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Augustinus
13-02-05, 21:13
Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede sul libro "Jesus Symbol of God" Scritto da Padre Roger Haight, S. J.


pubblicata nell'edizione quotidiana del 7-8 febbraio de "L'Osservatore Romano" in lingua italiana.

Introduzione

La Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo uno studio accurato, ha giudicato che il libro "Jesus Symbol of God" (Maryknoll: Orbis Books, 1999) di Padre Roger Haight S.J. contiene gravi errori dottrinali nei confronti di alcune fondamentali verità di fede. È stato pertanto deciso di pubblicare in proposito la presente Notificazione, che conclude la relativa procedura d’esame.

Dopo una prima valutazione da parte di esperti, si decise di affidare direttamente il caso all'Ordinario dell’Autore. Il 14 febbraio 2000 fu trasmessa una serie di "Osservazioni" a Padre Peter-Hans Kolvenbach, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, invitandolo a far conoscere all’Autore gli errori presenti nel libro, e chiedendogli di sottoporre i necessari chiarimenti e rettifiche al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede (cfr "Regolamento per l’esame delle dottrine", cap. II).

La risposta di Padre Roger Haight S.J., presentata il 28 giugno 2000, né chiariva né rettificava gli errori segnalati. Per tale motivo, e tenendo anche conto del fatto che il libro era abbastanza diffuso, fu deciso di procedere ad un esame dottrinale (cfr "Regolamento per l’esame delle dottrine", cap. III), prestando particolare attenzione al metodo teologico dell’Autore.

Dopo la valutazione dei teologi Consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede, la Sessione Ordinaria del 13 febbraio 2002 confermò che "Jesus Symbol of God" conteneva affermazioni erronee, la divulgazione delle quali era di grave danno ai fedeli. Si decise pertanto di seguire la "procedura d’urgenza" (cfr "Regolamento per l’esame delle dottrine", cap. IV).

Al riguardo, conformemente all’art. 26 del "Regolamento per l’esame delle dottrine”, il 22 luglio 2002 fu trasmesso al Preposito Generale della Compagnia di Gesù l’elenco delle affermazioni erronee e una valutazione generale della visione ermeneutica del libro, chiedendogli di invitare Padre Roger Haight S.J. a consegnare, entro due mesi utili, una chiarificazione della sua metodologia ed una correzione, in fedeltà all’insegnamento della Chiesa, degli errori contenuti nel suo libro.

La risposta dell’Autore, consegnata il 31 marzo 2003, fu esaminata dalla Sessione Ordinaria della Congregazione, l’8 ottobre 2003. La forma letteraria del testo era tale da sollevare dubbi sulla sua autenticità, se fosse cioè veramente una risposta personale di Padre Roger Haight S.J.; si chiese pertanto una sua risposta firmata.

Tale risposta sottoscritta giunse il 7 gennaio 2004. La Sessione Ordinaria della Congregazione il 5 maggio 2004 la prese in esame e ribadì il fatto che il libro "Jesus Symbol of God" conteneva affermazioni contrarie alle verità della fede divina e cattolica appartenenti al primo comma della "Professio Fidei", riguardanti la preesistenza del Verbo, la divinità di Gesù, la Trinità, il valore salvifico della morte di Gesù, l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù e della Chiesa, e la risurrezione di Gesù. La valutazione negativa riguardò anche l’uso di un metodo teologico improprio. Si ritenne, quindi, necessaria la pubblicazione di una Notificazione in proposito.

I. Metodo teologico

Nella Prefazione del suo libro, "Jesus Symbol of God", l’Autore afferma che oggi la teologia dovrebbe essere realizzata in dialogo con il mondo postmodemo, ma dovrebbe anche "rimanere fedele alla rivelazione originaria ed alla costante tradizione" (p. xii), nel senso che i dati della fede costituiscono la norma e il criterio per l’ermeneutica teologica. Egli afferma anche che si deve stabilire una "correlazione critica" (cfr pp. 40-47) tra questi dati e le forme e le qualità del pensiero postmodemo, caratterizzato in parte da una storicità radicale e da una coscienza pluralistica (cfr pp. 24, 330-334): "La tradizione deve essere criticamente recepita nella situazione di oggi" (p. 46).

Questa "correlazione critica", però, si traduce, di fatto, in una subordinazione dei contenuti della fede alla loro plausibilità ed intelligibilità nella cultura postmodema (cfr pp. 49-50, 127, 195, 241, 249, 273-274, 278-282, 330-334). Si afferma, per esempio, che a causa dell’odierna coscienza pluralistica, "non si può continuare ad affermare ancora [...] che il cristianesimo sia la religione superiore o che Cristo sia il centro assoluto al quale tutte le altre mediazioni storiche sono relative. [...] Nella cultura postmodema è impossibile pensare [...] che una religione possa pretendere di essere il centro al quale tutte le altre devono essere ricondotte" (p. 333).

Per quanto riguarda, in particolare, il valore delle formule dogmatiche, specialmente cristologiche, nel contesto culturale e linguistico postmoderno, diverso da quello in cui furono elaborate, l’Autore afferma che esse non vanno trascurate, ma neppure acriticamente ripetute perché "nella nostra cultura non hanno lo stesso significato di quando furono elaborate. [...] Pertanto, si deve fare riferimento ai Concili classici ed anche interpretarli esplicitamente per il nostro presente" (p. 16). Di fatto, però, questa interpretazione non si concretizza in proposte dottrinali che trasmettono il senso immutabile dei dogmi inteso dalla fede della Chiesa, né li chiariscono, arricchendone la comprensione. L’interpretazione dell’Autore risulta essere, invece, una lettura non solo diversa, ma contraria al vero significato dei dogmi.

Per quanto riguarda, in particolare, la cristologia, l’Autore afferma che, al fine di superare un "ingenuo positivismo di rivelazione" (p. 173, n. 65), essa dovrebbe essere iscritta nel contesto di una "teoria generale della religione in termini di epistemologia religiosa" (p. 188). Un elemento fondamentale di questa teoria sarebbe il simbolo, quale concreto mezzo storico: una realtà creata (ad es. una persona, un oggetto o un evento) che fa conoscere e rende presente un’altra realtà, che è allo stesso tempo all’interno e distinta dal mezzo stesso, come la realtà trascendente di Dio, a cui essa rimanda (cfr pp. 196-198). Il linguaggio simbolico, strutturalmente poetico, immaginativo e figurativo (cfr pp. 177, 256), esprimerebbe e produrrebbe una determinata esperienza di Dio (cfr p. 11), ma non fornirebbe informazioni oggettive su Dio stesso (cfr p. 9, 210, 282, 471).

Queste posizioni metodologiche conducono ad un’interpretazione gravemente riduttiva e fuorviante delle dottrine della fede, dando luogo ad affermazioni erronee. In particolare, l’opzione epistemologica della teoria del simbolo, così come viene intesa dall’Autore, mina alla base il dogma cristologico che, a partire dal Nuovo Testamento, proclama che Gesù di Nazaret è la persona del Figlio/Verbo divino fattasi uomo (1).

II. La preesistenza del verbo

L’impostazione ermeneutica di partenza conduce l’Autore anzitutto a non riconoscere nel Nuovo Testamento la base per la dottrina della preesistenza del Verbo, neppure nel prologo di Giovanni (cfr pp. 155-178), ove, a suo dire, il Logos dovrebbe essere inteso in senso puramente metaforico (cfr p. 177). Inoltre, egli legge nel pronunciamento del Concilio di Nicea solo l’intenzione di affermare "che niente di meno che Dio era ed è presente e all’opera in Gesù" (p. 284; cfr p. 438), ritenendo che il ricorso al simbolo "Logos" sarebbe da considerarsi semplicemente come presupposto (2), e perciò non oggetto di definizione, e infine non plausibile nella cultura postmodema (cfr p. 281; 485). Il Concilio di Nicea, afferma l’Autore, "utilizza la Scrittura in un modo che oggi non è accettabile, e cioè come una fonte di informazioni direttamente rappresentativa difatti o di dati oggettivi, circa la realtà trascendente" (p. 279). Il dogma di Nicea non insegnerebbe, pertanto, che il Figlio o il Logos eternamente preesistente sarebbe consustanziale al Padre e da Lui generato. L’Autore propone "una cristologia dell’incarnazione, nella quale l’essere umano creato o la persona di Gesù di Nazaret è il simbolo concreto che esprime la presenza nella storia di Dio come Logos" (p. 439).

Questa interpretazione non è conforme al dogma di Nicea, che afferma intenzionalmente, anche contro l’orizzonte culturale del tempo, la reale preesistenza del Figlio Logos del Padre, incarnatosi nella storia per la nostra salvezza (3).

III. La divinità di Gesù

La posizione erronea dell’Autore sulla preesistenza del Figlio/Logos di Dio ha come conseguenza una comprensione altrettanto erronea della dottrina circa la divinità di Gesù. Egli in verità usa espressioni quali: Gesù "deve essere considerato divino" (p. 283) e "Gesù Cristo [...] deve essere vero Dio" (p. 284). Si tratta, tuttavia di affermazioni che vanno intese alla luce della sua posizione su Gesù quale "mediazione" simbolica ("medium"): Gesù sarebbe "una persona finita" (p. 205), "una persona umana" (p. 296) e "un essere umano come noi" (p. 205; 428). Il "vero Dio e vero uomo" andrebbe perciò reinterpretato, secondo l’Autore, nel senso che "vero uomo" significherebbe che Gesù sarebbe un essere umano come tutti gli altri" (p. 259), "un essere umano e una creatura finita" (p. 262); mentre "vero Dio" significherebbe che l’uomo Gesù, in qualità di simbolo concreto, sarebbe o medierebbe la presenza salvifica di Dio nella storia (cfr pp. 262; 295): solo in questo senso egli potrebbe essere considerato come "veramente divino o consustanziale con Dio" (p. 295).

La "situazione postmoderna in cristologia", aggiunge l’Autore, "comporta un cambiamento di interpretazione che va al di là della problematica di Calcedonia" (p. 290), precisamente nel senso che l’unione ipostatica, o "enipostatica", sarebbe da intendere come "l’unione di niente di meno che Dio come Verbo con la persona umana Gesù" (p. 442).

Questa interpretazione della divinità di Gesù è contraria alla fede della Chiesa, che crede in Gesù Cristo, Figlio eterno di Dio, fattosi uomo, così come è ripetutamente confessato in vari concili ecumenici e nella costante predicazione della Chiesa (4).

IV. La Santissima Trinità

Come conseguenza della suddetta interpretazione dell’identità di Gesù Cristo, l’Autore sviluppa una dottrina trinitaria erronea. A suo giudizio "l’insegnamento del Nuovo Testamento non deve essere interpretato alla luce delle successive dottrine di una Trinità immanente" (p. 474). Queste sarebbero da considerare l’esito di una inculturazione successiva, che avrebbe portato ad ipostatizzare, vale a dire, a ritenere come "entità reali" in Dio, i simboli "Logos" e "Spirito" (cfr p. 48l), che in quanto "simboli religiosi", sarebbero metafore di due diverse mediazioni storico-salvifiche dell’uno ed unico Dio: quella esteriore, storica, attraverso "il simbolo Gesù"; quella interiore, dinamica, compiuta dalla comunicazione di Dio "come” Spirito (cfr p. 484).

Una simile visione, corrispondente alla teoria dell’esperienza religiosa in generale, porta l’Autore ad abbandonare la corretta comprensione della Trinità stessa, interpretata "come una descrizione di una differenziata vita interiore di Dio" (p. 484). Conseguentemente, "una nozione di Dio come comunità, l’idea di ipostatizzare le differenziazioni in Dio e di chiamarle persone, in modo tale che esse siano in reciproca comunicazione dialogica, vanno contro il punto principale della dottrina stessa" (p. 483), e cioè "che Dio è uno ed unico" (p. 482).

Questa interpretazione della dottrina trinitaria è erronea e contraria alla fede circa l’unicità di Dio nella Trinità delle Persone, che la Chiesa ha proclamato e confermato in numerosi e solenni pronunciamenti (5).

V. Il valore salvifico della morte di Gesù

Nel libro "Jesus Symbol of God" l’Autore asserisce che "l’interpretazione profetica" spiegherebbe nel modo migliore la morte di Gesù (cfr p. 86, n. 105). Afferma, inoltre, che non sarebbe necessario "che Gesù abbia considerato se stesso come un salvatore universale" (p. 211) e che l’idea della morte di Gesù come "una morte sacrificale, espiatoria e redentiva" sarebbe solo il risultato di una graduale interpretazione dei suoi seguaci alla luce dell’Antico Testamento (cfr p. 85). Si afferma anche che il linguaggio ecclesiale tradizionale "di Gesù che soffre per noi, che si offre in sacrificio a Dio, che ha accettato di subire la punizione per i nostri peccati, o di morire per soddisfare la giustizia di Dio, non ha senso per il mondo di oggi" (p. 241). Questo linguaggio andrebbe abbandonato perché "le immagini associate a questi modi di parlare offendono la sensibilità postmoderna e creano una repulsione ed una barriera ad un apprezzamento positivo di Gesù Cristo" (p. 241).

Tale posizione dell’Autore si oppone in realtà alla dottrina della Chiesa, che ha sempre riconosciuto in Gesù un’intenzionalità redentrice universale riguardo alla sua morte. La Chiesa vede nelle affermazioni del Nuovo Testamento, che si riferiscono specificamente alla salvezza, e in particolare nelle parole dell’istituzione dell’Eucaristia, una norma della sua fede circa il valore salvifico universale del sacrificio della croce (6).

VI. Unicità e universalità della mediazione salvifica di Gesù e della Chiesa

Per quanto riguarda l’universalità della missione salvifica di Gesù, l’Autore afferma che Gesù sarebbe "normativo" per i cristiani, ma "non-costitutivo" per le altre mediazioni religiose (p. 403). Afferma, inoltre, che "solo Dio opera la salvezza e la mediazione universale di Gesù non è necessaria" (p. 405): infatti "Dio agisce nella vita degli uomini in diversi modi al di là di Gesù e della realtà cristiana" (p. 412).

L’Autore insiste sulla necessità di passare dal cristocentrismo al teocentrismo, che "elimina la necessità di legare la salvezza di Dio solamente a Gesù di Nazaret" (p. 417). Per quanto riguarda la missione universale della Chiesa, egli ritiene che sarebbe necessario avere "la capacità di riconoscere altre religioni come mediazioni della salvezza di Dio allo stesso livello del cristianesimo" (p. 415). Inoltre, per lui "è impossibile nella cultura postmoderna pensare che [...] una religione possa pretendere di essere il centro al quale tutte le altre devono essere ricondotte. Questi miti o concezioni metanarrative sono semplicemente superate" (p. 333).

Questa posizione teologica nega fondamentalmente la missione salvifica universale di Gesù Cristo (cfr At 4, 12; 1 Tim 2, 4-6; Gv 14, 6) e, di conseguenza, la missione della Chiesa di annunciare e comunicare il dono di Cristo salvatore a tutti gli uomini (Mt 28, 19; Mc 16, 15; Ef 3, 8-11), entrambe testimoniate con chiarezza dal Nuovo Testamento e proclamate sempre dalla fede delta Chiesa, anche in documenti recenti (7).

VII. La risurrezione di Gesù

La presentazione che l’Autore fa della risurrezione di Gesù è guidata dalla sua concezione del linguaggio biblico e teologico come "simbolico di un’esperienza che è storicamente mediata”(p. 131) e dal principio che "ordinariamente non si dovrebbe supporre che sia accaduta nel passato una cosa oggi impossibile" (p. 127). Così intesa, la risurrezione è presentata come l’affermazione che "Gesù è ontologicamente vivo, come un individuo nella sfera di Dio [...], la dichiarazione di Dio che la vita di Gesù è una vera rivelazione di Dio e un’autentica esistenza umana" (p. 151; cfr p. 124).

La risurrezione è descritta come "una realtà trascendente che può essere riconosciuta nel suo valore solamente da un atteggiamento di fede e di speranza" (p. 126). I discepoli, dopo la morte di Gesù, si sarebbero ricordati ed avrebbero riflettuto sulla sua vita e il suo messaggio, particolarmente sulla rivelazione di Dio come buono, misericordioso, preoccupato dell’essere umano e della salvezza. Questo ricordarsi — del fatto che "ciò che Dio ha iniziato nell’amore, a causa della illimitatezza di quell’amore, continua ad esistere in quell’amore sopravvivendo perciò al potere ed alla definitività della morte" (p. 147) insieme con un intervento di Dio come Spirito, progressivamente fece nascere questa nuova fede nella risurrezione, e cioè che Gesù era vivo ed esaltato nella potenza salvifica di Dio (cfr p. 146).

Inoltre, secondo l’interpretazione dell’Autore, "la storicità della tomba vuota e i racconti delle apparizioni non sono essenziali alla fede-speranza nella risurrezione" (p. 147, n. 54; cfr pp. 124, 134). Piuttosto, questi racconti sarebbero "modi di esprimere e di insegnare il contenuto di una fede già formatasi" (p. 145).

L’interpretazione dell’Autore conduce ad una posizione incompatibile con la dottrina della Chiesa. Essa è elaborata sulla base di presupposti erronei e non sulla base delle testimonianze del Nuovo Testamento, secondo cui le apparizioni del Risorto e la tomba vuota sono il fondamento della fede dei discepoli nella risurrezione di Cristo e non viceversa.

Conclusione

Nel rendere pubblica questa Notificazione, la Congregazione per la Dottrina della Fede si sente obbligata a dichiarare che le suddette affermazioni contenute nel libro "Jesus Symbol of God" di Padre Roger Haight S.J. sono da qualificare come gravi errori dottrinali contro la fede divina e cattolica della Chiesa. Di conseguenza, è vietato all’Autore l’insegnamento della teologia cattolica finché le sue posizioni non siano rettificate così da essere in piena conformità con la dottrina della Chiesa.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 13 dicembre 2004, Memoria di S. Lucia, Vergine e Martire.

+ JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto

+ANGELO AMATO, S.D.B.
Arcivescovo tit. di Sua
Segretario

_________________________________________________

NOTE

1) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DH 125; Concilium Chalcedonense, "Professio fidei": DH 301, 302; Concilium Constantinopolitanum II, "Canones": DH 424, 426.

2) L’autore parla di "ipostatizzazione" e di "ipostasi" del Logos e dello Spirito: intende cioè dire che le "metafore" bibliche "Logos" e "Spirito" successivamente sarebbero diventate "entità reali" nel linguaggio della Chiesa ellenistica (cfr p. 475).

3) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DLI 125. La confessione nicena, riconfermata in altri concili ecumenici (cfr Concilium Constantinopolitanum I, "Professio fidei": DH 150; Concilium Chalcedonense, "Professio fidei": DH 301, 302), costituisce la base delle professioni di fede di tutte le confessioni cristiane.

4) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DH 125; Concilium Constantinopolitanum I, "Professio fidei": DH 150; Concilium Chalcedonense, "Professio fidei": DH 301, 302.

5) Cfr Concilium Constantinopolitanum I, "Professio fidei": DH 150; "Quicumque": DLI 75; Synodus Toletana XI, "Professio fidei": DH 525-532; Synodus Toletana XVI, "Professio fidei": DH 568-573; Concilium Lateranense IV, "Professio fidei": DH 803-805; Concilium Florentinuin, "Decretum pro Iacobitis": DLI 1330-1331; Condilium Vatieanum Il, Const. Dogm. "Lumen gentium", nn. 2-4.

6) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DH 125; Concilium Tridentinum, "Decretum de iustificatione": DH 1522, 1523; "De poenitentia": DH 1690; "De Sacrificio Missae": DH 1740; Concilium Vaticanum LI, Const. Dogm. "Lumen gentium", nn. 3, 5, 9; Const. Pastor. "Gaudium et spes", n. 22; Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. "Ecclesia de Eucharistia", n. 12.

7) Cfr Innocentius XI, Const. "Cum occasione", n. 5: DH 2005; Sanctum Officium, Decr. "Errores Iansenistaruni", n. 4: DH 2304; Concilium Vaticanum II, Const. Dogm. "Lumen gentium", n. 8; Const. Pastor. "Gaudium et spes", n. 22; Decr. "Ad gentes", n. 3; Ioannes Paulus Il, Litt. Encycl. "Redemptoris missio", nn. 4-6; Congregatio pro Doctrina Fidei, Decl. "Dominus Iesus", nn. 13-15. Per quanto riguarda l’universalità della missione della Chiesa cfr "Lumen gentium", nn. 13, 17; "Ad gentes", n. 7; "Redemptorìs missio", nn. 9-11; "Dominus Iesus", nn. 20-22.

FONTE (http://www.ratzinger.it/modules.php?name=News&file=article&sid=157)

Augustinus
13-02-05, 21:21
Cattive compagnie di Gesù.
Condannato il gesuita teologo

Secoli e secoli dopo, Gesù è stato risottoposto a processo. Dal Sant'Uffizio. Che però ha scoperto che non era lui ma un altro.

E' quanto si evince da una notificazione di condanna emessa dalla congregazione per la dottrina della fede a carico del gesuita americano Roger Haight, professore di teologia presso la Weston Jesuit School of Theology di Cambridge, Massachusetts, e il Woodstock Theological Center della Georgetown University, Washington D.C., anch'essa della Compagnia di Gesù.

Di Haight è stato processato un libro molto diffuso e tutt'ora in vendita: "Jesus Symbol of God", pubblicato da Maryknoll Orbis Books nel 1999.

A giudizio della congregazione presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, il Gesù descritto da Haight non è quello conosciuto dalla fede cattolica. In particolare, non è Dio.

Il processo è cominciato nel 2000 ed è terminato nel 2004 con la condanna dell'autore. La sentenza è stata approvata da Giovanni Paolo II lo scorso 13 dicembre ed è stata pubblicata da "L'Osservatore Romano" del 7-8 febbraio. Essa termina con queste parole:

"Le affermazioni contenute nel libro 'Jesus Symbol of God' di Padre Roger Haight S.J. sono da qualificare come gravi errori dottrinali contro la fede divina e cattolica della Chiesa. Di conseguenza, è vietato all'autore l'insegnamento della teologia cattolica finché le sue posizioni non siano rettificate così da essere in piena conformità con la dottrina della Chiesa".

Padre Haight è un sostenitore famoso della teologia pluralista delle religioni. E si attesta su posizioni più radicali di quelle di un altro celebre gesuita condannato anch'essso dal Sant'Uffizio: Jacques Dupuis, professore alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, morto di recente. Vedi, in proposito, la newsletter di John L. Allen del 12 settembre 2003: Pluralism conference report. A conversation with Fr. Roger Haight (http://www.nationalcatholicreporter.org/word/word091203.htm).

FONTE (http://blog.espressonline.it/weblog/stories.php?topic=03/04/09/3080386)

Augustinus
13-02-05, 21:30
Originally posted by Thomas Aquinas
Mi pare che la notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede sia riferita ad un unico libro di un unico Gesuita, non alla Compagia di Gesù, che ha può vantare grandi santi ed eminenti studiosi, anche oggi, altro che "cattiva compagnia"...

Il fenomeno non è isolato ... Purtroppo. ;)

Augustinus
13-02-05, 21:39
Originally posted by Thomas Aquinas
tra i gesuiti che conosco non ci sono "eretici", certo i gesuiti sono in migliaia: saran capitati a me tutti quelli buoni.

può anche darsi ... ;)

Augustinus
13-02-05, 21:57
Giusto per fare qualche nome. Basti pensare a Padre Jacques Dupuis (docente alla Gregoriana) ed Anthony De Mello, censurati dal dicastero vaticano della Congregazione per la dottrina della fede.
O anche al Card. Carlo M. Martini che nel 1999 (durante il Sinodo Europeo dei vescovi) sosteneva un Concilio Vaticano III ed apriva, quanto meno come possibilità, al sacerdozio ministeriale delle donne. Per non parlare dei gesuiti di America Latina, che sposano, nella loro "missione" (si fa per dire ...), tesi e dottrine molto vicine al comunismo.
Questo per limitarmi ai fatti maggiormente noti. ;)

Augustinus
13-02-05, 22:24
Originally posted by Thomas Aquinas
Il Cardinale Martini, mio vescovo emerito, è del tutto ortodosso, il fatto che abbia esposto delle concezioni come mere ipotesi teologiche, non significa nulla.
Saranno stata anche opinioni azzardate, ma restano tali.
Il cardinal Martini è uomo di grandissima cultura, con gli appunti delle sue lezioni sono stati scritti bellissimo libri, il seminario di Milano è fiorito grazie a lui e decine di preti lo ringraziano per questo.
Non mi pare quindi che possa essere definito uomo cattivo parte di una compagnia cattiva.
Pochi e sporadici casi, a dispetto delle migliaia di gesuiti (purtroppo in notevole diminuzione) non provano nulla.

saluti

Se fosse come lo definisci tu ... beh ... non le avrebbe dovute azzardare neppure come ipotesi, soprattutto perchè vi era stato un pronunciamento ufficiale del Papa su quel tema, sin dal 1994 (v. Lett. Ap. Ordinatio sacerdotalis). Non solo. La Congregazione per la dottrina della fede, nel 1995, attestò che la dottrina in parola era da ritenersi definitiva e proposta infallibilmente (v. QUI (http://web.genie.it/utenti/i/interface/Ordinatio.html)). Dunque, Roma locuta causa finita. Ed invece, il ridetto Cardinale nel 1999 si azzardava a riproporla espressamente. Una persona perfettamente ortodossa certamente si sarebbe astenuta da tanto. Questo giusto per chiarezza.
I pochi e "sporadici" casi, beh ..., non sono poi così: infatti, la maggior parte dei gesuiti dell'America Latina sposano (e questo è noto) le tesi comuniste ... . ;)

Augustinus
15-02-05, 13:24
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

NOTIFICAZIONE
a proposito del libro del
P. JACQUES DUPUIS, S.J.,
«Verso una teologia del pluralismo religioso»
(Ed. Queriniana, Brescia 1997)

Preambolo

In seguito ad uno studio condotto sull’opera di P. Jacques Dupuis S.I., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Brescia 1997), la Congregazione per la Dottrina della Fede decise di approfondire l’esame della suddetta opera con procedura ordinaria, secondo quanto stabilito dal cap. III del Regolamento per l’esame delle dottrine.

Si deve anzitutto sottolineare che in questo libro l’Autore propone una riflessione introduttiva a una teologia cristiana del pluralismo religioso. Non si tratta semplicemente di una teologia delle religioni, ma di una teologia del pluralismo religioso, che intende ricercare, alla luce della fede cristiana, il significato che la pluralità delle tradizioni religiose riveste all’interno del disegno di Dio per l’umanità. Conscio della problematicità della sua prospettiva, l’Autore stesso non si nasconde la possibilità che la sua ipotesi potrebbe sollevare un numero di interrogativi pari a quelli per cui proporrà delle soluzioni.

A seguito dell’esame compiuto e dei risultati del dialogo con l’Autore, gli Em.mi Padri, valutati le analisi e i pareri espressi dai Consultori in merito alle Risposte date dall’Autore stesso, nella Sessione Ordinaria del 30 giugno 1999, hanno riconosciuto il suo tentativo di voler rimanere nei limiti dell’ortodossia, impegnandosi nella trattazione di problematiche finora inesplorate. Nello stesso tempo, pur considerando la buona disposizione dell’Autore, manifestata nelle sue Risposte, a fornire i chiarimenti giudicati necessari, nonché la sua volontà di rimanere fedele alla dottrina della Chiesa e all’insegnamento del Magistero, hanno constatato che nel libro sono contenute notevoli ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata, che possono condurre il lettore a opinioni erronee o pericolose. Tali punti concernono l’interpretazione della mediazione salvifica unica e universale di Cristo, l’unicità e pienezza della rivelazione di Cristo, l’azione salvifica universale dello Spirito Santo, l’ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa, il valore e il significato della funzione salvifica delle religioni.

La Congregazione per la Dottrina della Fede, adempiuta la procedura ordinaria dell’esame in tutte le sue fasi, ha deciso di redigere una Notificazione[1] con l’intento di salvaguardare la dottrina della fede cattolica da errori, ambiguità o interpretazioni pericolose. Tale Notificazione, approvata dal Santo Padre nella Udienza del 24 novembre 2000, è stata presentata al P. Jacques Dupuis, e da lui è stata accettata. Con la firma del testo l’Autore si è impegnato ad assentire alle tesi enunciate e ad attenersi in futuro nella sua attività teologica e nelle sue pubblicazioni ai contenuti dottrinali indicati nella Notificazione, il cui testo dovrà comparire anche nelle eventuali ristampe o riedizioni del libro in questione, e nelle relative traduzioni.

La presente Notificazione non intende esprimere un giudizio sul pensiero soggettivo dell’Autore; ma si propone piuttosto di enunciare la dottrina della Chiesa a riguardo di alcuni aspetti delle suddette verità dottrinali, e nello stesso tempo di confutare opinioni erronee o pericolose, a cui, indipendentemente dalle intenzioni dell’Autore, il lettore può pervenire a motivo di formulazioni ambigue o spiegazioni insufficienti contenute in diversi passi del libro. In tal modo si ritiene di offrire ai lettori cattolici un sicuro criterio di valutazione, consono con la dottrina della Chiesa, al fine di evitare che la lettura del volume possa indurre a gravi equivoci e fraintendimenti.

I. A proposito della mediazione salvifica unica e universale di Gesù Cristo

1. Deve essere fermamente creduto che Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, è l’unico e universale mediatore della salvezza di tutta l’umanità.[2]

2. Deve essere pure fermamente creduto che Gesù di Nazareth, Figlio di Maria e unico Salvatore del mondo, è il Figlio e il Verbo del Padre.[3] Per l’unità del piano divino di salvezza incentrato in Gesù Cristo, va inoltre ritenuto che l’azione salvifica del Verbo sia attuata in e per Gesù Cristo, Figlio incarnato del Padre, quale mediatore della salvezza di tutta l’umanità.[4] È quindi contrario alla fede cattolica non soltanto affermare una separazione tra il Verbo e Gesù o una separazione tra l’azione salvifica del Verbo e quella di Gesù, ma anche sostenere la tesi di un’azione salvifica del Verbo come tale nella sua divinità, indipendente dall’umanità del Verbo incarnato.[5]

II. A proposito dell’unicità e pienezza della rivelazione di Gesù Cristo

3. Deve essere fermamente creduto che Gesù Cristo è il mediatore, il compimento e la pienezza della rivelazione.[6] È quindi contrario alla fede della Chiesa sostenere che la rivelazione di/in Gesù Cristo sia limitata, incompleta e imperfetta. Inoltre, benché la piena conoscenza della rivelazione divina si avrà soltanto nel giorno della venuta gloriosa del Signore, tuttavia la rivelazione storica di Gesù Cristo offre tutto ciò che è necessario per la salvezza dell’uomo e non ha bisogno di essere completata da altre religioni.[7]

4. È conforme alla dottrina cattolica affermare che i semi di verità e di bontà che esistono nelle altre religioni sono una certa partecipazione alle verità contenute nella rivelazione di/in Gesù Cristo.[8] È invece opinione erronea ritenere che tali elementi di verità e di bontà, o alcuni di essi, non derivino ultimamente dalla mediazione fontale di Gesù Cristo.[9]

III. A proposito dell’azione salvifica universale dello Spirito Santo

5. La fede della Chiesa insegna che lo Spirito Santo operante dopo la risurrezione di Gesù Cristo è sempre lo Spirito di Cristo inviato dal Padre, che opera in modo salvifico sia nei cristiani sia nei non cristiani.[10] È quindi contrario alla fede cattolica ritenere che l’azione salvifica dello Spirito Santo si possa estendere oltre l’unica economia salvifica universale del Verbo incarnato.[11]

IV. A proposito dell’ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa

6. Deve essere fermamente creduto che la Chiesa è segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini.[12] È contrario alla fede cattolica considerare le varie religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla salvezza.[13]

7. Secondo la dottrina cattolica anche i seguaci delle altre religioni sono ordinati alla Chiesa e sono tutti chiamati a far parte di essa.[14]

V. A proposito del valore e della funzione salvifica delle tradizioni religiose

8. Secondo la dottrina cattolica si deve ritenere che «quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica (cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 16)».[15] È dunque legittimo sostenere che lo Spirito Santo opera la salvezza nei non cristiani anche mediante quegli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie religioni; ma non ha alcun fondamento nella teologia cattolica ritenere queste religioni, considerate come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori,[16] che riguardano le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo.

Inoltre, il fatto che gli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie religioni possano preparare i popoli e le culture ad accogliere l’evento salvifico di Gesù Cristo, non comporta che i testi sacri delle altre religioni possano considerarsi complementari all’Antico Testamento, che è la preparazione immediata allo stesso evento di Cristo.[17]

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza del 19 gennaio 2001, alla luce degli ulteriori sviluppi, ha confermato la sua approvazione della presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 gennaio 2001, nella memoria di San Francesco di Sales.

+ Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

+ Tarcisio Bertone, SDB
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario

------------------------------------------------------------------------------
NOTE

[1] La Congregazione per la Dottrina della Fede, a motivo di tendenze manifestate in diversi ambienti e sempre più recepite anche nel pensiero dei fedeli, ha pubblicato la Dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (AAS, 92 [2000] 742-765), per tutelare i dati essenziali della fede cattolica. La Notificazione si ispira ai principi indicati nella suddetta Dichiarazione per la valutazione dell’opera di J. Dupuis.

[2] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De peccato originali: Denz n. 1513; Decr. De iustificatione: Denz. nn. 1522; 1523; 1529; 1530. Cf. anche CONC. VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 10; Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 8; 14; 28; 49; 60. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5: AAS 83 (1991) 249-340; Es. Apost. Ecclesia in Asia, n. 14: AAS 92 (2000) 449-528; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 13-15.

[3] Cf. CONC. DI NICEA I: Denz. n. 125; CONC. DI CALCEDONIA: Denz. n. 301.

[4] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De iustificatione: Denz. nn. 1529; 1530; CONC. VATICANO II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium, n. 5; Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.

[5] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 6. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 10.

[6] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Dei verbum, nn. 2; 4; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, nn. 14-15; 92, AAS 91 (1999) 5-88; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 5.

[7] Cf. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 6; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 65-66.

[8] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 17; Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra Aetate, n. 2.

[9] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 10.

[10] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, nn. 28-29.

[11] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5; Es. Apost. Ecclesia in Asia, nn. 15-16; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 12.

[12] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 9; 14; 17; 48. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 11; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 16.

[13] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 36; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 21-22.

[14] Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n.13 e n. 16; Decr. Ad gentes, n. 7; Dich. Dignitatis humanae, n. 1; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 10; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 20-22; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 845.

[15]GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 29.

[16]Cf. CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16; Dich. Nostra aetate, n. 2; Decr. Ad gentes, n. 9; cf. anche PAOLO VI, Es. Apost. Evangelii nuntiandi, n. 53: AAS 68 (1976) 5-76; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Dich. Dominus Iesus, n.8.

[17] Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. de libris sacris et de traditionibus recipiendis: Denz n. 1501; CONC. VATICANO I, Cost. dogm. Dei Filius, cap. 2: Denz n. 3006; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 8.

Augustinus
15-02-05, 13:27
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

NOTIFICAZIONE CONCERNENTE
GLI SCRITTI DI PADRE ANTHONY DE MELLO, SJ

The Indian Jesuit priest, Father Anthony de Mello (1931-1987) is well known due to his numerous publications which, translated into various languages, have been widely circulated in many countries of the world, though not all of these texts were authorized by him for publication. His works, which almost always take the form of brief stories, contain some valid elements of oriental wisdom. These can be helpful in achieving self-mastery, in breaking the bonds and feelings that keep us from being free, and in approaching with serenity the various vicissitudes of life. Especially in his early writings, Father de Mello, while revealing the influence of Buddhist and Taoist spiritual currents, remained within the lines of Christian spirituality. In these books, he treats the different kinds of prayer: petition, intercession and praise, as well as contemplation of the mysteries of the life of Christ, etc.

But already in certain passages in these early works and to a greater degree in his later publications, one notices a progressive distancing from the essential contents of the Christian faith. In place of the revelation which has come in the person of Jesus Christ, he substitutes an intuition of God without form or image, to the point of speaking of God as a pure void. To see God it is enough to look directly at the world. Nothing can be said about God; the only knowing is unknowing. To pose the question of his existence is already nonsense. This radical apophaticism leads even to a denial that the Bible contains valid statements about God. The words of Scripture are indications which serve only to lead a person to silence. In other passages, the judgment on sacred religious texts, not excluding the Bible, becomes even more severe: they are said to prevent people from following their own common sense and cause them to become obtuse and cruel. Religions, including Christianity, are one of the major obstacles to the discovery of truth. This truth, however, is never defined by the author in its precise contents. For him, to think that the God of one's own religion is the only one is simply fanaticism. "God" is considered as a cosmic reality, vague and omnipresent; the personal nature of God is ignored and in practice denied.

Father de Mello demonstrates an appreciation for Jesus, of whom he declares himself to be a "disciple." But he considers Jesus as a master alongside others. The only difference from other men is that Jesus is "awake" and fully free, while others are not. Jesus is not recognized as the Son of God, but simply as the one who teaches us that all people are children of God. In addition, the author's statements on the final destiny of man give rise to perplexity. At one point, he speaks of a "dissolving" into the impersonal God, as salt dissolves in water. On various occasions, the question of destiny after death is declared to be irrelevant; only the present life should be of interest. With respect to this life, since evil is simply ignorance, there are no objective rules of morality. Good and evil are simply mental evaluations imposed upon reality.

Consistent with what has been presented, one can understand how, according to the author, any belief or profession of faith whether in God or in Christ cannot but impede one's personal access to truth. The Church, making the word of God in Holy Scripture into an idol, has ended up banishing God from the temple. She has consequently lost the authority to teach in the name of Christ.

With the present Notification, in order to protect the good of the Christian faithful, this Congregation declares that the above-mentioned positions are incompatible with the Catholic faith and can cause grave harm.

The Sovereign Pontiff John Paul II, at the Audience granted to the undersigned Cardinal Prefect, approved the present Notification, adopted in the Ordinary Session of this Congregation, and ordered its publication.

Rome, from the offices of the Congregation for the Doctrine of the Faith, June 24, 1998, the Solemnity of the Birth of John the Baptist.

+ Joseph Card. Ratzinger
Prefect

+ Tarcisio Bertone, S.D.B.
Archbishop Emeritus of Vercelli
Secretary

FRANCESCANO
19-02-05, 21:15
A ME PARE UN PO' ESAGERATO FARE DI TUTTA UN'ERBA UN FASCIO.
OCCORRE DISTINGUERE PER NON CADERE IN GENERALIZZAZIONI, SOLITAMENTE PERICOLOSE.
CERTAMENTE IN PASSATO VI SONO STATI DEI GRANDI GESUITI, MA ANCHE DEI POCO FEDELI SEGUACI DI SANT'IGNAZIO. ED ALTRETTANTO AVVIENE OGGI. COSì COME AVVERRà DOMANI.
NON DIMENTICHIAMO LA PARABOLA DEL CAMPO DI GRANO, CHE è UN OTTIMO PARADIGMA DI CIò è IL MONDO E LA CHIESA, DOVE IL GRANO BUONO CRESCE E SI SVILUPPA ACCANTO ALLA GRAMIGNA. POI SARà DIO A SEPARARE IL GRANO DALL'ERBA CATTIVA, RIPONENDO IL PRIMO NEI GRANAI (IL SUO REGNO IN CIELO, IL PARADISO) E BRUCIANDO L'ERBA CATTIVA ED INFESTANTE.

PACE E BENE

FRANCESCANO

Augustinus
19-02-05, 23:57
Originally posted by FRANCESCANO
A ME PARE UN PO' ESAGERATO FARE DI TUTTA UN'ERBA UN FASCIO.
OCCORRE DISTINGUERE PER NON CADERE IN GENERALIZZAZIONI, SOLITAMENTE PERICOLOSE.
CERTAMENTE IN PASSATO VI SONO STATI DEI GRANDI GESUITI, MA ANCHE DEI POCO FEDELI SEGUACI DI SANT'IGNAZIO. ED ALTRETTANTO AVVIENE OGGI. COSì COME AVVERRà DOMANI.
NON DIMENTICHIAMO LA PARABOLA DEL CAMPO DI GRANO, CHE è UN OTTIMO PARADIGMA DI CIò è IL MONDO E LA CHIESA, DOVE IL GRANO BUONO CRESCE E SI SVILUPPA ACCANTO ALLA GRAMIGNA. POI SARà DIO A SEPARARE IL GRANO DALL'ERBA CATTIVA, RIPONENDO IL PRIMO NEI GRANAI (IL SUO REGNO IN CIELO, IL PARADISO) E BRUCIANDO L'ERBA CATTIVA ED INFESTANTE.

PACE E BENE

FRANCESCANO

Caro Francescano,
innanzitutto mi fa piacere rileggerti su questo forum. Spero che possa essere l'occasione anche per vederti un po' più spesso.
Venendo alla tua osservazione, devo dire che ciò che dici è vero, hai ragione, nondimeno però col thread ho voluto porre l'accento su una tendenza, che, per carità, non è sola dei gesuiti. E cioè lo svilimento della fede in certi ordini religiosi, che è fonte anche di smarrimento tra i fedeli.
Cordialmente

Augustinus :) :) :)

Bellarmino
20-02-05, 13:41
La parola d'ordine è: minimizzare!
Ovvero, non rimuovere l'immondizia ma spazzarla sotto al tappeto...
Li riconoscerete dai frutti!

Vandeano (POL)
21-02-05, 21:20
Originally posted by Thomas Aquinas
Appunto, riconosciamo i frutti dei sedevacantisti.

Bene riconosciamoli ! Anzitutto bisogna distinguere fra Sedevacantisti come me,il Dott.Stefano Filiberto o tutti gli iscritti all'Associazione "Santa Maria Salus Populi Romani",queste persone reputano la Sede Apostolica Vacante e sono persone preparate e rispettabili e non da irridere ! Poi ci sono i Sedeprivazionisti che in POL ed in tutta Italia si fanno chiamare impropriamente Sedevacantisti,queste persone aderendo alla Tesi di Cassiciacum ritengono la Sede Apostolica solo "Formalmente" Vacante,ma occupata "Materialmente" da un Papa che è Giovanni Paolo II,a cui loro non ubbidiscono perchè privo dei Carismi Propri dello Spirito Santo e della Divina Potestà sulla Chiesa Cattolica. Ricordo che queste persone erano Sabato 19 Febbraio nel pomeriggio a Verona,davanti alla Chiesa di San Pietro Martire,che la Diocesi Veronese vuole cedere agli Eretici Luterani,a dispetto della Reliquia del Santo Inquisitore che è contenuta in essa,a pregare il Santo Rosario con i loro stendardi della Mater Boni Consilii e per tale gesto meritano il mio rispetto,come dovrebbero meritare il tuo ! Per la prima volta dopo tanto tempo avrei voluto pregare con loro !



Da Perfidi Aeretici libera nos Domine +


Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)


http://img216.exs.cx/img216/3152/verona19febbraio2005r11rg.jpg

Augustinus
08-05-05, 12:21
08 maggio 2005

Il caso negi Usa

Ratzinger lo critica, via il gesuita-giornalista

Dopo i richiami su gay ed embrione, Thomas Reese lascia la direzione del settimanale «America»

CITTA’ DEL VATICANO - «America», il combattivo settimanale dei gesuiti statunitensi, cambia direttore: lascia Thomas Reese, sessant’anni, che più volte il cardinale Ratzinger aveva richiamato all’ordine lungo gli ultimi cinque anni. Lascia senza dare spiegazioni e non vuole parlare con i giornalisti. C’è chi sostiene che l’abbiano cacciato e chi dice che se ne sia andato «di propria iniziativa», dal momento che il suo censore era diventato Papa. La versione più aspra del fatto l’ha data il New York Times di ieri: l’ordine di «dimissionare» padre Reese era partito dalla Congregazione per la dottrina della fede a metà marzo, con una lettera inviata ai superiori del gesuita quando ne era ancora prefetto il cardinale Joseph Ratzinger. Ma Reese quell’ordine l’avrebbe conosciuto solo al suo rientro in America, dopo il lungo periodo passato a Roma per la «copertura» del periodo di «sede vacante». Più cauto il settimanale National Catholic Reporter , che ha dato per primo la notizia: non conosce l’esistenza di una lettera venuta da Roma in marzo, ma afferma che i superiori avrebbero comunicato a Reese che il «contenzioso» con la Congregazione per la dottrina - accumulato dalla rivista in cinque anni - si era fatto «invincibile». E il titolo è: «Costretto a dimettersi su pressione vaticana».
La versione più pacifica la dà il portavoce della Compagnia di Gesù, Josè De Vera, che ieri ci ha dichiarato: «Padre Reese ha presentato le dimissioni perché ha voluto farlo, non perché gli siano state imposte». C’era o no una lettera della Congregazione che chiedeva quel passo? «Non ne ho notizia e mi pare strano che vi sia», è la risposta. Ma vi erano stati dei richiami? «Sì e più volte». Si trattava - precisa padre De Vera - di richiami verbali, fatti di persona dal cardinale Ratzinger al preposito generale dei gesuiti, padre Peter-Hans Kolvenback. Negli ultimi tempi il richiamo riguardava «in particolare» due articoli: uno che trattava del «matrimonio tra persone dello stesso sesso» e un altro del problema «se l’embrione sia persona». Altro caso spinoso era stato quello della «comunione ai politici cattolici favorevoli alla legge sull’aborto».
Da tempo padre Reese aveva scelto la linea delle «opinioni a confronto»: sui «casi disputati» pubblicava un intervento a favore e uno contro. Più volte dalla Congregazione per la dottrina e dallo stesso cardinale Ratzinger era venuto l’«avvertimento» che «quel metodo non era sufficiente», in quanto la rivista finiva con il mostrarsi «neutrale» anche su questioni nelle quali c’era una «presa di posizione impegnativa da parte del magistero». A favore di chi afferma che padre Reese abbia deciso «di sua iniziativa» di lasciare - dopo sette anni - la direzione della rivista, si può citare un editoriale scritto da Reese alla vigilia del conclave e intitolato «Sfide per il nuovo papa», in quanto fa risaltare la distanza tra il suo atteggiamento e quello del cardinale che è stato eletto Papa: «Durante gli ultimi due decenni più di cento teologi sono stati costretti al silenzio o richiamati all’ordine dalla Congregazione per la dottrina. Una Chiesa che non può discutere apertamente i problemi è una Chiesa che si rinserra in un ghetto».
Dopo l’elezione di Papa Benedetto XVI, «America» ha pubblicato un editoriale nient’affatto contrariato, si direbbe anzi fiducioso. Vi si diceva che nel nuovo Papa «i cattolici hanno un supremo pastore di straordinari doni intellettuali e con decenni di esperienza accumulata nei centri nevralgici delle attività riformatrici seguite al secondo Concilio Vaticano». La conclusione era un invito a «prepararsi a future sorprese», che avrebbero «mandato in frantumi gli stereotipi ereditati dal passato». Non si fa difficoltà a immaginare che padre Reese, autore del primo dei due editoriali, non si sia ritrovato nel secondo, che avrà dovuto pubblicare per decisione dei superiori. E che da qui sia venuta la decisione di lasciare.

Luigi Accatoli

Fonte: Corriere della Sera (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/05_Maggio/08/gesuita.html)

http://www.corriere.it/Hermes%20Foto/2005/05/08/0IG4OL4H--130x150.jpg Thomas Reese

Vandeano (POL)
09-05-05, 14:17
Dal 1994,lo splendido complesso Romanico-Bizzantino dell'Abbazia di Pomposa,nel territorio Comunale di Codigoro (Ferrara),è stato affidato,dall'Ex-"arcivescovo" di Ferrara-Comacchio ed "abate" di Pomposa,Carlo Caffarra, oggi "arcivescovo" di Bologna,ai "Ricostruttori nella Preghiera", una congragazione di matrice gesuitico-ecumenico-post-conciliare,fondata nel 1978, dal Gesuita Padre Giampaolo Fortunato,simpatizzante delle teorie del Gesuita Padre Antony De Mello,in un periodo comunque in cui,quella che molti pensano essere la Chiesa Cattolica,non si era pronunciata sugli scritti di Padre Antony De Mello. I Ricostruttori nella Preghiera sono dediti all'erboristeria ed a varie tecniche di preghiera come : L'Esicasmo Orientale,ma anche purtroppo lo Yoga e la Meditazione Zen,che adoperano nell'Adorazione Eucaristica,promuovono incontri culturali sulla spiritualità delle rune,sulla spiritualità dei Pellirossa e su figure discusse come Simon Weil,essendo supportati a San Martino di Ferrara,paesino dell'hinterland Ferrarese,da un gruppo di faccoltosi professori,denonimata associazione "I Ricostruttori". Non mi pronuncio per rispetto alla netiquette di questo Forum,ma certo queste nuove forme di Apostolato,create dai Gesuiti nel Post-Concilio,lasciano perplessi !


Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

:confused: :confused: :confused:

uva bianca
09-05-05, 19:01
Originally posted by Vandeano
ai "Ricostruttori nella Preghiera", ,fondata nel 1978, dal Gesuita Padre Giampaolo Fortunato,discepolo e seguace delle teorie del Gesuita Padre Antony De Mello. I

ho chiesto lumi su questo gruppo anche nel forum CR ( QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=165783))
voi sapete qualcosa di +?

Vandeano (POL)
09-05-05, 20:37
Originally posted by uva bianca
ho chiesto lumi su questo gruppo anche nel forum CR ( QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=165783))
voi sapete qualcosa di +?

Carissimo Uva Bianca,

ho corretto alcune cose del mio post precedente per correttezza, non bisogna mai infatti infierire sulle persone,o stabilire come oggettivo ciò che non si riesce a provare,sulle pratiche Yoga,sulla Meditazione Zen e sull'erboristeria fitoterapica invece sono sicuro che i Ricostruttori nella Preghiera le praticano ed anche sui temi di certe conferenze che hanno tenuto a Pomposa in passato ho dati oggettivi. Per saperne di più puoi andare al sito : http://www.caffarra.it/omsm98or.php ; Oppure al sito : http://www.auraweb.it/articolo_benessere.asp?cid=23&aid=1070 ; Oppure al sito : http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/crono/2001-12/rondanina.htm

uva bianca
09-05-05, 20:42
si, si caro Vandeano, lo so che tu sei più per altre forme più "tradizionali", comunque grazie per le info.

Gilbert (POL)
09-05-05, 20:46
Caro Vandeano,

sono curioso di conoscere la posizione dell'allora Arcivescovo di Ferrara Caffarra verso questo gruppo. Ne sa qualcosa (oltre alla omelia citata) visto che sei del luogo?
Grazie
Oximoron

Vandeano (POL)
09-05-05, 20:59
Originally posted by uva bianca
si, si caro Vandeano, lo so che tu sei più per altre forme più "tradizionali", comunque grazie per le info.

Io non sono un pazzo Uva Bianca,penso che tu lo abbia capito,mi fanno andare in bestia solo certi inquisitorelli monzesi,che su certi Fora stanno intrapprendendo aprioristiche,quanto faziose, "crociate", contro tutti i Cattolici Tradizionalisti ed i Cattolici Integristi indistintamente.Se volete essere migliori dei Tesisti,perché vi abbassate al loro livello,creando un fanatismo opposto ed ugualmente anti-evangelico ? Cosa dimostrate ? Che siete uguali anche se su posizioni diametralmente opposte ! E poi offendere apertamente e sbeffeggiare Don Francesco Ricossa e Don Ugo Giugni dell'Istituto Mater Boni Consilii,ti sembra giusto ? Io amavo Don Francesco Ricossa come un padre,oltre che averlo molto stimato in passato come grande Teologo e non merita di essere definito "ricotta" ! Guarda Quì (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=162061)

In Te Domine speravi ! Non confundar in aeternum !

Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

Vandeano (POL)
09-05-05, 21:21
Originally posted by oximoron
Caro Vandeano,

sono curioso di conoscere la posizione dell'allora Arcivescovo di Ferrara Caffarra verso questo gruppo. Ne sa qualcosa (oltre alla omelia citata) visto che sei del luogo?
Grazie
Oximoron

Caffarra li stimava,anche se lui era un "arcivescovo" Conservatore,Filo-Ciellino e Filo-Opusdeista e loro Ultra-Progressisti. Odiava e disprezzava solo me,che allora ero un giovane militante di Alleanza Cattolica,che lottava per l'Indulto per la celebrazione della Santa Messa detta Tridentina o di San Pio V a Ferrara e con la passione per l'Apologetica,ma che faceva Catechismo nella sua Parrocchia di Codigoro ed andava alla "messa nuova",divenni la persona che odiò di più e mi perseguitò molto,ma senza tutte queste umiliazioni non avrei pregato e sofferto e forse non aiutato Dio ha salvare tante anime chissà ? Pur essendo un peccatore.Io volevo bene al mio "Arcivescovo" e gli mandai spesso relazioni sui Ricostruttori, ma il Lutero della Diocesi ero io per lui,anche se allora non sapevo niente di quell'etichetta di Tradizionalista che mi appiccicava ! Prega per lui come faccio ancora io,pur essendo oggi un Sedevacantista Sempliciter o Totale ! Pensa ironia della sorte il 16 Aprile,ultimo scorso,Caffarra ha concesso la celebrazione di una Santa Messa Cattolica di Sempre da Requiem per Giovanni Paolo II a Bologna vedi Quì (http://www.unavoce-ve.it/04-05-40.htm) ,perché a Ferrara no in quegli anni ?

Con Stima !

Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

:(

Augustinus
12-05-05, 20:35
Siamo OT. Ritorniamo al tema del Thread. Grazie. ;)

Caterina63
12-05-05, 22:31
Originally posted by FRANCESCANO
A ME PARE UN PO' ESAGERATO FARE DI TUTTA UN'ERBA UN FASCIO.
OCCORRE DISTINGUERE PER NON CADERE IN GENERALIZZAZIONI, SOLITAMENTE PERICOLOSE.
CERTAMENTE IN PASSATO VI SONO STATI DEI GRANDI GESUITI, MA ANCHE DEI POCO FEDELI SEGUACI DI SANT'IGNAZIO. ED ALTRETTANTO AVVIENE OGGI. COSì COME AVVERRà DOMANI.
NON DIMENTICHIAMO LA PARABOLA DEL CAMPO DI GRANO, CHE è UN OTTIMO PARADIGMA DI CIò è IL MONDO E LA CHIESA, DOVE IL GRANO BUONO CRESCE E SI SVILUPPA ACCANTO ALLA GRAMIGNA. POI SARà DIO A SEPARARE IL GRANO DALL'ERBA CATTIVA, RIPONENDO IL PRIMO NEI GRANAI (IL SUO REGNO IN CIELO, IL PARADISO) E BRUCIANDO L'ERBA CATTIVA ED INFESTANTE.

PACE E BENE

FRANCESCANO

Visto che la firma è quella autorevole del PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE......E VISTO CHE SI CHIAMA PURE RATZINGER......direi che fare una affermazione del genere ingenera solo dubbi ALL'AUTORITA' DELLA CHIESA........se sono arrivati a tanto è impensabile che oggi come oggi la Congregazione per la fede abbia agito facendo di tutt'erba un fascio.............di conseguenza, ringraziamo il Signore che ci ha donato tale CONGREGAZIONE DI TUTELA ALLA VERA DOTTRINA........:)

Fraternamente Caterina DOMENICANA

Vandeano (POL)
12-05-05, 22:34
Originally posted by Augustinus
Siamo OT. Ritorniamo al tema del Thread. Grazie. ;)


Chiedo scusa ma ho dovuto fare alcune precisazione.

Molte scuse !

:rolleyes: :o :rolleyes:

Augustinus
12-05-05, 23:14
Non manca chi è aduso fare CONSIDERAZIONE PERSONALI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=2159333#post2159333) non richieste :rolleyes: :rolleyes: :rolleyes:
Con quale autorità, poi ... Chissà :D :D :D

Augustinus
12-05-05, 23:33
Originally posted by Caterina63
Visto che la firma è quella autorevole del PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE......E VISTO CHE SI CHIAMA PURE RATZINGER......direi che fare una affermazione del genere ingenera solo dubbi ALL'AUTORITA' DELLA CHIESA........se sono arrivati a tanto è impensabile che oggi come oggi la Congregazione per la fede abbia agito facendo di tutt'erba un fascio.............di conseguenza, ringraziamo il Signore che ci ha donato tale CONGREGAZIONE DI TUTELA ALLA VERA DOTTRINA........:)

Fraternamente Caterina DOMENICANA

A proposito, dimenticavo. Benvenuta Caterina nel sottoforum.
E non ti preoccupare: non siamo mangiatori di ... forumiste ... :D :D :D Almeno io non ho divorato nessuno. Sinora :D ;)

Augustinus
12-05-05, 23:40
http://img440.imageshack.us/img440/7215/omniavanitasnm8.jpg William Dyce, Omnia Vanitas, 1848, Collezione privata

Vandeano (POL)
12-05-05, 23:58
Originally posted by Augustinus
A proposito, dimenticavo. Benvenuta Caterina nel sottoforum.
E non ti preoccupare: non siamo mangiatori di ... forumiste ... :D :D :D Almeno io non ho divorato nessuno. Sinora :D ;)

Benvenuta Caterina di cuore,persino da parte mia,che vengo ritenuto un mostro misogeno,oltre che Eretico e Scismatico ! Per lo meno mostro lo sono !

Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)

TheDruid (POL)
13-05-05, 00:00
Originally posted by Vandeano
Benvenuta Caterina di cuore,persino da parte mia,che vengo ritenuto un mostro misogeno,oltre che Eretico e Scismatico ! Per lo meno mostro lo sono !

Succi Leonelli Marco (IL VANDEANO)



Un pò sovrappeso ... però ha un bellissimo sorriso.

Misogeno non credo ... eretico non lo è ... scismatico forse...

Vandeano (POL)
13-05-05, 00:13
Originally posted by TheDruid
Un pò sovrappeso ... però ha un bellissimo sorriso.

Non dica Eresie,tanto per non andare OT.

Scherzi a parte grazie,l'ho preso da mia madre,persino ora che è inferma,quando la curo e mi sorride sembra un Angelo sotto i vent'anni e ne ha 68 ormai ! Sarà l'unica cosa bella che ho,ed è solo un dono dei miei Santi Genitori e del Buon Dio,non posso gloriarmi di nulla io nella vita,perché tutto ho ricevuto e ricevo da Nostro Signore Gesù Cristo e da Maria Santissima ! Misogeno avrei voluto esserlo,ma ho finito poi sempre per amare qualcuno che non mi ha mai amato e forse con ragione chissà ? Sono una creatura d'altri tempi e "la Bella e la Bestia" è una pura utopia, oggi regnano la stupidità e l'ipocrisia. Per essere Scismatici ci vorrebbe qualcosa da cui staccarsi e dov'è ? In tutte le mie esperienze ho visto solo accozzaglie settarie e ipocrite !

Caterina63
13-05-05, 19:08
e grazie dei saluti...........
mostro....vabbè......mo nun esagerare sei un pò in sovrappeso........:D comunque non è l'esteriorità che fa mostri, ma quello che esce da dentro di noi:D che hai scritto per farti considerare mostro?:D

Infine scusatemi, ma in quale sezione siamo qui??? io accedo da un collegamento messo in un altro forum, ma nella lista quale voce siete?

Fraternamente Caterina LD

uva bianca
13-05-05, 19:14
questo è un sottoforum del forum cattolici romani


http://www.politicaonline.net/forum/forumdisplay.php?s=&forumid=21

Vandeano (POL)
13-05-05, 19:22
Originally posted by uva bianca
questo è un sottoforum del forum cattolici romani


http://www.politicaonline.net/forum/forumdisplay.php?s=&forumid=21

Noi purtroppo lo sappiamo vero Uva Bianca ? Purtroppo lo sappiamo !

:rolleyes: :( :rolleyes:

uva bianca
13-05-05, 19:51
Originally posted by Vandeano
Noi purtroppo lo sappiamo vero Uva Bianca ? Purtroppo lo sappiamo !


bè, sì... lo sanno tutti,
tranne Caterina63!

Augustinus
15-05-05, 10:30
Certa gente QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=2159333#post2159333), però, preferisce non guardare in casa propria ... :rolleyes: :rolleyes: :rolleyes:

Augustinus
18-07-05, 22:08
Pericolo Anticristo! Il cardinale Biffi dà la sveglia alla Chiesa

L’arcivescovo emerito di Bologna rilegge il celebre racconto del filosofo russo Vladimir Solovev e lo applica al cristianesimo d’oggi. Bersaglio collaterale: il cardinale Martini

di Sandro Magister

ROMA, 3 giugno 2005 – Il cardinale Giacomo Biffi, 77 anni, arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003, teologo e grande studioso di sant’Ambrogio, ha raccolto in un volume pubblicato in questi giorni da Cantagalli alcuni suoi scritti non strettamente teologici.

Titolo del volume: “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo e altre divagazioni”.

L’Anticristo di cui dice il titolo è quello tratteggiato dal filosofo e teologo russo Vladimir Sergeevic Solovev nel suo ultimo libro scritto poco prima della morte nel 1900: “I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo”.

Perché il cardinale Biffi vuole riproporlo oggi all’attenzione di tutti? Perché – scrive – “Soloviev preannunziò con antiveggente lucidità la grande crisi che ha colpito il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento”.

Nella figura dell’Anticristo descritto da Solovev, infatti, Biffi ravvisa “l’emblema della religiosità confusa ed ambigua del tempo che oggi stiamo vivendo”. Vede delineati e criticati il “cristianesimo dei valori”, l’enfatizzazione delle “aperture”, l’ossessione del “dialogo” a qualunque prezzo, “dove pare che resti poco della persona unica e inconfrontabile del Figlio di Dio crocifisso per noi, risorto, oggi vivo. È la situazione che don Divo Barsotti ha denunciato con una frase tremenda e tremendamente vera, quando ha detto che ai nostri giorni nel mondo cattolico Gesù Cristo troppo spesso è solo una scusa per parlare d’altro”.

Nel racconto di Solovev, l’Anticristo viene prima eletto presidente degli Stati Uniti d’Europa, poi è acclamato imperatore a Roma, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all’organizzazione delle Chiese. Ma non è tanto su questa vicenda che il cardinale Biffi richiama l’attenzione, quanto sulle caratteristiche del personaggio. Ecco qui di seguito – in alcuni passi del suo saggio che comunque esige di essere letto per intero – come il cardinale le riassume e come trae da esse una lezione per la Chiesa d’oggi:

Verranno giorni, e anzi sono già venuti...

di Giacomo Biffi

L’Anticristo era – dice Solovev – “un convinto spiritualista”. Credeva nel bene e perfino in Dio. Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava “altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza”.

Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da partre dell’università di Tubinga.

Ma il libro che gli aveva procurato fama e consenso universali porta il titolo: “La via aperta verso la pace e la prosperità universale”, dove “si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l’assoluto individualismo con un’ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di principi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche”.

È vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri ribattevano: “Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito cristiano, dall’amore attivo e dalla benevolenza universale, che volete di più?”. D’altronde egli “non aveva per Cristo un’ostilità di principio”. Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l’altissimo insegnamento.

Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili.

Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. “Il Cristo – affermava – col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi”.

Poi non gli andava “la sua assoluta unicità”. Egli è uno dei tanti; o meglio – diceva – è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo d’oggi.

Infine, e soprattutto, non poteva sopportare il fatto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente ripeteva: “Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto. È marcito, è marcito nel sepolcro...”.

Ma dove l’esposizione di Solovev si dimostra particolarmente originale e sorprendente – e merita la più approfondita riflessione – è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista. [...]

In questa descrizione dell’Anticristo Solovev ha avuto presente qualche bersaglio concreto? È innegabile che alluda soprattutto al “nuovo cristianesimo” di cui in quegli anni si faceva efficace banditore Lev Tolstoj. [...]

Nel suo “Vangelo” Tolstoj riduce tutto il cristianesimo alle cinque regole di comportamento che egli desume dal Discorso della Montagna:

1. Non solo non devi uccidere, ma non devi neanche adirarti contro il tuo fratello.

2. Non devi cedere alla sensualità, al punto che non devi desiderare neanche la tua propria moglie.

3. Non devi mai vincolarti con giuramento.

4. Non devi resistere al male, ma devi applicare fino in fondo e in ogni caso il principio della non-violenza.

5. Ama, aiuta, servi il tuo nemico.

Questi precetti, secondo Tolstoj, vengono bensì da Cristo, ma per essere validi non hanno affatto bisogno dell’esistenza attuale del Figlio del Dio vivente. [...]

Certo Solovev non identifica materialmente il grande romanziere con la figura dell’Anticristo. Ma ha intuito con straordinaria chiaroveggenza che proprio il tolstojsmo sarebbe diventato lungo il secolo XX il veicolo dello svuotamento sostanziale del messaggio evangelico, sotto la formale esaltazione di un’etica e di un amore per l’umanità che si presentano come “valori” cristiani. [...]

Verranno giorni, ci dice Solovev – e anzi sono già venuti, diciamo noi – quando nella cristianità si tenderà a dissolvere il fatto salvifico, che non può essere accolto se non nell’atto difficile, coraggioso, concreto e razionale della fede, in una serie di “valori” facilmente smerciabili sui mercati mondani.

Da questo pericolo – ci avvisa il più grande dei filosofi russi – noi dobbiamo guardarci. Anche se un cristianesimo tolstojano ci rendesse infinitamente più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, il cristianesimo che ha al suo centro lo scandalo della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore.

Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico salvatore dell’uomo, non è traducibile in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. Gesù Cristo è una “pietra”, come egli ha detto di sé. Su questa “pietra” o si costruisce (affidandosi) o ci si va a inzuccare (contrapponendosi): “Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà” (Mt 21, 44). [...]

È stato dunque, quello di Solovev, un magistero profetico e al tempo stesso un magistero largamente inascoltato. Noi però vogliamo riproporlo, nella speranza che la cristianità finalmente si senta interpellata e vi presti un po’ di attenzione.

Il Discorso della Montagna secondo Martini. E secondo Ratzinger

Il saggio del cardinale Giacolo Biffi sopra citato – scritto in prima stesura nel 1991 e rivisto nel 2005 – esce proprio mentre in Italia un’omelia del cardinale Carlo Maria Martini ha acceso una discussione ad esso in qualche modo attinente.

Di Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002, oggi tornato ai suoi studi biblici a Gerusalemme, Biffi è stato vescovo ausiliare, prima di diventare arcivescovo di Bologna.

L’omelia divenuta oggetto di discussione è quella pronunciata da Martini l’8 maggio scorso nel Duomo di Milano, in occasione del XXV anniversario della sua ordinazione episcopale.

In essa, commentando il comando di Gesù: "Ammaestrate tutte le nazioni", Martini ha spiegato che esso significa “insegnare a osservare tutto ciò che il Signore ha comandato. E tutto ciò che ha comandato, in Matteo, è il Discorso della Montagna, o ancora, Matteo 25: ‘Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me’”.

Dopo di che, Martini ha così proseguito:

“È questo che dobbiamo insegnare a osservare ed è molto importante tale discorso oggi. Io lo avverto vivendo in un luogo di particolare sofferenza, dove vengono al pettine i nodi dell’umanità, a Gerusalemme, in Medio Oriente. Abbiamo tutti un immenso bisogno di imparare a vivere insieme come diversi, rispettandoci, non distruggendoci a vicenda, non ghettizzandoci, non disprezzandoci e neanche soltanto tollerandoci, perché sarebbe troppo poco la tolleranza. Ma nemmeno – direi – tentando subito la conversione, perché questa parola in certe situazioni e popoli suscita muri invalicabili. Piuttosto ‘fermentandoci’ a vicenda in maniera che ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità di fronte al mistero di Dio.

“A questo scopo non c’è mezzo più concreto, più accessibile, delle parole di Gesù nel Discorso della Montagna. Parole che nessuno può rifiutare perché ci parlano di gioia, di beatitudine, ci parlano di perdono, ci parlano di lealtà, ci parlano di rifiuto dell’ambizione, ci parlano di moderazione del desiderio di guadagno, ci parlano di coerenza nel nostro agire (‘sia il vostro parlare sì, sì; no, no’), ci parlano di sincerità. Queste parole, dette con la forza di Gesù, toccano ogni cuore, ogni religione, ogni credenza, ogni non credenza. Nessuno può dire: ‘Non sono parole per me: la sincerità non è per me, la lealtà non è per me, il lottare contro la prevaricazione sui beni di questo mondo non è per me…’. È un discorso per tutti, che accomuna tutti, che richiama tutti alle proprie autenticità profonde, ed è quel discorso che ci permetterà di vivere insieme da diversi rispettandoci, non ghettizzandoci, non distruggendoci, nemmeno tenendo le dovute distanze, ma ‘fermentandoci’ a vicenda.

“Allora, se faremo così, tutti gli uomini si riconosceranno in tali valori, si sentiranno più vicini, più compagni e compagne di cammino, sentiranno di avere in comune delle realtà profonde e vere, delle realtà che forse non avrebbero saputo scoprire senza le parole di Gesù. Allora, al di là di differenze etniche, sociali, addirittura religiose e confessionali, l’umanità troverà una sua capacità di vivere insieme, di crescere nella pace, di vincere la violenza e il terrorismo, di superare le differenze reciproche. Sarà allora pienamente manifesto il messaggio della grazia di Dio”.

Questa omelia del cardinale Martini è stata rilanciata l’indomani, 9 maggio, in prima pagina, dal principale quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, come un “manifesto” alternativo alla linea “neoconservatrice” impersonata da papa Joseph Ratzinger.

E in effetti, che tra Ratzinger e Martini gli accenti siano diversi, è fuori dubbio.

Domenica 29 maggio, nell’omelia nella messa del Corpus Domini, a Bari, Benedetto XVI ha così commentato le parole di Gesù: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53), parole che avevano suscitato sconcerto tra i discepoli:

“Di fronte al mormorio di protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: ‘Amici – avrebbe potuto dire – non preoccupatevi! Ho parlato di carne, ma si tratta soltanto di un simbolo, ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti’. Ma no, Gesù non ha fatto ricorso a simili addolcimenti. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte alla defezione di molti suoi discepoli (Gv 6,66). Anzi, egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso: ‘Forse anche voi volete andarvene?’ (Gv 6,67), ha domandato. Grazie a Dio, Pietro ha dato una risposta che anche noi, oggi, con piena consapevolezza facciamo nostra: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’ (Gv 6,68)”.

Quanto al Discorso della Montagna, in un suo libro pubblicato la prima volta nel 1989, “Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità”, Ratzinger scrive:

“Per afferrare la vera profondità delle Beatitudini dobbiamo porre in luce un aspetto che nell’esegesi moderna viene poco considerato, ma che è a mio parere decisivo per una realistica interpretazione del Discorso della Montagna nel suo insieme. Intendo la dimensione cristologica di questo testo. [...] Il soggetto segreto del Discorso della Montagna è Gesù. Il Discorso della Montagna non è un moralismo esagerato e irreale, che allora perde ogni rapporto concreto con la nostra vita e appare nell’insieme impraticabile. E non è neppure – come ritiene l’ipotesi opposta – semplicemente uno specchio in cui si vede che tutti sono e restano peccatori in tutto, e che possono giungere a salvezza solo per una grazia incondizionata. Con questa opposizione di moralismo e di pura teoria della grazia non si penetra nel testo ma lo si allontana da sé. Cristo è il centro che unisce le due cose, e soltanto la scoperta di Cristo nel testo lo apre per noi e lo fa diventare una parola di speranza. Se andiamo al fondo delle Beatitudini, ovunque appare il soggetto segreto Gesù. Egli è colui in cui si vede ciò che significa ‘essere poveri nello Spirito Santo’. Egli è l’afflitto, il mite, colui che ha fame e sete di giustizia, il misericordioso. Egli ha il cuore puro, è colui che porta pace, il perseguitato per causa della giustizia. Tutte le parole del Discorso della Montagna sono carne e sangue in lui. Il Discorso della Montagna è chiamata all’imitazione di Gesù Cristo. Egli soltanto è ‘perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli’ (Mt 5, 48). Non possiamo da noi essere ‘perfetti come il Padre nostro che è nei cieli’, ma lo dobbiamo per corrispondere al compito della nostra natura. Noi non lo possiamo, ma possiamo seguire Gesù, aderire a lui, ‘diventare suoi’. Se noi apparteniamo a lui come sue membra, allora diventiamo per partecipazione ciò che egli è; la sua bontà diventa la nostra. Le parole del Padre nella parabola del figliol prodigo si realizzano in noi: tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15, 31). Il moralismo del discorso, troppo arduo per noi, viene raccolto e trasformato nella comunione con Gesù, nell’essere discepoli di Gesù, nell’amicizia con lui, nella fiducia in lui”.

__________


Il nuovo libro del cardinale Giacomo Biffi da cui è tratto il passo sull’Anticristo:

Giacomo Biffi, “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo e altre divagazioni”, > Cantagalli, Siena, 2005, pp. 256, euro 14,90.

Nel Nuovo Testamento l’Anticristo è evocato in tre passi.

Prima lettera di Giovanni 4, 3: "Ogni spirito che non riconosce Gesù non è da Dio. Questo è lo spirito dell'Anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo".

Seconda lettera di Giovanni 1, 7: "Molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'Anticristo!".

Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi 2, 3-5: "Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà venire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose?".
__________

Il testo integrale dell’omelia dell’8 maggio 2005 del cardinale Carlo Maria Martini, nel sito dell’arcidiocesi di Milano:

> “Desidero esprimere la mia più viva gratitudine...” (http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/esy/objects/docs/254064/Omelia_Martini_Episcopato.rtf)

Il testo integrale dell’omelia di Benedetto XVI del 29 maggio 2005, nel sito del Vaticano:

> "Glorifica il Signore, Gerusalemme...” (http://212.77.1.245/news_services/bulletin/news/16618.php?index=16618&po_date=29.05.2005&lang=it)

Il libro di Joseph Ratzinger da cui è tratto il passo sul Discorso della Montagna (pp. 47-53):

Joseph Ratzinger, “Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità”, Jaca Book, Milano, 2005, pp. 104, euro 10,00.
_________

Sul cardinale Giacomo Biffi, in questo sito:

> Giacomo Biffi vescovo, l´ultimo dei grandi Ambrosiani (28.10.2002) (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=7668)

> Pinocchio riletto dal cardinale Biffi: "L'alto destino di una testa di legno" (24.8.2000) (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=7256)
__________

E su don Divo Barsotti, mistico e direttore spirituale, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, autore della frase secondo cui “ai nostri giorni nel mondo cattolico Gesù Cristo troppo spesso è solo una scusa per parlare d’altro”, vedi in wwwchiesa:

> Un filosofo, un mistico, un teologo suonano l’allarme alla Chiesa (7.2.2005) (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=22372)

Fonte: www.chiesa (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=32418)

Augustinus
20-12-05, 20:25
FIGLI DEGENERI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=214410). V. anche QUI (http://www.cwnews.com/offtherecord/offtherecord.cfm?task=singledisplay&recnum=3305).
Insomma, optimi corruptio pessima :eek: :eek: :ue :ue

Grazie alla forumista Caterina per la segnalazione.

Augustinus
23-12-05, 17:56
La Madonna col profilattico

di Vittorio Messori

n.b. la versione che segue non è quella pubblicata sul giornale ma quella, più completa, che doveva essere pubblicata per poi venire ridimensionata.

La Rete si è già mobilitata . Internet è affollata di siti cattolici, in ogni idioma: non c’è parrocchia, associazione, gruppo ecclesiale che non abbia i suoi computer, smanettati da volontari abili ed attivi. In queste ore, dunque, passano di schermo in schermo gli appelli per intasare di messaggi di protesta non solo la redazione di un giornale di gesuiti americani ma anche la loro Casa generalizia, nonché il Nunzio Apostolico negli Stati Uniti e il Cardinal Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata .

Il giornale nel mirino è America, un mensile di lunga tradizione e di grande prestigio, considerato un tempo una sorta di Civiltà Cattolica del Nuovo Mondo. Un tempo, dico, perchè mentre il periodico dei gesuiti italiani continua, dal 1850, la sua lealtà alla Segreteria di Stato, che ne rivede ancora le bozze, non così il giornale dei gesuiti degli Stati Uniti . Sin dall’immediato postconcilio, America ha scelto un radicalismo spericolato -in temi teologici, politici, etici– che ha provocato tensioni con la Gerarchia ed ammonimenti da parte della Santa Sede. Negli Stati Uniti, comunque, la maggioranza dei religiosi superstiti (la Compagnia di Gesù ha subito in queste decenni un severo salasso) fa quadrato attorno al suo giornale, convinta che l’adeguamento ai valori sempre mutevoli del mondo, la sudditanza allo spirito del tempo, siano il modo autentico per dirsi oggi cattolici.

Ma ciò che sta scatenando su Internet la catena mondiale di reazioni indignate non è uno dei tanti articoli, spesso complessi ed ostici, dei teologi, dei biblisti, dei moralisti gesuiti. Il motivo sta in un vistoso annuncio ospitato dall’ultimo numero di America , dove si propone la vendita –per 300 dollari, più spese postali per l’invio dalla Gran Bretagna – di quello che viene definito <<un pezzo unico dell’arte religiosa contemporanea>>. Si spiega, nel testo, che l’oggetto consiste in <<una strepitosa (stunning) statuetta, alta 22 centimetri, della Vergine Maria che schiaccia un serpente , avvolta da un velo delicato di lattice >>. La stessa materia, dunque, di cui sono fatti i preservativi. In effetti, la fotografia a colori dell’annuncio non lascia dubbi: proprio di un normale profilattico si tratta, completo del piccolo serbatoio per lo sperma che “l’artista“ -tal Steve Rosenthal, di un‘Accademia di Londra- ha adattato sul capo della Madonna, come fosse un grottesco berretto che sostituisca la corona regale della tradizione. Per completare lo sberleffo, mister Rosenthal ha scelto per la sua “opera d’arte religiosa contemporanea “un nome adeguato: Extra Virgin. Come l’olio di oliva o la lana dei pullover .

Significativo che la reazione immediata e sdegnata sia partita dall’America Latina, dove la devozione mariana è tanto inestirpabile che persino i molti che passano alle sette evangeliche –sostenute dal denaro del governo nordamericano- rinnegano papi, preti, indulgenze, ma non la loro Vergine e i loro rosari. Ai latinos si è comunque aggregato subito il resto del mondo cattolico: io stesso ho ricevuto dai Continenti più diversi l’ indicazione degli indirizzi elettronici dei gesuiti, del nunzio a Washington, del Cardinal-prefetto a Roma cui spedire la protesta .

Dunque, una “cosa“ sconcia e blasfema proposta, al costo di 300 dollari, dal più autorevole medium dei gesuiti americani: una pubblicità mirata –pertanto, particolarmente costosa- per un pubblico di religiosi, di suore, di laici cattolici impegnati. Il tutto, in una Chiesa come quella degli States, ridotta alla bancarotta economica e all’ignominia morale da un clero cui troppo spesso piace palpeggiare i genitali dei seminaristi. Ma proprio America si è fatta cassa di risonanza delle indignate proteste “progressiste“ contro il recente decreto vaticano che cerca di impedire che la vita religiosa sia l’agognato rifugio di pedofili, alla ricerca di prede numerose e attraenti.

C’è sconforto, dunque, più che indignazione. Viene in mente l’inevitabile Flaiano: <<Non chiedetevi dove andremo a finire, perchè ci siamo già>>. Ma c’è, anche , un po’ di curiosità amara: questi membri della Compagnia di Gesù, difensori arcigni del “politicamente corretto“, questi apostoli maniacali del dialogo ad oltranza verso ogni fede e credenza, avrebbero accettato pubblicità con statuine di Maometto, di Budda, di Mosé , di Abramo, di Confucio, avvolti in un preservativo, con il serbatoio seminale come copricapo e con un titolo irridente? O, forse, per questi Padri, il rispetto vale per tutti, tranne che per quel cattolicesimo di cui essi stessi fanno parte, addirittura come “consacrati“, legati a voti perpetui di cui un quarto di fedeltà assoluta (perinde ac cadaver), al Papa e al suo insegnamento? Ignazio di Loyola, focoso soldato di ventura, confessò che –ancor fresco di conversione– riuscì a stento a dominarsi e a non mettere mano alla spada sentendo un compagno di strada che negava il concepimento immacolato di Maria. Dopo cinque secoli, questi suoi “discepoli“ pubblicizzano a pagamento Madonne il cui velo verginale è un preservativo: qualcuno, chiama questo “cristianesimo adulto“.

FONTE (http://www.et-et.it/articoli2005/a05o22.htm)

Augustinus
23-12-05, 17:58
La replica dei gesuiti e la risposta di Messori

Sono rimasto stupito dell’articolo di Messori -a cui vien data evidenza sulla prima pagina del Corriere del 22 dicembre (“Il velo di Maria? Un profilattico. Accuse ai gesuiti USA”) -, a proposito della sfortunata vicenda di una inserzione pubblicitaria volgare e gravemente offensiva della sensibilità religiosa dei cattolici, pubblicata sulla rivista settimanale dei gesuiti statunitensi America, e della ondata di proteste che ha suscitato.

L’Autore sembra dare per scontato che la pubblicazione sia stata consapevole ed intenzionale, e che – in certo senso – sia un’espressione di una linea di “adeguamento ai valori sempre mutevoli del mondo”.

Forse è utile sapere che l’incidente è avvenuto sul numero del 5 dicembre, e che da allora e su due numeri successivi il povero direttore, P. Christiansen, pubblica e ripubblica lettere costernate di scuse ai lettori, spiegando che si è trattato di un grave errore dovuto alla disattenzione nel verificare le inserzioni pubblicitarie.

Questa, del resto, è la prima ed unica spiegazione che mi è venuta immediatamente in mente quando ho saputo del fatto, e che viene immediatamente in mente a chiunque conosca e segua la rivista America, lo stile dei suoi articoli e il genere tipografico dei suoi inserti pubblicitari (simili, del resto, a quelli di gran parte delle analoghe pubblicazioni americane).

Una grave, gravissima disattenzione dunque. Nella storia del giornalismo si ricordano diverse sviste clamorose. Un incidente di percorso davvero infelice per una pubblicazione seria, ma certamente non un’intenzione di offendere volgarmente la sensibilità dei credenti.

Le scelte editoriali dei gesuiti della rivista America possono non essere condivise da tutti, ma essi non sono dei pericolosi progressisti, sono dei religiosi che cercano di affrontare – senza sfuggire – i problemi più seri e difficili della fede e della Chiesa nella società americana di oggi, e lo fanno spesso in modo esemplare, ospitando frequentemente firme di teologi ed ecclesiastici di sicurissima lealtà ecclesiale (come il card. Avery Dulles, tanto per fare un nome noto).

Chi ha seguito con preoccupazione e partecipazione la crisi della Chiesa americana per le questioni di pedofilia, ha trovato su America molto aiuto – serio e competente – per approfondire e affrontare tali questioni drammatiche con grande equilibrio dal punto di vista psicologico, spirituale e morale.

L’attuale direttore, P. Drew Christiansen, si è specificamente impegnato inoltre per curare anche maggiormente una linea che non si prestasse ad ambiguità in rapporto alla dottrina e alle posizioni ufficiali della gerarchia ecclesiastica.

I gesuiti di America – da buoni uomini di cultura - sono stati assai distratti nella verifica di uno fra le centinaia di inserti pubblicitari dei 52 fascicoli che pubblicano ogni anno, e così sono caduti in un brutto tranello di qualcuno che voleva mettere in ridicolo loro e la devozione mariana; ma non sono certo così intellettualmente rozzi da utilizzare intenzionalmente per qualsivoglia scopo un inserto volgare come quello della Madonna con un profilattico in testa.

Nessuno che li conosca può neppure lontanamente immaginarlo.

Perciò non è corretto sviluppare, a partire da questo triste incidente, considerazioni più ampie sulla fedeltà o meno alla Chiesa da parte loro o di loro confratelli.

Il turpe ideatore dell’inserto pubblicitario ha già raggiunto più che a sufficienza il suo indegno scopo di ridicolizzare America e la devozione mariana, non diamogli la soddisfazione di assurgere a bandiera di una battaglia ideologico-dottrinale. Questo sarebbe francamente eccessivo.

Federico Lombardi S.I.
Direttore della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano

Allo “stupore“ di padre Lombardi ci permettiamo di contrapporre il nostro. Dunque, non farebbe notizia da riportare con evidenza il fatto che la rivista più autorevole e diffusa dei gesuiti americani propagandi statuette mariane rivestite da un preservativo. Non la pensano così le migliaia di persone (anche non cattoliche, ma rispettose dei segni religiosi) che hanno intasato la posta elettronica di America. La quale, stamane, mi ha fatto inviare il dossier di scuse e di buoni propositi per il futuro dell’Editor in Chief e degli Editors del periodico: si parla di << profondo rammarico>>, ci si dice << molto imbarazzati>>. Addirittura –e, almeno questo, è molto cattolico– si chiede <<perdono>>, proponendo di non farlo più. I Padri riconoscono che l’oggetto proposto in vendita dal giornale della loro Compagnia costituisce <<un assalto alla fede e alla devozione cattolica>> e assicurano che, all’inserzionista, sono stati restituiti i soldi pagati per l’annuncio. Come giustificazione, mi si dice che, nelle bozze licenziate per la stampa, non si vedeva chiaramente la presenza di un preservativo. In verità sembra a noi che l’oggetto fosse ben evidente. E non si ricorda che era ben chiaro, e non poteva sfuggire, il titolo beffardo Extra Virgin e la precisazione dell’ “artista“ che si trattava di un manto di “morbido lattice“.

Uomo di grande esperienza, padre Lombardi sa meglio di me quale sia, purtroppo, il rigetto, il fastidio che la devozione mariana provoca da tempo in tanti religiosi che si vogliono “adulti“ ed “ecumenici“. Sa che, in certe chiese, si è giunti non solo a relegare in soffitta ma addirittura a frantumare immagini della Madonna, ad impedire la recita pubblica del rosario, a sconsigliare pellegrinaggi ai santuari, a non portare su di sé medaglie ed immaginette mariane. Siamo lieti di apprendere che lo staff di America non partecipa di simili prospettive e che dunque, siamo davanti solo a un caso di omesso controllo, a un incidente, a un infortunio editoriale. C’è da rallegrarsene, davvero. Ma la situazione attuale del personale della Chiesa, soprattutto negli Stati Uniti, legittima ogni diffidenza istintiva e può spiegare reazioni come la mia e come quella di migliaia di cattolici nel mondo.

Vittorio Messori

FONTE (http://www.et-et.it/articoli2005/a05o23b.htm)

Augustinus
23-12-05, 18:04
Una piccola domanda: d'accordo, si è trattata di una ... "svista", come quella di un paio di mesi fa dei paolini di FC. Tutte "sviste". Dunque. Ma perchè non i direttori editoriali non si comprano un bel paio di occhiali? :D :D
I direttori sono i responsabili di ciò che pubblicano. E loro ne rispondono. La scusa della "svista" va bene per i polli. Le loro "scuse" sono talmente irrazionali che rasentano il ridicolo. Tuttavia, ciò che accade dimostra che il male è assai radicato. Si necessita di un intervento risolutore.

Martha
28-12-05, 18:38
La nuova evangelizzazione...:(

Sfide missionarie
Gesuiti in Alaska, l’inculturazione tra i ghiacci

Nata in circostanze tragiche, la presenza della Compagnia di Gesù in Alaska è oggi un riferimento per la popolazione autoctona. Nel racconto di un gesuita, missionario nella regione, gioie, difficoltà e prospettive dello strano incontro tra tradizioni indigene, stile di vita occidentale e fede cristiana.


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Il 13 luglio 1886 l’arcivescovo Charles Seghers lasciò Victoria (nello Stato di British Columbia, Canada) per recarsi in Alaska, accompagnato da due gesuiti, Pascal Tosi e Louis Robaut, provenienti dalle missioni delle Montagne rocciose (e, originariamente, da Torino), e da un benefattore della Compagnia, un certo Robert Fuller. Il Superiore regionale dei gesuiti chiarì fin dall’inizio che i due padri erano semplicemente accompagnatori del presule e che la loro presenza non indicava alcun coinvolgimento della Compagnia di Gesù nel futuro lavoro nella regione.
Quando giunsero in Alaska, l’inverno era ormai alle porte e l’ultimo tratto dell’itinerario si fece molto difficile. Il vescovo decise di lasciare i gesuiti alle sorgenti dello Yukon (al confine tra Alaska e Canada), e di procedere con Fuller lungo il fiume, in quel periodo completamente ghiacciato. Aveva sentito dire che i missionari protestanti avevano iniziato a perlustrare la zona e a visitare alcuni villaggi, ed era ansioso di arrivare lì prima che essi tornassero. I due gesuiti rimasero d’accordo di rincontrarsi con lui in primavera, dopo il disgelo. Ma questo incontro non avvenne mai. Più o meno a metà del tragitto, in un luogo oggi conosciuto come la Roccia del Vescovo, Fuller in un momento di follia uccise mons. Seghers.
Appresa la tragica notizia, padre Tosi ritornò alla sua missione, s’incontrò con il Superiore regionale e lo incoraggiò a chiedere al Padre Generale, a Roma, di annettere l’Alaska alle missioni delle Montagne rocciose. Inoltre ottenne il permesso di tornare nella regione insieme a due confratelli, con l’ordine però di attendere le istruzioni del Generale prima di procedere oltre. Nel 1888, il Superiore scrisse a padre Tosi queste parole: «Il Padre Generale vuole che facciamo tutto il possibile per l’Alaska». Così, il missionario partì per Roma per consultarsi con le autorità ecclesiali e per trovare sacerdoti per la nuova missione. Si narra che il Papa Leone XIII, colpito dai racconti del gesuita, gli disse: «Vai e agisci in quelle regioni come se fossi il Papa». Probabilmente il pontefice non immaginava che i gesuiti l’avrebbero preso così alla lettera. Come disse una volta un anziano missionario, rievocando il passato, «ognuno di noi era un Papa nel proprio villaggio». E non poteva che essere così considerando le condizioni atmosferiche estreme e la difficoltà dei viaggi e delle comunicazioni. Alcune località, ad esempio, potevano inviare e ricevere posta solo una o due volte all’anno.

Come cambia la missione
Centoquindici anni dopo, le cose sono cambiate radicalmente: le mute di cani vengono usate solo in occasione di gare o comunque a scopo ricreativo; ogni villaggio ha un piccolo aeroporto; motoslitte, telefoni e fax sono reperibili ovunque; computer, internet e posta elettronica si stanno diffondendo sempre di più; la medicina e l’economia moderne hanno ormai modificato lo stile di vita. Soprattutto, non c’è nessuno che non abbia sentito parlare di Gesù e del Vangelo. Solo una delle tre diocesi in cui è suddiviso l’Alaska, quella di Fairbanks, rimane una «diocesi di missione». E a presiederla è stato recentemente nominato un vescovo diocesano. L’Alaska non è più, dunque, una regione dipendente dalla Compagnia dal punto di vista amministrativo. I gesuiti che vi lavorano sono membri della Provincia dell’Oregon o comunque dipendenti da essa.
Se i primi gesuiti in Alaska, come abbiamo visto, si concepivano come «Papi nei propri villaggi», impegnati nel compito di portare Cristo, la sua Chiesa e i suoi sacramenti agli autoctoni, possiamo chiederci come oggi i gesuiti vedono se stessi. Per chiarire la missione attuale della Compagnia si può citare un importante documento pubblicato nel 1985: «Noi, gesuiti dell’Alaska, fissiamo come nostro obiettivo quello di aiutare gli abitanti di questa regione a diventare una Chiesa realmente indigena […]. L’apostolato svolto da noi gesuiti dovrà aiutare le persone a credere nel valore della propria cultura e ad articolare una spiritualità radicata in essa. Nello stesso tempo dovrà aiutarle ad apprezzare il fatto che esse sono membri di una comunità di fede mondiale, che abbraccia un’ampia varietà di culture».
Da quando questa dichiarazione venne pubblicata, i gesuiti dell’Alaska rurale (cioè al di fuori delle grandi città), su richiesta del vescovo di Fairbanks, hanno concentrato i propri sforzi e il loro ministero tra gli Yup’ik Eskimo, l’etnia della regione sud-occidentale. Il loro ministero ha tre grandi direttrici: garantire il servizio pastorale e sacramentale, formare laici in grado di gestire la vita della Chiesa locale, promuovere la creazione di un équipe di diaconi indigeni. Bisogna considerare infatti che, mentre un tempo c’erano fino a 25 gesuiti che lavoravano in questa regione, oggi sono solo 8 - il più anziano dei quali ha 87 anni - e devono seguire 18 villaggi Yup’ik e una città.
Riconoscendo che sono ospiti in una cultura altrui, i gesuiti vengono assegnati a queste zone non come pastori ma come «visiting priests» (lett. «sacerdoti in visita», ndt). Oltre a celebrare i sacramenti, si occupano del ministero della Parola, operando più come trainer e animatori che come pastori. Generalmente si fermano due settimane in un villaggio e accompagnano nel cammino coloro che - laici o diaconi - lavorano come catechisti, ministri della Parola e dell’Eucaristia, amministratori parrocchiali, membri di consigli pastorali, assistenti dei malati e dei morenti. In questo modo, la vita della Chiesa in ogni villaggio continua anche in loro assenza.

I semi del Verbo
Uno degli aspetti più importanti della presenza della Compagnia in Alaska è la collaborazione. Poiché, quando sono nei villaggi, i gesuiti lavorano perlopiù senza il conforto di altri confratelli, essi si riuniscono una volta al mese per pregare, condividere le esperienze e per la programmazione apostolica. Ciò è possibile poiché i villaggi non sono più isolati come in passato ed è fondamentale per i gesuiti, di tanto in tanto, incontrarsi per lavorare e pianificare insieme. Ma la collaborazione va anche al di là della Compagnia. Tre volte all’anno i gesuiti si incontrano con lo staff che si occupa dell’attività pastorale e di evangelizzazione in tutta la regione - suore, preti diocesani e una rappresentanza dei diaconi indigeni - per discutere, coordinarsi e pianificare le attività. Oltre a questi incontri vi è poi una collaborazione più ordinaria, fatta di incontri, colloqui, iniziative comuni.
L’inculturazione è un altro aspetto importante del ministero. Se i primi gesuiti erano animati dal desiderio di «portare Cristo ai popoli indigeni», non erano altrettanto sensibili a rintracciare ciò che i Padri della Chiesa e il Concilio Vaticano II chiamano i «semi del Verbo», sparsi da Dio stesso nel cuore delle varie culture. Così, oggi, un obiettivo irrinunciabile è quello di aiutare la popolazione locale a costruire una Chiesa che sia autenticamente Yup’ik e autenticamente cattolica.
Il potlatch con la sua offerta di doni e le sue danze rappresenta un buon esempio; è una parte importante della cultura Yup’ik. In passato i missionari non sostenevano certo il potlatch con la stessa convinzione con cui lo fanno oggi. È solo dopo il Vaticano II che i gesuiti si sono resi conto di quanto numerosi e profondi siano i «semi del Verbo» presenti nei costumi e nelle tradizioni locali. Non tutte le canzoni o le danze sono esplicitamente religiose, ma alcune sono composte in forma di preghiera e sono adatte a essere utilizzate nella liturgia. È inoltre molto importante per i bambini ricevere nomi Yup’ik, in onore degli antenati. Prima di iniziare il rito battesimale, un membro anziano della comunità è invitato ad assegnare un nome Yup’ik, sottolineando questo gesto con l’acqua, secondo quella che è la tradizione Eskimo. Anche le maschere sono da sempre una parte importante della cultura locale, e in anni recenti gli artisti nativoamericani hanno realizzato maschere «cristiane». Alcune di esse decorano oggi le nostre chiese.
Proprio come disse Gesù agli ebrei del suo tempo: «Non sono venuto per abolire la Legge o i Profeti ma per dare loro compimento» (Mt 5, 17), così fa parte della missione della Compagnia ricordare al popolo Yup’ik che «il cristianesimo non è venuto a distruggere lo stile tradizionale di vita, ma a dare ad esso una nuova pienezza». I semi della Parola di Dio erano già presenti prima che arrivassero i missionari occidentali. Non deve meravigliare che oggi la gente sottolinei spesso come essere cattolici ed essere Yup’ik non siano due strade alternative ma un’unica via.

Dialogo a due voci
Sebbene stiamo lavorando con grande impegno per compiere la nostra missione, abbiamo ancora una lunga strada davanti: la Chiesa dell’Alaska è solo in parte diventata una Chiesa popolare; siamo ancora dipendenti dall’aiuto degli occidentali e, se pure abbiamo avuto qualche successo col programma di formazione per i diaconi, ancora non possiamo contare su nessun sacerdote Yup’ik; infatti, decidere di non formare una famiglia è qualcosa di veramente lontano da questa cultura.
Il nostro sforzo più recente è stato quello di avviare un dialogo inter-culturale e inter-religioso, un dialogo che, per essere genuino, deve essere reciproco. Invece, nel passato, gli Yup’ik hanno avuto la sensazione di essere considerati semplici recettori della fede, più che persone a cui Dio ha fornito doni e valori da mettere a disposizione della Chiesa universale e del mondo occidentale. Questi valori sono, ad esempio, il rispetto per il creato e per l’ambiente, un profondo senso di gratitudine per i doni della natura. Una delle prime e più importanti parole che impara un piccolo Yup’ik Eskimo è guyana, che significa grazie. Durante la Messa di chiusura del potlatch, i fedeli orgogliosamente proclamano: «Atanetma guyana caneq. Kristussag guyana caneq. Atanetma guyana caneq» («Signore, noi ti ringraziamo, Cristo ti ringraziamo, Signore ti ringraziamo»). È il segno della profonda convinzione che tutto è dono, e dono di Dio. Quindi, ringraziare è l’atto più importante che si possa fare. E, in quanto doni, anche i beni della Terra devono essere rispettati, condivisi e mai distrutti. È questo messaggio che la Chiesa e il mondo occidentali hanno bisogno di ascoltare.


Ted Kestler S.I.

Fonte: www.popoli.info/anno2003/06/ar030608.htm

Augustinus
21-05-06, 10:45
Evoluzionismo di Cristo

di Maurizio Blondet

09/05/2006

Padre Guy Consolmagno, gesuita, è l'astronomo del Vaticano.
Arrivato a Glasgow per un convegno, ha allegramente detto la sua sul «creazionismo», sulla scienza, sulla fede e sull'infallibilità pontificia (1).
Credere che Dio ha creato il mondo in sei giorni «è una forma di paganesimo», ha esordito.

http://www.effedieffe.com/tasti/img/consolmagno.jpg Padre Guy Consolmagno

E ciò perché ci riporta ai tempi in cui l'uomo credeva a «dei della natura», che producevano eventi naturali come il fulmine e il tuono.
«Ma il Dio cristiano è un dio soprannaturale» [dunque non l'autore del mondo, par di capire]; ed è proprio per questo che i preti cristiani possono fare gli scienziati (come lui), ossia cercare le cause naturali dei fenomeni naturali, prima attribuiti a «divinità vendicatrici».
Poi il nostro è tornato sul creazionismo e sui suoi sostenitori.
Costoro, ha detto, hanno diffuso nella società il «mito distruttivo» secondo cui la scienza e la religione sono in contrasto.
Invece - tenetevi forte, perché qui l'originalità del luogo comune potrebbe sconvolgervi - «scienza e religione hanno bisogno l'una dell'altra».
«La religione ha bisogno della scienza per non cadere nella superstizione e per tenersi a contatto con la realtà [sic]. E anche per proteggersi dal creazionismo, che è una forma di paganesimo».

Chiuso così l'argomento, lo scienziato vaticano s'è voluto esprimere sulla infallibilità pontificia.
«L'idea è un disastro in termini di pubbliche relazioni», ha detto.
«Ciò che realmente significa è che, in materia di fede, i fedeli devono accettare che qualcuno deve essere il boss, l'autorità finale. Ma non è che questo ha un potere magico, che Dio gli sussurra la verità all'orecchio».
Quest'ultima è finalmente (e forse per puro caso) una verità: no, Dio non sussurra direttamente all'orecchio del Papa.
Ma dal resto del discorso, si capisce fin troppo bene che padre Guy è americano: per lui l'autorità del Papa dipende, come quella del presidente USA, da una convenzione («qualcuno ha da essere il boss», avere l'ultima parola).
E che per lui, meglio sarebbe far dipendere l'infallibilità da una convenzione di tipo elettorale, perché così com'è è «un disastro di PR».
Insomma, dovremmo abbandonare l'obsoleta convinzione «magica» dell'infallibilità pontificia, e sostituirla con l'infallibilità di padre Guy.
Molto più moderna e senza alcuna venatura soprannaturale.
La cosa è assai istruttiva.
Perché padre Guy è un esempio molto ingenuo della specifica stupidità dello scienziato, e insieme della particolare stupidità del prete moderno (salvo eccezioni, naturalmente).

Purtroppo, lo scienziato oggi non ha bisogno di essere intelligente.
Grazie agli sforzi di genii superiori del passato, ha a disposizione un metodo; e lo applica al suo settore del sapere - sempre più ristretto - come si applica ad una macchina.
Lo scienziato non ha nemmeno bisogno di avere concezioni rigorose e profonde sul significato e il fondamento del metodo, come noi non abbiamo bisogno di sapere il linguaggio-macchina per usare il computer.
Del resto, di quel piccolissimo suo campo di cui è specialista, lo scienziato «sa tutto».
Il guaio è che di tutto il resto - arte, religione, politica, i problemi generali della vita - non solo non sa niente, ma interviene in essi con la petulanza e la sicumera di chi, nel suo piccolissimo specialistico, «sa tutto».
Lo scienziato è il tipico uomo-massa moderno: un primitivo convinto di avere delle «idee» su cose che non ha mai studiato, mai pensato, e per affrontare le quali non dispone di un metodo.
Così, è divertente notare che padre Guy continua a supporre che la critica anti-evoluzionista in corso venga da «creazionisti convinti che Dio ha creato il mondo in sei giorni».
Non sa che le obiezioni vengono da paleontologi e da biologi molecolari.

I primi continuano a non trovare gli «anelli di congiunzione» (per definizione «mancanti») ossia le forme di passaggio da una specie all'altra, di cui gli strati geologici dovrebbero essere pieni, se fosse vera l'ipotesi darwiniana che l'evoluzione è onnipresente e incessante nel vivente.
I secondi, i biologi molecolari, sono stupefatti dalla complessità sempre più ingegnosa e incredibile che scoprono nel DNA (anche nelle «forme più semplici di vita», nelle più «primitive») e dalla sua stabilità spaventosa: la resistenza dinamica che oppone alle mutazioni casuali, per milioni di anni.
I biologi sono sgomenti alla scoperta che, poniamo, il coccodrillo esisteva già prima dei dinosauri, e non è mai cambiato in 70 milioni di anni.
Il fatto di essere astronomo non dà a padre Guy una scienza infusa attorno al DNA né ai fossili.
La scienza di cui è specialista è molto più semplice e schematica, anche se - come ogni altro campo della scienza - piena di problemi non-risolti, anzi non affrontati, per il semplice fatto che non si piegano ai suoi metodi.
Ed è per questo che i darwinisti più duri sono spesso degli astronomi, come da noi la signora Hack: non leggono ciò che si pubblica sul problema, ne sono ignoranti come l'uomo medio, e pretendono che il problema non esista, che sia già risolto.
Sono, in questo, uomini di fede.
Credono ad una cattiva metafisica.

Padre Guy crede alla scienza più che alla religione di cui è prete: e giudica la religione in base a pregiudizi scientifici.
Infatti, padre Guy dice che alla Chiesa serve la scienza per «mantenersi vicina alla realtà».
Da scientista ottocentesco, crede ancora che la scienza colga «la realtà», la «natura».
Gli è ignoto il dibattito epistemologico avviato dai fisici sub-nucleari, per i quali la scienza è il contrario della realtà: è una rappresentazione schematica e un'astrazione convenzionale (oltre che provvisoria), adottata non a scopi cognitivi, ma operativi.
Nonostante i suoi «progressi» tutti operativi - la bomba atomica, il jet - la scienza ha ancora davanti la natura come enigma.
Perché, come dice Ortega y Gasset, ciò che l'uomo chiama «natura» non è che «l'interpretazione provvisoria di ciò che si trova di fronte nella vita», e in cui rischia di affogare, se non fa qualcosa per dominarla - lavoro, studio, archi e frecce, razzi spaziali, nonché la cosa più necessaria, una teoria complessiva sul «mondo» in cui è costretto a vivere.
L'astronomia tolemaica funzionava benissimo per predire le eclissi, le operazioni necessaria alla sua epoca; l'attuale funziona meglio per le operazioni oggi necessarie, mandare in orbita satelliti artificiali e sonde verso Giove o Urano.
L'una e l'altra non sono «la realtà».
Sono schemi funzionali.

Così, l'infallibilità pontificia sarà sempre una vexata quaestio.
Per una semplice ragione: che è un mistero.
Ciò che padre Guy chiama «una magia» è infatti un mistero del sovrannaturale.
Anche i buoni cattolici farebbero bene ad averlo presente, a non dire per esempio che «il Papa ha sempre ragione».
Il primo Papa, Pietro, ebbe torto sulla faccenda dei cibi puri e impuri e della circoncisione (voleva mantenerla), e fu corretto da Paolo.
La garanzia di Cristo su Pietro («su questa 'roccia' fonderò la mia Chiesa») non è la sua infallibilità, ma la certezza che il rito centrale del cristianesimo, l'Eucaristia, sarà sempre «valido»: che il pane e il vino consacrati da un prete ordinato da Pietro, diventano carne e sangue del Salvatore. E anche questo è un mistero, anzi «il Mistero».
Come è un mistero che il Dio dei cristiani è si sovrannaturale, ma ciò non significa che non abbia creato lui «la natura».
Ma tuttavia, spiace dirlo, padre Guy ha un punto di ragione.
Nei miei anni ad Avvenire, ho notato come tanti buoni cattolici, miei colleghi, abbiano un'idea «magica» dell'anima.
Per esempio, ciò traspare nelle discussioni su quando il feto riceva l'anima: subito alla prima scissione della cellula fecondata?
O più tardi?

Quest'idea dell'anima risale al realismo ingenuo di san Tommaso d'Aquino.
Che aveva tutto il diritto all'ingenuità medievale, un po' «magica», perché le scienze naturali e la biologia erano ancora di là da venire.
Ma Tommaso era anche troppo buon filosofo per cadere nella «magia» tipica dello scientismo moderno, che comincia col confondere l'anima con il pensiero, e finisce per decretare che il pensiero è una secrezione del cervello, come la bile del fegato.
Il realismo di Tommaso d'Aquino è ingenuo in un altro senso: che egli - o piuttosto altri al suo seguito - tendono a pensare l'anima come una «cosa».
Che come una «cosa» oggettiva viene «inserita» nel corpo ad un certo momento, come il quadro comandi viene inserito nell'auto in fabbricazione ad un certo momento, dopo che vi è stato inserito il motore.
Ma l'anima non è «una cosa».
Che cos'è allora?
Non so.
Ma per chiarire le idee - sulla complessità del problema, non sulla soluzione - consigliavo ai miei amici di Avvenire di andarsi a guardare l'unica, profonda, sconvolgente opera religiosa del nostro tempo.

A guardare, non a leggere: perché la sola vera opera d'arte religiosa del nostro tempo è un film.
E un film americano.
Per di più, di fantascienza.
Parlo di «Blade Runner».
Sapete la trama.
Alcuni robot biologici (macchine a forma d'uomo, costruite non di metallo, ma di carne, materiale biologico transgenico) si sono ribellati, sono evasi e fanno violenze.
Un poliziotto privato viene incaricato di neutralizzare questi ribelli.
Non si tratta di ammazzarli, ma di disattivarli: sono «lavori in pelle», mica uomini.
Non hanno un'anima.
E' escluso.
La casa costruttrice, la Tyrel Corporation, non gli ha inserito, a questi robot, niente di immateriale. Anzi, li ha pre-ordinati a finire, esaurirsi, dopo pochi anni.
Determinati in anticipo.
Obsolescenza pianificata, come i frigoriferi e le auto sono preordinate a smettere di funzionare dopo un po', perché si devono vendere i nuovi modelli.
Che del resto sono sempre più perfezionati.
Come i robot.

Il polizotto, Deckard, infatti, viene a conoscere uno degli ultimi modelli: Rachel, bellissima replicante.
Rachel crede di essere umana.
A Deckard bastano poche domande standard, da questionario, per capire che essa è un robot, che le sue memorie infantili sono «impiantate», false immagini inserite nella macchina.
E i robot rivoltosi?
Loro sanno di non essere umani, non sono l'ultimo modello.
Ma la ragione della loro rivolta è che non gli basta la vita a scadenza che hanno ricevuto dalla fabbrica.
Ne vogliono di più.
Quando il capo dei robot, Roy, un biondo alto e spietato, riesce a penetrare nella lussuosa residenza del capo della Tyrel Corp., ecco che gli si rivolge come una creatura si rivolge al suo creatore: «voglio più vita, padre».
Vero è che subito dopo, l'atletico spietato Roy (un robot da guerra, reduce da immani guerre stellari) ammazza il costruttore schiacciandogli la testa.
Ma perché quello, il miliardario, alla sua domanda di «più vita» risponde, banale e volgare: «godi più che puoi».

Insomma gli risponde da materialista radicale: la vita è breve, non ha senso, goditela nei brevi mesi che ti restano, questo solo importa.
Roy s'è accorto che quello è solo un capitalista, e uno scientista materialista; che non è il padre e tantomeno il Padre a cui si deve chiedere «più vita».
Perché Roy vuole vivere non per «godere».
Il perché, lo dice nell'ultima scena, affascinante e tremenda, pronunciando la frase del film che è divenuta un culto.
«Io ne ho viste cose che vuoi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi β balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire».
E' a questo che si ribella Roy il robot: che ciò che ha visto, e che ha nella memoria, sia chiuso nella sua vita limitata.
E che sia destinato a finire con lui, senza più senso, confuso con tutto il resto, come «lacrime», lacrime umane, di umani dolori assolutamente unici, «come lacrime nella pioggia», la pioggia senza senso e senza memoria, cieca, della «realtà».

In breve, il poliziotto (e noi con lui) comincia a capire che Roy non è un «lavoro in pelle», ma un uomo.
Che ha un'anima.
Come sia arrivata un'anima nel corpo transgenico del robot da guerra, non si sa; ma certo, Roy ne ha una.
Perché «non vuole morire», perché si ribella al confondere i suoi ricordi come lacrime nella pioggia. Perché vuole essere eterno.
Perché Roy, senza alcun dubbio, condivide con noi la stranissima costituzione dell'uomo: un essere naturale che però non coincide con la realtà e la natura.
Che nutre bisogni che la «natura» non può soddisfare.
Cosa stranissima.
Il bue ha bisogno d'erba, e la natura gliela dà.
Ma l'uomo ha bisogno di non morire, e la natura non riesce a soddisfare la domanda: tutti muoiono, in natura.
Ma se c'è il bisogno, forse esiste da qualche parte un Padre che l'ha messo in noi.
E che sa soddisfarlo.
E' la sola nostra speranza.
Così, spero di aver fatto capire perché l'anima non è «una cosa».

E perché sia assurdo discutere se il feto è umano o no, e quando lo diventa.
Non sappiamo.
Il poliziotto di Blade Runner, alla fine, fugge con il robot Rachel, che ormai ama - perché ha scoperto che è una donna e non un lavoro in pelle.
E pensa: non so quanto sia programmata per vivere, per quanto tempo potrò stare accanto a lei, l'unica, la vera donna della mia vita.
«Ma chi può dirlo di ciascuno di noi?».
Così dobbiamo pensare del feto.
Non sappiamo se sia già uomo al primo giorno.
Non sappiamo nemmeno se vivrà o morirà prima di uscire dall'utero della madre.
Sappiamo che anche lui dovrà un giorno morire, e con il dolore tutto umano di chi non vuole morire, ma vivere per sempre.
Che avrà visto cose che «noi non possiamo immaginare» (perché sono solo sue, non nostre: lui è unico, come ciascuno di noi) e che dovrà veder finire «come lacrime nella pioggia».

Come il poliziotto con Rachel, c'è da fare una scommessa.
Il poliziotto scommette che Rachel è una donna, non una macchina.
Non ne è sicuro, la scienza non glielo dice, anzi tende ad escluderlo.
Ma Deckard scommette, perché glielo dice il cuore.
Perché ama Rachel.
Insomma: se ammazziamo i feti, è perché non li amiamo.
Li crediamo «lavori in pelle» perché non vogliamo amarli (2).
E con ciò, neghiamo ciò che di umano è in noi: la capacità del cuore di riconoscerci, nel comune dolore e mistero della morte imminente, fratelli.
Da ciò discenderebbero tante implicazioni, che è impossibile anche solo elencarle (3).
Ma una almeno va citata: la considerazione della stupidità di padre Guy.
Lui dice: «la religione ha bisogno della scienza», ma non è vero: perché tra fede e scienza non c'è un rapporto di reciprocità.
Non sono alla pari.
L'astronomo ci dice che tutto quello che è nel cosmo ha spiegazioni razionali, naturali, e che non c'è nulla di magico.

Ma non abolirà mai l'ansia dell'uomo che, guardando il cielo stellato, crede di indovinarvi un ordine grandioso e perciò spera: perché esiste tutto questo?
Ha forse un significato?
Contiene un messaggio quest'ordine immane e armonioso?
Forse, dopotutto, c'è un Padre onnipotente che ha fatto tutto questo, e che può darmi la vita che chiedo.
Forse, dopotutto, quest'ordine oggettivo, quest'armonia, vuol dire che Qualcuno, lassù, ha pensato il mondo, ed ama anche noi (4).
La scienza non può rispondere se sì o se no.
Per questo è stupido il prete e teologo moderno che chiede alla scienza, col cappello in mano, lumi per cambiare la teologia, per esempio informazioni sulla sessualità o sulla gravidanza (5).
La scienza non può dare risposte alle questioni generali della vita, e ancor meno alla più generale di tutte: perché non siamo immortali, o perché Gesù ha detto che si deve rinunciare al sesso (farsi eunuchi) per il regno dei cieli.
E' dura, perché noi siamo esseri zoologici.
E' quasi impossibile.

Vedo la legge di Cristo, ma il mio corpo segue un'altra legge, dice san Paolo.
E' questa la tragedia dell'uomo: essere zoologico, e con necessità zoologiche, ma anche non-zoologiche.
Forse è questo il motivo per cui Gesù chiede di non usare il sesso?
Magari qui, c'è una sorta di evoluzionismo divino.
Sembra che Gesù sia venuto a trascinare la carne, il corpo, la natura materiale intera, in un «altro mondo» di immortalità.
E vuole che l'uomo entri lassù come uomo, ossia carne: come corpo risorto, ma corpo.
Perché che cosa sarebbe l'uomo senza corpo?
Non sarebbe più uomo.
Il primo «uomo» ci ha aperto questa strada difficile, la porta stretta.
Stranamente, Gesù non dice: «vi dò la mia anima», ma «chi non mangia la mia carne, non entrerà nel Regno».
E ci nutre con essa, come per prepararci alla vita superiore, come la madre prepara l'uomo col suo latte.

Nel piano di Gesù, pare che ci chiami a farci responsabili della nostra ulteriore «evoluzione». Si tratta di una evoluzione non-darwiniana.
Dove gli esemplari migliori e più riusciti nella lotta per l'eternità non sono quelli più muscolosi o più prolifici, i favoriti nella «lotta per l'esistenza».
Padre Pio non somigliava a Schwarzenegger, né madre Teresa aveva gli attributi zoologicamente prominenti di Sabrina Ferilli; i darwinisti perciò non avrebbero dato loro molte probabilità di trionfo.
Del resto, la loro scienza era scarsa - non riuscivano a fabbricare bombe atomiche - e la loro intelligenza mentale forse modesta (forse meno però di quanto credano gli intellettuali).
Ma noi scommettiamo che i vincitori sono loro.
Che la loro arma nella lotta per la «vita», quello in cui sono veramente forti, è l'amore: quello poco sentimentale di Gesù («non c'è amore più grande di chi dà la vita per gli amici»), quello di madre Teresa: «amate fino a farvi male. Se non fa male, che amore è?».
La scommessa è che i due cari e umili santi, poco zoologicamente corretti, risorgeranno da uomini, ossia con un corpo oltre che con l'anima.

Non come «gli angeli del cielo».
Perché se è vero che là «non ci si marita né ammoglia», è anche vero che si resta uomini e donne. Gesù ha il corpo virile, la Vergine resta eternamente donna e madre.
Femminilità e virilità non sono abolite.
Come ci appariranno padre Pio e madre Teresa?
Non sappiamo.
Sappiamo che saranno bellissimi.
A questo evoluzionismo non-darwiniano infatti allude san Giovanni, nella sua seconda lettera (3,2): «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli sarà manifestato, saremo simili a Lui».
Siamo in mezzo al guado.
E con la responsabilità di trascinare tutta la creazione dietro di noi, anche i nostri amici animali, anche i fili d'erba, la «natura» materiale, nello spirito.
Lo dice san Paolo, che più di tutti si diffonde su questo evoluzionismo divino: quelle creature che non hanno «cuore», che non possono amare perché darwinianamente «inferiori», sono «in attesa spasmodica della manifestazione dei figli di Dio» (Lettera ai Romani, 8, 19).
«Tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto», il parto di un nuovo mondo inaudito dove esseri zoologici non moriranno, e non ci sarà distinzione fra aldiquà e aldilà.

E spetta a noi, capaci di amare, portare «là» anche loro.
L'evoluzione in corso sarà totale, «nuovi cieli e terra nuova».
E san Paolo incita continuamente a partecipare a quella che chiama «la nuova creazione».
Gesù è «il primo Adamo» di questo nuovo mondo, noi siamo già nuove creature, anche se possiamo non crederlo, soggetti come siamo alla zoologia e ai suoi bisogni biologici.
Ma l'evoluzione è in corso.
Secondo leggi che gli scienziati non possono conoscere, ma sta già avvenendo.

Maurizio Blondet

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Note
1) Ian Johnston, «Creationism dismissed as 'a kind of paganism by Vatican's astronomer», The Scotsman, 5 maggio 2006.
2) E' il motivo non solo degli aborti, ma anche degli omicidi. Sempre più spesso uomini uccidono donne che hanno messo incinte, fidanzate che li hanno lasciati. E' la prova che le trattano come «lavori in pelle», da usare.
3) Una delle implicazioni è che l'intelligenza mentale non salva. A salvare, è l'amore. Perciò tutte le religioni insegnano «la via del cuore», e non della mente. Ma la via del cuore non è sentimentalismo, è una conoscenza radicale che si ottiene esercitando l'amore per il prossimo, e l'umiltà. E' quella cui Gesù allude quando dice: chi non torna bambino, non entrerà nel regno.
4) Questa conoscenza viene non dal pensare, ma da un «agire» (le buone azioni, fatte col corpo) che cambia l'essere: ciò che Cristo chiama «metanoia»; «conversione» radicale. E per questo si dice che le cose supreme sono ignorate dai sapienti, ma sono chiare ai semplici. Tommaso d'Aquino raggiunse questa conoscenza, e dopo non potè più finire la sua Summa, formidabile costruzione dell'intelletto. «E' solo paglia secca», disse mite, come un bambino. Il buddhismo tibetano insegna che chi ha esercitato la mente più che il cuore, nel post-mortem (Bardo Thodol), vedrà le divinità come «dèi irati»: e il morente è incitato a riconoscerli come proiezione del suo io. Chi ha esercitato il cuore, riconoscerà invece la «chiara luce fondamentale». I rabbini considerano loro compito incessante «studiare la Torah»: diventano gonfi di «sapienza», ma non si avvicinano di un passo alla salvezza. Dovrebbero, più che studiare, «praticare la Torah», fare giustizia allo straniero.
5) Gli antichi che attribuivano a divinità pagane il lampo e il tuono erano meno «magici» di quanto suppone padre Consolmagno, astronomo vaticano. Erano invece dei metafisici: a loro, non scientifici, era più facile vedere, nei fenomeni naturali, un segnale dal soprannaturale. Bisogna essere più cauti a bollare come «pensiero» magico le credenze ingenue, anche del cristiano. A forza di ripulire il cristianesimo da ogni senso del «magico», lo si svuota dal mistero, dal liturgico, dal simbolico, dallo spirituale.
Ciò non significa che il prete d'oggi non debba occuparsi di scienza. Deve saperne, per due motivi: per capire i limiti del metodo scientifico, quel che non può dare. Ma soprattutto perché la scienza è «la fede con cui vive l'uomo contemporaneo». Non che pratichi questa sua «fede» più di quella vera: ognuno approfitta di tutti i benefici della scienza (l'aspirina, l'auto, il cellulare) ma pochissimi la «praticano», studiando la scienza. Le facoltà scientifiche sono le meno frequentate. Semplicemente, l'uomo moderno crede di vivere in un mondo sicuro, non perché è nelle mani di Dio, ma in quanto «spiegato dalla scienza», che crede onnipotente. E l'uomo moderno accetta solo le verità che hanno un'apparenza «scientifica» (o scientista). Almeno fino al giorno in cui comincia a capire che anche lui - nonostante le cure e i cosmetici, le diete e la chirurgia plastica - anche lui, personalmente lui, morirà.

FONTE (http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1139&parametro=religione)

Augustinus
21-05-06, 10:52
Intervista al Cardinal Martini (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=247994)

I «PERÒ» DI MARTINI....e i nostri «ma»... (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=248798)

Intervista al card.Carlo Maria Martini su L'Epresso in edicola domani (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=247900)

pfjodor
14-03-07, 20:13
CITTÀ DEL VATICANO - La Congregazione per la dottrina della fede (ex Santo Uffizio) ha definito contrarie alla dottrina cattolica due opere di Jon Sobrino, gesuita salvadoregno considerato uno dei padri della teologia della liberazione. I libri sotto accusa sono «Gesù Cristo liberatore - Lettura storico teologica di Gesù di Nazareth» del 1991, e «La fede in Gesù Cristo» del 1999. Si tratta del primo provvedimento del genere della Congregazione dall'elezione di Benedetto XVI. Quando Joseph Ratzinger era vescovo di Monaco finanziò la traduzione in tedesco della tesi di dottorato di Sobrino.

TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE - La decisione di esaminare gli scritti del teologo gesuita, che con Leonardo Boff e padre Casaldaliga è uno dei maggiori esponenti della Teologia della liberazione, è stata presa nel 2001 (quando a dirigere la Congregazione era proprio Ratzinger). Fra le affermazioni di Sobrino giudicate «pericolose» vi quelle che mettono in dubbio punti cruciali della fede, come la divinità di Gesù Cristo, l'incarnazione del Figlio di Dio, la relazione di Gesù con il Regno di Dio, la sua autocoscienza e il valore salvifico della sua morte. I rilievi critici del Vaticano a Sobrino sono di aver valorizzato troppo la componente storica della figura di Gesù separandola dalla sua dimensione divina. PADRE LOMBARDI - «Sobrino è uomo che ha vissuto da vicino l'esperienza drammatica del suo popolo, per questo ha teso a sviluppare una "cristologia dal basso" e ha coltivato una sintonia spirituale profonda con l'umanità di Cristo», ha commentato la notificazione della Congregazione per la dottrina delle fede il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. «Tuttavia l'insistenza di Sobrino sulla solidarietà fra Cristo e l'uomo non deve essere portata al punto da lasciare in ombra o sottovalutare la dimensione che unisce Cristo a Dio».


:-01#44

era ora...


cordialmente

vostro

Aganto
14-03-07, 20:34
:zz1

Augustinus
14-03-07, 22:45
Ho riunito le due discussioni che riguardano sempre un gesuita .....

Augustinus
14-03-07, 22:48
NOTIFICAZIONE SULLE OPERE DEL P. JON SOBRINO, S.I.: "JESUCRISTO LIBERADOR. LECTURA HISTÓRICO-TEOLÓGICA DE JESÚS DE NAZARET (MADRID, 1991) E "LA FE EN JESUCRISTO. ENSAYO DESDE LAS VÍCTIMAS" (SAN SALVADOR, 1999)

Introducción

1. Después de un primer examen de los volúmenes, Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret (Jesucristo) y La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas (La fe), del R.P. Jon Sobrino S.J., la Congregación para la Doctrina de la Fe, a causa de las imprecisiones y errores en ellos encontrados, en el mes de octubre de 2001, tomó la decisión de emprender un estudio ulterior y más profundo de dichas obras. Dada la amplia divulgación de estos escritos y el uso de los mismos en Seminarios y otros centros de estudio, sobre todo en América Latina, se decidió seguir para este estudio el "procedimiento urgente" regulado en los artículos 23-27 de la Agendi Ratio in Doctrinarum Examine.

Como resultado de tal examen, en el mes de julio de 2004 se envió al Autor, a través del R.P. Peter Hans Kolvenbach S.J., Prepósito General de la Compañía de Jesús, un elenco de proposiciones erróneas o peligrosas encontradas en los libros citados.

En el mes de marzo de 2005 el P. Jon Sobrino envió a la Congregación una "Respuesta al texto de la Congregación para la Doctrina de la Fe", la cual fue examinada en la Sesión Ordinaria del 23 de noviembre de 2005. Se constató que, aunque en algunos puntos el Autor había matizado parcialmente su pensamiento, la Respuesta no resultaba satisfactoria, ya que, en sustancia, permanecían los errores que habían dado lugar al envío del elenco de proposiciones ya mencionado. Aunque la preocupación del Autor por la suerte de los pobres es apreciable, la Congregación para la Doctrina de la Fe se ve en la obligación de indicar que las mencionadas obras del P. Sobrino presentan, en algunos puntos, notables discrepancias con la fe de la Iglesia.

Se decidió por tanto publicar la presente Notificación, para poder ofrecer a los fieles un criterio de juicio seguro, fundado en la doctrina de la Iglesia, acerca de las afirmaciones de los libros citados o de otras publicaciones del Autor. Se debe notar que, en algunas ocasiones, las proposiciones erróneas se sitúan en contextos en los que se encuentran otras expresiones que parecen contradecirlas1, pero no por ello pueden justificarse. La Congregación no pretende juzgar las intenciones subjetivas del Autor, pero tiene el deber de llamar la atención acerca de ciertas proposiciones que no están en conformidad con la doctrina de la Iglesia. Dichas proposiciones se refieren a: 1) los presupuestos metodológicos enunciados por el Autor, en los que funda su reflexión teológica, 2) la divinidad de Jesucristo, 3) la encarnación del Hijo de Dios, 4) la relación entre Jesucristo y el Reino de Dios, 5) la autoconciencia de Jesucristo y 6) el valor salvífico de su muerte.

I. Presupuestos metodológicos

2. En su libro Jesucristo liberador, el P. Jon Sobrino afirma: "La cristología latinoamericana […] determina que su lugar, como realidad sustancial, son los pobres de este mundo, y esta realidad es la que debe estar presente y transir cualquier lugar categorial donde se lleva a cabo" (p. 47). Y añade: "Los pobres cuestionan dentro de la comunidad la fe cristológica y le ofrecen su dirección fundamental" (p. 50); la "Iglesia de los pobres es […] el lugar eclesial de la cristología, por ser una realidad configurada por los pobres" (p. 51). "El lugar social, es pues, el más decisivo para la fe, el más decisivo para configurar el modo de pensar cristológico y el que exige y facilita la ruptura epistemológica" (p. 52).

Aun reconociendo el aprecio que merece la preocupación por los pobres y por los oprimidos, en las citadas frases, esta "Iglesia de los pobres" se sitúa en el puesto que corresponde al lugar teológico fundamental, que es sólo la fe de la Iglesia; en ella encuentra la justa colocación epistemológica cualquier otro lugar teológico.

El lugar eclesial de la cristología no puede ser la "Iglesia de los pobres" sino la fe apostólica transmitida por la Iglesia a todas las generaciones. El teólogo, por su vocación particular en la Iglesia, ha de tener constantemente presente que la teología es ciencia de la fe. Otros puntos de partida para la labor teológica correrán el riesgo de la arbitrariedad y terminarán por desvirtuar los contenidos de la fe misma2.

3. La falta de la atención debida a las fuentes, a pesar de que el Autor afirma que las considera "normativas", dan lugar a los problemas concretos de su teología a los que nos referiremos más adelante. En particular, las afirmaciones del Nuevo Testamento sobre la divinidad de Cristo, su conciencia filial y el valor salvífico de su muerte, de hecho, no reciben siempre la atención debida. En los apartados sucesivos se tratarán estas cuestiones.

Es igualmente llamativo el modo como el Autor trata los grandes concilios de la Iglesia antigua, que, según él, se habrían alejado progresivamente de los contenidos del Nuevo Testamento. Así, por ejemplo, se afirma: "Estos textos son útiles teológicamente, además de normativos, pero son también limitados y aun peligrosos, como hoy se reconoce sin dificultad" (La fe, 405-406). De hecho hay que reconocer el carácter limitado de las fórmulas dogmáticas, que no expresan ni pueden expresar todo lo que se contiene en los misterios de la fe, y deben ser interpretadas a la luz de la Sagrada Escritura y la Tradición. Pero no tiene ningún fundamento hablar de la peligrosidad de dichas fórmulas, al ser interpretaciones auténticas del dato revelado.

El desarrollo dogmático de los primeros siglos de la Iglesia, incluidos los grandes concilios, es considerado por el P. Sobrino como ambiguo y tambien negativo. No niega el carácter normativo de las formulaciones dogmáticas, pero, en conjunto, no les reconoce valor más que en el ámbito cultural en que nacieron. No tiene en cuenta el hecho de que el sujeto transtemporal de la fe es la Iglesia creyente y que los pronunciamientos de los primeros concilios han sido aceptados y vividos por toda la comunidad eclesial. La Iglesia sigue profesando el Credo que surgió de los Concilios de Nicea (año 325) y de Constantinopla (año 381). Los primeros cuatro concilios ecuménicos son aceptados por la gran mayoría de las Iglesias y comunidades eclesiales de oriente y occidente. Si usaron los términos y los conceptos de la cultura de su tiempo no fue por adaptarse a ella; los concilios no significaron una helenización del Cristianismo, sino más bien lo contrario. Con la inculturación del mensaje cristiano la misma cultura griega sufrió una trasformación desde dentro y pudo convertirse en instrumento para la expresión y la defensa de la verdad bíblica.

II. La divinidad de Jesucristo.

4. Diversas afirmaciones del Autor tienden a disminuir el alcance de los pasajes del Nuevo Testamento que afirman que Jesús es Dios: "Jesús está íntimamente ligado a Dios, con lo cual su realidad habrá que expresarla de alguna forma como realidad que es de Dios (cf. Jn 20,28)" (La fe, 216). En referencia a Jn 1,1 se afirma: "Con el texto de Juan […] de ese logos no se dice todavía, en sentido estricto, que sea Dios (consustancial al Padre), pero de él se afirma algo que será muy importante para llegar a esta conclusión, su preexistencia, la cual no connota algo puramente temporal, sino que dice relación con la creación y relaciona al logos con la acción específica de la divinidad" (La fe, 469). Según el Autor en el Nuevo Testamento no se afirma claramente la divinidad de Jesús, sino que sólo se establecen los presupuestos para ello: "En el Nuevo Testamento […] hay expresiones que, en germen, llevarán a la confesión de fe en la divinidad de Jesús" (La fe, 468-469). "En los comienzos no se habló de Jesús como Dios ni menos de la divinidad de Jesús, lo cual sólo acaeció tras mucho tiempo de explicación creyente, casi con toda probabilidad después de la caída de Jerusalén" (La fe, 214).

Sostener que en Jn 20,28 se afirma que Jesús es "de Dios" es un error evidente, en cuanto en este pasaje se le llama "Señor" y "Dios". Igualmente, en Jn 1,1 se dice que el Logos es Dios. En otros muchos textos se habla de Jesús como Hijo y como Señor3. La divinidad de Jesús ha sido objeto de la fe de la Iglesia desde el comienzo, mucho antes de que en el Concilio de Nicea se proclamara su consustancialidad con el Padre. El hecho de que no se use este término no significa que no se afirme la divinidad de Jesús en sentido estricto, al contrario de lo que el Autor parece insinuar.

Con sus aserciones de que la divinidad de Jesús ha sido afirmada sólo después de mucho tiempo de reflexión creyente y que en el Nuevo Testamento se halla solamente "en germen", el Autor evidentemente tampoco la niega, pero no la afirma con la debida claridad y da pie a la sospecha de que el desarrollo dogmático, que reviste según él características ambiguas, ha llegado a esta formulación sin una continuidad clara con el Nuevo Testamento.

Pero la divinidad de Jesús, está claramente atestiguada en los pasajes del Nuevo Testamento a que nos hemos referido. Las numerosas declaraciones conciliares en este sentido4 se encuentran en continuidad con cuanto en el Nuevo Testamento se afirma de manera explícita y no solamente "en germen". La confesión de la divinidad de Jesucristo es un punto absolutamente esencial de la fe de la Iglesia desde sus orígenes y se halla atestiguada desde el Nuevo Testamento.

III. La encarnación del Hijo de Dios.

5. Escribe el P. Sobrino: "Desde una perspectiva dogmática debe afirmarse, y con toda radicalidad, que el Hijo (la segunda persona de la Trinidad) asume toda la realidad de Jesús, y aunque la fórmula dogmática nunca explica el hecho de ese ser afectado por lo humano, la tesis es radical. El Hijo experimenta la humanidad, la vida, el destino y la muerte de Jesús" (Jesucristo, 308).

En este pasaje el Autor establece una distinción entre el Hijo y Jesús que sugiere al lector la presencia de dos sujetos en Cristo: el Hijo asume la realidad de Jesús; el Hijo experimenta la humanidad, la vida, el destino y la muerte de Jesús. No resulta claro que el Hijo es Jesús y que Jesús es el Hijo. En el tenor literal de estas frases, el P. Sobrino refleja la llamada teología del homo assumptus, que resulta incompatible con la fe católica, que afirma la unidad de la persona de Jesucristo en las dos naturalezas, divina y humana, según las formulaciones de los Concilios de Éfeso5 y sobre todo de Calcedonia, que afirma: "...enseñamos que hay que confesar a un solo y mismo Hijo y Señor nuestro Jesucristo: perfecto en la divinidad y perfecto en la humanidad; verdaderamente Dios y verdaderamente hombre de alma racional y cuerpo; consustancial con el Padre según la divinidad, y consustancial con nosotros según la humanidad, en todo semejante a nosotros excepto en el pecado (cf. Heb 4,15), engendrado del Padre antes de los siglos según la divinidad, y en los últimos días, por nosotros y por nuestra salvación, engendrado de María Virgen, la madre de Dios, según la humanidad; que se ha de reconocer a un solo y mismo Cristo Señor, Hijo unigénito en dos naturalezas, sin confusión, sin cambio, sin división, sin separación"6. De igual modo se expresó el Papa Pío XII en la encíclica Sempiternus Rex: "…el Concilio de Calcedonia, en perfecto acuerdo con el de Éfeso, afirma claramente que una y otra naturaleza de nuestro Redentor concurren «en una sola persona y subsistencia», y prohíbe poner en Cristo dos individuos, de modo que se pusiera junto al Verbo un cierto «hombre asumido», dueño de su total autonomía"7.

6. Otra dificultad en la visión cristológica del P. Sobrino deriva de su insuficiente comprensión de la communicatio idiomatum. En efecto, según él, "la comprensión adecuada de la communicatio idiomatum" sería la siguiente: "lo humano limitado se predica de Dios, pero lo divino ilimitado no se predica de Jesús" (La fe, 408; cf. 500).

En realidad, la unidad de la persona de Cristo "en dos naturalezas", afirmada por el Concilio de Calcedonia, tiene como consecuencia inmediata la llamada communicatio idiomatum, es decir, la posibilidad de referir las propiedades de la divinidad a la humanidad y viceversa. En virtud de esta posibilidad ya el Concilio de Éfeso definió que María era theotókos: "Si alguno no confiesa que el Emmanuel es en verdad Dios y que por eso la santa Virgen es madre de Dios, pues dio a luz según la carne al Verbo de Dios hecho carne, sea anatema"8. "Si alguno atribuye a dos personas o a dos hipóstasis las expresiones contenidas en los escritos evangélicos y apostólicos, o dichas sobre Cristo por los santos o por él mismo sobre sí mismo, y unas las atribuye al hombre, considerado propiamente como distinto del Verbo de Dios, y otras, como dignas de Dios, al solo Verbo de Dios Padre, sea anatema"9. Como fácilmente se deduce de estos textos la "comunicación de idiomas" se aplica en los dos sentidos, lo humano se predica de Dios y lo divino del hombre. Ya el Nuevo Testamento afirma que Jesús es Señor10, y que todas las cosas han sido creadas por medio de él11. En el lenguaje cristiano es posible decir, y se dice por ejemplo, que Jesús es Dios, que es creador y omnipotente. Y el Concilio de Éfeso sancionó el uso de llamar a María madre de Dios. No es por tanto correcto decir que no se predica de Jesús lo divino ilimitado. Esta afirmación del Autor sería comprensible solamente en el contexto de la cristología del homo assumptus en la que no resulta clara la unidad de la persona de Jesús: es evidente que no se podrían predicar de una persona humana los atributos divinos. Pero esta cristología no es en absoluto compatible con la enseñanza de los Concilios de Éfeso y Calcedonia sobre la unidad de la persona en dos naturalezas. La comprensión de la communicatio idiomatum que el Autor presenta revela por tanto una concepción errónea del misterio de la encarnación y de la unidad de la persona de Jesucristo.

IV. Jesucristo y el Reino de Dios

7. El P. Sobrino desarrolla una visión peculiar acerca de la relación entre Jesús y el Reino de Dios. Se trata de un punto de especial interés en sus obras. Según el Autor, la persona de Jesús, como mediador, no se puede absolutizar, sino que se ha de contemplar en su relacionalidad hacia el Reino de Dios, que es evidentemente considerado algo distinto de Jesús mismo: "Esta relacionalidad histórica la analizaremos después en detalle, pero digamos ahora que este recordatorio es importante […] cuando se absolutiza al mediador Cristo y se ignora su relacionalidad constitutiva hacia la mediación, el reino de Dios" (Jesucristo, 32). "Ante todo, hay que distinguir entre mediador y mediación de Dios. El reino de Dios, formalmente hablando, no es otra cosa que la realización de la voluntad de Dios para este mundo, a lo cual llamamos mediación. A esa mediación […] está asociada una persona (o grupo) que la anuncia e inicia, y a ello llamamos mediador. En este sentido puede y debe decirse que, según la fe, ya ha aparecido el mediador definitivo, último y escatológico del reino de Dios, Jesús […]. Desde esta perspectiva pueden entenderse también las bellas palabras de Orígenes al llamar a Cristo la autobasileia de Dios, el reino de Dios en persona, palabras importantes que describen bien la ultimidad del mediador personal del reino, pero peligrosas si adecúan a Cristo con la realidad del reino" (Jesucristo, 147). "Mediador y mediación se relacionan, pues, esencialmente, pero no son lo mismo. Siempre hay un Moisés y una tierra prometida, un Monseñor Romero y una justicia anhelada. Ambas cosas, juntas, expresan la totalidad de la voluntad de Dios, pero no son lo mismo" (Jesucristo, 147). Por otra parte la condición de mediador de Jesús le viene sólo de su humanidad: "La posibilidad de ser mediador no le viene, pues, a Cristo de una realidad añadida a lo humano sino que le viene del ejercicio de lo humano" (La fe, 253).

El Autor afirma ciertamente la existencia de una relación especial entre Jesucristo (mediador) y el Reino de Dios (mediación), en cuanto Jesús es el mediador definitivo, último y escatológico del Reino. Pero en los pasajes citados, Jesús y el Reino se distinguen de tal manera que el vínculo entre ambos resulta privado de su contenido peculiar y de su singularidad. No se explica correctamente el nexo esencial existente entre el mediador y la mediación, por usar sus mismas palabras. Además, al afirmarse que la posibilidad de ser mediador le viene a Cristo del ejercicio de lo humano se excluye que su condición de Hijo de Dios tenga relevancia para su misión mediadora.

No es suficiente hablar de una conexión íntima o de una relación constitutiva entre Jesús y el Reino o de una "ultimidad del mediador", si éste nos remite a algo que es distinto de él mismo. Jesucristo y el Reino en un cierto sentido se identifican: en la persona de Jesús el Reino ya se ha hecho presente. Esta identidad ha sido puesta de relieve desde la época patrística12. El Papa Juan Pablo II afirma en la encíclica Redemptoris Missio: "La predicación de la Iglesia primitiva se ha centrado en el anuncio de Jesucristo, con el que se identifica el Reino de Dios"13. "Cristo no solamente ha anunciado el Reino, sino que en él el Reino mismo se ha hecho presente y se ha cumplido"14. "El Reino de Dios no es un concepto, una doctrina, un programa […], sino que es ante todo una persona que tiene el rostro y el nombre de Jesús de Nazaret, imagen del Dios invisible. Si se separa el Reino de Jesús ya no se tiene el Reino de Dios revelado por él"15.

Por otra parte la singularidad y unicidad de la mediación de Cristo ha sido siempre afirmada en la Iglesia. Gracias a su condición de "Hijo unigénito de Dios", es la "autorevelación definitiva de Dios"16. Por ello su mediación es única, singular, universal e insuperable: "…se puede y se debe decir que Jesucristo tiene, para el género humano y su historia, un significado y un valor singular y único, sólo de él propio, exclusivo, universal y absoluto. Jesús es, en efecto, el Verbo de Dios hecho hombre para la salvación de todos"17.

V. La autoconciencia de Jesucristo.

8. El P. Sobrino afirma, citando a L. Boff, que "Jesús fue un extraordinario creyente y tuvo fe. La fe fue el modo de existir de Jesús" (Jesucristo, 203). Y por su cuenta añade: "Esta fe describe la totalidad de la vida de Jesús" (Jesucristo, 206). El Autor justifica su posición aduciendo al texto de Heb 12,2: "En forma lapidaria la carta [a los Hebreos] dice con una claridad que no tiene paralelo en el Nuevo Testamento que Jesús se relacionó con el misterio de Dios en la fe. Jesús es el que ha vivido originariamente y en plenitud la fe (12,2)" (La fe, 256). Añade todavía: "Por lo que toca a la fe, Jesús es presentado, en vida, como un creyente como nosotros, hermano en lo teologal, pues no se le ahorró el tener que pasar por ella. Pero es presentado también como hermano mayor, porque vivió la fe originariamente y en plenitud (12,2). Y es el modelo, aquel en quien debemos tener los ojos fijos para vivir nuestra propia fe" (La fe, 258).

La relación filial de Jesús con el Padre, en su singularidad irrepetible no aparece con claridad en los pasajes citados; más aún, estas afirmaciones llevan más bien a excluirla. Considerando el conjunto del Nuevo Testamento no se puede sostener que Jesús sea "un creyente como nosotros". En el evangelio de Juan se habla de la "visión" del Padre por parte de Jesús: "Aquel que ha venido de Dios, éste ha visto al Padre"18. Igualmente la intimidad única y singular de Jesús con el Padre se encuentra atestiguada en los evangelios sinópticos19.

La conciencia filial y mesiánica de Jesús es la consecuencia directa de su ontología de Hijo de Dios hecho hombre. Si Jesús fuera un creyente como nosotros, aunque de manera ejemplar, no podría ser el revelador verdadero que nos muestra el rostro del Padre. Son evidentes las conexiones de este punto con cuanto se ha dicho en el n. IV sobre la relación de Jesús con el Reino, y se dirá a continuación en el n. VI sobre el valor salvífico que Jesús atribuyó a su muerte. En la reflexión del Autor desaparece de hecho el carácter único de la mediación y de la revelación de Jesús, que de esta manera queda reducido a la condición de revelador que podemos atribuir a los profetas o a los místicos.

Jesús, el Hijo de Dios hecho carne, goza de un conocimiento íntimo e inmediato de su Padre, de una "visión", que ciertamente va más allá de la fe. La unión hipostática y su misión de revelación y redención requieren la visión del Padre y el conocimiento de su plan de salvación. Es lo que indican los textos evangélicos ya citados.

Esta doctrina ha sido expresada en diversos textos magisteriales de los últimos tiempos: "Aquel amorosísimo conocimiento que desde el primer momento de su encarnación tuvo de nosotros el Redentor divino, está por encima de todo el alcance escrutador de la mente humana; toda vez que, en virtud de aquella visión beatífica de que gozó apenas acogido en el seno de la madre de Dios"20.

Con una terminología algo diversa insiste también en la visión del Padre el Papa Juan Pablo II: "Fija [Jesús] sus ojos en el Padre. Precisamente por el conocimiento y la experiencia que sólo él tiene de Dios, incluso en este momento de oscuridad ve límpidamente la gravedad del pecado y sufre por esto. Sólo él, que ve al Padre y lo goza plenamente, valora profundamente qué significa resistir con el pecado a su amor"21.

También el Catecismo de la Iglesia Católica habla del conocimiento inmediato que Jesús tiene del Padre: "Es ante todo el caso del conocimiento íntimo e inmediato que el Hijo de Dios hecho hombre tiene de su Padre"22. "El conocimiento humano de Cristo, por su unión con la Sabiduría divina en la persona del Verbo encarnado gozaba de la plenitud de la ciencia de los designios eternos que había venido a revelar"23.

La relación de Jesús con Dios no se expresa correctamente diciendo que era un creyente como nosotros. Al contrario, es precisamente la intimidad y el conocimiento directo e inmediato que él tiene del Padre lo que le permite revelar a los hombres el misterio del amor divino. Sólo así nos puede introducir en él.

VI. El valor salvífico de la muerte de Jesús.

9. Algunas afirmaciones del P. Sobrino hacen pensar que, según él, Jesús no ha atribuido a su muerte un valor salvífico: "Digamos desde el principio que el Jesús histórico no interpretó su muerte de manera salvífica, según los modelos soteriólogicos que, después, elaboró el Nuevo Testamento: sacrificio expiatorio, satisfacción vicaria […]. En otras palabras, no hay datos para pensar que Jesús otorgara un sentido absoluto trascendente a su propia muerte, como hizo después el Nuevo Testamento" (Jesucristo, 261). "En los textos evangélicos no se puede encontrar inequívocamente el significado que Jesús otorgó a su propia muerte" (ibidem). "…puede decirse que Jesús va a la muerte con confianza y la ve como último acto de servicio, más bien a la manera de ejemplo eficaz y motivante para otros que a la manera de mecanismo de salvación para otros. Ser fiel hasta el final, eso es ser humano" (Jesucristo, 263).

En un primer momento la afirmación del Autor parece limitada, en el sentido de que Jesús no habría atribuido un valor salvífico a su muerte con las categorías que después usó el Nuevo Testamento. Pero después se afirma que no hay datos para pensar que Jesús otorgara un sentido absoluto trascendente a su propia muerte. Se dice sólo que va a la muerte con confianza y le atribuye un valor de ejemplo motivante para otros. De esta manera los numerosos pasajes del Nuevo Testamento que hablan del valor salvífico de la muerte de Cristo24 resultan privados de toda conexión con la conciencia de Cristo durante su vida mortal. No se toman debidamente en consideración los pasajes evangélicos en los que Jesús atribuye a su muerte un significado en orden a la salvación; en particular Mc 10,4525: "el Hijo del hombre no ha venido a ser servido sino a servir y a dar su vida como rescate por muchos"; y las palabras de la institución de la eucaristía: "Ésta es mi sangre de la alianza, que va a ser derramada por muchos"26. De nuevo aparece aquí la dificultad a la que antes se ha hecho mención en cuanto al uso que el P. Sobrino hace del Nuevo Testamento. Los datos neotestamentarios ceden el paso a una hipotética reconstrucción histórica, que es errónea.

10. Pero el problema no se reduce a la conciencia con la que Jesús habría afrontado su muerte y al significado que él le habría dado. El P. Sobrino expone también su punto de vista respecto al significado soteriológico que se debe atribuir a la muerte de Cristo: "Lo salvífico consiste en que ha aparecido sobre la tierra lo que Dios quiere que sea el ser humano […]. El Jesús fiel hasta la cruz es salvación, entonces, al menos en este sentido: es revelación del homo verus, es decir, de un ser humano en el que resultaría que se cumplen tácticamente las características de una verdadera naturaleza humana […]. El hecho mismo de que se haya revelado lo humano verdadero contra toda expectativa, es ya buena noticia, y por ello, es ya en sí mismo salvación […]. Según esto, la cruz de Jesús como culminación de toda su vida puede ser comprendida salvíficamente. Esta eficacia salvífica se muestra más bien a la manera de la causa ejemplar que de la causa eficiente. Pero no quita esto que no sea eficaz […]. No se trata pues de causalidad eficiente, sino de causalidad ejemplar" (Jesucristo, 293-294).

Por supuesto, hay que conceder todo su valor a la eficacia del ejemplo de Cristo, que el Nuevo Testamento menciona explícitamente27. Es una dimensión de la soteriología que no se debe olvidar. Pero no se puede reducir la eficacia de la muerte de Jesús al ejemplo, o, según las palabras del Autor, a la aparición del homo verus, fiel a Dios hasta la cruz. El P. Sobrino usa en el texto citado expresiones como "al menos" y "más bien", que parecen dejar abierta la puerta a otras consideraciones. Pero al final esta puerta se cierra con una explícita negación: no se trata de causalidad eficiente, sino de causalidad ejemplar. La redención parece reducirse a la aparición del homo verus, manifestado en la fidelidad hasta la muerte. La muerte de Cristo es exemplum y no sacramentum (don). La redención se reduce al moralismo. Las dificultades cristológicas notadas ya en relación con el misterio de la encarnación y la relación con el Reino afloran aquí de nuevo. Sólo la humanidad entra en juego, no el Hijo de Dios hecho hombre por nosotros y por nuestra salvación. Las afirmaciones del Nuevo Testamento y de la Tradición y el Magisterio de la Iglesia sobre la eficacia de la redención y de la salvación operadas por Cristo no pueden reducirse al buen ejemplo que éste nos ha dado. El misterio de la encarnación, muerte y resurrección de Jesucristo, el Hijo de Dios hecho hombre, es la fuente única e inagotable de la redención de la humanidad, que se hace eficaz en la Iglesia mediante los sacramentos.

Afirma el Concilio de Trento en el Decreto sobre la justificación: "…el Padre celestial, «Padre de la misericordia y Dios de toda consolación» (2 Cor 1,3), cuando llegó la bienaventurada «plenitud de los tiempos» (Ef 1,10; Gál 4,4) envió a los hombres a su Hijo Cristo Jesús […], tanto para redimir a los judíos «que estaban bajo la ley» (Gál 4,5) como para que «las naciones que no seguían la justicia, aprehendieran la justicia» (Rom 9,30) y todos «recibieran la adopción de hijos» (Gál 4,5). A éste «propuso Dios como propiciador por la fe en su sangre» (Rom 3,25), «por nuestros pecados, y no sólo por los nuestros sino por los de todo el mundo» (1jn 2,2)"28.

Se afirma en el mismo decreto que la causa meritoria de la justificación es Jesús, Hijo unigénito de Dios, "el cual, «cuando éramos enemigos» (Rom 5,10), «por la excesiva caridad con que nos amó» (Ef 2,4) nos mereció la justificación con su santísima pasión en el leño de la cruz, y satisfizo por nosotros a Dios Padre"29.

El Concilio Vaticano II enseña: "El Hijo de Dios, en la naturaleza humana que unió a sí, venciendo la muerte con su muerte y resurrección, redimió al hombre y lo transformó en una criatura nueva (cf. Gál 6,15; 2Cor 5,17). A sus hermanos, convocados de entre todas las gentes, los constituyó místicamente como su cuerpo, comunicándoles su Espíritu. La vida de Cristo en este cuerpo se comunica a los creyentes, que se unen misteriosa y realmente a Cristo que ha padecido y ha sido glorificado por medio de los sacramentos"30.

El Catecismo de la Iglesia Católica indica a su vez: "Este designio divino de salvación por la muerte del Siervo, el Justo, había sido anunciado previamente en las Escrituras como misterio de Redención universal, es decir, de rescate que libera a los hombres de la esclavitud del pecado. San Pablo confiesa, en una profesión de fe que dice haber «recibido, que Cristo murió por nuestros pecados según las Escrituras» (1 Cor 15,3). La muerte redentora de Jesús cumple en particular la profecía del Siervo sufriente. Jesús mismo ha presentado el sentido de su vida y de su muerte a la luz del Siervo sufriente"31.

Conclusión

11. La teología nace de la obediencia al impulso de la verdad que tiende a comunicarse y del amor que desea conocer cada vez mejor a aquel que ama, Dios mismo, cuya bondad hemos reconocido en el acto de fe32. Por eso, la reflexión teológica no puede tener otra matriz que la fe de la Iglesia. Solamente a partir de la fe eclesial, el teólogo puede adquirir, en comunión con el Magisterio, una inteligencia más profunda de la palabra de Dios contenida en la Escritura y transmitida por la Tradición viva de la Iglesia33.

La verdad revelada por Dios mismo en Jesucristo, y transmitida por la Iglesia, constituye, pues, el principio normativo último de la teología34, y ninguna otra instancia puede superarla. En su referencia a este manantial perenne, la teología es fuente de auténtica novedad y luz para los hombres de buena voluntad. Por este motivo la investigación teológica dará frutos tanto más abundantes y maduros, para el bien de todo el pueblo de Dios y de toda la humanidad, cuanto más se inserte en la corriente viva que, gracias a la acción del Espíritu Santo, procede de los apóstoles y que ha sido enriquecida con la reflexión creyente de las generaciones que nos han precedido. Es el Espíritu Santo quién introduce a la Iglesia en la plenitud de la verdad 35, y sólo en la docilidad a este "don de lo alto" la teología es realmente eclesial y está al servicio de la verdad.

El fin de la presente Notificación es, precisamente, hacer notar a todos los fieles la fecundidad de una reflexion teológica que no teme desarrollarse dentro del flujo vital de la Tradición eclesial.

El Sumo Pontífice Benedicto XVI, durante la Audiencia concedida al suscrito Cardenal Prefecto el 13 de octubre de 2006, ha aprobado la presente Notificación, decidida en la Sesión Ordinaria del Dicasterio, y ha ordenado que sea publicada.

Dado en Roma, en la sede de la Congregación para la Doctrina de la Fe, el 26 de noviembre de 2006, Fiesta de N. S. Jesucristo Rey del Universo.

William Cardenal LEVADA
Prefecto

+ Angelo AMATO, S.D.B.
Arzobispo titular de Sila
Secretario

________________________________

1 Cf. p. ej. infra el n. 6.

2 Cf. Conc. Vaticano II, Decr. Optatam Totius, 16; Juan Pablo II, Carta Enc. Fides et Ratio, 65: AAS 91 (1999), 5-88.

3 Cf. Cf. 1Tes 1,10; Flp 2,5-11; 1Cor 12,3; Rom 1,3-4; 10,9; Col 2,9, etc..

4 Cf. los Concilios de Nicea, DH 125; Constantinopla, DH 150; Éfeso, DH 250-263; Calcedonia DH 301-302.

5 Cf. DH 252-263.

6 Cf. DH 301.

7 PIO XII, Carta Enc. Sempiternus Rex: AAS 43 (1951), 638; DH 3905.

8 Conc. De Éfeso, Anathematismi Cyrilli Alex., DH 252.

9 Ibidem, DH 255.

10 1Cor 12,3; Flp 2,11.

11 Cf. 1Cor 8,6.

12 Cf. Orígines, In Mt. Hom., 14,7; Tertuliano, Adv. Marcionem, IV 8; Hilario de Poitiers, Com. In Mt. 12,17.

13 Juan Pablo II, Carta Enc. Redemptoris Missio, 16: AAS 83 (1991), 249-340.

14 Ibidem,18.

15 Ibidem.

16 Ibidem,5.

17 Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus, 15: AAS 92 (2000), 742-765.

18 Jn 6,46; cf. También Jn 1,18.

19 Cf. Mt. 11,25-27; Lc 10,21-22.

20 Pio XII, Carta Enc. Mystici Corporis, 75: AAS 35 (1943) 230; DH 3812.

21 Juan Pablo II, Carta Apost. Novo Millennio Ineunte, 26: AAS 93 (2001), 266-309.

22 Catecismo de la Iglesia Católica, 473.

23 Catecismo de la Iglesia Católica, 474.

24 Cf. P. Ej. Rom 3,25; 2Cor 5,21; 1Jn 2,2 etc.

25 Cf. Mt 20,28.

26 Mc. 14,24; cf. Mt 26,28; Lc 22,20.

27 Cf. Jn 13,15; 1Pe 2,21.

28 Conc. di Trento, Decr. De juistificatione, DH 1522.

29 Ibidem, DH 1529, cf. DH 1560.

30 Conc Vaticano II, Const. Dogm. Lumen Gentium, 7.

31 Catecismo de La Iglesia Católica, 601.

32 Congregación para la Doctrina de la Fe, Instr. Donum veritatis, 7: AAS 82 (1990), 1550-1570.

33 Cf. Ibidem, 6.

34 Cf. Ibidem, 10.

35 Cf. Jn 16,13.

Augustinus
14-03-07, 22:50
Introduzione

1. A seguito di un primo esame dei volumi, Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret (Jesucristo) e La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas (La fe), del Rev. Padre Jon Sobrino S.I., la Congregazione per la Dottrina della Fede, a causa delle imprecisioni e degli errori ivi riscontrati, nell’ottobre del 2001 decise di iniziare su di essi uno studio ulteriore ed approfondito. Considerata l’ampia diffusione di questi scritti, soprattutto in America Latina, e la loro utilizzazione all’interno di seminari e di vari istituti di studio, venne deciso di intraprendere l’Esame con procedura urgente, disciplinato dagli articoli 23-27 del Regolamento per l’esame delle dottrine della medesima Congregazione.

In seguito a detto esame, nel luglio del 2004 fu inviato all’Autore, per mezzo del Rev. Padre Peter Hans Kolvenbach S.I., Preposito Generale della Compagnia di Gesù, un Elenco di proposizioni erronee e pericolose rilevate nei libri di cui sopra.

Nel marzo del 2005, il P. Jon Sobrino trasmise una Respuesta al texto de la Congregación para la Doctrina de la Fe. Tale Respuesta fu esaminata nel corso della Sessione Ordinaria del 23 novembre 2005. Venne constatato che, sebbene l’Autore avesse parzialmente modificato il suo pensiero su alcuni punti, la Respuesta non risultava soddisfacente, dal momento che nella sostanza permanevano gli errori che avevano motivato l’invio dell’Elenco di proposizioni sopra menzionato. Nonostante l’apprezzabile preoccupazione che l’Autore manifesta nei suoi scritti per la condizione dei poveri, la Congregazione per la Dottrina della Fede si vede perciò costretta a dichiarare che le suddette opere di P. Sobrino presentano, in alcuni passi, notevoli divergenze con la Fede della Chiesa.

Si è quindi deciso di pubblicare la presente Notificazione, allo scopo di offrire ai fedeli un criterio di giudizio sicuro, basato sull’autentica dottrina ecclesiale, circa alcune affermazioni contenute negli scritti dell’Autore. Si fa rilevare che, in alcuni casi, le proposizioni erronee sono collocate in contesti in cui si trovano altre espressioni che sembrano contraddirle1; ciò non è però sufficiente a giustificarle. La Congregazione non pretende giudicare le intenzioni soggettive dell’Autore; ciononostante ritiene suo dovere richiamare l’attenzione su alcune proposizioni contenute nei suoi scritti che non risultano conformi con la dottrina della Chiesa. Dette proposizioni riguardano: 1) i presupposti metodologici enunciati dall’Autore, su cui è fondata la sua riflessione teologica; 2) la divinità di Gesù Cristo; 3) l’Incarnazione del Figlio di Dio; 4) la relazione fra Gesù Cristo e il Regno di Dio; 5) l’autocoscienza di Gesù Cristo; 6) il valore salvifico della sua morte.

I. Presupposti metodologici.

2. Nel suo libro Jesucristo liberador, P. Jon Sobrino afferma: "La cristología latinoamericana […] determina que su lugar, como realidad sustancial, son los pobres de este mundo, y esta realidad es la que debe estar presente y transir cualquier lugar categorial donde se lleva a cabo" (p. 47). E aggiunge: "Los pobres cuestionan dentro de la comunidad la fe cristológica y le ofrecen su dirección fundamental" (p. 50); la "Iglesia de los pobres es […] el lugar eclesial de la cristología, por ser una realidad configurada por los pobres" (p. 51). "El lugar social, es pues, el más decisivo para la fe, el más decisivo para configurar el modo de pensar cristológico y el que exige y facilita la ruptura epistemológica" (p. 52).

Sebbene si apprezzi la preoccupazione per i poveri e per gli oppressi, nelle frasi di cui sopra questa "Iglesia de los pobres" risulta di fatto il luogo teologico fondamentale dell’Autore. Ma il luogo teologico fondamentale può esser solo la Fede della Chiesa; in essa trova la giusta collocazione epistemologica qualunque altro luogo teologico.

Il luogo ecclesiale della cristologia non può essere la "Iglesia de los pobres" bensì la Fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni. Il teologo, secondo la sua peculiare vocazione ecclesiale, deve tener costantemente presente che la teologia è scienza della Fede. Altri punti di partenza del lavoro teologico corrono il rischio dell’arbitrarietà e finiscono per snaturarne i contenuti2.

3. La mancanza della debita attenzione alle fonti - a prescindere dal fatto che l’Autore affermi di considerarle come "normative" - è la causa dei problemi presenti nella sua teologia, cui ci si riferirà più avanti. In particolare, le affermazioni del Nuovo Testamento sulla divinità di Cristo, sulla sua coscienza filiale e sul valore salvifico della sua morte – questioni trattate nei paragrafi che seguono - di fatto, non sono sempre tenute nel dovuto conto.

È ugualmente significativo il modo con cui l’Autore considera i grandi concili della Chiesa antica, che a suo parere si sarebbero allontanati progressivamente dai contenuti del Nuovo Testamento. Ad esempio, egli afferma: "Estos textos son útiles teológicamente, además de normativos, pero son también limitados y aun peligrosos, como hoy se reconoce sin dificultad" (La fe, pp. 405-406). Di fatto, se si deve riconoscere il carattere limitato delle formule dogmatiche, che non esprimono, e non possono esprimere, tutto il contenuto dei misteri della Fede e che devono esser interpretate alla luce della Sacra Scrittura e della Tradizione, non è lecito tuttavia ritenere dette formule "pericolose", poiché esse sono interpretazioni autentiche del dato rivelato.

Lo sviluppo dogmatico dei primi secoli, incluso quello dei grandi concili, è considerato da P. Sobrino come ambiguo e negativo. Egli non nega il carattere normativo delle formulazioni dogmatiche ma, complessivamente, non riconosce ad esse un valore al di fuori dell’ambito culturale in cui sorsero. L’Autore non tiene conto del fatto che il soggetto transtemporale della Fede è la Chiesa credente e che i pronunciamenti dei primi concili sono stati accettati e vissuti da tutta la comunità ecclesiale. La Chiesa continua infatti a professare ancora oggi il Credo proclamato dai Concili di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). I primi quattro concili ecumenici sono accettati dalla maggior parte delle Chiese e comunità ecclesiali di oriente ed occidente. Se utilizzarono termini e concetti della cultura del loro tempo non fu certo per conformarsi ad essa: i concili non significarono infatti una ellenizzazione del cristianesimo bensì il contrario. Infatti, con la inculturazione del messaggio cristiano la stessa cultura greca subì una trasformazione dal di dentro e poté convertirsi in uno strumento per l’espressione e la difesa della verità biblica.

II. La divinità di Gesù Cristo.

4. Diverse affermazioni dell’Autore tendono a diminuire la portata dei passi del Nuovo Testamento in cui si afferma che Gesù è Dio: "Jesús está íntimamente ligado a Dios, con lo cual su realidad habrá que expresarla de alguna forma como realidad que es de Dios (cf. Gv 20,28)" (La fe, p. 216). In riferimento a Gv 1,1, l’Autore afferma: "Con el texto de Juan […] de ese logos no se dice todavía, en sentido estricto, que sea Dios (consustancial al Padre), pero de él se afirma algo que será muy importante para llegar a esta conclusión, su preexistencia, la cual no connota algo puramente temporal, sino que dice relación con la creación y relaciona al logos con la acción específica de la divinidad" (La fe, p. 469). Per P. Sobrino, nel Nuovo Testamento non si afferma chiaramente la divinità di Gesù ma si pongono soltanto i suoi presupposti: "En el Nuevo Testamento […] hay expresiones que, en germen, llevarán a la confesión de fe en la divinidad de Jesús" (La fe, pp. 468-469). "En los comienzos no se habló de Jesús como Dios ni menos de la divinidad de Jesús, lo cual sólo acaeció tras mucho tiempo de explicación creyente, casi con toda probabilidad después de la caída de Jerusalén" (La fe, p. 214).

Sostenere che in Gv 20,28 si afferma che Gesù è "de Dios" è un errore evidente, poiché in tale passo evangelico Gesù viene chiamato "Signore" e "Dio". Ugualmente, in Gv 1,1 si dice che il Logos è Dio. In molti altri passi del Nuovo Testamento si parla di Gesù come "Figlio" e "Signore"3. La divinità di Gesù è stata oggetto della Fede ecclesiale fin dagli inizi e molto prima che nel Concilio di Nicea si proclamasse la sua consustanzialità con il Padre. Il fatto che non si usi questo termine non significa che non si affermi la divinità di Gesù in senso stretto, contrariamente a quanto l’Autore pare insinuare.

L’Autore, asserendo che la divinità di Gesù è stata affermata solo dopo molto tempo di riflessione credente e che nel Nuovo Testamento essa si troverebbe soltanto "en germen", evidentemente non la nega ma nello stesso tempo non l’afferma con la debita chiarezza, inducendo altresì a pensare che lo sviluppo dogmatico - che a suo parere possiede delle caratteristiche ambigue - sia giunto a questa formulazione senza una chiara continuità con il Nuovo Testamento.

La divinità di Gesù è invece chiaramente attestata nei passi del Nuovo Testamento sopra citati. Le numerose dichiarazioni conciliari in materia4 si pongono in continuità con quanto il Nuovo Testamento afferma esplicitamente e non solo "in germe". La confessione della divinità di Gesù Cristo è un punto assolutamente essenziale della Fede della Chiesa fin dalle origini e attestata già nel Nuovo Testamento.

III. L’Incarnazione del Figlio di Dio.

5. P. Sobrino scrive: "Desde una perspectiva dogmática debe afirmarse, y con toda radicalidad, que el Hijo (la segunda persona de la Trinidad) asume toda la realidad de Jesús, y aunque la fórmula dogmática nunca explica el hecho de ese ser afectado por lo humano, la tesis es radical. El Hijo experimenta la humanidad, la vida, el destino y la muerte de Jesús" (Jesucristo, p. 308).

Nel suddetto brano l’Autore stabilisce una distinzione fra il Figlio e Gesù, che suggerisce al lettore la presenza di due soggetti in Cristo: il Figlio assume la realtà di Gesù; il Figlio sperimenta l’umanità, la vita, il destino e la morte di Gesù. Non risulta con chiarezza che il Figlio è Gesù e Gesù è il Figlio. Il tenore letterale di queste frasi riflette la nota teologia dell’homo assumptus, la quale risulta incompatibile con la Fede cattolica, che afferma invece l’unità della persona di Gesù Cristo in due nature, divina ed umana, secondo le formulazioni del Concilio di Efeso5 e soprattutto di Calcedonia, che asserisce: "noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio: il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato (cf. Ebr 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e genitrice di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili..."6. In ugual modo si espresse Papa Pio XII nella Lettera enciclica Sempiternus Rex: "…il concilio di Calcedonia, in perfetto accordo con quello di Efeso, afferma chiaramente che entrambe le nature del nostro Redentore si uniscono «in una sola persona e sussistenza» e vieta di affermare due individui in Cristo, in modo che accanto al Verbo sia posto un certo «uomo assunto» dotato di piena autonomia"7.

6. Un’altra difficoltà, riscontrata nella visione cristologica di P. Sobrino, deriva dalla sua insufficiente comprensione della communicatio idiomatum. Secondo l’Autore, "la comprensión adecuada de la communicatio idiomatum" sarebbe la seguente: "lo humano limitado se predica de Dios, pero lo divino ilimitado no se predica de Jesús" (La fe, p. 408; cf. p. 500).

In realtà, l’unità della persona di Cristo "in due nature", affermata dal Concilio di Calcedonia, ha come conseguenza immediata la cosiddetta communicatio idiomatum, cioè la possibilità di riferire le proprietà della divinità all’umanità e viceversa. In virtù di questa possibilità, già il Concilio di Efeso definì che Maria era theotókos: "Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è genitrice di Dio perché ha generato secondo la carne il Verbo che è da Dio, sia anatema"8. "Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce all’uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema"9. Come facilmente può dedursi da questi testi conciliari, la "comunicazione delle proprietà" si applica nei due sensi: l’umano si predica di Dio e il divino dell’uomo. Già il Nuovo Testamento afferma che Gesù "è il Signore"10 e che tutte le cose sono state create per mezzo di lui11. Ad es., nel linguaggio cristiano è possibile dire, e si dice, che Gesù è Dio e che è creatore ed onnipotente. Il Concilio di Efeso sancì l’uso di chiamare Maria "genitrice di Dio". Non è perciò corretto dire che di Gesù non si può predicare "lo divino ilimitado". Tale affermazione dell’Autore si comprenderebbe solo nel contesto di una cristologia dell’homo assumptus, nella quale non risulta con chiarezza l’unità della persona di Gesù: è evidente che non si potrebbero predicare di una persona umana gli attributi divini. Però tale cristologia non è assolutamente compatibile con l’insegnamento dei Concili di Efeso e di Calcedonia sull’unità della persona di Gesù Cristo in due nature. La comprensione della communicatio idiomatum presentata dall’Autore rivela pertanto una concezione erronea del mistero dell’Incarnazione e dell’unità della persona di Gesù Cristo.

IV. Gesù Cristo e il Regno di Dio

7. P. Sobrino sviluppa una peculiare visione del rapporto fra Gesù ed il Regno di Dio. Si tratta di un punto che riveste uno speciale interesse nelle sue opere. Secondo l’Autore, la persona di Gesù, come mediatore, non può essere assolutizzata ma va considerata in relazione al Regno di Dio, visto come qualcosa di distinto da Gesù stesso: "Esta relacionalidad histórica la analizaremos después en detalle, pero digamos ahora que este recordatorio es importante […] cuando se absolutiza al mediador Cristo y se ignora su relacionalidad constitutiva hacia la mediación, el reino de Dios" (Jesucristo, p. 32). "Ante todo, hay que distinguir entre mediador y mediación de Dios. El reino de Dios, formalmente hablando, no es otra cosa que la realización de la voluntad de Dios para este mundo, a lo cual llamamos mediación. A esa mediación […] está asociada una persona (o grupo) que la anuncia e inicia, y a ello llamamos mediador. En este sentido puede y debe decirse que, según la fe, ya ha aparecido el mediador definitivo, último y escatológico del reino de Dios, Jesús […]. Desde esta perspectiva pueden entenderse también las bellas palabras de Orígenes al llamar a Cristo la autobasileia de Dios, el reino de Dios en persona, palabras importantes que describen bien la ultimidad del mediador personal del reino, pero peligrosas si adecúan a Cristo con la realidad del reino" (Jesucristo, p. 147). "Mediador y mediación se relacionan, pues, esencialmente, pero no son lo mismo. Siempre hay un Moisés y una tierra prometida, un Monseñor Romero y una justicia anhelada. Ambas cosas, juntas, expresan la totalidad de la voluntad de Dios, pero no son lo mismo" (Jesucristo, p. 147). D’altra parte, la condizione di mediatore proverrebbe a Gesù soltanto per il fatto di essere uomo: "La posibilidad de ser mediador no le viene, pues, a Cristo de una realidad añadida a lo humano sino que le viene del ejercicio de lo humano" (La fe, p. 253).

L’Autore afferma certamente l’esistenza di una relazione speciale fra Gesù Cristo (mediador) ed il Regno di Dio (mediación), in quanto Gesù è il mediatore definitivo, ultimo ed escatologico del Regno. Tuttavia, nei passi citati, Gesù ed il Regno vengono distinti in modo tale che il vincolo fra di essi risulta privato del suo contenuto peculiare e della sua singolarità. P. Sobrino non spiega correttamente il nesso essenziale che esiste - se si vuole utilizzare il suo stesso linguaggio - fra il "mediatore" e la "mediazione". Inoltre, dicendo che, per Cristo, la possibilità di essere mediatore "le viene del ejercicio de lo humano", si esclude che la sua condizione di Figlio di Dio abbia rilevanza per la sua missione mediatrice.

Non è sufficiente parlare di una connessione intima o di una relazione costitutiva fra Gesù ed il Regno o di una "ultimidad del mediador", se si rinvia a qualcosa di diverso da lui stesso. Infatti, in un certo senso, Gesù Cristo ed il Regno si identificano: nella persona di Gesù già il Regno si è fatto presente. Tale identità è stata rilevata fin dall’epoca patristica12. Papa Giovanni Paolo II affermava nella Lettera enciclica Redemptoris Missio: "È sull'annunzio di Gesù Cristo, con cui il regno si identifica, che è incentrata la predicazione della chiesa primitiva"13. "Cristo non soltanto ha annunziato il regno, ma in lui il regno stesso si è fatto presente e si è compiuto14. "Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma [...] ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile. Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui rivelato15.

D’altra parte, la singolarità e l’unicità della mediazione di Cristo sono sempre state affermate nella Chiesa. Egli, grazie alla sua condizione di "unigenito Figlio di Dio", è "l’autorivelazione definitiva di Dio"16 . Perciò la sua mediazione è unica, singolare, universale ed insuperabile: "…si può e si deve dire che Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto. Gesù è, infatti, il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti"17.

V. L’autocoscienza di Gesù Cristo.

8. P. Sobrino, citando L. Boff, afferma che "Jesús fue un extraordinario creyente y tuvo fe. La fe fue el modo de existir de Jesús" (Jesucristo, p. 203). E, di sua propria iniziativa, aggiunge che: "Esta fe describe la totalidad de la vida de Jesús" (Jesucristo, p. 206). L’Autore giustifica la sua posizione adducendo il testo di Ebr 12,2: "En forma lapidaria la carta [a los Hebreos] dice con una claridad que no tiene paralelo en el Nuevo Testamento que Jesús se relacionó con el misterio de Dios en la fe. Jesús es el que ha vivido originariamente y en plenitud la fe (12,2)" (La fe, p. 256). P. Sobrino prosegue, dicendo: "Por lo que toca a la fe, Jesús es presentado, en vida, como un creyente como nosotros, hermano en lo teologal, pues no se le ahorró el tener que pasar por ella. Pero es presentado también como hermano mayor, porque vivió la fe originariamente y en plenitud (12,2). Y es el modelo, aquel en quien debemos tener los ojos fijos para vivir nuestra propia fe" (La fe, p. 258).

Nei passi appena citati, la relazione filiale di Gesù con il Padre, nella sua singolarità irripetibile, non appare con la dovuta chiarezza; anzi, le suddette affermazioni conducono piuttosto ad escluderla. Considerando l’insieme del Nuovo Testamento, non si può sostenere che Gesù sia "un creyente como nosotros". Nel vangelo di Giovanni si parla della "visione" del Padre da parte di Gesù: "solo colui che viene da Dio ha visto il Padre"18. Ugualmente, l’intimità unica e singolare di Gesù con il Padre è attestata nei vangeli sinottici19.

La coscienza filiale e messianica di Gesù è la conseguenza diretta della sua ontologia di Figlio di Dio fatto uomo. Se Gesù fosse un credente come noi, sebbene in modo esemplare, non potrebbe esser l’autentico rivelatore, colui che ci mostra il volto del Padre. Sono evidenti le connessioni di questo punto con quanto è stato detto prima nel n. IV, sulla relazione di Gesù con il Regno, e con quanto si dirà più avanti nel n. VI, sul valore salvifico attribuito da Gesù alla propria morte. Nella riflessione dell’Autore viene meno di fatto il carattere unico della mediazione e della rivelazione di Gesù, che in tal modo è ridotto alla condizione di rivelatore attribuibile ai profeti o ai mistici.

Gesù, il Figlio di Dio fatto carne, gode di una conoscenza intima ed immediata del Padre, di una "visione" che certamente va al di là della fede. L’unione ipostatica e la sua missione di rivelatore e redentore esigono la visione del Padre e la conoscenza del suo piano di salvezza. È ciò che indicano i testi evangelici già citati.

Tale dottrina è stata espressa in diversi testi magisteriali recenti: "questa amantissima conoscenza, con la quale il divin Redentore ci ha seguiti sin dal primo istante della sua Incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché, per quella visione beatifica di cui godeva sin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina..."20.

Con una terminologia leggermente diversa, anche Papa Giovanni Paolo II insiste sulla visione del Padre: "I suoi [di Gesù] occhi restano fissi sul Padre. Proprio per la conoscenza e l'esperienza che solo lui ha di Dio, anche in questo momento di oscurità egli vede limpidamente la gravità del peccato e soffre per esso. Solo lui, che vede il Padre e ne gioisce pienamente, misura fino in fondo che cosa significhi resistere col peccato al suo amore"21.

Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della conoscenza "immediata" che Gesù ha del Padre: "È, innanzi tutto, il caso della conoscenza intima e immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo"22. "La conoscenza umana di Cristo, per la sua unione alla Sapienza divina nella Persona del Verbo incarnato, fruiva in pienezza della scienza dei disegni eterni che egli era venuto a rivelare23.

La relazione di Gesù con Dio non si esprime correttamente dicendo che egli era un credente come noi. Al contrario, sono proprio l’intimità e la conoscenza diretta ed immediata che egli ha del Padre a permettergli di rivelare agli uomini il mistero dell’amore divino. E solo così egli può introdurci in tale amore.

VI. Il valore salvifico della morte di Gesù.

9. Alcune affermazioni di P. Sobrino inducono a pensare che, a parere dell’Autore, Gesù non avrebbe attribuito alla propria morte un valore salvifico: "Digamos desde el principio que el Jesús histórico no interpretó su muerte de manera salvífica, según los modelos soteriólogicos que, después, elaboró el Nuevo Testamento: sacrificio expiatorio, satisfacción vicaria […]. En otras palabras, no hay datos para pensar que Jesús otorgara un sentido absoluto trascendente a su propia muerte, como hizo después el Nuevo Testamento" (Jesucristo, p. 261). "En los textos evangélicos no se puede encontrar inequívocamente el significado que Jesús otorgó a su propia muerte" (ibidem). "…puede decirse que Jesús va a la muerte con confianza y la ve como último acto de servicio, más bien a la manera de ejemplo eficaz y motivante para otros que a la manera de mecanismo de salvación para otros. Ser fiel hasta el final, eso es ser humano" (Jesucristo, p. 263).

In un primo momento, l’affermazione dell’Autore sembra limitata, nel senso che Gesù parrebbe non aver attribuito alla sua morte un valore salvifico secondo le categorie utilizzate nel Nuovo Testamento. Tuttavia, in seguito, egli afferma che "no hay datos para pensar" che Gesù abbia attribuito un senso trascendente ed assoluto alla propria morte. P. Sobrino dice soltanto che Gesù va incontro alla morte con confidenza e le attribuisce valore di esempio motivante per gli altri. In tal modo, i numerosi passi del Nuovo Testamento che parlano del valore salvifico della morte di Cristo24 risultano privati di ogni legame con la coscienza che Cristo ha avuto di sé durante la sua vita soggetta alla morte. L’Autore non prende in debita considerazione i passi evangelici in cui Gesù attribuisce alla sua morte un significato salvifico; in particolare Mc 10,4525: "il figlio dell’uomo non è venuto per esser servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti"; e le parole di istituzione dell’eucarestia: "Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti26. Qui appare di nuovo la difficoltà, di cui sopra si è fatto menzione, circa l’uso che P. Sobrino fa del Nuovo Testamento. I dati neotestamentari cedono il passo ad una ipotetica ricostruzione storica, che risulta erronea.

10. Tuttavia il problema non si riduce alla coscienza con cui Gesù ha affrontato la sua morte ed al significato che le avrebbe conferito. P. Sobrino espone anche il suo punto di vista circa il significato soteriologico che si dovrebbe attribuire alla morte di Cristo: "Lo salvífico consiste en que ha aparecido sobre la tierra lo que Dios quiere que sea el ser humano […]. El Jesús fiel hasta la cruz es salvación, entonces, al menos en este sentido: es revelación del homo verus, es decir, de un ser humano en el que resultaría que se cumplen tácticamente las características de una verdadera naturaleza humana […]. El hecho mismo de que se haya revelado lo humano verdadero contra toda expectativa, es ya buena noticia, y por ello, es ya en sí mismo salvación […]. Según esto, la cruz de Jesús como culminación de toda su vida puede ser comprendida salvíficamente. Esta eficacia salvífica se muestra más bien a la manera de la causa ejemplar que de la causa eficiente. Pero no quita esto que no sea eficaz […]. No se trata pues de causalidad eficiente, sino de causalidad ejemplar" (Jesucristo, pp. 293-294).

Ovviamente, si deve riconoscere tutto il valore all’efficacia dell’esempio di Cristo, che il Nuovo Testamento menziona esplicitamente27: è questa una dimensione della soteriologia che non si può dimenticare. Tuttavia non si può ridurre l’efficacia della morte di Gesù all’esempio o, secondo le medesime parole dell’Autore, alla rivelazione dell’«homo verus» fedele a Dio fino alla morte in croce. Nel testo sopra citato, P. Sobrino usa espressioni come "al menos" e "más bien", che sembrano lasciar aperta la porta ad altre considerazioni. Ma alla fine questa porta si chiude con una esplicita negazione: egli afferma che non si tratta di causalità efficiente bensì di "causalità esemplare". La redenzione sembra così ridursi all’apparizione dell’homo verus, che si manifesta nella fedeltà fino alla morte. La morte di Cristo sarebbe in tal modo exemplum e non sacramentum (dono). La redenzione si riduce al moralismo. Affiorano qui di nuovo le difficoltà cristologiche già notate in relazione con il mistero dell’Incarnazione e con il Regno. Entra qui in gioco solo l’umanità di Gesù e non il Figlio di Dio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Le affermazioni del Nuovo Testamento, della Tradizione e del Magistero ecclesiale sulla efficacia della redenzione e della salvezza operate da Cristo non possono ridursi al buon esempio da lui dato. Il mistero dell’Incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la fonte unica e inesauribile della redenzione dell’umanità, che si rende efficace nella Chiesa mediante i sacramenti.

Il Concilio di Trento, nel Decreto sulla giustificazione, afferma: "il Padre celeste, «padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione» (2Cor 1,3), quando giunse la beata «pienezza dei tempi» (Ef 1,10; Gal 4,4), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio [...] affinché riscattasse i Giudei, «che erano sotto la legge» (Gal 4,5), e «i pagani che non cercavano la giustizia, raggiungessero la giustizia» (Rm 9,30); e tutti «ricevessero l’adozione di figli» (Gal 4,5). Questo Dio «ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue» (Rm 3,25), «per i nostri peccati; non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2)"28.

Nel medesimo decreto si afferma che la causa meritoria della giustificazione è Gesù, Figlio unigenito di Dio, "il quale, «quando eravamo nemici» (Rm 5,10), «per il grande amore con cui ci ha amati» (Ef 2,4) ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre"29.

Il Concilio Vaticano II insegna: "Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l'uomo e l'ha trasformato in una nuova creatura (cf. Gal 6,15; 2 Cor 5,17). Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti che, attraverso i sacramenti, si uniscono in modo arcano e reale a lui sofferente e glorioso"30.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma a sua volta: "Questo disegno divino di salvezza attraverso la messa a morte del «Servo Giusto» era stato anticipatamente annunziato nelle Scritture come un mistero di redenzione universale, cioè di riscatto che libera gli uomini dalla schiavitù del peccato. San Paolo professa, in una confessione di fede che egli dice di avere «ricevuto», che «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3). La morte redentrice di Gesù compie in particolare la profezia del Servo sofferente"31.

Conclusione

11. La teologia nasce dall’obbedienza all’impulso della verità che tende a comunicarsi e dell’amore che desidera conoscere sempre meglio colui che ama, cioè Dio stesso, la cui bontà riconosciamo grazie alla Fede32. Perciò la riflessione teologica non può aver altra origine se non la Fede della Chiesa. Solo a partire da questa Fede il teologo può acquisire, in comunione con il Magistero, un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Scrittura e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa33.

La verità rivelata da Dio stesso in Gesù Cristo, e trasmessa dalla Chiesa, costituisce dunque il principio ultimo e normativo della teologia34, e nessun’altra istanza può superarla. Riferendosi a questa sorgente perenne, la teologia è fonte di autentica novità e di luce per gli uomini di buona volontà. Perciò la ricerca teologica offre frutti tanto più abbondanti e maturi, per il bene di tutto il popolo di Dio e di tutta l’umanità, quanto più si inserisce nella viva corrente che, grazie all’azione dello Spirito Santo, procede dagli Apostoli e si è arricchita mediante la riflessione credente delle generazioni che ci hanno preceduto. È lo Spirito Santo che introduce la Chiesa alla pienezza della verità35 e solo nella docilità a questo "dono dall’alto" la teologia è realmente ecclesiale ed al servizio della verità.

Lo scopo della presente Notificazione è quello di richiamare all’attenzione di tutti i fedeli la fecondità di una riflessione teologica che non teme di svilupparsi nel flusso vitale della Tradizione ecclesiale.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinal Prefetto il 13 ottobre 2006, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato in Roma, nella sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 2006, Festa Liturgica di N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo.

William Cardinale LEVADA
Prefetto

+ Angelo AMATO, S.D.B.
Arcivescovo titolare di Sila
Segretario

________________________________

NOTE

1 Cf. ad es. infra al n. 6.

2 Cf. Concilio Vaticano II, Decr. Optatam totius, 16; Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et Ratio, 65: AAS 91 (1999), 5-88.

3 Cf. 1Tess 1,10; Fil 2,5-11; 1Cor 12,3; Rm 1,3-4; 10,9; Col 2,9, etc.

4 Cf. i Concili di Nicea, DH 125; Costantinopoli, DH 150; Efeso, DH 250-263; Calcedonia, DH 301-302.

5 Cf. DH 252-263.

6 Concilio di Calcedonia, Symbolum Chalcedonense, DH 301.

7 Pio XII, Lett. Enc. Sempiternus Rex: AAS 43 (1951), 638; DH 3905.

8 Concilio di Efeso, Anathematismi Cyrilli Alex., DH 252.

9 Ibidem, DH 255.

10 1Cor 12,3; Fil 2,11.

11 Cf. 1Cor 8,6.

12 Cf. Origene, In Mt. Hom., 14,7; Tertulliano, Adv. Marcionem, IV 8; Ilario di Poitiers, Comm in Mt. 12,17.

13 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris Missio, 16: AAS 83 (1991), 249-340.

14 Ibidem, 18.

15 Ibidem.

16 Ibidem, 5.

17 Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, 15: AAS 92 (2000), 742-765.

18 Gv 6,46; cf. anche Gv 1,18.

19 Cf. Mt 11,25-27; Lc 10,21-22.

20 Pio XII, Lett. Enc. Mystici Corporis: AAS 35 (1943) 230; DH 3812.

21 Giovanni Paolo II, Lett. Apost. Novo Millennio Ineunte, 26: AAS 93 (2001), 266-309.

22 Catechismo della Chiesa Cattolica, 473.

23 Catechismo della Chiesa Cattolica, 474.

24 Cf. ad es. Rm 3,25; 2Cor 5,21; 1Gv2,2, etc.

25 Cf. Mt 20,28.

26 Mc 14,24; cf. Mt 26,28; Lc 22,20.

27 Cf. Gv 13,15; 1Pt 2,21.

28 Concilio di Trento, Decr. De justificatione, DH 1522.

29 Ibidem, DH 1529; cf. DH 1560.

30 Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, 7.

31 Catechismo della Chiesa Cattolica, 601.

32 Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis, 7: AAS 82 (1990), 1550-1570.

33 Cf. ibidem., 6.

34 Cf. ibidem., 10.

35 Cf. Gv 16,13.

Augustinus
14-03-07, 22:52
NOTA ESPLICATIVA ALLA NOTIFICAZIONE SULLE OPERE DI P. JON SOBRINO, S.I. - 14.3.2007

1. El interés de la Iglesia por los pobres

Es función propia de la Congregación para la Doctrina de la Fe promover y tutelar la doctrina sobre la fe y las costumbres en todo el orbe católico1. En tal modo se quiere servir a la fe del pueblo de Dios y en particular a sus miembros más sencillos y pobres. La preocupación por los más sencillos y pobres es, desde el inicio, uno de los rasgos que caracteriza la misión de la Iglesia. Si es cierto, como también lo ha recordado el Santo Padre, que «la primera pobreza de los pueblos es no conocer a Cristo»2, entonces todos los hombres tienen derecho a conocer al Señor Jesús, que es «esperanza de las naciones y salvador de los pueblos», y a mayor razón cada cristiano tiene derecho de conocer de modo adecuado, auténtico e integral, la verdad que la Iglesia confiesa y expresa acerca de Cristo. Ese derecho es el fundamento del deber correspondiente del magisterio eclesial de intervenir cada vez que la verdad es puesta en peligro o negada.

Por todo ello, la Congregación se ha visto en el deber de publicar la Notificación adjunta sobre algunas obras del P. Jon Sobrino S.I. en las cuales se han encontrado diversas proposiciones erróneas o peligrosas que pueden causar daño a los fieles. El P. Sobrino, en sus obras, manifiesta preocupación por la situación de los pobres y oprimidos especialmente en América Latina. Esta preocupación es ciertamente la de la Iglesia entera. La misma Congregación para la Doctrina de la Fe, en su Instrucción Libertatis conscientia sobre libertad cristiana y liberación, indicaba que «la miseria humana atrae la compasión de Cristo Salvador que la ha querido cargar sobre sí e identificarse con los "más pequeños de sus hermanos" (cf. Mt 25,40.45)» y que «la opción preferencial por los pobres, lejos de ser un signo de particularismo o de sectarismo, manifiesta la universalidad del ser y de la misión de la Iglesia. Dicha opción no es exclusiva. Ésta es la razón por la que la Iglesia no puede expresarla mediante categorías sociológicas o ideológicas reductivas, que harían de esta preferencia una opción partidista y de naturaleza conflictiva»3. Ya previamente la misma Congregación, en la Instrucción Libertatis nuntius sobre algunos aspectos de la teología de la liberación, había observado que las advertencias sobre esta corriente teológica contenidas en el documento no se podían interpretar como un reproche hacia quienes deseaban ser fieles a la "opción preferencial por los pobres" ni podían en modo alguno servir de excusa a quienes se muestran indiferentes a los gravísimos problemas de la miseria y de la injusticia4.

Estas afirmaciones muestran con claridad la posición de la Iglesia en este complejo problema: «Las desigualdades inicuas y las opresiones de todo tipo que afectan hoy a millones de hombres y mujeres están en abierta contradicción con el Evangelio de Cristo y no pueden dejar tranquila la conciencia de ningún cristiano. La Iglesia, dócil al Espíritu, avanza con fidelidad por los caminos de la liberación auténtica. Sus miembros son conscientes de sus flaquezas y de sus retrasos en esta búsqueda. Pero una multitud de cristianos, ya desde el tiempo de los Apóstoles, han dedicado sus fuerzas y sus vidas a la liberación de toda forma de opresión y a la promoción de la dignidad humana. La experiencia de los santos y el ejemplo de tantas obras de servicio al prójimo constituyen un estímulo y una luz para las iniciativas liberadoras que se imponen hoy»5.

2. Procedimiento para el examen de las doctrinas

A la Notificación arriba mencionada se ha llegado tras un atento examen de los escritos del P. Sobrino según el procedimiento establecido para el examen de las doctrinas. El modo de proceder de la Congregación para la Doctrina de la Fe para formarse un juicio sobre escritos que aparecen como problemáticos puede explicarse brevemente. Cuando la Congregación considera que los escritos de un autor determinado presentan dificultades desde el punto de vista doctrinal, de tal manera que de ellos se deriva o puede derivarse un daño grave para los fieles, se inicia un procedimiento regulado por el Reglamento del 29 de junio de 1997, que fue en su día aprobado por el Papa Juan Pablo II 6.

El procedimiento ordinario prevé que se pida la opinión de algunos peritos en la materia tratada. El parecer de los mismos, junto con todas las noticias útiles para el examen del caso, seguidamente se somete a la consideración de la Consulta, o sea, la instancia de la Congregación formada por expertos en las diferentes disciplinas teológicas. Toda la ponencia, incluyendo el verbal de la discusión, la votación general y los votos particulares de los Consultores sobre la eventual existencia en los escritos de errores doctrinales u opiniones peligrosas, es sometida al examen de la Sesión Ordinaria de la Congregación, compuesta por los Cardenales y Obispos miembros del Dicasterio, la cual examina minuciosamente toda la cuestión y decide si se debe proceder o no a una contestación al Autor. La decisión de la Sesión Ordinaria es sometida a la aprobación del Sumo Pontífice. Si se decide proceder a la contestación, la lista de proposiciones erróneas o peligrosas se comunica, a través del Ordinario, al Autor, el cual dispone de tres meses útiles para responder. Si la Sesión Ordinaria considera que la respuesta es suficiente, no se procede ulteriormente. De lo contrario se toman las medidas adecuadas. Una de éstas puede ser la publicación de una Notificación en la que se detallan las proposiciones erróneas o peligrosas encontradas en los escritos del Autor.

Cuando se considera que los escritos son evidentemente erróneos y de su divulgación podría derivar o ya deriva un grave daño a los fieles7, el procedimiento se abrevia. Se nombra una Comisión de expertos encargada de determinar las proposiciones erróneas y peligrosas. El parecer de dicha Comisión se somete a la Sesión Ordinaria de la Congregación. En el caso de que las proposiciones se juzguen efectivamente erróneas y peligrosas, después de la aprobación del Santo Padre, siempre a través del Ordinario, se trasmiten al Autor, para que éste las corrija en un plazo de dos meses útiles. Su respuesta es examinada por la Sesión Ordinaria, que adopta las medidas oportunas.

3. El caso particular del P. Sobrino

En el presente caso, la misma Notificación indica los pasos que se siguieron según el procedimiento urgente. Se optó por tal procedimiento teniendo en cuenta entre otras razones la gran difusión que, sobre todo en América Latina, han alcanzado las obras del P. Jon Sobrino. En ellas se encontraron graves deficiencias tanto de orden metodológico como de contenido. Sin reproducir aquí cuanto en la Notificación se indica en detalle, se hace notar que entre las deficiencias de orden metodológico se encuentra la afirmación según la cual la Iglesia de los pobres es el lugar eclesial de la cristología y ofrece la dirección fundamental de la misma, olvidando que el único "lugar eclesial" válido en la cristología, como de la teología en general, es la fe apostólica, que la Iglesia transmite a todas las generaciones. El P. Sobrino tiende a disminuir el valor normativo de las afirmaciones del Nuevo Testamento y de los grandes Concilios de la Iglesia antigua. Estos errores de índole metodológica llevan a conclusiones no conformes con la fe de la Iglesia acerca de puntos centrales de la misma: la divinidad de Jesucristo, la encarnación del Hijo de Dios, la relación de Jesús con el Reino de Dios, su autoconciencia, el valor salvífico de su muerte.

Al respecto, la Congregación para la Doctrina de la Fe escribía: «una reflexión teológica desarrollada a partir de una experiencia particular puede constituir un aporte muy positivo, ya que permite poner en evidencia algunos aspectos de la Palabra de Dios, cuya riqueza total no ha sido aún plenamente percibida. Pero para que esta reflexión sea verdaderamente una lectura de la Escritura, y no una proyección sobre la Palabra de Dios de un significado que no está contenido en ella, el teólogo ha de estar atento a interpretar la experiencia de la que él parte a la luz de la experiencia de la Iglesia misma. Esta experiencia de la Iglesia brilla con singular resplandor y con toda su pureza en la vida de los santos. Compete a los Pastores de la Iglesia, en comunión con el Sucesor de Pedro, discernir su autenticidad»8.

Por lo tanto, con esta Notificación, se espera ofrecer a los pastores y a los fieles un criterio seguro, fundado en la doctrina de la Iglesia para un juicio recto acerca de estas cuestiones, muy relevantes tanto desde el punto de vista teológico como pastoral.
________________________________

1 Cf. JUAN PABLO II, Const. Apost. Pastor bonus, 48: AAS 80 (1988), 841-934)

2 BENEDICTO XVI, Mensaje para la Cuaresma 2006.

3 CONGREGACIÓN PARA LA DOCTRINA DE LA FE, Instr. Libertatis conscientia, 68: AAS 79 (1987), 554-599.

4 CONGREGACIÓN PARA LA DOCTRINA DE LA FE, Instr. Libertatis nuntius, Proemio: AAS 76 (1984) 876-909.

5 CONGREGACIÓN PARA LA DOCTRINA DE LA FE, Instr. Libertatis nuntius, 57.

6 Cf. CONGREGACIÓN PARA LA DOCTRINA DE LA FE, Agendi Ratio in Doctrinarum Examine: AAS 89 (1997) 830-835.

7 Cf. ibidem, 23

8 CONGREGACIÓN PARA LA DOCTRINA DE LA FE, Instr. Libertatis conscientia, 70

Augustinus
14-03-07, 22:53
1. L’interesse della Chiesa per i poveri

La Congregazione della Dottrina della Fede ha il peculiare compito di promuovere e di tutelare la dottrina sulla fede ed i costumi nell’orbe cattolico1. In tal modo si intende servire la fede del popolo di Dio ed in particolare di coloro che in esso sono i più semplici ed i più poveri. La preoccupazione per i più semplici ed i più poveri è fin dall’inizio uno dei tratti che qualificano la missione della Chiesa. Se è vero, come ha ricordato anche il S. Padre, che "la prima povertà dei popoli è non conoscere Cristo"2, ciascun uomo ha diritto di conoscere il Signore Gesù, Colui che è "l’atteso delle genti ed il loro salvatore". A maggior ragione, ciascun cristiano ha diritto di conoscere in modo adeguato, autentico ed integrale, la verità che la Chiesa confessa ed esprime su di Lui. Tale diritto fonda il corrispettivo dovere del magistero ecclesiale di intervenire tutte le volte che tale verità viene messa in pericolo o negata.

La Congregazione si è perciò trovata nella necessità di pubblicare l’annessa Notificazione su alcune opere di P. Jon Sobrino S.I., nelle quali sono state riscontrate diverse proposizioni che possono nuocere ai fedeli, a causa della loro erroneità o pericolosità. P. Sobrino, nelle sue pubblicazioni, manifesta preoccupazione per la situazione dei poveri e degli oppressi, specialmente in America Latina. Questa preoccupazione appartiene senza dubbio alla Chiesa intera. La stessa Congregazione per la Dottrina della Fede, nella sua Istruzione Libertatis conscientia sulla libertà cristiana e la liberazione, indicava che la miseria umana "ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, che ha voluto prenderla su di sé, e identificarsi con «i più piccoli tra i fratelli» (Mt 25, 40. 45)" e che "l'opzione preferenziale per i poveri, lungi dall'essere un segno di particolarismo o di settarismo, manifesta l'universalità della natura e della missione della Chiesa. Questa opzione non è esclusiva. È la ragione per cui la Chiesa non può esprimersi a sostegno di categorie sociologiche e ideologiche riduttrici, che farebbero di tale preferenza una scelta faziosa e di natura conflittuale"3. Già in precedenza, la stessa Congregazione, nella Istruzione Libertatis nuntius sopra alcuni aspetti della teologia della liberazione, aveva osservato che i richiami circa tale corrente teologica, contenuti nel documento, non potevano essere interpretati come un rimprovero verso coloro che desideravano rimanere fedeli alla "opzione preferenziale per i poveri", né in alcun modo esser addotti come scusa da coloro che si mostrano indifferenti ai gravissimi problemi della miseria e dell’ingiustizia4.

Tali affermazioni illustrano con chiarezza quale sia la posizione della Chiesa riguardo a questa complessa problematica: "Le inique disuguaglianze e le oppressioni di ogni sorta, che colpiscono oggi milioni di uomini e di donne, sono in aperta contraddizione col Vangelo di Cristo e non possono lasciar tranquilla la coscienza di nessun cristiano. Nella sua docilità allo Spirito, la Chiesa avanza con fedeltà lungo le strade dell'autentica liberazione. I suoi membri hanno coscienza delle proprie manchevolezze e dei ritardi in questa ricerca. Ma una moltitudine di cristiani, fin dal tempo degli Apostoli, ha impegnato le proprie forze e la propria vita per la liberazione da ogni forma di oppressione e per la promozione della dignità umana. L'esperienza dei Santi e l'esempio di tante opere al servizio del prossimo costituiscono uno stimolo e una luce per quelle iniziative liberatrici, che al giorno d'oggi si impongono"5.

2. La procedura per l’esame delle dottrine

Alla Notificazione di cui sopra si è pervenuti attraverso un attento esame degli scritti di P. Sobrino, seguendo l’apposito regolamento per l’esame delle dottrine. Ecco in sintesi il modo con cui la Congregazione per la Dottrina della Fede procede nel formulare un giudizio su scritti che paiono problematici. Quando la Congregazione ritiene che gli scritti di un autore pongono dei problemi sotto il profilo dottrinale, al punto che ne derivi o possa derivarne un grave danno per i fedeli, si inizia una procedura regolata da una normativa approvata, in data 29 giugno 1997, da Papa Giovanni Paolo II6.

La procedura ordinaria prevede che si chieda il parere di alcuni esperti nella materia in esame. Tali pareri, insieme a tutte le notizie utili per l’indagine in questione, vengono poi sottoposti all’esame della Consulta, vale a dire a quell’istanza della Congregazione costituita da esperti in varie discipline teologiche. Tutta la documentazione relativa, comprendente il verbale della discussione, la votazione generale ed i pareri dei consultori sull’eventuale esistenza, negli scritti in esame, di errori dottrinali e di opinioni pericolose, viene quindi sottomessa al giudizio della Sessione Ordinaria della Congregazione, composta da Cardinali e Vescovi membri del Dicastero. Essa esamina minuziosamente tutta la questione e decide se merita o meno una contestazione all’autore. Le decisioni della Sessione Ordinaria sono, infine, sottoposte all’approvazione del Sommo Pontefice. Se si decide di procedere alla contestazione, un elenco di proposizioni erronee o pericolose viene trasmesso, attraverso il competente Ordinario, all’autore, il quale dispone di un tempo utile di tre mesi per rispondere. Se la Sessione Ordinaria considera la risposta sufficiente, non si procede ulteriormente. Altrimenti si adottano i provvedimenti del caso: ad es. la pubblicazione di una Notificazione, in cui vengono esposte le proposizioni erronee o pericolose riscontrate negli scritti dell’autore.

Nel caso in cui gli scritti esaminati siano ritenuti evidentemente erronei e dalla loro divulgazione deriva o potrebbe derivare un grave danno per i fedeli7, la procedura viene abbreviata. Si nomina una Commissione di esperti con l’incarico di individuare le proposizioni erronee e pericolose. Il parere della Commissione viene sottoposto al giudizio della Sessione Ordinaria della Congregazione. Se le proposizioni vengono considerate effettivamente erronee e pericolose, dopo l’approvazione del S. Padre, sempre tramite l’Ordinario, esse sono trasmesse all’autore, affinché le corregga in un tempo utile di due mesi. La risposta è esaminata dalla Sessione Ordinaria, che adotta le opportune misure.

3. Il caso particolare di P. Sobrino

Nel presente caso, la stessa Notificazione indica i passi seguiti secondo la procedura urgente. Si è optato per questa procedura, fra l’altro, in considerazione della grande diffusione che, soprattutto in America Latina, hanno avuto le opere del P. Jon Sobrino. In esse si rilevarono gravi difetti, sia metodologici che di contenuto. Senza ripetere qui ciò che già espone per esteso la Notificazione, si rileva anzitutto l’affermazione secondo cui "la Chiesa dei poveri" è il luogo ecclesiale della cristologia ed offre ad essa l’orientamento fondamentale. Così dicendo, l’autore dimentica che è la fede apostolica, trasmessa dalla Chiesa a tutte le generazioni, l’unico "luogo ecclesiale" valido per la cristologia e, più in generale, per la teologia. P. Sobrino tende a diminuire il valore normativo delle affermazioni del Nuovo Testamento e dei grandi concili della Chiesa antica. Tali errori, di indole metodologica, conducono a conclusioni non conformi con la fede della Chiesa riguardo a punti cruciali, come la divinità di Gesù Cristo, l’Incarnazione del Figlio di Dio, la relazione di Gesù con il Regno di Dio, la sua autocoscienza ed il valore salvifico della sua morte.

A tal proposito, la Congregazione per la Dottrina della Fede già scriveva: "Una riflessione teologica, sviluppata partendo da una particolare esperienza, può costituire un contributo molto positivo, in quanto consente di mettere in evidenza aspetti della Parola di Dio, la cui intera ricchezza non era ancora stata pienamente percepita. Ma affinché tale riflessione sia veramente una lettura della Scrittura, e non già la proiezione sulla Parola di Dio di un significato che non vi è contenuto, il teologo sarà attento a interpretare l'esperienza, da cui parte, alla luce dell'esperienza della Chiesa stessa. Tale esperienza della Chiesa brilla con singolare splendore e in tutta la sua purezza nella vita dei Santi. Spetta ai Pastori della Chiesa, in comunione col Successore di Pietro, discernerne l'autenticità"8.

Con questa Notificazione si intende perciò offrire ai pastori ed ai fedeli un criterio sicuro, radicato nella dottrina della Chiesa, per valutare correttamente le suddette questioni, assai rilevanti sia sotto il profilo teologico che pastorale.

________________________________

NOTE

1 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Cost. Apost. Pastor Bonus, 48: AAS 80 (1988), 841-934.

2 BENEDETTO XVI, Messaggio per la Quaresima 2006.

3 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Libertatis conscientia, 68: AAS 79 (1987), 554-599.

4 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Libertatis nuntius, Proemio: AAS 76 (1984), 876-909.

5 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Libertatis conscientia, 57.

6 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Agendi ratio in doctrinarum examine: AAS 89 (1997) 830-835.

7 Cf. Ibidem, 23.

8 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Libertatis conscientia, 70.

bottero
16-03-07, 20:04
comunque al di là della battuta grazie per il testo della congregazione.
lo salvo e lo leggerò con molto interesse.

Augustinus
24-03-07, 21:31
La sentenza sul teologo Jon Sobrino ha di mira un intero continente

Indicando gli errori di due libri, il Vaticano ha voluto soprattutto mettere in guardia i loro lettori: vescovi, preti, laici dell'America latina. È il preludio del prossimo viaggio di Benedetto XVI in Brasile. Al centro di tutto, la questione su chi è il vero Gesù

di Sandro Magister

ROMA, 20 marzo 2007 – Lo scorso mercoledì delle ceneri, giorno d'inizio della Quaresima, un piccolo frate del Perù, con l'abito bianco e nero dei domenicani, si presentò davanti a Benedetto XVI che officiava il rito nella basilica romana di Santa Sabina. Il papa impose le ceneri sul suo capo.

Quel frate era Gustavo Gutiérrez, autore nel 1971 del libro "Teologia della liberazione", che diede inizio alla corrente teologica dello stesso nome.

Nel 1984 e poi nel 1986 questa teologia fu criticata severamente da due documenti della congregazione per la dottrina della fede, firmati dall'allora cardinale Joseph Ratzinger. Eppure essa influenza tuttora larghi strati della Chiesa latinoamericana, nella mentalità e nel linguaggio.

I suoi maggiori esponenti non hanno tutti percorso la stessa strada. Gutiérrez ha corretto alcune sue posizioni iniziali, è entrato nell'ordine domenicano e all'inizio di questa Quaresima è stato chiamato a tenere un corso di teologia in una blasonata università pontificia di Roma, l'Angelicum, quella in cui studiò Karol Wojtyla.

Invece un altro celebre teologo della liberazione, il gesuita Jon Sobrino, basco emigrato nel Salvador, cofondatore in questo paese dell'Università del Centro America, UCA, ha tenuto ferme le sue posizioni anche dopo che la congregazione per la dottrina della fede ha messo sotto esame due suoi libri.

E dice di non volersi piegare nemmeno oggi che alcune sue tesi sono state giudicate "erronee e pericolose".

La sentenza è stata presentata a Benedetto XVI – che l'ha approvata – dal suo successore alla testa della congregazione, il cardinale William Levada, il 13 ottobre 2006. È stata firmata e resa esecutiva il 26 novembre successivo. Ed è stata resa pubblica lo scorso 14 marzo.

Ma già il 13 dicembre 2006, in una lettera al superiore generale dei gesuiti, Peter Hans Kolvenbach, che aveva fatto da tramite tra lui e la congregazione, Sobrino ha scritto di non poter accettare la sentenza.

Nella lettera, Sobrino contrappone al giudizio ostile espresso dalla Santa Sede sui suoi libri i giudizi favorevoli che hanno accompagnato la loro pubblicazione: l'imprimatur del cardinale Paulo Evaristo Arns, all'epoca arcivescovo di San Paolo del Brasile, e le recensioni positive di teologi autorevoli, anche europei.

Uno di questi, il gesuita francese Bernard Sesboué, consultore del pontificio consiglio per l'unità dei cristiani e già membro della commissione teologica internazionale, avrebbe anche criticato – stando a quanto scrive Sobrino – il metodo "deliberatamente sospettoso" con cui il Vaticano conduce le sue indagini: un metodo col quale "si troverebbero eresie anche nelle encicliche di Giovanni Paolo II".

I libri inquisiti di Sobrino sono due: "Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret", del 1991, e "La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas", del 1999, entrambi tradotti in varie lingue, in italiano dall'editrice Cittadella, di Assisi.

Nel luglio del 2004 la congregazione per la dottrina della fede trasmise a Sobrino un elenco delle tesi "erronee e pericolose" rinvenute nei due libri.

Nel marzo del 2005 Sobrino inviò alla congregazione le sue risposte. Che furono ritenute "non soddisfacenti".

Nella sua lettera del 13 dicembre 2006 al generale dei gesuiti, Sobrino fa però risalire molto più addietro, al 1975, l'inizio delle ostilità vaticane contro di lui e contro altri teologi e vescovi fautori della teologia della liberazione.

Indica uno degli avversari più accaniti nel cardinale Alfonso Lopez Trujillo e lamenta che il continuo rinvio, in Vaticano, della causa di beatificazione dell'arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, martirizzato nel 1980, abbia tra i suoi moventi proprio l'amicizia tra Romero e lui, Sobrino.

Va ricordato che nel 1989, il 16 novembre, furono assassinati a San Salvador il rettore dell'Università del Centro America, Ignacio Ellacuría, anch'egli famoso teologo della liberazione, e altri cinque suoi confratelli gesuiti, Segundo Montes, Ignacio Martín Baró, Amando López, Juan Ramón Moreno, Joaquín López-López, più la cuoca Julia Elba Ramos e sua figlia Celina. Sobrino sfuggì al massacro solo perché all'estero per un convegno.

Nella lettera, Sobrino non risparmia critiche nemmeno all'allora cardinale Ratzinger. Lo accusa di aver travisato il suo pensiero, in un articolo contro la teologia della liberazione pubblicato nel 1984 sul settimanale di Comunione e Liberazione "30 Giorni".

Tra i vescovi osteggiati da Roma perché simpatizzanti con i teologi della liberazione Sobrino ricorda, oltre a Romero, il brasiliano Helder Camara, il messicano Samuel Ruiz e Leonidas Proaño dell'Ecuador.

Sobrino conclude che sottomettersi oggi alla sentenza emessa contro di lui dalla congregazione "sarebbe di poco aiuto per i poveri di Gesù e per la Chiesa dei poveri". Equivarrebbe ad arrendersi a trent'anni di diffamazione e di persecuzione contro la teologia della liberazione. Significherebbe darla vinta a metodi vaticani che "non sono sempre onesti ed evangelici".

"Extra pauperes nulla salus", scrive Sobrino nella lettera, mettendo i poveri al posto della Chiesa nell'antico detto secondo cui "fuori della Chiesa non c'è salvezza".

Ed é proprio questa una delle tesi che la congregazione per la dottrina della fede imputa a Sobrino come erronea: l'aver eletto i poveri a "luogo teologico fondamentale" – cioé a principale fonte di conoscenza –, al posto della "fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni".

La sentenza vaticana riconosce a Sobrino di prendersi giustamente cura dei poveri e degli oppressi – che è imperativo essenziale per tutti i cristiani – ma lo accusa di sminuire, in nome della liberazione dei poveri, i tratti essenziali di Gesù: la sua divinità, il valore salvifico della sua morte.

"Non si può impoverire Gesù con l'illusione di promuovere i poveri", ha scritto il vescovo e teologo Ignazio Sanna, membro della commissione teologica internazionale, in un commento alla sentenza pubblicato il 15 marzo sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire".

E "impoverire" Gesù significa non riconoscere la sua divinità, considerarlo semplicemente come uomo, sia pure come liberatore esemplare.

La sentenza della congregazione termina senza infliggere a Sobrino alcuna punizione. Ma la cosa non deve sorprendere, perché in effetti, più che al teologo inquisito, essa intende rivolgersi ai suoi numerosi lettori ed estimatori: vescovi, preti, laici.

Sono questi che il documento vaticano vuole mettere in guardia.

Alla metà di maggio, al santuario brasiliano dell'Aparecida, le conferenze episcopali dell'America latina terranno la loro quinta assemblea generale. A inaugurarla sarà Benedetto XVI in persona.

La pubblicazione della sentenza contro Sobrino anticipa dunque una delle indicazioni che il papa detterà alla Chiesa latinoamericana, i cui quadri dirigenti sono in buona parte influenzati dallo spirito della teologia della liberazione.

Una questione che Benedetto XVI giudica di importanza capitale – come prova il nuovo libro che si appresta a pubblicare – è strettamente connessa alla precedente. Ed è la questione di Gesù vero Dio e vero uomo.

Smarrire la verità su Gesù – come accade, a giudizio della congregazione per la dottrina della fede, nei libri del principale autore di cristologia dell'America latina, Sobrino – equivale a smarrire la verità della Chiesa, il senso della sua missione nel mondo.

Proprio come dice il titolo assegnato da Benedetto XVI all'assemblea generale in programma all'Aparecida: "Discepoli e missionari di Gesù Cristo, perché i nostri popoli abbiano la vita in Lui". Assieme a queste parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Io sono la via, la verità, la vita".

Fonte: www.chiesa (http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=127821)

Augustinus
24-03-07, 21:33
Jon Sobrino al P. Peter Hans Kolvenbach

13 de diciembre del 2006

Querido P. Kolvenbach:

Ante todo le agradezco la carta que me escribió el 20 de noviembre y todas las gestiones que ha hecho para defender mis escritos y mi persona. Ahora me dice el P. Idiáquez que le escriba a usted sobre mi postura ante la notificatio y las razones por las que no me adhiero -"sin reservas", dice usted en su carta- a ellas. En un breve texto posterior expondré mi reacción ante la notificatio, pues, como usted dice, lo normal es que la noticia aparezca en los medios y que los colegas de la teología esperen una palabra mía.

1. La razón fundamental.

La razón fundamental es la siguiente. Un buen número de teólogos han leído mis dos libros antes de que fuese publicado el texto de la Congregación de la fe de 2004. Varios de ellos leyeron también el texto de la Congregación. Su juicio unánime es que en mis dos libros no hay nada que no sea compatible con la fe de la Iglesia.

El primer libro, Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, fue publicado en español en 1991, hace 15 años,y ha sido traducido al portugués, inglés, alemán e italiano. La traducción portuguesa tiene el imprimatur del Cadenal Arns, del 4 de diciembre de 1992. Que yo sepa ninguna recensión o comentario teológico oral cuestionó mi doctrina.

El texto del segundo libro, La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, fue publicado en 1999, hace siete años, y ha sido tradcido al portugués, inglés e italiano. Fue examinado muy cuidadosamente, antes de su publicación, por varios teólogos, en algunos casos por encargo del P. Provincial, Adán Cuadra, y en otros a petición mía. Son los PP. J. I. González Faus, J. Vives y X. Alegre, de San Cugat; el P. Carlo Palacio, de Bello Horizonte; el Pbro. Gesteira, de Comillas; el Pbro. Javier Vitoria, de Deusto; el P. Martin Maier, de Stimmen der Zeit. Varios de ellos son expertos en teología dogmática. Uno, en exégesis. Y otro, en patrística.

Recientemente, el P. Sesboué, a petición de Martin Maier, el año 2005 tuvo la gentileza de leer el segundo libro, La fe en Jesucristo, conociendo también, según entiendo, el texto de la Congregación de la fe de 2004. El P. Maier le pidió que se fijase si había algo en mi libro contra la fe de la Iglesia. Su respuesta de 15 páginas en conjunto es laudatoria para el libro. Y no encontró nada criticable desde el punto de vista de la fe. Sólo encontró un error, que él llama técnico, no doctrinal. "Mon intention est de 0montrer le centre de gravité de l'ouvrage et combien il prend au serieux les affirmations conciliares, comme les titres de Crist dans le N.T. Je n'ai trouvè qu'une erreure réelle, s'est son interpretation de la communication des idiomes, mais c'este une errer technique en non doctrinale". (Afirmo desde ahora que no tengo ningún inconveniente en esclarecer, en la medida de mis posibilidades, ese error técnico).

Sobre el modo de analizar mi texto por parte de la congregación dice lo siguiente:"Je n'ai pas voulu répondre avec trop de précision au document de la CDF qui vise aussi le premier livre de Sobrino et me paraît tellement exagéré qu'il est sans valeur. Talleyrand avait ce mot: "Ce qui est exagéré est insignifiant!". Avec cette méthode délibérément soupçonneuse je peux lire bien des hérésies dans les encycliques de J.P. II! J'en ai tout de même tenu compte dans mon évaluation. J'ai voulu dire que ce livre me paraît plus
rigoureux dans ses formulations que le précédent. J'ai aussi cité des textes de la tradition, ou contemporains, ou même des papes qui vont dans le sens de Sobrino (en cela je suis la méthode de la CDF!).Entregué una copia del texto del P. Sesboué al P. Idiáquez y al P. Valentìn Menéndez.

Todos estos teólogos son buenos conocedores del tema cristológico, al nivel teológico y doctrinal. Son personas responsables. Se han fijado explícitamente en posibles errores doctrinales míos. Son respetuosos de la Iglesia. Y no han hallado errores doctrinales ni afirmaciones peligrosas. Entonces no puedo comprender cómo la notificatio lee mis textos de manera tan distinta y aun contraria.

Esta es la primera y fundamental razón para no suscribir la notificatio: "no me siento representado en absoluto en el juicio global de la notificatio". Por ello no me parece honrado suscribirla. Y además, sería una falta de respeto a los teólogos mencionados.

2. 30 años de relaciones con la jerarquía

El documento de 2004 y la notificatio no son una total sorpresa. Desde 1975 he tenido que contestar a la Congregación para la Educación católica, bajo el cardenal Garrone, en 1976, y a la Congregación de la Fe, primero bajo el cardenal Seper y después, varias veces, bajo el Cardenal Ratzinger. El P. Arrupe, sobre todo, pero también el P. Vincent O'keefe, como vicario general, y el P. Paolo Dezza, como delegado papal, siempre me animaron a responder con honradez, fidelidad y humildad. Me agradecieron mi buena
disposición a responder y me daban a entender que el modo de proceder las curias vaticanas no siempre se distinguía por ser honrado y muy evangélico. Mi experiencia, pues, viene de lejos. Y usted conoce lo que ha ocurrido en los años de su generalato.

Lo que quiero añadir ahora es que no sólo he tenido serias advertencias y acusaciones de esas congregaciones, sobre todo la de la fe, sino que desde muy pronto se creó un ambiente en el Vaticano, en varias curias diocesanas y entre varios obispos, en contra de mi teología -y en general, contra la teología de la liberación. Se generó un ambiente en contra de mi teología, a priori, sin necesidad de leer muchas veces mis escritos. Son 30 largos años de historia. Sólo voy a mencionar algunos hechos significativos. Lo hago no
porque ésa sea una razón fundamental para suscribir la notificatio, sino para comprender la situación en que estamos y qué difícil es, al menos para mí, y aun poniendo lo mejor de mi parte, tratar honrada, humana y evangélicamente, el problema. Y para ser sincero, aunque ya he dicho que no es una razón para no adherirme a la notificatio, siento que no es ético para mí "aprobar o apoyar" con mi firma un modo de proceder poco evangélico, que tiene dimensiones estructurales, en una medida, y que está bastante extendido. Pienso que avalar esos procedimientos para nada ayuda a la Iglesia de Jesús, ni a resentar el rostro de Dios en nuestro mundo, ni a animar al seguimiento de Jesús, ni a la "lucha crucial de nuestro tiempo", la fe y la justicia. Lo digo con gran modestia.

Algunos hechos del ambiente generalizado que se ha generado contra mi teología, más allá de las acusaciones de las congregaciones, son los siguientes.

Monseñor Romero escribe en su Diario el día 3 de mayo de 1979: "Visité al P. López Gall. Me dijo con sencillez de amigo el juicio negativo que se tiene en algunos sectores para con los escritos teológicos de Jon Sobrino". Por lo que toca a Monseñor Romero, pocos meses después me pidió que le escribiera el discurso que pronunció en la Universidad de Lovaina el 2 de febrero de 1980 -en 1977 ya había redactado para él la segunda carta pastoral "La Iglesia, cuerpo de Cristo en la historia".

Escribí el discurso de Lovaina. Le pareció muy bien, lo leyó íntegramente y me lo agradeció.

Antes de su cambio como obispo, Monseñor me había acusado de peligros doctrinales, lo que muestra que sabía moverse en esa problemática (también escribió un juicio crítico contra la "Teología Política" de Ellacuría en 1974). Pero después, nunca me avisó de tales peligros. Creo que mi teología le parecía correcta doctrinalmente -al menos en lo sustancial. (Sé muy bien que en el Vaticano un problema para su canonización ha sido mi posible influjo en sus escritos y homilías. Escribí un texto de unas 20 páginas sobre ellos. Y lo firmé).

Cuando Alfonso López Trujillo fue nombrado cardenal, dijo poco después en un grupo, más o menos públicamente, que iba a acabar con Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Ronaldo Muñoz y Jon Sobrino. Así me lo contaron, y me parece muy verosímil. Las historias de López Trujillo con el P. Ellacuría -con Monseñor Romero, sobre todo- y conmigo son interminables. Continúan hasta el día de hoy. Y empezaron pronto. Creo que en 1976 o 1977 habló en contra de la teología de Ellacuría y de la mía en una reunión de la Conferencia Episcopal de El Salvador, a cuya reunión se autoinvitó. Después, en carta a Ellacuría, negó tajantemente que hubiera hablado de él y de mí en dicha conferencia. Pero nosotros teníamos el testimonio, de primera mano, de Mons.
Rivera, quien estuvo presente en la reunión de la conferencia episcopal.

En 1983 el cardenal Corripio, arzobispo de México, prohibió la celebración de un congreso de teología. Lo organizaban los pasionistas para celebrar, según su carisma, el año de la redención, que estaba siendo propiciado por Juan Pablo II. Querían tratar teológicamente el tema de la cruz de Cristo y la de nuestros pueblos. Me invitaron y acepté. Después me comunicaron la prohibición del cardenal. La razón, o una razón importante, era que yo iba a tener dos conferencias en el congreso.

En Honduras, el arzobispo, regañó a un grupo de religiosas porque habían ido a una diócesis cercana a escuchar una conferencia mía. Me había invitado el obispo. Creo que su nombre era Mons. Corrivau, canadiense.

Sólo un ejemplo más para no cansarle. En 1987 o 1988, más o menos, recibí una invitación a hablar a un numeroso grupo de laicos en Argentina, en la diócesis de Mons. Hesayne. Se trataba de revitalizar a los cristianos que habían sufrido durante la dictadura. Y acepté. Poco después recibí una carta de Mons. Hesayne diciéndome que mi visita a su diócesis había sido objeto de debate en una reunión de la Conferencia Episcopal.

El cardenal Primatesta dijo que le parecía muy mal que yo fuese a hablar a Argentina. Monseñor Hesayne, me defendió como persona y defendió mi ortodoxia. Le preguntó al cardenal si había leído algún libro mío, y reconoció que no. Sin embargo, el obispo se vio obligado a cancelar la invitación. Me escribió y se disculpó con mucho cariño y humildad, y me pidió que comprendiese la situación. Le contesté que la comprendía y que le agradecía.

De lo que he dicho hasta ahora sobre Argentina tengo certeza. Lo que sigue lo oí a dos sacerdotes, no sé si de Argentina o de Bolivia, que pasaron por la UCA. Al verme, me dijeron que conocían en lo que había ocurrido en Argentina. En resumen, en la reunión de la Conferencia Episcopal le habían dicho a Mons. Hesayne que tenía que elegir: o invitaba a Jon Sobrino a su diócesis, y el Papa no pasaría por ella en la próxima visita a Argentina, o aceptaba la visita del Papa a su diócesis y Jon Sobrino no podía pasar por
allí.

No quiero cansarle más, aunque créame que podría contar más historias. También de obispos que se han opuesto a que dé conferencias en España. Esta "mala fama" no creo que fuese algo específicamente personal, sino parte de la campaña contra la teología de la liberación.

Y ahora formulo mi segunda razón para no adherirme. Tiene que ver menos directamente con los documentos de la Congregación de la fe, y más con el modo de proceder del Vaticano en lo últimos 20 ó 30años. En esos años, muchos teólogos y teólogas, gente buena, con limitaciones por supuesto, con amor a Jesucristo y a la Iglesia, y con gran amor a os pobres, han sido perseguidos inmisericordemente. Y no sólo ellos. También obispos, como usted sabe, Monseñor Romero en vida (todavía hay quien no le quiere en el Vaticano, al menos no quieren al Monseñor Romero real, sino a un Monseñor Romero aguado), Don Helder Camara tras su muerte, y Proaño, Don Samuel Ruiz y un muy largo etcétera. Han intentado descabezar, a veces con malas artes, a la CLAR, y a miles de religiosas y religiosos de inmensa generosidad, lo
que es más doloroso por la humildad de muchos de ellos. Y sobre todo, han hecho lo posible para que desaparezcan las comunidades de base, los pequeños, los privilegiados de Dios.

Adherirme a la notificatio, que expresa en buena parte esa campaña y ese modo de proceder, muchas veces claramente injusto, contra tanta gente buena, siento que sería avalarlo. No quiero pecar de arrogancia, pero no creo que ayudaría a la causa de los pobres de Jesús y de la iglesia de los pobres.

3. Las críticas a mi teología del teólogo Joseph Ratzinger

Este tema me parece importante para comprender dónde estamos, aunque no es una razón para no suscribir la notificatio.

Poco antes de publicar la primera Instrucción sobre algunos aspectos de la "Teología de la liberación", corrió, en forma manuscrita, un texto del cardenal Joseph Ratzinger sobre dicha teología. El Padre César Jerez, entonces Provincial, recibió el texto de un jesuita amigo, de Estados Unidos. El texto fue publicado después en 30 giorni III/3 (1984) pp. 48-55.

Yo lo pude leer, ya publicado, en Il Regno. Documenti 21 (1984) pp. 220-223. En este artículo se mencionan los nombres de cuatro teólogos de la liberación: Gustavo Gutiérrez, Hugo Assmann, Ignacio y Ellacuría, y el mío, que es el más frecuentemente citado. Cito textualmente lo que dice sobre mí. Las referencias son de mi libro Jesús en América Latina. Su significado para la fe la cristología, San Salvador, 1982.

a) Ratzinger: "Respecto a la fe dice, por ejemplo, J. Sobrino: La experiencia que Jesús tiene de Dios es radicalmente histórica. "Su fe se convierte en fidelidad". Sobrino reemplaza fundamentalmente, por consiguiente, la fe por la "fidelidad a la historia" (fidelidad a la historia, 143-144).

Comentario. Lo que yo digo textualmente es: "su fe en el misterio de Dios se convierte en fidelidad a ese misterio". con lo cual quiero recalcar la procesualidad del acto de fe. Digo también que "la carta (de los Hebreos) resume admirablemente cómo se da en Jesús la fidelidad histórica y en la historia a la práctica del amor a los hombres y la fidelidad al misterio de Dios" (p. 144). La interpretación de Ratzinger de remplazar la fe por la fidelidad a la historia está injustificada. Repito varias veces: "fidelidad al misterio de Dios".

b) Ratzinger: "'Jesús es fiel a la profunda convicción de que el misterio de la vida de los hombres. es realmente lo último.' (p. 144). Aquí se produce aquella fusión entre Dios y la historia que hace posible a Sobrino, conservar con respecto a Jesús la fórmula de Calcedonia pero con un sentido totalmente alterado: se ve cómo los criterios clásicos de la ortodoxia no son aplicables al análisis de esta teología.

Comentario. El contexto de mi texto es que "la historia hace creíble su fidelidad a Dios, y la fidelidad a Dios, a quien le instituyo, desencadena la fidelidad a la historia, al 'ser a favor de otros'" (p. 144). Para nada confundo Dios y la historia. Además, la fidelidad no es a una historia abstracta, o alejada de Dios y absolutizada, sino que es la fidelidad al
amor a los hermanos, lo que tiene una ultimidad específica en el Nuevo Testamento y es mediación de la realidad de Dios.

c) Ratzinger: "Ignacio Ellacuría insinúa este dato en la tapa del libro sobre este tema: Sobrino "dice de nuevo.que Jesús es Dios, pero añadiendo inmediatamente que el Dios verdadero es sólo el que se revela histórica y escandalosamente en Jesús y en los pobres, quienes continúan su presencia. Sólo quien mantiene tensa y unitariamente esas dos afirmaciones es ortodoxo."

Comentario. No veo que tiene de malo las palabras de Ellacuría.

d) Ratzinger: "El concepto fundamental de la predicación de Jesús es "Reino de Dios". Este concepto se encuentra también en el núcleo de las teologías de la liberación, pero leído sobre el trasfondo de la hermenéutica marxista. Según J. Sobrino el reino no debe comprenderse de modo espiritualista, ni universalista, ni en el sentido de una reserva escatológica abstracta. Debe ser entendido en forma partidista y orientado hacia la praxis. Sólo a partir de la praxis de Jesús, y no teóricamente, se puede definir lo que significa el reino; trabajar con la realidad histórica que nos rodea para transformarla en el Reino" (166).

Comentario. Es falso que yo hable del reino de Dios en el transfondo de la hermenéutica marxista. Sí es cierto que doy importancia decisiva a reproducir la praxis de Jesús para obtener un concepto que pueda acercarnos al que tuvo Jesús. Pero esto último es problema de epistemología filosófica, que tiene también raíces en la comprensión bíblica de lo que es conocer. Como dicen Jeremías y Oseas: "hacer justicia, ¿no es eso conocerme?".

e) Ratzinger: "En este contexto quisiera también mencionar la interpretación impresionante, pero en definitiva espantosa, de la muerte y de la resurrección que hace J. Sobrino. Establece ante todo, en contra de las concepciones universalistas, que la resurrección es, en primer lugar, una esperanza para los crucificados, los cuales constituyen la mayoría de los hombres: todos estos millones a los cuales la injusticia estructural se les impone como una lenta crucifixión (176). El creyente toma parte también en el reinado de Jesús sobre la historia a través de la implantación del Reino, esto es, en la lucha para la justicia y por la liberación integral, en la transformación de las estructuras injustas en estructuras más humanas. Este señorío sobre la historia se ejerce, en la medida en que se repite en la historia el gesto de Dios que resucita a Jesús, esto es, dando vida a los crucificados de la historia (181). El hombre asumió las gestas de Dios, y en esto se manifiesta toda la transformación del mensaje bíblico de modo casi trágico, si se piensa cómo este intento de imitación de Dios se ha efectuado y se efectúa".

Comentario. Si la resurrección de Jesús es la de un crucificado, me parece al menos plausible comprender teológicamente la esperanza en primer lugar para los crucificados. En esta esperanza podemos participar "todos "en la medida en que participemos en la cruz.

Y "repetir en la historia el gesto de Dios" es obviamente lenguaje metafórico. Nada tiene que ver con hybris y arrogancia. Hace resonar el ideal de Jesús: "sean buenos del todo como el Padre celestial es bueno".

Hasta aquí el comentario a las acusaciones de Ratzinger. No reconozco mi teología en esta lectura de los textos. Además, como usted recordará, el P. Alfaro escribió un juicio sobre el libro del que Ratzinger saca las citas, sin encontrar error alguno en su artículo "Análisis del libro 'Jesús en América Latina' de Jon Sobrino", Revista Latinoamericana de Teología 1, 1984, pp. 103-120). Por lo que toca a la ortodoxia concluye textualmente:

"a) Expresa y repetida afirmación de fe en la divinidad (filiación divina) de Cristo a lo largo de todo el libro;
b) reconocimiento creyente del carácter normativo y vinculante de los dogmas cristológicos, definidos por el magisterio eclesial en los concilios ecuménicos;

c) fe en la escatología cristiana, iniciada ya ahora en el presente histórico como anticipación de su plenitud venidera meta-histórica (más allá de la muerte);

d) fe en la liberación cristiana como "liberación integral", es decir, como salvación total del hombre en su interioridad y en su corporalidad, en su relación a Dios, a los otros, a la muerte y al mundo. Estas cuatro verdades de la fe cristiana son fundamentales para toda cristología. Sobrino las afirma sin ninguna ambigüedad" (p. 117-118).

Y es grave que, sin citar mi nombre, la Instrucción de 1984, IX. Traducción "teológica de este núcleo", repite algunas ideas que Ratzinger piensa haber encontrado en mi libro. "Algunos llegan hasta el límite de identificar a Dios y la historia, y a definir la fe como 'fidelidad a la historia'." (n. 4).

Creo que el cardenal Ratzinger, en 1984, no entendió a cabalidad la teología de la liberación, ni parece haber aceptado las reflexiones críticas de Juan Luis Segundo, Teología de la liberación. Respuesta al cardenal Ratzinger, Madrid, 1985, y de I. Ellacuría, "Estudio teológico-pastoral de la Instrucción sobre algunos aspecto de 'la teología de la liberación'", Revista Latinoamericana de Teología 2 (1984) 145-178. Personalmente creo que hasta el día de hoy le es difícil comprenderla. Y me ha disgustado un comentario que he leído al menos en dos ocasiones. Es poco objetivo y puede llegar a ser injusto. La idea es que "lo que buscan los (algunos) teólogos de la liberación es conseguir fama, llamar la atención".

Termino. No es fácil dialogar con la Congregación de la fe. A veces parece imposible. Parece que está obsesionada por encontrar cualquier limitación o error, o por tener por tal lo que puede ser una conceptualización distinta de alguna verdad de la fe. En mi opinión, hay aquí, en buena medida, ignorancia, prejuicio y obsesión para acabar con la teología de la liberación. Sinceramente no es fácil dialogar con ese tipo de mentalidad.

Cuántas veces he recordado el presupuesto de los Ejercicios: "todo buen cristiano ha de ser más pronto a salvar la proposición del prójimo que a condenarla". Y estos días he leído en la prensa un párrafo del libro de Benedicto XVI, de próxima aparición, sobre Jesús de Nazaret. "Creo que no es necesario decir expresamente que este libro no es en absoluto un acto magisterial, sino la expresión de mi búsqueda personal del «rostro del
Señor» (salmo 27, Por lo tanto, cada quien tiene libertad para contradecirme. Sólo pido a las lectoras y a los lectores el anticipo de simpatía sin la cual no existe comprensión posible". Personalmente le ofrezco al papa simpatía y comprensión. Y deseo vehementemente que la Congregación de la fe trate a los teólogos y teólogas de la misma manera.

4. Problemas de fondo importantes

En mi respuesta de marzo de 2005 traté de explicar mi pensamiento. Ha sido en vano. Por eso ahora no voy a comentar, una vez más, las acusaciones que me hace la notificatio, pues fundamentalmente son las mismas. Sólo quiero mencionar algunos temas importantes, sobre los que en el futuro podamos ofrecer algunas reflexiones.

1. Los pobres como lugar de hacer teología. Es un problema de epistemología teológica, exigido o al menos sugerido por la Escritura. Personalmente, no dudo de que desde los pobres se ve mejor la realidad y se comprende mejor la revelación de Dios.

2. El misterio de Cristo siempre nos desborda. Mantengo como fundamental el que sea sacramento de Dios, presencia de Dios en nuestro mundo. Y mantengo como igualmente fundamental el que sea un ser humano e histórico concreto. El docetismo me parece que sigue siendo el mayor peligro de nuestra fe.

3. La relacionalidad constitutiva de Jesús con el reino de Dios. En las palabras más sencillas posibles, éste es un mundo como Dios lo quiere, en el que haya justicia y paz, respeto y dignidad, y en el que los pobres estén en el centro de interés de los creyentes y de las iglesias. Igualmente, la relacionalidad constitutiva de Jesús con un Dios que es Padre, en quien confía totalmente, y en un Padre que es Dios ante quien se pone en total
disponibilidad.

4. Jesús es hijo de Dios, la palabra hecha sarx. Y en ello veo el misterio central de la fe: la transcendencia se ha hecho transdescendencia para llegar a ser condescendencia.

5. Jesús trae la salvación definitiva, la verdad y el amor de Dios. La hace presente a través de su vida, praxis, denuncia profética y anuncio utópico, cruz y resurrección. Y Puebla, remitiéndose a Mt 25, afirma Cristo "ha querido identificarse con ternura especial con los más débiles y pobres" (n. 196). Ubi pauperes ibi Christus.

6. Muchas otras cosas son importantes en la fe. Sólo quiero mencionar una más, que Juan XXIII y el cardenal Lercaro proclamaron en el Vaticano II: La Iglesia como "Iglesia de los pobres". Iglesia de verdadera compasión, de profecía para defender a los oprimidos y de utopía para darles esperanza.

7. Y en un mundo gravemente enfermo como el actual proponemos como utopía que "extra pauperes nulla salus".

De estos y de muchos otros temas hay que hablar más despacio. Creo que es bueno que todos dialoguemos. Personalmente estoy dispuesto a ello.

Querido Padre Kolvenbach esto es lo que quería comunicarle. Bien sabe usted que, aunque estas cosas son desagradables, puedo decir que estoy en paz. Esta viene del recuerdo de innumerables amigos y amigas, muchos de ellos mártires. Estos días, el recuerdo del P. Jon Cortina nos trae de nuevo la alegría. Si me permite hablarle con total sinceridad, no me siento "en casa" en ese mundo de curias, diplomacias, cálculos, poder, etc. Estar alejado de "ese mundo", aunque yo no lo haya buscado, no me produce angustia. Si me entiende bien, hasta me produce alivio.

Sí siento que la notificatio producirá algún sufrimiento. Por decirlo con sencillez, algo sufrirán mis amigos y familiares, una hermana que tengo, muy cercana a Monseñor Romero y a los mártires. Pienso también que hará la vida más difícil, por ejemplo a mi gran amigo el P. Rafael de Sivatte. Si no fuesen pocos los problemas que ya tiene para mantener con seriedad el Departamento de Teología -que lo mantiene muy bien por su gran capacidad, dedicación y ciencia- tendrá ahora que buscar otro profesor de cristología, y, como usted sabrá, también tendrá que buscar otro profesor de Historia de la Iglesia, pues, injustamente, el P. Rodolfo Cardenal no va a dar clases, pues no es bien visto por la jerarquía del país.

No sé si esta larga carta le ayudará en sus conversaciones con el Vaticano. Ojalá así sea. He procurado ser lo más sincero posible. Y le agradezco todos los esfuerzos que ha hecho para defendernos.

Le recuerdo con afecto ante el Señor.

Jon Sobrino

FONTE (http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=127601)

Augustinus
24-03-07, 21:35
Lo sbaglio di J. Sobrino nel ridimensionare la divinità di Cristo

L'illusione di servire i poveri impoverendo Gesù

Ignazio Sanna

La prima indicazione della Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulle opere di padre Jon Sobrino è di carattere metodologico, e riguarda la necessità, nel fare teologia, di rispettare la gerarchia dei cosiddetti "luoghi teologici". Com’è ben noto, i classici dieci loci theologici elencati a suo tempo da Melchior Cano sono: la Scrittura; la tradizione orale apostolica e di Cristo; la Chiesa cattolica; i Concili; la Chiesa romana; i Padri della Chiesa; i teologi; la ragione naturale; i filosofi; la storia umana. I primi sette sono considerati "proprii", mentre gli ultimi tre vengono definiti "ascripticii". La Sacra Scrittura è elencata per prima, anche se essa, in realtà, non ha goduto sempre un ruolo privilegiato nell’impostazione e nell’insegnamento dei trattati teologici in genere, e la storia umana per ultima. In verità, la stagione teologica conciliare ha aggiunto ai loci theologici classici quello particolare della lettura dei "segni dei tempi", che assume le istanze del mondo contemporaneo e le vicende storiche come interlocutrici obbligate della ragione teologica (Cf GS,4,11,44; PO,9; UR, 4; AA,14). Ma va precisato che l’espressione «scrutare i segni dei tempi» implica l’intelligenza dei "luoghi" della Parola di Dio nel mondo, che, secondo Congar, è la Chiesa diventata storia. Attesa questa realtà, non può essere valida l’impostazione metodologica del Sobrino, secondo cui «la Chiesa dei poveri è il luogo ecclesiale della cristologia ed offre ad essa l’orientamento fondamentale». La nota esplicativa della Congregazione ribadisce giustamente che «la verità rivelata da Dio stesso in Gesù Cristo, e trasmessa dalla Chiesa, costituisce dunque il principio ultimo e normativo della teologia», e che «l’unico "luogo ecclesiale" della cristologia è la fede apostolica trasmessa dalla Chiesa». È chiaro che il problema metodologico della cristologia di Sobrino è il problema dell’inserimento dell’esperienza umana nel circolo ermeneutico della teologi a. Ma è sempre bene ricordare il detto di San Bonaventuta: «ad Deum nemo intrat recte nisi per Crucifixum», e che il mistero di Dio, di conseguenza, non si lascia catturare mai pienamente dalla sapienza del mondo o dalla ragione umana.
2. Il rispetto della metodologia teologica porta al rispetto dell’identità di Gesù. Gesù è il Figlio. È stato generato da Dio Padre. Giovanni Paolo II ha scritto che «per quanto sia lecito credere che, per la condizione umana che lo faceva crescere "in sapienza, età e grazia" (Lc 2, 52), anche la coscienza umana del suo mistero sia progredita fino all’espressione piena della sua umanità glorificata, non è lecito dubitare che già nella sua esistenza storica Gesù avesse coscienza della sua verità, cioè di essere veramente il Figlio di Dio. Giovanni lo sottolinea a tal punto da affermare che fu, in definitiva, per questo, che fu respinto e condannato: infatti "i Giudei cercavano di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma anche chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio" (Gv 5, 18). Negli eventi dell’orto del Getsemani e del Calvario, la coscienza umana di Gesù sarà sottoposta alla prova più dura. Tuttavia neanche la tragedia della passione e della morte potrà intaccare la sua tranquilla certezza di essere il Figlio del Padre celeste» (NMI, 24). Non si può impoverire Gesù con l’illusione di promuovere i poveri. Si impoverisce Gesù Cristo se si ridimensiona la sua divinità di Figlio di Dio. Non dovrebbe essere di grande aiuto per i poveri annunciare loro un Gesù uomo come gli altri uomini. Se Gesù è uno dei tanti salvatori, uno dei tanti maestri di morale, perde la sua valenza salvifica singolare, e i molti salvatori si eliminano a vicenda. Nel descrivere la singolarità e l’unicità della mediazione di Gesù Cristo, perciò, non è sufficiente un’ermeneutica politica, basata sull’analisi sociologica, che presenta Gesù come liberatore e come soggetto di una prassi rivoluzionaria.
3. Sia il rispetto della metodologia che quello dell’identità portano al rispetto della funzione salvifica di Gesù. Gesù è il Redentore dell’uomo, perché è Dio. Un Gesù uomo come noi può essere modello solo di umanità perfetta, mentre un Gesù Dio-uomo è fonte unica della redenzione dell’uomo. Nello studio della cristologia, quindi, è senz’altro legittimo l’approccio antropologico, purché non sia in antitesi a quello teologico. La salvezza, infatti, non può essere ridotta ad un processo di auto-redenzione. Ora, la cristologia del Sobrino non sembra eliminare questa antitesi. Secondo lui, «l’aspetto più storico del Gesù storico è la sua prassi, è cioè la sua attività per operare attivamente sulla sua realtà circostante, e trasformarla in un indirizzo determinato e voluto in direzione del regno di Dio. È la prassi che ai suoi giorni scatenò storia e che giunge fino a noi come storia scatenata». Giovanni Paolo II ha ribadito chiaramente che il teocentrismo non è in antitesi con l’antropocentrismo, e che la Chiesa, «seguendo il Cristo, ha cercato di congiungerli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda» (DM,1). Proprio sulla base dell’intrinseca relazione tra teocentrismo e antropocentrismo, possiamo affermare che l’umanità di Gesù è l’umanità del Figlio di Dio, fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Secondo il Concilio Vaticano II, «il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e risurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura» (LG,7). Va ribadito con chiarezza che Gesù ha attribuito un significato salvifico alla sua morte, anche se «il Figlio di Dio crocifisso è l’evento storico contro cui s’infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni soltanto umane una giustificazione sufficiente del senso dell’esistenza. Il vero punto nodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo. Qui infatti, ogni tentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica umana è destinato al fallimento» (FR,23).

FONTE: Avvenire, 15.3.2007 (http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2007_03_15/articolo_736343.html)

Augustinus
24-03-07, 21:36
A proposito delle opere del teologo Jon Sobrino

Più che la verità di Cristo interessa la spinta alla liberazione

Mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano

Jon Sobrino probabilmente oggi è il principale autore di cristologia del continente latinoamericano.
Per meglio comprendere le questioni poste dalla "Notificazione" resa pubblica dal Vaticano in questi giorni è opportuno almeno premettere che la sua riflessione, fortemente caratterizzata dal contesto culturale dov'è elaborata, s'inserisce nella corrente indicata come "teologia della liberazione", dove la riflessione cristologica tende a privilegiare non tanto la "verità" di Cristo, quanto la spinta di trasformazione e di liberazione della realtà oppressa, che da lui promana. Da qui l'accentuazione in riferimento a Cristo di quei "titoli" che meglio si confanno al paradigma della liberazione e alla prassi necessaria per la sua attuazione.
Considerando questo orizzonte interpretativo, il dibattito teologico si era interessato già da tempo ai suoi elementi di novità, sottolineando che essi erano in grado di permettere il recupero di alcuni dati importanti, come la rilevanza sociale e politica del messaggio cristologico, particolarmente nell'America latina. Al tempo stesso, però, ci si domandava se l'insistenza esclusiva sull'operatività socio-strutturale del Vangelo e sulla prassi conseguente non contenesse il rischio di elevare a criterio assoluto di verità il principio della sola efficacia pratica dell'evento Cristo. Sono in poche parole i problemi di fondo che riguardano le due opere di Jon Sobrino, prese in esame dalla Congregazione per la Dottrina della Fede; e sono ancora queste le obiezioni più serie presenti nella "Notificazione".
Il testo, come risulta dalla sua analisi, segnala due ordini di problemi, che per quanto distinti risultano strettamente legati, anzi conseguenti. Il primo, di tipo metodologico, riguarda il presupposto della "Chiesa dei poveri", che per Jon Sobrino è il punto di partenza della riflessione cristologia. L'altro ordine di problemi è di tipo contenutistico: senza "giudicare le intenzioni soggettive dell'Autore", il testo della "Notif icazione" elenca una serie di affermazioni che considerate in se stesse paiono gravemente divergenti dalla fede della Chiesa e che, quanto ai loro differenti contesti, paiono addirittura contraddittorie.
Si tratta, in termini molto succinti, di dare una risposta alla domanda: da dove si conosce Gesù? La risposta che si coglie dalle opere di Jon Sobrino sembra affermare che, in ultima analisi, Gesù Cristo lo si conosce solo a partire dai poveri e che da questa conoscenza è a sua volta attivato il processo di liberazione dei poveri. L'affermazione è molto stimolante, a prima vista; contiene, però, una semplificazione metodologica, giacché occorre poi rispondere ad altri interrogativi: di quali "poveri" si tratta? A quali fra loro è riconosciuta la possibilità di essere liberati? Di quale liberazione si tratta? L'assolutizzazione della "Chiesa dei poveri" come "luogo teologico fondamentale" (l'espressione è tradizionale nel linguaggio della teologia e indica una sua principale fonte di conoscenza) è in realtà una affermazione riduttiva. La fonte per la conoscenza di Cristo, difatti, è ben più ampia e consiste nella "fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni". Una concezione diversa conduce inevitabilmente ad una svalutazione della vita della Chiesa lungo i secoli e ad una selettività a favore di un solo suo segmento.
Quanto, poi, ai contenuti della fede della Chiesa la "Notificazione" segnala l'ambiguità, o l'erroneità di affermazioni riguardo a punti davvero fondamentali come la divinità di Gesù Cristo, la sua autocoscienza filiale, il suo rapporto col Regno, il valore salvifico della sua morte. In ciascuna delle affermazioni segnalate, la "Notificazione" individua e denuncia l'esistenza come di uno squilibrio tra il Cristo liberatore e il Cristo del Nuovo Testamento. Questo Cristo Signore, che la Chiesa crede con la sua fede, proclama alle genti col suo annuncio, celebra nella sua Liturgia e incontra nei suoi Sacramenti è il senso della storia (di ogni storia e di tutta la storia) e il liberatore dell'uomo (di ogni uomo e di tutto l'uomo).

FONTE: Avvenire, 16.3.2007 (http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2007_03_16/articolo_736790.html)

Augustinus
24-03-07, 21:51
Ricordo ai forumisti che del Card. Paulo Evaristo Arns, "arcivescovo" di Rio de Janeiro, che aveva solidarizzato con il tiranno socialista cubano Fidel Castro, si dice, con argomenti verosimili, che sia affiliato alla massoneria, tanto è vero che, nel 1976, questo personaggio accettava un'alta onorificenza massonica, come ricordava lo stesso P. Esposito, nel suo libro del 1987, Le grandi concordanze tra la Chiesa cattolica e la Massoneria (pag. 41).
Di conseguenza, l'imprimatur di questo soggetto è più un disonore che un onore. Anzi, è il segno sicuro dell'eterodossia :D :D :D

http://www.unicamp.br/unicamp/unicamp_hoje/images/fotoju156-13.jpg Qui una sua bella foto in abiti civili :D :D

Augustinus
20-01-08, 08:50
Ultima chiamata per la Compagnia di Gesù. All'obbedienza

I gesuiti eleggono il loro nuovo generale e discutono sui motivi del loro declino. Ma le autorità vaticane hanno già detto che cosa si aspettano da loro: più obbedienza al papa e più fedeltà alla dottrina

di Sandro Magister

http://data.kataweb.it/kpm2miscx/field/image/kpmimage/185686

ROMA, 11 gennaio 2008 – Dal giorno dopo l'Epifania 226 gesuiti dei cinque continenti sono riuniti a Roma in congregazione generale, la trentacinquesima da quando sant'Ignazio di Loyola (nell'illustrazione con papa Paolo III) fondò l'ordine nel 1540.

La congregazione eleggerà il nuovo superiore generale della Compagnia, al posto del dimissionario Peter-Hans Kolvenbach. E il 21 febbraio Benedetto XVI riceverà in udienza il nuovo eletto, assieme ai delegati convenuti a Roma in rappresentanza dei quasi 20 mila gesuiti di tutto il mondo,

Inoltre, la congregazione discuterà un rapporto su "luci e ombre" della Compagnia e una dozzina di questioni riguardanti l'identità e la missione dei gesuiti nel mondo d'oggi. Compreso il loro voto di obbedienza speciale al papa.

La discussione durerà alcune settimane e sarà protetta dal segreto. Ma quali siano i punti critici si sa. Li ha indicati con parole persino ruvide, nell'omelia della messa che il 7 gennaio ha inaugurato l'assise, un non gesuita autorevolissimo: il cardinale Franc Rodé, prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata.

È facile indovinare che il cardinale Rodé esprimesse il pensiero e le attese di Benedetto XVI. Ciò che preoccupa il vertice della Chiesa è anche l'influsso che i gesuiti hanno sugli indirizzi di altri ordini religiosi e sulla formazione di sacerdoti e studiosi di teologia nelle numerose scuole e università che la Compagnia gestisce in tutto il mondo, a cominciare dalla Pontificia Università Gregoriana di Roma, fucina di tanti futuri vescovi.

"Vedo con tristezza e inquietudine – ha detto Rodé nell'omelia – che va decadendo sensibilmente in alcuni membri delle famiglie religiose il 'sentire cum Ecclesia' di cui parla frequentemente il vostro fondatore sant'Ignazio".

E ancora:

"Con tristezza e inquietudine vedo anche un crescente allontanamento dalla gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico 'sotto il Romano Pontefice' non accetta questa separazione".

E più avanti:

"La diversità dottrinale di coloro che a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno di verità e di amore, disorienta i fedeli e conduce verso un relativismo senza orizzonte. [...] Gli esegeti e gli studiosi della teologia sono impegnati a collaborare per approfondire e spiegare, sotto la vigilanza del magistero, le ricchezze in essa contenute. [...] Coloro che devono vigilare sulla dottrina delle vostre riviste, delle pubblicazioni, lo facciano alla luce e secondo le regole per 'sentire cum Ecclesia' con amore e rispetto".

Non è un mistero che degli ultimi sette teologi inquisiti dalla congregazione per la dottrina della fede quattro appartengono alla Compagnia di Gesù: Jon Sobrino, Roger Haight, Jacques Dupuis, Anthony De Mello.

Ecco qui di seguito il testo integrale dell'omelia del cardinale Rodé, pronunciata in lingua spagnola il 7 gennaio 2008 nella chiesa romana del Santissimo Nome di Gesù, dove è sepolto sant'Ignazio di Loyola:

"Riunire l'amore di Dio con l'amore alla Chiesa gerarchica"

di Franc Rodé

Carissimi membri della XXXV congregazione generale della Compagnia di Gesù, per sant’Ignazio la congregazione generale è un "lavoro e una distrazione" (Const. 677) che interrompe momentaneamente gli impegni apostolici di un gran numero di persone qualificate della Compagnia di Gesù. Differenziandosi nettamente da quanto è abituale in altri Istituti religiosi, le costituzioni della Compagnia stabiliscono che venga celebrata in tempi determinati e non molto spesso.

È necessario riunirla principalmente in due occasioni: per la elezione del preposito generale e quando devono essere trattate cose di particolare importanza, o problemi molto difficili che toccano il corpo della Compagnia.

È la seconda volta nella storia della Compagnia che si riunisce una congregazione cenerale per eleggere un nuovo preposito generale, vivente ancora il suo predecessore. La prima volta fu nel 1983, quando la XXXIII congregazione cenerale accettò la rinuncia del tanto amato P. Arrupe, impossibilitato da un’improvvisa e grave infermità ad esercitare le funzioni di governo. Oggi si riunisce una seconda volta, per fare, davanti al Signore, il discernimento sopra l’accettazione della rinuncia presentata dal Rev.mo P. Kolvenbach, che ha diretto la Compagnia per quasi venticinque anni, con sapienza, prudenza, impegno e lealtà. Farà seguito l’elezione del suo successore. Desidero porgerle, reverendissimo P. Kolvenbach, a nome della Chiesa e mio personale, un vivo ringraziamento per la sua fedeltà, la sua sapienza, la sua rettitudine, il suo esempio di umiltà e povertà. Grazie, P. Kolvenbach.

L’elezione di un nuovo preposito generale ha un valore fondamentale per la vita della Compagnia, non solo perché la sua struttura gerarchica centralizzata concede costituzionalmente al generale piena autorità per il buon governo, la conservazione e la crescita di tutto il corpo della Compagnia, ma anche perché, come dice molto bene Sant’Ignazio, "il benessere del capo ridonda su tutto il corpo, e come sono i Superiori saranno a loro volta gli inferiori" (Const. 820). Perciò il vostro fondatore quando indica le qualità di cui dev’essere ornato il Preposito Generale pone al primo posto che egli sia "un uomo molto unito con Dio nostro Signore e familiare con l’orazione" (Const. 723). Dopo aver menzionato altre importanti qualità, che non è facile riscontrare riunite in una sola persona, termina dicendo "se alcuna delle qualità sopra menzionate mancasse, non manchi almeno molta bontà, amore per la Compagnia e buon giudizio" (Const. 735).

Mi unisco, pertanto, alla vostra preghiera affinché lo Spirito Santo, padre dei poveri, datore di grazie e luce dei cuori, vi assista nel vostro discernimento e nella vostra elezione.
Questa congregazione si riunisce anche per trattare materie importanti e molto difficili che riguardano tutto il corpo della Compagnia, come pure il modo in cui attualmente essa procede. Le tematiche sulle quali rifletterà la congregazione generale vertono su elementi fondamentali per la vita della Compagnia. Vi interrogherete certamente sull’identità del gesuita oggi, sul significato e valore del voto di obbedienza al Santo Padre che da sempre ha qualificato la vostra famiglia religiosa, la missione della Compagnia nel contesto della globalizzazione, dell’emarginazione, la vita comunitaria, l’obbedienza apostolica, la pastorale vocazionale, ed altre tematiche importanti.

Nel vostro carisma e nella vostra tradizione potrete trovare efficaci punti di riferimento per illuminare le scelte che la Compagnia deve compiere oggi.

Certamente e doverosamente durante questa Congregazione voi compite un lavoro importante, ma non è una “distrazione” dalla vostra attività apostolica. Dovete guardare con lo stesso sguardo delle tre persone divine la "rotondità di tutto il mondo pieno di uomini", come vi insegna Sant’Ignazio nell’opera "Esercizi Spirituali" (E. Sp. 102). Il porsi all’ascolto dello Spirito creatore che rinnova il mondo e il tornare alle fonti per conservare la vostra identità senza perdere il vostro proprio stile di vita, l’impegno per discernere i segni dei tempi, le difficoltà e le responsabilità di operare delle decisioni finali, sono attività eminentemente apostoliche perché formeranno la base di una nuova primavera dell’essere religioso e dell’impegno apostolico di ogni confratello della Compagnia di Gesù.

Ora lo sguardo si allarga. Voi non lavorate unicamente per dare una qualificazione religiosa e apostolica dei vostri confratelli gesuiti. Sono molti gli Istituti di vita consacrata che, partecipando alla spiritualità ignaziana, guardano con attenzione alle vostre scelte; sono molti i futuri sacerdoti che nelle vostre università e atenei si preparano ad esercitare un ministero; sono molte le persone che dentro e fuori la Chiesa frequentano i vostri centri di insegnamento con il desiderio di trovare una risposta alle sfide che la scienza, la tecnica, la globalizzazione, l’inculturazione, il consumismo e la miseria, pongono all’umanità, alla Chiesa e alla fede, con la speranza di ricevere una formazione che li renda capaci di costruire un mondo di verità e di libertà, di giustizia e di pace.

Il vostro operare deve essere eminentemente apostolico, con un’ampiezza universale, umana, ecclesiale, evangelica. Dev’essere sempre compiuto alla luce del vostro carisma, in modo tale che la crescente partecipazione dei laici alle vostre attività non oscuri la vostra identità, ma anzi la arricchisca con la collaborazione di coloro che, provenienti da altre culture, condividono il vostro stile e i vostri obiettivi.

Mi unisco ancora alla vostra preghiera affinché lo Spirito Santo vi accompagni nel vostro delicato lavoro.
Come fratello che segue con interesse e con grande aspettativa i vostri lavori e le vostre decisioni, voglio condividere con voi "le gioie e le speranze" come pure "le tristezze e le angosce" (GS 1) che ho come uomo di Chiesa chiamato ad esercitare un difficile servizio nel campo della vita consacrata, nella mia qualità di prefetto della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Vedo con piacere e speranza le migliaia di religiose e di religiosi che generosamente rispondono alla chiamata del Signore e, lasciando tutto quanto hanno, si consacrano con cuore indiviso al Signore per stare con lui e collaborare con lui nella sua volontà salvifica di "conquistare tutto il mondo e così entrare nella gloria del Padre" (E. Sp. 95). Constato che la vita consacrata continua ad essere un "dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore" (LG 43) e perciò la Chiesa desidera vegliare con sollecitudine affinché il carisma proprio di ogni Istituto sia sempre più conosciuto e, pur con i necessari adattamenti ai tempi attuali, mantenuto sempre intatto nella propria identità per il bene di tutta la Chiesa. L’autenticità della vita religiosa è caratterizzata dalla sequela di Cristo e dalla consacrazione esclusiva a lui e al suo Regno mediante la professione dei consigli evangelici. Il Concilio Ecumenico Vaticano II insegna che "tanto più perfetta è la consacrazione quanto più solidi e stabili sono i vincoli con i quali è rappresentato Cristo indissolubilmente unito alla sua Chiesa" (LG 44). Non si può separare la consacrazione al servizio di Cristo dalla consacrazione al servizio della sua Chiesa. Così lo considerarono Ignazio e i suoi primi compagni quando redassero la Formula del vostro Istituto, nella quale viene delineata l’essenza del vostro carisma: "servire il Signore e la sua Sposa, la Chiesa, sotto il Romano Pontefice" (Formula 1). Vedo con tristezza e inquietudine che va decadendo sensibilmente anche in alcuni membri delle famiglie religiose il "sentire cum Ecclesia" di cui parla frequentemente il vostro fondatore. La Chiesa aspetta da voi una luce per restaurare il "sensus Ecclesiae". La vostra specialità sono gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Di questo capolavoro della spiritualità cattolica formano parte integrante ed essenziale le regole del "sentire cum Ecclesia". Formano come un fermaglio di oro con cui si chiude il libro degli esercizi spirituali.

Nelle vostre stesse mani avete gli elementi per approfondire ed attualizzare questo desiderio, questo sentimento ignaziano ed ecclesiale.

L’amore alla Chiesa in tutta l’estensione della parola – sia Chiesa popolo di Dio sia Chiesa gerarchica – non è un sentimento umano che viene e va secondo le persone che la compongono o secondo la nostra conformità con le disposizioni emanate da coloro che il Signore ha posto a reggere la Chiesa. L’amore alla Chiesa è un amore fondato sulla fede, un dono del Signore il quale, proprio perché ci ama, ci dona la fede in lui e nella sua Sposa che è la Chiesa. L’amore alla Chiesa presuppone la fede nella Chiesa. Senza il dono della fede nella Chiesa non può esistere l’amore per la Chiesa.

Mi unisco alla vostra preghiera per chiedere al Signore che vi conceda la grazia di credere sempre più e di amare sempre più questa Chiesa che professiamo una, santa, cattolica ed apostolica.

Con tristezza e inquietudine vedo anche un crescente allontanamento dalla gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico "sotto il Romano Pontefice" non accetta questa separazione. Nelle costituzioni che vi ha lasciato come norma di vita, Ignazio volle veramente plasmare il vostro animo e nel libro degli Esercizi scrisse: "Dobbiamo tenere un animo apparecchiato e pronto per ubbidire in tutto alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la Santa Madre Chiesa gerarchica" (E. Sp. 353). L’obbedienza religiosa si concepisce soltanto come obbedienza nell’amore. Il nucleo fondamentale della spiritualità ignaziana consiste nel riunire l’amore di Dio con l’amore alla Chiesa gerarchica. La vostra XXXIII congregazione raccolse questa caratteristica dell’obbedienza dichiarando che: "La Compagnia riafferma in spirito di fede il tradizionale vincolo di amore e di servizio che la unisce al Romano Pontefice". Avete ripreso questo principio nel motto "In tutto amare e servire".

Su questa linea, seguita sempre dalla Compagnia nella sua storia pluricentenaria, deve porsi anche la XXXV congregazione generale che si apre con questa liturgia celebrata vicino alle spoglie del vostro fondatore per indicare la vostra volontà ed il vostro impegno di essere fedeli al carisma da lui lasciatovi in eredità e di attualizzarlo nei modi più rispondenti alle necessità della Chiesa nel nostro tempo.

Il servire della Compagnia è un servire "sotto lo stendardo della croce" (Formula 1). Ogni servizio fatto per amore implica necessariamente uno svuotamento di se, una "kenosis". Però lasciare di compiere quanto si desidera compiere per fare quanto desidera la persona amata è un trasformare la "kenosis" ad immagine di Cristo che, apprese soffrendo cosa significa obbedire (cfr. Ebrei 5,8). Per questo sant’Ignazio, realisticamente, aggiunge che il Gesuita serve la Chiesa "sotto lo stendardo della croce".

Ignazio si pose agli ordini del romano pontefice "per non sbagliare in via Domini" (Const. 605) nella distribuzione dei suoi religiosi per il mondo e farsi presenti là dove le necessità della Chiesa fossero maggiori.

I tempi sono cambiati e la Chiesa deve oggi affrontare nuove ed urgenti necessità. Ne menziono una, e la propongo alla vostra considerazione, poiché a mio giudizio è oggi urgente e allo stesso tempo complessa. È la necessità di presentare ai fedeli e al mondo l’autentica verità rivelata nella Scrittura e nella Tradizione. La diversità dottrinale di coloro che a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno di verità e di amore, disorienta i fedeli e conduce verso un relativismo senza orizzonte. La verità è una, anche se può essere sempre più profondamente conosciuta. E garante della verità rivelata è il "magistero vivo della Chiesa esercitato in nome di Gesù Cristo" (DV 10). Gli esegeti e gli studiosi della teologia sono impegnati a collaborare per "approfondire e spiegare, sotto la vigilanza del magistero, le ricchezze in essa contenute" (DV 23). Voi, attraverso la vostra lunga e solida formazione, i vostri centri di ricerca, l’insegnamento nel campo filosofico-teologico-biblico, vi trovate in una situazione privilegiata per realizzare questa difficile missione. Realizzatela con lo studio e l’approfondimento, realizzatela con umiltà, realizzatela con la fede nella Chiesa, realizzatela con l’amore per la Chiesa.

Coloro che, secondo la vostra legislazione, devono vigilare sulla dottrina delle vostre riviste, delle pubblicazioni, lo facciano alla luce e secondo le regole per "sentire cum Ecclesia" con amore e rispetto.

Mi preoccupa, inoltre, avvertire la separazione sempre crescente tra fede e cultura, separazione che costituisce un impedimento grave per l’evangelizzazione (Sapientia Cristiana, Proemio).

Una cultura intrisa di vero spirito cristiano è uno strumento che favorisce la diffusione del Vangelo, la fede in Dio creatore del cielo e della terra. La tradizione della Compagnia, fin dai primi tempi del Collegio Romano, si è posta sempre all’incrocio tra la Chiesa e la società, tra la fede e la cultura, tra la religione e il secolarismo. Recuperate tali posizioni di avanguardia così necessarie per trasmettere la verità eterna al mondo di oggi, con un linguaggio di oggi. Non abbandonate questa sfida. Siamo coscienti che il compito è difficile, scomodo e rischioso, e a volte poco apprezzato, se non addirittura mal compreso, ma è un compito necessario per la Chiesa ed è parte del vostro modo di procedere. Gli impegni apostolici a voi richiesti dalla Chiesa sono molti e molto diversi, ma tutti hanno un denominatore comune: lo strumento che li realizza deve, secondo una frase ignaziana, essere uno strumento unito a Dio. È l’eco ignaziana al Vangelo proclamato oggi: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto (Giovanni 15,15). L’unione con la vite che è amore si realizza solo attraverso l’interscambio di amore silenzioso e personale che nasce, nell’orazione, "dal conoscimento interno del Signore il quale per me si è fatto uomo e si estende integro e vivo a quanti sono vicino a noi e a quanto è vicino a noi". Non è possibile trasformare il mondo, né rispondere alle sfide di un mondo che ha dimenticato l’amore, senza stare ben radicati nell’amore.

A Ignazio fu concessa la grazia mistica di essere “contemplativo nell’azione” (Anotaciones ad examen, MNAD 5, 172). Fu una grazia speciale donata gratuitamente da Dio a Ignazio che aveva percorso un faticoso cammino di fedeltà e lunghe ore di orazione nel ritiro di Manresa. È una grazia che, secondo il Padre Nadal, è contenuta nella chiamata di ogni gesuita. Guidati dal vostro "magis" ignatiano tenete aperto il vostro cuore a ricevere il medesimo dono, seguendo il medesimo cammino percorso da sant’Ignazio di Loyola a Roma, che fu un cammino di generosità, di penitenza, di discernimento, di orazione, di zelo apostolico, di obbedienza, di carità, di fedeltà e di amore alla Chiesa gerarchica.

Mantenete e sviluppate, nonostante le urgenti necessità apostoliche, il vostro carisma, fino ad essere e mostrarvi davanti al mondo come "contemplativi nell’azione", che comunicano agli uomini e alla creazione l’amore ricevuto da Dio e li orientano di nuovo verso l’amore di Dio. Tutti comprendono il linguaggio dell’amore.

Il Signore vi ha scelti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto permanga. Andate, portate frutto nella fiducia che tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo darà (cfr. Giovanni 15,16).

Mi unisco a voi nella preghiera al Padre, per Gesù Cristo suo Figlio e nello Spirito Santo, insieme a Maria, madre della Divina Grazia, invocata da tutti i membri della Compagnia sotto il titolo di Santa Maria della Strada, affinché vi conceda la grazia di "cercare e scoprire la volontà di Dio sulla Compagnia di oggi che costruisce la Compagnia di domani".

Fonte: www.chiesa, 11.1.2008 (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/185721)

Augustinus
20-01-08, 08:53
Nel conclave dei gesuiti vota anche Benedetto XVI. Così

Alla vigilia dell’elezione del nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, Benedetto XVI ha scritto al generale uscente dei gesuiti, Peter-Hans Kolvenbach, una lettera che è tutto un programma.

Nella lettera, papa Joseph Ratzinger non fa mistero di quali siano le sue attese pressanti. Cita sant’Ignazio che ai suoi seguaci chiedeva di “militare per Iddio sotto il vessillo della Croce e servire soltanto il Signore e la Chiesa sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra”, e prosegue:

“Si tratta di una peculiare fedeltà sancita anche, per non pochi tra voi, da un voto di immediata obbedienza al Successore di Pietro ‘perinde ac cadaver’. Di questa vostra fedeltà, che costituisce il segno distintivo dell’Ordine, la Chiesa ha ancor più bisogno oggi, in un’epoca in cui si avverte l’urgenza di trasmettere, in maniera integrale, ai nostri contemporanei distratti da tante voci discordanti l’unico e immutato messaggio di salvezza che è il Vangelo”.

E dopo aver chiesto obbedienza, il papa chiede ai gesuiti anche una esplicita riaffermazione della loro fedeltà dottrinale:

“Per offrire all’intera Compagnia di Gesù un chiaro orientamento che sia sostegno per una generosa e fedele dedizione apostolica, potrebbe risultare quanto mai utile che la Congregazione Generale riaffermi, nello spirito di sant’Ignazio, la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l’indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali”.

Il testo integrale della lettera di Benedetto XVI a padre Kolvenbach è nel sito ufficiale della 35.ma Congregazione Generale della Compagnia di Gesù.

* * * * *
P.S. – Sabato 19 gennaio, alla seconda votazione, la congregazione generale della Compagnia di Gesù ha eletto come preposito generale padre Adolfo Nicolás.

Nato il 29 aprile del 1936 a Palencia, in Spagna, il nuovo generale dei gesuiti è entrato nel 1953 nel noviziato di Aranjuez della provincia Toletana. Dopo la licenza in filosofia, in Spagna, ha studiato teologia a Tokyo, dal 1964 al 1968. Proprio nella capitale nipponica viene ordinato sacerdote il 16 marzo 1967. Nel 1971 consegue un master in teologia alla Pontificia Università Gregoriana e nello stesso anno diventa professore di teologia sistematica alla Sophia University di Tokyo.

Dal 1978 al 1984, padre Nicolás ricopre l’incarico di direttore dell’Istituto Pastorale di Manila. Successivamente, dal 1991 al 1993, è rettore dello scolasticato dei gesuiti di Tokyo. Quindi, dal 1993 al 1999 è provinciale della provincia di Giappone. Ultimo incarico, prima dell’elezione a preposito, è quello di moderatore della Conferenza Gesuita dell’Asia Orientale e Oceania, che padre Nicolás ha rivestito dal 2004 al 2007. Padre Nicolás parla 5 lingue: spagnolo, giapponese, inglese, francese ed italiano.

Fonte: blog Settimo Cielo di Sandro Magister, 18.1.2008, aggiornato al 19.1.2008 (http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/01/18/al-conclave-dei-gesuiti-anche-benedetto-xvi-vota-cosi/)

Augustinus
20-01-08, 08:58
Finalmente anche il Papa si è accorto che oggi l'Ordine dei Gesuiti, un tempo tanto onorato ed onorevole, è caduto nel fango: l'eresia, in materia di morale e dogmatica, oggi qui regna sovrana. Tanti gesuiti, negli ultimi tempi, si sono segnalati come pessimi soggetti: a cominciare dal Martini, per passare per Jon Sobrino ed altri eretici.
Era evidente che il governo del Preposito, di origine olandese, P. Peter Hans Kolvenbach si è dimostrato fallimentare. Mi auguro che il nuovo "papa nero" voglia ristabilire l'ordine nella sua congregazione.

Augustinus
20-01-08, 09:00
è il 29esimo successore di Sant'Ignazio di Loyola

Padre Adolfo Nicolas è il nuovo Papa nero

Padre Nicolas, vissuto per molti anni in Giappone, è stato eletto al secondo scrutinio

ROMA - È lo spagnolo Adolfo Nicolas il nuovo «Papa nero», ovvero il Superiore generale dei gesuiti. L'elezione è avvenuto, come previsto, nella mattinata di sabato. Padre Nicolas era in missione svolgeva la propria attivitá pastorale in Giappone, come giá avvenne per Padre Arrupe, il Superiore che ha preceduto padre Peter-Hans Kolvenbach. Il suo nome non era compreso tra quelli dei favoriti della vigilia.

COMPAGNIA DEI GESUITI - La scelta dei 217 grandi elettori della Compagnia di Gesù che hanno eletto il 29esimo successore di Ignazio di Loyola è caduta su un gesuita di origine spagnola attualmente attivo in Giappone ed esperto della presenza cristiana in Asia, padre Adolfo Nicolas di 71 anni. In questo modo i gesuiti hanno dato seguito a quell'attenzione al grande continente asiatico che è una caratteristica della Compagnia e allo stesso tempo hanno tenuto saldo il rapporto con le loro radici e la loro tradizione scegliendo uno religioso di origine spagnola. Colpisce una coincidenza: quella con padre Pedro Arrupe, il Generale dei gesuiti che guidò la compagni dopo il concilio Vaticano II approfondendo le innovazioni introdotte dalla grande assise della Chiesa cattolica convocata da Giovanni XXIII: anche Padre Arrupe infatti veniva dal Giappone e anche in quel caso il suo nome non era fra i candidati considerati favoriti alla vigilia.

QUATTRO GIORNI - Nei quattro giorni che hanno preceduto la votazione odierna i rappresentanti delle province dei gesuiti di tutto il mondo hanno avuto modo di confrontarsi e discutere insieme per trovare un accordo e ragionare sui possibili candidati. Dalle «murmurationes» - questa la definizione dei quattro giorni di discussione - è uscito il nome di padre Nicolas che succede nell'incarico di Superiore generale della Compagnia a padre Peter-Hans Kolvenbach.

Fonte: Corriere della sera, 19.1.2008 (http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_19/gesuiti_papa_nero_46ae469a-c685-11dc-9f4d-0003ba99c667.shtml)

Augustinus
20-01-08, 09:04
Chiusi in Vaticano i 226 delegati che dovranno votare il nuovo superiore generale
Con un avvertimento che arriva dal Pontefice: tornare al rispetto delle gerarchie

Gesuiti chiusi in conclave a Roma il "Papa nero" arriva dall'Est?

di ORAZIO LA ROCCA

http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/esteri/papa-gesuiti/papa-gesuiti/ansa_11955576_40360.jpg La messa dei gesuiti che ha aperto il "conclave"

CITTA' DEL VATICANO - Sarà un indiano? Un cinese? Un asiatico? Incomincia a prendere forma, con questi interrogativi, l'identikit del successore di padre Hans Peter Kolvenbach al vertice della Compagnia di Gesù. Se ne sta parlando, riservatamente, da lunedì scorso tra i 226 delegati riuniti a Roma alla Congregazione generale dell'Ordine in corso nella sede della Curia di Borgo S. Spirito, a due passi dal Vaticano. Tutto si sta svolgendo a porte chiuse, come una sorta di Conclave (lo storico organismo pontificio a cui partecipano i cardinali per eleggere il Papa).

E proprio come un Conclave che si rispetti i delegati non possono avere contatti con l'esterno, né telefonare. In totale isolamento dovranno individuare il nome di colui il quale sarà chiamato a succedere al dimissionario superiore generale, l'olandese padre Hans-Peter Kolvenbach, che è stato il ventottesimo successore di S. Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia. Prima di Kolvenbach, c'era stato solo un altro superiore generale, lo spagnolo Padro Arrupe, a rassegnare anticipatamente le dimissioni contravvenendo alle disposizioni di S. Ignazio che aveva stabilito che il capo dei gesuiti doveva essere eletto a vita. Ma Arrupe fu costretto a lasciare la guida dell'Ordine per motivi di salute, in seguito ad un ictus, anche se - sotto sotto - il suo gesto fu accettato senza riserve dai vertici vaticani perché in contrasto con la sua "politica" pastorale, specialmente in materia di teologia della Liberazione.

Padre Kolvenbach lascia invece spontaneamente, dopo aver chiesto il placet di papa Ratzinger. E c'è da immaginare che anche il suo successore farà altrettanto, uniformando la durata della carica di superiore generale a quella dei vescovi, che devono rassegnare le dimissioni al compimento del 75esimo compleanno.

Il primo voto del Conclave gesuiti è in programma per il prossimo 19 gennaio. Ma fin dall'inizio della Congregazione generale, tra i delegati è iniziato a delinearsi un vero e proprio toto-nomine dal quale sta emergendo un potenziale candidato che sia "giovane, esperto di politica pastorale a livello internazionale, sensibile alle problematiche dei paesi dell'Est e, in particolare, dei paesi asiatici, Cina in testa". Ma c'è stato chi lo ha detto senza esitazione proprio all'avvio del "congresso", come il cardinale romano, Tomas Spedlik, gesuita: "Non escludo che il nuovo superiore possa arrivare, comunque, da un paese mediorientale", ha azzardato commentando il primo identikit emerso dai colloqui in corso alla Curia di Borgo S. Spirito. "E' bene - ha poi aggiunto - che per pensare al nuovo superiore generale si guardi ad una figura che conosca bene la grande Asia e lo stesso Medio oriente. Ma occorre pensare anche a qualcuno che conosca bene anche Roma. Perché se viene uno da fuori deve prima abituarsi alla realtà romana e vaticana. E ci vorrà un po' di tempo prima di abituarsi. E' bene però che i delegati si affidino allo Spirito Santo per operare una scelta saggia ed oculata, come fanno i cardinali nella elezione papale".
Il porporato non ha fatto nomi, ma ha significativamente indicato la possibile area di provenienza, a cui "potrebbero guardare" i 226 delegati presenti, ai quali un altro cardinale Franc Rodè a nome del Papa ha rivolto, nell'omelia inaugurale dei lavori, un forte richiamo "all'obbedienza al Pontefice e alla Chiesa". Parole ferme e pesanti che hanno scosso la solenne celebrazione anche perché pronunciate accanto alla tomba di S. Ignazio a cui il cardinale ha fatto frequentemente riferimento. "Vedo con tristezza e inquietudine - ha ammonito Rodè - che va decadendo sensibilmente in alcuni membri il senso ecclesiale (Sensus Ecclesiae) di cui parla frequentemente il vostro Fondatore; ma vedo anche da parte di alcuni un crescente allontanamento dalla Gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico "sotto il Romano Pontefice" non accetta questa separazione". Il prossimo Superiore generale è avvertito...

Fonte: Repubblica, 11.1.2008 (http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/esteri/papa-gesuiti/papa-gesuiti/papa-gesuiti.html)

Augustinus
20-01-08, 09:07
La Congregazione ha scelto il teologo spagnolo per "doti di governo ed esperienza in Asia"
il religioso succede al missionario Peter Kolvenbach. Domenica la prima messa a Roma

Gesuiti, eletto padre Adolfo Nicolas
Il Papa nero venuto dal Giappone

Benedetto XVI ha invitato la Compagnia di Gesù
a "promuovere la vera e sana dottrina cattolica"

http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/esteri/papa-gesuiti/gesuiti-papa-nero/ap_12048433_34250.jpg Padre Adolfo Nicolas

CITTA' DEL VATICANO - Il gesuita Adolfo Nicolas è il nuovo "Papa nero". Lo ha eletto al secondo scrutinio la Congregazione Generale riunita nella sede della Curia Generalizia in Borgo Santo Spirito, vicino San Pietro. La prima messa del religioso, che succede a padre Kolvenbach, è prevista per domani a Roma. Padre Nicolas, 72 anni il prossimo aprile, viene chiamato "Papa nero" per il colore della tonaca che indossa, perché è eletto a vita come il Pontefice ed è a capo, quale Superiore dei gesuiti, del più numeroso e potente ordine religioso del mondo. La lunga esperienza in Asia, terra in forte sviluppo di evangelizzazione, e le capacità "di governo" sono le doti sulle quali la Compagnia di Gesù ha puntato per l'elezione di Nicolas alla guida dei 19.200 gesuiti del mondo.

L'esperienza in Asia. Padre Nicolas ha un percorso formativo e pastorale tutto asiatico, svolto in particolare in Giappone. Tra i 29 successori dell'ordine fondato da Sant'Ignazio di Loyola nel 1540 il teologo spagnolo è il secondo ad arrivare dal Paese del Sol Levante, dopo il missionario Pedro Arrupe (uno dei testimoni della tragedia di Hiroshima). Nato nel 1936 a Palencia, in Spagna, si è laureato all'Università Gregoriana, nel 1971 ha conseguito un master in Teologia sacra ed è stato poi professore di Teologia Sistematica alla Sophia University di Tokyo.

Dal 1978 al 1984 ha diretto l'Istituto Pastorale di Manila, nelle Filippine. Dal 1991 al 1993 è stato rettore dello Scolasticato di Tokyo, poi fino al 1999 ha assunto il ruolo di provinciale della Provincia dei Gesuiti del Giappone. Il nuovo "Papa nero", dal 2004 al 2007, è stato moderatore della Conferenza Gesuita dell'Asia Orientale e Oceania. Gode di ampia stima nell'Ordine e in Vaticano anche per essere stato segretario dell'ultima Congregazione Generale, con la quale padre Kolvenbach ha riportato i gesuiti a posizioni più moderate.

Monito del Vaticano. Nei giorni scorsi Benedetto XVI ha chiesto ai gesuiti una maggiore fedeltà nel "promuovere la vera e sana dottrina cattolica", della quale "la Chiesa ha ancor più bisogno oggi, in un'epoca in cui si avverte l'urgenza di trasmettere ai contemporanei, distratti da voci discordanti, l'unico e immutato messaggio di salvezza che è il Vangelo". Ratzinger ha definito "quanto mai utile" una pubblica riaffermazione della "propria totale adesione alla dottrina cattolica" da parte della Compagnia di Gesù, "in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l'indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali".

Il Pontefice ha poi riconosciuto "il valido contributo che la Compagnia offre all'azione della Chiesa in vari campi e in molti modi", ribadendo l'urgenza che "la vita dei membri della Compagnia di Gesù, come pure la loro ricerca dottrinale, siano sempre animate da un vero spirito di fede e di comunione in docile sintonia con le indicazioni del magistero".

Fonte: Repubblica, 19.1.2008 (http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/esteri/papa-gesuiti/gesuiti-papa-nero/gesuiti-papa-nero.html)

Augustinus
20-01-08, 09:09
Padre Kolvenbach non sarà rieletto come Preposto generale dei Gesuiti

Spiega la Compagnia di Gesù

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 26 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Anche se in teoria padre Peter-Hans Kolvenbach, S.J., Preposto generale della Compagnia di Gesù, potrebbe essere rieletto nella prossima Congregazione Generale dei Gesuiti, in pratica non sarà così.

Lo ha spiegato padre José M. de Vera, S.J., Direttore dell’Ufficio di Informazione e Stampa della Compagnia di Gesù, in una dichiarazione inviata a ZENIT con la quale chiarisce alcune notizie pubblicate dagli organi informativi.

Il sacerdote sottolinea che “l’elezione del Superiore generale della Compagnia, secondo le Costituzioni della Compagnia stessa, è vitalizia. E’ un punto che la Compagnia non può cambiare senza l’assenso del Santo Padre. La Congregazione Generale non può discutere l’abolizione di questa disposizione senza il previo permesso del Santo Padre”.

“Da tempo è sorto il dubbio circa la convenienza di mantenere questa clausola nelle circostanze attuali, in cui l’estensione della vita umana ha sperimentato un cambiamento così radicale”, ha aggiunto.

“In vista di queste circostanze, padre Kolvenbach ha consultato il Papa per chiedergli se sarebbe opportuno considerare un cambiamento nell’elezione del Padre Generale: elezione, ad esempio, per un certo numero di anni come accade nella maggior parte delle Congregazioni religiose”.

“A questa richiesta il Papa ha risposto chiaramente che non si cambi la clausola: il Padre Generale deve essere eletto in modo vitalizio”.

“Questa disposizione del Santo Padre non impedisce che il Padre Generale possa, ‘in casi speciali, e previa consultazione con il Papa, presentare la sua rinuncia alla Congregazione Generale’”.

“E’ stato questo il caso, ad esempio, della rinuncia di p. Pedro Arrupe, il primo generale che ha rinunciato al suo incarico per ovvie ragioni di incapacità a continuare a governare la Compagnia”.

Alcuni mesi fa, ha proseguito padre de Vera, padre Kolvenbach ha ottenuto il permesso dal Papa di presentare la sua rinuncia. “Lo farà nella prossima Congregazione Generale che ha convocato per il gennaio 2008”, ha proseguito.

Per questo motivo, “teoricamente la Congregazione potrebbe respingere la proposta di rinuncia presentata da padre Kolvenbach. La rinuncia all’incarico fatta dal Preposto generale non produce alcun effetto se non viene ammessa dalla Compagnia in Congregazione Generale, affermano le disposizioni della Compagnia”.

“Praticamente ciò non succederà perché il Padre Generale ha seguito il procedimento previsto per il caso di rinuncia”.

Questo processo prevede che “quando il Generale decide, per gravi motivi, di dover presentare la rinuncia all’incarico, deve chiedere, in votazione segreta, il parere dei suoi consiglieri e di tutti i provinciali della Compagnia”.

“Padre Kolvenbach lo ha fatto e il risultato è stato un quasi unanime riconoscimento delle ragioni che lo hanno spinto a prendere questa decisione”, ha indicato il Direttore della Curia del Padre Generale.

“I consiglieri e i provinciali consultati da padre Kolvenbach rappresentano la maggior parte degli elettori della Congregazione Generale. In realtà, quindi, il risultato della Congregazione è moralmente certo”, ha osservato.

Lo stesso portavoce ha rivelato i motivi che hanno portato padre Kolvenbach a presentare la rinuncia: “il suo governo eccezionalmente lungo (25 anni) e la sua età (nel 2008 compirà 80 anni). Nessuna di queste ragioni è imperativa, ma non c’è dubbio che meritano di essere prese in considerazione. Il Santo Padre lo ha riconosciuto”.

Fonte: Zenit, 26.2.2007 (http://www.zenit.org/article-10288?l=italian)

Augustinus
20-01-08, 09:10
Il 7 gennaio si aprirà la 35ª Congregazione Generale della Compagnia di Gesù

Benedetto XVI riceverà i membri della Congregazione il 21 febbraio 2008

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 21 dicembre 2007 (ZENIT.org).- La Curia Generalizia della Compagnia di Gesù ha annunciato che lunedì 7 gennaio 2008 si aprirà a Roma la 35ª Congregazione Generale dalla fondazione dell’Ordine nel 1540.

Questo storico evento cade quasi nel centenario della nascita di Pedro Arrupe, il precedente Superiore Generale, nato a Bilbao il 14 novembre 1907, che rinunciò al suo incarico all’età di 73 anni.

226 gesuiti provenienti da tutto il mondo si riuniranno quindi a Borgo Santo Spirito per eleggere il nuovo Superiore Generale e per discutere (“discernere” nel linguaggio di Sant’Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù) le sfide apostoliche che attendono la Compagnia negli anni a venire.

Padre Peter-Hans Kolvenbach, Superiore Generale della Compagnia da più di 24 anni e ormai prossimo all'80° compleanno, “dopo aver sentito l’opinione dei suoi consiglieri e con il beneplacito del Santo Padre” - spiega una nota - presenterà alla Congregazione Generale le sue dimissioni, pur rimanendo membro della Congregazione anche dopo l’elezione del suo successore.

Come ha spiegato tempo fa a ZENIT padre José M. de Vera, S.I., Direttore dell’Ufficio Stampa e Informazione della Compagnia di Gesù, “l’elezione del Superiore generale della Compagnia, secondo le Costituzioni della Compagnia stessa, è vitalizia”, ed “è un punto che la Compagnia non può cambiare senza l’assenso del Santo Padre”.

“Da tempo – ha aggiunto – è sorto il dubbio circa la convenienza di mantenere questa clausola nelle circostanze attuali, in cui l’estensione della vita umana ha sperimentato un cambiamento così radicale”.

“In vista di queste circostanze, padre Kolvenbach ha consultato il Papa per chiedergli se sarebbe opportuno considerare un cambiamento nell’elezione del Padre Generale: elezione, ad esempio, per un certo numero di anni come accade nella maggior parte delle Congregazioni religiose”.

“A questa richiesta il Papa ha risposto chiaramente che non si cambi la clausola: il Padre Generale deve essere eletto in modo vitalizio”.

“Questa disposizione del Santo Padre non impedisce che il Padre Generale possa, ‘in casi speciali, e previa consultazione con il Papa, presentare la sua rinuncia alla Congregazione Generale’”, ha sottolineato il gesuita.

La Santa Sede, secondo quanto fatto sapere dalla “Radio Vaticana”, ha comunicato inoltre a padre Peter-Hans Kolvenbach l'intenzione di Benedetto XVI di ricevere in udienza i membri della Congregazione Generale il 21 febbraio 2008.

Dopo l’elezione di un nuovo Superiore Generale, la Congregazione si dedicherà alla discussione dei temi suggeriti dalla Commissione Preparatoria.

Per avere aggiornamenti sullo svolgimento dei lavori, basterà, a partire da gennaio, accedere al nuovo sito web dell’Ufficio Stampa della Curia.

Secondo i dati forniti dalla Curia generalizia della Compagnia di Gesù, al 1° gennaio 2007 i Gesuiti erano in totale 19.216, di cui 13.491 sacerdoti, 3.049 scolastici, 1.810 fratelli e 866 novizi.

Fonte: Zenit, 21.12.2007 (http://www.zenit.org/article-12979?l=italian)

Augustinus
20-01-08, 09:12
Al via la Congregazione dei Gesuiti per il nuovo Preposto generale

Succederà a padre Peter-Hans Kolvenbach

Di Miriam Díez i Bosch

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 7 gennaio 2008 (ZENIT.org).- La Compagnia di Gesù ha inaugurato la sua 35ª Congregazione generale con un'Eucaristia presieduta a Roma dal Cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per la Vita Religiosa.

La Congregazione Generale, la più alta autorità dei Gesuiti, si convoca solo per eleggere un nuovo Superiore generale o per trattare questioni di grande rilevanza.

In questa occasione, i 225 delegati dovranno accettare la rinuncia dell'attuale Preposto generale – secondo quanto reso noto dall'Ufficio Informazioni della Compagnia di Gesù –, padre Peter-Hans Kolvenbach (che quest'anno compirà 80 anni), ed eleggere il suo successore.

Il Cardinal Rodé, nella sua omelia pronunciata in spagnolo, ha esortato i Gesuiti a “mettersi in ascolto dello Spirito creatore che rinnova il mondo” e a “tornare alle fonti per conservare la vostra identità senza perdere il vostro stile di vita”.

Nel mondo ci sono quasi 20.000 Gesuiti. Dei delegati, 217 hanno diritto di voto (la loro età è in media di 56,19 anni). Padre Kolvenbach, che è stato alla guida della Compagnia per quasi 25 anni, ha deciso di sua spontanea volontà di presentare le dimissioni, che il Papa ha accettato.

Durante la Messa, celebrata nella chiesa del Gesù di Roma, il Cardinal Rodé ha invitato i membri della Compagnia a intensificare il proprio lavoro che “deve essere eminentemente apostolico”, con un'“ampiezza universale sotto l'aspetto umano, ecclesiale ed evangelico”.

Questo compito “deve essere sempre realizzato alla luce del vostro carisma, in modo tale che la crescente partecipazione dei laici alle vostre attività non oscuri la vostra identità, ma la arricchisca con la collaborazione di quanti, provenendo da altre culture, condividono il vostro stile e i vostri obiettivi”, ha sottolineato il porporato.

“Il nucleo fondamentale della spiritualità ignaziana consiste nell'unire l'amore per Dio all'amore per la Chiesa gerarchica”, ha spiegato, ricordando la caratteristica obbedienza che la Compagnia di Gesù offre al Papa.

Il Cardinal Rodé ha menzionato come urgenze per il momento attuale “la necessità di presentare ai fedeli e al mondo l'autentica verità rivelata nella Scrittura e nella Tradizione”.

In questo senso, ha avvertito che “la diversità dottrinale, di quanti a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno della verità e dell'amore, disorienta i fedeli e conduce a un relativismo senza orizzonte. La verità è una, e può essere sempre conosciuta in modo più profondo”.

Il porporato sloveno, che ha trascorso buona parte della sua vita in Argentina, ha affermato che “garante della verità rivelata è il Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità si esercita nel nome di Gesù Cristo”.

“Gli esegeti e gli studiosi di teologia sono impegnati a collaborare per studiare e proporre le Lettere divine, sotto la vigilanza del Sacro Magistero, e le ricchezze in esse contenute”.

Secondo il Cardinale, “attraverso la vostra lunga e solida formazione, i vostri centri di ricerca, l'insegnamento nel campo filosofico-teologico-biblico, vi trovate in una situazione privilegiata per compiere questa difficile missione”.

“Realizzatela con lo studio e l'approfondimento, realizzatela con l'umiltà, realizzatela con la fede nella Chiesa, realizzatela con l'amore per la Chiesa”, ha consigliato.

Dopo la Messa sono state venerate le reliquie di Sant'Ignazio di Loyola, sepolto sotto l'altare della chiesa del Gesù. E' stata quindi accesa una lampada che non si spegnerà per tutto lo svolgimento della Congregazione, che può anche durare alcuni mesi (l'ultima è durata 94 giorni).

Varie chiese gesuite di tutto il mondo accenderanno delle lampade come segno di preghiera continua per la buona riuscita della Congregazione.

Domenica pomeriggio, dopo l'inaugurazione solenne della Congregazione, ha avuto luogo nella sede della Curia Generalizia la prima sessione a porte chiuse, dedicata soprattutto a scrivere il rapporto sulla situazione generale della Compagnia di Gesù nel mondo.

[Traduzione di Roberta Sciamplicotti]

Fonte: Zenit, 7.1.2008 (http://www.zenit.org/article-13064?l=italian)

Augustinus
20-01-08, 09:15
I gesuiti all’incrocio tra la Chiesa e la società

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 12 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'omelia pronunciata il 7 gennaio scorso dal Cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per la Vita Religiosa, nel presiedere, nella chiesa del Gesù a Roma, la Messa per l'inaugurazione della 35ª Congregazione generale della Compagnia di Gesù.

* * *
Carissimi membri

della XXXV Congregazione Generale della Compagnia di Gesù

Per Sant’Ignazio la Congregazione Generale è un «lavoro e una distrazione»1 che interrompe momentaneamente gli impegni apostolici di un gran numero di persone qualificate della Compagnia di Gesù. Differenziandosi nettamente da quanto è abituale in altri Istituti religiosi, le Costituzioni della Compagnia stabiliscono che venga celebrata in tempi determinati e non molto spesso.

È necessario riunirla principalmente in due occasioni: per la elezione del Preposito Generale e quando devono essere trattate cose di particolare importanza, o problemi molto difficili che toccano il corpo della Compagnia.

È la seconda volta nella storia della Compagnia che si riunisce una Congregazione Generale per eleggere un nuovo Preposito Generale, vivente ancora il suo predecessore. La prima volta fu nel 1983, quando la XXXIII Congregazione Generale accettò la rinuncia del tanto amato P. Arrupe, impossibilitato da un’improvvisa e grave infermità ad esercitare le funzioni di governo. Oggi si riunisce una seconda volta, per fare, davanti al Signore, il discernimento sopra l’accettazione della rinuncia presentata dal Rev.mo P. Kolvenbach, che ha diretto la Compagnia per quasi venticinque anni, con sapienza, prudenza, impegno e lealtà. Farà seguito l’elezione del suo successore. Desidero porgerle, reverendissimo P. Kolvenbach, a nome della Chiesa e mio personale, un vivo ringraziamento per la sua fedeltà, la sua sapienza, la sua rettitudine, il suo esempio di umiltà e povertà. Grazie, P. Kolvenbach.

L’elezione di un nuovo Preposito Generale ha un valore fondamentale per la vita della Compagnia, non solo perché la sua struttura gerarchica centralizzata concede costituzionalmente al Generale piena autorità per il buon governo, la conservazione e la crescita di tutto il corpo della Compagnia, ma anche perché, come dice molto bene Sant’Ignazio, «il benessere del capo ridonda su tutto il corpo, e come sono i Superiori saranno a loro volta gli inferiori». 2 Perciò il vostro fondatore quando indica le qualità di cui dev’essere ornato il Preposito Generale pone al primo posto che egli sia «un uomo molto unito con Dio nostro Signore e familiare con l’orazione». 3 Dopo aver menzionato altre importanti qualità, che non è facile riscontrare riunite in una sola persona, termina dicendo «se alcuna delle qualità sopra menzionate mancasse, non manchi almeno molta bontà, amore per la Compagnia e buon giudizio».4

Mi unisco, pertanto, alla vostra preghiera affinché lo Spirito Santo, padre dei poveri, datore di grazie e luce dei cuori, vi assista nel vostro discernimento e nella vostra elezione.

Questa Congregazione si riunisce anche per trattare materie importanti e molto difficili che riguardano tutto il corpo della Compagnia, come pure il modo in cui attualmente essa procede. Le tematiche sulle quali rifletterà la Congregazione Generale vertono su elementi fondamentali per la vita della Compagnia. Vi interrogherete certamente sull’identità del Gesuita oggi, sul significato e valore del voto di obbedienza al Santo Padre che da sempre ha qualificato la vostra Famiglia religiosa, la missione della Compagnia nel contesto della globalizzazione, dell’emarginazione, la vita comunitaria, l’obbedienza apostolica, la pastorale vocazionale, ed altre tematiche importanti.

Nel vostro carisma e nella vostra tradizione potrete trovare efficaci punti di riferimento per illuminare le scelte che la Compagnia deve compiere oggi.

Certamente e doverosamente durante questa Congregazione voi compite un lavoro importante, ma non è una “distrazione” dalla vostra attività apostolica. Dovete guardare con lo stesso sguardo delle tre persone divine la «rotondità di tutto il mondo pieno di uomini», come vi insegna Sant’Ignazio nell’opera Esercizi Spirituali. 5 Il porsi all’ascolto dello Spirito creatore che rinnova il mondo e il tornare alle fonti per conservare la vostra identità senza perdere il vostro proprio stile di vita, l’impegno per discernere i segni dei tempi, le difficoltà e le responsabilità di operare delle decisioni finali, sono attività eminentemente apostoliche perché formeranno la base di una nuova primavera dell’essere religioso e dell’impegno apostolico di ogni confratello della Compagnia di Gesù.

Ora lo sguardo si allarga. Voi non lavorate unicamente per dare una qualificazione religiosa e apostolica dei vostri confratelli Gesuiti. Sono molti gli Istituti di vita consacrata che, partecipando alla spiritualità ignaziana, guardano con attenzione alle vostre scelte; sono molti i futuri sacerdoti che nelle vostre università e atenei si preparano ad esercitare un ministero; sono molte le persone che dentro e fuori la Chiesa frequentano i vostri centri di insegnamento con il desiderio di trovare una risposta alle sfide che la scienza, la tecnica, la globalizzazione, l’inculturazione, il consumismo e la miseria, pongono all’umanità, alla Chiesa e alla fede, con la speranza di ricevere una formazione che li renda capaci di costruire un mondo di verità e di libertà, di giustizia e di pace.

Il vostro operare deve essere eminentemente apostolico, con un’ampiezza universale, umana, ecclesiale, evangelica. Dev’essere sempre compiuto alla luce del vostro carisma, in modo tale che la crescente partecipazione dei laici alle vostre attività non oscuri la vostra identità, ma anzi la arricchisca con la collaborazione di coloro che, provenienti da altre culture, condividono il vostro stile e i vostri obiettivi.

Mi unisco ancora alla vostra preghiera affinché lo Spirito Santo vi accompagni nel vostro delicato lavoro.

Come fratello che segue con interesse e con grande aspettativa i vostri lavori e le vostre decisioni, voglio condividere con voi «le gioie e le speranze» come pure «le tristezze e le angosce»6 che ho come uomo di Chiesa chiamato ad esercitare un difficile servizio nel campo della vita consacrata, nella mia qualità di Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.

Vedo con piacere e speranza le migliaia di religiose e di religiosi che generosamente rispondono alla chiamata del Signore e, lasciando tutto quanto hanno, si consacrano con cuore indiviso al Signore per stare con lui e collaborare con lui nella sua volontà salvifica di «conquistare tutto il mondo e così entrare nella gloria del Padre».7 Constato che la vita consacrata continua ad essere un «dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore»8 e perciò la Chiesa desidera vegliare con sollecitudine affinché il carisma proprio di ogni Istituto sia sempre più conosciuto e, pur con i necessari adattamenti ai tempi attuali, mantenuto sempre intatto nella propria identità per il bene di tutta la Chiesa. L’autenticità della vita religiosa è caratterizzata dalla sequela di Cristo e dalla consacrazione esclusiva a lui e al suo Regno mediante la professione dei consigli evangelici. Il Concilio Ecumenico Vaticano II insegna che «tanto più perfetta è la consacrazione quanto più solidi e stabili sono i vincoli con i quali è rappresentato Cristo indissolubilmente unito alla sua Chiesa».9 Non si può separare la consacrazione al servizio di Cristo dalla consacrazione al servizio della sua Chiesa. Così lo considerarono Ignazio e i suoi primi compagni quando redassero la Formula del vostro Istituto, nella quale viene delineata l’essenza del vostro carisma: «servire il Signore e la sua Sposa, la Chiesa, sotto il Romano Pontefice».10 Vedo con tristezza e inquietudine che va decadendo sensibilmente anche in alcuni membri delle Famiglie religiose il sentire cum Ecclesia di cui parla frequentemente il vostro Fondatore. La Chiesa aspetta da voi una luce per restaurare il sensus Ecclesiae. La vostra specialità sono gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio. Di questo capolavoro della spiritualità cattolica formano parte integrante ed essenziale le regole del sentire cum Ecclesia. Formano come un fermaglio di oro con cui si chiude il libro degli Esercizi Spirituali.

Nelle vostre stesse mani avete gli elementi per approfondire ed attualizzare questo desiderio, questo sentimento ignaziano ed ecclesiale.

L’amore alla Chiesa in tutta l’estensione della parola - sia Chiesa popolo di Dio sia Chiesa gerarchica - non è un sentimento umano che viene e va secondo le persone che la compongono o secondo la nostra conformità con le disposizioni emanate da coloro che il Signore ha posto a reggere la Chiesa. L’amore alla Chiesa è un amore fondato sulla fede, un dono del Signore il quale, proprio perché ci ama, ci dona la fede in lui e nella sua Sposa che è la Chiesa. L’amore alla Chiesa presuppone la fede nella Chiesa. Senza il dono della fede nella Chiesa non può esistere l’amore per la Chiesa.

Mi unisco alla vostra preghiera per chiedere al Signore che vi conceda la grazia di credere sempre più e di amare sempre più questa Chiesa che professiamo una, santa, cattolica ed apostolica.

Con tristezza e inquietudine vedo anche un crescente allontanamento dalla Gerarchia. La spiritualità ignaziana di servizio apostolico «sotto il Romano Pontefice» non accetta questa separazione. Nelle Costituzioni che vi ha lasciato come norma di vita, Ignazio volle veramente plasmare il vostro animo e nel libro degli Esercizi scrisse: «Dobbiamo tenere un animo apparecchiato e pronto per ubbidire in tutto alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la Santa Madre Chiesa gerarchica».11 L’obbedienza religiosa si concepisce soltanto come obbedienza nell’amore. Il nucleo fondamentale della spiritualità ignaziana consiste nel riunire l’amore di Dio con l’amore alla Chiesa gerarchica. La vostra XXXIII Congregazione raccolse questa caratteristica dell’obbedienza dichiarando che: «La Compagnia riafferma in spirito di fede il tradizionale vincolo di amore e di servizio che la unisce al Romano Pontefice». Avete ripreso questo principio nel motto «In tutto amare e servire».

Su questa linea, seguita sempre dalla Compagnia nella sua storia pluricentenaria, deve porsi anche la XXXV Congregazione Generale che si apre con questa liturgia celebrata vicino alle spoglie del vostro Fondatore per indicare la vostra volontà ed il vostro impegno di essere fedeli al carisma da lui lasciatovi in eredità e di attualizzarlo nei modi più rispondenti alle necessità della Chiesa nel nostro tempo.

Il servire della Compagnia è un servire «sotto lo stendardo della croce».12 Ogni servizio fatto per amore implica necessariamente uno svuotamento di se, una kenosis. Però lasciare di compiere quanto si desidera compiere per fare quanto desidera la persona amata è un trasformare la kenosis ad immagine di Cristo che, apprese soffrendo cosa significa obbedire (cfr. Eb 5,8). Per questo Sant’Ignazio, realisticamente, aggiunge che il Gesuita serve la Chiesa «sotto lo stendardo della croce».13

Ignazio si pose agli ordini del Romano Pontefice «per non sbagliare in via Domini»14 nella distribuzione dei suoi religiosi per il mondo e farsi presenti là dove le necessità della Chiesa fossero maggiori.

I tempi sono cambiati e la Chiesa deve oggi affrontare nuove ed urgenti necessità. Ne menziono una, e la propongo alla vostra considerazione, poiché a mio giudizio è oggi urgente e allo stesso tempo complessa. È la necessità di presentare ai fedeli e al mondo l’autentica verità rivelata nella Scrittura e nella Tradizione. La diversità dottrinale di coloro che a tutti i livelli, per vocazione e missione, sono chiamati ad annunciare il Regno di verità e di amore, disorienta i fedeli e conduce verso un relativismo senza orizzonte. La verità è una, anche se può essere sempre più profondamente conosciuta. E garante della verità rivelata è il «Magistero vivo della Chiesa esercitato in nome di Gesù Cristo».15 Gli esegeti e gli studiosi della teologia sono impegnati a collaborare per «approfondire e spiegare, sotto la vigilanza del Magistero, le ricchezze in essa contenute».16 Voi, attraverso la vostra lunga e solida formazione, i vostri centri di ricerca, l’insegnamento nel campo filosofico-teologico-biblico, vi trovate in una situazione privilegiata per realizzare questa difficile missione. Realizzatela con lo studio e l’approfondimento, realizzatela con umiltà, realizzatela con la fede nella Chiesa, realizzatela con l’amore per la Chiesa.

Coloro che, secondo la vostra legislazione, devono vigilare sulla dottrina delle vostre riviste, delle pubblicazioni, lo facciano alla luce e secondo le «regole per sentire cum Ecclesia» con amore e rispetto.

Mi preoccupa, inoltre, avvertire la separazione sempre crescente tra fede e cultura, separazione che costituisce un impedimento grave per l’evangelizzazione.17

Una cultura intrisa di vero spirito cristiano è uno strumento che favorisce la diffusione del Vangelo, la fede in Dio creatore del cielo e della terra. La tradizione della Compagnia, fin dai primi tempi del Collegio Romano, si è posta sempre all’incrocio tra la Chiesa e la società, tra la fede e la cultura, tra la religione e il secolarismo. Recuperate tali posizioni di avanguardia così necessarie per trasmettere la verità eterna al mondo di oggi, con un linguaggio di oggi. Non abbandonate questa sfida. Siamo coscienti che il compito è difficile, scomodo e rischioso, e a volte poco apprezzato, se non addirittura mal compreso, ma è un compito necessario per la Chiesa ed è parte del vostro modo di procedere. Gli impegni apostolici a voi richiesti dalla Chiesa sono molti e molto diversi, ma tutti hanno un denominatore comune: lo strumento che li realizza deve, secondo una frase ignaziana, essere uno strumento unito a Dio. È l’eco ignaziana al Vangelo proclamato oggi: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto (Gv 15,15). L’unione con la vite che è amore si realizza solo attraverso l’interscambio di amore silenzioso e personale che nasce, nell’orazione, «dal conoscimento interno del Signore il quale per me si è fatto uomo e si estende integro e vivo a quanti sono vicino a noi e a quanto è vicino a noi». Non è possibile trasformare il mondo, né rispondere alle sfide di un mondo che ha dimenticato l’amore, senza stare ben radicati nell’amore.

A Ignazio fu concessa la grazia mistica di essere “contemplativo nell’azione”.18 Fu una grazia speciale donata gratuitamente da Dio a Ignazio che aveva percorso un faticoso cammino di fedeltà e lunghe ore di orazione nel ritiro di Manresa. È una grazia che, secondo il Padre Nadal, è contenuta nella chiamata di ogni Gesuita. Guidati dal vostro magis ignatiano tenete aperto il vostro cuore a ricevere il medesimo dono, seguendo il medesimo cammino percorso da Sant’Ignazio da Loyola a Roma, che fu un cammino di generosità, di penitenza, di discernimento, di orazione, di zelo apostolico, di obbedienza, di carità, di fedeltà e di amore alla Chiesa gerarchica.

Mantenete e sviluppate, nonostante le urgenti necessità apostoliche, il vostro carisma, fino ad essere e mostrarvi davanti al mondo come «contemplativi nell’azione», che comunicano agli uomini e alla creazione l’amore ricevuto da Dio e li orientano di nuovo verso l’amore di Dio. Tutti comprendono il linguaggio dell’amore.

Il Signore vi ha scelti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto permanga. Andate, portate frutto nella fiducia che tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo darà (cfr. Gv 15,16).

Mi unisco a voi nella preghiera al Padre, per Gesù Cristo suo Figlio e nello Spirito Santo, insieme a Maria, madre della Divina Grazia, invocata da tutti i membri della Compagnia sotto il titolo di Santa Maria della Strada, affinché vi conceda la grazia di «cercare e scoprire la volontà di Dio sulla Compagnia di oggi che costruisce la Compagnia di domani».
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1 Const. 677.

2 Const. 820

3 Const. 723

4 Const. 735.

5 E.Sp. 102.

6 GS 1.

7 E.Sp. 95.

8 LG 43.

9 LG 44.

10 Formula I.

11 E.Sp. 353

12 Formula I.

13 Ivi.

14 Const. 605

15 Cfr. DV 10.

16 Cfr. DV 23.

17 Cfr. Sapientia Cristiana, Proemio.

18 Anotaciones ad examen, MNAD 5, 172.

Fonte: Zenit, 12.1.2008 (http://www.zenit.org/article-13112?l=italian)

Augustinus
20-01-08, 09:16
Accettate le dimissioni di padre Kolvenbach, per 25 anni guida dei gesuiti

Nel corso della Congregazione Generale della Compagnia di Gesù

ROMA, martedì, 15 gennaio 2008 (ZENIT.org).- La Congregazione Generale della Compagnia di Gesù ha accettato la rinuncia presentata dal Superiore Generale, padre Peter-Hans Kolvenbach, alla guida dell'Ordine.

La decisione è stata presa durante la 35ª Congregazione Generale, in svolgimento a Roma e alla quale partecipano 225 gesuiti.

Nel giorno della sua apertura, il 7 gennaio scorso, durante la prima sessione formale, ha presentato le dimissioni seguendo l'articolo 362 delle Norme Complementari, in base al quale “sebbene il Superiore Generale sia eletto a vita e non per un tempo determinato, egli può tuttavia in retta coscienza e secondo la norma dimettersi dal suo ufficio per un motivo grave che lo renderebbe in maniera permanente non all'altezza delle fatiche del suo compito”.

“Sento che la Compagnia di Gesù ha il diritto di essere governata e animata da un Gesuita nel pieno possesso dei suoi talenti fisici e spirituali – ha rivelato padre Kolvenbach – e non da un compagno le cui energie continueranno a diminuire a causa dell'età - ben presto 80 anni - e delle conseguenze di tale età, specialmente nel campo della salute”.

“Anche se le Costituzioni e le Norme Complementari non lo menzionano – ha aggiunto –, potrei aggiungere che l'elezione di un nuovo Generale darà alla Compagnia grazia divina di rinnovamento, o per dirlo con le parole di Sant'Ignazio, 'nueva devoción', 'nuevas mociones'”.

Nella sessione plenaria di questo lunedì, la Congregazione ha sottoposto a votazione la rinuncia del Padre Generale. Dopo un breve momento di preghiera seguito dal voto segreto manifestato in forma scritta, il moderatore, padre Valentín Menéndez, ha comunicato a padre Kolvenbach che la Congregazione ha accettato rispettosamente i motivi da lui presentati.

Padre Menéndez ha espresso al Padre Generale rinunciatario “il ringraziamento e il riconoscimento” dei Gesuiti “per la sua persona e il notevole servizio che il Signore ha voluto che lei prestasse alla Chiesa e alla Compagnia”

“Ci sentiamo edificati dall'esempio di libertà di spirito con cui lei ha presentato la sua rinuncia, impregnata nello spirito del Vangelo e degli Esercizi, così lontano dalla dinamica di questo mondo dove ci si ostina a lottare per arrivare a posti di potere e di prestigio”, ha dichiarato.

“Lei ha saputo guidare la nave della Compagnia con serenità, sapendo mantenere contemporaneamente fedeltà alla Chiesa e fedeltà al modo di procedere della Compagnia espressa nelle sue Costituzioni e nelle sue ultime Congregazioni Generali”.

Per padre Menéndez, Kolvenbach ha saputo “mantenere l'unione del corpo della Compagnia con un'attenzione rispettosa verso tutti, con il suo insegnamento pieno di sapienza ed equilibrio, con la sua presenza animatrice in tutte le province”.

“La fiducia che ha mostrato nel suo modo di governare sia i collaboratori in curia che tutti i provinciali ha creato un clima di fraternità e collaborazione che esprime molto bene l'ideale di essere compagni di Gesù, e che si è diffuso per tutto il corpo della Compagnia”, ha sottolineato.

Padre Kolvenbach ha quindi preso la parola ringraziando il Signore per essergli stato “veramente propizio a Roma, nella guida di una Compagnia della quale Egli si è degnato di servirsi per la Sua maggior gloria”.

“Sono riconoscente anche per il privilegio di aver potuto incontrare e accompagnare tanti amici nel Signore i quali, nelle vocazioni le più diverse, si sono sempre rivelati autentici servitori della missione di Cristo”, ha detto ai confratelli.

“Nonostante una sconcertante diversità di persone e di culture”, ha rilevato, “non è mai mancata l'unione di spiriti e di cuori”, e “nonostante una crescente fragilità, la Compagnia rimane in grado di dialogare apostolicamente con le sfide del mondo moderno, per annunciarvi l'unica buona novella”.

Dopo quattro giorni di silenzio e preghiera, sabato 19 gennaio avverrà, secondo quanto previsto, l'elezione del nuovo Padre Generale della Compagnia di Gesù.

Padre Kolvenbach era alla guida dei Gesuiti dal 1983, in seguito alle dimissioni presentate da padre Pedro Arrupe per motivi di salute.

Fonte: Zenit, 15.1.2008 (http://www.zenit.org/article-13143?l=italian)

Augustinus
20-01-08, 09:18
Il padre Adolfo Nicolás, nuovo Superiore Generale della Compagnia di Gesù

Il sacerdote spagnolo è stato per 43 anni missionario in Giappone

ROMA, sabato, 19 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Questo sabato il padre Adolfo Nicolás, di 71 anni, è stato eletto nuovo Superiore Generale della Compagnia di Gesù, ha fatto sapere la Curia generalizia dei gesuiti.

Sostituisce in questo incarico il sacerdote olandere Peter-Hans Kolvenbach, di quasi 80 anni, il quale ha presentato la sua rinuncia dopo avere guidato per quasi 25 anni l'ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola nel 1540.

Il suo nome è stato immediatamente comunicato a Benedetto XVI.

I 217 elettori, riuniti a Roma dal 7 gennaio scorso nella loro 35° Congregazione Generale, hanno eletto il successore del padre Kolvenbach al secondo scrutinio (erano necessari almeno 109 voti).

In questo incarico a vita, il sacerdote guiderà i 19.564 gesuiti che vivono in 127 Paesi in tutto il mondo.

Il padre Nicolás è nato il 29 aprile 1936 a Villamuriel (Palencia, Spagna). Il 15 settembre 1953 è entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù ad Aranjuez, nella Provincia Toletana (Spagna). Ha completato gli studi di Filosofia ad Alcalá, nei pressi di Madrid, prima di partire nel 1960 per il Giappone per immergersi nella cultura e nella lingua giapponesi.

Tra il 1968 e il 1971 ha studiato Semiologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Tra il 1971 e il 2002 è stato docente di Teologia Sistematica alla “Sophia University” di Tokyo.

Dal 1978 al 1984 è stato Direttore dell'Istituto Pastorale di Manial (Filippine) e successivamente Rettore della Casa per giovani studenti di Teologia provenienti dall'Asia.

E' stato Provinciale del Giappone dal 1993 al 1999. Ha partecipato alla 34° Congregazione Generale della Compagnia di Gesà (1995).

Dal 2004 al 2007 è stato Moderatore della Conferenza Gesuita dell’Asia Orientale e Oceania, dando il suo contributo alla crescita della presenza gesuitica in Vietnam e in altri Paesi. Per tre anni si è occupato in particolar modo di una povera parrocchia di immigrati nella periferia di Tokyo.

Parla spagnolo, giapponese, inglese, francese e Italiano.

Fonte: Zenit, 19.1.20008 (http://www.zenit.org/article-13196?l=italian)

Augustinus
20-01-08, 09:21
Padre Kolvenbach: bilancio e prospettive della Compagnia di Gesù

ROMA, sabato, 19 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervista al padre Peter-Hans Kolvenbach S.I., ex Superiore Generale della Compagnia di Gesù, apparsa sulla rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”.

* * *
D.: Qual è il suo stato d’animo alla fine del suo servizio di Superiore Generale?

Il mio stato d’animo, ora che sono giunto alla fine, non è molto diverso dall’inizio di questo lungo servizio di Superiore Generale. Il 13 settembre 1983 la scelta dei miei confratelli in un primo momento mi ha sorpreso, ma mi ha dato anche la fiducia che il Signore, che ha voluto così, mi avrebbe accompagnato in questa responsabilità ecclesiale. Vivendo per lunghi anni in un Vicino Oriente esplosivo, avevo imparato a vivere in una situazione conflittuale. Così sarei stato ben preparato ad assumere il governo della Compagnia, nella quale non mancavano membri allora in forte tensione con la Santa Sede.

È vero che i padri Dezza e Pittau avevano già ristabilito un rapporto di fiducia con la Santa Sede. È anche vero che io avevo tutto da imparare dalla Compagnia universale, di fronte a tendenze secolarizzanti e a una teologia della liberazione la cui esistenza era sconosciuta nel Vicino Oriente. Più grave era il fatto che il mio compianto predecessore, padre Pedro Arrupe, non poteva fisicamente dirmi nulla dell’applicazione del Concilio Vaticano II, a cui si era generosamente dedicato nella Compagnia e nella vita consacrata. C’era però la Curia, con tante assistenze e segretariati, che mi hanno introdotto nella vita e nell’attività apostolica della Compagnia. Poi migliaia di incontri, di persona o per corrispondenza, mi hanno aiutato a compiere la missione che mi era stata affidata. Camminando nella sequela di Cristo sulle vie di Dio, non si eviteranno mai tensioni e conflitti. Non è però mancata mai l’unione degli spiriti e dei cuori, soprattutto nei momenti più difficili.

Quasi 25 anni sono un tempo lungo, e ora la Compagnia ha bisogno di una nuova partenza e di sangue nuovo. Le conseguenze dell’età contribuiscono a formulare questo giudizio per il bene della Compagnia. Il Santo Padre ha benevolmente permesso che la Congregazione Generale discuta e accetti questa scadenza delle mie dimissioni. Io parto come sono arrivato, riconoscendo che il Signore ha voluto servirsi della sua minima Compagnia per la sua maggior gloria sotto il vessillo della croce e sotto il suo Vicario in terra.

D.: Il suo generalato è stato lungo (e non poteva essere diversamente perché è stato eletto a vita): quali sono stati i momenti più significativi per la Compagnia durante questi anni?

È difficile rispondere in poche parole a questa domanda, non soltanto perché i gesuiti lavorano un po’ dovunque nei cinque continenti, ma soprattutto perché a causa della loro spiritualità incarnata sono solidali con tutte le gioie e le pene della Chiesa e del mondo. Il fatto più significativo è che la presenza ecclesiale e la missione della Compagnia rimangono importanti. Essa è ben consapevole che il Signore si attende da lei una missione evangelizzatrice, chiara ed esplicita, servendosi di tutti gli strumenti apostolici che sono le numerose istituzioni educative e i meno numerosi centri sociali, specialmente al servizio dei rifugiati e di altre persone «in movimento», e che sono pure le parrocchie in numero crescente e i centri di ogni genere, dove è molto sensibile l’irradiazione degli Esercizi Spirituali, aiutando ciascuno e ciascuna a trovare la sua via personale verso Dio.

Tutta questa attività apostolica sarebbe impossibile senza la collaborazione di un numero crescente di laici, spesso motivati dalla spiritualità ignaziana nella loro partecipazione di qualità all’opera della Compagnia. Con il rischio di non essere compresa o apprezzata, la missione della Compagnia rimane in dialogo con il mondo del nostro tempo e si colloca per vocazione alle frontiere dell’incredulità o della cattiva credenza, per portarvi la Buona Notizia del Signore.

Tutto questo servizio è reso in condizioni di fragilità e di precarietà. Anche se in alcuni continenti le vocazioni non mancano — il numero dei novizi si mantiene attorno agli 800 —, in certe zone, come nel continente europeo, il ricambio è insufficiente e creerà fatalmente problemi per lo sviluppo, o almeno per il mantenimento, dell’attività missionaria. La prossima Congregazione Generale dovrà discernere come far fronte a un compito missionario che supera sempre più le nostre reali possibilità, con il pericolo incombente che uno sforzo sovrumano di mantenere tutta questa attività apostolica finisca per soffocare la sua ragione d’essere: «Aiutare le persone a incontrare Dio nella loro vita», perché questo ne è il principio e la fine, come diceva sant’Ignazio.

D.: Nella vita di un Ordine, come in quella di ogni persona, esistono momenti e scelte positive e negative: secondo lei, in questi anni quali sono state le decisioni, le situazioni che avrebbe preferito non avvenissero?

Fra le tante situazioni che si preferirebbe non conoscere, vorrei ricordarne due. Anzitutto il clima nervoso e teso nel quale devono lavorare tutti coloro che vorrebbero servire la Chiesa con la loro iniziativa, la creatività e la ricerca, in particolare i teologi. I Papi — da Paolo VI a Benedetto XVI, passando per Giovanni Paolo II —hanno esplicitamente desiderato che la Compagnia mantenga una solida formazione, per potersi impegnare nei settori di attività di punta e più difficili, nell’incontro delle ideologie, sul fronte dei conflitti sociali. Questo compito profondamente missionario, anche se assunto con uno spirito moderato e rispettoso della fede, ben presto è fatto oggetto di contestazione e di sospetto. È stata già l’esperienza di Matteo Ricci come di Pierre Teilhard de Chardin nel mondo scientifico, di san Roberto Bellarmino e del padre Henri de Lubac, prima disprezzati, poi apprezzati e riconosciuti. Durante questo lungo generalato il magistero della Chiesa ha dovuto pronunciarsi sul lavoro di pionieri, svolto nell’ambito del dialogo interreligioso, del dialogo con il mondo postmoderno, dell’incontro con le spiritualità dell’India, dell’atteggiamento verso certi teologi della liberazione. Questi interventi hanno consentito a tali ricerche teologiche di collocarsi più correttamente nei confronti della fede cattolica.

Quando tali interventi della Santa Sede giungono al grande pubblico attraverso la stampa e la televisione, mancano il tempo e lo spazio per dire tutta la verità, e questi commenti dei mezzi di comunicazione prendono facilmente il posto del giudizio competente. Non c’è niente di strano che i teologi si scoraggino nel ministero che la Chiesa si attende da loro, con vigore e creatività.

L’altro fatto che si sarebbe voluto non esistesse è la pubblicità che si è data, specialmente nei Paesi di lingua inglese, agli abusi sessuali commessi da preti e religiosi. È doloroso constatare che, dopo tanti anni di inchieste, non si finisce di scoprire nuovi casi. Oltre al fatto del peccato grave che ogni abuso sessuale comporta, e oltre all’offesa grave fatta a una persona umana, che esige un giusto risarcimento, la funesta pubblicità che la stampa sembra dare volentieri a tali fatti, senza dubbio condannabili, compromette seriamente la credibilità della Chiesa e della Compagnia nella loro efficacia apostolica.

D.: Nella sua esperienza di Superiore Generale, anche all’interno dell’Unione Superiori Generali, lei ha potuto verificare una certa «stanchezza» della vita religiosa oggi, specialmente nelle società occidentali. Di quali segni ha bisogno la vita religiosa per rinnovarsi e continuare ad essere significativa per il Regno di Dio e i nostri contemporanei? È possibile trovarli o bisogna attendere che lo Spirito di Dio doni alla Chiesa un nuovo Santo fondatore o rifondatore?

Non direi che la vita religiosa sia stanca: essa piuttosto si scopre davanti a una nuova situazione nella Chiesa. A partire dal Concilio Vaticano II i vescovi esercitano la loro responsabilità pastorale in comunione con tutte le forze vive delle loro Chiese locali, e i laici assumono molto più che in passato l’impegno per le Chiese, soprattutto nei movimenti ecclesiali. In questa nuova situazione la vita consacrata ha perduto tanti servizi prima resi in esclusività; anche la vocazione alla santità non è più sua propria, perché tutti vi sono chiamati. In queste nuove prospettive la vita consacrata si sente più che mai con il Concilio un «dono dello Spirito per la Chiesa», con tutta la gratuità e anche la precarietà che un dono comporta.

Il Signore che cosa vuole che siamo per la sua Chiesa? Anche se la Chiesa non volesse perdere tutto ciò che la vita consacrata opera e fa, tuttavia il dono dello Spirito in tutta questa attività impressionante ed esemplare consiste nell’essere tra gli uomini i testimoni viventi del Signore in preghiera, come manifesta la vita contemplativa, del Signore povero, come manifesta la tradizione francescana, del Signore in missione, come è presente nella spiritualità ignaziana, del Signore vicino a ogni miseria umana, come avviene in tante famiglie religiose di carità spirituale e materiale. Con un ritorno a questa sorgente della vita consacrata che è il Signore, lo Spirito indicherà ciò che è da rinnovare e da continuare al servizio della Chiesa. Poiché la vita consacrata è un dono, nessuna famiglia religiosa può considerarsi indispensabile o eterna. Ancora oggi lo Spirito suscita nuove forme di vita consacrata come altrettanti nuovi doni alla Chiesa. Madre Teresa di Calcutta e Charles de Foucauld non sono che due beati fra tanti altri fondatori e fondatrici, che, mossi dallo Spirito, hanno iniziato una nuova vita tra i consacrati.

Ma essere un dono implica pure — come dimostra ampiamente la vita e la morte di tante famiglie religiose — che a un certo momento la Chiesa ha bisogno di altri doni. La scomparsa di questa o quella famiglia religiosa resterà sempre per noi un fatto doloroso e misterioso, che ha senso soltanto nel mistero pasquale, che illuminerà sempre quelli e quelle che seguono il Signore più da vicino.

D.: In questi anni certamente l’impegno a favore dei rifugiati nel mondo, il cui numero cresce ogni giorno, ha caratterizzato, almeno a livello di immagine, il servizio apostolico della Compagnia, oltre che la collaborazione con i laici (discussa da parte di alcuni per le modalità in cui viene attuata). La Congregazione per la Dottrina della Fede ha recentemente rinnovato l’invito a tutti a non abbandonare il lavoro di evangelizzazione e di annuncio. Nel rispetto delle scelte della Congregazione Generale in corso, che cosa si attende lei da tale impegno?

La missione evangelizzatrice della Chiesa è una responsabilità unica che si sviluppa in una grande varietà di modi. San Luca ci racconta nel suo Vangelo che alcuni inviati di Giovanni Battista domandano a Gesù: «Sei tu colui che deve venire?» (Lc 7,19). E il Signore risponde richiamandosi ai suoi atti e gesti nella loro diversità: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano [...], ai poveri è annunciata la Buona Notizia» (Lc 7,22).

Il Papa Giovanni Paolo II ha tradotto questa missione di Cristo per il nostro tempo scrivendo che l’annuncio della Buona Notizia passa attraverso le dimensioni essenziali della testimonianza di una vita e della proclamazione della Parola di Dio, dell’invito alla conversione e della nascita di nuove Chiese locali, attraverso il dialogo e l’inculturazione, vivendo il comandamento nuovo dell’amore e impegnandosi nella promozione della giustizia voluta da Dio.

La preoccupazione della Chiesa è che tutte queste attività si distacchino dalla loro ragione d’essere, che è l’annuncio della fede, e diventino attività forse buone in sé, ma nelle quali la missione evangelizzatrice non è più chiaramente visibile e sensibile. C’è una filantropia senza Dio e soltanto umana. La carità cristiana non è soltanto una beneficenza accompagnata da qualche parola del Vangelo. Essa proclama Cristo quando fa sempre il primo passo per andare in aiuto senza attendere un contraccambio, quando serve tutti e tutte, senza preferenze o esclusioni e soprattutto quando, come Cristo, non si accontenta di donare le proprie cose, ma dona la sua persona, la sua vita per amici e nemici.

Già il Papa Paolo VI aveva insistito su una proclamazione integrale del Vangelo nel mondo d’oggi, e che non si isolasse o accentuasse unilateralmente una dimensione della missione a scapito di un’altra, cioè concretamente che non si separasse la promozione della giustizia dalla sua sorgente, che è l’annuncio della Buona Notizia che è Cristo.

La Congregazione Generale dovrà valutare in quale misura tutto questo ventaglio di ministeri che la Compagnia assume — ministeri educativi e scientifici, pastorali e sociali — mantengono esplicitamente la vitalità e la proclamazione della fede, soprattutto dove il Signore non è conosciuto o è mal conosciuto. Si tratta di servire in tutto la missione di Cristo.

D.: Come valuta lo stato attuale della Compagnia circa la sua unità e coesione, un valore sommo secondo l’ispirazione di sant’Ignazio?

Sant’Ignazio insisteva sull’unità della fede nelle file dei gesuiti, ma la sua grande preoccupazione era piuttosto l’unione degli spiriti e dei cuori nella Compagnia. Fin dall’inizio la Compagnia era e voleva essere segnata dalla diversità di nazioni e di culture, di caratteri e di scelte apostoliche. I primi gesuiti si paragonavano volentieri al corpo degli apostoli attorno a Gesù, dove Pietro non era Giovanni, e Tommaso non era Giuda. Inoltre, poiché ancora oggi i gesuiti hanno il mondo intero come «casa» e sono sparsi nelle diverse parti del mondo, è necessario, come scriveva già sant’Ignazio, cercare ciò che può aiutare un’unione «che è costantemente da rifare, perché ci sono mille ragioni per disfarla». Inevitabilmente ci sono state e ci saranno tensioni tra i gesuiti. Era anche il motivo per cui sant’Ignazio e i primi compagni sono andati a Roma per trovare nell’unione con il Vicario di Cristo in terra, il Pastore universale, le vie da percorrere e le vie da evitare.

Quando il padre Arrupe, dopo il Vaticano II, intraprendeva profeticamente la via tracciata dal Concilio, ha provocato forti tensioni in una parte importante della Compagnia, che ha chiesto al Papa Paolo VI il privilegio di rimanere gesuiti autentici. Il Papa ha risolto la questione in favore del padre Arrupe, e quella tensione non ha avuto come conseguenza una divisione o una separazione. Poiché la spiritualità della Compagnia è incarnata nella realtà della vita, ogni tensione nella Chiesa e nel mondo può avere ripercussioni nella Compagnia. È quasi un miracolo e certamente un dono di Dio che, nonostante la diversità sconcertante nella Compagnia, l’unione degli spiriti e dei cuori rimanga come un bene forte in questa «via verso Dio» che è la Compagnia di Gesù.

D.: Un settore nel quale la Compagnia è impegnata sin dalla sua fondazione, sia pure, com’è ovvio, con modalità diverse a seconda dei tempi e dei luoghi, è quello della cultura, che lei ha accompagnato durante il suo generalato. Ritiene che la cultura oggi costituisca ancora uno strumento al servizio dell’evangelizzazione, e in che modo?

Sant’Ignazio amava le espressioni culturali del suo tempo. Amava la musica e le danze, la letteratura cavalleresca e la calligrafia. Chiamato ad essere servitore della missione di Cristo, amava le grandi città, dove la popolazione si sforza di condurre la cultura umana al suo culmine. In una visione mistica vedeva Dio al lavoro e all’opera nelle culture umane.

Di qui da parte dei gesuiti un approccio positivo, benché sempre critico, riguardo alle culture presenti nei luoghi e negli ambienti nei quali erano chiamati a lavorare. Gli alunni dei collegi ricevevano un’educazione cristiana che passava anche attraverso l’umanesimo classico, le arti e il teatro. Nell’incontro con le altre culture europee i gesuiti non sono sempre riusciti a integrarsi veramente in una cultura che non era la loro, con l’eccezione di esempi in Cina e nell’America Latina.

C’è voluto del tempo per imparare la lezione della torre di Babele, dove Dio rifiuta la nascita di una cultura artificialmente uniforme per tutti e guarda alla festa di Pentecoste, quando tutti nella loro cultura ricevono e riconoscono le meraviglie di Dio. Per toccare il cuore dell’uomo, bisogna passare per il suo particolare ambiente culturale con tratti positivi e negativi che attraverso la nostra missione il Vangelo deve raggiungere. Ogni credente ha la propria fede inculturata, che, secondo la parola di Giovanni Paolo II, non deve imporre all’altro, ma deve proporla in un incontro inter-culturale alla ricerca del nostro unico Signore.

Parlando propriamente, noi non evangelizziamo le culture: noi siamo chiamati a portare la Buona Notizia che è il Signore agli uomini nella loro cultura, perché senza tener conto dell’esperienza culturale di ciascuno il Vangelo non parla. Soprattutto in presenza di culture moderne e postmoderne, di culture secolarizzate e agnostiche, siamo chiamati a vivere in ogni cultura umana la dinamica della cultura d’amore che il Signore non manca di stimolare e di creare in noi. In questo senso la cultura è piuttosto il terreno che lo strumento dell’evangelizzazione.

D.: Infine una domanda sulla «Civiltà Cattolica»: noi dipendiamo, da un punto di vista religioso, direttamente dal Superiore Generale, oltre ad avere un particolare legame con la Santa Sede, che ci rende un’opera «unica» e particolare all’interno della Compagnia. Vede un futuro per il nostro lavoro o «i tempi sono cambiati» e dobbiamo pensare ad altro, pur nel rispetto del nostro statuto pontificio?

Dal 5 aprile 1850 la Civiltà Cattolica rende alla Santa Sede il servizio di disporre di una rivista nella quale in sintonia con il Vaticano le parole dei Sommi Pontefici possono essere illustrate e i fatti e i gesti della Chiesa trovano uno strumento competente di comunicazione.

Oggi le «notizie religiose» fanno più facilmente parte dell’attualità, ma nei mezzi di comunicazione mancano il tempo e lo spazio per esprimere tutta l’importanza di queste notizie. Di qui un indispensabile ricorso alle riviste, dove La Civiltà Cattolica occupa una posizione unica grazie al suo legame con la Santa Sede. In questo senso la rivista si è resa indispensabile. Anche se può contare su un pubblico di lettori fedele e relativamente stabile, corre il rischio di dover fare fronte alla crisi generalizzata delle riviste, provocata dalla diminuzione di interesse da parte del pubblico e di conseguenza del numero di lettori. Le riviste sono in competizione con tante altre fonti di informazione più accessibili e più attuali. Anche La Civiltà Cattolica dovrà essere sempre più attenta alle trasformazioni in atto nei mezzi di comunicazione per adeguarvisi con prontezza, e così rimanere interessante e continuare con successo ancora maggiore il suo servizio al popolo di Dio.

La Civiltà Cattolica, 2008, I, 107-114 - quaderno 3782

Fonte: Zenit, 19.1.2008 (http://www.zenit.org/article-13197?l=italian)

Augustinus
21-01-08, 08:48
Il nuovo Superiore dei gesuiti? “Grazie a Dio è la scelta migliore”

Il commento del Postulatore generale della Compagnia di Gesù

Di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 20 gennaio 2008 (ZENIT.org).-“Grazie a Dio è la scelta migliore”. Così padre Paolo Molinari, già docente di Teologia e Postulatore generale della Compagnia di Gesù, ha commentato l’elezione di padre Adolfo Nicolás a nuovo Superiore generale di questo ordine religioso.

Entusiasta della nomina, il teologo gesuita ha detto a ZENIT che è una “scelta ottima, perché è di eccellente formazione teologica e di grande spirito missionario. Lo Spirito Santo ha soffiato forte e i padri si sono lasciati guidare dallo Spirito”.

“Proviene dalla regione di Toledo-Castiglia, terra storicamente molto solida nell’identità cristiana, è un ottimo teologo, e quando nella Compagnia si chiesero missionari volontari per il Giappone, Nicolás fu tra i primi a proporsi”, ha spiegato padre Molinari.

Il Postulatore generale della Compagnia di Gesù ha rilevato che “il Giappone è una nazione difficile per l’evangelizzazione, ma padre Nicolás è preparato, ha maturato una grande esperienza nel lavoro di inculturazione intesa come evangelizzazione fatta molto bene”.

“Anche dal punto di vista del governo – ha aggiunto padre Molinari – il nuovo Generale è stato provinciale e anche coordinatore di tutti i responsabili delle province dell’Asia meridionale che vanno da Myanmar (Birmania) a Timor Est, passando per la Corea e il Vietnam fino alla nuova provincia della Cina”.

Inoltre, secondo il teologo gesuita “per il tipo di formazione e per il servizio reso sembra proprio rispondere alle indicazioni del Santo Padre Benedetto XVI . Di certo ci aiuterà a riscoprire e rafforzare le radici cristiane dell’Europa e testimoniare Cristo nel mondo intero”.

“È un'ottima scelta che fa ben sperare per il futuro”, ha concluso padre Molinari.

Fonte: Zenit, 20.1.2008 (http://www.zenit.org/article-13202?l=italian)

Augustinus
28-01-08, 10:10
Prima udienza del Papa al nuovo Generale della Compagnia di Gesù

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 27 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Padre Adolfo Nicolás, eletto preposto generale della Compagnia di Gesù il 19 gennaio, è stato ricevuto sabato in udienza da Benedetto XVI.

L'udienza è iniziata con lo scatto di alcune fotografie ed è proseguita con un colloquio caloroso e amichevole tra il Papa e p. Nicolás.

"Il Santo Padre ha dimostrato il suo apprezzamento nell'apprendere che la Congregazione Generale ha costituito un comitato per studiare la lettera che aveva inviato a p. Peter-Hans Kolvenbach, il precedente Superiore generale della Compagnia", spiega un comunicato dei Gesuiti.

Il Papa, prosegue il testo, ha inoltre "incoraggiato il Superiore dei Gesuiti a continuare nel lavoro di dialogo con la cultura e l'evangelizzazione e ad assicurare un'accurata formazione ai giovani Gesuiti".

L'incontro ha offerto al nuovo Generale dei Gesuiti l'occasione per "riaffermare il suo personale rispetto e la stima di tutta la Compagnia per il Vicario di Cristo" e per "manifestare il desiderio della Compagnia di servire la Chiesa in tutto il mondo".

P. Nicolás ha poi detto a Benedetto XVI che i Gesuiti hanno la tradizione che il neo-eletto Superiore Generale rinnovi i suoi voti personali davanti al Santo Padre.

P. Kolvenbach lo aveva fatto per iscritto, e p. Nicolás ha quindi scritto i suoi voti consegnandoli al Papa in una busta. Il Santo Padre ha aperto la busta immediatamente e, dopo aver letto i voti, ha commentato dicendo: "Questa è una tradizione molto buona".

Il 25 gennaio il preposito generale dei Gesuiti ha incontrato i giornalisti per sottolineare che "la Compagnia di Gesù è stata sempre, fin dal principio e continua ad esserlo, in comunione con il Santo Padre".

Fonte: Zenit, 27.1.2008 (http://www.zenit.org/article-13299?l=italian)

Augustinus
22-02-08, 09:20
BENEDETTO XVI

DISCORSO AI PADRI DELLA CONGREGAZIONE GENERALE
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Sala Clementina
Giovedì, 21 febbraio 2008

Cari Padri della Congregazione Generale
della Compagnia di Gesù,

sono lieto di accogliervi quest’oggi mentre i vostri impegnativi lavori stanno entrando nelle fasi conclusive. Ringrazio il nuovo Preposito Generale, Padre Adolfo Nicolas, per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti e del vostro impegno per rispondere alle attese che la Chiesa ripone in voi. Ve ne ho parlato nel messaggio indirizzato al Rev. Padre Kolvenbach e – per suo tramite – a tutta la vostra Congregazione all’inizio dei vostri lavori. Ringrazio ancora una volta il Padre Peter-Hans Kolvenbach per il prezioso servizio di governo da lui reso al vostro Ordine per quasi un quarto di secolo. Saluto anche i membri del nuovo Consiglio Generale e gli Assistenti che aiuteranno il Preposito nel suo delicatissimo compito di guida religiosa e apostolica di tutta la vostra Compagnia.

La vostra Congregazione si svolge in un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici, politici; di accentuati problemi etici, culturali ed ambientali, di conflitti di ogni genere; ma anche di comunicazioni più intense fra i popoli, di nuove possibilità di conoscenza e di dialogo, di profonde aspirazioni alla pace. Sono situazioni che interpellano fino in fondo la Chiesa cattolica e la sua capacità di annunciare ai nostri contemporanei la Parola di speranza e di salvezza. Mi auguro perciò vivamente che tutta la Compagnia di Gesù, grazie ai risultati della vostra Congregazione, possa vivere con rinnovato slancio e fervore la missione per cui lo Spirito l’ha suscitata nella Chiesa e da oltre quattro secoli e mezzo l’ha conservata con straordinaria fecondità di frutti apostolici. Voglio oggi incoraggiare voi e i vostri confratelli a continuare sulla strada di questa missione, in piena fedeltà al vostro carisma originario, nel contesto ecclesiale e sociale che caratterizza questo inizio di millennio. Come più volte vi hanno detto i miei Predecessori, la Chiesa ha bisogno di voi, conta su di voi, e continua a rivolgersi a voi con fiducia, in particolare per raggiungere quei luoghi fisici e spirituali dove altri non arrivano o hanno difficoltà ad arrivare. Sono rimaste scolpite nel vostro cuore le parole di Paolo VI: “Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti” (3 dicembre 1974, alla 32a Congregazione Generale).

Come dice la Formula del vostro Istituto, la Compagnia di Gesù è istituita anzitutto “per la difesa e la propagazione della fede”. In un tempo in cui si aprivano nuovi orizzonti geografici, i primi compagni di Ignazio si erano messi a disposizione del Papa proprio perché “li impiegasse là dove egli giudicava essere di maggior gloria di Dio e utilità delle anime” (Autobiografia, n. 85). Così essi furono inviati ad annunciare il Signore a popoli e culture che non lo conoscevano ancora. Lo fecero con un coraggio e uno zelo che rimangono di esempio e di ispirazione fino ai nostri giorni: il nome di San Francesco Saverio è il più famoso di tutti, ma quanti altri se ne potrebbero fare! Oggi i nuovi popoli che non conoscono il Signore, o che lo conoscono male, così da non saperlo riconoscere come il Salvatore, sono lontani non tanto dal punto di vista geografico quanto da quello culturale. Non sono i mari o le grandi distanze gli ostacoli che sfidano gli annunciatori del Vangelo, quanto le frontiere che, a seguito di una errata o superficiale visione di Dio e dell’uomo, vengono a frapporsi fra la fede e il sapere umano, la fede e la scienza moderna, la fede e l’impegno per la giustizia.

Perciò la Chiesa ha urgente bisogno di persone di fede solida e profonda, di cultura seria e di genuina sensibilità umana e sociale, di religiosi e sacerdoti che dedichino la loro vita a stare proprio su queste frontiere per testimoniare e aiutare a comprendere che vi è invece un’armonia profonda fra fede e ragione, fra spirito evangelico, sete di giustizia e operosità per la pace. Solo così diventerà possibile far conoscere il vero volto del Signore a tanti a cui oggi rimane nascosto o irriconoscibile. A questo pertanto deve dedicarsi preferenzialmente la Compagnia di Gesù. Fedele alla sua migliore tradizione, essa deve continuare a formare con grande cura i suoi membri nella scienza e nella virtù, senza accontentarsi della mediocrità, perché il compito del confronto e del dialogo con i contesti sociali e culturali molto diversi e le mentalità differenti del mondo di oggi è fra i più difficili e faticosi. E questa ricerca della qualità e della solidità umana, spirituale e culturale, deve caratterizzare anche tutta la molteplice attività formativa ed educativa dei Gesuiti, nei confronti dei più diversi generi di persone ovunque essi si trovino.

Nella sua storia la Compagnia di Gesù ha vissuto esperienze straordinarie di annuncio e di incontro fra il Vangelo e le culture del mondo – basti pensare a Matteo Ricci in Cina, a Roberto De Nobili in India, o alle “Riduzioni” dell’America latina -. Ne siete giustamente fieri. Sento oggi il dovere di esortarvi a mettervi nuovamente sulle tracce dei vostri predecessori con altrettanto coraggio e intelligenza, ma anche con altrettanta profonda motivazione di fede e passione di servire il Signore e la sua Chiesa. Tuttavia, mentre cercate di riconoscere i segni della presenza e dell’opera di Dio in ogni luogo del mondo, anche oltre i confini della Chiesa visibile, mentre vi sforzate di costruire ponti di comprensione e di dialogo con chi non appartiene alla Chiesa o ha difficoltà ad accettarne le posizioni e i messaggi, dovete allo stesso tempo farvi lealmente carico del dovere fondamentale della Chiesa di mantenersi fedele al suo mandato di aderire totalmente alla Parola di Dio, e del compito del Magistero di conservare la verità e l’unità della dottrina cattolica nella sua completezza. Ciò vale non solo per l’impegno personale dei singoli Gesuiti: poiché lavorate come membra di un corpo apostolico, dovete anche essere attenti affinché le vostre opere ed istituzioni conservino sempre una chiara ed esplicita identità, perchè il fine della vostra attività apostolica non rimanga ambiguo od oscuro, e perché tante altre persone possano condividere i vostri ideali e unirsi a voi efficacemente e con entusiasmo, collaborando al vostro impegno di servizio di Dio e dell’uomo.

Come voi ben sapete per aver compiuto molte volte sotto la guida di Sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali la meditazione “delle due bandiere”, il nostro mondo è teatro di una battaglia fra il bene e il male, e vi sono all’opera potenti forze negative, che causano quelle drammatiche situazioni di asservimento spirituale e materiale dei nostri contemporanei contro cui avete più volte dichiarato di voler combattere, impegnandovi per il servizio della fede e la promozione della giustizia. Tali forze si manifestano oggi in molti modi, ma con particolare evidenza attraverso tendenze culturali che spesso diventano dominanti, come il soggettivismo, il relativismo, l’edonismo, il materialismo pratico. Per questo ho chiesto il vostro rinnovato impegno a promuovere e difendere la dottrina cattolica “in particolare sui punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare”, alcuni dei quali ho esemplificato nella mia Lettera. I temi, oggi continuamente discussi e messi in questione, della salvezza di tutti gli uomini in Cristo, della morale sessuale, del matrimonio e della famiglia, vanno approfonditi e illuminati nel contesto della realtà contemporanea, ma conservando quella sintonia con il Magistero che evita di provocare confusione e sconcerto nel Popolo di Dio.

So e capisco bene che questo è un punto particolarmente sensibile e impegnativo per voi e per diversi dei vostri confratelli, soprattutto quelli impegnati nella ricerca teologica, nel dialogo interreligioso e nel dialogo con le culture contemporanee. Proprio per questo vi ho invitato e vi invito anche oggi a riflettere per ritrovare il senso più pieno di quel vostro caratteristico “quarto voto” di obbedienza al Successore di Pietro, che non comporta solo la prontezza ad essere inviati in missione in terre lontane, ma anche – nel più genuino spirito ignaziano del “sentire con la Chiesa e nella Chiesa” – ad “amare e servire” il Vicario di Cristo in terra con quella devozione “effettiva ed affettiva” che deve fare di voi dei suoi preziosi e insostituibili collaboratori nel suo servizio per la Chiesa universale.

Allo stesso tempo vi incoraggio a continuare e a rinnovare la vostra missione fra i poveri e con i poveri. Non mancano purtroppo nuove cause di povertà e di emarginazione in un mondo segnato da gravi squilibri economici e ambientali, da processi di globalizzazione guidati dall’egoismo più che dalla solidarietà, da conflitti armati devastanti ed assurdi. Come ho avuto modo di ribadire ai Vescovi latinoamericani riuniti al Santuario di Aparecida, “la opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che per noi si è fatto povero, per arricchirci con la sua povertà (2 Cor 8,9)”. E’ quindi naturale che chi vuol essere veramente compagno di Gesù, ne condivida realmente l’amore per i poveri. Per noi la scelta dei poveri non è ideologica, ma nasce dal Vangelo. Innumerevoli e drammatiche sono le situazioni di ingiustizia e di povertà nel mondo di oggi, e se bisogna impegnarsi a comprenderne e a combatterne la cause strutturali, occorre anche saper scendere a combattere fin nel cuore stesso dell’uomo le radici profonde del male, il peccato che lo separa da Dio, senza dimenticare di venire incontro ai bisogni più urgenti nello spirito della carità di Cristo. Raccogliendo e sviluppando una delle ultime lungimiranti intuizioni del Padre Arrupe, la vostra Compagnia continua a impegnarsi in modo meritorio nel servizio per i rifugiati, che spesso sono i più poveri fra i poveri e che hanno bisogno non solo del soccorso materiale, ma anche di quella più profonda vicinanza spirituale, umana e psicologica che è più propria del vostro servizio.

Un’attenzione specifica vi invito infine a riservare a quel ministero degli Esercizi Spirituali che fin dalle origini è stato caratteristico della vostra Compagnia. Gli Esercizi sono la fonte della vostra spiritualità e la matrice delle vostre Costituzioni, ma sono anche un dono che lo Spirito del Signore ha fatto alla Chiesa intera: sta a voi continuare a farne uno strumento prezioso ed efficace per la crescita spirituale delle anime, per la loro iniziazione alla preghiera, alla meditazione, in questo mondo secolarizzato in cui Dio sembra essere assente. Proprio nella settimana scorsa ho profittato anch’io degli Esercizi Spirituali, insieme con i miei più stretti collaboratori della Curia Romana, sotto la guida di un vostro esimio confratello, il Card. Albert Vanhoye. In un tempo come quello odierno, in cui la confusione e la molteplicità dei messaggi, la rapidità dei cambiamenti e delle situazioni, rende particolarmente difficile ai nostri contemporanei mettere ordine nella propria vita e rispondere con decisione e con gioia alla chiamata che il Signore rivolge a ognuno di noi, gli Esercizi Spirituali rappresentano una via e un metodo particolarmente prezioso per cercare e trovare Dio, in noi, attorno a noi e in ogni cosa, per conoscere la sua volontà e metterla in pratica.

In questo spirito di obbedienza alla volontà di Dio, a Gesù Cristo, che diviene anche umile obbedienza alla Chiesa, vi invito a continuare e a portare a compimento i lavori della vostra Congregazione, e mi unisco a voi nella preghiera insegnataci da Sant’Ignazio al termine degli Esercizi – preghiera che sempre mi appare troppo grande, al punto che quasi non oso dirla e che, tuttavia, dovremmo sempre di nuovo riproporci: “Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; tu me l’hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo ogni tua volontà; dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia; questo mi basta” (ES 234).

Augustinus
22-02-08, 09:23
Benedetto XVI chiede ai Gesuiti fedeltà al carisma originario

Padre Nicolás assicura l'adesione alle indicazioni del Pontefice

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 21 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha chiesto questo giovedì ai Gesuiti piena fedeltà al carisma originario di Sant'Ignazio di Loyola ricevendo in udienza i partecipanti alla Congregazione Generale della Compagnia di Gesù.

I religiosi, riuniti dal 7 gennaio scorso nella Curia Generalizia di questa famiglia religiosa situata a pochi passi dal Vaticano, sono stati ricevuti dal Papa accompagnati dal loro nuovo preposto generale, padre Adolfo Nicolás.

“Voglio oggi incoraggiare voi e i vostri confratelli a continuare sulla strada di questa missione, in piena fedeltà al vostro carisma originario, nel contesto ecclesiale e sociale che caratterizza questo inizio di millennio”, ha detto il Papa.

“La Chiesa ha urgente bisogno di persone di fede solida e profonda, di cultura seria e di genuina sensibilità umana e sociale, di religiosi e sacerdoti che dedichino la loro vita a stare proprio su queste frontiere per testimoniare e aiutare a comprendere che vi è invece un'armonia profonda fra fede e ragione, fra spirito evangelico, sete di giustizia e operosità per la pace”.

“Fedele alla sua migliore tradizione, essa deve continuare a formare con grande cura i suoi membri nella scienza e nella virtù, senza accontentarsi della mediocrità, perché il compito del confronto e del dialogo con i contesti sociali e culturali molto diversi e le mentalità differenti del mondo di oggi è fra i più difficili e faticosi”.

“Mentre vi sforzate di costruire ponti di comprensione e di dialogo con chi non appartiene alla Chiesa o ha difficoltà ad accettarne le posizioni e i messaggi, dovete allo stesso tempo farvi lealmente carico del dovere fondamentale della Chiesa di mantenersi fedele al suo mandato di aderire totalmente alla Parola di Dio, e del compito del Magistero di conservare la verità e l'unità della dottrina cattolica nella sua completezza”, ha aggiunto.

Ciò vale “non solo per l'impegno personale dei singoli Gesuiti poiché lavorate come membra di un corpo apostolico”, ha avvertito il Pontefice. “Dovete anche essere attenti affinché le vostre opere ed istituzioni conservino sempre una chiara ed esplicita identità, perché il fine della vostra attività apostolica non rimanga ambiguo od oscuro, e perché tante altre persone possano condividere i vostri ideali e unirsi a voi efficacemente e con entusiasmo, collaborando al vostro impegno di servizio di Dio e dell'uomo”.

Ponendo in risalto le tendenze culturali attuali “come il soggettivismo, il relativismo, l'edonismo, il materialismo pratico”, il Santo Padre ha invitato i Gesuiti a profondere un rinnovato impegno per “promuovere e difendere la dottrina cattolica 'in particolare sui punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare'”.

“I temi, oggi continuamente discussi e messi in questione, della salvezza di tutti gli uomini in Cristo, della morale sessuale, del matrimonio e della famiglia, vanno approfonditi e illuminati nel contesto della realtà contemporanea, ma conservando quella sintonia con il Magistero che evita di provocare confusione e sconcerto nel Popolo di Dio”, ha osservato.

In occasione della Congregazione Generale, il Papa aveva scritto una lettera a padre Peter-Hans Kolvenbach, ex preposto generale, in cui chiedeva che la riunione dei rappresentanti gesuiti rispondesse a questa necessità.

Riferendosi al messaggio, nelle sue parole di saluto al Papa, padre Nicolás ha spiegato: “Noi l’abbiamo ricevuta a cuore aperto, l’abbiamo meditata, vi abbiamo riflettuto, abbiamo scambiato le nostre riflessioni, e siamo determinati a portare il suo messaggio e il suo incondizionato accoglimento a tutta la Compagnia di Gesù”.

“Vogliamo inoltre portare lo spirito di tale messaggio a tutte le nostre strutture formative e creare – a partire da esso – occasioni di riflessione e di scambio, che potranno essere di aiuto ai nostri confratelli impegnati nella ricerca e nel servizio”, ha aggiunto il preposto generale.

Il Papa ha quindi incoraggiato i Gesuiti “a continuare e a rinnovare” la loro missione fra i poveri e con i poveri.

“Per noi la scelta dei poveri non è ideologica, ma nasce dal Vangelo – ha constatato –. Innumerevoli e drammatiche sono le situazioni di ingiustizia e di povertà nel mondo di oggi, e se bisogna impegnarsi a comprenderne e a combatterne le cause strutturali, occorre anche saper scendere a combattere fin nel cuore stesso dell'uomo le radici profonde del male, il peccato che lo separa da Dio, senza dimenticare di venire incontro ai bisogni più urgenti nello spirito della carità di Cristo”.

Fonte: Zenit, 21.2.2008 (http://www.zenit.org/article-13573?l=italian)

merello
18-06-08, 10:40
Mentre nel mondo cattolico si continua a discutere di neocatecumenali e affini, continua la virata eretica dei gesuiti. Capisco che sono da sempre stati un grande ordine; capisco la grandezza di ciò che era e ci ha lasciato Sant'Ignazio di Loyola.. ma oramai sono diventati una barzelletta.

Un mio amico - nipote di un monsignore ultraottantenne, conservatore da competizione - una volta mi disse: "Non potrei raccontargli cosa fanno i gesuiti ora, altrimenti ci morirebbe".

Però noi possiamo raccontare l'ultima: alcuni giorni fa' il comune di Firenze ha intentato causa ad una coppia gay che denunciava l'amministrazione "per il fatto che non riconoscesse pubblicamente la loro relazione".

Giustamente (e inaspettatamente per me) il sindaco Domenici ha immediatamente chiuso l'argomento rivolgendosi ai legali. E i gesuiti? E i gesuiti toscani sono usciti con un articolo nel loro giornale diocesano affermando che "è arrivato il tempo di riconoscere giuridicamente le coppie gay, essendo una risorsa per l'intera società"...

Eresia, totale.

DanielGi.
20-06-08, 20:42
Il tuo intervento, mio caro Merello, dimostra che non hai capito nulla della logica dei gesuiti : sono disposti ad accettare tutto, ma proprio tutto della cosiddetta modernità progressista, purchè non venga messa in discussione l'esistenza del papao.

Eugenius
20-06-08, 21:03
purchè non venga messa in discussione l'esistenza del papao.

A quei livelli, credono ancora al papato?
Se ne sbarazzerebbero tanto volentieri i sostenitori della "modernità progressista"!

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Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea

Augustinus
20-06-08, 21:06
Un altro esempio del lassismo post-conciliare.
Un altro frutto marciscente e fetido, di cui un vero Papa dovrebbe far piazza pulita. Ma un vero Papa .... .