was put to death by Mark Antony, at the instigation of Cleopatra, who received a large portion of his territory (Josephus, "Ant.", XV, iv, 1; "Bel. Jud.", I, xxii, 3; Dion Cassius, op. cit.).

As the latter and Porphyry call him "king", it is doubtful whether the coins bearing the superscription "Lysanias tetrarch and high priest" belong to him, for there were one or more later princes called Lysanias. After his death his kingdom was gradually divided up into at least four districts, and the three principal ones were certainly not called after him. A certain Zenodorus took on lease the possessions of Lysanias, 23 B.C., but Trachonitis was soon taken from him and given to Herod. On the death of Zenodorus in 20 B.C., Ulatha and Panias, the territories over which he ruled, were given by Augustus to Herod. This is called the tetrarchy of Zenodorus by Dion Cassius. "It seems therefore that Zenodorus, after the death of Lysanias, had received on rent a portion of his territory from Cleopatra, and that after Cleopatra's death this 'rented' domain, subject to tribute, was continued to him with the title of tetrarch" (Schürer, I, II app., 333, i). Mention is made on a monument, at Heliopolis, of "Zenodorus, son of the tetrarch Lysanias". It has been generally supposed that this is the Zenodorus just mentioned, but it is uncertain whether the first Lysanias was ever called tetrarch. It is proved from the inscriptions that there was a genealogical connection between the families of Lysanias and Zenodorus, and the same name may have been often repeated in the family. Coins for 32, 30, and 25 B.C., belonging to our Zenodorus, have the superscription, "Zenodorus tetrarch and high priest.' After the death of Herod the Great a portion of the tetrarchy of Zenodorus went to Herod's son, Philip (Jos., "Ant.", XVII, xi, 4), referred to by St. Luke, "Philip being tetrarch of Iturea" (Luke 3:1).

Another tetrarchy sliced off from the dominions of Zenodorus lay to the east between Chalcis and Damascus, and went by the name of Abila or Abilene. Abila is frequently spoken of by Josephus as a tetrarchy, and in "Ant.", XVIII, vi, 10, he calls it the "tetrarchy of Lysanias". Claudius, in A.D. 41, conferred "Abila of Lysanias" on Agrippa I (Ant., XIX, v, 1). In a. D. 53, Agrippa II obtained Abila, "which last had been the tetrarchy of Lysanias" (Ant., XX., vii, 1). "From these passages we see that the tetrarchy of Abila had belonged previously to A.D. 37 to a certain Lysanias, and seeing that Josephus nowhere previously makes any mention of another Lysanias, except the contemporary of Anthony and Cleopatra, 40-36 B.C. . . . criticism has endeavoured in various ways to show that there had not afterwards been any other, and that the tetrarchy of Abilene had its name from the older Lysanias. But this is impossible" (Schürer, 337). Lysanias I inherited the Iturean empire of his father Ptolemy, of which Abila was but a small and very obscure portion. Calchis in Coele-Syria was the capital of his kingdom, not Abila in Abilene. He reigned only about four years and was a comparatively obscure individual when compared with his father Ptolemy, or his successor Zenodorus, both of whom reigned many years. There is no reason why any portion of his kingdom should have been called after his name rather than theirs, and it is highly improbable that Josephus speaks of Abilene as called after him seventy years after his death. As Lysanias I was king over the whole region, one small portion of it could not be called his tetrarchy or kingdom, as is done by Josephus (Bel. Jud., II, xii, 8). "It must therefore be assumed as certain that at a later date the district of Abilene had been severed from the kingdom of Calchis, and had been governed by a younger Lysanias as tetrarch" (Schürer, 337). The existence of such a late Lysanias is shown by an inscription found at Abila, containing the statement that a certain Nymphaios, the freedman of Lysanias, built a street and erected a temple in the time of the "August Emperors". Augusti (Sebastoi) in the plural was never used before the death of Augustus, A.D. 14. The first contemporary Sebastoi were Tiberius and his mother Livia, i.e. at a time fifty years after the first Lysanias. An inscription at Heliopolis, in the same region, makes it probable that there were several princes of this name. "The Evangelist Luke is thoroughly correct when he assumes (iii, 1) that in the fifteenth year of Tiberius there was a Lysanias tetrarch of Abilene" (Schürer, op. cit., where full literature is given; Vigouroux, op. cit.).

VIII. WHO SPOKE THE MAGNIFICAT?

Lately an attempt has been made to ascribe the Magnificat to Elizabeth instead of to the Blessed Virgin. All the early Fathers, all the Greek manuscripts, all the versions, all the Latin manuscripts (except three) have the reading in Luke, i, 46: Kai eipen Mariam--Et ait Maria [And Mary said]: Magnificat anima mea Dominum, etc. Three Old Latin manuscripts (the earliest dating from the end of the fourth cent.), a, b, l (called rhe by Westcott and Hort), have Et ait Elisabeth. These tend to such close agreement that their combined evidence is single rather than threefold. They are full of gross blunders and palpable corruptions, and the attempt to pit their evidence against the many thousands of Greek, Latin, and other manuscripts, is anything but scientific. If the evidence were reversed, Catholics would be held up to ridicule if they ascribed the Magnificat to Mary. The three manuscripts gain little or no support from the internal evidence of the passage. The Magnificat is a cento from the song of Anna (1 Samuel 2), the Psalms, and other places of the Old Testament. If it were spoken by Elizabeth it is remarkable that the portion of Anna's song that was most applicable to her is omitted: "The barren hath borne many: and she that had many children is weakened." See, on this subject, Emmet in "The Expositor" (Dec., 1909); Bernard, ibid. (March, 1907); and the exhaustive works of two Catholic writers: Ladeuze, "Revue d'histoire ecclésiastique" (Louvain, Oct., 1903); Bardenhewer, "Maria Verkündigung" (Freiburg, 1905).

IX. THE CENSUS OF QUIRINIUS

No portion of the New Testament has been so fiercely attacked as Luke, ii, 1-5. Schürer has brought together, under six heads, a formidable array of all the objections that can he urged against it. There is not space to refute them here; but Ramsay in his "Was Christ born in Bethlehem?" has shown that they all fall to the ground:--

(1) St. Luke does not assert that a census took place all over the Roman Empire before the death of Herod, but that a decision emanated from Augustus that regular census were to be made. Whether they were carried out in general, or not, was no concern of St. Luke's. If history does not prove the existence of such a decree it certainly proves nothing against it. It was thought for a long time that the system of Indictions was inaugurated under the early Roman emperors, it is now known that they owe their origin to Constantine the Great (the first taking place fifteen years after his victory of 312), and this in spite of the fact that history knew nothing of the matter. Kenyon holds that it is very probable that Pope Damasus ordered the Vulgate to be regarded as the only authoritative edition of the Latin Bible; but it would be difficult to Prove it historically. If "history knows nothing" of the census in Palestine before 4 B.C. neither did it know anything of the fact that under the Romans in Egypt regular personal census were held every fourteen years, at least from A.D. 20 till the time of Constantine. Many of these census papers have been discovered, and they were called apographai, the name used by St. Luke. They were made without any reference to property or taxation. The head of the household gave his name and age, the name and age of his wife, children, and slaves. He mentioned how many were included in the previous census, and how many born since that time. Valuation returns were made every year. The fourteen years' cycle did not originate in Egypt (they had a different system before 19 B.C.), but most probably owed its origin to Augustus, 8 B.C., the fourteenth year of his tribunitia potestas, which was a great year in Rome, and is called the year I in some inscriptions. Apart from St. Luke and Josephus, history is equally ignorant of the second enrolling in Palestine, A.D. 6. So many discoveries about ancient times, concerning which history has been silent, have been made during the last thirty years that it is surprising modern authors should brush aside a statement of St. Luke's, a respectable first-century writer, with a mere appeal to the silence of history on the matter.

(2) The first census in Palestine, as described by St. Luke, was not made according to Roman, but Jewish, methods. St. Luke, who travelled so much, could not be ignorant of the Roman system, and his description deliberately excludes it. The Romans did not run counter to the feelings of provincials more than they could help. Jews, who were proud of being able to prove their descent, would have no objection to the enrolling described in Luke, ii. Schürer's arguments are vitiated throughout by the supposition that the census mentioned by St. Luke could be made only for taxation purposes. His discussion of imperial taxation learned but beside the mark (cf. the practice in Egypt). It was to the advantage of Augustus to know the number of possible enemies in Palestine, in case of revolt.

(3) King Herod was not as independent as he is described for controversial purposes. A few years before Herod's death Augustus wrote to him. Josephus, "Ant.", XVI, ix., 3, has: "Cæsar [Augustus] . . . grew very angry, and wrote to Herod sharply. The sum of his epistle was this, that whereas of old he used him as a friend, he should now use him as his subject." It was after this that Herod was asked to number his people. That some such enrolling took place we gather from a passing remark of Josephus, "Ant.", XVII, ii, 4, "Accordingly, when all the people of the Jews gave assurance of their good will to Cæsar [Augustus], and to the king's [Herod's] government, these very men [the Pharisees] did not swear, being above six thousand." The best scholars think they were asked to swear allegiance to Augustus.

(4) It is said there was no room for Quirinius, in Syria, before the death of Herod in 4 B.C. C. Sentius Saturninus was governor there from 9-6 B.C.; and Quintilius Varus, from 6 B.C. till after the death of Herod. But in turbulent provinces there were sometimes times two Roman officials of equal standing. In the time of Caligula the administration of Africa was divided in such a way that the military power, with the foreign policy, was under the control of the lieutenant of the emperor, who could be called a hegemon (as in St. Luke), while the internal affairs were under the ordinary proconsul. The same position was held by Vespasian when he conducted the war in Palestine, which belonged to the province of Syria--a province governed by an officer of equal rank. Josephus speaks of Volumnius as being Kaisaros hegemon, together with C. Sentius Saturninus, in Syria (9-6 B.C.): "There was a hearing before Saturninus and Volumnius, who were then the presidents of Syria" (Ant., XVI, ix, 1). He is called procurator in "Bel. Jud.", I, xxvii, 1, 2. Corbulo commanded the armies of Syria against the Parthians, while Quadratus and Gallus were successively governors of Syria. Though Josephus speaks of Gallus, he knows nothing of Corbulo; but he was there nevertheless (Mommsen, "Röm. Gesch.", V, 382). A similar position to that of Corbulo must have been held by Quirinius for a few years between 7 and 4 B.C.

The best treatment of the subject is that by Ramsay "Was Christ Born in Bethlehem?" See also the valuable essays of two Catholic writers: Marucchi in "Il Bessarione" (Rome, 1897); Bour, "L'lnscription de Quirinius et le Recensement de S. Luc" (Rome, 1897). Vigouroux, "Le N. T. et les Découvertes Modernes" (Paris, 1890), has a good deal of useful information. It has been suggested that Quirinius is a copyist's error for Quintilius (Varus).

X. SAINT LUKE AND JOSEPHUS

The attempt to prove that St. Luke used Josephus (but inaccurately) has completely broken down. Belser successfully refutes Krenkel in "Theol. Quartalschrift", 1895, 1896. The differences can be explained only on the supposition of entire independence. The resemblances are sufficiently accounted for by the use of the Septuagint and the common literary Greek of the time by both. See Bebb and Headlam in Hast., "Dict. of the Bible", s. vv. "Luke, Gospel of" and "Acts of the Apostles", respectively. Schürer (Zeit. für W. Th., 1876) brushes aside the opinion that St. Luke read Josephus. When Acts is compared with the Septuagint and Josephus, there is convincing evidence that Josephus was not the source from which the writer of Acts derived his knowledge of Jewish history. There are numerous verbal and other coincidences with the Septuagint (Cross in "Expository Times", XI, 5:38, against Schmiedel and the exploded author of "Sup. Religion"). St. Luke did not get his names from Josephus, as contended by this last writer, thereby making the whole history a concoction. Wright in his "Some New Test. Problems" gives the names of fifty persons mentioned in St. Luke's Gospel. Thirty-two are common to the other two Synoptics, and therefore not taken from Josephus. Only five of the remaining eighteen are found in him, namely, Augustus Cæsar, Tiberius, Lysanias, Quirinius, and Annas. As Annas is always called Ananus in Josephus, the name was evidently not taken from him. This is corroborated by the way the Gospel speaks of Caiphas. St. Luke's employment of the other four names shows no connection with the Jewish historian. The mention of numerous countries, cities, and islands in Acts shows complete independence of the latter writer. St. Luke's preface bears a much closer resemblance to those of Greek medical writers than to that of Josephus. The absurdity of concluding that St. Luke must necessarily be wrong when not in agreement with Josephus is apparent when we remember the frequent contradictions and blunders in the latter writer.

APPENDIX: BIBLICAL COMMISSION DECISIONS

The following answers to questions about this Gospel, and that of St. Mark, were issued, 26 June, 1913, by the Biblical Commission. That Mark, the disciple and interpreter of Peter, and Luke, a doctor, the assistant and companion of Paul, are really the authors of the Gospels respectively attributed to them is clear from Tradition, the testimonies of the Fathers and ecclesiastical writers, by quotations in their writings, the usage of early heretics, by versions of the New Testament in the most ancient and common manuscripts, and by intrinsic evidence in the text of the Sacred Books. The reasons adduced by some critics against Mark's authorship of the last twelve versicles of his Gospel (xvi, 9-20) do not prove that these versicles are not inspired or canonical, or that Mark is not their author. It is not lawful to doubt of the inspiration and canonicity of the narratives of Luke on the infancy of Christ (i-ii), on the apparition of the Angel and of the bloody sweat (xxii, 43-44); nor can it be proved that these narratives do not belong to the genuine Gospel of Luke.

The very few exceptional documents attributing the Magnificat to Elizabeth and not to the Blessed Virgin should not prevail against the testimony of nearly all the codices of the original Greek and of the versions, the interpretation required by the context, the mind of the Virgin herself, and the constant tradition of the Church.

It is according to most ancient and constant tradition that after Matthew, Mark wrote his Gospel second and Luke third; though it may be held that the second and third Gospels were composed before the Greek version of the first Gospel. It is not lawful to put the date of the Gospels of Mark and Luke as late as the destruction of Jerusalem or after the siege had begun. The Gospel of Luke preceded his Acts of the Apostles, and was therefore composed before the end of the Roman imprisonment, when the Acts was finished (Acts 28:30-31). In view of Tradition and of internal evidence it cannot be doubted that Mark wrote according to the preaching of Peter, and Luke according to that of Paul, and that both had at their disposal other trustworthy sources, oral or written.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IX, New York, 1910 (http://www.newadvent.org/cathen/09420a.htm)

Augustinus
18-10-07, 10:57
http://www.wga.hu/art/s/stom/markluke.jpg Matthias Stom, SS. Marco e Luca evangelisti, 1635 circa, collezione privata

http://www.wga.hu/art/t/tintoret/2_1550s/08gigli2.jpg Tintoretto, I]SS. Luca e Matteo evangelisti[/I], 1557, Santa Maria del Giglio, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tiziano/01b/33luke.jpg Tiziano Vecellio, S. Luca, Santa Maria della Salute, Venezia

http://www.wga.hu/art/v/vasari/st_luke.jpg http://www.wga.hu/art/v/vasari/st_luke1.jpg Giorgio Vasari, S. Luca dipinge la Vergine, 1585 circa, SS. Annunziata, Firenze

http://www.wga.hu/art/v/veronese/02a/3sacrist/3luke.jpg Paolo Veronese, S. Luca, 1555, San Sebastiano, Venezia

Augustinus
18-10-08, 06:50
http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M1982/M1982_1_2_610.jpg Jacques Callot, S. Luca, 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

Augustinus
18-10-08, 07:10
http://www.wga.hu/art/z/zurbaran/2/st_luke.jpg http://www.museodelprado.es/uploads/tx_gbobras/p02594a01nf2005.jpg Francisco de Zurbarán, S. Luca come pittore dinanzi al Crocefisso, 1630-39, Museo del Prado, Madrid

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/JZOZ4U/07-521144.jpg Scuola fiamminga, I quattro evangelisti, XVI sec., musée national de la Renaissance, Ecouen

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/4ZHBJ0/06-515567.jpg Charles de La Fosse, S. Luca, XVII sec., castello di Versailles e di Trianon, Versailles

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/5F5VT/95-022004.jpg Jules Claude Ziegler, S. Luca dipinge la Vergine, XIX sec., musée Magnin, Digione

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/CAD3S/76-001078.jpg Colijn de Coter, S. Luca dipinge la Vergine, XV sec., chiesa, Vieure

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/KQRF8P/80-000604.jpg Valentin de Boulogne, S. Luca, XVII sec., castello di Versailles e di Trianon, Versailles

Augustinus
18-10-08, 07:32
http://www.wga.hu/art/g/gossaert/1/st_luke.jpg http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.BAL.856130.7055475/28479.JPG Jan (Mabuse) Gossaert, S. Luca dipinge la Vergine, 1520-25, Kunsthistorisches Museum, Vienna

http://images.bridgeman.co.uk/cgi-bin/bridgemanImage.cgi/600.ADL.7516820.7055475/282978.JPG Bartolomeo Passerotti, Incoronazione della Vergine con i SS. Luca, Domenico e Giovanni evangelista, 1580 circa, Art Gallery of South Australia, Adelaide

http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/OSE9CA/08-524570.jpg http://www.wga.hu/art/m/mantegna/1/altar.jpg http://img135.imageshack.us/img135/6074/lukeuw9.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/GG0KEZ/08-524554.jpg http://www.wga.hu/art/m/mantegna/1/altar1.jpg Andrea Mantegna, Pala di S. Luca (SS. Daniele di Padova, Girolamo, Vergine addolorata, Cristo, Giovanni evangelista, Agostino, Sebastiano, Scolastica, Prosdocimo, Luca, Benedetto e Giustina), 1453-54, Pinacoteca di Brera, Milano

Augustinus
18-10-08, 08:51
http://www.wga.hu/art/h/heemsker/1/lukepain.jpg http://www.wga.hu/art/h/heemsker/1/lukepaix.jpg Maerten van Heemskerck, S. Luca dipinge la Vergine, 1532, Frans Halsmuseum, Haarlem

http://www.wga.hu/art/h/heemsker/2/luke_pai.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/H67MF/05-522473.jpg Maerten van Heemskerck, S. Luca dipinge la Vergine, 1550-53, Musée des Beaux-Arts, Rennes

http://www.wga.hu/art/c/carracci/annibale/1/virgin.jpg http://img337.imageshack.us/img337/946/lukemt2.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/HW0KEZ/98-016288.jpg Annibale Carracci, La Vergine appare ai SS. Luca e Caterina d'Alessandria, 1592, Groeninge Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
18-10-08, 09:07
http://www.wga.hu/art/v/vos/marten/lukepain.jpg http://www.catholictradition.org/Saints/saints10-12b.jpg Marten de Vos, S. Luca dipinge la Vergine, 1602, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/4gimigna/3vault.jpg Benozzo Gozzoli, I quattro evangelisti, 1464-65, Cappella absidale, Chiesa di S. Agostino, S. Gimignano

http://img48.imageshack.us/img48/5521/lapparitiondelaviergeasaintluc.jpg http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/30891_p0003564.002.jpg Jacopo Chimenti, detto Jacopo da Empoli, La Vergine appare ai SS. Luca ed Ivo de Tréguier, 1579, Musée du Louvre, Parigi

http://www.catholictradition.org/Saints/saints10-12.jpg http://www.fondazione-delbianco.org/images/restauration/S_Luca---Cresti_big.jpg Domenico Crespi detto Il Passignano, S. Luca dipinge la Vergine col Bambino, 1598 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

Augustinus
18-10-08, 17:46
DIE 18 OCTOBRIS

SANCTI LUCÆ EVANGELISTÆ

Duplex II classis

Introitus

Ps. 138, 17

MIHI autem nimis honoráti sunt amíci tui, Deus: nimis confortátus est principátus eórum. Ps. ibid., 1-2. Dómine, probásti me, et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam, et resurrectiónem meam. V/. Glória Patri. Mihi autem.

Oratio

INTERVÉNIAT pro nobis, quaésumus, Dómine, sanctus tuus Lucas Evangelísta: qui crucis mortificatiónem júgiter in suo córpore, pro tui nóminis honóre, portávit. Per Dóminum.

Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios

II Cor. 8, 16-24

FRATRES: Grátias ago Deo, qui dedit eámdem sollicitúdinem pro vobis in corde Titi, quóniam exhortatiónem quidem suscépit: sed cum sollicítior esset, sua voluntáte proféctus est ad vos. Mísimus étiam cum illo fratrem, cujus laus est in Evangélio per omnes ecclésias: non solum autem, sed et ordinátus est ab ecclésiis comes peregrinatiónis nostrae in hanc grátiam, quae ministrátur a nobis ad Dómini glóriam, et destinátam voluntátem nostram: devitántes hoc, ne quis nos vitúperet in hac plenitúdine, quae ministrátur a nobis. Providémus enim bona non solum coram Deo, sed étiam coram homínibus. Mísimus autem cum illis et fratrem nostrum, quem probávimus in multis saepe sollícitum esse: nunc autem multo sollicitiórem, confidéntia multa in vos, sive pro Tito, qui est sócius meus, et in vos adjútor, sive fratres nostri, Apóstoli ecclesiárum, glória Christi. Ostensiónem ergo, quae est caritátis vestrae et nostrae glóriae pro vobis, in illos osténdite in fáciem ecclesiárum.

Graduale. Ps. 18, 5 et 2. In omnem terram exívit sonus eórum: et in fines orbis terrae verba eórum. V/. Caeli enárrant glóriam Dei: et ópera mánuum ejus annúntiat firmaméntum.

Allelúja, allelúja. V/. Joann. 15, 16. Ego vos elégi de mundo, ut eátis et fructum afferátis: et fructus vester máneat. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam

Luc. 10, 1-9

IN ILLO témpore: Designávit Dóminus et álios septuagínta duos: et misit illos binos ante fáciem suam in omnem civitátem et locum, quo erat ipse ventúrus. Et dicébat illis: Messis quidem multa, operárii autem pauci. Rogáte ergo Dóminum messis, ut mittat operários in messem suam. Ite: ecce, ego mitto vos sicut agnos inter lupos. Nolíte portáre sácculum, neque peram, neque calceaménta, et néminem per viam salutavéritis. In quamcúmque domum intravéritis, primum dícite: Pax huic dómui: et si ibi fúerit fílius pacis, requiéscet super illum pax vestra: sin autem, ad vos revertétur. In eádem autem domo manéte, edéntes et bibéntes quae apud illos sunt: dignus est enim operárius mercéde sua. Nolíte transíre de domo in domum. Et in quamcúmque civitátem intravéritis, et suscéperint vos, manducáte quae apponúntur vobis: et curáte infírmos, qui in illa sunt, et dícite illis: Appropinquávit in vos regnum Dei.

Credo.

Offertorium. Ps. 138, 17. Mihi autem nimis honoráti sunt amíci tui, Deus: nimis confortátus est principátus eórum.

Secreta

DONIS caeléstibus da nobis, quaésumus, Dómine, líbera tibi mente servíre: ut múnera quae deférimus, interveniénte beáto Evangelísta tuo Luca, et medélam nobis operéntur, et glóriam. Per Dóminum.

Præfatio de Apostolis.

Communio. Matth. 19, 28. Vos, qui secúti estis me, sedébitis super sedes, judicántes duódecim tribus Israël.

Postcommunio

PRAESTA, quaésumus, omnípotens Deus: ut, quod de sancto altári tuo accépimus, précibus beáti Evangelístae tui Lucae sanctíficet ánimas nostras, per quod tuti esse possímus. Per Dóminum.

¶ In Missis votivis post Septuagesimam omnia dicuntur ut supra, sed post Graduale, omissis Allelúja, et Versu sequenti, dicitur

Tractus. Ps. 20, 3-4. Desidérium ánimæ eius tribuísti ei: et voluntáte labiórum ejus non fraudásti eum. V/. Quóniam prævenísti eum in benedictiónibus dulcédinis. V/. Posuísti in cápite ejus corónam de lápide pretióso.

Tempore autem Paschali Missa Protexísti, de Communi Martyrum 1° loco infra, cum Orationibus, Epistola et Evangelio ut supra.

FONTE (http://www.clerus.org/bibliaclerusonline/pt/ob.htm#b4z)

Holuxar
18-10-16, 18:58
18 ottobre 2016: San Luca Evangelista…





San Luca Evangelista - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-luca-evangelista/)
"18 ottobre, San Luca Evangelista.
Glorioso San Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, la scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformare sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua assistenza, avete dato a tutti i popoli nei vostri libri divini. Così sia."


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18/10: San Luca Evangelista (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=25617)
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“18 ottobre 2016: SAN LUCA, EVANGELISTA.”

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“Il 18 ottobre 707 muore Papa Giovanni VII, Sommo Pontefice”
“Muore ad Ancona il 18 ottobre 1417 Gregorio XII Correr, già Sommo Pontefice sino al 4 luglio 1415”
“Muore il 18 ottobre 1503 Papa Pio III Piccolomini, Sommo Pontefice”
“Giovanni di Brienne, Imperatore di Costantinopoli e Re di Gerusalemme, morto quasi ottantenne, ricco di gloria e privo di ricchezze.”







“Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore (https://www.facebook.com/carlomariadipietro/?fref=nf)
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare San Luca, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito.
Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo Santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, San Luca possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr (https://www.facebook.com/hashtag/sdgcdpr?source=feed_text&story_id=1150519474984460)”


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Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 18 ottobre. San Luca, evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm
“18 OTTOBRE SAN LUCA, EVANGELISTA.
La benignità del Salvatore.
San Paolo, nell'epistola a Tito, ricorda per due volte che è "apparsa sulla terra la benignità e l'umanità di Dio Salvatore". Si direbbe che abbia ripetute spesso quelle parole al discepolo prediletto, san Luca, nelle conversazioni, nei viaggi, nella loro lunga intimità.
Se è cosa difficile stabilire differenze e anche soltanto fare confronti tra i Santi e più ancora fra gli Evangelisti, si può tuttavia notare che il Vangelo di san Luca ci presenta prima di tutto un Salvatore buono e misericordioso. San Luca era uomo di talento, conosceva in modo mirabile il greco, descriveva e dipingeva con garbo scene e paesaggi e aveva un'anima squisita per bontà e dolcezza che dava al talento un'attrattiva straordinaria.
Il medico.
San Luca aveva fatto studi di medicina e san Paolo lo chiama "medico carissimo". Nelle narrazioni di guarigioni operate da Gesù rivela la sua qualità di medico sa dissimulare a perfezione quando qualcosa non giova alla buona fama dei medici, come nel caso dell'emorroissa, mentre gli altri evangelisti indugiano sulla incapacità della scienza umana quasi con compiacenza.
Il ritrattista.
L'abilità di narratore e di pittore gli ha fatto attribuire il ritratto della Vergine Maria, ma il ritratto più bello della Madre del Salvatore egli ce lo dà nel Vangelo e negli Atti e si pensa con ragione che egli abbia conosciuti i dettagli sull'infanzia del Signore da Maria stessa o dai suoi confidenti immediati.
Si può dire ancora che egli fu un pittore eccellente del salvatore Gesù. Nel suo racconto, non solo evitò qualsiasi anche apparente severità per le persone, ma notò pure appena di passaggio le crudeltà delle quali il Salvatore fu vittima durante la Passione. Si fermò invece con compiacenza a descrivere a lungo i primi tempi della vita di Gesù, presentandolo sempre con la Madre e parlando spesso della sua preghiera, della sua misericordia per i peccatori, della sua pazienza verso i nemici. Egli ci ha dato i racconti della donna peccatrice, del buon Samaritano, del figlio prodigo, del buon ladrone, dei discepoli di Emmaus e in tutta la narrazione appare preoccupato ispirarci confidenza nella "benignità e umanità del nostra Salvatore" venuto per salvare "tutti gli uomini". Egli vuole persuaderci che tutte le miserie umane, fisiche e morali, possono essere guarite dal Salvatore del quale l'Apostolo, i primi discepoli e la Vergine stessa gli hanno parlato; vuole che intendiamo come rivolte a noi le parole di tenerezza di Gesù: "Dico a voi, che siete miei amici... Non temete, piccolo gregge... " e, leggendo si comprende che lo sguardo di Gesù durante la Passione non si ferma solo su Pietro, ma sopra ciascuno di noi.
La mortificazione della croce.
Tuttavia san Luca non pecca di omissione. Ci attira al Maestro, ma non esita a dirci che per seguirlo ed essere degni di Lui, bisogna prendere la croce, rinunciare totalmente a se stessi, abbandonare le proprie cose. Siccome questo non si fa senza sacrificio, egli ce lo dice con dolcezza, imitando la melodia gregoriana del Communio del Comune dei martiri, che si fa carezzevole, seducente, per portarci a prendere con Gesù la croce ogni giorno.
Egli pure prese la sua croce e la Chiesa nell'Orazione della Messa lo loda "per aver portato sempre nel suo corpo la mortificazione della croce, per la gloria di Dio". Se la Chiesa usa il colore rosso dei martiri, per onorare colui che fra gli Apostoli e gli Evangelisti solo non versò il sangue per Cristo, bisogna che la sua mortificazione sia stata ben meritoria. Fu essa il suo martirio, martirio non di qualche giorno o di qualche ora, ma di tutta la vita, forse ignoto ai contemporanei, ma noto alla Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo lo glorifica oggi nella Liturgia.
L'insegnamento.
Per noi c'è qui un insegnamento. Come san Luca, possiamo e dobbiamo essere martiri. Col battesimo ci siamo impegnati a preferire la morte al peccato mortale e avviene che noi dobbiamo scegliere tra la morte e il peccato. Bisogna allora scegliere senza esitazione, certi della ricompensa che seguirà alla scelta.
Ma d'ordinario non possiamo scegliere tra morte e peccato, e la coscienza ci impone soltanto di rinunciare al nostro egoismo e ce lo impone tutti i giorni e, siccome tutti i giorni lo sforzo si rinnova, noi qualche volta cediamo, rinunciando all'amicizia o per lo meno all'intimità divina, conservando nel cuore un poco di amor proprio. Se vi rinunciassimo, ci assicureremmo la gloria che riceve san Luca nella sua eternità beata. La sua intercessione e il suo esempio possano aiutarci a camminare sulle sue orme e su quelle del salvatore e della Madre sua dei quali il Vangelo ci presenta una così seducente figura.
VITA. - Luca nacque ad Antiochia da famiglia pagana e si convertì senza dubbio verso l'anno 40. Incontrandolo a Troade, san Paolo lo prese per compagno nel secondo viaggio a Filippi, nel 49. Più tardi Luca si unisce definitivamente all'Apostolo. Dopo la morte di san Paolo, Luca lascia Roma e da allora noi perdiamo le sue tracce e più nulla sappiamo di lui.
Luca è tutto bontà e dolcezza e sfrutta il suo talento letterario, scrivendo il suo Vangelo verso il 60 con lo scopo di attirare i gentili verso la bellezza e la misericordia del Signore. Più tardi scrive gli Atti degli Apostoli. Muore, senza versare il sangue per Cristo, ma la Chiesa l'onora come martire, per la mortificazione e le sofferenze sopportate in vita per la causa del Vangelo.
La mortificazione della croce.
Sii benedetto, o Evangelista dei gentili, per aver posto fine alla lunga notte, che ci teneva prigionieri e soffocava i nostri cuori.. Confidente nella Madre di Dio, l'anima tua risente del profumo verginale di queste relazioni e lo riverbera negli scritti e in tutta la vita. Nell'opera grandiosa in cui l'Apostolo delle genti, troppo spesso abbandonato e tradito, ti trovò ugualmente fedele nel momento del naufragio (Atti 27) e della prigionia (II Tim. 4, 11) come nei giorni migliori furono tua parte la tenerezza discreta e la silenziosa devozione. Perciò a buon diritto la Chiesa applica a te le parole che Paolo diceva di se stesso: sempre siamo tribolati, esitanti, perseguitati, abbattuti, portando nel nostro corpo la morte di Gesù, questa morte che manifesta senza fine la vita del Signore nella nostra carne mortale (II Cor. 4, 8-11). Il figlio dell'uomo, che la tua penna ispirata ci fece amare nel suo Vangelo, tu lo riproduci nella sua santità in te stesso.
Il pittore.
Custodisci in noi il frutto dei tuoi molteplici insegnamenti. Se i pittori cristiani ti onorano, se è bene che imparino da te che l'ideale di ogni bellezza risiede nel Figlio e nella Madre sua, vi è tuttavia un'arte, che sorpassa quella delle linee e dei colori: quella che produce in noi la rassomiglianza divina. In questa noi vogliamo eccellere alla tua scuola, perché sappiamo di san Paolo, il tuo maestro, che la conformità di immagine con il Figlio di Dio è l'unico titolo alla predestinazione degli eletti (Rom. 8, 29).
Il medico.
Proteggi i medici fedeli, che si onorano di camminare suoi tuoi passi e si appoggiano, nel loro ministero di sacrificio e di carità, alla fiducia di cui tu godi presso l'autore della vita. Aiutali nelle cure rivolte a guarire e a sollevare le sofferenze e ispira il loro zelo quando il momento di una temibile morte si approssima.
Purtroppo il mondo, nella sua senile debolezza, richiede la dedizione di chiunque sia in grado, con la preghiera e con l'azione di scongiurare la sua crisi. Quando il figlio dell'uomo ritornerà credete che troverà ancora la fede sulla terra? (Lc. 18, 8) così parla il Signore nel tuo Vangelo, ma aggiunge che bisogna pregare senza interruzione (ibidem), per la Chiesa dei tempi nostri e di tutti i tempi secondo la parabola della vedova importuna, che finisce per aver ragione del giudice iniquo, che ha in mano la sua causa. Dio non renderà giustizia ai suoi eletti, se continuamente lo supplicheranno? tollererà che siano oppressi senza fine? Io vi dico: li vendicherà con prontezza (ivi, 2-8).
da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1196-1199.”








18 Ottobre - San Luca Evangelista (http://www.preghiereperlafamiglia.it/san-luca-evangelista.htm)
“18 OTTOBRE SAN LUCA EVANGELISTA
Medico, evangelista, collaboratore di san Paolo nell'impegno missionario. È l'unico dei quattro evangelisti a non essersi limitato a raccontare la vita di Gesù (il Vangelo), ma ha descritto anche le vicende della Chiesa primitiva in un altro libro del Nuovo Testamento: gli Atti degli Apostoli". Egli ci ha lasciato il Vangelo più lungo e raffinato da un punto di vista linguistico. In esso è molto sviluppata la parte dell'infanzia di Cristo, dove troviamo episodi, riportati solo da lui, che danno particolare rilievo alla figura di Maria. Luca pone in luce l'universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri e i peccatori; fa annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti. È stato definito da Dante "lo scriba della mansuetudine di Cristo", perché nelle pagine del suo Vangelo predominano Ia dolcezza, la gioia, l'amore.
PREGHIERA A SAN LUCA EVANGELISTA
Glorioso S. Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, a scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformar sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua dettatura, avete dato a tutti ì popoli nei vostri libri divini.
Glorioso S. Luca, che per la verginità di cui faceste costantemente professione, meritaste d’avere una speciale famigliarità colla regina delle vergini, Maria Santissima, che vi erudì personalmente, non solo in ciò che riguarda la sua divina elezione in Vera Madre di Dio, ma ancora in tutti i misteri dell’incarnazione del Verbo, de’ suoi primi passi nel mondo, e della privata sua vita; ottenete a noi tutti la grazia di amar anche noi costantemente la bella virtù della purità, per meritarci noi pure quei favori che agli imitatori fedeli delle sue virtù dispensa sempre generosissima la comune avvocata e madre nostra Maria.
Gloria.”





"18 Ottobre : San Luca Evangelista - Preghiera - La strada per la felicità (http://lucedidio.over-blog.it/article-18-ottobre-san-luca-evangelista-preghiera-120644485.html)
http://lucedidio.over-blog.it/article-18-ottobre-san-luca-evangelista-preghiera-120644485.html
18 Ottobre : San Luca Evangelista - Preghiera (http://lucedidio.over-blog.it/article-18-ottobre-san-luca-evangelista-preghiera-120644485.html)
Preghiera a San Luca Evangelista
Glorioso S. Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, a scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformar sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua dettatura, avete dato a tutti ì popoli nei vostri libri divini.
Glorioso S. Luca, che per la verginità di cui faceste costantemente professione, meritaste d’avere una speciale famigliarità colla regina delle vergini, Maria Santissima, che vi erudì personalmente, non solo in ciò che riguarda la sua divina elezione in Vera Madre di Dio, ma ancora in tutti i misteri dell’incarnazione del Verbo, de’ suoi primi passi nel mondo, e della privata sua vita; ottenete a noi tutti la grazia di amar anche noi costantemente la bella virtù della purità, per meritarci noi pure quei favori che agli imitatori fedeli delle sue virtù dispensa sempre generosissima la comune avvocata e madre nostra Maria.
Gloria al Padre
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio, ora e sempre nei secoli, nei secoli. Amen.”

“Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico», è soprattutto l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l’infanzia di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta fra tutte le donne». Il cuore dell’opera, invece, è costituito da una serie di capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all’Asia Minore, alla Grecia fino a Roma.
Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l’orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.”






18 ottobre - S. Luca, evangelista (https://forum.termometropolitico.it/333477-18-ottobre-s-luca-evangelista.html)





P. S. Auguri di buon onomastico a tutti coloro che, come me, si chiamano Luca come l'Evangelista!

Luca, Sursum Corda!

Holuxar
18-10-17, 17:39
18 ottobre 2017: SAN LUCA, EVANGELISTA...




San Luca - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-luca/)
http://www.sodalitium.biz/san-luca/
"18 ottobre, San Luca Evangelista.
“In Bitinia il natale del beato Luca Evangelista, il quale, dopo aver molto sofferto per il nome di Cristo, morì pieno di Spirito Santo. Le sue ossa furono in seguito portate a Costantinopoli, e di là trasferite a Pàdova”.
Glorioso San Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, la scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformare sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua asistenza, avete dato a tutti i popoli nei vostri libri divini. Così sia."

http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/saint-luke-the-evangelist-18-300x247.jpg






https://www.SaintAmedee.ch
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
"18 Octobre : Saint Luc, Évangéliste (Ier siècle)."


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"18/10: San Luca Evangelista
http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=25617
18/10: San Luca Evangelista « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=25617)
18/10: San Luca Evangelista « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it)"








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“18 ottobre 2016: SAN LUCA, EVANGELISTA.”


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“Il 18 ottobre 707 muore Papa Giovanni VII, Sommo Pontefice”
“Muore ad Ancona il 18 ottobre 1417 Gregorio XII Correr, già Sommo Pontefice sino al 4 luglio 1415”
“Muore il 18 ottobre 1503 Papa Pio III Piccolomini, Sommo Pontefice”
“Giovanni di Brienne, Imperatore di Costantinopoli e Re di Gerusalemme, morto quasi ottantenne, ricco di gloria e privo di ricchezze.”







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https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/
“Carlo Di Pietro - Giornalista e Scrittore
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare San Luca, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito.
Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo Santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, San Luca possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr”

"Carlo Di Pietro - Sursum Corda
18 ottobre, San Luca Evangelista
+ Glorioso San Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, la scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformare sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua asistenza, avete dato a tutti i popoli nei vostri libri divini. Così sia. +"


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Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 18 ottobre. San Luca, evangelista
http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 18 ottobre. San Luca, evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm)
“18 OTTOBRE SAN LUCA, EVANGELISTA.
La benignità del Salvatore.
San Paolo, nell'epistola a Tito, ricorda per due volte che è "apparsa sulla terra la benignità e l'umanità di Dio Salvatore". Si direbbe che abbia ripetute spesso quelle parole al discepolo prediletto, san Luca, nelle conversazioni, nei viaggi, nella loro lunga intimità.
Se è cosa difficile stabilire differenze e anche soltanto fare confronti tra i Santi e più ancora fra gli Evangelisti, si può tuttavia notare che il Vangelo di san Luca ci presenta prima di tutto un Salvatore buono e misericordioso. San Luca era uomo di talento, conosceva in modo mirabile il greco, descriveva e dipingeva con garbo scene e paesaggi e aveva un'anima squisita per bontà e dolcezza che dava al talento un'attrattiva straordinaria.
Il medico.
San Luca aveva fatto studi di medicina e san Paolo lo chiama "medico carissimo". Nelle narrazioni di guarigioni operate da Gesù rivela la sua qualità di medico sa dissimulare a perfezione quando qualcosa non giova alla buona fama dei medici, come nel caso dell'emorroissa, mentre gli altri evangelisti indugiano sulla incapacità della scienza umana quasi con compiacenza.
Il ritrattista.
L'abilità di narratore e di pittore gli ha fatto attribuire il ritratto della Vergine Maria, ma il ritratto più bello della Madre del Salvatore egli ce lo dà nel Vangelo e negli Atti e si pensa con ragione che egli abbia conosciuti i dettagli sull'infanzia del Signore da Maria stessa o dai suoi confidenti immediati.
Si può dire ancora che egli fu un pittore eccellente del salvatore Gesù. Nel suo racconto, non solo evitò qualsiasi anche apparente severità per le persone, ma notò pure appena di passaggio le crudeltà delle quali il Salvatore fu vittima durante la Passione. Si fermò invece con compiacenza a descrivere a lungo i primi tempi della vita di Gesù, presentandolo sempre con la Madre e parlando spesso della sua preghiera, della sua misericordia per i peccatori, della sua pazienza verso i nemici. Egli ci ha dato i racconti della donna peccatrice, del buon Samaritano, del figlio prodigo, del buon ladrone, dei discepoli di Emmaus e in tutta la narrazione appare preoccupato ispirarci confidenza nella "benignità e umanità del nostra Salvatore" venuto per salvare "tutti gli uomini". Egli vuole persuaderci che tutte le miserie umane, fisiche e morali, possono essere guarite dal Salvatore del quale l'Apostolo, i primi discepoli e la Vergine stessa gli hanno parlato; vuole che intendiamo come rivolte a noi le parole di tenerezza di Gesù: "Dico a voi, che siete miei amici... Non temete, piccolo gregge... " e, leggendo si comprende che lo sguardo di Gesù durante la Passione non si ferma solo su Pietro, ma sopra ciascuno di noi.
La mortificazione della croce.
Tuttavia san Luca non pecca di omissione. Ci attira al Maestro, ma non esita a dirci che per seguirlo ed essere degni di Lui, bisogna prendere la croce, rinunciare totalmente a se stessi, abbandonare le proprie cose. Siccome questo non si fa senza sacrificio, egli ce lo dice con dolcezza, imitando la melodia gregoriana del Communio del Comune dei martiri, che si fa carezzevole, seducente, per portarci a prendere con Gesù la croce ogni giorno.
Egli pure prese la sua croce e la Chiesa nell'Orazione della Messa lo loda "per aver portato sempre nel suo corpo la mortificazione della croce, per la gloria di Dio". Se la Chiesa usa il colore rosso dei martiri, per onorare colui che fra gli Apostoli e gli Evangelisti solo non versò il sangue per Cristo, bisogna che la sua mortificazione sia stata ben meritoria. Fu essa il suo martirio, martirio non di qualche giorno o di qualche ora, ma di tutta la vita, forse ignoto ai contemporanei, ma noto alla Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo lo glorifica oggi nella Liturgia.
L'insegnamento.
Per noi c'è qui un insegnamento. Come san Luca, possiamo e dobbiamo essere martiri. Col battesimo ci siamo impegnati a preferire la morte al peccato mortale e avviene che noi dobbiamo scegliere tra la morte e il peccato. Bisogna allora scegliere senza esitazione, certi della ricompensa che seguirà alla scelta.
Ma d'ordinario non possiamo scegliere tra morte e peccato, e la coscienza ci impone soltanto di rinunciare al nostro egoismo e ce lo impone tutti i giorni e, siccome tutti i giorni lo sforzo si rinnova, noi qualche volta cediamo, rinunciando all'amicizia o per lo meno all'intimità divina, conservando nel cuore un poco di amor proprio. Se vi rinunciassimo, ci assicureremmo la gloria che riceve san Luca nella sua eternità beata. La sua intercessione e il suo esempio possano aiutarci a camminare sulle sue orme e su quelle del salvatore e della Madre sua dei quali il Vangelo ci presenta una così seducente figura.
VITA. - Luca nacque ad Antiochia da famiglia pagana e si convertì senza dubbio verso l'anno 40. Incontrandolo a Troade, san Paolo lo prese per compagno nel secondo viaggio a Filippi, nel 49. Più tardi Luca si unisce definitivamente all'Apostolo. Dopo la morte di san Paolo, Luca lascia Roma e da allora noi perdiamo le sue tracce e più nulla sappiamo di lui.
Luca è tutto bontà e dolcezza e sfrutta il suo talento letterario, scrivendo il suo Vangelo verso il 60 con lo scopo di attirare i gentili verso la bellezza e la misericordia del Signore. Più tardi scrive gli Atti degli Apostoli. Muore, senza versare il sangue per Cristo, ma la Chiesa l'onora come martire, per la mortificazione e le sofferenze sopportate in vita per la causa del Vangelo.
La mortificazione della croce.
Sii benedetto, o Evangelista dei gentili, per aver posto fine alla lunga notte, che ci teneva prigionieri e soffocava i nostri cuori.. Confidente nella Madre di Dio, l'anima tua risente del profumo verginale di queste relazioni e lo riverbera negli scritti e in tutta la vita. Nell'opera grandiosa in cui l'Apostolo delle genti, troppo spesso abbandonato e tradito, ti trovò ugualmente fedele nel momento del naufragio (Atti 27) e della prigionia (II Tim. 4, 11) come nei giorni migliori furono tua parte la tenerezza discreta e la silenziosa devozione. Perciò a buon diritto la Chiesa applica a te le parole che Paolo diceva di se stesso: sempre siamo tribolati, esitanti, perseguitati, abbattuti, portando nel nostro corpo la morte di Gesù, questa morte che manifesta senza fine la vita del Signore nella nostra carne mortale (II Cor. 4, 8-11). Il figlio dell'uomo, che la tua penna ispirata ci fece amare nel suo Vangelo, tu lo riproduci nella sua santità in te stesso.
Il pittore.
Custodisci in noi il frutto dei tuoi molteplici insegnamenti. Se i pittori cristiani ti onorano, se è bene che imparino da te che l'ideale di ogni bellezza risiede nel Figlio e nella Madre sua, vi è tuttavia un'arte, che sorpassa quella delle linee e dei colori: quella che produce in noi la rassomiglianza divina. In questa noi vogliamo eccellere alla tua scuola, perché sappiamo di san Paolo, il tuo maestro, che la conformità di immagine con il Figlio di Dio è l'unico titolo alla predestinazione degli eletti (Rom. 8, 29).
Il medico.
Proteggi i medici fedeli, che si onorano di camminare suoi tuoi passi e si appoggiano, nel loro ministero di sacrificio e di carità, alla fiducia di cui tu godi presso l'autore della vita. Aiutali nelle cure rivolte a guarire e a sollevare le sofferenze e ispira il loro zelo quando il momento di una temibile morte si approssima.
Purtroppo il mondo, nella sua senile debolezza, richiede la dedizione di chiunque sia in grado, con la preghiera e con l'azione di scongiurare la sua crisi. Quando il figlio dell'uomo ritornerà credete che troverà ancora la fede sulla terra? (Lc. 18, 8) così parla il Signore nel tuo Vangelo, ma aggiunge che bisogna pregare senza interruzione (ibidem), per la Chiesa dei tempi nostri e di tutti i tempi secondo la parabola della vedova importuna, che finisce per aver ragione del giudice iniquo, che ha in mano la sua causa. Dio non renderà giustizia ai suoi eletti, se continuamente lo supplicheranno? tollererà che siano oppressi senza fine? Io vi dico: li vendicherà con prontezza (ivi, 2-8).
da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1196-1199.”







http://www.preghiereperlafamiglia.it/san-luca-evangelista.htm
“18 OTTOBRE SAN LUCA EVANGELISTA
Medico, evangelista, collaboratore di san Paolo nell'impegno missionario. È l'unico dei quattro evangelisti a non essersi limitato a raccontare la vita di Gesù (il Vangelo), ma ha descritto anche le vicende della Chiesa primitiva in un altro libro del Nuovo Testamento: gli Atti degli Apostoli". Egli ci ha lasciato il Vangelo più lungo e raffinato da un punto di vista linguistico. In esso è molto sviluppata la parte dell'infanzia di Cristo, dove troviamo episodi, riportati solo da lui, che danno particolare rilievo alla figura di Maria. Luca pone in luce l'universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri e i peccatori; fa annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti. È stato definito da Dante "lo scriba della mansuetudine di Cristo", perché nelle pagine del suo Vangelo predominano Ia dolcezza, la gioia, l'amore.
PREGHIERA A SAN LUCA EVANGELISTA
Glorioso S. Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, a scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformar sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua dettatura, avete dato a tutti ì popoli nei vostri libri divini.
Glorioso S. Luca, che per la verginità di cui faceste costantemente professione, meritaste d’avere una speciale famigliarità colla regina delle vergini, Maria Santissima, che vi erudì personalmente, non solo in ciò che riguarda la sua divina elezione in Vera Madre di Dio, ma ancora in tutti i misteri dell’incarnazione del Verbo, de’ suoi primi passi nel mondo, e della privata sua vita; ottenete a noi tutti la grazia di amar anche noi costantemente la bella virtù della purità, per meritarci noi pure quei favori che agli imitatori fedeli delle sue virtù dispensa sempre generosissima la comune avvocata e madre nostra Maria.
Gloria.”





"18 Ottobre : San Luca Evangelista - Preghiera - La strada per la felicità
http://lagioiadellapreghiera.it/article-18-ottobre-san-luca-evangelista-preghiera-120644485.html
18 Ottobre : San Luca Evangelista - Preghiera
Preghiera a San Luca Evangelista
Glorioso S. Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, a scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformar sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua dettatura, avete dato a tutti ì popoli nei vostri libri divini.
Glorioso S. Luca, che per la verginità di cui faceste costantemente professione, meritaste d’avere una speciale famigliarità colla regina delle vergini, Maria Santissima, che vi erudì personalmente, non solo in ciò che riguarda la sua divina elezione in Vera Madre di Dio, ma ancora in tutti i misteri dell’incarnazione del Verbo, de’ suoi primi passi nel mondo, e della privata sua vita; ottenete a noi tutti la grazia di amar anche noi costantemente la bella virtù della purità, per meritarci noi pure quei favori che agli imitatori fedeli delle sue virtù dispensa sempre generosissima la comune avvocata e madre nostra Maria.
Gloria al Padre
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio, ora e sempre nei secoli, nei secoli. Amen.”

“Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico», è soprattutto l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l’infanzia di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta fra tutte le donne». Il cuore dell’opera, invece, è costituito da una serie di capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all’Asia Minore, alla Grecia fino a Roma.
Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l’orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.”








P. S. Auguri di buon onomastico a tutti coloro che, come me, si chiamano Luca come l'Evangelista!

Luca, Sursum Corda!

Holuxar
18-10-18, 22:59
18 OTTOBRE 2018: SAN LUCA, EVANGELISTA…



«18 OTTOBRE SAN LUCA, EVANGELISTA.»
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 18 ottobre. San Luca, evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm



https://www.sursumcorda.cloud/preghiere/1273-preghiera-a-san-luca-evangelista.html
«Preghiera a San Luca Evangelista (18.10) - Sursum Corda Associazione».

https://www.sursumcorda.cloud/comunicati-e-note/1330-comunicato-numero-88-il-vangelo-secondo-san-luca.html
«Il Vangelo secondo San Luca».



https://www.agerecontra.it/2016/10/1810-san-luca-evangelista/
"18/10: San Luca Evangelista."



San Luca - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/san-luca/)
http://www.sodalitium.biz/san-luca/
«18 ottobre, San Luca Evangelista.
“In Bitinia il natale del beato Luca Evangelista, il quale, dopo aver molto sofferto per il nome di Cristo, morì pieno di Spirito Santo. Le sue ossa furono in seguito portate a Costantinopoli, e di là trasferite a Pàdova”.
Glorioso San Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, la scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformare sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua asistenza, avete dato a tutti i popoli nei vostri libri divini. Così sia.»
http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/800px-Grandes_Heures_Anne_de_Bretagne_Saint_Luc.png


http://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/800px-Grandes_Heures_Anne_de_Bretagne_Saint_Luc.png


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"Sante Messe - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium"
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I•M•B•C a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11)”




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
XXI domenica d. Pentecoste (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=H84WydDuFFs
XXI domenica d. Pentecoste (Omelia)
https://www.youtube.com/watch?v=1NiTVwx9HdM
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
http://www.domusmarcellefebvre.it/
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»







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«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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“SAN LUCA
Evangelista.
Doppio di II classe.
Paramenti rossi.
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - 18 ottobre. San Luca, evangelista (http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm)
http://www.unavoce-ve.it/pg-18ott.htm
San Gerolamo, facendosi eco della tradizione, ci dice che Luca era «medico, appartenente alla nazione sira, antiocheno di nascita». Antiochia era una città di fondazione e civiltà greca. Luca era quindi di razza greca e parlava correntemente la lingua greca come l'aramaica. Appunto perché antiocheno, potè entrare molto presto in relazione con san Paolo ed accompagnarlo in una parte dei suoi viaggi. A lui dobbiamo precisamente il libro intitolato Atti apostolici, in cui sono ricordati gli esordi della Chiesa e specialmente i viaggi apostolici di san Paolo. Questo libro fu preceduto da un altro: il Vangelo secondo san Luca, nel quale sono narrati tanti particolari riguardanti la misericordia di Gesù verso i peccatori. Come per la Messa della festa di san Marco, così per quella di oggi il brano di Vangelo è quello in cui son riferite - e solamente da san Luca - le prescrizioni di Gesù ai settantadue discepoli in occasione della loro temporanea missione attraverso la Palestina. Esse sono le regole d'ogni discepolo e d'ogni evangelizzatore.
Passò al Signore verso il 90 a Tebe in Beozia. Le sue reliquie si conservano nella basilica di santa Giustina a Padova, a parte il cranio, che l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo, portò a Praga.
• Dal libro di san Girolamo Prete sugli Scrittori ecclesiastici.
Cap. 7.
Luca, medico d'Antiochia, versato, come lo indicano i suoi scritti, nella lingua Greca, fu discepolo dell'Apostolo san Paolo, e compagno di tutti i suoi viaggi apostolici. Scrisse uno dei Vangeli, e di lui lo stesso Paolo dice: «Abbiamo anche mandato con lui quel fratello, ch'è lodato in tutte le chiese per il Vangelo» (2 Cor 8, 13). E ai Colossesi «Vi saluta Luca, il medico carissimo» (Coloss. 4,4). E a Timoteo: «II solo Luca è con me» (Tim. 4, 21). Egli compose un altro libro eccellente intitolato: gli Atti degli Apostoli, contenente la storia di quel tempo fino al secondo anno del soggiorno di Paolo a Roma, cioè fino al quarto anno di Nerone. Da ciò inferiamo, che il libro fu composto in questa medesima città.
Quindi riputiamo come libri apocrifi i viaggi di Paolo, di Tecla e tutta la favola del Leone battezzato. Perché com'è possibile che un individuo, compagno dell'Apostolo, fra tante altre cose abbia dimenticato solo questo? Di più anche Tertulliano, vicino a quei tempi, racconta che in Asia un certo prete, affezionato all'Apostolo Paolo, essendo stato convinto da san Giovanni d'essere l'autore del libro, e avendo confessato di averlo fatto per amore a san Paolo, fu deposto proprio per questo. Alcuni pensano che ogni volta che san Paolo dice nelle sue lettere «Secondo il mio Vangelo», intenda parlare del Vangelo di Luca.
Luca poi apprese il Vangelo non solo dall'Apostolo Paolo, che non era stato col Signore durante la sua vita mortale, ma anche dagli altri Apostoli; ciò che dichiara lui stesso nel principio del suo libro, dicendo: «Come ci riferirono quelli che fin da principio furono testimoni oculari e ministri della parola» (Luc. 1,2). Quindi egli ha redatto il Vangelo sul rapporto d'altri; gli Atti degli Apostoli invece li ha composti secondo che aveva visto lui stesso. Visse ottantaquattro anni, e non ebbe mai moglie. Fu sepolto a Costantinopoli, nella quale città vennero trasportate le sue ossa dall'Acaia insieme con le reliquie dell'Apostolo sant'Andrea, l'anno ventesimo di Costantino.
SANTA MESSA
- All'Epistola.
San Paolo aveva indetto presso i fedeli da lui convertiti una grande colletta a pro dei cristiani poveri di Gerusalemme; a questa opera aveva preposto Tito ed alcuni altri delegati. Nel brano di lettera che segue, l'Apostolo raccomanda ed accredita ai fedeli di Corinto Tito ed altri due anonimi suoi incaricati. In uno di costoro, «il cui elogio risuona in tutte le chiese per cagion del Vangelo», si è voluto sovente, da Padri ed esegeti, vedere un'allusione a San Luca. Cosa incertissima, ma che spiega perché oggi leggasi detto brano.
- Al Vangelo.
• Omelia di san Gregorio papa.
Omelia 17 sui Vangeli.
Il Signore e Salvatore nostro, fratelli carissimi, ci avvisa ora con parole ed ora con opere. Infatti le sue opere sono precetti; e, quando fa qualche cosa, anche senza dir nulla, ci mostra quello che dobbiamo fare noi. Ecco, dunque, egli manda i discepoli a predicare a due a due, perché sono due i precetti della carità, cioè l'amor di Dio e l'amor del prossimo, e bisogna essere almeno in due per poter praticare la carità. Infatti propriamente parlando, non si esercita la carità verso se stessi; ma l'amore, perché possa essere carità, deve avere per oggetto un altro.
Ecco dunque che il Signore manda i discepoli a predicare a due a due, insinuandoci così tacitamente come, chi non ha carità verso gli altri, in nessun modo deve assumersi l'ufficio della predicazione. E con ragione si dice che li mandò davanti a sé in ogni città e luogo dove egli stava per andare. Infatti il Signore segue i suoi predicatori; la predicazione infatti precede, e allora il Signore viene ad abitare nell'anima nostra, quando è preceduto dalle parole di coloro che ci esortano; ed è così che la verità è ricevuta dallo spirito.
Ed ecco perché Isaia dice agli stessi predicatori: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i sentieri del Dio nostro». Ed il Salmista dice ai figli di Dio: «Preparate la via a colui che ascende da occidente». Infatti il Signore ascese da occidente; perché quanto più il Signore si è abbassato nella sua passione, tanto più ha manifestato la sua gloria nella risurrezione. Ascese veramente da occidente, perché, risorgendo, calpestò la morte che aveva subita. Noi dunque prepariamo la strada a colui che salì da occidente, quando predichiamo alle vostre anime la sua gloria, affinché egli stesso poi venendo, le illumini con la sua presenza e con il suo amore.
Ascoltiamo quello che dice nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9,37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi. Di questa scarsità non possiamo parlare senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova assai di rado chi lavora nella messe del Signore. Ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta.
Perciò riflettete attentamente, fratelli carissimi, sulla parola del Signore: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, perché siamo in grado di operare per voi come si conviene; perché la lingua non resti inattiva dall'esortare, e il nostro silenzio non condanni, presso il giusto giudice, noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori.”
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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare San Luca, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito.
Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo Santo, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, San Luca possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.

18 ottobre, San Luca Evangelista.
+ Glorioso San Luca che, per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli, la scienza divina della salute, registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo, ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa; ottenete a noi tutti la grazia di conformare sempre la nostra vita a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo, e sotto la sua asistenza, avete dato a tutti i popoli nei vostri libri divini. Così sia. +.»


“Cuore Eucaristico di Gesù, fornace della divina carità, date al mondo la pace. (Indulgenza di 300 giorni ogni volta, alle solite condizioni).”
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http://www.centrostudifederici.org/
http://www.centrostudifederici.org/68-giovanilista-parricida-puerile-narcisista/
«Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 78/18 del 18 ottobre 2018, San Luca
Il ’68: giovanilista, parricida, puerile, narcisista
In attesa dell’imminente seminario di studi “Non serviam: il ’68 contro il principio dell’autorità”, che si svolgerà nel corso della “giornata per la regalità sociale di Cristo”, in programma sabato 20/10/2018 a Modena, segnaliamo alcune riflessioni di Marcello Veneziani sul ’68. (...)»

http://www.centrostudifederici.org/non-serviamo-68-principio-dellautorita/
«“Non serviam: il ’68 contro il principio dell’autorità”
Sabato 20 ottobre 2018, presso il salone delle conferenze del “Ristorante Vinicio” a Modena, in Via Emilia Est n. 1526, fraz. Fossalta, la rivista “Sodalitum” e il Centro Studi “Giuseppe Federici” presentano la XIII GIORNATA PER LA REGALITÀ SOCIALE DI CRISTO, col seminario di studi:
“NON SERVIAM: IL ’68 CONTRO IL PRINCIPIO DELL’AUTORITÀ”
Vi sarà un’esposizione di libri e oggettistica a cura di case editrici e associazioni culturali.
Programma della giornata:
– ore 10,30 caffè di benvenuto.
– ore 11,00 recita del “Veni Sancte Spiritus”, presentazione della giornata e apertura dell’esposizione.
– ore 11,15 prima lezione: “LE BASI DEL NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA: CONTRO L’AUTORITÀ DEL PADRE”.
– ore 12,15 pausa per il pranzo.
– ore 15,00 seconda lezione: “’HUMANAE VITAE E CONTRACCEZIONE: LA DESISTENZA DELL’AUTORITÀ”.
– ore 16,00 pausa.
– ore 16,30 terza lezione: “IL VATICANO II ANTICIPAZIONE DEL ’68: LA QUESTIONE DELL’AUTORITÀ NELLA CHIESA”.
– ore 17,30 conclusione della giornata con il canto del “Christus Vincit”.
Le lezioni saranno tenute da don Francesco Ricossa, direttore della rivista “Sodalitium”.(...)»







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“18 ottobre 2018: SAN LUCA, EVANGELISTA.”
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“Il 18 ottobre 707 muore Papa Giovanni VII, Sommo Pontefice”

“Muore ad Ancona il 18 ottobre 1417 Gregorio XII Correr, già Sommo Pontefice sino al 4 luglio 1415”

“Muore il 18 ottobre 1503 Papa Pio III Piccolomini, Sommo Pontefice”

“Giovanni di Brienne, Imperatore di Costantinopoli e Re di Gerusalemme, morto quasi ottantenne, ricco di gloria e privo di ricchezze.”
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“18 ottobre 1867: le truppe pontificie, guidate dal comandate de Charette, conquistano Nerola occupata dai garibaldini. Viva il Papa-Re!”
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Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch)
http://liguesaintamedee.ch
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«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
18 octobre : Saint Luc, Évangéliste (Ier siècle) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/18-octobre-saint-luc)
“18 octobre : Saint Luc, Évangéliste (Ier siècle).”
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P. S. Auguri di buon onomastico anche quest'anno a tutti coloro che, come me, si chiamano Luca come l'Evangelista!!! SAN LUCA EVANGELISTA PREGA PER NOI!!!

Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis!!!
Regina Sacratissimi Rosarii Ora Pro Nobis!!!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!