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Augustinus
13-02-05, 21:34
Referendum sulla legge 40. Il documento dei cattolici del sì


1 febbraio 2005


PROCREAZIONE ASSISTITA: LAICI E CATTOLICI NEL CENTROSINISTRA PER UN CONFRONTO LEALE PRIMA E DOPO LE URNE E CONTRO IL BIPOLARISMO ETICO

1. La ricerca di un parametro di giudizio e il rifiuto del bipolarismo etico

Le questioni che riguardano la vita e la morte, nonché la sessualità e la generazione, presentano grandi difficoltà di giudizio. Non esistono infatti soluzioni equidistanti o neutrali. È molto difficile segnare una linea di confine tra l’ambito della libertà personale e delle scelte private e l’ambito di definizione pubblica di che cosa è giusto, sia pure in via pragmatica e contingente. Qual è allora il percorso per individuare un plausibile parametro di giudizio?

Ve ne è uno molto semplicistico di tipo ideologico: si prende la propria impostazione etica come bene massimo, si tollera come male minore necessario un certo grado di inevitabile scostamento rispetto a quel parametro e, quando si ritiene di aver raggiunto un equilibrio, si rifiuta rigidamente qualsiasi mutamento. Questo modo di ragionare di tipo dottrinario, astorico, sconnesso da una lettura della concreta realtà sociale, non è accettabile per varie ragioni.

La prima è che esso considera il pluralismo – nel quale va visto “il risultato normale dell’esercizio della ragione umana entro le libere istituzioni di un regime democratico costituzionale “ (John Rawls) – esclusivamente come un vincolo e non come una ricchezza. Il modello di società che ne traspare è di tipo rigidamente omogeneo e la conseguente idea di bene comune appare totalmente separata dalla valorizzazione del pluralismo che ne è invece componente essenziale e irrinunciabile. Come scrive altresì Jacques Maritain, occorre evitare una norma pur moralmente fondata quando essa metta in pericolo il bene comune perché lacererebbe la società. In secondo luogo il pluralismo, provvisoriamente negato o ridotto comunque a “male minore”, finirebbe inevitabilmente per vendicarsi sotto forma di “bipolarismo etico” per cui le leggi nelle materie eticamente sensibili verrebbero modificate al ritmo delle alternanze politiche o del succedersi da una legislatura all’altra di diverse maggioranze trasversali. Ciascuna maggioranza riterrebbe così di dover applicare una dottrina oggettiva (sia pur temperata da qualche adattamento pragmatico), ma ai cittadini arriverebbe il messaggio esattamente opposto, cioè che non esista nessun vincolo dotato di una sua plausibilità, che tutto dipenda dai mutevoli rapporti di forza.

Noi proponiamo quindi di delineare diversamente il parametro di giudizio col seguente percorso: identificare i valori da tutelare, anche se sono conflittuali tra loro, e cercare un equilibrio, un bilanciamento necessariamente instabile e contingente, ma accettabile, se non per tutti i cittadini, per quelli che sono disponibili al pluralismo ragionevole, e dunque alla mediazione. Facendo questo bilanciamento non per appartenenze separate che solo in seguito si incontrano, ma elaborandolo insieme sin dall’origine sotto la propria responsabilità.

Il metodo da noi individuato, con tutta evidenza, non è neutro rispetto ai contenuti perché rifiuta nell’ambito civile e politico-statuale gli unilateralismi ideologici e confessionali e tratta le materie eticamente sensibili così come andrebbe affrontata la materia costituzionale, in cui, se è lecito ed opportuno che ogni schieramento e ogni rappresentante chiarisca ai cittadini il suo punto di vista di merito per dialogare con trasparenza e chiarezza, si accetta però al tempo stesso di ricercare un equilibrio più condiviso.

Se il centrosinistra, in cui ci riconosciamo, abdica a questo ruolo sceglie di fatto una visione riduttiva della politica e rinuncia a trovare forme più alte di coesione senza le quali la stessa alternativa di governo risulta indebolita.

2. Ambiguità dell’espressione “libertà di coscienza”: significati condivisibili e non

In questo ambito l’espressione “libertà di coscienza” viene utilizzata con molte accezioni, alcune condivisibili ed altre no.

In primo luogo va ribadito che la prima libertà di coscienza che rileva è quella del cittadino, non del suo rappresentante. In secondo luogo, per quanto riguarda tutti i soggetti collettivi l’espressione ha in sé una valenza indubbiamente positiva quando intende valorizzare il pluralismo interno, per cui, pur avendo tale entità di norma posizioni “ufficiali” sui vari temi più significativi non irroga sanzioni sui temi eticamente sensibili ai suoi membri in dissenso. Tuttavia esso può avere anche un significato ambiguamente negativo quando si richiede la libertà di coscienza ad un partito per privilegiare quella ad un’altra appartenenza collettiva. La libertà della coscienza significa che è in definitiva la persona a scegliere, ascoltate tutte le posizioni emergenti nello spazio della discussione, secondo scienza e coscienza.

3. La procreazione assistita: la brutta legge, i due approcci interni al movimento referendario, il rifiuto dell’invito all’astensione

La legge sulla procreazione assistita non si è attenuta ai criteri prima richiamati: è stata votata con una ristretta maggioranza, ha messo insieme accanto ad alcuni limiti largamente condivisi altri irragionevoli se valutati col parametro di una legislazione che valorizza il pluralismo. È vero che di per sé la legge non rispecchia fedelmente l’etica cattolica, ma ciò non è sufficiente a farla ritenere un punto equilibrato di compromesso. Così argomentando, chi sostenga un’impostazione radicalmente proibizionista potrà sempre sostenere di aver acceduto a un compromesso ragionevole: ma è il suo punto di partenza non condivisibile razionalmente a non potere funzionare da riferimento sensato perché estremo e unilaterale. Contro l’approvazione della legge a risicata maggioranza si è sviluppata l’iniziativa referendaria. È certo spiacevole che lo strumento referendario, che può produrre anch’esso maggioranze risicate, sia utilizzato in questo ambito dove auspichiamo intese ampie. Tuttavia tale critica non può sensatamente essere proposta da chi ha avallato quella decisione parlamentare, che ha costituito il precedente rispetto a cui l’iniziativa referendaria si è mossa come una forma di legittima difesa.

L’insieme originario dei quesiti referendari portava con sé due impostazioni divaricanti: l’una, quella del quesito radicale globale (e di alcune maniere di interpretare i quesiti parziali) finiva per spezzare di fatto l’equilibrio in modo opposto alla legge 40, con la mera rimozione di norme regolatrici. Una visione che, sulla base del nostro parametro di giudizio, non condividiamo. L’altra, quella prevalente nella proposta dei quesiti parziali, mirava invece a correttivi significativi, pur accettando la necessità di una legge e di un bilanciamento tra i valori confliggenti giungendo a una riscrittura piena e più equilibrata della legge, prima o dopo il referendum.

La Corte costituzionale ha di fatto evidenziato questa diversa impostazione espungendo il quesito radicale totale, anche se evidentemente la diversità rimane all’interno del movimento referendario, come si evince dalle diverse valutazioni sull’opportunità di interventi legislativi.

Ma anche tra chi difende la legge è aperta una contraddizione non irrilevante. A prima vista l’approccio più dialogico sembra essere quello di chi propone l’astensionismo e che sostiene di voler difendere la legge nel modo meno conflittuale, per evitare lo scontro. Al di là della ovvia legittimità della libertà di coscienza individuale che può sfociare anche nell’astensionismo quando si ritenga che i temi non siano rilevanti o che tutte le soluzioni siano negative in modo uguale, l’appello all’astensionismo in questa occasione non appare accettabile ed anzi è contraddittorio. Si invita a tale scelta perché sarebbero così alti i fini che si vogliono difendere che il mezzo di una vittoria ottenuta annettendosi l’astensionismo fisiologico appare del tutto legittimo. Gli effetti negativi di questa posizione sono duplici. I mezzi, in ambito politico e almeno in questo caso, sono strettamente connessi al fine. Sul piano teorico, non si può sostenere che le proprie posizioni sono ampiamente condivisibili a prescindere da appartenenze religiose o ideologiche e poi rinunciare a verificare nelle urne l’effettivo grado di condivisione nel corpo elettorale. Ma non si può soprattutto affermare che si tratti di questioni rilevantissime e fondare poi la propria strategia sull’ignoranza o il disinteresse altrui. Sul piano pratico, se anche questa strategia risultasse vincente nel referendum, nel caso in cui, pur senza raggiungere il quorum di partecipazione, i Sì risultassero in quantità realmente ingente, superiore a quello necessario per vincere le elezioni politiche o a quello registrato in referendum in cui nessuno ha proposto l’astensione e in cui quindi l’abrogazione è effettivamente avvenuta, quali sarebbero le conseguenze politiche e sociali? La legge sarebbe giuridicamente ancora in vigore, ma socialmente delegittimata. Che cosa accadrebbe, in questo contesto, di fronte all’applicazione di sanzioni in presenza di violazioni della legge? Non vi sarebbe il rischio di un’ondata emotiva in senso opposto a quello delle norme vigenti, travolgendo anche proibizioni sensate?

Per questo, indipendentemente dalle posizioni di merito e in modo ben più rilevante di esse, crediamo che tutti coloro che avvertono questi temi come importanti dovrebbero consequenzialmente rifiutare l’invito all’astensionismo.

4. I valori in conflitto nei quesiti e le proposte sul voto

Abbiamo cominciato a ragionare insieme sui quesiti e siamo giunti ad alcune prime riflessioni che qui esponiamo, partendo da quelli che nel nostro confronto sono stati più problematici e giungendo a quelli meno conflittuali.

Il quesito sulla fecondazione eterologa è indubbiamente quello che pone i maggiori problemi etici perché coinvolge tematiche complesse relative al nascituro, alla paternità e alla maternità, al rapporto di coppia in cui viene ad inserirsi un donatore terzo. Di fronte a questi dilemmi la legge risolve drasticamente il nodo con una proibizione assoluta, che sacrifica quindi sempre e comunque il desiderio dei genitori. Il quesito, di per sé, data la sua natura abrogativa, può solo liberalizzare completamente questi aspetti, anche qui tagliando il nodo in modo molto semplicistico, in una logica molto simile a quella del referendum totale bocciato dalla Corte. Su questo punto ci sono tra di noi valutazioni diverse, e ciascuno deciderà in modo personale come votare. Ma vorremmo che la discussione ripartisse da soluzioni terze, a cominciare da quella individuata dal disegno di legge Amato (accesso consentito in caso di sterilità o infertilità incurabile o di malattia trasmissibile per via genetica, da verificare da parte di una commissione medica pubblica) e alcune condizioni molto puntuali (come la gratuità della donazione).

Il quesito che elimina l’espressione relativa ai diritti del concepito, e che si sovrappone peraltro a quello sulla salute della donna, entra su un delicatissimo problema che la legge ha risolto in modo unilaterale e ideologico. Vi è certo un’esigenza di protezione dell’embrione, che avvertiamo in tutta la sua importanza, e più in generale di ogni forma di vita umana, che non può essere negata dentro quello che è un processo di umanizzazione in cui è difficile ricostruire oggettivamente dei salti qualitativi. Ma una scelta di mera equiparazione tra l’embrione e il nato, come quella prospettata dalla legge, rispecchia, ad oggi, solo una parte limitata dell’elaborazione religiosa, scientifica e filosofica. Per questo ci sembra convincente l’introduzione del concetto di “dignità umana,” presente nella proposta di legge Amato. La nozione di dignità umana si riferisce alla possibilità e volontà di attribuire all’embrione, in quanto primo inizio della vita umana, cioè progetto di vita, un preciso valore etico, che è relativo alla sua specifica natura, e quindi non si oppone in modo assoluto ad ogni uso e manipolazione degli embrioni, ma richiede che ogni uso e manipolazione siano fatti solo per buoni motivi ed entro limiti certi e definiti. Per questo ci appare preferibile la sostituzione del concetto di “diritti del concepito” con quello della “dignità umana di tutti i soggetti”, emendamento che può essere introdotto solo per via parlamentare, prima o dopo la celebrazione del referendum. L’importante è che la campagna del Sì, se il referendum avrà luogo prima, chiarisca con maggiore evidenza questo obiettivo e non la privazione di qualsiasi protezione giuridica all’embrione. A queste condizioni, la gran parte di noi riterrà di poter votare Sì.

Il quesito sulla salute della donna comporta invece dilemmi anch’essi seri, ma che ci appaiono decisamente minori: la legge 40, prevedendo l’obbligo di creare in vitro un numero massimo di tre embrioni per volta, da trasferire in un’unica soluzione in utero, non bilancia in modo adeguato la tutela dell’embrione con quella della donna, che è esposta in modo irragionevole e sproporzionato a rischi legati all’iperstimolazione ovarica o, al contrario, a gravidanze plurigemellari con gravi pericoli di malformazioni, nonché a un notevole stress fisico e psichico per l’allungamento dei tempi. Anche la proibizione di diagnosi preimpianto, pur nell’astrattamente condivisibile obiettivo di evitare selezioni eugenetiche, spinge poi all’aborto terapeutico, consentito dall’ordinamento, procurando quindi un male maggiore di quello che intende evitare. La scelta del Sì ci appare pertanto chiaramente preferibile.

Il quesito sulla ricerca scientifica pone il problema dell’utilizzo degli embrioni soprannumerari per affrontare alcuni gravi malattie che al momento non trovano cure adatte. Non è l’unica linea di ricerca perseguibile, ma il suo rifiuto aprioristico appare il frutto di una rigida scelta ideologica che concepisce in modo statico la tutela della vita. Quando gli embrioni risultino irreversibilmente condannati a un naturale deperimento, cosa che deve essere evitata il più possibile, la rinuncia aprioristica ad utilizzarli non salva la loro vita e nel contempo non aiuta la vita dei malati che ne riceverebbero beneficio. In modo analogo alle posizioni proibizioniste in materia di trapianti che vennero teorizzate e poi per fortuna abbandonate qualche decennio fa per la medesima visione statica della tutela della vita. Per questo la scelta del Sì ci appare qui doverosa.

Primi firmatari:

1. Giorgio Armillei, funzionario del comune di Terni
2. Francesca Artista, sindacalista bancaria, Palermo
3. Angelo Barba, giurista, Università di Siena
4. Giovanni Bianco, giurista, Università di Sassari
5. Salvatore Bonfiglio, giurista, Università di Roma Tre
6. Roberto Borrello, giurista, Università di Siena
7. Stefano Brogi, filosofo, Università di Siena
8. Luisa Broli, insegnante, Vigevano
9. Sandra Burchi, psico-sociologa, Università di Pisa
10. Stefano Ceccanti, giurista, Università di Roma “La Sapienza”
11. Francesco Clementi, giurista, Università di Roma “La Sapienza”
12. Nicola Colaianni, giurista, Università di Bari
13. Giovanni Colombo, avvocato, Milano
14. Michele Contel, ricercatore sociale, Roma
15. Giuseppe Croce, economista, Università di Roma “La Sapienza”
16. Salvatore Curreri, giurista, Università di Firenze
17. Luciano D’Angelo, presidente consorzio cooperative, Palermo
18. Anna Maria Debolini, libera professionista, Arezzo
19. Sergio Fabbrini, politologo, Università di Trento
20. Nicola Favati, avvocato, Pisa
21. Emilio Gabaglio, sindacalista, Roma
22. Luigi Gerbino, cooperatore, Palermo
23. Giulio Gerbino, sociologo, Università di Palermo
24. Andrea Giorgis, giurista, Università del Piemonte Orientale
25. Chiara Giorio, ricercatrice sociale, Roma
26. Tommaso Greco, giurista, Università di Pisa
27. Luciano Guerzoni, giurista
28. Rosario Iaccarino, sindacalista, Roma
29. Marco Ivaldo, filosofo, Università di Napoli
30. Carlo Lombardi, avvocato, Pisa
31. Giuseppe Lumia, deputato, Palermo-Roma
32. Miriam Mafai, giornalista, Roma
33. Claudia Mancina, filosofa, Università di Roma “La Sapienza”
34. Susanna Mancini, giurista, Università di Bologna
35. Domenico Marino, economista, Università di Reggio Calabria
36. Chiara Martini, giurista, Università di Roma “La Sapienza”
37. Marco Martorelli, animatore culturale, Roma
38. Oreste Massari, politologo, Università di Roma “La Sapienza”
39. Pierluigi Mele, giornalista, Roma
40. Donatella Montini, linguista, Università di Roma “La Sapienza”
41. Paola Moreschini, avvocato, Roma
42. Andrea Morrone, giurista, Università di Bologna
43. Tommaso Nannicini, economista, Università di Firenze
44. Salvatore Prisco, giurista, Università di Napoli
45. Margherita Raveraira, giurista, Università di Perugia
46. Maria Rita Rendeù, giornalista, Roma
47. Eugenio Ripepe, giurista, Università di Pisa
48. Andrea Romano, direttore scientifico della fondazione “Italianieuropei”
49. Lucio Russo, informatico, Pisa
50. Michele Salvati, economista, Università di Milano Statale
51. Gianluca Salvatori, assessore alla Provincia di Trento
52. Vittorio Sammarco, giornalista, Roma
53. Maria Grazia Senatore, avvocato, Pisa
54. Stefano Sicardi, giurista, Università di Torino
55. Diego Toma, informatico, Roma
56. Giorgio Tonini, giornalista, senatore, Pistoia-Roma
57. Grazia Villa, avvocato, Milano
58. Giulio Zanella, economista, Università di Siena
59. Giancarlo Zizola, giornalista, Roma

Fonte: www.chiesa (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=22149)

Augustinus
13-02-05, 21:38
Per incidens, vorrei far notare che il firmatario n. 12 è il prof. Colaianni, l'estensore della celebre sentenza della Cassazione, nel 2000, sul Crocifisso, e che tanto male ha fatto alla causa della fede; il n. 10 è il prof. Ceccanti, anche lui ha avuto a che fare con la vicenda del Crocifisso (in peggio, ovviamente); il 27 è il prof. Guerzoni, ecclesiasticista ... laicissimo o cattolico dissenziente ... . L'ultimo, Zizola, non ha bisogno di presentazioni :D

Vandeano (POL)
13-02-05, 22:12
Referendum

E così quei quattro gatti dei radicali sono riusciti ancora una volta a trascinare l’Italia in un referendum “libertario”.
Quasi tutti i loro capi storici non sono neanche sposati, però hanno fatto divorziare un intero Paese, provocando dei guasti sociali apocalittici. Con l’aborto e il sesso a gogò ci hanno ridotti a tassi di denatalità mondiali. Poiché a liberalizzare la droga non sono riusciti (né a togliere soldi ai partiti, né a far pagare i magistrati per gli errori giudiziari, nemmeno ad abolire il ministero dell’agricoltura), tornano alla sfera genitale.

Ora i loro quattro voti sono all’asta perché in alcune regioni fanno da ago della bilancia. Per un pugno di voti (proprio un pugno) tutti li lisciano, a destra a sinistra. Da credente, sono convinto che al Giudizio Universale ci sarà per loro un settore apposito, assordato dalle urla di tutti quelli che non hanno fatto nascere e di coloro la cui vita è diventata un inferno grazie ai loro referendum. Preghiamo per la loro conversione, perché rischiano grosso.

Comunque, intanto eccoci ancora un volta ostaggio dei sofisti, mobilitati per la loro fame di poltrone. Come facevano i tedeschi dell’ex Ddr, voterò con i piedi: loro scappavano, io starò a casa.



Rino Cammilleri

uva bianca
23-02-05, 22:20
Originally posted by Augustinus
L'ultimo, Zizola, non ha bisogno di presentazioni :D

Perchè?
:confused:

Augustinus
25-02-05, 11:54
Originally posted by uva bianca
Perchè?
:confused:

Il Dr. Giancarlo Zizola, Vaticanista del “Il Sole 24ORE” ed autore di diversi articoli anche sul periodico "La Rocca", è considerato da sempre vicino alle posizioni del movimento eretico "We are the Church" ("Noi siamo chiesa"). E', come di dice, un "cattolico del dissenso", così come lo sono gli altri firmatari del "manifesto".

Augustinus
26-02-05, 07:47
L'appello e i firmatari del comitato per il doppio NO

L'alleanza tra scienza e vita è molto forte nella coscienza di ogni persona. Da una parte, infatti, la scienza è avvertita come valore decisivo per migliorare la vita e rafforzarne la qualità, dall’altra la vita delle persone e delle comunità spinge la scienza a non arrendersi, fino a produrre benefici concreti a vantaggio non solo di pochi privilegiati ma di tutti.

Tuttavia è essenziale riconoscere la scala delle priorità. Solo il primato della vita garantisce il perseguimento dei diritti dell’uomo e lo sviluppo scientifico ardimentoso e controllato. La tecnica è divenuta troppo potente per poter essere lasciata in balia di se stessa, o per essere affidata esclusivamente agli addetti ai lavori.

Trasparenza e giustizia, uguaglianza e corresponsabilità, valori certamente condivisi dalla maggior parte delle persone, hanno un senso solo se incominciamo a metterli al servizio dei più deboli e dei meno garantiti: in primo luogo il concepito che, non avendo voce propria, ha bisogno della solidarietà sociale. Questo è il primo passo per la difesa in concreto della vita, da sviluppare in tutti i suoi aspetti e in tutti i soggetti.

Con questo spirito nasce il Comitato per impedire il peggioramento della legge 40 sulla fecondazione assistita, di cui fanno parte personalità del mondo scientifico, culturale, professionale, politico e associativo. Il Comitato si propone di promuovere una campagna capillare di sensibilizzazione sui valori in gioco, per l’adozione del comportamento più efficace nella prossima convocazione referendaria.

Il Comitato giudica la legge 40 sulla fecondazione assistita un risultato importante, che finalmente ha fissato delle regole per i laboratori che operano nel campo molto delicato della fecondazione umana. Non si tratta di una legge perfetta, tuttavia essa pone fine al cosiddetto "far west procreatico", assicurando ad ogni figlio le garanzie di una vita umana e la protezione di una vera famiglia.
Una legge, dunque, che merita di essere difesa. Al contrario, il referendum la vuole stravolgere, prima di darle tempo di essere applicata, sperimentata e verificata nei risultati. Di per sé il referendum può essere uno strumento di democrazia, ma in questo caso è profondamente inadeguato, per la tipologia e la complessità della materia e per la formulazione volutamente equivoca dei quesiti che propone. Davanti al rischio di una società che sembra non farsi scrupolo di manipolare l’uomo, il Comitato indica la scelta del "doppio no": al contenuto dei quesiti referendari e all’uso distorto del referendum in materia di fecondazione.

Dunque non andremo a votare, proprio per esprimere con fermezza questo nostro "doppio no". Ma anche per ribadire alcuni obiettivi strategici: riaffermare – contro ogni deriva scientista – che gli esseri umani non sono cavie; dare ai figli genitori veri e conosciuti, garantendo loro la certezza di specchiarsi nello sguardo di un padre e di una madre; dare nuovo slancio ad una società che, a partire dal rispetto dei più deboli, consolidi i valori fondamentali del nostro vivere civile, quali solidarietà, giustizia, uguaglianza, libertà e pace.

Pubblichiamo l’elenco completo delle personalità del mondo scientifico, culturale e politico che hanno aderito al Comitato «Scienza e vita». Nei prossimi giorni potranno collegarsi a questo elenco tutti coloro che condividono le posizioni sostenute dal Comitato per la difesa della legge 40 sulla procreazione assistita. Per informazioni, tel. 06 68192554

PRESIDENTI
1.Paola BINETTI Presidente Società Italiana Pedagogia Medica Campus Biomedico Roma
2.Bruno DALLAPICCOLA Ordinario genetica, Università La Sapienza, Roma

COMPONENTI (quota 119)



Giuseppe ACOCELLA Responsabile formazione Cisl
Ferdinando ADORNATO Presidente "Fondazione Liberal", Forza Italia, Camera dei Deputati
Luigi ALICI Ordinario filosofia morale, Università Macerata
Ugo AMALDI Docente fisica medica, Università Milano Bicocca
Dario ANTISERI Ordinario metodologia scienze sociali, Università Luiss, Roma
Alfredo ANZANI Docente etica clinica, Istituto San Raffaele, Milano
Luigi ARCIDIACONO Preside facoltà giurisprudenza, Università Catania
Sebastiano ARDITA Direttore generale amministrazione penitenziaria
Maria Pia BACCARI VARI Docente diritto romano Università Lumsa, Roma
Antonio Maria BAGGIO Movimento dei Focolari
Emanuela BAIO DOSSI Margherita, Senato della Repubblica
Antonio BALDASSARRE Presidente emerito Corte Costituzionale
Renato BALDUZZI Presidente Meic, ordinario diritto costituzionale, Università Genova
Enrica BELLI Presidente Fuci
Carlo Valerio BELLIENI Dirigente neonatologia, Azienda ospedaliera, Università Siena
Ettore BERNABEI Presidente Lux Vide
Paola BIGNARDI Presidente Azione Cattolica Italiana
Giancarlo BLANGIARDO Ordinario scienze statistiche, Università Milano Bicocca
Paolo BLASI Ordinario Fisica Generale, già Rettore Università Firenze
Giandomenico BOFFI Ordinario algebra, Università Chieti-Pescara
Medua BOIONI DEDÈ Pres. Confederazione Italiana Centri Regolazione Naturale Fertilità
Adriano BOMPIANI Direttore Istituto Internazionale Ricerca Fertilità e Infertilità, Roma
Mario BONORA Presidente Aris ( Istituti socio-sanitari )
Pio BOVE Coordinatore Forum nazionale Associazioni trapiantati Angelo Loris BRUNETTA Presidente Associazione talassemici della Liguria
Maria BURANI PROCACCINI Forza Italia, Camera dei Deputati
Carlo CAMPAGNOLI Ginecologia endocrinologica, Ospedale S. Anna, Torino
Luigi CAMPIGLIO Ordinario economia, pro-Rettore Università Cattolica Sacro Cuore
Pellegrino CAPALDO Ordinario economia aziendale, Università La Sapienza, Roma
Lorenzo CASELLI Ordinario economia delle imprese, Università di Genova, già presidente Meic
Carlo CASINI Presidente Movimento per la Vita
Cesare CAVALLERI Direttore rivista "Studi Cattolici"
Giancarlo CESANA Comunione e Liberazione
Antonio CICCHETTI Direttore amministrativo Università Cattolica Sacro Cuore
Carlo CIROTTO Ordinario biologia, Università Perugia, vice presidente Meic
Alfredo CORALLINI Ordinario microbiologia, Università Ferrara, presidente provinciale Acli
Carlo COSTALLI Presidente Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl)
Edio COSTANTINI Presidente Centro Sportivo Italiano (Csi)
Francesco D'Agostino Presidente Unione Giuristi Cattolici Italiani
Giuseppe D’ASCENZO Ordinario di chimica, già Rettore Università la Sapienza, Roma
Francesco D’ONOFRIO Udc, Senato della Repubblica
Giuseppe DALLA TORRE Rettore Università Lumsa, Roma
Massimo DE ANGELIS Direttore studi e ricerche, "Fondazione Liberal"
Alessandro DE FRANCISCIS Udeur, Camera dei Deputati
Cristina DE LUCA Responsabile dipartimento solidarietà Margherita, già dirigente Agesci
Roberto DE MATTEI Vice Presidente CNR, storia moderna, Università Cassino
M. Luisa DI PIETRO Associato bioetica, Università Cattolica Sacro Cuore
Domenico DI VIRGILIO Forza Italia, Camera dei Deputati, Presidente Forum Operatori Sanitari
Luciano EUSEBI Ordinario diritto penale, Università Cattolica Sacro Cuore
Maria Grazia FASOLI Membro presidenza Acli
Alberto FERRARI Presidente Centro Turistico Giovanile (Ctg)
Giorgio FERRERO Membro giunta Coldiretti
Angelo FIORI Direttore rivista "Medicina e Morale"
Giuseppe FIORONI Margherita, Camera dei Deputati
Romano FORLEO Docente di ginecologia, psicosomatica e sessuologia, Università Tor Vergata, Roma, già dirigente Agesci
Marco FRANCHIN Vice presidente settore giovani Azione Cattolica Italiana
Giuseppe GAMBALE Margherita, Camera dei Deputati
Gianfranco GAMBELLI Presidente Confederazione Nazionale Misericordie
Enrico GARACI Presidente Istituto Superiore di Sanità
Giuseppe GERVASIO Avvocato, già Presidente dell’Azione Cattolica Italiana
Pierluigi GIACOMELLI Ordinario chimica generale inorganica Università la Sapienza, Roma
Gianluigi GIGLI Presidente Federazione Mondiale Associazioni Medici Cattolici
Goffredo GRASSANI Presidente Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana
Marco GRIFFINI Presidente Associazione Amici dei Bambini
Giovanni IACOVITTI Ordinario elaborazione numerica segnali, Università La Sapienza, Roma
Giorgio LAMBERTENGHI Direttore Dipartimento di Scienze mediche, Università di Milano
Aldo LOIODICE Ordinario diritto costituzionale, Università Bari
Renzo LUSETTI Margherita, Camera dei Deputati
Salvatore MANCUSO Direttore Dipartimento tutela della salute donna e vita nascente, Policlinico A. Gemelli, Roma
Alfredo MANTOVANO Alleanza Nazionale, Camera dei Deputati, Sottosegretario Interno
Mario MARAZZITI Comunità di Sant’Egidio
Salvatore MARTINEZ Presidente associazione Rinnovamento nello Spirito
Francesca MARTINI Lega Nord, Camera dei Deputati
Marco MAZZI Presidente Associazione Famiglie per l'Accoglienza
Cesare MIRABELLI Presidente emerito Corte Costituzionale
Angelo MONTANARI Docente informatica, Università Udine
Alberto MONTICONE Margherita, Senato della Repubblica, già Pres. Azione Cattolica Italiana
Paolo MOROZZO DELLA ROCCA Ordinario diritto privato, Università Urbino, Comunità di S. Egidio
Donato MOSELLA Margherita, Camera dei Deputati, già presidente Csi
Franco MUGERLI Presidente Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione (CoPerCom)
Vera NEGRI ZAMAGNI Ordinario storia economica, Università Bologna, Istituto "Veritatis Splendor"
Daniela NOTARFONSO CEFALONI Medico, Movimento dei Focolari
Marco OLIVETTI Ordinario diritto costituzionale, Università di Foggia
Lorenzo ORNAGHI Rettore Università Cattolica Sacro Cuore
Davide PARIS Presidente Fuci
Anna Maria PASTORINO Presidente Centro Italiano Femminile (Cif)
Edoardo PATRIARCA Dirigente Terzo Settore, già presidente Agesci
Riccardo PEDRIZZI Alleanza Nazionale, Senato della Repubblica
Clementina PERIS Responsabile terapie sterilità, Ospedale S. Anna, Torino
Adriano PESSINA Ordinario filosofia morale, Università Cattolica Sacro Cuore
Dario PETRI Presidente Associazione Bambini Cerebrolesi
Piergiorgio PICOZZA Ordinario istituzioni fisica nucleare, Università Roma Tor Vergata
Ernesto PREZIOSI Vice presidente settore adulti Azione Cattolica Italiana
Paola RICCI SINDONI Ordinario filosofia morale, Università di Messina
Claudio RISÉ Psicoterapeuta, Docente Università dell’Insubria
Valerio ROSSI Presidente Associazione Cattolica Operatori Sanitari (Acos)
Luisa SANTOLINI Presidente Forum delle Associazioni Familiari
Fernando SANTOSUOSSO Vice presidente emerito Corte Costituzionale
Giulio SAPELLI Ordinario storia economica, Università di Milano
Vincenzo SARACENI Presidente Associazione Medici Cattolici Italiani
Giuseppe SAVAGNONE Docente filosofia, Liceo classico Umberto, Palermo
Lucetta SCARAFFIA Associato storia moderna, Università La Sapienza, Roma
Carlo SECCHI Ordinario politica economica europea, già Rettore Università Bocconi, Milano
Gustavo SELVA Alleanza Nazionale, Camera dei Deputati
Grazia SESTINI Forza Italia, Senato della Repubblica, Sottosegretario Lavoro e Politiche Sociali
Francesco SILVANO Presidente Ospedale Bambin Gesù, Roma
Paolo SORBI Sociologo, consulente d'impresa nell'area delle biotecnologie
Giovanni STIRATI Cammino neocatecumenale, associato nefrologia e bioetica, Università La Sapienza, Roma
Ivo TAROLLI Udc, Senato della Repubblica
Patrizia TOIA Margherita, Parlamento Europeo
Piero URODA Presidente Unione Cattolica Farmacisti Italiani
Antonio VANZO Lega Nord, Senato della Repubblica
Massimo VARI Vice presidente emerito Corte Costituzionale
Aldo VECCHIONE Preside Facoltà medicina, Università La Sapienza, Roma
Patrizia VERGANI Medico, Clinica ostetrico-ginecologica, Ospedale S. Gerardo, Monza
Giorgio VITTADINI Ordinario statistica metodologica, Università Milano Bicocca
Luca VOLONTÉ Udc, Camera dei Deputati
Stefano ZAMAGNI Ordinario economia, Università Bologna

FONTE (http://www.impegnoreferendum.it/AvvImpRef/Templates/ArticoloExtra.aspx?NRMODE=Published&NRORIGINALURL=%2fDocumenti%2f20050221%2ehtm&NRNODEGUID=%7bF84AB82B-E434-4499-878B-7AC7D0FBC132%7d&NRCACHEHINT=NoModifyGuest)

Augustinus
26-02-05, 07:58
Personalmente mi saltano agli occhi due nomi: la prof.ssa Maria pi Baccari, figlia del celebre maestro di diritto ecclesiastico Renato Baccari, ed il marito, prof. Massimo Vari, già vicepresidente della Corte costituzionale.
Altro nome è la dott.ssa Maria Luisa Di Pietro - che ha solo un cognome omonimo con quello dell'ex PM di Mani pulite - autrice di apprezzati saggi su temi di bioetica legati all'embrione, alle cellule staminali, ecc.
Ancora un nome. Il prof. Aldo Loiodice (mio vicino di stanza all'Università :D), insigne costituzionalista ed amministrativista. E' membro dell'OPUS.
Anche il prof. Morozzo della Rocca è un insigne civilista, il cui fratello è Sostituto procuratore generale della Cassazione.
I proff.ri Stefano Zamagni e la sorella (se non ricordo male) Vera Negri Zamagni non hanno bisogno di presentazioni.
Significativa è anche la presenza del filosofo del diritto prof. Francesco D'Agostino, mio Presidente.
Vi è anche il prof. Cesare Mirabelli, docente di diritto ecclesiastico a Tor Vergata ed allievo del celebre prof. Gismondi.

Augustinus
26-02-05, 08:57
Forte di 112 firme, è nato sabato 19 febbraio l'atteso comitato "Scienza e Vita" in difesa della legge 40/2004 sulla procreazione artificiale.

Trovi il documento e la lista dei firmatari nel sito "www.impegnoreferendum.it", nato pochi giorni prima per iniziativa di "Avvenire", assieme al battagliero supplemento "E' Vita" che esce col quotidiano della Cei ogni martedì, giovedì e sabato.

Il comitato sposa in pieno la linea tracciata dal cardinale Camillo Ruini e dal direttivo della Cei. Propugna un "doppio no" ai referendum: nel merito e nel metodo. In concreto, invita a non andare a votare.

Lo presiedono i professori Paola Binetti, del Campus Biomedico di Roma, e Bruno Dallapiccola, dell'Università La Sapienza.

Scorrendo la lista dei firmatari vengono spontanee alcune note a margine.

Il mondo cattolico organizzato vi figura pressocché al completo. Assieme a personalità sia cattoliche che laiche.

Compaiono nella lista i presidenti in carica di alcune delle principali associazioni cattoliche: Aci, Meic, Fuci, Forum delle associazioni familiari, MpV, Mcl, medici e farmacisti cattolici, eccetera.

Dell'Azione Cattolica, oltre all'attuale presidente Paola Bignardi, firmano anche due suoi predecessori, Giuseppe Gervasio e Alberto Monticone, quest'ultimo senatore della Margherita. Anche altri parlamentari della Margherita appaiono nella lista, non però Rosy Bindi, che pure fu vicepresidente dell'Aci con Monticone, né Franco Monaco, che all'epoca fu presidente dell'Aci di Milano.

Tra i politici, oltre a quelli della Margherita, vi sono rappresentanti dell'Udeur, dell'Udc, di Forza Italia, della Lega e di An.

Della Fuci firmano i due attuali copresidenti, Enrica Belli e Davide Paris. Per il Meic, assieme al presidente in carica Renato Balduzzi, c'è anche il suo predecessore Lorenzo Caselli. Il pensiero va dritto ad altri loro predecessori di entrambe le associazioni, da Marco Ivaldo a Stefano Ceccanti a Giorgio Tonini, autori invece del manifesto dei "cattolici del sì" e favorevoli alle istanze dei referendum.

Il rettore e il prorettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi e Luigi Campiglio, hanno firmato. E così il rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre. Figurano nella lista anche tre ex rettori di importanti università laiche: Giuseppe D'Ascenzo per La Sapienza di Roma, Paolo Blasi per l'Università di Firenze e Carlo Secchi per la Bocconi di Milano.

Fra i guru dell'intellettualità cattolica spiccano due assenze: quella di Giuseppe De Rita, autore sul "Corriere della Sera" di domenica 20 febbraio di un corsivo beffardamente intitolato "Cattolici, avete abboccato al gioco dei referendari", e quella di Francesco Paolo Casavola, indimenticato autore di una "eretica" prolusione alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello scorso autunno.

Tra le associazioni cattoliche storiche, le Acli e l'Agesci non figurano nel comitato con i loro presidenti in carica, ma con un ex presidente (Edoardo Patriarca per gli scout) o con esponenti di secondo piano. Va detto però che Luigi Bobba, l'attuale presidente delle Acli, ha espresso pieno consenso alle opzioni del comitato, in un articolo su "il Riformista" del 16 febbraio e in un'intervista a "il Foglio" del 19 febbraio. Quanto all'Agesci, un comunicato del 20 febbraio del loro consiglio nazionale si dice d'accordo nel respingere i quesiti referendari, ma tace sul "doppio no" (ovvero l'astensione) proposto dal comitato.

Tra i nuovi movimenti, il Rinnovamento nello Spirito ha aderito con il suo presidente nazionale, Salvatore Martinez. Di Comunione e Liberazione hanno firmato Giancarlo Cesana e Giorgio Vittadini. Dei neocatecumenali c'è Giovanni Stirati, professore di bioetica all'Università di Roma La Sapienza. Dei focolarini ci sono Antonio Maria Baggio e Daniela Notarfonso Cefaloni. Della Comunità di Sant'Egidio ci sono Mario Marazziti e Paolo Morozzo Della Rocca.

Della Corte Costituzionale sono presenti nel comitato gli ex presidenti Cesare Mirabelli e Antonio Baldassarre, e l'ex vicepresidente Massimo Vari.

Tra i laici - o comunque esterni al cattolicesimo istituito - spiccano Loris Brunetta, presidente dell'Associazione talassemici, autore di una memorabile difesa dell'intangibilità del concepito dagli schermi di "Porta a Porta"; Claudio Risé, psicoterapeuta; e Giulio Sapelli, specialista in storia dell'economia, di area Ds, autore di una brillante intervista in difesa del concepito sul "Corriere della Sera" del 21 febbraio.

Fonte: Blog "Settimo cielo" di Sandro Magister (http://blog.espressonline.it/weblog/stories.php?topic=03/04/09/3080386)

uva bianca
26-04-05, 23:23
tra l'altro "don" Vitaliano ha detto che voterà NO.
(e stigmatizza la posizione di Ruini e quindi della Chiesa italiana)

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=1847241#post1847241

Augustinus
27-04-05, 20:47
Originally posted by uva bianca
tra l'altro "don" Vitaliano ha detto che voterà NO.
(e stigmatizza la posizione di Ruini e quindi della Chiesa italiana)

http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=1847241#post1847241

Personalmente il "don" citato non l'ho mai considerato neppure prete, tant'è che ho usato sempre il don virgolettato. :D :D :D

Augustinus
03-05-05, 22:56
Ferrara

Sul «Foglio» del 3 maggio 2005 il direttore Ferrara risponde a una lettrice che critica la sua battaglia contro il referendum. Riporto qualche frase interessante. «Se i Law Lords d’Inghilterra autorizzano la confezione di un bambino allo scopo di usarlo come un tessuto compatibile per curarne un altro, un atto assolutamente nuovo nella storia dell’umanità, è possibile affrontare la cosa partendo dalla sacralità della vita in sé e per sé (…)?».

Ancora: «…ma lo stadio più avanzato delle conoscenze tecniche della biologia e della medicina moderne (…), perché è dalla scoperta del patrimonio genetico dell’embrione (oltre al resto) che parte la nostra crociata stracciona, giustifica forse l’eliminazione culturale del discorso vecchio, umanistico, polveroso di sapienza e filosofia che ha secoli alle spalle?». Ancora: «…è in atto una delle più grandi guerre anticulturali di tutti i tempi, nel XXI secolo, ed è un’avanzata devastante, spronata da automatismi ed egemonismi della scienza, della tecnologia, della sociologia”.

Ancora: «…continuate su questa strada, ci dice il signor Novecento, e trasformate i diritti dell’uomo (…) in una trionfale cancellazione dei diritti dell’Untermensch, del piccolo, dell’invisibile, del debole (…), si può fare un figlio in provetta, e allora si costruiscano parcheggi crioconsevati di esseri umani, e bimbi sani e belli e bimbi-farmaco, e si accompagni con la fame e con la sete il trapasso di una donna ammalata per decisione di un marito.

Che progresso straordinario, che discorso nuovo e profilattico!». Ancora: «Come fate a non capire che è pazzo un mondo in cui ci si mette il profilattico per evitare di avere figli, si ricorre a duecentomila aborti l’anno nel Paese, la Francia, dove oltre al profilattico sono da tempo in commercio la pillola del giorno dopo e la Ru 486 (l’aborto chimico); poi si teorizza e si impone l’uso secondo il quale avere figli nell’età fertile della donna (e della coppia) è antisociale, ma è sociale estendere la fabbricazione di bambini in provetta».

Ancora: «Deridete un arcivescovo quando vi spiega la differenza tra l’attesa naturale di un bambino dopo l’amore e la costruzione in laboratorio di un bambino (…), una scelta che tecnicamente può fare di lui quello che vuole chi decide, anche un farmaco se del caso».

Ancora: «Siete inclini all’ironia e al sarcasmo (…) e, nei casi peggiori, sospettate che il nostro sia un discorso banalmente politico, strumentale, un appello regressivo e guerresco nel segno di una nuova oppressione (…), volete umiliare le idee che non accettate, defalcare dal dizionario della gente civile la parola “peccato”, anche se detta nello stile ineccepibile di un laico».
Credo che basti.

Fonte: Antidoti di Rino Cammilleri (http://www.rinocammilleri.it/beyondengine/frontend/exec.php)

Augustinus
03-05-05, 23:15
Nelle odierne società pluralistiche, in cui coesistono orientamenti religiosi, culturali e ideologici diversi, diventa sempre più difficile garantire una base comune di valori etici condivisi da tutti, capaci di essere fondamento sufficiente per la democrazia stessa. È d’altra parte convinzione abbastanza diffusa che non si possa prescindere da un minimo di valori morali riconosciuti e sanciti nella vita sociale; ma quando si tratta di determinarli attraverso il gioco del consenso che essi devono ottenere a livello sociale, la loro consistenza si riduce sempre più. Un unico valore sembra indiscusso e indiscutibile, fino a diventare il filtro di selezione per gli altri: il diritto della libertà individuale ad esprimersi senza imposizioni, almeno finché essa non leda il diritto altrui.

E così anche il diritto all’aborto viene invocato come parte costitutiva del diritto alla libertà per la donna, per l’uomo e per la società. La donna ha il diritto di continuare l’esercizio della sua professione, di salvaguardare la sua reputazione, di mantenere un certo regime di vita. L’uomo ha diritto di decidere del suo tenore di vita, di fare carriera, di godere del suo lavoro. La società ha il diritto di controllare il livello numerico della popolazione per garantire ai cittadini un benessere diffuso, attraverso l’equilibrata gestione delle risorse, della occupazione, ecc. tutti questi diritti sono reali e ben fondati. Nessuno nega che talvolta la situazione concreta di vita in cui matura la scelta dell’aborto può essere drammatica. Tuttavia il fatto è che l’esercizio di questi diritti reali viene rivendicato a detrimento della vita di un essere umano innocente, i cui diritti invece non vengono neppure presi in considerazione. Si diventa in tal modo ciechi di fronte al diritto alla vita di un altro, del più piccolo e del più debole, di chi non ha voce. I diritti di alcuni vengono affermati a scapito del fondamentale diritto alla vita di un altro. Ogni legalizzazione dell’aborto implica perciò l’idea che è la forza che fonda il diritto.

Così, inavvertitamente per i più, ma realmente, vengono minate le basi stesse di una autentica democrazia fondata sull’ordine della giustizia. Le Carte costituzionali dei Paesi occidentali, frutto di un complesso processo di maturazione culturale e di lotte secolari, sono basate sull’idea di un ordine di giustizia, sulla coscienza di una fondamentale eguaglianza di tutti nella comune umanità. Esse esprimono in pari tempo la consapevolezza della profonda iniquità che vi è nel far prevalere gli interessi reali, ma secondari, di alcuni suoi diritti fondamentali di altri. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata da quasi tutti i Paesi del mondo nel 1948, dopo la terribile prova della seconda guerra mondiale, esprime pienamente, perfino nel suo titolo, la consapevolezza che i diritti umani (di cui il fondamentale è appunto il diritto alla vita) appartengono all’uomo per natura, che lo Stato li riconosce, ma non li conferisce, che essi spettano a tutti gli uomini in quanto uomini e non per altre loro caratteristiche secondarie, che altri avrebbero il diritto di determinare a loro arbitrio. Si capisce allora come uno stato, che si arroghi la prerogativa di definire chi è o chi non è soggetto di diritti, che di conseguenza riconosca ad alcuni il potere di violare il fondamentale diritto alla vita di altri, contraddice l’ideale democratico, al quale pure continua a richiamarsi e mina le stesse basi su cui si regge. Accettando infatti che si violino i diritti del più debole, esso accetta anche che il diritto della forza prevalga sulla forza del diritto.

Ma oltre al problema giuridico, ad un livello più fondamentale, sta il problema morale, che passa attraverso il cuore di ciascuno di noi, in quella interiorità recondita dove la libertà si decide per il bene o per il male. Dicevo poco fa che, nella decisione per l’aborto, vi è necessariamente un momento in cui si accetta di diventare ciechi di fronte al diritto alla vita del piccolo appena concepito. Il dramma morale, la decisione per il bene o per il male, comincia dallo sguardo, dalla scelta di guardare il volto dell’altro o meno. Perché oggi si rifiuta quasi unanimemente l’infanticidio, mentre si è diventati quasi insensibili all’aborto? Forse solo perché nell’aborto non si vede il volto di chi verrà condannato a non vedere mai la luce. Molti psicologi hanno rilevato che nelle donne che vogliono abortire vengono represse le fantasie spontanee di una mamma in attesa, che dà un nome al figlio, che se ne immagina il volto e il futuro.
...E proprio queste fantasie rimosse o represse ritornano poi spesso come sensi di colpa irrisolti a tormentare la coscienza.

Il volto dell’altro è carico di un appello alla mia libertà, perché lo accolga e ne prenda cura, perché affermi il suo valore in sé stesso e non nella misura in cui viene a coincidere con un mio interesse. La verità morale, come verità del valore unico e irripetibile della persona, fatta ad immagine di Dio, è una verità carica di esigenza per la mia libertà. Decidere di guardarla in faccia è decidere di convertirmi, di lasciarmi interpellare, di uscire da me e di fare spazio all’altro. Pertanto anche l’evidenza del valore morale dipende in buona parte da una segreta decisione della libertà, che accetta di vedere e perciò di essere provocata e di cambiare.

Nella sua prefazione al noto libro del biologo francese Jacques Testart, L’oeuf transparent, il filosofo Michel Serres (apparentemente un non credente), affrontando la questione del rispetto dovuto all’embrione umano, si pone la domanda: «Chi è l’uomo?». Egli rileva che non vi sono risposte univoche e veramente soddisfacenti nella filosofia e nella cultura. Tuttavia egli nota che noi, pur non avendo una definizione teorica precisa dell’uomo, comunque nell’esperienza della vita concreta chi sia l’uomo lo sappiamo bene. Lo sappiamo soprattutto quando ci troviamo di fronte a chi soffre, a chi è vittima del potere, a chi è indifeso e condannato a morte: «Ecce homo!».

Sì, questo non credente riporta proprio la frase il Pilato, che aveva tutto il potere, davanti a Gesù, spogliato flagellato, coronato di spine e oramai condannato alla croce. Chi è l’uomo? È proprio il più debole e indifeso, colui che non ha né potere né voce per difendersi, colui al quale possiamo passare accanto nella vita facendo finta di non vederlo. Colui al quale possiamo chiudere il nostro cuore e dire che non è mai esistito. E così ritorna alla memoria un’altra pagina evangelica, che voleva rispondere a una simile richiesta di definizione: «Chi è il mio prossimo?». Sappiamo che per riconoscere chi è il nostro prossimo occorre accettare di farsi prossimo, cioè fermarsi, scendere da cavallo, avvicinarsi a colui che ha bisogno, prendersi cura di lui. «Ciò che avrete fatto al più piccolo di questi miei fratelli lo avrete fatto a me». (Mt. 25c40). (...). Come è possibile all’uomo questo sguardo capace nello stesso tempo di cogliere e rispettare la dignità dell’altra persona e di garantirgli la propria?

Il dramma del nostro tempo consiste proprio nell’incapacità di guardarci così, per cui lo sguardo dell’altro diventa una minaccia da cui difenderci. In realtà la morale vive sempre inscritta in un più ampio orizzonte religioso, che ne costituisce il respiro e l’ambito vitale. Fuori di questo ambito essa diventa asfittica e formale, si indebolisce e poi muore. Il riconoscimento etico della sacralità della vita e l’impegno per il suo rispetto hanno bisogno della fede nella creazione, come loro orizzonte. Così come un bambino può aprirsi con fiducia all’amore se si sa amato e può svilupparsi e crescere se si sa seguito dallo sguardo di amore dei suoi genitori, allo stesso modo anche noi riusciamo a guardare gli altri nel rispetto della loro dignità di persone se facciamo esperienza dello sguardo di amore di Dio su di noi, che ci rivela quanto è preziosa la nostra persona. «E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza... E Dio vide quanto aveva fatto: ed ecco, era cosa molto buona». (Gen. 1, 26.31).

Il cristianesimo è quella memoria dello sguardo di amore del Signore sull’uomo, nel quale sono custoditi la sua piena verità e la garanzia ultima della sua dignità. Il mistero del Natale ci ricorda che nel Cristo che nasce, ogni vita umana, fin dal suo primo inizio, è definitivamente benedetta e accolta dallo sguardo della misericordia di Dio. I cristiani sanno questo e stanno con la propria vita sotto questo sguardo di amore; ricevono con ciò stesso un messaggio che è essenziale per la vita e il futuro dell’uomo. Allora essi possono assumere oggi con umiltà e fierezza il lieto annunzio della fede, senza del quale l’esistenza umana non sussiste a lungo. In questo compito di annuncio della dignità dell’uomo e dei doveri di rispetto della vita che ne conseguono, essi saranno probabilmente derisi e odiati, ma il mondo non potrebbe vivere senza di loro.

Vorrei concludere con le stupende parole dell’antica lettera a Diogneto, nella quale si descrive l’insostituibile missione dei cristiani nel mondo: «I cristiani, infatti, non sono distinti dagli altri uomini né per territorio, né per lingua né per modi di vivere (...). Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, ed adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno esempio di una loro forma di vita sociale meravigliosa e che – a confessione di tutti – ha dell’incredibile. Abitano la loro rispettiva patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti gli oneri come cittadini e sopportano tutto come stranieri. Ogni terra straniera è patria per loro e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti gli altri ed hanno figli, ma non espongono i neonati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati (...). Per dirla in una parola, i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. (...). L’anima ama la carne, che la odia, e le membra: anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa stessa sostiene il corpo: anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. (...) Tanto alto è il posto che ad essi assegnò Dio, né è loro lecito abbandonarlo».

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Il testo che riportiamo in questa pagina ripropone ampi stralci dalla relazione tenuta dall’allora cardinale Ratzinger al termine del convegno – organizzato dal Movimento per la Vita Italiano – su «Il diritto alla vita e l’Europa», svoltosi a Roma il 18 e 19 dicembre 1987. Quel convegno può considerarsi un contributo che – collocato nella più generale riflessione europea sullo statuto giuridico dell’embrione – si connette alle due importanti risoluzioni del Parlamento europeo (16 marzo 1989) sui problemi etici e giuridici della fecondazione artificiale umana e dell’ingegneria genetica. In tali risoluzioni, è bene ricordarlo, si affermano il diritto alla vita, alla famiglia e all’identità genetica dell’essere umano concepito. Non sembra un caso che quel convegno dell’87 venisse aperto da un’udienza di Giovanni Paolo II nella quale i convegnisti si sentirono dire: «Voi lavorate per restituire all’Europa la sua vera dignità: quella di essere il luogo dove la persona, ogni persona, è accolta nella sua incomparabile dignità». E non sembra oggi un caso che quel convegno fosse chiuso dalle splendide parole di Ratzinger che ora, divenuto Papa, ha assunto come nome quello di Benedetto: il santo patrono d’Europa.

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Fonte: Avvenire (http://www.impegnoreferendum.it/Documenti/20050423.htm)

Augustinus
03-05-05, 23:18
I «REFERENDUM» SULLA PROCREAZIONE «IN VITRO»

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 45 del 13 gennaio 2005 ha dichiarato inammissibile il referendum con il quale si chiedeva l’abrogazione dell’intera legge n. 40 del 19 febbraio 20041 contenente «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». Con le sentenze nn. 46, 47, 48, 49, sempre del 13 gennaio scorso, ha invece dichiarato ammissibili i quattro quesiti parzialmente abrogativi di singole disposizioni della stessa legge. Esaminiamoli in breve.

Le decisioni della Corte Costituzionale

La Corte ricorda innanzitutto che, quando è chiamata a giudicare l’ammissibilità di richieste referendarie, deve seguire indicazioni specifiche e autonome nei confronti degli altri giudizi riservati ad essa, in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi. Quindi le sentenze relative all’ammissibilità dei referendum non riguardano in alcun modo la legittimità costituzionale delle norme di cui si chiede l’abrogazione, che eventualmente saranno esaminate in seguito ad altre richieste di giudizio.

Il referendum n. 1 con il quale si chiedeva la totale abrogazione della Legge 40/2004 non è stato ammesso dalla Corte Costituzionale perché tale Legge coinvolge una normativa che è «costituzionalmente necessaria»: infatti «si tratta della prima legislazione organica relativa a un delicato settore, che negli anni recenti ha conosciuto uno sviluppo correlato a quello della ricerca e delle tecniche mediche, e che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali». In particolare, sostiene la Corte, «la sentenza n. 49 del 2000 ha affermato che le “leggi costituzionalmente necessarie”, “in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento”». In altre parole, non è possibile ammettere l’abrogazione totale della Legge 40, poiché si cadrebbe in un vuoto legislativo riguardante valori costituzionalmente protetti.

Gli altri quesiti referendari — il n. 2 «Limite alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni»; il n. 3 «Norme sui limiti all’accesso»; il n. 4 «Norme sulle finalità, sui diritti dei soggetti coinvolti e sui limiti all’accesso»; il n. 5 «Ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo» — sono stati dichiarati ammissibili, poiché le norme di cui si chiede l’abrogazione non riguardano le leggi per le quali l’art. 75, secondo comma2, della Costituzione esclude il referendum, né quelle altre da ritenersi escluse secondo l’interpretazione che di tale norma ha dato già in passato la Corte. Inoltre i quesiti rispondono alle esigenze più volte enunciate dalla Corte: nella valutazione dei giudici costituzionali ogni interrogativo esaminato presenta i caratteri della omogeneità e della non contraddittorietà e non ha carattere manipolativo, tendendo soltanto all’abrogazione.

In particolare, circa il quesito n. 4, la Corte osserva che «per quanto riguarda l’art. 1 della legge, di cui si propone l’abrogazione totale, e quindi anche nella parte in cui afferma che la legge “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”, è sufficiente osservare che la norma presenta per tale ultimo aspetto un contenuto meramente enunciativo, dovendosi ricavare la tutela di tutti i soggetti coinvolti e, quindi, anche del concepito, dal complesso delle altre disposizioni della legge. La eventuale abrogazione di tale ultima parte dell’art. 1 non incontra, pertanto, ostacoli di ordine costituzionale».

I «referendum»

Prima dell’estate si svolgeranno, in una data di prossima determinazione da parte del Governo, le votazioni sui quattro quesiti referendari ammessi, poiché il referendum che chiedeva la totale abrogazione della legge 40/2004 — come abbiamo detto — è stato dichiarato inammissibile. È risaputo che le norme contenute in questa legge costituiscono il tentativo del legislatore italiano di cominciare a mettere un po’ di ordine in un settore, quello della procreazione in vitro, nel quale, nonostante lo sviluppo del «mercato», sino a oggi non si era riusciti a introdurre nessuna normativa. I quesiti che chiedono l’abrogazione di alcune norme di questa legge presuppongono l’accettazione o il rifiuto di alcune premesse etiche estremamente importanti, riguardanti soprattutto le conclusioni scientifiche sull’embrione, considerato o meno un essere umano e, di conseguenza, possibile strumento per altri fini (ricerca, manipolazione…) o fine esso stesso e quindi da rispettare come tale.

Oggi alcuni distinguono tra organismo e persona3, attribuendo all’organismo caratteristiche di mera capacità fisica e riservando alla persona le qualità spirituali e i diritti dell’individuo umano. Tale distinzione nega il diritto legale alla vita all’organismo umano nei primi stadi, affermando che l’embrione è un mero grumo di materia vivente indifferenziata e indefinita. Tutto ciò allo scopo di rendere giuridicamente lecito l’aborto e le manipolazioni dell’embrione a fini di ricerca. I favorevoli a tale liceità hanno rivolto l’attenzione agli stadi più precoci dell’embriogenesi, affermando che, immediatamente dopo la fecondazione, esiste un intervallo di tempo in cui l’uovo fecondato non è ancora definibile come titolare di diritto alla vita.

Ora va detto, come ci insegnano i genetisti, che, dopo che lo spermatozoo è penetrato nell’ovulo, i due gameti non stanno semplicemente giustapposti come entità autonome in un unico involucro, in attesa di un qualche evento esterno che ne inneschi e indirizzi l’attività. Essi già cooperano autonomamente e unitariamente con un metabolismo integrato, senza ulteriori apporti esterni di informazione genetica, e grazie a questa intrinseca capacità realizzano la progressione degli eventi successivi. Si può allora legittimamente ritenere che l’embrione sia considerato un essere umano autonomo, titolare di diritti e bisognoso di difesa, come soggetto debole.

In proposito vogliamo riprendere un passo di un intervento di Barbara Spinelli, che non condivide molte posizioni dei cattolici, la quale però afferma: «Nel momento in cui il seme maschile feconda l’ovulo femminile dà vita a un ente che non appartiene né alla madre, né al padre, né tanto meno al potere scientifico. Dà vita a un Terzo, che non è proprietà di nessuno e ha dunque già un attributo della soggettività giuridica: l’inalienabilità. Il Terzo Venuto non è ancora uomo, dicono alcuni: o perché non ha autoconsapevolezza poiché non ha né autonomia né un sistema nervoso centrale (tesi di Giovanni Sartori). Altri, come il filosofo Severino, affermano che l’uomo in potenza di Aristotele ha in sé anche la potenza di non divenire uomo. Ma il Terzo Venuto ha una sua radicale alterità, e questo suo venire resta un mistero che impone il rispetto, così come si esige il rispetto del neonato o del malato mentale privi di autoconsapevolezza. […] La domanda su come comportarsi eticamente di fronte al mistero esula dalla biologia e dalla scienza, ma non dall’individuale coscienza di cittadini e politici, ai quali viene chiesto di pronunciarsi non solo sull’essere ma anche sul dover essere. […] Sgreccia, pieno di dubbi come dice di essere proprio per aver esaminato le più recenti scoperte scientifiche, appare infinitamente meno dogmatico di tanti laici che hanno una fede ottimistica nella rivoluzione antropologica suscitata dalla scienza. Non so se l’embrione abbia l’anima, ma di certo gli scienziati sospettano l’esistenza di una persona potenziale, dice Sgreccia. In questo dubbio viviamo, e aggirarlo non ci è permesso. “Nel dubbio” meglio considerare l’embrione come se fosse una persona e non ucciderlo. Difficile essere contrari: fra 50 anni sapremo forse che il dubbio aveva ragion d’essere e si proverà rimorso o dolore, per la facilità con cui si sono fatti esperimenti e manipolazioni»4. In fondo, potremmo aggiungere, nel dubbio è possibile invocare laicamente almeno il principio di precauzione5, a cui con facilità ci si appella per problemi molto meno importanti.

Passando ai singoli quesiti — come al solito, a causa della necessaria formulazione tecnica, lunghi, complessi e spesso incomprensibili al cittadino comune — va detto che il primo referendum sottoposto agli elettori, in sintesi, chiede di poter ampliare la possibilità della ricerca sperimentale sugli embrioni, per produrre cellule staminali embrionali (clonazione) in vista di possibili applicazioni terapeutiche. Qui il diniego a tale possibilità, oltre che dalle gravi motivazioni etiche a cui abbiamo accennato (si «crea» un embrione per poterne trarre le cellule staminali), è dettato anche dall’indirizzo della ricerca, che si sta ormai avviando piuttosto all’utilizzo delle cellule staminali prelevate da adulti o dal sangue del cordone ombelicale, sia per il minor costo di una tale prassi sia per evitare i rischi dovuti al possibile rigetto determinato dal trapianto di cellule provenienti da altro soggetto.

Il secondo quesito referendario rivolto ai cittadini ha come obiettivo di consentire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche per finalità diverse dalla soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità, ad esempio da parte di portatori di geni patogeni trasmissibili al concepito; vuole pure far sì che si possa revocare il consenso dato dai soggetti interessati, anche dopo la fecondazione dell’ovulo6 (con le immaginabili conseguenze sull’embrione, aggiungiamo noi); vuole permettere più ampi interventi sull’embrione; vuole permettere la crioconservazione degli embrioni in ogni caso in cui non risulti possibile il trasferimento degli embrioni nell’utero, anche perché vuole consentire la creazione di un numero di embrioni superiore a quello necessario a un unico e contemporaneo impianto e comunque superiore a tre, come invece prevede la legge. Si tratta di indicazioni che si scontrano apertamente con il rispetto dell’embrione, almeno considerato come titolare di diritti e non semplice mezzo per raggiungere altri fini.

Il terzo quesito referendario si propone di consentire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche per finalità diverse dalla soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità, eliminando, fra l’altro, attraverso l’integrale abrogazione dell’art. 1 della Legge 40, l’enunciazione della finalità di tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito; le altre abrogazioni ripetono in gran parte i testi del secondo quesito.

L’ultimo quesito chiede l’abrogazione del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Qui va precisato che il divieto di fecondazione eterologa — che si vorrebbe abolire — accomuna tre ipotesi diverse tra loro: la fecondazione della donna con seme maschile di soggetto diverso dal partner, quella di impianto di ovulo di donna diversa fecondato con seme del partner e quella con impianto di ovulo di donna diversa fecondato con seme di terzo. Non si può non rilevare come alcune legislazioni ampiamente permissive in tema di procreazione medicalmente assistita — come quelle della Germania, dell’Austria e della Norvegia — ammettono la fecondazione eterologa con seme di donatori, ma non quella con ovocita di donatrice, poiché non si conoscono le conseguenze, specialmente sull’equilibrio psicofisico del nascituro, del fatto che il patrimonio genetico del concepito non abbia nulla a che vedere con quello della gestante. In Gran Bretagna poi, dove la fecondazione eterologa è permessa da 15 anni, la Human Fertilisation and Embriology Authority, la Commissione bioetica britannica, ha fatto marcia indietro, inviando al Parlamento un parere in cui si chiede che d’ora in poi il nome del genitore «naturale» del bambino proveniente da una fecondazione eterologa gli sia comunicato al compimento del diciottesimo anno, perché ogni figlio ha il diritto di conoscere il proprio genitore. Tralasciamo le possibili conseguenze dell’abolizione del divieto di fecondazione eterologa sulle cosiddette «banche del seme», che facilmente potrebbero indurre alla scelta delle «caratteristiche» del «figlio»: intelligente, ultrasano e così via, secondo una precisa selezione. Con una tale fecondazione, oltre alle ovvie considerazioni etiche negative su tale pratica, si dà spazio senza limiti semplicemente al «desiderio» senza limiti dei genitori, con le conseguenze successive sui rapporti tra genitori e figlio.

Conclusione

Come risulta chiaro da quanto siamo venuti dicendo, siamo contrari alle modifiche alla Legge 40 proposte dai referendum. Premettiamo che una materia così delicata, complessa e con gravi implicazioni etiche — secondo noi — non è adatta ad essere sottoposta a referendum abrogativo, poiché si tratta di uno strumento che semplifica necessariamente, con un sì e un no, problemi che hanno invece bisogno di sì,ma e di no,ma, cioè di tante distinzioni, riflessioni, confronti per risolvere i dubbi. Quindi riteniamo che la prima scorrettezza etica e politica sia il ricorso a uno strumento inadeguato per affrontare problemi di tal genere.

Da un punto di vista strettamente di politica legislativa sarebbe stato inoltre auspicabile attendere che passasse un adeguato periodo di tempo di vigore della legge per valutarne con cognizione di causa pregi e difetti alla luce dell’esperienza, e così, spogliandosi per quanto possibile dei numerosi pregiudizi ideologici esistenti su questi problemi, apportare eventuali modifiche migliorative dettate dal bene dei soggetti coinvolti e da quello della società.

Va rifiutato poi con nettezza il tentativo di dividere ancora, nel terzo millennio, il Paese tra laici e cattolici: fra l’altro i problemi coinvolti nei referendum sono tanto delicati, complessi, con conseguenze importanti sul futuro (la riprova è, fra l’altro, il cambiamento di legislazione che lentamente sta avvenendo in altri Paesi che da anni seguono le indicazioni proposte dai quesiti referendari) che di tutto c’è bisogno tranne che di una inutile divisione tra componenti del Paese che dovrebbero tentare di trovare alcuni punti di convergenza sulle questioni più importanti. In proposito e per l’ennesima volta ci sembra doveroso ripetere che la Legge 40 non è una legge «cattolica» e che i cattolici che intendono rispettare i dettami del Magistero non dovrebbero farvi ricorso. I cattolici, e non da soli, difendono la Legge 40 perché hanno a cuore il bene del Paese e ritengono peggiorativi i tentativi di modificarla proposti con i referendum, i quali non rispettano i diritti di un soggetto debole, che pochi difendono e molti invece vogliono utilizzare per altri fini.

La propaganda dei sostenitori dei referendum afferma con toni da «crociata» che coloro che si oppongono alle modifiche alla Legge 40 hanno atteggiamenti «medievali» contrari al progresso della ricerca scientifica, anzi essi sarebbero contrari alla prossima «guarigione» dei malati delle più diverse e gravi patologie: Alzheimer, Parkinson, sclerosi e così via. Dovrebbe essere superfluo osservare invece che i toni da crociata non aiutano nessuno e squalificano coloro che se ne fanno portatori strumentali. La ricerca scientifica va appoggiata, favorita e finanziata, ma le vie che deve seguire non dovrebbero essere dettate soltanto — come accade spesso in medicina — dalle case farmaceutiche tese solamente alla ricerca del maggior profitto possibile o da altri potentati economici, che mettono all’ultimo posto le esigenze dei pazienti e, in questo caso, rincorrono il desiderio delle coppie di un figlio proprio a qualsiasi prezzo.

A questo punto quale posizione assumere al momento del voto? Qui va fatta chiarezza: quando in una votazione referendaria il quorum di coloro che si recano alle urne è elemento determinante per la valutazione dei risultati7, le opzioni di voto, come affermano numerosi costituzionalisti, non sono tre — sì o no o scheda bianca ai quesiti —, ma quattro: sì, no, scheda bianca (che contribuisce come espressione di voto al quorum) o non recarsi alle urne per non far raggiungere il quorum del 50% + 1 dei votanti. Infatti la normativa di cui si chiede l’abrogazione è stata approvata dalla maggioranza dei parlamentari, che esprimono i consensi della maggioranza del Paese. È compito di coloro che vogliono abrogare la normativa approvata dimostrare che la maggioranza dei parlamentari che ha approvato la Legge non interpretava in quel momento la volontà della maggioranza del Paese, tentando di portare alle urne un numero di votanti superiore alla metà degli elettori. Ecco perché sono — spesso inconsapevolmente, ma certo non sempre — strumentali gli inviti a recarsi alle urne per votare no o le accuse, rivolte a coloro che si schierano a favore del non voto, di fuga, di scarsa democraticità, di rifiuto di partecipazione e così via. L’auspicio, difficile da ottenere, è che la campagna referendaria si svolga con toni pacati, informando i cittadini — oggi ancora in massima parte ignari dei problemi coinvolti — sul merito dei quesiti e creando le condizioni affinché nell’informazione le differenti posizioni abbiano lo stesso spazio e gli interlocutori si trattino con rispetto reciproco.

Anche il presidente della CEI, card. Camillo Ruini, nella Prolusione letta all’inizio della riunione del Consiglio Permanente il 7 marzo scorso, ha sottolineato: «È chiaro il senso dell’indicazione di non partecipare al voto: non si tratta in alcun modo di una scelta di disimpegno, ma di opporsi nella maniera più forte ed efficace ai contenuti del referendum e alla stessa applicazione dello strumento referendario in materia di tale complessità. In concreto è necessaria la più grande compattezza [...] per non favorire, sia pure involontariamente, il disegno referendario». Ci auguriamo perciò che la maggioranza degli italiani non vada alle urne quando si svolgeranno le votazioni referendarie.

Michele Simone S.I.

1 Cfr M. SIMONE, «La Legge sulle fecondazione “in vitro”», in Civ. Catt. 2004 I 179-183.

2 L’art. 75, secondo comma, della Costituzione recita: «Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali».

3 La distinzione — secondo noi errata — pone a confronto due concetti non confrontabili, poiché il primo (organismo) è concetto scientifico e il secondo (persona) è concetto filosofico e giuridico.

4 In La Stampa, 8 marzo 2005.

5 Il principio di precauzione, in genere invocato dagli ecologisti, considera l’incertezza sulle conseguenze dell’introduzione di una nuova tecnologia o l’applicazione di un nuovo metodo scientifico. Il principio si fonda sulla constatazione che nessuno scienziato è in grado di predire esattamente il futuro o di valutare tutte le conseguenze in un’ottica globale. Nel nostro caso esso spinge a rispettare l’embrione, perché — come abbiamo detto — appartiene alla specie umana, è cioè un soggetto umano.

6 L’art. 6, terzo comma, della Legge 40/2004 prevede che la volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia espressa per iscritto e possa essere revocata «fino al momento della fecondazione dell’ovulo». Il quesito chiede l’abrogazione di quest’ultima espressione, in modo che il consenso possa essere ritirato anche quando la fecondazione in vitro è già avvenuta.

7 La riprova di questa tesi è l’esistenza di referendum nei quali il quorum dei votanti non è determinante per la valutazione dei risultati.

Fonte:
Civiltà cattolica, quaderno 3714 del 19 marzo 2005 - riprodotto in Avvenire (http://www.impegnoreferendum.it/Documenti/20050319.htm)

Augustinus
04-05-05, 14:37
Contro l'astensionismo della Cei «Io "prete di strada" andrò a votare»

Castalda Musacchio

La replica ai vescovi dei rappresentanti di una "chiesa" che ha scelto l'impegno. Don Gallo: «Rispettare il primato della coscienza è dottrina certa. Chi dice il contrario è eretico». Don Vitaliano: «Si delegittima il referendum»

C'è "Chiesa" e "chiesa". C'è la chiesa di Ruini e una "minore", di strada, sempre nel mirino della burocrazia ecclesiastica, quella con la c minuscola. Ma è una chiesa che ha scelto l'impegno a rischio della scomunica. Ed è questa che abbiamo voluto ascoltare su una questione etica, morale, personale, su una scelta trasversale, il referendum sulla fecondazione assistita, che di fatto - come non manca di notare don Andrea Gallo dell'associazione comunità San Benedetto al Porto - «obbliga a una discussione, a un dibattito» che i vescovi al contrario vogliono a tutti i costi mettere a tacere.

Ieri la Cei ha rinnovato l'invito del cardinale Ruini all'astensione dalla consultazione referendaria sulla modifica della legge 40. Una posizione netta e riconfermata.

La Cei - si legge in una nota - riconosce «la legittimità e la validità della scelta di non partecipare al voto referendario, al fine di impedire, nel modo più chiaro, ogni tentativo di peggioramento della legge». E monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della conferenza episcopale italiana, riflette anche sul significato del referendum. «Nel caso del referendum - ha dichiarato ieri - è la legge che chiede che ci sia un numero sufficiente di votanti per dare significato a quella votazione, cioè è la legge che chiede che ci sia un numero sufficiente di votanti per dare significato a quella votazione, cioè è la legge stessa che prevede l'astensione come un modo di espressione». Ma lasciamo parlare loro che amano definirsi "preti di strada".

«Io - relica don Gallo - amo la mia chiesa, ma su questo referendum non capisco che posizione assume. Non ho nessun dubbio, nessuna remora a dire che sono un umile sacerdote ma vengo da lontano, ho fatto la resistenza e difeso la Costituzione, e penso che il diritto al voto, da vecchio cattolico, è talmente importante che si pone al di là di tutte le discussioni. Vado per le strade e parlo con la gente. E la gente discute, si chiede, si interroga. Perciò cerco di riflettere sui richiami che i vescovi hanno lanciato, ma dico che non mi hanno affatto convinto. E' necessario un rispetto laico. E il legislatore, è vero, ha messo il limite del quorum su un istituto come quello referendario, ma per stimolare i cittadini ad andare a votare a esercitare un diritto che è una grande scelta democratica. E si può votare sì o no o lasciare la scheda bianca. Che la Cei abbia fatto questa scelta, a me fa pensare. E non comprendo neppure questo impegno massiccio, tutta questa mobilitazione per l'astensione, diffusa attraverso tutti i settimanali cattolici. Oltretutto io che sono l'ultimo prete della storia conosco la dottrina della chiesa e, ripeto, amo la mia chiesa, ma faccio anche notare che rispettare il primato della coscienza personale è dottrina certa. E chi dice il contrario è eretico. Stimolare un'etica della personalità è il primo impegno della chiesa. Perché scegliere una strada diversa?».

«L'astensione? - aggiunge don Vitaliano della Sala - Certo è una scelta legittima. Ma diverso è il caso in cui sia un elettore a scegliere di non andare a votare. Altra cosa è che Ruini, che non rappresenta un partito, inviti a non farlo. Visto che riveste una sua autorità, visto che è il presidente della conferenza episcopale. Obbligare tutti i cattolici all'astensione? Mi sembra una scelta che, al di là delle questioni etiche, dimostra per lo meno poco senso civico. Inoltre il rischio evidente è quello di delegittimare un istituto democratico come quello referendario». La parola? Alle urne.

Fonte: Liberazione 16 marzo 2005 (http://esteri.rifondazione.co.uk/Notizie05/03marzo05/05M0898.htm)

Augustinus
04-05-05, 14:47
Questi falsi preti, veri lupi rapaci, travestiti da pecore, nel gregge del Signore, sono di per sè fuori dell'ortodossia e, dunque, sebbene (non ancora) formalmente, di fatto sono fuori della Chiesa, poichè il loro sentire non è il sentire della Chiesa.
Come metro per valutare occorre tener bene a mente le sante regole fissate dal grande S. Ignazio di Loyola:

Prima regola. Messo da parte ogni giudizio proprio, dobbiamo avere l'animo disposto e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica.
...
Tredicesima regola. Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica. Infatti noi crediamo che lo Spirito che ci governa e che guida le nostre anime alla salvezza è lo stesso in Cristo nostro Signore, lo sposo, e nella Chiesa sua sposa; poiché la nostra santa madre Chiesa è guidata e governata dallo stesso Spirito e Signore nostro che diede i dieci comandamenti. (Gli esercizi spirituali, nn. 353 e 365).

Questa è la linea di questo sottoforum. ;)

Thomas Aquinas
05-05-05, 15:46
Tredicesima regola. Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica. Infatti noi crediamo che lo Spirito che ci governa e che guida le nostre anime alla salvezza è lo stesso in Cristo nostro Signore, lo sposo, e nella Chiesa sua sposa; poiché la nostra santa madre Chiesa è guidata e governata dallo stesso Spirito e Signore nostro che diede i dieci comandamenti. (Gli esercizi spirituali, nn. 353 e 365).

Andrebbe spiegato ai sedevacantisti.

Augustinus
05-05-05, 17:25
Originally posted by Thomas Aquinas
Andrebbe spiegato ai sedevacantisti.

Già ... ma anche (e SOPRATTUTTO) ai tanti che si dicono cattolici e pur non ossequiano il Magistero della Chiesa, ritenendo che la Chiesa non possa indicare delle condotte o dare insegnamenti in tema di etica e morale. ;) ;)

Augustinus
10-06-05, 20:36
In rilievo :)

Augustinus
10-06-05, 20:42
Esso referendum voluto da radicali e sinistra essenzialmente si pone il problema di abolire quelle norme che impedirebbero la ricerca sulle cellule staminali così come quelle disposizioni che limiterebbero il numero di impianti e "bloccherebbero" la ricerca scientifica.
In verità, va precisato che tutti gli esperimenti realizzati (compreso quello di Pavia, di cui hanno parlato i giornali) riguardavano cellule staminali prelevate dal midollo e, quindi, adulte. Non già embrionali. Nessuna evidenza scientifica ha dimostrato l'utilità di produzione di cellule staminali da embrioni.
Anzi, per la verità, non è detto che gli embrioni crioconservati abbiano conservato le caratteristiche che li renderebbero adatti alla ricerca.
L’altro punto su cui solitamente si insiste riguarda la salute della donna. Il divieto di impianto di non più di tre tutela la salute della donna e del feto perché impedisce che si possano formare parti plurigemellari assai rischiosi per erntrmabi i soggetti coinvolti. Parimenti, un impianto limitato di embrioni impedisce che alla donna siano somministrate sostanze ormonali in grande quantità. E ciò ulteriomente tutela la sua salute.
L’altro punto in discussione è la fecondazione eterologa. Ma anche questo punto non convince. In un momento, infatti, in cui la ricerca punta sulla ricostruzione genetica della famiglia, la fecondazione eterologa sarebbe un disastro perché insinua nella coppia soggetti che non appartengono alla famiglia, ma soprattutto apre al strada ad un contenzioso senza fine, poiché si porrebbe il problema se non sia possibile per il figlio sapere chi sia il padre e per il padre di disconoscere un figlio che non è proprio. Insomma, in termine di costi sociali questa opzione costituisce un autentico danno.
Ecco le buone ragioni per non recarsi a votare il prossimo 12-13 giugno. :) :) :)

Augustinus
10-06-05, 21:09
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

ALL’APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE
DELLA DIOCESI DI ROMA SU FAMIGLIA E COMUNITÀ CRISTIANA

Basilica di San Giovanni in Laterano
Lunedì, 6 giugno 2005

Cari fratelli e sorelle,

ho accolto molto volentieri l’invito a introdurre con una mia riflessione questo nostro Convegno Diocesano, anzitutto perché ciò mi dà la possibilità di incontrarvi, di avere un contatto diretto con voi, e poi anche perché posso aiutarvi ad approfondire il senso e lo scopo del cammino pastorale che la Chiesa di Roma sta percorrendo.

Saluto con affetto ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, e in particolare voi laici e famiglie che assumete consapevolmente quei compiti di impegno e testimonianza cristiana che hanno la loro radice nel sacramento del battesimo e, per coloro che sono sposati, in quello del matrimonio. Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario e i coniugi Luca e Adriana Pasquale per le parole che mi hanno rivolto a nome di voi tutti.

Questo Convegno, e l’anno pastorale di cui esso fornirà le linee guida, costituiscono una nuova tappa del percorso che la Chiesa di Roma ha iniziato, sulla base del Sinodo diocesano, con la Missione cittadina voluta dal nostro tanto amato Papa Giovanni Paolo II, in preparazione al Grande Giubileo del 2000. In quella Missione tutte le realtà della nostra Diocesi - parrocchie, comunità religiose, associazioni e movimenti - si sono mobilitate, non solo per una missione al popolo di Roma, ma per essere esse stesse "popolo di Dio in missione", mettendo in pratica la felice espressione di Giovanni Paolo II "parrocchia, cerca te stessa e trova te stessa fuori di te stessa": nei luoghi cioè nei quali la gente vive. Così, nel corso della Missione cittadina, molte migliaia di cristiani di Roma, in gran parte laici, si sono fatti missionari e hanno portato la parola della fede dapprima nelle famiglie dei vari quartieri della città e poi nei diversi luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle scuole e nelle università, negli spazi della cultura e del tempo libero.

Dopo l’Anno Santo, il mio amato Predecessore vi ha chiesto di non interrompere questo cammino e di non disperdere le energie apostoliche suscitate e i frutti di grazia raccolti. Perciò, a partire dal 2001, il fondamentale indirizzo pastorale della Diocesi è stato quello di dare forma permanente alla missione, caratterizzando in senso più decisamente missionario la vita e le attività delle parrocchie e di ogni altra realtà ecclesiale. Voglio dirvi anzitutto che intendo confermare pienamente questa scelta: essa infatti si rivela sempre più necessaria e senza alternative, in un contesto sociale e culturale nel quale sono all’opera forze molteplici che tendono ad allontanarci dalla fede e dalla vita cristiana.

Da ormai due anni l’impegno missionario della Chiesa di Roma si è concentrato soprattutto sulla famiglia, non solo perché questa fondamentale realtà umana oggi è sottoposta a molteplici difficoltà e minacce e quindi ha particolare bisogno di essere evangelizzata e concretamente sostenuta, ma anche perché le famiglie cristiane costituiscono una risorsa decisiva per l’educazione alla fede, l’edificazione della Chiesa come comunione e la sua capacità di presenza missionaria nelle più diverse situazioni di vita, oltre che per fermentare in senso cristiano la cultura diffusa e le strutture sociali. Su queste linee proseguiremo anche nel prossimo anno pastorale e perciò il tema del nostro Convegno è "Famiglia e comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede".

Il presupposto dal quale occorre partire, per poter comprendere la missione della famiglia nella comunità cristiana e i suoi compiti di formazione della persona e trasmissione della fede, rimane sempre quello del significato che il matrimonio e la famiglia rivestono nel disegno di Dio, creatore e salvatore. Questo sarà dunque il nocciolo della mia riflessione di questa sera, richiamandomi all’insegnamento dell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio (Parte seconda, nn. 12-16).

Il fondamento antropologico della famiglia

Matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? cosa è l’uomo? E questa domanda, a sua volta, non può essere separata dall’ interrogativo su Dio: esiste Dio? e chi è Dio? qual è veramente il suo volto? La risposta della Bibbia a questi due quesiti è unitaria e consequenziale: l’uomo è creato ad immagine di Dio, e Dio stesso è amore. Perciò la vocazione all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio: egli diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama.

Da questa fondamentale connessione tra Dio e l’uomo ne consegue un’altra: la connessione indissolubile tra spirito e corpo: l’uomo è infatti anima che si esprime nel corpo e corpo che è vivificato da uno spirito immortale. Anche il corpo dell’uomo e della donna ha dunque, per così dire, un carattere teologico, non è semplicemente corpo, e ciò che è biologico nell’uomo non è soltanto biologico, ma è espressione e compimento della nostra umanità. Parimenti, la sessualità umana non sta accanto al nostro essere persona, ma appartiene ad esso. Solo quando la sessualità si è integrata nella persona, riesce a dare un senso a se stessa.

Così, dalle due connessioni, dell’uomo con Dio e nell’uomo del corpo con lo spirito, ne scaturisce una terza: quella tra persona e istituzione. La totalità dell’uomo include infatti la dimensione del tempo, e il "sì" dell’uomo è un andare oltre il momento presente: nella sua interezza, il "sì" significa "sempre", costituisce lo spazio della fedeltà. Solo all’interno di esso può crescere quella fede che dà un futuro e consente che i figli, frutto dell’amore, credano nell’uomo. La libertà del "sì" si rivela dunque libertà capace di assumere ciò che è definitivo: la più grande espressione della libertà non è allora la ricerca del piacere, senza mai giungere a una vera decisione; è invece la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa.

In concreto, il "sì" personale e reciproco dell’uomo e della donna dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e al tempo stesso è destinato al dono di una nuova vita. Perciò questo "sì" personale non può non essere un "sì" anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono la responsabilità pubblica della fedeltà. Nessuno di noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale.

Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il "matrimonio di prova", fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo. Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo. Il suo presupposto è che l’uomo può fare di sé ciò che vuole: il suo corpo diventa così una cosa secondaria dal punto di vista umano, da utilizzare come si vuole. Il libertinismo, che si fa passare per scoperta del corpo e del suo valore, è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo, collocandolo per così dire fuori dall’autentico essere e dignità della persona.

Matrimonio e famiglia nella storia della salvezza

La verità del matrimonio e della famiglia, che affonda le sue radici nella verità dell’uomo, ha trovato attuazione nella storia della salvezza, al cui centro sta la parola: "Dio ama il suo popolo". La rivelazione biblica, infatti, è anzitutto espressione di una storia d’amore, la storia dell’alleanza di Dio con gli uomini: perciò la storia dell’amore e dell’unione di un uomo ed una donna nell’alleanza del matrimonio ha potuto essere assunta da Dio quale simbolo della storia della salvezza. Il fatto inesprimibile, il mistero dell’amore di Dio per gli uomini, riceve la sua forma linguistica dal vocabolario del matrimonio e della famiglia, in positivo e in negativo: l’accostarsi di Dio al suo popolo viene presentato infatti nel linguaggio dell’amore sponsale, mentre l’infedeltà di Israele, la sua idolatria, è designata come adulterio e prostituzione.

Nel Nuovo Testamento Dio radicalizza il suo amore fino a divenire Egli stesso, nel suo Figlio, carne della nostra carne, vero uomo. In questo modo l’unione di Dio con l’uomo ha assunto la sua forma suprema, irreversibile e definitiva. E così viene tracciata anche per l’amore umano la sua forma definitiva, quel "sì" reciproco che non può essere revocato: essa non aliena l’uomo, ma lo libera dalle alienazioni della storia per riportarlo alla verità della creazione. La sacramentalità che il matrimonio assume in Cristo significa dunque che il dono della creazione è stato elevato a grazia di redenzione. La grazia di Cristo non si aggiunge dal di fuori alla natura dell’uomo, non le fa violenza, ma la libera e la restaura, proprio nell’innalzarla al di là dei suoi propri confini. E come l’incarnazione del Figlio di Dio rivela il suo vero significato nella croce, così l’amore umano autentico è donazione di sé, non può esistere se vuole sottrarsi alla croce.

Cari fratelli e sorelle, questo legame profondo tra Dio e l’uomo, tra l’amore di Dio e l’amore umano, trova conferma anche in alcune tendenze e sviluppi negativi, di cui tutti avvertiamo il peso. Lo svilimento dell’amore umano, la soppressione dell’autentica capacità di amare si rivela infatti, nel nostro tempo, l’ arma più adatta e più efficace per scacciare Dio dall’uomo, per allontanare Dio dallo sguardo e dal cuore dell’uomo. Analogamente, la volontà di "liberare" la natura da Dio conduce a perdere di vista la realtà stessa della natura, compresa la natura dell’uomo, riducendola a un insieme di funzioni, di cui disporre a piacimento per costruire un presunto mondo migliore e una presunta umanità più felice.

I figli

Anche nella generazione dei figli il matrimonio riflette il suo modello divino, l’amore di Dio per l’uomo. Nell’uomo e nella donna la paternità e la maternità, come il corpo e come l’amore, non si lasciano circoscrivere nel biologico: la vita viene data interamente solo quando con la nascita vengono dati anche l’amore e il senso che rendono possibile dire sì a questa vita. Proprio da qui diventa del tutto chiaro quanto sia contrario all’amore umano, alla vocazione profonda dell’uomo e della donna, chiudere sistematicamente la propria unione al dono della vita, e ancora più sopprimere o manomettere la vita che nasce.

Nessun uomo e nessuna donna, però, da soli e unicamente con le proprie forze, possono dare ai figli in maniera adeguata l ’amore e il senso della vita. Per poter infatti dire a qualcuno "la tua vita è buona, per quanto io non conosca il tuo futuro", occorrono un’autorità e una credibilità superiori a quello che l’individuo può darsi da solo. Il cristiano sa che questa autorità è conferita a quella famiglia più vasta che Dio, attraverso il Figlio suo Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, cioè alla Chiesa. Egli riconosce qui all’opera quell’amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente. Per questo motivo l’edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel contesto della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la porta con sé. E reciprocamente la Chiesa viene edificata dalle famiglia, "piccole Chiese domestiche", come le ha chiamate il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 11; Apostolicam actuositatem, 11), riscoprendo un’antica espressione patristica (San Giovanni Crisostomo, In Genesim serm. VI, 2; VII,1). Nel medesimo senso la Familiaris consortio afferma che "Il matrimonio cristiano… è il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa" (n. 14).

La famiglia e la Chiesa

Da tutto ciò scaturisce una conseguenza evidente: la famiglia e la Chiesa, in concreto le parrocchie e le altre forme di comunità ecclesiale, sono chiamate alla più stretta collaborazione per quel compito fondamentale che è costituito, inseparabilmente, dalla formazione della persona e dalla trasmissione della fede. Sappiamo bene che per un’autentica opera educativa non basta una teoria giusta o una dottrina da comunicare. C’è bisogno di qualcosa di molto più grande e umano, di quella vicinanza, quotidianamente vissuta, che è propria dell’amore e che trova il suo spazio più propizio anzitutto nella comunità familiare, ma poi anche in una parrocchia, o movimento o associazione ecclesiale, in cui si incontrino persone che si prendono cura dei fratelli, in particolare dei bambini e dei giovani, ma anche degli adulti, degli anziani, dei malati, delle stesse famiglie, perché, in Cristo, vogliono loro bene. Il grande Patrono degli educatori, San Giovanni Bosco, ricordava ai suoi figli spirituali che "l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone" (Epistolario, 4,209).

Centrale nell’opera educativa, e specialmente nell’educazione alla fede, che è il vertice della formazione della persona e il suo orizzonte più adeguato, è in concreto la figura del testimone: egli diventa punto di riferimento proprio in quanto sa rendere ragione della speranza che sostiene la sua vita (cfr 1 Pt 3,15), è personalmente coinvolto con la verità che propone. Il testimone, d’altra parte, non rimanda mai a se stesso, ma a qualcosa, o meglio a Qualcuno più grande di lui, che ha incontrato e di cui ha sperimentato l’affidabile bontà. Così ogni educatore e testimone trova il suo modello insuperabile in Gesù Cristo, il grande testimone del Padre, che non diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato (cfr Gv 8,28).

Questo è il motivo per il quale alla base della formazione della persona cristiana e della trasmissione della fede sta necessariamente la preghiera, l’amicizia con Cristo e la contemplazione in Lui del volto del Padre. E la stessa cosa vale, evidentemente, per tutto il nostro impegno missionario, in particolare per la pastorale familiare: la Famiglia di Nazareth sia dunque, per le nostre famiglie e per le nostre comunità, oggetto di costante e fiduciosa preghiera, oltre che modello di vita.

Cari fratelli e sorelle, e specialmente voi, cari sacerdoti, conosco la generosità e la dedizione con cui servite il Signore e la Chiesa. Il vostro lavoro quotidiano per la formazione alla fede delle nuove generazioni, in stretta connessione con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, come anche per la preparazione al matrimonio e per l’accompagnamento delle famiglie nel loro spesso non facile cammino, in particolare nel grande compito dell’educazione dei figli, è la strada fondamentale per rigenerare sempre di nuovo la Chiesa e anche per vivificare il tessuto sociale di questa nostra amata città di Roma.

La minaccia del relativismo

Continuate dunque, senza lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà che incontrate. Il rapporto educativo è per sua natura una cosa delicata: chiama in causa infatti la libertà dell’altro che, per quanto dolcemente, viene pur sempre provocata a una decisione. Né i genitori, né i sacerdoti o i catechisti, né gli altri educatori possono sostituirsi alla libertà del fanciullo, del ragazzo o del giovane a cui si rivolgono. E specialmente la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità; prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune.

E’ chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio nella società e nella cultura. E’ molto importante perciò, accanto alla parola della Chiesa, la testimonianza e l’impegno pubblico delle famiglie cristiane, specialmente per riaffermare l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli, compito essenziale per il nostro comune futuro. Anche per questo impegno vi dico un grazie cordiale.

Sacerdozio e vita consacrata

Un ultimo messaggio che vorrei affidarvi riguarda la cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: sappiamo tutti quanto la Chiesa ne abbia bisogno! Perché queste vocazioni nascano e giungano a maturazione, perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera, che non deve mai mancare in ciascuna famiglia e comunità cristiana. Ma è anche fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la gioia che essi esprimono per essere stati chiamati dal Signore. Ed è ugualmente essenziale l’esempio che i figli ricevono all’interno della propria famiglia e la convinzione delle famiglie stesse che, anche per loro, la vocazione dei propri figli è un grande dono del Signore. La scelta della verginità per amore di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del matrimonio cristiano: l’uno e l’altra, in due maniere differenti e complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Cari fratelli e sorelle, vi affido queste riflessioni come contributo al vostro lavoro nelle serate del Convegno e poi durante il prossimo anno pastorale. Chiedo al Signore di darvi coraggio ed entusiasmo, perché questa nostra Chiesa di Roma, ciascuna parrocchia, comunità religiosa, associazione o movimento partecipi più intensamente alla gioia e alle fatiche della missione e così ogni famiglia e l’intera comunità cristiana riscopra nell’amore del Signore la chiave che apre la porta dei cuori e che rende possibile una vera educazione alla fede e formazione delle persone. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano oggi e per il futuro.

Augustinus
10-06-05, 21:11
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Aula del Sinodo

Lunedì, 30 maggio 2005

Cari fratelli Vescovi italiani, sono felice di incontrarvi qui questa mattina, riuniti nella vostra Assemblea Generale, dopo aver celebrato ieri con molti di voi a Bari la Santa Messa conclusiva del Congresso Eucaristico Nazionale. Saluto il vostro Presidente, Cardinale Camillo Ruini, e lo ringrazio per le calde parole che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto i tre Vicepresidenti, il Segretario Generale e ciascuno di voi, e desidero a mia volta esprimervi sentimenti di profonda comunione e di affetto sincero.

Sono trascorse soltanto poche settimane dalla mia elezione e sono ben vivi in noi quei sentimenti che ci hanno accomunato nei giorni della sofferenza e della morte del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, per ciascuno di noi un padre, un esempio ed un amico. Vi sono particolarmente grato perché avverto che accogliete me con lo stesso animo con il quale avete accompagnato lui durante i ventisei anni del suo Pontificato.

Cari fratelli, il nostro legame ha d'altronde una precisa radice, che è quella che unisce tutti i Vescovi del mondo al Successore di Pietro, ma che in questa nazione assume un vigore speciale perché il Papa è Vescovo di Roma e Primate d'Italia. La storia ha mostrato, lungo l’arco di ormai venti secoli, quanto grandi frutti di bene questo peculiare legame abbia portato, sia per la vita di fede e la fioritura di civiltà del popolo italiano sia per il ministero dello stesso Successore di Pietro. Inizio dunque il servizio nuovo e inatteso a cui il Signore mi ha chiamato sentendomi intimamente confortato dalla vostra vicinanza e solidarietà: insieme potremo adempiere la missione che Gesù Cristo ci ha affidato, insieme potremo testimoniare Cristo e renderlo presente oggi, non meno di ieri, nelle case e negli animi degli italiani.

Il rapporto dell'Italia con la fede cristiana infatti, non soltanto risale alla generazione apostolica, alla predicazione e al martirio di Pietro e di Paolo, ma anche attualmente è profondo e vivo. Certo, quella forma di cultura, basata su una razionalità puramente funzionale, che contraddice e tende ad escludere il cristianesimo e in genere le tradizioni religiose e morali dell'umanità, è presente e operante in Italia come un po’ ovunque in Europa. Qui però la sua egemonia non è affatto totale e tanto meno incontrastata: sono molti infatti, anche tra quanti non condividono o comunque non praticano la nostra fede, coloro che avvertono come una tale forma di cultura costituisca in realtà una funesta mutilazione dell'uomo e della sua stessa ragione. E soprattutto, in Italia la Chiesa conserva una presenza capillare, in mezzo alla gente di ogni età e condizione, e può quindi proporre nelle più diverse situazioni il messaggio di salvezza che il Signore le ha affidato.

Cari fratelli, conosco il vostro impegno per mantenere viva questa presenza e per incrementare il suo dinamismo missionario. Negli Orientamenti pastorali che avete consegnato alle Diocesi italiane per questo primo decennio del nuovo secolo, riprendendo l'insegnamento di Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, ponete giustamente alla base di tutto la contemplazione, di Gesù Cristo e in Lui del vero volto di Dio Padre, il rapporto vivo e quotidiano con lui. Qui sta infatti l'anima e l'energia segreta della Chiesa, la fonte dell'efficacia del nostro apostolato. Soprattutto nel mistero dell'Eucaristia noi stessi, i nostri sacerdoti e tutti i nostri fedeli possiamo vivere in pienezza questo rapporto con Cristo: qui Egli si fa tangibile in mezzo a noi, si dona sempre di nuovo, diventa nostro, affinché noi diventiamo suoi e impariamo il suo amore. L'Anno dell 'Eucaristia e il Congresso appena celebrato a Bari sono stimoli che ci aiutano ad entrare più profondamente in questo Mistero.

Nel contemplare il volto di Cristo, e in Cristo il volto del Padre, Maria Santissima ci precede, ci sostiene e ci accompagna. l'amore e la devozione per la Madre del Signore, tanto diffusi e radicati nel popolo italiano, sono un'eredità preziosa che dobbiamo sempre coltivare e una grande risorsa anche in vista dell'evangelizzazione. Su queste basi, cari fratelli, possiamo davvero proporre a noi stessi e ai nostri fedeli la vocazione alla santità, quale "misura alta della vita cristiana ordinaria", secondo la felice espressione di Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte (n. 37): lo Spirito Santo viene infatti in noi, da Cristo e dal Padre, proprio per introdurci nel mistero della vita e dell'amore di Dio, al di là di ogni forza e attesa umana.

In concreto la presenza della Chiesa in mezzo alla popolazione italiana si caratterizza anzitutto per la fitta rete delle parrocchie e per la vitalità che esse tuttora esprimono, pur nei grandi cambiamenti della società e della cultura. In una vostra recente Nota pastorale (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia) vi siete dunque saggiamente preoccupati di sostenere le parrocchie, riaffermando il loro valore e la loro funzione e incoraggiando così in particolare i sacerdoti che hanno le non lievi responsabilità di parroci. Ma avete anche messo in luce la necessità che le parrocchie assumano un atteggiamento maggiormente missionario nella pastorale quotidiana e pertanto si aprano ad una più intensa collaborazione con tutte le forze vive di cui la Chiesa oggi dispone. È molto importante, al riguardo, che si rafforzi la comunione tra le strutture parrocchiali e le varie realtà "carismatiche" sorte negli ultimi decenni e largamente presenti in Italia, affinché la missione possa raggiungere tutti gli ambienti di vita. Al medesimo fine un contributo prezioso viene certamente dalla presenza delle comunità religiose, in Italia ancora numerose nonostante la scarsità delle vocazioni.

Un terreno decisivo, per il futuro della fede e per l'orientamento complessivo della vita di una nazione, è certamente quello della cultura. Vi chiedo dunque di proseguire nel lavoro che avete intrapreso perché la voce dei cattolici sia costantemente presente nel dibattito culturale italiano, e ancor prima perché si rafforzino le capacità di elaborare razionalmente, nella luce della fede, i molteplici interrogativi che si affacciano nei vari ambiti del sapere e nelle grandi scelte di vita. Oggi la cultura e i modelli di comportamento sono inoltre sempre più condizionati e caratterizzati dalle rappresentazioni che ne propongono i media: è benemerito pertanto lo sforzo della vostra Conferenza per avere anche a questo livello un'adeguata capacità di espressione, in modo da poter offrire a tutti un'interpretazione cristiana degli avvenimenti e dei problemi.

La situazione effettiva della Chiesa in Italia conferma e giustifica dunque l'attenzione e le attese che hanno verso di essa molte Chiese sorelle in Europa e nel mondo. Come ha più volte sottolineato il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, l'Italia può e deve avere un grande ruolo per la comune testimonianza di Gesù Cristo nostro unico Salvatore e perché in Cristo sia individuata la misura del vero umanesimo, per la coscienza delle persone come per gli assetti della vita sociale.

Una questione nevralgica, che richiede la nostra più grande attenzione pastorale, è quella della famiglia. In Italia, ancor più che in altri Paesi, la famiglia rappresenta davvero la cellula fondamentale della società, è profondamente radicata nel cuore delle giovani generazioni e si fa carico di molteplici problemi, offrendo sostegno e rimedio a situazioni altrimenti disperate. E tuttavia anche in Italia la famiglia è esposta, nell'attuale clima culturale, a molti rischi e minacce che tutti conosciamo. Alla fragilità e instabilità interna di molte unioni coniugali si assomma infatti la tendenza, diffusa nella società e nella cultura, a contestare il carattere unico e la missione propria della famiglia fondata sul matrimonio. Proprio l’Italia poi è una della nazioni in cui la scarsità delle nascite è più grave e persistente, con conseguenze già pesanti sull'intero corpo sociale. Perciò da molto tempo voi Vescovi italiani avete unito la vostra voce a quella di Giovanni Paolo II, anzitutto nel difendere la sacralità della vita umana e il valore dell' istituto matrimoniale, ma anche nel promuovere il ruolo della famiglia nella Chiesa e nella società, chiedendo misure economiche e legislative che sostengano le giovani famiglie nella generazione ed educazione dei figli. Nel medesimo spirito siete attualmente impegnati a illuminare e motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum ormai imminenti in merito alla legge sulla procreazione assistita: proprio nella sua chiarezza e concretezza questo vostro impegno è segno della sollecitudine dei Pastori per ogni essere umano, che non può mai venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine, come ci insegna il nostro Signore Gesù Cristo nel suo Vangelo e come ci dice la stessa ragione umana. In tale impegno, e in tutta l'opera molteplice che fa parte della missione e del dovere dei Pastori, vi sono vicino con la parola e con la preghiera, con fidando nella luce e nella grazia dello Spirito che agisce nelle coscienze e nei cuori.

La stessa sollecitudine per il vero bene dell'uomo che ci spinge a prenderci cura delle sorti delle famiglie e del rispetto della vita umana si esprime nell'attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli ammalati, gli immigrati, ai popoli decimati dalle malattie, dalle guerre e dalla fame. Cari fratelli Vescovi italiani, desidero ringraziare voi e i vostri fedeli per la larghezza della vostra carità, che contribuisce a rendere concretamente la Chiesa quel popolo nuovo nel quale nessuno è straniero. Ricordiamoci sempre delle parole del Signore: quello che avete fatto "a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40).

Ad agosto, come sapete, mi recherò a Colonia per la Giornata Mondiale della Gioventù e confido di incontrarmi di nuovo con molti di voi, accompagnati da un grande numero di giovani italiani. Proprio riguardo ai giovani, alla loro formazione, al loro rapporto con il Signore e con la Chiesa vorrei aggiungere un 'ultima parola. Essi sono infatti, come ha ripetutamente affermato Giovanni Paolo II, la speranza della Chiesa, ma sono anche, nel mondo di oggi, particolarmente esposti al pericolo di essere "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina" (Ef 4,14). Hanno dunque bisogno di essere aiutati a crescere e a maturare nella fede: è questo il primo servizio che essi devono ricevere dalla Chiesa, e specialmente da noi Vescovi e dai nostri sacerdoti. Sappiamo bene che molti di loro non sono in grado di comprendere e di accogliere subito tutto l'insegnamento della Chiesa ma proprio per questo è importante risvegliare in loro l'intenzione di credere con la Chiesa, la fiducia che questa Chiesa, animata e guidata dallo Spirito, è il vero soggetto della fede, inserendoci nel quale entriamo e partecipiamo nella comunione della fede. Affinché ciò possa avvenire, i giovani devono sentirsi amati dalla Chiesa, amati in concreto da noi Vescovi e sacerdoti. Potranno sperimentare così nella Chiesa, l'amicizia e l'amore che ha per loro il Signore, comprenderanno che in Cristo la verità coincide con l'amore e impareranno a loro, volta ad amare il Signore e ad avere fiducia nel suo corpo che è la Chiesa. Questo è oggi, cari fratelli Vescovi italiani, il punto centrale della grande sfida della trasmissione della fede alle giovani generazioni.

Per le vostre persone e per le vostre Chiese, per tutta la diletta nazione italiana, per il suo presente e il suo futuro cristiano, per il compito che essa è chiamata a svolgere in Europa e nel mondo, vi assicuro la mia quotidiana preghiera e imparto con affetto una speciale Benedizione Apostolica a voi, ai vostri sacerdoti, ad ogni famiglia italiana.

Augustinus
10-06-05, 22:55
CONVEGNO DELLA DIOCESI DI ROMA

“Famiglia e comunità cristiana:
formazione della persona e trasmissione della fede”

Relazione conclusiva del Cardinale Vicario Camillo Ruini

Basilica di San Giovanni in Laterano, 9 giugno 2005

Vorrei anzitutto ringraziare il Signore per questo Convegno, per la presenza e la parola del Papa, la straordinaria partecipazione, il lavoro fatto e il clima in cui si è lavorato. Grazie anche, di vero cuore, a ciascuno di voi.

In queste conclusioni, chiaramente provvisorie, in attesa del volumetto del programma pastorale per l’anno 2005-2006, nel quale sarà fondamentale il discorso del Santo Padre e che conterrà il consueto Vademecum, desidero sottolineare in primo luogo la grande conferma e incoraggiamento che ci sono venuti dal nostro nuovo Vescovo, su tutti i punti qualificanti del nostro percorso diocesano. Anzitutto la missione e missionarietà, come scelta permanente, “sempre più necessaria e senza alternative, in un contesto sociale e culturale nel quale sono all’opera forze molteplici che tendono ad allontanarci dalla fede e dalla vita cristiana”. Ugualmente l’impegno per le famiglie e con le famiglie, come “fondamentale realtà umana oggi sottoposta a molteplici difficoltà e minacce” e quindi particolarmente bisognosa di essere evangelizzata e concretamente sostenuta, ma anche come risorsa decisiva per l’educazione alla fede, la costruzione della Chiesa come comunione e la sua capacità di missione e di “fermentazione” cristiana della società e della cultura. Questa conferma e incoraggiamento del nostro nuovo Vescovo sono della più grande importanza per noi, che siamo la sua Chiesa.

Dal punto di vista dei contenuti dobbiamo poi dire un grande grazie al Papa Benedetto XVI per quello che ci ha detto sul fondamento antropologico della famiglia e del matrimonio, cioè sul loro radicarsi nel nostro essere di uomini e di donne creati a immagine di Dio e sul loro scaturire dalla logica intrinseca dell’autentico amore umano. Ed ugualmente sul posto centrale che il matrimonio e la famiglia occupano nella storia della salvezza e sul significato profondo della sacramentalità del matrimonio cristiano. Tutto ciò rimarrà la base del nostro lavoro.

Propongo ora una seconda considerazione. Il continuare a porre la famiglia, per il terzo anno consecutivo, al centro della pastorale diocesana è stata anzitutto una vostra scelta, manifestatasi attraverso il Consiglio dei Prefetti già nella riunione del 7 febbraio, nella quale è stato anche abbozzato il tema proprio del prossimo anno, “Famiglia e comunità cristiana: formazione della persona ed educazione alla fede”. Questo tema offre in realtà una fondamentale prospettiva di sintesi tra i due poli della pastorale della famiglia e della missione ed evangelizzazione, che devono essere sempre più integrati ed unificati: mette in luce infatti e stimola a vedere in concreto come le famiglie e le comunità ecclesiali entrino in sinergia per la formazione della persona e la trasmissione della fede che, come ci ha detto lunedì il Papa, della formazione della persona è il vertice e l’orizzonte più adeguato.

Educare in fondo non significa altro che aiutare la crescita delle nuove persone, cioè appunto la loro formazione come persone, così che si realizzi il progetto di Dio, l’amore gratuito che Dio ha per ciascuna di loro. Oggi sentiamo tutti, e in particolare avvertono i genitori, quanto sia necessaria, e al contempo impegnativa e difficile, un’autentica opera educativa, in un contesto socio-culturale nel quale l’educazione delle nuove generazioni sembra spesso l’ultima delle preoccupazioni.

Dato però che Cristo è “la misura del vero umanesimo”, come ha detto il Cardinale Ratzinger nell’omelia alla Messa per l’inizio del Conclave, proprio attraverso la proposta della fede in Cristo si dà un contributo decisivo alla formazione dell’uomo. Dovremo dunque mettere a frutto e cercare di attuare in concreto ciò che il Papa ci ha detto lunedì sera riguardo alla necessità di amare e di essere testimoni, per formare le persone e per trasmettere la fede.

A questo punto è bene soffermarci rapidamente su due nodi che sono oggi di ostacolo all’autentica educazione, ma che di per sé richiamano grandi valori positivi, che appartengono al vero umanesimo e alla fede cristiana. Il primo di essi è la libertà, che attualmente viene per lo più compresa e vissuta in un orizzonte relativistico e consumistico, come una continua ricerca del proprio piacere, incapace di giungere a una vera decisione, e soprattutto al dono di sé: in questo modo però si finisce con lo sprecare senza accorgercene la nostra vita e la nostra stessa libertà e si diventa incapaci di costruire con gli altri qualcosa insieme. Nell’opera educativa, dunque, non si tratta tanto di limitare la libertà, quanto piuttosto di aprirla, di darle un orizzonte più grande e più vero, certamente attraverso le nostre parole (dagli insegnamenti dei genitori alla catechesi degli adolescenti), ma ancor più con la nostra testimonianza e donazione, che aiutino i più giovani a fare esperienze positive di questo genere di libertà liberata e capace di esprimersi appieno.

Il secondo nodo riguarda la sessualità: l’impatto provocato da una società e cultura che separano sistematicamente la sessualità dall’amore altruistico e dalla persona non permette infatti a tanti ragazzi, adolescenti e giovani di percepire il senso autentico della sessualità stessa, secondo il disegno di Dio, e di integrarla in una prospettiva di vita. La sessualità diventa allora non una grande forza che promuove la comunione e la vita, ma l’occasione di un ripiegamento individualistico, e alla fine un impedimento ad essere felici. Occorre perciò, nella vita delle nostre famiglie come nel lavoro educativo delle parrocchie e dei gruppi giovanili, nella catechesi dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, aiutare a scoprire il senso pienamente umano, e non soltanto biologico, del corpo e della sessualità, il fatto che il corpo e la sessualità sono dimensioni intrinseche della persona e vanno perciò, anche nella vita quotidiana, integrati pienamente nell’essere e nel comportamento delle persone, nella loro libertà responsabile e capace di donazione. In altre parole, occorre ribaltare un pregiudizio diffuso e far comprendere che la fede cristiana non è affatto ostile al corpo e alla sessualità, ma al contrario ci aiuta a scoprire pienamente il loro genuino valore.

Sappiamo tutti quanto grandi siano gli ostacoli e forti le spinte nella direzione opposta, che vengono dal contesto in cui tutti viviamo. In particolare i genitori cristiani sentono sulla loro pelle le difficoltà attuali del compito educativo ed hanno quindi necessità dell’aiuto della Chiesa. Ritengo pertanto importante richiamare due indicazioni positive. La prima la ricavo dal discorso del Papa all’Assemblea della CEI e da una sua precedente risposta in occasione dell’incontro in questa Basilica con i sacerdoti di Roma. I giovani, ha detto il Papa, sono sì la speranza della Chiesa, ma sono anche particolarmente esposti al pericolo di essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (Ef 4,14). Hanno dunque bisogno di essere aiutati a crescere e a maturare nella fede: è questo il primo servizio che devono ricevere dalla Chiesa. Certo, molti di loro non sono in grado di comprendere e accogliere subito tutto l’insegnamento della Chiesa, in particolare proprio sulla sessualità, la famiglia, in genere l’uso della libertà, ma appunto per questo è importante risvegliare in loro l’intenzione di credere con la Chiesa, e quindi in primo luogo la fiducia nella Chiesa, il senso di appartenenza, che spesso è debole, diciamo pure pericolosamente debole, anche negli adulti e negli stessi educatori. Così i giovani impareranno a vedere nella Chiesa il soggetto più grande, dentro al quale partecipiamo alla comunione della fede. Ma perché tutto questo possa svilupparsi nel cuore e nella vita dei ragazzi e dei giovani, come anche di quegli adulti che sembrano essere più fuori che dentro la Chiesa, essi stessi devono sentirsi amati dalla Chiesa, in concreto dai sacerdoti, dalle religiose, dai laici che per loro sono, qui e ora, la Chiesa. Potranno sperimentare così l’amicizia e l’amore che ha per loro il Signore, comprenderanno che in Cristo la verità coincide con l’amore e impareranno a loro volta ad amare il Signore e ad aver fiducia nel suo corpo che è la Chiesa. E’ questo oggi, ha concluso il Papa, il punto centrale della trasmissione della fede alle nuove generazioni.

La seconda indicazione si riferisce alla cultura, al contesto sociale e culturale: se ne parla nello Strumento di lavoro per il nostro Convegno (p.28), riportando parole del Cardinale Ratzinger, e ne ha parlato di nuovo il Papa alla CEI. La cultura, ossia il più ampio spazio sociale nel quale la persona è inserita, plasma la persona stessa, per lo più inavvertitamente, dà una forma ai nostri modi di pensare, sentire e agire. Essa è quindi anche il luogo nel quale il Vangelo può diventare lievito che fa fermentare la pasta, ossia l’insieme di una popolazione, e può arrivare a costituire la misura dell’umanesimo, diventare in concreto un grande principio e criterio formativo ed educativo. Tutto questo non si realizza però in tempi brevi, richiede un incontro continuo e paziente tra la fede e la cultura, ossia una rinnovata intelligenza della fede nel contesto di una determinata cultura. Questo lavoro, che sta oggi davanti a noi cristiani, a Roma come in Italia e nel mondo, non può limitarsi a una superficiale e acritica assimilazione di qualsiasi elemento di una cultura, ma al contrario implica sempre una modificazione e purificazione, un cambiamento risanatore che libera la cultura dai pericoli che si nascondono dentro di lei e fa emergere le sue potenzialità migliori. Perciò è importante, anche e anzitutto dal punto di vista pastorale, il lavoro che va sotto il nome di “progetto culturale orientato in senso cristiano” e tutto ciò che si cerca di fare nel campo della comunicazione sociale, che oggi condiziona sempre più la cultura e i comportamenti, specialmente negli ambiti della sessualità, del matrimonio e della famiglia, del valore della vita umana e delle persone sane o ammalate, come anche dell’uso del tempo e del denaro e più in generale della realizzazione di noi stessi e del significato della nostra libertà. E’ questo il motivo per il quale la Chiesa, sia come Magistero sia come popolo di Dio, persone, comunità e specialmente famiglie cristiane, si impegna pubblicamente su questi grandi temi.

Questa sera sento in particolare il bisogno di ringraziare ciascuno di voi per quel che state facendo in rapporto al referendum e alla scelta consapevole del non voto. Non siamo noi ad aver voluto il referendum, non siamo e non saremo noi ad esacerbare i contrasti e le contrapposizioni; non vogliamo forzare le coscienze ma soltanto illuminarle; non siamo contro nessuno, lavoriamo invece per qualcuno: per la vita umana nascente, certo, e per i figli che hanno diritto a conoscere i propri genitori, ma anche per le donne e gli uomini di oggi e di domani, che devono sempre essere considerati e trattati come persone e non come prodotto di laboratorio o oggetto di sperimentazione, e che anche nel loro giusto desiderio di essere genitori vanno aiutati a non dimenticare che il figlio rimane sempre, prima che una propria soddisfazione, una persona da accogliere in dono. Ci muoviamo dunque, anche in quest’occasione, secondo quella logica di servizio e di amore del prossimo che ci ha insegnato il Signore.

Cari fratelli e sorelle, il terreno immediato sul quale la grande maggioranza di noi si impegna quotidianamente è quello della propria famiglia, del proprio ambiente di lavoro, degli amici che frequenta, e naturalmente della propria parrocchia, dell’associazione, movimento, gruppo o servizio ecclesiale a cui ciascuno si dedica e appartiene. Ma proprio operando a questo livello diamo il nostro contributo a migliorare la società in cui viviamo, e in primo luogo a formare le persone e a sostenere le loro famiglie. Nei lavori di gruppo di martedì sera e nella relazione che ne è stata fatta questa sera abbiamo raccolto una serie di esperienze e di indicazioni che confluiranno nel Vademecum per il prossimo anno pastorale e gli daranno concretezza, per sostenere il nostro lavoro comune, specialmente in quei due fondamentali spazi di formazione delle persone e di trasmissione della fede che sono la famiglia e la comunità cristiana.

Vorrei aggiungere un peculiare riferimento ad un altro spazio nel quale trascorrono molto tempo della loro vita praticamente tutti i bambini, i ragazzi e gli adolescenti, ed ormai anche un numero sempre più grande di giovani. Mi riferisco evidentemente alla scuola e all’università, dove dobbiamo cercare di superare una prospettiva rivolta esclusivamente all’istruzione, per far riemergere invece il fondamentale compito educativo, all’interno del quale trova armoniosamente spazio anche la proposta cristiana. Molto utile e apprezzabile è, in questa linea, il lavoro che sta svolgendo la pastorale universitaria attraverso il programma “dalla Parola alla cultura”.

Nel momento in cui la nostra Diocesi concentra il suo impegno sulla formazione della persona e la trasmissione della fede, è quanto mai logico, opportuno e doveroso riprendere e sottolineare il tema delle vocazioni, come ha fatto lunedì sera il Santo Padre, con parole che vengono dal cuore. Come egli ci ha ricordato, perché le vocazioni, di cui anche la Chiesa di Roma ha acuto bisogno, nascano e giungano a maturazione, e perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera ed è inoltre fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la loro gioia e gratitudine per la vocazione ricevuta. Ma questa sera vorrei insistere sulla grande missione che hanno, anche in questo campo, le famiglie cristiane: educando, anzitutto con la testimonianza quotidiana della propria vita, alla fede in Cristo e al dono di se stessi per servire i fratelli, le famiglie creano l’atmosfera nella quale nascono e si sviluppano le vocazioni. Quando poi queste arrivano a sbocciare è quanto mai importante che i genitori per primi mostrino di capirle, di apprezzarle, di esserne grati al Signore: si richiede per questo una vera conversione del cuore, rispetto alla mentalità oggi diffusa, sulla quale deve impegnarsi a fondo la pastorale familiare.

Per questa, ma anche per tante altre ragioni, siamo chiamati a costruire insieme un’autentica spiritualità delle famiglie e per le famiglie, aperta a tutta la grandezza della missione che compete alla famiglia sia nella società sia nella Chiesa: le esperienze già in atto da vari anni nella nostra Diocesi vanno sostenute e messe più ampiamente in circolazione.

Il “cantiere” della missione e della pastorale della famiglia rimane dunque pienamente aperto e in funzione nella Chiesa di Roma. Perché in esso si possa lavorare sempre meglio può essere utile un suggerimento che mi permetto di avanzare, al termine di questa riflessione: quello di costituire presso il Vicariato un servizio di animazione per la missione permanente a Roma, attraverso la collaborazione di vari uffici, con il compito di formare i missionari, aiutare lo svolgimento delle missioni nelle parrocchie e negli ambienti, preparare sussidi e offrire altri aiuti che possano rivelarsi utili e opportuni.

Concludo con una notizia che sono certo vi darà grande gioia: martedì 28 giugno, alle ore 19,00, in questa Basilica di San Giovanni in Laterano, nei primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, apriremo ufficialmente la Causa di beatificazione e canonizzazione del nostro amatissimo Vescovo e Papa Giovanni Paolo II. Sarà per tutti noi un grandissimo dono e uno straordinario motivo di rendere grazie al Signore.

Augustinus
11-06-05, 13:00
PROCREAZIONE: RIGETTATO RICORSO CODACONS, NON CI SARANNO SMS

ROMA - Il tribunale di Roma ha rigettato per carenza di legittimazione il ricorso presentato da Codacons e dal 'comitato per l'appello per il no ai quesiti referendari', che chiedevano un provvedimento d'urgenza per l'invio da parte del Viminale di Sms con le modalita' di svolgimento delle consultazioni referendarie. Ne da' notizia il Viminale che esprime ''soddisfazione'' per la decisione adottata dal giudice del tribunale di Roma.

La pronuncia del tribunale, secondo quanto riferisce il Viminale, ''da' atto della correttezza con la quale sono state pubblicizzate le modalita' di svolgimento del referendum del 12 giugno, nel pieno rispetto della normativa che regolamenta l'uso dei mezzi di informazione''. La decisione e' stata presa dalla II sezione del tribunale civile di Roma presieduta da Eugenio Curatola. Codacons, Comitato per l'appello per il No ai quesiti referendari, Italia dei valori e Lista consumatori sono stati condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite sostenute dal ministero dell'Interno.

ROMA - Concitazione tra i due schieramenti, senza dichiarazioni da parte dei leader. Berlusconi non ha fatto sapere se votera', mentre Prodi di sicuro votera' ma non si sa come. Oggetto del contendere nella giornata di ieri e' stata ancora una volta l'astensione con la polemica tra Casini e Piero Fassino. Il presidente della Camera ha difeso la pari dignita' dell'astensione rispetto al si' e al no, mentre il segretario dei Ds l'astensione non e' una modalita' di voto che possa essere considerata un diritto, sullo stesso piano del voto favorevole o contrario. Su questo punto c'e' stato uno scambio di accuse piuttosto pepato, con Casini che ha accusato Fassino di aver perso la sua serenita' e il segretario della Quercia ad insistere nella sua critica a Casini ed a Pera, ai quali contrappone il fatto che Ciampi dara' ''un segnale'' nel senso della partecipazione al voto.

Fonte: ANSA (http://www.ansa.it/main/notizie/fdg/200506111255202433/200506111255202433.html)

Augustinus
11-06-05, 13:03
11 giugno 2005

Soddisfazione espressa dal Viminale

Niente sms per il referendum
Sentenza del tribunale di Roma: respinto ricorso del Codacons che voleva che il governo inviasse messaggini a tutti gli elettori

ROMA - Niente messaggini per il referendum. Il tribunale di Roma ha rigettato per carenza di legittimazione il ricorso presentato da Codacons e dal 'comitato per l'appello per il no ai quesiti referendarì, che chiedevano un provvedimento d'urgenza per l'invio da parte del Viminale di Sms con le modalità di svolgimento delle consultazioni referendarie. Ne dà notizia il Viminale che esprime «soddisfazione» per la decisione adottata dal giudice del tribunale di Roma.
LA SODDISFAZIONE DEL VIMINALE - La pronuncia del tribunale, secondo quanto riferisce il Viminale, «dà atto della correttezza con la quale sono state pubblicizzate le modalità di svolgimento del referendum del 12 giugno, nel pieno rispetto della normativa che regolamenta l'uso dei mezzi di informazione».
CODACONS - Del tutto diverso il parere del Codacons che aveva promosso la causa. «Il tribunale ha ritenuto che gli Sms siano uno strumento eccessivamente invasivo della privacy e eccessivamente oneroso e che il ministero può solo lui stabilire se sia il caso di inviarli o no come ha fatto in occasione delle elezioni europee». Così l'avvocato Carlo Rienzi, esponente del Codacons, commenta la decisione del Tribunale di Roma che ha detto no al ricorso per un provvedimento di urgenza per l'invio da parte del Viminale di sms con le informazioni sulle modalità di voto per il referendum sulla procreazione. «Evidentemente - ha aggiunto - gli elettori sono cavie sulle quali il ministro può decidere di sperimentare gli Sms violando la privacy quando gli conviene politicamente così come fece alle Europee, mentre può rispettarne la riservatezza quando non gli conviene mandare la gente a votare». Rienzi annuncia: «ricorreremo in appello» ma riconosce che «ormai solo una decisione del ministro che valuti che oggi come in occasione delle Europee è necessario informare più compiutamente gli elettori potrà far arrivare l'Sms a tutti».

Fonte: Corriere della sera (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/06_Giugno/11/sms.html)

Augustinus
12-06-05, 13:18
da fonti del Ministero dell'Interno, alle 12,00 avrebbe votato il 4,5 % degli aventi diritto.
Il risultato lascia ben sperare. ;) ;) ;)

Augustinus
12-06-05, 13:42
Originally posted by Augustinus
da fonti del Ministero dell'Interno, alle 12,00 avrebbe votato il 4,5 % degli aventi diritto.
Il risultato lascia ben sperare. ;) ;) ;)

Anzi rettifico, alle 12,00, il dato definitivo conferma che ha votato solo il 4, 6 %.

Augustinus
13-06-05, 00:01
Alle 19,00 ha votato il 13,3% ed alle 22,00 il 18, 7%. Di questo passo, penso che si arriverà al massimo al di sotto del 30% o forse anche molto meno.
I risultati dei referendum sono chiari ... già ora. :cool:

Augustinus
19-06-05, 10:34
Una valutazione del voto referendario pare necessario.
Senz'altro il fallimento di questo, con un quorum poco meno del 26%, è stato un duro colpo assestato ai laicisti italiani ed un'indiscutibile vittoria a favore della Chiesa. Questa d'altro canto ha dimostrato una strategia diversa rispetto a quella adottata da Paolo VI per l'aborto e per il divorzio; una strategia che si è rivelata vincente. Non interventi diretti e massicci del Papa, il quale si è limitato a due soli interventi, assai blandi, ma un intervento massiccio del suo Cardinal Vicario, Camillo Ruini, che si è esposto in prima persona, facendo anche leva sul Magistero del precedente Pontefice, molto amato. Non solo. Un intervento che si è attuato con un impegno massiccio dell'intera Chiesa italiana, con vari comitati per l'astensione.
Questa è stata la strategia vincente.
A ciò si aggiungano, non secondari, anche due fattori: l'assuefazione nei riguardi dell'istituto referendario, che con cadenza praticamente biennale, chiama a raccolta i cittadini. Trattasi di un istituto fin troppo abusato da parte dei radicali, che ha stancato la popolazione con questo continuo richiamo alle urne.
Non ultimo, va aggiunta anche la difficoltà dei quesiti ed il fatto che, su temi cruciali, non esiste uniformità di opinioni nel mondo scientifico. Insomma, su temi di carattere tecnico si sperava che gli stessi scienziati fossero unanimi. Invece, la divisione esistente tra i medesimi è prova delle scarse certezze esistenti, nel mondo scientifico, in punto di temi assai delicati. In altre parole, si trattava di referendum che toccavano il momento stesso dell'inizio della vita: tema questo non univoco presso gli scienziati. E, quindi, che non andava rimesso al voto popolare. Non si può far decidere al popolo ciò che dovrebbe essere valutato dalla scienza e cioè che la vita ha inizio sin dal primo istante del concepimento. Una scelta scientifica, rimessa al furor di popolo, insomma, era assolutamente irrazionale. Ed è stata una delle cause del fallimento del referendum. ;)