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Augustinus
25-12-03, 10:07
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/dettaglio/20650):

Natale del Signore

25 dicembre - Solennità

Con il Natale tutti i cristiani celebrano la nascita del Figlio di Dio che si fece uomo. L’Incarnazione del Verbo di Dio segna l’inizio degli “ultimi tempi”, cioè la Redenzione dell’Umanità da parte di Dio. Rallegratevi, oggi è nato il Salvatore.

Martirologio Romano: Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio creò il cielo e la terra e plasmò l’uomo a sua immagine; e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere tra le nubi l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace; ventuno secoli dopo che Abramo, nostro Padre nella fede, migrò dalla terra di Ur dei Caldei; tredici secoli dopo l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè; circa mille anni dopo l’unzione regale di Davide; nella sessantacinquesima settimana secondo la profezia di Daniele; all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo: Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.

Martirologio tradizionale (25 dicembre): Nell'anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mondo, quando nel principio Iddio creò il cielo e la terra; dal diluvio, l'anno duemilanovecentocinquantasette; dalla nascita di Abramo, l'anno duemilaquindici; da Mosé e dalla uscita del popolo d'Israele dall'Egitto, l'anno millecinquecentodieci; dalla consacrazione del Re David, l'anno milletrentadue; nella Settimana sessantesimaquinta, secondo la profezia di Daniele; nell'Olimpiade centesimanovantesimaquarta; l'anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma; l'anno quarantesimosecondo dell'Impero di Ottaviano Augusto, stando tutto il mondo in pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell'eterno Padre, volendo santificare il mondo colla sua piissima venuta, concepito di Spirito Santo, e decorsi nove mesi dopo la sua concezione (Qui tutti genuflettono), in Betlemme di Giuda nacque da María Vergine fatto uomo. Natività di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne (Qui tutti si alzano) (Anno a creatióne mundi, quando in princípio Deus creávit cœlum et terram, quínquies millésimo centésimo nonagésimo nono: A dilúvio autem, anno bis millésimo nongentésimo quinquagésimo séptimo: A nativitáte Abrahæ, anno bis millésimo quintodécimo: A Moyse et egréssu pópuli Israel de Ægypto, anno millésimo quingentésimo décimo: Ab unctióne David in Regem, anno millésimo trigésimo secúndo; Hebdómada sexagésima quinta, juxta Daniélis prophetíam: Olympíade centésima nonagésima quarta: Ab urbe Roma cóndita, anno septingentésimo quinquagésimo secúndo: Anno Impérii Octaviáni Augústi quadragésimo secúndo, toto Orbe in pace compósito, sexta mundi ætáte, Jesus Christus ætérnus Deus, æterníque Patris Fílius, mundum volens advéntu suo piíssimo consecráre, de Spíritu Sancto concéptus, novémque post conceptiónem decúrsis ménsibus (Hic vox elevatur, et omnes genua flectunt), in Béthlehem Judæ náscitur ex María Vírgine factus Homo. Hic autem in priori voce dicitur, et in tono passionis: Nativitas Dómini nostri Jesu Christi secúndum carnem)

La Chiesa celebra con la solennità del Natale la manifestazione del Verbo di Dio agli uomini. E’ questo infatti il senso spirituale più ricorrente, suggerito dalla stessa liturgia, che nelle tre Messe celebrate oggi da ogni sacerdote offre alla nostra meditazione "la nascita eterna del Verbo nel seno degli splendori del Padre (prima Messa); l'apparizione temporale nell'umiltà della carne (seconda Messa); il ritorno finale all'ultimo giudizio (terza Messa)" (Liber Sacramentorum).
Un antico documento, il Cronografo dell'anno 354, attesta l'esistenza a Roma di questa festa al 25 dicembre, che corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d'inverno, "Natalis Solis Invieti", cioè la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell'anno, riprendeva nuovo vigore.
Celebrando in questo giorno la nascita di colui che è il Sole vero, la luce del mondo, che sorge dalla notte del paganesimo, si è voluto dare un significato del tutto nuovo a una tradizione pagana molto sentita dal popolo, poiché coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi cittadini. Le strenne natalizie richiamano però più direttamente i doni dei pastori e dei re magi a Gesù Bambino.
In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol dire "manifestazione"; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si riscontra in Antiochia verso il 376 al tempo del Crisostomo e nel 380 a Costantinopoli, mentre in Occidente veniva introdotta la festa dell'Epifania, ultima festa del ciclo natalizio, per commemorare la rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano. I testi della liturgia natalizia, formulati in un'epoca di reazione alla eresia trinitaria di Arlo, sottolineano con accenti di calda poesia e con rigore teologico la divinità del Bambino nato nella grotta di Betlem, la sua regalità e onnipotenza per invitarci all'adorazione dell'insondabile mistero del Dio rivestito di carne umana, figlio della purissima Vergine Maria ("fiorito è Cristo ne la carne pura", dice Dante).
L'Incarnazione di Cristo segna la partecipazione diretta degli uomini alla vita divina. La restaurazione dell'uomo mediante la spirituale nascita di Gesù nelle anime è il tema suggerito dalla devozione e dalla pietà cristiana che, al di là delle commoventi tradizioni natalizie fiorite ai margini della liturgia, ci invita a meditare annualmente sul mistero della nostra salvezza in Cristo Signore.

Autore: Piero Bargellini

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Augustinus
25-12-03, 10:14
Agostino, Discorsi, 184 (PL 38, 995-997)

NATALE DEL SIGNORE

Il mistero dell'incarnazione rimane nascosto ai superbi.

1. 1. È spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra (Sal 84, 12), il giorno da giorno è nato nel nostro giorno. Esultiamo e rallegriamoci! (Sal 117, 24) Quanto beneficio ci abbia apportato l'umiltà di un Dio tanto sublime lo comprendono bene i fedeli cristiani, mentre non lo possono capire i cuori empi, perché Dio ha nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli (Mt 11, 25). Si aggrappino perciò gli umili all'umiltà di Dio, perché con questo aiuto tanto valido riescano a raggiungere le altezze di Dio; nella stessa maniera in cui, quando non ce la fanno da soli, si fanno aiutare dal loro giumento. I sapienti e gli intelligenti invece, mentre si sforzano di indagare sulla grandezza di Dio, non credono alle cose umili; e così trascurando queste non arrivano neanche a quella. Vuoti e frivoli, gonfi d'orgoglio, sono come sospesi tra cielo e terra in mezzo al turbinio del vento. Sono sì sapienti e intelligenti, ma secondo questo mondo, non secondo colui che ha creato il mondo. Se possedessero la vera sapienza, quella che è da Dio, anzi che è Dio stesso, comprenderebbero che Dio poteva assumere un corpo, senza per questo doversi mutare in corpo. Comprenderebbero che Dio ha assunto ciò che non era, pur rimanendo ciò che era; che è venuto a noi nella natura di uomo, senza essersi per nulla allontanato dal Padre; che è rimasto ciò che è da sempre e si è presentato a noi nella nostra propria natura; che ha nascosto la sua potenza in un corpo di bambino senza sottrarla al governo dell'universo. E come di lui che rimane presso il Padre ha bisogno l'universo, così di lui che viene a noi ha bisogno il parto di una Vergine. La Vergine Madre fu infatti la prova della sua onnipotenza: vergine prima del concepimento, vergine dopo il parto; trovata gravida senza essere resa tale da un uomo; incinta di un bambino senza l'intervento di un uomo: tanto più beata e più singolare per aver avuto in dono la fecondità senza perdere l'integrità. Quei sapienti preferiscono ritenere inventato un prodigio così grande anziché crederlo realmente avvenuto. Così nei riguardi di Cristo, uomo e Dio, non potendo credere alla natura umana, la disprezzano; non potendo disprezzare quella divina, non la credono. Ma quanto più essi lo disprezzano, tanto più noi accettiamo il corpo dell'uomo nell'umiltà del Dio; e quanto più essi lo ritengono impossibile, tanto più per noi è opera divina il parto verginale nella nascita del bambino.

Il Natale è gioia per tutti.

2. 2. Celebriamo pertanto il Natale del Signore con una numerosa partecipazione e un'adeguata solennità. Esultino gli uomini, esultino le donne: Cristo è nato uomo, è nato da una donna; ambedue i sessi sono stati da lui onorati. Si trasformi nel secondo uomo chi nel primo era stato precedentemente condannato (Cf. 1 Cor 15, 49). Una donna ci aveva indotti alla morte; una donna ci ha generato la vita. È nata una carne simile a quella del peccato (Cf. Rm 8, 3), perché per suo mezzo venisse mondata la carne del peccato. Non venga condannata la carne ma, affinché la natura viva, muoia la colpa. È nato Cristo senza colpa perché in lui possa rinascere chi era nella colpa. Esultate, giovani consacrati, che avete scelto di seguire Cristo in modo particolare e non avete cercato le nozze. Non tramite le nozze è venuto a voi colui che avete trovato per seguirlo (Cf. Gv 1, 45 ss.): e vi ha donato di non curarvi delle nozze, per mezzo delle quali siete venuti al mondo. Voi infatti siete venuti al mondo attraverso nozze carnali; mentre Cristo senza queste è venuto alle nozze spirituali: e vi ha donato di disprezzare le nozze, proprio perché vi ha chiamato ad altre nozze. Non avete cercato le nozze da cui siete nati, perché avete amato più degli altri colui che non è nato alla stessa maniera che voi. Esultate, vergini consacrate: la Vergine vi ha partorito colui che potete sposare senza perdere l'integrità. Non potete perdere il bene che amate né quando lo concepite né quando partorite. Esultate, giusti: è il Natale di colui che giustifica. Esultate, deboli e malati: è il Natale del Salvatore. Esultate, prigionieri: è il Natale del Redentore. Esultate, schiavi: è il Natale del Signore. Esultate, liberi: è il Natale del Liberatore. Esultate, voi tutti cristiani: è il Natale di Cristo.

Le due nascite di Cristo.

2. 3. Cristo, che nato dal Padre è l'autore di tutti i tempi, nato da una madre ci dà la possibilità di celebrare questo giorno nel tempo. Nella prima nascita non ebbe bisogno di avere una madre, in questa nascita non cercò nessun padre. Però Cristo è nato e da un Padre e da una madre; e senza un padre e senza una madre; da un Padre come Dio, da una madre come uomo; senza madre come Dio, senza padre come uomo. Chi potrà narrare la sua generazione? (Is 53, 8): sia la prima generazione che fu fuori del tempo, sia la seconda, senza intervento d'uomo? la prima che fu senza inizio, la seconda, senza modello? la prima che fu sempre, la seconda che non ebbe né un precedente né un susseguente? la prima che non ha fine, la seconda che inizia dove termina?

3. 3. Giustamente perciò i Profeti hanno preannunciato la sua futura nascita, mentre i cieli e gli angeli lo hanno annunciato già nato. Colui che sostiene il mondo intero giaceva in una mangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo di una sola donna portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo (Cf. At 17, 28), allattava colui che è il nostro pane (Cf. Gv 6, 35). O grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità! Sorreggeva con la sua potenza la madre dalla quale dipendeva in quanto bambino, nutriva di verità colei dal cui seno succhiava. Ci riempia dei suoi doni colui che non disdegnò nemmeno di iniziare la vita umana come noi; ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell'uomo.

Augustinus
25-12-03, 10:22
Agostino, Discorsi, 185 (PL 38, 997-999)

NATALE DEL SIGNORE

La verità è sorta dalla terra.

1. Chiamiamo Natale del Signore il giorno in cui la Sapienza di Dio si manifestò in un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole, emise vagiti umani. La divinità nascosta in quel bambino fu tuttavia indicata ai Magi per mezzo di una stella e fu annunziata ai pastori dalla voce degli angeli. Con questa festa che ricorre ogni anno celebriamo dunque il giorno in cui si adempì la profezia: La verità è sorta dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo (Sal 84, 12). La Verità che è nel seno del Padre è sorta dalla terra perché fosse anche nel seno di una madre. La Verità che regge il mondo intero è sorta dalla terra perché fosse sorretta da mani di donna. La Verità che alimenta incorruttibilmente la beatitudine degli angeli è sorta dalla terra perché venisse allattata da un seno di donna. La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo. Ridestati, uomo: per te Dio si è fatto uomo. Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà (Ef 5, 14). Per te, ripeto, Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato liberato dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato (Cf. Rm 8, 3). Ti saresti trovato per sempre in uno stato di miseria se lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere se lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno se lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto se lui non fosse arrivato.

La giustizia si è affacciata dal cielo.

2. Celebriamo con gioia l'arrivo della nostra salvezza e della nostra redenzione. Celebriamo solennemente il giorno in cui il grande ed eterno Giorno venne dal grande ed eterno Giorno in questo nostro tanto breve e temporaneo giorno. Qui egli è diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione perché, come sta scritto: Chi si vanta, si vanti nel Signore (1 Cor 1, 30-31). Per non farci diventare superbi come i Giudei, i quali non volendo riconoscere la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio (Rm 10, 3), dopo aver detto: La verità è sorta dalla terra, il Salmo aggiunge subito: E la giustizia si è affacciata dal cielo (Sal 84, 12). Questo affinché l'uomo debole non se la rivendichi e non dica sue queste cose e, credendo che può giustificarsi da solo, cioè diventare giusto per merito proprio, non rifiuti la giustizia di Dio. La verità perciò è sorta dalla terra: Cristo, il quale ha detto: Io sono la verità (Gv 14, 6), è nato da una vergine. E la giustizia si è affacciata dal cielo: chi crede in colui che è nato non si giustifica da se stesso, ma viene giustificato da Dio. La verità è sorta dalla terra: perché il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14). E la giustizia si è affacciata dal cielo: perché ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto discendono dall'alto (Gc 1, 17). La verità è sorta dalla terra, cioè ha preso un corpo da Maria. E la giustizia si è affacciata dal cielo: perché l'uomo non può ricevere cosa alcuna, se non gli viene data dal cielo (Gv 3, 27).

Tutto è dono.

3. Così, dunque, giustificati per virtù della fede, noi abbiamo pace con Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, per il quale abbiamo ottenuto l'accesso a questa grazia in cui siamo e ci gloriamo, nella speranza della gloria di Dio (Rm 5, 1-2). Mi piace, fratelli, confrontare queste poche parole dell'Apostolo, che insieme abbiamo richiamato alla memoria, con le poche parole del Salmo di cui stavamo parlando, e trovarne la concordanza. Giustificati per virtù della fede, noi abbiamo pace in Dio, perché la giustizia e la pace si sono baciate (Sal 84, 11) Per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo: perché la verità è sorta dalla terra. Per il quale abbiamo ottenuto l'accesso a questa grazia in cui siamo e ci gloriamo, nella speranza della gloria di Dio. Non dice: "Della gloria nostra", ma: Della gloria di Dio, perché la giustizia non è derivata da noi, ma si è affacciata dal cielo. Perciò chi si vanta si vanti non in se stesso ma nel Signore. Per questo, quando il Signore, del quale oggi celebriamo il Natale, è nato dalla Vergine, le voci angeliche annunziarono: Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). Perché pace in terra se non perché la verità è sorta dalla terra, cioè Cristo è nato da un essere umano? Ed egli è la nostra pace, colui che ha unito i due in un popolo solo (Ef 2, 14): affinché diventassimo uomini pieni di buona volontà, dolcemente legati con il vincolo dell'unità. Rallegriamoci per questa grazia, perché il nostro vanto sia la testimonianza della nostra buona coscienza (Cf. 2 Cor 1, 12): vantiamoci non di noi, ma del Signore. Perciò è stato detto: Tu sei il mio vanto, che rialzi la mia fronte (Sal 3, 4). Quale dono maggiore di questo poté Dio far risplendere ai nostri occhi: che il Figlio unigenito che aveva l'ha fatto diventare figlio dell'uomo affinché viceversa il figlio dell'uomo potesse diventare figlio di Dio? Di chi il merito? Quale il motivo? Di chi la giustizia? Rifletti e non troverai altro che dono.

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/30.jpg Anthony van Dyck, Adorazione dei pastori, 1631-32, Onze-Lieve-Vrouwekerk, Dendermonde

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/16.jpg Anthony van Dyck, Natività detta Madonna della paglia, 1625-27, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/12.jpg Anthony van Dyck, Madonna con Bambino, 1623-25, Galleria Nazionale, Parma

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/cchild18.jpg

Augustinus
25-12-03, 10:31
http://img140.exs.cx/img140/8020/nativita7gx.jpg http://www.cattolicesimo.com/immsacre/beth.jpg Questo è il luogo in cui è nato il Signore, a Betlemme

http://img362.imageshack.us/img362/7982/immag114lr0.jpg

http://www.preghiereagesuemaria.it/images/la%20mer19.jpg

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http://www.wga.hu/art/g/giotto/padova/3christ/scenes_1/chris01.jpg http://www.wga.hu/art/g/giotto/padova/3christ/scenes_1/chris011.jpg http://www.cattolicesimo.com/immsacre/chris01.jpg Giotto di Bondone, Natività, dettaglio, 1304-06, Cappella Scrovegni (Cappella Arena), Padova

Augustinus
25-12-03, 10:56
http://www.udayton.edu/mary/gallery/madonna/image25.jpg Fra Filippo Lippi, Madonna con Bambino , 1440-45, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1460/3adorati.jpg Fra Filippo Lippi, Adorazione del Bambino con Santi, 1460-65, Museo Civico, Prato

http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1460/2adorati.jpg Fra Filippo Lippi, Adorazione del Bambino con Santi, 1463, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1460/1forest.jpg Fra Filippo Lippi, Madonna nella Foresta, 1460, Staatliche Museen, Berlino

http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1460/7madonna.jpg Fra Filippo Lippi, Madonna con Bambino, 1460 circa, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1460/8madonn.jpg Fra Filippo Lippi, Madonna con Bambino e due angeli, 1465, Galleria degli Uffizi, Firenze

Augustinus
25-12-03, 11:34
http://www.wga.hu/art/l/lotto/1521-23/06nativi.jpg Lorenzo Lotto, Natività, 1523, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/c/correggi/madonna/adoratio.jpg Correggio, Madonna in adorazione del Bambino, 1518-20, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/ghirland/ridolfo/adorati.jpg http://alfalfapress.com/history/costume/images/1510_ghirlandio.jpg Ridolfo Ghirlandaio, Adorazione dei pastori, 1510, Museum of Fine Arts, Budapest

http://www.wga.hu/art/l/le_brun/holy_fam.jpg Charles Le Brun, Sacra Famiglia in Adorazione del Bambino, 1655, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/l/lippi/flippino/1/04adorat.jpg Filippino Lippi, Madonna in Adorazione del Bambino, 1483, Galleria degli Uffizi, Firenze

Augustinus
25-12-03, 11:34
http://www.wga.hu/art/l/lippi/filippo/1450/3adorati.jpg Fra Filippo Lippi, Adorazione del Bambino, 1455, Galleria degli Uffizi, Firenze

http://www.wga.hu/art/r/rubens/10religi/18religi.jpg Peter Paul Rubens, Vergine in Adorazione dinanzi al Bambino, 1615 circa, Rockox House, Antwerp

http://www.wga.hu/art/r/rubens/13religi/53religi.jpg Peter Paul Rubens, Vergine in Adorazione dinanzi al Bambino, 1620 circa, St.-Niklaaskerk, Bruxelles

Augustinus
25-12-03, 12:40
Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/cchild17.jpg

Augustinus
25-12-03, 12:47
In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum.
Hoc erat in principio apud Deum.
Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil, quod factum est;
in ipso vita erat, et vita erat lux hominum,
et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt.
Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioannes;
hic venit in testimonium, ut testimonium perhiberet de lumine, ut omnes crederent per illum.
Non erat ille lux, sed ut testimonium perhiberet de lumine.
Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem, veniens in mundum.
In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognovit.
In propria venit, et sui eum non receperunt.
Quotquot autem acceperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri, his, qui credunt in nomine eius,
qui non ex sanguinibus neque ex voluntate carnis neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt.
Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis; et vidimus gloriam eius, gloriam quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis.
Ioannes testimonium perhibet de ipso et clamat dicens: “ Hic erat, quem dixi: Qui post me venturus est, ante me factus est, quia prior me erat ”.
Et de plenitudine eius nos omnes accepimus, et gratiam pro gratia;
quia lex per Moysen data est, gratia et veritas per Iesum Christum facta est.
Deum nemo vidit umquam; unigenitus Deus, qui est in sinum Patris, ipse enarravit.

*******

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue,
né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità..
Giovanni gli rende testimonianza e grida:

«Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Augustinus
26-12-03, 20:25
Agostino, Discorsi, 186 (PL 38, 999-1000)

NATALE DEL SIGNORE

Il parto verginale di Maria.

1. Rallegriamoci, fratelli, gioiscano e si allietino le genti. Questo giorno per noi venne reso sacro non dall'astro solare che vediamo, ma dal suo Creatore invisibile quando, divenuto visibile per noi, lo partorì la Vergine Madre, feconda pur rimanendo integra, anche lei creata dal Creatore invisibile. Vergine nel concepirlo, vergine nel generarlo, vergine nel portarlo in grembo, vergine dopo averlo partorito, vergine per sempre. Perché ti meravigli di questo, uomo? Era conveniente che nascesse così Dio, quando si degnò di diventare uomo. Così l'ha creata colui che è stato fatto da lei. Prima che venisse formato nel seno materno già esisteva e, poiché era onnipotente, poté essere formato pur rimanendo ciò che era prima. Si formò una madre, mentre era presso il Padre; e mentre veniva fatto dalla madre, rimase sempre nel Padre. Come avrebbe potuto smettere di essere Dio quando cominciò ad essere uomo, se alla sua madre fece dono di non smettere di essere vergine quando lo partorì? Il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14), non significa che cessò di essere Verbo per divenire carne mortale, ma che la carne si unì al Verbo per non essere più mortale. Come l'uomo è formato di anima e di corpo, così Cristo è Dio e uomo. È uomo e insieme Dio; è Dio e insieme uomo: senza confusione della natura, ma nell'unità della persona. Colui che come Figlio di Dio è da sempre coeterno al Padre che lo genera, è lo stesso che cominciò ad essere dalla Vergine come figlio dell'uomo. E così alla divinità del Figlio si è aggiunta l'umanità; tuttavia non si è formata una "quaternità" di persone, ma rimane la Trinità.

Contro il docetismo.

2. Non fatevi ingannare pertanto dall'opinione di alcuni che non prestano sufficiente attenzione alla regola della fede e agli insegnamenti delle divine Scritture. Dicono costoro: il figlio dell'uomo è diventato Figlio di Dio; ma il Figlio di Dio non è diventato figlio dell'uomo. Hanno detto così per cercare di salvaguardare la verità; tuttavia non sono stati capaci di esprimere totalmente la verità. Hanno salvaguardato questa verità: la natura umana poté mutarsi in meglio, ma la natura divina non poté mutarsi in peggio. E questo è vero. Ma è vero anche che, pur non essendosi assolutamente la natura divina mutata in peggio, il Verbo si è fatto carne. Il Vangelo non dice: "La carne si è fatta Verbo", ma: Il Verbo si è fatto carne; e Verbo significa Dio, perché il Verbo era Dio (Gv 1, 14). E che cosa s'intende per carne se non l'uomo? Infatti in Cristo la carne dell'uomo non era senza anima; per cui dice: L'anima mia è triste fino alla morte (Mt 26, 38). Se dunque Verbo significa Dio e carne significa uomo, che cosa significa: Il Verbo si è fatto carne se non: "Colui che era Dio si è fatto uomo"? E perciò colui che era Figlio di Dio è divenuto figlio dell'uomo assumendo ciò che era inferiore, non mutando ciò che era superiore; prendendo ciò che non era, non perdendo ciò che era. Come potremmo affermare nella professione di fede di credere nel Figlio di Dio che è nato da Maria Vergine, se fosse nato dalla Vergine Maria non il Figlio di Dio, ma un figlio dell'uomo? Nessun cristiano nega che da quella donna fosse nato un figlio d'uomo; afferma però che Dio si è fatto uomo e che quindi un uomo è divenuto Dio. Il Verbo infatti era Dio e il Verbo si è fatto carne. La vera fede è che colui che era Figlio di Dio, per poter nascere dalla Vergine Maria, prese le sembianze di servo (Cf. Fil 2, 7), divenne figlio dell'uomo, restando ciò che era e assumendo ciò che non era. Cominciò ad essere nella natura umana, inferiore al Padre (Cf. Gv 14, 28), continuò a rimanere nella natura divina, nella quale lui e il Padre sono una cosa sola (Cf. Gv 10, 30).

Il Verbo di Dio è divenuto uomo.

3. Se non fosse diventata figlio dell'uomo la stessa persona che rimane sempre come Figlio di Dio, come poteva dire l'Apostolo: Egli, possedendo la natura divina, non pensò di valersi della sua eguaglianza con Dio, ma annientò se stesso, prendendo la natura di schiavo e diventando simile agli uomini e rivestendo la natura umana (Fil 2, 6-7)? Non un altro ma lui stesso, uguale al Padre nella natura divina, che è anche unigenito Figlio del Padre, annientò se stesso diventando simile agli uomini. Non un altro ma lui stesso, che nella natura divina è uguale al Padre, umiliò non un altro ma se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 8). Tutto questo il Figlio di Dio poté farlo perché ha assunto quella natura per cui è figlio dell'uomo. Ancora: se colui che è da sempre il Figlio di Dio non fosse lo stesso che è diventato figlio dell'uomo, come può dire l'Apostolo ai Romani: Consacrato al Vangelo di Dio, promesso già nelle sacre Scritture per mezzo dei Profeti, riguardante il Figlio suo, nato come uomo dalla stirpe di David (Rm 1, 1-3)? Il Figlio di Dio, esistente da sempre, è divenuto ciò che non era, nascendo come uomo dalla stirpe di David. Ancora: se colui che è Figlio di Dio non è lo stesso che è diventato figlio dell'uomo, in che modo Dio mandò suo Figlio nato da una donna (Gal 4, 4)? Usando il termine donna nella lingua ebraica non si nega in questo caso la prerogativa della verginità, si vuole intendere semplicemente il sesso femminile. Chi poté essere stato mandato dal Padre se non l'unigenito Figlio di Dio? Come è nato da una donna se non perché colui che era Figlio di Dio presso il Padre, una volta mandato, divenne figlio dell'uomo? Nato dal Padre al di fuori di ogni tempo, nato dalla madre in questo giorno. Ha scelto di nascere in questo giorno che lui stesso ha creato, come è nato da una madre che lui stesso ha fatto nascere. Infatti questo giorno, a cominciare dal quale la luce del giorno aumenta sempre più, è figura pure dell'opera di Cristo, dal quale il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno (2 Cor 4, 16). E giustamente l'eterno Creatore, nato nel tempo, non poteva non scegliere come suo giorno natalizio quello che veniva riferito al sole, creatura non eterna.

Augustinus
19-12-04, 10:20
di Roberto Beretta

Drin. "Ma lei lo sa che Gesù non è nato il 25 dicembre?". L'approccio è classico per i Testimoni di Geova, quando suonano alla porta nelle loro peregrinazioni missionarie. E poi giù a dimostrare — accomodati nel salotto dell'interlocutore — come la data del Natale, in realtà, sia quella convenzionale della festa romana (e pagana) del sol invictus e che quindi la Chiesa cattolica spacci falsità ai suoi aderenti: fin dall'anagrafe del suo stesso Dio.

Ma è davvero così? Il 25 dicembre è veramente una data solo simbolica, scippata al paganesimo e - secondo una prassi per la verità piuttosto abituale per i credenti dei primi secoli - reinterpretata in base alla teologia cristiana? Sostenere il contrario sembrerebbe opera da fondamentalisti, ormai, tanta è la sicurezza che studiosi (anche di provata fede cattolica) ostentano in materia. La cadenza decembrina, così prossima al solstizio d'inverno, sarebbe stata fissata nel IV secolo per sovrapporsi al culto indo-iranico di Mithra, importato a Roma dall'imperatore Aureliano (270 e dintorni) e così adatto per tanti suoi simboli (la stella, la nascita in una grotta, i pastori, i Magi-sacerdoti mazdei...) a significare l'evento di Betlemme. Già in un calendario liturgico risalente al 326, infatti, la data del 25 dicembre è segnata come quella della nascita di Gesù.

Ma, in un saggio pubblicato pochi anni fa sulla rivista della Pontificia Università Urbaniana Euntes docete, lo studioso Antonio Ammassari ha rimescolato le carte a tanta certezza. Riprendendo un lavoro firmato nel 1958 dal professore israeliano Shemaryahu Talmon, che ricostruiva secondo il calendario solare biblico trovato a Qumran i turni di servizio dei sacerdoti al tempio di Gerusalemme, Ammassari giungeva a scoperte interessanti. Secondo l'evangelista Luca, infatti, Zaccaria (padre di Giovanni Battista) apparteneva alla classe sacerdotale di Abìa ed era in servizio a Gerusalemme quando l'arcangelo gli preannunciò la nascita del figlio. Ora, il gruppo di Abìa esercitava al Tempio di Salomone due volte l'anno: dall'8 al 14 del terzo mese (Sivan, corrispondente a maggio-giugno) e tra il 24 e il 30 dell'ottavo mese (Heshvan, ovvero ottobre-novembre).

Prendendo per buona questa seconda ipotesi, l'annuncio a Zaccaria sarebbe avvenuto abbastanza vicino al 23 settembre, festa liturgica della "concezione di Giovanni" secondo il calendario bizantino; e la nascita del Battista verrebbe conseguentemente a cadere circa 8 mesi più tardi: cioè verso il 24 giugno, tradizionale memoria di san Giovanni.

Non solo: giacché Luca colloca la visitazione angelica a Maria nel sesto mese di gravidanza della cugina Elisabetta, si può risalire alla data dell'annunciazione; che andrebbe collocata pertanto verso aprile (la festa liturgica dell'evento è il 25 marzo). Quindi la collocazione del Natale di Cristo intorno al 25 dicembre non sarebbe poi così simbolica e — per dirla con le parole stesse di Ammassari — "risalirebbe ad una tradizione giudaico-cristiana registrata implicitamente da Luca".

A rafforzare la sua tesi, lo studioso indica che essa coincide con il calendario di lettura continua dei salmi rispettato dagli ebrei ortodossi dei tempi di Gesù; in sostanza: la natività del Battista cadrebbe nei giorni in cui si recitava anche il salmo 85, nel quale ricorre la medesima radice del nome Giovanni; l'annunciazione a Maria avverrebbe invece intorno al periodo dedicato alla lettura del salmo 18, in cui ritorna con insistenza lo stesso radicale "salvare" presente pure in "Gesù"; e infine il Magnificat sarebbe stato pronunciato in corrispondenza con i giorni riservati dal "breviario giudaico" al salmo 33 (quello che fa: "Celebrate il Signore con me perché è grande...).

Insomma, le coincidenza fanno pensare. E, nonostante non manchino certe stiracchiature di calendario e alcune controindicazioni (per esempio: l'attività dei pastori, presenti a Betlemme, in Palestina si svolgeva solo dalla primavera all'autunno (cf nota seguente), l'anno scorso il professor Tommaso Federici dell'Urbaniana ha preso posizione a favore della tesi di Ammassari dalle pagine dell'Osservatore romano, lamentando anzi che "tale studio capitale non sia stato rilevato dal grande circuito degli studiosi". È vero che già nel II secolo Clemente Alessandrino scriveva di non conoscere la vera data di nascita di Cristo, e che il Natale dei primi secoli fu celebrato prima il 25 aprile, poi il 24 giugno e infine il 6 gennaio; ma non sarebbe male approfondire scientificamente la questione. Se non altro per avere di che discutere con i Testimoni di Geova.

Fonte: Avvenire, 24 dicembre 1998.

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Il bravo giornalista Roberto Beretta, benché sostenga la storicità della data classica, ha qualche perplessità sui pastori: afferma infatti "l'attività dei pastori, presenti a Betlemme, in Palestina si svolgeva solo dalla primavera all'autunno".

Ulteriori approfondimenti confermano il fatto che c'erano pastori in giro anche a dicembre: infatti il clima senza neve proprio della regione di Betlemme permetteva che i pastori scendessero in inverno in queste regioni, dove c'erano dei siti e pascoli con erba, cresciuta dopo le piogge autunnali: in zone più settentrionali e montagnose, il freddo impediva la crescita del fieno. I pastori che "vegliavano nella notte" potrebbero essere proprio questi pastori transumanti che bivaccavano.

Questa ipotesi collima anche con una distinzione del Talmud di tre tipi di greggi

a) i greggi che ritornano ogni giorno all'ovile (BAYETOT)

b) quelli che in tempo invernale erano ricondotto all'ovile (Besa 40 a), e

c) i greggi permanentemente al pascolo nel deserto (MIDBARIYYOT LE`OLAM) (Sabb. 45 b).

Questi greggi "permanentemente al pascolo nel deserto" si trovavano proprio nella regione di Betlemme!

Anche Partenio, (cf Erotici Scriptores, 29, ed. Firm. Didot p. 20) attesta questi pascoli invernali anche in Sicilia (clima simile).

Augustinus
19-12-04, 10:47
di VITTORIO MESSORI

Il Ferragosto non è così lontano ed io devo fare ammenda. Succede, infatti, che in un momento di malumore - e proprio su questo giornale - abbia auspicato che la Chiesa si decida a una modifica del calendario: spostare al 15 di agosto quel che celebra il 25 di dicembre. Un Natale nel deserto estivo, argomentavo, ci libererebbe dalle insopportabili luminarie, dalle stucchevoli slitte con renne e babbinatali, persino dall’obbligo degli auguri e dei regali. Quando tutti sono via, quando le città sono vuote, a chi - e dove - mandare cartoline e consegnare pacchi con nastri e fiocchetti? Non sono i vescovi stessi a tuonare contro quella sorta di orgia consumistica cui sono ridotti i nostri Natali? E allora, spiazziamo i commercianti, spostiamo tutto a Ferragosto. La cosa, osservavo, non sembra impossibile: in effetti, non fu la necessità storica, fu la Chiesa a scegliere il 25 dicembre per contrastare e sostituire le feste pagane nei giorni del solstizio d’inverno. La nascita del Cristo al posto della rinascita del Sol invictus .
All’inizio, dunque, ci fu una decisione pastorale che può essere mutata, variando le necessità.

Una provocazione, ovviamente, che si basava però su ciò che è (o, meglio, era) pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la collocazione liturgica del Natale è una scelta arbitraria, senza collegamento con la data della nascita di Gesù, che nessuno sarebbe in grado di determinare.

Ebbene, pare proprio che gli esperti si siano sbagliati; e io, ovviamente, con loro. In realtà oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilirlo con precisione: Gesù è nato proprio un 25 dicembre. Una scoperta straordinaria sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme.

Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Se Gesù è nato un 25 dicembre, il concepimento verginale è avvenuto, ovviamente, 9 mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani pongono al 25 marzo l’annunciazione a Maria dell’angelo Gabriele. Ma sappiamo dallo stesso Vangelo di Luca che giusto sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il precursore, Giovanni, che sarà detto il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per quel concepimento, mentre le antiche Chiese d’Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre. E, cioè, sei mesi prima dell’Annunciazione a Maria. Una successione di date logica ma basata su tradizioni inverificabili, non su eventi localizzabili nel tempo. Così credevano tutti, fino a tempi recentissimi. In realtà, sembra proprio che non sia così.

In effetti, è giusto dal concepimento di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell’anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l’età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Dovevano chiamarlo Giovanni e sarebbe stato «grande davanti al Signore».
Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l’apparizione «officiava nel turno della sua classe». In effetti, coloro che nell’antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l’anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l’ottava, nell’elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva.

Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l’enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l’anno, come le altre, e una di quelle volte era nell’ultima settimana di settembre. Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l’annuncio a Zaccaria. Ma questa verosimiglianza si è avvicinata alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professor Talmon, gli studiosi hanno ricostruito la «filiera» di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva, giudeo-cristiana, di Gerusalemme. Una memoria antichissima quanto tenacissima, quella delle Chiese d’Oriente, come confermato in molti altri casi.

Ecco, dunque, che ciò che sembrava mitico assume, improvvisamente, nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l’annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l’annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest’ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso.

Ma sì, pare proprio che il Natale a Ferragosto sia improponibile. Ne farò, dunque, ammenda ma, più che umiliato, piuttosto emozionato: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c’importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi p stava attenzione) mostrano all’improvviso la loro ragion d’essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa. Malgrado tutto, l’avventura cristiana continua.

Fonte: Corriere della Sera, 9 luglio 2003, pag. 1 (http://digilander.libero.it/galatrorc4/felicit4/20030709_messori_gesu_nacque_25_dicem.pdf)

Augustinus
19-12-04, 10:48
di Tommaso Federici

Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all’ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane.

Un preambolo

In genere si assumeva e si assume senza discutere la notizia già antica secondo cui la celebrazione del Natale del Signore nella prima metà del secolo IV fu introdotta dalla Chiesa di Roma per motivi ideologici. Infatti sarebbe stata posta al 25 dicembre per contrastare una pericolosa festa pagana, il Natale Solis invicti (fosse Mitra, come è probabile, o fosse una titolatura di un imperatore romano). Tale festa era stata fissata al solstizio invernale (21-22 dicembre), quando il sole riprendeva il suo corso trionfale verso il suo sempre maggiore risplendere. Quindi in ambito cristiano, risalendo di 9 mesi, si era posta al 25 marzo la celebrazione dell’annuncio dell’Angelo a Maria Vergine di Nazareth, e la sua Immacolata Concezione del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si era posta anche la memoria della nascita del suo precursore e profeta e battezzatore Giovanni.

D’altra parte, l’Occidente cristiano non celebrava l’annuncio della nascita di Giovanni al padre, il sacerdote Zaccaria. Che invece, e da lunghissima data, è commemorato nell’Oriente siro alla prima domenica del “Tempo dell’Annuncio (Sùbard)”, che comprende in altre cinque domeniche l’annunciazione a Maria Vergine, la visitazione, la nascita del Battista, l’annuncio a Giuseppe, la genealogia del Signore secondo Matteo.

L’Oriente bizantino, e sempre da data immemoriale, celebra invece al 23 settembre anche l’annuncio a Zaccaria.

Si hanno in successione quattro date evangeliche che inseguendosi si intersecano, ossia I) l’annuncio a Zaccaria e II) sei mesi dopo l’annunciazione a Maria, III) rispettivamente nove e tre mesi dopo le prime due date, la nascita del Battista, e IV) rispettivamente sei mesi dopo quest’ultima data, e naturalmente nove mesi dopo l’annunciazione, la Nascita del Signore e Salvatore. Il referente per così dire “liturgico” di tutto questo sarebbe quindi il Natale del Signore, al 25 dicembre, sulla cui base, si assume, furono disposte le feste dell’annunciazione nove mesi prima, e della nascita del Battista sei mesi prima. Gli storici e i liturgisti su questo svolgono diverse ipotesi più o meno accolte. Il problema è che già nei secoli II-IV erano state avanzate diverse datazioni, che tenevano conto di computi astronomici, o di idee teologiche.

Una data “storica” esterna, ossia che non fosse biblica, patristica e liturgica, e che portasse una conferma agli studiosi, non era ancora conosciuta.

Un riferimento: l’annuncio a Zaccaria

Luca ha una certa sua cura di situare la storia. Così ad esempio cita «l’editto di Cesare Augusto» per il lungo censimento di Quirino (circa il 7-6 a. C.), durante il quale avvenne la nascita del Signore (Lc 2, 1-2). Inoltre rimanda all’anno quindicesimo di Tiberio Cesare (circa il 27-28 d. C.), quando Giovanni il Battista cominciò la sua predicazione preparatoria del Signore (Lc 3, 1). E annota: "E lo stesso Gesù era cominciante [il suo ministero dopo il Battesimo, Lc 3, 21-22] quasi di anni 30" (Lc 3, 23), di fatto avendo circa 33 o 34 anni.

Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all’anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla "classe [sacerdotale, ephémeria] di Abia" (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele "esercitava sacerdotalmente nel turno [tàxis] del suo ordine [ephèmeria]" (Lc 1, 8).

Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i "figli di Aronne" fossero distinti in 24 tàxeis, ebraico sebaot, i “turni” perenni (1 Cr 24, 17-19). Tali “classi”, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, “da sabato a sabato”, due volte l’anno. L’elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l’elenco, in 1Cr 24, 7-18).

Il secondo fatto è che Zaccaria quindi apparteneva al “turno di Abia”, l'VIII. Il problema che pone questo è che Luca scrive quando il tempio è ancora in attività, e quindi tutti potevano conoscere le sue funzioni, e non annota “quando” stava in esercizio il “turno di Abia”. Inoltre, non dice in quale dei due avvicendamenti annuali Zaccaria ricevette l'annuncio dell‘Angelo nel santuario. E sembra che lungo i secoli nessuno abbia avuto cura di riportare la memoria, o di fare qualche ricerca. La stessa Comunità madre, la Chiesa di Gerusalemme, giudeo-cristiana di lingua aramaica, che tradizionalmente (almeno per due secoli) era guidata dai parenti di sangue di Gesù, Giacomo e i suoi successori, non sembra che si curasse di questo particolare, che per i contemporanei andava da sé.

Il «turno di Abia» con data certa

Nel 1953 la grande specialista francese Annie Jaubert, nell’articolo Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques, in Vetus Testamentum, Suppl. 3 (1953), pp. 250-264, aveva studiato il calendario del Libro dei Giubilei, un apocrifo ebraico assai importante, che risaliva alla fine del sec. II a. C. Ora numerosi frammenti di testo di tale calendario, ritrovati nelle grotte di Qumran, dimostravano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni che lì vivevano (circa sec. II a. C.- sec. I d. C.), ma che esso era ancora in uso. Detto calendario è solare, e non dà nomi ai mesi, ma li chiamava con il numero di successione. La studiosa aveva pubblicato poi su questo diversi altri articoli importanti; vedi anche la sua voce Calendario di Qumran, in Enciclopedia della Bibbia, 2 (1969), pp. 35- 38. E in una celebre monografia, La date de la Cène, Calendrier biblique et liturgie chrétienne, Etudes Bibliques, Paris 1957, aveva anche ricostruito la successione degli eventi della settimana santa, individuando in modo convincente (salvo dissensi di qualcuno) al martedì, e non al giovedì, la data della cena del Signore.

Da parte sua, anche lo specialista Shemarjahu Talmon, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, aveva lavorato sui documenti di Qumran e sul calendario dei Giubilei, ed era riuscito a precisare lo svolgersi settimanale dell’ordine dei 24 turni sacerdotali nel tempio, allora ancora in funzione. I suoi risultati erano consegnati nell’articolo The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolym itana, vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199; si tratta di uno studio accurato e importante, ma, si deve dire, passato pressoché inosservato dal grande circuito, ma non ad Annie Jaubert. Ora, la lista che il professor Talmon ricostruisce indica che il "turno di Abia (Ab-Jah)", prescritto per due volte l’anno, ricorreva così: I) la prima volta, dall’8 al 14 del terzo mese del calendario, e II) la seconda volta dal 24 al 30 dell’ottavo mese del calendario. Ora, secondo il calendario solare (non lunare, come è l’attuale calendario ebraico), questa seconda volta corrisponde circa all’ultima decade di settembre.

Come annota anche Antonio Ammassari, alle origini del calendario natalizio, in Euntes Docete 45 (1992) pp. 11-16, Luca, con l’indicazione sul “turno di Abia”, risale a una preziosa tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, che da narratore accurato di storia (Lc 1, 1-4) ha rintracciato, e offre la possibilità di ricostruire alcune date storiche.

Così il rito bizantino al 23 settembre fa memoria dell’annuncio a Zaccaria, e conserva una data storica certa, e pressoché precisa (forse con un decalco di uno o due giorni).

Date storiche del Nuovo Testamento

La principale datazione storica sulla vita del Signore verte sull’evento principale: la sua resurrezione nel resoconto unanime dei quattro Evangeli (e del resto della Tradizione apostolica del Nuovo Testamento, vedi 1 Cor 15, 3-7) avvenne all’alba della domenica 9 aprile dell’anno 30 d. C., data astronomica certa, e quindi quella della sua morte avvenne circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30.

Secondo i dati ricavati dall’indagine recente come sopra accennata, viene un intreccio impressionante di altre date storiche.

Il ciclo di Giovanni il Battista ha la data storica accertata (circa) del 24 settembre del nostro calendario gregoriano dell’anno 7-6 a. C. per l’annuncio divino concesso a suo padre Zaccaria. Nel computo attuale, sarebbe nell’autunno dell’1 a. C., ma si sa che dal VI secolo vi fu un errore di circa sei o cinque anni sulla data reale dell’anno della nascita del Signore.

La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 1, 57-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica.

Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l’annunciazione a Maria Vergine di Nazareth “nel mese sesto” dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un’altra data storica.

E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l’annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l’annunciazione alla Madre semprevergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista.

La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica.

E così, quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la “presentazione” del Signore al tempio sempre secondo la legge di Mosè (Lev 12, 4-8), che segna l’hypapanté.

Problemi liturgici

La data del Natale ha intorno un nugolo di problemi. Anzitutto viene il fatto che in alcune Chiese si cumulò e talvolta si confuse il 25 dicembre con il 6 gennaio, giorno che cumulava la memoria degli eventi che contornavano la nascita del Salvatore.

Poi, soprattutto, la non chiara distinzione tra memoria di un fatto, che può durare generazioni, la devozione intorno a questo fatto, che si può esprimere con un culto non liturgico, e l’istituzione di una festa “liturgica” con data propria e con una vera e propria ufficiatura, che comprende la liturgia delle ore sante e quella dei divini misteri.

Qui va tenuto conto, come invece in genere si trascura, dell’incredibile memoria delle comunità cristiane quanto a eventi evangelici, e ai luoghi che videro il loro verificarsi.

L’Annunciazione, ad esempio, era entrata nella formulazione di alcuni “Simboli battesimali” più antichi già nel secolo II. Essa nella medesima epoca fu rappresentata nell’arte cristiana primitiva, come nella catacombe di Priscilla. A Nazareth stessa, come ormai ha dimostrato splendidamente l’archeologia, il luogo dell’Annunciazione fu conservato e venerato senza interruzione dalla comunità locale, e fu visitato da un ininterrotto afflusso di pellegrini devoti, che lungo i secoli lasciarono anche graffiti e scritte commoventi, fino ai giorni nostri. Quando si avviò il culto “liturgico” della Madre di Dio, nel V secolo inoltrato, si ebbe la grande festa “liturgica” dell’Euaggelismòs, l’annunciazione a Maria. Questa acquistò tale straordinaria risonanza che in Occidente i Padri la annoverarono tra i «primordi della nostra redenzione» (con il Natale, i Magi e le nozze di Cana), e in Oriente fu considerata così solenne e quasi soverchiante, che la sua data nel rito bizantino abolisce la domenica e perfino il giovedì santo, cede solo al venerdì santo, e se cade alla domenica della Resurrezione divide la celebrazione così che si celebra metà del Canone pasquale e metà del Canone dell’Annunciazione.

A Betlemme già prima della costruzione della Basilica costantiniana (primo trentennio del IV secolo), la comunità cristiana aveva conservata la memoria e la venerazione ininterrotte del luogo della nascita del Signore.

La Natività

In Egitto la Chiesa copta conserva con ininterrotta devozione la memoria dei luoghi dove la santa famiglia sostò nella sua fuga (Mt 2, 13-18), dove furono costruite chiese ancora officiate.

Si può parlare qui dei luoghi santi della Palestina, in specie quelli di Gerusalemme: dell’Anàstasis, la Resurrezione (così riduttivamente chiamato “santo sepolcro”) e del Golgota, del Cenacolo, del “Monte della Galilea” che è quello dell’Ascensione, del Getsemani, di Betania, della piscina probatica (Gv 5, 1-9), dove fu costruita una chiesa, del luogo della “Dormizione” della Madre di Dio nel Cedron, e così via. Su tutti questi luoghi esiste una documentazione preziosa, impressionante e ininterrotta lungo i secoli fino a noi, dei pellegrini che li visitarono sempre con gravi sacrifici e pericoli, e lasciarono descrizioni e resoconti scritti della venerazione di cui erano oggetto, e degli usi della devozione degli abitanti e degli altri visitatori.

Il problema di grande interesse qui è la scelta delle date per le celebrazioni “liturgiche” vere e proprie. Quanto alla celebrazione “liturgica”, nel senso visto sopra, del Signore, della sua Madre Semprevergine, di Giovanni il Battista, si trattò di scelte arbitrarie, provenienti da ideologie o da calcoli ingegnosi? Non pare. Il 23 settembre e il 24 giugno per l’annuncio e la nascita di Giovanni il Battista, e il 25 marzo e il 25 dicembre per l’annunciazione del Signore e per la sua nascita, non furono arbitrarie, e non provengono da ideologie di riporto. Le Chiese avevano conservato memorie ininterrotte, e quando decisero di renderle celebrazioni “liturgiche” non fecero che sanzionare un uso immemoriale della devozione popolare.

Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le “date” delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle “deposizioni dei martiri”, che chiamavano il “natale dei martiri” alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall’Oriente palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell’Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche dall’immensa cristianità dell’ Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese.

Con questo, si vuole dire che le Chiese avevano la possibilità di controlli e di verifiche, e va detto che gli antichi padri nostri non erano affatto creduloni, ma spesso giustamente diffidenti, così da respingere ogni tentativo illecito e illegittimo di culto “non provato”.

L’evangelista Luca in tutto questo ha una parte non piccola, quando con opportuni e abili accenni rimanda a luoghi ed eventi e date e persone.

Il clan di Caino

La Chiesa madre dei giudeo-cristiani aveva conservato molte altre memorie sul suo Signore, l’ebreo Gesù, il “Diacono della circoncisione” (Rm 15, 8), che la ricerca moderna con pazienza e con fatica si incarica di riportare alla luce dopo tanti secoli di affossamento. Alcune di esse sono intense e splendenti di luce. Una riguarda la scelta della Madre di Dio. Dopo la rovinosa caduta di Adamo, i Tre fecero urgente consiglio. Il Padre comunicò che per ripartire da zero aveva scelto Maria, la Vergine di Nazareth, e aveva deciso di farne la Madre del Figlio, dotandola della Verginità permanente come imitazione della sua Verginità paterna. Il Figlio da parte sua comunicò che anche Lui aveva scelto Maria per farne la sua propria madre, e aveva deciso di farla assistere ai “tre terrificanti Misteri”, della Nascita verginale, della Croce e della Resurrezione gloriosa. Anche lo Spirito Santo comunicò che aveva scelto la medesima Maria, per darle come dote nuziale la sua divina Soavità, per conferirle la sua Paràklésis, l’Avvocatura potente contro il Nemico, e insieme la sua Consolazione irresistibile. Così venne agli uomini “dallo Spirito Santo e da Maria Vergine” (Lc 1, 32; e il Simbolo apostolico) Cristo Signore, che, “generato nella divina eternità dal Padre senza madre”, il Medesimo “fu partorito nel tempo degli uomini dalla Madre senza padre” (i Padri). Così che il Figlio di Dio e Figlio di Maria ebbe come Termine divino della sua esistenza umana lo Spirito Santo, nel quale è consustanziale con il Padre, e come Termine umano la Madre Semprevergine, mediante la quale è consustanziale con tutti gli uomini.

Tutti gli uomini non tanto da “salvare”, termine che nell’età moderna si è fatto molto equivoco, quanto da redimere dal peccato. Il peccato di Adamo, che si configura poi anche come peccato di Caino (Gen 4, 1-12). Dopo il fratricidio consumato sull’innocente Abele, Caino ebbe paura della punizione, e non tanto di quella del suo Signore misericordioso, quanto di quella degli uomini (Gen 4, 13). Ma il Signore misericordioso gli concesse un “segno”, il “segno di Caino”, che per lui fosse di salvezza dalla morte.

Allora il Signore dopo il diluvio, da tutti i discendenti di Noè, operò con sapienza e con pazienza secondo le due irresistibili leggi della redenzione, la “selezione regressiva” o “concentrazione”, che è scelta di uno , un “resto” assunto e posto in favore di tutti gli altri ed è eliminazione degli altri da questa operazione, e per "sussunzione progressiva", che è aggregazione universale di tutti nella salvezza ottenuta dal “resto”. Perciò il Signore da tutti i popoli della terra (Gen 10) scelse Sem e la sua posterità (Gen 10, 21-31). Dalla posterità di Sem scelse la famiglia di Tare, padre di Abramo (Gen 11, 27-32). Dai figli di Tare scelse Abramo (Gen 12, 1-3), e la sua discendenza, Isacco e Giacobbe. Dai dodici figli di Giacobbe scelse la tribù di Giuda (Gen 49, 8-12). Dalla tribù di Giuda scelse la semitribù dei Cainiti (o Qainiti, o Qeniti, o Qenizziti) con Caleb, con capitale Hebron (Gios 14, 6-15). Da questa semitribù (o Dan) scelse la famiglia di Ishaj (lesse), e dagli otto figli di Ishaj scelse David (1 Sam 16,1-12), sul quale pose il suo Spirito divino onnipotente e messianico (1 Sam 16, 13).

Da David finalmente e irreversibilmente discese nella carne (Mt 1, 1; Rm 1, 3) attraverso la sola Maria Semprevergine, senza concorso di uomo (Mt 1, 16), il Figlio di Dio, Figlio di Abramo, Gesù Cristo, il Redentore.

Il “segno” che Caino ricevette è la confluenza sua e di tutti i peccatori nella sua posterità peccatrice, riassunta dai Cainiti, il “clan di Caino”, il cui Capo divino e umano è il Figlio di Dio, nato dallo Spirito Santo e dalla Semprevergine Maria. Perciò il Figlio di Dio, l’Impeccabile “fatto peccato per noi” (2 Cor 5, 21), "reso maledetto per noi" secondo la Legge perché sospeso sul Legno (Gv 13, 13, che cita Dt 21, 23) per ottenere la Benedizione e la Promessa d’Abramo che è lo Spirito Santo (Gal 3, 14), che “assunse la carne di peccato” carica quindi di morte (Rm 8, 3), che essendo e restando Dio si fece anche schiavo obbediente fino alla morte e morte di croce (Fil 2, 6-8). Portando sulla croce Caino e la sua discendenza, il Figlio di Dio distrusse l’incapacità di Adamo e di Eva di dare figli a Dio, e riaprì in “sussunzione progressiva” illimitata le porte dell’ingresso al Padre nello Spirito Santo.

Questo è anche il contenuto delle liturgie d’Oriente e dell’Occidente alla domenica della Resurrezione e al venerdì santo, ma anche del Natale, dell’Annunciazione, della nascita della Vergine.

Il Natale del Signore nella carne è una fonte inesauribile, che non conosce l’ovvio banale del gelido “albero” cosificante, ma la sorpresa rinnovata, la meraviglia mai sazia, lo stupore adorante davanti a Colui che dall’Oceano infinito della Divinità beata volle approdare alla riva angusta e dolente della storia degli uomini per un unico scopo:

“Dio restando quello che era volle farsi anche quello che non era, Uomo creato, vero, limitato, mortale, affinché gli uomini creati, limitati e mortali, restando quello che erano, diventassero finalmente dèi per grazia dello Spirito Santo. Questa è la “formula di scambio” o “formula della divinizzazione”, che viene dalla santa Scrittura, è codificata fedelmente dai Padri e si vive con efficacia infinita nella santa liturgia della Chiesa.

Fonte: Osservatore Romano, 24 dicembre 1998

Augustinus
24-12-04, 14:56
http://198.62.75.1/www1/terras/bt-rural.jpg

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-nativ-3.jpg Facciata della Basilica della Natività

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-door-3.jpg http://198.62.75.1/www1/terras/bt-door-1.jpg Entrata della Basilica della Natività

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-nativ-1.jpg Interno della Basilica della Natività

http://198.62.75.1/www1/terras/TSbtentr-s.jpg Entrata alla Grotta della Natività

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-grotto-2.jpg http://198.62.75.1/www1/terras/TSbtfran.jpg Grotta della Natività

Augustinus
24-12-04, 14:57
http://198.62.75.1/www1/terras/bt-grotto-d.jpg Altare della Mangiatoia

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-manger.jpg Altare della Mangiatoia

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-altar.jpg Altare della Natività

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-star-3.jpg http://198.62.75.1/www1/terras/bt-star-2.jpg http://198.62.75.1/www1/terras/bt-star-1.jpg Stella del luogo della Natività

Augustinus
24-12-04, 14:58
http://198.62.75.1/www1/terras/bt-catherine-i.jpg Interno della Chiesa di S. Caterina

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-milk-ext.jpg Esterno della Chiesa della Grotta del Latte

http://198.62.75.1/www1/terras/bt-milk-int.jpg Interno della Chiesa della Grotta del Latte

Augustinus
24-12-04, 15:04
I luoghi in relazione al Natale di Nostro Signore sono stati oggetto di venerazione dai primi tempi del cristianesimo.

LA FESTA DELL’EPIFANIA

I primi documenti liturgici (l’Itinerario della pellegrina spagnola Egeria e il Lezionario Armeno di Gerusalemme che riferisce usi liturgici dei secoli IV e V) ci danno notizie della celebrazione della festa di Epifania.
L’Epifania apriva l’anno liturgico con una celebrazione il giorno 5 gennaio verso le quattro del pomeriggio nel Luogo dei Pastori non lontano da Betlemme. La celebrazione iniziava con i salmi che presentano la figura del pastore. Così il Salmo 22 che dice: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla"; seguiva l’alleluia: "Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge" (Sal 79,1). Questi canti profetici preparavano l’ambiente alla proclamazione del Vangelo di Luca (2,8-20) con cui si celebrava l’annuncio della Buona Novella degli Angeli ai pastori, l’Inno di Gloria e Pace del coro degli Angeli, l’andata pronta e gioiosa dei pastori al luogo della Nascita del Salvatore e il loro ritorno al Campo, chiamato ininterrottamente dei Pastori o Ovile in memoria di questi avvenimenti. Al Vangelo seguivano undici letture dell’Antico Testamento. I fedeli nella contemplazione ricordavano gli antichi prodigi della divina Provvidenza, al fine di prepararsi al mistero della nascita del Messia.
Dopo questo familiare dialogo del popolo, raccolto in festa, con la Parola di Dio si passava alla celebrazione dell’Eucaristia col cantico di Daniele (3,52a-90) e a suo tempo si leggeva il Vangelo di san Matteo (2,1-12) o della manifestazione; infatti narra la peregrinazione dei Magi dall’Oriente al seguito della Stella per adorare il neonato Re dei Giudei, l’incontro con Erode, il riapparire della Stella, l’adorazione con l’offerta dei doni e il ritorno per altra via al loro paese.
La celebrazione vespertina appena descritta era celebrata dalle Comunità di Gerusalemme e Betlemme unite. Ma una volta finita la funzione, il vescovo di Gerusalemme tornava con i suoi, perché doveva celebrare la liturgia in città. Qui arrivavano prima che si facesse giorno, cioè quando il chiarore era tale da permettere di distinguere le persone. Quelli di Betlemme, invece, in particolare clero e monaci, entrati nella chiesa della Natività, con inni e antifone continuavano la veglia fino all’alba.
Il giorno della festa di Epifania la Comunità di Gerusalemme nella celebrazione del’eucaristia leggeva il Vangelo di san Mateo (1,18-25), che racconta come avvenne la nascita dell’Emmanuele, Dio con noi. Lo stesso Vangelo si leggeva con ogni probabilità nel luogo della Natività del Signore.
La celebrazione dell’Epifania, che si protraeva per ben otto giorni, univa le due città vicine nell’ambiente festivo. La letizia pervadeva l’animo di tutto il clero, monaci e fedeli. I paramenti del clero apparivano splendenti con ricami in seta e oro. E non basta, ma anche gli edifici sacri si vestivano a festa con lo splendore di tende sontuose. Inoltre l’illuminazione di torce, candelabri e lucerne illuminava a giorno le veglie festive che salutavano la nascita del Signore della Luce. Lui, infatti, Sole dall’Oriente, si manifestava a tutto il mondo come gioioso araldo del Mattino.
Durante los ocho días que duraba la celebración de Epifanía las dos ciudades vecinas experimentaban igual alegría y se vestían de inigualable esplendor. Los paramentos del clero lucían bordados de oro y seda, los edificios eran cubiertos por suntuosos cortinajes y la iluminación de antorchas y lámparas de todo tipo iluminaban las vigilias festivas que saludaban el nacimiento del Señor de la Luz. El, Sol de Oriente, se manifestaba a todo el mundo como gozoso pregonero del Alba.

LA FESTA DEL NATALE AL 25 DICEMBRE

E in questi tempi la festa dell’Epifania si celebrava il 6 gennaio come dice il Lezionario Armeno e commemorava il duplice mistero della Nascita e dell’Epifania o Manifestazione del Salvatore alle genti.
Ma nel secolo V al tempo del vescovo Giovenale (421-452), imitando l’uso di Roma, anche la chiesa di Gerusalemme celebrava la festività del Natale il 25 dicembre, giorno in cui si festeggiavano i santi Giacomo e Davide. Il Lezionario Georgiano di Gerusalemme (dei secoli V-VIII) testimonia la festa del Natale il 25 dicembre. Secondo questo documento liturgico all’ora sesta, cioè mezzogiorno del 24, la Comunità di Gerusalemme, superando il freddo della stagione e la fatica del cammino piuttosto scomodo, s’incamminava all’Ovile o Campo dei Pastori. Nella stazione liturgica si leggeva il Vangelo dell’Annuncio degli Angeli ai pastori, la loro andata frettolosa a Betlemme, l’Adorazione al Bambino e il loro ritorno al Campo (Lc 2,8-20). Subito dopo la Comunità, emulando i pastori, s’incamminava verso la Città di Davide e, attraversando la piccola pianura, saliva il pendio del colle ed entrava nella Grotta della Natività. Quì si faceva l’ufficio vespertino con la lettura della Nascita di Gesù (Mt 1,18-25).
A mezzanotte si celebrava una veglia con salmi, letture bibliche e cantici che trovavano il loro culmine nel Vangelo di san Luca (2,1-7) con la Nascita di Gesù, l’avvolgimento in fasce e la deposizione nella mangiatoia. Verso l’alba veniva celebrata la Divina Liturgia o Eucaristia. L’alba veniva salutata con la proclamazione del Vangelo dell’Epifania o Manifestazione alle genti; veniva letto il Vangelo di Matteo (2,1-23) che contiene il mistero dell’adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto e il ritorno dall’Egitto.

IL BATTESIMO DEL SIGNORE

Lo stesso Lezionario Georgiano pone la festa dell’Epifania il 6 gennaio con inizio all’ora nona della vigilia. Siccome il 6 gennaio si commemorava il Battesimo del Signore, la Comunità di Gerusalemme non veniva a Bettlemme per la liturgia. Si leggevano i brani della Predicazione di Giovanni il Battista, il Battesimo del Signore e la discesa dello Spirito Santo su di Lui (Lc 3,1-18; Mc 1,1-11; Gv 1,1-28 e Mt 3,1-17). Il fatto salvifico del Battesimo trovava espressione rituale nella benedizione dell’acqua che veniva effettuata la vigilia di Epifania fuori della chiesa cattedrale o Martyrium, dopo la sinassi vespertina. Alla fine del secolo VI il Pellegrino di Piacenza ci parla di questa benedizione che avveniva presso il Giordano nel luogo dove fu battezzato il Signore e per l’occasione molti si facevano battezzare. Inoltre il Calendario Palestino-Georgiano del secolo X dice che all’Epifania presso il Giordano nella chiesa di san Giovanni Battista si celebrava la grande sinassi eucaristica.

GLI SPAZI DELLA CELEBRAZIONE

Da quanto sin qui detto appare che la chiesa di Gerusalemme ha voluto celebrare i misteri salvifici della Natività, Epifania e Battesimo di Gesù nei luoghi stessi in cui erano avvenuti.
Il Carme anacreontico 19 di san Sofronio, patriarca di Gerusalemme (634-638), parla dei luoghi in rapporto con gli avvenimenti evangelici celebrati nella liturgia, gli stessi che sono ancora oggi venerati: La Basilica che comprende la Grotta della Natività del Salvatore, nella stessa Grotta la lastra "profumata" dove oggi vediamo la Stella, la Mangiatoia dove fu deposto il Salvatore e la tomba dei santi Innocenti. A questi bisogna aggiungere il Campo dei Pastori e la Grotta del latte in relazione con la Fuga in Egitto. In tempi succesivi si venerarono anche altri luoghi come è il caso della cella e della tomba di san Girolamo presso la Grotta della Natività.
Nel tempo moderno questi luoghi continuano ad essere meta di pellegrinaggi da parte dei Cristiani provenienti da tutto il mondo. In tutto il tempo dell’anno i pellegrini possono celebrare una liturgia che è propria del luogo sacro.
All’aspetto religioso non si può dissociare quello culturale o informativo. Il pellegrino era introdotto alla conoscenza dei luoghi e nello stesso tempo al Mistero di Cristo. Questo fu l’ideale coltivato dal clero e dai religiosi nei tempi antichi e lo è tutt’oggi per il Francescano che dai tempi del santo Fondatore vive in Terra Santa.
I Francescani han portato avanti questo ministero nel modo che le vicissitudini storiche hanno loro permesso. E ciò avviene attraverso la Liturgia ufficiale quotidiana e la pietà popolare, per esempio le processioni. Sono forme espressive religiose che sono mutate secondo le epoche storiche per ciò che riguarda i testi e i percorsi. Ma i luoghi stessi che ricordano la Nascita del Nostro Salvatore sono in ogni tempo fecondi di vita spirituale.

Enrique Bermejo Cabrera ofm

FONTE (http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbtbermejoIT.html)

Augustinus
24-12-04, 15:07
BASILICA DELLA NATIVITÀ
GROTTE DI S. GIROLAMO
CHIESA DI S. CATERINA

Dopo i vangeli, la più antica testimonianza sul luogo della nascita di Gesù (verso la metà del II sec.) è del filosofo e martire Giustino, originario di Flavia Neapolis, odierna Nablus, in Palestina: "Al momento della nascita del bambino a Betlemme, poiché non aveva dove soggiornare in quel villaggio, Giuseppe si fermò in una grotta prossima all'abitato e, mentre si trovavano là, Maria partorì il Cristo e lo depose in una mangiatoia, dove i Magi, venuti dall'Arabia lo trovarono". In particolare la menzione della grotta come abitazione di fortuna, va riconosciuta come un'eco della viva tradizione locale, attestata anche nell'antichisssimo apocrifo detto Protoevangelo di Giacomo (II sec.), ripetuta da Origene (III sec.) e alla base di tutta la storia successiva del santuario betlemitano. Questa medesima grotta fu circondata dalle magnifiche costruzioni dell'imperatore Costantino e di sua madre Elena non molto dopo il 325 d. C., come ci narra lo storico Eusebio di Cesarea, contemporaneo ai fatti. Nel 386, san Girolamo si stabilì nei pressi della basilica, con la nobile matrona romana Paola e altri seguaci, vivendo vita monastica, dedicandosi allo studio della Bibbia e producendo la sua celebre versione latina (Vulgata), che divenne poi ufficiale nella chiesa d'Occidente. Il suo sepolcro, così come quello dei suoi compagni e compagne, fu scavato nelle immediate vicinanze della grotta medesima.
La basilica del IV sec. fu sostituita nel VI sec. da un'altra di dimensioni maggiori, che è quella ancora oggi in piedi. In epoca crociata (XII sec.) le pareti furono abbellite di preziosi mosaici dai fondi incrostati d'oro e di madreperla, dei quali rimangono ampi frammenti con scene del nuovo Testamento (nel transetto, con iscrizioni latine) e la rappresentazione simbolica di concili ecumenici (nella navata, con iscrizioni greche). Al di sopra delle colonne della navata in una fila di medaglioni sono raffigurati gli antenati di Gesù (con diciture latine). Uno degli angeli adoranti della parete sinistra ha ai piedi una iscrizione (in latino e in siriaco) con il nome dell'artista, il pittore Basilio. Scavi fatti negli anni 1934-35 (dal governo mandatario inglese) hanno riportato alla luce considerevoli avanzi dei mosaici pavimentali della basilica costantiniana, alcuni dei quali sono visibili tanto nella navata che nel transetto della basilica.
I francescani, che dimorano a Betlemme dal 1347, posseggono accanto alla basilica della Natività il proprio convento e una chiesa (dedicata alla santa martire Caterina) che serve principalmente per le necessità della comunità cristiana cattolica locale di rito latino; da questa chiesa si scende alle grotte di S. Girolamo.

CAMPO E GROTTA DEI PASTORI

Un antico pellegrino anonimo, citato dal monaco benedettino Pietro Diacono (XII sec.), ci parla dei ricordi sacri presenti nei dintorni Betlemme: "Non lontano di là c'è una chiesa detta dei Pastori, dove un grande giardino è accuratamente chiuso tutto intorno da un muro; e c'è in quel luogo una grotta molto luminosa, che ha un altare là dove un angelo, apparso ai pastori veglianti, annunciò la nascita di Cristo". Anche san Girolamo (fine IV sec.) menziona più volte questo luogo, associandolo alla biblica Migdal-Eder (Torre di Eder o del gregge) e la chiesa di Gerusalemme vi celebrava una festa la vigilia del Natale. Il vescovo Arculfo (VII sec.) ricorda la presenza dei sepolcri dei tre pastori nella chiesa. Prima dell'arrivo dei crociati la chiesa fu distrutta ma, nonostante ciò, le rovine continuarono ad essere visitate dai pellegrini.

Tradizionalmente il luogo era segnalato a Deir er-Ra`wat, sul margine meridionale della pianura sottostante Betlemme, dove esistono notevoli rovine di un antico edificio sacro. La chiesa inferiore o cripta, pressocché integra, servì anche da chiesa parrocchiale per i greci ortodossi fino al 1955. Nel 1972 si procedette allo scavo (a cura di V. Tzaferis) e al restauro del monumento; una chiesa moderna affianca l'antica.

La localizzazione tradizionale venne messa in questione dalle scoperte di C. Guarmani (1859) e, successivamente, dagli scavi di p. Virgilio Corbo (1951-52) a Siyar el-Ghanam, sopra un poggio situato a una certa distanza dal luogo precedente. Vi furono ritrovati i resti di un insediamento agricolo risalente al I sec. d. C. (con pressoi per olio, grotte e colombario) e di un monastero bizantino (chiesa, cortili, cisterne, panetteria, ambienti mosaicati) fiorito tra il IV e l'VIII sec. d. C. Il nuovo santuario, dedicato ai SS. Angeli, fu fatto costruire dalla Custodia di Terra Santa nel 1954 (arch. A. Barluzzi).

Eugenio Alliata ofm

FONTE (http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbetlem.html)

Augustinus
24-12-04, 15:10
Chi non ha mai ascoltato, e forse anche cantato, con commozione melodie natalizie come: "Che magnifica notte di stelle /... Quale pace divina, solenne / hai prescelto o Bambino— In notte placida / per muto sentier /... Nell'aura è il palpito / d'un grande mister — Fermarono i cieli / la loro armonia"? Sono versi che esprimono lo stupore attonito e la trepida attesa con cui tutto l'universo dovette accompagnare la venuta al mondo di Gesù, Figlio di Dio e di Maria.

Probabilmente molti pensano che si tratti solo di un ingenuo abbellimento poetico del quadro natalizio: dinanzi al Dio Bambino tutti gli uomini tornano fanciulli in un mondo di sogno. Forse non tutti sanno che questo "motivo" è antichissimo e non è soltanto ispirato dalla poesia

1. La tradizione apocrifa

Si sa che attorno al Natale son fioriti racconti popolari e leggende che, prendendo spunto dai Vangeli canonici, hanno dato origine a dei complessi cicli letterari.

L'apocrifo "Protovangelo di Giacomo" o "Natività di Maria", molto antico e tanto diffuso, raccontando la nascita di Gesù, riferisce questa visione di Giuseppe: "Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita di stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso" (XVII 2-3; L. Moraldi, Apocrifi del N.T., Torino 1971,83).

Questo tema della sospensione della vita nell'universo si ritrova pure in due testi gemelli sul vangelo della natività, in parte dipendenti dal "Protovangelo". I codici "Arundel 404" "Hereford 0.3.9" riportano la tradizione nel racconto che ne fa l'ostetrica chiamata da san Giuseppe per assistere la Madonna: "Nel più grande silenzio, in quel momento si sono fermate, tremanti, tutte le cose: infatti cessarono i venti, non dando più il loro soffio, non s'è più mossa alcuna foglia degli alberi, non s'è più udito alcun rumore di acque, non scorsero più i fiumi, non ci fu più il flusso del mare, tacquero tutte le fonti di acqua, non risuonò più alcuna voce umana: c'era un grande silenzio. In quel momento, lo stesso polo cessò l'agile movimento del suo corso. Le misure delle ore erano quasi tramontate. Con timore grande, tutte le cose tacevano stupite, mentre noi eravamo nell'attesa della venuta della maestà, del termine dei secoli" (72; Moraldi, 139 e 181 ).

Anche il "Vangelo armeno delI'infanzia" conosce il miracolo cosmico e lo racconta con vivacità: "E mentre (Giuseppe) camminava, vide che la terra si era sollevata e che il cielo si era abbassato, e alzò le mani come per toccare il punto in cui essi si congiungevano. E vide intorno a sé gli elementi intorpiditi e attoniti; i venti e l'aria del cielo, divenuti immobili, avevano interrotto il loro corso; gli uccelli e i volatili avevano trattenuto il loro volo. E, guardando a terra, vide una giara appena modellata: presso di essa era un vasaio che aveva impastato l'argilla e faceva il gesto di congiungere in aria le mani, ma quelle non si riavvicinavano. Tutti gli altri guardavano fisso in alto. Vide anche delle greggi condotte al pascolo: non avanzavano, non camminavano e non pascolavano. Il pastore brandiva il bastone e non poteva battere i montoni, ma teneva la mano sospesa in alto. Guardò pure un torrente in un burrone e vide dei cammelli che, passando di lì, tendevano la bocca sulle sponde del burrone e non mangiavano. Così, nel momento del parto della Vergine santa, tutti gli elementi restavano come immobili nel loro atteggiamento" (VIII, 10; C. Michel - P. Peeters, Evangiles Apochryphes, Paris 1911, 123s). Queste testimonianze mostrano che la tradizione era ampiamente diffusa e, di riflesso, che ad essa si dava importanza per il suo significato. Il fatto che la vita dell'universo si fermi come d'incanto al momento della nascita di Gesù indica la partecipazione cosmica, cioè di tutte le creature, all'avvenimento.

Alla luce di paralleli rilevati in altre culture qualcuno ha parlato persino di derivazione di questo tema dalla religione indiana o dalla mitologia greca. Ma, a parte il fatto che un parallelo non implichi sempre e necessariamente una dipendenza, non sarebbe più spontaneo e più logico rifarsi alla tradizione biblica e giudaica antica? Gli studi recenti mostrano sempre più chiaramente che tanta parte della letteratura apocrifa cristiana ha attinto temi e metodo di interpretazione dal mondo biblico e giudaico.

2. La tradizione biblica

Nella Bibbia assai spesso il silenzio e l'immobilità accompagnano le manifestazioni di Dio e i suoi interventi. Citiamo solo due testi, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Il Salmo 76,9s., parlando del giudizio salvifico di Dio, dice: "Hai fatto udire dai cieli la sentenza: la terra è sbigottita e tace, quando Dio si alza per giudicare, per recare salvezza agli umili della terra". Il profeta Abacuc, contrapponendo la maestà del Dio vivente alla falsità degli idoli, proclama: "YHWH invece è nel suo santo tempio: faccia silenzio davanti a lui tutta la terra" (2,20; cf. pure Es 15,16; Lev 10, 3; Is 41,1; Sof 1,7; Zac 2,17; Apoc 8,1). In questi testi biblici il silenzio esprime, dunque, il timore, il rispetto e l'adorazione delI'uomo e della terra stessa dinanzi al Signore che si fa presente.

3. La tradizione giudaica antica

E' noto che la tradizione giudaica ha arricchito e abbellito fatti e personaggi della Bibbia con commenti e tradizioni di carattere popolare. La aggadah, commento biblico di tipo edificante e esortativo, è presentata come una via per comprendere meglio la Parola divina e conoscerne l'Autore. Un detto rabbinico dichiara: "Se tu vuoi conoscere 'Colui che parlò e il mondo esistette' (Sal 33, 9), studia la aggadah, poiché attraverso di essa l'uomo conosce il Santo, Egli sia benedetto" (Sifré Deut 11,22). Un testo richiama l'attenzione, perché offre un interessante parallelo della leggenda natalizia degli Apocrifi. Il "Midrash Rabbâ", collezione di commenti al Pentateuco e ad altri libri biblici, descrivendo lo scenario nel quale Dio donò la Legge al suo popolo, riporta questa tradizione: "Rabbi Abbahu (300 ca.) diceva in nome di Rabbi Jochanan ( m. 279): Quando Dio diede la Legge nessun uccello cinguettava, nessun volatile volava, nessun bue muggiva, nessuno degli Ofanim (ruote del carro divino, cf. Ez 1,15ss) muoveva un'ala, i Serafini non dicevano 'Santo, Santo, Santo', il mare non mormorava, le creature tacevano, tutto l'universo era ammutolito in un silenzio senza respiro, e venne la voce: 'Io sono il Signore tuo Dio' (Es 20,2)" (Esodo Rabbâ 29,9 a 20,1).

Poi il Midrash aggiunge che anche nella manifestazione di Dio sul monte Carmelo, al tempo di Elia (cf. 1 Re 18,20-40), tutto l'universo restò attonito, in silenzio. Quindi richiamandosi a Rabbi Simeone ben Lachish (250 ca.), il testo rabbinico conclude: "(Se vi fu silenzio allora), quanto più naturale che nel momento in cui Dio parlò sul monte Sinai, tutto l'universo restasse in silenzio, così che tutte le creature potessero conoscere che non vi era altro (Dio) al di fuori di Lui" (ivi).

E' interessante notare che in questa tradizione la sospensione cosmica della vita ha un chiaro significato teologico. Il silenzio e l'immobilità di tutte le creature del cielo e della terra manifestano all'uomo la rivelazione del Dio unico.

Conclusione

La leggenda natalizia apocrifa, letta sullo sfondo biblico e giudaico qui presentato, forse si comprende meglio nel suo linguaggio e significato. Al momento della nascita di Gesù a Betlemme tutte le cose sulla terra, arrestandosi in un improvviso silenzio, ne avvertono e ne rivelano la venuta nel mondo. Certo, un racconto popolare con caratteri leggendari, ma pure con un toccante significato teologico. La liturgia del tempo natalizio sembra aver raccolto, almeno in parte, questo tema. Facendo uso del senso accomodatizio essa applica all'Incarnazione del Verbo e alla nascita di Gesù questo testo del libro della Sapienza: "Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale" (18,14s; cf. Messale e Breviario romano, Tempo di Natale).

Forse S. Ignazio di Antiochia, martire a Roma nel 107, ricordava anche questa tradizione scrivendo ai cristiani di Efeso: "E la verginità di Maria, come pure il parto di lei, furono nascosti al demonio e così anche la morte del Signore; tre misteri di gloria, che furono compiuti nel silenzio" (Efes. 19). I maestri della vita spirituale e i mistici di tutti i tempi hanno fatto proprio il tema poetico e biblico-teologico. Il silenzio, nella loro esperienza e dottrina, è l'atteggiamento con cui il cristiano deve ascoltare e accogliere la grande Parola, che il Padre ha detto in un silenzio eterno, cioè il Suo Figlio Gesù Cristo.

G. Claudio Bottini
Studio Biblico Francescano, Gerusalemme

FONTE (http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbtbott1.html)

Augustinus
24-12-04, 15:14
http://198.62.75.1/www1/ofm/cust/XMfrancis.jpg

Francesco d'Assisi, non c'è dubbio, è il santo del presepe. Ecco come uno dei suoi più antichi biografi, Tommaso da Celano, narra la scena, svoltasi nella valle reatina, a Greccio, nella notte del 25 dicembre 1223.

"C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.

E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.

Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.

Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.

Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.

Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Banibinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia".

Francesco d'Assisi è il santo del presepe. Ma non già di un presepe che è semplice teoria cangiante di frulli d'ali angeliche e di belati di pecorelle, di ingenui pastori adoranti e di solenni magi che si avviano in fantasmagorico corteo alla grotta del neonato re dei giudei. Per Francesco il presepe non si esaurisce nel ritmare i sogni innocenti dei bimbi o i rimpianti nostalgici degli adulti. Il presepe è per lui la drammatizzazione dell'amore che spinse il Figlio di Dio a farsi figlio dell'uomo a costo anche di venire al mondo e di vagire tra ragnatele e fieno e alito pesante di animali.

Il santo di Greccio, del resto, è anche il santo della Verna, che rivive nelle sue carni con le stimmate la passione redentrice di Cristo crocifisso.

Ma la spiritualità del Poverello d'Assisi non si restringe nei limiti sia pure amplissimi di Betlemme e del Calvario. Si dilata negli spazi senza confini della vita trinitaria di Dio. E adora Cristo proprio nel posto che il Padre gli ha assegnato nella storia della salvezza.

Marco Adinolfi ofm

FONTE (http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbtgrecc1.html)

http://www.wga.hu/art/g/giotto/assisi/upper/legend/scenes_2/franc13.jpg Giotto di Bondone, S. Francesco istituisce il presepio a Greccio, 1297-1300, Basilica Superiore di S. Francesco, Assisi

http://www.wga.hu/art/g/gozzoli/2montefa/09scene.jpg Benozzo Gozzoli, S. Francesco istituisce il presepio a Greccio, 1452, cappella absidale, Chiesa di S. Francesco, Mpntefalco

Augustinus
24-12-04, 15:18
A tutti è presente l'immagine del Santo Padre che pregava in silenzio nella grotta della natività di Betlemme durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il messaggero della pace aveva intuito che se gli uomini non danno gloria a Dio non vi sarà pace sulla terra.

A tutti è presente l'immagine della tomba di Rachele, a due passi da Betlemme, trasformata in fortezza e centro di tante lotte durante l'ultima intifada. Rachele piange i suoi figli, oggi più di ieri. A tutti è presente l'immagine del check point di Tantur dove la popolazione palestinese umiliata, ma piena di dignità, aspetta ogni giorno ore per poter portare a casa il pane quotidiano. Betlemme: la casa del pane...

In questo contesto drammatico rileggiamo la scrittura, fonte di vita e di speranza: "E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele" (Mich.5,1). Così il profeta Michea accende la speranza messianica nel dominatore, di Israele, colui che ristabilirà la giustizia e la pace. In contrasto con l'attesa trionfalistica nella Santa Gerusalemme, la modestia del piccolo villaggio giudaico è segno della predilezione di Dio per i piccoli ed i poveri. Betlemme rimane ancora oggi il caposaldo della nostra fede.

La stessa opposizione tra forza e povertà si ritrova all 'epoca di Gesù. Accanto al piccolo villaggio di David c'è il palazzo-fortezza di Erode. La forza militare e l'indigenza. Come non pensare al piccolo David che si troverà un giorno di fronte al gigante? Come non pensare ai pastori primi evangelizzati dall'angelo?

Nel Protovangelo di Giacomo vengono menzionati la grotta e la mangiatoia. Anche S.Giustino nel suo "Dialogo con Trifone" 78 cita il luogo del parto di Maria e nuovamente la mangiatoia. La memoria cristiana ricorda questo fatto: Dio si fa uomo affinché l'uomo possa diventare Dio. Il Figlio di dio viene adagiato in una mangiatoia. La vocazione dell'uomo non è l'animalità ma quella di essere divinizzato.

A Betlemme vivono le comunità cristiane, cattolica, ortodossa ed armena, in una convivenza a volte difficile e sofferta, ma sempre preziosa. Il Santo Padre nel suo incontro con gli Ordinari di Terra Santa ha ripetuto la sua preoccupazione per le pietre vive, per i cristiani di questa terra che conoscono la sorte del loro Maestro. A tutti loro viene proclamato il messaggio dell'angelo:"Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2, 10-11). Israel e i Musulmani attendono il Salvatore. Rifiutano Gesù in nome della trascendenza di Dio. Un Dio non si può abbassare a questo punto. Ma chi rifiuta il messaggio di Betlemme - cioè che l'uomo è chiamato ad essere divinizzato- fa l'esperienza che l'uomo può diventare una bestia per il suo fratello. I fatti recenti lo dimostrano.

La gioia annunciata dall'angelo non è qualcosa che appartiene al passato. È una gioia di oggi, dell'oggi eterno della salvezza di Dio, che comprende tutti i tempi, passato, presente e futuro. Siamo chiamati a comprendere più chiaramente che il tempo ha un senso perché qui l'Eterno è entrato nella storia e rimane con noi per sempre. Le parole di Beda il Venerabile esprimono chiaramente questo concetto: "Ancora oggi, e ogni giorno sino alla fine dei tempi, il Signore sarà continuamente concepito a Nazareth e partorito a Betlemme" (In Ev. S. Lucae, 2; PL 92, 330). Poiché in questa città è sempre Natale, ogni giorno è Natale nel cuore dei cristiani. Ogni giorno siamo chiamati a proclamare il messaggio di Betlemme al mondo - "la buona novella di una grande gioia": il Verbo Eterno, "Dio da Dio, Luce da Luce", si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1, 14).

Betlemme non deve essere solo meta di pellegrinaggi e di studi, non deve rimanere un "cimelio" storico, ma il segno tangibile della nostra fede e del nostro credo che testimoniamo giorno per giorno con la nostra vita e la nostra preghiera.

Giovanni Paolo II prima del grande Giubileo pregava cosi. "O Bambino di Betlemme, Figlio di Maria e Figlio di Dio, Signore di tutti i tempi e Principe della Pace, "lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13, 8): mentre avanziamo verso il nuovo millennio, guarisci le nostre ferite, rafforza i nostri passi, apri il nostro cuore e la nostra mente alla "bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge" (Lc 1, 78). Amen". La preghiera rimane sempre valida. Cosa abbiamo fatto del Giubileo?

Frédéric Manns
Jerusalem 15-12-2001

FONTE (http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbtmans1.html)

Augustinus
24-12-04, 15:26
Istituzione del presepio

di Vitaliano Mattioli

http://img383.imageshack.us/img383/109/img014qd.jpg

Mi ha sempre colpito una pagina di Nietzsche dove ricorda gli anni della fanciullezza: "Guarda! Gesù bambino nella mangiatoia, circondato da Giuseppe e Maria e dai pastori adoranti! Che sguardi pieni di fede ardente gettano sul bambino! Voglia il cielo che anche noi ci abbandoniamo con tale dedizione al Signore!" (1).
Due nomi sono legati all'origine del presepe: Greccio e S. Francesco.
Greccio è un paese medievale, alle pendici del monte Lacerone, alto sul mare 705 metri; dista da Rieti una quindicina di chilometri ed ha più o meno 1.400 abitanti.
Al massimo sarebbe ricordato come luogo di villeggiatura estiva se S. Francesco non vi avesse... inventato il presepe. Lui amava questo luogo perché aveva le caratteristiche della semplicità; ma nutriva una predilezione specialmente per gli abitanti perché avevano corrisposto alla sua predicazione.
E' lì che fu ispirato a fare il presepe.
Francesco morì a Santa Maria degli Angeli (Assisi) nel 1226. Questo avvenimento si colloca tre anni prima (1223).
Due sono le fonti che ce ne parlano.
S. Bonaventura scrive che Francesco: "Tre anni prima della sua morte, volle celebrare presso Greccio il ricordo della natività di Gesù Bambino, e desiderò di farlo con ogni possibile solennità, al fine di eccitare maggiormente la devozione dei fedeli. Perché la cosa non fosse ascritta a desiderio di novità, prima chiese e ottenne il permesso dal Sommo Pontefice" (2).
L'altra fonte più dettagliata è il biografo del Santo, Tommaso da Celano.
Papa Gregorio IX, dopo aver dichiarato santo Francesco il 16 luglio 1228, incaricò frà Tommaso di stendere una biografia ufficiale del Santo che poi lui stesso approvò nel 1229. Questa biografia si chiama Vita Prima e fu scritta tra il 1228 e 1229. In un secondo momento, tra il 1246-1247, ancora lo stesso fra Tommaso scrisse un'altra biografia, chiamata Vita Seconda, per obbedienza al Capitolo Generale di Genova svoltosi nel 1244 ed al Superiore Generale dell'Ordine.
Nella Vita Prima Tommaso da Celano ci dice che Francesco, quindici giorni prima del Natale fece chiamare un signore molto buono di nome Giovanni per chiedergli di aiutarlo nell'attuare il pio desiderio: "Vorrei raffigurare il Bambino nato a Betlem... Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il desiderio esposto dal Santo.
"Giunse il giorno della letizia; sono convenuti molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte. Arriva alla fine Francesco; vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno, e si introducono il bue e l'asinello. Si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
"Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero.
"I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al Presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile.
"Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul Presepio" (3).
Così è iniziata nel 1223 la tradizione di fare il presepe, ormai diffusa in tutto il mondo.

NOTE

1) Nietzsche Friedrich, La mia vita. Scritti autobiografici 1856-1869, Adelphi, Milano 1977, p. 33.
2) S. Bonaventura, Legenda Maior, cap. X, n. 7. Testo in Fonti Francescane, Ed. Messaggero, Padova 1980, p. 924.
3) Tommaso da Celano, 1, n. 84-85; Testo in Fonti Francescane, o.c., p. 477 s.

Fonte: CULTURA CATTOLICA (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2147)

Augustinus
24-12-04, 15:29
La datazione del Natale

di Vitaliano Mattioli

http://img383.imageshack.us/img383/7343/img0113li.jpg

Il 25 dicembre è ormai il giorno consacrato alla nascita di Cristo.
Secondo Ippolito Romano Gesù nacque proprio il 25 dicembre (4).
Al di là di questa certezza, oggi non si vuol dire che in tale giorno esatto si festeggia il "compleanno" di Gesù. Il Redentore è certamente nato in un giorno, di cui non abbiamo certezza. La Chiesa per celebrarne la nascita ha trovato un giorno "simbolico e significativo".
Nei primi due secoli, quando ancora la Chiesa non aveva libertà completa di culto e non poteva organizzarsi liberamente, la data non era ancora la stessa per tutti i luoghi: in oriente alcuni celebravano il Natale il 20 maggio, altri il 20 aprile; altri ancora il 17 novembre. In occidente in alcune zone si celebrava il 28 marzo; mentre in altre regioni già si era scelto il giorno del 25 dicembre.
Nel IV secolo in occidente si pervenne ad una concordanza su questa data, fissando in tal modo l'attenzione sulla realtà umana di Cristo: oltre ad essere vero Dio è anche vero uomo, come tutti gli altri; per questo se ne celebra anche il compleanno.
Nel 336 è stata scritta la 'Depositio Martyrum', un primo tentativo di calendario liturgico, nel quale si dice espressamente che a Roma la festa del Natale veniva celebrata il 25 dicembre. La stessa notizia si riscontra nel Cronografo dell'anno 354 (Chronographus anni CCCLIIII. Ferialae Ecclesiae Romanae) nel quale si legge "VIII Kal. Ian. (Die Octavo ante Kalendas Ianuarias) natus Christus in Betleem Iudeae", cioè il 25 dicembre. Altra conferma sulla datazione a Roma ci viene data da un discorso di papa Liberio (352-366), tenuto in S. Pietro nel 353.
Questa data di Roma venne fatta propria anche da altre diocesi, come Milano per opera di S. Ambrogio.
L'affermazione di questa festa si deve molto all'opera del papa S. Leone Magno (440-461).
In oriente invece per ricordare la nascita del Redentore prevalse il 6 gennaio, giorno dell' Epifania, nel quale si celebra la manifestazione al mondo, rappresentato dai magi, di Cristo in quanto Dio. La Chiesa d'oriente ha voluto porre l'accento sul fatto che quel bambino è Dio.
Questa doppia data si è mantenuta fino ad oggi.
L'esigenza di celebrare la festa della nascita del Redentore si è maturata nel tempo, come è avvenuto per altre festività, per rafforzare l'autentica fede nel mistero della incarnazione. Nel IV e V secolo sono sorte le grandi eresie che negavano o la divinità di Cristo o la sua umanità. Ben quattro concili ecumenici sono stati celebrati per difendere e chiarire la vera dottrina sul Verbo: Nicea (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431) e Calcedonia (451).

Ma perché proprio il 25 dicembre? Per quanto riguarda la scelta di questo giorno, ci sono diverse ipotesi. Le principali sono due.
Un prima la fa risalire all'uso di cristianizzare una festa pagana. Infatti in quel giorno, coincidente con il solstizio d'inverno, si celebrava nell'Impero la festa del Sol Invictus, il Sole nascente di nuovo, in onore della divinità Mitra, vincitrice delle tenebre. Per celebrare questa divinità l'imperatore Aureliano nel 274 aveva fatto edificare un grandioso tempio la cui inaugurazione avvenne proprio il 25 dicembre.
Si deve notare che i romani, secondo le conoscenze astronomiche del tempo, credevano che il solstizio d'inverno cadesse il 25 dicembre, e non il 21 come oggi si sa in seguito a studi più esatti. La vita allora era regolata sulla luce naturale. Il solstizio d'inverno pone fine al giorno più corto, di minor luce ed indica l'inizio del periodo di maggior luminosità con l'allungarsi delle giornate, e quindi di maggior vitalità e gioiosità (5).
Tutti conoscono la 'paganità' di queste feste. La Chiesa piuttosto che anatematizzarle, ha preferito coglierne il significato simbolico e trasferirlo in Cristo. Nel nostro caso è Lui il vero Sole che viene in questo mondo per sconfiggere le tenebre.
La Sacra Scrittura è molto chiara: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in una terra caliginosa di ombre di morte risplendette una luce" (Isaia, 9, 1); "Sorgerà per voi il Sole di giustizia" (Malachia, 14, 2).
Le parole di Isaia sarà lo stesso Gesù ad applicarle a se stesso (Matteo, 4, 16).
Lo stesso concetto è espresso da Zaccaria nel suo famoso cantico: "Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Luca, 1, 79 s.). Lo stesso Gesù si è identificato con la luce quando ha detto: "Io sono la luce del mondo... Chi crede in me non cammina nelle tenebre" (Giov., 8, 12).
Il vero Sole di cui l'uomo ha bisogno non è Mitra o altre divinità, ma Cristo, l'unico uomo-Dio, redentore.
Nei primi cristiani questa convinzione era molto radicata. Avvertivano la necessità di manifestare questa loro fede anche con le arti figurative. Ci sono arrivati diversi affreschi e mosaici che paragonano Cristo al sole. Un esempio per tutti si trova nella necropoli vaticana dove nel mosaico del soffitto del mausoleo M, composto tra il 150-180 già scoperto nel corso di un fortuito contatto con la Necropoli nel 1574, ma liberato dalle macerie e visibile soltanto durante gli scavi del 1941, abbiamo la raffigurazione di Cristo-Sole che ascende al cielo su una quadriga di cavalli bianchi in mezzo ad un lussureggiante intreccio di rami di vite (6).
Una seconda ipotesi invece ritiene, in rapporto a studi sui calendari, che il 25 dicembre fu proprio il giorno della nascita di Gesù.
La ricerca parte dalla descrizione del sacrificio del sacerdote Zaccaria, padre il Giovanni il Battista, con l'aiuto del calendario della comunità essena di Qumrân. L'evangelista ci dice che Zaccaria era sacerdote della classe di Abijah. Costui esercitava le sue funzioni nel tempio quando l'angelo Gabriele gli annunciò la nascita del figlio (Luca, 1, 5-13).
Secondo il calendario qumranico solare, i turni per il servizio nel tempio della famiglia di Abijah capitavano due volte all'anno: dall' 8 al 14 del 3° mese e dal 24 al 30 dell'8° mese. La tradizione orientale che fa risalire la nascita di Giovanni il 24 giugno, pone la data del servizio al tempio di Zaccaria nel secondo turno: 24-30 dell'8° mese. A sua volta Luca data l'annunciazione dell'angelo a Maria nel 6° mese successivo al concepimento di Giovanni (Luca, 1, 26). Le liturgie orientali ed occidentali concordano nel determinare questa data con il 31 del mese di Adar, corrispondente al nostro 25 marzo. Infatti in questa data la Chiesa celebra ancora l'annuncio dell'angelo ed il concepimento di Gesù. Di riflesso la data della nascita doveva essere posta 9 mesi dopo, appunto il 25 dicembre (7).

Per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso.
Come si fa a determinarlo con esattezza?
Abbiamo due avvenimenti come punti di riferimento: la morte di Erode il Grande ed il censimento di Quirinio.
All'inizio la datazione storica si faceva partire dalla presunta data della fondazione di Roma. Si chiamava 'anno zero'. Per questo si usava sempre aggiungere: Ab Urbe Condida (a. U. c., dalla fondazione di Roma).
Il monaco scita Dionigi il Piccolo (chiamato così per la sua umiltà, morto nel 526 d.C.) pensò invece di rapportare il computo della datazione sulla nascita di Cristo, distinguendo così la cronologia in due grandi periodi: Ante Christum Natum (a. C. n., prima della nascita di Cristo - a.C.) e Post Christum Natum (p. C. n., dopo la nascita di Cristo - d.C.).
Con questa nuova numerazione la fondazione di Roma sarebbe avvenuta nel 754 a C., mentre Cristo sarebbe nato nell'anno zero, cioè 754 anni dopo la fondazione di Roma. Però questo dotto monaco sbagliò i suoi calcoli di alcuni anni.
Punto di partenza è la certezza della data della morte di Erode l'anno 750 dalla fondazione di Roma, corrispondente al 4 a.C., ed esattamente tra il 13 marzo e l'11 aprile (8).
La nascita di Gesù avvenne certamente prima di questa morte, dato che Erode voleva uccidere il Bambino. Per cui è impossibile che Gesù sia nato nell'anno zero ma qualche anno prima. Quando precisamente? Nel 6, 5, 4 a. C. n.?
L'altro elemento che ci viene in aiuto è il censimento di Quirinio.
Prima leggiamo il testo evangelico che ne parla: "Avvenne poi in quei giorni che uscì un editto da parte di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dunque, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì verso la Giudea, alla città di Davide che si chiamava Bethlemme, perché egli apparteneva alla casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, la quale era incinta. Ora accade che. Mentr'essi erano là, si compì il tempo in cui Maria doveva partorire; e diede alla luce il suo figlio primogenito" (Luca, 2, 1-7).
Nel 63 a.C. con la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo, la Palestina divenne provincia romana. Per questo vi si riscontra la presenza di autorità romane. Il senatore Publio Sulpicio Quirinio (morto nel 21 d.C.) fu governatore della Siria una prima volta dal 12-8 a.C. ed una seconda nel 6-7 d.C. In questo secondo mandato fece un nuovo censimento che certamente non è quello a cui Luca accenna in quanto Gesù a quel tempo aveva circa 11 anni. Del resto a questo censimento lo stesso Luca si riferisce in una diversa situazione storica nell'altra sua opera: Atti degli Apostoli (5, 37).
Scartato questo secondo, si deve vedere la datazione del primo, quello che ha motivato il viaggio di Maria e Giuseppe a Bethlemme dove è nato Gesù.
Il primo mandato di Quirinio terminò nell' 8 a.C. Gli successe Senzio Saturnino.
L'evangelista Luca era un medico, scrupoloso e preciso nelle notizie che riferisce. Lo si riscontra dalle sue stesse parole all'inizio del Vangelo che invia a Teofilo: "Poiché molti han posto mano a comporre un racconto degli avvenimenti che si sono compiuti tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che furono fin dall'inizio testimoni oculari e ministri della Parola; è parso anche a me, che fin dall'inizio ho accuratamente investigato ogni cosa, di scriverne con ordine, illustre Teofilo" (Luca, 1, 1-3).
Luca attribuisce il primo censimento a Quirinio. La sua scrupolosità invoglia alla attendibilità.
Tuttavia uno scrittore cristiano romano, Tertulliano, giurista e molto preciso, questo stesso censimento in Giudea lo attribuisce a Saturnino (9). Tertulliano non dipende da Luca ma attinge la notizia da documenti dell'Impero.
Due menti storiche degne di fede, che ci portano sullo stesso argomento notizie diverse.
Se a prima vista emergono contrasti, probabilmente la differenza è solo apparente. Così il Ricciotti tenta di armonizzare tra loro le due opinioni: Quirinio sul finire del suo mandato, 8 a.C., "indisse il censimento, il quale appunto perché primo incontrò difficoltà in Giudea, e si protrasse così a lungo da essere condotto a termine dal successore Senzio Saturnino. Presso i Giudei, ch'erano rimasti fortemente impressionati da questo primo censimento, esso passò alla storia sotto il nome di Quirinio che l'aveva iniziato, e Luca segue questa denominazione giudaica; presso i Romani lo stesso censimento passò sotto il nome di Saturnino che l'aveva terminato, e Tertulliano segue questa denominazione romana. Può darsi anche che Saturnino da principio fosse il subordinato cooperatore di Quirinio nell'esecuzione del censimento" (10).
In tal modo verrebbe a coincidere la nascita di Gesù nel periodo del primo censimento di cui Luca parla nel suo Vangelo, quindi anticipata sull' anno Zero, nel 747 di Roma (= 7 a. C. n.) o nel 748 di Roma (= 6 a. C. n.) (11).
Per cui abbiamo due date per stabilire la nascita di Gesù: il censimento di Quirinio e la morte di Erode. La nascita non poté avvenire dopo il 750 di Roma, ma almeno un anno e mezzo prima, quindi verso il 748, intervallo tra la nascita di Gesù e la morte di Erode; l'altra data è la missione di Quirinio in Siria: la nascita non dové avvenire prima del 746 di Roma (= 8 a.C.). Quindi le due date sono: tra il 746 ed il 750 a.C. (cioè tra l'8 ed il 4 a.C.; presumibilmente come abbiamo detto tra il 7 od il 6 a.C.).
Questo però non significa che tra gli studiosi ci sia accordo completo (12).
Per concludere sulla datazione dell'anno: "Oggi tuttavia, considerando tutte le fonti a disposizione, si è propensi a fissare la nascita di Gesù fra il 7 e il 4 a.C." (13).
Mi sono un po' dilungato sulla datazione perché è importante considerare Cristo anche nella sua dimensione umana, e collocare nel tempo la sua esistenza terrena.
Tuttavia non è fondamentale sapere se Gesù è nato un anno prima o dopo, o in quel determinato giorno piuttosto che un altro. L'importante è che Lui sia nato.
E' anche affascinante il tentativo di Dionigi il Piccolo, seppur non del tutto esatto, di porre il Cristo al centro della storia cosmica, da classificare lo stesso tempo in due grandi epoche: prima della nascita di Cristo e dopo. Lui è veramente lo spartiacque della storia umana, il punto di riferimento, l'Alfa e l'Omega.

Note

4) Ippolito Romano, Commento a Daniele, scritto verso il 204.
5) Per analizzare il pensiero sulla festa del Natale da parte dei Testimoni di Geova: cfr. Lorenzo Minuti, I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia, a c. di Grottola Fortunato, Coletti, Roma 1992, p. 86-88.
6) Cfr. Michele Basso, Guida alla Necropoli Vaticana, Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano 1986, p. 54 s.; Margherita Guarducci, Pietro fondamento della Chiesa - Itinerario nei sotterranei della Basilica Vaticana, Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, 1977, p. 21 ss. con foto.
7) Cfr. Antonio Ammassari, Alle origini del calendario natalizio, Euntes Docete, 1 (1992), p. 11-16.
8) Cfr. Giorgio Fedalto, Quando festeggiare il 2000?, San Paolo, Torino 1998, p. 46.
9) Tertulliano, Contro Marcione, IV, 19
10) Giuseppe Ricciotti, La vita di Gesù Cristo, Poliglotta Vaticana, 1953, p. 200.
11) Cfr. Pierluigi Baima Bollone, Gli ultimi giorni di Gesù, Mondadori, Milano 1999, p. 134-139.
12) Su tali conclusioni, Giorgio Fedaldo, nell'op. cit.: Quando festeggiare il 2000?, p. 41-43 e 72, sembra essere di opinione diversa.
13) Questa è la conclusione alla quale giunge la Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, Piemme, Torino 1997, vol. 1, p. 380.

Fonte: CULTURA CATTOLICA (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2146)

Augustinus
24-12-04, 15:34
I Pastori e gli Angeli

di Vitaliano Mattioli

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Dal Vangelo secondo Luca (II, 8-14):
"C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".
Questo è il racconto evangelico che ha sempre suscitato un certo senso di meraviglia ed emozione.

Gli Angeli

La Bibbia parla parecchie volte delle creature angeliche, rimaste fedeli a Dio, che mettono la loro esistenza a disposizione di Dio e degli uomini. Di alcune conosciamo anche il nome.
Senza un lungo, noioso elenco, riporto soltanto alcuni loro interventi principali.
Michele. Il suo nome significa 'Chi è come Dio?'. Abbiamo una citazione nella lettera di Giuda (1, 8) e nell'Apocalisse (12, 7) dove interviene nella lotta contro il Dragone.
Raffaele (Medicina di Dio). Nel libro di Tobia si legge che diventa compagno di viaggio di Tobiolo e lo invita a prendere il fiele del pesce come medicina per guarire la cecità di suo padre Tobia.
Gabriele (Fortezza di Dio): è l'angelo dell'annunciazione.
Oltre questi interventi più rinomati, ne vengono elencati molti altri: l'angelo che parla a Zaccaria annunciandogli il concepimento di Giovanni (Lc., 1, 11); l'angelo che appare a Giuseppe chiarendogli il mistero divino realizzatosi in Maria (Mt., 1, 18-25), la fuga in Egitto ed il ritorno in patria (Mt., 2, 13-20). Poi l'angelo dell'agonia che consola Gesù (Lc., 22, 43); l'angelo che annuncia la resurrezione alle pie donne (Mt., 28, 2-7); gli angeli dell'ascensione (At., 1, 10s.). Infine l'angelo che libera Pietro dalla prigione (At., 12, 7-11). Anche nell'Apocalisse più di una volta intervengono gli angeli.
Non dovrebbe allora destare meraviglia se sono ancora gli angeli ad annunciare al mondo il lieto evento della nascita del Salvatore.
Ma lo fanno conoscere solo ai pastori.

I pastori

Un po' era ovvio. Bethlemme, villaggio di contadini, era abitato da pastori. Ma in quei giorni non c'erano soltanto loro. Era il periodo del censimento e dovunque gli alberghi erano pieni tanto che Giuseppe non trovò nessun posto libero (Lc., 2, 7). Eppure soltano a loro l'angelo recò il lieto annuncio.
Viene spontanea la domanda: perché?
Qui non si deve vedere tanto la professione di 'pastori', quanto invece il simbolismo nascosto. I pastori sono considerati gente semplice, umile, senza complicazioni. Hanno conservato un po' l'animo del bambino. Anche i poeti li hanno presentati sotto questo profilo.
Gli angeli recano l'annuncio a questa tipologia di uomini, perché hanno le caratteristiche interiori per comprenderlo ed accettarlo.
Due frasi evangeliche mi vengono in mente: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt., 11, 25); "Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (Mt., 18, 2-4).
E' proprio vero che le misure divine sono molto diverse da quelle umane.
Ecco allora che il pastore è un simbolo: in ognuno di noi dovrebbe conservarsi, crescendo, l'animo del pastore e del fanciullino.
Altrimenti rischiamo di limitare il nostro ambito conoscitivo solo al sensibile, all'apparente, all'effimero, senza essere capaci di aprirci a tutta la verità, di scendere in profondità, di cogliere l'essenza degli esseri, fino al nucleo del cuore umano.
Anche i Magi, per aprirsi al mistero, per capire chi era quel Bambino, sono dovuti scendere dal loro piedistallo, si sono dovuti inginocchiare come fanciulli indifesi, inermi, per adorare quello che all'apparenza non era altro che uno dei tanti bambini nati in quel tempo.
Il bambino è ancora capace di provare stupore, tenerezza, meraviglia perché non è ancora diventato grande, cioè 'complicato', perché conserva ancora la semplicità di Dio.
Invece l'uomo di oggi rischia di perdere tante occasioni perché ha perso la semplicità originale, frutto dell'innocenza; è divenuto complicato, paranoico, limitato, incapace di capire sé e di aprirsi agli altri.
Non è più capace di 'tenerezze'. Si è atrofizzato perfino nell'amore; infatti quello che chiama con questo bel termine non è amore, ma passione, egoismo, sopraffazione e sfruttamento. L'amore è ricerca dell'altro, donazione, desiderio di capire l'altro.
Quanti matrimoni si interrompono proprio perché si è atrofizzata la capacità di vivere 'questo' amore. Gli sposi non sono rimasti bambini. Pretendono di amare 'da grandi'; ma il 'grande' non sa amare perché non ha conservato in sé l'animo del bambino: solo con l'animo del bambino infatti si è capaci di amare.
Karol Wojtyla nella sua giovanile opera teatrale, La Bottega dell'Orefice (1960), alla fine sottolinea proprio questo. E' la scena in cui Stefano si riappacifica con Anna: Stefano: "In quel momento - per la prima volta dopo tanti anni - ho sentito il bisogno di dire qualcosa in cui si aprisse tutta la mia anima. Volevo dirlo proprio a Anna... Mi sono avvicinato a lei, le ho posato una mano sul braccio (da tempo, da molto tempo, non lo facevo più) e le ho detto queste parole:
che peccato, che peccato che da tanti anni non ci siamo
sentiti più come due ragazzi,
Anna, Anna quante cose abbiamo perduto per questo!" (14).
Il Pascoli, nel suo linguaggio letterario (G. Pascoli, Il Fanciullino - 1897), così ha espresso queste profonde verità: "E' dentro di noi un fanciullino... Noi cresciamo, ed egli resta piccolo... Egli è quello che ha paura del buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle... Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronuncia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l'amore, perché accarezza esso come sorella, accarezza e consola la bambina che è nella donna... Senza di lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle".

Il messaggio

Qual è il messaggio che gli angeli inviano ai pastori?: "Vi annuncio una grande gioia: oggi a voi è nato il Salvatore... Gloria a Dio, pace agli uomini" (Lc., 2, 10-14).
Gioia, gloria, pace. Dalla pace scaturisce la gioia; ma ci sarà pace solo quando prima c'è stata l'attribuzione della gloria.
Con due parole l'angelo stilizza il rapporto biunivoco tra l'uomo e Dio.
Qual è l'anelito più forte nell'uomo? La pace. Ma la vera pace è conseguenza della virtù della giustizia, prima di tutto verso Dio. Non si può avere la pace quando non si rispettano i diritti altrui. La 'pace' evangelica non è frutto di guerra o di intrighi politici, ma è un riflesso e partecipazione di quella felicità che Dio possiede in maniera totale e perfetta.
Dovere dell'uomo è quello di mettere Dio al primo posto, di glorificare Dio. Di riflesso, diritto di Dio è quello di essere glorificato dalla sua creatura. Non che Dio abbia bisogno di questa lode: è completo ed appagato in sé, nel contesto della famiglia divina (Trinità). Questa si chiama: gloria oggettiva. Ma è giusto e doveroso che la creatura lodi il suo creatore, lo ringrazi e glorifichi (gloria soggettiva).
Solo quando l'uomo si deciderà a rispettare Dio mettendolo al primo posto, quando metterà Dio a fondamento di ogni pensiero ed azione, quando cioè praticherà la virtù della giustizia (che in questo caso si chiama virtù di religione), allora e solo allora potrà essere capace di rispettare anche l'uomo: la vera pace è conseguenza dell' ossequio a Dio.
La parola 'pace', in greco 'eirene', nel contesto biblico contiene un significato molto più ampio e profondo che nelle nostre culture. Non è soltanto assenza di guerre e di conflitti umani. Esprime la pace messianica, indica il ristabilito, pacifico e filiale rapporto con Dio; in una parola, la salvezza. Con queste parole dell'angelo "A Natale viene già annunciato quello che sarà il frutto riassuntivo della Pasqua, perché si tratta dell'inizio e della conclusione dello stesso mistero. Il Natale rappresenta la salvezza allo 'stato nascente'" (15).
L'annuncio degli angeli dato ai pastori prosegue con una espressione non felicemente tradotta: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Letteralmente la parola greca 'eudokia' dovrebbe tradursi: "Agli uomini che sono benvoluti da Dio, che sono oggetto della benevolenza divina". Praticamente l'annuncio vuol dire: la salvezza portata da questo bambino è per tutti gli uomini, perché tutti gli uomini sono oggetto della benevolenza divina.
Questa interpretazione è confermata da altri passi evangelici. L'angelo dice che la gioia di questa lieta notizia non è riservata solo ai pastori, ma "è per tutto il popolo" (Lc., 2, 10). Simeone proclama che il bambino è "luce delle Genti" e la salvezza da lui portata "è per tutti i popoli" (Lc., 2, 31 s.). Inoltre lo stesso Gesù dirà che il Padre ama tutti gli uomini; "fa sorgere il sole sopra i buoni e cattivi e fa piovere sui giusti e gli ingiusti" (Mt., 5, 45).
Il Natale si presenta come festa della bontà di Dio, della universalità di questo amore e della salvezza. Ad ognuno approfittarne.

L'angelo custode

Ognuno di noi è affidato ad un angelo, che per questo si chiama 'custode', perché ci custodisce nella vita ed al quale noi dobbiamo dare ascolto.
San Bernardo, nel commentare la frase del salmo "Dio darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi" (Ps., 90, 11), così si esprime: "Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a lui per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo" (16).

Ciò di cui i Vangeli non parlano: il bue e l'asinello

I testi sacri non riferiscono questi particolari.
E' stata la religiosità popolare ad inserirli nel presepio.
I Vangeli non dicono neppure che Gesù è nato in una grotta. Parlano solo di mangiatoia: "Mentre si trovavano a Betlemme, si compì il tempo per sua madre, e Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia" (Lc., 2, 6 s.). Si è pensato che la mangiatoia si trovasse in una grotta e che lì vi fossero ricoverati anche animali.
Circa il ricovero nella grotta ne parla l'apologista Giustino (II sec.) applicando a Cristo le parole di Isaia "Abiterà in una grotta alta di pietra dura" (Is., 33, 16). Vi accenna anche il Protovangelo di Giacomo (anch'esso del II sec.) dove si legge: "Giuseppe trovò una grotta e vi condusse dentro Maria" (18, 1). Dell'esistenza di una grotta riferisce anche il Vangelo dello Pseudo-Matteo (13, 2). Origene afferma che ai suoi tempi era possibile visitare questa grotta. Costantino su quel luogo vi fece costruire una basilica chiamata da S. Girolamo Ecclesia Speculae Salvatoris.
La presenza di questi due animali cominciando dal IV secolo è stata una componente della iconografia. Li vediamo rappresentati sulle sculture dedicate alla nascita divina, sul sarcofago di Adelfia (capolavoro dell'arte paleocristiana in Sicilia, datato al IV secolo e scoperto nel luglio 1872), su quello di Arles (chiamato sarcofago della natività), ambedue del IV secolo, e su altri conservati nei musei vaticani (come sulla lapide del loculo di Severa, datata 330 circa), su parecchi quadri ed affreschi.
Con l'inserimento degli animali il sentimento della gente ha voluto probabilmente evidenziare il contrasto tra la freddezza ed il rifiuto umano (Maria e Giuseppe non hanno trovato nessun posto nelle dimore degli uomini) ed il conforto che invece Gesù ha trovato negli animali.
Lo scritto apocrifo 'Vangelo dello Pseudo-Matteo', ha inserito queste presenze nella nascita: "La beatissima Maria uscì dalla grotta e, entrata in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, e il bue e l'asino l'adorarono" (XIV, 1).
Eppure ci sono due brani del V.T. che possono per analogia essere applicati a queste presenze.
Il primo è del profeta Isaia: "Un bue riconosce il suo proprietario e un asino la greppia del suo padrone" (1, 3).
L'altro è del profeta Abacuc: "Il Signore sarà riconosciuto in mezzo a due animali" (3, 2, secondo la Versione greca dei LXX).
Non si deve inoltre dimenticare il significato simbolico che nell'immaginario collettivo avevano assunto questi due animali. L'antico Oriente ebbe per l'asino una grandissima stima. Inoltre nei Libri sacri induisti, il Rig-Véda, se ne parla come una cavalcatura riservata ad entità celesti, a principi, santi ed eroi. Così anche nella Bibbia è considerato la cavalcatura dei principi, e non un'animale di seconda categoria come si pensa oggi. Nel libro dei Giudici (5, 10) a riguardo dei Capi d'Israele si dice: "Voi che cavalcate asine bianche".
A sua volta il bue, simbolo di carattere pacifico e forza bonaria, è l'animale da lavoro per eccellenza, è il servo dell'uomo. Anche il nostro Carducci nella poesia Il Bove (1872) lo chiama 'pio' e prosegue: "E mite un sentimento di vigore e di pace al cor m'infondi".
Nel contesto religioso degli animali sacrificali, esso fu considerato la vittima pura (17).
Queste caratteristiche si riferiscono bene a Cristo: la presenza dell'asino potrebbe essere vista come la concretizzazione della regalità del Bambino mentre quella del bue lo stesso Bambino nella sua qualità di Servo (secondo Isaia) e di vittima per eccellenza che sarà immolata per la redenzione di tutta l'umanità.
Il Card. Ratzinger commenta: "il bue e l'asino "avevano il valore di sigla profetica dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, di noi che di fronte all'eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella notte santa sono stati aperti gli occhi, sì che ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore. Ma lo riconosciamo realmente?" (18).

Note

14) Karol Wojtyla, La bottega dell'orefice, Libreria Editrice Vaticana, 1978, p. 84.
15) Raniero Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano 1992, p. 43.
16) San Bernardo, Discorso 12 in commento al Salmo 90.
17) Cfr. Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Ed. Arkeios, Roma 1994, vol. 1, p. 333-337 e 205-207.
18) Joseph Ratzinger, Immagini di speranza, Cinisello Balsamo, Milano 1999, p. 12.

Fonte: CULTURA CATTOLICA (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2145)

Augustinus
24-12-04, 15:40
Il racconto dei Magi

di Vitaliano Mattioli

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La festa che si occupa di questo episodio viene chiamata "Epifania", vocabolo che significa "manifestazione del Signore". In oriente viene chiamata con il vocabolo più appropriato "Teofania", manifestazione della divinità del Signore.
E' in rapporto a questo significato che in quel giorno si ricordano le tre grandi manifestazioni di Cristo-Dio: l'adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù (anche se questa festa oggi è spostata alla domenica seguente) ed il miracolo di Cana.
Di queste tre manifestazioni l'episodio dell'adorazione dei magi ha finito col prevalere diventando in occidente l'unico tema della festa, come si deduce dalle omelie del papa S. Leone Magno.
Per divina ispirazione i magi hanno visto in quel bambino, presentato a loro dalla madre Maria, l'atteso delle Genti ed il figlio di Dio.
Con il tempo tale festa ha assunto anche una connotazione missionaria: manifestazione di Cristo-Dio al mondo pagano. I Magi sono visti dalla tradizione cristiana come la 'primitia gentium', i primi fra i pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. Per questo il loro culto fu tanto fortunato, diffuso e radicato tra i convertiti dal paganesimo.
Il tema dell' "Adorazione" è diventato uno dei classici nell'arte. Solo due riferimenti tra i tanti. Il primo è il già ricordato sarcofago di Adelfia, dove la scena dei magi si riscontra due volte: sul coperchio e sotto il clipeo. Qui la Madonna appare seduta in cattedra e tiene in braccio il Bambino, che si protende nell'atto di ricevere la corona d'oro gemmata offerta dal primo dei tre Magi. L'altro è il meraviglioso mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna.
Anche in questo caso la data è probabilmente presa da una festività egiziana. Ci narra infatti Epifanio di Salamina (+ 403) che in Egitto nella notte tra il 5/6 gennaio si celebrava la nascita del dio Sole Aion dalla vergine Kore e contemporaneamente si celebrava la il culto del Nilo.

Mito o realtà

Diverse volte in quel giorno la gente mi domanda: "Padre, i re magi sono veramente esistiti o si tratta di una leggenda?".
Vediamo prima il racconto evangelico:
"Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:
da te uscirà infatti un capo
che pascerà il mio popolo, Israele".
"Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
"Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt., 2, 1-12).
Oltre ai Vangeli 'canonici' (riconosciuti dalla Chiesa come ispirati), ne parlano anche i vangeli apocrifi.
Il Protovangelo di Giacomo, probabilmente anteriore al IV secolo, (cap. 21-23); il Libro dell'infanzia del Salvatore, circa IX secolo, (cap. 89-91); il Vangelo dello Pseudo Matteo, verso il VI secolo, (cap. 16-17); il Vangelo Arabo dell'infanzia del Salvatore, circa la metà del VI secolo, (cap. 7-9); il Vangelo Armeno dell'Infanzia, fine VI secolo, (cap. V, 10) che ci riferisce anche i nomi, accettati poi normalmente nella tradizione. Riporto solo la citazione di quest'ultimo: " Un angelo del Signore si affrettò di andare al paese dei persiani per prevenire i re magi ed ordinare loro di andare ad adorare il bambino appena nato. Costoro, dopo aver camminato per nove mesi avendo per guida la stella, giunsero alla meta proprio nel momento in cui Maria era appena diventata madre. E' da sapere che in quel momento il regno persiano dominava sopra tutti i re dell'Oriente per il suo potere e le sue vittorie. I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, ed il terzo Gaspare che dominava sul paese degli arabi".
E' anche interessante che il "Libro della Caverna dei Tesori", scritto nel V secolo d.C., ma riferentesi ad un testo siriaco più antico, descrive i Magi come Caldei, re e figli di re, in numero di tre.

Cominciamo dal termine

La parola 'mago' che si usa per indicare questi personaggi non va identificata con il significato che oggi noi diamo. Il vocabolo deriva dal greco 'magoi' e sta ad indicare in primo luogo i membri di una casta sacerdotale persiana (in seguito anche babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti.
Nell'antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina. Rivestivano anche un ruolo di primo piano nella religione e vita politica.
L'idea del tempo che ciclicamente si rinnova conduceva il mazdeismo (religione della Persia preislamica) alla costante attesa messianica di un 'Soccorritore divino", il ruolo del quale sarebbe stato quello di aprire ciascuna era di rinnovamento e di rigenerazione dopo la fase di decadenza che l'aveva preceduta. In tal senso il mazdeismo si collega all'attesa messianica. In questa religione si attendevano tre successive, arcane figure di salvatori e rigeneratori del tempo futuro: l'ultimo di essi, il 'Soccorritore', sarebbe nato da una vergine discendente da Zarathustra e avrebbe condotto con sé la resurrezione universale e l'immortalità degli esseri umani. Molte leggende accompagnavano il mito del 'Soccorritore', tra le quali: una stella lo avrebbe annunciato.
Tenendo conto di questo contesto culturale, non fa meraviglia il comportamento dei magi nella descrizione di Matteo.
Il nome generico di provenienza, Oriente, può indicare diverse regioni.
La Babilonia, Mesopotamia, dove si studiava specialmente l'astronomia. Si deve tener conto infatti che in seguito alla terribile distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 586, gli ebrei sopravissuti furono deportati in Babilonia, dove rimasero fino alla liberazione da parte di Ciro nel 539. L'influsso ebraico si fece sentire in quella regione, dove tra l'altro anche dopo la liberazione rimasero a vivere diverse famiglie ebraiche, e dove fu compilato il Talmud Babilonese. Sicuramente a Babilonia le attese messianico giudaiche erano conosciute.
Sotto questo aspetto potrebbe trattarsi anche della Siria. Seleuco I tra il 305-280 vi aveva fondato la città di Antiochia e vi aveva concentrato numerosi giudei deportati dalla Palestina
Una terza possibilità è che i magi provenivano dalla Media. Questa si basa sullo storico greco Erodoto secondo il quale i magi appartenevano ad una delle sei tribù della Media ed esercitavano molta importanza a corte. Erano sacerdoti e venivano chiamati astrologi, indovini, filosofi.
Niente di strano quindi che un gruppo di questi studiosi fosse guidato verso la Giudea da una singolare posizione delle stelle, da far presagire qualcosa di 'strano'.
L'episodio dettagliato di Matteo, la domanda di Erode sul 'tempo' del sorgere della stella permettono di interpretare in forma storica e non allegorica l'esistenza dei magi e l'episodio della stella (19)
Ancora lo Stramare ci permette una meditazione, oltre la curiosità: "Perché Matteo avrebbe usato il termine 'ab oriente', evidentemente molto generico? Senza scartare come risposta la possibilità che Matteo ignorasse effettivamente la località precisa di provenienza, rimane sempre da considerare la sua chiara intenzione di privilegiare in questo racconto l'universalità, contro il particolarismo nel quale era rinchiusa l'attesa ebraica. L'esattezza geografica, infatti, non avrebbe servito in questo caso allo scopo: la chiamata alla fede sarebbe stata estesa semplicemente ad un altro popolo ben determinato, ma non a tutti" (20).

La stella

Molto si è scritto su questa stella. Diverse sono state le ipotesi che possono riassumersi a tre: una cometa, una 'stella nova', una sovrapposizione di satelliti.
E' difficile accettare l'identificazione della stella con la cometa di Halley in quanto comparsa 12 anni prima della nostra era. Precedentemente era stata avvistata nel 240, 164, 88 a.C.; riapparsa anche nel nostro secolo, nel 1910 e nel 1985/86. Del resto nei cieli della Palestina non è apparsa nessuna cometa tra il 17 a.C. ed il 66 d.C.
Non si può neppure pensare ad una 'stella nova', bagliore prolungato emesso da corpi celesti invisibili al momento della loro esplosione. Infatti nell'area di Gerusalemme non ne comparve nessuna tra il 134 a.C. ed il 73 d.C.
La Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia (21) sembra propendere per la terza ipotesi, già condivisa a suo tempo da Keplero: "Di tutte le spiegazioni possibili la più probabile rimane quella, in qualche modo accettabile sulle fonti, secondo cui si è trattato di un'insolita posizione di Giove, l'antica costellazione regale. L'astronomia antica si è occupata dettagliatamente della sua comparsa in un preciso punto dello zodiaco e l'ha identificata, sul grande sfondo di una religiosità mitologico-astrale molto diffusa, con la divinità più alta. Essa era importante soprattutto per gli avvenimenti della storia e del mondo, in quanto i movimenti di Saturno erano facilmente calcolabili. Saturno, il pianeta più lontano secondo gli antichi, era il simbolo del dio del tempo Crono e permetteva immediate deduzioni sul corso della storia. Una congiunzione di Giove e di Saturno in una precisa posizione dello zodiaco aveva certamente un significato tutto particolare. La ricerca più recente si lascia condurre dalla fondata convinzione che la triplice congiunzione Giove-Saturno dell'anno 6/7 a.C. ai confini dello zodiaco, al passaggio tra il segno dei Pesci e quello dell'Ariete, deve aver avuto un enorme valore. Essa risulta importante come una 'grande' congiunzione e, in vista della imminente era del messia (o anche età dell'oro), mise in allarme l'intero mondo antico".
Il Prof. Baima Bollone propende per questa possibilità. Si appoggia su conclusioni dell'astronomia che sostiene che la sovrapposizione di Giove con Saturno si verifica ogni 179 anni; nel periodo in esame avvenne proprio nel 7 a.C. e per ben tre volte: 29 marzo, 3 ottobre, 4 dicembre nella costellazione dei Pesci, secondo i calcoli di Keplero. "Betlemme si trova a pochi chilometri da Gerusalemme, proprio nella direzione in cui la luce nella costellazione dei Pesci poteva essere percepita da viaggiatori che giungessero da Oriente. Tradizione, documenti archeologici e calcoli astrofisici confermano che fu soltanto, ed esattamente nel 7 a.C. che nei cieli della sponda meridionale del Mediterraneo e in Mesopotamia si verificò un fenomeno luminoso nettamente percepibile con gli stessi caratteri di quello dell'episodio dei Magi" (22).
Questa ipotesi sembra affascinante; tuttavia diversi biblisti preferiscono seguire una diversa impostazione.
Il Ricciotti commenta: "In questi tentativi, fuor della buona intenzione, non c'è altro da apprezzare, giacché scelgono una strada totalmente falsa: basta fermarsi un istante sulle particolarità del racconto evangelico per comprendere che quel racconto vuole presentare un fenomeno assolutamente miracoloso, il quale non si può in nessun modo far rientrare nelle leggi stabili di una meteora naturale sebbene rara" (23).
Anche lo studioso Andrés Fernández propende per questa linea: "Altri, infine, sostengono che si trattò di una meteora speciale che non si muoveva secondo le leggi naturali... Dobbiamo preferire la terza ipotesi (questa, dopo quella della congiunzione e di Halley - N.d.A.), l'unica soddisfacente. La stella vista in Oriente si presentava con caratteristiche eccezionali; la sua apparizione non si può spiegare in nessun modo come fenomeno comune ed ordinario; resta pertanto esclusa ogni interpretazione puramente naturalistica... I Magi compresero bene che si trattava di qualcosa al di sopra dell'ordine naturale" (24).
Anche "La Sacra Bibbia", a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma (25) nella Nota al brano di Matteo 2, 2, sostiene la stessa opinione: "La stella, veduta dai Magi, secondo l'opinione più probabile, dedotta dalle sue caratteristiche, era una meteora straordinaria, formata da Dio espressamente per dare ai popoli il lieto annunzio della nascita del Salvatore".

Le reliquie dei Magi

Una legittima curiosità provoca una domanda: ma poi, che fine hanno fatto i Magi?
Il Vangelo ci informa soltanto che "i magi per un'altra strada sono ritornati al loro paese" (Mt., 2, 12). Altro ufficialmente non sappiamo. Per completare il racconto e rispondere alla domanda non abbiamo fonti certe, ma si devono seguire le tradizioni formatesi nel tempo. Del resto non si deve ritenere inutile la questione dato che nei giorni 19 e 20 dicembre 1998 si è svolto all'Abbazia di Chiaravalle (presso Milano) il convegno: "I tre Saggi e la Stella. Mito e Realtà dei Re Magi", organizzato da Identità Europea.
Una tradizione ci dice che i Tre, dopo la loro conversione, sono stati consacrati vescovi dall'apostolo Tommaso e morirono martiri all'età tra i 106 e 118 anni. Sarebbero stati sepolti in India (dove l'apostolo Tommaso avrebbe predicato) ma in luoghi separati.
Un'altra tradizione invece ci dice che sono morti in Persia e sepolti insieme in una grande tomba. Secondo questa tradizione l'imperatrice Elena (madre di Costantino), venutane a conoscenza, avrebbe fatto trasportare le reliquie a Costantinopoli in una grande chiesa fatta costruire apposta per ospitarle. Tuttavia in questa città a quel tempo non si riscontra un culto in onore dei Magi.
Alcuni storici sostengono che queste reliquie nello stesso IV secolo furono trasportate da Costantinopoli a Milano da Eustorgio, vescovo di questa città.
Altri infine ritengono che le reliquie sono giunte in Italia con le crociate, dato che prima di questo periodo a Milano non c'è traccia di questo culto.
Una tradizione lega il vescovo Eustorgio ai Magi. A Milano fu dedicata in suo onore una basilica; già nell'XI secolo vi si trovava una urna preziosa chiamata 'Arca dei Magi' con una stella sopra un pilastro.
Una cosa sembra certa: nel 1162 si sa che le spoglie dei Magi si trovavano in Lombardia. Infatti in questa data il Barbarossa, che aveva raso al suolo Milano, teneva molto alla conservazione di quelle reliquie per appropriarsene, come garanzia di una particolare compiacenza e protezione da parte di Dio.
Si dice anche che nel XIII secolo i Tartari volessero invadere l'Europa proprio per riprendersi i 'loro' Magi.
La presenza delle reliquie nel capoluogo lombardo è testimoniata anche dal culto che si diffuse nella regione. Solo alcuni esempi: nel 1420 nella Certosa di Pavia su un trittico d'avorio sono inserite ben 26 scena della storia dei Magi; nel 1570 in S. Michele a Pavia si affresca una cappella dei Magi; pochi anni prima a Voghera i cistercensi avevano aperto una abbazia intitolata ai Re Magi.
Queste reliquie nel 1164 da Milano sono state trasportare a Colonia in Germania. Attualmente si trovano in una arca-cattedrale nel Duomo di questa città.
Di questo viaggio ci è giunta una particolareggia descrizione del carmelitano Giovanni di Hildesheim nel 1364. Riporta le 42 tappe segnate dall'arcivescovo Reinaldo di Dassel effettuate per il trasporto dell'urna. Il percorso sarebbe: Pavia (dove si trovava il Barbarossa che aveva ordinato il trasferimento), Vercelli, Torino, Alpi.
E Milano? Solo nel 1903 l'arcivescovo di Colonia inviò al suo collega di Milano alcune reliquie consistenti in qualche ossicino.
Queste almeno sono le notizie tramandateci e confermate dal padre Goffredo Viti, professore a Firenze di storia della Chiesa nella relazione, tenuta al Convegno citato, dal titolo: "La reliquie dei Re Magi. Storia di un cammino in terra lombarda".

Note

19) Tarcisio Stramare, Vangelo dei Misteri della vita nascosta di Gesù, Ed. Sardini, Brescia 1998, p. 229.
20) T. Stramare, o.c., p. 234.
21) Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia, o.c., vol. II, p. 294.
22) P. Baima Bollone, o.c., p. 140 con note 20 e 21 a p. 277.
23) G. Ricciotti, o.c., p. 185.
24) A. Fernández, Vita di Gesù Cristo, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1961, p. 100. Per un approfondimento sulla natura della stella: cfr. T. Stramare, o.c., p. 240-248.
25) "La Sacra Bibbia", a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze 1962, nota 2, p. 1778.

Fonte: CULTURA CATTOLICA (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2144)

Augustinus
24-12-04, 15:43
Erode e l'uccisione degli Innocenti

di Vitaliano Mattioli

http://img383.imageshack.us/img383/7774/img0143db.jpg

Erode: chi era costui ?
L'episodio dei Magi coinvolge la figura del re Erode.
Un sovrano con questo nome lo troviamo nel contesto della nascita di Gesù ed alla fine, durante la passione. Pilato, "saputo che Gesù era galileo e che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò a Erode, che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme" (Lc., 23, 7). Fu questo secondo a far decapitare Giovanni il Battista.
Si tratta però di due 'Erodi' diversi, in quanto quello della nascita e dei Magi era morto quando Gesù era ancora bambino (cfr. Mt., 2, 19-20).
Questo Erode, denominato 'Il Grande', era il padre di quello della passione, Erode Antipa (4 a.C-9 d.C.), che aveva avuto dalla samaritana Maltace.
Le notizie ci vengono riferite specialmente dallo storico Giuseppe Flavio nelle due opere: La Guerra Giudaica e Le Antichità Giudaiche.
Suo padre si chiamava Antipatro, giudeo dell'Idumea (regione a sud della Galilea) e la madre Kypros, di origine araba.
Antipatro raggiunse una posizione molto influente in Giudea dopo la conquista romana (63 a.C.) e nel 47 a.C. fu nominato procuratore da Giulio Cesare.
Antipatro ebbe due figli: Fasael ed Erode, nato verso il 73 a.C.
Il nome Erode significa 'discendente da eroi'.
Erode fu certamente un eroe di operosità e tenacia, di sontuosità e magnificenza, ma fu soprattutto un genio di crudeltà e brutalità. Da sfondo faceva una smisurata ambizione ed una frenesia di dominio.
Antipatro, in seguito alla sua nomina a procuratore nominò il figlio Erode a prefetto militare della Galilea.
A questo Erode nel 40 a.C. il senato conferì il titolo di 'Re dei Giudei'. Tuttavia solo dopo tre anni di lotte ininterrotte e di terribili stragi (26) poté ascendere al trono di Giudea e regnare per 33 anni (dal 37 a.C. al 4 a.C.).

In positivo il suo nome è legato alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, iniziata nel 20/19 a.C. La sua dedicazione avvenne dieci anni dopo. Seppure le rifiniture durarono ancora molto tempo (sostanzialmente fino al governo del procuratore Albino, 62-64 d.C.), doveva essere ugualmente bellissimo se gli apostoli un giorno al tramonto del sole dissero affascinati al Signore: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!" (Mc., 13,1).
Questo tempio era il terzo: il primo quello costruito da Salomone e distrutto nella campagna di Nabucodonosor nel 586 a.C.; il secondo fu edificato dopo il ritorno dall'esilio babilonese ed inaugurato nel 515 a.C.; questo tempio al tempo di Erode era così decadente che si ritenne meglio abbatterlo e costruirne uno completamente nuovo. Questo terzo tempio fu distrutto nella famosa guerra giudaica nel 67-70 d.C.
Ma, insieme al Tempio, Erode fece costruire anche altri edifici pagani in onore della dea Roma e del divino Augusto a Samaria, a Cesarea al Panion ed altrove.
Questa prodigalità non deve far supporre che si trattava di sentimenti religiosi sinceri. La corte di Erode a Gerusalemme era pagana. Per la corruzione ed oscenità triviale superava di gran lunga le altre corti orientali.
Inoltre si impegnò molto ad abbellire le città con grandi costruzioni e nuovi monumenti civili.
A Gerusalemme costruì un teatro ed un anfiteatro; abbellì la fortezza Baris dei Maccabei, dandole il nome di Antonia in onore del suo protettore Marco Antonio; edificò lo splendido palazzo reale a nord-ovest della città; restaurò la città di Samaria, che chiamò Sebaste in onore di Augusto (Augustus è la latinizzazione del nome greco Sebastos); edificò il palazzo-fortezza Haerodium a sud di Betlemme, ed altro; fondò la nuova capitale Cesarea Marittima, sulla sponda del Mediterraneo.
Siffatta attività gli valse il titolo di Grande.

Ma, nonostante questo, Erode sapeva benissimo che i suoi sudditi lo odiavano e che godevano di qualunque disgrazia familiare che si rovesciava sulla corte, perché Erode non amava il popolo. Al mancato affetto dei sudditi, il monarca suppliva con la coscienza della propria forza; ad ogni manifestazione di rancore popolare rispondeva con ulteriori rivalse e vendette.
Purtroppo Erode è uno degli uomini il cui bene realizzato è offuscato da tantissimo male. Espongo alcune sue 'malefatte' non per gusto di cronaca nera, ma per evidenziare come l'ordine da lui impartito dell'uccisione dei bambini di Betlemme non è un fatto isolato e tantomeno inventato ma del tutto collimante con il suo agire precedente.
Un certo Malico uccise suo padre Antipatro facendolo avvelenare (43 a.C.). Erode per vendicare la morte del padre fece uccidere l'assassino presso Tiro (27).
Inoltre fece imprigionare il fratello Fasael, il quale per disperazione si suicidò fracassandosi la testa contro un muro (28)
Dopo aver ordinato l'uccisione di sua moglie Mariamne I (29 a.C.) (29) nel 7 a.C. dispose la stessa sorte per i due figli avuti da lei: Alessandro ed Aristobulo (30).
Cinque giorni prima di morire fece giustiziare un altro suo figlio Antipatro, avuto da Doris, una delle sue mogli (31).
Infine, sentendo ormai prossima la morte, progettò un ultimo atto di crudeltà. Sapeva che i suoi sudditi avrebbero gioito per la sua scomparsa. Questo lui non lo poteva accettare: tutti dovevano piangere la sua morte. Per questo ordinò alla sorella Salome di convocare a Gerico (dove si trovava ammalato al momento della morte) tutti i grandi del regno, conferendole il mandato di farli uccidere tutti appena lui fosse spirato.
Così ci riferisce Giuseppe Flavio: Erode, sentendosi prossimo alla morte, "giunse al punto di deliberare un'azione ch'era fuor di ogni legge. Radunati infatti da ogni borgata di tutta la Giudea gli uomini più insigni, comandò che fossero chiusi dentro al luogo chiamato Ippodromo; chiamata poi la sorella Salome con suo marito Alexa disse: So che i Giudei faranno festa per la mia morte; eppure io posso essere pianto per altre ragioni ed ottenere uno splendido funerale, qualora voi vogliate seguire le mie commissioni. Questi uomini che stanno rinchiusi, voialtri, quando io sarò spirato, ammazzateli tutti, dopo averli fatti circondare dai soldati, cosicché tutta la Giudea e tutte le famiglie anche non volendo verseranno lacrime per me" (32).
Per fortuna in questo caso la sorella si dimostrò meno crudele del fratello: morto il re rimise tutti i dignitari in libertà.
Erode morì a Gerico nell'aprile del 750 di Roma (= 4 a.C.), all'età di circa 70 anni, dopo sei mesi di atroce malattia.
Il suo cadavere, già in vita roso dai vermi, fu trasportato con grandi onori all'Erodion, palazzo-fortezza che aveva fatto costruire, divenne suo mausoleo.
Sempre secondo Giuseppe Flavio, il funerale si svolse nel modo più splendido possibile: "Erode fu posto su di una lettiga d'oro tempestata di perle preziose e molteplici gemme di diversi colori e una coperta di porpora; anche il morto era vestito con un abito di porpora, portava un diadema sul quale era sistemata una corona d'oro, sul lato destro giaceva il suo scettro" (33).
Erode fu sempre tenacemente attaccato alla sua corona acquistata a gran prezzo e non esitò a sopprimere chiunque potesse considerare un suo ipotetico rivale, fossero anche amici, parenti o gli stessi familiari.

L'eccidio

E' in questo contesto che si può inquadrare il suo turbamento (Mt., 2, 3) circa la notizia ricevuta dai Magi riguardante la nascita del 're dei Giudei' e la seguente reazione nelle strage degli innocenti, i bambini di Betlemme dai due anni in giù.
Circa il numero di questi bambini sono state fatte diverse ipotesi. Forse la più probabile è quella riportata dal Fernández, che lo stabilisce tra i 30 e 40 (34).
Tuttavia il Ricciotti (35) tende ad abbassarlo a 20-25, in quanto probabilmente furono uccisi soltanto i bambini di sesso maschile.
Perché soltanto Luca ne parla?
Queste notizie non facevano molta impressione. Sembra che la stessa Roma di Augusto appresa la notizia (almeno così riferisce lo storico Strabone nel V sec. d.C. nei Saturnalia (II, 4, 11), non ne rimase molto sconvolta: anche a Roma giravano voci di fatti simili. Un episodio interessante ci viene riferito da Svetonio. Costui ci narra che pochi giorni prima della nascita di Augusto, avvenne a Roma un portento interpretato come preannuncio che stava per nascere un re per il popolo romano. Allora il Senato, repubblicano, allarmato da questa notizia, diede ordine che nessun bambino nato in quell'anno fosse allevato e cresciuto, il che significava che dovevano essere abbandonati alla morte.
Quella dei bambini era praticamente una vita senza valore. Commenta il Ricciotti: "Se nell'Urbe arrivò la notizia della strage di Bethlehem sarà stata accolta con sghignazzamenti, quasicché il vecchio monarca avesse ammazzato niente più che una ventina di pulci. La realtà storica è questa: e non si poteva certo pretendere che i Quiriti, per una ventina di piccoli barbari scannati, si commovessero più che per centinaia dei loro propri figli che avevano corso un somigliante pericolo" (36).
Poteva far cronaca eventualmente l'uccisione di un personaggio illustre, non certo quella di alcuni bambini, per lo più non cittadini romani.

Note

26) Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XIV, 16, 2-4; XV, 1,2.
27) G. Flavio, A.G., XIV, 11, 3-6.
G. Flavio, Guerra Giudaica, 1, 13, 9-10.
G. Flavio, A.G. XV, 7, 4-5.
G. Flavio, A. G., XVI, 11, 7.
31) G. Flavio, A. G., XVII, 7. Sembra che Erode in tutto ne avesse avute dodici. Per la famiglia di Erode cfr. il prospetto in A. Fernández, o.c., p. 19. 32) G. Flavio, G.G., 1, 33, 6.
33) G. Flavio, A.G., XVII, 8, 3.
34) cfr. A. Fernández, o.c., p. 103.
35) G. Ricciotti, o. c., p. 292.
36) G. Ricciotti, o.c., p. 293.

Fonte: CULTURA CATTOLICA (http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2144)

Augustinus
24-12-04, 17:36
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 93-96

TEMPO DI NATALE

Capitolo Primo

STORIA DEL TEMPO DI NATALE

Diamo il nome di Tempo di Natale ai quaranta giorni che vanno dalla Natività di Nostro Signore (25 dicembre) alla Purificazione della Santa Vergine (2 febbraio). Questo periodo forma, nell'Anno Liturgico, un tutto speciale, come l'Avvento, la Quaresima, il Tempo Pasquale, ecc. Vi domina completamente la celebrazione d'uno stesso mistero, e né le feste dei Santi che si susseguono in questa stagione, né l'occorrenza abbastanza frequente della Settuagesima con i suoi colori tristi, sembrano distrarre la Chiesa dal gaudio immenso che le hanno evangelizzato gli Angeli (Lc 2,10) nella notte radiosa così a lungo attesa dal genere umano, e la cui commemorazione liturgica è stata preceduta dalle quattro settimane che formano l'Avvento.

L'usanza di celebrare con quaranta giorni di festa o di memoria speciale la solennità della Nascita del Salvatore è fondata sul santo Vangelo stesso, che ci riferisce come la purissima Maria, trascorsi quaranta giorni nella contemplazione del dolce frutto della sua gloriosa maternità, si recò al tempio per compiervi, nell'umiltà più perfetta, tutto ciò che la legge prescriveva a tutte le donne d'Israele quando fossero diventate madri.

La commemorazione della Purificazione di Maria è dunque indissolubilmente legata a quella della Nascita stessa del Salvatore; e l'usanza di celebrare questi santi e lieti quaranta giorni sembra risalire ad una remota antichità della Chiesa. Innanzitutto, per ciò che riguarda la Natività del Salvatore il 25 dicembre, san Giovanni Crisostomo, nella sua omelia su tale Festa, pensa che gli Occidentali l'avessero fin dall'origine celebrata in questo giorno. Si ferma anche a giustificare questa tradizione, facendo osservare che la Chiesa Romana aveva avuto tutti i modi di conoscere il vero giorno della nascita del Salvatore, poiché gli atti del censimento eseguito per ordine di Augusto in Giudea si conservavano negli archivi pubblici di Roma. Il santo Dottore propone un secondo argomento, ricavato dal Vangelo di san Luca, facendo notare che, secondo lo scrittore sacro, dovette essere nel digiuno del mese di settembre che il sacerdote Zaccaria ebbe nel tempio la visione in seguito alla quale la sposa Elisabetta concepì san Giovanni Battista: donde consegue che la santissima Vergine Maria avendo essa pure, secondo il racconto dello stesso san Luca, ricevuto la visita dell'Arcangelo Gabriele e concepito il Salvatore del mondo al sesto mese della gravidanza di Elisabetta, cioè in marzo, doveva partorirlo nel mese di dicembre [1].

Le Chiese d'Oriente, tuttavia, non cominciarono se non nel quarto secolo a celebrare la Natività di Nostro Signore nel mese di dicembre. Fino allora l'avevano celebrata ora il 6 gennaio, confondendola, sotto il nome generico di Epifania, con la Manifestazione del Salvatore ai Gentili nella persona dei Magi, ora - secondo la testimonianza di Clemente Alessandrino - il 25 del mese Pachon (15 maggio), o il 25 del mese Pharmuth (20 aprile). San Giovanni Crisostomo nell'omelia che abbiamo citata, e che egli pronunciò nel 386, attesta che l'usanza di celebrare con la Chiesa Romana la Nascita del Salvatore il 25 dicembre datava appena da dieci anni nella Chiesa d'Antiochia. Questo cambiamento sembra essere stato intimato dall'autorità della Sede Apostolica, alla quale venne ad aggiungersi, verso la fine del quarto secolo, un editto degli Imperatori Teodosio e Valentiniano, che decretava la distinzione delle due feste della Natività e dell'Epifania. La sola Chiesa scismatica d'Armenia ha conservato l'usanza di celebrare il 6 gennaio il duplice mistero; e ciò senza dubbio perché quella nazione era indipendente dall'autorità degli Imperatori, e fu molto presto sottratta dallo scisma e dall'eresia agli influssi della Chiesa Romana [2].

La festa della Purificazione della Santa Vergine, che chiude i quaranta giorni di Natale, è una delle quattro più antiche feste di Maria: avendo fondamento nel racconto stesso del Vangelo, è possibile che sia stata celebrata fin dai primi secoli del Cristianesimo. Ma per ciò che riguarda la Chiesa orientale, non vi troviamo definitivamente stabilita la festa del 2 febbraio se non sotto l'impero di Giustiniano, nel VI secolo [3].

Se ora passiamo a considerare il carattere del tempo di Natale nella Liturgia Latina, siamo in grado di riconoscere che questo tempo è dedicato in special modo alla letizia che suscita in tutta la Chiesa la venuta del Verbo divino nella carne, e particolarmente consacrato alle lodi dovute alla purissima Maria per l'onore della sua maternità. Questo duplice pensiero d'un Dio figlio e d'una Madre vergine si trova espresso ad ogni istante nelle preghiere e nelle usanze della Liturgia.

Così, nei giorni di Domenica e in tutte le feste che non sono di rito doppio, per l'intera durata di questi quaranta giorni, la Chiesa ricorda la feconda verginità della Madre di Dio, con tre Orazioni nella celebrazione del santo Sacrificio. Negli stessi giorni, alle Laudi e ai Vespri, implora il suffragio di Maria, proclamando altamente la sua qualità di Madre di Dio e la purezza inviolabile che resta in lei anche dopo il parto. Infine, l'usanza di terminare ogni Ufficio con la solenne Antifona del monaco Ermanno Contratto in lode della Madre del Redentore, continua fino al giorno stesso della Purificazione.

Queste sono le manifestazioni d'amore e di venerazione con le quali la Chiesa, onorando il Figlio nella Madre, testimonia la sua religiosa letizia nella stagione dell'Anno Liturgico che designiamo con il nome di Tempo di Natale.

Tutti sanno che il Calendario Ecclesiastico contiene fino a sei domeniche dopo l'Epifania, per gli anni in cui la festa di Pasqua tocca i limiti estremi nel mese di aprile. I quaranta giorni dal Natale alla Purificazione racchiudono talvolta fino a quattro di queste domeniche. Spesso non ne contengono che due, e talvolta perfino una sola, quando l'anticipazione della Pasqua in alcuni anni costringe a far risalire a Gennaio la Domenica di Settuagesima, e anche quella di Sessagesima. Nulla tuttavia è stato innovato, come abbiamo detto, nei riti di questi lieti quaranta giorni, fuorché il colore viola e l'omissione dell'Inno angelico, nelle domeniche che precedono la Quaresima.

La santa Chiesa onora, per tutto il corso del Tempo di Natale, con una religiosità particolare, il mistero dell'Infanzia del Salvatore. Ma quando il corso del Calendario, anche negli anni in cui la festa di Pasqua è più inoltrata, da meno di sei domeniche per la celebrazione dell'intera opera della nostra salvezza, cioè dal Natale alla Pentecoste, obbliga la stessa Chiesa ad anticipare, nelle letture del Santo Vangelo, i fatti della vita attiva di Cristo. La liturgia non resta tuttavia meno fedele nel ricordarci le bellezze del divino Bambino e la gloria incomunicabile della Madre sua, fino al giorno in cui verrà a presentarlo al tempio.

I Greci fanno anche, nei loro Uffici, frequenti Memorie della maternità di Maria, per tutto questo tempo; ma hanno soprattutto una speciale venerazione per i dodici giorni che vanno dalla festa di Natale a quella dell'Epifania: periodo designato nella loro Liturgia sotto il nome di Dodecameron. In questo periodo, essi non osservano alcuna astinenza dalla carne; e gli Imperatori d'Oriente avevano perfino stabilito che, per il rispetto dovuto a un sì grande mistero, fossero proibite le opere servili, e i tribunali stessi vacassero fino al 6 gennaio.

Queste sono le particolarità storiche e i fatti positivi che servono a determinare il carattere speciale di quella seconda parte dell'Anno Liturgico che designiamo con il nome di Tempo di Natale. Il capitolo seguente svolgerà le intenzioni mistiche della Chiesa, in questo periodo così caro alla pietà dei suoi figli.

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NOTE

[1] Il più antico documento che ci permette di concludere che la festa di. Natale era celebrata il 25 dicembre fin dal 336, è il calendario filocaliano redatto nel 354. È infatti poco dopo il Concilio di Nicea (325) che la Chiesa romana istituì una festa commemorativa della Nascita del Salvatore. Se gli storici moderni sono concordi nel dire che le date del 25 dicembre e 6 gennaio non sono basate su una tradizione storica, è legittimo pensare che la Chiesa le abbia scelte per qualche serio motivo.

[2] Anche Gerusalemme non conobbe che la testa del 6 gennaio, sino alla fine del IV secolo.

[3] Gli studi recenti del Liturgisti hanno mostrato che questa festa cominciò a essere celebrata a Gerusalemme non il 2 febbraio, come lo fu più tardi a Roma, ma il 14 febbraio, quaranta giorni dopo la festa della Natività che gli Orientali celebravano il 6 gennaio. La Peregrinatio Sylviae (del 400 circa) rileva che la festa era celebrata nel 380 a Betlemme e a Gerusalemme nella basilica dell'Anastasi, con la stessa solennità di quella di Pasqua. La Cronaca di Teofane ci dice che fu introdotta a Costantinopoll, fra il 534 e il 542, e celebrata il 2 febbraio. Di qui passò a Roma. Il Liber Pontificalis indica che Sergio (687-701) istituì una litania per le quattro feste della Vergine (Purificazione, Dormizione, Natività e Annunciazione), donde si conclude che esistevano già, benché non si possa sapere da quando.

Augustinus
24-12-04, 17:40
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 96-102

Capitolo Secondo

MISTICA DEL TEMPO DI NATALE

Tutto è misterioso nei giorni in cui ci troviamo. Il Verbo di Dio, la cui generazione è prima dell'aurora, nasce nel tempo; nel Bambino è un Dio; una Vergine diviene Madre e rimane Vergine; le cose divine si confondono alle umane, e la sublime e ineffabile antitesi espressa dal discepolo prediletto in queste parole del suo Vangelo: IL VERBO SI È FATTO CARNE, si sente ripetere su tutti i toni e sotto tutte le forme nelle preghiere della Chiesa. Essa riassume meravigliosamente il grande evento che ha unito in una sola persona divina la natura dell'uomo e la natura di Dio.

Mistero abbagliante per l'intelligenza, ma soave al cuore dei fedeli, esso è il compimento dei disegni di Dio nel tempo, l'oggetto dell'ammirazione e dello stupore degli Angeli e dei Santi nella loro eternità, e insieme il principio e il modo della loro beatitudine. Vediamo come la santa Chiesa lo propone ai suoi figli nella Liturgia.

Il giorno della Natività.

Dopo l'attesa di quattro settimane di preparazione, immagine dei millenni dell'antico mondo, eccoci giunti al venticinquesimo giorno del mese di dicembre, come a una stazione desiderata. Dapprima e naturale che proviamo un certo stupore vedendo che questo giorno a sé solo riserva l'immutabile prerogativa di celebrare la Natività del Salvatore; mentre tutto il Ciclo liturgico sembra nei travagli, ogni anno, per dare alla luce l'altro giorno continuamente variabile al quale è legata la memoria del mistero della Risurrezione.

Fin dal quarto secolo, sant'Agostino fu portato a darsi ragione di questa differenza, nella famosa Epistola ad Ianuarium; e la spiegava dicendo che noi celebriamo il giorno della Nascita del Salvatore unicamente per rievocare la memoria di quella Nascita operata per la nostra salvezza, senza che il giorno stesso nel quale ha avuto luogo racchiuda in sé qualche significato misterioso. Al contrario il giorno preciso della settimana nel quale è avvenuta la Risurrezione è stato scelto nei decreti eterni, per esprimere un mistero di cui si deve fare espressa commemorazione sino alla fine dei secoli. Sant'Isidoro di Siviglia e l'antico interprete dei riti sacri che per lungo tempo si è ritenuto fosse lo studioso Alcuino, adottano su questo punto la dottrina del vescovo di Ippona; e le loro parole sono sviluppate da Durando nel suo Razionale.

Detti autori osservano dunque che, secondo le tradizioni ecclesiastiche, avendo la creazione dell'uomo avuto luogo il venerdì, e avendo il Salvatore, sofferto la morte in quello stesso giorno per riparare il peccato dell'uomo; essendosi d'altra parte la risurrezione di Cristo compiuta il terzo giorno, cioè la Domenica, giorno al quale la Genesi assegna la creazione della luce, "le solennità della Passione e della Risurrezione - come dice sant'Agostino – non hanno soltanto lo scopo di riportare alla memoria i fatti che si sono compiuti; ma rappresentano e significano anche qualche altra cosa di misterioso e di santo (Epist. ad Ianuarium)".

Guardiamoci tuttavia dal credere che, per il fatto che non è legata a nessuno dei giorni della settimana in particolare, la celebrazione della festa di Natale il 25 dicembre sia stata completamente privata dell'onore di un significato misterioso. Innanzitutto, potremmo già dire, con gli antichi liturgisti, che la festa di Natale percorre successivamente i diversi giorni della settimana, per purificarli tutti e sottrarli alla maledizione che il peccato di Adamo aveva riversato su ciascuno di essi. Ma abbiamo un mistero molto più sublime da dichiarare nella scelta del giorno di questa solennità: mistero che, se non ha relazione con la divisione del tempo nei limiti di quel tutto che Dio stesso s'è tracciato, e che si chiama la Settimana, viene a legarsi nel modo più espressivo al corso del grande astro per mezzo del quale la luce e il calore, cioè la vita stessa, rinascono e perdurano sulla terra. Gesù Cristo nostro Salvatore, che è la luce del mondo (Gv 8,12), è nato al momento in cui la notte dell'idolatria e del delitto era più profonda in questo mondo. E il giorno della Natività, il 25 dicembre, è precisamente quello in cui il sole materiale, nella sua lotta con le ombre, vicino a spegnersi, si rianima d'un tratto e prepara il suo trionfo.

Nell'Avvento abbiamo notato, con i santi Padri, la diminuzione della luce fisica come il triste emblema di quei giorni di attesa universale; ci siamo rivolti con la Chiesa verso il divino Oriente, verso il Sole di Giustizia, il solo che possa sottrarci agli orrori della morte del corpo e dell'anima. Dio ci ha ascoltati; e nel giorno stesso del solstizio d'inverno, famoso per i terrori e i gaudi del mondo antico, ci da insieme la luce materiale e la fiaccola delle intelligenze.

San Gregorio Nisseno, sant'Ambrogio, san Massimo di Torino, san Leone, san Bernardo e i più illustri liturgisti, si compiacciono di questo profondo mistero che il Creatore dell'universo ha impresso in una sola volta nella sua opera naturale e soprannaturale insieme; e vedremo che le preghiere della Chiesa continueranno a farvi allusione nel Tempo di Natale, come già nel Tempo dell'Avvento.

"In questo giorno che il Signore ha fatto - dice san Gregorio Nisseno, nella sua omelia sulla Natività - le tenebre cominciano a diminuire e, aumentando la luce, la notte è ricacciata al di là delle sue frontiere. Certo, o Fratelli, ciò non accade né per caso né per volere estraneo, il giorno stesso in cui risplende Colui che è la vita divina nell'umanità. È la natura che, sotto questo simbolo, rivela un arcano a quelli il cui occhio è penetrante, e i quali sono capaci di comprendere la circostanza della venuta del Signore. Mi sembra di sentirlo dire: O uomo, sappi che sotto le cose che tu vedi ti vengono rivelati misteri nascosti. La notte, come hai visto, era giunta alla sua più lunga durata, e d'improvviso s'arresta. Pensa alla notte funesta del peccato che era giunta al colmo per l'unione di tutti gli artifici colpevoli: oggi stesso il suo corso è stroncato. A partire da questo giorno, essa è ridotta, e presto sarà annullata. Guarda ora i raggi del sole più vivi, l'astro stesso più alto nel cielo, e contempla insieme la vera luce del Vangelo che si leva sull'universo intero".

"Esultiamo, o Fratelli - esclama a sua volta sant'Agostino - perché questo giorno è sacro non già per il sole visibile, ma per la nascita dell'invisibile creatore del sole. Il Figlio di Dio ha scelto questo giorno per nascere, come si è scelta una Madre, lui che è il creatore del giorno e della Madre insieme. Questo giorno, infatti, nel quale la luce ricomincia ad aumentare, era adatto a significare l'opera di Cristo che, con la sua grazia, rinnova continuamente il nostro uomo interiore. Avendo l'eterno Creatore risolto di nascere nel tempo, bisognava che il giorno della sua nascita fosse in armonia con la creazione temporale" (Discorso in Natale Domini, iii).

In un altro Sermone sulla medesima festa, il vescovo d'Ippona ci dà la chiave d'una frase misteriosa di san Giovanni Battista, che conferma meravigliosamente il pensiero tradizionale della Chiesa. L'ammirabile Precursore aveva detto, parlando del Cristo: Bisogna che egli cresca e che io diminuisca (Gv 3,30). Sentenza profetica la quale, nel senso letterale, significa che la missione di san Giovanni Battista volgeva al termine dal momento che il Salvatore stesso entrava nell'esercizio della sua. Ma possiamo vedervi anche, con sant'Agostino, un secondo mistero: "Giovanni è venuto in questo mondo nel tempo in cui i giorni cominciano ad accorciarsi; Cristo è nato nel momento in cui i giorni cominciano ad allungarsi" (Discorso in Natale Domini, xi). Cosicché tutto è mistico: sia il levarsi dell'astro del Precursore al solstizio d'estate, sia l'apparizione del Sole divino nella stagione delle ombre.

La scienza tapina e ormai sorpassata dei Dupuis e dei Volney, pensava di aver scosso una volta per sempre le basi della superstizione religiosa, per aver costatato, presso i popoli antichi, l'esistenza di una festa del sole al solstizio d'inverno; sembrava loro che una religione non potesse passare per divina, dal momento che le usanze del suo culto avevano delle analogie con i fenomeni d'un mondo che, secondo la Rivelazione, Dio ha tuttavia creato solo per il Cristo e per la sua Chiesa. Noi cattolici troviamo la conferma della nostra fede proprio là dove questi uomini credettero per qualche istante di scorgere la sua rovina [1].

In questo modo abbiamo dunque spiegato il mistero fondamentale di questi lieti quaranta giorni, svelando il grande segreto nascosto nella predestinazione eterna del venticinquesimo giorno del mese di dicembre a diventare il giorno della Nascita d'un Dio sulla terra. Scrutiamo ora rispettosamente un secondo mistero, quello del luogo in cui avvenne la Nascita.

Il luogo della Natività.

Questo luogo è Betlemme. È da Betlemme che deve uscire il capo d'Israele. Il profeta l'ha predetto (Mic 5,2); i Pontefici ebrei lo sanno e sapranno anche dichiararlo, fra pochi giorni, ad Erode (Mt 2,5). Per quale ragione questa oscura città è stata scelta fra tutte le altre per diventare il teatro di così sublime avvenimento? Osservate, o cristiani! Il nome di questa città di David significa casa del Pane: ecco perché il Pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,41) l'ha scelta per manifestarvisi. I nostri padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti (ivi 6, 49); ma ecco il Salvatore del mondo che viene a sostenere la vita del genere umano per mezzo della sua carne che è veramente cibo (ivi 56). Fino ad ora Dio era lontano dall'uomo; ma d'ora in poi essi non faranno più che una sola e medesima cosa. L'Arca dell'alleanza che custodiva solo la manna dei corpi è sostituita dall'Arca d'una alleanza nuova; Arca più pura, più incorruttibile dell'antica: l'incomparabile Vergine Maria, che ci presenta il Pane degli Angeli, l'alimento che trasforma l'uomo in Dio; poiché Dio l'ha detto: Chi mangia la mia carne rimane in me, ed io in lui (ivi 57).

Gesù nostro Pane!

È questa la divina trasformazione che il mondo attendeva da lungo tempo, e verso la quale la Chiesa ha sospirato durante le quattro settimane del Tempo di Avvento. È giunta infine l'ora e Cristo sta per entrare in noi, se vogliamo riceverlo (ivi 1,12). Egli chiede di unirsi a ciascuno di noi, come si è unito alla natura umana in generale, e per questo vuoi farsi nostro Pane, nostro cibo spirituale. La sua venuta nelle anime in questa mistica stagione, non ha altro scopo. Egli non viene per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato in lui (ivi 3,17), perché tutti abbiano la vita, ed una vita sempre più abbondante (ivi 10,10). Il divino amico delle anime nostre, non troverà dunque riposo fino a quando non si sia sostituito egli stesso a noi, di modo che non siamo più noi a vivere, ma egli che vive in noi; e perché questo mistero si compia con maggiore dolcezza, il dolce frutto di Betlemme si dispone dapprima a penetrare in noi sotto le sembianze d'un bambino, per crescervi quindi in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini (Lc 2,40).

Quando poi, dopo averci così visitati con la sua grazia e con l'alimento d'amore, ci avrà cambiati in se stesso, allora si capirà un nuovo mistero. Diventati una stessa carne, uno stesso cuore con Gesù, Figlio del Padre celeste, diventeremo perciò stesso i figli del medesimo Padre; tanto che il Discepolo prediletto esclama: Figliuoli, osservate quale carità ha usato con noi il Padre, sì che siamo i figli di Dio, non soltanto di nome, ma di fatto (Gv 3,1). Ma parleremo altrove, e con più agio, di questa suprema felicità dell'anima cristiana, e dei mezzi che le sono offerti per mantenerla ed accrescerla.

Liturgia del Natale.

Ci resta da dire qualcosa sui colori simbolici che la Chiesa riveste in questo tempo. Il bianco è usato per i venti primi giorni che vanno fino all'Ottava dell'Epifania. Lo si cambia solo per onorare la porpora dei martiri Stefano e Tommaso di Canterbury, e per unirsi al lutto di Rachele che piange i suoi figli, nella festa dei santi Innocenti.

All'infuori di queste tre ricorrenze, trionfa il bianco nei paramenti sacri, per esprimere la letizia alla quale gli Angeli hanno invitato gli uomini, lo splendore del sole divino che nasce, la purezza della Vergine Madre, il candore delle anime fedeli che si stringono attorno alla culla del divino Bambino.

Negli ultimi venti giorni, le ricorrenze delle feste dei Santi esigono che le feste della Chiesa siano in armonia, ora con le rose dei Martiri, ora con i semprevivi che formano la corona dei Pontefici e dei Confessori, ora con i gigli che adornano le Vergini. Nei giorni di domenica, se non ricorre nessuna festa di rito doppio di seconda classe che imponga il colore rosso o bianco, e se la Settuagesima non ha ancora aperto la serie delle settimane che precedono la passione di Cristo, i paramenti della Chiesa sono di color verde. La scelta di questo colore indica, secondo i liturgisti, che con la Nascita del Salvatore, che è il fiore dei campi (Ct 2,1), è anche nata la speranza della nostra salvezza, e che dopo l'inverno della gentilità e del giudaismo ha iniziato il suo corso la verdeggiante primavera della grazia.

Possiamo terminare così questa spiegazione mistica delle usanze generali del Tempo di Natale. Ci rimangono senza dubbio ancora parecchi simboli da svelare; ma poiché i misteri ai quali essi si ricollegano sono propri di alcuni speciali giorni piuttosto che di tutto l'insieme di questa parte dell'Anno Liturgico, li tratteremo in particolare giorno per giorno, senza ometterne alcuno.

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NOTE

[1] Si è visto sopra che la festa di Natale non ha avuto in origine un posto uniforme nel diversi calendari della Chiesa. Molti autori pensano oggi che questa festa fu definitivamente fissata al 25 dicembre per distogliere i fedeli da una solennità pagana molto popolare, la festa del solstizio, che celebrava, nella notte dal 24 al 25 dicembre, il trionfo del sole sulle tenebre. Il procedimento, che consiste nell'opporre una festa cristiana a una festa pagana troppo vivace, è stato spesso usato dalla Chiesa nei primi secoli, e sempre con immediato successo.

Augustinus
24-12-04, 17:47
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 102-113

Capitolo Terzo

PRATICA DEL TEMPO DI NATALE

Imitare la Chiesa.

È giunto il momento in cui l'anima fedele sta per raccogliere il frutto degli sforzi che ha compiuti durante il periodo laborioso dell'Avvento, per preparare una dimora al Figlio di Dio che vuol nascere in essa. Il giorno delle nozze dell'Agnello è giunto, la Sposa si è preparata (Ap 19,7). Ora, la Sposa è la santa Chiesa; la Sposa è ogni anima fedele. L'inesauribile Signore si da completamente e con particolare tenerezza, a tutto il suo gregge e a ciascuna delle pecorelle del gregge. Quali abiti vestiremo per andare incontro allo Sposo? Quali perle, quali gioielli adorneranno le anime nostre in questo fortunato incontro? La Santa Chiesa nella Liturgia, ci istruisce a questo riguardo; e non possiamo far di meglio che imitarla in tutto, poiché essa è sempre accetta, ed essendo la Madre nostra, dobbiamo ascoltarla sempre.

Ma prima di parlare della mistica Venuta del Verbo nelle anime, prima di narrare i segreti di questa sublime familiarità del Creatore e delle creature, indichiamo innanzitutto, con la Chiesa, gli omaggi che la natura umana e ciascuna delle nostre anime deve offrire al divino Bambino che il cielo ci ha dato come una benefica rugiada. Durante l'Avvento, ci siamo uniti ai santi dell'Antica Alleanza per implorare la venuta del Messia Redentore; ora che egli è disceso, consideriamo quali omaggi sia giusto offrirgli.

L'Adorazione.

La Chiesa, in questo sacro tempo, offre al Dio Bambino il tributo delle sue profonde adorazioni, i trasporti delle sue gioie ineffabili, l'omaggio d'una riconoscenza senza limiti, la tenerezza d'un amore che non ha l'uguale. I quali sentimenti - adorazione, gioia, riconoscenza e amore - formano anche l'insieme degli omaggi che ogni anima fedele deve offrire all'Emmanuele nella sua culla. Le preghiere della Liturgia ne daranno l'espressione più pura e più completa; ma penetriamo la natura di questi sentimenti onde meglio concepirli e appropriarci ancor più intimamente la forma sotto la quale la santa Chiesa li esprime.


Il primo dovere da compiere presso la culla del Salvatore è quello dell'adorazione. L'adorazione è il primo atto di religione; ma si può dire che, nel mistero della Natività, tutto sembra contribuire a rendere questo dovere ancora più santo. In cielo, gli Angeli si velano il volto e si annientano davanti al trono di Dio; i ventiquattro seniori abbassano continuamente i loro diademi dinanzi alla maestà dell'Agnello: che faremo noi peccatori, indegne membra della tribù riscattata, quando Dio stesso si presenta a noi umiliato e annientato per noi? Quando, per il più sublime rovesciamento, i doveri della creatura verso il Creatore sono adempiuti dal Creatore stesso? Quando il Dio eterno s'inchina, non più solo davanti alla maestà infinita, ma dinanzi all'uomo peccatore?

È dunque giusto che alla vista di sì meraviglioso spettacolo ci sforziamo di offrire, con le nostre profonde adorazioni, al Dio che si umilia per noi, almeno qualcosa di quanto il suo amore per l'uomo e la sua fedeltà alle disposizioni del Padre gli sottrae. È necessario che sulla terra imitiamo, per quanto ci è possibile, i sentimenti degli angeli nel cielo, e non ci accostiamo al divino Bambino senza presentargli innanzitutto l'incenso d'una adorazione sincera, la protesta della nostra dipendenza, e infine l'omaggio di annientamento .dovuto a quella Maestà infinita, tanto più degna del nostro rispetto in quanto è per noi stessi che si umilia. Guai dunque a noi se, resi troppo familiari dalla apparente debolezza del divino Bambino, dalla dolcezza stessa delle sue carezze, pensiamo di poter tralasciare qualcosa di questo primo e più importante dovere, e dimenticare per un momento ciò che è lui e ciò che siamo noi!

L'esempio della purissima Maria servirà potentemente a mantenere in noi l'umiltà. Maria davanti a Dio fu umile prima di essere Madre; divenuta Madre, diviene ancora più umile davanti al suo Dio e al suo Figlio. Noi dunque, vili creature, peccatori mille volte graziati, adoriamo con tutte le nostre forze Colui che da tanta altezza, discende fino alla nostra bassezza e sforziamoci di indennizzarlo, con il nostro abbassamento, della sua mangiatoia, delle sue fasce, dell'eclissi della sua gloria. Tuttavia, cercheremo invano di scendere fino al livello della sua umiltà; bisognerebbe essere Dio per raggiungere le umiliazioni di Dio.

La Gioia.

La santa Chiesa non si limita ad offrire al Dio Bambino il tributo delle sue profonde adorazioni; il mistero dell'Emmanuele, del Dio con noi, è per essa la fonte di una ineffabile gioia. Il rispetto dovuto a Dio si concilia mirabilmente, nei suoi sublimi cantici, con la gioia che hanno raccomandata gli Angeli. Si compiace di imitare la letizia dei pastori che vennero solleciti ed esultanti a Betlemme (Lc 2,16), e anche la gioia dei Magi quando, nell'uscire da Gerusalemme; videro nuovamente la stella (Mt 2,10). Da ciò deriva che tutta la cristianità, avendolo compreso, celebra la Nascita divina con canti lieti e popolari, conosciuti sotto il nome di Pastorali.

Uniamoci, o cristiani, a questa gioia esultante; non è più tempo di sospirare, ne di versare lacrime: Ecco ci è nato un pargolo (Is 9,6). Colui che aspettavamo è finalmente venuto, ed è venuto per abitare con noi. Quanto è stata lunga l'attesa, tanto inebriante è la felicità del possesso. Verrà presto il giorno in cui il Bambino che oggi nasce, diventato uomo, sarà l'uomo dei dolori. Allora patiremo can lui; ora bisogna che godiamo della sua venuta, e cantiamo presso la sua culla con gli Angeli. Questi quaranta giorni passeranno presto; accettiamo a cuore aperto la gioia che ci viene dall'alto come un dono celeste. La divina Sapienza ci insegna che il cuore del giusto è in continua festa (Prov 15,16) perché in esso vi è la Pace: ora, in questi giorni ci è arrecata sulla terra la Pace, la Pace agli uomini di buona volontà.

La Riconoscenza.

A questa mistica e deliziosa gioia viene ad unirsi quasi di per sé il sentimento della riconoscenza verso Colui che, senza essere fermato dalla nostra indegnità né trattenuto dai riguardi dovuti alla suprema Maestà, ha voluto scegliersi una madre tra le figlie degli uomini, una culla in una stalla: tanto aveva a cuore di affrettare l'opera della nostra salvezza, di evitare tutto ciò che potesse ispirarci qualche timore o qualche timidità nei suoi riguardi, di incoraggiarci con il suo divino esempio nella via dell'umiltà in cui è necessario che camminiamo per risalire al cielo donde il nostro orgoglio ci ha fatti cadere.

Riceviamo dunque con cuore commosso questo dono prezioso d'un Bambino liberatore. È il Figlio unigenito del Padre, di quel Padre che ha tanto amato il mondo da sacrificare il proprio Figlio (Gv 3,16); è quello stesso Figlio unigenito che ratifica pienamente la volontà del Padre suo, e che viene a offrirsi per noi perché vuole (Is 53,7). Forse che nel darcelo - dice l'Apostolo - il Padre non ci ha dato tutto con lui? (Rm 8,32). O dono inestimabile! Quale gratitudine potremmo offrire noi che possa uguagliare tanto beneficio, quando, dal profondo della nostra miseria, siamo incapaci di apprezzarne perfino il valore? Dio solo e il divino Bambino che dalla culla ne custodisce il segreto, sa quello che ci dona in questo mistero.

L'amore.

Ma, se la riconoscenza è sproporzionata al beneficio, chi dunque soddisfarà il debito? L'amore soltanto potrà farlo, poiché, per quanto finito, almeno non si misura e può crescere sempre. Perciò la santa Chiesa, davanti alla mangiatoia, dopo aver adorato, ringraziato, si sente presa da una indicibile tenerezza e dice: Come sei bello, o mio diletto! (Ct 1,15). Quanto è dolce alla mia vista il tuo sorgere, o divino Sole di giustizia! Quanto il tuo calore è vivificante per il mio cuore! Come è sicuro il tuo trionfo sulla mia anima, poiché tu l'attacchi con le armi della debolezza, dell'umiltà e dell'infanzia! Tutte le parole si cambiano in parole d'amore; e l'adorazione, la lode, il ringraziamento non sono nei suoi Cantici che l'espressione cangiante e intima dell'amore che trasforma tutti i suoi sentimenti.

Anche noi, o cristiani, seguiamo la Chiesa Madre nostra, e portiamo i nostri cuori all'Emmanuele! I Pastori gli offrono la loro semplicità, i Magi gli portano ricchi doni; gli uni e gli altri ci insegnano che nessuno deve comparire davanti al divino Bambino senza offrirgli un dono degno di lui. Ora, teniamolo bene presente: egli disdegna ogni altro tesoro fuorché quello che è venuto a cercare. L'amore lo fa discendere dal cielo; commiseriamo il cuore che non gli restituisce l'amore!

Questi sono dunque gli omaggi che le anime nostre debbono presentare a Gesù Cristo in questa prima Venuta in cui egli viene nella carne e nell'infermità - come dice san Bernardo - non per giudicare il mondo ma per salvarlo.

Quanto riguarda la Venuta nella gloria e nella maestà terribile dell'ultimo giorno, l'abbiamo meditato abbastanza durante le settimane dell'Avvento. Il timore dell'ira futura avrebbe dovuto risvegliare i nostri cuori dal sonno in cui giacevano e prepararli nell'umiltà a ricevere la visita del Salvatore in questa Venuta intermedia che si compie segretamente nell'intimo delle anime, e di cui ci resta ancora da narrare l'ineffabile mistero.

La Vita illuminativa.

Abbiamo mostrato altrove come il tempo dell'Avvento appartenga a quel periodo della vita spirituale che la Teologia Mistica designa con il nome di Vita purgativa, e durante la quale l'anima si di stacca dal peccato e dai legami del peccato, per il timore dei giudizi di Dio, mediante la mortificazione e la lotta corpo a corpo contro la concupiscenza. Noi supponiamo dunque che ogni anima fedele abbia attraversato questa valle d'amarezza, per essere ammessa al banchetto a cui la Chiesa, per bocca del Profeta Isaia, convoca tutti i popoli nel nome del Signore, nel giorno in cui si deve cantare: Ecco il nostro Dio: l'abbiamo aspettato, ed egli viene finalmente a salvarci; abbiamo sopportato il suo ritardo; esultiamo di gioia nella salvezza che egli ci arreca (Sabato della seconda settimana di Avvento). È anche giusto dire che, come vi sono nella casa del Padre celeste parecchie dimore (Gv 14,2), così in questa grande solennità, la Chiesa vede tra la moltitudine dei suoi figli che si stringono in questi giorni alla tavola dove si distribuisce il Pane di vita, una grande varietà di sentimenti e di disposizioni. Gli uni erano morti alla grazia, e i soccorsi del sacro tempo dell'Avvento li hanno fatti rivivere; gli altri, che già vivevano, hanno con i loro sospiri ravvivato il proprio amore, e l'entrata in Betlemme è stata per essi come un rinnovamento della vita divina.

Ora, ogni anima introdotta in Betlemme, cioè nella Casa del Pane unita a Colui che è la Luce del mondo (Gv 14,2), non cammina più nelle tenebre. Il mistero di Natale è un mistero di illuminazione, e la grazia che produce nell'anima nostra la stabilisce, se essa è fedele, in quel secondo stato della vita mistica che è chiamato Vita illuminativa. D'ora in poi non abbiamo più da affliggerci nell'attesa del Signore; egli è venuto, ci ha illuminati, e la sua luce non si spegne più. Deve anzi crescere man mano che l'Anno Liturgico si svilupperà. Che possiamo riflettere il più fedelmente possibile nelle anime nostre il progresso di questa luce, e pervenire con il suo aiuto al bene dell'unione divina che corona insieme l'Anno Liturgico e l'anima santificata da esso!

Ma nel mistero di Natale e dei quaranta giorni della Nascita, la luce è ancora proporzionata alla nostra debolezza. È senza dubbio il Verbo, la Sapienza del Padre, che ci si propone a conoscere e ad imitare; ma questo Verbo, questa Sapienza appaiono sotto le sembianze dell'infanzia. Nulla dunque ci impedisca di avvicinarci. Non è un trono, ma una culla; non è un palazzo, ma una stalla; non si tratta ancora di fatiche, di sudori, di croce e di sepolcro; meno ancora di gloria e di trionfo; non si tratta che di dolcezza, di silenzio e di semplicità. Avvicinatevi dunque - ci dice il Salmista - e sarete illuminati (Sal 33,6).

Chi potrebbe degnamente narrare il mistero dell'infanzia di Cristo nelle anime, e dell'infanzia delle anime in Cristo? Questo duplice mistero che si compie in questo sacro tempo è stato reso meravigliosamente da san Leone nel suo sesto Sermone sulla Natività del Salvatore, quando dice: "Benché l'infanzia che la maestà del Figlio di Dio non ha disdegnata abbia successivamente lasciato il posto all'età dell'uomo perfetto, e dopo il trionfo della Passione e della Risurrezione, tutto il seguito degli atti dell'umiltà di cui il Verbo si era rivestito per noi sia per sempre compiuta, la presente solennità rinnova per noi la Nascita di Gesù dalla vergine Maria; e adorando la nascita del nostro Salvatore, è la nostra stessa origine che noi celebriamo. Infatti, la generazione temporale di Cristo è la fonte del popolo, cristiano, e la nascita del Capo è insieme quella del corpo. Senza dubbio, ognuno dei chiamati ha il proprio posto, e i figli della Chiesa sono distinti gli uni dagli altri per la successione dei tempi; tuttavia l'insieme dei fedeli, uscito dal fonte battesimale, come è crocifisso con Cristo nella sua Passione, risuscitato nella sua Risurrezione, messo alla destra del Padre nella sua Ascensione, è anche generato con lui in questa Natività. Ogni uomo, in qualunque parte del mondo dei credenti abiti, è rigenerato in Cristo; la vecchiaia della sua prima generazione è troncata; egli rinasce in un uomo nuovo, e d'ora in poi non si trova più nella filiazione del proprio padre secondo la carne, ma nella natura stessa di quel Salvatore che si è fatto Figlio dell'uomo, affinché possiamo diventare figli di Dio".

La nuova Natività.

Eccolo, il mistero di Natale! È appunto questo che ci dice il Discepolo prediletto nel Vangelo che la Chiesa ci fa leggere alla terza Messa di questa grande festa. A quelli che l'hanno voluto ricevere, ha concesso di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo Nome, che non sono nati dal sangue ne dalla volontà dell'uomo, ma da Dio. Dunque, tutti quelli che dopo aver purificato la propria anima, dopo essersi liberati dalla servitù della carne e del sangue, dopo aver rinunciato a tutto ciò che conservano dell'uomo peccatore, vogliono aprire il proprio cuore al Verbo divino, a questa LUCE che risplende nelle tenebre e che le tenebre non hanno compresa, tutti questi nascono con Gesù il Cristo, nascono da Dio; cominciano una vita nuova, come il Figlio stesso di Dio in questo mistero.

Quanto sono belli questi preludi della vita cristiana! Quanto è grande la gloria di Betlemme, cioè della santa Chiesa, la vera Casa del Pane, in seno alla quale in questi giorni, su tutte le terre si produce una così immensa moltitudine di figli di Dio! O perpetuità dei nostri Misteri che nulla esaurisce! L'Agnello immolato fin dall'inizio del mondo si immola per sempre dal tempo della sua immolazione reale; ed ecco che, nato una volta della Vergine Maria, trova la sua gloria nel rinascere continuamente nelle anime. E non pensiamo che l'onore della Maternità divina ne sia diminuito, come se ciascuna delle nostre anime raggiungesse d'ora in poi la dignità di Maria. "Lungi da ciò - ci dice il Venerabile Beda nel suo commento a san Luca - bisogna che alziamo la voce di mezzo alla folla, come quella donna del Vangelo che raffigura la Chiesa cattolica, e diciamo al Salvatore: Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che ti hanno allattato!". Prerogativa incomunicabile, infatti, e che stabilisce per sempre Maria Madre di Dio e Madre del genere umano. Ma non è detto con ciò che dobbiamo dimenticare la risposta che il Salvatore diede alla donna di cui parla san Luca: Più beati ancora - egli dice - quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica! (Lc 11,28).

"Con questa sentenza - continua il Venerabile Beda - Cristo dichiara beata non più soltanto colei che ebbe il favore di generare corporalmente il Verbo di Dio, ma anche tutti coloro che si impegneranno a concepire spiritualmente quello stesso Verbo mediante l'obbedienza della fede, e che, praticando le opere buone, lo genereranno nel proprio cuore e in quello dei fratelli, e ve lo nutriranno con cura materna. Se dunque la Madre di Dio è chiamata giustamente beata perché è stata il ministro dell'Incarnazione del Verbo nel tempo, quanto più è beata per essere rimasta sempre nel suo amore!".

Non è forse la stessa dottrina che ci propone il Salvatore in un'altra circostanza, quando dice: Colui che farà la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio fratello, mia sorella e mia madre? (Mt 12,50). E perché l'Angelo fu inviato a Maria in preferenza che a tutte le altre figlie d'Israele, se non perché essa aveva già concepito il Verbo divino nel proprio cuore, mediante l'integrità del suo amore, la grandezza della sua umiltà, l'incomparabile merito della sua verginità? E ancora, quale è la causa dello splendore di santità che riluce nella Madre di Dio fin nell'eternità, se non il fatto che la benedetta fra tutte le donne avendo una volta concepito e partorito secondo la carne il Figlio di Dio, lo concepisce e lo partorisce per sempre secondo lo spirito, mediante la sua fedeltà a tutti i voleri del Padre celeste, il suo amore per la luce increata del Verbo divino, la sua unione con lo Spirito di santificazione che abita in lei?

Ma nessuno nella stirpe umana è privato dell'onore di seguire Maria, benché da lontano, nella prerogativa di questa maternità spirituale, ora che l'augusta Vergine ha adempiuto il glorioso compito di aprirci la strada con il parto temporale che celebriamo, e che è stato per il mondo l'iniziazione ai misteri di Dio. Nelle settimane dell'Avvento, abbiamo dovuto preparare le vie del Signore; ormai dobbiamo averlo concepito nelle nostre anime; affrettiamoci a darlo alla luce nelle opere, affinché il Padre celeste, non vedendo più noi stessi in noi, ma soltanto il suo Verbo che crescerà in noi, possa dire di noi, nella sua misericordia, come disse una volta nella sua verità: Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3,17).

A tale uopo, prestiamo orecchio alla dottrina del serafico san Bonaventura, che ci dimostra eloquentemente come si operi nelle nostre anime la nascita di Gesù Cristo. "Questa lieta nascita ha luogo - dice il santo Dottore in una Esortazione per la festa di Natale - quando l'anima, preparata da una lunga meditazione, passa infine all'azione; quando, sottomessa la carne allo spirito, sopraggiunge a sua volta l'opera buona: allora rinascono nell'anima la pace e la gioia interiore. In questa natività, non vi sono né lamenti, né doglie, né lacrime; tutto è ammirazione, esultanza e gloria. Ma se questo partorire ti aggrada, o anima devota, pensa ad essere Maria. Ora, questo nome significa amarezza: piangi amaramente i tuoi peccati; significa ancora illuminatrice: diventa risplendente di virtù; significa infine padrona: sappi dominare le passioni della carne. Allora Cristo nascerà in te, senza doglie e senza fatica. È allora che l'anima conosce e gusta quanto è dolce il Signore Gesù. Essa prova tale dolcezza quando, con sante meditazioni, nutre il Figlio divino; quando lo bagna delle sue lacrime; quando lo avvolge dei suoi casti desideri; quando lo stringe negli abbracci d'una santa tenerezza; quando lo riscalda nel più intimo del suo cuore. O beata mangiatoia di Betlemme, in te trovo il Re di gloria; ma più beato di te è il cuore pio che racchiude spiritualmente Colui che tu hai potuto contenere solo corporalmente".

Ora, per passare così dalla concezione del Verbo alla sua nascita nelle nostre anime, in una parola per passare dall'Avvento al Tempo di Natale, bisogna che teniamo continuamente gli occhi del cuore su colui che vuoi nascere in noi, e nel quale rinasce la natura umana. Dobbiamo mostrarci gelosi di riprodurre i suoi tratti nella nostra debole e lontana imitazione, tanto più che, secondo l'Apostolo, è l'immagine del Figlio suo che il Padre celeste cercherà in noi, quando si tratterà di dichiararci capaci della divina predestinazione (Rm 8,29).

Ascoltiamo dunque la voce degli Angeli, e portiamoci fino a Betlemme. Ecco il vostro segno - ci vien detto: - troverete un bambino avvolto nelle fasce e posto in una mangiatoia (Lc 2,12). Dunque, o cristiani, bisogna che diventiate bambini; bisogna che conosciate di nuovo le fasce dell'infanzia; bisogna che scendiate dalla vostra altezza, e veniate presso il Salvatore disceso dal cielo, per nascondervi nell'umiltà della mangiatoia. Così, comincerete con lui una nuova vita; così la luce, che va sempre crescendo fino al giorno perfetto (Prov 4,18), vi illuminerà senza mai più lasciarvi; e, cominciando col vedere Dio in questo splendore nascente che lascia ancora il posto alla fede, vi preparerete per la felicità di quella UNIONE che non e più soltanto luce, ma la pienezza e il riposo dell'amore.

La Conversione.

Fin qui abbiamo parlato per le membra vive della Chiesa; abbiamo avuto di mira quelli che sono venuti al Signore nel sacro periodo dell'Avvento, e quelli che, viventi per la grazia dello Spirito Santo, quando finisce l'Anno Liturgico, hanno cominciato il nuovo nell'attesa e nella preparazione e si dispongono a rinascere con il Sole divino; ma non dobbiamo dimenticare quei nostri fratelli che hanno voluto morire; e che ne l'avvicinarsi dell'Emmanuele né l'attesa universale hanno potuto risvegliare dai loro sepolcri. Dobbiamo annunciare anche a loro, nella morte volontaria, ma guaribile da essi voluta, che la benignità e la misericordia del nostro Dio Salvatore sono apparse al mondo (Tit 3,4). Se dunque il nostro libro capitasse per caso fra le mani di qualcuno di coloro che, sollecitati ad arrendersi all'onnipotente Bambino, non l'avessero ancora fatto, e che, invece di tendere verso di lui nelle settimane che sono appena trascorse avessero passato quel santo periodo nel peccato e nella indifferenza, vorremmo ricordar loro l'antica pratica della Chiesa, attestata dal canone 15 del Concilio di Agda (506), nel quale è imposto a tutti i fedeli l'obbligo di accostarsi alla divina Eucaristia nella festa di Natale, come in quelle di Pasqua e di Pentecoste, sotto pena di non essere più considerati cattolici. Vorremmo descrivere loro il gaudio della Chiesa che in tutto il mondo, malgrado il raffreddamento della carità, vede ancora in quei giorni innumerevoli fedeli celebrare la Nascita dell'Agnello che toglie i peccati del mondo, con la partecipazione reale al suo corpo e al suo sangue.

Sappiatelo, dunque, o peccatori: la festa di Natale è una festa di grazia e di misericordia, nella quale il giusto e l'ingiusto si trovano riuniti alla stessa tavola. Per la nascita del Figlio suo, il Padre celeste ha voluto accordare la grazia a molti colpevoli; e vuole anche non escludere dal perdono se non quelli che si ostinassero ancora a rifiutare la misericordia. Così e non altrimenti, deve essere celebrata la venuta dell'Emmanuele.

Del resto, queste parole d'invito, non le diciamo di nostro arbitrio e avventatamente; ma nel nome della Chiesa stessa, che vi invita ad iniziare l'edificio della vostra vita nuova, nel giorno in cui il Figlio di Dio apre il corso della sua vita umana. Le prendiamo da un grande e santo Vescovo del medioevo, il pio Rabano Mauro, che in una sua Omelia, sulla nascita del Salvatore, non esitava ad invitare i peccatori perché, vanissero ad assidersi a fianco dei giusti, nella beata Stalla in cui gli animali privi di ragione seppero riconoscere il loro Padrone.

"Vi supplico, diletti Fratelli - diceva - ricevete di buon cuore le parole che il Signore mi suggerirà per voi in questo dolcissimo giorno che da la compunzione agli stessi infedeli e ai peccatori, in questo giorno che vede il peccatore implorare il perdono nelle lacrime del pentimento, il prigioniero non disperare più del suo ritorno in patria, il ferito desiderare il proprio rimedio. È questo il giorno in cui nasce l'Agnello che toglie i peccati del mondo, Cristo Salvatore nostro: natività che è la fonte d'una gioia deliziosa per colui che ha la coscienza in pace; che ridesta il timore in colui che ha il cuore malato; giorno veramente dolce e pieno di perdono per le anime penitenti. Io ve lo prometto dunque, o figliuoli, e lo dico con sicurezza: a chiunque in questo giorno vorrà pentirsi, e non tornare più al vomito del peccato, tutto ciò che domanderà sarà accordato. Una sola condizione gli sarà imposta: che abbia una fede senza esitazioni, e che non cerchi più i suoi vani piaceri.

Certo, oggi che il peccato del mondo intero è distrutto, come potrebbe il peccatore disperare? In questo giorno in cui nasce il Signore, promettiamo, fratelli carissimi, promettiamo a questo Redentore, e manteniamo le nostre promesse, come è scritto: Venite al Signore Dio vostro, e offritegli i vostri voti. Promettiamo nella pace e nella fiducia; egli saprà darci il modo di mantenere i nostri impegni. Tuttavia, comprendete bene che non si tratta qui di offrire cose periture e terrene. Ognuno di noi deve offrire quello che il Signore ha riscattato in noi, cioè la sua anima. E se mi dite: E come offrirò la mia anima al Signore, che già la tiene in suo potere? Vi risponderò: Offrirete la vostra anima mediante costumi pii, pensieri casti, opere vive, distogliendovi dal male, volgendovi verso il bene, amando Dio e amando il prossimo, usando misericordia perché siamo stati noi stessi miserabili prima di ricevere la misericordia; perdonando a coloro che peccano contro di noi, perché noi stessi siamo stati nel peccato; calpestando l'orgoglio, perché è appunto l'orgoglio che perde il primo uomo".

Così si esprime la misericordia della santa Chiesa invitando i peccatori al banchetto dell'Agnello fino a che la sala sia piena (Lc 14,23). La Sposa di Gesù Cristo è nel gaudio per effetto della grazia di rinascita che le concede il Sole divino. Comincia per essa un nuovo anno, e deve essere come tutti gli altri fecondo di fiori e frutti. La Chiesa rinnova la sua giovinezza come quella dell'aquila; si dispone, a presiedere ancora una volta su questa terra allo sviluppo del Ciclo sacro, e ad effondere di volta in volta sul popolo fedele le grazie di cui il Ciclo costituisce il mezzo. Attualmente, è la conoscenza e l'amore del Dio bambino che ci vengono offerti; siamo docili a questa prima iniziazione, per meritare di crescere con il Cristo in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini (ivi 2,52).

Il mistero di Natale è la porta di tutti gli altri; ma appartiene alla terra e non al cielo. "Noi non possiamo ancora - dice sant'Agostino nel suo xi Discorso sulla Nascita del Signore - non possiamo ancora contemplare lo splendore di Colui che è generato dal Padre prima dell'aurora (Sal 109,3); visitiamo almeno Colui che è nato da una Vergine nelle ore della notte. Non comprendiamo come il suo nome è prima del sole (Sal 81,17); confessiamo almeno che ha posto il suo tabernacolo in colei che è pura come il sole (Sal 18,6). Non vediamo ancora il Figlio unigenito che abita nel seno del Padre; pensiamo almeno allo Sposo che esce dalla sua camera nuziale (ibid.). Non siamo ancora maturi per il banchetto del Padre nostro; riconosciamo almeno la Mangiatoia di nostro Signore" (Is 1,3).

Augustinus
24-12-04, 17:52
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 113-119

IL SANTO GIORNO DI NATALE

Il lieto giorno della Vigilia di Natale volge al termine. La santa Chiesa ha già chiuso i divini Uffici dell'Attesa del Salvatore con la celebrazione del grande Sacrificio. Nella sua materna indulgenza, ha permesso ai suoi figli di rompere, a mezzogiorno, il digiuno di preparazione; i fedeli si sono seduti alla tavola frugale, con una gioia spirituale che fa loro presentire quella che inonderà i loro cuori nella notte che darà loro l'Emmanuele.

Ma una solennità sì grande come quella di domani deve, secondo l'usanza della Chiesa nelle sue feste, avere un preludio nel giorno che la precede tra pochi istanti, l'Ufficio dei Primi Vespri nel quale si offre a Dio l'incenso della sera, chiamerà i cristiani alla Chiesa; e lo splendore delle cerimonie, la magnificenza dei canti apriranno tutti i cuori alle emozioni d'amore e di riconoscenza che li debbono disporre, a ricevere le grazie del momento supremo.

Aspettando il sacro segnale che chiamerà alla casa di Dio, impieghiamo gli istanti che ci restano a meglio penetrare il mistero di sì grande giorno, i sentimenti della santa Chiesa in questa solennità e le tradizioni cattoliche mediante le quali i nostri antenati la hanno così degnamente celebrata.

Sermone di san Gregorio Nazianzeno.

Innanzitutto, ascoltiamo la voce dei santi Padri che risuonò con un'enfasi e una forza capaci di ridestare qualsiasi anima. Ecco per primo san Gregorio, il Teologo, il Vescovo, di Nazianzo, che inizia così il suo trentottesimo discorso, consacrato alla Teofania, o nascita del Salvatore. Chi potrebbe ascoltarlo e rimanere freddo davanti alle sue parole?

"Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore! E per riunire tutto in una sola parola: Si rallegrino i cieli ed esulti la terra, per Colui che è insieme del cielo e della terra. Cristo riveste la nostra carne: siate ripieni di timore e di gaudio: di timore a motivo del peccato; di gaudio a motivo della speranza. Cristo nasce da una Vergine: o donne, onorate la verginità per diventare madri di Cristo.

Chi non adorerebbe Colui che era fin dal principio? chi non loderebbe e non celebrerebbe Colui che è nato? Ecco che le tenebre svaniscono; è creata la luce; l'Egitto rimane sotto le ombre, Israele è illuminata da una lucente nube. Il popolo che era seduto nelle tenebre dell'ignoranza, scorge il lume d'una scienza profonda. Le cose antiche sono finite; tutto è ridiventato nuovo. Fugge la lettera e trionfa lo spirito; le ombre sono passate, e la verità fa il suo ingresso. La natura vede le sue leggi violate: è giunto il momento di popolare il mondo celeste: Cristo comanda; guardiamoci bene dal resistere.

Genti tutte, battete le mani; perché ci è nato un Bambino, ci è stato dato un Figlio. Il segno del suo principio è sulla sua spalla: perché la croce sarà il mezzo della sua elevazione; il suo nome è l'Angelo del grande consiglio, cioè del consiglio paterno.

Esclami pure Giovanni: Preparate le vie del Signore! Per me, voglio far anche risuonare la potenza di sì gran giorno: Colui che è senza carne s'incarna; il Verbo prende un corpo; l'Invisibile si mostra agli occhi, l'Impalpabile si lascia toccare; Colui che non conosce tempo prende un principio; il Figlio di Dio è diventato figlio dell'uomo. Gesù Cristo era ieri, è oggi, e sarà sempre. Si senta pure offeso il Giudeo; se ne rida il Greco; e la lingua dell'eretico si agiti nella sua bocca impura. Crederanno quando lo vedranno, questo Figlio di Dio, salire al cielo; e se anche in quel momento si rifiutano, crederanno quando ne discenderà e comparirà sul tribunale di giudice.

Sermone di san Bernardo.

Ascoltiamo ora, nella Chiesa Latina, il devoto san Bernardo, che effonde una soave letizia in queste melodiose parole, nel iv sermone per la Vigilia di Natale.

"Abbiamo ricevuto una notizia piena di grazia e fatta per essere accolta con trasporto: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. La mia anima si è sciolta a queste parole: lo spirito ribolle in me, spinto come sono ad annunciarvi tanta felicità. Gesù significa Salvatore. Che cosa è più necessario di un Salvatore a quelli che erano perduti, più desiderabile a degli infelici, più vantaggioso per quelli che erano accasciati dalla disperazione? Dov'era la salvezza dov'era perfino la speranza della salvezza, per quanto debole, sotto la legge del peccato, in quel corpo di morte, in mezzo alla perversità, nella dimora d'afflizione, se questa salvezza non fosse nata d'un tratto e contro ogni speranza? O uomo, tu desideri, è vero, la tua guarigione; ma, avendo coscienza della tua debolezza e della tua infermità, temi il rigore del trattamento. Non temere dunque: Cristo è soave e dolce; la sua misericordia è immensa; come Cristo, egli ha ricevuto in eredità l'olio, ma per effonderlo sulle tue piaghe. E se ti dico che è dolce, non temere che il tuo Salvatore manchi di potenza; perché è anche Figlio di Dio. Esultiamo dunque, riflettendo in noi stessi, e facendo risplendere al di fuori quella dolce sentenza, quelle soavi parole: Gesù Cristo. Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda!".

Sermone di sant'Efrem.

È dunque veramente un grande giorno quello della Nascita del Salvatore: giorno atteso dal genere umano per migliaia di anni, atteso dalla Chiesa nelle quattro settimane dell'Avvento che ci lasciano così cari ricordi; atteso da tutta la natura che riceve ogni anno sotto i suoi auspici, il trionfo del sole materiale sulle tenebre sempre crescenti. Il grande Dottore della Chiesa Sira, sant'Efrem, celebra con entusiasmo la bellezza e la fecondità di questo giorno misterioso; prendiamo qualche brano dalla sua divina poesia, e diciamo con lui:

"Degnati, o Signore, di permettere che celebriamo oggi il giorno stesso della tua nascita, che la presente solennità ci ricorda. Quel giorno è simile a tè; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino che è nato. Ogni anno, ci visita e passa; quindi ritorna pieno di attrattive. Sa che la natura umana non potrebbe fare a meno di lui; come te, esso viene in aiuto alla nostra razza in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest'anno simile a tè, e porti la pace fra il cielo e la terra. Se tutti i giorni sono segnati della tua liberalità, non è giusto forse che essa trabocchi in questo?

Gli altri giorni dell'anno traggono la loro bellezza da questo, e le solennità che seguiranno debbono ad esso la dignità e lo splendore di cui brillano. Il giorno della tua nascita è un tesoro, o Signore, un tesoro destinato a soddisfare il debito comune. Benedetto il giorno che ci ha ridato il sole, a noi erranti nella notte oscura; che ci ha recato il divino manipolo dal quale è stata diffusa l'abbondanza; che ci ha dato la vite che contiene il vino della salvezza che deve dare a suo tempo. Nel cuore dell'inverno che priva gli alberi dei loro frutti la vigna si è rivestita d'una divina vegetazione; nella stagione glaciale, un pollone è spuntato dal ceppo di Jesse. È in dicembre, in questo mese che trattiene nel grembo della terra il seme che le fu affidato, che la spiga della nostra salvezza, spunta dal seno della Vergine dove era disceso nei giorni di primavera, quando gli agnelli vanno belando nei prati".

Non è dunque da stupire che questo giorno il quale è caro a Dio stesso sia privilegiato nell'economia dei tempi; e conforta vedere le genti pagane presentire nei loro calendari la gloria che Dio gli riservava nella successione delle età. Abbiamo visto del resto che i Gentili non sono stati i soli a prevedere misteriosamente le relazioni del divino Sole di giustizia con l'astro mortale che illumina e riscalda il mondo; i santi Dottori e tutta la Liturgia sono molto prodighi riguardo a questa ineffabile armonia.

Il battesimo di Clodoveo.

Per incidere più profondamente l'importanza di un giorno così santo nella memoria dei popoli cristiani dell'Europa, stirpi preferite nei consigli della misericordia divina, il supremo Signore degli eventi ha voluto che il regno dei Franchi nascesse appunto il giorno di Natale (496) allorché nel Battistero di Reims, tra le pompe di tale solennità, Clodoveo, il fiero Sicambro, divenuto mite come l'agnello, fu immerso da san Remigio nel fonte della salvezza, dal quale uscì per inaugurare la prima monarchia cattolica fra le monarchie nuove, quel regno di Francia, il più bello -è stato detto - dopo quello dei cieli.

La conversione dell'Inghilterra.

Un secolo più tardi (597), era la volta della razza anglosassone. L'Apostolo dell'Isola dei Bretoni, il monaco sant'Agostino, dopo aver convertito al vero Dio il re Eteiredo, avanzò alla conquista delle anime. Essendosi diretto verso York, vi fece risuonare la parola di vita, e un intero popolo si unì per chiedere il Battesimo. Il giorno di Natale è fissato per la rigenerazione di quei nuovi discepoli di Cristo; e il fiume che scorre sotto le mura della città viene scelto per servire da fonte battesimale a quell'armata di catecumeni. Diecimila uomini, non contando le donne e i bambini, scendono nelle acque la cui corrente deve portar via l'immondezza delle loro anime. Il rigore della stagione non arresta i nuovi e ferventi discepoli del Bambino di Betlemme che appena pochi giorni prima ignoravano perfino il suo nome. Dalle acque gelide esce piena di gaudio e risplendente d'innocenza tutta un'armata di neofiti; e nel giorno stesso della sua nascita, Cristo conta una nazione di più sotto il suo impero.

Ma non era ancora abbastanza per il Signore che vuole onorare il giorno della nascita del suo Figliuolo.

L'incoronazione di Carlo Magno.

Un'altra illustre nascita doveva ancora abbellire questo lieto anniversario. A Roma, nella basilica di San Pietro, nella solennità di Natale dell'800, nasceva il Sacro Romano Impero al quale era riservata la missione di propagare il regno di Cristo nelle regioni barbare del Nord, e di mantenere l'unità europea, sotto la direzione del Romano Pontefice. In quel giorno, san Leone III poneva la corona imperiale sul capo di Carlo Magno; e la terra attonita rivedeva un Cesare, un Augusto, non più successore dei Cesari e degli Augusti della Roma pagana, ma investito di quei titoli gloriosi dal Vicario di Colui che si chiama, nei santi Oracoli, il Re dei re, il Signore dei signori.

La gloria del giorno di Natale.

Così Dio ha fatto, risplendere agli occhi degli uomini la gloria del regale Bambino che nasce oggi; così egli ha preparato, di epoca in epoca attraverso i secoli, ricchi anniversari di quella Natività che da gloria a Dio e pace agli uomini. Il susseguirsi dei tempi farà vedere al mondo in che modo l'Altissimo si riserva ancora di glorificare, in questo giorno, se stesso e il suo Emmanuele.

Nell'attesa, le nazioni dell'Occidente, colpite dalla dignità di tale festa, e considerandola con ragione come il principio di tutte le cose nell'era della rigenerazione del mondo, contarono a lungo gli anni cominciando dal Natale, come si vede su antichi Calendari, sui Martirologi di Usuardo e di Adone, e su un gran numero di Bolle, di Costituzioni e di Diplomi. Un concilio di Colonia, nel 1320, ci dimostra che tale usanza ancora esisteva a quell'epoca. Parecchi popoli dell'Europa cattolica, soprattutto gli Italiani, hanno conservato l'usanza di festeggiare il nuovo anno alla Natività del Salvatore. Si augura il buon Natale come altrove al primo gennaio il buon anno. Ci si scambiano i complimenti e i regali; si scrive agli amici lontani: preziose vestigia delle antiche usanze, di cui la fede era il principio e il baluardo invincibile.

Ma è tale agli occhi della santa Chiesa la gioia che deve riempire i fedeli nella Nascita del Salvatore che, associandosi con una particolare indulgenza a così legittima allegrezza, abolisce per il giorno di domani il precetto dell'astinenza dalla carne, se il Natale cade il venerdì o il sabato. Questa dispensa risale al Papa Onorio III, che occupava la sede di Pietro nel 1216; ma già fin dal IX secolo san Nicola I, nella sua risposta ai quesiti dei Bulgari, aveva mostrato simile condiscendenza, per incoraggiare la gioia dei fedeli nella celebrazione non solo della solennità di Natale, ma anche nelle feste di santo Stefano, di san Giovanni Evangelista, dell'Epifania, della Assunzione della Vergine, di san Giovanni Battista e dei santi Pietro e Paolo. Ma questa indulgenza non fu universale, e l'abolizione non si è conservata che per la festa di Natale di cui accresce la popolare allegrezza.

La legislazione civile medievale intese, a suo modo, mettere in risalto l'importanza di questa festa così cara a tutta la cristianità concedendo ai debitori la facoltà di sospendere il pagamento dei loro creditori durante tutta la settimana di Natale, che appunto per questo era, chiamata settimana di remissione, come quelle di Pasqua e della Pentecoste.

Ma sospendiamo per un poco questi ricordi familiari, che ci piace raccogliere sulla gloriosa solennità il cui avvicinarsi commuove così dolcemente i nostri cuori. È tempo di dirigere i nostri passi verso la casa di Dio, dove ci chiama l'Ufficio solenne dei Primi Vespri. Durante il tragitto, rivolgiamo il pensiero a Betlemme, dove Giuseppe e Maria sono già arrivati. Il sole materiale volge rapidamente al tramonto; e il divino Sole di giustizia rimane nascosto ancora per qualche istante sotto la nube, nel seno della più pura delle vergini. La notte è vicina; Giuseppe e Maria percorrono le strade della città di David, cercando un asilo per mettersi al riparo. Che i cuori fedeli siano dunque attenti, e si uniscano ai due incomparabili pellegrini. È giunta ormai l'ora in cui il canto di gloria e di riconoscenza deve levarsi da ogni bocca umana. Accogliamo con sollecitudine, per la nostra, la voce della santa Chiesa: essa non è certo inferiore a così nobile compito.

http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/79/ME0000057985_3.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/ELBL2K/99-011117.jpg http://cartelen.louvre.fr/pub/fr/image/31115_p0007129.002.jpg Jusepe de Ribera, Adorazione dei pastori, 1650, Musée du Louvre, Parigi

http://img399.imageshack.us/img399/5625/258c69fed58a1f2d49cbfaerd1.jpg http://img143.exs.cx/img143/1206/shepherdsnew0pe.jpg Carl Bloch, I pastori nei campi, ovvero L'annuncio ai pastori

Augustinus
24-12-04, 17:56
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 119-124

PRIMA DELL'UFFICIO DELLA NOTTE

Il Mattutino.

I fedeli debbono sapere che, nei primi secoli della Chiesa, non si celebrava festa solenne senza prepararvisi con una Veglia laboriosa, durante la quale il popolo cristiano, rinunciando al sonno, gremiva la chiesa, e seguiva con fervore la salmodia e le letture il cui insieme formava fin d'allora quello che oggi chiamiamo il Mattutino. La notte era divisa in tre parti, designate con il nome di Notturni; e allo spuntar del giorno, si riprendevano i canti con maggiore solennità nell'Ufficio delle Lodi che ha conservato il nome di Laudi. Questo divino servizio, che occupava la parte migliore della notte, si celebra ancora ogni giorno, per quanto a ore meno penose, nei Capitoli e nei Monasteri, ed è recitato privatamente da tutti i chierici tenuti all'Ufficio divino, di cui forma la parte più considerevole. Il decadere delle usanze liturgiche ha a poco a poco disabituato le folle a prender parte alla celebrazione del Mattutino e nella maggior parte delle chiese parrocchiali e anche delle cattedrali, si è finito col cantarlo solo quattro volte all'anno, cioè negli ultimi tre giorni della Settimana Santa, e nel giorno di Natale, nel quale almeno lo si celebra press'a poco alla stessa ora in cui veniva celebrato nell'antichità.

L'Ufficio della notte di Natale è sempre stato, fra tutti quelli dell'anno, celebrato e solennizzato con una devozione speciale: innanzitutto a motivo dell'ora nella quale la Santissima Vergine diede alla luce il Salvatore, e che è giusto attendere nelle preghiere e nei voti più ardenti; quindi perché la Chiesa non si contenta di celebrare in quella notte il Mattutino come d'ordinario, ma vi aggiunge, una accezione unica, e per meglio onorare la divina Nascita, l'offerta del santo Sacrificio della Messa nell'ora stessa di Mezzanotte, che è quella in cui Maria diede il suo augusto frutto alla terra. Vediamo pure che in molti luoghi, specialmente nelle Gallie, secondo la testimonianza di san Cesarlo di Arles, i fedeli passavano tutta la notte in Chiesa.

A Roma, per parecchi secoli, almeno dal settimo all'undicesimo, vi erano due Mattutini nella notte di Natale. Il primo si cantava nella Basilica di S. Maria Maggiore. Aveva inizio subito dopo il tramonto, non aveva Invitatorio, ed era seguito dalla prima Messa di Natale che il Papa celebrava a mezzanotte. Subito dopo, egli si recava con il popolo alla Chiesa di S. Anastasia, dove celebrava la Messa dell'Aurora. Il pio e religioso corteo si portava quindi, sempre con il Pontefice, alla Basilica di San Pietro, dove si iniziava subito il secondo Mattutino. Esso aveva un Invitatorio, ed era seguito dalle Laudi, cantate, come gli Uffici seguenti, alle debite ore, mentre il Papa celebrava la terza e ultima Messa all'ora di Terza. Amalario e l'antico liturgista del XII secolo che è conosciuto sotto il nome di Alcuino, ci hanno conservato questi particolari, che sono del resto resi sensibili dal testo degli antichi Antifonari della Chiesa Romana, pubblicati dal beato Giuseppe Tommasi e dal Gallicioli.

La fede era viva in quei tempi, ed essendo il sentimento della preghiera il legame più potente per i popoli nutriti senza posa dei divini misteri, le ore passavano presto per essi nella casa di Dio. Si comprendevano allora le preghiere della Chiesa ; le cerimonie della Liturgia, che ne sono l'indispensabile complemento, non erano come oggigiorno uno spettacolo muto, o tutt'al più soffuso d'una vaga poesia: le folle credevano e sentivano come gli individui. Chi ci restituirà quella comprensione delle cose soprannaturali, senza la quale tanti oggi ancora si vantano di essere cristiani e cattolici?

La veglia di Natale.

Tuttavia, grazie a Dio, questa fede pratica non è ancora del tutto spenta presso di noi; speriamo anzi che riprenda un giorno la sua antica vita. Quante volte ci siamo compiaciuti di ricercarne e completarne le tracce in seno a quelle famiglie patriarcali, ancora numerose oggi nelle nostre cittadine e nelle nostre campagne! È qui che abbiamo visto - e nessun ricordo d'infanzia ci è più caro - tutta una famiglia, dopo il frugale pasto della sera, raccogliersi attorno a un grande focolare, aspettando solo il segnale per alzarsi e recarsi alla Messa di Mezzanotte. Le vivande che dovevano essere servite al ritorno, e la cui ricerca semplice ma succulenta doveva completare la gioia di quella notte santa, erano preparate in anticipo; e al centro del focolare un robusto tronco d'albero, decorato del nome di ciocco di Natale, ardeva scoppiettante, e diffondeva un potente calore in tutta la stanza. Il suo destino era di consumarsi lentamente durante le lunghe ore dell'Ufficio, onde offrire al ritorno un salutare braciere per riscaldare le membra dei vecchi e dei bambini intorpidite dal freddo.

Intanto si parlava con santa allegrezza del mistero della grande notte; ci si univa ai patimenti di Maria e del suo dolce Figlio esposti in una stalla abbandonata a tutti i rigori dell'inverno; si intonava qualcuna di quelle dolci Pastorali, al cui canto si erano già passate tante commoventi serate in tutto il corso dell'Avvento. Le voci e i cuori erano concordi nell'eseguire le melodie campestri composte in giorni migliori. Quegli ingenui cantici ricordavano la visita dell'Angelo Gabriele a Maria, e l'annuncio di una maternità divina fatta alla nobile fanciulla; l'angoscia di Maria e di Giuseppe che percorrevano le strade di Betlemme quando cercavano invano un posto negli alberghi della città ingrata; il parto miracoloso della Regina del ciclo; la dolcezza del Neonato nell'umile culla; l'arrivo dei pastori, con semplici doni, la musica piuttosto rozza, e la fede candida dei loro cuori. Ci si animava passando da una lode all'altra; tutte le preoccupazioni della vita erano sospese, tutti i dolori addolciti, ogni anima tranquilla. Quando l'improvvisa voce delle campane, risuonando nella notte, veniva a por fine a quei rumorosi e amabili concerti, ci si metteva in cammino verso la chiesa. Fortunati allora i bambini che l'età meno tenera permetteva di far partecipare per la prima volta alle ineffabili gioie di quella solenne notte le cui sante e forti emozioni dovevano durare tutta la vita.

Ma dove ci trasporta la dolcezza di questi ricordi? Vorremmo soprattutto suggerire a coloro che ci vogliono leggere e che vogliono impiegare utilmente gli ultimi istanti che precedono l'andata alla casa di Dio, alcune considerazioni con l'aiuto delle quali potranno entrare ancora più intimamente nello spirito della Chiesa, fissando il cuore e l'immaginazione su oggetti reali e consacrati dai misteri di questa santa notte.

La grotta di Betlemme.

Orbene, vi sono tre luoghi nel mondo che il nostro pensiero deve cercare soprattutto in quest'ora. Betlemme è il primo, e in Betlemme è la grotta della Natività che ci chiama. Accostiamoci con un santo rispetto, e contempliamo l'umile asilo che il Figlio dell'Eterno, disceso dal cielo, ha scelto per sua prima residenza. La stalla scavata nella roccia, è situata fuori della città; misura circa quaranta piedi di lunghezza e dodici di larghezza. Il bue e l'asino annunciati dal profeta sono lì presso la mangiatoia, muti testimoni del divino mistero che la casa dell'uomo ha rifiutato di accogliere.

Giuseppe e Maria sono scesi in quell'umile rifugio; il silenzio e la notte li circondano; ma il loro cuore si effonde in lodi e adorazioni verso il Dio che si degna riparare così completamente l'orgoglio dell'uomo. La purissima Maria dispone le fasce che debbono avvolgere le membra del celeste Bambino, e attende con ineffabile pazienza l'istante in cui i suoi occhi vedranno finalmente il frutto benedetto del suo casto seno, potrà coprirlo dei suoi baci e delle sue carezze e nutrirlo del suo virgineo latte.

Frattanto il divin Salvatore, presso a varcare la barriera del seno materno, e a fare il suo ingresso visibile in questo mondo di peccato, si china davanti al Padre celeste, e, secondo la rivelazione del Salmista spiegata dal grande Apostolo nell'Epistola agli Ebrei, dice: "Padre mio, tu non vuoi più i rozzi olocausti che ti si offrono secondo la legge; le vane oblazioni non hanno appagato la tua giustizia; ma tu mi hai dato un corpo; eccomi, io vengo ad immolarmi, vengo a compiere la tua volontà" (Ebr 10,5-7).

Tutto ciò avveniva press'a poco a quest'ora, nella stalla di Betlemme, e gli Angeli del Signore erano rapiti d'ammirazione perla grande misericordia di un Dio verso le creature ribelli, mentre consideravano estatici la nobile e graziosa bellezza della Vergine purissima aspettando anch'essi l'istante in cui la Rosa mistica sarebbe alfine sbocciata e avrebbe effuso il suo divino profumo.

Beata Grotta di Betlemme che fu testimone di tali meraviglie! Chi di noi, in quest'ora, non rivolgerebbe il cuore? Chi di noi non la preferirebbe ai più sontuosi palazzi dei re? Fin dai primi giorni del cristianesimo, la venerazione dei fedeli la circondò dei più teneri omaggi fino a quando la grande sant'Elena, suscitata da Dio per riscoprire e onorare sulla terra le orme del passaggio dell'Uomo-Dio, fece costruire a Betlemme la magnifica Basilica che doveva custodire nelle sue mura questo trofeo dell'amore d'un Dio per la sua creatura.

Trasportiamoci col pensiero in quella chiesa che ancora oggi esiste, osserviamo, in mezzo agli infedeli e agli eretici, i religiosi che hanno cura del santuario, e che si preparano a cantare, nella nostra lingua latina, gli stessi cantici che presto sentiremo. Quei religiosi sono figli di san Francesco, eroi della povertà, discepoli del Bambino di Betlemme; e appunto perché sono piccoli e deboli sostengono da soli, da oltre cinque secoli, le battaglie del Signore, nei luoghi della Terra Santa che la spada dei Crociati aveva smesso di difendere. Preghiamo insieme ad essi questa notte; e baciamo con essi la terra in quel punto della grotta dove si leggono a lettere d'oro queste parole: HIC ME DE VIRGINE MARIA IESUS CHRISTUS NATUS EST.

Tuttavia, cercheremmo invano oggi a Betlemme la beata Mangiatoia che ricevette il divino Bambino. Da dodici secoli essa ha lasciato quei luoghi colpiti dalla maledizione; è venuta a cercare un asilo nel centro della cattolicità, a Roma, la Sposa favorita del Redentore.

La Basilica del Presepio.

Roma è dunque il secondo luogo del mondo che il nostro cuore deve cercare in questa beata notte. Ma nella città santa, vi è un santuario che richiede in questo momento tutta la nostra venerazione e tutto il nostro amore. È la Basilica del Presepio, la splendida e radiosa chiesa di Santa Maria Maggiore. Regina di tutte le numerose chiese che la devozione romana ha dedicata alla Madre di Dio, essa si eleva con magnificenza sull'Esquilino, tutta risplendente di marmo e d'oro, ma soprattutto beata di possedere nel suo seno, con il ritratto della Vergine Madre attribuito a san Luca, l'umile e glorioso Presepio che gli impenetrabili decreti del Signore hanno tolto a Betlemme per affidarlo alla sua custodia. Una folla immensa gremisce la Basilica, aspettando il momento solenne in cui il meraviglioso monumento dell'amore e dell'abbassamento d'un Dio apparirà portato a spalla dai ministri sacri, come un'arca della nuova Alleanza, la cui vista tanto desiderata rassicura il peccatore e fa palpitare il cuore del giusto. Dio ha dunque voluto che Roma, la quale doveva essere la nuova Gerusalemme, fosse anche la nuova Betlemme, e che i figli della sua Chiesa trovassero in questo centro immutabile della loro fede l'alimento vario e inesauribile del loro amore.

Il nostro cuore.

Visitiamo infine il terzo santuario in cui deve compiersi questa notte il mistero della nascita del divino Figlio di Maria. Questo terzo santuario è proprio vicino a noi; è in noi: è il nostro cuore. Il cuore è la Betlemme che Gesù vuoi visitare, nella quale vuoi nascere, per stabilirvi e crescervi fino all'uomo perfetto, come dice l'Apostolo (Ef 4,13). Se egli visita la stalla della città di David è solo per giungere più sicuramente al nostro cuore che ha amato di un amore eterno, fino a discendere dal cielo per venire ad abitarlo. Il seno purissimo di Maria l'ha custodito solo per nove mesi; egli vuole risiedere eternamente nel nostro cuore.

O cuore del Cristiano vivente a Betlemme, preparati, e gioisci. Tu ti sei già disposto mediante la confessione delle tue colpe, la contrizione delle tue offese, la penitenza dei tuoi peccati all'unione che il divino Bambino desidera contrarre con te. Ora sta attento: egli verrà a mezzanotte. Fa' che ti trovi pronto, come trovò la stalla e la mangiatoia e le fasce. Tu non puoi offrirgli le pure e materne carezze di Maria, le tenere cure di Giuseppe: presentagli almeno l'adorazione e l'amore semplice dei pastori. Come la Betlemme dei tempi attuali, tu abiti in mezzo agli infedeli, a coloro che ignorano il divino mistero d'amore: che i tuoi voti siano segreti e sinceri come quelli che saliranno questa notte al cielo dal fondo della gloriosa e santa grotta che raccoglie i fedeli attorno ai figli di san Francesco. Nel gaudio di questa santa notte, diventa simile alla radiosa Basilica che custodisce in Roma il deposito del santo Presepio e il dolce ritratto della Vergine Madre. Che i tuoi affetti siano puri come il marmo bianco delle sue colonne; la tua carità risplendente come l'oro che brilla sulle sue pareti; le tue opere luminose come i mille ceri che dentro di essa illuminano la notte di tutti gli splendori del giorno. Infine, o soldato di Cristo, impara che bisogna combattere per meritare di avvicinarsi al divino Bambino: combattere per conservare in sé la sua presenza piena di amore; combattere per arrivare al giorno beato che ti farà tutt'uno con lui nell'eternità. Conserva dunque caramente queste impressioni; che esse ti nutrano, ti consolino e ti santifichino, fino al momento in cui l'Emmanuele discenderà in te. O vivente Betlemme, ripeti senza stancarti le dolci parole della Sposa: Vieni, Signore Gesù, vieni!

Augustinus
24-12-04, 17:59
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 125-128

MESSA DI MEZZANOTTE

È tempo, ora, di offrire il grande Sacrificio, e di chiamare l'Emmanuele: egli solo può soddisfare degnamente verso il Padre suo il debito di riconoscenza del genere umano. Sul nostro altare, come nel Presepio, egli intercederà per noi; ci avvicineremo a lui con amore, ed egli si donerà a noi.

Ma tale è la grandezza del Mistero di questo giorno, che la Chiesa non si limiterà ad offrire un solo Sacrificio. L'arrivo di un dono così prezioso e così lungamente atteso merita di essere riconosciuto con nuovi omaggi. Dio Padre da il proprio Figlio alla terra; lo Spirito d'amore opera questa meraviglia. È giusto che la terra ricambi alla gloriosa Trinità l'omaggio d'un tale Sacrificio [1].

Inoltre, Colui che nasce oggi non si è forse manifestato in tre Nascite? Egli nasce, questa notte, dalla Vergine benedetta; nascerà, con la sua grazia, nei cuori dei pastori che sono le primizie di tutta la cristianità; nascerà eternamente dal seno del Padre suo, nello splendore dei Santi: questa triplice nascita deve essere onorata con un triplice omaggio.

La prima Messa onora la Nascita secondo la carne. Le tre Nascite sono altrettante effusioni della luce divina; orbene, ecco l'ora in cui il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, e in cui il giorno si è levato su quelli che abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte. Fuori del sacro tempio che ci raccoglie, la notte è profonda: notte materiale per la mancanza del sole; notte spirituale, a causa dei peccati degli uomini che dormono nella lontananza di Dio, o vegliano per il peccato. A Betlemme, attorno alla stalla e nella città, è buio; e gli uomini che non hanno trovato posto per l'ospite divino, riposano in una vile pace; ma non saranno risvegliati affatto dal concerto degli Angeli.

Ed ecco che a mezzanotte, la Vergine ha sentito che è giunto il momento supremo. Il suo cuore materno è d'un tratto inondato da delizie mai fino allora conosciute; si fonde nell'estasi dell'amore. D'improvviso, varcando con la sua onnipotenza le barriere del seno materno, come penetrerà un giorno la pietra del sepolcro, il Figlio di Dio, Figlio di Maria, appare disteso sul suolo sotto gli occhi della madre, verso la quale tende le braccia. Il raggio del sole non traversa più velocemente il puro cristallo che non potrebbe fermarlo. La Vergine Madre adora il Figlio divino che le sorride, non osa stringerselo al cuore, lo avvolge nelle fasce che ha preparate, lo pone nella mangiatoia. Il fedele Giuseppe adora insieme con lei; i santi Angeli, secondo la profezie di Davide, rendono i loro profondi omaggi al Creatore, in quel momento del suo ingresso sulla terra. Il cielo è aperto sopra la stalla, e i primi voti del Dio neonato salgono verso il Padre dei secoli; le sue prime grida, i suoi dolci vagiti giungono all'orecchio di Dio offeso, e preparano già la salvezza del mondo.

Nello stesso istante la bellezza del Sacrificio attira tutti gli sguardi dei fedeli verso l'altare. Il coro canta il cantico di entrata, l'Introito. È Dio stesso che parla; parla al suo Figliuolo che ha generato oggi. Invano le genti fremeranno nell'impazienza del suo giogo; questo bambino le domerà e regnerà perché è il Figlio di Dio.

Il Signore m'ha detto: Tu sei il mio Figliuolo; oggi ti ho generato.

Il canto del Kyrie eleison fa da preludio all'Inno Angelico, che risuona presto con le sublimi parole: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis! Uniamo le nostre voci e i nostri cuori all'ineffabile concerto della milizia celeste. Gloria a Dio, pace agli uomini! Gli Angeli, fratelli nostri, hanno intonato questo cantico; sono qui attorno all'altare, come attorno alla mangiatoia, e cantano la nostra felicità. Adorano la giustizia che non ha dato un redentore ai loro fratelli decaduti, e che ci manda per Liberatore il Figlio stesso di Dio. Glorificano l'abbassamento così pieno d'amore di colui che ha fatto l'Angelo e l'uomo, e che si china verso ciò che vi è di più debole. Ci prestano le loro voci per rendere grazie a Colui che, mediante un così dolce e così potente mistero, chiama noi, umili creature, a occupare un giorno nei cori angelici i posti lasciati vuoti dalla caduta degli spiriti ribelli. Angeli e mortali, Chiesa del cielo e Chiesa della terra, cantiamo la gloria di Dio, la pace data agli uomini; e più il Figlio dell'Eterno si umilia per recarci beni così celesti, più ardentemente dobbiamo cantare in una sola voce: Solus Sanctus, solus Dominus, solus Altissimus, Iesu Christe! - Solo Santo, solo Signore, solo Altissimo, Gesù Cristo!

EPISTOLA (Tt 2,11-15). - Carissimi: Apparve la grazia di Dio nostro Salvatore a tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinunziare all'empietà ed ai mondani desideri, per vivere con temperanza e giustizia e pietà in questo mondo, attendendo la beata speranza, la manifestazione gloriosa del gran Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale diede se stesso per noi, affine di riscattare da ogni iniquità e purificarsi un popolo tutto suo, zelatore di opere buone. Così parla ed esorta in Gesù Cristo Signor nostro.

È dunque finalmente apparso, nella sua grazia e nella sua misericordia, il Dio Salvatore, il solo che potesse sottrarci alle opere della morte, e ridarci la vita. Egli si mostra a tutti gli uomini, in questo stesso istante, nell'angusto sito della mangiatoia, e sotto le fasce dell'infanzia. Eccola, la beatitudine che aspettavamo dalla visita di un Dio sulla terra. Purifichiamo i nostri cuori, rendiamoli accetti agli occhi suoi: perché se è un bambino, l'Apostolo ci ha detto or ora che è anche il gran Dio, il Signore la cui nascita eterna è prima di ogni tempo. Cantiamo la sua gloria con i santi Angeli e con la santa Chiesa.

VANGELO (Lc 2,1-14). - In quel tempo uscì un editto di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Cirino era preside della Siria. E andavano tutti a farsi scrivere, ciascuno alla sua città. Anche Giuseppe andò da Nazaret di Galilea alla città di David, chiamata Betlem, in Giudea, essendo della casa e della famiglia di David, a dare il nome con Maria sua sposa che era incinta. E avvenne che mentre quivi si trovavano, per lei si compì il tempo del parto; e partorì il Figlio suo primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. Or nelle vicinanze v'erano dei pastori che stavano desti a far la guardia notturna al loro gregge. Ed ecco presentarsi ad essi un Angelo del Signore, e la luce di Dio rifulse su di loro, e sbigottirono dal gran timore. Ma l'Angelo disse loro: Non temete, ecco vi reco l'annunzio di una grande allegrezza che sarà per tutto il popolo: Oggi, nella città di David, vi è nato il Salvatore, che è Cristo, il Signore. E lo riconoscerete da questo: troverete un bambino avvolto in fasce, a giacere in una mangiatoia. E subito si raccolse intorno all'Angelo una schiera della milizia celeste che lodava Dio, dicendo: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà.

Anche noi, o divino Bambino, uniamo le nostre voci a quelle degli Angeli, e cantiamo: Gloria a Dio, pace agli uomini. L'ineffabile racconto della tua nascita ci intenerisce il cuore e ci strappa le lacrime. Ti abbiamo accompagnato nel viaggio da Nazareth a Betlemme, abbiamo seguito tutti i passi di Maria e Giuseppe, durante la strada che hanno percorsa; abbiamo vegliato in questa santa notte, aspettando l'istante beato che ti mostra ai nostri sguardi. Sii lodato, o Gesù, per tanta misericordia; sii amato, per tanto amore! I nostri occhi non possono distaccarsi dalla mangiatoia beata che racchiude la nostra salvezza. Ti ci abbiamo riconosciuto quale ti hanno descritto alle nostre speranze i santi Profeti, di cui la tua Chiesa ci ha posto nuovamente sotto gli occhi, questa notte stessa, i divini oracoli. Tu sei il gran Dio, il Re pacifico, lo Sposo celeste delle anime nostre; sei la nostra Pace, il nostro Salvatore, il nostro Pane di vita. Che cosa ti offriremo in quest'ora, se non quella buona volontà che ci raccomandano i tuoi santi Angeli? Formala dunque in noi; nutrila, affinché meritiamo di diventare tuoi fratelli per la grazia, come lo siamo ormai per la natura umana. Ma tu fai ancora di più in questo mistero, o Verbo incarnato! Ci rendi in esso - come dice il Tuo Apostolo - partecipi di quella natura divina che il tuo abbassamento non ti ha fatto perdere. Nell'ordine della creazione, ci hai posti al disotto degli Angeli; nella tua incarnazione, ci fai eredi di Dio, e coeredi tuoi. Che i nostri peccati e le nostre debolezze non ci facciano dunque scendere dalle altezze alle quali ci elevi oggi.

Dopo il Vangelo, la Chiesa canta piena di esultanza il glorioso Simbolo della fede, nel quale sono narrati tutti i misteri dell'Uomo-Dio. Alle parole: Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine ET HOMO FACTUS EST, adorate profondamente il gran Dio che ha assunto la forma della sua creatura, e rendetegli con i vostri umili omaggi quella gloria di cui egli si è privato per voi. Nelle tre Messe di oggi, quando il coro è giunto a queste parole nel canto del Credo, il Sacerdote si alza dal seggio, e viene a render gloria, in ginocchio, ai piedi dell'altare. Unite in quell'istante le vostre adorazioni a quelle di tutta la Chiesa, rappresentata da colui che offre il Sacrificio.

PREGHIAMO

(Messa prima a mezzanotte). O Dio, che hai rischiarato questa sacratissima notte con gli splendori di Colui che è la vera luce, concedici di godere pienamente in cielo la luce che ora è velata nell'umanità di Cristo.

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NOTE

[1] Il Sacramentario gelasiano e quello gregoriano fanno menzione delle tre messe di Natale. Ma all'Inizio del V secolo, non vi era che una sola messa, quella del giorno, che si celebrava a S. Pietro. L'istituzione della messa di mezzanotte data dalla fine del V secolo.

Augustinus
24-12-04, 18:04
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 128-133

MESSA DELL'AURORA

Terminato l'Ufficio delle Laudi, i cantici di gioia con i quali la Chiesa ringrazia il Padre dei secoli per aver fatto spuntare il suo Sole di giustizia sono finiti: è tempo di offrire il secondo Sacrificio, il Sacrificio dell'aurora. La santa Chiesa ha glorificato, con la prima Messa, la nascita temporale del Verbo, secondo la carne; ora onorerà una seconda nascita dello stesso Figlio di Dio, nascita di grazia e di misericordia, quella che si compie nel cuore del cristiano fedele.

Ecco che, in questo stesso istante, i pastori invitati dagli Angeli arrivano frettolosi a Betlemme; si stringono nella stalla troppo angusta per contenere la loro folla. Docili all'avvertimento del cielo, sono venuti a riconoscere il Salvatore la cui nascita fu loro annunziata. Trovano tutto come gli Angeli avevano annunciato. Chi potrebbe descrivere la gioia del loro cuore, la semplicità della loro fede? Non stupiscono di trovare, sotto le sembianze d'una povertà simile alla loro, Colui la cui nascita commuove gli Angeli stessi. I loro cuori hanno compreso tutto; adorano, amano quel bambino. Sono già cristiani: la Chiesa cristiana comincia in essi; il mistero d'un Dio che si è umiliato è ricevuto nei cuori umili. Erode cercherà di far morire il Bambino, la Sinagoga fremerà, i suoi dottori si leveranno contro Dio e contro il suo Cristo, manderanno a morte il liberatore d'Israele; ma la fede rimarrà ferma e incrollabile nell'anima dei pastori, nell'attesa che i sapienti e i potenti si prostrino a loro volta davanti al presepio e alla croce.

Che cos'è dunque avvenuto nel cuore di quegli uomini semplici? Vi è nato il Cristo, e vi abita ormai con la fede e l'amore. Sono i nostri padri nella Chiesa; e tocca a noi imitarli. Chiamiamo dunque a nostra volta il divino Bambino nelle anime nostre; facciamogli posto, e nulla gli arresti più l'entrata nei nostri cuori. È anche per noi che parlano gli Angeli, è a noi che annunciano la lieta novella; il beneficio non deve fermarsi ai soli abitanti delle campagne di Betlemme. Ora, per onorare il mistero della silenziosa venuta del Salvatore nelle anime, il Sacerdote salirà nuovamente l'altare, e presenterà per la seconda volta l'Agnello senza macchia agli sguardi del Padre celeste che lo manda.

Che i nostri occhi siano dunque fissi sull'altare, come quelli dei pastori sulla mangiatoia; cerchiamovi, come essi, il neonato Bambino, avvolto nelle fasce. Entrando nella stalla, essi ignoravano ancora Colui che avrebbero visto; ma i loro cuori erano preparati. D'un tratto lo vedono, e i loro occhi si arrestano su quel Sole divino. Gesù dalla mangiatoia, manda loro uno sguardo d'amore; essi sono illuminati, e la luce risplende nei loro cuori. Meritiamo che si compiano anche in noi le parole del principe degli Apostoli: "La luce risplende nel luogo oscuro, finché non brilli il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2Pt 1,19).

Siamo arrivati a questa aurora benedetta; è apparso il divino Oriente che aspettavamo, e non tramonterà più sulla nostra vita: d'ora in poi vogliamo temere soprattutto la notte del peccato da cui egli ci libera. Siamo figli della luce e i figli del giorno (1Ts 5,5), non conosceremo più il sonno della morte; ma veglieremo si ricordandoci che i pastori vegliavano quando l'Angelo parlò loro, e il cielo si aprì sul loro capo. Tutti i canti della Messa dell'aurora ci narreranno ancora lo splendore del Sole di giustizia; gustiamoli come prigionieri per lungo tempo rinchiusi in un Carcere tenebroso ai cui occhi una dolce luce ridarà la vista. Il Dio della luce risplende dentro la mangiatoia; i suoi raggi divini abbelliscono ancora i dolci lineamenti della Vergine Madre che lo contempla con tanto amore; il volto venerabile di Giuseppe ne riceve un nuovo splendore. Ma sono raggi che non si fermano nello stretto recinto della grotta. Se lasciano nelle meritate tenebre l'ingrata Betlemme, si lanciano però attraverso il mondo intero, e accendono in milioni di cuori un amore ineffabile per quella Luce che viene dall'alto, che strappa l'uomo ai suoi errori e alle sue passioni e lo eleva verso il fine sublime per il quale è stato creato.

Ora la santa Chiesa, in mezzo a tutti questi misteri del Dio incarnato, ci presenta, nel seno stesso dell'umanità, un altro oggetto d'ammirazione e di letizia. Al ricordo così caro e glorioso della nascita dell'Emmanuele essa unisce, in questo Sacrificio dell'Aurora, la memoria solenne d'una di quelle anime coraggiose che hanno saputo conservare la Luce di Cristo, a dispetto di tutti gli assalti delle tenebre. Essa onora, in questa stessa ora, sant'Anastasia che, nel giorno della nascita del Redentore, nacque alla vita celeste, mediante la croce e la sofferenza [1].

EPISTOLA (Tt 3,4-7). - Carissimo: apparve la benignità e l'amore per l'uomo del Salvatore Dio nostro ; non per le opere di giustizia fatte da noi, ma per la sua misericordia, ci ha salvati mediante il lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, che egli copiosamente ha effuso su noi per Gesù Cristo Salvatore nostro, affinché giustificati per la grazia di lui, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna: in Gesù Cristo Signor nostro.

Il Sole che si è levato su di noi, è un Dio Salvatore, in tutta la sua misericordia. Noi eravamo lontani da Dio, nelle ombre della morte; è stato necessario che i raggi divini scendessero fino al fondo dell'abisso in cui il peccato ci aveva precipitati; ed ecco che ne usciamo rigenerati, giustificati, eredi della vita eterna. Chi ci separerà ora dall'amore di questo Bambino? Vorremmo forse rendere inutili le meraviglie d'un amore così generoso e ridiventare ancora gli schiavi delle tenebre della morte? Conserviamo piuttosto la speranza della vita eterna, alla quale questi alti misteri ci hanno iniziati.

VANGELO (Lc 2,15-20). - In quel tempo: i pastori presero a dire tra loro: Andiamo fino a Betlem a vedere quanto è accaduto riguardo a quello che il Signore ci ha manifestato. E in fretta andarono, e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino giacente nella mangiatoia. E, vedendolo, si persuasero di quanto loro era stato detto di quel bambino. Quanti ne sentirono parlare si maravigliarono delle cose loro dette dai pastori. Maria poi conservava nella mente tutte queste cose, e le meditava nel suo cuore. E i pastori se ne ritornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, Secondo quello che era stato loro detto.

Imitiamo la sollecitudine dei pastori nel visitare il Neonato. Hanno appena sentito le parole dell'Angelo che partono senza frapporre indugi, e si recano alla stalla. Giunti davanti al Bambino, i loro cuori già preparati lo riconoscono; e Gesù, con la sua grazia, nasce in essi. Gioiscono di essere piccoli e poveri come lui, sentono che ormai sono uniti a lui, e tutta la loro condotta renderà testimonianza del cambiamento che si è operato nella loro vita. Infatti, essi non tacciono, parlano del Bambino, se ne fanno gli apostoli; e la loro parola rapisce d'ammirazione quelli che li sentono. Glorifichiamo con essi il gran Dio che, non contento di chiamarci alla sua mirabile luce, ne ha posto il focolaio nel nostro cuore, unendosi ad esso. Conserviamo caramente in noi il ricordo dei misteri di questa grande notte, dietro l'esempio di Maria, che medita senza posa nel suo Cuore santissimo i semplici e sublimi eventi che si compiono per essa e in essa.

Terminato il secondo Sacrificio, e celebrata la Nascita di grazia con questa nuova offerta della vittima immortale, i fedeli escono dalla chiesa, e vanno a ristorare le proprie forze con il sonno, aspettando la celebrazione del terzo Sacrificio.

La Vergine Maria.

Nella stalla di Betlemme, Maria e Giuseppe vegliano presso la mangiatoia. La Vergine Madre prende rispettosamente fra le braccia il neonato e gli offre il seno. Il Figlio dell'Eterno, come un semplice mortale, si abbevera a quella sorgete della vita. Sant'Efrem cerca di iniziarci ai sentimenti che si agitano allora nell'anima di Maria, e ci traduce così il suo linguaggio: "Per quale favore ho io partorito Colui che essendo semplice si moltiplica dappertutto, Colui che stringo piccino fra le braccia e che è così grande, Colui che è tutto mio e che è pure tutto in ogni luogo? Il giorno in cui Gabriele scese verso la mia debolezza, da serva che ero divenni principessa. Tu Figlio del Re, facesti d'un tratto di me la figlia del Re eterno. Umile schiava della tua dignità, divenni la madre della tua umanità, o mio Signore e mio figlio! Di tutta la discendenza di David, sei venuto a scegliere questa povera giovanetta, l'hai portata alle altezze del cielo dove tu regni. Oh, quale visione! Un bambino più antico del mondo! Il suo sguardo cerca il cielo; le sue labbra non si aprono ma in quel silenzio egli conversa con Dio. Quell'occhio socchiuso non indica forse Colui la cui Provvidenza governa il mondo? E come oso dare il mio latte, a lui che è la sorgente di tutti gli esseri? Come offrirò il cibo, a lui che alimenta il mondo intero? Come potrò toccare quelle fasce che avvolgono Colui che è rivestito di luce?" (In Natale Domini, v, § 4).

San Giuseppe.

Lo stesso santo Dottore del IV secolo ci mostra san Giuseppe che compie presso il divino Bambino i commoventi doveri del padre. Egli abbraccia - dice - il Neonato, gli prodiga le sue carezze, e sa che quel bambino è un Dio. Fuori di sé, esclama: "Donde mi viene tanto onore, che mi sia dato per figlio il Figlio stesso dell'Altissimo? O Piccino, io fui allarmato, lo confesso, nei riguardi di tua Madre: pensavo perfino ad allontanarmi da lei. L'ignoranza in cui mi trovavo circa il mistero era stata per me un'insidia. Nella tua Madre tuttavia abitava il tesoro nascosto che doveva fare di me il più ricco degli uomini. David, mio antenato, cinse il diadema regale, e io ero sceso fino al mestiere dell'artigiano; ma la corona che avevo perduta è ritornata a me, allorché, o Signore dei re, ti degni di riposare sul mio petto" (ivi, § 3).

In mezzo a questi sublimi colloqui, la luce del Neonato continua a riempire la grotta e ciò che la circonda; ma, partiti i pastori, sospesi i canti degli Angeli, è sceso il silenzio nel misterioso rifugio. Mentre riposiamo nel nostro letto, pensiamo al divino Bambino, e a questa prima notte che egli passa nella sua umile culla. Per conformarsi alle necessità della nostra natura, che ha adottata, egli chiude le tenere palpebre, e un sonno volontario viene ad assopire i suoi sensi; ma, durante quel sonno, il suo cuore veglia e si offre continuamente per noi. Talvolta sorride pure a Maria che tiene gli occhi fissi su di lui con un ineffabile amore; prega il Padre suo, e implora il perdono per gli uomini; e spia il loro orgoglio con la sua umiliazione; si mostra a noi come un modello dell'infanzia che dobbiamo imitare. Preghiamolo di farci partecipi delle grazie del suo sonno divino, affinché, dopo aver dormito nella pace, possiamo ridestarci nella sua grazia, e continuare con fermezza il nostro cammino nella via che ci resta da percorrere.

PREGHIAMO

(Seconda Messa all'aurora). Concedici, Dio onnipotente, che, come siamo inondati dalla nuova luce del tuo Verbo incarnato, così facciamo risplendere nelle nostre opere la luce della fede che ci brilla nell'anima.

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NOTE

[1] È nel V secolo che si introdusse una messa che aveva per oggetto di celebrare il Natale di sant'Anastasia, vergine e martire di Sirmio, il cui corpo era stato trasportato a Costantinopoli sotto il patriarca Gennadio (458-471) e deposto nella chiesa chiamata l'Anastasi. La somiglianza del nome fece scegliere a Roma, per la celebrazione di questa messa, il titulus Anastasiae, così chiamato dal nome della fondatrice della chiesa che era la chiesa parrocchiale della Corte. Sant'Anastasia fu inserita, alla fine del V secolo o all'inizio del VI, nel Canone della Messa. Contemporaneamente si formò la leggenda d'una sant'Anastasia romana, ma che aveva subito il martirio a Sirmio. Quando la festa di Natale acquistò maggiore solennità, la devozione alla Santa diminuì: al posto della messa in suo onore non si ebbe più che una memoria della martire, e la messa fu consacrata a onorare la nascita spirituale del Salvatore nelle anime.

Augustinus
24-12-04, 18:07
Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 128-133

MESSA DEL GIORNO [1]

Il mistero che la Chiesa onora in questa terza Messa è la nascita eterna del Figlio di Dio nel seno del Padre suo. Essa ha celebrato, a mezzanotte, il Dio-Uomo che nasceva dal seno della Vergine in una stalla; all'aurora, il divino Bambino che nasceva nel cuore dei pastori; le rimane da contemplare ora una nascita molto più meravigliosa delle altre due, una nascita la cui luce abbaglia gli sguardi degli Angeli, e che è essa stessa la testimonianza eterna della sublime fecondità del nostro Dio. Il Figlio di Maria è anche il Figlio di Dio; il nostro dovere è proclamare oggi la gloria di questa ineffabile generazione che lo produce consustanziale al Padre, Dio da Dio, Luce da Luce. Eleviamo dunque i nostri sguardi fino al Verbo eterno che era al principio con Dio, e senza il quale Dio non è mai stato; perché egli è la forma della sua sostanza e lo splendore della sua eterna verità.

La santa Chiesa apre i canti del terzo Sacrificio con l'acclamazione al neonato Re, ne celebra il potente principato che egli detiene, in quanto Dio, prima di ogni tempo, e che riceverà, come uomo, per mezzo della Croce che un giorno deve gravare sulle sue spalle. Egli è l'Angelo del gran Consiglio, cioè l'inviato dal ciclo, per compiere il sublime disegno concepito dalla gloriosa Trinità, di salvare l'uomo mediante l'Incarnazione e la Redenzione. In questo augusto consiglio il Verbo ha avuto la sua divina parte; e la sua dedizione alla gloria del Padre, unita all'amore per gli uomini, gliene ha fatto assumere l'incarico.

Un bambino ci è nato, un Figlio ci è stato dato; egli porta sulle sue spalle il segno del suo principato, e sarà chiamato l'Angelo del gran Consiglio.

EPISTOLA (Ebr 1,1-12). - Dopo aver molte volte e in molte guise, anticamente, parlato ai padri per i profeti, in questi ultimi tempi Dio ci ha parlato per il Figliolo che Egli ha costituito erede di tutte quante le cose, per mezzo del quale fece anche i secoli. Il Figlio, essendo lo splendore della gloria, l'immagine della sostanza di Dio e tutto sostenendo con la parola sua potente, dopo averci purificati dai peccati, siede alla destra della Maestà divina nel più alto dei cieli, tanto più sublime degli Angeli, quanto è più eccellente del loro il nome che egli ebbe in retaggio. Infatti a quale degli Angeli disse mai Dio: Tu sei il mio Figliolo: oggi io ti ho generato? E di nuovo: Io gli sarò Padre, ed egli mi sarà Figlio? E ancora, quando introduce il Primogenito nel mondo, dice: E lo adorino tutti gli Angeli di Dio. Mentre invece parlando degli Angeli, dice: Egli fa suoi Angeli gli spiriti e suoi ministri i fuochi fiammanti. Ma il Figlio dice: Il tuo trono o Dio, è nei secoli dei secoli; scettro d'equità è lo scettro del tuo regno; tu hai amato la giustizia ed hai odiato l'iniquità: per questo, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di esultazione al di sopra dei tuoi consorti. E tu in principio, o Signore, fondasti la terra, e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu durerai e tutti invecchieranno come un vestito; li cambierai come un mantello e saranno mutati; ma tu rimani sempre lo stesso e gli anni tuoi non verranno meno.

Il grande Apostolo, in questo magnifico inizio della sua Epistola agli antichi fratelli della Sinagoga, mette in risalto la nascita eterna dell'Emmanuele. Mentre i nostri occhi sono teneramente fissi sul dolce Bambino del Presepio, egli ci invita ad alzarli fino alla Luce suprema, nel cui seno lo stesso Verbo che si degna di abitare la stalla di Betlemme sente l'eterno Padre che gli dice: Tu sei il mio Figliuolo, oggi ti ho generato; e questo oggi è il giorno della eternità, giorno senza sera né mattino, senza alba e senza tramonto. Se la natura umana che egli si degna di assumere nel tempo lo pone al disotto degli Angeli, la sua elevazione al disopra di essi è infinita per il titolo e la qualità di Figlio di Dio che gli appartengono per essenza. Egli è Dio, è il Signore, e nessun mutamento lo può toccare. Avvolto in fasce, appeso alla croce, morente nelle ambasce, secondo l'umanità, rimane impassibile e immortale nella sua divinità; perché ha una nascita eterna.

VANGELO (Gv 1,1-14). - In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nessuna delle cose create è stata fatta. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende fra le tenebre ma le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone, per attestare della luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo e il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa sua ed i suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede il diritto di diventare figli di Dio; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini ma da Dio sono nati. (Qui si genuflette) E IL VERBO SI È FATTO CARNE ED ABITÒ FRA NOI e noi abbiamo contemplata la sua gloria: gloria come d'Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità.

Figlio eterno di Dio, davanti alla mangiatoia in cui ti degni di manifestarti oggi per amore nostro, noi confessiamo, nella più umile adorazione, la tua eternità, la tua onnipotenza, la tua divinità. Tu eri al principio, eri in Dio, ed eri tu stesso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo tuo, e noi siamo l'opera delle tue mani. O Luce infinita, o Sole di giustizia, noi non siamo che tenebre: illuminaci! Troppo a lungo abbiamo amato le tenebre, e non ti abbiamo compreso; perdonaci il nostro errore. Troppo a lungo hai bussato alla porta del nostro cuore, e non ti abbiamo aperto. Oggi almeno, grazie ai meravigliosi accorgimenti del tuo amore, ti abbiamo ricevuto; chi potrebbe infatti non riceverti, o divino Bambino, così dolce e cosi pieno di tenerezza? Ma rimani in noi; porta a compimento quella nuova nascita che hai preso in noi. Non vogliamo più essere né dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell'uomo, ma da Dio, con te e in te. Tu ti sei fatto carne, o Verbo eterno, affinché fossimo noi stessi divinizzati. Sostieni la nostra debole natura che si sente venire meno davanti a così alto destino. Tu nasci dal Padre, nasci da Maria, e nasci nei nostri cuori; tre volte gloria a te per questa triplice nascita, o Figlio di Dio così misericordioso nella tua divinità, così divino nel tuo abbassamento!

* * *

II grande giorno ha, terminato il suo corso, e si avvicina la notte durante la quale il sonno verrà a ristorare le sante fatiche che ci hanno causato le veglie della gloriosa Natività. Prima di andare a riposare, mandiamo un pio e religioso ricordo ai santi Martiri di cui la Chiesa ha rinnovato la memoria in questo giorno nel Martirologio. Diocleziano e i suoi colleghi nell'impero avevano appena pubblicato il famoso editto di persecuzione che dichiarava alla Chiesa la più sanguinosa guerra che essa abbia mai subita. L'editto affisso a Nicomedia, residenza dell'imperatore, era stato strappato da un cristiano che pagò tale atto di santa audacia con un glorioso martirio. I fedeli pronti alla lotta osarono sfidare la potenza imperiale, continuando a frequentare la loro chiesa condannata alla demolizione. Si era giunti al giorno di Natale. Essi si raccolsero in numero di parecchie migliaia nel sacro tempio per celebrarvi un'ultima volta la Nascita del Redentore. A quella notizia, Diocleziano inviò uno dei suoi ufficiali con l'ordine di chiudere le porte della chiesa, e di appiccare ai quattro angoli dell'edificio il fuoco che doveva distruggerla. Quando tutto fu disposto, squilli di tromba si udirono sotto le finestre della basilica, e i fedeli intesero la voce del banditore che annunciava, da parte dell'imperatore che quelli i quali volevano aver salva la vita potevano uscire, condizione di offrire l'incenso sull'altare di Giove eretto davanti alla porta della chiesa; diversamente, sarebbero stati tutti preda delle fiamme. Un cristiano rispose a nome della pia assemblea: "Siamo tutti cristiani; onoriamo Cristo come unico Dio e unico Re, e siamo pronti a sacrificargli la nostra vita in questo giorno". A tale risposta i soldati ricevettero l'ordine di appiccare il fuoco. In pochi istanti la chiesa fu un immenso rogo, le cui fiamme salivano verso il cielo, inviando in olocausto al Figlio di Dio, che si era degnato in quel giorno di iniziare una vita umana, l'offerta generosa di quelle migliaia di vite che rendevano testimonianza alla sua venuta in questo mondo. Così fu glorificato, nell'anno 303, a Nicomedia, l'Emmanuele disceso dal cielo per abitare fra gli uomini. Uniamo, con la santa Chiesa l'omaggio dei nostri voti a quello di questi coraggiosi cristiani la cui memoria si conserverà, attraverso la sacra Liturgia, sino alla fine dei secoli.

Rivolgiamo ancora una volta i nostri pensieri e i nostri cuori alla fortunata stalla dove Maria e Giuseppe formarono l'augusta compagnia del divino Bambino. Adoriamo ancora il Neonato e chiediamogli la sua benedizione. San Bonaventura esprime, con una tenerezza degna della sua anima serafica, nelle sue Meditazioni sulla vita di Gesù Cristo, i sentimenti del cristiano chiamato presso la culla di Gesù che nasce: "E anche tu - egli dice - che hai tanto indugiato, piega il ginocchio, adora il Signore Dio tuo, venera la Madre sua e saluta con riverenza il santo vegliardo Giuseppe; quindi, bacia i piedi del Bambino Gesù, che giace nella mangiatoia, e prega la santa Vergine di dartelo o di permettere che tu lo prenda. Prendilo fra le braccia, stringilo e considera bene il suo amabile volto; bacialo con riverenza, e gioisci con lui. Questo puoi farlo, perché è verso i peccatori che egli è venuto, per recare la salvezza; e ha umilmente conversato con essi e infine si è dato in cibo. La sua benignità si lascerà pazientemente toccare, come tu vuoi, e non attribuirà ciò alla presunzione, ma all'amore".

PREGHIAMO

(Terza Messa durante il giorno). Concedici, Dio onnipotente, che la nuova Nascita del tuo Unigenito nel mondo ci liberi dall'antica schiavitù che ci tiene sotto il giogo del peccato.

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NOTE

[1] Gli antichi documenti indicano la basilica di S. Pietro come luogo della Stazione. ma, a partire dal XII secolo si scelse S. Maria Maggiore "a motivo della brevità del giorno e della difficoltà del cammino", dice l'Ordo Romanus.

Augustinus
24-12-04, 18:15
Homilia XXI, 1-3, in SC 22,66-74.

Oggi è nato, miei cari, il nostro Salvatore: rallegriamocene! Non deve esserci posto per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita. È la vita che, eliminando ogni timore per la nostra condizione mortale, oggi ci ispira letizia per l'eternità che ci è stata promessa. Nessuno è escluso dal partecipare a questa gioia vivissima; tutti hanno anzi lo stesso motivo di comune letizia, perché il nostro Signore, lui che ha distrutto il peccato e la morte, come non ha trovato nessuno libero dalla colpa, così è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo perché è ormai vicino al premio, ma goda anche il peccatore perché è sollecitato al perdono e si rianimi il pagano perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio, giunta la pienezza dei tempi quale era prevista nella profondità insondabile del disegno divino, assunse la natura che è propria del genere umano per riconciliarla con il suo autore; così l'inventore della morte, cioè il demonio, sarebbe stato vinto proprio con quella natura, che egli prima aveva vinto.
Principio supremo in questa battaglia, che fu combattuta per noi, fu la giustizia nella sua più alta espressione giuridica, in quanto il Signore onnipotente si scontra con il nostro crudele nemico non nella sua maestà, ma nella nostra umiltà; a lui contrappone la stessa nostra sostanza e natura, partecipe quindi della nostra condizione mortale, anche se esente da qualsiasi peccato.
Non si riferisce certo a questa nascita l'espressione che vale invece per tutti: Nessuno è immune da peccato, neppure il bambino, che non è vissuto che un giorno sulla terra.

Viene prescelta una vergine di sangue reale, della stirpe di Davide; chiamata a portare in seno un frutto santo, ella avrebbe concepito nel suo spirito prima che nel suo corpo questa prole insieme umana e divina.
E perché, ignorando il disegno del cielo, non si spaventi di fronte all'evento eccezionale, ella apprende dal colloquio con l'angelo quel che in lei avrebbe operato lo Spirito Santo. Perciò non teme nessun danno per la sua verginità, se di lì a poco diventerà la madre di Dio. Come potrebbe dubitare della novità del concepimento, se le viene promesso che esso avrà realizzazione per la virtù dell'Altissimo? Ella già crede, ma la sua fede trova conferma anche nella testimonianza di un precedente miracolo ed è l'inattesa fecondità di Elisabetta. Non c'era pertanto da dubitare che colui il quale aveva dato la facoltà di concepire a una donna sterile, l'avrebbe data anche a una vergine.
Il Verbo di Dio, Dio e Figlio di Dio, il quale era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state create e senza il quale nulla è stato creato, si fece uomo per liberare l'uomo dalla morte eterna. Al fine di assumere la nostra umile condizione senza pregiudizio della sua maestà, egli si abbassò in modo tale che, rimanendo quel che era e prendendo quel che non era, unì la vera forma di schiavo a quella forma che lo fa uguale a Dio Padre; e collegò così intimamente l'una e l'altra natura, che la natura inferiore non fu affatto assorbita da questa glorificazione, come la superiore non fu diminuita da questa assunzione.
Le proprietà specifiche dell'una e dell'altra sostanza rimangono salve e vengono a confluire in una stessa persona, per cui dalla maestà è assunta l'umiltà, dalla potenza la debolezza, dall'eternità la mortalità. Per pagare il debito gravante sulla nostra condizione, la natura inviolabile resta unita alla natura passibile in quanto il Dio vero e l'uomo vero si incontrano armoniosamente nell'unità del Signore.
Avveniva così, conformemente alle esigenze della nostra salvezza, che il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, poteva sia morire in virtù di una natura, sia risorgere in virtù dell'altra natura.
Era dunque giusto che il parto del Salvatore non apportasse nessuna corruzione all'integrità della Vergine: salvaguardia della sua purezza fu appunto la generazione di colui che è la Verità.
Era conveniente, miei cari, che così nascesse Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, adeguandosi a noi con la sua umanità e insieme superandoci con la sua divinità. Se non fosse stato vero Dio, non ci avrebbe portato la salvezza; se non fosse stato vero uomo, non ci avrebbe dato l'esempio.
Per questo alla nascita del Signore gli angeli esultando cantano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e annunziano: Pace in terra agli uomini che egli ama. Essi vedono che la Gerusalemme celeste è un edificio formato da tutti i popoli del mondo: se per quest’opera ineffabile della bontà di Dio tanto si rallegrano gli angeli che sono creature eccellenti, quanto dovranno goderne gli uomini che sono creature umilissime?

Dobbiamo ringraziare, cari fratelli, Dio Padre attraverso il suo Figlio e nello Spirito Santo, perché per la grande misericordia con cui ci ha amato, ha avuto compassione di noi e da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo, per divenire poi in lui una nuova creatura, da lui riplasmata. Spogliamoci dunque dell'uomo vecchio e delle sue azioni, e poiché siamo stati ammessi a partecipare alla nascita di Cristo, rinunciamo alle opere della carne.
Abbi coscienza, o cristiano, della tua dignità, e poiché sei divenuto compartecipe della natura divina, non devi più tornare, seguendo un indirizzo degenerante, alla vita mediocre e volgare di un tempo. Ricorda quale sia il capo, quale il corpo di cui sei membro. Tieni presente che, una volta strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nel regno di Dio, che è regno di luce. Con il sacramento del battesimo sei divenuto tempio dello Spirito Santo; perciò non devi mai cacciare da te un ospite così grande con le tue azioni cattive né sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio.Prezzo del tuo riscatto è il sangue di Cristo e questi, come ti ha redento secondo la sua misericordia, così ti giudicherà secondo verità. Egli regna con il Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

Augustinus
24-12-04, 18:17
In Mt. hom. II, 2, in PG 57, 25-26.

Qui non si tratta della nascita celeste del Figlio di Dio, ma di quella che avvenne sulla terra, provata da migliaia di testimoni. Con la grazia che lo Spirito Santo mi darà, cercherò in qualche modo di parlarne.
Infatti, questa nascita è sì terrena, ma non si lascia spiegare in tutta chiarezza perché racchiude un mistero tremendo. Quando ne senti parlare, non crederla cosa dappoco, risveglia, invece, la tua intelligenza e trema ascoltando che Dio è venuto sulla terra. È così incredibile questo prodigio che gli angeli riuniti in coro per esserne i testimoni, resero gloria a Dio a nome di tutta la terra.
Gli stessi profeti, molto tempo prima, avevano esclamato ammirati: È apparso sulla terra e ha vissuto fra gli uomini.
Chi avrebbe potuto credere che il Dio indicibile, ineffabile, incomprensibile, eguale al Padre, sarebbe venuto a noi nel seno d'una vergine? Che avrebbe accondisceso a nascere da una donna, accettando di avere per antenati Davide e Abramo? Ma che dico? Non soltanto Davide e Abramo, ma addirittura le donne peccatrici che la genealogia menziona. Perciò, quando ascolti tali meraviglie, eleva l'anima tua e non credere che vi sia qui qualcosa di scontato.
Invece la tua ammirazione toccherà il vertice all'annuncio che il Figlio di Dio - il suo vero Figlio - ha accettato di essere chiamato figlio di Davide, lui che è senza principio, per fare di te un figlio di Dio. Non rifiutò di avere per padre il suo schiavo, perché tu possa, tu schiavo, avere il tuo Signore per Padre.
Quale esordio ha questo vangelo! Se non osi credere alla gloria che ti è promessa, fonda la tua fede sull'umiliazione di Gesù Cristo. Per la ragione umana un Dio che diviene uomo è un mistero ben più grande del fatto che un uomo possa divenire figlio di Dio.

Augustinus
24-12-04, 18:19
Sermo II in Natale Domini, in PL 195, 224-255.

Prima della nascita di Cristo non c'era gioia se non nella speranza di questo giorno.
Oggi invece vi viene detto: Non temete, amate! Non siate tristi, rallegratevi! Un angelo è disceso dal cielo per annunziarvi una gioia grande. Rallegratevi per voi, rallegratevi anche per gli altri, perché questa gioia non è per voi soli, ma per tutto il popolo.
Che gioia immensa, capace di riempire il cuore di dolcezza! Che gioia amabile! Finora voi eravate nella tristezza, perché eravate morti; ora invece siete nella gioia, perché la vita è venuta fino a voi per farvi vivere. Eravate nella tristezza a causa delle tenebre della vostra cecità, ma ora rallegratevi, perché spunta nelle tenebre una luce per i giusti.
Eravate nella tristezza a causa della vostra miseria, ma ora vi è nato il Misericordioso, il Compassionevole, per darvi accesso alla felicità. Eravate nella tristezza perché la montagna dei vostri peccati gravava su di voi, ma ora rallegratevi perché vi è nato un Salvatore che salverà il suo popolo dai suoi peccati. Ecco la gioia che ci ha annunziato l'angelo: Oggi vi è nato un salvatore. Voi finora avete avuto timore di colui che vi ha creato, ma ora amate colui che vi ha guarito. Voi avete finora temuto colui che è vostro giudice, amate ora il vostro salvatore.
Oggi vi è nato un salvatore, annunzia l'angelo. Chi è, quale è? Ascoltate: È il Cristo Signore. Crisma in greco significa unzione. Egli è il Cristo, perché è l'Unto di Dio. Il salvatore viene come Cristo, viene a portare un'unzione santa.
Egli esce come sposo dalla stanza nuziale; avanza con il capo unto, per meglio piacere alla sua sposa. Ma come ha ricevuto l'unzione? Ascoltate: Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali. Le tue vesti sono tutte mirra, aloe e cassia. Ecco la Pietra oggi si presenta a noi consacrata con un'unzione di letizia. Sì, di letizia, come un prode sulla sua via. Egli esulta e corre. Per primo ci dà l'esempio di quello che ci ha comandato mediante l'Apostolo: Agite non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia.

Augustinus
24-12-04, 18:21
Homilia VI, In aurora Nativitatis Domini, in PL 94,35-36.

I pastori con grande gioia si affrettarono ad andare a vedere quello che avevano ascoltato; poiché cercavano con cuore ardente, meritarono di trovare subito il Salvatore che avevano cercato. Così, sia con le parole sia con i fatti dimostrarono con quale impegno dell'anima i pastori delle pecore spirituali, anzi tutti i fedeli, debbano cercare Cristo.
Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento. Andiamo anche noi, fratelli, col pensiero fino a Betlemme, la città di Davide; meditiamo che in essa il Verbo si è fatto carne; celebriamo la sua incarnazione con degni onori.
Dopo aver scacciato le passioni terrene con tutto l'impegno dell'anima, andiamo alla Betlemme di lassù, alla casa del pane vivo, non fatta da mani di uomo, ma eterna in cielo. Meditiamo con amore che il Verbo ora è asceso là con la carne e là siede alla destra del Padre. Seguiamolo fino a quelle altezze con tutto l'ardore di una vita santa; mediante l'attenta disciplina del cuore e del corpo rendiamoci atti a contemplare sul trono del Padre colui che i pastori videro vagire nella mangiatoia.
"Vediamo - essi dicevano - questa parola che è stata creata". Che pura e santa confessione di fede! In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo Verbo è nato dal Padre, non è stato creato, perché Dio non è creatura. Secondo tale nascita divina non poteva essere visto dagli uomini, e per poter essere visto il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
"Andiamo a vedere - dicono i pastori - questa parola che Dio ha fatto, poiché non potemmo vederla prima che fosse fatta. Il Signore l'ha fatta e ce l'ha manifestata: l'ha fatta incarnare e così ce l'ha resa visibile".
Andarono senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia. I pastori andarono in fretta e trovarono Dio nato uomo insieme con i ministri della sua nascita.
Affrettiamoci anche noi, fratelli miei, non coi passi dei piedi ma con l'avanzare nel bene; contempleremo la sua umanità glorificata insieme con i suoi ministri ricompensati con giusta mercede del loro servizio. Affrettiamoci a vedere il Signore, che risplende nella divina maestà, sua e del Padre.
Affrettiamoci, dico: non dobbiamo cercare tanta beatitudine nella pigrizia e nel torpore, ma dobbiamo seguire le orme di Cristo con alacrità.

Augustinus
24-12-04, 18:23
In Io., Tr. II, 15-16, in PL 35, 1395-1396.

Quelli che credono nel suo nome, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
Perché gli uomini nascessero da Dio, prima Dio è nato dagli uomini. Cristo è Dio, e Cristo è nato dagli uomini. Ha dovuto cercare in terra soltanto una madre, poiché il Padre lo aveva già, in cielo: è nato da Dio colui per mezzo del quale noi fummo creati, è nato da una donna colui per mezzo del quale noi dovevamo essere ricreati.
Non ti meravigliare, o uomo, se diventi figlio per grazia, poiché nasci da Dio secondo il suo Verbo. Il Verbo è voluto nascere dall'uomo, lo ha fatto, perchè mi considerava talmente importante da rendermi immortale, nascendo lui come mortale per me! Perciò l'evangelista, dopo aver detto: Da Dio sono stati generati, prevedendo lo stupore, lo sgomento anzi, che una simile grazia avrebbe suscitato in noi, tale da farci sembrare incredibile che degli uomini siano nati da Dio, subito aggiunge come per rassicurarci: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Ti meravigli ancora che uomini nascano da Dio? Ecco che Dio stesso è nato dagli uomini.
Poiché il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, con la sua nascita ci ha procurato il collirio con cui ripulire gli occhi del nostro cuore, onde potessimo, attraverso la sua umiltà, vedere la sua maestà. Per questo si è incarnato ed è venuto sulla terra. Ha guarito i nostri occhi.
Come prosegue l'evangelista? E noi vedemmo la sua gloria. Nessuno avrebbe potuto vedere la sua gloria, se prima non fosse stato guarito dall'umiltà della carne. E perché non potevamo vederla? Polvere e terra erano penetrate nell'occhio dell'uomo e lo avevano ferito, tanto che non poteva più guardare la luce. Quest'occhio infermo viene medicato; era stato ferito dalla terra, e terra viene usata per guarirlo. Il collirio, come ogni altro medicamento, non è in fondo che terra. Sei stato accecato dalla polvere, e con la polvere sarai guarito; la carne ti aveva accecato, la carne ti guarisce. L'anima era diventata carnale, consentendo ai desideri istintivi da cui l'occhio del cuore era stato accecato.
Il Verbo si fece carne: questo medico ti ha procurato il collirio. E poiché egli è venuto in maniera tale da estinguere con la carne i vizi della carne, e con la sua morte uccidere la morte, proprio così, grazie all'effetto che in te ha prodotto il Verbo fatto carne, tu puoi dire: E noi vedemmo la sua gloria.
Quale gloria? Forse la gloria d'essere figlio dell'uomo? Ma questa per lui è piuttosto un'umiliazione. Fin dove è giunto, quindi lo sguardo dell'uomo, guarito per mezzo della carne? E noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

http://img144.exs.cx/img144/9158/christmas21b7ir.jpg

FRANCESCANO
24-12-04, 21:38
MOLTO BELLA LA RASSEGNA DI FOTO DEI LUOGHI DELLA NATIVITà, SOPRATTUTTO PER CHI NON LI HA MAI VISTI DI PERSONA.
DAVVERO COMMOVENTE è IL LUOGO IN CUI IL VERBO DI DIO NACQUE E CHE QUESTO LUOGO SIA STATO CONSERVATO DALLA MEMORIA CRISTIANA ... .
COMPLIMENTI DAVVERO PER IL LAVORO.

PACE E BENE

FRANCESCANO

Augustinus
24-12-04, 21:49
Originally posted by FRANCESCANO
MOLTO BELLA LA RASSEGNA DI FOTO DEI LUOGHI DELLA NATIVITà, SOPRATTUTTO PER CHI NON LI HA MAI VISTI DI PERSONA.
DAVVERO COMMOVENTE è IL LUOGO IN CUI IL VERBO DI DIO NACQUE E CHE QUESTO LUOGO SIA STATO CONSERVATO DALLA MEMORIA CRISTIANA ... .
COMPLIMENTI DAVVERO PER IL LAVORO.

PACE E BENE

FRANCESCANO

Grazie. Mi lusinghi. Ho cercato di fare un piccolo omaggio a tutti coloro che, passando tra un forum ed un altro, dovessero capitare qui durante queste feste.
Ho voluto offrire loro delle immagini per ritemprare lo spirito, ammirando i luoghi nei quali il Verbo di Dio nacque da Maria Vergine.

Francesco

Augustinus
25-12-04, 10:51
http://img140.exs.cx/img140/4977/card7b8px.jpg

Augustinus
25-12-04, 11:16
http://www.wga.hu/art/f/francesc/1paintin/3nativit.jpg Francesco Di Giorgio Martini, Natività, 1465 circa, Art Association Galleries, Atlanta

http://www.wga.hu/art/f/francesc/2paintin/1nativi1.jpg Francesco Di Giorgio Martini, Natività, 1470 circa, Metropolitan Museum, New York

http://www.wga.hu/art/f/francesc/2paintin/7nativi.jpg Francesco Di Giorgio Martini, Natività con i SS. Bernardino da Siena e Tommaso d'Aquino, 1475, Pinacoteca Nazionale, Siena

http://www.wga.hu/art/f/francesc/3paintin/1scenes1.jpg Francesco Di Giorgio Martini, Natività, 1488-94, Chiesa di Sant'Agostino, Siena

http://www.wga.hu/art/f/francesc/3paintin/2nativi.jpg Francesco Di Giorgio Martini, Natività, 1490-95, Chiesa di San Domenico, Siena

http://www.wga.hu/art/g/giovanni/paolo/nativity.jpg Giovanni Di Paolo, Natività, 1460 circa, Christian Museum, Esztergom

Augustinus
25-12-04, 11:16
http://www.wga.hu/art/g/grunewal/2isenhei/2view/2view1c.jpg http://www.wga.hu/art/g/grunewal/2isenhei/2view/2view1c5.jpg Matthias Grünewald, Concerto di Angeli e Natività, 1515 circa, Musée d'Unterlinden, Colmar

http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/predel_f/pre_f_c.jpg Duccio di Buoninsegna, Natività, 1308-11, National Gallery of Art, Washington

http://www.wga.hu/art/f/fasolo/nativity.jpg Bernardino Fasolo o Fazoli o Fazola da Pavia, Natività, 1526, Musei Civici, Pavia

Augustinus
25-12-04, 19:51
Sermo I in Nativitate Domini, 5-6.8, in PL 183,117-119.

Colui che viene a noi come un fanciullo non poco ci ha donato, non poco ci ha portato. Il suo dono più prezioso è la sua misericordia, e l'Apostolo testimone vi vede la nostra salvezza (Cf Tt 3,5). Cristo è la fontana dell'acqua che purifica, fontana inestinguibile offerta a tutti gli umani - non soltanto ai suoi contemporanei perché egli ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue (Ap 1,5) . L'acqua che purifica serve anche ad altro: essa placa la nostra sete. Beato l'uomo che medita sulla sapienza (Sir 14,20). E anche: Il Signore lo disseterá con l'acqua della sapienza (Sir 15,3). La sapienza di Dio è sorgente di salvezza, ma quella della carne è nemica di Dio. La sapienza del mondo sbocca sulla morte, ma quella di Dio, dice l'apostolo Giacomo, e anzitutto pura (Gc. 3,17). Poi pacifica.
Mentre la carne si compiace nella voluttà, si agita nel tumulto e non conosce la quiete, la sapienza di Dio è anzitutto purezza, non va a caccia dei propri interessi, ma di quelli del Signore Gesù. Ricerca anzitutto la volontà del Padre, piuttosto dì assecondare sé stessa. Sapienza pacifica, non impone le sue scelte, ma sa ascoltare i consigli altrui, magari preferendoli.

L'acqua che ci purifica, estinguendo la nostra sete, serve anche a irrigare le giovani piantagioni; acqua indispensabile, perché, se viene a mancare, le piante intristiscono o anche seccano del tutto. Quando avrai seminato tutte le tue opere buone, versa su di esse l'acqua della pietà, perché il giardino del tuo cuore, impegnato a ricevere la pioggia della grazia, non inaridisca, ma verdeggi, senza mai temere la siccità. Ne parlava il profeta, quando pregava così: Il Signore gradisca i tuoi olocausti (Sal 19,4). Leggiamo pure nell'elogio di Aronne, che il fuoco consumava ogni giorno la sua offerta. Quell'esempio ci insegna che le nostre opere vanno condite con il fervore della pietà e la dolcezza della grazia spirituale. Come potremo trovare la quarta sorgente che un tempo rendeva così ameno il giardino di Eden? Potremo sperare il regno dei cieli, se non speriamo più di rintracciare il nostro antico paradiso? Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo (Gv 3,12)? Perché la nostra attesa dei beni futuri non conosca smagliature, facciamo l'inventario dei beni presenti. Possediamo un paradiso ineguagliabile per pregio e diletto, in confronto di quello posseduto dai nostri progenitori. Questo nuovo paradiso è Cristo, il Signore. In lui abbiamo già scoperto tre fontane, in lui cerchiamo anche la quarta. Dalla sorgente della misericordia scaturiscono le acque del suo perdono per annullare i nostri peccati. Proveniente dalla sorgente infinita della Sapienza, l'acqua del discernimento estingue la nostra arsura. Dalla fonte della grazia scorrono le acque della pietà per irrigare le piante delle buone opere. Cerchiamo l'acqua ardente di un santo fervore che potrà dar calore a tutti i nostri sentimenti. Dove potremo attingere un'acqua così bollente? Alla fonte zampillante dell'Amore.

In questa vita mortale Cristo è lui stesso la quadruplice fonte; però in cielo egli ci promette la fonte della vita. Il profeta anelava ad essa, dicendo: L'anima mia ha sete di Dio (Sal 41,3 Volgata), fonte della vita. Le quattro sorgenti sono scaturite dalle quattro piaghe che Cristo in croce ricevette, ancora vivo; per la quinta sorgente, quella della vita, aprì il costato, dopo aver consegnato lo spirito. Parlando dei misteri della natività, eccoci repentinamente giunti a scrutare quelli della passione. Vi stupisce, fratelli cari, che la natività conduca alla passione? Il corpo del neonato racchiude, quasi sacca del tesoro, il sangue prezioso che sarà effuso per la nostra redenzione.

Augustinus
25-12-04, 19:54
44 pour la Nativité de saint Jean Baptiste. Sermons de Tauler, trad. Hugueny,Théry, Corin, "La vie spirituelle", Parigi 1930, t. II, 249-261.

Il Verbo era la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Luce essenziale, trascendente, perché supera ogni conoscenza e ogni realtà. Questa luce brilla nel fondo più intimo dell'uomo.
Ma quando questa luce, assieme con la sua manifestazione, giungono all'uomo e cominciano a toccarlo, spesso egli si distoglie dal suo fondo dove può scoprirla; ribalta la direzione, vuole correre fuori, a Treviri o non so dove. Così non accoglie la testimonianza della luce, perché si proietta con l'attività sensibile verso l'esterno.
Un altro genere di persone non accoglie questa testimonianza. Il Verbo venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto (Gv 1,11). Costoro sono avversi alla luce, hanno un cuore mondano e si meritano il nome di razza di vipere (Mt 3,7), che san Giovanni affibbiò ai farisei, mentre loro affermavano di essere progenie di Abramo. Questi tali si oppongono a tutti coloro che amano la luce. Quanto ciò preoccupa e angustia! Costoro sono attaccati appena per un filo alla luce e alla fede.
Sappiamo bene che la nostra natura è inferma, radicalmente impotente. Ma il Dio delle misericordie le ha dato un aiuto soprannaturale. Questa forza è la luce della grazia, luce creata, che eleva la natura ben oltre sé stessa e le offre l'alimento per la nuova vita.
Oltre la grazia vi è un lume increato, il lume della gloria. E' una luce divina, Dio stesso. Perché se dobbiamo conoscere Dio, ciò dev'essere per mezzo di Dio, con Dio, in Dio.
Il profeta dice infatti: Alla tua luce vediamo la luce (Sal 35,10).

Possiamo esprimerci meglio: finché l'uomo non ha eliminato ogni inclinazione, ogni attaccamento, ogni compiacenza di sé e quanto ha macchiato il fondo del suo cuore con qualsiasi forma di possesso; finché non ha estirpato ogni piacere posseduto con voluttà e ogni disordine accettato con volontà consapevole; finché insomma non è tornato a essere come quando uscì da Dio, non rientrerà mai nella sua Origine.
Eppure tutta questa opera di spoliazione non basta ancora perché sia ritrovata la purezza necessaria: bisogna che lo spirito sia trasformato dalla luce della grazia.
Chiunque si abbandonasse in pieno a questa conversione e sapesse raccogliersi nel suo intimo in un giusto ordine, potrebbe forse attingere in questa vita l'intuizione del supremo grado a cui la grazia può elevare l'uomo. Tuttavia, nessuno può giungere fino a Dio né conoscere Dio, se non nella luce increata che è egli stesso, Alla tua luce vediamo la luce (Sal 35,10).
Chi sapesse rientrare sovente nel suo fondo interiore, rimanendovi in un intimo rapporto, avvertirebbe molte nobili intuizioni dalle profondità della sua anima. Allora Dio, che è lì presente, si svelerebbe più fulgido di quanto il sole appaia agli occhi del corpo.

Considera bene il senso di questa verità; cerca di far più attenzione a questa luce e a questo caldo interiore. Vi troverai l'amore che ferisce e ti spinge nel fondo dell'anima.
Finché sei in quest'amore, lasciati infiammare e coinvolgere; tendi il tuo arco verso il bersaglio più elevato.
Ma quando tu arrivassi nell'abisso profondo e misterioso, nell'amore prigioniero, arrenditi all'amore, a suo arbitrio; allora infatti, non sei più padrone di te stesso, là non ti restano né pensieri, né esercizio delle facoltà, né opere di virtù.
Poi, appena ritrovi spazio per essere 1ibero di concepire un pensiero, ricadi nell’amore che ferisce. Allora prendi subito slancio, sollevati, rinfocola il senso amoroso; desidera, supplica, eccita l'amore.
Quando giunge l'amore estatico, tutta l'attività umana cola a picco e il Signore pone in te la sua tenda. Egli fa risuonare nell'anima una parola unica, parola più nobile e consistente di centomila parole umane.

Augustinus
25-12-04, 21:24
Da "La Vita della Madonna" secondo le contemplazioni della Beata Anna Caterina Emmerick

Capitolo IV
LA NASCITA DI GESÙ CRISTO

Visioni sull'Avvento e la Nascita del bambino Gesù. I Magi.

52 - Preparativi per il parto. 53 - Giuseppe è invitato dall'Angelo a mettersi in viaggio con Maria per recarsi a Betlemme. 54 - Giuseppe comunica d Maria l'invito dell'Angelo: partenza della Sacra Famiglia. 55 -Il viaggio: come la Sacra Famiglia si lascia guidare dall'asinella - L'albero di terebinto della sacra tradizione. 56 - La Vergine istruisce i figli dell'oste - Il viaggio continua. 57 - Il viaggio si avvicina alla fine - Ingresso nella grande casa del pastore. 58 - L'ultimo tratto di cammino - L'arrivo a Betlemme. 59 - La Grotta del Presepio. 60 - La "Grotta del Latte o dei lattanti". 61 - La Sacra Famiglia si stabilisce nella grotta. 62 - Maria Santissima trascorre le ultime ore del sabato nella caverna di "Maraha". 63 - La Nascita di Cristo. 64 - Gli Angeli annunciano la Nascita del Signore ai pastori - Movimento ed emozione negli uomini e nella natura - La torre dei pastori. 65 - La Nascita di Cristo viene annunciata nel mondo antico: a Gerusalemme, a Roma e in Egitto.

52 - Preparativi per il parto

Domenica, 11 novembre 1821.

Maria ricevette grande sostegno dalla madre finché questa visse. La casa di Anna era sita nella valle di Zabulon, distante circa un'ora di cammino da Nazareth. Durante l'assenza di Maria, Anna aveva provveduto alle necessità di Giuseppe inviandogli la sua ancella ogni giorno. Vidi che la Santa Vergine si preparava al parto già da due settimane, cuciva e ricamava tappeti, bende e pannolini di ogni specie. Tutto era stato disposto nei minimi particolari. Il nuovo marito di Anna si occupava nel tempio alla cura del bestiame per i sacrifici. Gioacchino era ormai morto da molto tempo. Ogni giorno Anna inviava a suo marito pesci e pani mentre egli pascolava il gregge. il cibo veniva portato in una tasca di pelle divisa internamente in vari scompartimenti. Vidi anche una giovinetta che aiutava Maria nelle faccende domestiche e veniva istruita da Lei. Credo che fosse figlia di Maria di Cleofa. Il suo nome era pure Maria. In questo periodo Giuseppe si era recato a Gerusalemme ad offrire il bestiame per il sacrificio. Vidi la Santa Vergine circondata da molte altre donne nella sua stanza. Lo stato della sua gravidanza mi parve molto avanzato. Le donne stavano preparando vestiti ed altre cose che dovevano servire al parto di Maria. In particolare le vidi intente a rifinire ed avvolgere un grande tappeto finemente cucito. Eseguivano ricami d'oro e d'argento. Esse sedevano intorno ad una cassa e avvolgevano un filo di vari colori per mezzo di due piccole aste di legno. La Vergine si preparava in modo adeguato ad accogliere il nascituro e ad organizzare nel modo più conveniente l'ospitalità alle parenti e alle compagne che si sarebbero recate ad aiutarla. La magnificenza di quest'ospitalità avrebbe sancito la nascita del Fanciullo promesso. Quindi furono pure preparati un gran numero di tappeti eleganti e coperture di ogni specie. Avevo già visto uno di quei tappeti in casa di Elisabetta quando era nato Giovanni: era ornato da una quantità di immagini e di sacre sentenze e nel mezzo si vedeva assicurato una specie di mantello chiuso e comodo, entro il quale si avvolgeva la partoriente, ma già ne avevo parlato a suo tempo. Anna era affaccendata per prendere la lana e per organizzare i vari lavori domestici.

53 - Giuseppe è invitato dall'Angelo a mettersi in viaggio con Maria Santissima per recarsi a Betlemme

Visioni ricevute dalla Veggente lunedì 12 novembre.

Dopo aver lasciato l'offerta sacrificale in una stalla vicino a Gerusalemme, Giuseppe si mise in cammino verso Betlemme per osservare la legge, la quale ordinava che ciascuno dovesse prendere istruzioni nel luogo di nascita circa le nuove disposizioni sul censimento e le imposte. Giunto a Betlemme, Giuseppe pensò di stabilirsi qui con Maria, dopo che Lei avesse compiuto il rito di purificazione al tempio di Gerusalemme. Non saprei dire perché Giuseppe non dimorasse volentieri a Nazareth. A Betlemme egli infatti si informò sul materiale occorrente per fabbricarvi la sua abitazione. Quando ebbe ottenuto tutte le informazioni necessarie, se ne tornò all'albergo vicino a Gerusalemme; prese gli animali dalla stalla e li condusse al tempio, poi si affrettò a ritornarsene a casa. Era forse mezzanotte, la notte era assai fonda quando egli si trovò ad attraversare il campo Chimki, a sei ore circa di distanza da Nazareth. Improvvisamente il cammino gli venne interrotto da una luce radiosa, allora Giuseppe vide un Angelo che lo esortò a prendere Maria e a ripartire subito alla volta di Betlemme, dove Lei avrebbe dato alla luce il Bambino. Poi l'Angelo lo istruì perfino sugli arnesi e sulle cose che avrebbe dovuto portare. Gli raccomandò di condurre con sé, oltre all'asino su cui si sarebbe seduta Maria, anche un'asinella di un anno che non avesse ancora generato. L'asinella avrebbe fatto loro da guida segnando il cammino, perciò doveva essere libera da ogni cavezza o fune. Anna aspettava a Nazareth l'arrivo di Giuseppe ignara di tutto; era convinta che il Pargoletto avrebbe visto la luce nella casa di Nazareth, infatti si era affaccendata con Maria per organizzare la casa in funzione di questo evento, ma i disegni del Signore erano altri. Alla sera giunse Giuseppe.

54 - Giuseppe comunica a Maria l'invito dell'Angelo: partenza della Sacra Famiglia

Visioni di martedì 13 novembre.

Appena giunse nella casa di Nazareth, Giuseppe raccontò ciò che nella notte gli era stato comunicato dall'Angelo. Andarono quindi all'abitazione di Anna e fecero i preparativi per la partenza. Anna si mostrava assai afflitta; Maria invece sapeva già che il parto sarebbe avvenuto a Betlemme e aveva taciuto solo per un sentimento di umiltà. La Vergine infatti era stata istruita dalle profezie sulla nascita del Messia. Questi scritti le erano stati forniti dalle maestre del tempio con alcune rivelazioni orali. Spesso Maria li rileggeva e poi pregava Iddio ringraziandolo della prossima nascita del Redentore dell'umanità. La Madonna si affrettava quindi a compiere il volere divino senza curarsi dell'asprezza della stagione, senza temere il freddo delle valli che si accingeva ad attraversare. Quella stessa sera Giuseppe e Maria partirono, accompagnati da Anna, Maria di Cleofa e alcuni servi. Vidi Maria seduta sulla sella dell'asino condotto per mano da Giuseppe; il somaro era carico anche dei bagagli. Frattanto il marito di Anna era sul pascolo ad accudire il gregge.

55 - Il viaggio: come la Sacra Famiglia si lascia guidare dall'asinella. L'albero di terebinto della sacra tradizione

Visioni di mercoledì 14, nonché del 15 e 16 novembre.

Stamattina ho veduto i santi Viaggiatori giungere al campo di Ginim, quello situato a sei ore da Nazareth, il luogo dove apparve l'Angelo a Giuseppe. I servi di Anna avevano procurato loro un'asinella di un anno che avrebbe dovuto guidare la santa Coppia sulla strada giusta. Commovente fu l'addio che Anna e Maria di Cleofa fecero ai viaggiatori prima di tornarsene all'abitazione con i servi. Il viaggio continuò diretto verso i monti di Gilboa. Quindi lasciarono da parte le città e continuarono per le vie solitarie che indicava l'asinella con il suo trotto. Li vidi alloggiare in un podere di Lazzaro nella direzione della Samaria. L'amministratore del podere li accolse amichevolmente perché aveva avuto l'occasione di conoscerli già durante gli altri viaggi. Questo podere era ricco di bei frutteti e viali; la posizione era così elevata che dal terrazzo si godeva una magnifica ed estesa prospettiva. Lazzaro aveva ereditato questo podere da suo padre. Gesù nei suoi pellegrinaggi si fermò più volte a predicare in questi dintorni. I padroni di casa si intrattennero amichevolmente con la Santa Vergine, si meravigliarono però che nelle sue condizioni avesse osato intraprendere un viaggio così lungo. Vidi poi l'asinella saltellare in modo strano intorno a loro. L'animale guidava Giuseppe e Maria con dei simbolismi molto chiari: se bisognava proseguire diritti, senza voltare a destra o a sinistra, essa andava avanti o li seguiva saltellando; invece se bisognava voltare a un bivio li precedeva indicando con i suoi passi il retto sentiero. Quando la santa Coppia faceva sosta, l'asinella rimaneva tranquilla a breve distanza. Dopo alcune ore di cammino, la Sacra Famiglia attraversò una fredda valle che portava verso un colle. Era notte e sembrava che fosse scesa molta brina. La Vergine aveva molto freddo ed era stanchissima, chiese allora a Giuseppe di fare una sosta. Appena espresse questa richiesta l'asinella si fermò sotto un grande albero antico di terebinto, vicino al quale c'era un pozzo. Giuseppe stese sotto l'albero alcuni tappeti e preparò il giaciglio alla Vergine; poi prese una lampada dalla sua bisaccia e l'appese ad uno dei rami inferiori dell'albero, come usavano i viandanti che viaggiavano di notte. La Vergine pregò ardentemente Iddio che non la facesse soffrire troppo per il rigore della stagione. Mentre pregava in questo modo si senti pervadere nelle profondità del cuore da un'ondata di calore; allora porse le mani a Giuseppe per trovare conforto. Fecero un breve pasto con piccoli pani e frutta e bevvero acqua mista al balsamo, che Giuseppe aveva portato in un fiaschetto per confortare Maria. Il sant'uomo soffriva molto nel vedere la Vergine in quelle condizioni e cercava perciò di consolarla in ogni modo. Quando Maria si lamentava per il freddo, egli le parlava del buon alloggio che sperava di trovare a Betlemme. Le disse di conoscere una famiglia presso la quale, con un modico compenso, avrebbero ricevuto una buona sistemazione. Giuseppe espresse l'opinione che è sempre meglio pagare qualche piccola somma piuttosto che ricevere un alloggio gratuito; egli si attendeva molto da Betlemme. Le sue erano speranze umane. Non credo che avessero trascorso tutta la notte sotto quell'albero. L'albero di terebinto della sacra tradizione Il luogo in cui la Sacra Famiglia fece questa tappa appartiene alla sacra tradizione ebraica dell'Antico Testamento. Il terebinto è considerato un albero sacro ed antico che si trova nella pianura di Moreh, presso Sichem. In questo stesso luogo, sotto quest'albero, vidi Abramo mentre riceveva dal Signore la promessa del Paese per i suoi successori; Abramo vi innalzò un altare. Inoltre Giacobbe vi sotterrò gli strani idoli di Labano, ed i gioielli della sua famiglia, quando si recò a sacrificare in Bethel. Sotto quest'albero poi Giosuè edificò la capanna in cui pose l'Arca dell'Alleanza, innanzi alla quale il popolo radunato promise di abbandonare il culto degli idoli. In questo luogo Abimelech, figlio di Gedeone, fu salutato re dei sichemiti...

Vidi la Santa Famiglia giungere ad un cascinale sito a circa due ore di strada a sud dell'albero sacro. La padrona della locanda era assente ed il marito li cacciò via bruscamente, rifiutando loro l'ospitalità. La Sacra Famiglia allora fu costretta a continuare il viaggio finché l'asinella si fermò dinanzi ad una capanna. Maria e Giuseppe vi entrarono e videro alcuni pastori affaccendati, costoro li accolsero bene e diedero loro della paglia per riposare. Essi ebbero particolare riguardo per Maria. Più tardi questi pastori si recarono al cascinale e raccontarono alla padrona quanto brava e pia fosse la Coppia che loro ospitavano. Dissero inoltre che Maria, donna bella e dall'aspetto di una santa, aveva bisogno di un pasto caldo perché gravida e stanca. Allora la padrona commossa, dopo aver rimproverato aspramente il marito per aver negato l'ospitalità a gente così brava, si recò con due fanciulli e delle provviste a far visita alla Coppia. Ella senti il bisogno di scusarsi sinceramente per il malfatto del marito. In un primo momento non osò entrare nella capanna perché si sentiva in colpa, ma poi si fece coraggio, entrò ed offrì le vivande. Chiese quindi perdono per la scortesia del suo consorte. La donna li consigliò di continuare il viaggio e superare il colle, poiché dall'altra parte avrebbero trovato una buona locanda per riposare. Il luogo dove essi adesso si trovavano era fra Samaria e Thebez, a nord di un'alta collina. A mezzogiorno di questo luogo, al di là del Giordano, si trova Succoth, e più lontano ancora Ai-non. Seguendo il consiglio della locandiera, i santi Coniugi si rimisero in cammino verso mezzogiorno e dopo circa due ore giunsero alla locanda descritta dalla donna. Il luogo era composto di alcuni edifici circondati da giardini. Erano ricoveri per il pernottamento. Vi si scorgevano anche alte masse d'arboscelli di erbe terapeutiche nel lato sud della foresteria. La Vergine discese dall'asino, che era condotto per la cavezza da Giuseppe, e si avvicinarono alla casa. Ma l'oste si scusò dicendo che la casa era già tutta occupata. Allora la Vergine si avvicinò alla moglie di costui e la pregò umilmente per il ricovero. La donna profondamente intenerita da quel contatto profondamente umano pregò il marito di aiutare quella Coppia in qualche modo. Vidi infine il padrone della locanda assegnare loro una comoda stanza in una capanna vicina. Quando costui condusse l'asino nella stalla non vidi più l'asinella, infatti durante le soste non la vedevo mai. Nella stanza, Giuseppe iniziò a pregare fervorosamente insieme alla Santa Vergine per celebrare il sabato. il loro sentimento devozionale mi commosse nella profondità del cuore. Dopo essersi ristorati, si riposarono sulle stuoie.

56 - La Vergine istruisce i figli dell'oste - Il viaggio continua

Sabato 17 novembre.

Oggi ho visto la Santa Coppia trattenersi il giorno intero in questa locanda. Vidi la Vergine che aiutava i tre figli dei proprietari a leggere. Vicino a Lei c'erano anche alcune donne: la madre dei bambini e la moglie dell'oste che li aveva scacciati. Quest'ultima si era recata di nuovo in visita perché attratta dal carisma della Santa Vergine. Maria, aureolata d'amore, faceva leggere i fanciulli su piccoli rotoli di pergamena, istruendoli in un modo così gentile che i piccoli sembravano profondamente affascinati dalle sue parole. Era commovente vedere quella scena, ancor più toccante per lo spirito era sentir parlare Maria. Intanto San Giuseppe passeggiava con l'oste nei dintorni e, ammirando i prati e i giardini, discuteva di argomenti edificanti. Tale è l'uso delle pie persone in occasione della festa ebraica del sabato. La Sacra Famiglia si trattenne in questo luogo anche la notte successiva.

Visioni del 18 novembre, domenica.

La famiglia di quest'oste era veramente buona, si era affezionata tanto alla Santa Vergine da offrirLe ospitalità per il parto. Affabilmente i padroni della locanda le mostrarono una stanza comodissima che le sarebbe stata assegnata per il tempo del parto. La padrona offrì in modo molto cordiale ogni servizio. Ma essi rifiutarono, perché consci della missione che dovevano compiere. Il mattino seguente, quindi, si rimisero in viaggio seguendo la direzione sud-est ed allontanandosi sempre più dalla Samaria. Discendendo dal colle, scorsero il tempio sul monte Garizim che si vede anche in grande lontananza. Leoni e un'infinità di figure di animali, statue dai molteplici aspetti esposte ai raggi del sole, adornavano le terrazze superiori del monte. Sembravano custodi dell'eternità. Giuseppe e Maria viaggiarono per altre sei ore, poi presero alloggio in una ragguardevole dimora di contadini, dove furono accolti cortesemente. Questa casa era situata circa ad un'ora da Sichem nella direzione sud-est. il padrone era sovrintendente dei giardini della città che appartenevano ad alcune famiglie agiate. La dimora era posta sopra un lieve pendio. Da questo luogo a Betlemme si stendeva una catena di lunghe vallate dove vi erano disseminate numerose case di pastori. Anche qui, tempo dopo, si fermerà a predicare Gesù. Ho visto molti fanciulli che Giuseppe benedisse prima di ripartire.

Visioni di lunedì 19 novembre.

Vidi Giuseppe e Maria mentre percorrevano un paesaggio montuoso; spesso la Santa Vergine scendeva per camminare a piedi. Per la Madre di Dio, a causa dell'avanzata gravidanza, il viaggio era divenuto quasi impossibile. Infatti Maria si stancava presto e ogni qualvolta si presentava un luogo adatto si fermavano a riposare ed a ristorarsi. Vidi che si ristoravano spesso con quella bevanda assai rinfrescante a base di balsamo e mangiavano piccole forme di pane. Inoltre durante le numerose soste la santa Coppia si nutriva e si dissetava con la buona frutta degli alberi. Vedevo Maria sedere sulla sella senza cavalcare l'asino, ma appoggiando i piedi da un solo lato. Il movimento dell'animale era docile; in questo modo Lei poteva viaggiare nonostante fosse gravida. Spesso i santi Viandanti si bagnavano i piedi per ristorarli dalla calura e dal peso del cammino. Nell'oscurità della notte vidi Giuseppe chiedere ospitalità ad un oste. Questi, senza tenere in alcun conto le condizioni di Maria, lo trattò bruscamente mandandolo via. Furono costretti a continuare il cammino finché l'asinella si arrestò davanti ad un tugurio in cui c erano paglia e avena. Giuseppe accese la lampada e preparò un giaciglio a Maria, aiutato da lei stessa. Poi condusse dentro l'asino. La santa Coppia, dopo aver mangiato, pregò e dormi per alcune ore. Erano a ventisei ore di cammino da Nazareth e a dieci da Gerusalemme. Finora mai avevano battuto alcuna strada maestra, ma sempre seguito da vicino le carovaniere che conducevano dal Giordano alla Samaria. Le vie laterali e le scorciatoie che Maria e Giuseppe attraversarono tra i monti erano assai strette e anguste; gli asini però potevano percorrerle con destrezza.

57 - Il viaggio si avvicina alla fine Ingresso nella grande casa del pastore

Visioni di martedì 20 novembre.

Lasciato questo tugurio continuarono il cammino risalendo il colle. Credo che toccassero la strada che conduce da Gabara a Gerusalemme, la quale formava il confine tra la Samaria e la Giudea. Mi sembrò che la santa Coppia fosse distante ancora molte ore da Betania quando Maria senti il bisogno di riposo e di ristoro. Giuseppe allora volse per una via laterale e andarono avanti ancora per circa mezz'ora. Giunsero così ad un bel fico, dove spesso in altri viaggi Giuseppe aveva visto accampati pellegrini e mercanti, ma lo trovarono spoglio e si sentirono molto afflitti. Così proseguirono ancora per un tratto e giunsero presto nelle vicinanze di una casa, allora Giuseppe bussò a quest'uscio e chiese ospitalità al padrone. Quest'ultimo alzò la lampada sul viso della Santa Vergine e subito beffò Giuseppe, chiedendogli se fosse per gelosia che conduceva con sé una moglie così giovane e bella in quelle condizioni. In quel momento uscì la moglie di costui e, mossa a pietà dello stato di Maria, assegnò loro cortesemente una stanza in un'ala separata della casa e portò pure dei pani perché si rifocillassero. Anche il marito, che subito dopo si era pentito per la beffa fatta, prese a trattare i santi Viaggiatori con ogni gentilezza. Il giorno seguente si rimisero in cammino, poi li vidi entrare in un altra casa abitata da giovani. Un vecchietto girava per le stanze appoggiandosi ad un bastone, nessuno si curava di loro e tutto dava un'impressione di squallore. Vidi Gesù, dopo il battesimo, che visitò la casa in cui il proprietario si era beffato di Giuseppe; Egli vide una specie di altare eretto nella stanza dove avevano dormito i suoi Genitori. Ebbi la percezione che quella famiglia avesse costruito quell'altare appena aveva appreso la meravigliosa nascita di Cristo. Il viaggio di Maria e Giuseppe si avvicinava dunque alla fine, mentre la Santa Vergine risentiva sempre più le pene fisiche della stanchezza. Invece di attraversare il deserto di Betania, via molto scomoda ma molto più breve, essi allungarono il cammino di un giorno e mezzo percorrendo le campagne poste ad oriente di Gerusalemme. Giuseppe conosceva benissimo questi luoghi poiché suo padre vi aveva posseduto i pascoli nelle vicinanze. Prodigiosamente l'asinella li aveva guidati per quest'altra strada attraverso le valli, avvicinandosi così al Giordano.

Mercoledì 21 novembre.

Ho veduto i santi Viaggiatori entrare in una grande casa, posta a tre ore di cammino dal luogo del battesimo di Giovanni sul Giordano e sette circa da Betlemme. Questa è la stessa dimora dove trent'anni dopo Gesù vi trascorrerà la notte dell'11 ottobre, quando si recherà a visitare il Battista dopo il battesimo. Pare che il padrone fosse assai ricco, la casa era grande, aveva annesso un cascinale e nel cortile si vedeva un pozzo. Vedevo servi andare e venire, recando cibi e radunarsi per il pasto. Il padrone accolse gentilmente i viaggiatori, si dimostrò cortese e pieno di premure verso di loro. Li fece entrare in una comoda sala ed ordinò che si avesse cura del loro asino. Un servo condusse Giuseppe al pozzo e gli lavò i piedi, poi gli diede altre vesti mentre puliva il suo abito dalla polvere. Un'ancella rendeva uguali servizi a Maria. In questo luogo la santa Coppia mangiò e trascorse la notte. La consorte del padrone aveva un carattere assai stravagante, viveva isolata in una camera. Era ancor giovane e di mentalità vana, perciò avendo veduto di nascosto i due viaggiatori, fu gelosa della bellezza di Maria. Non volle che si fermasse a lungo o partorisse in casa sua, così fece di tutto affinché i santi Viaggiatori ripartissero il giorno seguente. Vidi in quella casa anche alcuni fanciulli. Questa è la stessa donna che trent'anni dopo, l'11 ottobre, fu trovata da Gesù cieca e deforme; Egli la guarì dopo averla ammonita per la sua vanità e la sua inospitalità.

Giovedì 22 novembre.

Oggi, verso mezzogiorno, ho visto la santa Coppia ripartire da quella casa; alcune persone accompagnavano i due Sposi per un tratto di strada. Poche ore dopo, Giuseppe e Maria entrarono in un villaggio consistente in due lunghe file di caseggiati con cortili e giardini. I caseggiati erano attraversati da una strada molto larga. Giuseppe aveva dei parenti in questo luogo e intendeva chiedere a loro ospitalità. Appena giunti alla periferia del paese trovarono subito la grande abitazione dei parenti. Nel cortile si vedeva una grande fontana, dappertutto c'erano drappi neri e videro molti uomini riuniti certamente per una cerimonia funebre. Entrati nella casa, notarono che erano state tolte le pareti di vimini che servivano a formare altrettanti locali separati, così si aveva un solo e vasto locale, nel cui centro vi era il focolare col condotto per il fumo. Davanti al focolare era collocata qualcosa che assomigliava ad una bara avvolta in una stoffa nera. Numerose persone erano intorno a questa bara e pregavano; vestivano abiti lunghi e neri, sopra i quali avevano indossato delle camiciole bianche. I padroni erano occupati nella cerimonia e non accolsero gli ospiti, i servi però andarono loro incontro e usarono ogni riguardo specialmente con Giuseppe. Solo alcune ore dopo la famiglia, senza più indosso le camiciole bianche, si recò a visitare Maria e Giuseppe e si intrattenne amichevolmente con loro; presero tutti insieme qualche ristoro, pregarono e poi andarono a dormire.

... continua ...

Augustinus
25-12-04, 21:31
... continuazione ...

58 - L'ultimo tratto di cammino - L'arrivo a Betlemme

Visioni di venerdì 23 novembre.

Oggi, verso mezzogiorno, ho visto Giuseppe e Maria riprendere il cammino alla volta di Betlemme. La padrona della grande casa voleva intrattenere Maria perché era sicura che il momento del parto era prossimo; si preoccupava perché a Betlemme la Vergine certamente non avrebbe trovato alloggio a causa del censimento. Allora Maria disse che dovevano andar via senza indugio per motivi personali e che mancavano solo trentasei ore all'Evento. Quindi partirono. Vidi che Giuseppe prima di accomiatarsi parlò con il parente dell'asinella; gli disse qualcosa per giustificare il motivo per cui l'aveva portata con sé. Giuseppe era convinto, a torto, di trovare buona accoglienza a Betlemme perché aveva qui molti amici. Anche la gente più santa può sbagliarsi sulla realtà della vita! Il sole illuminava il colle tra Betania e Gerusalemme, il tempo era magnifico e per niente freddo. Vidi Maria scendere dall'asino per porsi in ordine le vesti, quando si trovarono alle porte di Betlemme dalla parte di ponente. La santa Coppia entrò in un grande edificio affollato che era posto a pochi minuti fuori dalla città. Davanti al medesimo vidi molti alberi e numerose tende dei nuovi arrivati. Quel palazzo era l'antica dimora davidica ed era appartenuto al padre di Giuseppe, vi abitavano ancora i parenti che trattarono Giuseppe freddamente, come uno straniero. Questo palazzo era stato fissato dalle autorità romane come sede per il pagamento dell'imposta. Giuseppe si fece annunciare ed ottenne un permesso per entrare in città. Vidi che teneva l'asino per la briglia, e Maria gli camminava a fianco, l'asinella non la vedevo più.

Dopo qualche pausa, l'estatica così riprese:

"L'asinella non li accompagnava più, adesso la vedo, corre sola nella città dalla parte di mezzogiorno dirigendosi verso una valle. Mentre Giuseppe entra nel palazzo per sbrigare le formalità del censimento, vedo Maria recarsi in una piccola casa ed intrattenersi con delle donne che la trattano cortesemente e le offrono del cibo. Le donne stanno preparando il cibo ai soldati... sono romani, li riconosco dalle corregge di cuoio che scendono sul mento. Il palazzo conta molte sale che sono piene di scrivani ed impiegati fra i quali alcuni di alto livello, romani e giudei. Nelle sale superiori vi sono solo romani, per la massima parte militari. Vedo Giuseppe che è in una grande sala ai piani superiori, gli domandano il nome, poi guardano in lunghe pergamene di cui numerose sono appese alle pareti. Infine spiegano sul lungo tavolo alcuni di questi rotoli e gli leggono l'elenco della famiglia cui appartiene, poi gli leggono anche la stirpe di Maria". Mi parve che Giuseppe non sapesse che Maria discendeva, come figlia di Gioacchino, dalla famiglia di Davide, e che egli stesso derivasse da un anteriore ramo davidico. Quell'impiegato gli disse che per il censimento non era necessaria la presenza della consorte. Egli non pagò imposte, perché quando fu interrogato dichiarò che non possedeva né case e neppure campi ma che viveva del proprio lavoro artigianale e di un sussidio che riceveva da sua suocera. Dopo altre dichiarazioni e trascrizioni, vidi Giuseppe lasciare la sala. Scese le scale ed incontrò in una stanza a pianterreno la Santa Vergine che, nonostante quanto avesse detto l'impiegato, era stata chiamata da uno scrivano. Mi parve che gli impiegati si beffassero di Giuseppe, confrontando la sua età con quella della giovane consorte gravida. Il sant'uomo si vergognava molto per queste offese, egli temeva che Maria notasse come nel suo paese natio fosse così poco rispettato. Poi vidi il numero sette, prima cinque dita e poi subito dopo due, compresi interiormente che il censimento e le imposte furono assai disordinate per sette anni a causa delle agitazioni popolari.

59 - La Grotta del Presepio

Entrarono quindi a Betlemme attraverso un muro diroccato. Vidi che Maria si era fermata con l'asino all'inizio della strada mentre Giuseppe cercava alloggio tra le prime case del luogo, ma anche questa volta senza ottenere alcun risultato. Betlemme in quei giorni brulicava di stranieri. Andarono verso il centro, per le contrade, e dall'altra parte del paese, ma ogni sforzo fu vano. Maria attendeva paziente con l'asino per molto tempo all'angolo delle strade, mentre Giuseppe faceva ritorno da Lei ogni volta sempre più scoraggiato. Vidi la Santa Vergine che camminava al fianco di Giuseppe mentre l'asino veniva condotto per la briglia da lui, poi giunti ad un certo punto si diressero verso il lato sud di Betlemme. La contrada sembrava più una via di campagna che una strada di città, le case erano costruite sulla sommità delle piccole colline che costeggiavano la via stessa. Anche in questo luogo periferico la ricerca di un alloggio fu vana. Tutti i conoscenti, gli amici ed i parenti, sembravano non riconoscere più Giuseppe. Anzi, quand'egli li implorava chiedendo asilo per Maria, vidi che questa gente si inaspriva e diventava ancor più dura. Costoro non sapevano che scacciavano il Redentore, la Grazia dell'umanità! La santa Coppia si mosse allora verso un altro quartiere, arrivarono in un luogo aperto, un grande piazzale dove le case erano disseminate dappertutto. Al centro vi si vedeva un albero assai grande, che simile ad un tiglio diffondeva un'ombra spaziosa. Giuseppe sistemò la Santa Vergine sotto quest'albero, preparandole con i ramoscelli una specie di sedile. L'asino fu legato con il capo rivolto al tronco. Così egli continuò la ricerca di ospitalità nelle case dei dintorni. Maria, rimasta sola, fu presto oggetto di curiosità da parte dei passanti. Molte persone si erano fermate a guardarla, attratte da quella santa bellezza e dal contegno umile e fiducioso della Vergine; appariva affaticata, ma tranquilla e paziente. La Madonna era seduta sulle proprie ginocchia piegate all'insotto, aveva il capo chinato e teneva le mani congiunte sul petto in attesa della volontà del Signore. La candida e lunga veste senza legacci o cinture le scendeva libera fin sotto i piedi, un bianco velo le copriva il capo. Qualcuno, spinto dal forte curiosità, giunse perfino a domandarLe chi fosse. Giuseppe frattanto era tornato ancora una volta sfinito, addolorato e pallido in volto: tutti gli avevano negato un alloggio, anche chi lo conosceva e si ricordava di lui. Vidi il sant'uomo scoppiare in lacrime. Perdute anche le ultime speranze di trovare una sistemazione a Betlemme, la santa Coppia iniziò a pensare di uscire dalla città. L'unica soluzione fu quella di cercare alloggio in un ricovero di pastori dove Giuseppe si era nascosto nella sua gioventù. Si misero quindi di nuovo in cammino, e questa volta verso oriente. Uscendo da Betlemme presero un sentiero solitario che volgeva a sinistra. Il sentiero era fiancheggiato da mura, fosse e bastioni diroccati. Dopo essere saliti su un colle, scesero dal pendio e raggiunsero una prateria amena su cui crescevano diversi alberi. Questa prateria si trovava appena fuori di Betlemme, dalla parte di levante, e terminava con una collina circondata da una specie di antica muraglia. Sul campo verdissimo vi erano abeti, pini, cedri e terebinti, ne vidi anche altri dalle foglie piccole come il nostro albero cosiddetto "semprevivo". Il paesaggio era tipico della periferia di un piccolo borgo di campagna. Sul versante meridionale delle colline, ai piedi di una di esse, si snodava un sentiero tortuoso che conduceva verso l'alto, qui si trovavano numerose caverne tra cui anche quella che Giuseppe conosceva e dove aveva pensato di alloggiare con la Santa Vergine. La caverna, scavata nella parete rocciosa dei monti, era alquanto profonda. Dalla parte settentrionale iniziava con uno stretto corridoio di pareti rocciose e finiva all'interno in modo molto irregolare: per una metà con uno spazio mezzo rotondo e per l'altra angolare, le cui estremità mostravano tre angoli che finivano sul versante meridionale. La caverna era rocciosa ed era rimasta naturale e grezza; solo dalla parte meridionale, dove la via dava sulla valle dei pastori, alcune parti delle pareti erano state rafforzate o direi rifinite come un muro rudimentale. Sempre da questo lato vi era un'altra entrata otturata da grosse pietre. Giuseppe liberò quest'ingresso e lo restituì all'antica funzione. Sul lato sinistro di quest'accesso, si affacciava un'altra caverna dall'ingresso più largo della prima, il quale immetteva in un profondo e angusto tugurio, in posizione sottoelevata a quella del Presepio. L'ingresso settentrionale della Grotta del Presepio, quello usato normalmente dai pastori nel periodo estivo e primaverile, si affacciava su alcuni tetti e torri della periferia di Betlemme. Da questo lato, a destra della grotta, si trovava ancora un'altra caverna profonda in cui l'oscurità era l'assoluta padrona e nella quale vidi una volta la Santa Vergine nascondersi. Dalla parte meridionale la grotta aveva tre aperture in alto che servivano a dare aria e luce all'interno. La pianta della Grotta del Presepio potrebbe paragonarsi ad una testa umana col relativo collo. Vidi una specie di piccolo locale laterale dove Giuseppe soleva accendere il fuoco per gli usi quotidiani. Verso il lato di settentrione era stato scavato nella rupe un locale adibito a stalla, largo abbastanza per l'asino; era pieno di avena, di fieno e di altri foraggi per gli animali. Quando la "Luce dell'universo" fu partorito dalla Santa Vergine, e giunsero i Magi ad offrirLe i doni, Maria era assisa davanti al presepe con il bambino Gesù alla parete di mezzogiorno. Giuseppe si era costruito per sé una piccola stanza con tavole di vimini vicino all'ingresso che aveva riaperto. Lungo la parte meridionale della grotta, la via volgeva verso la valle dei pastori e si vedevano numerose case, sparse per le colline e sulla distesa dei campi. La collina dove si trovava la grotta, era costeggiata da una valle profonda, larga circa un quarto d'ora di cammino. Sul pendio della medesima vi erano cespugli, alberi, giardini e immensi prati. Attraversando un ruscello, che scorreva in mezzo all'erba rigogliosa del prato, e scendendo in direzione sud-est dalla Grotta del Presepio, si arrivava ad un'altra grotta chiamata comunemente Grotta del Latte o della nutrice, perché vi era stata sepolta la nutrice di Abramo, Maraha. In questa trovò rifugio in varie occasioni la Santa Vergine col bambino Gesù. Al disopra vi era un grande albero che dominava Betlemme. Nell'antica caverna accaddero vari avvenimenti al tempo dell'Antico Testamento, così vidi che Eva vi concepì e generò Seth, il figlio della promessa, dopo aver trascorso sette anni in penitenza. Fu in questo medesimo luogo che l'Angelo disse ad Eva che Dio le accordava Seth, quasi per consolarla del perduto Abele. Fu anche qui che Seth venne nutrito e allevato, mentre i fratelli lo perseguitavano, come fecero con Giuseppe gli altri figli di Giacobbe. Ho visto spesso che nei tempi primitivi, qui intorno gli abitanti delle caverne erano soliti scavare degli spazi appositi in cui dormivano con i loro fanciulli sull'erba o sulle pelli di animali. Nelle mie meditazioni vidi Gesù che, subito dopo il battesimo, visitò la Grotta del Presepio dov'era nato. Era un sabato ed il Signore ne celebrava il ricordo. I pastori l'avevano tramutata in luogo di preghiera; Egli disse loro che questo santo luogo era stato fissato dal Padre Celeste quando nacque la Vergine Santissima.

60 - La "Grotta del Latte o dei lattanti"

Abramo aveva avuto come nutrice una donna che egli venerava molto, si chiamava Maraha. Costei raggiunse un'età molto avanzata e seguiva sempre Abramo sul cammello quand'egli si recava da un luogo all'altro. Fu in Sukkoth che Maraha passò gran parte della sua esistenza presso Abramo; trascorse il resto della vita nella valle dei pastori quando Abramo eresse le sue tende nelle vicinanze di queste caverne. Maraha aveva oltre cento anni, e quando giunse il momento di transitare all'altra vita chiese di essere sepolta in una caverna che chiamò con il nome di Grotta del Latte o dei lattanti. La caverna della tomba della nutrice era in una relazione biblica con la Madre del Salvatore che pure allattava il neonato mentre era perseguitata ed inseguita. Infatti anche nella storia dell'infanzia di Abramo si fa menzione alla persecuzione, per salvarlo dalla quale Maraha lo aveva trasportato nella caverna. Vidi il re del paese di Abramo che sognò, o apprese dalle profezie, che sarebbe nato un fanciullo per lui pericoloso, allora diede gli ordini necessari per prevenire ogni danno contro la sua potenza. Per questo motivo la gravidanza della madre di Abramo rimase segreta e partorì in questa caverna, il bambino rimase poi nascosto con la nutrice Maraha. Costei visse come povera schiava, lavorando in solitudine presso la caverna in cui allattava Abramo. Quando i genitori ripresero il loro fanciullo, lo trovarono forte e robusto. Divenuto giovinetto, le sue espressioni e il suo modo di agire meraviglioso diedero adito a forti sospetti da parte degli emissari del re. Maraha dovette allora fuggire di nuovo nascondendo Abramo sotto il suo ampio mantello. Fu ricercato in ogni luogo e numerosi giovinetti della sua età vennero trucidati senza pietà. Fin da quei tempi remoti questa grotta diventò un luogo devozionale, specialmente per le madri che avevano lattanti e volevano chiedere per essi una grazia. Più tardi, esse venerarono nella nutrice di Abramo il simbolo della Santa Vergine nel modo stesso in cui Elia, scorgendola nella nube gravida d'acqua, fece erigere sul Carmelo un luogo di preghiera. Maraha dunque, allattando il fondatore della stirpe della Madonna, aveva cooperato alla venuta del Messia. Vidi un pozzo profondo nelle vicinanze della grotta in cui si attinse finché ne sgorgò un'acqua limpidissima. Al di sopra della grotta cresceva un albero meraviglioso, assomigliava ad un tiglio che spargeva un'ombra spaziosa, aguzzo in cima e largo alla radice. Questo era probabilmente un terebinto grosso e antico che produceva della frutta oleosa gradita al palato. Vidi Abramo e Melchisedeck sotto quest'albero. I pastori, i viaggiatori, ed in generale tutto il popolo, tenevano in gran venerazione l'albero e spesso si radunavano sotto il suo fresco fogliame, sia per riposare che per pregare. Mi sembra di aver visto una volta che l'albero ha qualche relazione con Abramo, o forse lo ha piantato egli stesso. Presso il terebinto si usava accendere il fuoco che si copriva con le pietre; solo in una determinata stagione i pastori potevano attingere dal pozzo l'acqua considerata santa. Ai due lati si vedevano delle capanne libere per chi voleva trascorrervi la notte. Una siepe circondava l'albero, il pozzo e le capanne.

61 - La Sacra Famiglia si stabilisce nella grotta

Venerdì 23 novembre.

Il sole calava già all'orizzonte quando Maria e Giuseppe giunsero alla grotta; vi trovarono l'asinella che saltellava lietamente davanti all'ingresso. Maria allora disse al suo sposo: "Ecco, certamente è il volere del Signore che noi alloggiamo qui". Ma Giuseppe era sconsolato ed afflitto perché era stato molto deluso dalla cattiva accoglienza che aveva trovato a Betlemme. Dopo aver sistemato l'asino sotto la tettoia dinanzi all'entrata della caverna, Giuseppe preparò un sedile provvisorio per la sua diletta consorte. L'ingresso era assai angusto, quasi occupato da ramoscelli e da paglia al di sopra dei quali pendevano stuoie di colore scuro, così anche all'interno impedimenti di vario genere erano d'ostacolo ed impedivano un minimo di vita in quel luogo. Allora Giuseppe incominciò a ripulire la grotta nel modo migliore; prima però appese la lanterna alla parete per diradare l'intensità delle tenebre. Quindi fece stendere la sua diletta sposa sul letto di ramoscelli, foglie e coperte, appena preparato nella parte di mezzogiorno. Il sant'uomo si sentiva profondamente umiliato e si scusava ancora per il cattivo alloggio. Maria, al contrario, era intimamente lieta e piena di speranza. Mentre la Vergine Santa riposava, Giuseppe prese un otre di cuoio e si recò dietro la collina, ad un ruscelletto che attraversava il prato. Dopo aver riempito l'otre sul fondo del ruscello ritornò alla grotta. Quindi andò in città a fare acquisti. Si avvicinava la solennità del sabato, in città le vie formicolavano di forestieri e, per meglio soddisfare il bisogno di tante persone, agli angoli delle strade erano stati collocati dei tavoli carichi di alimenti. Vidi Giuseppe sulla strada del ritorno, tra gli acquisti che egli aveva fatto notai una cassetta metallica chiusa da inferriate che portava appesa ad un bastone; conteneva carboni ardenti. Appena entrato, accese con questi un piccolo fuoco nella parte settentrionale della grotta. Preparò quindi una specie di pasta e cucinò un grande frutto che conteneva molti granellini; mangiarono anche dei pani. Più tardi si dedicarono a lunghe preghiere. Vidi Giuseppe mentre cercava di sistemare in modo migliore il giaciglio della Santa Vergine: sopra una strato di ramoscelli stese una di quelle coperte fatte nella casa di Anna; poi sotto il capo le pose un tappeto arrotolato. Infine portò l'asino nella grotta e lo legò, poi chiuse l'ingresso con un telo di vimini; quindi il sant'uomo preparò il suo giaciglio vicino all'entrata. Il sabato era incominciato e la santa Coppia aveva ripreso a pregare; in modo edificante presero un po' di cibo. Vidi Maria avvilupparsi nel suo mantello e pregare in ginocchio, mentre Giuseppe si assentava dalla grotta. Dopo la preghiera, Maria si stese sul letto girandosi sopra un fianco con la testa appoggiata al braccio. Giuseppe non ritornò che tardi, a notte fonda. Pregò umilmente e si coricò sul suo giaciglio, mi parve che piangesse.

62 - Maria Santissima trascorre le ultime ore del sabato nella caverna di "Maraha"

Sabato 24 novembre.

La Santa Vergine trascorse il sabato nella caverna, assorta in uno stato contemplativo di preghiera. Giuseppe, invece, uscì alcune volte, probabilmente per recarsi alla sinagoga di Betlemme. Li vidi mangiare una parte del cibo preparato il giorno precedente, poi ricominciarono a pregare. Dopo il pranzo, l'ora cioè del sabato che i Giudei usano consacrare alla passeggiata, Giuseppe condusse la Vergine nella valle situata dietro la Caverna del Presepio, dove si trova la grotta di Maraha. Si fermarono così in questa grotta che è più spaziosa di quella del presepio; qui Giuseppe preparò una specie di sedia alla sua sposa. Il restante del tempo lo impiegarono nella preghiera e nella meditazione sotto l'albero sacro. Quando calò la sera Giuseppe e Maria ritornarono alla loro abitazione. Allora la Santa Vergine annunciò al suo sposo che a mezzanotte si sarebbero compiuti i nove mesi dal momento in cui fu concepito il Santo Figlio e l'Angelo l'aveva salutata Madre di Dio. Ciò detto, Maria pregò Giuseppe di fare da parte sua tutto quanto fosse possibile affinché il Fanciullo promesso da Dio e concepito in modo soprannaturale venisse ricevuto con tutto l'onore possibile. Inoltre lo esortò ad unirsi a Lei nelle preghiere ardenti per intercedere la misericordia di Dio verso quei duri di cuore che le avevano negato l'ospitalità. La Santa Consorte respinse l'offerta di Giuseppe di chiamare in aiuto due pie donne di Betlemme rifiutò dicendo che non aveva bisogno di aiuto umano. Giuseppe si recò in città per fare altri acquisti, nonché uno sgabello, frutta secca, pani e dell'uva appassita, poi ritornò alla Grotta del Presepio dove trovò la Santa Vergine distesa sul suo giaciglio. Giuseppe cucinò, e così pregarono e mangiarono in comunione. Siccome il momento del prodigioso evento si avvicinava, il sant'uomo separò la propria cella dal resto della grotta; questo lo fece con alcuni pali ai quali appese delle stuoie. Poi diede da mangiare all'asino che aveva legato vicino alla porta. La Santa Vergine gli disse che il momento era ormai prossimo e che desiderava rimanere sola, perciò lo pregò di rinchiudersi nella propria cella. Prima di ritirarsi Giuseppe accese altre lampade per tenere illuminato l'ambiente; intese allora un rumore fuori della grotta e si affrettò a vedere cosa fosse: vide che era ritornata l'asinella la quale saltellava gioiosa come se annunciasse l'Evento. Giuseppe, sorridendo, la legò sotto la tettoia e le diede da mangiare. Appena rientrato, il sant'uomo fu avvolto da una luce celeste soprannaturale. Allora vide la Madonna genuflessa e aureolata di raggi luminosi; pregava in ginocchio sul suo giaciglio col viso rivolto ad oriente e la schiena verso l'ingresso. La caverna era interamente illuminata da questa luce intensa. Giuseppe contemplò la scena come una volta Mosè aveva fatto con il roveto ardente; poi, entrato con santo timore nella cella, si gettò proteso sul terreno e si immerse nella preghiera più devota.

63 - La Nascita di Cristo

Lo splendore che irradiava la Santa Vergine diveniva sempre più fulgido, tanto da annullare il chiarore delle lampade accese da Giuseppe. La Madonna, inginocchiata sulla sua stuoia, teneva il viso rivolto ad oriente. Un'ampia tunica candida priva di ogni legame cadeva in larghe pieghe intorno al suo corpo. Alla dodicesima ora fu rapita dall'estasi della preghiera, teneva le mani incrociate sul petto. Vidi allora il suo corpo elevarsi dal suolo. Frattanto la grotta si illuminava sempre più, fino a che la Beata Vergine fu avvolta tutta, con tutte le cose, in uno splendore d'infinita magnificenza. Questa scena irradiava tanta Grazia Divina che non sono in grado di descriverla. Vidi Maria Santissima assorta nel rapimento per qualche tempo, poi la vidi ricoprire attentamente con un panno una piccola figura uscita dallo splendore radioso, senza toccarla, né sollevarla. Dopo un certo tempo vidi il Bambinello muoversi e lo udii piangere. Mi sembrò che allora Maria Santissima, sempre Vergine, ritornando in se stessa, sollevasse il Bambino e l'avvolgesse nel panno di cui l'aveva ricoperto. Alzatolo dalla stuoia, lo strinse al petto. Sedutasi, la Madonna si avvolse col Fanciullo nel velo e col suo santo latte nutri il Redentore. Vidi una fitta schiera di figure Angeliche nelle spoglie umane genuflettersi al suolo e adorare il Neonato divino; erano sei Cori angelici entro un alone di fulgida luce abbagliante. Un'ora circa dopo il parto, Maria chiamò Giuseppe, che se ne stava ancora assorto nella preghiera. Lo vidi avvicinarsi e protendersi umilmente, mentre guardava in modo gioioso e devoto il Bambino Divino. Solo quando la santa Consorte gli ripetè di stringere al cuore con piena riconoscenza il dono dell'Altissimo, egli prese il Bambino tra le braccia e lodò il Signore con lacrime di gioia. La Vergine allora avvolse il Bambinello nei pannolini, vidi che lo ricoprì dapprima con un panno rosso, poi lo avvolse in uno bianco fino alle ascelle, mentre avvolse la testolina in un altro ancora. La Madonna aveva con sé solo quattro pannolini. Vidi allora Maria e Giuseppe seduti al suolo; non parlavano ma parevano assorti nella meditazione. Bello e raggiante vidi il Santo Neonato tutto fasciato disteso sulla stuoia, mentre Maria lo contemplava. A quella vista esclamai: "Questo Corpicino è la salvezza dell'universo intero". Poco dopo la santa Coppia pose il divino Neonato nella mangiatoia, che era stata riempita di ramoscelli e di fini erbette, e Gli adagiarono una coperta sul corpicino. Deposto il Bambino in questa culla, che si trovava più in basso del posto dove era stato partorito, la santa Coppia pianse di gioia e cantò le lodi del Signore. Giuseppe dispose il giaciglio e la seggiola della Santa Vergine vicino al presepe. Vidi Maria Santissima, prima e dopo il parto, sempre velata e biancovestita; nei primi giorni, subito dopo l'Evento, stava seduta o inginocchiata, dormiva su un fianco e mai la vidi ammalata o affaticata. Quando qualcuno veniva a visitarla si velava ancor più accuratamente e se ne stava diritta sul posto dove era avvenuta la santa Nascita.

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64 - Gli Angeli annunciano la Nascita del Signore ai pastori - Movimento ed emozione negli uomini e nella natura - La torre dei pastori

In queste immagini del Natale di Cristo vidi vivere nella stessa notte quei simboli antichi pieni di significati meravigliosi. Vidi che un insolito movimento regnava nella natura, negli uomini e in molti luoghi del mondo. Dappertutto si manifestava un'eccezionale energia emozionale. I simboli cosmici del Natale della Luce del mondo scesero nella coscienza e nei cuori di molti uomini. I cuori di tutta la gente buona furono commossi dalla lieta attesa, quelli dei malvagi invece furono riempiti di timore. Anche gli animali si sentirono turbati soavemente dalla lieta attesa. In molti luoghi vidi nascere fiori, erbe e virgulti dal terreno; vidi gli alberi rinfrescati diffondere un dolce olezzo; vidi dal suolo scaturire molte nuove fonti d'acqua cristallina che scorrevano copiose. Nello stesso momento in cui nacque il Salvatore, nella caverna posta più a meridione di quella del presepio scaturì una ricca fonte; il giorno seguente San Giuseppe ne scavò un canale per dare all'acqua il suo corso. Sopra Betlemme il cielo era triste e di color rossiccio, ma sopra la Grotta del Presepio, la caverna di Maraha e la valle dei pastori, si stendeva una nebbia luminosa. Nella valle dei pastori, ad un'ora e mezzo di cammino dalla grotta, cominciavano i colli vitiferi che si estendevano fino a Gaza. Sui medesimi si trovavano le abitazioni di tre capi dei pastori, come i tre Magi erano capi di tre tribù. Ad una certa lontananza dalla Grotta del Presepio vi era la torre dei pastori: in mezzo al fogliame delle alte piante, si alzava un'impalcatura gigantesca di travi combinate in forma piramidale. La torre era il punto di congiungimento per tutti i pastori della regione; aveva una scala e delle gallerie. Era fornita di piccole vedette simili alle torrette delle guardie, e molte stuoie ne coprivano i lati. Questa torre aveva alcune similitudini con quella dei tre Magi su cui si usava di notte contemplare gli astri; vista da lontano la torre di vedetta dei pastori sembrava quasi una nave alta, munita di molti alberi con le relative vele. Dalla torre si godeva il panorama generale dei dintorni, si vedevano Gerusalemme ed il monte della tentazione, presso Gerico. I pastori vi tenevano delle vedette per poter controllare gli armenti, e poterli ritirare prontamente al suono del corno quando vi era il pericolo dell'assalto dei predoni o di qualche popolazione nemica. Le singole famiglie dei pastori abitavano non lontano dalla torre; le loro case erano circondate da campi e da giardini. Lungo il colle erano state erette delle capanne, in una molto più grande delle altre e suddivisa con vari tramezzi, abitavano le consorti dei guardiani, che preparavano le vivande. Stanotte ho visto vicino alla torre le greggi sparse qua e là sotto il cielo aperto, mentre sul colle dei pastori gli armenti erano al coperto sotto una capanna. La notte santa era particolarmente immersa nel silenzio stellato; vidi una nube luminosa calare su tre pastori mentre osservavano ammirati la bellezza del cielo. Contemporaneamente udii levarsi nelle immensità del silenzio notturno un canto dolce e tranquillo. Sul principio i pastori si spaventarono di fronte a quelle manifestazioni, ma ben presto un Angelo apparve loro e così li tranquillizzò: "Non temete! Io vi reco una lieta novella che rallegrerà tutto il popolo, poiché oggi è nato il vostro Salvatore nella città di Davide, il Cristo, il Signore. Voi lo riconoscerete nel Bambino che avvolto in miseri panni giace in un presepio. Mentre l'Angelo così parlava, lo splendore circostante cresceva sempre più, ed allora scorsi sei o sette graziose figure di Angeli luminosi apparire ai pastori. Tenevano nella mano una specie di lungo nastro o pergamena, sulla quale in lettere grandi, quasi tutte come un palmo della mano, stavano scritte alcune parole. Si levò poi un canto magnifico e così udii: "Sia gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà". Poco dopo anche i pastori di guardia alla torre ebbero la stessa apparizione, e così pure altri, i quali stavano raccolti intorno ad una fontana distante tre ore da Betlemme. I tre pastori, dopo la visione degli Angeli, non si avviarono immediatamente al presepio da cui erano lontani circa mezz'ora, né vi andarono quelli della torre, i quali avevano da percorrere un doppio cammino; ma tutti preferirono raccogliersi in consiglio e discutere quali doni dovessero portare al Neonato. Quando decisero di comune accordo che doni portare al prodigioso Bambino, allora si affaccendarono per procurarli con ogni sollecitudine. I pastori giunsero al presepe il mattino presto.

65 - La Nascita di Cristo viene annunciata nel mondo antico: a Gerusalemme, a Roma e in Egitto

Noemi, la maestra della Santa Vergine, Anna la profetessa, il vecchio Simeone, la madre Anna ed Elisabetta di Juta, ebbero tutti delle rivelazioni concernenti la nascita del Messia. Il fanciullo Giovanni fu subito commosso e invaso da profonda gioia. Tutti ebbero una visione in cui videro Maria, ma nessuno sapeva dove si era compiuto l'Evento meraviglioso. Solo Anna sapeva che Betlemme era il luogo della salvezza. Vidi che tutti gli scritti dei sadducei, uscendo dalle custodie, si spargevano al suolo. I sadducei, spaventati, attribuirono l'avvenimento alla stregoneria e pagarono affinché il fatto rimanesse segreto. Durante la notte ebbi delle visioni su alcuni avvenimenti a Roma collegati con la nascita del Signore. Nello stesso momento in cui nacque Gesù, in un quartiere della città dove abitavano molti Giudei, improvvisamente zampillò una fonte di olio nero; tutti ne rimasero fortemente impressionati. Contemporaneamente un idolo magnifico di Giove si frantumò sotto il crollo del tetto di un tempio romano. I sacerdoti, spaventati da questo nefasto avvenimento, offrirono molte vittime agli dei del tempio. Poi interrogarono un altro idolo (credo fosse la statua di Venere) chiedendogli perché fosse avvenuto questo prodigio, la statua rispose loro: "Tutto questo avviene a Roma perché una Vergine ha generato un figlio concepito senza opera d'uomo". I sacerdoti atterriti da questa notizia, andarono a consultare i loro libri e ricordarono che settant'anni prima quell'idolo, adorno d'oro e di pietre preziose, era stato messo nel tempio; gli furono offerte vittime con grande solennità. In quel tempo viveva a Roma una profetessa assai religiosa, Serena o Cyrena, credo fosse una Giudea. Aveva delle visioni e prediceva il futuro, sapeva spiegare il motivo della sterilità di diverse donne, e godeva di buona considerazione. Aveva dichiarato pubblicamente che non era giusto tributare all'idolo onori così dispendiosi perché un giorno si sarebbe frantumato in mille pezzi. I sacerdoti la fecero rinchiudere in una prigione dove la torturarono perché non aveva saputo dire loro quando sarebbe avvenuto il triste evento. La veggente allora pregò Dio affinché le suggerisse la risposta, seppe così che l'idolo si sarebbe frantumato quando una Vergine immacolata avrebbe generato un figlio per volere divino. A tale rivelazione, i sacerdoti tacciarono per pazza Serena e la allontanarono. Quando il tetto del tempio crollò, spaccando la statua in mille pezzi, i sacerdoti si resero conto tristemente che la donna aveva detto il vero. Vidi l'imperatore Augusto sulla cima di una collina a Roma, circondato da altre persone. Al suo lato scorsi il tempio crollato. Vidi pure alcune scale che conducevano alla vetta di un monte dove si trovava una porta d'oro. Era quello il luogo dove si decidevano gli affari più importanti dello stato. Mentre l'imperatore scendeva dal monte, ammirò in cielo alla sua destra un'apparizione. Vide una Vergine seduta su un arcobaleno che stringeva al petto un Bambinello. Credo che il simbolo fosse veduto dal solo Augusto. Consultato un oracolo per conoscere il significato di tale apparizione, l'imperatore apprese che era nato un Fanciullo divino dinanzi al quale tutti dovevano cedere. Subito Augusto fece innalzare un altare sul luogo dove gli era apparso il simbolo, e con molta pompa si dedicarono numerosi sacrifici sull'ara del "Primogenito di Dio". Anche in Egitto si verificò un avvenimento testimoniante la nascita di Cristo: un idolo immenso, non lontano da Maratea e Menfi, era ammutolito e non dava più oracoli. Allora il sovrano dell'Egitto comandò che in tutto il paese fossero elevati grandi sacrifici affinché l'idolo spiegasse la causa del cambiamento. Così il feticcio fu costretto da Dio a dire che si era piegato alla potenza del Figlio nato da una Santa Vergine. Inoltre egli aggiunse che in quel luogo si sarebbe dovuto erigere un tempio dedicato al Figlio del vero Dio. Il re osservò la volontà dell'idolo e fece costruire il tempio. Infine vidi che il feticcio venne abolito dal loro culto e si tributò il culto devozionale alla Vergine col Bambino; però nel senso pagano. Quando Gesù bambino, vestito della santa Luce di Dio, fu accolto dalla Vergine Maria, i Re Magi colsero il simbolo di questa Nascita ed ebbero la sua meravigliosa visione mentre scrutavano i segreti del cielo. I Magi erano astronomi e avevano sulla cima di un monte una torre piramidale di legno per studiare i movimenti stellari. Uno di essi era di vedetta fissa sulla sommità di questa torre per osservare le stelle insieme con i sacerdoti. Ho visto spesso due Re scrutare il cielo e comunicarsi vicendevolmente le varie osservazioni; l'altro abitava in un paese lontano, posto a mezzogiorno del Mar Caspio. I Magi contemplavano in particolare un astro, dalle cui relative alterazioni o cambiamenti, sviluppavano la teologia del firmamento stellato. Questa notte ho visto il simbolo da loro tanto atteso, il quale era costituito di vari movimenti degli astri. Non si trattava di una sola stella, bensì di una costellazione. Vidi un bell'arcobaleno dove stava assisa la Vergine; posava il piede sulla mezzaluna, alla sua destra apparve un ceppo di vite e alla sinistra un fascio di spighe. Dinanzi alla Vergine emerse un calice simile a quello dell'ultima Cena. Dal suo interno vidi sporgere un Bambino aureolato di raggi luminosi come quelli del Santo Sacramento; questi raggi si diramavano in tutte le direzioni. Vidi i due Magi venire a conoscenza della santa Nascita avvenuta in Giudea. Il terzo, che abitava nel paese lontano, ebbe anch'egli la visione del santo Evento. Allora i Re, mossi dall'indicibile gioia, radunarono i tesori ed una quantità di doni ed intrapresero il viaggio per rendere omaggio al Redentore dell'umanità. Dopo pochi giorni il terzo Re raggiunse gli altri due e così continuarono il viaggio insieme. La lunga attesa del Messia era finalmente terminata; spesso li avevo visti sulla torre ad osservare le stelle e a contemplarne i simboli.

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Augustinus
02-01-05, 00:19
(Cap. 26, 61. 64; PG 32, 179-182. 186)

Colui che ormai non vive più secondo la carne ma è guidato dallo Spirito di Dio, poiché prende il nome di figlio di Dio e diviene conforme all'immagine del Figlio unigenito, viene detto spirituale.
Come in un occhio sano vi è la capacità di vedere, così nell'anima che ha questa purezza vi è la forza operante dello Spirito. Come il pensiero della nostra mente ora resta inespresso nell'intimo del cuore, ora invece si esprime con la parola, così lo Spirito Santo ora attesta nell'intimo al nostro spirito e grida nei nostri cuori: «Abbà, Padre» (Gal 4, 6), ora invece parla per noi, come dice la Scrittura: Non siete voi che parlate, ma parla in voi lo Spirito del Padre (cfr. Mt 10, 20). Inoltre lo Spirito distribuendo a tutti i suoi carismi è il Tutto che si trova in tutte le parti. Tutti infatti siamo membra gli uni degli altri, e abbiamo doni diversi secondo la grazia di Dio comunicata a noi. Per questo «non può l'occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi» (1 Cor 12, 21). Tutte le membra insieme completano il corpo di Cristo nell'unità dello Spirito e secondo i carismi si rendono, come è necessario, utili le une alle altre. Dio infatti ha disposto le membra nel corpo, ciascuna di esse secondo il suo volere. Le parti dunque sono piene di sollecitudine vicendevole, secondo la spirituale comunione dell'amore. Perciò «se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono insieme; e, se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12, 26). E come le parti sono nel tutto, così noi siamo ognuno nello Spirito, poiché tutti in un solo corpo siamo stati battezzati nell'unico Spirito.
Come il Padre si rende visibile nel Figlio, così il Figlio si rende presente nello Spirito. Perciò l'adorazione nello Spirito indica un'attività del nostro animo, svolta in piena luce. Lo si apprende dalle parole dette alla Samaritana. Essa infatti, secondo la concezione errata del suo popolo, pensava che si dovesse adorare in un luogo particolare, ma il Signore, facendole mutare idea, le disse: Bisogna adorare nello Spirito e nella Verità (cfr. Gv 4, 23), chiaramente definendo se stesso «la Verità».
Dunque nel modo come intendiamo adorazione nel Figlio, come adorazione cioè nell'immagine di colui che è Dio e Padre, così anche dobbiamo intendere adorazione nello Spirito, come adorazione a colui che esprime in se stesso la divina essenza del Signore Dio.
Giustamente, dunque, nello Spirito che ci illumina noi vediamo lo splendore della gloria di Dio. Per mezzo dell'impronta risaliamo al sigillo e a colui al quale appartiene l'impronta e il sigillo e al quale l'una e l'altra cosa sono perfettamente uguali.

Augustinus
02-01-05, 09:37
De Incarnationis dominicae sacramento, III, 15-18

In principio era il Verbo . Chi lo dice? Giovanni il pescatore. Non lo dice però come semplice pescatore, ma per così dire come pescatore dei sentimenti umani, poiché ormai non doveva più prendere i pesci ma vivificare gli uomini . Quello che dice non è un semplice insegnamento suo, ma insegnamento di colui che gli dette il potere di vivificare. Il pescatore era più silenzioso dei pesci che prendeva prima e più muto circa i divini misteri perché non conosceva l’autore della sua voce. Ma quando fu vivificato da Cristo udì la voce in Giovanni e riconobbe la parola in Cristo. Perciò, pieno di Spirito Santo, Giovanni sapeva che il principio non rientra nel tempo, ma è al di sopra dei tempi: lasciò i secoli e salendo con lo spirito al di sopra di ogni principio, disse: In principio era il Verbo. […]

E il Verbo era presso Dio. Ciò significa che quanto aveva detto prima si deve intendere nel senso che il Verbo era come era il Padre, perché da sempre era con il Padre, nel Padre e presso il Padre. […] è proprio del Verbo essere presso il Padre, come è proprio del Padre essere con il Verbo, poiché leggiamo che il Verbo era presso Dio . Se dunque, secondo la tua opinione, c’era un tempo in cui non era, secondo la tua opinione in principio non era neanche colui presso il quale era il Verbo. È il Verbo che me lo dice, è il Verbo che mi fa comprendere che era Dio. Se credo, come credo, che il Verbo è eterno, non posso dubitare dell’eternità del Padre, il cui Figlio è eterno.

Augustinus
02-01-05, 09:38
Terapia dei morbi pagani, VI, 74-78

Poiché è chiaro che il Creatore dell'universo è provvido verso le sue creature, appare inoppugnabile e indubitabile la ragione dell'incarnazione del Salvatore. Giacché si addiceva a chi aveva architettato l'universo e aveva dato l'essere alle cose che non erano non lasciare perire la razza degli uomini, per la quale aveva apprestato tutte le cose che si vedono. La terra infatti è il luogo dove essi vivono, e hanno il cielo come tetto; e l'aria, e il mare, i fiumi e le fonti e i parti delle nuvole e le rugiade e le aure, e inoltre le piante - le fruttifere e le infruttifere - e gli animali - terrestri e alati e acquatici e anfibi - e le infinite specie di erbe e le miniere dei metalli sono al servizio del genere umano; e, ancora, il sole e la luna e la moltitudine degli astri, dividendo il tempo, lo distribuivano in parti uguali, e l'uno illumina il giorno e chiama al lavoro, l'altra, insieme cogli astri, ebbe in sorte il compito di illuminare la notte. Il Signore dell'universo dunque non ritenne giusto lasciare che colui, per il quale tutte queste cose furono fatte, fosse insediato dal peccato e consegnato come prigioniero alla morte. E perciò egli vestì la forma umana e coprì la natura invisibile con la visibile, e la visibile custodì senza peccato e la nascosta conservò intatta; né infatti questa partecipò delle passioni della carne, né la carne partecipò delle macchie del peccato. [...] così, quando volle recare a tutti gli uomini i rimedi salutari, non si servì, come suoi aiutanti, degli Angeli e degli Arcangeli, né dal cielo emise una voce sonora e commisurata a tutti gli uomini, ma dall'utero di una vergine si costruì un abitacolo umano e di lì uscì fuori, visto come uomo e adorato come Dio, generato dalla sostanza del Padre, prima del principio dei secoli, e prendendo dalla vergine l'elemento visibile, essendo nello stesso tempo nuovo e eterno.

Augustinus
18-12-05, 11:03
http://img255.imageshack.us/img255/492/birthchristnc2.jpg

Augustinus
25-12-05, 09:31
http://img75.imageshack.us/img75/5996/maryjesuskx1pw7.jpg

Augustinus
25-12-05, 09:45
Dio per noi

Nell'anno decimoquinto dell'Impero di Tiberio Cesare,
mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea,
Erode tetrarca della Galilea,
e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide,
e Litania tetrarca dell'Abilene,
sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa,
la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
(Lc 3,1-2)

Siamo nell'anno 782 di Roma (XV anno di Tiberio) quando, sulle rive del Giordano, Giovanni, mentre battezza, incontra Gesù e lo indica ad almeno due dei suoi discepoli: Giovanni (che sarà poi il grande evangelista) e Andrea, che diverrà Apostolo come il fratello Simone, che Gesù chiamerà Pietro.
L'evangelista Giovanni ricorda anche l'ora di quell'incontro: "erano circa le quattro del pomeriggio" (Gv 1,39).
Ancora Luca, sempre al capitolo 3, al versetto 23, aggiunge: "Gesù, quando incominciò il suo ministero, aveva circa trent'anni".
Dionigi il Piccolo (nel VI secolo) calcolò l'anno della nascita di Gesù, sottraendo al 782 i "circa trent'anni". La data 753 di Roma diviene così l'inizio dell'era Cristiana.
Ma altri dati, sempre contenuti nel vangelo di Luca, ci costringono ad accorgerci dell'errore di Dionigi. Gesù nasce quando Erode è Re della Giudea. Questo è il famoso tiranno della strage degli innocenti (raccontata nel Vangelo di Matteo 2,13-19). Solo alla sua morte Giuseppe torna dall'Egitto e decide di andare ad abitare in Galilea, perchè temeva anche Archelao che era succeduto a Erode come re della Giudea.
Sappiamo che Erode muore nel 749 di Roma.
Quindi Gesù deve essere nato prima.
Solo Sua Madre Maria può aiutarci con i suoi ricordi di giovanissima ragazza.
E Luca scrive la testimonianza di Maria.
Ella ricorda che "In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio" (Lc 2,1-2). Siamo tra il 745 e il 747 di Roma.
Continuiamo a seguire la testimonianza di Maria raccontata da Luca.
Maria aveva concepito mentre Elisabetta, sua parente, era al sesto mese di gravidanza.
Elisabetta aveva concepito dopo che suo marito, Zaccaria - sacerdote della classe di Abia -, era tornato dal suo turno al tempio (Lc 1).
Secondo una antica festa della chiesa di Gerusalemme, la concezione di Giovanni avviene il 25 settembre. Secondo i rotoli di Qumran, settembre era anche una delle due settimane in cui la classe di Abia officiava al tempio. Sei mesi ci portano al 25 marzo come data della concezione di Gesù e quindi al 25 dicembre come nascita.
Risultato: non siamo nel 2005. Già Giovanni Paolo II nella Bolla di Indizione dell'anno Santo del 2000, aveva chiarito la non esattezza della data. Probabilmente siamo nel 2013.
Mentre è molto più sicura è la nascita al 25 di dicembre.

Ma rendiamoci conto: stiamo parlando della nascita di un semplice bambino da una qualsiasi ragazza di 2000 anni fa. Ed è davvero straordinario quanti dati storici siano comunque emersi da una testimonianza così lontana nel tempo.

Insomma non è una favola.
Babbo Natale, la Befana sono una favola.
Ma di questi si può parlare, anche a scuola.
Ma guai a fare il presepio e a parlare di un fatto storico che ha cambiato la storia.

Dice ancora Luca: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8).

Ascolteremo nella Messa della notte di Natale: "La Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta".
E anche questa non è una favola. Accade, ieri come oggi, proprio così.
"Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole": così scriveva San Paolo al giovane Vescovo Timoteo verso l'anno 65.

Forse questo giorno è giunto.
Allora il Natale di Gesù, e soprattutto Chi è Gesù, Dio per noi, Crocifisso e Risorto, deve di nuovo essere annunciato: "insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" dice San Paolo a Timoteo.
Abbiamo un debito con ogni uomo: portare Gesù, l'unico vero regalo.

FONTE: CULTURA CATTOLICA (http://www.culturacattolica.it/frontend/exec.php?id_content_element=3329)

Augustinus
25-12-05, 09:51
http://catholic-resources.org/Dore/Luke01a.jpg Gustave Doré, Annunciazione

http://catholic-resources.org/Dore/Luke02a.jpg Gustave Doré, Natività di Gesù

http://catholic-resources.org/Dore/Matt02a.jpg Gustave Doré, I Magi da Oriente

http://catholic-resources.org/Dore/Matt02b.jpg Gustave Doré, Fuga in Egitto

http://catholic-resources.org/Dore/Matt02c.jpg Gustave Doré, Strage degli innocenti

http://catholic-resources.org/Dore/Luke02b.jpg Gustave Doré, Gesù fra i dottori

http://catholic-resources.org/Dore/Matt03a.jpg Gustave Doré, Battesimo di Gesù

Augustinus
25-12-05, 10:09
Preparazione al Natale:

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=74789)

Avvento - Tempo dell'attesa del Signore (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=133639)

I Domenica di Avvento (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213993)

II Domenica di Avvento (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213994)

III Domenica di Avvento o Gaudete (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213996)

Mercoledì delle Quattro Tempora di Avvento (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=482971)

Venerdì delle Quattro Tempora di Avvento (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483215)

Sabato delle Quattro Tempora di Avvento (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483461)

IV Domenica di Avvento o Rorate (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213997)

I Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=482722)

II Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=482972)

III Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483214)

IV Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483462)

V Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483617)

VI Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483782)

VII Antifona di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=483989)

Vigilia di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213999)

Novena di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=212315)

Devozioni e meditazioni:

Pia devozione dei 12 lunedì in onore del Divin Gesù Bambino (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=268111)

Questioni su Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=345276)

Meditazioni sulla Passione di N. S. Gesù Cristo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149185)

Auguri di Natale / Auguri di Buon Anno (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=78394)

Concerto di musiche natalizie (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=484412)

At ubi venit plenitudo temporis (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=311818)

La culla di Gesù Bambino si sta sbriciolando. Un segno dei tempi? (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=393830)

Periodo di Natale:

Santi Innocenti Martiri (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=78764)

Domenica nell'Ottava di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=484784)

S. Davide, re e profeta (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=484960)

Per la fine dell'Anno civile (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=394467)

Ottava di Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149217)

Santissimo Nome di Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=313431)

Epifania del Signore (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=395378)

Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149211)

Battesimo di Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149216)

Festività mariane correlate al Natale:

Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149653)

Annunciazione della Beata Vergine Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144748)

Visitazione della Beata Vergine Maria a S. Elisabetta (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144750)

Maria Madre di Dio (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144740)

Festa dell'Attesa della B.V.M. o Vergine dell'attesa o del parto o della Speranza (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=482973)

Presentazione del Signore Gesù al Tempio o festa della Purificazione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=402852)

S. Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria e padre putativo di Gesù (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144749)

Figure di Santi e testimoni legati al Natale:

S. Girolamo, Dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=122570)

S. Francesco d'Assisi (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=69012)

S. Alfonso Maria de' Liguori, vescovo e dottore della Chiesa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=361575)

S. Caterina (Vigri) da Bologna, Vergine (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=152931)

Beata Anna Katharina Emmerick (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144918)

Servo di Dio Can. Francesco Bono, Fondatore delle Suore del Santo Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=290999)

Serva di Dio Madre Natalina Cavagnero, Cofondatrice delle Suore del Santo Natale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=291000)

Augustinus
25-12-05, 11:30
Libro IV, Cap. 7, §§ 438-447

CAPITOLO 7

Maria santissima prepara i pannicelli e le fasce per il bambino divino con l'ardentissimo desiderio di vederlo già nato.

438. La divina gravidanza della Madre del Verbo eterno era già molto inoltrata. Ella sapeva, nella sua prudenza, che era necessario preparare i pannicelli e tutto l'occorrente per il parto tanto atteso, tuttavia, nulla volle disporre senza la volontà del Signore e del suo santo sposo, per adempiere in tutto la legge divina, come serva ubbidiente e fedelissima. E sebbene avrebbe potuto operare da sé quello che era esclusivo compito di madre - l'unica Madre del suo santissimo Figlio, al cui concepimento nessun'altra creatura aveva avuto parte - tuttavia non lo fece, senza prima parlarne al santo sposo Giuseppe, cui disse: «Signore mio, è già tempo di preparare le cose necessarie per la nascita del mio santissimo Figlio. E sebbene sua Maestà infinita vuole essere trattato come i figli degli uomini, umiliandosi a patire le loro pene, però, da parte nostra è giusto che, nel servirlo, onorarlo ed assisterlo, lo riconosciamo come nostro vero Dio, re e Signore. Se mi date il permesso, incomincerò a preparare le fasce e i pannicelli per avvolgerlo. Io ho una tela filata con le mie mani, che può servire adesso per i primi pannolini; voi, o signore, ne procurerete un'altra di lana, che sia soffice, morbida e di modesto colore, per formare altri pannicelli. In futuro gli farò una tunica inconsutile, tessuta, a lui adatta. E affinché compiamo ciò nel modo giusto, eleviamo una speciale orazione chiedendo a sua Altezza che ci illumini, ci guidi e ci manifesti la sua divina volontà in modo da procedere con il suo maggior compiacimento».

439. «Sposa e signora mia - rispose san Giuseppe - se con lo stesso sangue del cuore fosse possibile servire il mio Dio e Signore ed eseguire ciò che comandate, io mi riterrei soddisfatto e fortunato di spargerlo con atrocissimi tormenti. In mancanza di ciò vorrei possedere ricchi tesori e broccati, per potervi servire in questa occasione. Disponete, dunque, quello che sarà conveniente, perché in tutto voglio ubbidirvi come vostro servo». Dopo che ebbero pregato insieme, l'Altissimo rispose a ciascuno, in disparte, con le medesime parole, ripetendo quanto più volte aveva manifestato alla sovrana Signora, e dicendo: «Io sono sceso dal cielo sulla terra per innalzare l'umiltà ed umiliare la superbia; per onorare la povertà e disprezzare le ricchezze; per abolire la vanità e dare fondamento alla verità e per conferire degna stima ai travagli dell'uomo. E perciò è mia volontà che, nell'umanità da me assunta, mi trattiate all'esterno come se fossi vostro figlio; e nell'interno mi riconosciate invece come Figlio dell'eterno Padre e vero Dio, con la venerazione e l'amore che come uomo e Dio mi sono dovuti».

440. Maria santissima e san Giuseppe rafforzati da questa divina voce nella sapienza, con la quale dovevano allevare il bambino Dio, concertarono fra di loro il più nobile e perfetto modo di venerarlo come vero Dio infinito, e di trattarlo allo stesso tempo, agli occhi del mondo, come se egli fosse loro figlio: tale lo avrebbero creduto gli uomini, come il Signore stesso voleva. Adempirono così, pienamente, questo accordo, con meraviglia per il cielo; ma in seguito dirò qualcosa in più a questo proposito. Stabilirono così che nel loro stato di povertà era conveniente rendere ossequio al bambino Dio, per quanto fosse possibile, senza eccedere né lesinare, affinché il mistero del re restasse celato sotto il velo dell'umile povertà, ed il loro infiammato amore non venisse defraudato in ciò che eseguivano. Subito, san Giuseppe come contraccambio di alcuni lavori fatti con le sue mani si fece dare due tele di lana, conforme a quanto aveva detto la divina sposa, una bianca e l'altra di colore più sfumata sul bruno che sul grigio: le migliori che poté trovare. La divina Regina tagliò con queste i primi pannolini per il suo santissimo Figlio; e con la tela, che aveva filato, tagliò le camiciole e i panni per avvolgerlo. Era questa tela molto delicata, veramente uscita da tali mani; ed ella la iniziò a filare dal giorno in cui entrò in casa sua con san Giuseppe, con il proposito di portarla in offerta al tempio. Questo suo desiderio si cambiò in un altro migliore; e con la tela che avanzò, preparato l'occorrente per il divino bambino, poté compiere l'offerta al tempio santo di Gerusalemme. La Vergine santissima cucì con le proprie mani tutto ciò che era necessario per il parto divino, rimanendo sempre genuflessa e versando lacrime d'incomparabile devozione. San Giuseppe cercò i fiori e le erbe aromatiche che poté trovare; con questi la diligente Madre preparò un'acqua dal profumo angelico, asperse le fasce consacrate per la vittima in previsione del sacrificio', le piegò, le assestò e le pose in una cassettina, che portò poi con sé a Betlemme.

441. Tutte queste opere della Principessa del cielo si devono intendere e soppesare non così crude e senz'anima, come io le sto riferendo, ma rivestite di bellezza, di santità, magnificenza e perfezione a tal punto che l'umano giudizio giammai può investigare: ella trattava tutte le opere della sapienza divina come Madre della stessa sapienza e regina di tutte le virtù. Offriva il sacrificio della dedicazione del tempio del Dio vivente nella santissima umanità di suo Figlio, che doveva venire al mondo. La sovrana Signora conosceva, più di tutte le altre creature, l'altezza incomparabile del mistero dell'incarnazione del Verbo e della sua venuta al mondo. E non incredula, ma stupefatta, con infiammato amore e con profonda venerazione ripeteva molte volte ciò che diceva Salomone quando edificava il tempio: «Come sarà possibile che Dio abiti con gli uomini sulla terra? Se tutto il cielo e i cieli dei cieli sono angusti per contenerlo, quanto più non lo sarà questa dimora dell'umanità, che si è edificata nel mio grembo?». E se quel tempio, che servì solamente perché Iddio vi ascoltasse le preghiere che in esso si elevavano, fu costruito e dedicato con un tal sfarzo e sfoggio di tesori d'oro e di argento, e di sacrifici, cosa non doveva fare la Madre del vero Salomone nell'edificazione e nella dedicazione del tempio vivo, in cui abitava corporalmente la pienezza della divinità'? Tutto ciò che in figure contenevano quei sacrifici e quei tesori innumerevoli, offerti nel tempio simbolico, fu adempito da Maria santissima non con preparativi d'oro, di argento e con broccati - perché in questo tempo Dio non esigeva tali offerte - ma con eroiche virtù e con le ricchezze della grazia e dei doni dell'Altissimo, con i quali innalzava cantici di lode. Offriva olocausti dal suo ardentissimo cuore; scorreva tutta la sacra Scrittura e applicava a questo mistero gli inni, i salmi e i cantici, aggiungendovi molto di più. Imitava e realizzava le figure antiche con l'esercizio delle virtù e con gli atti interiori ed esteriori. Invitava e chiamava tutte le creature a lodare Dio, a dare onore, lode e gloria al loro creatore, e ad aspettarlo per essere santificate dalla sua venuta al mondo. In molte di queste opere l'accompagnava il fortunato e felicissimo sposo Giuseppe.

442. Non vi è lingua né intelletto umano capace di spiegare gli altissimi meriti che accumulò la Principessa del cielo con questi atti ed esercizi e tantomeno il compiacimento che ne riceveva il Signore. Se il minor grado di grazia che qualsiasi creatura riceve, con un atto di virtù che esercita, vale più di tutto l'universo, quale valore di grazia non dovette acquistare colei che non solo superò gli antichi sacrifici, le offerte, gli olocausti e tutti i meriti degli uomini, ma di gran lunga anche quelli dei supremi serafini? Attendendo il proprio figlio e vero Dio, per riceverlo nelle sue braccia, allevarlo al suo seno, alimentarlo con le sue mani, curarlo e servirlo - adorandolo fatto uomo dalla sua stessa carne e dal suo stesso sangue - gli affetti amorosi della divina Signora arrivavano a tal punto che in questo dolcissimo incendio di amore si sarebbe consumata se per la miracolosa assistenza di Dio non fosse stata preservata dalla morte, confortata, e corroborata nelle forze. E molte volte avrebbe perduto la vita se non gliela avesse mantenuta il suo santissimo Figlio. Ella costantemente lo rimirava nel seno verginale e con chiarezza divina vedeva la sua umanità unita alla divinità e tutti gli atti interiori di quella santissima anima: la forma e la posizione del corpo, e le orazioni che faceva per lei, per san Giuseppe, per tutto il genere umano e in particolar modo per quelli predestinati. Maria santissima conosceva tutti questi misteri, e nell'imitazione e nella preghiera di lode s'infiammava tutta, come colei che teneva racchiuso nel suo seno il fuoco che illumina e non consuma.

443. Nell'ardore amoroso della divina fiamma, diceva alcune volte, parlando con il suo santissimo Figlio: «Amor mio dolcissimo, Creatore dell'universo, quando godranno gli occhi miei della luce del vostro divino volto? Quando si consacreranno le mie braccia all'altare dell'ostia che attende il vostro eterno Padre? Quando bacerò come serva il luogo dove poseranno i vostri piedi, e giungerò come madre al bacio" desiderato dall'anima mia, affinché mi renda partecipe con il vostro divin fiato del vostro stesso Spirito? Quando la luce inaccessibile che siete voi', o Dio vero da Dio vero e luce da luce, si manifesterà ai mortali dopo tanti secoli che vi hanno tenuto nascosto alla nostra vista? Quando i figli di Adamo, schiavi per le loro colpe, conosceranno il loro Redentore, vedranno la loro salvezza' e troveranno il loro maestro'°, fratello e vero padre? O luce dell'anima mia, virtù mia, diletto mio, per cui vivo morendo! Figlio delle mie viscere, come eserciterà il compito di madre colei che non sa farlo nemmeno come serva, e non merita tale titolo? Con quale dignità vi tratterò, io che sono un povero e vile vermiciattolo? Come vi servirò ed assisterò, essendo voi santità e bontà infinita, ed io polvere e cenere? Come ardirò parlare alla vostra presenza, e stare dinanzi al vostro divin cospetto? Voi, o Signore di tutto il mio essere, che avete scelto me, infima tra le figlie di Adamo, illuminate voi le mie azioni, guidate i miei desideri ed infiammate i miei affetti, cosicché in tutto riesca a darvi onore e compiacimento. Ma che farò io, mio Bene, se voi uscite dal mio seno per soffrire oltraggi e morire per il genere umano? Come non morire con voi, accompagnandovi al sacrificio, essendo voi il mio essere e la mia vita? Tolga la mia vita la causa ed il motivo che devono togliere la vostra, giacché stanno così unite. Molto meno della vostra morte basterà per redimere il mondo e migliaia di mondi: muoia, dunque, io per voi, e patisca le vostre ignominie; e voi con il vostro amore e con la vostra luce santificate il mondo ed illuminate le tenebre dei mortali. E se non è possibile revocare il decreto dell'eterno Padre, affinché sia più copiosa la redenzione" e resti soddisfatta la vostra altissima carità, ricevete il mio amore e possa io aver parte in tutti i travagli della vostra vita, perché siete mio Figlio e Signore».

444. La ricchezza di questi ed altri dolcissimi sentimenti rendevano bellissima la Regina dei cieli agli occhi del Principe dell'eternità, che ella portava nel talamo del suo seno verginale. E tutte queste affettuose espressioni si riproducevano in lei secondo i movimenti di quella santissima umanità divinizzata, perché la degna Madre li osservava per imitarli. Talvolta il divino bambino nella santa dimora si metteva in ginocchio per pregare il Padre; altre volte a forma di croce: esercitandosi già fin d'ora in vista del sacrificio. E di là osservava attentamente - come dal supremo trono dei cieli fa adesso - e conosceva con la sua sapienza tutto quello che ora conosce, senza che gli si potesse nascondere alcuna creatura presente, passata o futura con tutti i suoi pensieri e movimenti: e tutti riguardava come maestro e Redentore. Questi misteri erano manifesti alla sua divina Madre che per corrispondere a tale scienza si trovava piena di grazie e di doni celesti; e perciò operava in tutto con pienezza e santità, che non vi sono parole adeguate con cui spiegarlo. Ma se il nostro giudizio non è cieco ed il nostro cuore non è duro ed insensibile come pietra, non sarà possibile che alla vista di opere così efficaci ed ammirabili non si sentano feriti da dolore amoroso e da umile gratitudine.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

445. Da questo capitolo, figlia mia, io desidero che tu rimanga istruita sulla decenza con cui si devono maneggiare tutte le cose consacrate e dedicate al culto divino; e che ne resti ripresa l'irriverenza con cui viene offeso il Signore, in questa materia, perfino dai suoi stessi ministri. Essi non devono biasimare né dimenticare il risentimento che sua Maestà nutre contro di loro per l'indecenza e l'ingratitudine con cui trattano gli ornamenti e le cose sacre, che ordinariamente tengono tra le mani senza attenzione né alcun rispetto. E molto più grande è l'indignazione dell'Altissimo contro coloro che ritraggono frutti e guadagni dal suo sangue preziosissimo, spendendoli e sperperandoli in cose vane, turpi, profane e poco decorose. Per i loro divertimenti vanno alla ricerca di ciò che è più prezioso e stimabile; mentre per il culto e l'onore del Signore si servono di ciò che è più grossolano, spregiato e vile. E quando questo accade, specialmente per i teli di lino che toccano il corpo o il sangue del mio santissimo Figlio, come i corporali e i purificatoi, voglio che sappi come sono mortificati i santi angeli che assistono all'eminente ed altissimo sacrificio della Messa: ritraggono lo sguardo da simili ministri e si meravigliano che l'Onnipotente usi con loro tanta indulgenza e dissimuli la loro temerarietà ed insolenza. E sebbene non tutti incorrono in questa colpa, tuttavia sono molti i delinquenti e pochi quelli che si contraddistinguono nello zelo e nella cura del culto divino, trattando gli oggetti sacri col giusto rispetto: ed anche tra questi pochi, non tutti fanno ciò con retta intenzione e per dovuta riverenza, ma per vanità o per altri fini terreni. In questo modo vengono ad essere molto rari quelli che con animo puro e sincero adorano il Creatore in spirito e verità.

446. Considera, carissima, quanto ciò debba sensibilizzare noi che stiamo sotto lo sguardo attento dell'Altissimo: se da un lato conosciamo la sua bontà immensa che creò gli uomini affinché lo adorassero e gli dessero riverenza e culto - e perciò infuse questa legge nella loro stessa natura e diede loro in potere, con liberalità, tutto il resto delle creature - dall'altro siamo costretti ad osservare 1'ingratitudine con la quale essi corrispondono al loro immenso creatore. Essi ricevono i beni dalla sua mano generosa e si comportano in modo meschino, lesinandogli persino l'onore: a tal fine scelgono, infatti, ciò che è più vile ed abietto; per la loro vanità, invece, ciò che è più prezioso e pregevole. Questa colpa è poco considerata e conosciuta; perciò voglio che tu non solo la pianga con sincero dolore, ma che faccia tutto il possibile, finché sarai superiora, per riparare tale errore. Dà il meglio al Signore, ed ammonisci le tue suore affinché, con il cuore colmo di rettitudine e devozione, si studino di venerare e mantenere monde le cose sacre, e non solo per il loro monastero, ma anche per le chiese povere che non sono provviste di corporali e altri oggetti ornamentali. Ed abbiano la ferma certezza che il Signore premierà il santo zelo per il suo sacro culto, e come Padre verrà incontro alla loro povertà e alle necessità del convento, che non dovrà mai più soffrire l'indigenza. Questo è l'ufficio più consono ed adatto alle spose di Cristo; ed in esso dovrebbero esercitarsi nel tempo che avanza dopo il coro e gli altri impegni dell'obbedienza. E se tutte le suore abbracceranno, con retto fine, le occupazioni oneste, lodevoli e gradite a Dio niente mancherà loro per il sostentamento della vita e già sulla terra vivranno in una condizione angelica e celeste. E proprio perché non vogliono attendere a questo servizio del Signore, molte, abbandonate dalla sua mano, si voltano verso pericolose leggerezze e distrazioni che essendo tanto abominevoli, agli occhi miei, non voglio che tu le scriva o le pensi se non per il solo motivo di piangerle nel tuo cuore e di chiedere a Dio il rimedio dei peccati che tanto lo irritano, offendono e disgustano.

447. Dal momento che il mio cuore è incline a rimirare amorosamente le monache del tuo convento, voglio che in nome mio e da parte mia tu le ammonisca a vivere sempre ritirate e morte al mondo, dimenticando tutto ciò che vi è in esso. Inoltre, la conversazione tra loro sia sulle cose celesti e divine e, soprattutto, cerchino di conservare intatta la pace e la carità. E se in ciò saranno ubbidienti, io prometto loro - come faccio con te - la mia eterna protezione quale Madre, rifugio e difesa. E similmente se non mi tradiranno, offrirò loro la mia continua ed efficace intercessione presso il mio santissimo Figlio. Per ottenere tutto ciò, inculcherai in loro speciale devozione e amore verso di me: siano essi impressi nel cuore, giacché con questa fedeltà otterranno tutto quello che tu desideri e che io farò per loro. Ed ancora con gioia si applichino prontamente alle cose del culto divino, ricordando quello che io facevo per il servizio del mio santissimo Figlio e del tempio. Voglio, inoltre, che sappi come i santi angeli restavano meravigliati dello zelo, della sollecitudine e dell'attenzione con cui io maneggiavo tutte le cose che dovevano servire al mio Figlio e Signore. Questa premura amorosa e riverente mi fece preparare tutto quello che era necessario per allevarlo, senza che mi mancasse - come alcuni credono - alcunché per coprirlo e accudirlo, perché come potrai intuire, in tutta questa Storia, non si confaceva, né alla mia accortezza e tantomeno al mio amore, l'essere negligente o distratta in questo servizio.

Augustinus
25-12-05, 11:33
Libro IV, Cap. 8, §§ 448-455

CAPITOLO 8

Viene pubblicato l'editto dell'imperatore Cesare Augusto per censire la popolazione di tutto l'impero; la condotta di san Giuseppe quando ne venne a conoscenza.

448. Fu stabilito dalla volontà immutabile dell'Altissimo che il suo Figlio unigenito dovesse nascere nella città di Betlemme. Questo decreto divino era stato predetto, molto tempo prima di adempirsi, dai Santi e dai Profeti dell'Antico Testamento; poiché la volontà del Signore è sempre infallibile. Passeranno i cieli e la terra prima che possa aver compimento, giacché nessuno può opporvisi. Il Signore dispose l'esecuzione di questo decreto per mezzo di un editto pubblicato dall'imperatore Cesare Augusto nell'impero romano, affinché, come riferisce san Luca, fosse enumerata e registrata tutta la popolazione del mondo. Si estendeva, allora, l'impero romano per gran parte della terra conosciuta, e perciò i suoi principi si chiamavano signori di tutto il mondo, non tenendo conto del resto. Tutti gli abitanti dovevano ritenersi vassalli dell'imperatore, e tributargli un determinato censo, dovuto al naturale signore del potere temporale. E ciascuno si recava ad iscriversi nel registro comune della propria città. Giunse questo editto a Nazaret; ed arrivò la notizia anche a san Giuseppe, il quale tornando a casa - perché l'aveva intesa mentre era fuori - afflitto e mesto diede spiegazione alla divina sposa sul contenuto e la novità dell'editto. La prudentissima Vergine rispose: «Non vi turbi, signore e sposo mio, l'editto dell'imperatore terreno, perché tutti i nostri eventi stanno a cuore al Signore, re del cielo e della terra; e la sua provvidenza ci sosterrà e ci verrà incontro in ogni circostanza. Rimettiamoci dunque a lui, pieni di confidenza, e vedrete che non saremo delusi».

449. A Maria santissima erano noti tutti i misteri del figlio, e conosceva inoltre le profezie e il loro compimento: l'Unigenito del Padre e suo doveva nascere a Betlemme come povero pellegrino e straniero. Nulla, comunque, di tutto questo ella manifestò a san Giuseppe, perché senza l'ordine del Signore non avrebbe mai svelato il suo segreto. E su tutto ciò che non le veniva comandato di dire taceva assennatamente, perché, nonostante nutrisse il desiderio di consolare il suo fedelissimo e santo sposo Giuseppe, voleva abbandonarsi obbediente alla guida di Dio, e comportarsi così come donna prudente e saggia. Discussero subito su ciò che dovevano fare, perché già si approssimava il parto della divina Signora, essendo inoltrata la sua gravidanza. San Giuseppe le disse: «Signora mia, regina del cielo e della terra, se non avete ordini diversi dall'Altissimo, mi pare opportuno che io vada ad adempire questo editto dell'imperatore. Potrei, anche, andarvi da solo - perché l'esecuzione di tale dovere compete ai capi delle famiglie - tuttavia non ho il coraggio di lasciarvi senza assistenza; né io posso vivere senza la vostra presenza e avere un momento di quiete standovi lontano, perché non è possibile che il mio cuore stia tranquillo senza vedervi. D'altra parte mi sembra impossibile che voi possiate venire con me a Betlemme per eseguire l'ordine dell'imperatore, essendo molto vicino il tempo del vostro divin parto. E proprio per questo motivo e per la mia povertà non oso esporvi ad un rischio tanto evidente. Il mio dolore e la mia afflizione sarebbero così indicibilmente grandi, se qualche disagio vi accadesse durante il viaggio, ed io non fossi in grado di soccorrervi. Questo pensiero mi tormenta. Vi supplico, Signora mia, di presentare ciò al cospetto dell'Altissimo e di pregarlo che ascolti il desiderio di non separarmi da voi».

450. L'umile sposa accondiscese a ciò che san Giuseppe le chiedeva. E benché non ignorasse la volontà divina, accettò di obbedire a questa richiesta. Presentò al Signore la volontà e i desideri del suo fedelissimo sposo e sua Maestà le rispose: «Amica e colomba mia, obbedisci al mio servo Giuseppe in quello che desidera. Accompagnalo nel viaggio. Io sarò con te, e ti assisterò con paterno amore nei travagli e nelle tribolazioni che per me soffrirai. Saranno molto grandi, ma il mio braccio onnipotente ti aiuterà a venirne fuori in modo glorioso. I tuoi passi saranno belli agli occhi miei. Non temere, mettiti in cammino, perché questa è la mia volontà». Immediatamente il Signore davanti agli occhi della divina Madre intimò ed ordinò ai santi angeli protettori che la servissero in quel viaggio con speciale assistenza e diligente sollecitudine, conformemente a quanto di mirabile e misterioso sarebbe potuto accadere. Oltre ai mille angeli, che abitualmente la custodivano, il Signore comandò ad altri novemila di assistere la loro Regina e signora, e di servirla, in modo che, fin dall'inizio del viaggio, l'accompagnassero tutti e diecimila assieme. Così avvenne, e tutti, come fedelissimi servi e ministri del Signore, la servivano, come dirò in seguito. La celeste Regina fu preparata e corroborata da una nuova luce divina, in cui conobbe i misteri dei travagli che l'attendevano, dopo la nascita del bambino divino, a causa della persecuzione di Erode e di altre preoccupazioni e tribolazioni che sarebbero sopravvenute. Ed ella offrì, per tutto ciò, il suo invitto cuore, senza alcun turbamento, e rese grazie al Signore per le meraviglie che in lei operava e disponeva.

451. La gran Regina del cielo ritornò con la risposta a san Giuseppe, e gli rivelò che era volontà dell'Altissimo che ella gli prestasse obbedienza e l'accompagnasse nel suo viaggio a Betlemme. Il santo sposo rimase pieno di nuovo giubilo e consolazione; e riconoscendo questo gran favore dalla mano del Signore, lo ringraziò con profondi atti di umiltà e riverenza. Quindi, parlando alla sua sposa disse: «Signora mia e causa della mia gioia, della mia felicità e della mia fortuna, mi rimane solo la sofferenza dei travagli che in questo viaggio dovete patire, dal momento che non ho i mezzi per eliminarli e rendervi il viaggio comodo ed agiato. A Betlemme, però, troveremo parenti, conoscenti ed amici della nostra famiglia; spero che saremo accolti con carità, cosicché là possiate ristorarvi della fatica del viaggio - se l'Altissimo così dispone - come io vostro servo desidero». Il santo sposo Giuseppe in cuor suo si augurava che le sue attese si avverassero, ma il Signore aveva già disposto diversamente. E proprio perché rimasero frustrati i suoi desideri, provò poi maggiore amarezza, come si narrerà. Maria santissima non palesò a Giuseppe quello che ella, illuminata dal Signore, aveva previsto riguardo il mistero del suo divin parto, benché fosse a conoscenza che nulla di quanto egli pensava sarebbe accaduto. Ed infondendogli coraggio, disse: «Sposo e signore mio, io verrò volentieri in compagnia vostra. Faremo il viaggio come poveri in nome dell'Altissimo, poiché il Signore non disprezza quella povertà che viene a cercare con tanto amore. E dal momento che la sua protezione e difesa ci saranno assicurate nella necessità e nel travaglio, riponiamo in lui la nostra confidenza. E voi signor mio gettate su di lui tutte le vostre preoccupazioni ed affanni».

452. Stabilirono, subito, il giorno della partenza; ed il santo sposo andò per Nazaret a cercare qualche bestia da soma, su cui trasportare la Signora del mondo; ma non poté facilmente trovarla, perché tanta gente stava recandosi in diverse città al fine di eseguire l'ordinanza dell'imperatore. Dopo molte accurate e penose ricerche, san Giuseppe trovò un umile asinello, che potremmo chiamare veramente fortunato. E lo fu di certo, fra tutti gli animali privi di ragione, perché non solo portò la Regina di ogni cosa creata, e con lei il Re dei re, ma anche si trovò presente alla nascita del bambino e rese al suo creatore l'ossequio che gli uomini gli negarono, come si dirà in seguito. Prepararono così il necessario per il viaggio, che durò cinque giorni. I celesti viandanti portarono le stesse cose che avevano disposto nel primo viaggio alla casa di Zaccaria, come si è già detto nel libro terzo, capitolo quinto: solamente pane, frutta ed alcuni pesci, che costituivano il cibo ordinario, anzi il più squisito di cui facevano uso. E siccome la prudentissima Vergine sapeva, per luce divina, che avrebbe fatto ritorno a casa sua dopo lungo tempo, non solo portò i panni e le fasce per il suo divin parto, ma, passando inosservata, dispose le cose in maniera tale che servissero al compimento del volere del Signore. Lasciarono così la loro casa in custodia ad una persona, perché ne avesse cura fino al loro ritorno.

453. Giunse il giorno e l'ora di partire per Betlemme. Il fedelissimo e fortunato Giuseppe trattava già con straordinaria e somma riverenza la sua sovrana sposa; e come vigilante e premuroso servo cercava di accontentarla e servirla. La pregò, allora, con grande affetto, di fargli presente tutto ciò che desiderava, per soddisfare tutti i suoi bisogni, quali il riposo e il sollievo, e per il compiacimento del Signore che portava nel suo seno verginale. L'umile Regina gradì l'espressione di queste cortesie, e la riferì, dedicandola, alla gloria ed all'ossequio del suo santissimo Figlio. Maria santissima consolò ed incoraggiò il suo sposo ad affrontare le asperità del viaggio, mentre continuamente lo assicurava della benevolenza che sua Maestà nutriva verso di lui per tutte le sue premure e la fortezza e la gioia con cui entrambi, poveri e pellegrini, avrebbero via via accettato i disagi del cammino. E prima di partire, la Regina del cielo si mise in ginocchio e pregò san Giuseppe di darle la benedizione. L'uomo di Dio oppose resistenza, provando tanta difficoltà a farlo, per la dignità della sua sposa; ma ella vinse in umiltà e dolcemente l'obbligò a dargliela. San Giuseppe lo fece con gran timore e riverenza; subito con abbondanti lacrime si prostrò a terra e la pregò di offrirlo nuovamente al suo santissimo Figlio, e di ottenergli il perdono e la divina grazia. Dopo questa preparazione partirono da Nazaret per Betlemme nel cuore dell'inverno, circostanza, questa, che rendeva il viaggio più scomodo e penoso; ma la Madre che portava nel suo seno la vita, pensava solo a conversare santamente con il bambino divino, rimirandolo sempre nel suo talamo verginale, imitandolo nei movimenti ed attribuendogli onore e gloria più di tutte le altre creature insieme.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

454. Figlia mia, in ciascuno dei capitoli, sulla storia della mia vita e sui misteri divini, che vai descrivendo, conoscerai l'ammirabile provvidenza dell'Altissimo ed il suo paterno amore verso di me, sua umile serva. Certamente, il pensiero umano non può degnamente comprendere e ponderare questi prodigi di sublime sapienza, e quindi deve venerarli con tutte le forze ed essere pronto ad imitarmi, nonché a rendersi partecipe delle grazie che il Signore mi elargì. I mortali, infatti; non devono credere che solo verso di me e per me Dio abbia voluto mostrarsi santo, onnipotente ed infinitamente buono, poiché è certo che, se un'anima anzi tutte le anime si abbandonassero completamente al volere e alla guida del Signore, subito conoscerebbero, per esperienza, quella stessa fedeltà, attenzione e amorevole forza con cui sua Maestà disponeva, tramite me, tutte le cose che riguardavano la sua gloria ed il suo servizio. Ed ancora, avvertirebbero quelle dolcissime e divine mozioni che io sentivo abbandonandomi alla sua santissima volontà; e riceverebbero anche la sovrabbondanza dei suoi doni che come in un pelago infinito stanno rinchiusi nella sua divinità. E come le acque del mare traboccherebbero con impeto invincibile, se si potesse aprire un canale verso cui defluire per naturale inclinazione, a tal guisa si riverserebbero le grazie e i benefici del Signore sopra le creature razionali, se queste aprissero il loro cuore, lasciando spazio e non ostacolando la corrente divina. Gli uomini, purtroppo, ignorano questa verità, perché non si fermano a riflettere ed a considerare le opere dell'Altissimo.

455. Quanto a te desidero che studi questa scienza e la imprimi nel tuo cuore, e che, ancora, impari dalle mie opere a tener celato ciò che serbi nel tuo intimo. Voglio poi che tu viva obbediente e sottomessa a tutti, preferendo sempre l'altrui opinione al tuo giudizio. Per obbedire ai tuoi superiori ed ai padri spirituali tu devi chiudere gli occhi, anche se pensi che succederà il contrario di quello che ti comandano: anch'io del resto sapevo che non si sarebbe mai avverato quello che il mio santo sposo sperava che accadesse nel viaggio verso Betlemme. E se un ordine ti fosse dato da una persona inferiore o uguale a te, taci e dissimula; eseguilo se non c'è peccato o imperfezione. Ascolta tutti con silenzio ed attenzione. Nel parlare sii parsimoniosa e moderata: ciò è da persona prudente ed accorta. Ti ricordo nuovamente, per tutto quello che farai; di pregare il Signore e di chiedergli la sua benedizione, affinché non ti allontani dalla sua divina benevolenza. E se ne avrai l'opportunità, chiedi anche il permesso e la benedizione al tuo padre spirituale e maestro, perché nelle tue azioni non ti manchi il merito e la perfezione, e tu possa accontentarmi in ciò che desidero da te.

Augustinus
25-12-05, 11:37
Libro IV, Cap. 9, §§ 456-467

CAPITOLO 9

Il viaggio che Maria santissima fece da Nazaret a Betlemme in compagnia del santo sposo Giuseppe e degli angeli che l’assistevano.

456. Partirono da Nazaret per Betlemme Maria purissima e il glorioso san Giuseppe, agli occhi del mondo tanto soli quanto poveri ed umili pellegrini, senza che nessuno dei mortali li reputasse o stimasse più di quello che l'umiltà e la povertà giungono ad ottenere da loro. Ma, o ammirabili misteri dell'Altissimo, nascosti ai superbi ed imperscrutabili alla prudenza umana! Non camminavano soli, né poveri, né disprezzati, ma prosperi, ricchi e onorati. Erano l'oggetto più degno dell'eterno Padre e del suo amore immenso, e il più stimabile ai suoi occhi. Portavano con sé il tesoro del cielo e della Divinità stessa, e tutta la corte dei cittadini celesti li venerava. Tutte le creature insensibili riconoscevano la viva e vera arca dell'alleanza meglio di come le acque del Giordano riconobbero la sua ombra e figura quando, docili, si divisero per dare libero passaggio ad essa e a quelli che la seguivano. Li accompagnavano i diecimila angeli di cui in precedenza ho detto che erano stati destinati da Dio a servire sua Maestà e la sua santissima Madre in tutto questo viaggio. Queste schiere celesti camminavano in forma umana visibile agli occhi della divina Signora, ciascuno più risplendente di altrettanti soli, facendole scorta. Ella procedeva in mezzo a tutti, presidiata e difesa più di quanto non lo fosse la lettiga di Salomone dai sessanta prodi d'Israele che, con la spada alla cintura, la circondavano. Oltre a questi diecimila angeli, li assistevano molti altri che scendevano e salivano al cielo, inviati dall'eterno Padre al suo Figlio unigenito e alla sua Madre santissima, e da loro ritornavano con i messaggi per cui erano mandati.

457. Con questo seguito regale, nascosto agli occhi dei mortali, Maria santissima e Giuseppe camminavano, sicuri che i loro piedi non sarebbero inciampati nella pietra della tribolazione, perché il Signore aveva comandato ai suoi angeli di portarli sulle mania della loro difesa e custodia. I fedelissimi ministri adempivano quest'ordine, servendo come vassalli la loro grande Regina con ammirazione, lode e giubilo, vedendo contenuti in una semplice creatura tanti misteri insieme e tali perfezioni, grandezze e tesori di Dio, il tutto con tale dignità e decoro, che superava perfino la loro capacità angelica. Cantavano nuovi cantici al Signore, contemplandolo quale sommo re di gloria, che riposava appoggiato alla sua spalliera d'oro, e guardando la Madre divina ora come cocchio incorruttibile e vivo, ora come spiga fertile della terra promessa b, che racchiudeva il grano vivo, ora come la nave ricca del mercante, che portava il grano a nascere nella casa del pane, affinché morendo in terra si moltiplicasse in cielo. Il cammino durò cinque giorni, giacché per la gravidanza della Madre vergine il suo sposo decise di procedere molto lentamente. Per Maria e Giuseppe in questo viaggio non scesero mai le tenebre, perché se talvolta camminavano in qualche ora notturna, gli angeli diffondevano un grandissimo splendore, come se tutte le stelle del cielo messe insieme facessero luce con maggior potenza nel mezzogiorno più chiaro e più sereno. In quelle ore della notte godeva di questo beneficio e della visione degli angeli anche san Giuseppe; in quei momenti formavano tutti insieme un coro celeste, nel quale la grande Signora e il suo sposo si alternavano con gli spiriti superni in ammirabili cantici ed inni di lode, al punto che i campi parevano trasformati in tanti cieli. Così la Regina godette in tutto il viaggio della visione e dello splendore dei suoi ministri e sudditi, nonché dei dolcissimi colloqui interiori che aveva con essi.

458. A questi mirabili favori e piaceri il Signore mescolava alcune pene e alcuni disagi, che la sua divina Madre incontrava nel viaggio. Infatti, l'afflusso della gente nelle locande a motivo del gran numero di persone che viaggiavano in occasione dell'editto imperiale, risultava molto penoso e scomodo per la modestia e riservatezza della purissima Madre vergine e per il suo sposo. Essendo poveri e umili, erano accolti meno degli altri e toccava loro maggiore disagio che non ai ricchi, perché il mondo governato dai sensi normalmente distribuisce i suoi favori a rovescio facendo differenza di persone. I nostri santi pellegrini si sentivano spesso dire parole aspre negli alberghi, dove giungevano stanchi, e in alcuni li congedavano come gente inutile e spregevole; molte volte non davano alla Signora del cielo e della terra altro alloggio che l'angolo di un atrio, mentre altre volte non otteneva neppure questo, cosicché lei e il suo sposo si ritiravano in luoghi più umili e meno dignitosi secondo il giudizio del mondo. Ma in qualsiasi luogo, per vile che fosse, la corte dei cittadini del cielo se ne stava col proprio Re supremo e con la propria Regina. Subito tutti la circondavano come facendo un muro impenetrabile e il talamo di Salomone rimaneva al sicuro e difeso dai timori notturni. Il fedelissimo Giuseppe riposava e dormiva, perché vedeva la Regina dei cieli così custodita dai suoi eserciti divini, e perché ella faceva in modo che il suo sposo si riposasse un po' dalla fatica del cammino. Intanto Maria santissima rimaneva in celesti colloqui con i diecimila angeli che l'assistevano.

459. Benché Salomone nel Cantico abbia racchiuso misteri grandi della Regina del cielo sotto diverse metafore e similitudini, nel capitolo terzo parla più espressamente di quanto accadde alla divina madre durante la gravidanza del suo Figlio santissimo e in questo viaggio, che compì per il suo sacro parto. Fu allora, infatti, che si adempì alla lettera tutto quello che vi si dice della lettiga di Salomone, del suo cocchio e della sua spalliera d'oro, della guardia dei forti d'Israele, i quali godono della visione divina, e tutto il resto di cui parla quella profezia. Mi basta avere accennato alla sua spiegazione in quello che si è detto, per rivolgere tutta la mia ammirazione al mistero della Sapienza infinita in queste opere tanto venerabili per la creatura. Chi tra i mortali sarà così duro da non sentirsi intenerire il cuore? O tanto superbo da non vergognarsi? O tanto spensierato da non restare stupefatto nel vedere una meraviglia composta di così vari e contrari estremi? Un Dio infinito e insieme veramente nascosto nel talamo verginale di una giovane donna, piena di bellezza e di grazia, innocente, pura, graziosa, dolce, amabile agli occhi di Dio e degli uomini, più di tutto quanto il Signore abbia mai creato e creerà in futuro! Questa grande Signora col tesoro della Divinità, disprezzata, afflitta, oltraggiata e rifiutata dalla cieca ignoranza e superbia del mondo! E dall'altra parte nei luoghi più abietti amata e stimata dalla beatissima Trinità, favorita con le sue carezze, servita dai suoi angeli, riverita e difesa dalla loro grande e vigilante custodia! O figli degli uomini, duri di cuore, quanto falsi sono i vostri metri e giudizi, come dice Davide! Stimate infatti i ricchi, disprezzate i poveri, sollevate i superbi, annientate gli umili, rigettate i giusti ed applaudite gli stolti! Cieca è la vostra volontà e fallaci le vostre scelte, per le quali vi trovate poi delusi nei vostri stessi desideri. O ambiziosi, che cercate ricchezze e tesori, e vi trovate poveri ed abbracciati al vento! Se accoglieste la vera arca di Dio, ricevereste e conseguireste molte benedizioni dalla destra divina, come Obed-Èdom! Ma poiché la disprezzaste, successe a molti di voi ciò che avvenne ad Uzzà, venendo castigati come lui.

460. La divina Signora, in mezzo a tutto questo, conosceva e guardava la varietà delle anime di tutti quelli che andavano e venivano; penetrava i loro pensieri più nascosti, lo stato di grazia o di peccato in cui ciascuna anima si trovava e i gradi che vi erano tra questi due estremi. Di molte conosceva se erano predestinate o reprobe, se avrebbero perseverato, se sarebbero cadute o si sarebbero rialzate. Tutta questa varietà le dava motivo di esercitare atti eroici di virtù verso gli uni e a vantaggio degli altri: a molti otteneva la perseveranza, ad alcuni efficace aiuto per sollevarsi dal peccato alla grazia, per altri piangeva e invocava il Signore con intimi affetti e, per i reprobi, benché non chiedesse tanto efficacemente, sentiva un dolore intensissimo per la loro perdizione finale. A volte, affaticata da queste pene assai più che dalle difficoltà del viaggio, sveniva, per cui i santi angeli, pieni di rifulgente luce e bellezza, l'adagiavano fra le loro braccia, affinché in esse riposasse e ricevesse un po' di sollievo. Quanto agli infermi, agli afflitti e ad altri bisognosi, ella li consolava lungo il cammino con la sola preghiera, chiedendo al suo Figlio santissimo il rimedio per le loro tribolazioni e necessità, perché in questo viaggio, per la moltitudine e l'afflusso della gente, si ritirava in disparte senza parlare, occupandosi molto del bambino divino che portava nel grembo e che già si manifestava a tutti. Tale era il contraccambio che la Madre della misericordia dava ai mortali per la cattiva ospitalità che riceveva da loro!

461. E per maggiore vergogna dell'ingratitudine umana, successe qualche volta che, essendo inverno, giungevano alle locande assai infreddoliti per la neve e la pioggia, non volendo il Signore che mancasse loro questa sofferenza. Era dunque necessario rifugiarsi negli stessi luoghi umili dove stavano gli animali, perché gli uomini non ne accordavano loro uno migliore; così, la cortesia e l'umanità che a questi mancava veniva esercitata dalle bestie, le quali si facevano da parte rispettando il loro Creatore e sua Madre, che lo teneva nel grembo verginale. La Signora delle creature avrebbe anche potuto comandare ai venti, al ghiaccio e alla neve che non la sferzassero, ma non lo faceva, per non privarsi dell'imitazione del suo Figlio santissimo nel patire, ancora prima che egli uscisse dal suo seno. Così queste intemperie la fecero molto affaticare nel cammino. Nonostante ciò, il diligente e fedele sposo san Giuseppe si preoccupava di ripararla e ancor più lo facevano gli spiriti angelici, soprattutto il principe san Michele, il quale rimase sempre al lato destro della sua Regina, senza lasciarla un momento in questo viaggio. Spesso la serviva sostenendola col braccio, se era veramente sfinita. Quando era volontà del Signore, la difendeva dall'inclemenza dei temporali e prestava molti altri servizi in ossequio della divina Signora e del frutto benedetto del suo seno, Gesù.

462. Tra l'alternarsi di queste meraviglie, i nostri pellegrini Maria santissima e san Giuseppe giunsero alla città di Betlemme il quinto giorno del loro viaggio, di sabato, alle quattro del pomeriggio, ora in cui nel tempo del solstizio d'inverno il sole va già tramontando e la notte si avvicina. Entrarono nella città cercando qualche albergo e girando molte strade non solo per le locande e le osterie, ma anche per le case dei conoscenti e dei parenti più prossimi; da nessuno furono ricevuti, anzi da molti vennero mandati via bruscamente e con disprezzo. L'onestissima Regina seguiva il suo sposo, che bussava casa per casa e porta per porta, tra il tumulto della molta gente. E quantunque non ignorasse che le porte dei cuori e delle case degli uomini sarebbero rimaste chiuse per loro, per ubbidire a san Giuseppe volle patire quella tribolazione ed onestissima vergogna, che per la sua modestia, per lo stato e l'età in cui si trovava, le fu di maggior dolore che la mancanza dell'alloggio. Girando per la città giunsero alla casa dove stava il registro pubblico e, per non ritornarvi di nuovo, si fecero iscrivere e pagarono il fisco e la moneta del tributo imperiale, liberandosi da questo pensiero. Proseguirono poi la loro ricerca e si recarono ad altri alberghi, ma, avendo chiesto alloggio in più di cinquanta case, da tutti furono rifiutati e mandati via. Gli spiriti superni si meravigliarono dei misteri altissimi del Signore, della pazienza e mansuetudine della sua Madre vergine e dell'incredibile durezza degli uomini. Così stupefatti, benedicevano l'Altissimo per le sue opere e per i suoi arcani misteri, perché da allora in poi volle accreditare e sollevare a tanta gloria l'umiltà e la povertà disprezzata dai mortali.

463. Erano già le nove di sera quando il fedelissimo Giuseppe, pieno di amarezza e di intimo dolore, si rivolse alla sua prudentissima sposa e le disse: «Signora mia dolcissima, in questa situazione il mio cuore viene meno per il dolore, vedendo che non solo non posso trovarvi un posto come voi meritate e il mio affetto desiderava, ma neppure quel tipo di riparo che rare volte, per non dire mai, si nega al più povero e disprezzato del mondo. Vi è senza dubbio qualche mistero, se il cielo permette che i cuori degli uomini non si commuovano a riceverci nelle loro case. Mi ricordo, o Signora, che fuori della città c'è una grotta, che di solito serve ai pastori e al loro gregge. Andiamo là, perché se per caso fosse vuota, lì avrete dal cielo il rifugio che ci manca dalla terra». Gli rispose la prudentissima Vergine: «Sposo e signore mio, non si affligga il vostro pietosissimo cuore nel vedere non adempiuti i vostri desideri ardentissimi, dovuti all'affetto che avete per il Signore. E dato che io lo porto nel mio grembo, per lui stesso vi supplico che vogliamo ringraziarlo di aver disposto così. Il luogo di cui mi parlate soddisferà pienamente i miei desideri. Si cambino in gaudio le vostre lacrime con l'amore ed il possesso della povertà, che è il tesoro ricco ed inestimabile del mio Figlio santissimo. Questo egli viene a cercare dal cielo; prepariamoglielo con cuore lieto, perché la mia anima non ha altra consolazione: dimostratemi che me la date in questo. Andiamo contenti dove il Signore ci guida». I santi angeli indirizzarono a quella destinazione i celesti sposi, facendo loro da luminosissime fiaccole. Arrivati alla grotta, la trovarono deserta, cosicché, pieni di consolazione per questo beneficio, lodarono il Signore e qui avvenne ciò che racconterò nel prossimo capitolo.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

464. Figlia mia carissima, se sarai di cuore condiscendente e docile verso il Signore, i misteri divini che hai scritto e compreso saranno potenti per suscitare in te sentimenti dolci e pieni d'amore verso l'autore di tali e tante meraviglie. Alla sua presenza voglio da te che da oggi in poi tu dia nuovo e grande valore al vederti rifiutata e disprezzata dal mondo. Dimmi sinceramente, amica mia: se in cambio di questo oblio e disprezzo, accettato con volontà lieta, Dio posa su di te i suoi occhi e in te pone la forza del suo amore soavissimo, forse non comprerai a così buon mercato ciò che vale non meno di un prezzo infinito? Che ti daranno gli uomini, quand'anche ti celebrassero e stimassero? E che lascerai tu, se li disprezzi? Non è tutto menzogna e vanità? Non è un'ombra fugace e momentanea che sfugge tra le mani a quelli che si affaticano per stringerla? Dunque, quando tu lo avessi tutto nelle tue, che faresti di grande disprezzandolo per niente? Considera bene che è ancor meno ciò che farai rigettandolo per acquistare l'amore di Dio, quello dei suoi angeli e il mio. Rifiutalo tutto, carissima, e di cuore. E se il mondo non ti disprezzerà tanto quanto devi desiderare, disprezzalo tu e resta libera, procedi spedita e sola, perché si unisca a te il tutto e sommo Bene, perché tu possa ricevere in pienezza i felicissimi effetti del suo amore e corrispondergli liberamente.

465. Il mio Figlio santissimo è amante così fedele delle anime, che pose me come maestra e vivo esempio per insegnare loro l'amore all'umiltà e l'efficace disprezzo della vanità e della superbia. Fu anche sua disposizione che per la sua grandezza e per me, sua serva e madre, mancasse alloggio ed accoglienza tra gli uomini, dando motivo, con questo abbandono, alle anime innamorate ed affettuose di offrirglielo in seguito, cosicché egli si veda obbligato da così ingegnosa volontà a prendere dimora in esse. Inoltre, considera come cercò la solitudine e la povertà, non perché avesse bisogno per sé di questi mezzi per esercitare le virtù in grado perfettissimo, ma per insegnare ai mortali che questo era il cammino più breve e sicuro per giungere all'altezza dell'amore divino e all'unione con Dio.

466. Sai bene, carissima, che sei esortata ed ammaestrata incessantemente con la luce dall'alto, perché, dimentica di quanto è terreno e visibile, ti cinga di fortezza e t'innalzi ad imitarmi, ricopiando in te secondo le tue forze gli atti e le virtù che della mia vita ti manifesto. Questo è il primo scopo della conoscenza che ricevi per scriverla: che tu abbia in me questa norma e di essa ti avvalga per regolare la tua vita e le tue opere nella maniera in cui io imitavo quelle del mio Figlio dolcissimo. Inoltre, devi moderare il timore che ti ha procurato questo comando, che tu hai creduto superiore alle tue forze, prendendo coraggio da quel che dice il mio Figlio santissimo attraverso l'evangelista san Matteo: Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Questa volontà dell'Altissimo, che egli propone alla sua santa Chiesa, non è impossibile ai suoi figli: se essi da parte loro si dispongono bene, a nessuno sarà negata la grazia di conseguire la somiglianza col Padre celeste, perché il mio Figlio santissimo la meritò loro. Ma l'insensato oblio e disprezzo degli uomini per la propria redenzione impedisce loro di conseguire efficacemente il suo frutto.

467. Da te specialmente, figlia mia, voglio questa perfezione, e t'invito ad essa per mezzo della soave legge dell'amore, a cui indirizzo il mio insegnamento. Considera e pondera con la divina luce in quale obbligo io ti pongo e impegnati per corrispondere ad essa con prudenza di figlia fedele e sollecita, senza che t'intralci difficoltà o tribolazione alcuna e senza tralasciare nessuna virtù o azione di perfezione, per ardua che sia. Non devi accontentarti di cercare solamente per te stessa l'amicizia con Dio e la salvezza, ma, se vuoi essere perfetta a mia imitazione e adempiere ciò che il Vangelo insegna, devi procurare la salvezza delle altre anime e l'esaltazione del santo nome del mio Figlio, facendoti strumento nelle sue mani onnipotenti per cose forti e di sua maggior compiacenza e gloria.

Augustinus
25-12-05, 11:40
Libro IV, Cap. 10, §§ 468-488

CAPITOLO 10

Cristo nostro bene nasce da Maria vergine in Betlemme di Giudea.

468. Il palazzo, che il supremo Re dei re e Signore dei signori teneva pronto per alloggiare nel mondo il suo eterno Figlio incarnato per gli uomini, era la più povera ed umile grotta, dove Maria santissima e Giuseppe si ripararono, rifiutati dagli alberghi e dalla pietà naturale degli stessi uomini. Questo luogo era così abietto e disprezzato che, quantunque la città di Betlemme fosse così piena di forestieri da mancare locande dove alloggiare, nessuno si degnò di occuparlo né di abbassarsi fino ad esso, e certamente non era adatto se non ai maestri dell'umiltà e della povertà: Cristo nostro bene e la sua purissima Madre. Essendo così abbandonato, la sapienza dell'eterno Padre lo riserbò ad essi, consacrandolo con gli ornamenti della nudità, della solitudine e povertà, primo tempio della luce, casa del vero sole di giustizia, che presto sarebbe nato per i retti di cuore dalla candidissima aurora Maria, nel mezzo delle tenebre della notte, simbolo di quelle del peccato, che coprivano tutto il mondo.

469. Maria santissima e Giuseppe entrarono in questo alloggio preparato per loro e, per lo splendore che emanavano i diecimila angeli che li accompagnavano, poterono facilmente riconoscerlo povero e solitario come lo desideravano, con grande consolazione e lacrime di gioia. Subito i due santi pellegrini, genuflessi, lodarono il Signore e lo ringraziarono per quel beneficio, che già sapevano essere stato disposto dagli imperscrutabili giudizi dell'eterna sapienza. Di questo alto mistero fu più capace la divina principessa Maria, perché nel santificare con i suoi piedi quella piccola grotta, sentì una pienezza di giubilo interiore che la sublimò e vivificò tutta. Pregò il Signore che rimunerasse con liberalità gli abitanti della città, i quali, con l'averla respinta dalle loro case, le avevano procurato tanto bene quanto ne attendeva in quell'umilissimo luogo. Questo era tutto fatto di macigni naturali e rozzi senza alcuna particolarità ed era tale che gli uomini lo giudicarono adatto solo come rifugio di animali; l'eterno Padre, però, l'aveva destinato ad essere abitazione e riparo del suo stesso Figlio.

470. Gli spiriti angelici, che come milizia celeste custodivano la loro Regina e signora, si ordinarono in schiere, come facenti da corpo di guardia nel palazzo reale. Nella forma corporea ed umana che avevano assunto, si facevano vedere anche dal santo sposo Giuseppe. Infatti, era davvero opportuno che in quella circostanza egli godesse di questo favore, sia per alleggerire la sua pena scorgendo così dovizioso e bello quel povero alloggio con le ricchezze del cielo, sia per sollevare ed animare il suo cuore ed elevarlo ancora di più, in modo che si trovasse disposto agli eventi che il Signore preparava per quella notte in un luogo così disprezzato. La grande Regina ed imperatrice del cielo, che già era informata del mistero da celebrarsi, voleva pulire con le sue stesse mani quella grotta, che ben presto doveva servire da trono regale e sacro propiziatorio, affinché a lei non mancasse l'esercizio dell'umiltà e al suo Figlio unigenito quel culto che era quanto in tale occasione poteva preparargli come ornamento del suo tempio.

471. Il santo sposo Giuseppe, attento alla maestà della sua divina sposa, di cui ella per la sua umiltà sembrava dimenticarsi, la supplicò di non privarlo di quel compito, che in quel momento spettava a lui. Affrettandosi, incominciò a pulire il suolo e gli angoli della grotta, ma non per questo l'umile Signora evitò di fare lo stesso insieme con lui. Tuttavia, essendo presenti i santi angeli in forma umana visibile e - a nostro modo d'intendere - trovandosi come mortificati alla vista di così devota contesa di umiltà della loro Regina, subito con santa emulazione si misero ad aiutarla o, per meglio dire, in brevissimo spazio di tempo ripulirono e spazzarono quella grotta, riempiendola tutta di fragranza. San Giuseppe accese del fuoco con gli attrezzi che a tale scopo aveva portato con sé. E poiché il freddo era grande, vi si avvicinarono per riceverne un po' di sollievo; mangiarono il povero cibo che avevano portato con incomparabile gioia delle loro anime, sebbene la Regina del cielo e della terra, essendo prossima l'ora del suo parto divino, fosse tanto assorta e rapita nel mistero che non avrebbe mangiato niente, se non si fosse frapposta l'obbedienza al suo sposo.

472. Una volta terminato di mangiare, ringraziarono il Signore come facevano sempre. Dopo essersi trattenuti per breve tempo in tale ringraziamento e nel parlare tra loro dei misteri del Verbo incarnato, la prudentissima Vergine, che sapeva già vicina l'ora del suo felicissimo parto, pregò il suo sposo Giuseppe di ritirarsi a riposare e a dormire un poco, perché la notte era già molto avanzata. Il santo uomo ubbidì alla sua sposa e le chiese che ella pure facesse lo stesso; a tal fine aggiustò e preparò con i panni portati con sé una mangiatoia piuttosto larga, posta in terra per gli animali che vi si riparavano. Lasciando così sistemata in questa sorta di letto Maria santissima, il santo Giuseppe si ritirò in un angolo della grotta, dove cominciò a pregare. Subito fu visitato dallo Spirito divino e sentì una forza soavissima e straordinaria da cui fu rapito ed elevato in un'estasi in cui gli fu mostrato tutto ciò che avvenne in quella notte nella fortunata grotta, perché non riprese i sensi fino a che non lo chiamò la divina sposa. Il sonno di san Giuseppe fu più sublime e più felice di quello di Adamo nel paradiso terrestre.

473. La Regina delle creature, nel luogo in cui si trovava, fu nel medesimo tempo mossa da una forte chiamata dell'Altissimo con un'efficace e dolce trasformazione, che la sollevò al di sopra di tutte le cose create, e sentì nuovi effetti del potere divino; questa estasi fu infatti una delle più belle ed ammirabili della sua santissima vita. Immediatamente andò elevandosi sempre più con nuove luci e qualità che le diede l'Altissimo, simili a quelle che in altre occasioni ho raccontato, per giungere con esse alla visione chiara della Divinità. Così disposta, le fu aperto il velo e vide intuitivamente il medesimo Dio con tanta gloria e pienezza di conoscenza, che nessun intelletto angelico ed umano può spiegarlo, né adeguatamente intenderlo. Fu rinnovata in lei la cognizione dei misteri della divinità ed umanità santissima del suo Figlio, che in altre visioni le era stata data, e le vennero nuovamente manifestati altri segreti racchiusi in quell'archivio inesauribile del cuore di Dio. Io non possiedo termini sufficienti e adeguati per manifestare ciò che di questi misteri ho conosciuto con la luce divina, perché la loro abbondanza e fecondità mi rende povera di espressioni.

474. L'Altissimo rivelò alla sua Madre vergine che era già tempo di uscire nel mondo dal suo talamo verginale e in quale modo questo si doveva compiere ed eseguire. La prudentissima Signora conobbe in questa visione le ragioni e i fini altissimi di così ammirabili opere e di così grandi misteri, sia da parte del Signore, sia per ciò che riguardava le creature, per le quali erano immediatamente ordinati. Ella si prostrò dinanzi al trono regale di Dio; rendendogli grazie e gloria, e dandogli magnificenza e lode a nome proprio e di tutte le creature per tanta ineffabile misericordia e degnazione del suo immenso amore, chiese a sua Maestà nuova luce e grazia per operare degnamente nel servizio e nell'educazione del Verbo incarnato, che ella avrebbe stretto nelle sue braccia ed alimentato col suo latte. La divina Madre fece questa preghiera con profondissima umiltà, perché comprendeva l'altezza di un così nuovo mistero, quale era l'allevare e il comportarsi come madre verso Dio fatto uomo, ma anche perché si reputava indegna di tale compito, all'adempimento del quale i più alti serafini erano inadatti. Umilmente e prudentemente la Madre della Sapienza pensava e ponderava ciò. Inoltre, poiché si abbassò sino alla polvere e si annientò tutta alla presenza dell'Altissimo, sua Maestà la innalzò e le diede nuovamente il titolo di Madre sua, comandandole che, come madre vera e legittima, esercitasse questo ufficio e ministero e che lo trattasse come Figlio dell'eterno Padre e unitamente come figlio delle sue viscere. Ben a ragione si poté affidare tutto questo a una simile madre, ed in questa affermazione intendo racchiudere tutto ciò che non posso spiegare a parole.

475. Maria santissima rimase in questa estasi più di un'ora, quella immediatamente precedente il suo parto divino. Uscendo quindi da questa visione beatifica e proprio mentre riprendeva i sensi, riconobbe e vide che il corpo del bambino Dio si muoveva nel suo grembo verginale, distaccandosi da quel luogo naturale, dove aveva dimorato nove mesi, e già stava per uscire da quel sacro talamo. Questo movimento del bambino non solo non provocò alla Vergine madre dolore o pena di sorta, come alle altre figlie di Adamo ed Eva in tale situazione, ma anzi la riempì tutta di giubilo e gioia incomparabili, dando origine nell'anima e nel corpo verginale di lei a effetti così alti e divini da sorpassare ogni pensiero creato. Ella rimase nel corpo tanto spiritualizzata e talmente bella e rifulgente, che non pareva neppure una creatura umana e terrena. Il volto, bellissimo, emanava raggi di luce, come un sole. L'espressione era assai grave, piena di maestà ammirabile, e il cuore infiammato e fervido. Stava genuflessa nella mangiatoia, con gli occhi sollevati al cielo, le mani giunte e strette al petto, lo spirito immerso nella Divinità e tutta divinizzata. In questa posizione, sul finire di quell'estasi divina, l'eminentissima Signora diede al mondo l'unigenito del Padre e suo, il nostro salvatore Gesù, Dio e uomo vero, a mezzanotte, in giorno di domenica, nell'anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mondo, come la Chiesa romana insegna, giacché questo conto mi è stato rivelato essere quello certo e vero.

476. Le altre circostanze e condizioni di questo divinissimo parto, benché tutti i fedeli le suppongano miracolose, pur non avendo avuto altri testimoni che la stessa Regina del cielo e i suoi vassalli, non si possono sapere tutte nei dettagli eccetto quelle che il Signore stesso ha manifestato alla sua santa Chiesa nel suo insieme o ad anime particolari in diversi modi. Ora, poiché in questo credo ci siano delle differenze e poiché la materia è altissima ed in tutto venerabile, avendo io manifestato ai superiori quanto conobbi circa questi misteri per scriverli, mi fu nuovamente ordinato di consultare la divina luce e domandare alla Regina del cielo, mia madre e maestra, e ai santi angeli che mi assistono e risolvono le difficoltà che mi si presentano, alcuni particolari utili alla maggiore spiegazione del parto sacratissimo di Maria, madre di Gesù nostro redentore. Avendo adempiuto questo comando, mi fu manifestato che accadde nella seguente maniera.

477. Al termine della visione beatifica e dell'estasi della Madre sempre vergine, nacque da lei il sole di giustizia, Figlio dell'eterno Padre e suo, bellissimo, rifulgente e puro, lasciandola ancor più divinizzata e consacrata nella sua integrità e purezza. Infatti, non divise, ma penetrò il chiostro verginale, appunto come i raggi del sole che, senza danneggiare una vetrata cristallina, la penetrano lasciandola più bella e risplendente. Prima però di spiegare il modo miracoloso in cui tale cosa avvenne, dico che il bambino Dio nacque solo e puro senza quella membrana che chiamano secondina, nella quale vengono ordinariamente alla luce gli altri bambini ed in cui sono avvolti nel grembo delle loro madri. Non mi trattengo nel dire la causa da cui poté avere origine l'errore che si è introdotto di credere il contrario. Basta sapere e supporre che, nella generazione del Verbo incarnato e nella sua nascita, il braccio onnipotente dell'Altissimo prese e scelse dalla natura tutto quello che apparteneva alla verità e sostanza della generazione umana, affinché il Verbo, fatto uomo vero, si definisse realmente concepito, generato e nato come figlio dalla sostanza della sua Madre sempre vergine. Tuttavia, quanto alle altre condizioni che non sono essenziali, ma accidentali alla generazione e alla nascita, riguardo a Cristo e alla sua Madre santissima non solo devono essere escluse quelle che hanno dipendenza dalla colpa originale o attuale, ma anche molte altre, che non derogano alla sostanza della generazione o della nascita e negli stessi confini della natura contengono qualche impurità o superfluità non necessaria a far sì che la regina del cielo si chiami madre vera e Cristo nostro Signore figlio suo e nato da lei. Infatti, questi effetti del peccato o della natura non erano necessari ne per la verità dell'umanità santissima, né per la missione di redentore e di maestro; e ciò che non era necessario per questi tre fini e la cui mancanza peraltro risultava a maggior gloria di Cristo e della sua Madre santissima, si deve negare in entrambi. D'altra parte, con l'Autore della natura e della grazia e con colei che fu sua degna Madre, preparata, adornata e sempre favorita ed abbellita, non si devono limitare i miracoli necessari a tal fine, dato che la divina destra continuò in tutti i tempi ad arricchire questa grande Signora di grazie e di doni, compiendo in lei col suo potere quanto non fu mai possibile in un'altra semplice creatura.

478. Conformemente a questa verità, il fatto che ella fosse vergine nel concepire e partorire per opera dello Spirito Santo, restando poi sempre vergine, non le impediva di essere vera madre. Inoltre, anche se la natura senza sua colpa avrebbe potuto perdere questo privilegio, sarebbe mancata alla divina Madre una tanto rara e singolare eccellenza e, affinché ella non ne rimanesse priva, gliela concesse il potere del suo Figlio santissimo. Il bambino Dio avrebbe anche potuto nascere con la detta membrana come gli altri, ma questo non era necessario per nascere come figlio della sua legittima Madre e perciò non la portò con sé dal materno grembo verginale; d'altra parte, questo parto non pagò alla natura neppure gli altri tributi di minor purezza, che normalmente si versano. Non era giusto che il Verbo incarnato passasse per le leggi comuni ai figli di Adamo, anzi, era come conseguente al miracoloso modo di nascere che questo fosse privilegiato e libero da quanto avrebbe potuto essere materia di corruzione o di minor purezza. Inoltre quella membrana non si doveva corrompere fuori dal grembo verginale, essendo stata così vicina e unita al suo corpo santissimo ed essendo parte del sangue e della sostanza materna; neppure era conveniente custodirla e conservarla, o che toccassero ad essa le condizioni ed i privilegi che furono comunicati al corpo divino per uscire penetrando quello della sua Madre santissima. Il miracolo col quale sarebbe stato necessario disporre di essa se fosse uscita dal grembo, si poté operare meglio lasciandola dentro.

479. Dal talamo verginale, dunque, il bambino Dio nacque solo e senz'altra cosa materiale o corporea che lo accompagnasse. Ne uscì, però, glorioso e trasfigurato, perché la Sapienza infinita dispose ed ordinò che la gloria dell'anima santissima ridondasse e si comunicasse al corpo del bambino Dio al momento di nascere, partecipandogli le doti di gloria, come avvenne poi sul Tabor alla presenza dei tre apostoli. Questa meraviglia non fu necessaria per penetrare il chiostro verginale e lasciarlo intatto, perché senza queste doti Dio avrebbe potuto fare altri miracoli, in modo che il bambino nascesse lasciando vergine la Madre, come dicono i santi dottori, i quali non conobbero altro mistero in questa natività. Tuttavia, la volontà divina fu che la prima volta la beatissima Madre vedesse il suo Figlio, uomo-Dio, glorioso nel corpo, e ciò per due fini. Il primo consistette nel far sì che, alla vista di quell'oggetto divino, la prudentissima Madre concepisse l'altissima riverenza con la quale doveva trattare il suo Figlio, vero Dio e vero uomo. E anche se era stata prima informata di tutto ciò, il Signore dispose che con tale mezzo le venisse infusa nuova grazia, corrispondente all'esperienza che faceva della divina eccellenza del suo dolcissimo Figlio e della sua maestà e grandezza. Il secondo fine di questa meraviglia fu premiare la fedeltà e santità della divina Madre, affinché i suoi occhi purissimi e castissimi, che si erano chiusi a tutte le cose terrene per amore del suo Figlio santissimo, lo vedessero subito nel nascere con tanta gloria e ricevessero quel godimento in premio della loro felicità e castità.

480. L'evangelista san Luca dice che la Madre vergine, avendo partorito il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, ma non spiega chi lo mise fra le sue braccia dopo che fu uscito dal grembo, perché questo non era nel suo intento. I ministri di quest'azione furono i due principi sovrani san Michele e san Gabriele, i quali, poiché assistevano in forma umana corporea al mistero, nell'istante in cui il Verbo incarnato, penetrando per virtù propria il talamo verginale, uscì alla luce, dalla dovuta distanza lo presero nelle loro mani con incomparabile venerazione. Poi, come il sacerdote mostra al popolo l'Ostia sacra perché l'adori, così appunto questi due ministri celesti presentarono agli occhi della divina Madre il suo Figlio glorioso e rifulgente. Tutto questo successe in un breve spazio di tempo. Ora, nel momento in cui i santi angeli presentarono il bambino Dio a sua Madre, il figlio e la madre santissimi si guardarono reciprocamente, rapendo ella il cuore del dolce bambino e restando nel tempo stesso elevata e trasformata in lui. Il Principe celeste dalle mani dei santi arcangeli parlò alla sua felice Madre e le disse: «Madre, assimilati a me, perché, per l'esistenza umana che mi hai dato, voglio darti da oggi in poi una nuova esistenza di grazia più sublime, che, pur essendo propria della semplice creatura, assomigli al tempo stesso alla mia per imitazione perfetta». Rispose la prudentissima Madre: «Attirami, o Signore; e dietro di te correremo al profumo dei tuoi unguenti». Qui si compirono molti degli arcani misteri del Cantico e tra il bambino Dio e la sua Madre vergine intercorsero altri divini colloqui di quelli che vi sono riferiti, come: Il mio diletto è per me e io per lui. La sua brama è verso di me. Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono colombe. Come sei bello, o mio diletto, quanto grazioso!. Per riferire tutti gli altri misteri che avvennero sarebbe necessario prolungare questo capitolo più di quel che conviene.

481. A Maria santissima, con le parole che udi dalla bocca del suo dilettissimo Figlio, furono palesati anche gli atti interiori della sua anima santissima unita alla Divinità, affinché, imitandoli, si assimilasse a lui. Questo beneficio fu il più grande che la fedelissima e fortunata Madre ricevette dal suo figlio, vero uomo e vero Dio, non solo perché da quell'ora le fu continuo per tutta la vita di lui, ma anche perché egli fu l'esempio vivo su cui ella modellò la sua vita, con tutta la somiglianza possibile tra colei che era semplice creatura e Cristo. Nello stesso tempo, la divina Signora conobbe e sentì la presenza della santissima Trinità e udì la voce dell'eterno Padre che diceva: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. E la prudentissima Madre, tutta divinizzata fra così eccelsi misteri, rispose dicendo: «Eterno Padre e Dio altissimo, Signore e creatore dell'universo, datemi di nuovo la vostra licenza e benedizione, per ricevere con essa nelle mie braccia l'atteso dalle genti e insegnatemi ad adempiere, nel ministero di madre indegna e di schiava fedele, la vostra divina volontà». Udì subito una voce che le diceva: «Prendi il tuo Figlio unigenito, imitalo e allevalo, ma ricorda che dovrai sacrificarlo a me quando io te lo chiederò. Nutrilo come madre e veneralo come tuo vero Dio». Rispose la divina Madre: «Ecco l'opera delle vostre mani divine: ornatemi con la vostra grazia, affinché il vostro Figlio e mio Dio mi accetti per sua schiava e, resa adeguata dal vostro grande potere, io non manchi nel suo servizio; non sia temerarietà che l'umile creatura tenga nelle sue mani ed alimenti col suo latte il suo stesso Signore e creatore».

482. Terminati questi colloqui così pieni di divini misteri, il bambino Dio sospese il miracolo, o tornò a continuare quello con cui sospendeva le doti della gloria del suo corpo santissimo, rimanendo questa ristretta nell'anima, e si mostrò senza tali doti nel suo essere naturale e passibile. Inoltre, la sua Madre purissima lo vide in questo stato e con profonda umiltà e riverenza, adorandolo nella posizione in cui ella si trovava, cioè genuflessa, lo ricevette dalle mani dei santi angeli. Quando l'ebbe preso fra le sue, gli parlò così: «Dolcissimo amore mio, luce dei miei occhi ed anima della mia anima, siete venuto al mondo in un buon momento, o sole di giustizia, per scacciare le tenebre del peccato e della morte. Dio vero da Dio vero, riscattate i vostri servi, e ogni mortale veda colui che gli reca la salvezza. Ricevete per la vostra gloria la vostra schiava e supplite alla mia inadeguatezza nel servirvi. Rendetemi, o Figlio mio, così come volete che io sia verso di voi». Subito dopo la prudentissima Madre si rivolse al Padre, offrendogli il suo Unigenito: «Altissimo creatore di tutto l'universo, ecco l'altare e il sacrificio gradito ai vostri occhi. D'ora in poi, Signore mio, guardate il genere umano con misericordia e, quantunque meritiamo il vostro sdegno, è pur tempo che esso si plachi per riguardo del Figlio vostro e mio. Si plachi ormai la giustizia e la vostra misericordia sia magnificata, perché a tal fine il Verbo divino si è vestito di una carne simile a quella del peccato e si è fatto fratello dei mortali e dei peccatori. Per questo titolo li riconosco come figli e prego per essi dall'intimo del mio cuore. Infatti, se voi, o Dio onnipotente, mi avete resa Madre del vostro unigenito senza che io lo meritassi, perché questa dignità è superiore a tutti i meriti delle creature, devo in parte anche agli uomini la mia incomparabile fortuna, giacché per essi sono Madre del Verbo incarnato passibile, redentore di tutti. Non negherò a essi il mio amore, la mia sollecitudine e la mia premura per la loro salvezza. Accogliete, Dio eterno, i miei desideri e le mie preghiere a questo proposito, che è ad un tempo di vostra compiacenza e volontà».

483. La Madre della misericordia si rivolse anche a tutti i mortali e parlando con loro disse: «Si consolino gli afflitti, si rallegrino gli sconsolati, si rialzino i caduti, si plachino gli inquieti, risuscitino i morti, si allietino i giusti, esultino i santi, ricevano nuovo giubilo gli spiriti celesti, si confortino i Profeti e i Patriarchi del limbo e tutti i popoli lodino e magnifichino il Signore, che ha rinnovato le sue meraviglie. Venite, venite, o poveri; avvicinatevi, o fanciulli, senza timore. Tengo nelle mie mani fatto agnello mansueto colui che si chiama leone, fatto debole l'onnipotente, sottomesso l'invincibile. Venite per trovare la vita, accorrete per acquistare la salvezza, avvicinatevi per conseguire il riposo eterno, poiché lo possiedo per tutti, vi sarà dato gratuitamente e ve lo comunicherò senza invidia. Non vogliate essere tardi, né duri di cuore, o figli degli uomini. E voi, o dolce bene dell'anima mia, datemi quel bacio tanto bramato da tutte le creature». Così dicendo la felicissima Madre avvicinò le sue divine e castissime labbra per fare tenere ed amorevoli carezze al bambino Dio, il quale le attendeva da lei come suo vero figlio.

484. Tenendolo così nelle sue braccia, la Regina delle creature fece da altare e da sacrario, dove i diecimila angeli in forma umana adorarono il loro Creatore fatto uomo. Inoltre, poiché la beatissima Trinità assisté in modo speciale alla nascita del Verbo, il cielo fu lasciato come deserto dai suoi abitanti, perché tutta quella corte invisibile si trasferì alla felice grotta di Betlemme per adorarvi il suo creatore in quell'aspetto nuovo e peregrino. Fu allora che in sua lode gli angeli intonarono quel canto nuovo: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama e con dolcissima e sonora armonia lo ripeterono, stupefatti per le nuove meraviglie che vedevano poste in atto e per l'ineffabile pnidenza, grazia, umiltà e bellezza di una giovane donna di quindici anni, degna depositaria e ministra di tali e tanti misteri.

485. Già era tempo che la prudentissima ed accorta Signora chiamasse il suo fedelissimo sposo san Giuseppe, il quale, come ho detto prima, era rapito in un'estasi divina, in cui conobbe per rivelazione tutti i misteri del sacro parto che in quella notte si celebrarono. Conveniva, tuttavia, che anche con i sensi del corpo vedesse, toccasse, venerasse e adorasse il Verbo incarnato prima di qualsiasi altro mortale, perché egli solo era fra tutti eletto come dispensatore fedele di così eccelso mistero. Uscì dall'estasi per volontà della sua divina sposa e, ripresi i sensi, la prima cosa che vide fu il bambino Dio nelle braccia della sua Madre vergine, appoggiato al suo sacro volto e adagiato sul suo petto. Qui lo adorò tra le lacrime con profondissima umiltà. Gli baciò i piedi con tale giubilo ed ammirazione che gli sarebbe venuta meno la vita, se questa non gli fosse stata conservata dalla forza divina, ed avrebbe perso i sensi, se in quella circostanza non gli fosse stato necessario farne uso. Dopo che il santo Giuseppe ebbe adorato il bambino, la prudentissima Madre chiese licenza al suo medesimo Figlio di sedersi e lo avvolse in fasce e pannicelli, che il suo sposo le porgeva con incomparabile riverenza, devozione e delicatezza. Così fasciato, la stessa Madre divina lo depose nella mangiatoia, dopo aver posto un po' di paglia e di fieno su una pietra per adagiarlo nel primo letto che Dio fatto uomo ebbe sulla terra al di fuori delle braccia di sua madre. Subito da quelle campagne venne con somma prontezza, per volontà divina, un bue. Entrato nella grotta si unì all'asinello che la medesima Regina aveva portato. Ella comandò loro di adorare, con la riverenza di cui erano capaci, il loro Creatore e di riconoscerlo tale. Gli umili animali obbedirono al comando della loro Signora e si prostrarono davanti al bambino, lo riscaldarono col proprio fiato e gli prestarono l'ossequio negato dagli uomini. Così, Dio fatto uomo fu avvolto in panni e posto nella mangiatoia, fra gli animali, adempiendosi miracolosamente la profezia che dice: Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

486. Figlia mia, se i mortali avessero libero il cuore e sano il giudizio per considerare degnamente questo grande mistero di pietà che l'Altissimo operò per loro, la memoria di questo potrebbe ricondurli al cammino della vita e infiammarli di amore per il loro creatore e redentore. Infatti, essendo gli uomini capaci di ragione, se ne usassero con la dovuta dignità e libertà, chi tra loro sarebbe tanto duro ed insensibile da non intenerirsi e commuoversi alla vista del suo Dio incarnato ed umiliato sino a nascere povero, disprezzato e sconosciuto, in una mangiatoia in mezzo ad animali, con la sola protezione di una madre povera e rifiutata dalla stoltezza ed arroganza del mondo? Alla vista di così alta e misteriosa sapienza, chi avrebbe l'ardire di amare la vanità e la superbia, che viene disprezzata e condannata dal Creatore del cielo e della terra col suo esempio? Tantomeno potrebbe aborrire l'umiltà, la povertà e la nudità, che lo stesso Signore amò e scelse per sé, insegnandoci con esse il vero mezzo per giungere alla vita eterna. Pochi sono quelli che si soffermano a considerare questa verità e questo esempio, e per così riprovevole ingratitudine pochi sono anche quelli che conseguono il frutto di misteri così grandi.

487. Quindi, dato che la benignità del mio Figlio santissimo si è dimostrata tanto liberale con te, dandoti la conoscenza di così mirabili benefici fatti al genere umano, considera bene, o carissima, i tuoi obblighi e pondera quanto e come devi operare con la luce che ricevi. Affinché tu contraccambi debitamente tale generosità, ti esorto di nuovo a dimenticarti di tutte le cose terrene, a perderle di vista e a non bramare né accettare altro del mondo se non ciò che ti può allontanare e nascondere da esso e da coloro che lo abitano, cosicché, tenendo il tuo cuore spoglio da ogni affetto terreno, tu ti disponga a celebrarvi i misteri della povertà, dell'umiltà e dell'amore del tuo Dio incarnato. Apprendi dal mio esempio la venerazione, il timore e il rispetto con cui lo devi trattare, come facevo io quando lo tenevo fra le mie braccia. Metterai in pratica questo insegnamento quando lo riceverai nel tuo seno nel venerabile sacramento dell'Eucaristia, dove è presente il medesimo Dio ed uomo vero, che nacque dalle mie viscere. In questo sacramento lo ricevi e lo tieni realmente e talmente vicino, che sta veramente dentro di te come quando lo tenevo e lo curavo io, benché in altro modo.

488. Voglio che tu sia perfetta ed insigne in questa riverenza e in questo santo timore, e che comprenda come Dio, entrando attraverso il sacramento nel tuo petto, ti viene a dire ciò che disse a me con le parole «renditi simile a me». Egli è sceso dal cielo in terra, è nato, vissuto e morto in povertà ed umiltà, con così raro esempio ed insegnamento del disprezzo che si deve avere del mondo e dei suoi inganni, e ti ha dato conoscenza di queste opere, trattandoti in modo così singolare da concederti di comprenderle profondamente. Tutto questo deve essere per te una voce viva, da ascoltare con intima attenzione dell'anima e scrivere nel cuore, perché tu sappia appropriarti con discrezione dei benefici comuni e comprenda come il mio Figlio e Signore santissimo brami che tu li riconosca e riceva, come se per te sola fosse disceso dal cielo a redimerti, ad operare tutte le meraviglie e ad insegnare tutta la dottrina che ha lasciato nella sua Chiesa.

Augustinus
25-12-05, 11:43
Libro IV, Cap. 11, §§ 489-499

CAPITOLO 11

I santi angeli annunciano il natale del nostro Salvatore, e i pastori vengono ad adorarlo.

489. Dopo che le schiere celesti avevano celebrato nella grotta di Betlemme la natività del loro Dio fatto uomo, nostro redentore, alcune di esse furono subito inviate dal Signore in diverse parti, perché annunziassero la buona notizia a coloro che, secondo la divina volontà, erano pronti ad accoglierla. Il santo principe Michele si recò dai santi padri del limbo, e annunciò loro che era già nato l'Unigenito dell'eterno Padre fatto uomo, e che si trovava in una mangiatoia tra animali, umile e mansueto, come essi lo avevano profetizzato. Specialmente parlò ai santi Gioacchino ed Anna da parte della fortunata madre, perché ella stessa glielo aveva ordinato, e si congratulò con loro, perché la loro figlia teneva già nelle sue braccia l'atteso dalle genti, annunziato da tutti i Profeti e Patriarchi. Quello fu il giorno della maggior consolazione ed esultanza, che in un così lungo esilio avesse ricevuto tutto quel gran numero di giusti e santi. Riconoscendo tutti il nuovo uomo e Dio vero come l'autore della salvezza eterna, formarono nuovi cantici di lode in suo onore, lo adorarono e gli resero culto. San Gioacchino e sant'Anna, per mezzo del messo celeste san Michele, pregarono Maria santissima, loro figlia, di venerare a nome di entrambi il bambino Gesù, frutto benedetto del suo grembo verginale. La gran Regina del mondo, all'udire con estremo giubilo tutto ciò che il santo principe le riferì rispetto ai padri del limbo, esaudì subito questo desiderio.

490. Un altro angelo, di quelli che assistevano e custodivano la divina Madre, fu inviato a santa Elisabetta ed al suo figlio Giovanni. Quando fu loro annunziata la recente nascita del redentore, la prudente madre ed il suo tenero bambino si prostrarono a terra ed adorarono il loro Dio incarnato, in spirito e verità. Il bambino, consacrato suo precursore e rinnovato interiormente, fu ricolmo di Spirito Santo con un ardore maggiore di quello di Elia. Questi misteri suscitarono negli stessi angeli nuova meraviglia e lode. Anche san Giovanni e sua madre pregarono la nostra Regina, per mezzo degli angeli, di adorare in nome di entrambi il suo Figlio santissimo, al quale nuovamente si offrirono per servirlo, e ciò fu subito adempiuto dalla celeste regina.

491. Santa Elisabetta si affrettò a mandare uno dei suoi a Betlemme, inviando per suo tramite un regalo alla felice Madre del bambino Gesù, consistente in una certa somma di danaro, un telo ed altre cose per il neonato, la sua povera madre ed il suo sposo. Il messaggero parti col solo ordine di visitare sua cugina e Giuseppe, di osservare lo stato e la necessità in cui si trovavano, e di riportarle notizie certe e chiare di ogni cosa e della loro salute. Questo uomo non ebbe altra notizia del mistero all'infuori di quella che appariva all'esterno; tuttavia, meravigliato e toccato da una forza divina, tornò rinnovato interiormente, e con ammirabile giubilo raccontò a santa Elisabetta la povertà e l'affabilità della sua parente, del bambino e di Giuseppe, e ciò che aveva sperimentato nel vedere tutto ciò. Una così sincera relazione produsse meravigliosi effetti nel docile cuore della pia madre e, se non fosse intervenuta la divina volontà che ordinava di custodire il segreto di un così alto mistero, non avrebbe potuto trattenersi dal visitare la Madre vergine ed il bambino Gesù. Delle cose che ella loro inviò, la Regina si valse solo in parte per supplire in una certa misura alla povertà in cui si trovava, e distribuì il rimanente ai poveri, perché voleva che restassero con lei tutti i giorni in cui avrebbe dimorato nella grotta della natività.

492. Anche altri angeli si recarono a dare le medesime notizie a Zaccaria, a Simeone, alla profetessa Anna, e ad alcuni altri giusti e santi, ai quali si poteva confidare il nuovo mistero della nostra redenzione. Poiché il Signore li aveva trovati degnamente preparati per riceverlo con lode e frutto, pareva come dovuto alla loro virtù rivelare ad essi il beneficio che veniva concesso al genere umano. Sebbene non tutti i giusti della terra conoscessero allora questo mistero, ognuno di essi sentì alcuni effetti divini nell'ora in cui nacque il Salvatore del mondo, perché tutti quelli che avevano in sé la grazia avvertirono un intimo giubilo nuovo e soprannaturale, benché ne ignorassero la causa. Questi cambiamenti non avvennero solo negli angeli e nei giusti, ma anche in esseri inanimati, dal momento che tutti gli influssi dei pianeti furono rinnovati e potenziati. Il sole affrettò il suo corso, le stelle divennero più luminose e, in quella notte, per i Magi si formò la miracolosa stella che li indirizzò a Betlemme. Molti alberi fiorirono ed altri fruttificarono. Alcuni templi dedicati agli idoli crollarono, altri simulacri andarono in frantumi e da essi uscirono i demoni. Gli uomini attribuirono tutti questi miracoli, e molti altri che in quel giorno si verificarono nel mondo, a cause diverse, deviando dalla verità. Solamente tra i giusti vi furono molti che, per ispirazione divina, intuirono o credettero che Dio fosse venuto nel mondo, benché nessuno lo sapesse con certezza, salvo quelli ai quali egli stesso lo aveva rivelato. Fra essi vi erano i tre re Magi, ai quali vennero inviati altri angeli della custodia della Regina, che a ciascuno singolarmente, nel proprio luogo di provenienza in Oriente, rivelarono intellettualmente per via di locuzione interiore, che il Redentore del genere umano era nato in povertà ed umiltà. Con questa rivelazione vennero loro infusi nuovi desideri di cercarlo e di adorarlo, e subito videro la prodigiosa stella, che li guidò a Betlemme, come riferirò in seguito.

493. Fra tutti furono assai fortunati i pastori di quella regione, che vigilanti custodivano i loro greggi nell'ora stessa della natività, non solo perché vegliavano con quella onesta sollecitudine e ansia che provavano per Dio, ma anche perché erano poveri, umili e disprezzati dal mondo, giusti e sinceri di cuore. Costoro facevano parte del numero di quelli che nel popolo d'Israele attendevano e desideravano con fervore la venuta del Messia, e ne parlavano fra loro frequentemente. Tanto più assomigliavano all'Autore della vita, quanto più erano lontani dal lusso, dall'ostentazione mondana e dalla sua diabolica malizia. Con queste nobili qualità rappresentavano il compito che veniva a svolgere il buon Pastore, a riconoscere cioè le sue pecorelle, e ad essere da esse riconosciuto. Appunto perché si trovavano in così conveniente disposizione, meritarono di essere chiamati dal Signore, come primizie dei santi, ad essere i primi tra i mortali ai quali il Verbo eterno incarnato si manifestava e comunicava, ricevendo da loro la lode, il servizio e l'adorazione. A questo scopo fu inviato il santo arcangelo Gabriele che, mentre vegliavano, apparve loro in forma umana visibile, con grande splendore di candidissima luce.

494. I pastori improvvisamente si trovarono circondati e avvolti da un fulgore celeste, ed alla vista dell'angelo, non essendo abituati a tali rivelazioni, ebbero gran timore. Allora il santo principe li rincuorò e disse loro: «Uomini sinceri, non temete, perché io vi annunzio una grande gioia: oggi nella città di Davide è nato per voi un salvatore, Cristo nostro Signore. Come segno a conferma di questa verità, troverete un bambino avvolto in fasce, e deposto in una mangiatoia». A queste parole del santo arcangelo apparve all'improvviso una grande schiera celeste, che con dolci voci armoniose inneggiava all'Altissimo, dicendo: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà». Ripetendo questo divino cantico, così nuovo nel mondo, i santi angeli si dileguarono, e tutto ciò avvenne durante la quarta vigilia della notte, cioè nelle ore immediatamente prima dell'alba. In seguito a questa visione angelica, gli umili e fortunati pastori rimasero pieni di luce divina, profondamente animati ed accesi dal desiderio comune di aumentare la loro felicità, e di recarsi a riconoscere con i propri occhi il mistero altissimo, che quell'annuncio aveva loro rivelato.

495. I segni dati dal santo arcangelo non parevano loro adeguati, né proporzionati alla grandezza del neonato. Infatti, l'indicazione del bambino nella mangiatoia avvolto in umili e poveri panni non sarebbe stata sufficiente a far conoscere loro la maestà del Re, se non fosse stata rivelata per ispirazione divina, dalla quale furono illuminati e guidati. Tuttavia, essendo privi dell'arroganza e della sapienza mondana, furono prontamente istruiti nella scienza divina. Parlando tra loro di ciò che ciascuno pensava di quella ispirazione, decisero di portarsi in tutta fretta a Betlemme, per vedere la meraviglia che avevano udito da parte del Signore. Partirono senza indugio e, giunti alla grotta, trovarono, come dice san Luca, Maria, Giuseppe, e il bambino adagiato nel presepio. A tale vista, conobbero la verità di ciò che avevano udito del bambino. Questa esperienza e visione fu seguita da un'ulteriore illuminazione, che ricevettero alla vista del Verbo incarnato, perché quando i pastori posero gli occhi su di lui, anch'egli volse loro lo sguardo, emanando dal viso un grande splendore, i cui fulgidi raggi ferirono il cuore sincero di ciascuno di quegli uomini poveri e felici. Con potenza divina egli li rinnovò e trasformò interiormente, comunicando loro un essere nuovo di grazia e santità, elevazione spirituale e pienezza di conoscenza divina dei misteri altissimi dell'incarnazione e redenzione del genere umano.

496. Si prostrarono tutti a terra ed adorarono il Verbo incarnato; non come persone rozze e ignoranti, ma sagge e prudenti lo lodarono, confessarono ed esaltarono per vero Dio ed uomo, salvatore e redentore del genere umano. La Signora del cielo, madre del bambino Gesù, era attenta a tutto ciò che i pastori dicevano e facevano, sia esteriormente che interiormente, perché penetrava l'intimo dei loro cuori. Con altissima sapienza e prudenza meditava e custodiva tutte queste cose nel suo cuore, contemplandole alla luce dei misteri che in esso serbava, e con le sacre Scritture e profezie. Poiché ella era allora la voce dello Spirito Santo e la lingua del bambinello, parlò ai pastori, e li istruì, esortandoli alla perseveranza nell'amore divino e nel servizio dell'Altissimo. Essi ancora la interrogarono a modo loro, e risposero molte cose circa i misteri che avevano conosciuto. Rimasero nella grotta dallo spuntar dell'alba sino a dopo il mezzogiorno, tempo in cui la nostra gran Regina, dopo aver dato loro da mangiare, li congedò pieni di grazie e di consolazioni celesti.

497. Nei giorni seguenti, in cui Maria santissima, il bambino Gesù e san Giuseppe dimorarono nella grotta, questi santi pastori ritornarono alcune volte a visitarli, portando in regalo ciò che la loro povertà permetteva di donare. Ciò che l'evangelista san Luca riferisce, cioè che coloro che avevano udito i pastori parlare delle cose da loro vedute erano pieni di meraviglia, non avvenne se non dopo che la Regina del cielo, Gesù e Giuseppe se n'erano andati da Betlemme, perché così aveva disposto la sapienza divina, la quale fece sì che i pastori non potessero rivelare prima di allora l'accaduto. Non tutti quelli che li udirono però diedero loro credito, perché per alcuni erano solo gente grezza e incolta, ma essi furono santi e ripieni di conoscenza divina sino alla morte. Tra quelli che credettero loro vi fu Erode, benché non per fede o devozione, ma per timore vile e mondano di perdere il regno. Egli tolse la vita a tanti bambini, ed anche alcuni figli di questi uomini santi meritarono la stessa sorte gloriosa. I loro padri li offrirono con gioia al martirio che essi desideravano, soffrendo per il Signore che già conoscevano.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

498. Figlia mia, la comune dimenticanza e poca avvertenza che i mortali hanno in ordine alle opere del loro Salvatore è cosa riprovevole, perché tutti questi misteri sono pieni di amore, di misericordia e di insegnamento per loro. Tu sei stata chiamata ed eletta affinché, con la luce e la conoscenza che ricevi, non incorra in questa pericolosa stoltezza e ignoranza. Perciò voglio che, nei misteri da te ora descritti, consideri e mediti l'ardentissimo amore del mio Figlio santissimo nel comunicarsi agli uomini fin dalla sua stessa nascita, nel desiderio che subito partecipassero del frutto e della gioia della sua venuta. Gli uomini non riconoscono quest'obbligo, perché pochi sono quelli che comprendono gli impegni che comportano dei benefici così singolari, come anche fu piccolo il numero di quelli che videro il Verbo incarnato subito dopo la nascita, e lo ringraziarono per la sua venuta. Intanto ignorano la causa della loro sventura e cecità, che non fu né è da parte del Signore né del suo amore, ma da parte loro, per i peccati e la cattiva inclinazione naturale, perché se non lo avesse impedito la loro colpa originale, a tutti o a molti sarebbe stata concessa la stessa luce, che fu data ai giusti, ai pastori ed ai Magi. Poiché questi furono così pochi, comprenderai in quale infelice condizione si trovasse il mondo alla nascita del Verbo incarnato, e il misero stato in cui adesso si trovano gli uomini, i quali, pur avendo maggiore consapevolezza della propria condizione, si dimenticano di corrispondere e di rendere grazie come dovrebbero.

499. Medita ora il disinteresse dei mortali nel secolo presente, in cui, pur essendo la luce del Vangelo così manifestata e confermata dalle opere meravigliose che Dio ha operato nella sua Chiesa, sono così pochi i perfetti e quelli che vogliono disporsi per partecipare maggiormente degli effetti e del frutto della redenzione. Anche se si è tanto esteso il numero degli stolti e i vizi si sono dilatati a dismisura, alcuni pensano che siano molti i perfetti, perché non vedono tanta temerarietà contro Dio. Tuttavia, non sono tanti come si crede, anzi molto meno di quelli che dovrebbero essere in un tempo in cui Dio è tanto offeso dagli infedeli, e tanto desideroso di comunicare i tesori della sua grazia alla santa Chiesa per i meriti del suo Unigenito fatto uomo. Considera intanto, carissima, gli impegni cui ti richiama la conferma tanto chiara che ricevi di queste verità. Sii attenta, sollecita e vigilante per corrispondere a chi ti obbliga a tanto, senza che tu perda tempo od occasione nell'operare ciò che conosci come più santo e perfetto, perché, se t'impegnerai di meno, non soddisferai il tuo obbligo. Vedi come ti ammonisco, istruisco e comando di non accogliere invano un favore tanto singolare; non tenere dunque oziosa la grazia e la luce che ricevi, ma opera con pienezza di perfezione e gratitudine.

Augustinus
25-12-05, 11:46
Libro IV, Cap. 12, §§ 500-512

CAPITOLO 12

Quello che venne nascosto al demonio nel mistero della nascita del nostro Salvatore, e ciò che avvenne sino alla circoncisione.

500. Per tutti i mortali fu una grande fortuna e felicità la venuta nel mondo del Verbo eterno fatto uomo, mandato da Dio Padre, perché egli venne per dar vita e luce a tutti noi che vivevamo nelle tenebre e nell'ombra della morte. Se i reprobi e gli increduli inciamparono e inciampano in questa pietra angolare, cercando la loro rovina dove potevano e dovevano trovare la risurrezione alla vita eterna, ciò non fu colpa di questa pietra, ma di chi la rese pietra di scandalo inciampando in essa. Solo per l'inferno fu terribile la nascita del bambino Gesù, l'invincibile che con potenza veniva a spogliare del suo tirannico impero colui che, facendosi forte della menzogna, custodiva il suo castello con indisturbato, ma ingiusto possesso da così lungo tempo. Per detronizzare il principe del mondo e delle tenebre, fu giusto che gli venisse nascosto il mistero di questa venuta del Verbo, poiché non solo era indegno per la sua malizia di conoscere i misteri della Sapienza infinita, ma anche conveniva che la divina provvidenza facesse in modo che l'astuzia perversa di questo nemico lo accecasse e ottenebrasse, perché egli con essa aveva introdotto nel mondo l'inganno e la cecità della colpa, rovesciando tutto il genere umano di Adamo nella sua caduta.

501. Per questa disposizione divina vennero nascoste a Lucifero ed ai suoi ministri molte cose che naturalmente avrebbero potuto conoscere alla nascita di Gesù e nel corso della sua vita santissima. Infatti, se avesse conosciuto con certezza che Cristo era vero Dio, è chiaro che non gli avrebbe procurato la morte, anzi l'avrebbe impedita, come dirò a suo tempo. Del mistero della nascita, egli conobbe solo che Maria santissima, non avendo trovato alloggio da nessuna parte, aveva partorito un figlio in povertà e in una grotta abbandonata. Dopo ebbe conoscenza della circoncisione di Gesù e di altre cose, che, considerata la sua superbia, potevano più oscurargli la verità che rivelargliela. Non seppe però in che modo avvenne la nascita, né che la felice Madre restò vergine dopo il parto così come lo era prima. Ignorò gli annunci degli angeli ai giusti ed ai pastori, i loro discorsi, ed anche l'adorazione che prestarono al divino bambino. Non vide neanche la stella, né comprese la causa della venuta dei Magi e, anche se li vide mentre erano in viaggio, giudicò che ciò fosse per altri fini temporali. Nemmeno i demoni conobbero la causa del mutamento avvenuto negli elementi, negli astri e nei pianeti, anche se videro i cambiamenti che subirono. Nonostante ciò, il fine rimase loro nascosto, come anche il colloquio che i Magi ebbero con Erode, il loro ingresso nella capanna, l'adorazione che resero al bambino Gesù e i doni che offrirono. Sebbene conobbero il furore di Erode, che ancor più cercarono di aizzare, contro i bambini, non compresero allora il suo depravato intento, e perciò fomentarono la sua crudeltà. Anche se Lucifero immaginò che egli intendesse prendere di mira il Messia, ciò gli parve comunque una pazzia e si burlava di Erode, perché nel suo superbo giudizio era follia pensare che il Verbo venuto ad assoggettare il mondo, avesse fatto ciò in modo nascosto ed umile; anzi, supponeva che dovesse eseguire ciò con grandiosa potenza e maestà, dalla quale invece era lontano il divino bambino, nato da madre povera e disprezzata dagli uomini.

502. Trovandosi Lucifero in tale inganno, e avendo saputo alcune notizie riguardanti la nascita di Gesù, riunì i suoi ministri nell'inferno, e disse loro: «Non trovo ci sia da temere per ciò che abbiamo visto nel mondo, perché la donna che abbiamo tanto perseguitato ha sì partorito un figlio, ma questi è nato in condizioni di estrema povertà ed è così sconosciuto, che non hanno trovato alloggio nell'albergo. Noi ben conosciamo quanto sia distante dal potere che ha Dio e dalla sua grandezza. Se deve venire contro di noi, come ci è stato mostrato ed abbiamo compreso, non sono forze, quelle che costui ha, tali da resistere alla nostra potenza. Non vi è dunque da temere che questi sia il Messia, tanto più che vedo che lo si dovrà circoncidere come gli altri uomini, cosa che non spetta a colui che deve essere il Salvatore del mondo, mentre questi ha bisogno del rimedio per la colpa. Tutti questi segni sono contrari all'intento di una venuta di Dio nel mondo, per cui mi pare che possiamo essere sicuri che egli non è ancora venuto». I ministri del male approvarono tale giudizio del loro capo dannato, e restarono persuasi che non fosse venuto il Messia, perché tutti erano complici nella loro malizia che offuscava le loro menti. Non entrava nella vanità e superbia implacabile di Lucifero l'idea che la maestà e grandezza divina potesse umiliarsi. Dato che egli ambiva l'applauso, l'ostentazione, la venerazione e la magnificenza e che, se avesse potuto ottenere che tutte le creature lo adorassero le avrebbe obbligate a farlo, non entrava nel suo modo di ragionare il pensiero che Dio, avendo il potere di costringerle a ciò, permettesse che avvenisse l'opposto, e si assoggettasse all'umiltà che egli, satana, tanto aborriva.

503. O figli della vanità, che esempi sono questi per il nostro disinganno! Molto ci deve attirare e spronare l'umiltà di Cristo nostro bene e maestro. Se però questa non ci muove, almeno ci trattenga ed impaurisca la superbia di Lucifero. O vizio e peccato formidabile sopra ogni ponderazione umana, che accecasti in tal maniera un angelo pieno di scienza, che perfino della stessa bontà infinita di Dio non poté formarsi altro giudizio, se non quello che fece di se stesso e della sua propria malizia! Or dunque, come ragionerà l'uomo che per se stesso è ignorante, se gli si aggiungono la superbia e la colpa? O infelice e stoltissimo Lucifero! Come potesti ingannarti in una cosa tanto piena di ragione e di bellezza? Che cosa vi è di più amabile dell'umiltà e della mansuetudine unita alla maestà ed al potere? Come ignori, o vile creatura, che il non sapersi umiliare è debolezza di giudizio, e nasce da un cuore meschino? Colui che è magnanimo e veramente grande non si appaga della vanità, né sa desiderare ciò che è vile, né lo può soddisfare ciò che è apparente e fallace. È evidente che sei tenebroso e cieco di fronte alla verità e guida oscurissima dei ciechi", poiché non giungesti a conoscere che la grandezza e la bontà dell'amore divino' si manifestava ed esaltava con l'umiltà e con l'ubbidienza, sino alla morte di croce.

504. La Madre della sapienza e signora nostra osservava tutti gli abbagli e la pazzia di Lucifero nonché dei suoi ministri, e con degna ponderazione di misteri così profondi magnificava e benediceva il Signore, perché li nascondeva ai superbi e agli arroganti, e li rivelava agli umili e ai poveri, cominciando a vincere la tirannia del demonio. La pietosa Madre faceva fervorose orazioni per tutti i mortali, che per le loro colpe erano indegni di conoscere subito la luce, che era apparsa nel mondo per la loro salvezza, e presentava tutto al suo Figlio santissimo con incomparabile amore e compassione verso i peccatori. Ella trascorse in tali opere la maggior parte del tempo in cui dimorò nella grotta di Betlemme. Poiché quel luogo era scomodo e tanto esposto alle inclemenze del tempo, la grande Signora stava ancora più attenta a riparare il suo tenero e dolce bambino e, previdentissima, aveva portato con sé una mantellina, oltre alle fasce ordinarie, e con essa lo ricopriva, tenendolo continuamente sotto la sacra protezione delle sue braccia, tranne quando lo porgeva al suo sposo Giuseppe. Per renderlo più felice, volle infatti che anch'egli la aiutasse in ciò, servendo il loro Dio fatto uomo nel ruolo di padre.

505. La prima volta che il santo sposo ricevette il bambino divino nelle braccia, Maria santissima gli disse: «Sposo e rifugio mio, ricevete nelle vostre braccia il Creatore del cielo e della terra, e godete della sua amabile compagnia e dolcezza, affinché il mio Signore e Dio trovi nella vostra deferenza le sue compiacenze e delizie. Prendete il tesoro dell'eterno Padre, e partecipate del beneficio del genere umano». Parlando poi interiormente col divino bambino, gli disse: «Amore dolcissimo dell'anima mia, luce dei miei occhi, riposate nelle braccia del vostro servo ed amico Giuseppe mio sposo: scambiate con lui le vostre delizie, e per esse perdonate le mie indelicatezze. Sento vivamente la vostra mancanza anche per un solo istante, ma a chi ne è degno, desidero comunicare senza invidia il bene che con cuore sincero ricevo». Il fedelissimo sposo, riconoscendo la sua nuova fortuna, si umiliò sino a terra, e rispose: «Signora e regina del mondo, sposa mia, come io, indegno, avrò l'ardire di tenere nelle mie braccia quello stesso Dio, alla cui presenza tremano le colonne del cielo? Come questo vile verme avrà animo di accettare un favore tanto raro? Io sono polvere e cenere, ma voi, o Signora, supplite alla mia scarsezza, e chiedete all'Altezza sua che mi guardi con clemenza, e mi assista con la sua grazia».

506. Il santo sposo, fra il desiderio di ricevere il bambino Gesù ed il timore reverenziale che lo tratteneva, fece atti eroici di amore, fede, umiltà e profonda venerazione. Poi, con questo animo e con un prudentissimo tremore, s'inginocchiò e lo ricevette dalle mani della sua Madre santissima, spargendo dolcissime e copiose lacrime di gioia, tanto nuova per il fortunato santo, quanto nuovo era il favore. Il bambinello lo guardò affettuosamente e, nello stesso tempo, lo rinnovò tutto interiormente con effetti così divini che non è possibile esprimerli a parole. Il santo sposo formò nuovi cantici di lode, vedendosi arricchito con così magnifici favori e benefici. Avendo dunque il suo spirito goduto per qualche tempo degli effetti dolcissimi che provò tenendo nelle sue braccia quel medesimo Signore che nelle sue racchiude i cieli e la terra, lo restituì alla felice e fortunata madre, mentre entrambi, Maria e Giuseppe, stavano in ginocchio per darlo e per riceverlo. Con grande riverenza la prudentissima Signora lo prendeva sempre tra le braccia e lo porgeva al suo sposo, e altrettanto egli faceva, quando toccava a lui questa felice sorte. Prima di avvicinarsi a sua Maestà, la gran Regina e san Giuseppe facevano tre genuflessioni, baciando la terra con atti eroici di umiltà, culto e venerazione, ogni volta che lo ricevevano l'uno dalle braccia dell'altra.

507. Quando la divina Madre giudicò che fosse giunto il tempo di dargli il latte, con umile riverenza ne domandò il permesso al suo stesso Figlio, e ciò perché, anche se lo doveva alimentare come figlio e vero uomo, guardava a lui sia come vero Dio sia come Signore, e conosceva la distanza tra l'essere divino infinito del Figlio e il suo di semplice creatura. Poiché tale conoscenza nella prudentissima Vergine era indefettibile e continua, non avvenne mai che incorresse neppure in una minima inavvertenza. Era sempre attenta in tutto, e comprendeva ed operava con pienezza ciò che era in sommo grado sublime e perfetto. Era diligente nell'alimentare, servire e custodire il suo bambino non con affannosa sollecitudine, ma con incessante attenzione, riverenza e prudenza, al punto di suscitare nuova ammirazione negli stessi angeli, la cui conoscenza non giungeva a comprendere le opere eroiche di una così giovane donna. Come le offrirono sempre la loro assistenza in tutto il tempo in cui dimorò nella grotta della natività, così la servivano ed aiutavano in tutte le cose, che erano necessarie per onorare il bambino Gesù e la sua stessa Madre. Tutti quanti questi misteri sono così dolci ed ammirabili e talmente degni della nostra attenzione e del nostro ricordo, che non possiamo negare che la nostra stoltezza di dimenticarceli sia molto riprovevole, e che noi siamo nemici di noi stessi quando ci priviamo del loro ricordo, nonché degli effetti divini che da esso ricevono i figli fedeli e riconoscenti.

508. Tale è l'intelligenza che mi fu data della grande venerazione con cui Maria santissima e il glorioso san Giuseppe trattavano il divino bambino, e della riverenza dei cori angelici, che potrei prolungare molto questo discorso. Ma anche se così non faccio, voglio almeno confessare che, in mezzo a questa luce, mi ritrovo assai turbata e rimproverata, conoscendo la poca venerazione con la quale audacemente ho finora trattato con Dio, e le molte colpe, che quanto a questo ho commesso, mi sono state palesate. Tutti i santi angeli, che accompagnavano la Regina per assisterla in queste opere, rimasero in forma umana visibile dalla nascita di Gesù sino a quando la santa famiglia fuggì in Egitto, come poi dirò. La cura dell'umile ed amorosa Madre verso il suo bambino divino era così incessante, che soltanto quando doveva prendere qualche sostentamento lo passava dalle sue braccia alcune volte in quelle di san Giuseppe ed altre in quelle dei santi principi Michele e Gabriele, perché questi due arcangeli l'avevano pregata che, mentre essi mangiavano o san Giuseppe lavorava, lo consegnasse loro. Così, deponendolo nelle mani degli angeli, si adempiva mirabilmente ciò che disse Davide: «Sulle loro mani ti porteranno». La diligentissima Madre non dormiva, per custodire il suo figlio santissimo, sino a che era egli stesso a dirle di dormire e riposare, ed egli, in premio della sua vigilanza, le concesse un genere di sonno nuovo e più miracoloso di quello che ella sino allora aveva avuto. Pertanto, se in passato nel tempo in cui dormiva il suo cuore vegliava, senza che cessassero le rivelazioni interiori e la contemplazione divina, da questo giorno in poi il Signore aggiunse a questo un altro miracolo. La grande Signora infatti, dormendo quanto le era necessario, conservava un tale vigore nelle braccia da sostenere il bambino come se fosse stata nella veglia, e lo guardava con l'intelletto, come se lo avesse guardato con gli occhi del corpo, conoscendo così intellettualmente tutto quello che ella ed il bambino esteriormente facevano. Con questa meraviglia si compì ciò che si legge nel Cantico: Io dormo, ma il mio cuore veglia.

509. Ora, come potrei, con così brevi espressioni e così limitati termini, spiegare gli inni di lode e di gloria che la nostra celeste Regina faceva al suo Dio fatto bambino, alternandone il canto con i santi angeli, ed anche col suo sposo Giuseppe? Anche solo di questo vi sarebbe molto da scrivere, perché tali inni erano assai frequenti, ed il loro canto infatti è riservato al godimento speciale degli eletti. Solo fra i mortali fortunatissimo e privilegiato fu in ciò il fedelissimo san Giuseppe, il quale molte volte ne era reso partecipe e li intendeva. Né questo era l'unico favore, ma godeva di un altro di singolare pregio e consolazione per l'anima sua, che la prudentissima sposa gli procurava, poiché ella molte volte, parlando con lui del bambino, lo chiamava loro figlio, non perché fosse figlio naturale di Giuseppe, colui che solo era Figlio dell'eterno Padre e della sola sua Madre vergine, ma perché, nel giudizio degli uomini, era ritenuto figlio di Giuseppe. Questo favore e privilegio era per il santo d'incomparabile stima e godimento, e perciò la divina Signora sua sposaglielo rinnovava frequentemente.

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

510. Figlia mia, ti vedo santamente invidiosa della felicità delle mie opere, nonché di quelle del mio sposo e dei miei angeli, stando in compagnia del mio Figlio santissimo, perché noi l'avevamo sotto gli occhi come tu vorresti averlo, se fosse possibile. Ora voglio consolarti, indirizzando il tuo affetto a ciò che devi e puoi operare secondo la tua condizione, per conseguire nel grado possibile la felicità che vai considerando in noi e che ti rapisce il cuore. Considera dunque, o carissima, quel tanto che ti fu dato di conoscere delle differenti vie, per cui Dio conduce nella sua Chiesa le anime, che egli ama e cerca con paterno affetto. Tu hai potuto acquistare questa conoscenza mediante l'esperienza di tante chiamate e della luce particolare che hai ricevuto, poiché sempre alle porte del tuo cuore hai trovato il Signore, che bussava ed aspettava tanto tempo, sollecitandoti con replicati favori e altissima dottrina, sia per insegnarti ed assicurarti che la sua benignità ti ha disposta e destinata allo stretto vincolo del suo amore e dei suoi intimi colloqui, sia perché tu con attentissima cura acquisti la grande purezza che si richiede per questa vocazione.

511. Tu non ignori affatto, poiché te lo insegna la fede, che Dio si trova in ogni luogo per essenza, presenza e potenza della sua divinità, e che a lui sono manifesti tutti i tuoi pensieri, nonché i tuoi desideri e gemiti, senza che gliene resti nascosto alcuno. Oltre ad essere ciò tanto vero, se tu t'impegnerai, da serva fedele, per conservare la grazia che ricevi per mezzo dei santi sacramenti e per altri canali divinamente disposti, il Signore starà con te in un altro modo di speciale assistenza, con la quale ti amerà e accarezzerà come sua sposa diletta. Ora, conoscendo tutto questo, se pur lo comprendi, dimmi che ti resta ancora da invidiare e desiderare, mentre ottieni il compimento dei tuoi desideri e dei tuoi sospiri? Ciò che ti rimane da fare, e che io voglio da te, è che così, santamente invidiosa, ti adoperi ad imitare la conversazione e le qualità degli angeli, nonché la purezza del mio sposo ed a copiare in te la forma della mia vita per quanto ti sarà possibile, affinché tu ti renda degna abitazione dell'Altissimo. Nel mettere in pratica questo insegnamento devi esercitare tutto quello sforzo, quella brama o santa invidia per cui avresti voluto ritrovarti con noi a vedere e adorare il mio Figlio santissimo nella sua nascita ed infanzia, perché se mi imiterai, puoi stare sicura che avrai me per tua maestra e rifugio, ed il Signore nell'anima tua con stabile possesso. In tal modo rassicurata, gli puoi parlare deliziandoti con lui e abbracciandolo come colei che lo ha con sé, poiché appunto per comunicare queste delizie alle anime pure egli prese carne umana e si fece bambino. Sebbene bambino però, sempre lo devi considerare come grande e come Dio, in modo che le carezze siano accompagnate da rispetto e l'amore dal timore santo, perché l'uno gli è dovuto e dell'altro egli si compiace per la sua immensa bontà e magnifica misericordia.

512. Devi mantenerti continuamente in questa conversazione col Signore e senza intervalli di tiepidezza che lo disgustino, perché la tua occupazione legittima e perenne deve consistere nell'amare e lodare il suo essere infinito. Quanto a tutto il rimanente, voglio che tu ne usi molto di sfuggita, così che le cose visibili e terrene ti trovino per trattenerti solo un momento in esse. Tu devi considerarti sempre di passaggio, e che non hai altra cosa a cui attendere di cuore, fuori del sommo e vero Bene che cerchi. Devi imitare solamente me, e solo per Dio devi vivere; tutto il resto non deve esistere per te, né tu per esso. Voglio però che i beni e i doni che ricevi, tu li dispensi e comunichi a beneficio dei tuoi prossimi con l'ordine della carità perfetta, poiché essa non si estingue per questo, anzi ancor più cresce. In ciò devi osservare il modo che si addice alla tua condizione e al tuo stato, come altre volte ti ho detto ed insegnato.

Augustinus
25-12-05, 13:47
http://www.twoheartsdesign.com/images/clipart/catholic/jesus/images/angelswithJesus.jpg

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/21/2108grec.jpg http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/greco/shepherds.jpg El Greco, Adorazione dei pastori, 1614 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.latribunedelart.com/Nouvelles_breves_2005/05_05/Poerson_-_Nativite.jpg Charles Poerson senior, Natività, Musée des Beaux-Arts, Montréal

http://www.wga.hu/art/r/rubens/12religi/43religi.jpg Peter Paul Rubens, Madonna con Bambino in una corona di fiori, 1620 circa, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/r/rubens/13religi/51religi.jpg Peter Paul Rubens, Madonna con Bambino in una corona di fiori, 1621, Musée du Louvre, Parigi

http://www.virtualmuseum.ca/Exhibitions/Noel/imatges/adober3.jpg Jean Michelin, Natività, 1659, Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
25-12-06, 10:06
http://www.cattolicesimo.com/ImmSacre/Mantegna.jpg Andrea Mantegna, Madonna con Bambino tra i SS. Maddalena e Giovanni Battista, XV sec., collezione privata

http://img186.imageshack.us/img186/7964/mantegnaandreathemadonnpx8.jpg http://img450.imageshack.us/img450/6542/madonnaandchildwithchervf9.jpg Andrea Mantegna, Madonna dei Cherubini, 1485, Pinacoteca di Brera, Milano

http://img186.imageshack.us/img186/5307/mantegnaandreamadonnawiph5.jpg Andrea Mantegna, Madonna con Bambino, XV sec., Gemäldegalerie, Staatliche Museen, Berlino

Augustinus
25-12-06, 18:25
INTRODUZIONE DI BETLEMME

Betlemme, arroccata su due colli della dorsale che costituisce lo spartiacque fra il Mediterraneo orientale ed il Mar Morto, presenta un profilo sinuoso. Le case, di un gradevole colore rosato, si annidano sotto molti campanili ed un minareto che svettano sottili verso il cielo.

Salvo che a Nord ed a Nord-Ovest, è incorniciata da testate di valli molto profonde e strette, che ad Ovest formano il Wadi Admed mentre ad Est ed a Sud-Est precipitano, con una serie di dossi levigati dal vento, verso il deserto di Giudea ed il Mar Morto, la più profonda depressione del mondo. Nelle infinite grotte, che perforano i fianchi delle colline, l’uomo, sin dai tempi più antichi, ha trovato - e tuttora trova - un rifugio primitivo ma sufficiente.

La regione circostante è fertile, ed i pendii troppo bruschi sono stati terrazzati per consentire le coltivazioni. Viti e olivi, mandorli e fichi, campi di orzo e di grano colorano variamente il terreno secondo la stagione.

Siamo lontani dalla verde Galilea, non siamo più nella quasi verde Samaria, non siamo ancora in pieno deserto di Giuda. Betlemme si trova nella zona, diciamo, di transizione fra la pietra infuocata e la fertilità. Quasi consapevoli di una grazia, i Betlemiti coltivano la loro terra con preoccupato amore: il deserto è vicino, implacabile con il suo alito ardente, e sembra quasi incitare "l’ultima città del deserto" a dare, con le sue culture, il benvenuto a chi viene dal Nord, il viatico a chi si avventura a Sud.

Betlemme si trova anche nella zona di transizione fra il Vecchio Testamento ed il Nuovo. È, anzi, la svolta decisiva nel passaggio dalla Legge inflessibile alla legge dell’Amore: qui, infatti, è nato il Cristo, il Figlio di Dio.

Qui, il Verbo Incarnato è entrato nella vita umana; qui, nella penombra di una grotta, sperduta nella solitudine -o vicina alle mille voci di un caravanserraglio, ha atteso il primo riconoscimento dell’umanità, il modesto omaggio degli umili pastori. Qui, poco dopo, ha ricevuto il riconoscimento dei Magi, rappresentanti del mondo scientifico dell’epoca. Qui ha luogo la strage degli Innocenti, primo segno di quanto Gesù dirà, più tardi: "Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra: non sono venuto a portare la pace, ma la spada" (Mt. 10, 34).

Nascita, riconoscimento, persecuzione, morte. Betlemme, nei primi giorni dì vita del Redentore, racchiude già in embrione il terribile dramma di Gerusalemme.

BETLEMME NELLA SACRA SCRITTURA

Betlemme, la ‘casa del pane’, Bèt-Lahm nell’antica lingua siro-caldaica, viene talvolta chiamata nella Bibbia anche Betlemme di Giuda, per evitare confusioni con l’omonima località nel territorio della tribù di Zabulon, che fu patria di uno dei Giudici di Israele, Ibsan (l’odierna Beth-Lehem che si trova 12 km ad Ovest di Nazaret). Identificata con l’antica Efrata, è a volte chiamata, sempre per lo stesso motivo, Betlemme-Efrata. Luca usa l’espressione ‘città di David’.

Betlemme ha radici profonde nel passato: ne parla già il Libro della Genesi, quando riferisce la morte di Rachele. Anche se il Genesi è stato redatto, nella sua forma definitiva, probabilmente nel periodo post-esilico (V sec. a.C.), le tradizioni che in esso vengono tramandate risalgono a tempi ben remoti, ai tempi dei Patriarchi (XVII-XVI sec. a.C.).

"Rachele ... ebbe un parto difficile ... Or avvenne che, mentre la sua anima si partiva pose (al figlio) nome Benoni, ma suo padre lo chiamò Beniamino. Rachele dunque morì e fu sepolta sulla strada di Efrata, cioè Betlemme" (Gen 35, 16. 19).

A Betlemme nacquero Elimelec e Noemi sua moglie. Dopo il soggiorno nella terra di Moab, a Betlemme ritornò Noemi, vedova, con la nuora moabita Rut, a sua volta vedova; a Betlemme la dolce e remissiva Rut conobbe l’agiato Booz. Bella, ricca di significato è la benedizione con la quale gli anziani ed il popolo santificano, le nozze di Rut e Booz:

"La donna che entra nella tua casa il Signore la faccia essere simile a Rachele e a Lia che edificarono la casa di Israele e faccia che tu diventi potente in Efrata e ti acquisti un nome in Betlemme. Sia la tua casa come la casa di Fares che Tamar generò a Giuda, per la discendenza che il Signore ti darà da questa giovane" (Rut 4, 11-12).

Benedizione bella, benedizione profetica: dal figlio di Booz e Rut, Obed, nacque Iesse; da Iesse nacque David, progenitore dell’Emmanuele, del Messia.

Da Rama a Betlemme, su ordine dell’Altissimo, si recò Samuele per sacrificare ["La mia venuta è pacifica; vengo per sacrificare al Signore" (1 Sam 16, 5)] e per ungere re di Israele il giovane David, il prestante pastore, al posto di Saul che era incorso nell’ira divina ["Il Signore si era pentito di averlo fatto re su Israele" (1 Sam 15, 35)]. David, tuttavia, fu riconosciuto re dalla tribù di Giuda, e quindi da tutto Israele, soltanto molti anni dopo, e cioè alla morte di Isboset, figlio minore di Saul.

A Betlemme nacquero anche i tre nipoti di David: Ioab, l’eroico soldato e generale; Abisai, l’amico caro al cuore del re; Asrael, il valoroso che morì combattendo. Indubbiamente Betlemme era madre di eroi: vide nascere anche Elcana, l’uccisore di Gob, il gigante filisteo fratello di Golia.

Roboamo (2 Cron 11, 6) fortificò Betlemme, che venne a far parte di un sistema di città armate contro le invasioni degli Egizi, sempre convinti di avere dei diritti sul territorio palestinese.

In Michea troviamo Betlemme nel contesto di una grande profezia:

"E tu, Betlemme Efrata
pur essendo piccola tra i capoluoghi di Giuda
da te mi nascerà colui
che deve regnare su Israele... Egli starà ritto
e pascerà con la potenza del Signore
con la maestà del nome del Signore, suo Dio… E lui sarà la nostra pace" (Mi 5, 1-3).

Questa profezia si intreccia con quelle di Isaia:

"Ecco la giovane (la vergine, almah) concepisce e partorisce un figlio che chiamerà Emmanuele" (Is 7, 14); "Un rampollo spunterà dal tronco di lesse un virgulto germoglierà dalle sue radici" (Is 11,1); "Avverrà in quel giorno che la radice di lesse si ergerà a segnale per i popoli, ad essa si rivolgeranno ansiose le genti, e gloriosa sarà la sua sede" (Is 11, 10).

Alla pienezza dei tempi, dal seme di David e da Betlemme, la borgata di dove era David, venne il Cristo. Con brevi parole, Matteo ["Nato Gesù in Betlemme di Giuda... (2, 1)] e Luca ["Or avvenne che, mentre essi erano là, si compirono i giorni in cui essa doveva partorire e partorì il suo figlio..." (2, 6-7)], ci narrano la nascita del Bambino.

Betlemme esce dalla Bibbia ed entra nella storia con un episodio drammatico: la strage degli Innocenti. Erode, che aveva ordinato ai Magi di riferirgli dove si trovasse il re dei Giudei, vedendosi da essi deluso, "si adirò grandemente e mandò a uccidere tutti i fanciulli che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio, dai due anni in giù" (Mt 2, 16).

BETLEMME NELLA STORIA

Betlemme ha una storia comune a tutto il mondo, a tutte le città: nel corso dei secoli non ha nemmeno essa goduto di molta pace. Oggi il luogo di nascita del Salvatore è una modesta cittadina. Nulla di splendido, in questo luogo prescelto dal Signore, tanto che potremmo parafrasare Michea e dire: "E tu Betlemme, terra di Giuda, sei solamente uno dei capoluoghi palestinesi, malgrado da te sia uscito il condottiero del popolo dei credenti".

La Palestina, che sotto Erode il Grande (37-4 a.C.) era un unico stato sovrano, seppure vassallo di Roma, alla morte di questi fu spezzettata in varie tetrarchie, dato che Augusto aveva abolito la dignità regia. Nel 6 d.C., sotto il nome di Giudea, venne incorporata nella provincia imperiale di Siria, con un procuratore residente a Cesarea Marittima, il quale rispondeva direttamente all’imperatore. Varie legioni furono inviate a presidiarla, tra cui la Legio X Fretensis, di stanza a Gerusalemme.

Scampata alla sorte inflitta da Tito a Gerusalemme nel 70, la cittadina subì peraltro la violenza di Adriano, provocato dalla seconda rivolta giudaica, quella di Bar Cosheba, che dal 132 al 135 aveva duramente impegnato i Romani.

Adriano, con astuto calcolo politico, profanò la santità del luogo e fece piantare sopra la grotta della Natività un bosco sacro a Tammuz-Adone, così come aveva fatto alzare a Gerusalemme, sui luoghi della Risurrezione, le statue di Venere e di Giove. A quei tempi, essendo stati banditi gli Ebrei, la popolazione betlemita poteva contare molti pagani disposti a continuare riti agresti già comuni in Oriente: luoghi di culto sincretistico si trovavano anche altrove, per esempio a Mambre. I Cristiani provenienti dal Giudaismo, i Giudeo-cristiani, erano in minoranza e non potevano certo opporsi agli ordini dell’imperatore. La Palestina, quindi, fu ufficialmente pagana, come tutto il mondo romano, fino al 313, anno in cui Costantino proclamò la libertà di culto.

Nel 324 Elena, madre di Costantino, visitò la Terra Santa. Nel 325, sollecitato dal Vescovo di Gerusalemme S. Macario, con il quale si era incontrato in occasione del primo Concilio ecumenico di Nicea, Costantino destinò cospicui fondi anche alla costruzione di una chiesa nel luogo della Natività. Le tradizioni cristiane, gelosamente custodite dai Giudeo-cristiani, erano talmente radicate e chiare che non ci furono problemi per la localizzazione del sito. I lavori poterono essere iniziati l’anno seguente.

Betlemme divenne ben presto. un centro importantissimo di vita monastica: nel 384 arrivò S. Girolamo e vi si stabilì. Egli visse qui per 36 anni, macerandosi nella più dura penitenza, prendendo parte attivissima nelle dispute teologiche contro gli eretici, e dedicandosi all’immane lavoro, affidatogli da papa S. Damaso, di revisionare le vecchie traduzioni latine della Bibbia e di produrre una nuova versione basata sui testi originali ebraici e greci (traduzione detta Vulgata).

Nel 386 si trasferì a Betlemme Paola, matrona romana della stirpe dei Gracchi e degli Scipioni, seguita dalla figlia Eustochio e, in seguito, da molte patrizie delle migliori famiglie di Roma. Paola dedicò il suo ingente patrimonio alla erezione di due monasteri (uno per S. Girolamo ed i suoi seguaci, l’altro per sé e le consorelle), e di un ospizio per i pellegrini. S. Girolamo fu il venerato capo spirituale di tutte quelle anime che in Betlemme cercavano di vivere in umiltà, riscaldate dalla luce divina.
Nel 420, alla morte di S. Girolamo, fu forse nominato superiore un discepolo del grande scritturista, Eusebio da Cremona. Sfortunatamente questi morì dopo soli due anni e la vita monastica di Betlemme non sopravvisse a lungo.

Quando l’Impero Romano fu diviso fra Oriente ed Occidente (395), la Palestina dipese dall’Oriente. Dopo la presa di Roma da parte dei Visigoti di Alarico (410), si ebbe un massiccio afflusso di profughi in tutto l’Oriente. Molti si rifugiarono a Betlemme, tanto che S. Girolamo si trovò nell’impossibilità di aiutare tutti.

Nel 529 i Samaritani di Naplus, durante una rivolta contro i Cristiani di Bisanzio, poterono agevolmente predare Betlemme, le cui mura diroccate non servivano più da baluardo. Nel 531, su richiesta di S. Saba, inviato dal Patriarca di Gerusalemme, l’imperatore Giustiniano fece erigere una nuova cerchia di mura, a difesa contro gli assalti dei predoni, arricchì la cittadina di chiese e di monasteri e ricostruì la basilica.

Nel 614 arrivarono i Persiani di Cosroe II, in lotta contro i Bizantini, e furono accolti favorevolmente dai Giudei, animati da spirito di avversione contro il Cristianesimo che trionfava. Pur avendo messo a ferro e a fuoco Gerusalemme e dintorni, i Persiani risparmiarono la nostra città. Furono distolti dai loro propositi vandalici da un mosaico della basilica della Natività, che raffigurava i Magi, vestiti alla foggia persiana, venuti ad adorare il Bambino. Non sappiamo con precisione dove si trovasse questo mosaico, dato che mancano descrizioni sistematiche della basilica antica. È probabile che ornasse la parte superiore della facciata. Soltanto nel 629 l’imperatore Eraclio liberò l’Impero d’Oriente da questi invasori e riconquistò la Palestina.

Nel 637 si ebbero nuovi padroni: gli Arabi musulmani dilagarono nella regione. Per la prima volta dopo tre secoli, a Betlemme non venne celebrato il Natale. Nel 638 il califfo Omar, sconfitti definitivamente i Bizantini, occupò anche Gerusalemme, il cui nome divenne el-Quds, la Santa. Egli andò a pregare nella basilica della Natività, instaurò una politica di tolleranza e garantì al Patriarca Sofronio l’integrità della chiesa. La convivenza tra Cristiani e Musulmani fu sopportabile: i Musulmani avevano diritto di pregare nell’abside sud, convenientemente rivolta verso la Mecca, ed i Cristiani curavano la manutenzione dell’edificio. Questa vita cultuale in comune non è sorprendente: i Maomettani rispettano il Cristo come profeta e venerano la Vergine Maria. Ancora oggi può capitare di incontrare nella basilica pellegrini musulmani che, dopo aver visitato Hebron e Gerusalemme, sostano in preghiera nel luogo della nascita di Gesù. Inoltre i Musulmani veneravano la basilica perché ritenevano che nei pressi fossero sepolti David e Salomone.

Tuttavia, la conquista araba causò una rarefazione nella vita religiosa cristiana di Betlemme. Mentre al tempo di Giustiniano esistevano almeno sei conventi, il censimento dei monasteri di Terra Santa, fatto fare nell’808 da Carlo Magno, (Commemoratorium de casis Dei), registrò a Betlemme appena 17 religiosi fra sacerdoti, monaci, chierici e stiliti.

La politica di tolleranza fu mantenuta dai successori di Omar fino al 1009, anno in cui il fanatico califfo egiziano el-Hakim, il distruttore del S. Sepolcro, scatenò una vera persecuzione contro i Cristiani. Betlemme fu anche allora risparmiata perché el-Hakim, secondo alcuni, venne fermato da un intervento miracoloso. Ma, secondo altri, fu il suo desiderio di continuare a ricevere i tributi, che i Cristiani pagavano fin dal tempo di Omar, quello che salvò la basilica.

Nel 1099 Betlemme non poté sfuggire alla furia dei Musulmani, che la devastarono mentre l’esercito crociato si avvicinava. I Betlemiti, temendo che anche la basilica venisse distrutta, come le altre chiese, inviarono messi a Goffredo di Buglione, acquartierato ad Emmaus, invitandolo a prendere possesso della città. Goffredo inviò Tancredi, con una centuria di cavalieri e ben presto la bandiera crociata fu alzata sulla basilica, tra il giubilo di tutti i cristiani. Nel 1100 Baldovino, primo re di Gerusalemme, fu incoronato dal Patriarca, la notte di Natale, proprio in quella chiesa e nel 1122 Baldovino II vi ricevette a sua volta la corona. Essi evitarono così lo scandalo di ricevere una corona temporale nella città dove il Cristo era stato incoronato di spine.

La conquista dei Crociati apri un nuovo capitolo nella storia di Betlemme. Essi ricostruirono la cittadina e ne fecero una rocca fortificata. Fondarono anche un monastero per i canonici di S. Agostino, incaricati del servizio liturgico in latino. La basilica, nella gerarchia della Chiesa bizantina, non aveva goduto di particolare preminenza: era stata soltanto una parrocchia della diocesi patriarcale di Gerusalemme. Nel 1110 il re crociato ottenne da papa Pasquale II che la città fosse eretta a sede episcopale. La diocesi ebbe, per altro, vita breve ed in seguito divenne una sede titolare.

Nel 1165-69, a cura dell’imperatore di Costantinopoli Manuele Porfirogeneto Comneno, del re crociato Amaury e del vescovo di Betlemme Raoul, la basilica venne restaurata ed ornata. I vecchi e consunti marmi del pavimento furono sostituiti con nuove lastre ed il tetto fu rifatto con legno di cedro e copertura di piombo; i muri laterali furono rivestiti di marmo bianco; la parte alta della navata centrale fu coperta di mosaici; la vela della grotta della Natività fu arricchita di mosaici policromi e dorati, alcuni composti di tessere di vetro e di madreperla.

Nel 1187, dopo la sconfitta di Hattin, i Crociati si ritirarono e Betlemme, come quasi tutte le altre città del regno crociato, fu presa da Saladino. Nel 1192, su richiesta di Umberto Walter, vescovo di Salisbury e ambasciatore di Riccardo Cuor di Leone, il culto latino venne ripreso, dietro pagamento di tributi da parte dei fedeli.

Grazie a due tregue (la prima stipulata dall’imperatore Federico II con il sultano d’Egitto Melek el-Kamel, la seconda dal re di Navarra con il sultano di Damasco), Betlemme ritornò in mano cristiana dal 1229 al 1244. 1 canonici di S. Agostino poterono riprendere la loro sede e la basilica fu di nuovo aperta al mondo cristiano.

Nel 1244 intervennero le orde dei turchi Khuwarizmi, che sconfissero sia i Crociati che il sultano di Damasco. Quando i Khuwarizmi, dopo pochi anni, si ritirarono, le sorti della Palestina non migliorarono sotto i sultani egiziani mamelucchi. A Betlemme i Cristiani furono espulsi e le mura nuovamente abbattute (1266) per ordine di Baibars. L’ostracismo ai Cristiani durò, peraltro, poco ed i pellegrinaggi furono riammessi. Continuava la politica, sfruttata ampiamente in seguito anche dagli Ottomani, di valersi dei Luoghi Santi a pro’ delle casse dello Stato e delle tasche dei singoli. I canonici di S. Agostino non sopravvissero a questo ulteriore esilio.

Il regno crociato finì nel 1291, e la Palestina restò, con la Siria, sotto il dominio dei Mamelucchi, servi del sultano, di sangue circasso e turco, che erano saliti al potere in Egitto nel 1252.

Agli inizi del XIII sec. erano arrivati in Terra Santa i primi missionari francescani. Durante tutto il periodo delle Crociate essi, quali cappellani e consiglieri, sostennero spiritualmente i combattenti. Durante i periodi successivi pagarono parecchi scotti di sangue. Nel 1333 i ‘frati della corda’ erano già al Cenacolo; dal 1335 al 1337 essi acquistarono il territorio su cui sorgevano il Cenacolo ed il S. Sepolcro; il 21 novembre 1342, Clemente VI, con le bolle Gratias agimus e Nuper carissime, riconobbe loro la custodia dei Luoghi Santi (Bullarium Franciscanum, Roma 1902). Nel 1347 essi si stabilirono definitivamente a Betlemme, dove erano stati attivi già da qualche tempo, e subentrarono legalmente nella officiatura della basilica.

Alla fine del XV sec. esisteva ancora la cinta muraria rinforzata da due torrioni, uno posto ad Ovest, sulla sommità della collina, l’altro in vicinanza, delle basilica. Selim I di Costantinopoli, che nel 1517 aveva tolto la Palestina ai Mamelucchi d’Egitto, fece abbattere tutto e colmare i fossati. Nel XVI sec. Betlemme era ridotta ad un villaggetto desolato. Il pellegrino Zuallart (Il devotissimo viaggio a Gerusalemme, Roma 1586), riferisce: "(restano) forse alcune casette dove abitano certi poveri Mori, vivendo di quel poco che, lavorando e assassinando i pellegrini, s’acquistano; fra i quali sono anco alcuni christiani Soriani, i quali quasi tutti parlano un poco Italiano, ch’essi chiamano Franco".

I Turchi, infatti, avevano cominciato con buone intenzioni, preoccupandosi di dare una sana amministrazione al paese, e promuovendo un programma di ricostruzioni (si ricordi Solimano il Magnifico che nel 1539-1542 fece risorgere le mura di Gerusalemme, quelle mura che noi ancora oggi ammiriamo). E avevano continuato con male azioni, sfruttando e depredando la regione, tanto da ridurla a vera miseria. Betlemme fu, per 400 anni, una delle tante vittime del malgoverno turco ed in più, a partire dal XVI sec., soffri l’amarezza delle lotte sanguinose fra Latini e Greci per l’egemonia sulla basilica della Natività.

Sin dal 1347 i Padri Francescani avevano ottenuto dal sultano il possesso della grotta; susseguentemente anche quello di usare la basilica e di provvedere alla sua manutenzione. P. Gerardo Calveti, Guardiano del Monte Sion, alla fine del 1300 aveva fatto un viaggio in Europa per sollecitare l’intervento dei principi a favore dei restauri del Santuario. Nel 1479 il P. Guardiano Giovanni Tomacelli aveva persuaso Filippo il Buono di Borgogna ed Edoardo IV di Inghilterra a provvedere al rifacimento del tetto.

Questi fatti, a parte l’esistenza dei numerosi firmani dei sultani, confermavano i diritti dei Latini. Ma nel XVI sec., causa l’avidità dei pascià e dei bey, i Greci molto spesso riuscirono a ricomperare quanto i Francescani avevano già comperato: alcuni Luoghi Santi vennero ceduti alternativamente agli uni ed agli altri svariate volte.

Inoltre, il destino dei Frati Minori era influenzato dalle guerre fra gli Ottomani e le Repubbliche Marinare. Ad esempio, nel 1537 Solimano II, quasi a rappresaglia perché Genova gli aveva distrutto la flotta, imprigionò i Francescani di Gerusalemme e di Betlemme nella Torre di David e poi li deportò a Damasco, trattenendoli per tre anni. Le sorti dei Padri caddero a zero quando gli Ottomani sconfissero la Serenissima (1669) e si alzarono quindi le sorti dei Greci, che vennero autorizzati a prendere possesso della basilica e della grotta della Natività.

Nel 1690 i Latini ottennero di nuovo la grotta e nel 1717 sostituirono la stella che segnava il luogo della nascita di nostro Signore, ormai consunta, con una stella nuova che recava l’iscrizione latina ‘Hic de Virgine Maria Jesus Christus natus est’. Nel 1757 i Greci si impossessarono della basilica e dell’altare della Natività e nel 1847 fecero sparire la stella che affermava i diritti dei Latini. Grazie all’intervento del Governo Francese presso la Sublime Porta, nel 1853 un’altra stella latina fu collocata nella grotta, sotto la mensa dell’altare. L’originale della stella pare fosse nascosto nel convento greco di Mar Saba dove, secondo un giornalista ebreo, si trovava ancora pochi anni prima del 1949. In seguito furono spesso fatti tentativi per staccare nuovamente la stella e anche nel 1950 furono asportati dei chiodi.

Diremo soltanto che della basilica sono comproprietarie le tre comunità (Latina, Greco ortodossa ed Armena ortodossa). I Greci ortodossi hanno diritto di celebrare al loro altare e così pure gli Armeni ortodossi. Nella grotta della Natività i Latini sono proprietari di una scala, del presepio, della volta, delle pareti lunghe e del pavimento ed hanno diritto di celebrare la Messa all’altare dei Magi. I Greci ortodossi possiedono l’absidina della Natività dove celebrano la Messa. Questo diritto è condiviso con gli Armeni ortodossi. I Siriani ortodossi possono entrare in forma ufficiale nella basilica due volte l’anno (Natale e Pasqua) e i Copti ortodossi una volta l’anno (Natale).

Tre sono le chiavi che aprono e chiudono la porticina della basilica: ogni comunità ne detiene una. Il diritto che i Greci ortodossi hanno di aprire e chiudere materialmente tale porticina può essere esercitato, la mattina e la sera, al suono della campana latina che annuncia l’Angelus.

Intanto, gli Armeni ortodossi tra il 1810 ed il 1829, erano riusciti a stabilirsi nella basilica e ad impossessarsi del braccio nord del transetto.

Il 25 aprile 1873 si ebbe un ulteriore, violento attacco da parte dei Greci ortodossi, che ferirono otto padri Francescani e saccheggiarono la grotta della Natività, depredandola di tutti gli arredi. A seguito di ciò, il sultano ordinò che una sentinella vegliasse continuamente sulla pace nella grotta della Natività, ma gli attacchi greci continuarono e altri Frati Minori vennero colpiti e feriti. Neanche la sentinella della Potenza Mandataria servì a molto: nel 1928 le violenze furono ripetute.

Oggi la situazione si presenta cambiata, i rapporti sono cordiali ed un certo spirito di collaborazione facilita la convivenza delle tre Comunità.

Riprendendo il filo cronologico, ci troviamo, dopo i secoli turchi, al 1831. In Egitto era salito al potere un albanese, Mohammed Ali, che aveva combattuto contro Napoleone come bin-bashi, maggiore, dei bashibozuq, truppe irregolari turche. Uomo di stato, oltre che coraggioso soldato, egli era diventato governatore ma desiderava fare dell’Egitto uno stato indipendente da Costantinopoli. Mosse guerra, quindi, contro la Turchia e, durante una campagna, inviò in Palestina un esercito di 30.000 uomini al comando del figlio, Ibrahim. Pascià. Dal 1831, per dieci anni, la regione fu in mano egiziana. I Cristiani espulsero da Betlemme i Musulmani e nel 1834 Ibrahim Pascià, per punire questi ultimi delle continue azioni di brigantaggio, ordinò la distruzione del loro quartiere. Da allora, la popolazione di Betlemme è stata prevalentemente cristiana.

Tornata in mano turca nel 1841, passata sotto il Mandato britannico, come tutta la Palestina, dal 1917 al 1948, e sotto il regno Hashemita di Giordania dal 1948 al 1967, Betlemme rientrò nei territori occupati da Israele a seguito degli avvenimenti del giugno 1967. Si trova oggi affidata all’Autorità Palestinese.

LA BASILICA DELLA NATIVITÀ

Guardiamo ora la basilica, e quindi la grotta della Natività, con gli occhi di coloro che vissero a Betlemme o la visitarono nel corso dei secoli. Ciascuno scrittore contribuisce con particolari diversi alla descrizione di questi Luoghi Santi, integrando la loro storia. Grazie a queste pennellate potremo ricostruire il loro aspetto nelle varie epoche. In seguito, accompagnati dall’archeologia, scopriremo sotto le strutture e gli ornamenti attuali, le opere antiche.

I. Dal IV all’XI secolo.

Troviamo la prima testimonianza nell’Anonimo di Bordeaux (333 - Itinera Hierosolymitana), che dice: "Dove nacque il Signore Gesù, ivi è stata costruita una basilica per ordine di Costantino". Da Eusebio di Cesarea (De Laudibus Constantini, sermone pronunciato forse nel 335 per l’inaugurazione del S. Sepolcro), abbiamo conferma: la chiesa esisteva già, eretta sopra una grotta mistica, come quelle dell’Oliveto e del S. Sepolcro: "Scegliendo in Palestina tre luoghi che avevano l’onore di possedere tre mistiche grotte, (Costantino) li ornò di ricche costruzioni… Abbellì tutti questi luoghi facendo brillare dappertutto il segno salutare". Ancora Eusebio (dopo il 337, Vita Constantini) precisa: "Perciò la piissima imperatrice (Elena) ornò con magnifici monumenti il ricordo del parto della Madre di Dio, avendo cura di far risplendere in ogni maniera la grotta dei parto, e poco dopo l’imperatore onorò lo stesso ricordo con offerte reali aggiungendo alla liberalità di sua madre dei vasi d’oro e d’argento le tappezzerie ornate".
Eteria, la prima donna-pellegrina che ci abbia lasciato un diario di viaggio, parla anche dei fastosi addobbi (circa 390 - Aetheriae peregrinatio ad loca sancta): "La decorazione della chiesa in quel giorno (l’Epifania) sia all’Anastasis, che alla Croce ed a Betlemme, è superfluo descriverla. Non vi vedi altro che oro, pietre preziose e seta; quando vedi dei paramenti, sono tutti di seta tessuta d’oro; se vedi dei tendaggi, sono anch’essi di seta tessuti d’oro. Gli oggetti del culto, di ogni genere, che si tirano fuori in quel giorno, sono d’oro incrostato di pietre preziose… E che dire della decorazione degli edifici che Costantino, sotto la sorveglianza di sua madre, e avendo a disposizione tutte le risorse del suo regno, ornò di oro, di mosaici e di marmo prezioso…".

Queste notizie sono brevi ma sufficienti a farci trarre alcune conclusioni. L’edificio a piano basilicale, costruito da Costantino proprio sopra la grotta, fu arricchito da doni suoi e di Elena; la decorazione doveva essere preziosissima, probabilmente erano dorati anche i capitelli (come al S. Sepolcro); mosaici ricoprivano il pavimento; l’altare e le balaustre erano ornati di marmi. Drappi e lampade gemmate pendevano dovunque. Non disponiamo, tuttavia, di descrizioni esaurienti o tecniche, ed è possibile trarre da S. Girolamo quest’unica, scheletrica notizia: i fedeli, dalla chiesa, potevano vedere il coro dove stava il clero.

La chiesa di Costantino restò in piedi per circa due secoli. Eutichio, patriarca di Alessandria (ca. 876 - Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Script. Arabici), riferisce: "E nell’anno 21 del regno di Giustiniano si ribellarono in Palestina i Samaritani e distrussero tutte le chiese e vi misero fuoco e uccisero molti cristiani e li tormentarono aspramente ed uccisero il vescovo di Naplus. Ed essendo pervenuta la notizia al re Giustiniano, egli inviò molti soldati, i quali uccisero una grande moltitudine di Samaritani. In quel tempo Pietro, Patriarca Gerosolimitano, pregò Mar Saba di recarsi a Costantinopoli per pregare l’imperatore di alleggerire le tasse ai Palestinesi. In tutto ciò lo esaudì l’imperatore ed anche in tutto quello che gli chiese, ed inviò con lui un legato provvisto di molte ricchezze ed inoltre scrisse al Prefetto di Palestina di consegnare i tributi di Palestina al legato affinché potesse fabbricare tutto ciò che il re gli aveva comandato. E ordinò al suo legato di demolire la chiesa di Betlemme, che era piccola, e ricostruire una chiesa splendida, grande e bella e che neanche a Gerusalemme ve ne fosse una più bella di questa". Tuttavia l’imperatore non fu soddisfatto dell’opera del legato, lo accusò di avere intascato il danaro e lo fece decapitare.

Il racconto sembra un po’ fantastico, ma gli scavi hanno dimostrato che, a parte l’abbellimento, il fatto posa sulla verità: la basilica fu demolita e ricostruita. Secondo Eutichio la demolizione non sarebbe da attribuire ai Samaritani, ma sarebbe stata ordinata da Giustiniano, forse proprio perché l’edificio costantiniano risultava essere troppo piccolo. La nuova costruzione, infatti, oltre ad essere più lunga, nella zona absidale si sviluppava in triconca.

In una anacreontica del Patriarca Sofronio (603-604 — PG, 87/3, 3811) troviamo una descrizione entusiastica: "Entrato nel magnifico quadrilatero … esulterò di gioia. Alla vista delle colonne dai riflessi d’oro e dell’opera musiva abilmente eseguita, le nubi dei miei dolori si dissiperanno. Guarderò al soffitto le decorazioni brillanti come gli astri…". Il poeta non precisa se si tratta di cicli pittorici, o di decorazioni semplici, ma certamente figure dovevano esistere.

Ciò viene confermato da un testo del Concilio di Gerusalemme (836 - ELS - p. 130): "Quando gli empi Persiani devastarono tutte le città dell’Impero Romano e della Siria … arrivati a Betlemme videro con stupore le immagini dei Magi persiani… Per rispetto e per affezione ai loro antenati, li venerarono come se fossero stati vivi e risparmiarono la chiesa. Ella sussiste anche ai nostri giorni". I Padri Conciliari attribuivano questo mosaico alla chiesa costantiniana, ma esso più probabilmente apparteneva alla ricostruzione giustinianea.

Eutichio conferma l’esistenza dei mosaici, ed è da rimpiangere che nessun autore, pur se molti parlano con ammirazione della basilica, ci abbia lasciato una descrizione sistematica dell’edificio e degli ornamenti. Peraltro, possiamo essere certi che la basilica ricostruita da Giustiniano, presentava un aspetto fastoso, con i suoi marmi e i suoi mosaici variopinti e a fondo d’oro e d’argento. Il gusto bizantino delle decorazioni forse sembrerebbe oggi caricato, ma all’epoca l’edificio deve essere risultato un capolavoro.

II. Dal XII secolo ad oggi

In questo lungo periodo la basilica non ha subìto innovazioni strutturali; soltanto le decorazioni, in vista del decadimento, sono state a volta rinnovate. Le notizie letterarie, giunte fino a noi, sono numerose, ma non dettagliate: appena nel 1596 il P. Bernardino Amico tracciò piante e disegni degli edifici sacri betlemiti.

Possiamo desumere che la basilica aveva uno o due campanili, da un primo accenno fatto nel 1322 da G. de Maundeville. Sfortunamente questo pellegrino non è stato troppo chiaro e quindi non permette una localizzazione precisa. Il mercante lombardo-veneto, Bernardino Di Nali (1492 - La peregrinazione a Gerusalemme), ci dice: "Appresso ha un meraviglioso campanile con grande arte et ingegnio lavorato…", ma anche egli non specifica l’ubicazione. P. Felix Faber (1480-3), ci informa che i Saraceni non permettevano ai Cristiani né campane, né campanelli, tanto che i religiosi avevano dovuto rimuoverli perfino dal S. Sepolcro.

Il pellegrino russo, l’abate Daniele (1106-7), ricorda tre porte di accesso, ma non ne indica la posizione. Nel XVI sec. ve ne erano sicuramente due (pianta di B. Amico), e la notizia è confermata dal P. Quaresmi (1628): una porta grande a Ovest ed una piccola a Nord, che comunicava con il convento francescano.

La copertura, forse fin dall’epoca pre-crociata, era di legno di cedro a capriate scoperte. Tale struttura è rimasta fino ad oggi. Si ricordano almeno due rifacimenti completi, uno del 1480 (P. Giovanni Tomacelli), l’altro del 1671 (a cura dei Greci), oltre alle riparazioni del 1607 e del 1617 (a cura dei Frati Minori).

Ludovico de Rochechouart (1461) lamenta le tristi condizioni del tetto: "I Saraceni non vogliono permettere né di riedificare, né di riparare, così è un miracolo del Piccolo che ivi è nato, se resta ancora". Nel 1480 P. Faber diceva che la chiesa rassomigliava ad un granaio vuoto. ad una farmacia senza i vasi per le spezie, ad una biblioteca senza libri. Colombi e passeri volavano liberamente dentro e fuori la basilica, passando per i fori del tetto, cosa che d’altronde fanno ancora oggi. Il Custode P. Suriano (1485) riferisce il rifacimento del 1480, per il quale vennero utilizzati legno e lamine di piombo. Verso il 1596 P. Amico (Trattato), dice: "Per il qual piombo i nostri Padri patiscono molti travagli perché non ci vengono mai Giannizzari che non vogliano di questo far palle d’archibuso, il che volendo proibire i Padri, ne ricevono ben spesso bastonate et altre offese". Il Padre Gesuita Nau (1674 - Voyage Nouveau de la Terre-Sainte), parla del rifacimento greco del 1671, resosi necessario perché "il piombo, essendo portato via in molti posti dai nemici della nostra religione, la pioggia aveva fatto marcire il legno e guastare tutto".

Come ci dice Teodorico (1172), i Crociati avevano posto sul tetto, sostenuta da un’asta, una grande stella di rame dorato.

In quanto al pavimento, Daniele riferisce che la basilica aveva pavimentazione di marmo e Santo Brasca (1480 - Viaggio in Terra Santa) lo descrive "tutto di marmo bianchissimo". Il Francescano anonimo spagnolo (1553-5) - ELS - n. 155,1) specifica: "Tutto il pavimento era coperto di ottimo marmo, ma i Turchi lo portarono via tutto nel tempio di Salomone, che è la loro moschea". P. Quaresmi conferma (1628 - ELS - n. 157, 1): "Il pavimento della cappella maggiore e superiore è similmente fatto di tavole marmoree: quello della chiesa, poi, già dilapidato, è di una certa mistura di cocci pestati riuniti con la calce di colore rosso fosco". Marmi della chiesa di Betlemme possono ancor oggi essere visti nella grande Moschea della Roccia di Gerusalemme. I pavimenti attuali risalgono ai restauri fatti dai Greci nel 1842, con i quali si tentava di riparare anche ai danni causati dal terremoto del 1834, e sono di rozze lastre di pietra.

La decorazione marmorea delle pareti subì la stessa sorte di quella del pavimento. Notizia dell’esistenza dei marmi ci è data da Ludolfo di Sudheim (circa 1335), da Gretenio (1400) che li definisce di alabastro, e da P. Faber. Ma già nel 1422 comincia la depredazione (G. Poloner). G. Chesnau (1549 - Le voyage de Monsieur d’Aramov) narra che la chiesa va in rovina "a causa che i Turchi presero, e prendono ogni giorno, i marmi e le pietre che loro possono servire per arricchire le loro moschee". Al tempo di P. Quaresmi (1628) non esistevano più che le grappe di sostegno.

Dato che ne parla Daniele, è da ritenersi che già prima dei Crociati la basilica, almeno in parte, fosse ornata di mosaici parietali. Niccolò da Poggibonsi (1347 - Libro d’Oltramare) ricorda che: "Alla nave di mezzo, dallato, di sopra le colonne, si è lavorato d’opera musaica". Nel sec. XV, causa le cattive condizioni del tetto ed il fumo delle candele e delle lampade ad olio, comincia il decadimento, come attestano de Rochechouart e, 60 anni dopo, il Francescano anonimo spagnolo, Questi osserva (ELS 155, 1): "Fu anticamente il monastero e la chiesa ricchissima, tutta lavorata di musaico e con molte storie, ma ora tutto piange". Dal canonico Alcarotti (1588 - Del viaggio di Terra Santa) apprendiamo che "i Turchi tirano alle figure delle archibugiate dove non arrivano in altro modo a distruggerle". Il restauro del 1842 diede a questi mosaici il colpo di grazia. Oggi non resta che rimpiangere la sparizione praticamente totale di queste opere, immaginare l’eleganza della basilica illuminata dall’oro splendente dei mosaici, e riconoscere tristemente che l’ignoranza ha vinto l’arte.

Circa il coro, sappiamo da Nicolò da Poggibonsi che stava "a capo delle colonne, intorno al grande altare, e mostra che fosse molto grande; d’intorno è murato e ha tre porte, all’oriente e a mezzo giorno e alla tramontana; le sedie del coro sono guaste". Non si può dire se il muro, che separava il coro dall’abside, risalisse ai Crociati o fosse posteriore, ma si può pensare più ad un coro chiuso che ad una iconostasi. L’iconostasi fu creata dai Greci nel XVII sec. P. Faber dice che al coro si accedeva mediante una scala di 6 gradini; dal coro si entrava nel santuario e nel presbiterio; dal santuario altri gradini portavano all’altar maggiore.

LA BASILICA OGGI

Malgrado le ripetute distruzioni, malgrado i rabbini ed i Romani, gli Arabi e gli Egiziani, malgrado la durezza del dominio turco, durato ben 400 anni, malgrado il non eccessivo interesse, soprattutto negli ultimi tempi, delle potenze cattoliche per questo come per tutti i Luoghi Santi, malgrado il logico incalzare dell’Islam, il culto cristiano non è mai scomparso da Betlemme. Anzi si può dire che è fiorito tra le avversità come l’erica tra le roccie.

Abbiamo osservato che qui oggi non ci sono santuari splendidi, niente che ricordi le cattedrali di Burgos o di Chartres, di Colonia o di Ely. Vogliamo però dire che, in compenso, troviamo qui le radici profonde di una fede che non ha mai tremato, che è tanto più persuasiva nella sua modestia, tanto più incitatrice nella sua perseveranza, tanto più esemplare nel sangue versato. Forse è questo sentimento di fede tenace che permea l’aria di Betlemme, rendendola mistica, dolce, rasserenante. Certamente è a questa fede, alimentata negli ultimi 750 anni dai Padri Francescani, più che all’oro dei principi, che andiamo debitori degli edifici sacri eretti nel corso dei secoli.

La basilica conserva anche attualmente un aspetto imponente, grazie ai poderosi muri dell’esterno ed alle dimensioni ben proporzionate ed ai colonnati dell’interno. Occorre, peraltro, quasi un atto di fede per credere che, in altri tempi, i marmi del pavimento riflettessero lo splendore dei capitelli dorati. Niente sostituisce le tappezzerie sontuose, e i globi di vetro colorato, penzolanti dalle lampade incappucciate, danno la malinconica impressione di un albero di Natale secco e spoglio. Ma, con tutto quello che ha passato Betlemme, è già molto se la basilica esiste. Visitandola, cerchiamo di ricostruire mentalmente il passato, forando i muri, quando occorre, con l’aiuto dell’archeologia e della immaginazione.

Il complesso monumentale degli edifici sacri, di cui la basilica della Natività è il cuore, copre un’area di circa 12 mila m2 , e comprende, oltre alla basilica, i conventi latino (Nord), greco (Sud-Est), armeno (SudOvest) e la chiesa cattolica di S. Caterina di Alessandria con il chiostro di S. Girolamo. L’aspetto esterno è severo, più di fortezza medievale che di luogo di preghiera. Questo è un tratto comune a tutti gli edifici religiosi antichi della Giudea, la cui origine deve essere rintracciata nella necessità di difenderli dai predoni occasionali del deserto, dai periodici invasori e dai monaci fanatici. Le costruzioni appartengono a tempi diversi ed è arduo per gli studiosi il poter rintracciare le trasformazioni avvenute durante i secoli, anche perché mancano piante che diano una veduta generale delle costruzioni nelle varie epoche: sebbene antiquati, le piante ed i disegni di B. Amico (1596) sono tuttora gli unici.

Gli scavi compiuti nel 1932 (atrio) e nel 1934 (interno della basilica), diedero origine a varie interpretazioni (W. Harvey, E.T. Richmond, H. Vincent, R.W. Hamilton). Nel 1947 il P. Bellarmino Bagatti, ofm, fu incaricato dalla Custodia di Terra Santa di studiare i risultati archeologici derivanti dai lavori di restauro del chiostro di S. Girolamo. Dato che le trincee aperte per esplorare il sottosuolo, avevano portato alla luce importanti resti precrociati, P. Bagatti analizzò in dettaglio tutto il materiale archeologico allora disponibile circa la basilica ed il sistema di grotte sottostanti. Le conclusioni cui egli è pervenuto differiscono dalle precedenti interpretazioni. Le note che seguono rispecchiano i risultati degli studi di P. Bagatti, che sono attualmente i più completi ed i più approfonditi.

Alla basilica, e quindi alla grotta della Natività, si accede da un atrio, lungo 42 m. e largo 30. Anticamente, sul lato ovest, dove l’atrio sbocca sulla piazza del paese, esisteva un muro con una grande porta, residuo dei tempi bizantino e crociato. Sugli altri lati l’atrio è limitato dagli edifici armeni, dalla basilica stessa e da edifici privati. Nel 1906, durante la erezione della cancellata del cimitero greco, che si trovava lungo il lato nord dell’atrio, venne alla luce un muro e, nel 1932, lavori di scavo ne rinvennero altri. Per non intralciare l’accesso alla chiesa, tutto venne interrato. Gli archeologi riconobbero i muri esterno e interno di cinta dell’atrio giustinianeo e un muro trasversale che divideva l’atrio in due sezioni. L’esistenza di un doppio atrio è unica e si deve pensare ad un qualche scopo, peraltro non chiaro. Inoltre, nell’area delle due sezioni esistevano altri muri che venivano a formare due recinti. Causa questa disposizione eccezionale, fu difficile distinguere il lavoro di Costantino da quello di Giustiniano. Oggi, ai piedi del muretto che delimita il lato nord dell’atrio, vediamo gli stilobati del muro di cinta interno giustinianeo. Durante gli scavi, nel muro nord vennero trovati degli anelli di metallo: il mercato, in tempo indeterminato, aveva invaso l’atrio e agli anelli i beduini, venuti per rifornirsi, legavano le bestie.

Se, all’inizio dell’atrio, voltiamo le spalle alla facciata e guardiamo verso il paese, vediamo, al di là di Sahet el-Mahed (Piazza della Mangiatoia), una strada, che sale sulla collina, attualmente chiamata Ras Iftès. Essa segue il tracciato del cardo decumanus romano e conduce al quartiere più vecchio di Betlemme. Questo ci conferma che il Bambino venne alla luce in un posto situato nei pressi del villaggio, non dentro.

Guardando la facciata, vediamo alla nostra sinistra una finestrella lunga e stretta, una specie di feritoia: essa si apre nella cappella inferiore di un antico campanile.

Il P. Bagatti, basandosi sugli elementi a disposizione, ha potuto concludere che, in antico, esistevano in effetti due campanili, a sinistra ed a destra della facciata. Le indagini si sono svolte soltanto in corrispondenza del campanile nord-est, dato che era impossibile effettuare lavori nell’altro angolo, dove si eleva il massiccio convento armeno. La ricostruzione, in parte ideale e fatta sul modello di altri campanili del tempo, mostra che si trattava di un campanile a sezione quadrata, con 4 o più vani sovrapposti, ciascuno dei quali racchiudeva una cappella. La guglia ricalca campanili simili.

Questa ricostruzione conferma le parole dei pellegrini medievali Gabriele Capodilista (1458), Santo Brasca (1480) e Bernardino Di Nali (1492), i quali definiscono il campanile "mirabile e subtilmente lavorato". Esso quindi, non può essere identificato con il massiccio torrione crociato che si trova nel cortile, in prossimità dell’abside sud.

Le campane furono tolte nel 1452, per ordine di Maometto II - se pur non un secolo prima - e, secondo la tradizione, interrate nel convento francescano.

Nel 1863, scavi fatti in prossimità della cucina del convento francescano, portarono fortuitamente alla luce, oltre a vari oggetti di culto, tre campane; nel 1906, quando vennero gettate le fondamenta di Casa Nova, se ne trovarono altre 13. Le diverse dimensioni, le diverse note, fanno pensare che si trattasse di un vero e proprio concerto di campane e,. Sulla campana più piccola si legge l’iscrizione ‘Vox Domini’.

Le cappelle del campanile erano decorate con dipinti. Di questi restano oggi varie figure nella cappella inferiore, mentre in quella superiore non vediamo che poco intonaco. Le pitture, restaurate nel 1950, rappresentano, nell’abside, nostro Signore benedicente, con ai lati il Battista e la Vergine; sulla volta presso il muro est, il trono pronto per il giudizio, posto davanti alla croce con doppio braccio; sul pilastro nord e sulle volte, figure di santi, di apostoli e la Vergine con il Bambino.

All’ambiente inferiore del campanile si arriva passando per la cappella di S. Elena, alla quale si accede dal chiostro di S. Girolamo (angolo sud-ovest), oppure direttamente dalla basilica, attraverso la piccola porta di comunicazione tra questa ed il chiostro (entrando, a sinistra).
Passiamo quindi al nartece. in periodo crociato, il grande nartece di Giustiniano fu suddiviso, ai lati, con mezzanini ed oggi è praticamente sparito sotto una serie di vani informi. Esistevano tre grandi porte di accesso; le due laterali sono ora nascoste rispettivamente da un barbacane posteriore al XVI sec. e da costruzioni armene. La porta centrale, il cui architrave giustinianeo è ancora visibile, nel Medio Evo fu rimpicciolita e sagomata a sesto acuto. Quindi al tempo dei Turchi, fu ridotta a quella specie di buco che tuttora resta. La prima riduzione fu resa forse necessaria da lavori di consolidamento, mentre la seconda fu fatta per evitare che la chiesa venisse trasformata in una stalla. Resti del nartece costantiniano sono stati reperiti nell’interno della basilica e quindi interrati. Indicativamente si trovano lungo l’asse che congiunge le seconde colonne.
La facciata termina con un timpano, ed ha tre porte, in corrispondenza di quelle del nartece. È aperta solo quella centrale. Esistono tuttora resti della grande porta lignea, fatta e regalata alla chiesa nel 1227 da due Armeni. Gli arabeschi floreali che l’adornano, sono tipici dei secoli X-XIII ed hanno una eleganza del tutto particolare. In alto, sui battenti, si vedono due iscrizioni, una in armeno, l’altra in arabo. La prima dice:

"Questa porta, con l’aiuto della Santa Madre di Dio, fu fatta nell’anno 676 dalle mani di Padre Abramo e di Padre Arakel, al tempo di Hetun, figlio di Costantino, re d’Armenia. Dio abbia misericordia delle loro anime". La seconda: "Questa porta fu ultimata con l’aiuto di Dio (Allah), che sia esaltato, al tempo del nostro signore il sultano Melik el-Muaddem, nel mese di Moharram dell’anno 624". Entrambe le date, secondo i rispettivi calendari, corrispondono al 1227 d. C.

La facciata, in un tempo non determinabile, sostenne forse una specie di loggia o di grosso cornicione, come si può dedurre dalla serie di buchette cieche sopra le quali, per tutta la larghezza, corre un incavo. Per la costruzione sono state impiegate pietre malaki (di grana dura) di varie dimensioni; nell’interno, fino ad una certa altezza, esse mostrano ancora i segni delle grappe che anticamente sostenevano le lastre dì marino che rivestivano completamente le pareti. La facciata costantiniana si trovava un po’ più ad Est di quella attuale.

Si entra quindi nella basilica. La lunghezza totale dell’edificio è di 53.90 m., la larghezza totale delle navate è di 18.20 m. (la navata centrale misura 10.25 m, mentre le due laterali insieme misurano 7.95 m.). Nel transetto la larghezza è di 35.82 m.

Nella navata sud si trova il fonte battesimale. Si tratta di una vasca monolitica, ottagonale all’esterno e a quadrifoglio nell’interno, per la quale, come per le colonne, è stata impiegata la pietra rosa del paese. Anticamente doveva però esistere un vero e proprio battistero e gli archeologi ne hanno trovato le tracce all’esterno della basilica, nell’angolo sud-ovest, sopra una cisterna. Questa localizzazione, a prescindere dai reperti, corrisponde bene anche all’antico rito battesimale: il battezzando arrivava dall’esterno, riceveva il battesimo e passava quindi nella basilica. Oggi si può vedere il vano, con resti giustinianei e crociati, nella cappella detta di S. Elena, vicino all’ambiente inferiore del campanile. A un livello più profondo, nella cisterna vera e propria, esiste un arco costantiniano.

I muri nord e sud sono simili, per struttura, a quello della facciata. Nel muro nord si apre una porticina (a sinistra entrando) che conduce al chiostro di S. Girolamo.

Dall’andamento dei ricorsi e dalla mancanza di attaccature si deve ritenere che i muri della triconca siano stati costruiti contemporaneamente a quelli delle navate. Le pietre sono tutte malaki, squadrate e lavorate a pettine e a denti. Lo spessore dei muri absidali è superiore a quello dei muri di raccordo.

La basilica giustinianea doveva essere a forma di croce latina, come osserva l’abate Daniele (1106-7). Se ne ha la conferma guardando dall’alto i muri che sovrastano la navata centrale e i pilastri dentro la triconca. Alcune finestre del muro sovrastante la navata centrale e del transetto sono state chiuse, probabilmente per motivi di stabilità, motivi per i quali i Crociati rinforzarono le estremità delle navate con due coppie di archi a sesto acuto, ora sommersi da intonaco.

Dentro il nartece, le navate e la triconca esiste tutta una serie di muri interrati appartenenti alla primitiva costruzione costantiniana. Gli scavi compiuti sinora hanno permesso uno studio soltanto parziale.

I muri dentro il nartece sono di blocchi squadrati rozzamente, e risalgono al tardo periodo romano, e al periodo bizantino. Altri scavi hanno rivelato l’esistenza di due gradini appartenenti, forse, all’atrio di Costantino. Il muro dentro le navate corre parallelo alla facciata attuale, ed ha tre porte, delle quali sono rimaste soltanto le soglie; di fronte a queste, due gradini, simili a quelli ritrovati nel nartece.

Nell’abside nord, è interrato un muro costantiniano circolare, formato da pietre lavorate a denti, con un raggio interno valutabile sui 9 m. Si nota quindi la continuazione del muro nord e l’esistenza di un altro muro parallelo più largo. Il ritrovamento di altri frammenti ha indotto inizialmente gli archeologi a pensare all’esistenza di un santuario ottagonale. Questa ipotesi è stata successivamente scartata per due motivi: primo, lo spessore dei muri varia abbastanza notevolmente, il che non permetterebbe ad una struttura sporgente di stare in piedi; secondo, non esistono altri esempi di chiese che terminino con un santuario ottagonale. La soluzione più naturale è quella di un’abside poligonale, fiancheggiata da due sacristie, soluzione che si trova spesso nell’architettura sacra del IV sec., sia in Terra Santa che altrove. Si spiega così l’osservazione di S. Girolamo: i fedeli dalla chiesa, vedevano il clero nel coro, cosa impossibile in caso di un santuario ottagonale.

Nell’ambito del così detto ottagono sono stati rinvenuti resti di scalini paralleli, nella parte esterna, ai muri dell’ottagono, che portano a un muro circolare. L’area interna del muro circolare è riempita a calce. Alcuni studiosi hanno pensato che si trattasse di un oculus artificiale, ora chiuso, dal quale i fedeli potevano vedere la grotta della Natività, senza entrarvi. Dato che l’ottagono non è situato esattamente sopra la grotta, ed è più grande della grotta stessa, gli studiosi più moderni suggeriscono di poter sicuramente scartare questa prima ipotesi. Altre considerazioni corroborano questa conclusione. L’oculus è un motivo sconosciuto nell’architettura del tempo di Costantino; non esistono altri esempi nelle chiese della Palestina, dove tante sono le grotte venerate; la sua presenza, qui, verrebbe ad eliminare l’altare, il che non è ammissibile, a causa della liturgia che si svolgeva nella basilica, né documentato. Anzi possiamo dire che è documentata la non-esistenza di un oculus, perché nessuna cronaca ne parla, nemmeno per inciso. Nei muri esiste una serie di fori che ha fatto pensare ad una antica balaustra: non si tratta, peraltro, dei fori di una ringhiera di protezione intorno all’apertura, bensì di fori in cui erano infissi i sostegni di un ciborio metallico, che serviva da decorazione all’altare. Questo è un motivo comune alle chiese del IV sec. ed anche vicino al Presepio esiste una colonnina superstite dell’antico ciborio.
Entrando nella basilica si vedono alcune botole di legno: esse servono a proteggere i resti del pavimento musivo costantiniano. Una foto, fatta al momento degli scavi nel 1934, mostra la disposizione di tali resti nella navata centrale, dove si trovano a 75 cm. circa sotto il pavimento attuale. Nelle navate laterali non sono stati reperiti che minuscoli frammenti.

Passata la porta armena, si incontra il primo campo: un enorme tappeto largo quanto l’intera navata centrale, lungo quasi un terzo. La parte di mezzo, costituita da nastri intrecciati, è circondata da una fascia di foglie di acanto, quindi da una seconda fascia con circoli annodati e da una terza fascia, molto stretta, a dentelli circolari. Questa decorazione, che è la più bella della navata, è visibile nell’angolo nord-ovest 1 colori delle tessere danno un pregio particolare a questo mosaico: oltre al bianco, varie sfumature di turchino, verde, rosso, giallo, grigio, porpora. Osservando la fascia di foglie di acanto, si vedono tra le volute un limone, due piccoli fiori (nell’angolo), due melagrane, un cocomero, due pere, un popone. Le foglie, molto dentellate, mantengono una notevole plasticità.

Seguono sei campi che occupano il resto della navata, disposti a coppie su tre file. Essi sono formati da differenti disegni geometrici. Nei due primi, nastri continui formano motivi di svastiche; negli altri quattro un cerchio centrale è variamente ornato. Intorno ai sei campi corre una cornice con nastri intrecciati.

Si mostra un piccolo pannello posto alla base dei tre scalini, verso nord. In esso gli uncini di una svastica centrale sono campiti con quattro motivi geometrici, mentre nel centro si ha l’iscrizione greca IXThYC. Si tratta delle iniziali delle parole greche: "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore", che formano la parola greca ‘pesce’. È, questo, uno dei più antichi simboli cristiani. La posizione della iscrizione, così vicina alla primitiva scala della grotta, non sembra essere casuale.

Nell’abside nord esistono altri resti, ad un livello di 31 cm. più alto di quelli della navata. Essi mostrano nastri intrecciati che formano medaglioni circolari od ottagonali, con disegni geometrici, piante ed animali. Si notano un gallo che becca un grappolo d’uva, una pernice posata su un ramo. Le piume sono rese con linee parallele, senza chiaroscuro.

Un altro campo ha una fascia formata da cornucopie dalle quali escono un grappolo, un uccello su un rametto, melagrane, fiori. La fascia circonda un tappeto di nastri intrecciati; gli spazi liberi sono ornati da foglie, messe per diagonale, che formano croci.

Su questo pavimento, musivo, che poggia direttamente sul fondo roccioso, si stendeva il pavimento di marmo della chiesa giustinianea, rifatto poi dai Crociati. Nelle absidi sono state ritrovate lastre quadrate di due misure (60x80 e 72x72 cm.); nello spazio est tra le absidi, alcuni lastroni erano lunghi anche 167 cm. Questi marmi, bene intonati con la grandezza delle pietre dei muri, mostravano lungo il lato appoggiato alla parete, un incavo nel quale posava il rivestimento marmoreo parietale. Di questo pavimento non restano tracce visibili. Il pavimento attuale delle navate, composto di lastre rozze che contrastano con le colonne, è stato rifatto nel 1842. Il presbiterio è lastricato con marmo e pietre rosse e nere locali.

Quattro colonnati di 11 colonne ciascuno, dividono il vano in cinque navate e un transetto. Le colonne, monolitiche, sono alte da terra all’architrave 5,47 m. Esse sono posteriori al pavimento musivo, che è stato rotto al fine di far poggiare le fondazioni delle colonne su terreno solido.

I capitelli corinzi sono tutti eguali, con tre ordini di foglie di acanto simmetriche e staccate; il gusto è classico ma l’esecuzione risente già del nuovo gusto artistico che si evolve verso l’espressione bizantina. I fusti, di pietra rosa locale, sono leggermente rastremati. Le basi attiche sembrano un poco sproporzionate, anche perché la loro linea è stata alterata dall’aggiunta del pavimento attuale, che ha rialzato il fondo.

Tra le file di colonne che separano le varie navate, vediamo in alto trabeazioni di legno, con tondi composti di foglie di acanto, deteriorate e tarlate. Le trabeazioni hanno funzione ornamentale; i muri superiori ed il tetto posano su archi di scarico, disposti tra le colonne, nascosti dall’intonaco.

Le colonne ed i capitelli attuali sono tutti di epoca bizantina. È impossibile, infatti, pensare a parziali rifacimenti di elementi anteriori, data l’assoluta omogeneità della lavorazione delle une e degli altri. Le colonne, i capitelli ed altro materiale della chiesa primitiva possono essere stati utilizzati in altri edifici della zona. Durante gli scavi effettuati al Campo dei Pastori (1951-52) sono state reperite pietre provenienti di certo dalla basilica costantiniana.
Sulle colonne si vedono tracce di encausti. Trascurate durante i secoli, queste pitture a cera calda sono state studiate solo a partire dalla fine del 1800. Anche in questo caso, le cattive condizioni rendono ogni esame molto difficile. La distribuzione dei soggetti non segue uno schema organico. Si tratta, comunque, di una serie di santi. Troviamo, per citarne soltanto alcuni, i santi Macario, Antonio, Leonardo, Cosma, Damiano, Canuto re di Danimarca, Olav re di Norvegia, Stefano, Giovanni il Battista, Margherita, Fosca. Nella serie di santi sono intercalati encausti con la Vergine che allatta, la Crocifissione, la Vergine con Bambino. Notiamo in particolare nella navata laterale sud, sulla quinta colonna a partire dalla facciata, l’Immagine della Madonna seduta sul trono con il Figlio di braccio. In basso ed in alto, due iscrizioni latine che, integrate e tradotte, dicono rispettivamente: "Vergine celeste dà consolazione ai mesti" e "Figlio che sei vero Dio ti prego di aver misericordia di questi devoti". È chiara anche la data: "Nell’anno 1130 dell’Incarnazione, 15 maggio".

Probabilmente tutti questi dipinti risalgono al XII sec. come dimostrano la scelta di soggetti occidentali ed orientali e lo stile quasi esclusivamente bizantino. Sulle colonne, oltre alle figure ad encausto, si vedono numerosi graffiti di pellegrini, in particolare del tardo Medio Evo e del primo Rinascimento (firme e stemmi nobiliari).

Sopra il colonnato dei muri nord e sud, e nella parte alta del transetto vediamo alcuni metri quadrati di mosaico: sono i testi dei mosaici parietali crociati. Il deplorevole stato di conservazione e l’impossibilità, quindi, di riprendere delle buone fotografie, rendono l’esame di questi pannelli estremamente difficile.

Questa è la disposizione dei mosaici della navata centrale: in altro, tra le finestre, angeli; nel mezzo, pannelli che rappresentano vari concili; in basso, gli antenati del Redentore. Tra le teorie, fasce di foglie di acanto. Delle 24 figure di angeli che formavano la prima teoria, 12 per lato, soltanto 6 sono oggi visibili, incompleti nella parte inferiore, sul muro nord. Gli angeli hanno aspetto femminile, con tuniche e trecce lunghe, e sono disposti in processione, con le mani protese in gesto rituale verso l’abside: è il coro degli angeli venuti ad adorare il Bambino nella grotta. Tra l’ottava e la nona finestra si può vedere il nome dell’artista, Basilius Pictor.

Partendo dalle descrizioni di P. Quaresmi e dai successivi completamenti, si può dire che i pannelli sottostanti ricordavano 7 Concili Ecumenici (Nicea, 325; Costantinopoli, 381; Efeso, 431; Calcedonia, 451; Costantinopoli II, 553; Costantinopoli III, 680; Nicea II, 787), 4 Concili Provinciali (Ancira, 314; Antiochia, 272; Sardica, 347; Gangres, IV sec.) e 2 Sinodi (Laodicea, IV sec.; Cartagine, 254).

Tra la quinta e la sesta finestra (muro nord) vediamo resti dei pannelli di Gangres, Sardica e Antiochia, mentre resti dei pannelli di Nicea, Costantinopoli, Calcedonia ed Efeso sono visibili sul muro sud.

Tutti i pannelli dei Concili Ecumenici seguono uno schema simile: due archi inquadrano due altari, su ciascuno dei quali posa un vangelo. Le colonne che sostengono gli archi, sono sottili, complete di capitelli e di basi. In ciascun pannello, vicino all’altare di destra, c’è una coppia di candelieri con candele, mentre sopra l’altare di sinistra pendono due turiboli. Nello spazio libero, sopra gli altari, trovano posto le iscrizioni in lettere nere, che riassumono le decisioni prese in ciascun Concilio. Lo sfondo è d’oro, salvo quello delle iscrizioni, che è d’argento. I Concili Provinciali e i Sinodi sono rappresentati secondo un altro schema: chiese con cupola e campanili, una triplice arcata in primo piano, tetto e muri resi secondo la prospettiva convenzionale bizantina. Sopra la cupola, il nome della città. Le iscrizioni, poste entro l’arco centrale, sopra un altare, sono in lettere nere su fondo oro.
Tra un pannello e l’altro, composizioni fantastiche, di effetto bellissimo seppure un po’ caricato, che vengono chiamate candelabri e viticci.

Tra i pannelli dei Concili, due grandi croci gemmate, segnavano il punto mediano della Basilica. Le gemme sono di varie dimensioni, più grandi al centro, più piccole nei quattro bracci. Una delle due croci, visibile in parte sul muro nord tra i pannelli di Gangres e di Sardica, ha per sfondo un albero che si separa in due, quasi per darle maggior risalto.

Nella teoria inferiore troviamo infine gli antenati di Gesù, disposti sul muro nord secondo la genealogia di Luca e sul muro sud secondo quella di Matteo. Si tratta di figure a mezzo-busto che fanno da piedistallo ai pannelli dei Concili. Restano oggi, sul muro sud, l’iscrizione sotto la figura di S. Giuseppe e sette busti discretamente conservati (Giacobbe, Matan, Eleazaro, Eliud, Achim, Sadoch e Azor).

Questi mosaici, sebbene ci siano pervenuti in cattivo stato ed a brandelli, tuttavia mostrano sufficientemente i caratteri fondamentali del momento artistico, che ha i suoi esemplari migliori nei mosaici contemporanei della Sicilia (Monreale, Palermo, Cefalù).

Sul prospetto interno della facciata esisteva un grande mosaico con l’albero di Iesse: i rami si intrecciavano intorno alle figure di vari profeti, i quali tenevano in mano rotoli con versetti delle profezie. Di questo mosaico non abbiamo tracce.

Nel transetto parte nord, il pannello dell’incredulità di S. Tommaso è conservato meglio di tutti gli altri. Al centro, il Redentore prende per un braccio l’incredulo; ai lati gli apostoli formano due gruppi molto movimentati. Il mosaico dell’Ascensione mostra al centro la Vergine con ai lati angeli e apostoli. Della Trasfigurazione resta solo una figura, in basso. Nel transetto sud, l’entrata di Gesù in Gerusalemme rappresenta il Salvatore montato su un asino, seguito dagli apostoli, e persone che gli vanno incontro portando in mano rami di palma.

A nord del coro si trovano due altari dove officiano gli Armeni, uno dedicato alla Madonna, l’altro ai Magi. A sud del coro, un altare greco ricorda la Circoncisione.

Nel transetto si aprono due porte. Una (abside nord) conduce alla chiesa di S. Caterina; l’altra (abside sud), ricavata da una finestra, porta al cortile del convento greco. Di qui si vede la massiccia torre di guardia del tempo crociato, la cui parte superiore deve essere caduta prima del 1596, perché B. Amico disegna il torrione già mozzo, con il cornicione rifatto.

L’iconostasi greca, che vediamo all’altezza del transetto, risale al 1764 e fu dorata nel 1853. È di legno intagliato, ben proporzionata, con le tre porte rituali. È divisa longitudinalmente in tre sezioni; in quella centrale, sopra la cornice, vi sono 14 pannelli con scene evangeliche dipinte in stile bizantino. Nel complesso è un notevole lavoro di artigianato. Davanti all’iconostasi vediamo diversi candelieri. I due più grandi, alti quasi due metri, furono fatti a Norimberga nel 1667 per conto del proigumeno Beniamino.

La basilica costantiniana aveva forse un tetto di tegole rosse o di piombo. Il tipo di copertura che vediamo oggi, a capriate scoperte, risale con tutta probabilità al tempo di Giustiniano.

In tempi molto antichi la pietà dei fedeli creò delle leggende connesse con il luogo della Natività. La più antica è quella relativa alla stella dei Magi; il concetto si riallaccia alle grotte lucide. Il primo a parlarne è S. Gregorio di Tours (VI sec. - ELS p. 126): "In Betlemme vi è, poi, un gran pozzo da cui si dice che la gloriosa Maria abbia attinto acqua, dove si mostra spesso un famoso miracolo a chi guarda, vale a dire che ai mondi di cuore comparisce la stella che apparve ai Magi. Ai devoti cioè che vengono e si appoggiano alla bocca del pozzo e si coprono la testa con un panno. Allora colui il cui merito e grande, vede passare sull’acqua la stella da una parte all’altra del pozzo, come le stelle sogliono attraversare il cielo. Molti vi guardano, ma si vede solo da coloro che sono di mente più sana. Ho visto alcuni che asserivano di averla vista…".

Nel giro di mille anni la localizzazione era stata modificata ed il pozzo era posto nell’angolo sud-ovest della grotta. A. Contarini (1516 - Ms nella Marciana dì Venezia) riferisce: "Et in lo ingresso de ditta Capella a mano sinistra in lo cantone è lo loco dove disparve la stella a li Magi quanto hebbono ritrovato il dolce fanciullo Iesu. Et sina al presente ge uno forame in uno saxo di quello medemo loco".

Oggi, a ricordo di questa leggenda, resta una colonnina proprio nel luogo indicato dal Contarini, posta a fianco della Natività (a destra di chi guarda).

Un’altra leggenda antica è connessa ad una qualche bruciatura dei marmi nella quale si vedeva la forma di un serpente. La registra per primo il P. Burcardo (1283 - ELS 138, 7). Dopo aver narrato la storia del sultano che voleva portar via le colonne e che fu impedito da un serpente uscito dalle pareti, egli dice: "Rimase la chiesa e rimane fino ad oggi; così pure le vestigia del corpo del serpente appaiono fino ad oggi nelle tavole dove passò come un bruciamento fatto dal fuoco. E mirabile sembra soprattutto come il serpente avesse potuto passare per la parete che era piana e liscia come vetro".

Qualunque cosa si voglia dire di questo racconto, pure non è da dimenticare che spesso i sultani, già in quel tempo, avevano l’occhio sulla bella basilica con il desiderio di depredarla. Secondo Burcardo, questo leggendario sultano "vedendo nella chiesa quell’ornato e le tavole e le colonne tutte molto preziose", aveva ordinato di toglierle e portarle al Cairo volendo edificare un suo palazzo.

Nelle venature dei marmi era vista anche la figura di S. Girolamo. La ricorda P. Faber (1480 - Evagalorium, 1): "Guardata diligentemente e curiosamente risulta una immagine di vecchio barbato, giacente col dorso sopra una stoia, in abito di monaco defunto e presso di lui l’immagine del leone. E questa immagine non è fatta ad arte o per industria, ma prodotta dalla sola pulitura senza l’intenzione di chi la pulì… Dicono però che ciò sia fatto per l’intenzione divina per la precipua santità del glorioso Girolamo. Quest’immagine non si vede da tutti ma solo da coloro ai quali si mostra". A. Contarini (1516 - Viaggio in Terra Santa) parla della "immagine de sancto Symeone cum il dolce bambino Iesu in brazo, siccome anche in un’altra pietra posta al presepio gli è la immagine del glorioso sancto Hieronymo cosa stupenda a vedere". Zuallard (1586) ci ha lasciato un disegno della figura di S. Girolamo, nel quale tuttavia non appare il leone.

LA GROTTA DELLA NATIVITÀ

I. Nelle cronache

Il vangelo, nel riferire la nascita del Redentore, è estremamente breve. Matteo dà la notizia per inciso: "Nato Gesù in Betlemme di Giuda al tempo del re Erode, ecco dei Magi arrivare dall’Oriente" (2,1). È quasi strano che Matteo, l’Evangelista delle profezie, non si riporti qui a Michea che, 750 anni prima, aveva annunciato questo avvenimento. Luca non aggiunge molto: "Anche Giuseppe salì dalla Galilea, dalla città di Nazaret, in Giudea, alla città di Davide, chiamata Betlemme, perché era della casa e della famiglia di Davide, per farsi iscrivere con Maria sua promessa sposa che era incinta" (2, 4) e in 2, 7 dà l’unico particolare che serva ad ambientare la Natività: "Partorì il suo figlio primogenito, lo avvolse in pannolini e lo depose in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell’albergo".

Non è possibile sapere esattamente se la grotta fosse una delle infinite cavità naturali, che si trovano nei pressi di Betlemme, o un antro adibito a stalla in una qualche locanda. Comunque, la tradizione che risale alla prima metà del II sec., è esplicita : si tratta di una grotta-stalla.

S. Giustino Martire (155-160 - Dialogus cum Tryphone) spiega: "Siccome Giuseppe non poté prendere alloggio nel villaggio, occupò una grotta assai vicina a Betlemme e, mentre erano là, Maria dette alla luce Cristo e l’adagiò nella mangiatoia..."

Origene (ca. 248 - Contra Celsum) parla della venerazione annessa alla grotta, come di cosa certa: "A proposito della nascita di Gesù, se qualcuno dopo il vaticinio di Michea, e la storia scritta nel Vangelo dai discepoli di Gesù, desidera altre prove, sappia che oltre a quello che è raccontato nel Vangelo sulla di lui nascita, si mostra a Betlemme la grotta nella quale è nato e, nella grotta, la mangiatoia dove fu ravvolto in fasce. E quello che si mostra è così conosciuto in questi luoghi, che anche gli estranei alla nostra fede sanno come Gesù, che i Cristiani adorano e ammirano, è nato in una grotta".

Eusebio lascia intendere che la grotta si trova sotto la chiesa di Costantino, ed Eteria specifica: "Nella chiesa (di Betlemme) vi è una grotta dove è nato il Signore".

S. Girolamo (395 - Lettera a Paolino) conferma la profanazione del luogo sacro da parte di Adriano: "Betlemme ora nostra... era ottenebrata da Tammuz, cioè Adone, e nella grotta, dove una volta vagì Cristo, veniva pianto l’amante di Venere". Egli descrive l’antro (386 - Lettera a Marcella) come un "piccolo buco nella terra" e accenna anche (PL 23, 411 - Contra Iohannes Hierosolymitanum) all’esistenza di altre grotte, stando nelle quali poteva udire i fedeli che pregavano alla Natività.

Ancora in S. Girolamo (ELS 102 - Omilia della Natività) troviamo un riferimento a dei mutamenti: "Oh, se potessi vedere quella mangiatoia dove giacque il Signore! Ora noi, come per onore di Cristo, abbiamo tolto quella lutea e messo l’argentea; ma è per me Più preziosa quella che è stata tolta. L’oro e l’argento sono per la gentilità; per la fede cristiana conviene questa mangiatoia lutea... Ammiro il Signore che, pur essendo il creatore del mondo, non nacque fra l’oro e l’argento, ma nel luto". Gli studiosi hanno discusso sul vero significato del termine luteum: indica una greppia di argilla e paglia, oppure una "cosa povera" come la pietra? La seconda interpretazione sembra più logica anche perché, alla fine del passo, l’autore dice che il Signore è nato nel luto, cioè nella povertà, sulla nuda pietra. I resti-reliquie componenti la mangiatoia sono conservati a Roma, sin dal XII sec., in Santa Maria Maggiore.

Al tempo dell’Anonimo di Piacenza (570 - ELS 108), la grotta è ancora ornata d’oro e d’argento. Egli dice che "la bocca della spelonca per entrare è molto piccola". Queste parole confermano che inizialmente esisteva una sola scala dì accesso. Un antico gradino, ritrovato in situ, indica che l’antica scala era formata da due rampe: partiva nel mezzo della navata centrale, andando prima da nord a sud, poi da sud a est.

Bernardo Monaco (ca. 870 - ELS 116, 2) nota: "Betlemme ha una chiesa molto grande in onore di S. Maria, nel cui mezzo è la cripta sotto uno scoglio, il cui ingresso è a mezzogiorno e l’uscita a oriente. In essa si mostra il Presepio del Signore ad occidente della stessa cripta; il luogo però, nel quale vagì il Signore, è ad oriente ed ha un altare dove di celebra la messa". Da queste cronache si dovrebbe concludere che le due scale, attualmente esistenti, sono state costruite tra il 570 e l’870. Tuttavia, è più probabile che questa trasformazione, fatta allo scopo di facilitare il flusso dei fedeli e dei visitatori durante la liturgia, sia avvenuta durante i lavori di Giustiniano. Per una qualche ragione, l’Anonimo di Piacenza non vide che un solo ingresso, o accomunò le due entrate nell’espressione ‘bocca della spelonca’.

Già S. Girolamo accenna ad un altare e la Descrizione Armena (VII sec. - ELS 111) ne conferma l’esistenza. Secondo Willibaldo (723-6 - ELS 114) sembra si tratti di un altarino portatile: "E ivi, sopra (la grotta) vi è edificata la chiesa. E sopra dove il Signore è nato ora vi sta un altare e un altro altare più piccolo è fatto cosicché quando quelli vogliono celebrare dentro la grotta, prendendo l’altare piccolo lo portano dentro per il tempo che celebrano la Messa e dopo lo levano".

Daniele e Teodorico, (1172) parlano di un solo altare formato da una lastra di marmo sostenuta da 4 colonnette, sotto il quale c’è una stella scolpita nel marmo. Il motivo, probabilmente di molto anteriore, ci viene descritto da P. Giacomo da Verona (1335 - ELS 141, 2) : "Vi è un altare molto devoto e sotto di esso v’è una stella marmorea e questo è quel luogo dove la Vergine Maria partorì suo Figlio Gesù Cristo e su quel luogo si fermò la stella che apparve ai Magi venuti dall’Oriente per venerarlo".

Alla fine del VI sec., cioè dopo la costruzione della basilica di Giustiniano, i due ricordi evangelici, quello della nascita e quello della deposizione nella mangiatoia, ci vengono presentati dalle fonti letterarie con localizzazioni ben distinte. È infatti nel VI-VII sec. che deve esser stata scavata nella roccia la piccola abside sopra il luogo della Natività. Arculfo (670 - ELS 110, 2) riferisce: ‘Poi nella medesima città, nella parte orientale, ultimo angolo, vi è una grotta quasi per metà naturale, la cui interna ultima parte è detta presepio del Signore in cui la madre depose il nato figlio, ed un altro luogo contiguo allo stesso presepio, ma più vicino a chi entra, si dice che sia proprio il luogo della natività del Signore". Da Arculfo abbiamo conferma che sia la grotta che la Basilica erano rivestite di marmi. Epifanio (IX-XI sec. - ELS 117) vede ancora "due grotte riunite, decorate con oro e pitturate come nuove".

A poco a poco i rivestimenti marmorei delle pareti dell’absidina della Natività e del presepio sparirono e la roccia riaffiorò, nuda come al momento della nascita del Bambino: così la vede Bartolomeo de Saligniaco (1518).

Il muro est e forse anche la volta della grotta erano ornati di mosaici e di pitture. Giovanni di Würzburg (1165 -ELS 131) riferisce l’esistenza di due versi in mosaico dorato: "Angelicae lumen virtutis et eius acumen - hic natus vere Deus est de virgine Matre."

Giovanni Focas (1177 - ELS 133, 6) descrive il mosaico dell’absidina dando molti dettagli: "Una mano perita d’artefice dipinse dal vero nella spelonca i Misteri che si compirono in essa... Vi è la Vergine sul letto, reclinata, con la sinistra posta sotto il gomito dell’altra, appoggiato il volto sulla destra guardando, il Fanciullo... Poi l’asino, il bove e la mangiatoia, il Fanciullo ed il gruppo dei pastori... Il cane, più vivo delle altre bestie, sembra osservare intento l’insolita visione... 1 Magi discendendo dai loro, cavalli, presi i doni in mano, col ginocchio piegato, li offrono riverentemente alla Vergine".

Il fumo delle candele e delle lampade ad olio, nonché l’abitudine di appendere dei quadri, rovinarono irreparabilmente i mosaici. Nel 1461 Lodovico de Rochechouart osserva che, seppure integra, la pittura della volta è offuscata; nel 1666 G. Bremont (Viaggi, libro 11) conferma: "Il pavimento di marmo bellissimo, le mura sono incrostate fino all’altezza di sei piedi et il resto, come la volta, è ornato di mosaico al presente tutto negro di fumo".

Durante i secoli la grotta fu abbellita e restaurata. Nel 1636 P. Veniero ricorda l’esistenza di diversi quadri, tra cui uno di scuola veneta (Palma il Giovane?), raffigurante la Natività. Scampato all’incendio del 7 maggio 1869, sebbene un po’ bruciacchiato, è conservato ora nel Convento della Flagellazione di Gerusalemme.

II. Oggi

Come abbiamo visto, la grotta è sempre stata localizzata sotto la basilica, con la quale comunicava mediante una, poi mediante due scale. Le facciatine dei due ingressi risalgono al tempo dei Crociati; dello stesso periodo sono anche le porte, che devono avere subito non poche traversie. Una, infatti, è montata capovolta. Sulle facciatine e sulle colonnette, numerosi graffiti di pellegrini in latino, italiano, arabo e armeno.

Scesa una delle due scale, si entra nella grotta, di forma grossolanamente rettangolare (12,30 x 3,50 m.) e piuttosto buia. La rischiarano 48 lampade, 21 delle quali appartengono ai Latini.

La roccia primitiva è visibile soltanto nell’insenatura del presepio. Le pareti sono state adattate, durante i lavori giustinianei per reggere i marmi che, dal pavimento, andavano fino alla volta.

La volta esistente è in muratura, come la piccola abside della Natività, aperta ad est fra le due scale; anche questi sono lavori giustinianei. La decorazione della volta fu distrutta dall’incendio del 1869 e la volta stessa. danneggiata dal terremoto del 1927.

Ai lati dell’arco dell’absidina si alzano due colonne di pietra rosa, molto simili, salvo le dimensioni, alle colonne della basilica. 1 resti musivi dall’absidina, riparati nel 1944, sono pochi, e non bastano a chiarire la descrizione di Focas. In basso abbiamo le lettere centrali dell’iscrizione latina ‘Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus’. Sopra, nel mezzo, si potrebbero vedere la Vergine, la mangiatoia, rappresentata come una cassetta, una parte del corpo del Bambino, avvolto in fasce. In un’altra scena abbiamo il lavacro del neonato; in un’altra ancora, l’annuncio ai pastori.

In basso, ai piedi dell’altare, la stella latina che ricorda la Natività.

Il presepio, il luogo della mangiatoia, ha pavimento e cielo più bassi di quelli del resto della grotta. La volta è sostenuta da una colonna di pietra rosa, anche essa simile per sagoma a quelle della basilica, sebbene più piccola. Si vedono poi due sottili colonne crociate con capitello, su una delle quali molti pellegrini hanno inciso delle croci; una colonna di marmo bianco, con la parte superiore a tortiglione, del tipo usato per sostenere i cibori, ed infine una quinta colonna, nella parte interna del presepio, che sorregge il cielo della grotta.

Di fronte al presepio c’è un piccolo altare che ricorda i Magi: è l’altare dove i Latini celebrano la Messa.

Sopra l’altare dei Magi e nel fondo del presepio si trovano due notevoli tele di Giovanni Baglioli, ravennate, dipinte a Gerusalemme nel 1875-6 e sistemate dove le vediamo, nel 1885: si tratta di un’adorazione dei Pastori e di un’adorazione dei Magi (tela firmata). Dello stesso autore è anche la Gloria posta in alto sopra il presepio.

L’impiantito del presepio non è originale ed i molti ritocchi che esso lascia vedere sono ben giustificati dalla grande usura provocata dallo strusciare dei piedi dei fedeli. L’impiantito della grotta è coperto di lastre di marmo, che un tempo deve essere stato bianco.

Tre pareti della grotta sono rivestite con un pesante coltrone di amianto, donato nel 1874 dal Maresciallo MacMahon, Presidente della Repubblica Francese, a seguito dell’incendio del 1869. (I fori che in esso si vedono, non servono che a far passare le corde delle lampade). Al di sotto esistono tuttora i marmi crociati; al di sopra sono appesi quadri privi di valore artistico. Intorno all’absidina della Natività e al presepio pendono drappi, sempre in lotta con il fumo delle candele e con le mani dei visitatori, modesti sostituti delle fastose tappezzerie latine che abbellivano la grotta fino al 1869.

La grotta della Natività è chiusa verso ovest da un muro che viene a formare un piccolo vestibolo, con volta leggermente più alta e pavimento leggermente più basso. Sul muro di separazione si vedono pochi resti di pitture di santi, che ricordano quelle della cappella del campanile. Dalle crocette e dai graffiti incisi sull’intonaco, si può dedurre che il luogo anticamente fosse visitato. L’esistenza di questo muro, di struttura giustinianea, che, creando il vestibolo, ha un poco rimpicciolito la grotta, e la presenza di pitture fanno pensare che nel vano si volesse commemorare un qualche ricordo, probabilmente quello di S. Girolamo, Paola ed Eustochio.

LE GROTTE DI S. GIROLAMO

I. Nelle cronache

I vani che esistono sotto la basilica della Natività, nel lato nord, sono chiamati così perché S. Girolamo li scelse come luogo di sepoltura per sé e per i membri della sua comunità, ma erano già adibiti a sepolcreto sin dal I-II sec.

Lo stesso S. Girolamo, dopo la sepoltura di Paola, dice (404 - Epist. 108): "Ho poi intagliato l’epitaffio del tuo sepolcro affinché dovunque sarà inteso il mio parlare, sappia il lettore che da me sei stata celebrata, che in Betlemme sei stata sepolta".

S. Girolamo, a sua volta, vi fu deposto secondo il suo desiderio, come attesta l’Anonimo di Piacenza (570 -ELS 108, 3): "Il presbitero Girolamo nella stessa entrata della grotta (della Natività) scavò la roccia e si fece la tomba dov’è sepolto". Si dice che, in tempo posteriore, i resti del santo dottore siano stati trasportati in un’altra chiesa, se non pure in altra città, Costantinopoli o Roma, ma l’informazione non è sicura. Comunque, della tomba di S. Girolamo si torna ad avere notizia soltanto in tempo crociato, quando ormai non era che un cenotafio. Teodorico (1172 - ELS 132, 6) riferisce: "Non lontano, poi, dal presepio di Cristo Signore è il sepolcro del beato Girolamo, il cui corpo, come si dice, fu traslato a Costantinopoli da Teodosio Minore". Teodorico confonde la data della traslazione della salma con quella della morte di S. Girolamo, ma le sue parole in ogni caso servono a confermare che il sepolcro era stato violato prima dell’arrivo dei Crociati. B. Amico, parlando del cenotafio annota: "Il sepolcro di S. Girolamo, il quale serve per altare, è alto da terra cinque palmi e d’angolo ad angolo palmi dieci lungo e tre largo e sei oncie, e la superficie è d’una bellissima tavola di marmo come sono tutte l’altre".

In un’altra grotta risulta sepolto Eusebio di Cremona, discepolo di S. Girolamo. Di questa tomba parlano Morosini (1514) e B. Amico.

P. Faber (ca. 1480 - ELS 150, 11) ricorda la grotta in cui, secondo la tradizione, sarebbero state gettate "molte migliaia di ragazzi che Erode ammazzò cercando fra quelli Cristo". La notizia è sempre stata accolta dai Francescani con molte riserve. La popolazione di Betlemme era limitata al tempo di Erode, e il numero dei bambini da 0 a 2 anni non poteva ammontare a molte migliaia; inoltre, sebbene in carattere con le azioni del feroce Idumeo, non c’è evidenza storica di questa fossa comune.

Ancora P. Faber ci dà notizia del passaggio scavato tra la chiesa di S. Caterina e la grotta della Natività (ELS -150, 11): "Infatti è conseguentemente da questa grotta lo stretto passaggio scavato nella roccia che fecero occultamente i Frati Minori per poter entrare ed uscire dalla cappella di S. Caterina, dove recitano le ore, al luogo della Natività di Cristo. Per lo che occultano quel passaggio in tutte le maniere, anche ai pellegrini, affinché per essi non arrivi la notizia ai Saraceni e Cristiani orientali che subito chiuderebbero il passaggio e i Frati perderebbero il luogo". Non possiamo sapere se si tratta di lavori di ripristino o di nuovi corridoi.

In quanto alla tomba di Paola ed Eustochio sua figlia, si è ritenuto fino alla metà del XVI sec. che fosse nel monastero fatto costruire da Paola. Soltanto nella seconda metà del 1500 il cenotafio è visto nelle grotte, e B. Amico lo descrive dando le misure esatte: "alto palmi cinque e d’angolo a angolo palmi sei lungo e tre largo".

L’altare di S. Giuseppe fu eretto nel 1621. Si ricorda qui la visione avuta da S. Giuseppe, durante la quale un angelo gli comandò di portare in Egitto la Madonna con il Bambino.

Dalla descrizione delle grotte, che ci è stata lasciata da Niccolò da Poggibonsi (1347), si può rilevare che la localizzazione di allora corrisponde praticamente in tutto a quella odierna.

II. Oggi

Queste spelonche ed il chiostro di S. Girolamo sono attualmente le uniche parti accuratamente restaurate di tutto il complesso degli edifici sacri. In entrambi i casi i lavori sono stati resi possibili dal fatto che la proprietà è esclusivamente latina. Il restauro (1962-64) è stato curato da P. Alberto Farina, ofm, il quale ha anche creato le terrecotte oggi visibili (effigie di S. Girolamo, Sacra Famiglia), le vetrate, un mosaico, le lampade e gli affreschi raffiguranti Paola ed Eustochio e il sogno di S. Giuseppe. La parte archeologica è stata affidata a P. Bellarmino Bagatti, ofm.

Malgrado i cambiamenti, apportati nel corso dei secoli, l’aggiunta di muri, il rialzamento del pavimento, causassero non poche perplessità, pure gli incaricati hanno saputo dare ai vani un aspetto suggestivo che ci riporta, nella sua severa semplicità, a quello che doveva essere in origine.

Scendendo per una scaletta (a destra di chi entra nella chiesa di S. Caterina), praticata sotto l’abside nord della basilica, si arriva ad una prima grotta. A sinistra, sotto le fondazioni di un muro costantiniano, un arco pre-costantiniano ci conferma che già nel I-II sec. d. C. il luogo era usato come sepolcreto. Il desiderio di seppellire i morti vicino ad un luogo santo, nel nostro caso la grotta della Natività, si ripete anche a Roma, dove sono state ritrovate numerose tombe presso quelle dei martiri.

Ancora a sinistra, la grotta degli Innocenti, con tre arcosoli comprendenti da 2 a 5 fosse sepolcrali ciascuno, è stata liberata dalla volta in muratura che la opprimeva. Di fronte all’arco pre-costantiniano (in alto, lastre di plexiglas proteggono dei graffiti crociati), l’altare di S. Giuseppe respira, dopo la rimozione di un pesante muro. Nella cappella di S. Giuseppe era visibile un raro esemplare di croce monogrammata incisa nella roccia, chiaro segno bizantino. Qualcuno, studioso o vandalo, lo ha asportato.

Da qui, un passaggio porta al piccolo vestibolo; guardando per la toppa si vede l’altare della Natività.

A destra della prima grotta si trovano, in un’altra spelonca, i cenotafi di Paola ed Eustochio e di S. Eusebio da Cremona. Di fronte, un’antica cisterna con l’orlo del pozzo usurato dallo scorrere della corda. Nelle ultime due grotte si commemora S. Girolamo; nella seconda, ‘cella di S. Girolamo’, si vede l’antica scala che sbocca nel corridoio sud del chiostro soprastante.

Durante i lavori di restauro, in vari punti delle grotte, sono stati rinvenuti molti pezzi interessanti. Tra questi merita menzione una croce di metallo, rotta nella parte superiore, fatta per essere avvitata, sulla quale è possibile vedere la parola ‘Precursore’, incisa in caratteri armeni. La croce può risalire al XIII-XIV sec.

I cocci, rinvenuti a vari livelli, permettono di ricostruire cronologicamente l’occupazione delle grotte. I Più antichi risalgono al II periodo del Ferro: un manico di giara, con l’iscrizione ebrea ‘Lemmelek’, per il re, è databile nell’VIII-VI sec. a. C. C’è quindi una interruzione ed i frammenti di ceramica riprendono dal I-II sec. d.C. L’interruzione coincide con il periodo della deportazione degli Ebrei a Babilonia, e la ripresa coincide con l’èra cristiana.

Sono stati inoltre reperiti resti di ceramiche bizantine e medievali, nonché frammenti vitrei.

BEIT SAHUR ED
IL CAMPO DEI PASTORI

Ad est di Betlemme, a circa 2 km. dal centro abitato, si trova il villaggio di Beit Sahur, la casa dei guardiani, di coloro che vigilano. Si può raggiungerlo anche a piedi, proseguendo per la strada della Grotta del Latte.

Già al tempo di S. Elena si trovava qui una chiesa dedicata agli Angeli che avevano annunciato ai pastori la nascita del Redentore. Dopo alterne e combattute vicende, vennero costruite, nel secolo scorso, una canonica ed una scuola, in attesa di poter avere anche una chiesa. Nel frattempo, il culto, prima tenuto in una grotta chiamata Mihwara, si svolgeva in ambienti provvisori della casa parrocchiale.

Infine, nel 1950, fu inaugurata la chiesa che oggi vediamo, opera dell’architetto A. Barluzzi, dedicata alla Madonna di Fatima ed a S. Teresa di Lisieux. Alla edificazione contribuirono non poco gli abitanti del luogo, eredi della generosità di Booz.

L’elegante portico della chiesa ha tre archi a sesto acuto e la facciata è coronata in alto da uno snello motivo di archetti, che si prolunga sui muri laterali. L’interno è diviso in tre navate da due file di quattro colonne ciascuna. 1 fusti delle colonne, di pietra rosa locale, a prima vista un po’ tozzi, sono resi affusolati mediante un semplice espediente ottico: i tamburi che li compongono hanno, dalla base al capitello, altezza decrescente. Gli archi a sesto acuto, molto stretti, creano l’illusione che l’interno sia più lungo del vero. Molto originali sono i capitelli, massicci ma non pesanti.

Particolarmente degno di nota è l’altar maggiore, vero gioiello dell’arte scultorea palestinese, che, malgrado le dimensioni, più che una scultura in pietra sembra una miniatura di avorio. Tra il paliotto (parte frontale e lati) ed il gradino, abbiamo 15 scene, dall’Annunciazione della Vergine, all’arrivo in Egitto della Sacra Famiglia. Nella parte centrale del gradino, all’altezza del tabernacolo, si vedono le 4 statuine degli Evangelisti mentre nella parte superiore i dodici Apostoli circondano la figura del Cristo.

Autori dell’opera furono Issa Zmeir, betlemita, e Abdullah Haron, betsahurino.

Beit Sahur si stende in mezzo ai così detti ‘campi di Booz’; in uno di questi si trovavano i pastori nella notte gloriosa della Natività.

"L’angelo disse loro: Non temete! Ecco , vi porto una lieta novella che sarà di grande gioia per tutto il popolo: Oggi nella città di Davide è nato un salvatore che è il Cristo Signore" (Luca 2, 10-11).

Sebbene le parole del Vangelo non permettano di stabilire esattamente il luogo dell’apparizione angelica. pure l’antica tradizione lo ha fissato in località Siyar el-Ghanam, il Campo dei Pastori, poco discosto da Beit Sahur.
Gli scavi effettuati da P. Virgilio Corbo, ofm, nel 1951-52 hanno sondato più a fondo dei precedenti (C. Guarmani, 1859) le rovine, dando a queste una datazione precisa.

Le tracce di vita nelle grotte, risalenti ai periodi erodiano e romano, i resti di frantoi antichissimi, reperiti sotto le fondamenta di due monasteri, dimostrano senza possibilità di dubbio, che il luogo era abitato all’epoca della nascita di Gesù a Betlemme. Lo studioso ha avuto sottomano materiale sufficiente per poter parlare di una piccola comunità agricola.

Inoltre, a Siyar el-Ghanam esistono i resti di una torre di guardia, ora incorporati nell’ospizio francescano.

Morta Rachele, Giacobbe "parti e rizzò le tende al di là di Migdal-Eder" (Gen 35, 21), al di là della ‘torre del gregge’. I Targumin localizzarono questa torre a est di Betlemme, specificando che in quel luogo il Messia sarebbe stato annunciato. La tradizione talmudica indicava la stessa regione e la tradizione cristiana, dopo la nascita di nostro Signore, accettò e mantenne la localizzazione.

S. Girolamo vede la torre a "circa mille passi (romani) da Betlemme", e aggiunge che là gli angeli avevano annunciato ai pastori la nascita del Redentore.

Quanto rimane dell’insediamento agricolo e della torre di guardia spiega molto bene una espressione del testo originale greco di Luca. Secondo i più qualificati esegeti (tra cui M. J. Lagrange), il verbo impiegato da Luca non significa che i pastori "passavano la notte all’aperto", bensì che "vivevano nella campagna".

Gli scavi hanno rintracciato l’esistenza di due monasteri, uno del IV-V sec., l’altro del VI sec. Del primo abbiamo le fondazioni dell’abside della chiesa e di vari muri. Nel VI sec. la chiesa venne demolita e ricostruita nello stesso posto, con l’abside leggermente spostata verso est.

Del secondo monastero abbiamo egualmente parti dell’abside sui muri di numerosi ambienti. P. Corbo ha la netta sensazione che molte pietre del IV sec., riusate nell’abside della chiesa del VI sec., provengano dalla basilica constantiniana della Natività.

Il luogo dove si trovano i monasteri non è il più felice della zona, dato che è in pendenza. Il fatto che la seconda chiesa sia stata edificata esattamente sopra la prima conferma ulteriormente che un particolare ricordo era collegato al luogo.

Il monastero del VI sec. fu distrutto verso l’VIII sec. dai Musulmani, che cercarono perfino di cancellare i segni cristiani scalpellando e abradendo le pietre sui quali si trovavano.

Tra i vani del secondo monastero ne sono stati identificati alcuni, adibiti a scopi particolari: portineria, panetteria con grande macina di basalto, refettorio, frantoi, grotta-cantina, stalla. Sono stati portati alla luce anche il sistema di canalizzazione e diverse cisterne.

Il Santuario attuale fu costruito nel 1953-54 su progetto dell’arch. A. Barluzzi. Sia la posa della prima pietra che l’inaugurazione ebbero luogo il giorno di Natale.

Il Santuario sorge sul roccione che domina le rovine. Esso rappresenta un accampamento di pastori: un poligono a dieci lati, cinque dritti e cinque sporgenti e inclinati verso il centro, a forma di tenda. La luce, che penetra generosamente dalla cupola in vetrocemento, inonda l’interno richiamando alla mente la luce vivissima che apparve ai pastori.

L’alto-rilievo in bronzo, sull’architrave della porta, è dello scultore D. Cambellotti, che ha creato anche il portale, le quattro statue di bronzo che reggono l’altar maggiore, posto al centro della cappella, i candelieri e le croci. L’arch. U. Noni ha affrescato le tre absidi e lo scultore A. Minghetti ha curato l’esecuzione dei 10 angeli di stucco della cupola.

FONTE (http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbtmenu.html)

http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/betnew/aaBethlehem30.JPG Gesù Bambino

http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/betnew/aabethleh31.jpg Luogo della Natività

http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/betnew/sbethleh04.jpg Stanze di S. Girolamo

http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/betnew/sbethleh06.jpg Tomba di S. Girolamo

http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/betnew/sbethleh07.jpg Grotte di S. Girolamo

Augustinus
25-12-06, 18:48
Oratio I in Natalitia magni Dei et Salvatoris nostri Iesu Christi, in PG 39, 35-42

Contemplate questo scintillante prato spirituale, policroma bellezza di fiori celesti, olezzante dei profumi incorrotti degli apostoli. Esso è davvero l'immagine del paradiso di Dio. Il giardino di cui parliamo è ornato di alberi immarcescibili, di frutti immortali e di miriadi d'altre bellezze supersplendide, che risuonano come coro purissimo.
Qual è questo prato spirituale? E' la Chiesa, assemblea tutta santa e divina, illuminata da arcani misteri spirituali.
Di questi misteri la nascita di Cristo, il nostro vero Dio che oggi festeggiamo, è sponda inviolabile, fondamento irremovibile, l'inizio della salvezza e il suo augustissimo vertice.
Questo mistero fu profetizzato simbolicamente nei tempi antichi e poi fu annunziato al mondo intero nei tempi nuovi.
Nasce il Salvatore e la forza della corruzione è schiacciata, cessa il pestifero culto del male. Cristo viene e i vizi umani sono stroncati, mentre la vita si rinnova acquistando forza angelica. In questo giorno il cielo si spalanca, la terra è elevata alle altezze divine. Il paradiso è donato agli uomini e il potere della morte è abolito. I demoni che vagavano per la terra sono messi in fuga, la sapienza di Dio e la venuta purissima del Signore sono svelate. Infatti, non un inviato, né un angelo, ma Dio stesso verrà e ci salverà (Cf Is 63,9).

Indicibile ricchezza portata a noi da Dio! Inenarrabile scienza dei misteri della sapienza! Tesoro indistruttibile dei doni immutabili di Dio e grazia immensa dell'amore divino!
Isaia annunzia: Il Signore stesso verrà e ci salverà. 0 beato profeta, in che modo preannunzi che il Signore verrà a noi?
Adesso ti parlerò liberamente come se tu fossi uno degli antichi. Quei padri venerarono questa lodatissima celebrazione, eppure non poterono sperimentare l'inaudito purissimo parto della Vergine; non conobbero l'esultanza degli angeli, non udirono le voci divine che acclamando verso i santi pastori, annunziavano pieni di letizia il beato Salvatore. Neppure contemplarono i doni dei Magi e la loro adorazione di Dio.
Immedesimandomi dunque con il pensiero degli antichi, ti interrogherò, o profeta: Come venne in terra il Signore?
La profezia del suo avvento aveva giustamente impressionato gli antichi e per poco la paura non fu tale da sconvolgerli. Non potevano capire come un Dio immortale potesse venire ad unirsi con uomini materiali; come l'essere impalpabile si abbassasse al livello degli esseri sensibili; come l'essere invisibile si unisse a quelli visibili.

Mettendomi sempre al posto degli antichi, mi domando come essi si immaginavano la venuta del Signore. Alcuni credevano che sarebbe apparso servendosi di una forma angelica, come aveva fatto precedentemente con Abramo (Cf Gn 17,1); oppure servendosi di nuovo del fuoco in un roveto, come aveva fatto con Mosè (Cf Es 3,2), oppure rivestendo le spoglie dei serafini, come apparve ad Isaia (Cf Is 6,2), o nelle spoglie dei cherubini, come si mostrò a Ezechiele (Cf Ez 10). Tutti questi personaggi infatti testimoniarono di aver veduto Dio sotto una di tali forme. Chi di loro fu ritenuto degno di vedere Dio? Chiaramente nessuno!
La venuta di Dio sarebbe stata un'altra apparizione? Il profeta Baruch ci dice: La sapienza apparirà sulla terra e vivrà fra gli uomini (Cf Bar 3,38). Finora si trattava sempre di visioni, non di venuta. Invece questa profezia parla di venuta e non più di visione. In che modo dunque si avvererà l'oracolo che dice: Il Signore verrà e ci salverà?. Domandiamo ancora al profeta: Come può assumere una forma Colui che è di là da ogni forma? Come l'Immutabile potrà trasferirsi dalla sede celeste sulla terra?
Ecco come risponderebbe l'uomo di Dio: Perché continuate a indagare con inutile curiosità? Un'altra profezia vi fu già data, l'avete dimenticata? Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,14), che significa "Dio con noi".

Non avete forse udito che sta scritto: Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: "Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre. Principe della pace"?( Is 9,5).
Queste frasi indicano appunto come Dio viene a noi Una vergine tutta pura concepirà corporalmente la Luce che non conosce ombra né macchia. Il santissimo Verbo di Dio deve abbassarsi fino alla nostra carne, perché con l'Incarnazione rinnovi tutte le creature. Queste, opera della Divinità incorporea, erano invecchiate, quasi morte a causa del peccato. Il Dio che si incarna si assimilerà alla nostra natura peccatrice e ci renderà puri.
Dopo tali parole del profeta, esclameremo anche noi: O Fanciullo più antico del cielo! O Figlio tre volte santo, vieni portando sulle spalle il potere, perché non puoi riceverlo da altri. Per la tua natura di Verbo regni su tutto il creato come un figlio; nulla ti è estraneo della creazione, perché sei anche tu creatura.
Sta scritto: Sulle sue spalle è il segno della sovranità. Sei davvero l'erede di un grande Nome! Sei detto: Consigliere ammirabile, Dio potente. La tua è una forza onnipotente! Tu sei il Principe della pace.

Come celebreremo la festa odierna? Come lodare degnamente questa solennità così misteriosa? Chi potrà misurare le immortali ricchezze che racchiude? Con quali accenti grandiosi proclameremo questo mistero immortale?
E' un giorno che va celebrato da canti senza fine, perché oggi è spuntata una stella per noi da Giacobbe e un uomo celeste è apparso da Israele. In questo giorno è venuto a noi il Dio forte e il Sole di giustizia ci ha coperti col suo splendore, così che il tesoro delle virtù divine si è spalancato per gli uomini ed è germogliata la pianta della vita eterna. La Luce che sorge da oriente ha brillato in alto, il Signore del cielo e della terra è venuto nel mondo corrotto per salvarci, egli è nato oggi dal grembo della Vergine.
Oggi infatti ci è nato il Salvatore (Cf Lc 2, 11), è il Messia, il Signore, la luce delle genti (Cf Lc 2,32). Che miracolo! Colui che il cielo non può contenere giace in una mangiatoia come un piccino.

Il vangelo attesta: Mentre si trovavano a Betlemme, si compirono per Maria i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo (Lc 2,6-7).
Che cos'è questa nuova stupenda dottrina? Che cos'è questa bontà della divina Provvidenza che onnipotente si fa corruttibile? Qual è questo abile e sapiente stratagemma contro Satana? Quel mondo che un giorno era caduto in balía del peccato a causa di una vergine, viene ora rimesso in libertà grazie alla Vergine. Questa nascita verginale ha precipitato le schiere potenti e invisibili dei demóni nel tartaro.
Il Signore ha preso la forma di schiavo affinché noi - gli schiavi - tornassimo di nuovo ad essere divinizzati.
O Betlemme, città santificata e divenuta comune eredità degli uomini. O presepe, reso compartecipe dell'onore dei cherubini e dei serafini! Colui che dall'eternità è sollevato divinamente sopra quei troni, ora riposa corporalmente in te.

O Maria, che hai avuto come primogenito il Creatore di tutte le cose. O umanità! Il Verbo di Dio ha rivestito la tua sostanza corporea e sotto questo aspetto ti ha preferita alle potenze celesti.
Cristo non ha voluto rivestirsi della forma degli arcangeli né delle figure immateriali dei principati, delle virtù e delle potestà. Ha voluto rivestire te, umanità decaduta e divenuta simile alla forma degli animali bruti.
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Lc 5,31). La nostra natura, tormentata da mali funesti, ottenne un così grande medico per eliminare il proprio malanno e godere di una guarigione migliore della buona salute.
Ma dov'è ora quel dragone ostile e insensato? Lui che, maledetto ed esecrabile, si vantava di innalzare il suo trono più alto dei cieli?

Fratelli, abbiamo dunque in comune una vocazione celeste, siamo chiamati all'adozione divina, ad essere fratelli di Cristo. Rendiamo grazie a Colui che ci ha rivolto tale invito. Diventiamo degni di lui che si è fatto nostro fratello e ci ha ammessi come figli adottivi presso il Padre.
Serviamolo volentieri, con amore, pronti a compiere ogni giustizia. Orniamoci di purezza, coltiviamo la povertà, siamo perseveranti nella Parola di Dio e negli inni sacri della liturgia.
Convertiamoci da questo secolo, dimentichi delle bramosie terrene e mortali; vinciamo il male con il bene, non rendiamo a nessuno male per male.
Non pensiamo che la nostra dimora sia sulla terra, perché siamo già concittadini del cielo. Insieme con gli angeli circondiamo il trono del Re celeste.
Sono questi gli insegnamenti degli apostoli. Sono questi i termini dell'alleanza eterna che Cristo ha concluso con noi.

Augustinus
25-12-06, 18:50
Natividad de Ntra.Sra. Sermon II, in Sermones, P.B. Lopez, Madrid, 1790, t. 13, pp. 311.313.

Dio aveva promesso ad Abramo e a Davide che il Salvatore del mondo sarebbe nato dalla loro discendenza: occorreva perciò che quella genealogia fosse trasmessa in termini esatti, perché potessimo riconoscere la fedeltà di Dio e la verità delle sue parole.
In questa vita, la stabilità della Parola di Dio e la verità delle sue promesse sono per noi il rifugio più sicuro. Il Signore lo attesta in modo solenne sia nel vangelo di questo giorno sia in molti altri passi della Scrittura. Ciò non deve stupirci: molto più della sua gloria gli sta a cuore la nostra salvezza, alla quale egli dedica una sollecitudine davvero di Padre.
Questa genealogia di Gesù Cristo fa balzare in primo piano l'immensa bontà di Dio. Per amor nostro egli si è degnato abbassare la sua maestà infinita fino a voler prendere una carne mortale, al termine di una stirpe di antenati di cui parecchi furono degli svergognati, degli infedeli e dei sacrileghi. Le uniche donne menzionate in questo quadro delle origini di Gesù sono peccatrici o discendono da famiglie idolatre. Si tratta di Rut la moabita, di Tamar l'incestuosa e di Betsabea, la moglie di Uria.
Ecco la condiscendenza, la tenera compassione che Dio ha manifestato per salvarci, lui che non si vergogna di tali antenati.

Augustinus
25-12-06, 18:51
In AAS, 70 (1978), 14-15

Superando in un dono d'incomparabile amore ogni distanza, la prossimità, la vicinanza di Cristo-Dio fatto uomo ci mostra ch'egli è con noi. E' apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini (Tt 2, 11).
Fratelli, uomini tutti! Che cosa è il Natale, se non questo avvenimento storico, cosmico, estremamente comunitario, perché rivolto a proporzioni universali, ed insieme incomparabilmente intimo e personale per ciascuno di noi? Il Verbo eterno di Dio, in virtù del quale noi già viviamo della nostra esistenza naturale, è appunto in cerca di noi. Lui eterno si è inserito nel tempo. Lui infinito si è quasi annientato assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana (Fil 2,7).
I nostri orecchi sono - ahimè - abituati a un simile messaggio e i nostri cuori sordi a simile chiamata, una chiamata d'amore. Così Dio ha amato il mondo. Anzi, siamo precisi, ognuno di noi può dire con san Paolo: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). Il Natale è questo arrivo del Verbo di Dio fatto uomo fra noi. Ciascuno può dire: per me! Il Natale è questo prodigio. Il Natale è questa meraviglia. Il Natale è questa gioia. Ritornano alle labbra le parole di Pascal: Gioia, gioia: pianti di gioia!
Oh! Che davvero questa celebrazione notturna del Natale di Cristo sia per noi tutti, sia per la Chiesa intera, sia per il mondo una rinnovata rivelazione del mistero ineffabile dell'Incarnazione, una sorgente d'inestinguibile felicità. Amen.

Augustinus
25-12-06, 18:53
Comm. in Lc., Hom. 13, 1-3; fragm.39. Hom.12, 1-2; fragm.38. Hom. 13, 13; fragm.40, in SC 87, 489.491.493

Alla nascita di Gesù le potenze celesti che lo esaltavano nel seno del Padre nell'alto dei cieli, cantano oggi le sue lodi sulla terra: Pace sulla terra agli uomini che egli ama. Infatti il cielo e la terra stavano per unirsi tra loro e gli uomini stavano per rendere grazie a colui che portava loro la pace e li riconciliava con Dio.
Il mistero esaltato dal cantico degli angeli viene rivelato prima di tutto ai pastori, che simboleggiano i futuri pastori della Chiesa. Sono i primi ad ascoltare l'annuncio di pace, dato che dovevano trasmetterlo a tutta la Chiesa. La presenza dei pastori e la gioia loro arrecata da questa rivelazione sono trasparenti allusioni al Buon Pastore venuto a cercare la pecora smarrita. Nulla rallegra tanto un pastore quanto il ritrovare la pecorella perduta. Questa missione appartiene per eccellenza a Cristo, il pastore supremo (1 Pt 5,4).
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme". O simbolo di un mistero degno di Dio: Betlemme significa "casa del pane". Verso quale luogo i pastori potevano affrettarsi dopo l'annunzio della pace, se non verso la casa spirituale del pane celeste? Chi è questo pane se non Cristo e questa casa se non la Chiesa? Qui ogni giorno il pane disceso dal cielo (Gv 6,51) che dà la vita al mondo, è distribuito misticamente in sacrificio.
Cristo stesso ci dice nel vangelo che egli è il pane vivo, disceso dal cielo e offerto per la vita del mondo.

Augustinus
25-12-06, 18:54
Sermo 119, 5-6, in PL 38, 675.

Su questo mistero nessuno si lasci andare a quei pensieri che sono il prodotto della grettezza o dell'insufficienza dell'animo umano.
Guardiamoci bene dal dire: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio , ed ecco che il Verbo si è incarnato ed è venuto a mettere la sua tenda fra di noi. Non è possibile!
Ascoltate allora come ciò avvenne: A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome. Coloro ai quali è stato conferito un tale potere non credano impossibile di divenire figli di Dio!
Il Verbo si è fatto carne per questo, e per questo venne ad abitare in mezzo a noi. Può stupire che possiate divenire figli di Dio, dal momento che per voi il Figlio di Dio è diventato Figlio dell'uomo?
Se egli ha assunto una condizione inferiore alla sua, non potrà costituirci in uno stato superiore a quello che il nostro?
E' sceso verso di noi e non potrà elevarci verso di lui?
Si è rivestito della nostra mortalità per amor nostro, e non potrà rivestirci della sua immortalità?
Ha sofferto i nostri mali, e non potrà donarci i suoi beni?
Forse mi obietterai: Il Verbo di Dio, che regge l'universo, dal quale tutto fu creato e ancora lo è, come poté rimpicciolirsi fino a rinchiudersi nel grembo di una vergine? Come poté lasciare l'universo angelico per penetrare nel corpo di una donna?
Questo modo di parlare attesta una totale incomprensione della realtà di Dio.
Ti parlo del Verbo di Dio, o uomo, ti parlo dell'onnipotenza del Verbo di Dio!
Impara che il Verbo di Dio poté tutto questo; lui, l'onnipotente, poteva ad un tempo rimanere presso il Padre e venire da noi, rivestirsi di carne ai nostri occhi e nello stesso tempo rimanere nascosto nel Padre.
Non pensare neppure che se non fosse nato, non sarebbe neppure stato. Egli era prima del corpo che ha assunto; lui si è creato sua madre, ha scelto colei che l'avrebbe concepito, ha formato colei che doveva formarlo.
Se tali meraviglie ti sorprèndono, ricordati che ti parlo di Dio, perché il Verbo era Dio.

Augustinus
27-12-06, 12:50
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/297q01b1.jpg

Augustinus
24-12-07, 20:40
http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/78/ME0000057878_3.JPG Bernardino Luini, Natività e l'annuncio ai pastori, 1520-25, Musée du Louvre, Parigi

http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/77/ME0000057793_3.JPG Fra Diamante, Natività, 1470 circa, Musée du Louvre, Parigi

http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/88/ME0000058866_3.JPG Aert Claesz (Aertgen van Leyden), Natività, Musée du Louvre, Parigi

http://www.insecula.com/Photos/00/00/08/73/ME0000087318_3.jpg Luca Giordano, Natività, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles

http://www.insecula.com/Photos/00/00/01/33/ME0000013320_3.JPG Jérome Franck, Natività, 1585, Notre-Dame, Cappella dei fonti battesimali, Parigi

Augustinus
24-12-07, 20:56
http://www.insecula.com/Photos/00/00/03/44/ME0000034471_3.JPG Ligier Richier, Gesù Bambino riposto nella mangiatoia, 1548-55, Musée du Louvre, Parigi

http://www.insecula.com/Photos/00/00/10/02/ME0000100263_3.jpg Jacob Jordaens, Adorazione dei pastori, 1615-16, Metropolitan Museum of Art, New York

http://www.insecula.com/Photos/00/00/10/02/ME0000100257_3.jpg http://sandstead.com/images/metropolitan/JORDAENS_Jacob_The_Holy_Family_1616_Met_85mm_sourc e_sandstead_d2h_25.jpg Jacob Jordaens, Madonna che allatta ed Adorazione dei pastori, 1616, Metropolitan Museum of Art, New York

http://www.insecula.com/Photos/00/00/05/91/ME0000059109_3.JPG Jacob Jordaens, Madonna che allatta ed Adorazione dei pastori, 1648-52, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/b/balestra/adoratio.jpg http://www.wga.hu/art/b/balestra/adoratiz.jpg Antonio Balestra, Adorazione dei pastori, 1707 circa, Chiesa di San Zaccaria, Venezia

Augustinus
26-12-07, 10:12
Esempi di Gesù Bambino

di S. Alfonso Maria de Liguori

http://www.floscarmeli.org/Immagini_pregate/S.Alfonso.jpg

ESEMPIO I.

Si narra nel Prato Fiorito, cap. 40 [1], che una donna divota desiderava sapere quali anime fossero a Gesù più care; un giorno stando a sentire la Messa, nell'elevarsi la sacra ostia, vide Gesù bambino sull'altare ed insieme con lui tre verginelle. Gesù prese la prima e le fece molte carezze. Andò alla seconda, e toltole dalla faccia il velo, le diè una gran guanciata e voltò le spalle; ma tra poco vedendola rattristata, il Fanciullo con finezze d'affetto la consolò. Si accostò in fine alla terza, la prese quasi adirato per un braccio, la percosse e la cacciò da sé; ma la verginella quanto più vedevasi straziata e discacciata, tanto più si umiliava e gli andava appresso; e cosi finì la visione. Essendo poi rimasta quella divota con gran desiderio di sapere il significato di ciò, le apparve di nuovo Gesù e le disse ch'egli tiene in terra tre sorte d'anime che l'amano. Alcune l'amano, ma il loro amore è così debole, che se non sono accarezzate con gusti spirituali, s'inquietano e stanno in pericolo di voltargli le spalle: e di ciò era stata figura la prima verginella. Nella seconda poi le avea figurate quell'anime che l'amano con amore men debole, ma che han bisogno di essere da quando in quando consolate. La terza poi era figura di quell'anime più forti, che benché sempre desolate e prive di consolazioni spirituali, non lasciano di far quanto possono per compiacerlo; e queste disse ch'erano le anime a lui più dilette.

ESEMPIO II.

Riferisce il Padre Cagnolio (in Conc. Nativ.) appresso il P. Patrign. (Corona d'esempi ecc.) [2] che una religiosa dopo molti peccati giunse a questo eccesso: comunicatasi un giorno, si trasse dalla bocca la sacra particola, la pose in un fazzoletto e poi chiusasi in una cella buttò in terra il Sacramento e si pose a calpestarlo. Cala poi gli occhi e che vede? vede l'ostia cangiata in forma d'un vago bambino, ma tutto pesto e intriso di sangue che le disse: E che t'ho fatt'io che cosi mi maltratti? Allora la meschina ravveduta e pentita, piangendo si buttò genuflessa e gli disse: Ah mio Dio, mi dimandi che m'hai fatto? m'hai troppo amata. Sparì la visione ed ella in tutto mutata diventò un esempio di penitenza.

ESEMPIO III.

Nelle Cronache Cisterciensi (die 24 nov.) [3] si porta che viaggiando nella notte di Natale un certo monaco del Brabante, nel passare per una selva sentì un gemito come di bambino di fresco nato; si accostò verso dove sentiva la voce, e vide un bel fanciullo in mezzo alla neve che tutto tremante di freddo piangeva. Mosso a compassione il religioso, intenerito smontò subito da cavallo, ed accostatosi al fanciullo, disse: O figliuolo mio, come ti trovi così abbandonato in questa neve a piangere e morire? Ed allora intese rispondersi: Ohimè, e come posso non piangere, mentre mi vedo così abbandonato da tutti, e vedo che niuno m'accoglie né ha compassione di me? E ciò detto disparve, dandoli [4] ad intendere ch'egli era il Redentore che con tal visione volle rimproverare l'ingratitudine degli uomini, i quali, vedendolo nato in una grotta per loro amore, lo lasciano a piangere senza neppur compatirlo.

ESEMPIO IV.

Si narra dal Bollando (die 6 martii)[5] che un giorno comparve Maria SS. alla B. Colletta mentre quella la pregava ad intercedere per li peccatori; e dandole a vedere come in un bacile il suo Figlio bambino lacerato e trinciato a pezzi, le disse: Figlia mia, compatisci me e 'l mio Figlio; mira come lo trattano i peccatori.

ESEMPIO V.

Narra il Pelbarto (Stellar. lib. 12, part. ult., c.7) [6] che un certo soldato era pieno di vizi, ma aveva una moglie divota, la quale non avendolo potuto ridurre, almeno gli raccomandò a non lasciare di dire ogni giorno un'Ave Maria avanti a qualche immagine della Madonna. Un dì andando costui a peccare, passò per una chiesa, entrò a caso in quella e vedendo l'immagine della santa Vergine, genuflesso le disse l'Ave Maria; ed allora che vide? vide Gesù bambino in braccio a Maria tutto ferito, che mandava sangue. Allora disse: Oh Dio, chi barbaro ha così trattato quest'innocente Bambino? Voi siete, rispose Maria, peccatori, che trattate così il mio Figlio. Egli allora compunto la pregò ad ottenergli il perdono, chiamandola madre di misericordia; ed ella disse: Voi peccatori mi chiamate madre di misericordia, ma non lasciate di farmi madre di dolori e di miseria.
Ma il penitente non si perdé d'animo, seguitò a pregar Maria che intercedesse per lui. La B. Vergine si voltò al Figlio e gli domandò il perdono per quel peccatore. Il Figlio parea che ripugnasse; ma allora disse Maria: Figlio mio, non partirò da' piedi tuoi, se non perdoni questo afflitto che a me si raccomanda. Allora disse Gesù: Madre mia, io non vi ho negato mai niente; desiderate voi il perdono per costui? sia perdonato; ed in segno del perdono ch'io gli do, voglio ch'esso venga a baciarmi queste ferite. Andò il peccatore, si accostò, e siccome baciava, si chiudevano le ferite. Indi partitosi dalla chiesa, cercò perdono alla moglie, e di comun consenso lasciarono ambedue il mondo e si fecero religiosi in due monasteri, dove con santo fine terminarono la vita.

ESEMPIO VI.

Si narra nella Vita del fratello Benedetto Lopez [7], che essendo costui applicato alla milizia stava coll'anima piena di peccati. Un giorno entrò in una chiesa nel Travancor, vide un'immagine di Maria con Gesù bambino. Il Signore gli pose avanti gli occhi la sua vita perduta. A tal vista quasi disperava del perdono; ma rivolto a Maria piangendo a lei si raccomandava: ed allora vide che il santo Bambino anche piangeva, e le sue lagrime cadevano sull'altare; tanto che se n'avvidero anche gli altri che corsero a raccoglierle in un pannolino. Benedetto dopo ciò, contrito lasciando il mondo, andò a farsi fratello coadiutore della Compagnia di Gesù, ed in quella visse e morì divotissimo della santa infanzia di Gesù Cristo.

ESEMPIO VII.

Narra il P. Patrignani (Tom. IV, es. 11) [8] che in Messina vi fu un nobile fanciullo chiamato Domenico Ansalone. Soleva questi visitare spesso in certa chiesa un'immagine di Maria, la quale teneva in braccio Gesù bambino di rilievo, che l'avea di sé tutto innamorato. Or Domenico venne a morte. Cercò a' genitori con tanto desiderio che gli avessero fatto venire l'amato Bambino. Ne fu consolato, ond'egli tutto contento lo collocò nel suo letto. E sempre amorosamente rimiravalo, e da quando in quando or rivolto al Bambino gli dicea: Gesù mio, abbi pietà di me; or rivolto agli astanti: Mirate, dicea, mirate com'è bello questo mio Signorino!
Nell'ultima notte di sua vita chiamò i genitori, e avanti di loro prima disse al santo Bambino: Gesù mio, io vi lascio mio erede; e poi pregò il padre e la madre che di certa piccola somma di danaro ch'egli tenea ne facessero celebrare nove Messe dopo la sua morte, e col resto facessero una bella vesticciuola al suo erede bambino. Prima di spirare poi, alzando gli occhi in alto con viso allegro, disse: Oh quanto è bello! oh quanto è bello il mio Signore! E così dicendo spirò.

ESEMPIO VIII.

Si narra nello Specchio degli esempi (Distinz. 8) [9] d'un certo divoto giovinotto per nome Edmondo, inglese, che stando un giorno in campagna con altri fanciulli, egli ch'era amante dell'orazione e della solitudine, soletto si pose a passeggiare per un prato trattenendosi in affetti verso Gesù Cristo. Ecco gli apparve un vago bambino che lo salutò: Dio ti salvi, o Edmondo mio caro. E poi l'interrogò se sapea chi era? Rispose Edmondo che no. Ma che no - riprese a dire il celeste fanciullo - quando io vi sto sempre a fianco? Or se volete conoscermi, guardatemi in fronte.Guardò Edmondo e gli lesse in fronte le parole: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. Ed allora gli soggiunse: Questo è il mio nome, e voglio che in memoria dell'amore che ti porto ogni notte ti segni la fronte con quello, ed esso ti libererà dalla morte improvvisa; come anche libererà ognuno che farà lo stesso. Edmondo seguitò a segnarsi sempre poi col nome di Gesù. Il demonio una volta l'afferrò le mani, acciocché non si segnasse, ma egli lo vinse coll'orazione, e poi lo costrinse a dire qual fosse l'arme di cui egli più temesse; rispose il demonio ch'erano quelle parole colle quali esso si segnava la fronte.

ESEMPIO IX.

Riferisce il P. Nadasi (Hebdom. 16 Pueri Iesu) [10] che essendosi introdotta in un monastero la divozione di mandare attorno per le religiose l'immagine di Gesù bambino un giorno per ciascuna, una di quelle vergini a cui toccò la sua giornata, dopo lunga orazione venuta la notte prese l'immagine e la chiuse in un picciolo armario. Ma appena postasi a riposare sentì che 'l santo Bambino picchiava all'uscio di quell'armario: levossi allora ella dal letto e collocata di nuovo l'immagine sull'altarino orò per molto altro tempo. Indi ritornò a chiuderlo; ma il Bambino ritornò a bussare. Di nuovo ella lo cacciò [11] ed orò. Finalmente stanca dal sonno, presane la licenza, si ripose a letto e dormì sino al far del giorno, e svegliata benedisse quella notte passata in santa conversazione col suo Diletto.

ESEMPIO X.

Si riferisce nel Diario Domenicano a' 7 d'ottobre [12] che predicando S. Domenico in Roma, vi era una peccatrice chiamata Caterina la bella. Ricevé ella un rosario dalle mani del santo e cominciò a recitarlo; ma non lasciava la sua mala vita. Un giorno le apparve Gesù in forma prima di giovine, e poi si mutò in figura d'un grazioso bambino, ma con una corona di spine sulla testa e colla croce sulle spalle, e che mandava lagrime dagli occhi e sangue dal capo, e poi le disse: Basta; non più, Caterina; basta, lascia di più offendermi: vedi quanto mi sei costata, mentre io cominciai da bambino a patire per te, e non lasciai di patire fino alla morte. Caterina andò subito a trovar S. Domenico, si confessò da lui, e da lui ammaestrata dopo aver dispensato tutto quello che aveva a' poveri ed essersi chiusa in una stretta cella murata, si ridusse a vita così fervorosa ed ebbe tali favori dal Signore, che il santo ne restò ammirato. Ed in fine visitata da Maria SS. ebbe una felicissima morte.

ESEMPIO XI.

La Ven. Suor Giovanna di Gesù e Maria francescana, mentre un giorno ella meditava Gesù bambino perseguitato da Erode, sentì un gran romore come di gente armata che inseguisse alcuno, e poi videsi innanzi un bellissimo fanciullo tutto affannato che fuggiva e che le disse: Giovanna mia, aiutami e salvami: io sono Gesù Nazareno, fuggo da' peccatori che mi vogliono toglier la vita e mi perseguitano peggio di Erode; salvami tu (Ap. P. Genov. serv., Dol. di Maria) [13].

ESEMPIO XII.

Si narra nella Vita del P. Zucchi della Compagnia di Gesù [14], divotissimo di Gesù bambino, delle cui immagini egli servivasi per guadagnare molte anime a Dio, ch'egli un giorno donò un'immaginetta di queste ad una signorina, la quale per altro era di costumi innocentina, ma stava lontana dal pensiero di farsi religiosa. La donzella accettò il dono, ma poi sorridendo disse: Ma che ho io a fare di questo Bambino? Egli rispose: Niente più che porlo sulla spinetta [15] che voi frequentate dilettavasi la dama molto del sonare -. Così ella fece, ed avendo sempre innanzi quel Bambino, spesso le toccò a mirarlo, e dal mirarlo cominciò a sentir qualche tocco di divozione, indi se le accese un desiderio d'esser migliore, in modo che la spinetta servivale poi più ad orare che a sonare. Finalmente si risolvé di lasciare il mondo e farsi religiosa. Allora tutta allegra andò a riferire al P. Zucchi che quel Bambino l'avea tirata al suo amore, e distaccandola dagli affetti della terra, l'avea renduta tutta sua. Si fe' religiosa e si diede ad una vita di perfezione.

NOTE

[1] Prato fiorito di vari esempi, lib. 3, cap. 40. Opera di Fra Valerio, cappuccino veneto, dice il Melzi, nel suo Dizionario di opere anonime e pseudonime di Scrittori italiani, v. Ballardini. - Nel Prato fiorito, il racconto comincia così: «Leggesi nello Specchio Historiale..», cioè Speculum historiale Fr. VINCENTII BELLOVACENSIS, O. P.

[2] Giuseppe Antonio PATRIGNANI, S. I., La Santa Infanzia del Figliuolo di Dio, tomo IV: Quattro corone di esempi, ovvero Finezze amorose del SS. Bambino Gesù: corona 4, esempio 13. Il Patrignani cita: P. Cagnolius, in concione Nativitatis, cioè, a quanto pare, Giovampaolo Cagnoli, Prediche morali e panegiriche.

[3] Cronache Cisterciensi, al 24 di dicembre.

[4] La I ed. di Nap. e quella veneta del 1760: dandosi; Napoli, 1773: dandoli; Venezia, 1779: dandoci.

[5] Acta Sanctorum Bollandiana, die 6 martii: Vita B. Coletae, auctore PETRO A VALLIBUS sive a Remis, ipsius Beatae confessario, latine reddita a Stephano Iuliano, Ord. Min., cap. 10, n. 84. - Ibid.: Sororis Petrinae de Balma, eiusdem Beatae sociae, Summarium virtutum et miraculorum B. Coletae, cap. 3, n. 34. - «Matri praedictae ferventer deprecanti Virginem gloriosissimam Matrem Domini Salvatoris, quatenus intercedere dignaretur apud suum carissimum Filium, ut ipse misericorditer parceret suo populo pauperrimo: praesentatus ibidem sibi fuit quidam discus, parvis petiis carnium, quasi forent unius infantis parvuli, repletus, cum responsione per modum qui sequitur: «Quomodo requiram ego Filium carissimum pro talibus, qui quotidie per offensas, iniurias et horrenda peccata commissa, quantum in ipsis est, ipsum minutius dilaniant, quam hae carnes quas in hoc vasculo conspicis, fuerant dilaniatae?» Propter quod longo tempore pertulit in corde suo grandem tristitiam et dolorem.» Vita, auctore Petro a Vallibus, l. c. - La canonizzazione di S. Coletta, decretata nel 1790, fu solennizzata nel 1807.

[6] PELBARTUS DE THERMESWAR, Ord. Min. de Obs., Stellarium coronae gloriosissimae Virginis, lib. 12, pars tertia (ultima), cap. 7, Venetiis, 1586, pag. 224, 225. Il Pelbarto comincia così la sua narrazione: «Scribitur in libro qui dicitur Promptuarium exemplorum beatae Virginis, et refert clarius et melius magister Ioannes Gritsch, Ordinis Minorum, quod quidam milesÖ».

[7] Non Benedetto Lopez, ma bensì Benedetto Goez, di nazione portoghese. PATRIGNANI, La Santa Infanzia del Figliuolo di Dio, tomo IV, corona 4, es. 11, Venezia, 1757, pag. 287. Egli cita «Vite d'alcuni Religiosi Fratelli della Comp. di Gesù», cap. 1 e 2.

[8] PATRIGNANI, La Santa Infanzia del Figliuolo di Dio, tomo IV: Quattro corone di esempi, corona 1, esempio 11: preso «nel lib. intit. Corona di dodici fiori, a c. 100».

[9] Magnum Speculum exemplorum, distinctio 8, exemplum 4 (preso dallo Speculum Historiale VINCENTII BELLOVACENSIS, lib. 31, cap. 68.) - SURIUS, De probatis Sanctorum historiis, die 16 novembris: Vita S. Edmundi, Archiepiscopi Cantuariensis, cap. 3.

[10] IOANNES NADASI, S. I., Annus Pueri Dei Iesu, pro singulis feriis quartis per annum. Antverpiae, 1653. - Quest'opuscolo fu poi unito con altri, riguardanti le divozioni assegnate a ciascun giorno della settimana, in un'opera intitolata: Annus Hebdomadarum caelestium. Pragae, 1663.

[11] L'ediz. veneta, 1779: lo cavò fuori.

[12] Domenico Maria MARCHESE, O. P., Sagro Diario Domenicano: 7 di ottobre, Dell'origine e progressi della divozione e solennità del SS. Rosario. - Cf. Commentarius de S. Dominico, inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 4 augusti, n. 570, 571.

[13] Bartolomeo GENOVESE, dell'Ordine dei Servi di Maria: La Consolatrice degli afflitti di Maria, consolata nei suoi sette principali dolori. Napoli, 1722. - La Ven. Suor Giovanna di Gesù e Maria, non è già, come abbiamo accennato nel nostro vol. VII, pag. 218, nota 22, la Ven. Madre Suor Giovanna Maria della Croce (Leggendario Francescano, 26 marzo), ma la Ven. Madre Suor Giovanna Rodriguez, detta di Gesù Maria (Leggendario Francescano, 21 agosto), che morì professa nell'Ordine di S. Chiara in Burgos nel 1650. Fin dalla puerizia, ebbe grandissima divozione verso Gesù bambino, e ne ricevette grazie segnalatissime.

[14] Daniello BARTOLI, S. I., Vita del P. Nicolò Zucchi, S. I., lib. 2, cap. 6. Opere, vol. XXI. Torino, 1825, pag. 59, 60.

[15] «Spinetta: strumento musicale a tasti, come il cembalo, ma di più semplice costruzione. Oggi non è quasi più usato, avendo il pianoforte preso il suo posto». RIGUTINI e FANFANI. Vocabolario della lingua parlata.

S. Alfonso Maria de Liguori, Esempi di Gesù Bambino, ora in "OPERE ASCETICHE", Roma, 1939, vol. IV, pp. 244-251 (http://www.intratext.com/IXT/ITASA0000/_IDX068.HTM)

Augustinus
30-12-07, 10:30
Istruzione sopra le feste del Signore,
della B. Vergine e dei Santi

Parte prima: Delle feste del Signore

Del santo Natale (1)

4. Che festa è il santo Natale?
Il santo Natale è la festa istituita per celebrare la memoria della nascita temporale di Gesù Cristo.

5. Che cosa ha di particolare il santo Natale tra tutte le altre feste?
Il santo Natale tra tutte le altre feste ha due cose di particolare:

che si celebrano gli uffici divini nella notte precedente, secondo l'uso antico della Chiesa nelle vigilie:
che si celebrano tre messe da ogni sacerdote.

6. Perché la Chiesa ha voluto ritenere l'uso di celebrare nella notte del Natale i divini uffizi?
La Chiesa ha voluto ritenere l'uso di celebrare nella notte del Natale i divini uffizi per rinnovare con viva riconoscenza la memoria di quella notte, in cui, nascendo il divin Salvatore, cominciò l'opera della nostra redenzione.

7. Quali cose ci propone la Chiesa a considerare nelle tre Messe del Natale?
Nel vangelo della prima Messa del Natale la Chiesa ci propone a considerare che la santissima Vergine, recatasi in compagnia di S. Giuseppe da Nazaret a Betlemme per far ivi registrare il loro nome, secondo l'ordine dell'imperatore, né avendo ritrovato altro alloggio, diede alla luce Gesù Cristo dentro una stalla e lo ripose nel presepio, cioè in una mangiatoia d'animali.

Nel vangelo della seconda ci propone a considerare la visita fatta a Gesù Cristo da alcuni poveri pastori, che erano stati avvisati da un Angelo della nascita di esso.

Nel vangelo della terza ci propone a considerare che questo fanciullo, che si vede nascere nel tempo da Maria Vergine, è ab eterno Figliuolo di Dio.

8. Che cosa intende la Chiesa nel proporci a considerare i misteri delle tre Messe del Natale?
Nel proporci a considerare i misteri delle tre Messe del Natale la Chiesa intende che ringraziamo il divin Redentore d'essersi fatto uomo per la nostra salute, che lo riconosciamo insieme ai pastori, e lo adoriamo qual vero Figliuolo di Dio, ascoltando le istruzioni ch' Egli tacitamente ci dà colle circostanze della sua nascita.

9. Che cosa c'insegna Gesù Cristo colle circostanze della sua nascita?
Colle circostanze della sua nascita Gesù Cristo c'insegna a rinunciare alle vanità del mondo e ad apprezzare la povertà e le sofferenze.

10. Nella festa del Natale siamo noi obbligali ad ascoltare tre Messe?
Nella festa del Natale siamo obbligati ad ascoltare soltanto una Messa, ma è però bene ascoltarle tutte e tre per conformarci meglio alle intenzioni della Chiesa.

11. Che cosa dobbiamo noi fare nel santo Natale per secondare pienamente le intenzioni della Chiesa?
Nel santo Natale, per secondare pienamente le intenzioni della Chiesa, dobbiamo fare queste quattro cose:

prepararci la vigilia con unire al digiuno un raccoglimento maggiore del solito;
apportarvi una grande purità per mezzo di una buona confessione e un grande desiderio di ricevere il Signore;
assistere, se si può, agli uffizi divini nella notte precedente, e alle tre Messe, meditando il mistero che si celebra;
impiegare questo giorno, per quanto possiamo, in opere di cristiana pietà.

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Note

1. Nel calendario odierno, al tempo di Avvento segue il tempo di Natale, che ha inizio con la Messa della vigilia di Natale e termina con la domenica che cade dopo il 6 gennaio. Nella domenica tra l'ottava di Natale si celebra oggi la festa della Sacra Famiglia. Nell'ottava di Natale (1 gennaio) si celebra la solennità della Santa Madre di Dio, non più, quindi, la Circoncisione del Signore; in essa si commemora anche l'imposizione del Santissimo Nome di Gesù. Nella domenica dopo l'Epifania, a conclusione del tempo di Natale, si celebra la festa del Battesimo del Signore.

S. Pio X, Catechismo Maggiore (http://it.wikisource.org/wiki/Catechismo_Maggiore/Feste/Parte_prima/Natale)

Augustinus
30-12-07, 10:40
Catechismo del concilio di Trento

Parte I, Articolo 3: Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine

42. Significato dell'articolo

Da quanto è stato esposto nell'articolo precedente i fedeli possono comprendere quale prezioso e singolare beneficio Dio abbia accordato al genere umano, chiamandoci, dalla schiavitù di un tiranno crudelissimo, alla libertà. Se poi esamineremo il piano e i mezzi coi quali volle attuare ciò, vedremo come nulla ci sia di più insigne e meraviglioso della benevolenza e bontà divina verso di noi.

Fu CONCEPITO DI SPIRITO SANTO. Il parroco comincerà a mostrare, spiegando il terzo articolo, la grandezza di questo mistero, che le Sacre Scritture propongono spesso alla nostra meditazione, come il cardine fondamentale della nostra salvezza. Insegnerà che il suo significato è questo: noi dobbiamo credere e professare che lo stesso Gesù Cristo, unico Signor nostro, Figlio di Dio, assumendo per noi carne umana nel seno di una Vergine, fu concepito, non già da germe virile, come gli altri uomini, ma per virtù dello Spirito Santo, sopra ogni legge di natura (Mt 1,20; Le 1,35). Restando la stessa Persona divina che era dall'eternità, divenne uomo; ciò che prima non era. Che quelle parole si debbano intendere cosi, risulta nettamente dalla professione di fede del sacro Concilio di Costantinopoli, dove è detto: "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo e si fece uomo".

Il medesimo concetto spiegò san Giovanni Evangelista, che aveva attinto la conoscenza di questo sublime mistero sul petto del Salvatore. Esposta la natura del Verbo divino con le parole: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" (Gv 1,1), conclude: "E il Verbo si fece carne e abitò fra noi" (ibid. 14). Il Verbo appunto, che è una delle ipostasi della natura divina, ha assunto la natura umana in modo che unica fosse l'ipostasi e la persona delle due nature: la divina e l'umana. Sicché la meravigliosa unione delle due nature conservò le azioni e proprietà dell'una e dell'altra e, secondo la frase del pontefice san Leone Magno, la sublimazione non annullò l'inferiore natura, come l'assunzione non degradò la superiore (Sermo 1, De Nativ. 2).

43. L'opera dell'incarnazione, comune a tutta la Trinità, è in modo speciale attribuita allo Spirito Santo

Non dovendosi però trascurare la delucidazione dei termini, il parroco insegnerà che se diciamo il Piglio di Dio, concepito per virtù dello Spirito Santo, non vogliamo asserire che il mistero dell'incarnazione fu compiuto unicamente da questa Persona della divina Trinità. Se il solo Figlio assunse natura umana, tuttavia tutte le tre divine Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, furono autrici del mistero. E infatti regola imprescindibile della fede cristiana che quanto Dio opera fuori di sé, nel creato, è comune alle tre Persone, delle quali nessuna fa qualcosa senza o più dell'altra.

Solamente questo non può essere comune a tutte: che una Persona proceda dall'altra. Il Figlio infatti è generato solamente dal Padre; lo Spirito Santo poi procede dal Padre e dal Figliolo. Fuori di ciò, le tre Persone compiono insieme, senza alcuna discrepanza, tutto ciò che deriva da esse fuori di loro e in questa classe di operazioni va collocata l'incarnazione del Figlio di Dio. Ciò nonostante tra le proprietà comuni a tutte e tre le divine Persone ve n'è di quelle che le Sacre Scritture sogliono attribuire all'una o all'altra delle Persone e cioè: il dominio di tutte le cose al Padre, la sapienza al Figlio, l'amore allo Spirito Santo. E poiché il mistero della divina incarnazione esprime l'immensa e mirabile benevolenza di Dio verso di noi, essa viene ascritta allo Spirito Santo in precipua maniera.

44. L'incarnazione di Cristo implica elementi naturali e altri soprannaturali

Va notato che questo mistero comprende fatti naturali e fatti soprannaturali. Riconosciamo anzitutto la natura umana, nel ritenere che il corpo di Gesù Cristo è stato formato dal purissimo sangue della Vergine Madre. E proprietà infatti dei corpi di tutti gli uomini l'essere formati dal sangue della madre loro. Ma oltrepassa ogni ordine di natura e ogni capacità di intelligenza umana il fatto che, non appena la beata Vergine, consentendo all'angelico annuncio, pronunciò le parole: "Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo quanto hai detto" (Lc 1,38), immediatamente il corpo santissimo di Gesù Cristo fu formato e a esso fu congiunta l'anima razionale, riuscendo nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo. Nessuno può mettere in dubbio che si tratti qui di un'originale e stupenda opera dello Spirito Santo; poiché nessun corpo può, secondo il corso normale della natura, essere avvivato da anima umana, prima del tempo prescritto.

Altra circostanza meravigliosa fu questa: non appena l'anima fu unita al corpo, anche la divinità si unì all'uno e all'altro. Perciò appena il corpo fu formato e animato, nel medesimo istante al corpo e all'anima fu congiunta la divinità.

Da ciò segue che il Salvatore fu nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo e che la Vergine santissima potè realmente e propriamente essere chiamata Madre di Dio e madre di un uomo, avendo concepito simultaneamente l'Uomo-Dio. L'angelo le aveva annunciato: "Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, cui porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo" (Lc 1,31). Così veniva in realtà verificata la predizione di Isaia: "Una vergine concepirà e partorirà un figliolo" (Is 7,14). Il medesimo evento aveva adombrato Elisabetta quando, ricolma di Spirito Santo, conobbe il concepimento del Figlio di Dio ed esclamò: "Donde a me questo, che la Madre del Signor mio venga a me?" (Lc 1,43).

45. Nell'anima di Gesù Cristo fu la pienezza di tutte le grazie; ma Cristo non può esser detto per ciò figlio adottivo di Dio

Come il corpo di Gesù Cristo, secondo quanto abbiamo detto, fu formato con il sangue purissimo della più illibata tra le vergini, senza intervento alcuno di uomo, ma per sola virtù dello Spirito Santo, così, non appena fu concepito, ebbe l'anima inondata dallo Spirito di Dio e dalla copia dei suoi carismi. Come attesta san Giovanni (Gv 3,34), Dio non conferì a lui lo spirito con parsimonia, come agli altri individui, adornati della santità e della grazia, ma infuse nell'anima sua cosi copioso flusso di carismi, che tutti dobbiamo attingervi (ibid. 1,16). Non ci è permesso però di chiamare Gesù Cristo figlio "adottivo" di Dio, sebbene abbia ricevuto quello spirito, in virtù del quale i santi conseguono l'adozione di figli di Dio. Essendo Figlio di Dio per natura, non possono in verun modo convenirgli ne il dono ne il titolo, impliciti nell'adozione.

Queste le delucidazioni che ci è sembrato opportuno presentare intorno al mirabile mistero del divino concepimento. Perché da esse discendano frutti salutari sopra di noi, i fedeli dovranno soprattutto tener presenti alla memoria e scolpiti nel cuore questi punti: che propriamente fu Dio ad assumere la nostra carne, facendosi uomo in una maniera che né la mente può comprendere, né l'umana parola spiegare; e che volle incarnarsi affinché noi uomini ritornassimo figli di Dio. Meditandoli con attenta cura, non tralascino mai di credere e di adorare, con cuore confidente, tutti i misteri racchiusi in questo articolo, astenendosi da ogni curiosa indagine o analisi, che non sarebbero senza grave pericolo.

46. Maria Vergine partorì Cristo

NACQUE DA MARIA VERGINE. Ecco la seconda parte di questo articolo. Il parroco la spiegherà con particolare cura, dovendo i fedeli credere non solo che Gesù Cristo fu concepito per virtù dello Spirito Santo, ma che nacque da Maria Vergine, dalla quale fu dato alla luce. Quanta intima letizia scaturisca dalla contemplazione di questo mistero fu già indicato dalla voce angelica, che prima recò al mondo la felicissima novella: “Eccomi a recarvi l'annunzio di grande allegrezza per tutto il popolo" (Lc 2,10). Appare parimenti dal cantico della milizia celeste, intonato dagli angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà" (ibid. 14). Così cominciava ad attuarsi la grandiosa promessa di Dio ad Abramo, che dovevano un giorno essere benedette, nel seme suo, tutte le nazioni (Gn 22,18). Infatti Maria, che noi proclamiamo e onoriamo vera Madre di Dio, avendo partorito chi era insieme Dio e uomo, discendeva dal re David.

47. Mirabile nascita di Gesù Cristo

Come il concepimento di Cristo supera ogni ordine di natura, nella sua natività parimenti nulla cogliamo che non sia divino. Nacque Gesù infatti dalla Madre (che cosa si sarebbe mai potuto immaginare di più miracoloso?) senza detrarre alcunché alla materna verginità. Come più tardi egli uscirà dalla tomba chiusa e sigillata e penetrerà nel luogo dove saranno radunati i discepoli, nonostante le porte serrate (Gv 20,19), o come i raggi del sole, per non uscire dall'ambito dell'esperienza naturale di ogni giorno, attraversano la compatta sostanza del vetro senza romperla o comunque lederla, in maniera molto più sublime Gesù Cristo uscì dal seno materno, senza la minima offesa alla dignità verginale della sua genitrice. Per questo ne celebriamo con lodi giustissime l'incorruttibile e perpetua verginità, privilegio attuato per virtù dello Spirito Santo, che assistè la Madre nel concepimento e nel parto, in modo da conferirle la fecondità, conservandole la permanente integrità verginale.

48. Paragone fra Gesù Cristo e Adamo, fra Maria ed Eva

L'Apostolo chiama ripetute volte Gesù Cristo nuovo Adamo (1 Cor 15,21.22) e lo paragona all'antico. In realtà se tutti gli uomini muoiono nel primo, tutti sono richiamati a vita nel secondo. E come Adamo è stato il padre del genere umano nell'ordine di natura, così Gesù Cristo è per tutti l'autore della grazia e della gloria (Rm 5,14). Parimenti si può stabilire un'analogia fra la Vergine Madre, seconda Eva, e la prima: analogia corrispondente a quella sopra illustrata fra il secondo Adamo, Cristo, e il primo.

Avendo creduto alle lusinghe del serpente (Gn 3,6), Eva attirò sul genere umano la maledizione e la morte; avendo Maria creduto all'annuncio dell'angelo, fece sì che la bontà di Dio ridonasse agli uomini benedizione e vita. A causa di Eva nasciamo figli della collera (Ef 2,3), ma da Maria ricevemmo Gesù Cristo, per merito del quale siamo rigenerati come figli della grazia. A Eva fu detto: "Partorirai figli nel dolore" (Gn 3,16); Maria fu esente dalla dura legge e, salva restando in lei l'integrità della verginale pudicizia, partorì Gesù Cristo figlio di Dio, senza alcun dolore, come sopra abbiamo detto.

49. Tipi e profezie dell'incarnazione del Signore

Essendo tanto numerose e insigni le meraviglie racchiuse nel concepimento e nella natività, fu opportuno che la divina Provvidenza ne preannunziasse l'avvento con molte immagini e predizioni. I santi Dottori hanno interpretato come pertinenti a questo mistero molti passi scritturali. Principalmente hanno inteso come figurativa la porta del santuario, che Ezechiele vide serrata (£% 44,2); la pietra che, secondo la visione di Daniele (Dn 2,34), si stacca, senza intervento umano, dalla montagna e, divenuta a sua volta un alto monte, riempie tutta la terra; la verga di Aronne che, unica tra le verghe dei capi di Israele, miracolosamente fiorisce (Nm 17,8); il roveto infine che Mosè vide ardere, senza consumarsi (Es 3,2). Del resto l'Evangelista narra minutamente la storia della natività di Gesù Cristo (Lc 2) e a noi non conviene insistervi, potendo il parroco leggerla direttamente.

50. L'incarnazione di Gesù Cristo mirabile esempio di umiltà

II parroco dovrà spiegare assiduo zelo, affinché tali misteri, registrati per nostra istruzione (Rm 15,4), aderiscano intimamente all'intelletto e al cuore dei fedeli. Anzitutto perché il ricordo di così segnalato beneficio li spinga a tributarne grazie all'autore Dio; in secondo luogo, perché dinanzi ai loro occhi sia stimolo alla imitazione un così meraviglioso esempio di umiltà. Riflettere spesso alla maniera in cui Dio volle umiliarsi per comunicare la propria gloria agli uomini, fino ad assumerne la fragile infermità; meditare la degnazione di un Dio che si fa uomo e pone a servizio dell'uomo quella sua infinita maestà, al cui cenno, secondo la parola biblica, tremano di sbigottimento le colonne del cielo (Gb 26,11); contemplare il mistero della nascita sulla terra di chi è nei cieli adorato dagli angeli, costituiscono senza dubbio l'esercizio più utile ai nostri spiriti, il più efficace per debellare la nostra superbia. Se Dio compì tutto ciò per noi, che cosa non dovremo far noi per obbedirgli? Con quanta prontezza e alacrità d'animo non dovremo noi prediligere e attuare tutti i doveri dell'umiltà!

Riflettano i fedeli di quanta salutare dottrina Cristo pargolo ci nutre, prima di articolare parola. Ecco: nasce povero; è respinto dall'albergo; nasce in una miserrima stalla a mezzo inverno. Scrive infatti san Luca: "E avvenne che, mentre ivi si trovavano, si compì per lei il tempo del parto e partorì il suo Figlio primogenito; lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non trovarono posto nell'albergo" (Lc 2,6.7). Avrebbe potuto l'Evangelista nascondere sotto parole più umili la maestà e la gloria che riempiono il cielo e la terra? Non dice genericamente che non v'era più posto nell'albergo; ma che non ve n'era per colui che può dire: "Mia è la terra con quanto contiene" (Sal 49,12). Tale testimonianza ha la conferma di un altro Evangelista: "Venne nella sua proprietà e i suoi non l'accolsero" (Gv 1,11).

51. L'incarnazione manifesta la dignità umana

Mentre mediteranno tutto ciò, i fedeli non dimenticheranno che Dio volle sottostare all'umile fragilità della nostra carne, affinché il genere umano fosse innalzato al più alto livello della dignità. Sufficientemente traspare la nobiltà insigne, conferita all'uomo per dono divino, dal fatto che fu uomo colui che era nel medesimo tempo vero e perfetto Dio. Noi possiamo ormai dire con orgoglio che il Figlio di Dio è ossa e carne nostra; cosa che non possono fare gli spiriti beati. Ha detto l'Apostolo: "Ha assunto la natura dei figli di Abramo, non la natura angelica" (Eb 2,16).

52. A Gesù Cristo dobbiamo preparare una dimora nei nostri cuori

Guardiamoci bene dal far sì che, per nostra disgrazia, come non trovò posto nell'albergo per nascere, così non ne trovi nei nostri cuori, quando viene per nascervi, non corporalmente, ma spiritualmente. Desidera egli, bramosissimo com'è della nostra salvezza, questa mistica natività. Perciò, come egli si fece uomo, nacque e fu santificato, anzi fu la santità stessa, per virtù dello Spirito Santo, in maniera soprannaturale, così occorre che noi nasciamo, non da sangue, ne da voler di carne, ne da voler di uomo, ma da Dio (Gv 1,13) e che dopo ciò procediamo nella vita come creature rinnovellate in novità di spirito (Rm 6,4.5; 7,6), custodendo gelosamente quella santità e integrità di mente che si addicono a individui rigenerati nello spirito di Dio. Così ritrarremo in noi stessi una qualche sembianza di quella concezione e natività del Figlio di Dio, in cui crediamo fermamente e che accogliamo e adoriamo come il mistero che racchiude il capolavoro della sapienza divina (1 Cor 2,7).

FONTE (http://it.wikisource.org/wiki/Catechismo_del_concilio_di_Trento/Parte_I/Articolo_3)

Augustinus
01-01-08, 18:05
Christmas

ORIGIN OF THE WORD

The word for Christmas in late Old English is Cristes Maesse, the Mass of Christ, first found in 1038, and Cristes-messe, in 1131. In Dutch it is Kerst-misse, in Latin Dies Natalis, whence comes the French Noël, and Italian Il natale; in German Weihnachtsfest, from the preceeding sacred vigil. The term Yule is of disputed origin. It is unconnected with any word meaning "wheel". The name in Anglo-Saxon was geol, feast: geola, the name of a month (cf. Icelandic iol a feast in December).

EARLY CELEBRATION

Christmas was not among the earliest festivals of the Church. Irenaeus and Tertullian omit it from their lists of feasts; Origen, glancing perhaps at the discreditable imperial Natalitia, asserts (in Lev. Hom. viii in Migne, P.G., XII, 495) that in the Scriptures sinners alone, not saints, celebrate their birthday; Arnobius (VII, 32 in P.L., V, 1264) can still ridicule the "birthdays" of the gods.

Alexandria

The first evidence of the feast is from Egypt. About A.D. 200, Clement of Alexandria (Strom., I, xxi in P.G., VIII, 888) says that certain Egyptian theologians "over curiously" assign, not the year alone, but the day of Christ's birth, placing it on 25 Pachon (20 May) in the twenty-eighth year of Augustus. Others reached the date of 24 or 25 Pharmuthi (19 or 20 April). With Clement's evidence may be mentioned the "De paschæ computus", written in 243 and falsely ascribed to Cyprian (P.L., IV, 963 sqq.), which places Christ's birth on 28 March, because on that day the material sun was created. But Lupi has shown (Zaccaria, Dissertazioni ecc. del p. A.M. Lupi, Faenza, 1785, p. 219) that there is no month in the year to which respectable authorities have not assigned Christ's birth. Clement, however, also tells us that the Basilidians celebrated the Epiphany, and with it, probably, the Nativity, on 15 or 11 Tybi (10 or 6 January). At any rate this double commemoration became popular, partly because the apparition to the shepherds was considered as one manifestation of Christ's glory, and was added to the greater manifestations celebrated on 6 January; partly because at the baptism-manifestation many codices (e.g. Codex Bezæ) wrongly give the Divine words as sou ei ho houios mou ho agapetos, ego semeron gegenneka se (Thou art my beloved Son, this day have I begotten thee) in lieu of en soi eudokesa (in thee I am well pleased), read in Luke 3:22. Abraham Ecchelensis (Labbe, II, 402) quotes the Constitutions of the Alexandrian Church for a dies Nativitatis et Epiphaniæ in Nicæan times; Epiphanius (Hær., li, ed. Dindorf, 1860, II, 483) quotes an extraordinary semi-Gnostic ceremony at Alexandria in which, on the night of 5-6 January, a cross-stamped Korê was carried in procession round a crypt, to the chant, "Today at this hour Korê gave birth to the Eternal"; John Cassian records in his "Collations" (X, 2 in P.L., XLIX, 820), written 418-427, that the Egyptian monasteries still observe the "ancient custom"; but on 29 Choiak (25 December) and 1 January, 433, Paul of Emesa preached before Cyril of Alexandria, and his sermons (see Mansi, IV, 293; appendix to Act. Conc. Eph.) show that the December celebration was then firmly established there, and calendars prove its permanence. The December feast therefore reached Egypt between 427 and 433.

Cyprus, Mesopotamia, Armenia, Asia Minor

In Cyprus, at the end of the fourth century, Epiphanius asserts against the Alogi (Hær., li, 16, 24 in P. G., XLI, 919, 931) that Christ was born on 6 January and baptized on 8 November. Ephraem Syrus (whose hymns belong to Epiphany, not to Christmas) proves that Mesopotamia still put the birth feast thirteen days after the winter solstice; i.e. 6 January; Armenia likewise ignored, and still ignores, the December festival. (Cf. Euthymius, "Pan. Dogm.", 23 in P.G., CXXX, 1175; Niceph., "Hist. Eccl,", XVIII, 53 in P.G., CXLVII, 440; Isaac, Catholicos of Armenia in eleventh or twelfth century, "Adv. Armenos", I, xii, 5 in P.G., CXXII, 1193; Neale, "Holy Eastern Church", Introd., p. 796). In Cappadocia, Gregory of Nyssa's sermons on St. Basil (who died before 1 January, 379) and the two following, preached on St. Stephen's feast (P.G., XLVI, 788; cf, 701, 721), prove that in 380 the 25th December was already celebrated there, unless, following Usener's too ingenious arguments (Religionsgeschichtliche Untersuchungen, Bonn, 1889, 247-250), one were to place those sermons in 383. Also, Asterius of Amaseia (fifth century) and Amphilochius of Iconium (contemporary of Basil and Gregory) show that in their dioceses both the feasts of Epiphany and Nativity were separate (P.G., XL, 337 XXXIX, 36).

Jerusalem

In 385, Silvia of Bordeaux (or Etheria, as it seems clear she should be called) was profoundly impressed by the splendid Chilhood feasts at Jerusalem. They had a definitely "Nativity" colouring; the bishop proceeded nightly to Bethlehem, returning to Jerusalem for the day celebrations. The Presentation was celebrated forty days after. But this calculation starts from 6 January, and the feast lasted during the octave of that date. (Peregr. Sylv., ed. Geyer, pp. 75 sq.) Again (p. 101) she mentions as high festivals Easter and Epiphany alone. In 385, therefore, 25 December was not observed at Jerusalem. This checks the so-called correspondence between Cyril of Jerusalem (348-386) and Pope Julius I (337-352), quoted by John of Nikiû (c. 900) to convert Armenia to 25 December (see P.L., VIII, 964 sqq.). Cyril declares that his clergy cannot, on the single feast of Birth and Baptism, make a double procession to Bethlehem and Jordan. (This later practice is here an anachronism.) He asks Julius to assign the true date of the nativity "from census documents brought by Titus to Rome"; Julius assigns 25 December. Another document (Cotelier, Patr. Apost., I, 316, ed. 1724) makes Julius write thus to Juvenal of Jerusalem (c. 425-458), adding that Gregory Nazianzen at Constantinople was being criticized for "halving" the festival. But Julius died in 352, and by 385 Cyril had made no change; indeed, Jerome, writing about 411 (in Ezech., P.L., XXV, 18), reproves Palestine for keeping Christ's birthday (when He hid Himself) on the Manifestation feast. Cosmas Indicopleustes suggests (P.G., LXXXVIII, 197) that even in the middle of the sixth century Jerusalem was peculiar in combining the two commemorations, arguing from Luke 3:23 that Christ's baptism day was the anniversary of His birthday. The commemoration, however, of David and James the Apostle on 25 December at Jerusalem accounts for the deferred feast. Usener, arguing from the "Laudatio S. Stephani" of Basil of Seleucia (c. 430. -- P.G., LXXXV, 469), thinks that Juvenal tried at least to introduce this feast, but that Cyril's greater name attracted that event to his own period.

Antioch

In Antioch, on the feast of St. Philogonius, Chrysostom preached an important sermon. The year was almost certainly 386, though Clinton gives 387, and Usener, by a long rearrangement of the saint's sermons, 388 (Religionsgeschichtl. Untersuch., pp. 227-240). But between February, 386, when Flavian ordained Chrysostom priest, and December is ample time for the preaching of all the sermons under discussion. (See Kellner, Heortologie, Freiburg, 1906, p. 97, n. 3). In view of a reaction to certain Jewish rites and feasts, Chrysostom tries to unite Antioch in celebrating Christ's birth on 25 December, part of the community having already kept it on that day for at least ten years. In the West, he says, the feast was thus kept, anothen; its introduction into Antioch he had always sought, conservatives always resisted. This time he was successful; in a crowded church he defended the new custom. It was no novelty; from Thrace to Cadiz this feast was observed -- rightly, since its miraculously rapid diffusion proved its genuineness. Besides, Zachary, who, as high-priest, entered the Temple on the Day of Atonement, received therefore announcement of John's conception in September; six months later Christ was conceived, i.e. in March, and born accordingly in December.

Finally, though never at Rome, on authority he knows that the census papers of the Holy Family are still there. [This appeal to Roman archives is as old as Justin Martyr (Apol., I, 34, 35) and Tertullian (Adv. Marc., IV, 7, 19). Julius, in the Cyriline forgeries, is said to have calculated the date from Josephus, on the same unwarranted assumptions about Zachary as did Chrysostom.] Rome, therefore, has observed 25 December long enough to allow of Chrysostom speaking at least in 388 as above (P.G., XLVIII, 752, XLIX, 351).

Constantinople

In 379 or 380 Gregory Nazianzen made himself exarchos of the new feast, i.e. its initiator, in Constantinople, where, since the death of Valens, orthodoxy was reviving. His three Homilies (see Hom. xxxviii in P.G., XXXVI) were preached on successive days (Usener, op. cit., p. 253) in the private chapel called Anastasia. On his exile in 381, the feast disappeared.

According, however, to John of Nikiû, Honorius, when he was present on a visit, arranged with Arcadius for the observation of the feast on the Roman date. Kellner puts this visit in 395; Baumstark (Oriens Chr., 1902, 441-446), between 398 and 402. The latter relies on a letter of Jacob of Edessa quoted by George of Beeltân, asserting that Christmas was brought to Constantinople by Arcadius and Chrysostom from Italy, where, "according to the histories", it had been kept from Apostolic times. Chrysostom's episcopate lasted from 398 to 402; the feast would therefore have been introduced between these dates by Chrysostom bishop, as at Antioch by Chrysostom priest. But Lübeck (Hist. Jahrbuch., XXVIII, I, 1907, pp. 109-118) proves Baumstark's evidence invalid. More important, but scarcely better accredited, is Erbes' contention (Zeitschrift f. Kirchengesch., XXVI, 1905, 20-31) that the feast was brought in by Constantine as early as 330-35.

Rome

At Rome the earliest evidence is in the Philocalian Calendar (P. L., XIII, 675; it can be seen as a whole in J. Strzygowski, Kalenderbilder des Chron. von Jahre 354, Berlin, 1888), compiled in 354, which contains three important entries. In the civil calendar 25 December is marked "Natalis Invicti". In the "Depositio Martyrum" a list of Roman or early and universally venerated martyrs, under 25 December is found "VIII kal. ian. natus Christus in Betleem Iudeæ". On "VIII kal. mart." (22 February) is also mentioned St. Peter's Chair. In the list of consuls are four anomalous ecclesiastical entries: the birth and death days of Christ, the entry into Rome, and martyrdom of Saints Peter and Paul. The significant entry is "Chr. Cæsare et Paulo sat. XIII. hoc. cons. Dns. ihs. XPC natus est VIII Kal. ian. d. ven. luna XV," i.e. during the consulship of (Augustus) Cæsar and Paulus Our Lord Jesus Christ was born on the eighth before the calends of January (25 December), a Friday, the fourteenth day of the moon. The details clash with tradition and possibility. The epact, here XIII, is normally XI; the year is A.U.C. 754, a date first suggested two centuries later; in no year between 751 and 754 could 25 December fall on a Friday; tradition is constant in placing Christ's birth on Wednesday. Moreover the date given for Christ's death (duobus Geminis coss., i.e. A.D. 29) leaves Him only twenty eight, and one-quarter years of life. Apart from this, these entries in a consul list are manifest interpolations. But are not the two entries in the "Depositio Martyrum" also such? Were the day of Christ's birth in the flesh alone there found, it might stand as heading the year of martyrs' spiritual natales; but 22 February is there wholly out of place. Here, as in the consular fasti, popular feasts were later inserted for convenience' sake. The civil calendar alone was not added to, as it was useless after the abandonment of pagan festivals. So, even if the "Depositio Martyrum" dates, as is probable, from 336, it is not clear that the calendar contains evidence earlier than Philocalus himself, i.e. 354, unless indeed pre-existing popular celebration must be assumed to render possible this official recognition. Were the Chalki manuscript of Hippolytus genuine, evidence for the December feast would exist as early as c. 205. The relevant passage [which exists in the Chigi manuscript Without the bracketed words and is always so quoted before George Syncellus (c. 1000)] runs:

[I]He gar prote parousia tou kyriou hemon he ensarkos [en he gegennetai] en Bethleem, egeneto [pro okto kalandon ianouarion hemera tetradi] Basileuontos Augoustou [tessarakoston kai deuteron etos, apo de Adam] pentakischiliosto kai pentakosiosto etei epathen de triakosto trito [pro okto kalandon aprilion, hemera paraskeun, oktokaidekato etei Tiberiou Kaisaros, hypateuontos Hrouphou kai Hroubellionos. -- (Comm. In Dan., iv, 23; Brotke; 19)

"For the first coming of Our Lord in the flesh , in Bethlehem, took place [25 December, the fourth day] in the reign of Augustus [the forty-second year, and] in the year 5500 [from Adam]. And He suffered in His thirty-third year [25 March, the parasceve, in the eighteenth year of Tiberius Cæsar, during the consulate of Rufus and Rubellio]."

Interpolation is certain, and admitted by Funk, Bonwetsch, etc. The names of the consuls [which should be Fufius and Rubellius] are wrong; Christ lives thirty-three years; in the genuine Hippolytus, thirty-one; minute data are irrelevant in this discussion with Severian millenniarists; it is incredible that Hippolytus should have known these details when his contemporaries (Clement, Tertullian, etc.) are, when dealing with the matter, ignorant or silent; or should, having published them, have remained unquoted (Kellner, op. cit., p. 104, has an excursus on this passage.)

St. Ambrose (de virg., iii, 1 in P. L., XVI, 219) preserves the sermon preached by Pope Liberius I at St. Peter's, when, on Natalis Christi, Ambrose' sister, Marcellina, took the veil. This pope reigned from May, 352 until 366, except during his years of exile, 355-357. If Marcellina became a nun only after the canonical age of twenty-five, and if Ambrose was born only in 340, it is perhaps likelier that the event occurred after 357. Though the sermon abounds in references appropriate to the Epiphany (the marriage at Cana, the multiplication of loaves, etc.), these seem due (Kellner, op. cit., p. 109) to sequence of thought, and do not fix the sermon to 6 January, a feast unknown in Rome till much later. Usener, indeed, argues (p. 272) that Liberius preached it on that day in 353, instituting the Nativity feast in the December of the same year; but Philocalus warrants our supposing that if preceded his pontificate by some time, though Duchesne's relegation of it to 243 (Bull. crit., 1890, 3, pp. 41 sqq. ) may not commend itself to many. In the West the Council of Saragossa (380) still ignores 25 December (see can. xxi, 2). Pope Siricius, writing in 385 (P. L., XII, 1134) to Himerius in Spain, distinguishes the feasts of the Nativity and Apparition; but whether he refers to Roman or to Spanish use is not clear. Ammianus Marcellinus (XXI, ii) and Zonaras (Ann., XIII, 11) date a visit of Julian the Apostate to a church at Vienne in Gaul on Epiphany and Nativity respectively. Unless there were two visits, Vienne in A.D. 361 combined the feasts, though on what day is still doubtful. By the time of Jerome and Augustine, the December feast is established, though the latter (Epp., II, liv, 12, in P.L., XXXIII, 200) omits it from a list of first-class festivals. From the fourth century every Western calendar assigns it to 25 December. At Rome, then, the Nativity was celebrated on 25 December before 354; in the East, at Constantinople, not before 379, unless with Erbes, and against Gregory, we recognize it there in 330. Hence, almost universally has it been concluded that the new date reached the East from Rome by way of the Bosphorus during the great anti-Arian revival, and by means of the orthodox champions. De Santi (L'Orig. delle Fest. Nat., in Civiltæ Cattolica, 1907), following Erbes, argues that Rome took over the Eastern Epiphany, now with a definite Nativity colouring, and, with as increasing number of Eastern Churches, placed it on 25 December; later, both East and West divided their feast, leaving Ephiphany on 6 January, and Nativity on 25 December, respectively, and placing Christmas on 25 December and Epiphany on 6 January. The earlier hypothesis still seems preferable.

ORIGIN OF DATE

The Gospels

Concerning the date of Christ's birth the Gospels give no help; upon their data contradictory arguments are based. The census would have been impossible in winter: a whole population could not then be put in motion. Again, in winter it must have been; then only field labour was suspended. But Rome was not thus considerate. Authorities moreover differ as to whether shepherds could or would keep flocks exposed during the nights of the rainy season.

Zachary's temple service

Arguments based on Zachary's temple ministry are unreliable, though the calculations of antiquity (see above) have been revived in yet more complicated form, e.g. by Friedlieb (Leben J. Christi des Erlösers, Münster, 1887, p. 312). The twenty-four classes of Jewish priests, it is urged, served each a week in the Temple; Zachary was in the eighth class, Abia. The Temple was destroyed 9 Ab, A.D. 70; late rabbinical tradition says that class 1, Jojarib, was then serving. From these untrustworthy data, assuming that Christ was born A.U.C. 749, and that never in seventy turbulent years the weekly succession failed, it is calculated that the eighth class was serving 2-9 October, A.U.C. 748, whence Christ's conception falls in March, and birth presumably in December. Kellner (op. cit., pp. 106, 107) shows how hopeless is the calculation of Zachary's week from any point before or after it.

Analogy to Old Testament festivals

It seems impossible, on analogy of the relation of Passover and Pentecost to Easter and Whitsuntide, to connect the Nativity with the feast of Tabernacles, as did, e.g., Lightfoot (Horæ Hebr, et Talm., II, 32), arguing from Old Testament prophecy, e.g. Zacharias 14:16 sqq.; combining, too, the fact of Christ's death in Nisan with Daniel's prophecy of a three and one-half years' ministry (9:27), he puts the birth in Tisri, i.e. September. As undesirable is it to connect 25 December with the Eastern (December) feast of Dedication (Jos. Ant. Jud., XII, vii, 6).

[I]Natalis Invicti

The well-known solar feast, however, of Natalis Invicti, celebrated on 25 December, has a strong claim on the responsibility for our December date. For the history of the solar cult, its position in the Roman Empire, and syncretism with Mithraism, see Cumont's epoch-making "Textes et Monuments" etc., I, ii, 4, 6, p. 355. Mommsen (Corpus Inscriptionum Latinarum, 12, p. 338) has collected the evidence for the feast, which reached its climax of popularity under Aurelian in 274. Filippo del Torre in 1700 first saw its importance; it is marked, as has been said, without addition in Philocalus' Calendar. It would be impossible here even to outline the history of solar symbolism and language as applied to God, the Messiah, and Christ in Jewish or Christian canonical, patristic, or devotional works. Hymns and Christmas offices abound in instances; the texts are well arranged by Cumont (op. cit., addit. Note C, p. 355).

The earliest rapprochement of the births of Christ and the sun is in Cyprian, "De pasch. Comp.", xix, "O quam præclare providentia ut illo die quo natus est Sol . . . nasceretur Christus." — "O, how wonderfully acted Providence that on that day on which that Sun was born . . . Christ should be born."

In the fourth century, Chrysostom, "del Solst. Et Æquin." (II, p. 118, ed. 1588), says: "Sed et dominus noster nascitur mense decembris . . . VIII Kal. Ian. . . . Sed et Invicti Natalem appelant. Quis utique tam invictus nisi dominus noster? . . . Vel quod dicant Solis esse natalem, ipse est Sol iustitiæ." — "But Our Lord, too, is born in the month of December . . . the eight before the calends of January [25 December] . . ., But they call it the 'Birthday of the Unconquered'. Who indeed is so unconquered as Our Lord . . .? Or, if they say that it is the birthday of the Sun, He is the Sun of Justice."

Already Tertullian (Apol., 16; cf. Ad. Nat., I, 13; Orig. c. Cels., VIII, 67, etc) had to assert that Sol was not the Christians' God; Augustine (Tract xxxiv, in Joan. In P.L., XXXV, 1652) denounces the heretical identification of Christ with Sol.

Pope Leo I (Serm. xxxvii in nat. dom., VII, 4; xxii, II, 6 in P. L., LIV, 218 and 198) bitterly reproves solar survivals — Christians, on the very doorstep of the Apostles' basilica, turn to adore the rising sun. Sun-worship has bequeathed features to modern popular worship in Armenia, where Christians had once temporarily and externally conformed to the cult of the material sun (Cumont, op. cit., p. 356).

But even should a deliberate and legitimate "baptism" of a pagan feast be seen here no more than the transference of the date need be supposed. The "mountain-birth" of Mithra and Christ's in the "grotto" have nothing in common: Mithra's adoring shepherds (Cumont, op. cit., I, ii, 4, p. 304 sqq.) are rather borrowed from Christian sources than vice versa.

Other theories of pagan origin

The origin of Christmas should not be sought in the Saturnalia (1-23 December) nor even in the midnight holy birth at Eleusis (see J.E. Harrison, Prolegom., p. 549) with its probable connection through Phrygia with the Naasene heretics, or even with the Alexandrian ceremony quoted above; nor yet in rites analogous to the midwinter cult at Delphi of the cradled Dionysus, with his revocation from the sea to a new birth (Harrison, op. cit., 402 sqq.).

The astronomical theory

Duchesne (Les origines du culte chrétien, Paris, 1902, 262 sqq.) advances the "astronomical" theory that, given 25 March as Christ's death-day [historically impossible, but a tradition old as Tertullian (Adv. Jud., 8)], the popular instinct, demanding an exact number of years in a Divine life, would place His conception on the same date, His birth 25 December. This theory is best supported by the fact that certain Montanists (Sozomen, Hist. Eccl., VII, 18) kept Easter on 6 April; both 25 December and 6 January are thus simultaneously explained. The reckoning, moreover, is wholly in keeping with the arguments based on number and astronomy and "convenience", then so popular. Unfortunately, there is no contemporary evidence for the celebration in the fourth century of Christ's conception on 25 March.

Conclusion

The present writer in inclined to think that, be the origin of the feast in East or West, and though the abundance of analogous midwinter festivals may indefinitely have helped the choice of the December date, the same instinct which set Natalis Invicti at the winter solstice will have sufficed, apart from deliberate adaptation or curious calculation, to set the Christian feast there too.

LITURGY AND CUSTOM

The calendar

The fixing of this date fixed those too of Circumcision and Presentation; of Expectation and, perhaps, Annunciation B.V.M.; and of Nativity and Conception of the Baptist (cf. Thurston in Amer. Eccl. Rev., December, 1898). Till the tenth century Christmas counted, in papal reckoning, as the beginning of the ecclesiastical year, as it still does in Bulls; Boniface VIII (1294-1303) restored temporarily this usage, to which Germany held longest.

Popular merry-making

Codex Theod., II, 8, 27 (cf. XV, 5,5) forbids, in 425, circus games on 25 December; though not till Codex Just., III, 12, 6 (529) is cessation of work imposed. The Second Council of Tours (can. xi, xvii) proclaims, in 566 or 567, the sanctity of the "twelve days" from Christmas to Epiphany, and the duty of Advent fast; that of Agde (506), in canons 63-64, orders a universal communion, and that of Braga (563) forbids fasting on Christmas Day. Popular merry-making, however, so increased that the "Laws of King Cnut", fabricated c. 1110, order a fast from Christmas to Epiphany.

The three Masses

The Gelasian and Gregorian Sacramentaries give three Masses to this feast, and these, with a special and sublime martyrology, and dispensation, if necessary, from abstinence, still mark our usage. Though Rome gives three Masses to the Nativity only, Ildefonsus, a Spanish bishop, in 845, alludes to a triple mass on Nativity, Easter, Whitsun, and Transfiguration (P.L., CVI, 888). These Masses, at midnight, dawn, and in die, were mystically connected with aboriginal, Judaic, and Christian dispensations, or (as by St. Thomas, Summa Theologica III:83:2) to the triple "birth" of Christ: in Eternity, in Time, and in the Soul. Liturgical colours varied: black, white, red, or (e.g. at Narbonne) red, white, violet were used (Durand, Rat. Div. Off., VI, 13). The Gloria was at first sung only in the first Mass of this day.

The historical origin of this triple Mass is probably as follows (cf. Thurston, in Amer. Eccl. Rev., January, 1899; Grisar, Anal. Rom., I, 595; Geschichte Roms . . . im Mittelalter I, 607, 397; Civ. Catt., 21 September, 1895, etc.): The first Mass, celebrated at the Oratorium Præsepis in St. Mary Major -- a church probably immediately assimilated to the Bethlehem basilica -- and the third, at St. Peter's, reproduced in Rome the double Christmas Office mentioned by Etheria (see above) at Bethlehem and Jerusalem. The second Mass was celebrated by the pope in the "chapel royal" of the Byzantine Court officials on the Palatine, i.e. St. Anastasia's church, originally called, like the basilica at Constantinople, Anastasis, and like it built at first to reproduce the Jerusalem Anastasis basilica -- and like it, finally, in abandoning the name "Anastasis" for that of the martyr St. Anastasia. The second Mass would therefore be a papal compliment to the imperial church on its patronal feast. The three stations are thus accounted for, for by 1143 (cf. Ord. Romani in P. L., LXXVIII, 1032) the pope abandoned distant St. Peter's, and said the third Mass at the high altar of St. Mary Major. At this third Mass Leo III inaugurated, in 800, by the coronation of Charlemagne, the Holy Roman Empire. The day became a favourite for court ceremonies, and on it, e.g., William of Normandy was crowned at Westminster.

Dramatic presentations

The history of the dedication of the Oratorium Præsepis in the Liberian basilica, of the relics there kept and their imitations, does not belong to this discussion [cf. CRIB; RELICS. The data are well set out by Bonaccorsi (Il Natale, Rome, 1903, ch. iv)], but the practice of giving dramatic, or at least spectacular, expression to the incidents of the Nativity early gave rise to more or less liturgical mysteries. The ordinaria of Rouen and of Reims, for instance, place the officium pastorum immediately after the Te Deum and before Mass (cf. Ducange, Gloss. med. et inf. Lat., s.v. Pastores); the latter Church celebrated a second "prophetical" mystery after Tierce, in which Virgil and the Sibyl join with Old Testament prophets in honouring Christ. (For Virgil and Nativity play and prophecy see authorities in Comparetti, "Virgil in Middles Ages", p. 310 sqq.) "To out-herod Herod", i.e. to over-act, dates from Herod's violence in these plays.

The crib (creche) or nativity scene

St. Francis of Assisi in 1223 originated the crib of today by laicizing a hitherto ecclesiastical custom, henceforward extra-liturgical and popular. The presence of ox and ass is due to a misinterpretation of Isaias i:3 and Habacuc 3:2 ("Itala" version), though they appear in the unique fourth-century "Nativity" discovered in the St. Sebastian catacombs in 1877. The ass on which Balaam rode in the Reims mystery won for the feast the title Festum Asinorum (Ducange, op. cit., s.v. Festum).

Hymns and carols

The degeneration of these plays in part occasioned the diffusion of noels, pastorali, and carols, to which was accorded, at times, a quasi-liturgical position. Prudentius, in the fourth century, is the first (and in that century alone) to hymn the Nativity, for the "Vox clara" (hymn for Lauds in Advent) and "Christe Redemptor" (Vespers and Matins of Christmas) cannot be assigned to Ambrose. "A solis ortu" is certainly, however, by Sedulius (fifth century). The earliest German Weihnachtslieder date from the eleventh and twelfth centuries, the earliest noels from the eleventh, the earliest carols from the thirteenth. The famous "Stabat Mater Speciosa" is attributed to Jacopone da Todi (1230-1306); "Adeste Fideles" is, at the earliest, of the seventeenth century. These essentially popular airs, and even words, must, however, have existed long before they were put down in writing.

Cards and presents

Pagan customs centering round the January calends gravitated to Christmas. Tiele (Yule and Christmas, London, 1899) has collected many interesting examples. The strenæ (eacute;trennes) of the Roman 1 January (bitterly condemned by Tertullian, de Idol., xiv and x, and by Maximus of Turin, Hom. ciii, de Kal. gentil., in P. L., LVII, 492, etc.) survive as Christmas presents, cards, boxes.

The yule log

The calend fires were a scandal even to Rome, and St. Boniface obtained from Pope Zachary their abolition. But probably the Yule-log in its many forms was originally lit only in view of the cold season. Only in 1577 did it become a public ceremony in England; its popularity, however, grew immense, especially in Provence; in Tuscany, Christmas is simply called ceppo (block, log -- Bonaccorsi, op. cit., p. 145, n. 2). Besides, it became connected with other usages; in England, a tenant had the right to feed at his lord's expense as long as a wheel, i.e. a round, of wood, given by him, would burn, the landlord gave to a tenant a load of wood on the birth of a child; Kindsfuss was a present given to children on the birth of a brother or sister, and even to the farm animals on that of Christ, the universal little brother (Tiele, op. cit., p. 95 sqq.).

Greenery

Gervase of Tilbury (thirteen century) says that in England grain is exposed on Christmas night to gain fertility from the dew which falls in response to "Rorate Cæli"; the tradition that trees and flowers blossomed on this night is first quoted from an Arab geographer of the tenth century, and extended to England. In a thirteenth-century French epic, candles are seen on the flowering tree. In England it was Joseph of Arimathea's rod which flowered at Glastonbury and elsewhere; when 3 September became 14 September, in 1752, 2000 people watched to see if the Quainton thorn (cratagus præcox) would blow on Christmas New Style; and as it did not, they refused to keep the New Style festival. From this belief of the calends practice of greenery decorations (forbidden by Archbishop Martin of Braga, c. 575, P. L., LXXIII -- mistletoe was bequeathed by the Druids) developed the Christmas tree, first definitely mentioned in 1605 at Strasburg, and introduced into France and England in 1840 only, by Princess Helena of Mecklenburg and the Prince Consort respectively.

The mysterious visitor

Only with great caution should the mysterious benefactor of Christmas night — Knecht Ruprecht, Pelzmärtel on a wooden horse, St. Martin on a white charger, St. Nicholas and his "reformed" equivalent, Father Christmas — be ascribed to the stepping of a saint into the shoes of Woden, who, with his wife Berchta, descended on the nights between 25 December and 6 January, on a white horse to bless earth and men. Fires and blazing wheels starred the hills, houses were adorned, trials suspended and feasts celebrated (cf. Bonaccorse, op. cit., p. 151). Knecht Ruprecht, at any rate (first found in a mystery of 1668 and condemned in 1680 as a devil) was only a servant of the Holy Child.

Non-Catholic observances

But no doubt aboriginal Christian nuclei attracted pagan accretions. For the calend mumming; the extraordinary and obscene Modranicht; the cake in honour of Mary's "afterbirth", condemned (692) at the Trullan Council, canon 79; the Tabulæ Fortunæ (food and drink offered to obtain increase, and condemned in 743), see Tiele, op. cit., ch. viii, ix -- Tiele's data are perhaps of greater value than his deductions -- and Ducange (op. cit., s. vv. Cervula and Kalendæ).

In England, Christmas was forbidden by Act of Parliament in 1644; the day was to be a fast and a market day; shops were compelled to be open; plum puddings and mince pies condemned as heathen. The conservatives resisted; at Canterbury blood was shed; but after the Restoration Dissenters continued to call Yuletide "Fooltide".

Bibliography

Besides the works mentioned in the article see also, Die Geschichte des deutschen Weihnachts (Leipzig, 1893); MANN-HARDT, Weihnachtsblüthen in Sitte u. Sage (Berlin, 1864); RIETSCHEL, Weihnachten in Kirche, Kunst u. Volksleben (Bielefeld and Leipzig, 1902); SCHMID, Darstellung der Geburt Christin der bildenden Kunst (1890); MÜLLER, Le costumanzi del Natale (Rome, 1880); CORRIERI, Il Natale nelle letterature del Nord in Cosmos Cath. (December, 1900); ERBES, Das Syrische Martyrologium, etc., in Zeitschr. F. Kirchengesch. (1905), IV (1906), I; BARDENHEWER, Mariä Verkündigung (Freiburg, 1905); DE KERSAINT-GILLY, Fêtes de Noël en Provence (Montpellier, 1900); DE COUSSEMAKER, Drames Liturgiques du Moyen Age (Paris, 1861); DOUHET, Dict, des mystères in MIGNE, Nouv, encycl. théol., XLIII; PÉREMÈS, Dict. De Noëls, ibid. LXIII; SMITH AND CHEETHAM, dict. Christ. Antiq., s.v. Christmas.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. III, New York, 1908 (http://www.newadvent.org/cathen/03724b.htm)

Augustinus
01-01-08, 18:14
Crib

(Greek phatne; Latin praesepe, praesepium.)

The crib or manger in which the Infant Saviour was laid after his birth is properly that place in the stable or khan where food for domestic animals is put, formed probably of the same material out of which the grotto itself is hewn. A very ancient tradition avers that an ass and an ox were in the stable when Christ was born. The tradition bears an allusion to Isaias (i, 3): "The ox knoweth his owner and the ass his master's crib"; and is probably founded on the words of the Prophet Habacuc (iii, 2) which in the Septuagint version read: "In the midst of two animals thou shalt be known", instead of "In the midst of years" etc. as St. Jerome rightly translated the original Hebrew. Be this as it may, what pertains to the crib we may consider in the present article under three separate headings: (I) The Basilica of the Nativity and the Grotto of the Nativity at Bethlehem; (II) The relics of the crib preserved at St. Mary Major's in Rome; (III) Devotion to the crib.

I. Bethlehem is situated on two hills and is 2361 feet above the level of the sea. The western hill is the Bethlehem of Scripture; whilst on the eastern elevation is situated the Basilica of the Nativity erected over the grotto. We may imagine, then, that the Blessed Virgin and St. Joseph, there being "no room for them in the inn", left the town and came to the cave or stable on the eastern hill which served as a place of refuge for shepherds and their flocks against the inclemency of the weather. We are not concerned here with the controversies both as regards the historicity of St. Luke's narrative of the birth of Christ and as regards the actual site of the Grotto of the Nativity. Suffice it to say that there appears to be no sufficient reason for abandoning the very ancient and unbroken tradition which attests the authenticity of the place of the crib now venerated. From the earliest times, moreover, ecclesiastical writers bear witness to this tradition. Thus St. Justin, who died a martyr in 165, says that "Having failed to find any lodging in the town, Joseph sought shelter in a neighbouring cavern of Bethlehem" (Dial. c. Tryph., 70). About half a century later, Origen writes: "If any one desires to satisfy himself without appealing either to the prophecy of Micheas, or to the history of the Christ as written by his disciples, that Jesus was born in Bethlehem, let him know that, in accordance with the Gospel narrative, at Bethlehem is shown the grotto where he first saw the light" (C. Cels. I, 51).

St. Helena first converted the grotto into a chapel and adorned it with costly marble and other precious ornaments. The first basilica erected over the crypt is due most probably to the devotion and munificence of her son Constantine, of whom Eusebius says that "The emperor himself, eclipsing even the magnificence of his mother's design, adorned the same place in a truly regal style" (Vita Const., III, 43). Both the grotto itself and the basilica have undergone numerous restorations and modifications made necessary in the course of centuries by the ravages of war and invasion; but, at the present time, little remains of the splendid mosaics and paintings described in detail by Quaeresimus and other writers. The Crypt of the Nativity is reached from the upper church by a double flight of stairs leading from the north side of the choir of the basilica to the grotto below, and converging at the place where according to tradition the Infant Saviour was born. The exact spot is marked by a star cut out of stone, surrounding which are the words:

HIC DE VIRGINE MARIA JESUS CHRISTUS NATUS EST.

A short distance to the southwest is the manger itself where Christ was laid and where, as tradition asserts, he was adored by the Magi. In 1873 the grotto was plundered by the Greeks and everything of value, including two paintings by Murillo and Maello respectively, was carried off. No restitution of the stolen treasures has since been made.

II. The relics of the crib that are preserved at St. Mary Major's in Rome were probably brought there from the Holy Land during the pontificate of Pope Theodore (640-649), who was himself a native of Palestine, and who was well aware of the dangers of plunder and pillage to which they were exposed at the hands of the Mussulmans and other marauders. We find at all events that the basilica erected by Liberius on the Esquiline first received the name of Sancta Maria ad Praesepe under Pope Theodore. During the pontificate of Hadrian I the first altar was erected in the basilica, and in the course of succeeding centuries the place where the relics are preserved came to be visited by the devout faithful from all parts of the Christian world. At the present time the remains of the crib preserved at St. Mary Major's consist of five pieces of board which, as a result of the investigation conducted by Father Lais, sub-director of the Vatican Observatory, during the restorations of 1893 were found to be taken from a sycamore tree of which there are several varieties in the Holy Land. Two of the pieces, which like the other three, must have been originally much longer than they are at present, stood upright in the form of an X, upon which three other pieces rested, supported by a sixth piece, which, however, is missing, placed across the base of the upper angle of the X. We may conclude from this that these pieces of wood were properly speaking mere supports for the manger itself, which was probably made from the soft limestone of which the cave was formed. The rich reliquary, adorned with bas-reliefs and statuettes, which at present contains the relics of the crib was presented by the Duchess of Villa Hermosa in 1830. Pius IV (1559-65) restored the high altar upon which the relics are solemnly exposed for the veneration of the faithful yearly on the eve of Christmas.

III. Devotion to the crib is no doubt of very ancient origin; but it remained for St. Francis of Assisi to popularize it and to give to it the tangible form in which it is known at the present time. When St. Francis visited Rome in 1223, he made known to Pope Honorius III the plans he had conceived of making a scenic representation of the place of the Nativity. The pope listened gladly to the details of the project and gave it his sanction. Leaving Rome, St. Francis arrived at Greccio on Christmas Eve, when, through the aid of his friend Giovanni Velita, he constructed a crib and grouped around it figures of the Blessed Virgin and St. Joseph, the ass, the ox, and the shepherds who came to adore the new-born Saviour. He acted as deacon at the midnight Mass. The legend relates that having sung the words of the Gospel "and they laid him in a manger" he knelt down to meditate briefly on the sublime mystery of the Incarnation, and there appeared in his arms a child surrounded by a brilliant light. A painting by Giotto representing St. Francis celebrating Christmas at Greccio is preserved in the Basilica of St. Francis at Assisi. Devotion to the crib has since spread throughout the Christian world. Yearly, from the eve of Christmas until the day of the octave of Epiphany, a crib representing the birthplace of Christ is shown in all Catholic churches in order to remind the faithful of the mystery of the Incarnation and to recall according to tradition and the Gospel narrative the historical events connected with the birth of the Redeemer. The old Franciscan church of Ara Coeli possesses perhaps one of the largest and most beautiful cribs in the world. In this crib the famous Santo Bambino di Ara Coeli is exposed from the eve of Christmas to the feast of the Epiphany. The Santo Bambino is a figure carved out of wood representing the new-born Saviour. It is said to have come from the Holy Land, and in the course of time it has been bedecked with numerous jewels of great value. It is carried in procession yearly on the feast of the Epiphany by the Minister General of the Friars Minor who solemnly blesses the city with it from the top of the high flight of stairs that lead to the main entrance of Ara Coeli.

Bibliography

MEISTERMANN, A New Guide to the Holy Land, tr. (London, 1907), 221-234; CHANDLERY, Pilgrim Walks in Rome (New York and London, 1903), 107-108; LESETRE in Dict. de la Bible (Paris, 1899), XII, s. v. Creche; Analecta Juris Pontificii, January, 1895, II, 74, 75; MISLIN, Die Heiligen Orte (Vienna, 1860) II, 655 sq.; BIANCHINI, De Translatione Sacrarum Cunabularum ac Praesepii Domini.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IV, New York, 1908 (http://www.newadvent.org/cathen/04488c.htm)

Augustinus
01-01-08, 18:15
Bethlehem

A titular see of Palestine. The early name of the city was Ephrata; afterwards Bethlehem, "House of Bread"; today Beith-Lahm, "House of Flesh." There died Rachel, Jacob's wife (Genesis 35:19); David was born there (1 Samuel 17:12), and many other Biblical personages. There was enacted the gracious idyll of Ruth and Booz. There, above all, the Savior was born, a descendant of David, and from this fact the humble village has acquired unparalleled glory. It was at Bethlehem, also, that in the fourth century St. Jerome, St. Paula, and St. Eustochium fixed their residence. According to John Cassian, it was in a monastery of Bethlehem that the office of Prime was instituted. As early as the second century it was indicated by St. Justin Martyr, a native of Neapolis (Nablous), as the place of the Nativity. About A.D. 330 Constantine the Great built a basilica on this site. The present church appears to date from a later time -- either the fifth or the sixth century -- and has been repaired at still later periods. The Frankish kings were wont to come from Jerusalem to be crowned at Bethlehem, in memory of the coronation of David by Samuel. The greater part of the church is now shared by various communions, while the choir belongs to the Greeks alone, the Grotto of the Nativity is open to the Latins, the Greeks, and the Armenians, who hold services there each in turn.

The first Bishop of Bethlehem, Arnolfo (1099-1103), was appointed by the Crusaders. The see was not canonically erected until 1109, when the title was united with that of Ascalon, till then a Greek diocese (Revue de l'Orient latin, I, 141). The Diocese of Bethlehem-Ascalon existed from 1109-1378, but since the middle of the thirteenth century its bishops resided at Clamecy in France. The Diocese of Bethlehem-Clamecy was created in 1378, and suppressed by the Concordat between Napoleon and Pius VII, in 1801. The titular Bishoprics of Bethlehem and Ascalon, however, had existed separately from 1378 to 1603, when they were suppressed. From 1801 to 1840 both residential and titular sees, either of Bethlehem or Ascalon, were extinct. In 1840, Gregory XVI reunited the title of Bethlehem in perpetuum to the independent Abbey of St. Maurice d'Agaune in Switzerland. In 1867 the titular See of Ascalon was also re-established.

Bethlehem is today a little town with about 10,000 inhabitants, exclusive of foreigners (5,000 Latins, 100 Catholic, or Melchite, Greeks, 4,000 Greeks, a few Armenians and Mussulmans). The inhabitants are very active and industrious. Besides agriculture, they are engaged in the fabrication of wooden, mother-of-pearl, and bituminous limestone objects, such as beads, crosses, etc. The women are remarkably beautiful and wear a peculiar costume which is very rich and of ancient pattern The Franciscans govern the Latin parish, a scholasticate, a primary school, and an asylum; the Christian Brothers have a novitiate for native young men; the Fathers of the Sacred Heart, or Betharramites, have a scholasticate for their missions in South America; the Salesians conduct an industrial school with an orphanage and an elementary school; the Sisters of St. Joseph of the Apparition have two convents, a school, an orphanage, and an infant school; the Sisters of Charity have a hospital and an orphanage; the Carmelite nuns, a monastery. The Greek Catholic parish lately established has not yet a church. There are also Greek and Armenian monasteries, and schools conducted by Greeks, Armenians, and Protestants.

Bibliography

LEQUIEN, Or. Christ., III, 1275-1386; GAMS 516; EUBEL, I 138; II, 118; RIANT, Etudes sur l'histoire de 1'évéché de Bethléem (Genoa, 1888), completed by pagers in Revue de l'Orient latin, I, 140-160, 381-412, 475-524; II, 35-72, with an exhaustive bibliography; MAS-LATRIE, Trésor de chronologie (Paris, 1889), col. 1391-94; GUÉRIN, Judée, I, 120-207; CONDER, Tentwork in Palestine, I, 282.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. II, New York, 1907 (http://www.newadvent.org/cathen/02532e.htm)

http://www.latribunedelart.com/Expositions/Expositions_2007/Champaigne_Adoration.jpg http://www.er.uqam.ca/nobel/r14310/NDdBS/Images/ChampaignePhilippeDe/AdorationBergers/LyonMBA/1629.jpg Philippe de Champaigne, Adorazione dei pastori, 1628 circa, Musée des Beaux-Arts, Lione

Augustinus
24-12-08, 18:35
(L’Araldo del Divino Amore, cap. III, lib. IV)

A Mattutino, mentre Geltrude si sforzava di praticare gli insegnamenti della notte precedente, il Signore Gesù volle ricompensare la sua fedeltà e l'attrasse nel suo Cuore con tale potenza che lo scorrere dolcissimo di Dio nell'anima, ed il riflusso di gratitudine dell'anima in Dio, le fece godere, durante la Salmodia, ineffabile soavità. Mentre gustava tali delizie, vide il Re dei re assiso sul trono della sua Maestà e le Religiose disposte ripettosamente intorno a Lui, celebrare divotamente le divine lodi con la recita del Mattutino.

Ella si ricordò allora di parecchie persone che si erano raccomandate alle sue preghiere e, con umile cuore, disse a Gesù: « Ti pare conveniente, dolcissimo Maestro, che io, così indegna, preghi per queste Religiose che celebrano le tue lodi con tanto zelo e divozione, mentre, per le mie infermità sono impotente ad imitarle?». Rispose il Signore: « Tu puoi bene pregare per loro, perchè ti ho eletta fra tutte e ti ho posta nel seno della mia bontà paterna, affinchè mi domandi ed ottenga tutto ciò che vuoi». E: Geltrude: « Signore, se brami che preghi per esse, degnati di fissarmi un momento ove possa farlo fedelmente, procurando la tua gloria e il loro vantaggio, senza che io stessa mi privi del celeste banchetto di cui in questo momento, mi fai partecipe».

Rispose Gesù: « Raccomanda ciascuna di queste anime a quella scienza divina ed a quell'amore che mi hanno fatto uscire dal seno del Padre e discendere sulla terra per salvare gli uomini». Ella obbedì, e pregò per esse, pronunciando semplicemente il loro nome. Il Signore, cedendo al dolce moto della sua tenerezza, soccorse quelle anime a una ad una, secondo i loro bisogni particolari.

La Vergine apparve anch'Essa nella gloria dei cieli, assisa onorevolmente a fianco del Figlio. Durante il Responsorio Descendit de coelis « Discese dal cielo », il Signore parve ricordarsi di quell'ineffabile accondiscendenza che l'aveva tolto dal seno del Padre e fatto discendere in quello della Vergine purissima, per abitare questa misera terra d'esilio. Sentendosi come struggere d'amore, rivolse alla Madre sua uno sguardo sorridente, pieno di tale tenerezza ch'Ella ne fu commossa fino nell'intimo del cuore. Egli depose sulle caste sue labbra un bacio divino, per rinnovare con doppio rinforzo, le gioie che la Vergine incomparabile aveva attinte sulla terra, nella sua Santissima Umanità.

Geltrude scorse poi la Persona immacolata della gloriosa Madre di Dio trasparente come puro cristallo, attraverso il quale il casto suo seno, penetrato e riempito della Divinità, brillava come oro, rivestito da un fine tessuto di tela di vari colori. Le parve che il Bambínello, Figlio unico del Padre, trovasse le sue delizie, attingendo avidamente la vita dal seno verginale di Maria; tale vista le fece capire che, se l'Umanità di Cristo fu nutrita dal latte verginale, la sua Divinità fu rallegrata dallo squisito banchetto che Gli offerse il Cuore più innocente e tenero che giammai sia esistito.

Al Responsorio XII, Verbum caro jactum est, le Religiose s'inchinarono profondamente e Geltrude sentì dalle labbra di Nostro Signore queste parole: « Ogni volta che, pronunciando questo versetto, una persona s'inchina con riconoscenza, ringraziandomi d'essermi degnato d'incarnarmi per amor suo, io, invitato dalla mia bontà, m'inchinerò a mia volta verso di lei e con tutto l'amore del Cuore offrirò a Dio Padre il frutto raddoppiato, per così dire, della mia beata Umanità, per aumentare la gioia eterna di quell'anima ».

Alle parole: et veritatis, che concludono quel Responsorio, la Vergine Maria si avanzò; mirabilmente adorna della duplice gloria della Verginità e della Maternità. Ella s'appressò alla Suora del coro di destra, la circondò col braccio, e, serrandola amorosamente a sé, le depose nell'anima il suo nobile Bambinello, grazioso sopra tutti i figli degli uomini. Poi fece il giro di tutto il coro e con un soavissimo abbraccio, depose nell'anima di ciascuna l'amabile e tenero Pargoletto. Tutte lo tenevano spiritualmente con le braccia dell'anima, ma alcune gli sostenevano la testina con grande precauzione, come se fosse adagiato su morbido cuscino. Altre, meno sollecite a sostenere il capo del Bambinello, lo lasciavano cadere in modo assai incomodo. Geltrude comprese che le Religiose perfettamente abbandonate alla Volontà di Dio, posavano la testina del loro amatissimo Gesù su di un soffice cuscino; quelle invece la cui volontà conservava rigide riserve e compromessi imperfetti, lo lasciavano cadere in maniera assai dolorosa.

O tu che leggi, togli dall'anima e dalla coscienza ogni ostacolo, contraddizione, puntiglio; con piena, intera volontà offriti a Dio per accontentarlo in tutto, giacchè Egli desidera solo la tua perfezione. Possa tu non mai turbare, neppure per un solo istante, il riposo di quel dolce Bambinello che si è degnato d'inchinarsi verso di te e trovare le sue delizie nell'anima tua.

Alla S. Messa Dominus dixit, il Signore colmò l'anima di Geltrude di incomparabile dolcezza, a proposito delle parole liturgiche, da essa meditate. Al Gloria in excelsis, quando si giunse a quella frase « primogenitus Mariae Filius a (queste parole facevano parte di quei versetti che s'intercalavano ai canti liturgici), ella riflettè che il Salvatore sarebbe stato chiamato più propriamente « unigenitus - figlio unico », che « primogenitus - primo nato » perché la Vergine Immacolata non ebbe che quel Figlio unico, concepito per opera dello Spirito Santo.

L'amabile Vergine, guardandola con infinita tenerezza, le disse: « Il mio dolcissimo Gesù non è « unigenitus - Figlio unico » ma « primogenitus », perché l'ho concepito per primo nel mio seno; dopo di Lui, o meglio, per suo mezzo, io vi ho tutti concepiti, raccogliendovi nelle viscere del mio materno amore, affinchè foste fratelli di Gesù e figli miei».

All'Offertorio Geltrude comprese che le Monache offrivano al Signore le preghiere recitate durante l'Avvento; qualcuna deponeva la sua offerta nel Cuore stesso del Bambino Gesù, che si era stabilito nell'anima sua. La Beata Vergine. mentre passava a visitarle a una ad una, si occupava dei loro bisogni particolari e preparava il seno e le mani del suo amatissimo Figlio, perchè ricevesse più comodamente i loro doni.

Altre Religiose s'avanzavano verso l'altare, in mezzo al coro, e là offrivano le loro preghiere alla Vergine, che teneva fra le braccia il Bambinello. Ma siccome Egli non era posto dalla parte più comoda per riceverle, pareva che non potesse sostenersi a causa della sua debolezza infantile. Geltrude comprese che le Religiose che deponevano la loro offerta nel Cuore di Gesù erano quelle che amorosamente lo contemplavano nato spiritualmente nel loro cuore, e la Vergine le aiutava a presentarGli i loro omaggi, godendo del loro amore e dei loro progressi. Le Religiose invece che si limitavano ad adorare Nostro Signore a Betlemme, ove la S. Chiesa ce lo mostra, erano quelle che, procedendo in mezzo al coro, rimettevano i loro doni alla Madonna.

Geltrude s'avvicinò al Re di gloria e Gli offerse le preghiere recitate da parecchie persone, prima della solennità natalizia, con la buona volontà di altre che avrebbero pure desiderato presentare tale tributo d'amore, se lavori urgenti non avessero occupato il loro tempo. La Santa vide che le preghiere recitate divotamente erano disposte come perle preziose sul tavolo, del quale più sopra abbiamo parlato. La buona volontà di coloro che, non avendo potuto offrire le loro preghiere, ne provavano un senso di rammarico e di umiliazione, tale buona volontà, dico, trovava posto nella magnifica collana che il Signore portava al collo; quelle anime fortunate ottenevano così facile accesso al divin Cuore, come chi tiene le chiavi d'un forziere può aprirlo e togliervi quanto gli aggrada.

Augustinus
24-12-08, 19:17
http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/XJYQ6N/97-018744.jpg http://www.culture.gouv.fr/culture/noel/imatges/anges.jpg Charles Poerson padre, Natività, 1651 circa, musée du Louvre, Parigi

Augustinus
24-12-08, 20:17
Il Natale nella poesia liturgica di Romano il Melode

Adamo ed Eva alla grotta del nuovo bambino

di Manuel Nin

Le tradizioni liturgiche orientali, molto spesso con forme letterarie belle e nello stesso tempo contrastanti, ci propongono la contemplazione del mistero della nostra fede. Romano il Melode, teologo e poeta bizantino del vi secolo, nel suo primo kontàkion (poema a uso liturgico) come ritornello ripete le parole "nuovo bambino, il Dio prima dei secoli" che riassumono il mistero celebrato: il Dio eterno, esistente prima dei secoli, diventa nuovo nel bambino neonato. La tradizione bizantina, celebrando la "nascita secondo la carne del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo" accosta, sia nell'iconografia che nell'eucologia, la celebrazione del Natale a quella della Pasqua. L'icona del Natale nel bambino fasciato messo in un sepolcro vuole prefigurare già il sepolcro dove il Signore, di nuovo fasciato, verrà messo il Venerdì Santo per risuscitarne glorioso all'alba di Pasqua. I testi della liturgia con immagini molto profonde e vivaci ci propongono così tutto il mistero della nostra salvezza.

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Nelle settimane precedenti il Natale, senza un vero e proprio periodo corrispondente all'Avvento delle tradizioni latine, la liturgia bizantina in bellissimi tropari ci ha fatto pregustare tutto il mistero dell'Incarnazione: l'attesa fiduciosa e la povertà della grotta, prefigurazione della miseria dell'umanità che accoglie il Verbo di Dio; e ancora, tutta la serie di figure e personaggi che si affacciano nella vita liturgica di questi giorni: i profeti Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Daniele e i Tre Fanciulli; Betlemme, quasi personificata e collegata con l'Eden; Isaia che si rallegra, Maria, la Madre di Dio presentata come "agnella", cioè colei che porta in seno Cristo, l'Agnello di Dio; infine, nelle due domeniche che precedono il Natale, i Progenitori di Dio da Adamo fino a Giuseppe, cioè la lunga serie di figure che hanno atteso il Cristo e che ci ricordano il fatto che anche noi siamo parte di una storia e di una umanità che l'accolgono nella veglia fiduciosa, ma anche nel buio, nel dubbio e nel peccato.
Nel secondo dei kontàkia Romano il Melode narra la visita di Adamo ed Eva alla grotta del neonato. Il canto di Maria all'orecchio del bambino sveglia Eva dal sonno eterno ed essa persuade Adamo di recarsi nella grotta per capire cosa sia quel canto. Nel dialogo tra Eva e Adamo svegliati ormai dal loro sonno la donna gli annuncia la buona notizia: "Ascoltami, sono la tua sposa: io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. Considera i prodigi, guarda l'ignara di nozze che guarisce la nostra piaga con il frutto del suo parto. Il serpente una volta mi sorprese e si rallegrò, ma al vedere ora la mia discendenza fuggirà strisciando". La nascita verginale di Cristo diventa guarigione, salvezza per il genere umano ferito dal peccato.
E le risponde Adamo: "Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Scorgo un nuovo, diverso paradiso: la Vergine che porta in grembo l'albero di vita, lo stesso albero sacro che custodivano i cherubini per impedirci di toccarlo. Ebbene, guardando crescere questo intoccabile albero, ho avvertito, o mia sposa, il soffio vivificante che fa di me, polvere e fango immoti, un essere animato. Adesso, rinvigorito dal suo profumo, voglio andare dove cresce il frutto della nostra vita, dalla Piena di grazia". Il risveglio di Adamo è una prefigurazione, in quanto viene collocato nella primavera, cioè nel contesto pasquale in cui sarà definitivamente riportato in paradiso. E questo è anche cambiato, rinnovato: "Scorgo un nuovo, diverso paradiso", che altro non è se non il grembo della Vergine che porta il nuovo albero della vita.
"Sono sopraffatto dall'amore che sento per l'uomo" risponde il Creatore. "Io, o ancella e madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l'abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia. Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l'amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare". All'udire queste parole Maria grida: "O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!". Ma egli risponde: "Non piangere Madre, su ciò che non sai: se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro, a favore dei quali mi implori, periranno, o Piena di grazia".
Un Dio il quale "non chiede altro che di poter salvare". Questa è la realtà, l'unica realtà che celebriamo in questi giorni nella nostra fede cristiana: l'amore di Dio per gli uomini manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. E viviamo questa realtà in tutta la nostra vita come cristiani. Come cristiani nel condividere - e forse anche nel mettere in contrasto la nostra fede - con un mondo segnato fortemente dall'individualismo, dall'oblio dell'altro, dall'ignoranza degli altri; una fede che dovrà predicare un Dio che è dono gratuito, che perdona, che ama, e perché ama si sacrifica per gli altri e non chiede altro che poter salvare. Lui "nuovo bambino, il Dio prima dei secoli".

Fonte: L'Osservatore Romano, 25.12.2008, p. 1

Augustinus
24-12-08, 20:29
Mistero e sacralità del concepimento

Maria incinta di Gesù

di Gianfranco Ravasi

C'è un bellissimo proverbio dei Berberi, popolazione discendente dagli antichi Egizi e stanziata nelle regioni montuose dell'Algeria e del Marocco, che afferma: "Se una madre ha nel ventre il figlio, il suo corpo è come una tenda quando nel deserto soffia il ghibli, è come l'oasi per l'assetato, è come un tempio per chi prega il Creatore". Tutte le grandi culture e le più modeste hanno sempre celebrato con rispetto e amore la gestazione. Si legga, solo per fare un esempio a noi vicino, la stupenda strofa del Salmo 139 che canta la misteriosa azione di Dio che sta "tessendo" e "impastando" la creatura umana all'interno del grembo della madre, realizzando così un vero capolavoro: "Sei tu che hai creato i miei reni, mi hai intessuto nel grembo di mia madre. Ti ringrazio perché con atti miracolosi mi hai fatto meraviglioso. Il mio scheletro non ti era nascosto quando fui plasmato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Anche l'embrione i tuoi occhi l'hanno visto e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni, già formati prima ancora che ne esistesse uno solo" (13-16).
Le immagini sono quelle del tessitore e del vasaio: talora nell'arte egizia si raffigura nel grembo della donna incinta un tornio, simbolo del dio Khnum, il creatore. Giobbe, in un'altra strofa di grande suggestione, immagina che Dio sia nel grembo della madre - oltre che tessitore e vasaio - come un pastore che sta impastando una forma di cacio: "Sono state le tue mani a plasmarmi e a modellarmi in tutto il mio profilo (...) Come argilla mi hai maneggiato (...) Non mi hai forse colato come latte e fatto cagliare come cacio? Non mi hai rivestito di pelle e di carne, non mi hai intessuto di ossa e di tendini?" (10, 8-11).

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/300q04a1.jpg

Secondo la curiosa scienza medica del tempo si riteneva che l'embrione fosse la semplice coagulazione del seme maschile, favorita dal mestruo della donna: tra l'altro, si deve notare che l'ovulo femminile verrà identificato solo nel 1827 da Karl Ernst von Baer. Il libro biblico della Sapienza, infatti, mette in bocca a Salomone queste parole: "Fui formato di carne nel seno d'una madre, durante dieci mesi (lunari), consolidato nel sangue mestruale, frutto del seme d'un uomo e del piacere compagno del sonno" (7, 1-2).
Ma c'è qualcosa di più nella Bibbia: Dio chiama il feto non solo a essere creatura umana ma anche a una vocazione, a un destino, a una meta che l'esistenza dovrà poi attuare. Quante volte si ripete che Isacco, Sansone, Samuele, Isaia, Geremia, lo stesso Israele, il Servo del Signore, il Battista, Paolo e così via sono stati chiamati da Dio fin dal "seno materno".
Per tutti citiamo un passo del racconto della vocazione di Geremia: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni!" (1, 5).
Un padre della Chiesa di Cappadocia in Turchia, Gregorio di Nissa, fratello di san Basilio, vissuto nel IV secolo esclamava: "Il modo con cui l'uomo viene al mondo è inspiegabile e inaccessibile alla nostra comprensione. Come infatti il seme umano, questa sostanza umida, informe e fluida può solidificarsi divenendo una testa, gambe e costole, come può formare il cervello tenero e molle e la cassa ossea così dura e resistente che lo racchiude, come può in una parola produrre questo insieme così complesso che è il corpo? Il seme, prima informe, si organizza e cresce sotto l'effetto dell'arte ineffabile di Dio" (Patrologia Graeca, 46, 667). D'altronde, come si è detto, questa specie di sacralità del feto e del grembo materno è celebrata da tutti i popoli. Basta solo come esempio quanto è scritto nel celebre poema babilonese della creazione, l'Enuma Elish, nella VI tavoletta: "Il dio Marduk decise di creare un capolavoro. Voglio dire un reticolo di sangue, formare un'ossatura e suscitare un essere il cui nome sarà: Uomo. Sì, voglio creare un essere umano, un uomo!".
Se ogni sbocciare della vita umana è un evento mirabile, se ogni esperienza di madre è straordinaria, unica è però l'"attesa" della donna di cui ora vorremmo parlare alle soglie del Natale, quella di Maria di Nazaret, incinta di Gesù. San Paolo, nell'unica menzione che ci offre della figura di Maria nei suoi scritti, la presenta semplicemente come madre del Cristo, "Figlio di Dio nato da donna, nato sotto la legge" (Galati, 4, 4). E non ci sarà nessun imbarazzo nell'arte cristiana, soprattutto nelle miniature dei libri d'ore, a raffigurare Maria gravida col ventre ormai ingrossato, mentre la Chiesa etiopica in un genere di inni detto malkee (effigie) esalta le parti del corpo di Maria, sulla scia dei ritratti della sposa presenti nel Cantico dei cantici (4 e 7), arrivando a identificare fino a 52 organi e benedicendo soprattutto il grembo che ha portato Gesù.
Per Maria, come è noto dal Vangelo di Luca, tutto era iniziato in quel giorno in cui nel modesto villaggio di Nazaret ella aveva avuto un'esperienza eccezionale: è quella che si è soliti chiamare Annunciazione, una scena divenuta uno dei modelli più luminosi dell'arte cristiana. L'immaginazione di tutti corre, credo, in modo spontaneo all'intatto splendore dell'Annunciazione del Beato Angelico nel Convento di San Marco a Firenze.
Noi, invece, immaginiamo ora di entrare nella Nazaret antica, il cuore dell'attuale città della Galilea. Allora essa era un villaggio insignificante e semitroglodita: infatti le povere case erano per buona parte addossate a grotte che fungevano da dispensa, da soggiorno estivo invernale, da camera per ospiti. Ora i pellegrini vedono incombere su Nazaret la mole della basilica francescana progettata dall'architetto italiano Giovanni Muzio e inaugurata nel 1969. Ma questo edificio, come è noto, ingloba nel suo interno non solo le reliquie dei precedenti edifici bizantini e crociati ma anche una grotta che fin dalle origini cristiane era stata una sorta di sinagoga-chiesa giudeo-cristiana gestita dai cosiddetti "fratelli del Signore", cioè i membri della sua parentela e del suo clan.
Contadini e gente modesta, essi avevano però conservato il ricordo vivo e ininterrotto della residenza di Maria. Ed è su queste pareti molto umili che è stata trovata quella che potremmo definire come la prima Ave Maria.
Ascoltiamo la testimonianza dello stesso scopritore, il francescano Bellarmino Bagatti, famoso archeologo, scomparso nel 1990: "Nell'intonaco dell'edificio-sinagoga si trovò un'iscrizione in caratteri greci. Essa recava in alto le lettere greche XE e, sotto, MAPIA. È ovvio riferirsi alle parole greche che il Vangelo di Luca mette in bocca all'angelo annunziatore: Cháire Maria (Ave Maria). L'ignoto autore di quell'iscrizione aveva insomma voluto ripetere il gentile saluto. Nell'intonaco di una colonna si è trovata quest'altra iscrizione: "In questo santo luogo di M(aria) ha scritto". Nell'intonaco di un'altra pietra, che contiene molti graffiti, ce n'è uno in armeno, nel quale si legge la parola keganuish, la quale è il titolo "bella ragazza" che gli armeni sogliono dare a Maria.
Nella stessa casa di Maria si praticava il culto di lei fin dalle origini della Chiesa, perché lì essa era stata scelta a "madre di Cristo". Sullo sfondo di questa grotta che aveva accanto a sé una povera residenza la "bella ragazza" Maria riceve quell'annunzio assolutamente sorprendente: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo, il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine (...) Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio" (Luca, 1, 32-33.35). Le parole che l'angelo pronunzia assomigliano a un piccolo Credo che offre una perfetta definizione dell'identità del Cristo. Egli è il Grande in assoluto, re eterno, discendente davidico, Figlio dell'Altissimo e Figlio di Dio, il Santo per eccellenza. Non siamo di fronte, dunque, al pur mirabile mistero di ogni nascita umana ma a qualcosa di assoluto e di supremo, che non fiorisce dalle normali vicende della concezione e della procreazione.

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È per questo che il racconto lucano insiste sulla verginità di Maria: "Non conosco uomo", essa risponde all'angelo. Più che all'intenzione di conservare la verginità anche durante il matrimonio come voto, come voleva l'interpretazione di alcuni Padri della Chiesa, questa frase rimanda al mistero che l'evangelista vuole esaltare. Gesù non nasce dalla carne e dal sangue ma dallo Spirito Santo. Pur percorrendo la via biologica dell'embrione, del feto e del neonato, egli non è concepito dal seme di Giuseppe ma dall'ingresso di Dio stesso, attraverso il suo Spirito fecondatore, nel grembo di Maria che Luca compara all'arca dell'alleanza di Sion. Infatti, nell'originale greco abbiamo kecharitoméne, che è un participio passivo "teologico", cioè avente come soggetto sottinteso Dio: Maria è stata pervasa dalla grazia divina che risplende nel Figlio Gesù, la presenza perfetta di Dio tra gli uomini.
Di fronte allo sconcerto di Maria e alla sua esitazione, san Bernardo costruisce una deliziosa meditazione: "L'angelo aspetta la tua risposta, o Maria! Stiamo aspettando anche noi, o Signora, questo tuo dono che è dono di Dio. Sta nelle tue mani il prezzo del nostro riscatto. Rispondi presto, o Vergine, pronuncia, o Signora, la parola che terra e inferi e persino il cielo aspettano. Apri dunque, o Vergine beata, il tuo cuore alla fede, le tue labbra alla parola, il tuo seno al Creatore. Ecco, colui che è il desiderio di tutte le genti, sta fuori e bussa alla tua porta (...) Alzati, corri, apri! Alzati con la tua fede, corri col tuo affetto, apri col tuo consenso".
L'esegeta americano Raymond Edward Brown nel suo saggio sulla Nascita del Messia (edizioni Cittadella) mette giustamente a confronto le due annunciazioni parallele, quella a Elisabetta per la nascita del Battista e quella a Maria, e conclude: "Nell'annunciazione della nascita di Giovanni Battista ci troviamo di fronte a un ardente desiderio e a una preghiera da parte dei genitori che sentono molto la mancanza di un figlio; siccome, però, Maria è una vergine che non è ancora andata a vivere con il proprio marito, non esiste da parte sua ardente desiderio o umana attesa di avere un figlio: si tratta della sorpresa della donazione. Non si ha più a che fare con la supplica da parte dell'uomo e il generoso esaudimento da parte di Dio: qui ci troviamo davanti all'iniziativa di Dio che oltrepassa qualsiasi cosa sognata da uomo o da donna".
Per un momento lasciamo il testo evangelico e inoltriamoci nel mondo della pietà popolare dei primi secoli, rappresentato soprattutto dai cosiddetti Vangeli apocrifi, espressione di fede e di folclore, di storia e di fantasia. Scegliamo il testo più famoso, il Protovangelo di Giacomo (ma sarebbe meglio chiamarlo La Natività di Maria), scoperto da un umanista francese, Guglielmo Postel, morto nel 1582, opera da collocare già nel ii secolo.
L'annunciazione a Maria viene descritta in due tappe: la prima alla fontana del villaggio, che ancor oggi è indicata a Nazaret e la cui sorgente è all'interno dell'attuale chiesa ortodossa di San Gabriele; la seconda all'interno della sua abitazione.
Leggiamo la narrazione: "Presa la brocca, Maria uscì ad attingere acqua. Ecco all'improvviso una voce: Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta fra le donne! Maria guardava intorno, a destra e a sinistra, per scoprire donde veniva la voce. Tutta tremante, tornò a casa, posò la brocca, prese la porpora, si sedette su uno sgabello e si mise a filare. Ma ecco un angelo del Signore davanti a lei: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia davanti al Signore di tutte le cose. Tu concepirai per la sua parola! Udendo ciò, Maria restò perplessa, pensando: Dovrò io concepire per opera del Signore Dio vivente e poi partorire come ogni altra donna? Ma l'angelo del Signore le disse: Non così, Maria! Ti coprirà, infatti, con la sua ombra la potenza del Signore. Perciò l'essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio dell'Altissimo".
Ritornando al testo evangelico di Luca, Maria, in seguito alla sua accettazione, espressa con la formula solenne: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Luca, 1, 38), diventa incinta di Gesù. La liturgia cristiana, collocando convenzionalmente la nascita di Cristo il 25 dicembre, sovrapponendola alla festa pagana del dio Sole, ha retrodatato secondo i regolari nove mesi di gestazione l'annunciazione a Maria, datandola al 25 marzo. Questa solennità, che giustamente è definita dalla liturgia "festa del Signore", apparve nel VI secolo in Asia Minore e fu accolta anche a Roma da Papa Sergio (687-701). Famoso è il suo bel prefazio ancor oggi usato, ispirato - pare - all'antica liturgia ispanica: "All'annunzio dell'angelo la Vergine accolse nella fede la tua parola e per l'azione misteriosa dello Spirito Santo concepì e con ineffabile amore portò in grembo il primogenito della nuova umanità". Ma questa improvvisa e sorprendente maternità di Maria creò sconcerto anche in un'altra persona, il promesso sposo Giuseppe.
Nella prassi matrimoniale ebraica antica il fidanzamento era considerato a tutti gli effetti il primo atto del matrimonio stesso. A segnalarci questo sconcerto è l'evangelista Matteo che ci narra l'annunciazione a Giuseppe. Di fronte al desiderio di Giuseppe di "ripudiare" - sia pure senza un processo pubblico e col relativo atto ufficiale di ripudio - Maria incinta (per reazione umana o per rispetto di fronte al mistero che si compiva in lei? Il testo matteano può essere interpretato in entrambi i modi), l'angelo Gabriele invita lo sposo promesso di Maria a completare la prassi matrimoniale e a divenire il padre legale di Gesù: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù" (1, 20-21).
Molto più pittoresca è, invece, la relazione che gli apocrifi fanno della reazione di Giuseppe di fronte alla scoperta della gravidanza di Maria.
Lasciamo ancora la parola al Protovangelo di Giacomo: "Maria era ormai al sesto mese. Giuseppe, tornato a casa dal lavoro, la vide incinta. Allora si schiaffeggiò la faccia, si gettò a terra su un sacco, pianse amaramente e disse: Come farò a guardare e pregare il Signore per lei? L'ho ricevuta vergine dal tempio del Signore e non l'ho custodita! Chi l'ha insidiata? Chi ha commesso questa disonestà in casa mia contaminandola? Giuseppe si alzò dal sacco, chiamò Maria e le disse: Prediletta da Dio, perché hai fatto questo e ti sei dimenticata del Signore tuo Dio? Perché hai avvilito l'anima tua, tu che sei stata allevata nel Santo dei Santi e ricevevi il cibo dalla mano di un angelo? Maria si mise a piangere amaramente: Io sono pura, non conosco uomo! E Giuseppe: Da che parte viene, allora, quello che hai nel ventre? Maria rispose: Quanto è vero il Dio vivente, questo che è in me non so donde sia!". Confortato dall'angelo, Giuseppe è però costretto dai sacerdoti a sottoporre Maria a una specie di ordalia, detta "della gelosia", e descritta nel capitolo 5 del libro biblico dei Numeri. Essa consisteva nel bere una pozione, chiamata "acqua della prova", che avrebbe rivelato il peccato, facendo morire l'adultera. Maria, sottoposta a questa verifica rituale, ne esce sana e salva.
Più aspra e sarcastica sarà, invece, la reazione del mondo giudaico dei primi tempi cristiani nei confronti della concezione verginale di Maria. La testimonianza che abbiamo al riguardo è particolarmente complessa. Essa ci proviene da un autore cristiano, Origene, che cita polemicamente il filosofo platonico del II secolo, Celso, il quale nella sua opera Dottrina verace presentava a sua volta le argomentazioni di un giudeo ostile al cristianesimo. Ora, una delle accuse riguarda proprio "la storia della nascita di Gesù da una vergine". In realtà, stando sempre al giudeo di Celso, le cose sarebbero andate ben diversamente: "Gesù era originario di un villaggio della Giudea e aveva avuto per madre una povera indigena che si guadagnava da vivere filando. Accusata di adulterio, perché resa incinta da un certo soldato di nome Panthera, fu scacciata da suo marito, un artigiano. Errando in modo miserevole, dette alla luce di nascosto Gesù. Costui, cresciuto, spinto dalla povertà, andò in Egitto a lavorare; qui apprese alcune di quelle arti segrete per cui gli Egiziani sono celebri, ritornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese e grazie ad esse si autoproclamò Dio" (Contro Celso, 1, 28.32). Effettivamente alcuni rabbini dei primi anni del secondo secolo chiamano Gesù "figlio di Panthera", una tradizione che continuerà nel giudaismo fino al Medioevo quando nell'opera Generazioni di Gesù si dichiarerà "Giuseppe Pandera" padre di Gesù. Non è da escludere che questo nome "Panthera" non sia che una deformazione della parola greca parthènos, "vergine", che i cristiani applicavano a Maria.
Si confermava così, sia pure indirettamente, la dottrina cristiana della verginità di Maria, considerata come un dato comune nella Chiesa delle origini. Una curiosa testimonianza indiretta ci è offerta anche da una frase del celebre prologo del Vangelo di Giovanni, passibile di una duplice lettura, stando ai testi antichi che ce l'hanno trasmesso. Una prima lettura suona così: i figli di Dio, che credono in Cristo, "non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Giovanni, 1, 13). Un'altra lettura, che è attestata anche dai Padri della Chiesa del ii secolo, legge al singolare la frase così da trasformarla in una professione di fede nella concezione verginale di Cristo, "il quale non da sangue - in greco si ha il plurale "sangui" - né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio fu generato". Il plurale "sangui" si spiegherebbe secondo le leggi levitiche della purificazione della donna (Levitico, 12, 4.7; 20, 18). Sta di fatto, comunque, che la frase così letta dichiarerebbe esplicitamente che il figlio di Maria è "l'Unigenito venuto dal Padre, pieno di grazia e di verità", come ancora si legge nel prologo giovanneo (1, 14), e non giunto a noi attraverso i processi genetici umani.
Se, però, si volesse tentare una strada di taglio "comparativistico", considerando la verginità di Maria come un reperto mitologico desunto da qualche altro orizzonte storico-culturale, al di là delle varianti strutturali e tematiche, varrebbe sempre la considerazione che l'allora teologo Joseph Ratzinger proponeva nella sua famosa Introduzione al cristianesimo: "Le leggende extrabibliche di questo tipo sono profondamente diverse dal racconto della nascita di Gesù, sia nel loro vocabolario sia nella loro morfologia concettuale. La divergenza centrale sta nel fatto che, nei testi pagani, la divinità appare quasi sempre come una potenza fecondatrice, generatrice, ossia sotto un aspetto più o meno sessuale, e quindi in veste di 'padre' in senso fisico del bimbo redentore. Nulla di tutto ciò nel Nuovo Testamento: la concezione di Gesù è una nuova realtà, non una generazione da parte di Dio. Pertanto, Dio non diventa suppergiù il padre biologico di Gesù".
Oltre alla demitizzazione c'è, dunque, una dematerializzazione da introdurre per comprendere correttamente l'originalità dell'evento della generazione di Cristo.
Ma ritorniamo ai mesi dell'attesa di Maria. Luca ci offre un episodio, quello della visita di Maria alla cugina Elisabetta anch'essa incinta, in cui riappare il mistero di ciò che sta germogliando nel grembo della madre di Gesù. La narrazione ha come sfondo "la montagna e una città di Giuda" anonima, che però la tradizione bizantina e crociata ha voluto identificare con Ain Karim ("sorgente della vigna"), un delizioso villaggio ormai aggregato a Gerusalemme. Esso è ora dominato dal santuario francescano della Visitazione, eretto nel 1939, nel cui cortile esterno è riprodotto, su maioliche in decine e decine di lingue diverse, il canto di Maria, il Magnificat. Ma sono le parole di Elisabetta a esaltare la gestazione di Maria.
Infatti, se è vero che il bimbo di Elisabetta, il futuro Giovanni Battista, "esulta di gioia nel suo grembo" appena udita la voce di Maria, la benedizione più solenne è riservata alla "madre del Signore": "Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!". Si tratta di una frase modellata sull'Antico Testamento, ed entrata poi nella più celebre e costante preghiera mariana, l'Ave Maria. Tutta la prima Alleanza incarnata dal Battista, l'ultimo dei profeti, si rivolge al Figlio di Dio e a sua madre accogliendoli con amore e gioia. Maria resta circa tre mesi dalla cugina, fino alla nascita di Giovanni e poi ritorna a casa sua (cfr. Luca, 1, 56). Ormai anche per lei si avvicina progressivamente il grande momento del parto. L'evangelista, infatti, ci aveva ricordato che Maria aveva ricevuto l'annunciazione "nel sesto mese" dalla concezione del Battista. Quando le ultime settimane stanno per scadere, ecco l'incubo del censimento di Quirinio. Lasciamo ancora la parola a Luca: "Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (2, 4-7).
Gli apocrifi non si accontentano della sobrietà asciutta del racconto evangelico e quei particolari momenti li vogliono seguire con maggior colore e fantasia. Ecco come il citato Protovangelo di Giacomo descrive quel viaggio (a cui partecipa anche un figlio avuto da Giuseppe, vedovo di un precedente ipotetico matrimonio): "Giuseppe sellò l'asino e vi fece sedere Maria. Il figlio di lui tirava la bestia e Giuseppe li accompagnava. Giunti a tre miglia da Betlemme, Giuseppe si voltò e la vide triste. Disse tra sé: Ormai è ciò che è in lei a crearle travaglio. Ma, voltatosi poco dopo, vide che rideva. Le chiese: Cos'hai, Maria, che vedo il tuo viso ora sorridente ora triste? Rispose: È perché io vedo coi miei occhi due popoli: uno piange e fa cordoglio, mentre l'altro è pieno di gioia ed esulta. Giunti a metà strada, Maria disse a Giuseppe: Calami giù dall'asino perché colui che è in me ha fretta di venire fuori. Egli la calò giù e le disse: Dove posso condurti per mettere al riparo il pudore? Il luogo, infatti, è deserto. Trovò però una grotta, ve la condusse e lasciò presso di lei suo figlio e corse a cercare un'ostetrica nella regione di Betlemme".
E da questo momento in avanti comincia per questo autore ignoto del ii secolo una sfilata di prodigi che accompagneranno la nascita del Cristo. Noi ci fermiamo qui davanti a Maria, alle soglie del parto, di quel momento in cui, come dirà Gesù nell'ultima sera della sua vita terrena, "la partoriente è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bimbo, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo" (Giovanni, 16, 21). Lo zelo di alcuni scrittori cristiani antichi e di alcuni mariologi aveva negato a Maria le doglie del parto, considerate frutto del peccato originale.
In realtà nel testo della Genesi, come altrove nella Bibbia, le doglie sono usate come simbolo per indicare piuttosto la frattura che il peccato ha introdotto nell'armonia dell'amore di coppia e nella stessa generazione. L'esperienza della gestazione e di quei dolori, come dice Gesù, in realtà dona una ricchezza particolare alla donna.
Una ricchezza che in Maria raggiunse l'ineffabile. Un'esperienza che solo Maria poté assaporare e che noi possiamo soltanto immaginare. Una maternità che sorprendentemente lo scrittore e fìlosofo ateo francese Jean-Paul Sartre ha ben rappresentato anche sotto l'aspetto "psicologico" nel suo primo testo teatrale, Bariona o il figlio del tuono, composto per il Natale del 1940 nello Stalag XIID nazista di Treviri, dove era stato internato. Scrive infatti: "Maria avverte nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo bambino, ed è Dio. Lo guarda e pensa: Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatto di me. Ha i miei occhi. La forma della sua bocca è la forma della mia. M'assomiglia. Nessuna donna ha mai potuto avere in questo modo il suo Dio per sé sola. Un Dio bambino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci. Un Dio caldo che sorride e respira. Un Dio che si può toccare e che ride".

Fonte: L'Osservatore Romano, 25.12.2008, p. 4-5

Augustinus
24-12-08, 20:36
L'inno di sant'Ambrogio per la festa del Natale del Signore

«Non da seme virile ma per l'azione arcana dello Spirito»

di Inos Biffi

Nell'inno che sant'Ambrogio compone per la festa del Natale di Cristo - forse da lui stesso dalla liturgia romana introdotta in quella milanese - diventa poesia il dogma dell'incarnazione del Figlio di Dio nel grembo verginale di Maria, così come nell'inno Splendor paternae gloriae diventa poesia e canto il mistero della Trinità.
Anche in quest'inno appare la genialità santambrosiana nell'accordare e fondere ispirazione e linguaggio biblico, chiarezza didascalica e profondità teologica, allusione ed espressione, rigore dottrinale e creatività artistica, e se ne potrebbe definire il risultato come un trattato di cristologia nicena nella forma di un piccolo poema, luminoso e pieno di emozione.
D'altra parte, la materia è di quelle che Ambrogio sente più vive e più urgenti da illustrare e far assimilare alla sua Chiesa, fino a pochi anni prima infelicemente segnata dalla presenza dell'eresia ariana - che non accoglie Gesù come Figlio di Dio, eternamente generato - e ancora attraversata da eretici, che rigettavano la verità di Maria che nella verginità e perenne illibatezza concepisce e dà alla luce il Verbo fatto uomo.

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Anche in questo caso, il vescovo di Milano ci offre un esempio luminoso di ortodossia, che, delineando il mistero di Cristo nei rigorosi termini niceni, lo contempla nella "duplice sostanza" di arcana verità divina e di pochezza umana, lo guarda con gioiosa meraviglia e ne fa trasparire l'incanto estetico.
Il Natale di Gesù rappresenta il compimento del disegno iniziato in Israele. Quando egli viene alla luce ed è deposto nel suo presepe si avvera la teofania di Dio, intensamente attesa dall'Antico Testamento, interprete del bisogno e del desiderio di tutta l'umanità. Passa allora sulle nostre labbra oranti l'ardente invocazione del Salmo 79, che occupa tutta la prima strofa dell'inno, e che una inavveduta critica - contro la stessa logica dell'inno e l'ottonario simbolico delle strofe - ha ritenuto inautentica e posteriormente aggiunta. È abituale in Ambrogio, che mostra di saper usare con abile maestria le regole della metrica latina, innestare nei suoi versi ampie citazioni bibliche, così annodando felicemente Bibbia e poesia.
Com'è con la prima strofa del suo inno: "Volgiti a noi, - prega la Chiesa - tu che guidi Israele, / assiso sui Cherubini, / mostrati in faccia a Efraim, ridesta / la tua potenza e vieni". Tutta una domanda appassionata e in crescente intensità si eleva a invocare l'apparizione e la venuta di Dio: "volgiti", "mostrati in faccia", "ridesta la tua potenza", "vieni"! Anzi, l'invocazione che, elevata un giorno da Israele, ora sale dalla Chiesa, diviene subito più precisa nell'indicazione del suo desiderio: è il "Redentore delle genti", il liberatore universale, implorato perché venga a rivelare il parto che conviene a Chi è Dio e da cui ogni epoca rimanga sorpresa e affascinata: "O Redentore delle genti, vieni: / rivela al mondo il parto della Vergine; / ogni età della storia stupisca: / è questo un parto che si addice a Dio". Così, mediante il magistero e l'arte del suo vescovo la comunità ambrosiana professa luminosamente la sua fede in Gesù, Figlio di Dio.
Quel parto, che di tutti i prodigi divini è il più grande e ineffabile, avviene, infatti, non per opera dell'uomo, ma per uno spirare pieno di mistero: mystico spiramine, come scrive Ambrogio, con rara finezza, quasi attingendo la penna nella luce spirituale. Altrove parlerà dello spiramen di Dio onnipotente: "Non da seme virile, / ma per l'azione arcana dello Spirito / il Verbo di Dio si è fatto carne, / fiorito a noi come frutto di un grembo". La radice è la progenie giudaica; il rampollo è Maria, il virgulto di Maria è Cristo, che come il frutto di un albero buono, fiorisce.
Una intatta verginità, per pura grazia, si ritrova, così, miracolosamente feconda: e, per il Verbo che si fa uomo in lei, Maria diviene l'aula di Dio; le sue virtù sono come insegne imperiali dispiegate a indicare la presenza del monarca nel suo palazzo: "Il verginale corpo s'inturgida, / senza che il puro chiostro si disserri, / brillano le virtù come vessilli: / Dio nel suo tempio ha fissato dimora". La vergine madre è la nuova "arca dell'alleanza", il luogo nuovo della Gloria, "l'aula regale del grembo verginale (aula regalis uteri virginalis)" o "aula celeste (aula caelestis)" - come altrove ancora Maria è chiamata dallo stesso Ambrogio.
Venuto nel mondo come "Redentore delle genti", simile a un "Gigante dotato di duplice sostanza", Gesù percorre alacremente la sua "corsa salvifica" (Giacomo Biffi): "Esca da questo talamo nuziale, / aula regia di santo pudore, / il Forte che sussiste in due nature / e sollecito compia il suo cammino". E così, il vescovo fa cantare e professare alla sua Chiesa l'altro dogma cristologico, le due nature, divina e umana di Gesù, nell'unica persona del Figlio di Dio, che "A noi viene dal Padre / e al Padre fa ritorno; / si slancia fino agli inferi / e riguadagna la sede di Dio". È il "cerchio salvifico" giovanneo: "Sono uscito dal Padre - scrive l'evangelista Giovanni - e sono venuto al mondo; ora lascio il mondo e vado al Padre" (Giovanni, 16, 28).
A sant'Ambrogio piace l'immagine del "gigante, biforme" - "uno nella doppia natura, partecipe della divinità e della corporeità" - insieme alla visione delle tappe del suo rapido itinerario di salvezza: "Dal cielo nella Vergine, dal grembo nel presepe, dal presepe al Giordano, dal Giordano alla croce, dalla croce al sepolcro e dal sepolcro al cielo".
La nostra salvezza si compie per un singolare intreccio di grandezza - l'uguaglianza con il Padre - e di umiltà - la nostra carne destinata al trionfo o la povera veste della nostra carne. Noi siamo redenti per l'infusione del vigore divino nella nostra debolezza umana, e si direbbe che Ambrogio si fermi in estasiata e commossa ammirazione di questo mistero: "Consostanziale e coeterno al Padre, / dell'umiltà della carne rivèstiti: / con il tuo indefettibile vigore / rinsalda in noi la corporea fiacchezza": "Consostanziale e coeterno al Padre" - ripete sant'Ambrogio - ed è il tema antiariano che ritorna da Nicea: Gesù è "della stessa sostanza del Padre", "Dio vero da Dio vero, generato non creato".
Ora lo sguardo finale di Ambrogio è rapito dall'incanto del presepe, sentito soprattutto come una sorgente inesausta di luce: "Già il tuo presepe rifulge / e la notte spira una luce nuova; / nessuna tenebra più la contamini / e la rischiari perenne la fede". Secondo il commento di Giacomo Biffi: "Quasi a riposare dalle altezze vertiginose del mistero, il canto si conclude sul quadro incantevole, per semplicità e grazia, del presepe betlemitico, segno nei secoli dell'incredibile "umiltà di Dio", fonte della sola luce - la fede - che può vincere la tenebra avvolgente del mondo".
Il tema e il linguaggio della luce, a cui contrastano le tenebre, ritorna nella prosa di Ambrogio, e già con gli accenti e la suggestione della poesia. Egli parla della "grande luce della divinità, non alterata da nessuna ombra di morte (quam nulla umbra mortis interpolat)", o dei "veri giorni non corrotti da alcuna caligine di notte", mentre ricorre la stessa espressione della poesia, nell'esposizione del Salmo 118, dove richiama il "chiarore di un fulgore perenne, non alterato da nessuna notte (claritas, quam nox nulla interpolat)".
Abitualmente in sant'Ambrogio la luce è il simbolo della fede incorrotta e tersa, a cui fa da contrasto la notte con le sue ombre e le sue tenebre, e sulla quale non cessa di vigilare, perché ritorni o si conservi limpida e integra nella sua Chiesa.
Il vescovo, con la sua poesia, ha così dotato la sua comunità di un inno per la celebrazione natalizia, che diventerà un'eredità preziosa e diffusa in tutta la Chiesa. "Il beato Ambrogio - scrive Cassiodoro - compose l'inno del Natale del Signore col più bel fiore della sua eloquenza".
Ma non è privo di interesse, infine, osservare l'intimo legame che nella sua visione unisce la concezione verginale del Verbo nel grembo di Maria sia con il mistero della Chiesa sia con lo stato della verginità consacrata, in cui quella concezione per opera dello Spirito si riverbera, poiché ne è la genesi e la forma.
Ambrogio parla della Chiesa "sposa per l'amore e vergine per l'illibatezza caritate uxor, integritate virgo", del "materno grembo della santa vergine Chiesa, ricca di una fecondità immacolata, per generare il popolo di Dio", motivo dell'allegrezza degli angeli. Predicando, poi, a quante hanno ricevuto "la grazia della verginità (virginitatis gratia)" e sono sposate "con il Verbo di Dio" - che a loro volta fanno gioire gli angeli - presenta come loro modello la "santa Chiesa immacolata, feconda nel parto, vergine per la castità e madre per la prole".
Chi non comprende e non stima la verginità consacrata non riesce a comprendere né il mistero di Cristo, apparso per la grazia dello Spirito, né il mistero della Chiesa con la sua "fecondità immacolata", né alla fine lo stesso matrimonio cristiano, in cui si riflette il vincolo indissolubile di Cristo e della Chiesa, adombrati nell'unione profetica di Adamo e di Eva.
Un'ultima considerazione, per sottolineare la bellezza e quasi la nostalgia di una Chiesa, che con il proprio vescovo esalta nel canto la propria fede in Gesù Figlio di Dio. Poiché l'eresia ariana - che a Gesù concede tutto tranne di essere Figlio di Dio - è ancora un'insidia serpeggiante, risalta in tutta la sua attualità soprattutto l'antico concilio di Nicea che, assieme agli altri primi concili, ha mirabilmente fissato per la Chiesa la sua intramontabile fede cristologica.

Fonte: L'Osservatore Romano, 25.12.2008, p. 5

Augustinus
25-12-08, 09:03
http://img377.imageshack.us/img377/8168/innativitatedominiadprioc2.jpg

DIE 25 DECEMBRIS

IN NATIVITATE DOMINI

Duplex I classis cum Octava privilegiata III Ordinins

AD PRIMAM MISSAM

IN NOCTE

Statio ad S. Mariam majorem ad Præsepe

Introitus

Ps. 2, 7

DÓMINUS dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Ps. ibid., 1. Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia? V/. Glória Patri. Dóminus.


Oratio
DEUS, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quaésumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in cælo perfruámur: Qui tecum.

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum

Tit. 2, 11-15

CARÍSSIME: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saéculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

Graduale. Ps. 109, 3 et 1. Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te. V/. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum.

Allelúja, allelúja. V/. Ps. 2, 7. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.


http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc. 2, 1-14

IN ILLO témpore: Exiit edíctum a Caésare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a praéside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilaéa de civitáte Názareth, in Judaéam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ cæléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

Credo.

Offertorium. Ps. 95, 11 et 13. Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.


Secreta
ACCÉPTA tibi sit, Dómine, quaésumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia: Qui tecum.

¶ Præfatio de Nativitate: quæ dicitur per Octavam in omnibus Missis, etiam in iis quæ secus Præfationem propriam haberent, dummodo in his et de Octava vel de Dominica infra Octavam fiat Commemoratio, et ipsa Missa aut Commemoratio prius habita aliam de divinis Mysteriis vel Personis non exigant Præfationem. Item dicitur, juxta Rubricas, usque ad Vigiliam Epiphaniæ inclusive.

¶ Infra actionem: Communicántes, et noctem sacratíssirnam celebrántes. Et dicitur cotidie usque ad Octavam Nativitatis inclusive: sed in hac Missa tantum dicitur noctem, deinceps vero diem sacratíssimum.

¶ In prima et secunda Missa, si Sacerdos aliam Missam sit celebraturus, sumpto divino Sanguine, non purificat neque abstergit Calicem, sed eum ponit super Corporale, et Palla tegit; dein, junctis manibus, dicit in medio Altaris: Quod ore súmpsimus, etc., et subinde in vase cum aqua parato digitos abluit, dicens: Corpus tuum, Dómine, etc., et abstergit. Hisce peractis, Calicem super Corporale adhuc manentem, deducta Palla, iterum disponit et cooperit, uti mos est, scilicet primum Purificatorio linteo, deinde Patena cum Hóstia consecranda et Palla, ac demum Velo.

Communio. Ps. 109, 3. In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.


Postcommunio
DA NOBIS, quaésumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium: Qui tecum.

¶ Debet Sacerdos etiam ante sequentes Missas Confessionem dicere et in fine cujuslibet populo benedicere. In fine autem hujus Missæ et sequentis legit, more solito, Evangelium S. Joannis In principio.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-25dec=lat.htm)

Augustinus
25-12-08, 09:16
AD SECUNDAM MISSAM

IN AURORA

Statio ad S. Anasiasiam

Introitus

Is. 9, 2 et 6

LUX fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri saéculi: cujus regni non erit finis. Ps. 92, 1. Dominus regnávit, decorem indutus est: indutus est Dominus fortitudinem, et præcínxit se. V/. Glória Patri. Lux.


Oratio
DA NOBIS, quaésumus, omnípotens Deus: ut, qui nova incarnáti Verbi tui luce perfúndimur; hoc in nostro respléndeat ópere, quod per fidem fulget in mente. Per eúndem Dóminum.

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum

Tit. 2, 11-15

CARÍSSIME: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saéculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

Graduale. Ps. 117, 26, 27 et 23. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: Deus Dóminus, et illúxit nobis. V/. A Dómino factum est istud: et est mirábile in óculis nostris.

Allelúja, allelúja. V/. Ps. 92, 1. Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.


http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc. 2, 15-20

IN ILLO témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

Credo.

Offertorium. Ps. 92, 1-2. Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a saéculo tu es.

¶ In secunda et tertia Missa Sacerdos, si primam Missam celebraverit, ad Offertorium deveniens, ablato Velo de Calice, hunc parumper versus cornu Epístolæ collocat, sed non extra Corporale; factaque Hostiae oblatione, non abstergit Calicem Purificatorio, sed eum intra Corporale relinquens leviter elevat, vinumque et aquam eidem caute infundit, ipsumque Calicem, nullatenus ab intus abstersum, more solito offert.


Secreta
MÚNERA nostra, quaésumus, Dómine, Nativitátis hodiérnæ mystériis apta provéniant, et pacem nobis semper infúndant : ut, sicut homo génitus idem refúlsit et Deus, sic nobis hæc terréna substántia cónferat, quod divínum est. Per eúndem Dóminum.

Præfatio et Communicántes, ut supra in prima Missa.

Communio. Zach. 9, 9. Exsúlta, fília Sion, lauda, fília Jerúsalem: ecce, Rex tuus venit sanctus et Salvátor mundi.


Postcommunio
HUJUS nos, Dómine, sacraménti semper nóvitas natális instáuret: cujus Natívitas singuláris humánam réppulit vetustátem. Per eúndem Dóminum.

Augustinus
25-12-08, 09:40
http://img361.imageshack.us/img361/3946/adtertiammissamindienatos2.jpg

AD TERTIAM MISSAM

IN DIE NATIVITATIS DOMINI

Statio ad S. Mariam majorem

Introitus

Is. 9, 6

PUER natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. Ps. 97, 1. Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit. V/. Glória Patri. Puer.


Oratio
CONCÉDE, quaésumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet. Per eúndem Dóminum.

Léctio Epístolæ beáti Páuli Apóstoli ad Hebraéos

Hebr. 1, 1-12

MULTIFÁRIAM, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saécula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántiæ ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto diferéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saéculum saéculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt cæli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

Graduale. Ps. 97, 3 et 2. Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra. V/. Notum fecit Dóminus salutáre suum: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam.

Allelúja, allelúja. V/. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.


http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Inítium sancti Evangélii secúndum Joánnem
Joann. 1, 1-14

IN PRINCÍPIO erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. (Hic genuflectitur). Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

Credo.

Offertorium. Ps. 88, 12 et 15. Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.


Secreta
OBLÁTA, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. Per eúndem Dóminum.

Præfatio et Communicántes de Nativitáte.

Communio. Ps. 97, 3. Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.


Postcommunio
PRÆSTA, quaésumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor: Qui tecum.

In fine hujus Missæ legitur Evangelium Epiphaniæ quod sequitur:


http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaéum
Matth. 2, 1-12

CUM natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vídimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes príncipes sacerdótum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nascerétur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judae: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequáquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israël. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, (hic genuflectitur) et procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et respónso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per áliam viam revérsi sunt in regiónem suam.

¶ Si qua, infra Octavam Nativitatis, ac deinceps a die 2 usque ad diem 4 Januarii inclusive, dicenda sit Missa votiva sollemnis de Christo Domino, quæ versetur circa identicum Octavæ Mysterium aut circa Mysterium, pro quo Missa votiva nullatenus concessa reperiatur, sumitur Missa Puer natus est nobis, quæ habetur, die 30 Decembris.

Augustinus
25-12-08, 09:52
25 http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Dec. VIII Kal. Jan.
Alb. Feria 5. NATIVITAS D. N. I. C., dupl. 1. cl. cum Oct. privil. III Ord. Ad primam Missam in Nocte statio ad S. Mariam majorem ad Praesepe. Ad secundam Missam in Aurora statio ad S. Anastasiam. Ad tertiam Missam in die Nativitatis Domini statio ad S. Mariam majorem.

MISSAE tres hodie celebrari possunt ut in pr., Gloria, Credo, Praef. et Communic. pr. per tot. Oct., Ite, Missa est. In 1. Miss. tt. ad Communic. dic. Noctem sacratissimam. In 2. Miss. (etiam sollemn.) 2. or. S. * Anastasiae M. In fine 3. Miss. legit. Ev. Epiph.

1. In prima et secunda Missa, si sacerdos aliam Missam sit celebraturus, sumpto divino Sanguine, non purificat neque abstergit Calicem, sed eum ponit super Corporale et Palla tegit; dein, junctis manibus, dicit in medio Altaris: Quod ore sumpsimus, etc., et subinde in vase cum aqua parato digitos abluit, dicens Corpus tuum, D.ne, etc. et abstergit. Hisce peractis, Calicem super Corporalem adhuc manentem, deducta Palla, iterum disponit et cooperit, uti mos est, scilicet primum Purificatorio linteo, deinde Patena cum Hostia consecranda et Palla ac demum velo. - In secunda et tertia Missa Sacerdos si primam Missam celebraverit, ad Offert. deveniens, ablato velo de Calice, hunc parumper versus cornu Epist. collocat, sed non extra Corporale; factaque Hostiae oblatione, non abstergit Calicem Purificatorio, sed eum infra Corporale relinquens leviter elevat, vinumque et aquam eidem caute infundit, ipsumque Calicem, nullatenus ab intus extersus, more solito offert. - Rubricae Missalis.

2. Si quapiam de causa unam tantum Missam celebrant, si ante auroram (ex privilegio), primam legant; si in aurora secundam; si post solis ortum, tertia cum Evangelio Epiphaniae in fine. - S. R. C. 13 Febr. 1892 ad 21.


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25 http://www.unavoce-ve.it/crux-l.gif Dicembre. Ottavo delle Calende di Gennaio.

Bianco. NATIVITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO, doppio di 1ª classe con Ottava privilegiata di III Ordine. Alla prima Messa di Mezzanotte stazione a S. Maria Maggiore al Presepe. Alla seconda Messa dell'Aurora stazione a S. Anastasia. Alla terza Messa del giorno della Natività del Signore stazione a S. Maria Maggiore.

Oggi si possono celebrare tre MESSE come nel Proprio, Gloria, Credo, Prefazio e Communicantes proprio per tutta l'Ottava, Ite, Missa est. Solamente alla 1ª Messa al Communicantes si dice Noctem sacratissimam. Alla 2ª Messa (anche se solenne) 2ª orazione di santa * Anastasia Martire. Alla fine della 3ª Messa si legge il Vangelo dell'Epifania.

1. Nella prima e nella seconda Messa, se il sacerdote deve celebrare un'altra Messa, assunto il divino Sangue, non purifica né asterge il Calice, ma lo pone sopra il Corporale e lo copre con la Palla; poi, a mani giunte, dice nel mezzo dell'Altare: Quod ore sumpsimus, etc., e fa l'abluzione delle dita in un vaso preparato con acqua, dicendo Corpus tuum, Domine, etc. e asterge. Compiuto ciò, il Calice resta sopra il Corporale, e tolta la Palla, lo dispone nuovamente e lo copre, come al solito, vale a dire prima con il Purificatoio di lino, poi con la Patena con l'Ostia da consacrare e la Palla e infine il velo. - Nella seconda e terza Messa il Sacerdote che ha già celebrato la prima Messa, giunto all'Offertorio, tolto il velo dal Calice, lo colloca un po' verso il lato dell'Epistola, ma non fuori del Corporale; dopo aver offerto l'Ostia, non asterge il Calice col Purificatoio, ma lasciandolo sul Corporale lo eleva leggermente, e vi infonde con cautela il vino e l'acqua, e, senza che sia stato per nulla asterso internamente, lo offre come al solito. - Rubriche del Messale.

2. Coloro che per qualche motivo celebrano soltanto una Messa, se prima dell'aurora (per privilegio), leggano la prima; se all'aurora la seconda; se dopo il sorgere del sole, la terza col Vangelo dell' Epifania alla fine. - Sacra Congregazione dei Riti, 13 Febbraio 1892 al 21°.

Augustinus
25-12-08, 10:13
http://collection.aucklandartgallery.govt.nz/collection/images/display/M1982/M1982_1_2_706.jpg Jacques Callot, Natività del S.N.G.C., 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

Augustinus
25-12-08, 10:15
http://img171.imageshack.us/img171/215/jesusevergreenshj7.jpg

http://img187.imageshack.us/img187/3047/youngjesus001ar1.jpg

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http://img156.imageshack.us/img156/8079/holyfamilypf6.jpg

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http://img512.imageshack.us/img512/5878/478april9jesusanddovesba6.jpg

http://img166.imageshack.us/img166/5659/544june20maryhg1.jpg

Augustinus
25-12-08, 10:16
http://img518.imageshack.us/img518/3953/jesuswithtrees001jk1.jpg

http://img518.imageshack.us/img518/2669/377holynameofjesusxn8.jpg

http://img201.imageshack.us/img201/6346/372angelsandjesusrr8.jpg

http://img201.imageshack.us/img201/8900/365christincribdo1.jpg

http://img187.imageshack.us/img187/3284/maryjesuslambzj5.jpg

http://img356.imageshack.us/img356/9009/angelsandchildpastelslp2.jpg

http://img187.imageshack.us/img187/6577/jesustabernaclewz3.jpg

http://img135.imageshack.us/img135/855/sacredheartofjesus4ue4.jpg

Augustinus
25-12-08, 10:17
http://img91.imageshack.us/img91/6399/infantofpraguejo7.jpg

http://img407.imageshack.us/img407/2627/728december16jesusincratn1.jpg

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http://img369.imageshack.us/img369/6429/crownforakingdo6.jpg

http://img166.imageshack.us/img166/1471/cutoutedgeholyfamilybg1pd4.jpg

http://img142.imageshack.us/img142/9375/jesusjl4.jpg

http://www.collezione-online.it/santino%20natività%20bambino%20angelo.jpg

Augustinus
25-12-08, 10:59
Il Natale secondo i Vangeli canonici dell'infanzia

Un Figlio tra due Testamenti

Gianfranco Ravasi

«Oggi siamo seduti, alla vigilia / di Natale, noi gente, misera / in una gelida stanzetta, / il vento corre di fuori, / il vento entra. / Vieni, buon Signore Gesù da noi, volgi lo sguardo: / perché Tu ci sei davvero necessario». Era Bertolt Brecht, apparentemente così lontano dal cristianesimo, a ricordare, in una delle sue poesie degli anni 1918-'33, questa "necessità" autentica e profonda del Natale di Cristo per gli ultimi della terra e per tutti i "poveri" (spesso tali non solo a livello sociale). In questo Natale vorremmo riscoprire l'evento radicale e "necessario" dell'Incarnazione attraverso una semplice e immediata rilettura di alcune pagine di quei quattro capitoli evangelici due di Matteo e due di Luca che totalizzano 180 versetti e che hanno ricevuto la tradizionale titolatura di "Vangeli dell'infanzia di Gesù". Cominceremo, però, con una sorta di premessa di metodo.

Due itinerari opposti

Nella mentalità semitica c'è un modo di esprimersi simbolico che gli studiosi hanno chiamato "polarismo": se io colgo i due poli di una sfera, riesco a sollevarla e a reggerla. Nascita e morte, Vangeli dell'infanzia e Vangeli della pasqua sono stati il "polarismo" della vita di Gesù e della predicazione della Chiesa. Agli inizi del cristianesimo, nella meditazione sull'incarnazione natalizia e sulla risurrezione pasquale si raccoglieva sinteticamente tutto l'annuncio salvifico cristiano. Per questa ragione i due mini-Vangeli a cui attingeremo non sono tanto una folcloristica sequenza di scene orientali, di sentimenti delicati, di vicende familiari e classiche riguardanti il delizioso "Bambino di Betlemme" a cui anche l'arte sacra ci ha abituati; sono invece un primo canto al Cristo glorioso la cui apparizione nel mondo è già il compendio cifrato e decifrabile della salvezza che egli ci porta.
Si tratta, quindi, di un racconto storico carico di immagini e di segnali simbolici ma anche e soprattutto carico di teologia. In pratica queste due narrazioni, parallele ma autonome, sono dirette dalla fede in Cristo e dirigono la fede in Cristo di chi le medita. Al centro, infatti, non c'è una dolce e drammatica storia familiare ma il mistero fondamentale del cristianesimo, l'Incarnazione, la Parola nelle parole, Dio nella tenda della "carne" fragile dell'uomo. "I due mondi da sempre separati, il divino e l'umano - scriveva il filosofo danese Soeren Kierkegaard - sono entrati in collisione in Cristo. Una collisione non per un'esplosione ma per un abbraccio".
Proprio per questa densità teologica i due libretti evangelici dell'infanzia sono difficili, sono tutt'altro che pagine per bambini, come ancora qualcuno sospetta. Sotto la superficie smaltata dei colori, dei simboli, delle narrazioni, si apre un testo che è simile ad una cittadella ben compatta e armonica di cui bisogna possedere la mappa per raggiungerne il cuore. È necessario avere una "attrezzatura" interpretativa per entrare correttamente in queste pagine, attrezzatura che è offerta da una bibliografia sterminata. Gli interrogativi sono molteplici, di ordine letterario, storico, teologico. Pochi sanno, ad esempio, che l'ultimo libro ad essere messo all'Indice, prima dell'abolizione di questa prassi, fu una Vie de Jésus (1959) di un noto biblista francese, Jean Steinmann, proprio a causa del capitolo dedicato ai Vangeli dell'infanzia.
Due sono le sponde da evitare. La prima è quella storicistica o apologetica. È visibilissimo anche in superficie che queste pagine sono differenti da quelle che compongono il resto dei Vangeli; il loro nucleo storico di eventi è avvolto in un velo di interpretazioni, di approfondimenti, di rielaborazioni teologiche, di simboli, di allusioni bibliche (donde le diverse catalogazioni degli esegeti: racconto omiletico cristiano, storia simbolica, storia popolare, e così via). Sono ardui e spesso vani, allora, gli sforzi di quelli che vogliono dimostrare e documentare storicamente ogni asserto. Solo per fare un esempio, pensiamo allo spreco di energia esegetica e scientifica che ha causato la stella dei Magi: c'era chi ricorreva, come Keplero, a una "nova" o "supernova", cioè a una di quelle stelle deboli e lontane che improvvisamente, per settimane o mesi, crescono in intensità visiva a causa di un'esplosione colossale interna; c'era chi si affidava alla cometa di Halley (apparsa però nel 12-11 avanti Cristo) chi ipotizzava una congiunzione Giove-Saturno, e così via.
C'è, tuttavia, un'altra sponda da evitare ed è quella mitico-allegorica. In questa prospettiva il testo è solo un "pretesto" per illustrare tesi cristologiche o per rivestire di consistenza fantasie popolari o per rielaborare miti antichi oppure per suscitare emozioni spirituali e morali. Va in questa direzione quella melassa religiosa, sentimentale, infantilistica che è versata a piene mani su queste pagine da un certo "clima natalizio", complice il consumismo interessato. I Vangeli dell'infanzia, invece, sono testi per adulti nella fede, i cui segreti storici e teologici si aprono solo a chi vuole comprendere autenticamente le Scritture. Al centro c'è un uomo e quindi una storia che è l'antipodo del mito. Un uomo reale, segnato dalle frontiere del tempo che si chiamano nascita e morte. Un uomo come tutti, contrassegnato da una sua identità spaziale, culturale, temporale e linguistica. Ma su questo uomo si proietta la luce della Pasqua e del mistero. Un uomo, allora, diverso da tutti perché il suo tempo cela in sé l'eterno, perché il suo spazio abbraccia ogni altezza, larghezza e profondità, perché le sue parole non tramonteranno mai, perché le sue opere non sono sue ma di Dio stesso, perché il suo amore è infinito, perché la sua nascita modesta è rivelazione cosmica, perché la sua morte è vita per tutti.

Un ritorno alle profezie

Inizieremo il nostro percorso con un'inversione di marcia, risalendo verso il passato che sta alle spalle di Gesù di Nazaret e della sua stessa vicenda personale e di quella della cristianità. Ci rivolgeremo, cioè, innanzitutto alle Sacre Scritture ebraiche. "La prova più grande di Gesù Cristo sono le profezie. Esse sono la preparazione della nascita di Gesù Cristo, il cui Vangelo doveva essere creduto in tutto il mondo. Fu necessario non solamente che ci fossero delle profezie per farlo credere, ma che queste profezie fossero divulgate in tutto il mondo per farlo abbracciare da tutto il mondo": così annotava Blaise Pascal nei suoi Pensieri (numero 526, secondo l'edizione di Chevalier). Sul tema delle profezie dell'Antico Testamento come annunzio del Cristo, il grande filosofo e credente francese ritornerà a più riprese e con passione nei suoi scritti. D'altronde per secoli l'arte cristiana ha raffigurato alcuni profeti protesi verso l'alba del Natale di Cristo. Ed è proprio dalle profezie dell'Antico Testamento che noi partiamo per il nostro itinerario all'interno dei Vangeli dell'infanzia di Gesù.
Tra i profeti eccelle Isaia: già nel II secolo, in uno sbiadito ma suggestivo affresco nelle catacombe romane di Priscilla sulla via Salaria, la Madonna siede tenendo in grembo il piccolo Gesù nudo, che si volge con vivacità verso il profeta Isaia. In alto, una stella, verso la quale accenna il profeta, evoca l'oracolo messianico del mago Balaam, la cui storia è narrata nel libro biblico dei Numeri (24, 17: "Una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele"). Se vogliamo citare un'altra rappresentazione pittorica più vicina a noi, pensiamo all'Isaia affrescato da Raffaello attorno al 1512 nella chiesa romana di Sant'Agostino: mentre due "putti" angelici reggono una tavoletta scritta in greco e dedicata al Cristo, a Maria e a sant'Anna, il profeta srotola una pergamena che porta in ebraico una frase di Isaia (26, 2: "Aprite le porte: entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà").
Il desiderio di gettare un ponte tra i due Testamenti, d'altra parte, era sbocciato già negli stessi evangelisti, in particolare Matteo, che costella il suo Vangelo di una settantina di citazioni esplicite dell'Antico Testamento e di continue allusioni, proprio per collegare l'attesa d'Israele alla figura e alla parola di Gesù. Non per nulla nel 1954 uno studioso scandinavo, Krister Stendahl, in un'opera intitolata The school of saint Matthew, aveva liberamente ipotizzato che il Vangelo matteano fosse sorto in una specie di scuola di "rabbini" cristiani. Non potremo segnalare tutti gli ammiccamenti, i sottintesi, le allusioni bibliche che intarsiano il testo matteano dell'infanzia di Gesù. Ci accontenteremo solo di vagliare le citazioni profetiche che Matteo esplicitamente connette a Gesù bambino, di solito attraverso una solenne frase di "compimento": "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta". Si pensi che una simile formula, tipica di Matteo, risuona con varianti 14 volte nel Vangelo e i due nostri capitoli la riecheggiano per ben 5 volte.
Prima di iniziare il nostro cammino all'interno di queste righe cariche di significati, dobbiamo però rispondere ad una domanda preliminare. Perché gli evangelisti, e Matteo in particolare, si sono preoccupati di questo raccordo tra il Cristo e l'alleanza di Dio con Israele? La risposta è duplice. Innanzitutto essi hanno voluto identificare l'esistenza di un filo d'oro continuo tra le Scritture ebraiche e il Cristo per ragioni "apologetiche", cioè per argomentare, nei confronti della comunità giudaica di allora, che la fede in Gesù Cristo era nella linea dell'attesa dei profeti e di tutta la Rivelazione biblica. Un'altra ragione era, invece, di ordine "catechetico" e si indirizzava ai convertiti per mostrare loro che gli eventi della vita di Gesù entravano nel disegno divino già annunziato dalle Scritture. È per questo che anche elementi secondari della vicenda del Cristo venivano "appoggiati" a un testo profetico, spesso in forma molto libera e non rigorosamente storica e letteraria. Lo scopo, infatti, era quello di far rilevare l'unità tra i due Testamenti e dimostrare come il Cristo fosse il sigillo ultimo dell'attesa e della speranza dell'Israele di Dio.
Qualche studioso "radicale" in passato ha immaginato che gli eventi dell'infanzia di Gesù secondo Matteo siano stati "inventati" proprio a partire dalle profezie dell'Antico Testamento così da esaltare il Cristo. Ma l'ipotesi è molto fragile. Come, infatti, si può "creare" tutto il racconto dei Magi dalla profezia di Michea che, come vedremo, parla solo di Betlemme? Come "inventare" a partire dall'oracolo di Isaia sulla "vergine" che genera l'Emmanuele tutto il racconto che è l'annunciazione a Giuseppe? È, invece, probabile che i primi cristiani, per costruire quel ponte tra Gesù e l'Antico Testamento, abbiano attinto ai cosiddetti Testimonia del giudaismo. Si trattava di florilegi di testi biblici di taglio messianico: si raccoglieva una sequenza antologica di citazioni anticotestamentarie per alimentare nei fedeli la speranza messianica. Uno studioso inglese, James Rendel Harris, ne ha ipotizzato l'esistenza nel 1915, e dopo il 1947, quando sono venuti alla luce i famosi manoscritti del Mar Morto, nella quarta delle undici grotte di Qumran sono state identificate alcune di queste raccolte bibliche, usate da quella comunità giudaica del I secolo avanti Cristo e I secolo dopo Cristo.

Matteo e i cinque passi profetici

La prima delle cinque citazioni bibliche è posta a conclusione dell'annunciazione angelica a Giuseppe invitato a "non temere di prendere con sé Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (1, 20). Matteo fonda questo dato su un celebre oracolo indirizzato da Isaia al re di Giuda, Acaz, nel 734 avanti Cristo. Ma il testo originale ebraico non coincide con quello evocato da Matteo in un punto capitale. Infatti Matteo ha: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio" (1, 23), mentre Isaia aveva scritto in ebraico: "Ecco, la giovane donna concepirà e partorirà un figlio". (7, 14). Il vocabolo ebraico usato dal profeta non è quello preciso della verginità (betulah), ma quello generico della donna abilitata al matrimonio ('almah). Certo, secondo la prassi sociale e la morale antica d'Israele, la donna da matrimonio doveva essere vergine fisiologicamente, ma il profeta non ha voluto mettere l'accento su questo dato. Molti studiosi pensano che di per sé Isaia nel suo annunzio all'empio re Acaz forse intendeva soltanto alludere al figlio di Acaz, Ezechia, uno dei sovrani più giusti di Israele, nato dalla "giovane" moglie del re.
Tuttavia, come si vede nei capitoli successivi di Isaia - in particolare il 9 e l'11 - in filigrana alla fisionomia concreta di quel bambino, il profeta aveva disegnato il ritratto ideale del re atteso come inviato perfetto e definitivo di Dio. Non per nulla il suo nome sarebbe stato "Emmanuele", che in ebraico significa "Dio-con-noi". Se vogliamo fare un gioco di parole, potremmo dire che Isaia annunziava nel "messia" - il vocabolo di origine ebraica significa, come è noto, re "consacrato" - il "Messia" per eccellenza. Tutto questo combacia perfettamente con la figura del Cristo disegnata da Matteo: tra l'altro, l'ultima riga del suo Vangelo allude ancora alla prima pagina della nascita di Gesù perché il Cristo risorto promette di "essere sempre con noi sino alla fine dei tempi" (28, 20), di essere, quindi, l'Emmanuele. Ma la menzione della "vergine" come può essere giustificata? La risposta è probabilmente nel fatto che Matteo rimanda, come spesso avviene nei Vangeli, alla celebre versione greca della Bibbia del III-II secolo avanti Cristo detta "dei Settanta". In essa la "giovane donna" di Isaia è resa col termine greco parthènos, che significa appunto "vergine". Questo non implica che il giudaismo di quel tempo attendesse un concepimento verginale del Messia, ma solo che "una donna, che ora è vergine, concepirà" un bambino provvidenziale e straordinario. Matteo nel vocabolo vede, invece, profilarsi la realtà di Maria e di suo figlio, che non è generato da seme umano, "da carne e da volere di uomo, ma da Dio". Potremmo dire che l'evangelista recupera tutta la carica di speranza dell'oracolo di Isaia nei confronti del Messia sospirato, ma anche ne marca un nuovo lineamento, quello della sua nascita dallo Spirito di Dio e non dalla carne. Tra parentesi, ricordiamo che il cristianesimo e il giudaismo successivi entreranno in polemica proprio su questo elemento: alcuni testi rabbinici del II secolo chiamano Gesù "figlio di Panthera", ritenuto un soldato romano, giocando forse sull'assonanza tra parthènos, "vergine", e il nome Panthera. La polemica era passata anche nei rapporti tra cristianesimo e paganesimo, come è attestato dal famoso scrittore cristiano Origene, che cita e confuta il filosofo platonico Celso della seconda metà del II secolo - autore dell'opera andata perduta Dottrina verace - secondo il quale, "la madre di Gesù era stata cacciata da suo marito, artigiano di mestiere, che l'aveva accusata di adulterio con un certo soldato, di nome Panthera, il quale l'aveva messa incinta. Cacciata dal marito ed errando in modo miserevole, diede alla luce di nascosto Gesù". Passiamo ora alla seconda citazione, messa in bocca questa volta agli stessi "sommi sacerdoti e scribi del popolo". Essa risuona nei palazzi di Erode, davanti ai Magi venuti da Oriente a Gerusalemme con la domanda: "Dov'è il re dei Giudei che è nato?". La risposta è attinta dal libro profetico di un contemporaneo e forse discepolo di Isaia, il contadino Michea del villaggio di Moreset, 35 chilometri a sud-ovest di Gerusalemme. Predicatore appassionato e durissimo contro la corruzione dei politici e dell'alto clero del suo tempo - 3, 3: "Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola, come lesso in una caldaia" - Michea apre nel finale l'orizzonte a una luce di tonalità messianica. Da Betlemme, piccolo villaggio ma patria di Davide, una partoriente darà alla luce un nuovo Davide, re di pace e di gioia, fonte di un'armonia cosmica. Ecco il passo che offre numerose varianti, microscopiche rispetto alla citazione di Matteo, pur coincidendo nella sostanza: "E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per stare in mezzo ai clan di Giuda, da te mi uscirà una guida di Israele... Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà" (5, 1-2).
Matteo rappresenta il Cristo come il "figlio di Davide" perfetto, che, nascendo nello stesso villaggio del grande re d'Israele, si rivela al popolo di Dio come il Messia atteso. Anche nel Vangelo di Giovanni la folla osserva che "la Scrittura dice che il Cristo (Messia) verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide" (7, 42). Ponendo in bocca ai diretti avversari di Cristo l'annunzio di Michea, Matteo sottolinea che essi sono in grado di comprendere le Scritture ma non si decidono a credere in esse, le conoscono ma non le "riconoscono" come messaggio aperto alla pienezza che ora si sta attuando. D'altra parte, tutto il racconto dei Magi è un ricamo di allusioni all'Antico Testamento: dalla luce che sorge su Gerusalemme, e che fa "camminare i popoli e i re allo splendore del suo sorgere", all'"oro e incenso" offerti da quelli che giungono da Saba (Isaia, 60, 3.6), dalla stella di Balaam, già citata, al passo del Salmo 72 sui "re di Tarsis e delle isole, degli Arabi e di Saba che portano offerte e tributi" al re messianico...
Brevissima è la terza citazione, destinata a sostenere la fuga e il successivo rientro dall'Egitto della santa Famiglia. Evocando un tenerissimo passo del profeta Osea (VIII secolo avanti Cristo), in cui Dio è raffigurato come un padre che cerca di far mangiare e di far camminare il "figlio" Israele, Matteo vede nella frase del profeta, che commemora l'esodo dalla schiavitù egiziana, una prefigurazione del viaggio di Gesù bambino nella terra d'Egitto. Ora il protagonista non è più Israele "figlio primogenito" di Dio, come si dice nel libro dell'Esodo (4, 22) e in Osea, ma è il Figlio di Dio per eccellenza che inaugura in sé stesso il nuovo e perfetto esodo verso la liberazione definitiva. Si tratta quindi, come si usa dire, di una citazione "tipologica": nell'esodo antico è visto il "tipo", cioè il modello dell'esodo nuovo e conclusivo.
Un analogo procedimento regge la quarta citazione, posta a suggello della pagina insanguinata della strage degli innocenti. Matteo rimanda a un passo di Geremia, che, a sua volta, suppone un episodio della Genesi. Giacobbe con Rachele, la moglie amata, incinta, sta per giungere a Efrata, che è il circondario di Betlemme. La donna è scossa da un parto difficile e la sua situazione si fa drammatica: "Mentre esalava l'ultimo respiro, perché stava morendo, essa lo chiamò Ben-onì ("figlio del mio dolore"), ma suo padre lo chiamò Beniamino ("figlio della destra") cioè della fortuna". (Genesi, 35, 18).
Ancor oggi all'ingresso di Betlemme una sinagoga commemora la morte e la sepoltura di Rachele. Secoli dopo quell'evento, nel 586 avanti Cristo, davanti a Gerusalemme diroccata dall'esercito babilonese, Geremia riprende quel ricordo e lo ambienta a Rama, una località 17 chilometri a nord di Gerusalemme; Betlemme è, invece, a pochi chilometri a sud della città santa. Là erano stati concentrati dai Babilonesi tutti gli Ebrei che si sarebbero poi incamminati per l'esilio verso i fiumi di Babilonia. Su questa folla di disperati il profeta immagina che si erga la figura statuaria di Rachele: questa ombra sembra piangere non più la sua morte, ma quella dei suoi figli caduti nell'assedio di Gerusalemme e quelli ora deportati: "Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d'essere consolata perché non sono più" (31, 15). Matteo, in dissolvenza, riproduce la stessa scena dipinta da Geremia ma riportandola a Efrata, cioè a Betlemme, ove si leva il pianto delle madri dei bimbi sgozzati da Erode.
Come è evidente, la connessione è libera e creativa e si basa su un modo di riferimento alla Bibbia praticato dallo stesso giudaismo e caro per secoli al cristianesimo. Esso non si cura di stabilire collegamenti diretti e puntuali, ma piuttosto di isolare una rete di legami simbolici che rivelano come Antico e Nuovo Testamento appartengano a un tessuto e a un progetto comune voluto da Dio. Per raggiungere questo scopo talora si ricorre a un rimando generico, fluido, quasi evanescente. È il caso della quinta e ultima citazione del vangelo dell'infanzia di Gesù secondo Matteo: "Andò ad abitare a Nazaret perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: Sarà chiamato Nazareno" (2, 23). Queste poche parole hanno fatto versare i classici fiumi d'inchiostro proprio perché il "detto" in questione non esiste in nessuna pagina dell'Antico Testamento, al quale Nazaret, tra l'altro, è totalmente ignota. L'evangelista rimanda forse a un libro non canonico ("apocrifo") dell'antica tradizione d'Israele a noi ignoto? Nel Nuovo Testamento c'è al riguardo un caso analogo, quello del verso 9 della Lettera di Giuda che cita l'Assunzione di Mosè, un libro caro al giudaismo ma apocrifo. Oppure Matteo si vuole genericamente appellare alla tradizione messianica dell'Antico Testamento vedendola confluire nel "nazareno" Gesù? È difficile scegliere tra queste e altre soluzioni dell'enigma presente nella dichiarazione di Matteo. Si potrebbe forse tentare di ricorrere al valore simbolico del termine "nazareno", al di là del suo legame con Nazaret. Nell'originale greco del vangelo abbiamo, infatti, Nazoràios, un vocabolo che può rimandare al "nazireo", cioè a quella persona che si è consacrata a Dio, mediante un voto e il cui ritratto è minuziosamente disegnato nel capitolo 6 del libro biblico dei Numeri. Una figura famosa di "nazireo" è quella dell'eroe Sansone, che si presenta così nel libro dei Giudici: "Io sono un nazireo di Dio", cioè un consacrato a lui con tutto il suo essere. Come è noto, Sansone tradirà il suo voto infrangendolo sotto il fascino di Dalila, una donna filistea emblema dell'idolatria cananea che tanto attirava Israele. Sapendo che uno degli impegni principali del "nazireo" era quello dell'astinenza dagli alcolici; vediamo che anche il Battista è tratteggiato come un "nazireo": "Non berrà né vino né bevanda inebriante e sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre" (Luca, 1, 15).
Matteo, allora, intreccia nella parola Nazoràios applicata a Gesù sia il riferimento concreto alla residenza anagrafica sia il legame spirituale all'Antico Testamento, ove erano emerse figure di "nazirei". Ma nessuno di loro era stato veramente il Santo di Dio, cioè la persona pienamente "consacrata" al Padre nell'adesione totale alla sua volontà. Come è evidente, il ponte con l'Antico Testamento è in questo caso molto sottile, affidato all'allusione e al sottinteso, secondo uno stile abbastanza comune al giudaismo, a cui Matteo e i suoi lettori appartenevano per nascita e cultura. Possiamo, però, ipotizzare un altro collegamento, forse ancor più sottile, segnalato da alcuni studiosi. Giocando sulle assonanze, Matteo avrebbe potuto alludere al vocabolo ebraico nezer, "germoglio", "virgulto", un termine che nell'Antico Testamento era diventato quasi il nome del re-Messia. Scrive, infatti, Isaia a proposito dell'Emmanuele: "Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (il padre di Davide), un virgulto germoglierà dalle sue radici e su di lui si poserà lo Spirito del Signore" (11, 1-2).
Cristo è, allora, il germoglio di vita che sboccia nel mondo morto dell'uomo peccatore come un inizio assoluto di speranza e di grazia divina. Questo è intuito da Matteo attraverso l'accostamento tra la realtà "nazaretana" di Gesù e il simbolo del nezer, il "germoglio" messianico cantato da Isaia. Proprio quest'ultima citazione biblica di Matteo ci permette di comprendere appieno il modo con cui il Nuovo Testamento si è raccordato all'attesa dell'Antico. Da un lato le pagine anticotestamentarie, soprattutto quelle profetiche, sono percorse dall'attesa viva e intensa di un intervento definitivo di Dio nella nostra storia intricata e insanguinata. Un intervento che si renderà manifesto attraverso un uomo ideale, il Messia, il "consacrato", perfetto re, profeta e sacerdote, dal volto ancora ignoto. Come diceva suggestivamente la scrittrice Simone Weil, "i beni più preziosi non devono essere cercati, ma attesi come dono".
D'altro lato, gli autori ispirati del Nuovo Testamento, che hanno di fronte ai loro occhi la figura del Cristo, rileggono quelle parole antiche, ancora sfumate, incerte ma "aperte", attraverso la luce della realtà che essi vivono con Gesù di Nazaret. Intuiscono che sotto gli scritti e il pensiero dei profeti si muove il disegno di Dio stesso, che compone in un'unica trama di salvezza tutta la vicenda dell'uomo, portandola alla pienezza nel Cristo. I passi dell'Antico Testamento si allargano oltre il loro primo significato, rivelano nuove risonanze, acquistano valori inediti. Il Natale e i primi anni di Gesù vengono visti alla luce della speranza messianica dell'Israele di Dio e i testi profetici a loro volta sono illuminati dall'esistenza e dalla realtà di Gesù.

Le tre «annunciazioni»

Abbiamo voluto riservare così ampio spazio all'orizzonte che sta alle spalle degli inizi storici di Gesù Cristo, perché di solito questa dimensione, che era di grande rilievo per la cristianità delle origini e per la tradizione successiva, si è un po' appannata ed è stata accantonata dall'attenzione popolare che ha puntato i suoi occhi soprattutto sul fatto della nascita. Noi ora ci accontenteremo di evocarne le varie componenti in modo molto essenziale e partiremo da un evento preliminare che si sfrangia in una sorta di trittico di scene. Intendiamo riferirci alla cosiddetta "annunciazione" della nascita di Cristo: essa si ramifica in tre diversi annunzi. Il primo è quello rivolto alla futura madre, Maria; il secondo è indirizzato al padre legale Giuseppe, mentre il terzo ha come destinatari un gruppo di pastori nomadi. In questa e nelle altre scene dell'infanzia di Cristo noi entreremo in modo lieve e descrittivo, senza affrontare le mille questioni esegetiche che hanno coinvolto la lettura degli studiosi e che sono trattate come si è già detto in una fitta bibliografia, fatta spesso di opere molto impegnative. A questo proposito, anche noi, come i nostri lettori, siamo in attesa del secondo volume del Gesù di Nazaret promesso da Benedetto XVI, destinato a comprendere anche un'analisi delle origini storiche di Cristo, attraverso l'approfondimento delle pagine evangeliche che ora noi scrutiamo solo dall'alto, in uno sguardo panoramico.
C'è, dunque, una prima annunciazione, quella che coinvolge Maria, la ragazza nazaretana chiamata a un'avventura umana e spirituale unica. A narrare questo evento è Luca in un racconto (1, 26-38) modellato su uno schema già presente nell'Antico Testamento, quello degli annunzi delle nascite di alcuni personaggi famosi come Sansone (Giudici, 13-16) o il citato re-Emmanuele di Isaia (7, 10-17). Siamo a Nazaret. Un francescano archeologo, Bellarmino Bagatti, ha trovato una traccia antichissima della devozione delle origini in una casa nazaretana adibita allora a luogo di culto dai giudeo-cristiani: "Nell'intonaco si trovò un'iscrizione in caratteri greci. Essa recava in alto le lettere greche XE e, sotto, MAPIA. È ovvio riferirsi alle parole greche che il Vangelo di Luca mette in bocca all'angelo annunziatore: Chàire Maria". Ebbene, attraverso quella comunicazione angelica, segno di una rivelazione trascendente, si delinea nel testo di Luca come un piccolo Credo che offre una perfetta definizione dell'identità di Cristo.
Ascoltiamo infatti l'annunzio a Maria, dopo il saluto dell' "Ave": "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce, lo chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. Lo Spirito Santo scenderà su di te, la potenza dell'Altissimo stenderà su te la sua ombra; colui che da te nascerà sarà Santo e chiamato Figlio di Dio" (Luca, 1, 32-33.35). È la stessa proclamazione dell'incarnazione, cioè dell'incontro tra il divino e l'umano in Gesù, che è espressa da Giovanni nella frase essenziale "Il Logos si è fatto carne" (1, 14). È per questo che Maria è allusivamente rappresentata come l'arca dell'alleanza del tempio di Sion su cui si stendeva l'"ombra" della presenza divina ed è interpellata dall'angelo come kecharitomène, cioè come "ricolma di grazia" da parte di Dio. Suo figlio sarà, come dice il poeta tedesco Novalis nei suoi Inni alla notte scritti tra il Natale 1799 e l'Epifania 1800, "frutto infinito di misterioso amplesso". E il filosofo Johann G. Fichte in una predica pronunziata nella festa dell'annunciazione a Maria, il 25 marzo 1786, esclamava: "Ci sembra poco che fra tutti i milioni di donne della terra soltanto Maria fosse l'unica eletta che doveva partorire l'Uomo-Dio Gesù? Ci sembra poco l'esser madre di Colui che doveva rendere felice l'intero genere umano e grazie al quale l'uomo sarebbe divenuto un'immagine della divinità e l'erede di tutte le sue beatitudini?".

La sorpresa di Giuseppe

Noi tutti abbiamo in mente la scena dell'annunciazione coi colori teneri ed estatici del Beato Angelico nel Convento di san Marco a Firenze. Nell'ultimo dei suoi Canti spirituali Novalis confessava: "In mille immagini, Maria, ti vedo / amabilmente ritratta / Ma nessuna di esse può fissarti / come ti vede la mia anima". L'annunzio dell'angelo a Maria è uno dei soggetti spirituali capitali nella memoria dell'Occidente: solo per citare un esempio a noi vicino, pensiamo a L'Annunzio fatto a Maria di Paul Claudel (1912). Già san Bernardo di fronte all'esitazione e allo sconcerto di Maria - che alla fine però si dichiara "serva del Signore", un titolo biblico di onore e di consapevolezza di un'alta missione - dichiarava: "L'angelo aspetta la tua risposta, o Maria! Stiamo aspettando anche noi, o Signora, questo tuo dono, che è dono di Dio. Sta nelle tue mani il prezzo del nostro riscatto. Rispondi presto, o Vergine! Pronunzia, o Signora, la parola che terra e inferi e persino il cielo aspettano... Alzati, corri, apri!".
L'improvvisa e sorprendente maternità di Maria crea, però, sconcerto in un'altra persona evangelica, il promesso sposo Giuseppe. Nella prassi matrimoniale ebraica antica il fidanzamento era considerato a tutti gli effetti il primo atto del matrimonio stesso. A segnalarci questo sconcerto è, invece, Matteo che ci narra una "annunciazione a Giuseppe". Leggiamone le battute fondamentali. "Maria, promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre stava pensando questo, ecco apparirgli in sogno un angelo che gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che in lei è generato viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Matteo, 1, 18-21). Giuseppe si trova di fronte ad una scelta drammatica. Il libro della legge biblica, il Deuteronomio, è chiaro: "Se la donna fidanzata non verrà trovata vergine, la si farà uscire sulla soglia della casa paterna e la popolazione della sua città la lapiderà per farla morire, perché ha commesso un'infamia in Israele" (22, 20-21). Il giudaismo posteriore aveva attenuato la norma, imponendo però il ripudio: è ciò che deve fare anche Giuseppe. Egli, però, da "uomo giusto", cioè mite e buono, vuole scegliere la via segreta, quella di un atto senza clamore, senza denunzia legale e processo ma solo alla presenza di due testimoni, come gli consentiva la legge. Maria se ne sarebbe ritornata alla casa paterna per una vita emarginata e infelice. Ecco, però, l'irrompere dell'angelo: egli è per eccellenza il segno di una rivelazione divina, come lo è il sogno - se ne contano cinque nel Vangelo dell'infanzia di Gesù secondo Matteo - è il simbolo della comunicazione di un mistero. Giuseppe è invitato a perfezionare il matrimonio con Maria, superando ogni perplessità o sdegno, e ad assumere la paternità legale nei confronti del nascituro: l'imporre il nome - che viene spiegato etimologicamente come "salvatore" ("Gesù" deriva dalla radice ebraica jasha', "salvare") - era un atto tipico della patria potestà.

Uno strano censimento

Come si è già detto, la verginità è, nel racconto evangelico sia di Luca sia di Matteo, un dato marcato a livello teologico: Cristo, anche se è generato nella pienezza di una maternità e dell'umanità, non è frutto della "carne" e del "sangue", cioè non deriva dai puri e semplici meccanismi biologici di una generazione creaturale. In lui c'è il sigillo del divino ed è a questo che è finalizzata la verginità della madre, che non di rado alcune miniature o dipinti amano raffigurare in evidente stato interessante. Alla fine Maria partorisce ed è Luca a collocare questo evento nella cornice di Betlemme, una cittadina nei pressi di Gerusalemme, patria del re Davide, in occasione di un censimento ordinato dal "governatore della Siria Quirinio" (si legga Luca, 2, 1-7). Pieter Bruegel il vecchio in una tela del Museo delle belle arti di Bruxelles (1566) ha rappresentato in modo delizioso l'accorrere a Betlemme, immersa nella neve, di un fitto stuolo di mercanti, contadini, straccioni per farsi registrare secondo un censimento condotto alle radici, cioè ai focolari d'origine delle famiglie, una prassi attestata nell'Egitto romano, anche se predominante era il censimento residenziale.
C'è, però, una difficoltà storica piuttosto grave. L'unico censimento documentato di Quirinio in Palestina fu eseguito nel 6-7 dopo Cristo, quando Gesù aveva almeno dodici anni e stupiva i dottori della legge nel tempio di Gerusalemme (Luca, 2, 41-52). Come è noto, il calcolo cronologico della nascita di Cristo è quasi certamente erroneo a causa del computo impreciso del monaco Dionigi il piccolo del VI secolo, che fissò l'evento nell'anno 753 dalla fondazione di Roma. In realtà, i Vangeli affermano che Gesù nacque sotto Erode il Grande che morì attorno al 4 avanti Cristo Luca, evocando quell'operazione censuale, ha forse confuso le date? Oppure l'ha fatto per imprimere alla nascita di Gesù un respiro universale? Sappiamo che i Vangeli, pur narrando la vicenda storica di una figura concreta come Gesù di Nazaret, non hanno rigorose preoccupazioni storiografiche. Tuttavia sappiamo anche che Luca è l'evangelista più attento al dato storico. È possibile, dunque, seguire due percorsi.
Da un lato, si può affermare - come scrive un certo importante commentatore di Luca, Heinz Schürmann - che "il tema del censimento pone la nascita di Gesù in rapporto con tutto l'impero. In lui non si compie solo l'attesa dei Giudei ma di tutta la terra. Si apre un orizzonte vasto come il mondo; è affermata l'importanza universale della nascita di Gesù". La questione sarebbe dunque da affrontare a livello teologico e simbolico, non certo storiografico. Come scrive un altro studioso tedesco, Emil Schürer, nella sua Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù, un'opera classica dell'Ottocento, "Luca avrebbe generalizzato in un unico evento i vari censimenti ordinati da Augusto in epoche e luoghi diversi", così da collocare la nascita di Cristo all'interno di un respiro universale e planetario.
D'altro lato, però, si può tentare di vagliare tutti i dati storici disponibili, come hanno fatto in forme diverse vari studiosi. Ad esempio, secondo lo storico Giulio Firpo, in un suo studio del 1983 su Il problema cronologico della nascita di Gesù, "il primo censimento", come lo definisce Luca (2, 2), sarebbe da inquadrare in un piano globale censuale progettato da Augusto, destinato a coinvolgere anche un regno autonomo ed esente, com'era quello di Erode, rex socius et amicus, cioè re alleato e amico di Roma. Nel 7-6 avanti Cristo si sarebbe eseguito, dunque, in Palestina un censimento amministrativo, connesso a un giuramento di fedeltà all'impero e condotto secondo il metodo tribale e non residenziale per ragioni di tattica e cautela politica. A gestirlo fu Quirinio, in quel momento reggente con incarico speciale la legazione di Siria, tenuta in via ordinaria dal governatore Sanzio Saturnino, allora impegnato in una dura guerra contro gli Armeni. Questo sarebbe il censimento durante il quale nacque Gesù. Quando diverrà responsabile, a pieno titolo della Siria, Quirinio ordinerà il secondo censimento, più noto e documentato, quello del 6-7 dopo Cristo. Certo è che, al di là delle questioni storiche -non manca neppure qualche studioso che cerca di confermare la datazione attuale dei secoli cristiani - Luca vede nella nascita di Cristo un evento dagli echi universali e dall'incidenza nella vicenda storica umana.
La dimensione teologica nel racconto del Natale di Gesù risulta, quindi, primaria, come ha sempre compreso la tradizione. Persino Jean-Paul Sartre, nel suo primo testo teatrale, Bariona o il figlio del tuono, composto per il Natale del 1940 nello Stalag XII D nazista di Treviri, riesce ad esprimere i sentimenti di Maria che partorisce non tanto in una stalla - come vorrà la tradizione - ma in una di quelle stanze, non di rado rupestri, che nelle case palestinesi servivano come dispensa e rifugio invernale, in compagnia di animali, stanza forse ceduta da un conoscente o parente.
Ecco qualche riga del testo di Sartre, una pagina veramente sorprendente per la sua intensità spirituale, soprattutto se si pensa alle successive scelte ideali di questo filosofo francese. "Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio... Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!". Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive". Si intravede in queste righe la base della riflessione tradizionale cristiana che ha attribuito a Maria, nel concilio di Efeso (451), il titolo di Theotòkos, "madre di Dio".

L'annunciazione ai pastori

"C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge": queste sono le presenze che popolano il deserto di Giuda adiacente a Betlemme e che Luca farà emergere in primo piano il giorno della nascita di Gesù, giorno non identificabile cronologicamente - il 25 dicembre, come è noto, è stato probabilmente escogitato in connessione e sostituzione del culto solare, al solstizio d'inverno. Nel trattato Sanhedrin (25b) del Talmud, la grande raccolta delle tradizioni giudaiche, si legge che i pastori non potevano testimoniare in sede processuale perché considerati impuri, a causa della loro convivenza con animali, e disonesti, a causa delle loro violazioni dei confini territoriali. Il loro statuto civile era, quindi, in basso alla scala sociale e le loro condizioni di vita erano molto meno "georgiche" e idilliache di quanto ci abbiano abituato a pensare Virgilio o Teocrito. La tradizione cristiana ha collocato il loro accampamento per quella notte nell'attuale villaggio arabo di Bet-Sahur, a tre chilometri da Betlemme, in una località detta "Campo dei pastori", occupata nel IV-VI secolo da un monastero bizantino eretto su grotte usate dai pastori per le loro veglie notturne. Ora là si staglia una chiesa moderna (1953) che vorrebbe imitare nella sua struttura la tenda beduina e la cui cupola lascia filtrare la luce del cielo quasi in un gioco di stelle.
Dopo le annunciazioni a Maria e a Giuseppe possiamo, allora, parlare di un'annunciazione ai pastori. Anche in questo caso sono di scena gli angeli che intonano quel Gloria in excelsis che verrà cantato in mille e mille Messe nei secoli. Questo coro che esce dalle labbra di "tutto l'esercito celeste", come Luca chiama biblicamente gli angeli, sarà rilanciato dalla terra al cielo quando Gesù entrerà a Gerusalemme per l'ultima settimana della sua vita. Nella notte del Natale gli angeli avevano cantato: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini (oggetto) della buona volontà (divina)" (questa è la versione più corretta di Luca, 2, 14, ove di scena è l'amore di Dio e non tanto la volontà umana). Alle soglie della Passione i discepoli canteranno: "Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!" (Luca, 19, 38). Commenta Raymond Brown in un'importante opera su La Nascita del Messia secondo Matteo e Luca: "È un tocco pieno di fascino che la moltitudine della milizia celeste proclami la pace sulla terra, mentre la moltitudine dei discepoli proclama la pace in cielo: i due passi potrebbero diventare quasi un responsorio antifonale".
C'è però, in mezzo alla coreografia dell'epifania angelica un messaggio specifico, indirizzato ai pastori. Nell'originale greco Luca lo definisce un "evangelo" e ha un contenuto squisitamente teologico: "Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (2, 11). Anche in questo caso abbiamo un piccolo Credo cristiano che ruota attorno a tre titoli fondamentali attribuiti al Bambino: Salvatore, Cristo (cioè Messia), Signore (cioè Dio). Anche Paolo conosce questo Credo e lo cita scrivendo ai cristiani di Filippi: "Aspettiamo il Salvatore, il Signore Gesù Cristo" (3, 20). Nel piccolo Gesù - secondo l'orientamento dei Vangeli dell'infanzia - si intravede già il glorioso "Signore" risorto, proclamato dalla fede pasquale della Chiesa. La tipologia dell'icona russa della scuola di Novgorod (XV secolo) esplicita questo collegamento raffigurando il bambino Gesù avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia che ha la forma di un sepolcro. Ebbene, i primi ad accorrere in pellegrinaggio a Cristo Signore sono gli ultimi della terra, anticipando un detto caro a Gesù: "I primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi".
Tutto il racconto lucano è costellato di verbi di moto e di sorpresa: "andiamo, conosciamo, andarono, trovarono, videro, riferirono, tutti udirono, si stupirono, tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quanto avevano udito e visto". La famiglia di Betlemme è circondata dai pastori, i rifiutati dal Sinedrio, i marginali che Luca, però, vede come la prefigurazione della Chiesa di Cristo. Ma è interessante scoprire, in parallelo, quale sia la presenza che Matteo (2, 1-12) colloca attorno al bambino Gesù. Prima di tutto è necessario sottolineare che la scenografia è completamente differente e anche questo attesta la diversità delle tradizioni che stanno alla base dei due racconti e la loro qualità spesso più teologica che storica. Ora la sacra famiglia è rappresentata in una specie di sala del trono a cui accede quasi una delegazione estera in visita di cortesia. Per Matteo si agitano, infatti, le cancellerie, il clero di Gerusalemme, l'intera città. Un evento "internazionale" sta per compiersi e ha per protagonisti alcuni misteriosi Magi "venuti dall'Oriente". Ma a questa scena dedicheremo la nostra attenzione in futuro, in occasione della solennità dell'Epifania.
Così come abbiamo fatto aprendo questa riflessione natalizia, così ora la vogliamo concludere con le parole di un poeta dalla religiosità molto incerta. Ora a offrirci lo spunto per un augurio non convenzionale per il nostro Natale è Salvatore Quasimodo che, nella sua lirica Natale, desunta dalla raccolta mondadoriana delle sue Poesie (1972), propone sì la scenografia un po' scontata - ma ai nostri giorni non troppo - di un presepe domestico, ma ne raccoglie l'appello spirituale profondo. Ecco i suoi versi: "Natale. Guardo il presepe scolpito, / dove sono i pastori appena giunti / alla povera stalla di Betlemme. / Anche i Re Magi nelle lunghe vesti / salutano il potente Re del mondo. / Pace nella finzione e nel silenzio / delle figure di legno: ecco i vecchi / del villaggio e la stella che risplende, / e l'asinello di colore azzurro. / Pace nel cuore di Cristo in eterno; / ma non v'è pace nel cuore dell'uomo. / Anche con Cristo, e sono venti secoli, / il fratello si scaglia sul fratello. / Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino / che morirà poi in croce fra due ladri?".

Fonte: L'Osservatore Romano, 24-25.12.2007, p. 4-5

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Augustinus
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Augustinus
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DIE 30 DECEMBRIS

DE SEXTA DIE INFRA OCTAVAM NATIVITATIS

Semiduplex

Introitus

Is. 9, 6

PUER natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. Ps. 97, 1. Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit. V/. Glória Patri. Puer.

Oratio

CONCÉDE, quaésumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet. Per eúndem Dóminum.

Orationes pro diversitate Temporum assignatæ.

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum

Tit. 3, 4-7

CARÍSSIME: Appáruit benígnitas et humánitas Salvatóris nostri Dei: non ex opéribus justítiæ, quæ fécimus nos, sed secúndum suam misericórdiam salvos nos fecit per lavácrum regeneratiónis et renovatiónis Spíritus Sancti, quem effúdit in nos abúnde per Jesum Christum, Salvatorem nostrum: ut, justificáti grátia ipsíus, herédes simus secúndum spem vitæ ætérnæ: in Christo Jesu, Dómino nostro.

Graduale. Ps. 97, 3 et 2. Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra. V/. Notum fecit Dóminus salutáre suum: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam.

Allelúja, allelúja. V/. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

http://www.unavoce-ve.it/crux.gif Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam

Luc. 2, 15-20

IN ILLO témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

Credo.

Offertorium. Ps. 88, 12 et 15. Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

Secreta

OBLÁTA, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. Per eúndem Dóminum.

Aliæ Secretæ.

Præfatio et Communicántes de Nativitáte.

Communio. Ps. 97, 3. Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

Postcommunio

PRÆSTA, quaésumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor: Qui tecum.

Aliæ Postcommuniones.

FONTE (http://www.unavoce-ve.it/mr-30dec=lat.htm)

Holuxar
26-12-18, 03:14
25 DICEMBRE 2018: SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO!!!



«MISTERO DELL'INCARNAZIONE
TEMPO DI NATALE
(24 dicembre A.D. 2018 - 13 gennaio A.D. 2019)
Capitolo I - Storia del Tempo di Natale
STORIA DEL TEMPO DI NATALE
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-st.htm
Capitolo II - Mistica del Tempo di Natale
MISTICA DEL TEMPO DI NATALE
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-mist.htm
Capitolo III - Pratica del Tempo di Natale
PRATICA DEL TEMPO DI NATALE
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-pr.htm
Il santo giorno di Natale
IL SANTO GIORNO DI NATALE
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale.htm
Prima dell’ufficio della notte
PRIMA DELL'UFFICIO DELLA NOTTE
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-notte.htm
Messa di Mezzanotte
MESSA DI MEZZANOTTE
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-messa1.htm
Messa dell’aurora
MESSA DELL'AURORA
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-messa2.htm
Messa del giorno
MESSA DEL GIORNO
http://www.unavoce-ve.it/pg-natale-messa3.htm »




3 SANTE MESSE NATALIZIE celebrate da Don Floriano Abrahamowicz a Paese (Tv); la prima ieri sera 24 DICEMBRE 2018 alle ore 22.30 (durata fino a Mezzanotte inoltrata), la seconda stamattina 25 DICEMBRE 2018 alle ore 7.00 e la terza alle ore 10.30 sempre in questo stesso giorno del SANTO NATALE:


«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
Santo Natale, Missa 'in nocte'
https://www.youtube.com/watch?v=2kzeBdl833U
Santo Natale, Messa dell'aurora
https://www.youtube.com/watch?v=QHKiyDp2n8U
Santo Natale, Messa 'in die'
https://www.youtube.com/watch?v=S7TjPFMxHSg
domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/)
Ogni giovedì alle ore 20.30 ha luogo la lettura in diretta di una o due questioni del Catechismo di San Pio X.
SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php)
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso.»



LE SANTE MESSE NATALIZIE celebrate dai Sacerdoti dell'Istituto Mater Boni Consilii (I.M.B.C.):


"Sante Messe - Sodalitium."
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

"S. Messa in provincia di Verona - Sodalitium."
http://www.sodalitium.biz/s-messa-provincia-verona/

“Sodalitium - IMBC.”
https://www.youtube.com/user/sodalitium

“Omelie dell'I.M.B.C. a Ferrara.”
https://www.facebook.com/OmelieIMBCFerrara/

http://www.oratoriosantambrogiombc.it/
“Oratorio Sant'Ambrogio, Milano - Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11).”


"Oratorio Sant’Ambrogio
via Privata Della Torre n° 38
(ingresso a sinistra del portone condominiale, dietro alle grate)
zona Viale Monza
Metropolitana Linea 1 fermata Turro

Sante Messe:
Tutte le domeniche e festivi alle ore 11.
Confessioni dalle 10.30
Per informazioni:
tel. 0161.839335"

"Martedì 25/12 (S. Natale)
– S. Messa a Mezzanotte (00)
– S. Messa ore 11 (confessioni dalle ore 10,30)"


PER LE SANTE MESSE NATALIZIE e del periodo successivo celebrate dai Sacerdoti dell'Istituto Mater Boni Consilii (I.M.B.C.) visitare il sito "Sodalitium" e vedere sulle singole città (Milano, Torino, Rovereto, Ferrara, Modena, Rimini, Roma, Pescara, Bari, Potenza ecc.), là sono indicati i luoghi e gli orari precisi.



Santo Natale - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/santo-natale/)
http://www.sodalitium.biz/santo-natale/
«25 dicembre, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo.
“Nell’anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mon do, quando nel principio Iddio creò il cielo e la terra; dal diluvio, l’anno duemilanovecentocinquantasette; dalla nascita di Àbramo, l’anno duemilaquindici; da Mosè e dalla uscita del popolo d’Israele dall’Egitto, l’anno millecinquecentodieci; dalla consacrazio ne del Re David, l’anno milletrentadue; nella Settimana sessante- simaquinta, secondo la profezia di Daniéle; nell’Olimpiade centesi- manovantesimaquarta; l’anno settecentocinquantadue dalla fondazio ne di Roma; l’anno quarantesimosecondo dell’impero di Ottaviano Augusto, stando tutto il mondo in pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell’eterno Padre, volendo santi ficare il mondo colla sua piissima venuta, concepito di Spirito Santo, e decorsi nove mesi dopo la sua concezione (Qui tutti genuflettono), in Betlémme di Giuda nacque da Maria Vergine fatto uomo. Natività di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne (Qui tutti si alzano)”.
Caro Gesù, anche tu fosti un giorno bambino come noi, e ci hanno detto che amavi di avere i piccoli vicino a Te. Così noi veniamo ora, fanciulli di tutte le nazioni del mondo, ad offrirti i nostri ringraziamenti e ad elevare a Te la nostra preghiera per la pace. Tu brami di essere con noi in ogni ora e in ogni luogo; fa dunque dei nostri cuori la tua dimora, il tuo altare e il tuo trono. Fa che tutti formiamo una sola famiglia, unita sotto la tua custodia e nel tuo amore. Tieni lontano da ogni uomo, giovane o adulto, i pensieri e le opere dell’egoismo, che separano i figli del Padre celeste gli uni dagli altri e da Te. Sia a tutti la tua grazia scudo contro i nemici del Padre tuo e tuoi; perdona loro, o Signore; essi non sanno quello che fanno. Se gli uomini col tuo aiuto si ameranno l’un l’altro, vi sarà vera pace nel mondo, e noi bambini potremo vivere senza il timore degli orrori di una nuova guerra. Noi chiediamo alla tua immacolata Madre Maria, che è anche la Madre nostra, di offrire a Te questa nostra preghiera di pace. Tu allora certamente la esaudirai. Grazie, o dolce Gesù! Così sia! (Pio XII).»
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Gli auguri del Centro Studi Federici - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/gli-auguri-del-centro-studi-federici/)
http://www.centrostudifederici.org/gli-auguri-del-centro-studi-federici/
«Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Gli auguri del Centro Studi Federici
Auguri a tutti i lettori per la festa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo: “Iesu, tibi sit gloria, qui natus es de Virgine, cum Patre et almo Spiritu, in sempiterna saecula. Amen”.
“Guardate il presepio. È vero, nella culla, che avete sotto gli occhi, molto più bella di quella di Betlemme, riposa un Bambino di legno, una immagine di Gesù. Ma poc’anzi, sull’altare, è venuto Gesù stesso. Nell’ostia santa è presente e nascosto Gesù, lo stesso Gesù del presepio, il Gesù che disse: Lasciate che i piccoli vengano a me. E questo Gesù del presepio, questo Gesù dell’altare, questo Gesù della Croce, questo Gesù del Cielo, ha voluto anche restare in qualche maniera sensibile nella persona del suo Vicario, che lo rappresenta sulla terra. Così nel nome di Lui Noi siamo venuti a voi questa mattina di Natale, e vi portiamo con tutto il Nostro amore i doni di Gesù. Cari bambini, Gesù ha voluto essere come voi, per salvarvi, per consolarvi, ma anche per essere il vostro modello, perché lo amiate, se fosse possibile” (discorso di Pio XII ai bambini profughi di guerra, Pontificia Università Gregoriana, 25 dicembre 1944).
Catechismo Maggiore di San Pio X – Del santo Natale»
Catechismo Maggiore di San Pio X - Del santo Natale - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/catechismo-maggiore-san-pio-x-santo-natale/)
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«Sancti et Sanctae Dei, orate pro nobis.»
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“AUGURI DI UN SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO A TUTTI VOI!
Stanotte, è risuonato l'annuncio angelico della nascita del Redentore, Colui che salva il suo popolo dai suoi peccati, Nostro Signore Gesù Cristo. Accorriamo subito al luogo ove Dio si mostra nella carne umana, che ha assunto per nostro amore e per portarci alle sublimi altezze. Accorriamo ivi, ove vi è il Dio misericordioso fattosi bambino per gettarci tra le sue amorossime braccine e chieder perdono, a Lui che viene per redimerci e a donarci la vita della grazia per mezzo della Sua Chiesa. Ora è il tempo di ritornare al Padre, ora e non dopo quando questo Bambino fattosi adulto e morto per noi e risorto, ritornerà nella gloria come Giudice. Speriamo che sia per noi giorno di felicità eterna! Santo Natale del Signore Nostro Gesù Cristo a tutti. Christus vincit.”
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https://stateettenetetraditiones.blogspot.com/2018/12/natale-di-nostro-signore-gesu-cristo_25.html?m=1
“martedì 25 dicembre 2018
Natale di Nostro Signore Gesù Cristo
Doppio di I classe con Ottava privilegiata di III ordine.
Paramenti bianchi.
Nella solennità del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, la Santa Chiesa Romana offre tre volte il Santo Sacrificio della Messa, in memoria della triplice nascita del Verbo: quella temporale secondo la carne (Missa in Nocte), quella della Grazia che germoglia nel cuore dei fedeli (Missa in Aurora) e quella ab aeterno nel seno del Padre (Missa in die Nativitatis Domini).”
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“La Notte Santa con Gesù Bambino (Leone XIII)
https://www.agerecontra.it/2018/12/la-notte-santa-con-gesu-bambino-leone-xiii/
Per la notte Santa abbiamo pensato di proporre una antica e quasi sconosciuta preghiera composta da Sua Santità Leone XIII, segnalataci da un amico dopo la Messa della IV di Avvento a Verona. Clicca qui per l’Orazione.”
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https://www.agerecontra.it/2018/12/catechismo-maggiore-di-san-pio-x-del-santo-natale/







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«Carlo Di Pietro - Sursum Corda
Santo Natale. Auguri. Preghiamo.»
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«25 dicembre, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. Nell’anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mondo, quando nel principio Iddio creò il cielo e la terra; dal diluvio, l’anno duemilanovecentocinquantasette; dalla nascita di Abramo, l’anno duemilaquindici; da Mosè e dall'uscita del popolo d’Israele dall’Egitto, l’anno millecinquecentodieci; dalla consacrazione del Re David, l’anno milletrentadue; nella Settimana sessantesimaquinta, secondo la profezia di Daniele; nell’Olimpiade centesimanovantesimaquarta; l’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma; l’anno quarantesimosecondo dell’impero di Ottaviano Augusto, stando tutto il mondo in pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo colla sua piissima venuta, concepito di Spirito Santo, e decorsi nove mesi dopo la sua concezione (Qui tutti genuflettono), in Betlémme di Giuda nacque da Maria Vergine fatto uomo. Natività di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne (Qui tutti si alzano).»
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«Santa Messa di Natale. Oggi alle ore 19.30. Confessioni dalle ore 18.30. Oratorio IMBC San Lorenzo Martire a Potenza, via A. Vecchia 126. Anche oggi un Sacerdote dell'Istituto Mater Boni Consilii percorrerà centinaia di km per garantire la Santa Messa ai fedeli della Lucania, della Calabria, della Puglia e della Campania. I Sacerdoti dell'IMBC vivono di Provvidenza e non ricevono alcun contributo dal Vaticano modernista.»
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“Comunicato numero 144. Il santo giorno di Natale”
https://www.sursumcorda.cloud/comunicati-e-note/2042-comunicato-numero-144-il-santo-giorno-di-natale.html







https://www.radiospada.org/2018/12/gesu-nacque-veramente-un-25-dicembre/
«Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico Radio Spada | Radio Spada ? Tagliente ma puntuale (http://www.radiospada.org/) e una casa editrice Edizioni Radio Spada - Home (http://www.edizioniradiospada.com/)
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«25 dicembre 2018: Natività di Nostro Signor Gesù Cristo (Doppio di prima classe con Ottava Privilegiata di III Ordine)
Nell’anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mondo, quando nel principio Iddio creò il cielo e la terra; dal diluvio poi l’anno duemilanovecentocinquantasette; dal nascimento di Abramo, l’anno duemilaquindici; da Mosè e dalla uscita del popolo d’Israele dall’Egitto, l’anno millecinquecentodieci; dalla consacrazione del Re David, l’anno milletrentadue; nella settimana sessantesimaquinta, secondo la profezia di Daniele, nell’Olimpiade centesimanovantesimaquarta; l’anno settecentocinquantadue dalla creazione di Roma; l’anno quarantesimosecondo dell’Impero di Ottaviano Augusto, stando tutto il mondo in pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito di Spirito Santo, e decorsi nove mesi dopo la sua concezione, in Betlemme di Giuda nacque da Maria Vergine fatto uomo.
La Natività di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.»
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«Non un uomo santo, ma Dio.
Non una grande persona, ma la Seconda Persona della SS. Trinità.
Non da una donna comune o da una santa, ma dall'Immacolata Concezione.
Non vi auguriamo quindi "Buone Feste", ma un Santo Natale del Signore.
Auguri a tutti!»
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“25 dicembre 496. Battesimo di RE Clodoveo a Reims.
Il regno dei Franchi entra nel Regno di Cristo.”
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https://www.radiospada.org/2018/12/miracoli-di-natale/
«Questi, secondo diverse testimonianze, sono i Miracoli manifestatisi al popolo peccatore il giorno della Natività di Cristo.
Primo – Una stella splendente apparve nel cielo verso Oriente, e dentro di essa si vedeva la figura di un bellissimo bambino sul cui capo rifulgeva una croce, per manifestare la nascita di Colui che veniva a illuminare il mondo con la sua dottrina, la sua vita e la sua morte.
Secondo – In Roma, a mezzo giorno, apparve sopra il Campidoglio un cerchio dorato attorno al sole – che fu visto dall’Imperatore e dalla Sibilla raffigurante al centro una Vergine bellissima che portava un Bambino, volendo così rivelare che Colui che stava nascendo era il Re del mondo che si manifestava come lo «splendore della gloria del Padre e la figura della sua stessa sostanza» (Ebrei 1,3). Vedendo questo segnale, il prudente Imperatore (Augusto) offrì incenso al Bambino, e da allora rifiutò di essere chiamato dio.
Terzo – In Roma venne distrutto il “tempio della Pace”, sul quale, quando era stato costruito, i demoni si domandavano per quanto tempo sarebbe durato. Il vaticinio fu: «fino al momento in cui una vergine concepirà». Questo segnale rivelò che stava nascendo Colui che avrebbe distrutto gli edifici e le opere della vanità.
Quarto – Una fonte di olio di oliva sgorgò improvvisamente a Roma e fluì abbondantemente, per molto tempo, fino al Tevere, per dimostrare che stava nascendo la Fonte della pietà e della misericordia.
Quinto – Nella notte della Natività, le vigne di Engaddi, che producevano balsamo e aromi, si coprirono di foglie e produssero nettare, per significare che stava nascendo Colui che avrebbe fatto fiorire, rinnovare, fruttificare spiritualmente e attirare con il suo profumo il mondo intero.
Sesto – Circa trentamila ribelli furono uccisi per ordine dell’Imperatore, per manifestare la nascita di Colui che avrebbe conquistato alla sua Fede il mondo intero e avrebbe precipitato i ribelli nell’inferno.
Settimo – Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo: «È nata una luce per il giusto», per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità.
Ottavo – Nella Giudea un animale parlò, e lo stesso fecero anche due buoi, affinché si comprendesse che stava nascendo Colui che avrebbe trasformato gli uomini bestiali in esseri razionali.
Nono – Nel momento in cui la Vergine partorì, tutti gli idoli dell’Egitto caddero in frantumi, realizzando il segno che il profeta Geremia aveva dato agli egiziani quando viveva tra loro, affinché si intendesse che stava nascendo Colui che era il vero Dio, l’unico che doveva essere adorato assieme al Padre e allo Spirito Santo.
Decimo – Nel momento in cui nacque il Bambino Gesù, e venne deposto nella mangiatoia, un bue e un asino si inginocchiarono e, come se fossero dotati di ragione, Lo adorarono, affinché si capisse che era nato Colui che chiamava al suo culto i giudei e i pagani.
Undicesimo – Tutto il mondo godette della pace e si trovò nell’ordine, affinché fosse palese che stava nascendo Colui che avrebbe amato e promosso la pace universale e impresso il sigillo sui propri eletti per sempre.
Dodicesimo – In Oriente apparvero tre stelle che in breve si trasformarono in un unico astro, affinché fosse a tutti manifesto che stava per essere rivelata l’unità e trinità di Dio, e anche che la Divinità, l’Anima e il Corpo si sarebbero congiunti in una sola Persona.
Per tutti questi motivi la nostra anima deve benedire Dio e venerarlo, per averci liberato e per avere manifestato la sua maestà, con così grandi miracoli, a noi poveri peccatori».
(Dal Sermone XXI De nativitate Domini di san Bonaventura da Bagnoregio. Testo raccolto e trasmessoci da Salvatore Di Simone)
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"Il Natale e la Regalità Sociale di Cristo"
https://www.radiospada.org/2018/12/il-natale-e-la-regalita-sociale-di-cristo/







"Adeste Fideles (Credo)"
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=5QbBoCgmk8k
“Adeste fideles læti triumphantes, Venite, venite in Bethlehem. Natum videte Regem angelorum: Venite adoremus (3×) Dominum. Deum de Deo, lumen de lumine Gestant puellæ viscera Deum verum, genitum non factum. Venite adoremus (3×) Dominum. Cantet nunc io, chorus angelorum; Cantet nunc aula cælestium, Gloria, gloria in excelsis Deo, Venite adoremus (3×) Dominum. Ergo qui natus die hodierna. Jesu, tibi sit gloria, Patris æterni Verbum caro factum. Venite adoremus (3×) Dominum.”




https://militesvirginismariae.wordpress.com/





Ligue Saint Amédée (http://www.saintamedee.ch/)
http://www.saintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
25 décembre : Nativité de Notre Seigneur Jésus-Christ :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/25-decembre-nativite)
“25 décembre : Nativité de Notre Seigneur Jésus-Christ.”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/7515/4550/8949/noel_5.jpg


http://liguesaintamedee.ch/application/files/7515/4550/8949/noel_5.jpg


“Sermon du Père Joseph-Marie Mercier pour la Messe de la nuit de Noël : Erat lux vera.
http://prieure2bethleem.org/predica/2015_12_25_decembre_02.mp3”
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“Nous vous souhaitons un saint et joyeux Noël, à vous et à vos familles!
Rendons grâce à Dieu et à la Très Sainte Vierge Marie pour le Rédempteur qui vient nous sauver.”
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“Adeste fideles !”
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Gesù Bambino, Verbo divino, Verbo incarnato, Pregate per noi che avete creato.
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
Luca, Sursum Corda – Habemus Ad Dominum!!!

Holuxar
26-12-20, 00:49
25 DICEMBRE 2020: SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO!!!



3 SANTE MESSE NATALIZIE celebrate da Don Floriano Abrahamowicz:



«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre.
https://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
Vigilia del Santo Natale
https://www.youtube.com/watch?v=JRaUnZ9i9sA
Vigilia del Santo Natale
'Missa in nocte', prima Messa del Santo Natale
https://www.youtube.com/watch?v=uh7G2Rwsxgg
'Missa in nocte', prima Messa del Santo Natale
Missa 'in aurora'
https://www.youtube.com/watch?v=uw8A6aUoklU
Missa 'in die' , terza Messa del Santo Natale
https://www.youtube.com/watch?v=2gbNPO3V97Y
Santa Messa Santo Natale
https://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso»




LE SANTE MESSE NATALIZIE celebrate dai Sacerdoti dell'Istituto Mater Boni Consilii (I.M.B.C.):


"Sante Messe - Sodalitium"
Sante Messe - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/sante-messe/)
http://www.sodalitium.biz/sante-messe/

https://www.sodalitium.biz/messe-periodo-natalizio-italia/
«Istituto Mater Boni Consilii – S. Messe natalizie

24/12: vigilia di Natale : astinenza e digiuno
Venerdì 25 dicembre 2020, Natività di N. S. Gesù Cristo (essendo festa di precetto non c’è l’astinenza)
Domenica 27 gennaio 2020, San Giovanni Evangelista
Venerdì 1 gennaio 2021, Circoncisione di N. S. Gesù Cristo (essendo festa di precetto non c’è l’astinenza)
Domenica 3 gennaio 2021, SS. Nome di Gesù.
Mercoledì 6 gennaio 2021, Epifania di N. S. Gesù Cristo.

Bari: Cappella San Michele, c.so Vittorio Emanuele 109.
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messa alle ore 11,00.
Per informazioni tel. 0161.839335.

Ferrara (Albarea): Chiesa San Luigi, via Pacchenia 47.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messa alle ore 17,30
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messa alle ore 17,30
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messa alle ore 17,30
Per informazioni: tel. 0161.839335.

Loro Ciuffenna (AR): Fattoria del Colombaio, st. dei 7 ponti.
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messa alle ore 17,30
Per informazioni: tel. 0161.839335.

Milano: Oratorio Sant’Ambrogio, via della Torre 38.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Venerdì 1 gennaio 2021: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Mercoledì 6 gennaio 2020: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Per informazioni: tel. 0161.839335. Oratorio Sant'Ambrogio ? Milano ? Offertur Oblatio Munda (Malachia 1, 11) (http://www.oratoriosantambrogiombc.it)

Modena: Oratorio San Pio V, via Savona 73
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messe ore 8,30 e ore 11,00
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messe ore 8,30 e ore 11,00
Venerdì 1 gennaio 2021: S. Messe ore 8,30 e ore 11,00
Domenica 3 gennaio 2017: S. Messe ore 8,30 e ore 11,00
Mercoledì 6 gennaio 2020: S. Messa alle ore 17,30
Per informazioni: tel.0161.839335.

Pescara: Oratorio del Preziosissimo Sangue, via Ofanto 24.
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messa ore 18,30
Per le Messe di gennaio informarsi: info.casasanpiox@gmail.com

Potenza: Oratorio San Lorenzo, via Angilla Vecchia 126.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messa ore 19,30
Sabato 26 dicembre 2020: S. Messa ore 11,00
Per informazioni tel. 0161.839335.

Rimini: Oratorio San Gregorio Magno, via Molini 8.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messa alle ore 11,00
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messa alle ore 11,00
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messa ore 11,00
Mercoledì 6 gennaio 2021: S. Messa ore 11,00
Per informazioni: info.casasanpiox@gmail.com

Roma: Oratorio San Gregorio VII, via Pietro della Valle 13/b.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messe alle ore 9,00 e 11,00
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messe alle ore 9,00 e 11,00
Per informazioni tel. 0161.839335.

Rovereto (TN): Chiesa Sant’Ignazio, via Stazione 13, Mori Stazione.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Mercoledì 6 gennaio 2021: S. Messe ore 9,00 e ore 11,00
Per informazioni tel. 0161.839335.

Torino: Oratorio del Sacro Cuore, via Thesauro 3/d.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messe alle ore 9 e 11,15
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messe alle ore 9 e 11,15
Venerdì 1 gennaio 2021: S. Messe alle ore 9 e 11,15
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messe alle ore 9 e 11,15
Mercoledì 6 gennaio 2021: S. Messe alle ore 9 e 11,15
Per informazioni tel. 0161.839335.

Verrua Savoia (TO): Istituto Mater Boni Consilii, loc. Carbignano, 36.
Venerdì 25 dicembre 2020: S. Messe alla mezzanotte (per i membri della Comunità) e alle ore 18
Domenica 27 dicembre 2020: S. Messa alle ore 18
Venerdì 1 gennaio 2021 S. Messa ore 18
Domenica 3 gennaio 2021: S. Messa alle ore 18
Mercoledì 6 gennaio 2021: S. Messa alle ore 18.
Per informazioni tel. 0161.839335.

Istituto Mater Boni Consilii: info@sodalitium.it
Casa San Pio X: info.casasanpiox@gmail.com »





Natale ? Oratorio Sant'Ambrogio ? Milano (http://www.oratoriosantambrogiombc.it/tag/natale/)
«Omelia nella festa del Santo Natale 25 Dicembre 2020.
L’Omelia tenuta da don Marco Pizzocchi venerdì 25 Dicembre 2020 – Santo Natale – è disponibile per l’ascolto ->»
http://www.oratoriosantambrogiombc.it/wp-content/uploads/2020/12/img_2711-173x300.jpg


http://www.oratoriosantambrogiombc.it/wp-content/uploads/2020/12/img_2711-173x300.jpg



Santo Natale 2020 ? Oratorio Sant'Ambrogio ? Milano (http://www.oratoriosantambrogiombc.it/2020/12/25/santo-natale-2020/)
«Santo Natale 2020 25 Dicembre 2020
L’Oratorio s. Ambrogio augura a tutti un Santo Natale 2020
O Dio che illuminasti questa santissima notte con gli splendori di Colui che è luce vera: deh! concedi; che della vera luce, di cui siamo venuti in terra a conoscere i simboli, noi possiamo in cielo goder anche le gioie. (Orazione della Messa di mezzanotte)»
http://www.oratoriosantambrogiombc.it/wp-content/uploads/2020/12/vernanativita%CC%80-768x805.jpg


http://www.oratoriosantambrogiombc.it/wp-content/uploads/2020/12/vernanativita%CC%80-768x805.jpg





Auguri e segnalazioni - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/auguri-e-segnalazioni-2/)
«Auguri e segnalazioni
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Auguri a tutti i lettori per la festa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo.
Adeste fideles in neo-aramaico assiro (Hayyo Ya Mhuyumne):
https://youtu.be/gIwPBD2KB9U
Catechismo Maggiore di San Pio X – Del santo Natale
Catechismo Maggiore di San Pio X - Del santo Natale - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/del-santo-natale/)
S. Messe natalizie dell’Istituto Mater Boni Consilii»
https://www.sodalitium.biz/messe-periodo-natalizio-italia/
http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/12/Mattia_Preti_-_Adorazione_dei_pastori_opt.jpg


http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/12/Mattia_Preti_-_Adorazione_dei_pastori_opt.jpg





La Novena di Natale - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/la-novena-natale/)
http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/12/s-l1600-1.jpg


http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/12/s-l1600-1.jpg



Editoriale di "Opportune Importune" n. 38 - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/editoriale-opportune-importune-n-38/)
"(...) L’auspicio è che, alla luce dell’eternità, nella Santa Notte di Natale rinasca l’amore per l’osservanza dei Comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa, l’unico mezzo per salvare un’umanità imbruttita e indebolita dal peccato. Il Bambin Gesù ricordi a noi e ai nostri cari che i mali più deleteri (poiché hanno conseguenze eterne) sono la perdita della fede, la pertinacia nell’errore, la condotta immorale (come le già accennate convivenze e i “matrimoni” civili), l’abbandono della preghiera, il disprezzo della mortificazione.
Ai piedi del Presepe adoriamo il Divin Salvatore e invochiamoLo, insieme alla Madonna Immacolata e san Giuseppe, per essere cristiani nella mente e nel cuore, nella vita privata come nella vita pubblica.
Regem venturum Dominum, venite adoremus.
don Ugo Carandino"
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http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/12/opportune38-copia.jpg







https://www.agerecontra.it/2020/12/sante-messe-tradizionali-non-una-cum-del-giorno-di-natale-e-auguri-a-tutti-i-nostri-lettori/
“Sante Messe tradizionali “non una cum” del giorno di Natale e Auguri a tutti i nostri lettori. 24 DICEMBRE 2020 DA STAFF "CHRISTUS REX"”
https://www.agerecontra.it/wp-content/uploads/2020/12/Auguri-di-Natale-2020.jpg
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https://www.sodalitium.biz/opportune-importune-n-38/


https://www.sodalitium.biz/novena-liturgica-s-natale/
“Novena liturgica del S. Natale (16 – 24 dicembre)”


https://www.sodalitium.biz/vigilia-di-natale/
«24 dicembre, Vigilia di Natale (digiuno e astinenza).
“Entriamo nello spirito della santa Chiesa, e prepariamoci, con tutta la gioia dei nostri cuori, ad andare incontro al Salvatore che viene a noi. Osserviamo fedelmente il digiuno che deve alleggerire i nostri corpi e facilitarci il cammino; e fin dal mattino pensiamo che non sentiremo più riposo finché non avremo visto nascere, nella ora santa, Colui che viene ad illuminare ogni creatura; perché è un dovere per ogni figlio fedele della Chiesa Cattolica, celebrare con essa questa felice Notte durante la quale, nonostante il raffreddamento della pietà, l’universo intero veglia ancora all’arrivo del suo Salvatore: ultime vestigia della pietà degli antichi giorni che si cancellerebbero solo per terribile sventura della terra” (dom Prosper Guéranger).
O Signore, che ci allieti con l’annua attesa della nostra redenzione, fa si che l’Unigenito tuo, che ora accogliamo festanti come Redentore, l’accogliamo pure con coscienza tranquilla allorchè verrà quale giudice, il Signor nostro Gesù Cristo: il quale teco vive”».
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https://www.sodalitium.biz/santo-natale/
«25 dicembre, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo.
“Nell’anno quarantesimosecondo dell’impero di Ottaviano Augusto, stando tutto il mondo in pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo colla sua piissima venuta, concepito di Spirito Santo, e decorsi nove mesi dopo la sua concezione, in Betlémme di Giuda nacque da Maria Vergine fatto uomo. Natività di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne”.
Caro Gesù, anche tu fosti un giorno bambino come noi, e ci hanno detto che amavi di avere i piccoli vicino a Te. Così noi veniamo ora, fanciulli di tutte le nazioni del mondo, ad offrirti i nostri ringraziamenti e ad elevare a Te la nostra preghiera per la pace. Tu brami di essere con noi in ogni ora e in ogni luogo; fa dunque dei nostri cuori la tua dimora, il tuo altare e il tuo trono. Fa che tutti formiamo una sola famiglia, unita sotto la tua custodia e nel tuo amore. Tieni lontano da ogni uomo, giovane o adulto, i pensieri e le opere dell’egoismo, che separano i figli del Padre celeste gli uni dagli altri e da Te. Sia a tutti la tua grazia scudo contro i nemici del Padre tuo e tuoi; perdona loro, o Signore; essi non sanno quello che fanno. Se gli uomini col tuo aiuto si ameranno l’un l’altro, vi sarà vera pace nel mondo, e noi bambini potremo vivere senza il timore degli orrori di una nuova guerra. Noi chiediamo alla tua immacolata Madre Maria, che è anche la Madre nostra, di offrire a Te questa nostra preghiera di pace. Tu allora certamente la esaudirai. Grazie, o dolce Gesù! Così sia! (Pio XII)».
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https://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/Bernardino_Campi_522M-1-205x300.jpg






https://www.radiospada.org/2018/12/miracoli-di-natale/
“La Provvidenza stabilì che il 25 dicembre si verificassero alcuni eventi fondamentali che esprimono pienamente quella verità oggi tanto dimenticata della nostra santa fede cattolica che è la regalità sociale di Gesù Cristo”
https://www.radiospada.org/2018/12/il-natale-e-la-regalita-sociale-di-cristo/

“25 dicembre 2020: Natività di Nostro Signor Gesù Cristo (Doppio di prima classe con Ottava Privilegiata di III Ordine)”.
“25 dicembre 800: San Leone III incorona Carlo Magno Imperatore dei Romani”.
“25 dicembre 496: Battesimo di Re Clodoveo a Reims per mano di San Remigio, Vescovo di Reims - il regno dei Franchi entra nel regno di Cristo”





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Santo Natale. Auguri. Preghiamo»
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Gesù Bambino, Verbo divino, Verbo incarnato, Pregate per noi che avete creato...
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
ET VERBUM CARO FACTUM EST!!!
Luca, SURSUM CORDA – HABEMUS AD DOMINUM!!!