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Visualizza Versione Completa : 25 Luglio 1943 - 25 Aprile 1945



Conterio
12-03-05, 18:00
LA RESTISTENZA !!!

25 Luglio 1943 – 25 Aprile 1945

Questo è un capitolo cruciale della Storia del nostro paese, ed i veri patrioti in questo lasso di tempo, si sono spesi, …alcuni altri invece si sono spesi in ciance !!

E così, all’alba del 26 luglio, l’italiano “tipo” era già certo di non essere mai stato un fascista, di aver dovuto sopportare, ma che ora poteva far valere le sue credenziali di Antifascista, ….. grazie al Re !
Il fior fiore dei politici Italiani della prima repubblica, corrono a frotte nel territorio libero del Regno del Sud, …. Fascisti “ri-condizionati”, o antichi antifascisti di ritorno dal confino o da potenze straniere (e nemiche), Costoro, saranno poi gli accusatori, coloro che inventeranno le colpe, le fughe, … coloro che trarranno beneficio, dalle sofferenze altrui patite !

Mentre la guerra, continua, o dopo l’8 settembre, la guerra diventa di liberazione, chi combatte veramente, sono sempre gli stessi, i soldati, ….quelli veri, non quelli del 26 aprile 45,
S.A.R. Umberto di Savoia Principe di Piemonte è uno di essi, … è al fronte, accettandone i rischi tra lo scherno degli inglesi e americani per dare all’Italia una possibilitàdi rivincita. Alla fine dovranno loro stessi ricredersi e riconoscere….

Ed i politici ?…. beh, loro dovevano litigare, inventare, fare la democrazia e….contestare il Re !

Quest’anno si celebrerà il 60° anniversario della Resistenza e della liberazione. Oltre alla personale curiosità per i colpi a sorpresa che non potranno mancare, ….qualche nuovo “partigiano”, il racconto di qualche grandiosa operazione “combattuta” o chissà cosa ancora, …. voglio ricordare con un grazie di cuore Casa Savoia per aver acceso il motore della vera riscossa nazionale, traendoci fuori da una fornace, dalla quale saremmo usciti solo in cenere….

Saluti

Conterio
14-03-05, 11:17
Umberto di Savoia nella guerra di liberazione.

Ricordiamo la partecipazione di S.A.R. Umberto di Savoia alla guerra di liberazione, mettendone in evidenza la sua frequente ed entusiasta presenza fra le truppe, di giorno e di notte, in prima linea e nelle retrovie, in momenti di calma e sotto il fuoco avversario.
Ha citato i giudizi su di lui espressi da varie personalità del tempo, tra cui in particolare il generale Clark e Winston Churchill.
Ha descritto, tra l’altro, il suo volo di ricognizione effettuato il 7 dicembre su Monte Lungo, prima del combattimento, dando lettura della motivazione con la quale il generale americano Walker, comandante le 36a divisione “Texas”, propose al generale Clark il conferimento al principe della “Silver Star”.
Vogliamo ricordare ancora, in particolare, l’aver sottolineato che il trasferimento a Brindisi, dopo l’8 settembre, di Corona e Governo, oltre ad aver garantito, come conseguenza, la continuità dello Stato, fatto ormai largamente riconosciuto, ha determinato - fatto importantissimo, ma di solito non ricordato - l’inizio della ricomposizione dello Stato.
Dalla King’s Italy, nella quale S.M. il Re esercitava la sua sovranità solo su quattro province pugliesi più Campione d’Italia, il Regno d’Italia (non è esatto chiamarlo regno del sud ), il 10 febbraio 1944 passa ad avere 23 province - come conseguenza
dell’abolizione delle stesse dell’AMGOT (Allied Military Government Occupied Territories) e poi, man mano, appena liberate, tutte le altre.
Nel 1945, il 2 maggio - e non il 25 aprile - a fine guerra l’Italia si trovava di nuovo unita [salvo le province orientali giuliane e dalmate .
Regno d’Italia, mediante progressiva abolizione dell’AMGOT, avrebbe potuto addirittura avere luogo fin dal 1° novembre 1943, cioè appena 53 giorni dopo l’8 settembre, ma il risentimento Americano ed Inglese, ebbe inizialmente ragione.

Saluti

Conterio
21-03-05, 23:00
Prima che si scateni, la solità manfrina rebubblican-comunista, circa l'8 settembre in occasione del 60° anniversario della liberazione, ... è bene ricordare quanto segue :

S.M. il Re Vittorio Emanuele III di Savoia non aveva altra scelta che l'abbandono di Roma. L’annuncio dell’Armistizio, dato in anticipo dagli Anglo Americani rispetto agli accordi di Cassibile infatti aveva sconvolto ogni piano. Rimanendo Egli nella capitale, già dichiarata unilateralmente "città aperta", si sarebbe combattuto casa per casa, strada per strada, con la conseguente distruzione di molti quartieri ed una strage di immani proporzioni.
E' noto che Papa Pio XII non voleva combattimenti nella capitale e che una cattura del Re e del Principe Ereditario Umberto da parte dei tedeschi avrebbe comportato la vanificazione dell'armistizio, la mancanza di un interlocutore e di un garante istituzionale, il Re.
Con gli Anglo Americani, l'assenza di un governo legittimo e di un legittimo Capo dello Stato, avrebbe comportato inoltre, l'impossibilità della cobelligeranza contro i tedeschi.
L'Italia sarebbe divenuta in quel modo una immensa Repubblica di Salò, con l'addio alla legittimità della resistenza militare e civile e l'inutilità del giuramento al Re.
Il Re, a differenza di tanti governi (Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, ecc.) non su trasferì all'estero, ma rimase sul territorio nazionale e scelse Brindisi non occupata da truppe tedesche, ne da quelle Anglo Americane.
Da Brindisi l'Italia poté, nonostante mille difficoltà (anche imposte e create dagli stessi Anglo Americani) risalire la china e contribuì nonostante tutto alla vittoria finale contro il nazismo.
La "storia" della fuga del Re quindi, non è altro che un’invenzione della propaganda nazista e della repubblica di Salò in prima battuta, …poi ripresa nel dopoguerra dalle forze politiche opposte all’Istituto Monarchico. In tutti questi anni di repubblica la tesi del tutto falsa ed artificiosa ha continuato ad essere sostenuta con colpevole contributo di tutte le forze che si definiscono “democratiche” ed antifasciste della Resistenza.
S.M. il Re Vittorio Emanuele III di Savoia, evitando di fatto la distruzione di Roma meriterebbe, come avvenne per Pio XII, la definizione di "defensor urbis", o meglio, di "salvatore di Roma".
I romani non lo dimenticarono il 2 giugno 1946 quando, al referendum, la Capitale diede la maggioranza alla Monarchia.
A titolo di Esempio, ricordiamo che Stalin, all'avvicinarsi dei tedeschi a Mosca, si rifugiò con il governo sovietico a Sweldrowsk, negli Urali.
Il Re Leopoldo III del Belgio, che volle condividere le sorti del suo popolo rimanendo a Bruxelles, rifiutando di fuggire in Canada con il governo socialista, alla fine della guerra dovette comunque abdicare.
In Gran Bretagna era già previsto, in caso di sbarco tedesco, che il Re ed il Governo si sarebbero trasferiti in Canada o in Australia.
Re e Governo della Grecia si erano trasferiti in Sud Africa, ed il governo francese di Petain, accettando l'armistizio tedesco, divenne di fatto ostaggio nelle mani dei nazisti, mentre De Gaulle creò il "Governo della Francia libera" all'estero.
Alle diverse correnti politiche italiane, ma soprattutto alla classe politica della prima repubblica, questa realtà non piace, ...ma facendo una riflessione, a posteriori, dalla cinica pratica si può vedere come fra i grandi Paesi usciti dal secondo conflitto mondiale, l'Italia è quello che ha avuto un bassissimo numero di vittime civili e militari, rispetto alla Russia, Germania, Francia, Inghilterra e Giappone. La Germania ebbe 19 milioni di morti, la Russia quasi 30 milioni … l’Italia, fra civili e militari, non più di 350 mila.

Un grazie di cuore quindi a Casa Savoia

Saluti

Conterio
29-03-05, 21:29
Le quattro giornate di Napoli (27 settembre - 30 settembre 1943) anticiparono di quasi due anni la liberazione del Nord (Ad opera degli Angloamericani, che scacciarono dei Tedeschi in fuga).
Al contrario a Napoli, la gente stessa, (non i :lol partigaini rossi) scacciarono i Tedeschi raccogliendo la sfida lanciata dal Regno del Sud, per la Liberazione dell'Italia.

A posteriori, qualche oscuro personaggio comunista, come il Senatore Maurizio Valenti, arrivò a dire "Cacciammo i tedeschi. Molti di noi morirono. E il Partito Comunista partecipò alla rivolta e la coordino"

Ma si può essere più ipocriti !!!!

Corriere del Mezzogiorno 2003, in occasione del sessantenario delle Quattro giornate Napoletane : " Uno dei Leader del Partito Comunista, Mario Palermo, aveva abbandonato Napoli il 26 settembre, per tornarci il 2 Ottobre" ...... !!!! :lol :lol :lol

Saluti

Conterio
15-04-05, 15:54
CEFALONIA, due puntate per far conoscere gli Italiani che "combatterono davvero " per la liberazione...
L'occasione di divulgare verità è stata persa... ?

Nooooo

Al contrario, non è stata persa l'occasione (e basta) per l'ideale "pronto repubblica", ed è stato ancora una volta confermato, facendo passare quei 9000 e più militari fedeli al Re e all'Italia quasi come imbecilli, che si immolarono per un vigliacco !!

Che schifo !!

Ma possibile dover rimarcare sempre simili falsità ?

Posso immaginare ciò che dovremmo sopportare dal 2006 in avanti, quando i post assassini togliattiani di sinistra riprenderanno pieno potere dei mezzi mediatici (mai del tutto perso) ....

AVANTI COSSUTTA !!!!

FedericoAmMI
15-04-05, 17:15
Spero che i "compagni" ed i "camerati" leggano questo post, finalmente capendo che non ci sono stati Re traditori.

Conterio
18-04-05, 17:03
:lol

Sabato su Rai 3 piemonte, è stato annunciato che il sig. ciampi, elargira una medaglia d'oro per la resistenza alla Regione Piemonte, nel corso delle celebrazioni per il 60 ° anniversario della liberazione..

Complimenti !! Ma quante medaglie ancora dovremo vedere prima di dover dire BASTA, o dire FINITO, il negozio è chiuso ?

Possibile che dopo 60 anni di clientelismo "comunista", ci sia ancora bisogno di ravvivare la fiamma regalando medaglie a destra e a sinistra ? Ma quanti Eroi del giorno dopo, dovremo ancora premiare, per essere scappati in montagna ???

Sarebbe come proporre oggi, una medaglia d'oro per la battaglia dell'Assietta, o una medaglia d'oro agli eredi di Scipione l'Africano, per la performance del loro augusto genitore !!

Possibile che invece di cercare un colloquio serio con tutte le forze che parteciparono attivamente alla VERA resistenza, si debba continuare ad insultare con queste commedie del falso, coloro che davvero combatterono.

Perchè non una medaglia oggi, per ricordare i 400 morti di Montelungo nel 1944 contro i tedeschi ?

Perchè non una medaglia per ricordare gli aviatori della RSI impegnati a difendere le nostre città, dagli assassini angloamericani (che dio li maledica sempre) ?

Perche non una medaglia per ricordare i civili morti, per mano dei Partigiani rossi, dopo l'Aprile del 1945 ?

Perchè non una medaglia per gli esuli istriani scampati alle Foibe ?

Perchè ??

Saluti

Conterio
21-04-05, 14:24
Le giornate della Memoria, del ricordo... del non so cos'altro...tutte cazzate !

Scusate lo sfogo...

L'unica evidenza, è che anche quest'anno, nessun ricordo, nessuna trasmissine, nessuna parola per S.A.R. la Principessa Mafalda di Savoia...

Ed allora ricordiamola almeno noi !!

IL LAGER DI MAFALDA

Tragedia di una principessa: da Roma a Buchenwald

Mafalda di Savoia è la secondogenita di Elena e Vittorio Emanuele. Caratterialmente è la più allegra tra i fratelli, tanto che la regina è solita dire che Mafalda è l'unica che riesca a far ridere il re.

Il 23 settembre del 1925 Mafalda sposa il principe tedesco Filippo d'Assia, al quale darà quattro figli. Mafalda ha uno spirito sensibile e nutre un affetto grandissimo nei confronti dei fratelli. Infatti sul finire dell'agosto del 1943 parte per Sofia desiderando di assistere la sorella Giovanna il cui marito, re Boris di Bulgaria, è gravemente malato.
Ancora in viaggio Mafalda viene informata della morte del cognato: ragione di più per raggiungere la sorella e sostenerla. Mafalda, quindi, si trova in Bulgaria quando apprende la notizia della firma dell'armistizio.
Nei fatti, al momento della sua partenza da Roma, la situazione politica e militare italiana è delicata, ma nessuno della famiglia l'ha messa al corrente e avvisata degli effettivi pericoli; il re non le ha parlato delle trattative in corso per l'armistizio, forse per il timore che Mafalda possa informarne il marito, Filippo, il quale è agli ordini del Führer nel suo quartier generale. Subito dopo i funerali, Mafalda decide di lasciare Sofia e rientrare a Roma; a Pescara viene a sapere che i genitori e il fratello Umberto sono salpati da Ortona, senza informarla. Mafalda prosegue il viaggio verso Roma, ormai occupata dai tedeschi; i suoi figli sono nella capitale e Mafalda non può abbandonarli (in realtà per disposizione della regina Elena, tre dei suoi quattro figli sono stati condotti in Vaticano).

Una volta a Roma, la principessa incontra i figli e dà notizia del suo arrivo all'ambasciata tedesca. Mafalda è sicura di poter contare sull'assistenza dell' ambasciata perché è cittadina tedesca: infatti per aver sposato Filippo lei è langravia d'Assia. Questa circostanza, invece, volge a suo sfavore. Il colonnello Kappler attira Mafalda, il 22 settembre, in ambasciata con la scusa di una telefonata del marito Filippo. Una volta giunta, Kappler la fa arrestare. L'arresto di Mafalda è un gesto di ritorsione da parte di Hitler: il führer è stato tradito dai reali che hanno firmato l'armistizio e sono fuggiti al sud (solo qualche giorno prima della firma, Vittorio Emanuele assicurava la sua determinazione a mantenere unito l'asse Roma-Berlino).

Mafalda viene prima portata a Monaco, poi a Berlino e, infine, deportata nel lager di Buchenwald. Anche il marito, Filippo, viene arrestato.
In realtà Filippo già da tempo è ostaggio del comando che ha sede nel bunker di Rastenburg: viene prima deportato nel lager di Flossenborg, poi in quello di Dachau.

Nel campo di concentramento le viene riconosciuto un particolare riguardo: Mafalda occupa, insieme ad un ex-ministro socialdemocratico, una baracca ai margini del campo; il vitto è lo stesso rancio delle SS, più abbondante e di migliore qualità rispetto a quello degli internati. Non può però mantenere il suo nome, gliene viene imposto uno falso: Frau von Weber.

Il campo di Buchenwald subisce un solo bombardamento: il 24 agosto 1944. La baracca occupata dalla principessa viene colpita, trasformandosi in un braciere. I soccorsi non sono solleciti; quando la principessa viene estratta dalle macerie ha una scottatura sulla guancia e sul braccio sinistro, che è completamente paralizzato da una ischemia. La prima medicazione è una semplice fasciatura. Dopo quattro giorni Mafalda è grave e i medici delle SS decidono di operarla: il chirurgo esegue una minuziosa operazione avvalendosi di una anestesia generale. Mafalda è troppo debole per sostenere un tale tipo di anestesia e una perdita di sangue così forte.

L'opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, è che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo e con procedura, in sé impeccabile, ma assolutamente ingiustificabile, per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni esageratamente lunghe era già stato applicato a Buchenwald, ed eseguito sempre dalle SS su altre personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.

Nel post-operatorio le cure e il controllo sono quasi nulli; Mafalda muore dopo poche ore dall'intervento. Per intercessione di Padre Tyl, viene seppellita a Weimar, nel reparto d'onore riservato ai morti per cause di guerra. Nel registro, Mafalda, viene annotata come "donna sconosciuta".
www.grandinotizie.it/dossier/005/fatti_perche/018.htm

Quell'incontro con Mafalda

Giovanni Colone, l'ultimo a vedere viva la principessa

Roccavivi (L'Aquila).
"Aveva indosso una vestaglia bianca allacciata alla vita con una cintura, dove era appeso un barattolo per il cibo. Sulla fronte aveva una fascia bianca.
Era alta circa un metro e sessanta.
Aveva le scarpe molto rovinate".
E' questa l'immagine della principessa Mafalda di Savoia che è rimasta stampata nella mente di Giovanni Colone, l'agricoltore morto a Roccavivi, suo paese natale, all'età di 95 anni.
Giovanni incontrò la principessa il 28 aprile 1944, alle 9 del mattino, nel campo di concentramento di Buchenwald (Weimer), dove la donna era stata deportata. Fu probabilmente l'ultimo italiano a vederla viva.

- Quella domenica mattina - racconta Giovanni al nipote Severino Colone, al quale l'anziano agricoltore ha consegnato l'emozionante racconto - ci mandarono a prendere della legna per fare alcuni lavori. Eravamo tre, tutti italiani. Ad un certo punto arrivarono migliaia di prigionieri (circa 40 mila) quasi tutti ebrei. Questi provenivano da Budapest ed erano diretti ad un altro campo di concentramento. Erano disposti su più file e i tedeschi li circondavano con i mitra spianati. Intorno alla terza fila notai una ragazza che mi guardava attentamente, probabilmente perchè, come tutti gli italiani, avevo una grossa "I" sulla gamba.
- Sei italiano, tu ? - mi chiese.
- Sì, lo sono - risposi io, e lei mi disse:
- Io sono Mafalda di Savoia. - Poi non poté più continuare, perché i tedeschi la minacciarono. - Quello che mi rimase più impresso è che mi chiese erba da mangiare, portandosi la mano alla bocca. -

Mafalda di Savoia era la secondogenita di Vittorio Emanuele III. Nel 1925 sposò il principe tedesco Filippo d'Assia. Nel 1943, dopo la firma dell'armistizio, i tedeschi organizzarono l'arresto di tutti i Savoia. Mentre il Re riuscì a spostarsi a Brindisi, altri componenti della dinastia, fra cui Mafalda, non riuscirono a salvarsi. Anche il marito della principessa fu catturato. I loro figli, invece, rimasero nascosti in Vaticano.
Mafalda venne trasferita prima a Monaco, poi a Berlino e infine nel lager di Buchenwald , dove morì 42 enne, nell'agosto del 1944.
E' qui che Giovanni Colone la incontrò.
Giovanni visse l'esperienza dei campi di concentramento. Alla fine della guerra tornò alla sua attività di agricoltore, e nel suo gregge ebbe sempre una pecorella di nome Mafalda, in ricordo della principessa.

Ora che è morto anche questo "Signore" (nel senso più meritevole del termine), stà a noi non dimenticare !!

Saluti

Fante d'Italia
21-04-05, 15:36
Grazie, ineguagliabile Conterio!

Conterio
22-04-05, 13:52
Avevo già previsto, qualche colpo basso dei soliti buontemponi dell'ANPI,...infatti !!

Per lunedì 25, è prevista per la mia provincia (Biella), un folto programmino di feste e festini per la data della "discordia".
Premesso questo, comunico che il piatto forte quest'anno, saranno i premi per le "Staffette" partigiane ....

Cosa sono le Staffette ?

Dicesi Staffetta Partigiana, colui, che convinto dal partito a mentire, dichiara che all'età di 9 - 12 anni, invece di giocare spensieratamente, si "arruolo" volontario nelle "brigate" partigiane, per essere eroicamente impiegato nel trasferire ordini scritti, da un reparto all'altro !

Ma si può essere più ipocriti degli ipocriti ?

Dimostrzione della necessità di questa eresia :

Anche i partigiani invecchiano, (grazie a Dio), e non per augurare del male, ma solo per constatare una realtà !
I pochi partigiani rimasti ormai si contano su poche mani... di questi, quelli "credibili", che erano già pochissimi il 26 aprile 1945, si sono praticamente estinti, e allora, per promuovere la campagna tesseramento all'ANPI, con le forze fresche della CGIL, occorre un richiamo d'epoca... Quindi avanti con i bambini del 1945.

Perplessità :

Ma, ...tra qualche anno, ci sarà dato di vedere dei sessantenni premiati, perchè concepiti durante una gloriosa azione di guerra partigiana ???

Mah.....

Conterio
27-04-05, 14:03
LA POLEMICA. CERIMONIA IN RICORDO DEL COMANDANTE FRANCHI

«Si fa presto a parlare di memoria condivisa: la auspichiamo anche noi. Ma perchè Prodi non è qui oggi? Dove sono finiti il Comune, la Provincia, la Regione?».
Via Donati 29, ore 10,30, davanti alla casa in cui è nato e vissuto Edgardo Sogno: «Leggendario comandante della “Franchi” e coraggioso alfiere della monarchia - ricorda la lapide -, medaglia d’oro al valor militare, ambasciatore, scrittore, statista, apostolo strenuo della libertà».
Più o meno nella stessa ora in cui Silvio Berlusconi e Romano Prodi si stringono la mano nel cortile del Quirinale, il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi gioca in attacco. Eletto presidente onorario del «Comitato Sogno» dopo la scomparsa della signora Anna, richiama a suo modo l’attenzione sul significato della Festa della Liberazione.
Le premesse erano contenute nel comunicato sul 25 aprile prodotto dal Comitato presieduto da Francesco Forte, ricorrenza «da intendersi come tappa della Storia Patria comune a tutti gli italiani e, a nostro giudizio, per troppo tempo svilita ad essere ostaggio di una sola parte politica».
Il Comitato chiede anche a Torino l’intitolazione di una via alla controversa memoria del partigiano, sul modello di quanto accaduto a Varese nell’ottobre del 2004. Richiesta finora rispedita al mittente. Bondi non si tira indietro. «Prodi dice che noi non ci riconosciamo nella Festa della Liberazione, ma perchè non è qui con noi? - esordisce -. Non vedo nemmeno le autorità cittadine. Forse sono loro a non voler celebrare il 25 aprile. Sono loro a non riconoscersi nel significato supremo della Liberazione». Presente Sofia Sogno, figlia di Edgardo. Presente Pierangelo Berlinguer, presidente del Circolo Cavour di Varese. Presenti Maria Giulia Cardini e Piero Stroppiana, partigiani della «Franchi».
Per Forza Italia ci sono Paolo Chiavarino, capogruppo in Comune, e l’ex-consigliere regionale Gigi Marengo. Poco dopo arriva l’ex-assessore Giampiero Leo. A sorpresa ecco comparire Silvio Viale per i Radicali. Tutti gli sguardi sono per Bondi. Definisce Sogno «un eroe scomodo, inattuale, un eroe vero fra tanti eroi fasulli, un uomo che amava la libertà e combatteva ogni forma di totalitarismo». Per questo, conclude, «il comunismo fu per lui il male assoluto, senza se e senza ma».
Applausi e sventolare di bandiere con lo stemma sabaudo. Quanto basta ad introdurre l’ultima stoccata: «Anche quest’anno la sinistra ha piegato la Festa della Liberazione assumendo una posizione di parte. La loro parola d’ordine è “difendere la Costituzione dalla riforma di Governo”. Falso: le nostre riforme corrispondono allo spirito della Costituzione e alle speranze di rinnovamento che la fecero nascere. Anche nel nome di eroi come Edgardo Sogno». Alle sue spalle una targa in memoria di Sogno (1915-2000) pronta per l’uso, affiancata dalla scritta: «Torino quando?».
Subito sotto, la foto dell’intitolazione della via di Varese alla memoria dell’ex- partigiano. «Quella di oggi è una giornata molto bella», commenta Sofia Sogno. «Come potrei non essere favorevole all’intitolazione di una strada a mio padre? - spiega con garbo -. Guai alle censure, di qualsiasi tipo: il diritto di giudicare deve andare di pari passo con la libertà di espressione». I presenti annuiscono. Qualcuno fa notare l’assenza di Enzo Ghigo, presidente uscente della Regione ma formalmente ancora in carica. C’è persino chi propone di occupare il Consiglio comunale quando la proposta del Comitato verrà ripresentata: «Se Sogno ha avuto il coraggio di sfidare il mondo noi dobbiamo avere almeno quello di sfidare Chiamparino».

La Stampa 25 4 2005

Memoria Condivisa ....
:lol :lol :lol :lol

Cipriano (POL)
27-04-05, 15:31
Hanno dimenticato quelli del TG1 chi era Capo dello Stato nel 1945?

Hanno dimenticato che una parte dell'antifascismo era comunista, di conseguenza NON -DEMOCRATICA?

Lottavano contro i tedeschi gli italiani o anche per la Repubblica?

FedericoAmMI
01-05-05, 21:17
Sono appena tornato da un breve week-end fuori porta, più precisamente a Merano (Alto Adige).
Ed anche qui ho avuto modo di scontarmi con un episodio che mi ha sinceramente lasciato esterrefatto e fatto riflettere nuovamente su come la propaganda del dopoguerra abbia fatto il lavaggio del cervello agli italiani.

Ieri mattina, ho camminato in compagnia per un'oretta fino ad arrivare ad un alpeggio piuttosto grande, che contava 20 case ormai cadenti. Uno della combriccola, del posto, ci ha detto: "Vedete? Qui sono arrivati i partigiani nel luglio del 1944 e hanno ammazzato tutti gli abitanti di questo alpeggio che si trovavano su a pascolare le bestie"...e per che cosa? Per rubare le vacche!
Un altro esempio di come la cosidetta resistenza non sia stata affatto immacolata, ma protagonista di molti episodi di sangue paragonabili alla barbarie nazi-fascista!

Conterio
02-05-05, 15:39
Un episodio, che ho rintracciato su Internet, ma si addice al tuo racconto Federico...

La presenza dei partigiani di Giuseppe Marozin e i fatti accaduti nella zona di Azzarino, a Velo Veronese, tra il luglio e il settembre del 1944.
Alessandro Anderloni

Premessa

I partigiani sono arrivati per la prima volta in Azzarino il 13 luglio 1944.» In questa affermazione perentoria di una persona che nel 1944 aveva 15 anni e che viveva in Azzarino, in contrada Battìstari, c'è la chiave di lettura di questa ricerca. «Sono sicuro. E stato quel giorno lì e basta.» Sono parole né confermatali né smentibili. Tutti i testimoni intervistati concordano nel dire che i partigiani della Divisione Vicenza, poi Divisione Pasubio, comandata da Giuseppe Marozin, nome di battaglia Vero, giunsero per la prima volta nella zona di Azzarino agli inizi del luglio 1944, ma nessuno, tranne uno, ne ricorda il giorno.
Ciò che si racconta in questo articolo è frutto di una ricerca che si basa quasi esclusivamente su fonti orali. Esse sono le uniche utilizzabili per ricostruire quanto accadde nell'estate del 1944 tra le contrade sparse sui dossi di prati e tra i radi boschi di faggio della zona a nord di Velo Veronese, dietro il Monte Purga, nel lembo di terra delimitato a est dalla strada che unisce Velo Veronese a Camposilvano e, a ovest, dalla porzione del versante orografico destro della Valle di Illasi che va da Giazza a Selva di Progno, sui Monti Lessini Veronesi. Tre circostanze rendono credibile ciò che si narra in questa ricerca. La prima: aver intervistato e confrontato tra di loro le testimonianze di quasi tutti coloro che sono ancora in vita, che nel 1944 vivevano nella zona di Azzarino e che avevano un'età da potersi ricordare quanto accadde. La seconda: aver raccolto decine di altre testimonianze di persone di Velo Veronese che, pur non avendoli vissuti, quei fatti li hanno sentiti narrare e li riportano molto puntualmente. La terza: conoscere personalmente tutte le persone intervistate e conoscere perfettamente i luoghi nei quali avvennero i fatti, appartenendo quelle persone e quei luoghi al paese nel quale chi scrive è nato e vive.
Alle fonti orali si aggiungono tre documenti, gli unici che si riferiscono nello specifico a quanto accadde nell'estate del 1944 in Azzarino. In essi sono contenute poche notizie che però avvalorano ciò che riportano le fonti orali. Due di essi sono stati pubblicati dalla parrocchia di Velo Veronese e redatti da don Marcellino Orlandi che fu parroco di Velo Veronese dal 1939 al 1949. Si tratta del periodico mensile Pace a questa famiglia n. 8 dell'agosto 1945 e del fascicolo patronato caduti di Velo Veronese pubblicato nel 1948 in occasione dell'inaugurazione dell'edificio parrocchiale costruito dalla gente di Velo Veronese in onore ai caduti di tutte le guerre.
Il terzo documento è il quaderno sul quale don Giuseppe Padovani, parroco di Selva di Progno per 36 annni, dal 1937 al 1973, annotò quanto accadde nel territorio della sua parrocchia, e nelle zone circostanti, tra l'8 settembre 1943 e la fine di settembre 1944. Tale diario, conservato nell'Archivio della Curia di Verona, è intitolato Memorie di guerra di Selva di Progno 8 settembre 1943 — maggio 1945 e riporta anche alcuni cenni relativi a Velo Veronese.
Il racconto che segue è desunto dalle testimonianze orali e dai documenti sopra citati. I fatti riportati sono quelli sulla cui veridicità concordano più testimoni. Le frasi virgolettate sono autentiche, così come sono state riferite, traducendole dal dialetto parlato da tutti gli intervistati. Delle singole testimonianze si è preferito non citare i nomi delle fonti. L'elenco degli informatori è pubblicato in calce a questo articolo.

I puntata ...

Conterio
02-05-05, 15:40
Quando arrivarono i partigiani

I partigiani giunsero in Azzarino nelle prime settimane del luglio 1944. «Era il tempo del fieno, sono sicuro, e a quell'epoca non si iniziava mai a tagliare il fieno prima di luglio», racconta un testimone di contrada Tece. Don Marcellino Orlandi, nel fascicolo patronato caduti di Velo Veronese, scrive: «Operò qui la brigata Marozin (Vero) che nel luglio 1944 per 10 giorni esercitò diritti sovrani su tutto il comune». È possibile che alcuni nuclei dei partigiani che avevano operato prevalentemente nelle Valli del Chiampo e dell'Agno fossero stati costretti a fuggire da quei luoghi dopo il rastrellamento tedesco del 5 luglio 1944 e che fossero giunti a rifugiarsi in Azzarino.
Qualche testimone sostiene di aver notato «movimento» di partigiani anche nei mesi precedenti, durante la primavera del 1944. Forse qualcuno stava perlustrando la zona in vista di un futuro insediamento? Don Padovani, nel suo diario, scrive, riferendosi al marzo del 1944: «I partigiani intanto si organizzano: i tedeschi ed i fascisti cominciano ad avere qualche preoccupazione. In canonica incominciano gli incontri e gli approcci. E Elio Bonamini sale frequente da Verona: si ragiona, si discute, quindi egli sale più in alto; sembra che a Velo stia organizzando un battaglione».
Ma non si hanno notizie più precise.
Azzarino è una zona ideale per l'insediamento di chi volesse nascondersi e riuscire a fuggire agevolmente. Si estende in una conca di dossi e di piccoli boschi le cui vie d'accesso sono facilmente controllabili. Le contrade, i fienili isolati, le baite, le grotte e i boschi garantiscono nascondigli sicuri. I pascoli alti, a nord, e i versanti boscosi della Valle di Illasi, a ovest, costituiscono delle vie di fuga ideali per far perdere in fretta le proprie tracce.
Con ogni probabilità per raggiungere Azzarino i partigiani risalirono il sentiero che da Selva di Progno, cingendo il Monte Sabbionara, sbuca tra le contrade Pozze e Cóvel. La contrada Pozze sembra sia stata la prima ad essere visitata. Da qui i partigiani raggiunsero le altre contrade della zona: Battìstari,Tece, Bertin, Ciarensi, Foi, Riva, Campe, Cóvel. Tutte le contrade vennero visitate, perquisite e pattugliate, quindi i partigiani ne scelsero alcune nelle quali stabilirsi. Una delle prime fu contrada Foi. «Vennero qui in contrada. Avevano un foglio con scritto il nome di Cipriano Bertoldi e Tullio Corradi. Dicevano che erano fascisti e quindi loro avrebbero preso in consegna e soggiornato nelle case dei fascisti. Mio nonno aveva la tessera del Fascio, ma non era mica un fascista come intendevano loro...» raccontano due testimoni di contrada Foi, tra i quali un ragazzo che abitava nella casa che venne presa in consegna dallo stesso Marozin, per farne la sua sporadica residenza: «Si sono sistemati ai Foi, saranno stati in 15. Marozin scelse una camera di casa mia e qui dormiva con la sua donna». Altri si sistemarono nei fienili e nelle stalle delle contrade intorno, Pozze, Cóvel, Campe e Riva. In contrada Riva due partigiani entrarono in una casa e trovarono due bambine alle quali dissero: «Noi saremo i vostri liberatori, però non dite a nessuno che siamo qui». Se ne andarono, quando ritornarono, pochi giorni dopo, dissero alla mamma: «Per un po' di giorni staremo qui. Adesso la casa serve a noi». Un'altra volta nella stessa casa si presentò lo stesso Marozin e chiese quanti letti liberi ci fossero. «Nemmeno uno», ri spose la signora. «Allora per questa notte mi darà il suo», disse il "comandante" e si sistemò in camera, lui e la Vera, «è la mia segretaria» aveva detto agli abitanti di quella casa.
I partigiani stabilirono il loro quartier generale in contrada Riva. Lì avevano trovato e requisito una radio che ascoltavano in una stalla, durante le loro riunioni segrete. «Lì c'era il loro macello», racconta un testimone riferendosi al luogo dove avrebbero eseguito le condanne a morte.
Chi erano?
«I partigiani.» La gente li identificò così, senza altre sfumature, e identificò il loro capo in Giuseppe Marozin: «Lo chiamavano Vero o Comandante e, ogni volta che lui parlava, bisognava rispondere: "Sì, signor". Aveva un cappello in testa con una scritta bianca: "Detto Marozin", c'era scritto».
La gente ricorda altri nomi, la maggior parte dei quali sono quelli che annotò don Marcellino Orlandi: «Tigre, Leopardo, Zambo,Vespa, Amieto, Tempesta,Ventin, Luna,Vipera, Pepe, Belva, Mascot ecc». Ma si ricordano anche Tenore, Brespa, Leonessa, Pulcino. C'erano anche delle donne. Certamente Vera, la moglie di Marozin, e altre, non sempre le stesse, che non soggiornavano stabilmente in Azzarino e sui nomi delle quali non ci sono ricordi precisi.
Luigi Intelvi, detto Tigre, era un altro dei "capi" o almeno uno di quelli a cui la gente aveva attribuito tale autorità. È probabile che Marozin risiedesse saltuariamente in quella zona e che il battaglione di stanza in Azzanno, in assenza di Vero, fosse comandato da Tigre. Don Giuseppe Padovani, nel suo diario, riportando la cattura di tre fascisti avvenuta a Bosco Chiesanuova nella notte tra il 4 e il 5 settembre 1944, scrive: «II mattino di quel giorno erano stati prelevati dalla pattuglia di Tigre, di stanza a Velo Veronese».
I partigiani appartenevano alla brigata autonoma Vicenza, costituitasi nella primavera del 1944 nell'alta Valle del Chiampo. Le vicende che portarono alle prese di distanza e infine alle condanne di Marozin e delle azioni da lui compiute da parte del Comitato di liberazione nazionale di Vicenza e del Veneto, del Comitato volontari della libertà Veneto e del Comando Militare Regionale Veneto sono state variamente indagate e non sono oggetto di questa ricerca. In Azzarino, e precisamente in contrada Cóvel, nella notte tra il 4 e il 5 agosto 1944 si svolse l'importante incontro tra Giuseppe Marozin e Carlo Perucci, comandante della Missione Militare Rye, organismo della Resistenza veronese alla dipendenza dello stato maggiore del governo italiano.
L'incontro fu auspicato e preparato da don Giuseppe Padovani e da Bruno Cappelletti di Selva di Progno, nell'intento di porre freno alle azioni sconsiderate che Marozin e i suoi compagni stavano compiendo in quei giorni nell'alta Valle di Illasi. In seguito a tale incontro la brigata Vicenza assunse il nome di Divisione Patrioti Pasubio ed entrò a far parte del Movimento Armato di Liberazione dipendente dal comando supremo dell'esercito.

II Puntata ....

Conterio
02-05-05, 15:41
La legge del pretendere e del rubare

«Pretendevano.» «Non ho mai sentito dire grazie.» «Rubavano.» «Mangiavano tutta roba che avevano rubato.» «Loro avevano di tutto e noi li guardavamo mangiare.» «Per gli altri non ce n'era, per loro ce n'era.» «Erano padroni loro perché avevano le armi in mano.» «Hanno fatto disastri.» «Hanno fatto solo del male, di bene non hanno fatto proprio niente.» «Ne hanno combinate di tutti i colori.» «Che bestie! Mamma che bestie!»
Sono alcune delle frasi ricorrenti tra gli intervistati. Il comportamento dei partigiani che soggiornarono in Azzarino nei confronti della popolazione civile fu deplorevole. In ogni contrada, in ogni casa, in ogni famiglia ci sonò dei fatti che si sono impressi, indelebili, nella memoria di chi li ha vissuti. Eccone alcuni.
«Mia mamma aveva cotto due tre patate e avevamo inziato a mangiarle. È entrato un partigiano e ci ha ordinato di dargliele. Mio papa ha detto: "Aspetti un attimo" e lui: "Dammele subito altrimenti ti metto al muro".»
«Venivano a prendere mia mamma per farle fare le tagliatelle. Una volta le hanno fatto impastare 29 uova. Hanno cotto le tagliatelle e le hanno condite con il ragù di una vacca che avevano ammazzato. Mia mamma l'hanno mandata a casa senza dargliene nemmeno un piatto.»
«Ai Foi c'era un fornello e un grande paiuolo di rame pieno di carne e di uova. Le loro donne facevano da mangiare, o facevano fare da mangiare a noi, poi loro banchettavano in mezzo alla contrada e noi guardavamo.»
«Dietro la contrada Battistari mettevano a bollire di quelle pentole di burro... Sono arrivati con una manza, l'hanno ammazzata in qualche maniera. Non erano capaci di farla morire. Giravano l'ascia nel taglio che avevano fatto. Ne hanno combinate, prima di riuscire ad ammazzarla...»

«Ero a malga Sengio Rosso. Sono arrivati e si sono portati via tutto il burro. Uno dei malgari ne aveva tagliato un pezzetto per portarselo a casa. Si prese tante di quelle sberle... Un'altra volta si portarono via 27 vacche in un giorno solo: 10 da malga Campégno, 10 da malga Badèrna e 7 da malga San Giorgio. Le portarono a Campobrun, dove avevano una loro base.»
Uno dei fatti più tristi capitò a Idelma, una ragazza che si trovava in casa della zia, in contrada Laste. Quando i partigiani le chiesero di cucinare per loro, lei rispose: «Piuttosto che fare da mangiare a voi, mi butto da un burrone». La presero, la portarono prima in contrada Tece e poi in contrada Foi dove la costrinsero a fare da mangiare. Poi la rinchiusero per un giorno, forse due, in un fienile. «Andavano giù a turno», raccontano i testimoni, ed è facile intuire cosa andassero a fare nel fienile con la ragazza. La zia implorava che la liberassero. Portò ai partigiani due galline, dicendo: «Vi prego! Datemi la ragazza!». Infine la liberarono. Idelma se ne andò da Velo e non ci tornò mai più, nemmeno dopo la guerra.
«Per 10 giorni esercitò diritti sovrani su tutto il comune», scriveva il parroco di Velo Veronese riguardo alla presenza di Marozin in paese. E significativo che don Orlandi abbia scritto «tutto il comune». Infatti, benché i partigiani risiedessero nella zona di Azzarino, la loro presenza fu ben presto nota m tutto il paese, soprattutto nel centro di Velo, dove andavano a rifornirsi.
«A noi bambine davano un biglietto e ci mandavano a Velo a prendere le sigarette. Non pagavano mai.»
«Una volta sono andati ai Ciarensi e hanno requisito il cavallo e il carretto. Sono partiti alla carica e sono andati aVelo. Si sono fatti dare di tutto: pastasciutta, farina, zucchero... Poi sono tornati di corsa, col carretto carico. Il cavallo era stremato, con la bava alla boccca, con sudore e schiuma bianca sotto la sella. Quando le bambine videro in che condizioni era scoppiarono a piangere.»
«Vennero a prendersi una damigiana di vino a casa nostra. Tornando in Azzarino, mezzi ubriachi, la ruppero e così vennero a prendersene un'altra.»
Non che la gente subisse sempre senza ribellarsi, anche se non era facile contraddire chi dava ordini puntando il fucile. Erano soprattutto le donne a farsi valere, anche perché di uomini, esclusi gli anziani, ce n'erano pochi, chi sul fronte, chi nascosto per non farsi arruolare o catturare. Ancora oggi, dopo 50 anni, si racconta di quando i partigiani ordinarono per l'ennesima volta a quella signora di sbattere le uova. Lei gliele sbattè nel catino dove il nonno si era appena lavato i piedi. E di quella donna che, ormai esasperata, li vide entrare in casa con alcune galline e gliele ributtò nella corte urlando: «Basta! Sono stufa! Non voglio più vedervi!». Uno dei partigiani le puntò la pistola, dicendo: «Signora, il primo colpo è suo». Era una che non si faceva intimidire.
Una volta che le ordinarono l'altolà, rispose: «Cosa volete darmi l'altolà? Non vedete che sono una povera donna che prega perché finisca la guerra?». Un'altra volta, dopo uno degli omicidi, disse loro: «Ho anch'io un figlio militare ed è un anno che non ne so più niente, ma piuttosto di saperlo un delinquente come voi sarebbe meglio che fosse in Paradiso con Dio».

III Puntata ...

Conterio
02-05-05, 15:43
Quattro omicidi dimenticati

I partigiani compirono in Azzarino quattro omicidi. Sono quattro omicidi che nessun libro di storia riporta e che non compaiono tra i capi di imputazione di Marozin e dei suoi compagni nel processo a loro carico del 1960. Quattro vittime dimenticate dalla Storia, ma non dalla memoria della gente di Azzarino e dagli annali della parrocchia di Velo Veronese. È infatti sul bollettino Pace a questa famiglia dell'agosto 1945 che questi quattro morti vengono menzionati per l'unica volta: «In Parrocchia la scorsa estate sono pure deceduti: Pierelli Remigio di S.
Andrea — Cabianca Otello di Brogliano Vicentino — una donna sconosciuta e un tedesco, tutti sepolti nel cimitero diVelo». Don Padovani, nel suo diario, parlando delle «tombe che racchiudevano le vittime dei partigiani» scriveva che «a Velo ve ne erano quattro o cinque».Le esecuzioni avvennero tra il luglio e il settembre del 1944. Difficile dire quando di preciso. Il primo ad essere ucciso fu un giovane ragazzo, chi dice di 15, chi di 17 anni. Certamente un minorenne. Secondo don Orlandi si trattò di Otello Cabianca ma sugli atti del processo a Marozin si parla di un quindicenne di nome Otello Cabianca fucilato a Selva di Trissono il 2 agosto 1944 perché, avendo espresso il desiderio di abbandonare la formazione partigiana nella quale si era arruolato, si temeva potesse fare la spia. Si tratta di un caso di omonimia? Era la stessa persona? O la notizia contenuta negli atti del processo è falsa?
È certo che un ragazzo fu fucilato in Azzarino. I testimoni dicono che era «figlio di un fascista vicentino». Molti aggiungono che era stato catturato dai partigiani al posto del padre, forse per ricattarlo. Era rimasto in Azzarino per qualche giorno. Un testimone ricorda di averlo visto entrare in una casa, in contrada Foi, accompagnato da un partigiano che disse a Marozin: «Signor comandante, c'è questo ragazzo che ha detto di stare poco bene». «Bene ragazzo, vedrai che con 20 grammi di piombo guarirai», sembra avesse risposto Marozin. Un altro testimone -racconta di averlo visto piantonato in contrada Riva, poco prima di morire. Il partigiano che lo sorvegliava gli chiese: «Perché piangi?». E lui: «Perché voi mi ammazzate». «Povero stupido!» gli rispose il partigiano. Prosegue il testimone: «Li ho visti incolonnarsi e, quasi canticchiando, andare verso il Bosco dei Morti con una zappa a spalle. Uno dei partigiani diceva:"Gò 'na voja decopare...". Poi ho sentito due colpi. Non so se gli avessero fatto scavare la fossa o no». E un altro testimone: «Quando tornarono dissero: "Abbiamo ammazzato un pollastro"».
Il Bosco dei Morti è una piccola faggeta che si trova tra la contrada Riva e la contrada Campe. Assunse quel nome dopo questi fatti e ancora oggi si chiama così. Lì vennero sepolti tre dei cadaveri che, spariti i partigiani, nell'inverno del 1944, furono riesumati e portati nel cimitero del paese.
I partigiani torturarono e ammazzarono un giovane soldato tedesco. Era passato per contrada Croce, nella zona a sud di Azzarino, che era già buio. Racconta una testimone: «Eravamo in corte a chiacchierare, dopo rosario. All'improvviso abbiamo visto una persona, con un soprabito bianco e un cappello in testa. Ci ha chiesto la strada per andare in Podestaria. Noi sapevamo che alla Cappella c'era una sentinella dei partigiani, così abbiamo tentato di spiegargli di imboccare la strada del Confm e di proseguire di lì, altrimenti l'avrebbero catturato. Ma lui o non capì, o sbagliò strada, o era una spia che voleva vedere dove fossero i partigiani, e andò a finire in bocca alla sentinella».
La Cappella era il luogo dove montavano di guardia i partigiani, da qui potevano controllare la strada che veniva da contrada Purga verso contrada Tece. Il soldato tedesco fu catturato e portato in contrada Foi, in casa di Cipriano Bertoldi che fu testimone oculare di quanto accadde. Lo interrogarono, perché dissero di avere trovato nelle sue scarpe un biglietto che provava che lui era una spia mandata a indagare dove fossero i partigiani. Il giovane soldato tedesco fu torturato: «Gli bucarono lo stomaco e gli entrarono dentro con un ceppo di legno ruvido». Alle 4 di mattina Cipriano Bertoldi raccontò di aver detto ai partigiani: «Basta, ragazzi, basta. E morto». Lo portarono nel Bosco dei Morti dove lo finirono e lo seppellirono in qualche modo. «Il mattino dopo, il partigiano che di solito ammazzava venne in casa con un giubbino tutto insanguinato, lo buttò per terra e disse a mia mamma: "Donna, lava".»
«La maestra da Tregnago» dicono che fosse stata la terza vittima. L'uccisione della donna è un fatto risaputo. Molti intervistati della Valle di Illasi sanno di una «maestra di Tregnago martirizzata e uccisa dai partigiani a Velo». Fu catturata perché era una fascista, o perché aveva fatto la spia per i tedeschi e i fascisti. Percorse il sentiero che da Selva di Progno porta in Azzarino a piedi. Stremata, in contrada Pozze chiese se poteva bere. Poi la portarono in contrada Riva. E interessante notare che molti testimoni -ricordano il suo abbigliamento: «Aveva una gonna a fiori e dei sandali bianchi, legati col fìl di ferro». Una testimone che era presente, quella sera, ricorda perfettamente quanto accadde in casa sua: «Entrò un partigiano e ci disse: "Preparate da mangiare perché abbiamo un ospite, una signora da trattare bene". Entrò lei, era sfinita. I partigiani le dicevano: "Dai, mangia che domani ti riportiamo a casa", e lei: "Se non mi fate niente di male, finita la guerra vi inviterò tutti a casa mia per un bel pranzo". La portarono di là, nella casetta. Durante la notte mia mamma ci svegliò e ci fece andare a dormire nella camera dello zio, perché c'era caldo. Non capivamo. Ci spiegò solo anni dopo che l'aveva fatto per non farci sentire le urla della ragazza. La uccisero verso mattina e la seppellirono nel Bosco dei Morti. Il giorno dopo, di nascosto, con una mia amica, andammo a vedere. Vicino a una buca con della terra mossa c'era un rivolo di schiuma rossa e i sandali bianchi». Anche la "maestra da Tregnago", si racconta, fu torturata: «Le cavarono le unghie, le spaccarono le dita». Quando la riesumarono scoprirono che aveva i polsi e le dita delle mani rotti.
Il quarto ad essere ucciso fu Remigio Pierelli, un partigiano di Sant'Andrea di Badia Calavena. Era un trovatello e figlio adottivo di una famiglia di Sant'Andrea. Si diceva che fosse stato ucciso perché voleva tornarsene a casa e i partigiani temevano che avrebbe fatto la spia. Il pretesto, o forse il vero motivo, fu quello di averlo trovato addormentato sul suo posto di sentinella. Il codice di comportamento di Marozin prevedeva la fucilazione per questa e altre infrazioni. Molti partigiani trovarono la morte in questa maniera. Dopo averlo ammazzato, i partigiani scavarono frettolosamente una fossa per seppellirlo, sotto il muretto che cinge contrada Riva. Non ci stava, così, prima di buttargli sopra appena un po' di terra, gli tagliarono la testa. La gente vide i cani che la fecero rotolare giù per il prato.

IV Puntata ...

Conterio
02-05-05, 15:44
I RASTRELLAMENTI DEL SETTEMBRE 1944

II 12 settembre del 1944 giungeva in Valle di Illasi il grande rastrellamento tedesco, la così detta operazione Pauke (Timpano) che interessò le province di Brescia, Verona e Vicenza e con la quale l'esercito nazista sbaragliò la resistenza partigiana anche in Lessinia orientale.
Alcuni reparti tedeschi salirono in Azzarino. I testimoni raccontano di essere stati interrogati, di essere stati messi al muro, di aver sentito qualche sparo di avvertimento, di essersi sentiti dire dai soldati tedeschi che avrebbero bruciato le contrade se la gente non avesse fatto i nomi dei partigiani di Velo Veronese. Una ragazza sfollata, che parlava un po' di tedesco, tentò di spiegare che a Velo di partigiani non ce n'era nemmeno uno e che cosa invece la gente aveva dovuto subire dai partigiani che c'erano stati lì. «Se i tedeschi ci hanno lasciato stare» concordano i testimoni «è perché hanno capito che di partigiani, a Velo, non ce n'era nemmeno uno».
La Divisione Pasubio, dopo il rastrellamento di settembre, poco a poco si disperse. Dopo inutili tentativi di riorganizzarla, a fine ottobre Marozin, che nel frattempo era stato declassato a ruolo di vice comandante, tentò un trasferimento sul Monte Baldo. Molti partigiani fuggirono, altri passarono ad altre formazioni. Ai primi di novembre si decise lo spostamento a Milano.
A Milano, dopo il 25 aprile 1945, rivedremo numerose le camionette con le scritte "Divisione Pasubio", con i partigiani esultanti girare per la città. A Milano rivedremo Marozin sorridere accanto al Presidente Pertini durante un comizio in piazza.
Elenco degli informatori
Si riporta il nome, il cognome, l'anno di nascita e luogo dove si trovavano nell'estate del 1944.
Celestino Anderloni, classe 1926,Velo Veronese; Mariettina Anderloni, classe 1902, Velo Veronese; Attilio Benetti, classe 1923, contrada Covolo di Velo Veronese; Mario Benetti, classe 1928, contrada Covolo di Velo Veronese; Arnaldo Bertoldi, classe 1937, contrada Foi (Azzarino) diVeloVeronese; Angelo Bonetti, classe 1926, Velo Veronese; Olga Branzi, classe 1921, contrada Croce di Velo Veronese; Zeno Cappelletti, classe 1929, contrada Battistari (Azzarino)di Velo Veronese; Mario Castagna, classe 1925, Velo Veronese; Emilie Comerlati, classe 1931, contrada Comerlati di Velo Veronese; Amalia Corbioli, classe 1912, contrada Campe (Azzarino) di Velo Veronese; Galdino Corradi, classe 1926, contrada Tece (Azzarino) dì Velo Veronese; Viola Corradi, classe 1927, contrada Laste (Azzarino) di Velo Veronese; Maria Pomari, classe 1923, Velo Veronese; Aldo Pozzerle, classe 1928, contrada Pozze (Azzarino) di Velo Veronese; Almerina Pozzerle, classe 1922, contrada Foi (Azzarino) di Velo Veronese; Giovanna Pozzerle, classe 1928, contrada Foi (Azzarino) di Velo Veronese; Maria Pozzerle, classe 1932, contrada Foi (Azzarino) di Velo Veronese; Teresa Pozzerle, classe 1932, contrada Foi (Azzarino) di Velo Veronese; Norina Riva, classe 1934, contrada Riva Veronese; Basilio Tezza, classe 1913, contrada Campe azzarino ) di Velo Veronese; Davide Tezza, classe 1927, contrada Tece (Azzarino) diVelo Veronese; Delfina Tezza, classe 1916, Velo Veronese; Enrichetta Tezza, classe 1923, contrada Bettola di Velo Veronese; Maria Tezza, classe 1917, Velo Veronese; Rosalia Tezza, classe 1933,Velo Veronese. (Azzarino) di Velo

FINE ...

FedericoAmMI
02-05-05, 19:05
Grazie, Conterio e (sarò ripetitivo, ma...) spero che anche i "compagni" leggano questo post...

FedericoAmMI
02-05-05, 19:06
Per tutti neofascisti
_______________
Preciso che con questo, non voglio dire: "Viva la RSI, abbasso i partigiani"...:D

Fante d'Italia
08-05-05, 18:51
In Origine postato da FedericoAmMI
Grazie, Conterio e (sarò ripetitivo, ma...) spero che anche i "compagni" leggano questo post...
Non leggono, non leggono, caro Federico.
Capeggiati dal grande imbonitore, continuano a predicare la festa, che unisce tutti gli Italiani, della liberazione e della democrazia.

Continuano a farlo contro l'evidenza della Storia e delle date, così come ben ha dimostrato Conterio sin dal suo primo post di questo thread. Continuano a farlo nonostante l'evidenza dei fatti anche odierni che li smentiscono. Leggo infatti sul forum di AM la notizia che segue:

"25 APRILE: CORTEO A CATANIA, CONTESTATI SCAPAGNINI E BIANCO
(AGI) - Catania, 25 apr. - Il sindaco di Catania Umberto Scapagnini, di Forza Italia, e il candidato del centrosinistra a succedergli nelle amministrative del 15 maggio, Enzo Bianco, sono stati contestati durante il corteo organizzato per il sessantesimo anniversario della Liberazione dal "Comitato antifascista catanese", un cartello comprendente diverse sigle.

Scapagnini, che era accompagnato da altri esponenti della Casa delle liberta', e Bianco hanno entrambi lasciato la manifestazione dopo i ripetuti segni di dissenso rivolti al loro indiritto dai partecipanti. "In questi ultimi 10 anni abbiamo sempre manifestato per i valori della Resistenza e nessun politico si e' fatto vivo. Oggi nell'imminenza delle elezioni immaginavano di fare diventatre la nostra una sfilata poltica. Ma noi non ci stiamo", hanno affermato gli organizzatori del corteo per spiegare la contestazione.
AGI"

La notizia è seguita da un commento che condivido e quindi riporto:
"Il sistema repubblicano (in particolare la sinistra) ha usato la liberazione come mezzo per "repubblicanizzare" la liberazione.
Se dopo 60 anni l'anniversario del 25 aprile non è condiviso da tutti, è perchè la liberazione è diventata la propaganda della repubblica piuttosto che la fine della guerra e la libertà degli italiani."

Conterio
09-05-05, 10:41
In Origine postato da piopierucci
Non leggono, non leggono, caro Federico.
Capeggiati dal grande imbonitore, continuano a predicare la festa, che unisce tutti gli Italiani, della liberazione e della democrazia.

Continuano a farlo contro l'evidenza della Storia e delle date, così come ben ha dimostrato Conterio sin dal suo primo post di questo thread. Continuano a farlo nonostante l'evidenza dei fatti anche odierni che li smentiscono. Leggo infatti sul forum di AM la notizia che segue:

"25 APRILE: CORTEO A CATANIA, CONTESTATI SCAPAGNINI E BIANCO
(AGI) - Catania, 25 apr. - Il sindaco di Catania Umberto Scapagnini, di Forza Italia, e il candidato del centrosinistra a succedergli nelle amministrative del 15 maggio, Enzo Bianco, sono stati contestati durante il corteo organizzato per il sessantesimo anniversario della Liberazione dal "Comitato antifascista catanese", un cartello comprendente diverse sigle.

Scapagnini, che era accompagnato da altri esponenti della Casa delle liberta', e Bianco hanno entrambi lasciato la manifestazione dopo i ripetuti segni di dissenso rivolti al loro indiritto dai partecipanti. "In questi ultimi 10 anni abbiamo sempre manifestato per i valori della Resistenza e nessun politico si e' fatto vivo. Oggi nell'imminenza delle elezioni immaginavano di fare diventatre la nostra una sfilata poltica. Ma noi non ci stiamo", hanno affermato gli organizzatori del corteo per spiegare la contestazione.
AGI"

La notizia è seguita da un commento che condivido e quindi riporto:
"Il sistema repubblicano (in particolare la sinistra) ha usato la liberazione come mezzo per "repubblicanizzare" la liberazione.
Se dopo 60 anni l'anniversario del 25 aprile non è condiviso da tutti, è perchè la liberazione è diventata la propaganda della repubblica piuttosto che la fine della guerra e la libertà degli italiani."

Infatti, poi in ordine, troviamo la festa del Primo Maggio, che non è più la festa dei Lavoratori, ma solo di quei lavoratori che portano la bandiera rossa alla manifestazione, come segno ineluttabile di completo distacco dall'Italia pre referendaria ....