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Augustinus
08-04-04, 13:51
Giovedì santo

Dalla "Vigna delle anime" di Giacomo Roecx. Exercitia seu meditatio optima vitae et passionis Jesu-Christi, IV. Œuvres de Tauler, trad. Noël, Paris, Tralin, 1912, t. VI, 71-72. 87-89. 99-101.

Vi do un comandamento nuovo, dice Gesù, esso ricapitola tutti gli altri miei precetti, è il sigillo di tutti i miei insegnamenti: Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Come io do la mia vita per voi, voi dovete amarvi e assistervi a vicenda, anche a costo della vita. Io ho amato colui che mi tradì, ho pregato per coloro che mi crocifissero. Anche voi amate i vostri nemici, fate loro del bene; prodigatevi con le opere della carità al servizio di chi vi perseguita o vi nuoce.

Questo comandamento nuovo dell'amore, il Signore Gesù non lo insegnò solo a parole, ma lo convalidò con l'attuazione concreta e personale. Gli stava a cuore assicurarci che per lui siamo davvero figli; con amore eterno ci tiene dentro il suo cuore paterno. Prima ancora della creazione del mondo noi siamo in lui, da sempre riposiamo in lui come nel nostro fondo e nella nostra origine.

Nessun padre terreno ha mai avvolto i propri figli con l'amore con cui egli ci ha abbracciato. Nella fedeltà irrinunciabile del suo amore paterno ci ha lasciato un'impareggiabile eredità, un bene senza confronti, il cui valore sovrasta cielo e terra; ci ha donato il suo corpo come cibo e il suo sangue come bevanda.

L'uomo che aveva mangiato il frutto velenoso offerto dal serpente, aveva l'ineludibile bisogno di ricuperare la salvezza bevendo al calice celeste del sangue di Cristo. Un cibo mortifero l'aveva fatto stramazzare a terra; il pane di vita lo doveva rialzare. Il frutto del legno l'aveva ucciso; grazie al frutto di un altro legno sarebbe tornato in vita.

L'albero della disobbedienza l'aveva votato alla morte definitiva; l'albero dell'obbedienza l'ha riscattato per la gloria eterna. Dal primo albero pendeva un cibo di morte, da questo il rimedio che dà la vita.

Il ceppo antico conteneva la linfa della passione; il ceppo nuovo produce il grappolo della salvezza. Da questo grappolo, schiacciato sotto il torchio della passione, è sprizzato il vino nuovo che rallegra il cuore dell'uomo.

Gesù Cristo crocifisso è il vero grappolo, privo di qualsiasi traccia amara. Pane saporoso, manna celeste, piena di delizie spirituali, che non contiene nulla di aspro, contrariamente al pane d'orzo dell'Antico Testamento, servito da Mosè. È un pane impastato con fiore di frumento, cioè con la grazia divina. Infatti, la realtà ha preso il posto della figura.

Io anelo a cibarmi integralmente di te, dolcezza celeste. Voglio morire a me stesso e vivere in te. Bramo di trasformarmi, di incorporarmi in te, per riposare in te, mia origine beata. Tu sei la fonte e il principio di tutti gli esseri. Noi siamo e viviamo in te fin dal principio nell'idea eterna che tu hai di noi. Perciò il nostro cuore è inquieto finché non riposa nella sua origine. Con la tua onnipotenza che sostiene il mio essere, attirami a te, scendi in me, o misericordioso.

Ricomponi la splendida immagine di te che io ho deturpato, riportandola alla sua purezza e integrità originaria. Tu sei il principio infinitamente puro della mia essenza, che è in me creata, in te increata, secondo la tua idea eterna.

Per l'amore infocato che ti ha spinto a lasciare trafiggere il tuo tenerissimo cuore di carne, ti supplico: attraverso questo cuore squarciato fammi penetrare nel tuo cuore divino e increato. Affrettati a scendere in me; e con te fa venire il Padre di infinita bontà, perché tu sai bene quale è la sua volontà santa e benefica: non separarti da me, ma essere ovunque con te.

Signore Gesù, immergimi, lavami nel tuo cuore trafitto, perché io possa pervenire con te fino al cuore traboccante d'amore del tuo Padre eterno; e là egli si degni d'accogliermi come figlio adottivo, grazie a te, suo Figlio eterno e consustanziale. Amen.

http://img509.imageshack.us/img509/905/christwashingfeetjg3.jpg Michael Chelich, La lavanda dei piedi, 2000

http://www.jesushealers.com/Images/ContactUs_14.jpg Greg Olsen, Preghiera nel Gethsemani

Augustinus
08-04-04, 13:54
Enarratio in evangelium secundum Lucam, art.47. Opera omnia, Monsterolii, 1901, t. .XII, 210-211.

Gesù, preso un pane, rese grazie, lo spezzò

e lo diede loro dicendo: "Questo,

questo che io vi presento

e che vi do con la liberalità di un estremo amore,

questo è il mio corpo

nella sua stessa realtà, e non soltanto una rappresentazione,

il mio corpo che è dato per voi.

il mio corpo esposto alla tortura e alla morte,

quando il traditore lo consegnerà,

mentre io mi offro volontariamente

alla passione per liberarvi.

Questo corpo è dato per voi.

in questo stesso istante in cui

io ve lo do generosamente in cibo,

per il vostro profitto spirituale,

perché la grazia divina cresca incessantemente in voi.

Fate questo in memoria di me.

Celebrate questo sacramento,

a tempo debito e solennemente.

Date questo corpo e prendetelo

in memoria di me.

Ricordatevi della crudelissima passione

che ho sopportato per voi

e fate memoria del mio estremo amore per voi

Allo stesso modo. dopo aver cenato,

prese il calice.

Gesù prese la coppa nelle sue mani

e la presentò ai discepoli.

Lo fece dopo aver mangiato l'agnello pasquale, dicendo:

Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Questa è la

coppa che conferma e manifesta il Nuovo Testamento,

il quale viene dichiarato, ratificato e consacrato nel mio sangue.

Notate che il Signore dicendo:

Il calice... nel mio sangue!

indica il contenente per il contenuto,

ma in verità si tratta del sangue che sta nella coppa.

Il Nuovo Testamento è dunque istituito dalla consacrazione del sangue di Cristo,

corroborato e confermato dall'effusione di questo medesimo sangue.

Infatti un testamento acquista tutta la forza al momento della morte.

Il mio sangue viene versato per voi

e sparso da altri per la vostra salvezza,

versato per tutti i miei discepoli,

per tutti gli eletti,

che saranno salvati dalla mia passione.

Cristo ha istituito il sacramento del suo corpo

e del suo sangue, in memoria della sua passione

e della sua obbedienza fino alla morte.

Conserviamone piamente la memoria,

perché esso ricapitola tutti gli altri misteri,

persino i semplici atti della vita del Signore,

che abbiamo da prendere come modello.

Ci conformeremo alla passione di Gesù

mediante l'ascesi corporale

e l'abnegazione della volontà propria, della voluttà e della vanità.

Infatti san Paolo ci dice:

Quelli che sono di Cristo Gesù

hanno crocifisso la loro carne

con le sue passioni e i suoi desideri. (Gal 5,24)

E san Pietro aggiunge:

Cristo patì per voi,

lasciandovi un esempio, (1 Pt 2,21)

perché ne seguiate le orme.

Ma la passione di Cristo

è soprattutto il segno e il memoriale

del suo amore per noi.

Egli ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue

in cibo e bevanda per la salute dell'anima

come il massimo segno dell'amore;

non vi è infatti più grande espressione

di amore e di generosità

che donare sé stesso ad un altro.

Nel sacramento di questo amore

Cristo è stato e rimane per sempre

sia il Dono sia il Donatore.

Augustinus
08-04-04, 14:08
http://www.wga.hu/art/a/andrea/sarto/2/lastsup.jpg http://www.wga.hu/art/a/andrea/sarto/2/lastsup1.jpg Andrea Del Sarto, L'ultima cena, 1520-25, Convento di S. Salvo, Firenze

http://www.wga.hu/art/a/angelico/11/armadio2.jpg http://www.wga.hu/art/a/angelico/11/armadio3.jpg Beato Angelico, Scene della passione, Armadio degli Argenti, 1450, Convento di S. Marco, Firenze

http://www.wga.hu/art/b/bassano/jacopo/last_sup.jpg Jacopo Bassano, Ultima Cena, 1542, Galleria Borghese, Roma

http://www.wga.hu/art/c/crespi/daniele/lastsupp.jpg Daniele Crespi, Ultima Cena, 1624-25, Pinacoteca di Brera, Milano

http://img49.exs.cx/img49/785/the20olive20garden3ra.jpg http://www.photo.rmn.fr/LowRes2/TR1/2013X7/07-512164.jpg Philippe de Champaigne, Gesù nell'orto degli olivi, 1650, Musée des Beaux-Arts, Rennes

Augustinus
08-04-04, 14:14
http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/verso_1/verso04.jpg Duccio di Buoninsegna, Cristo parla agli Apostoli prima di lasciarli, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/verso_1/verso03.jpg http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/verso_1/verso03a.jpg Duccio di Buoninsegna, Ultima cena, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/verso_1/verso02.jpg Duccio di Buoninsegna, Lavanda dei piedi, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

http://www.wga.hu/art/j/juanes/1lastsup.jpg Juan de Juanes, Ultima Cena, 1560 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/v/valentin/lastsupp.jpg Valentin De Boulogne, Ultima Cena, 1625-26, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

http://www.wga.hu/art/v/veen/lastsupp.jpg Otto van Veen, Ultima Cena, 1592, O.-L. Vrouwekathedraal, Antwerp

http://www.wga.hu/art/v/vouet/1/4lastsup.jpg Simon Vouet, Ultima Cena, 1615-20, Palazzo Apostolico, Loreto

Augustinus
08-04-04, 14:25
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=20256):

Giovedì Santo - Cena del Signore

(celebrazione mobile)

Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da usare per tutto l’anno per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni.
A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, morte e Resurrezione.
Nel tardo pomeriggio c’è la celebrazione della Messa in “Cenae Domini”, cioè la ‘Cena del Signore’. Non è una cena qualsiasi, è l’Ultima Cena che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, importantissima per le sue parole e per gli atti scaturiti; tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli ‘Azzimi’, chiamata Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace.
La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile).
In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la ‘cena pasquale’) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, azymos), da cui il termine ‘Azzimi’.
Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro parlò molto, con parole che erano di commiato, di profezia, di direttiva, di promessa, di consacrazione.
Il Vangelo di Giovanni, il più giovane degli Apostoli, racconta che avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il seme del tradimento, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.
Si ricorda che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.
Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.
Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.
Dopo la lavanda Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio.
“In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”, gli Apostoli erano sgomenti e in varie tonalità gli domandarono chi fosse, lo stesso Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.
Questa scena del Cenacolo è stata in tutti i secoli soggetto privilegiato di tanti artisti, che l’hanno efficacemente raffigurata, generalmente con Gesù al centro e gli Apostoli seduti divisi ai due lati, con Giovanni appoggiato col capo sul petto e con il solo Giuda seduto al di là del tavolo, di fronte a Gesù, che intinge il pane nello stesso piatto. L’atteggiamento di Gesù e degli Apostoli è sacerdotale, ma con i volti che tradiscono il dramma che si sta vivendo.
Dopo l’uscita di Giuda, il quale pur ricevendo con il gesto cordiale e affettuoso il boccone intinto nel piatto, che in Oriente era segno di grande distinzione, non seppe capire, ormai in preda all’opera del demonio, l’ultimo richiamo che il Maestro gli faceva, facendogli comprendere che lui sapeva del tradimento ordito d’accordo con i sacerdoti e del compenso pattuito dei trenta denari; Gesù rimasto con gli undici discepoli riprese a colloquiare con loro.
I discorsi che fece, nel Vangelo di S. Giovanni, occupano i capitoli dal 13 al 17, con argomenti distinti ed articolati, dagli studiosi definiti ad ‘ondate’ perché essi sono ripresi più volte e in forme sempre nuove; ne accenneremo i più importanti.
“Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.
E a Pietro che insisteva di volerlo seguire, assicurandogli che era disposto a dare la sua vita per lui, Gesù rispose: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte”.
Il discorso di Gesù prosegue con una promessa “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Io vado a prepararvi un posto; ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
Il concetto del ‘posto’ o della casa che ci aspetta, risente dell’antica concezione che si aveva dell’aldilà, come una abitazione dove i defunti prendevano posto. Così nell’Apocalisse, il cielo era immaginato come una casa al cui centro stava il trono di Dio, circondato dalla corte celeste e dalle dimore dei giusti e dei santi. Anche nei testi rabbinici si legge che le anime saranno introdotte nell’aldilà, in sette dimore distinte per i giusti e sette per gli empi.
A Tommaso che gli chiede: “Se non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”, Gesù risponde con un’altra grande rivelazione: “Io sono la Via, la Verità, la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. E a Filippo che chiede di mostrare loro il Padre, Gesù ribadisce la profonda unità e intimità fra lui e Dio Padre.
Le sue parole e le sue opere di salvezza sono animate e sostenute dal Padre, che parla e opera nel Figlio. A questo punto Gesù, per la prima delle cinque volte che pronuncierà nei suoi discorsi di quella sera, nomina il ‘Consolatore’ traduzione del termine greco “paraklitos” (Paraclito), che solo nel Vangelo di Giovanni designa lo Spirito Santo; cioè il dono dello Spirito che sostiene nella lotta contro il male e che rivela la volontà divina; riservato ai credenti e che continuerà l’opera di Gesù dopo la sua Risurrezione.
“Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi…”.
I Vangeli di Matteo, Marco e Luca dicono poi che “Gesù mentre mangiava con loro, prese il pane e pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo distribuì agli apostoli dicendo: “Prendete questo è il mio corpo”, poi prese il calice con il vino, rese grazie, lo diede loro dicendo: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”.
Gesto strano, inusuale, forse non subito capito dagli Apostoli, ma che conteneva il dono più prezioso che avesse potuto fare all’umanità: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia e con il completamento della frase: “fate questo in memoria di me”, riportata da Luca 22,19, egli istituiva il sacerdozio cristiano, che perpetuerà nei secoli futuri il sacrificio cruento di Gesù, nel sacrificio incruento celebrato ogni giorno ed in ogni angolo della Terra, con la celebrazione della Messa.
Inoltre rivolto a Pietro, ancora una volta lo indica come capo della futura Chiesa e primo fra gli Apostoli: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; e tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”, cioè di essere da sostegno agli altri nella fede; con ciò Gesù è sempre con lo sguardo rivolto oltre la sua morte e delinea il futuro della Chiesa.
Nel prosieguo del suo discorso, Gesù ammaestra gli Apostoli con altra similitudine, quella della vite e dei tralci: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto…. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla…”.
Poi preannuncia le persecuzioni e le sofferenze che saranno loro inflitte per causa sua: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono Colui che mi ha mandato”. “ Vi scacceranno dalle sinagoghe, anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio”.
Infine dopo altre frasi di consolazione e rassicurazione dell’aiuto del Padre attraverso di Lui, Gesù conclude la lunga cena, con quella che nel capitolo 17 del Vangelo di S. Giovanni, è stata chiamata da s. Cirillo di Alessandria “la preghiera sacerdotale”, vertice del testamento spirituale, racchiuso nei ‘discorsi d’addio’ fatti quella sera.
È una bellissima invocazione al Padre per raccomandargli quegli uomini, capostipiti di una nuova Chiesa, che hanno creduto in lui, tranne uno, perché veramente Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, e lo hanno seguito lungo quegli anni, assimilato i suoi insegnamenti, disposti con l’aiuto dello Spirito, a proseguire il suo messaggio di salvezza.
Ecco perché la Chiesa celebra oltre l’Istituzione dell’Eucaristia, anche l’Istituzione dell’Ordine Sacro; è la “festa del sacerdozio cristiano” e della fondazione della Chiesa.
Per concludere queste note sul Giovedì Santo, ricordiamo che Gesù dopo la cena, si ritirò nell’Orto degli Ulivi, luogo abituale delle sue preghiere a Gerusalemme, in compagnia degli Apostoli, i quali però stanchi della giornata, delle forti emozioni, della cena, dell’ora tarda, si addormentarono; più volte furono svegliati da Gesù, che interrompeva la sua preghiera: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”; “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”; “Basta, è venuta l’ora: ecco il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori: alzatevi e andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.
Era cominciata la ‘Passione’ che la Chiesa ricorda il Venerdì Santo; i riti liturgici del Giovedì Santo si concludono con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’Istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo.
Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.
Nella devozione popolare dei miei tempi di ragazzo, le madri raccomandavano ai figli di non giocare, di non correre o saltare, perché Gesù stava a terra nel “sepolcro”, nome erroneamente scaturito al tempo del Barocco e indicante l’”altare della reposizione”, dove è posta in adorazione l’Eucaristia.

Autore: Antonio Borrelli

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http://img49.exs.cx/img49/1181/inremembranceofme5mi.jpg Greg Olsen, In Remembrance of Me

http://img174.exs.cx/img174/8108/christ2020last20supper2020simo.jpg Simon Dewey, Ultima Cena

http://img174.exs.cx/img174/8381/simondeweyomyfather4oa.jpg Simon Dewey, O my Father

http://img174.exs.cx/img174/6094/heinrichhofmannagoniadigesnelg.jpg http://img174.exs.cx/img174/246/christ2020gethsemane2020zp.jpg Heinrich Hofmann, Agonia di Gesù nel Getsemani

http://www.bildindex.de/bilder/gggg69_2b.jpg Matthias Stomer, Agonia di Gesù nel Getsemani, XVII sec., Staatliche Museen, Berlino

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Augustinus
23-03-05, 21:51
http://santiebeati.it/immagini/Original/20256/20256O.JPG

Augustinus
23-03-05, 22:02
Libro VI, Cap. 9, §§ 1141-1155

CAPITOLO 9

Il giovedì della cena, a Betania, il Redentore prende congedo dall'augusta Signora per andare verso la croce; ella gli chiede di poter ricevere la comunione al momento stabilito, e lo segue a Gerusalemme con Maria di Màgdala e altre sante donne.

1141. Continuando a narrare questa Storia, ricordo che abbiamo lasciato Cristo a Betania, dopo il ritorno da Gerusalemme alla sera del suo trionfo. Ho già anticipato quello che fecero i demoni prima che egli fosse consegnato ed altre cose che conseguirono dal loro conciliabolo infernale, nonché dal tradimento di Giuda e dal consiglio dei farisei. Torniamo ora a ciò che avvenne in tale località, dove, nei tre giorni che passarono dalla domenica delle palme al giovedì, la Vergine assistette e servì sua Maestà. Questi trascorse con lei tutto il tempo, eccetto quello che impiegò a predicare nel tempio il lunedì e il martedì; il mercoledì, infatti, non vi salì, come ho già detto. Durante tali ultimi viaggi istruì più diffusamente e in maniera più chiara i discepoli circa i misteri della redenzione. Ciascuno di essi, però, pur udendo gli insegnamenti e gli avvertimenti del suo Maestro, non corrispondeva se non secondo la disposizione con cui li accoglieva e secondo gli effetti suscitati nel proprio intimo. Rimanevano sempre piuttosto lenti nel capire e, deboli quali erano, dopo il suo arresto non misero in atto ciò che si erano offerti di fare.

1142. Nell'imminenza della sua uccisione, il Signore si intrattenne con Maria beatissima su quanto stava per realizzare e sulla legge di grazia, comunicandole arcani così sublimi che molti di essi ci resteranno nascosti finché non lo vedremo nella patria celeste. Di quelli che ho conosciuto, posso esprimere assai poco; asserisco, però, che egli depositò nelle profondità della prudentissima colomba tutto ciò che Davide definisce sapienza di Dio, cioè la sua opera "ad extra" più mirabile, il nostro riscatto e la glorificazione degli eletti, ad esaltazione del suo nome. Le ordinò quanto avrebbe dovuto fare durante il suo supplizio e al momento della morte che andava ad accettare per noi, e la preparò con nuove illuminazioni. In questi colloqui, l'Unigenito prese a rivolgersi a lei nel modo grave e solenne proprio di un sovrano, data l'importanza di ciò di cui trattavano, facendo cessare del tutto le manifestazioni di affetto caratteristiche del figlio e dello sposo. L'attaccamento naturale della dolce Regina e la sua ardente carità erano ormai a un grado eccelso, troppo elevato per la comprensione terrena; così, è impossibile palesare quali fossero, all'avvicinarsi della fine di quella calda conversazione, la tenerezza e l'affanno del candidissimo cuore di una simile madre, nonché i gemiti che ella emetteva dai suoi recessi, come tortora che già cominciava a sentire la sua solitudine, tale da non poter essere riempita da tutte le creature dell'intero universo.

1143. Arrivò il giovedì, vigilia della crocifissione di Gesù, il quale prima del sorgere del sole chiamò la sua diletta, che prostrandosi davanti a lui come al solito gli rispose: «Parlate, la vostra serva vi ascolta». Egli la fece rialzare e con grande amore e serenità proclamò: «È giunta l'ora stabilita da sempre nei decreti di mio Padre per la salvezza del mondo, che la sua volontà venerabile e gradita mi ha affidato; la ragione richiede che ci spogliamo della nostra, che tante volte abbiamo presentato in dono. Permettetemi di andare a dare la vita per i miei fratelli e, come mia autentica genitrice, considerate un bene che io mi consegni ai miei nemici per essere docile all'Altissimo. Per questa stessa obbedienza, acconsentite a collaborare con me, poiché è dal vostro ventre castissimo che ho ricevuto la forma passibile nella quale deve essere soddisfatta la giustizia superna. Come avete pronunciato il "fiat" per la mia incarnazione, bramo che facciate lo stesso anche per la mia passione; così, darete all'Onnipotente il contraccambio al privilegio di essere stata scelta per concepirmi. Egli, infatti, mi ha inviato per ritrovare, mediante lo strazio del mio corpo, le pecorelle perdute della sua casa, cioè i discendenti di Adamo».

1144. Queste ed altre affermazioni trapassarono l'anima infiammata della Signora e la sottoposero al più comprimente torchio di dolore che avesse mai sopportato. Quell'ora era già prossima e la sua angoscia non poteva appellarsi né al tempo né ad alcun altro tribunale superiore contro la decisione immutabile dell'Eterno, che aveva fissato quel termine per l'immolazione del Figlio. Da una parte, ella lo guardava come vero Dio, infinito negli attributi e nelle perfezioni, nonché come vero uomo, con la sua umanità congiunta alla persona del Verbo e santificata dai suoi influssi; contemplandolo in tale incomparabile dignità, ripensava alla sottomissione che le aveva mostrato quando lo aveva allevato e ai molti tesori che ella aveva avuto dalla sua generosità nel lungo periodo passato con lui. Dall'altra parte, rifletteva su come presto sarebbe rimasta priva di tali ricchezze, della bellezza del suo volto e della soavità delle sue efficaci parole; per di più, ciò non le veniva meno in un attimo, ma era ella stessa che lo abbandonava a tormenti ignominiosi e al sacrificio cruento, mettendolo in balìa dei più empi e spietati avversari. Tutte queste considerazioni, che si prospettavano ben vivide nella mente della Vergine, penetrarono il suo cuore sensibile e appassionato, dandole una sofferenza realmente inesplicabile. Tuttavia, con la magnanimità di una regina, ella, superando la sua invincibile afflizione, si stese ancora ai piedi del Maestro e, baciandoli con somma riverenza, disse:

1145. «Dominatore di ogni essere, io sono vostra ancella, sebbene voi siate nato dal mio grembo, poiché con incomparabile bontà vi siete chinato a sollevarmi dalla polvere a questo onore. È dunque giusto che io, vile vermiciattolo, sia grata alla vostra liberale clemenza e mi conformi al volere del Padre e vostro. Mi rimetto al suo beneplacito, perché esso si compia in me come in voi. La rinuncia maggiore per me è quella di non perire con voi, poiché farlo sul vostro modello e insieme a voi darebbe immenso sollievo alle mie pene, che mi diverrebbero tutte dolci di fronte alle vostre, ma mi basterà l'angustia di non potervi dimenticare in quanto dovrete sostenere. Eccovi, o mia letizia, i miei desideri e il mio cruccio di dover restare viva e vedere morire voi, che siete agnello senza macchia e impronta della divina sostanza. Accettate la mia tribolazione allo scorgere la terribile crudeltà delle colpe punita in voi, che siete assolutamente innocente, per mano di quanti vi odiano. Cieli ed elementi, e voi creature che siete in essi contenute, spiriti sovrani, patriarchi e profeti, aiutatemi tutti a piangere la morte del mio adorato, che vi ha tratto all'esistenza. Unitevi, poi, ai miei singhiozzi per la triste miseria di coloro che ne saranno causa: saranno esclusi dal gaudio perenne che egli deve guadagnare loro e non vorranno ricavare alcun vantaggio da un simile beneficio. Oh, infelici dannati! Felici invece voi, predestinati, perché le vostre vesti saranno lavate nel sangue dell'agnello! Voi, che avete saputo approfittare di questo favore, lodate il Signore. O mio Unigenito e mio bene incommensurabile, date vigore a questa donna affranta e ammettetela come discepola e compagna a condividere il vostro martirio, affinché anch'io presenti con voi il mio».

1146. Ella gli rispose così e con altre espressioni che non sono in grado di riportare, disposta ad imitare la sua passione e ad aver parte in essa, come coadiutrice della nostra redenzione. Subito, domandò di poter far conoscere un altro suo anelito ed avanzare una richiesta che già da molto teneva pronta nel suo intimo, perché le era noto tutto quello che sua Maestà avrebbe dovuto operare alla conclusione dei suoi giorni. Questi acconsentì e Maria purissima riprese: «Mio diletto, luce dei miei occhi, io non sono all'altezza di ciò per cui sono ansiosa di supplicarvi; ma voi siete il respiro della mia speranza e con questa fiducia vi imploro di volermi fare partecipe, se vi è gradito, dell'ineffabile sacramento del vostro corpo e sangue sacratissimo, che avete determinato di istituire come pegno della vostra gloria. Così, quando vi riaccoglierò dentro di me, mi saranno comunicati gli effetti di un mistero tanto unico e mirabile. Sono consapevole che nessuno può essere degno di siffatta grazia, ordinata dalla vostra sola magnificenza; per vincolarla a me, posso offrirvi solo voi stesso, con i vostri meriti infiniti. Se l'umanità beatissima alla quale li legate mi dà qualche diritto per il fatto che l'avete avuta dalle mie viscere, questo varrà per me non tanto perché voi siate mio nell'eucaristia, quanto piuttosto perché io sia vostra mediante il diverso modo di possedervi ricevendovi, così da tornare a stare alla vostra amabile presenza. A questa santissima comunione ho dedicato le mie azioni e i miei sospiri fin dal momento in cui avete avuto la compiacenza di darmene cognizione e di informarmi della vostra volontà e della decisione di rimanere per mezzo di essa nella vostra Chiesa. Venite, dunque, alla vostra prima e antica dimora, quella della vostra Madre, amica e serva, che voi faceste esente dal peccato comune a tutti perché potesse custodirvi nel suo ventre. Ospiterò in me quanto io stessa vi ho trasmesso e staremo avvinti in un nuovo e strettissimo amplesso, che avrà la forza di rinfrancare il mio cuore e di infiammarne i sentimenti, perché io non stia mai lontana da voi, che siete la delizia inesauribile e tutta la gioia della mia anima».

1147. In tale occasione, la nostra Signora pronunciò molte parole cariche di immensa tenerezza e venerazione, perché parlò con meraviglioso slancio nel pregare Gesù di farla accostare alle specie del pane e del vino consacrati. Questi le si rivolse con soavità anche maggiore, accordandole ciò e promettendole di concederglielo fin dal principio. Già da allora ella, con rinnovato abbandono, cominciò a fare profondi atti di umiltà, di gratitudine, di riverenza e di viva fede per trovarsi preparata.

1148. Cristo ingiunse agli angeli della Vergine che da quell'istante in poi la assistessero visibilmente e la consolassero nella sofferenza e nella solitudine, come in effetti fecero. Comandò, poi, a lei che alla sua partenza per Gerusalemme gli andasse dietro a breve distanza con le pie donne che lo accompagnavano fin dalla Galilea, istruendole e animandole affinché non venissero meno per lo scandalo di osservarlo morire in maniera così infame. Al termine di tale colloquio, il Figlio dell'eterno Padre le dette la sua benedizione, congedandosi da lei per il viaggio che lo portava alla croce. Il dolore che in questo commiato li trafisse supera ogni pensiero terreno, perché fu pari al loro reciproco affetto, ed esso era proporzionato alla condizione e alla dignità delle loro persone; tuttavia, se possiamo dirne assai poco, non siamo dispensati dal ponderarlo e dal prendervi parte con la massima compassione della quale siamo capaci, per non essere ripresi come irriconoscenti e insensibili.

1149. Dopo aver salutato la sua dolce Madre e accorata sposa, egli uscì con i suoi da Betania per salire per 1'ultima volta alla città santa. Era il giovedì della cena, verso mezzogiorno. Appena fatto qualche passo, levò lo sguardo all'Altissimo e, magnificandolo e dandogli grazie, con accesa carità e con prontissima obbedienza donò ancora tutto se stesso per il riscatto del genere umano. Con straordinario fervore e con tanta fermezza di spirito che non posso esprimerla senza venir meno alla verità e al mio desiderio, fece questa orazione: «Dio mio, per vostro beneplacito e per amore vostro vado a sottopormi ad atroci tormenti per la libertà dei miei fratelli, plasmati dalle vostre mani. Vado a consegnare me stesso per la loro salvezza e per riunire insieme quelli che sono dispersi e divisi per la colpa di Adamo. Vado a disporre i tesori con i quali essi, fatti a vostra immagine e somiglianza, devono essere adornati e arricchiti per essere riammessi alla vostra familiarità e alla felicità perpetua, e perché il vostro nome sia da tutti celebrato ed esaltato. Per quanto dipende da voi e da me, nessuno rimarrà senza rimedio abbondantissimo, tale che la vostra inviolabile equità sia giustificata verso quelli che lo disprezzeranno».

1150. Per seguire l'Autore della vita, Maria si mise subito in cammino con Maria di Màgdala e le altre. Come il divino Maestro illuminava e formava i Dodici affinché non soccombessero durante la sua passione per le ignominie che lo avrebbero visto subire e per l'occulta tentazione di satana, anche la Regina della virtù confortava e rinvigoriva le discepole che erano con lei perché non si turbassero scorgendolo spirare dopo essere stato vergognosamente flagellato. Queste, benché per natura più fragili degli apostoli, furono più salde di alcuni di essi nel serbare con cura gli insegnamenti di lei. Quella che progredì di più fu Maria di Màgdala, come raccontano gli evangelisti, perché la fiamma che la consumava la rendeva totalmente ardente e, inoltre, per la sua indole ella era magnanima, coraggiosa e tenace, sollecita e premurosa. Tra tutti, fu lei che si assunse come proprio dovere quello di prestare continuamente aiuto e sostegno alla Signora in quei terribili giorni, senza mai allontanarsene; e così fece, come amante fedelissima.

1151. Gesù fu imitato dalla Vergine anche nella preghiera e nell'offerta fatta in questa circostanza; ella, infatti, mirava tutte le sue azioni nel terso specchio del chiarore superno, allo scopo di emularle. Veniva servita e scortata dai suoi custodi, che le si manifestavano in forma umana visibile, come sua Maestà aveva stabilito. Con loro conversava sul sublime mistero del suo Unigenito, che né le sue compagne né alcun'altra creatura di quaggiù potevano comprendere. Solo essi percepivano e giudicavano adeguatamente l'incendio che divampava senza misura nel suo cuore puro e candido, nonché la forza con cui la attraevano dietro di sé i profumi inebrianti' del legame che la univa al suo Figlio, sposo e salvatore, e presentavano all'Onnipotente il sacrificio di lode ed espiazione della sua diletta e primogenita. Poiché tutti i mortali ignoravano la grandezza del beneficio della redenzione e quanto li obbligasse la carità del Signore e sua, ella stessa ingiungeva agli angeli di dare gloria e onore alla Trinità, e questi lo facevano secondo la sua volontà.

1152. Mi fanno difetto le parole adatte, nonché il dolore e i sentimenti convenienti, per riferire quanto capii relativamente alla loro ammirazione. Da una parte osservavano il Verbo e la loro Principessa tutti intenti alla propria opera, spinti dall'incontenibile amore che avevano ed hanno per gli uomini, e dall'altra la viltà, l'ingratitudine, la pigrizia e la durezza di questi nel confessare il proprio debito e nel ritenersi tenuti a ringraziare per un favore tale che avrebbe mosso a riconoscenza gli stessi demoni, se fossero stati capaci di esso. Non solo se ne stupivano, ma rimproveravano la nostra intollerabile mancanza. Io sono una debole donna e valgo meno di un vermiciattolo; tuttavia, in questa luce che mi è stata data, vorrei alzare la voce così da farla udire nell'intero universo, per risvegliare quanti sono inclini alla vanità e cercano la menzogna, ricordando loro questo vincolo e chiedendo a tutti, prostrata con la faccia al suolo, di non voler essere tanto insensibili e crudeli nemici di se stessi, ma di rigettare piuttosto tale sonno da spensierati che seppellisce nel pericolo della dannazione e tiene distanti dalla beatitudine celestiale che Cristo ci ha meritato con un'agonia oltremodo acerba.

Insegnamento della Regina del cielo

1153. Carissima, ora che la tua anima è stata rischiarata con concessioni così straordinarie, ti invito nuovamente a entrare nel profondo pelago degli arcani riguardanti la passione. Ordina le tue facoltà e fa' uso di tutte le tue energie interiori per essere degna di intendere almeno un po', di ponderare e di sentire le onte e le sofferenze delle quali il Figlio stesso dell'eterno Padre accettò di caricarsi, umiliandosi fino ad essere crocifisso per riscattare tutti, nonché ciò che io feci e sopportai standogli accanto. Bramo che tu studi e apprenda questa scienza tanto dimenticata, per seguire il tuo sposo e per prendere esempio da me, tua madre e maestra. Bramo che, scrivendo e provando intanto nel tuo animo quanto io ti insegnerò, ti spogli completamente di ogni attaccamento terreno e di te medesima, per ricalcare povera e distaccata i nostri passi distolta da ogni realtà materiale. Adesso, con un privilegio speciale, ti chiamo totalmente sola all'adempimento del beneplacito di Gesù e mio, desiderando istruire anche altri per mezzo tuo. Dunque, è necessario che ti dichiari obbligata per tutto questo come se si trattasse di un dono elargito esclusivamente a te e come se dovesse rimanere assolutamente inutile se non ne trai vantaggio tu. Lo devi apprezzare fino a questo punto perché, per l'amore con cui il mio Unigenito dette se stesso per te, ti guardò con affetto così intenso come se soltanto tu fossi bisognosa della sua morte per la tua salvezza.

1154. È con questa regola che devi stimare il tuo debito. Il Creatore medesimo, incarnato, è perito per i suoi fratelli, ma questi mostrano un'esecrabile e rischiosa smemoratezza. Procura, allora, di compensare tale ingiuria adorandolo per tutti, come se il pagamento fosse affidato unicamente a te e alla tua fedeltà. Contemporaneamente, affliggiti per la cieca stoltezza di costoro nel disdegnare la loro felicità senza fine e nell'attirare contro di sé l'ira di sua Maestà, togliendo efficacia alle più grandi prove del suo immenso bene verso il mondo. È per questo che ti rivelo tanti segreti e la pena senza pari che sostenni fin dal mio commiato da lui, quando egli si stava avviando al proprio sacrificio. Non ci sono termini in grado di esprimere la mia amarezza; perciò, di fronte ad essa, non devi considerare pesante nessuna tribolazione né ambire riposo o piacere naturale di alcun tipo, ma solo anelare di patire con il Signore. Unisciti ai miei travagli, corrispondendo con diligenza ai miei numerosi benefici.

1155. Voglio anche che tu mediti quanto siano detestabili agli occhi dell'Altissimo e ai miei, nonché a quelli di tutti i cittadini del cielo, la negligenza e il disprezzo nell'accostarsi alla santa comunione, come anche la carenza di disposizione e di fervore con cui lo si fa. Perché tu comprenda e comunichi questo ammonimento, ti ho manifestato ciò che feci io, preparandomi per tanti anni al momento in cui avrei accolto Cristo nel sacramento, oltre a quello che riferirai in seguito per vostro ammaestramento e a vostra vergogna. Se io, senza colpa alcuna che mi fosse di impedimento e piena di tutte le grazie, feci in modo di accrescere in me l'ardore, l'umiltà e la gratitudine, che cosa dovreste fare voi, figli della Chiesa, che ogni giorno cadete in nuovi peccati, per giungere a ricevere degnamente la bellezza della sua stessa divinità e umanità? Che conto dovranno rendere i cattolici nel giudizio? Essi hanno con sé, nell'eucaristia, il medesimo Dio, che aspetta che vengano a lui per ricolmarli dell'abbondanza delle sue benedizioni, eppure trascurano questo ineffabile favore per abbandonarsi perdutamente ad effimere delizie, facendosi schiavi di ciò che non è che apparente e fallace. Meravigliati, come gli angeli e i beati, per tanta insensatezza e sta' ben in guardia dall'incorrervi anche tu.

Augustinus
24-03-05, 17:26
Libro VI, Cap. 10, §§ 1156-1179

CAPITOLO 10

Cristo, nostro salvatore, celebra con i suoi discepoli l'ultima cena secondo la legge e lava loro i piedi, la sua Madre santissima conosce e comprende tutti questi misteri.

1156. Nel primo pomeriggio del giovedì precedente la sua morte, il nostro Redentore proseguiva il suo cammino verso Gerusalemme. I discepoli, nei colloqui che egli teneva con loro riguardo agli arcani sui quali li stava istruendo, gli esposero alcuni dubbi su ciò che non intendevano. Egli rispose a tutti come maestro della sapienza e padre premuroso, con parole piene di dolcissima luce, che penetrava il loro intimo; infatti, avendoli sempre amati, in quelle ultime ore della sua esistenza terrena, come cigno divino, manifestava con più forza la soavità della sua voce e del suo affetto. La sua imminente passione e la cognizione dei tanti tormenti che lo aspettavano non gli impedivano di farlo; anzi, come il calore concentrato per l'opposizione del freddo torna ad uscire con tutta la sua efficacia, l'incendio che ardeva senza misura nel suo cuore divampava con maggiore tenerezza e impeto ad accendere quegli stessi che cercavano di estinguerlo, cominciando a ferire i più vicini con le sue fiamme. Noi discendenti di Adamo, eccetto Cristo e la sua Madre beatissima, solitamente siamo resi impazienti dalla persecuzione, irritati dalle ingiurie e sconcertati dalle pene. Ogni cosa avversa ci turba, disanima e inasprisce contro chi ci offende, così che reputiamo grande virtù il non vendicarci all'istante. La carità di Gesù, però, non si alterò per le ingiurie che prevedeva e non si stancò per l'ignoranza dei suoi e per l'infedeltà che stava per sperimentare in loro.

1157. Lo interrogarono su dove volesse consumare la Pasqua; i giudei, infatti, in quella notte cenavano e festeggiavano tale ricorrenza molto importante. Nella loro legge era la figura più chiara dello stesso Signore e di quanto in lui e attraverso di lui si sarebbe dovuto operare, anche se gli apostoli non erano ancora in grado di conoscerlo sufficientemente. Egli, allora, inviò in città Pietro e Giovanni davanti agli altri: avrebbero visto entrare in una casa un servo con una brocca d'acqua e là avrebbero dovuto chiedere in suo nome al padrone che gli approntasse una stanza per stare a tavola con loro. Questi, una delle persone più ricche e rinomate del luogo, gli era devoto e aveva creduto nella sua dottrina e nei suoi miracoli. A motivo della sua pietà meritò che l'Autore della vita scegliesse la sua abitazione per consacrarla, con ciò che vi realizzò, come tempio santo per quanto ancora lì si sarebbe compiuto in seguito. Essi andarono subito e, individuati i segni che erano stati dati loro, pregarono quel tale di accoglierlo e di riceverlo come suo ospite per la solennità degli Azzimi; così, infatti, si chiamava quella Pasqua.

1158. Costui fu illuminato nell'animo con un favore speciale ed offrì generosamente la sua dimora, con il necessario per eseguire tutto secondo l'uso comune. Immediatamente destinò loro una sala assai ampia, addobbata e adornata come conveniva al mistero tanto venerabile che sarebbe stato istituito, anche se né egli stesso né i due ne erano al corrente. Quando tutto fu pronto arrivarono sua Maestà e gli altri, e poco dopo giunsero anche Maria e le donne che la seguivano. Senza indugio l'umile Regina, stesa al suolo, adorò come di consueto suo Figlio, gli domandò la benedizione e lo implorò di comandarle ciò che avrebbe dovuto fare. Le fu detto di appartarsi in una piccola stanza e di contemplare da lì quanto la Provvidenza aveva determinato di effettuare in tale sera, confortando le sue compagne e rischiarandole diligentemente su quello di cui era opportuno avvertirle. Ella obbedì e si ritirò con esse ingiungendo loro di perseverare nella fede e nell'orazione; intanto, continuava ad attendere con fervore la comunione, della quale sapeva vicino il momento, stando sempre attenta con lo sguardo interiore a tutto ciò che il suo Unigenito faceva.

1159. Il nostro Salvatore, quando la purissima Vergine si fu allontanata, si introdusse con i Dodici e con altri nell'ambiente allestito per loro. Mangiò con essi l'agnello, osservando tutte le prescrizioni senza tralasciare niente di quanto egli stesso aveva deliberato per mezzo di Mosè. In quest'ultima cena, spiegò ai presenti di che cosa fossero figura quei riti e rivelò loro che erano stati dati ai patriarchi e ai profeti per significare quello che stava adempiendo e doveva adempiere come redentore del mondo. Affermò che l'antica legge e le sue figure avrebbero perso il loro valore con l'avvento della verità; infatti, non potevano più restare le ombre, essendo già venuta in lui la luce e la nuova legge di grazia, nella quale sarebbero rimasti soltanto i precetti di quella naturale, fissata perpetuamente. Questi sarebbero stati elevati e perfezionati dagli altri suoi dettami e consigli; inoltre, con la forza che avrebbe conferito ai nuovi sacramenti, gli antichi sarebbero cessati, in quanto inefficaci e solo figura degli altri. Per tali scopi egli faceva quella celebrazione, con la quale dava termine al loro culto e ai loro costumi, che dovevano preparare a ciò che ora stava attuando; conseguito il fine, si interrompeva l'utilizzo dei mezzi.

1160. Con questi ammaestramenti, gli apostoli compresero ineffabili segreti di tali profondi arcani, mentre i semplici discepoli non capirono molto. Giuda intese poco o nulla, meno di tutti, perché era posseduto dall'avarizia e badava solo all'infame fellonìa che aveva tramato, stando completamente immerso nel pensiero di perpetrarla di nascosto. Anche Gesù manteneva il silenzio su di essa, perché così si addiceva alla sua equità e all'ordine dei suoi altissimi giudizi. Non volle escluderlo da niente, finché non si trasse fuori egli stesso per la sua perversa volontà, e lo trattò sempre come suo discepolo, apostolo e ministro, non smettendo di rispettarlo. Con il suo esempio educò i figli della Chiesa ad avere un considerevole ossequio verso i sacerdoti e a custodirne con zelo l'onore, senza divulgare i loro peccati e le debolezze che scorgono in essi, come in uomini di fragile natura. Dobbiamo supporre che non ci sarà alcuno peggiore di quel perfido; del resto, il nostro credo ci insegna che nessuno sarà come il Signore, né avrà tanta autorità e tanto potere. Dunque, non sarà mai legittimo che i mortali, tutti infinitamente da meno rispetto a quest'ultimo, si comportino con i pastori, migliori del traditore benché malvagi, come egli stesso non fece con lui. La questione non cambia nel caso dei superiori, dato che anche sua Maestà lo era eppure lo tollerò e proseguì a riverirlo.

1161. In questa occasione, il Figlio compose un cantico impenetrabile a lode del Padre, perché si erano compiute le figure della legge antica, a sua gloria. Prostrato a terra, umiliandosi secondo la sua santissima umanità, confessò e adorò la Divinità come enormemente più grande di lui. Parlandogli, elevò intimamente una sublime e fervida preghiera:

1162. «Dio immenso, il vostro celeste ed immutabile beneplacito decretò di formare la mia vera umanità, stabilendo che in essa io fossi primogenito di tutti i predestinati, per vostra esaltazione e loro interminabile gaudio, e che per mio mezzo essi si disponessero ad ottenere la beatitudine; per questo, per riscattare i discendenti di Adamo, ho vissuto con loro per trentatré anni. È giunta l'ora, opportuna e a voi gradita, che il vostro nome si manifesti e sia conosciuto e magnificato da ogni nazione attraverso la predicazione, che palesi a tutti la vostra imperscrutabile eccellenza. È tempo che venga aperto il libro sigillato con sette sigilli consegnatomi dalla vostra sapienza' e che venga posta felicemente fine all'immolazione di animali, che ha significato quello che io volontariamente ho ormai intenzione di donare di me stesso per le membra del corpo del quale sono il capo, le pecorelle del vostro gregge, che vi supplico di guardare con misericordia. Se essa placava il vostro sdegno grazie a ciò che preannunciava, è ragionevole che questo si concluda totalmente. Adesso mi offro con prontezza in sacrificio per essere crocifisso per tutti e mi pongo come olocausto nel fuoco del mio stesso amore. Si mitighi a questo punto il rigore della vostra giustizia e mostrate clemenza verso di essi. Diamo loro una norma di salvezza, attraverso la quale si aprano le porte del paradiso, finora sbarrate per la disobbedienza, e ritrovino un cammino sicuro per entrare con me ad ammirarvi, se vorranno seguire i miei comandamenti e ricalcare le mie orme».

1163. L'Onnipotente accettò questa invocazione e inviò subito dalle altezze innumerevoli eserciti di angeli, affinché assistessero nel cenacolo ai prodigi che il suo Unigenito stava per realizzare. Frattanto, Maria nel suo ritiro era assorta in somma contemplazione, ravvisando ogni cosa distintamente e con chiarezza, come se fosse stata presente. Collaborava in tutto con lui come le veniva dettato dalla sua eccezionale saggezza. Faceva atti eroici ed eccelsi di ognuna delle virtù, con le quali doveva corrispondere alle sue; queste, infatti, le risuonavano nel petto castissimo, dove con eco arcana venivano ripetute. Ella, nel modo a lei conveniente, innalzava le stesse orazioni, ed inoltre stupendi inni per ciò che l'umanità santissima nella persona del Verbo stava facendo per adempiere il volere superno e dare termine alle antiche figure della legge.

1164. La singolare armonia delle doti e delle azioni della nostra Signora, se ora la percepissimo, sarebbe meritevole di ogni meraviglia anche per noi, come lo fu per gli

spiriti sovrani e lo sarà per tutti nell'aldilà. Esse stavano ordinate nel suo cuore come in un coro, senza confondersi né impedirsi le une con le altre, e in tale circostanza erano attive, tutte e ciascuna, con maggiore forza. Sapeva come in Cristo tutto si compiva ed era sostituito dalla nuova legge e da sacramenti più nobili ed efficaci; osservava il frutto sovrabbondante della redenzione negli eletti, la rovina dei dannati, la glorificazione del Creatore e della santissima umanità di Gesù, la fede e la cognizione universale della Divinità, che veniva preparata a beneficio del mondo; vedeva spalancarsi il cielo, chiuso da tanti secoli, affinché i mortali vi avessero subito accesso attraverso lo stabilirsi e il progredire della Chiesa, fondata sul Vangelo, e di tutti i suoi misteri. Ne era artefice mirabile e prudente suo Figlio, tra il plauso e lo stupore degli abitanti del regno di Dio, che ella benediceva con rendimenti di grazie, senza tralasciare neppure un apice, gioendo e consolandosi con incomparabile giubilo.

1165. Nel contempo, però, discerneva che queste opere ineffabili sarebbero costate a sua Maestà dolori, ignominie, ingiurie e tormenti, e infine il supplizio più duro e aspro. Era cosciente che egli avrebbe dovuto soffrire tutto ciò nella carne ricevuta da lei e che, nonostante questo, tanti gli sarebbero stati ingrati e non ne avrebbero tratto profitto. Tale consapevolezza riempiva di desolante amarezza il candidissimo animo della pietosa Madre, ma questi moti interiori potevano essere contenuti nel suo nobile intimo, dal momento che ella era ritratto vivo e proporzionato di lui. Non si turbava o alterava e non mancava di sollevare e di educare le pie donne che erano con lei. Senza perdere la sublimità delle rivelazioni che le erano date, discendeva esternamente ad istruirle e confortarle con consigli salutari e con parole di vita eterna. O straordinaria Maestra ed esempio grandissimo, ben degno di essere imitato da noi! Purtroppo è vero che i nostri doni, se paragonati con quel pelago di grazia e di luce, sono impercettibili; ma è vero anche che le nostre pene e tribolazioni, a confronto delle sue, sono quasi apparenti e di poco peso, poiché ella da sola sopportò più di tutti gli altri messi insieme. Eppure, non sappiamo sostenere con pazienza la minima avversità, né per emularla e dimostrarle il nostro amore, né per la nostra beatitudine senza fine. Tutte le contrarietà ci inquietano, ci irritano e sono accolte da noi con disappunto: quando sopraggiungono, sciogliamo il freno alle passioni, resistiamo con ira, reagiamo con tristezza, abbandoniamo indocili la ragione, e tutti gli impulsi cattivi si scompigliano stando pronti a farci precipitare. Anche la prosperità ci diletta e ci rovina; insomma, non possiamo confidare in niente nella nostra natura macchiata e corrotta. In queste occasioni ricordiamoci, dunque, della nostra Regina, per rimettere al loro posto i nostri disordini.

1166. Conclusa la cena prescritta, dopo avere bene insegnato tutto agli apostoli, l'Unigenito si accinse a lavare loro i piedi, conformemente al racconto di Giovanni. Prima di cominciare, si rivolse ancora all'Altissimo, stendendosi al suo cospetto come aveva fatto all'inizio. Questa implorazione non fu vocale, ma egli disse mentalmente: «Padre mio, autore dell'intero universo, io sono vostra immagine, generato dal vostro intelletto e impronta della vostra sostanza. Essendomi offerto secondo la disposizione della vostra volontà perfetta per riscattare tutti con la mia crocifissione, bramo, per vostro beneplacito, di arrivare ad essa abbassandomi fino alla polvere, affinché la smisurata superbia di Lucifero venga confusa dalla semplicità del vostro diletto. Per lasciare una testimonianza di tale virtù ai Dodici e alla comunità ecclesiale, che si deve edificare su questo sicuro basamento, intendo lavare i piedi dei miei discepoli, anche quelli di Giuda, inferiore a tutti per la malvagità che ha tramato. Inginocchiandomi davanti a lui con sincera e profonda umiltà, gli manifesterò la mia amicizia e la possibilità di salvezza. Egli è il più acerrimo nemico che ho tra i mortali, ma non gli negherò la mia pietà e il perdono del suo tradimento; così, se lo rifiuterà, il cielo e la terra sapranno che io gli ho allargato le braccia della mia clemenza ed egli l'ha disprezzata con ostinazione».

1167. Fece quest'orazione per compiere tale gesto. Non ci sono termini e paragoni per comunicare qualcosa dell'impeto con il quale il suo ardore determinava e faceva tutto ciò: è lenta l'attività del fuoco, la corrente del mare, la caduta della pietra e ugualmente inadeguati sono gli altri movimenti immaginabili negli elementi; non possiamo, però, ignorare che solo la sua carità e la sua sapienza poterono pensare tale espressione di modestia. Egli, nella sua divinità e umanità, si piegò fino alla parte più bassa dell'uomo, i piedi, e addirittura fino a quelli del peggiore tra tutti. Colui che era la Parola di Dio pose la sua bocca su quanto era meno decoroso e più spregevole. Colui che era il Santo dei santi e la stessa bontà per essenza, Signore dei signori e re dei re, si chinò davanti alla persona più scellerata perché potesse essere redenta, se avesse voluto comprendere e accettare questo beneficio, che non è mai sufficientemente ponderato e magnificato.

1168. Dopo aver pregato si alzò e, con un aspetto bellissimo, sereno e affabile, comandò ai suoi di sedersi tutti ordinatamente, come se fossero stati tanti magnati e lui il loro servo. Quindi, si tolse il mantello che teneva sopra la tunica inconsutile, che gli giungeva ai calcagni pur senza coprirli. In quel momento portava dei sandali, quantunque in certe circostanze se li levasse per predicare scalzo. Erano sempre gli stessi che Maria gli aveva messo per la prima volta in Egitto e che da quel giorno erano cresciuti lentamente come i suoi piedi. Spogliatosi dunque del mantello, al quale si riferisce l'Evangelista parlando di vesti, prese una lunga stoffa e si cinse con una parte di essa, facendo pendere l'altra estremità. Versò poi dell'acqua in un catino, mentre tutti, pieni di meraviglia, stavano attenti a quello che veniva eseguito.

1169. Si avvicinò al capo degli apostoli per iniziare da lui, ma questi nel suo fervore, quando vide prostrato davanti a sé lo stesso Cristo che aveva confessato come Figlio del Dio vivente, rinnovando nel suo intimo questa fede con la luce che allora lo illuminava e ravvisando con grande consapevolezza la propria bassezza, turbato e sorpreso domandò: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Il nostro bene replicò con incomparabile mansuetudine: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Ciò significava: «Conformati adesso al mio volere e non anteporre il tuo giudizio, perché così perverti l'ordine delle virtù e le separi. Prima devi soggiogare il tuo intelletto e credere che è conveniente quanto io faccio; solo dopo afferrerai i misteri nascosti nelle mie opere, perché all'intelligenza di essi devi accedere attraverso la porta dell'obbedienza, senza la quale la tua umiltà non può essere veramente tale, ma orgoglio. Del resto, la tua non si può porre innanzi alla mia; infatti, io mi sono umiliato fino alla morte, e per farlo in questa misura ho obbedito, mentre tu, che sei mio discepolo, non ti attieni al mio insegnamento e sotto un'apparenza di umiltà sei disobbediente. Se inverti tali qualità dando retta alla tua presunzione, ti privi di entrambe».

1170. Egli non intese questo ammaestramento, racchiuso nella risposta, perché, pur stando alla sua scuola, non era arrivato a sperimentare gli influssi celesti della lavanda alla quale l'Autore della vita si accingeva e del contatto con lui. Imbarazzato dalla propria inopportuna riverenza, ribatté: «Non mi laverai mai i piedi!». Fu ammonito con più durezza: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Con questa frase severa, sua Maestà canonizzò la sicurezza dell'obbedienza. Secondo la logica terrena pare che Pietro avesse delle valide motivazioni per opporsi ad un'azione tanto inaudita e tale da essere ritenuta molto audace, come era il consentire, uomo vile e non immune da colpe, che gli stesse inginocchiato dinanzi Dio stesso, da lui riconosciuto e adorato come tale. Questa giustificazione, però, non fu considerata buona, perché Gesù non poteva sbagliare in quello che faceva e, quando non ci risulta palese l'errore in chi ha autorità, l'obbedienza deve essere cieca e non, cercare ragioni per resistere. Il Salvatore voleva dare rimedio alla ribellione dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, per mezzo della quale il peccato era entrato nel mondo Per la somiglianza che l'atteggiamento del pescatore aveva con essa, della quale partecipava, il Signore gli fece temere una punizione simile, affermando che se non si fosse assoggettato non avrebbe avuto parte con lui. Ciò corrispondeva a escluderlo dai suoi meriti e dal frutto della redenzione, per la quale siamo fatti capaci e degni della sua amicizia e della sua gloria. Lo minacciò pure di negargli il suo corpo e il suo sangue, che stava per consacrare sotto le specie del pane e del vino. Anche se in queste desiderava donarsi interamente, e non diviso, e anelava ardentemente di comunicarsi in tale modo arcano, l'indocilità avrebbe potuto sottrarre a costui l'amoroso beneficio se avesse perseverato in essa.

1171. Alle parole dell'Unigenito, il principe del collegio apostolico rimase tanto castigato e istruito che, con eccellente abbandono, esclamò subito: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Ciò equivaleva a dire: «Offro i miei piedi per correre verso l'obbedienza, le mie mani per esercitarla e il mio capo per non seguire il mio proprio giudizio contro di essa». Cristo accettò questo atto di sottomissione e dichiarò: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti»; infatti, uno di loro era completamente immondo. Proclamò questo perché i suoi, tranne Giuda, erano stati resi giusti dalle sue esortazioni; essi avevano solo bisogno di lavare le imperfezioni e le pecche leggere, per ricevere l'eucaristia con disposizione migliore, come è necessario per ottenerne gli effetti soprannaturali e per conseguire grazia più copiosa, piena ed efficace. Le mancanze veniali, le distrazioni e la tiepidezza nell'accostarsi ad essa, difatti, sono di enorme intralcio. Così, Pietro venne purificato e dopo di lui anche gli altri, tra lo stupore e le lacrime, perché erano tutti rischiarati e colmati di nuovi favori.

1172. Il Maestro passò al traditore, la cui slealtà e perfidia non poté estinguere la sua carità, né impedirgli attestazioni di affetto maggiori che ai suoi compagni. Senza manifestare pubblicamente questi particolari segni di tenerezza, li fece evidenti a lui in due maniere: innanzitutto, nell'amabilità e nella delicatezza con cui si mise ai suoi piedi, li bagnò, li baciò e li strinse al petto; poi, nelle sublimi ispirazioni con le quali toccò il suo intimo, nella misura richiesta dalla debolezza e miseria di quell'animo depravato, cioè dandogli aiuti molto più larghi che agli altri. La sua condizione, però, era pessima, i suoi vizi estremamente radicati in lui, la sua ostinazione indurita e le sue facoltà turbate e debilitate. Egli si era allontanato in tutto e per tutto dall'Altissimo e si era dato in potere al demonio, che stava in lui come in un trono della sua perversità, e pertanto ostacolò ogni soccorso e ogni impulso positivo. Si aggiunse inoltre la paura di ciò che gli avrebbero fatto gli scribi e i farisei se non avesse rispettato l'accordo. Alla presenza di sua Maestà e per l'energia interiore del sostegno che gli era concesso, la luce dell'intelletto lo voleva muovere; per questo, si sollevò nella sua coscienza tenebrosa una burrasca turbolenta, che lo riempì di confusione e di astio, lo infiammò di rabbia, lo gettò nella disperazione, lo spinse distante dal medico che intendeva applicargli la cura salutare, e convertì questa in veleno mortale e in fiele amarissimo della malvagità dalla quale era pervaso e posseduto.

1173. La sua iniquità si oppose alla forza del contatto con le mani divine nelle quali l'eterno Padre aveva posto ogni tesoro, nonché la possibilità di compiere cose mirabili e di arricchire tutte le creature. Anche se la sua pertinacia non avesse avuto altri ausili che quelli portati ordinariamente dalla visione del Redentore, la sua malignità sarebbe stata superiore ad ogni immaginazione. Il corpo di Gesù era assolutamente perfetto e armonioso; il suo aspetto era composto e sereno, bello, piacevole e soave; i suoi capelli, tra il biondo e il castano, erano tagliati pari secondo l'uso di Nazaret; i suoi occhi erano grandi e sommamente graziosi e nobili; la bocca, il naso e le altre parti del suo viso erano ben proporzionate. In tutto, poi, appariva tanto affabile e leggiadro che chiunque lo mirava senza malizia era spinto a rispettarlo e ad amarlo. Inoltre, la sua vista provocava vivo giubilo, con singolare illuminazione delle anime, generava in esse pensieri celesti e produceva altri influssi. Giuda ebbe ai suoi piedi questa persona così incantevole e venerabile, che gli dava inconsuete dimostrazioni di cortesia, peraltro con stimoli più abbondanti di quelli comuni. La sua scelleratezza, però, fu tale che niente poté piegare o ammorbidire il suo cuore di pietra; anzi, si sdegnò della dolcezza di lui e non volle guardarlo in faccia, né porgli attenzione. Dal momento in cui aveva perso la fede e la grazia, infatti, aveva cominciato a provare questo odio contro di lui e contro la sua Madre santissima, e non li fissava mai in volto. Più spaventoso fu il terrore che della vicinanza di Cristo ebbe Lucifero. Come ho spiegato, questi se ne stava nel vile discepolo e, non tollerando l'umiltà che il Salvatore usava con gli apostoli, cercò di uscire da colui che dominava e dal cenacolo; ma il vigore del braccio onnipotente non permise che se ne andasse, per schiacciare la sua superbia. In seguito, però, il demonio venne scacciato di là, pieno di furore e di sospetti che costui fosse vero Dio.

1174. Terminata la lavanda e ripreso il suo mantello, l'Unigenito si mise a sedere in mezzo ai suoi e fece loro il lungo discorso che ci riferisce il quarto evangelista, iniziando con queste parole: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato». Proseguì rivelando loro eccelsi misteri, istruendoli, ammonendoli e formandoli; non mi trattengo qui a ripetere questo, rimettendomi al testo sacro. Tale discorso li rischiarò ancora sulla beatissima Trinità e sull'incarnazione, li dispose ulteriormente all'eucaristia e li confermò in quanto già sapevano della profondità della sua predicazione e dei suoi miracoli. Fra tutti, quelli che lo penetrarono di più furono Giovanni e Pietro, perché ciascuno ebbe una comprensione diversa, maggiore o minore in base alla propria condizione spirituale e alla volontà celeste. Il primo racconta ciò parlando della domanda che rivolse circa il traditore a sua Maestà; questi stesso durante la cena, quando egli si reclinò sul suo petto, gli svelò chi era. Il secondo lo aveva sollecitato a farlo perché desiderava esserne informato per vendicare il suo Signore o impedirne la consegna, mosso dal fervore che gli ardeva dentro e che era solito manifestare più degli altri. Giovanni, però, non glielo disse, pur avendolo conosciuto dal segno indicatogli, cioè dal boccone offerto a quell'infame: tacque e mantenne il segreto, esercitando la carità che gli era stata comunicata e insegnata alla scuola del suo Maestro.

1175. Fu privilegiato in questo favore e in molti altri quando poggiò il capo sul petto di Gesù, dove apprese sublimi arcani riguardanti la sua divinità e umanità nonché la Regina. In tale occasione, quest'ultima gli fu affidata, affinché ne avesse cura; dalla croce, infatti, non gli fu proclamato: «Ella sarà tua madre», né a lei: «Egli sarà tuo figlio». Il Redentore non lo decise allora, ma dichiarò pubblicamente quello che già prima aveva raccomandato e ordinato. Di tutti gli atti che eseguì nella lavanda dei piedi e delle sue espressioni la purissima Vergine aveva straordinaria cognizione e visione, come già altrove si è asseri to, e per tutto ella compose cantici a lode e gloria dell'Altissimo. Quando in seguito furono compiute le sue meraviglie, le osservava non come venendo a scoprire qualcosa di nuovo, prima ignorato, ma come scorgendo realizzare quello che già sapeva e che teneva scritto nel suo intimo, così come nelle tavole di Mosè erano incisi i comandamenti. Intanto, illuminava le pie donne che erano con lei su quanto era conveniente, serbando per sé ciò che non erano capaci di intendere.

Insegnamento della Regina del cielo

1176. Carissima, pretendo che tu eccella nelle tre virtù principali di mio Figlio, da me affrontate nel presente capitolo, imitandolo in esse come sua sposa e mia diletta discepola. Queste sono la carità, l'umiltà e l'obbedienza, nelle quali egli al concludersi della sua esistenza terrena si volle distinguere di più. Senza dubbio, mostrò sempre il suo affetto verso gli uomini, poiché per loro e a loro vantaggio fece tante e così mirabili azioni, dall'istante in cui fu concepito nel mio seno per intervento dello Spirito Santo. Al termine dei suoi giorni, però, quando stabilì la legge evangelica e il Nuovo Testamento, la fiamma dell'accesa carità che bruciava in lui si palesò con più forza, agendo in tale circostanza con tutta la sua efficacia. Da parte sua concorsero i dolori della morte, che lo circondavano, e da parte dei discendenti di Adamo l'avversione a patire e ad accettare il bene, la somma ingratitudine e la perversità. Questi, infatti, tentavano di disonorarlo e togliere la vita a chi la dava loro e preparava per tutti la beatitudine senza fine. Con una simile contraddizione, crebbe l'amore che non si doveva spegnere; così, egli fu più ingegnoso per conservarsi nelle sue opere, determinò come restare tra i suoi, dovendosi allontanare da loro, e fece capire con l'esempio, le esortazioni ed i gesti quali fossero i mezzi validi e certi per essere partecipi dei suoi effetti.

1177. In quest'arte di amare il prossimo per Dio, voglio che tu sia molto saggia e solerte. Lo sarai se anche le pene e le ingiurie risveglieranno in te l'impeto della carità. Devi valutare attentamente che essa è sicura e senza sospetti quando non viene sollecitata con regali o lusinghe. È un debito amare chi ti fa del bene, ma, se rifletti, devi convenire che in quel caso non sai se lo ami per Dio o per ciò che ti è dato. In questa seconda ipotesi, si tratterebbe di amore verso l'interesse o verso te stessa, non verso il tuo prossimo per Dio. Chi ama per altre finalità o per motivi allettanti non conosce la carità, perché è posseduto dal cieco amor proprio del suo piacere. Se, invece, ami chi non ti spinge a questo per tali vie, la causa e l'oggetto principale è il Signore stesso, che ami nella sua creatura, qualunque essa sia. Poiché, poi, non puoi praticare la carità corporale tanto quanto quella spirituale, sebbene tu debba abbracciarle entrambe in base alle tue possibilità ed alle opportunità che ti si presenteranno, in quest'ultima devi estenderti continuamente a cose grandi, come brama l'Onnipotente, con preghiere, invocazioni, esercizi e anche con ammonimenti prudenti e santi, procurando in tal modo la salvezza. Ricordati che il mio Unigenito non fece a nessuno un favore temporale senza accompagnarlo ad uno spirituale. I suoi atti non sarebbero stati perfetti se non fossero stati fatti con questa pienezza. Da ciò comprenderai quanto i benefici dell'anima siano da preferire a quelli esteriori: chiedili sempre dando loro la priorità, quantunque la gente mondana ordinariamente cerchi con sconsideratezza quelli caduchi, dimenticando le ricchezze imperiture e riguardanti la vera amicizia e grazia dell'Eterno.

1178. L'umiltà e l'obbedienza furono esaltate nel mio Gesù da quello che egli fece e insegnò lavando i piedi ai suoi; se non scenderai più giù della polvere, con la luce interiore che hai di questo raro modello, il tuo cuore sarà assai duro e indocile alle sue parole. D'ora in poi, dunque, sii ben persuasa che non potrai mai dire o immaginare di esserti umiliata adeguatamente, benché tu venga disprezzata al di sotto di tutti, per quanto peccatori; nessuno, infatti, sarà peggiore di Giuda, né tu puoi essere come il tuo Maestro. Nonostante questo, se meriterai che egli ti faccia omaggio di tale virtù, ciò ti darà una specie di eccellenza e proporzione con la quale divenire degna del titolo di sua sposa e in qualche maniera simile a lui stesso. Senza di essa, nessuno può essere sublimato tanto: quello che è alto deve prima essere abbassato ed è chi si abbassato che può e deve essere innalzato; si è sempre sollevati in corrispondenza di quanto ci si mortifica.

1179. Affinché tu non smarrisca la gioia dell'umiltà pensando di custodirla, ti avverto che non va anteposta all'obbedienza, né va regolata secondo il proprio senno, ma secondo quello del superiore; altrimenti, sotto un'opposta apparenza, vivi da superba, perché non solo non ti collochi all'ultimo posto, ma ti elevi al di sopra della volontà di chi ti governa. Questo ti dimostra come tu ti possa ingannare, avvilendoti come Pietro per non accogliere la generosità di Cristo. Così ti privi non solo dei tesori ai quali resisti, ma anche della stessa umiltà, che è il più eccelso, della riconoscenza da te dovuta a lui per i suoi sommi fini e della glorificazione del suo nome. Non tocca a te penetrare i suoi imperscrutabili giudizi, né correggerli con le tue argomentazioni, per le quali ti ritieni non idonea a ricevere dei doni o a fare alcune opere. Tutto ciò è semenza dell'orgoglio di Lucifero, nascosto da una falsa modestia: con essa egli tenta di renderti incapace di aver parte del Signore, delle sue elargizioni e della sua familiarità, che tanto desideri. Sia, dunque, per te legge inviolabile credere, accettare, stimare e gradire con riverenza le sue concessioni, appena i tuoi confessori e superiori le avranno approvate. Allora, non cominciare a perderti in ragionamenti cavillosi, con nuovi dubbi e timori; agisci piuttosto con fervore, e sarai umile, obbediente e mansueta.

Augustinus
24-03-05, 17:31
Libro VI, Cap. 11, §§ 1180-1203

CAPITOLO 11

Cristo, nostro salvatore, celebra la cena sacramentale ed istituisce l'eucaristia, consacrando il pane e il vino nel suo sacratissimo e vero corpo e sangue: le preghiere e le invocazioni che fece; come comunicò la sua santissima Madre, ed altri misteriosi prodigi che avvennero in questa occasione.

1180. Con gran timore mi accingo a trattare del Sacramento dei sacramenti, l'ineffabile eucaristia, e di ciò che fu necessario per la sua istituzione. Difatti, sollevando gli occhi dell'anima per ricevere la luce divina che mi guida e mi assiste in quest'Opera, la scienza che mi viene infusa su tante meraviglie e su misteri così eccelsi è tale che ho paura della mia piccolezza, rivelatami nello specchio della stessa luce. Le mie facoltà sono confuse, e non trovo né posso trovare parole congruenti per spiegare ciò che vedo e per dichiarare il mio pensiero, benché tanto inferiore all'oggetto dell'intelletto. Tuttavia parlerò come ignorante, lacunosa nei termini e inabile nelle capacità, per non mancare all'obbedienza e per tessere questa Storia, continuando a raccontare ciò che in queste meraviglie operò la gran signora del mondo, Maria santissima. Se non mi esprimerò con la competenza che richiede la materia, mi facciano da scusante la mia misera condizione e il mio stupore, perché non è facile discendere alle parole appropriate, quando la volontà desidera solo con i sentimenti supplire il limite della capacità di intendere e brama di godere in disparte ciò che non può né conviene manifestare.

1181. Cristo, nostro bene, celebrò la cena prevista dalla legge, come era suo solito, adagiato in terra con gli apostoli, sopra una mensa o predella che si alzava dal suolo poco più di sei o sette dita, conformemente all'usanza dei giudei. Terminata la lavanda dei piedi, sua Maestà ordinò di preparare un'altra mensa più alta, simile a quella che oggi usiamo per mangiare. Con questa cerimonia pose fine alle cene ed alle rappresentazioni sommesse e figurative, e diede inizio al nuovo convito in cui istituì la legge di grazia. Da qui prese avvio la consuetudine, che permane nella Chiesa cattolica, di consacrare su una mensa o su un altare. I santi apostoli coprirono la nuova mensa con una tovaglia molto preziosa e sopra di essa posero un piatto o sottocoppa ed una coppa grande a forma di calice, sufficiente a ricevere il vino necessario, secondo il volere di Cristo nostro salvatore che con la sua potenza e divina sapienza preveniva e disponeva tutto. Il padrone di quella casa mosso da un grande impulso gli offrì questi vasi preziosi, ricchi di pietra simile a smeraldo. In seguito, furono usati dai santi discepoli per la consacrazione, quando riconobbero il tempo più opportuno e conveniente per celebrare. Gesù si sedette a mensa con i Dodici e con altri seguaci, e chiese che gli portassero del pane genuino, senza lievito, che pose sul piatto, e del vino puro con il quale riempì il calice della quantità necessaria.

1182. Il Maestro della vita fece un dolcissimo discorso agli apostoli: le sue divine parole, che sempre penetravano sino all'intimo del cuore, in questo sermone furono come raggi accesi dal fuoco della carità, che scaldarono di questa dolce fiamma gli animi dei discepoli. Egli manifestò loro nuovi ed altissimi misteri sulla sua divinità e umanità, e sulle opere della sua redenzione; raccomandò la pace e l'unione della scambievole carità, che lasciò vincolata a quel sacro mistero che aveva stabilito di operare; promise ad essi che, se si fossero amati gli uni gli altri, il suo eterno Padre li avrebbe amati come amava lui, e infuse in loro la sapienza per comprendere questa promessa ed avere la cognizione di essere stati eletti per istituire la nuova Chiesa e la legge di grazia. Infine, rinnovò l'illuminazione, che già avevano, circa la suprema dignità, l'eccellenza e i privilegi della sua purissima Madre. Su tutti questi misteri san Giovanni ricevette una maggiore luce a causa del ministero a cui era destinato. Dalla stanza dove era ritirata in divina contemplazione, la celeste Signora vedeva tutto quello che il suo santissimo Figlio operava nel cenacolo, e con profonda intelligenza lo penetrava ed intendeva più di tutti gli apostoli, e perfino degli stessi angeli che assistevano, come si è detto sopra, in forma corporea, adorando il loro vero Signore, re e creatore. Dal luogo dove stavano, Enoch ed Elia furono trasportati nel cenacolo dagli angeli, perché il Signore aveva disposto che questi due padri, uno della legge naturale e l'altro di quella scritta, si trovassero presenti alla meravigliosa istituzione della nuova legge e fossero partecipi dei suoi mirabili misteri.

1183. Mentre tutti questi personaggi che ho nominato si trovavano assieme, aspettando con stupore ciò che stava per fare l'Autore della vita, apparvero nel cenacolo le persone dell'eterno Padre e dello Spirito Santo, come era accaduto al Giordano e sul Tabor. Quantunque tutti gli apostoli e i discepoli sentissero qualche effetto di questa visione, solo alcuni l'avvertirono, e tra questi in modo speciale l'evangelista san Giovanni, che nei divini misteri ebbe sempre il privilegio di un acume penetrante come la vista di un'aquila. Tutto il cielo si trasferì nel cenacolo di Gerusalemme. Tanto doveva essere e fu magnifica l'opera con la quale si istituì la Chiesa del Nuovo Testamento, si stabilì la legge di grazia e si preparò la nostra eterna salvezza! Per comprendere quanto operò il Verbo incarnato, desidero sottolineare che avendo egli due nature, divina e umana, presenti entrambe nella sua stessa persona, le azioni di ambedue le nature si dichiarano e si predicano attribuendole ad un'unica persona, quella del vero Dio e vero uomo. Conformemente a ciò, quando dico che il Verbo incarnato parlava e pregava il suo eterno Padre, non si deve intendere che egli parlasse e pregasse con la natura divina, nella quale era uguale al Padre, ma con quella umana, in cui era inferiore e costituito come noi di anima e corpo. In questa forma Cristo, nostro bene, nel cenacolo rese onore, magnificenza e lode all'Onnipotente per la sua divinità e per il suo essere infinito, ed intercedendo a favore del genere umano pregò dicendo:

1184. «Padre mio e Dio eterno, io vi onoro, vi lodo e vi magnifico nell'essere infinito della vostra divinità inaccessibile, nella quale sono una medesima cosa con voi e con lo Spirito Santo, perché sono stato generato "ab aeterno" dal vostro intelletto, come impronta della vostra sostanza ed immagine della vostra stessa indivisibile natura. Io voglio portare a termine l'opera della redenzione umana che mi avete affidato nella natura che presi nel grembo verginale di mia Madre; desidero espletarla nel modo più perfetto e con la pienezza del vostro divino consenso e così passare da questo mondo alla vostra destra portandovi tutti quelli che mi avete dato senza che alcuno vada perduto, per quanto dipenda dalla nostra volontà e dalla forza stessa della redenzione. Ho posto le mie delizie tra i figli degli uomini che in mia assenza resteranno orfani e soli, se li lascio senza assistenza. Voglio, perciò, Padre mio, lasciare loro un pegno certo e sicuro del mio inestinguibile amore e del premio eterno che per essi ho preparato. Voglio lasciare loro un ricordo indefettibile di ciò che ho operato e patito per essi. Voglio che ritrovino nei miei meriti un facile ed efficace rimedio al peccato, di cui furono partecipi per la disobbedienza del primo uomo; e voglio restituire ad essi copiosamente il diritto, che perdettero, di prender parte alla felicità eterna, per la quale furono creati».

1185. «E proprio perché saranno pochi coloro che accederanno a questo stato di perfezione, è necessario che rimangano altri mezzi di riscatto con cui riacquistarlo, ricevendo nuovi doni e grandissimi favori dalla vostra ineffabile clemenza, per restare giustificati e santificati tramite diverse vie, durante il loro pericoloso pellegrinaggio terreno. La nostra volontà eterna, con la quale decretammo la creazione dell'uomo dal nulla, affinché egli prendesse esistenza e la conservasse, fu al fine di donargli le perfezioni e la beatitudine della nostra divinità; ma il vostro amore, che mi obbligò a nascere con un corpo corruttibile e ad umiliarmi per gli uomini fino alla morte di crocee, non resta soddisfatto se non trova nuove maniere di comunicarsi ad essi, secondo la loro capacità e la nostra sapienza. Ciò deve avvenire con segni visibili e sensibili, percepibili dalla natura fisica dei mortali, ma che abbiano effetti invisibili, di cui sia partecipe il loro spirito immortale».

1186. «Per il fine altissimo della vostra esaltazione e della vostra gloria chiedo, Signore e Padre mio, il "fiat" della vostra eterna volontà, nel nome mio e di tutti i figli poveri ed afflitti di Adamo. E se le loro colpe provocano la vostra giustizia, la loro condizione di miseria e di bisogno invoca la vostra infinita misericordia, accanto alla quale io interpongo le opere della mia umanità unita con vincolo indissolubile alla mia divinità: l'obbedienza con la quale accettai di essere passibile sino alla morte; l'umiltà con la quale mi assoggettai agli uomini ed ai loro depravati giudizi; la povertà e le sofferenze della mia vita; le ignominie, la passione e morte; e infine l'amore con cui accettai tutto ciò per la vostra gloria, e perché voi siate riconosciuto ed adorato da tutte le creature capaci di ricevere la vostra grazia e di magnificarvi. Voi, Signore e Padre mio, mi rendeste fratello degli uomini e capo di tutti gli eletti che devono godere con noi per sempre della nostra divinità, affinché come figli siano eredi con me dei vostri beni eterni e come membra partecipino dell'influsso del capo: effetto che io bramo di comunicare loro, per l'amore che come per fratelli ho verso di essi. E per quanto mi riguarda, voglio condurli tutti con me alla vostra amicizia e comunione, per la quale furono formati nel loro capo naturale, il primo uomo, da cui discendono».

1187. «Con questo amore immenso dispongo, Signore e Padre mio, che tutti i mortali da questo momento possano essere rigenerati nella pienezza della vostra amicizia e della vostra grazia con il sacramento del battesimo. Essi lo possono ricevere subito dopo essere venuti alla luce, senza volere proprio, manifestandolo altri per loro, affinché rinascano nella vostra accettazione. Da quel momento in poi saranno eredi della vostra gloria; resteranno contrassegnati come figli della Chiesa con un carattere indelebile, che non potranno mai più perdere; rimarranno purificati dalla macchia del peccato originale; e riceveranno i doni delle virtù teologali, fede, speranza e carità, con le quali potranno operare come figli, riconoscendovi Signore, sperando in voi ed amandovi per voi stesso. Gli uomini riceveranno anche le virtù con cui frenare e governare le passioni disordinate del peccato, e sapranno discernere senza inganno il bene ed il male. Il battesimo sia il vestibolo d'ingresso alla mia Chiesa, e la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti ed ai nuovi benefici della grazia. Dispongo ancora che dopo questo sacramento ne ricevano un altro, dal quale siano corroborati e confermati nella santa fede che hanno professato, e che devono professare e difendere con fortezza arrivando all'uso della ragione. E poiché gli uomini per la loro fragilità mancheranno facilmente nell'osservanza della mia legge, e la mia carità non sopporta che vengano lasciati senza un rimedio facile ed opportuno, voglio che serva a questo fine la penitenza. Per suo mezzo i figli della Chiesa, riconoscendo le loro colpe con dolore e confessandole, potranno ritornare nello stato di giustizia e raggiungere la gloria che ho promesso loro. Lucifero e i suoi seguaci in tal modo non riporteranno il trionfo di averli allontanati dallo stato di grazia e di sicurezza in cui li aveva posti il battesimo».

1188. «1 mortali giustificati per mezzo di questi sacramenti si ritroveranno abilitati ad amare in sommo grado e ad essere in piena comunione con me, durante l'esilio della loro vita terrena: unione che stabiliranno ricevendomi in un modo del tutto ineffabile nelle specie del pane e del vino in cui lascerò il mio corpo e il mio sangue. Ed in ciascuno sarò presente tutto, realmente e veramente, attraverso il misterioso sacramento dell'eucaristia, perché mi dono in forma di alimento proporzionato alla condizione umana ed allo stato dei viatori, per i quali opero queste meraviglie e con i quali sarò presente in questo modo tutti i giorni fino alla fine del mondo. Ed affinché gli uomini abbiano un altro mezzo che li purifichi e li difenda, quando giungeranno al termine della vita, istituisco per essi l'estrema unzione, che sarà anche una specie di pegno della loro risurrezione nei medesimi corpi segnati da questo sacro sigillo. Tutti questi sacramenti sono indirizzati a santificare le membra del corpo mistico della mia Chiesa, nella quale si deve osservare in modo sommo l'ordine e la concordia, dando a ciascuno l'autorità corrispondente al proprio ufficio. Voglio così che coloro che li conferiscono siano ordinati mediante un altro sacramento che li collochi nel supremo grado di sacerdoti rispetto a tutti gli altri fedeli: a tale effetto serva l'ordine, perché li contrassegni, li distingua e li santifichi in modo speciale ed eminente. E benché tutti ricevano da me questa eccellente investitura, dispongo che ciò avvenga per mezzo di un capo che sia mio vicario, rappresenti la mia persona, e sia il supremo sacerdote nella cui volontà deposito le chiavi del cielo ed al quale tutti devono ubbidire sulla terra. Infine, per una più alta perfezione della mia Chiesa istituisco il matrimonio, perché santifichi il vincolo naturale ordinato alla procreazione umana. Per effetto di questi sacramenti tutti i gradi della Chiesa saranno così arricchiti ed ornati dei miei infiniti meriti. Questa, eterno Padre, è la mia ultima volontà, con la quale faccio tutti i mortali eredi dei miei tesori, che vincolo alla mia nuova Chiesa, in cui li lascio depositati».

1189. Cristo, nostro redentore, fece questa preghiera solamente in presenza degli apostoli. Ma la beatissima Regina, che dal luogo dove stava ritirata l'osservava e l'accompagnava con le sue orazioni, si prostrò a terra ed offrì, come madre, all'eterno Padre le suppliche del Figlio. E quantunque non potesse intensificare, con tutte le sue forze, le opere del nostro Salvatore, alla richiesta che egli presentava all'Onnipotente concorse anch'ella, come sua coadiutrice, similmente a quanto aveva fatto in altre occasioni, fomentando da parte sua la divina misericordia, affinché l'eterno Padre non guardasse mai il suo Unigenito da solo, ma sempre in compagnia di sua Madre. E così fece l'Onnipotente, guardando entrambi con tenerezza ed attenzione, ed accettando le preghiere e le suppliche del Figlio e della Madre per la salvezza degli uomini. In quest'occasione la Regina operò anche un'altra cosa, perché il suo santissimo Figlio la affidò a lei. Per intendere questo è opportuno considerare che Lucifero si trovò presente alla lavanda degli apostoli, come si è già detto nel precedente capitolo; egli, pertanto, non avendo avuto il permesso di uscire dal cenacolo, da ciò che vide fare a Cristo nostro bene, arguì con astuzia che volesse operare qualcosa di portentoso a beneficio dei Dodici. E benché il dragone si riconoscesse molto debilitato e senza forze per lottare contro il Redentore, con implacabile furore e superbia volle investigare quei misteri per escogitare qualche malvagità. La gran Signora vide questo estremo tentativo di Lucifero e che il suo santissimo Figlio rimetteva a lei questa causa; pertanto accesa di zelo e di amore per la gloria dell'Altissimo, con autorevolezza di regina ordinò al dragone e a tutte le sue schiere che proprio in quello stesso momento uscissero dal cenacolo e sprofondassero nell'inferno.

1190. In questa impresa, per la pertinacia del principe delle tenebre, il braccio dell'Onnipotente diede a Maria santissima una nuova forza a cui non resistette nessuno dei demoni. Furono così ricacciati nelle caverne infernali fino a quando ebbero il nuovo permesso di uscire e di trovarsi presenti alla passione e morte del nostro Redentore, con la quale dovevano rimanere del tutto vinti ed accertati che Cristo fosse effettivamente il Messia e il salvatore del mondo, vero Dio e vero uomo. Da ciò si può comprendere il motivo per cui Lucifero e i suoi seguaci furono presenti alla cena prevista dalla legge, alla lavanda degli apostoli e poi a tutta la passione, ma non si trovarono all'istituzione della santa eucaristia né alla comunione che i discepoli ricevettero dalle mani dello stesso Cristo, nostro Signore. Subito dopo, la gran Regina si elevò all'adempimento di un più sublime esercizio e alla contemplazione dei misteri che si preparavano. I santi angeli la magnificarono come valorosa e nuova Giuditta cantandole inni di gloria per il trionfo riportato contro il dragone infernale. Nello stesso tempo Cristo, nostro bene, compose un altro cantico in onore dell'eterno Padre, rendendogli grazie per i favori concessi a beneficio degli uomini.

1191. Dopo quanto si è detto, il divin Maestro prese nelle sue venerabili mani il pane che era sul piatto, chiedendo interiormente al Padre quasi il permesso e il beneplacito per farsi veramente e realmente presente nell'ostia, sia in quell'ora che anche dopo nella santa Chiesa, in virtù delle parole che stava per pronunciare. In atto di obbedienza, alzò allora gli occhi al cielo con tanta maestosità da suscitare negli apostoli, negli angeli e nella stessa Vergine un nuovo timore riverenziale. In seguito proferì le parole della consacrazione sopra il pane, lasciandolo mutato transustanzialmente nel suo vero corpo, e sopra il calice del vino, convertendolo nel suo vero sangue. Nel momento in cui Cristo nostro Signore terminò di pronunziare la formula, risuonò la voce dell'eterno Padre che diceva: «Questi è il mio Figlio dilettissimo, in cui è e sarà il mio compiacimento sino alla fine del mondo; egli starà con gli uomini per tutto il tempo che durerà il loro esilio terreno». Questa stessa dichiarazione fu confermata anche dallo Spirito Santo. La santissima umanità di Cristo, nella persona del Verbo, fece un profondo inchino alla divinità presente nel suo corpo e nel suo stesso sangue. La vergine Madre, che se ne stava ritirata e raccolta in preghiera, in quell'istante si prostrò a terra e adorò il suo Figlio sacramentato con incomparabile rispetto; similmente fecero anche gli angeli assegnati alla sua custodia, tutti gli spiriti celesti, ed infine Enoch ed Elia in nome loro e degli antichi patriarchi e profeti delle leggi naturale e scritta.

1192. Tutti gli apostoli e i discepoli prestarono fede a questo eccelso mistero - eccetto Giuda il traditore - e lo adorarono con profonda umiltà e venerazione, ciascuno secondo la propria disposizione. Quindi il nostro gran sacerdote Cristo innalzò il suo corpo e il suo sangue, affinché lo adorassero tutti coloro che assistevano a questa prima Messa: e così avvenne. In questa solenne elevazione furono illuminati interiormente più degli altri la sua purissima Madre, san Giovanni, Enoch ed Elia perché conoscessero in modo sublime come nelle specie del pane fosse presente il sacratissimo corpo, in quelle del vino il sangue, ed in entrambe tutto Cristo vivo e vero, per l'unione inseparabile della sua santissima anima con il suo corpo e il suo sangue. Essi avrebbero compreso anche come in questo sacramento vi fosse la presenza dell'intera Divinità, come nella persona del Verbo stessero quelle del Padre e dello Spirito Santo, e come in modo mirabile e misterioso per mezzo di queste unioni, di queste esistenze inseparabili e concomitanti restassero presenti nell'eucaristia tutte e tre le Persone con la perfetta umanità di Cristo nostro Signore. La divina Signora penetrò profondamente tutto ciò, mentre gli altri lo capirono nella misura a ciascuno conveniente. Tutti coloro che erano presenti a questo prodigioso evento poterono comprendere anche l'efficacia delle parole della consacrazione, e come queste fossero già cariche della forza divina affinché, pronunziate con l'intenzione di Cristo da qualsiasi sacerdote presente e futuro sui rispettivi elementi, convertissero la sostanza del pane nel suo corpo e quella del vino nel suo sangue, lasciando gli accidenti senza soggetto e con una nuova maniera di sussistere, senza andare perduti. Tutto ciò riporta una certezza così assoluta ed infallibile che scompariranno il cielo e la terra prima che manchi l'efficacia di questa formula di consacrazione, purché venga debitamente pronunziata dal ministro e sacerdote di Cristo.

1193. La nostra divina Regina conobbe anche, con speciale visione, come il sacro corpo di Cristo nostro Signore stesse nascosto sotto gli accidenti del pane e del vino senza alterarli, né essere alterato da loro: difatti, né il corpo può essere soggetto di essi né essi possono essere forme del corpo. Le specie stanno con la stessa estensione e con le stesse qualità prima e dopo la consacrazione, occupando il medesimo spazio, come si vede nell'ostia consacrata. Il sacratissimo corpo, benché abbia tutta la sua grandezza, vi è presente in modo indiscutibile senza che una parte si confonda con l'altra: Cristo è tutto in tutta l'ostia, e tutto in qualunque parte di essa, senza che l'ostia dilati o limiti il corpo né il corpo l'ostia, perché né l'estensione propria del corpo ha relazione con quella delle specie accidentali, né quella delle specie dipende dal santissimo corpo. E così hanno un diverso modo di esistenza. Il corpo compenetra la quantità degli accidenti senza che questi lo impediscano. E sebbene in natura con la sua estensione la testa ricerchi luogo e spazio diversi dalle mani e queste dal petto e dalle altre membra, con la potenza divina il corpo consacrato si pone con tutta la sua grandezza in un medesimo spazio, perché non ha alcuna relazione con l'area che naturalmente occupa, dispensandosi da tutti questi rapporti e risultando senza di essi un corpo quantitativo. Né si trova presente in un luogo solo, né in una sola ostia, ma in molte nello stesso tempo, quantunque le particole consacrate siano di numero infinito.

1194. Comprese, similmente, la nostra Signora che il corpo e il sangue, benché non avessero dipendenza naturale dagli accidenti nel modo sopraddetto, non si sarebbero conservati in essi sacramentati al di là del tempo in cui le specie sarebbero durate, senza decomporsi, disponendo così la santissima volontà di Cristo, autore di queste meraviglie. E questo fu espressione di una dipendenza volontaria dell'esistenza miracolosa del suo corpo e del suo sangue dall'esistenza incorrotta del pane e del vino. E nel momento in cui questi si corrompono e vengono distrutti o alterati dalle cause naturali - come accade per azione del calore dello stomaco dopo aver ricevuto il Santissimo Sacramento, oppure come succede per altre cause che possono produrre lo stesso effetto - allora Iddio crea un'altra nuova sostanza, nell'istante in cui le specie stanno per subire l'ultima trasformazione. Con questa sostanza, in cui non esiste più il sacro corpo, si attua la nutrizione del fisico, che in tal modo si alimenta lasciando subentrare la forma umana che è l'anima. Questo evento meraviglioso della creazione di una nuova sostanza, che riceva gli accidenti alterati e decomposti, scaturisce da una parte dalla volontà divina, che ha stabilito che il corpo non perduri con l'alterazione delle specie, e dall'altra dall'ordine di natura, perché il fisico dell'uomo, incline ad alimentarsi, non può aumentare la propria massa se non con un'altra nuova sostanza che le si aggiunga senza che gli accidenti continuino ad avere in essa le loro proprietà.

1195. La destra dell'Onnipotente racchiuse in questo Santissimo Sacramento questi ed altri misteri. La Signora del cielo e della terra li penetrò tutti profondamente, mentre san Giovanni, i due padri dell'antica legge, che si trovavano nel cenacolo, e gli apostoli ne capirono una buona parte nel modo a loro confacente. La purissima Regina non solo comprese questo beneficio così comune ed altrettanto grande, ma venne a conoscenza anche dell'ingratitudine con cui i mortali si sarebbero comportati verso un mistero così ineffabile, istituito a loro rimedio. Decise, allora, da quel momento in poi, di considerare suo dovere il compito di compensare e supplire con tutte le sue forze la nostra villania e noncuranza, rendendo grazie all'eterno Padre ed al suo santissimo Figlio per una meraviglia così rara, creata in favore del genere umano. E nutrì questa speciale attenzione per tutto il tempo della vita; e molte volte eseguiva questo esercizio spargendo lacrime di sangue dal suo ardentissimo cuore al fine di riparare la nostra riprensibile e vergognosa dimenticanza.

1196. Un'ammirazione ancor più grande mi desta quel che successe a Gesù; egli dopo aver innalzato il Santissimo Sacramento affinché - come ho già detto - i discepoli lo adorassero, lo spezzò con le sue sacre mani, comunicando innanzitutto se stesso, come primo e sommo sacerdote. E riconoscendosi, in quanto uomo, inferiore alla Divinità che egli riceveva nel suo stesso corpo e sangue, si umiliò, si prostrò fino all'annientamento ed ebbe come un tremore nella parte sensitiva, manifestando, con ciò, due cose: l'una, la riverenza con cui si doveva ricevere il suo sacratissimo corpo; l'altra, il dolore che sentiva per la temerità e l'audacia con cui molti uomini avrebbero ardito accostarsi a questo altissimo ed eminente sacramento per riceverlo o toccarlo. Gli effetti che produsse in Cristo, nostro bene, la comunione furono mirabilmente divini, perché per un breve lasso di tempo ridondò in tutto il suo corpo lo splendore della gloria della sua santissima anima, come sul Tabor. Questa meraviglia fu manifestata pienamente alla sua purissima Madre e ne compresero solo qualcosa san Giovanni, Enoch ed Elia. Con questo privilegio la santissima umanità si dispensò dal ricevere sollievo o dal nutrire sino alla morte qualche desiderio. La vergine Madre vide anche con speciale visione come il suo santissimo Figlio ricevesse se stesso sacramentato e rimanesse così nel suo divin petto. Tutto ciò provocò magnifici effetti nella nostra Regina.

1197. Cristo, nostro bene, nel comunicarsi elevò un canto di lode all'eterno Padre ed offrì se stesso sacramentato per la salvezza di tutti i mortali. Immediatamente dopo, spezzò un'altra parte del pane consacrato e la consegnò all'arcangelo Gabriele, perché la portasse a Maria santissima e la comunicasse. I santi angeli, per questo privilegio, rimasero soddisfatti e ripagati dalla delusione che la dignità sacerdotale, così eccelsa, fosse spettata agli uomini e non a loro. Infatti, solo l'aver tenuto nelle loro mani il corpo sacramentato del Signore e vero Dio suscitò in essi una nuova e grande letizia. La divina Signora, versando copiose lacrime, stava già in attesa della santa comunione, quando giunse san Gabriele con una schiera innumerevole di angeli; ella così ricevette questo particolare beneficio dalla mano del santo principe, e fu la prima a comunicarsi dopo il suo santissimo Figlio, imitandolo nell'umiliazione, nella riverenza e nel santo timore. Il Santissimo Sacramento restò depositato nel petto di Maria santissima, dentro il suo cuore, come in un legittimo sacrario e tabernacolo dell'Altissimo. Questa dimora dell'eucaristia durò per tutto il tempo che intercorse tra quella notte e il momento in cui, dopo la risurrezione, san Pietro celebrò la prima Messa, come si dirà in seguito. L'onnipotente Signore dispose questa meraviglia per consolare la celeste Regina, ed anche per adempiere, anticipatamente, la promessa fatta alla sua Chiesa: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Difatti, dopo la sua morte la sua santissima umanità non poteva essere presente nella Chiesa in un'altra maniera che non fosse quella di restare depositata in Maria purissima: arca viva che conteneva la vera manna con tutta la legge evangelica, allo stesso modo dell'arca di Mosè che aveva anticamente custodito le figure. Nel petto della Signora e regina del cielo fino alla nuova consacrazione le specie sacramentali non si consumarono né si alterarono.

1198. La celeste Principessa, ricevuta la santa comunione, rese grazie all'eterno Padre ed al suo santissimo Figlio con nuovi cantici, ad imitazione di ciò che aveva fatto il Verbo divino incarnato. Subito dopo il nostro Salvatore diede il pane sacramentato agli apostoli ed ordinò che lo distribuissero fra loro e lo mangiassero. Con questo comando conferì loro la dignità sacerdotale, che essi prontamente cominciarono ad esercitare, comunicando ciascuno se stesso, con somma riverenza, versando copiose lacrime e rendendo culto al corpo ed al sangue del Redentore, che avevano ricevuto. Nel ministero del sacerdozio ebbero così la preminenza più antica, come si addiceva a coloro che dovevano essere fondatori della Chiesa. San Pietro, per ordine di Cristo, prese altre particole consacrate e comunicò i due antichi padri, Enoch ed Elia; e così con il giubilo e per gli effetti della santa eucaristia questi rimasero nuovamente confortati ed esortati a pazientare sino alla fine del mondo nell'attesa della visione beatifica, che per tanti secoli viene loro rimandata dalla divina volontà. I due patriarchi, per questo beneficio, elevarono ferventi lodi e resero umili grazie all'Onnipotente; furono così riportati al loro luogo per ministero dei santi angeli. Il Signore dispose questa meraviglia per rendere partecipi della sua incarnazione, e della redenzione e risurrezione generale, tutti coloro che erano vincolati alle due leggi, naturale e scritta. Infatti il sacramento dell'eucaristia, che racchiudeva in sé tutti questi misteri, venendo comunicato ai due santi uomini Enoch ed Elia, che si ritrovavano vivi in carne mortale, si estendeva nella comunione ai due stati della legge, naturale e scritta, perché gli altri che lo ricevettero appartenevano alla nuova legge di grazia, i cui padri erano gli apostoli. I santi Enoch ed Elia conobbero tutto ciò, ed in nome degli altri santi delle loro rispettive leggi resero lode al loro e nostro Redentore per questo arcano privilegio.

1199. Mentre gli apostoli ricevevano il Santissimo Sacramento accadde anche un altro miracolo, rimasto nel segreto: il perfido traditore, Giuda, vedendo che il divin Maestro ordinava loro di comunicarsi, decise come uomo infedele di non farlo e, se avesse potuto, di conservare il sacro corpo, per poi portarlo nascostamente ai sacerdoti e ai farisei e farne così un capo d'accusa. Il suo proposito era quello di riferire a questi che il divin Maestro asseriva che quel pane era il suo stesso corpo, affinché essi gli imputassero ciò come un grave delitto. E se per caso non avesse potuto raggiungere tale scopo, avrebbe ordito qualche altro vituperio al divin Sacramento. La Signora e regina del cielo, la quale per visione chiarissima stava osservando tutto ciò che succedeva - sia la predisposizione con cui gli apostoli internamente ed esternamente ricevevano la santa comunione, sia gli effetti di questa e i loro sentimenti - si accorse anche degli esecrabili intenti dell'ostinato Giuda. Come madre, sposa e figlia si accese allora di zelo per la gloria del suo Signore e, conoscendo che era volontà divina che usasse in quell'occasione l'autorità di regina, ordinò ai suoi angeli che estraessero di bocca al malvagio discepolo il pane e il vino consacrati subito dopo che li ebbe ricevuti, e li ponessero dove stava il rimanente. In quella circostanza spettava a lei difendere l'onore del suo santissimo Figlio, affinché Giuda non lo ingiuriasse come sperava con quella nuova ignominia che aveva macchinato. Gli angeli ubbidirono e, quando il peggiore dei viventi giunse a comunicarsi, gli tolsero di bocca le specie sacramentali. Le purificarono di ciò di cui si erano impregnate nell'immondissimo luogo della sua bocca, le riportarono nello stato di prima e le posero nascostamente fra le altre, mentre il Signore zelava l'onore del suo nemico ed ostinato Apostolo. Queste specie furono poi ricevute da coloro che si comunicarono dopo Giuda, secondo l'ordine di anzianità, poiché egli non fu né il primo né l'ultimo a prenderle. I santi angeli eseguirono tutto in pochissimo tempo. Il nostro Salvatore, in seguito, rese grazie all'eterno Padre e così diede compimento ai misteri della cena sacramentale, prevista dalla legge, e dette inizio a quelli della sua passione, che io riferirò nei successivi capitoli. La Regina dei cieli continuava a ponderarli e ad ammirarli tutti, e ad intonare inni di lode e di magnificenza all'altissimo Signore.

Insegnamento della Regina del cielo

1200. Oh, figlia mia, se coloro che professano la fede cattolica aprissero i cuori induriti e ostinati alla vera conoscenza del misterioso beneficio della santa eucaristia! Oh, se distaccandosi e alienandosi dagli affetti terreni, e moderando le loro passioni, si applicassero con viva fede a comprendere nella divina luce il felice privilegio di avere sempre presente in mezzo a loro l'eterno Dio sacramentato e di poterlo ricevere e frequentare, rendendosi partecipi degli effetti di questa manna del cielo! Oh, se conoscessero degnamente questo grande dono; se stimassero questo tesoro; se gustassero la sua dolcezza; se in esso avessero parte delle virtù nascoste del loro Dio onnipotente! Essi non avrebbero più nulla da desiderare né da temere durante questo esilio terreno. I mortali non devono lamentarsi nel tempo propizio della legge di grazia di essere afflitti dalle passioni e dalla loro fragilità, perché in questo pane del cielo hanno in mano la salvezza e la fortezza. Né devono risentirsi di essere tentati e perseguitati dal demonio, perché lo vinceranno con il buon uso di questo ineffabile sacramento, ed accostandovisi degnamente. I fedeli hanno la colpa di non attendere a questo divino mistero, e di non valersi della sua infinita potenza per tutti i loro bisogni e travagli, in risposta e a rimedio dei quali lo istituì il mio santissimo Figlio. In verità ti dico, o carissima, che Lucifero e i suoi demoni hanno un tale timore alla presenza dell'eucaristia che il solo avvicinarsi ad essa provoca loro maggiori tormenti che stare nell'inferno. E sebbene entrino nelle chiese per tentare i credenti, in realtà violentano se stessi, perché per precipitare un'anima, obbligandola o attirandola a commettere un peccato principalmente nei luoghi sacri ed alla presenza dell'eucaristia, vengono a patire crudeli pene. Ma è lo sdegno che nutrono contro Dio e contro le anime che li spinge ad usare tutte le loro forze, sebbene si debbano esporre al nuovo tormento di stare vicini a Cristo sacramentato.

1201. Quando il Santissimo Sacramento viene condotto per le strade in processione, i demoni ordinariamente fuggono e si allontanano in tutta fretta, e non ardirebbero accostarsi a coloro che lo accompagnano se non fosse per l'abilità e per la lunga esperienza che hanno di vincerne alcuni, inducendoli a mancare di rispetto al Signore. Per questo fine, essi si affaticano tanto a ordire insidie nei templi, perché sanno quanto grave sia in questi luoghi sacri l'ingiuria al Signore, il quale vi si trova sacramentato per amore, aspettando gli uomini per santificarli ed attendendo che gli rendano il contraccambio del dolcissimo amore che egli dimostra loro con tante finezze. Da quanto ti ho detto potrai comprendere quale potere possieda chi riceve degnamente questo sacro pane degli angeli, e come i demoni temerebbero gli uomini, se questi lo frequentassero con devozione e purezza di cuore, cercando di conservarsi in questo stato fino alla comunione successiva. Ma sono molto pochi quelli che vivono con questa sollecitudine, mentre il nemico è sempre in agguato, spiando e cercando che subito i mortali si trascurino, si intiepidiscano e si distraggano affinché non si valgano contro di lui di armi così poderose. Imprimi nel tuo cuore questo insegnamento; e poiché, senza che tu lo meriti, l'Altissimo ha disposto che tu riceva ogni giorno, per obbedienza, il Santissimo Sacramento, cerca con tutte le forze di mantenerti nello stato in cui ti disponi per la comunione sino a quando non farai la successiva. La volontà del mio Signore - e anche la mia - è che con questa spada tu combatta le guerre dell'Altissimo, in nome della santa Chiesa, contro i nemici invisibili che oggi affliggono e contristano la Signora delle genti, senza che vi sia chi la consoli o chi degnamente consideri ciò. Piangi per questa causa e il tuo cuore si spezzi per il dolore perché, nonostante l'onnipotente e giusto giudice sia sdegnato contro i cattolici per avere essi provocato la sua giustizia con peccati così continui e smisurati - malgrado la fede che professano -, non vi è chi consideri, ponderi e tema un danno così grande. E non vi è neppure chi si disponga ad un sincero pentimento: rimedio che i fedeli potrebbero subito sollecitare con il buon uso del divino sacramento dell'eucaristia, con l'accostarvisi e con la mia intercessione.

1202. In questa colpa, gravissima in tutti i figli della Chiesa, sono più riprensibili i sacerdoti indegni e cattivi, perché dall'irriverenza con cui trattano il Santissimo Sacramento dell'altare gli altri cattolici hanno attinto l'occasione per disprezzarlo. Difatti, se il popolo cristiano vedesse i presbiteri accostarsi ai divini misteri con timore e tremore riverenziale, ben comprenderebbe che con lo stesso timore e tremore tutti dovrebbero trattare e ricevere il loro Dio sacramentato. Coloro che si comportano conformemente a quanto detto risplendono nel cielo come il sole tra le stelle, perché dalla gloria del mio santissimo Figlio ridonda su quelli che lo accolgono con riverenza una luce speciale, che non possiedono quelli che non frequentano con devozione la santa eucaristia. Inoltre i corpi gloriosi di questi zelanti fedeli porteranno sul petto, dove lo ricevettero, un segno o uno stemma brillantissimo e bellissimo a testimonianza del fatto che furono degni tabernacoli del Santissimo Sacramento. Ciò sarà, a loro insaputa, motivo di gaudio e di godimento per essi, di giubilo e lode per gli angeli e di ammirazione per tutti. Essi riceveranno anche un altro premio accidentale, perché conosceranno e vedranno con speciale intelligenza il modo in cui il mio santissimo Figlio è presente nell'eucaristia, e tutti i miracoli che si racchiudono in essa. Ciò desterà in loro un gaudio così grande che basterebbe a ricrearli eternamente, quando non ne avessero altro nel cielo. Anzi, la gloria di coloro che si saranno comunicati con degna devozione e purezza di cuore uguaglierà e addirittura supererà quella di alcuni martiri che non ricevettero l'eucaristia.

1203. Voglio ancora, figlia mia, che proprio dalla mia bocca tu ascolti ciò che io reputavo di me stessa, quando durante il mio pellegrinaggio terreno dovevo ricevere il mio figlio e Signore sacramentato. Ed affinché tu lo capisca meglio, rinnova nella tua memoria tutto quello che hai inteso della mia vita, nella misura in cui io te l'ho manifestato: fui preservata nella mia concezione dalla colpa originale; superai in amore i supremi serafini; non commisi mai peccati; esercitai sempre tutte le virtù eroicamente, avendo in ogni mia opera un altissimo fine; imitai il mio santissimo Figlio con somma perfezione; lavorai fedelmente; patii con coraggio e cooperai a tutte le opere del Redentore nella misura che mi spettava; e non cessai mai di amarlo e di conseguire la pienezza di grazia e di gloria in grado eminentissimo. Eppure ritenni che tutti questi meriti mi fossero degnamente ricompensati con il ricevere una sola volta il suo sacratissimo corpo nell'eucaristia, non stimandomi all'altezza di un così grande beneficio. Considera adesso, figlia mia, ciò che tu e gli altri figli di Adamo dovete meditare quando vi accostate a ricevere questo mirabile sacramento. E se per il più grande dei santi sarebbe premio sovrabbondante una sola comunione, che cosa dovrebbero sentire e fare i sacerdoti e i fedeli che la frequentano? Apri i tuoi occhi tra le dense tenebre e la cecità degli uomini, e innalzati verso la divina luce per penetrare questi misteri. Giudica le tue opere piccole e misere, i tuoi meriti molto limitati, le tue fatiche leggerissime, e considera la tua gratitudine molto scarsa ed esigua rispetto ad un beneficio così raro qual è quello che la santa Chiesa abbia Cristo, il mio santissimo figlio, sacramentato e desideroso che tutti lo ricevano per arricchirli. E poiché per questo bene non hai da offrirgli una degna retribuzione, almeno umiliati sino a lambire la polvere e giudicati indegna con tutta la verità del cuore. Magnifica l'Altissimo, benedicilo e lodalo, mantenendoti sempre pronta e disposta con fervidi affetti a riceverlo e a patire molte sofferenze al fine di conseguire un bene così grande.

Augustinus
24-03-05, 21:56
Sappiatelo, fratelli: nell'offerta del calice abbiamo imparato a rispettare la tradizione proveniente dal Signore. Perciò dobbiamo fare quello che il Salvatore ha fatto per primo, non qualcosa d'altro. Perché il calice sia offerto in sua memoria, deve contenere vino misto ad acqua. Infatti Cristo ha detto: io sono la vera vite (Gv 15, 1). Quindi il sangue del Signore non è dato certamente dall'acqua, ma dal vino. Non possiamo reputare che nel calice ci sia il suo sangue da cui siamo redenti e che ci dà la Vita, quando manchi il vino che rappresenta appunto il sangue di Cristo, annunciato e figurato dalle Scritture.
Una prima figura profetica del sacrificio del Signore ci è offerta con il sacerdote Melchisedek. La Scrittura dice: Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino; era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram ... (Gn 14, 18). Che Melchisedek simboleggiasse Cristo, lo dice lo Spirito Santo nei salmi, con le parole che il Padre rivolge al Figlio: Io ti ho generato prima della stella del mattino. Tu sei sacerdote per sempre al modo dì Melchisedek (Sal 109, 3-4 LXX). Tale ordine fa riferimento a quel sacrificio e alla sua origine, in quanto Melchisedek era in verità sacerdote del Dio altissimo, aveva offerto pane e vino e aveva benedetto Abramo.
Chi mai è sacerdote di Dio altissimo più del Signore Gesù Cristo, Lui, che offrì un sacrificio a Dio Padre, lo stesso che aveva offerto Melchisedek, cioè il pane e il vino, il suo corpo, ovviamente, e il suo sangue? La benedizione rivolta ad Abramo coinvolgeva il nostro popolo.

Secondo il racconto della Genesi, perché Melchisedek potesse regolarmente benedire Abramo, dovette precedere la simbologia del sacrificio, costituita dall'offerta del pane e del vino. E quel sacrificio simbolico arrivò al compimento e fu consumato quando il Signore offrì il pane e il calice del vino. Colui che è la pienezza di ogni realtà, ha allora realizzato ciò che il simbolo annunciava. Nei proverbi di Salomone lo Spirito Santo mostra pure una figura del sacrificio del Signore facendo allusione alla vittima immolata, al pane, al vino ed anche all'altare. La Sapienza, si legge, ha innalzato una casa su sette colonne, ha sacrificato le sue vittime, ha mescolato nella coppa il vino e l'acqua e ha preparato la sua mensa. Poi ha mandato i suoi servi ad invitare ad attingere dal suo cratere gridando questo annuncio: Chi è inesperto accorra qui. E a coloro che erano privi di sapienza diceva: Venite a mangiare del mio pane e a bere il vino che io ho mescolato per voi (cf. Pro 9, 1-5 LXX). Il testo dei Proverbi parla di vino misto ad acqua. Si tratta di un annuncio profetico del calice del Signore che contiene vino mescolato ad acqua. La passione del Signore avrebbe realizzato quella predizione.

Anche nella benedizione di Giuda c'è tale significato; anche in quel caso appare la figura di Cristo. Egli deve essere adorato e lodato dai suoi fratelli; deve colpire la schiena dei nemici con quelle mani con cui portò la croce e vinse la morte; deve essere il leone della tribù di Giuda, che si corica e dorme nella passione e che poi sorge e diventa speranza per i popoli. E la Scrittura aggiunge: Egli lava nel vino la veste e nel sangue dell'uva il manto (Gn 49, 11). Se parla di sangue di uva, che altro vuol significare se non che il vino rappresenta il sangue del calice del Signore?
Anche in Isaia lo Spirito Santo offre le stesse testimonianze della passione del Signore: Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel tino? (Is 63, 2). L'acqua può forse far diventare rossi i vestiti? Nel torchio si pigia forse l'acqua con i piedi? O dal medesimo si ha forse l'acqua? Certamente si parla di vino, perché si capisca che attraverso il vino si intende il sangue del Signore e perché fosse annunciato dai profeti ciò che in seguito doveva essere realizzato attraverso il calice del Signore. Si parla anche di torchio, cioè di pigiare e premere. Come non si può arrivare a bere il vino senza prima aver pigiato e spremuto i grappoli, così noi non potremmo bere il sangue di Cristo, se prima egli non fosse stato calpestato e premuto e non avesse bevuto lui per primo il calice, con il quale aveva offerto da bere ai credenti.

Augustinus
24-03-05, 21:58
Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen ». (Gal 1,5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l'umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall'Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l'iniquità e l'ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l'Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di se le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè e nell'agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro.

Augustinus
24-03-05, 23:05
Libro VI, Cap. 12, §§ 1204-1222

CAPITOLO 12

La preghiera che il nostro Salvatore recitò nell'orto; tutti i misteri che l'avvolsero e ciò che conobbe di questi la sua santissima Madre.

1204. Il nostro Salvatore, con le meraviglie e i prodigi che aveva operato nel cenacolo, lasciava già ben sistemato ed ordinato il regno che l'eterno Padre con la sua immutabile volontà gli aveva affidato. Subentrata la notte seguente il giovedì della cena, sua Maestà decise di uscire dalla casa dove aveva celebrato gli straordinari misteri per entrare nella dolorosa lotta della sua passione e morte, per mezzo della quale si doveva compiere la redenzione umana. Nello stesso tempo anche Maria lasciò il luogo dove si era ritirata in preghiera, per incontrarsi con lui. Quando il Principe dell'eternità e la Regina furono di fronte, la spada del dolore trapassò il cuore di entrambi ferendoli, nel medesimo istante, in un modo così intenso da superare ogni pensiero umano ed angelico. L'addolorata Madre si prostrò a terra adorando Gesù come suo vero Dio e redentore ed egli, rimirandola con volto austero e grato per essere figlio suo, le parlò dicendo: «Madre mia, mi troverò nella tribolazione assieme a voi; facciamo la volontà del mio eterno Padre e portiamo a compimento la salvezza degli uomini». La gran Regina si offrì al sacrificio con tutto il cuore, chiese la benedizione a sua Maestà e avendola ricevuta si ritirò nuovamente nella sua stanza, dove il Signore le concesse di vedere tutto quello che accadeva e quanto il suo santissimo Figlio stava per operare, affinché ella potesse accompagnarlo e cooperare in ogni cosa nella misura che le spettava. Il padrone di quella casa, presente a questo congedo, per impulso divino la offrì subito con tutto quello che vi era dentro alla Signora del cielo, affinché se ne servisse durante la sua permanenza a Gerusalemme. Maria l'accettò con umile riconoscenza e vi rimase in compagnia dei mille angeli dediti alla sua custodia, che l'assistevano sempre in forma visibile solo a lei, e di alcune delle pie donne che aveva condotto con sé.

1205. Il nostro Redentore e maestro uscì dal cenacolo con tutti gli uomini che avevano assistito alla cena e alla celebrazione dei suoi misteri. Subito molti di questi si congedarono, incamminandosi per diverse strade, al fine di dedicarsi ciascuno alle proprie occupazioni. Sua Maestà, seguito solo dai dodici apostoli, diresse i suoi passi verso il monte degli Ulivi, situato appena fuori della città di Gerusalemme, dalla parte orientale. Da ciò Giuda, reso dalla rea perfidia più che mai accorto e sollecito nel consegnare ai farisei il divin Maestro, congetturò che vi andasse a trascorrere la notte in preghiera, come di solito faceva. Quell'occasione gli parve molto opportuna per metterlo nelle mani degli scribi e dei farisei, suoi alleati. Con questa infelice decisione seguì Gesù, fermandosi ogni tanto e lasciandolo andare avanti con gli altri apostoli, senza che questi peraltro se ne accorgessero. Nel momento in cui li perdette di vista, si lanciò in tutta fretta verso il precipizio della sua rovina: camminava ansioso, pieno di gran timore e turbamento, segno della malvagità che doveva commettere. E invaso da questa inquieta sollecitudine, come chi abbia la coscienza tarlata dal rimorso, correndo giunse sbalordito alla casa dei sommi sacerdoti. Accadde allora che Lucifero, il quale nutriva il sospetto che Cristo nostro bene fosse il vero Messia - come si disse nel capitolo decimo -, scorgendo la fretta di Giuda nel procurare a questi la morte, andò incontro al traditore sotto l'aspetto di un suo amico, un uomo molto malvagio, a cui l'empio discepolo aveva confidato la sua delittuosa azione. Sotto quelle sembianze il dragone gli parlò, senza essere da lui conosciuto, e gli disse che, sebbene quell'intento di vendere il suo Maestro in principio gli fosse sembrato buono, per le malvagità che aveva sentito da lui stesso narrare, in seguito riflettendovi sopra aveva preso in esame un'alternativa migliore e più sicura. E soggiunse che gli sembrava opportuno che non lo consegnasse ai sommi sacerdoti ed ai farisei, perché dopotutto Gesù non era poi così cattivo come pensava e glielo aveva descritto, né meritava la morte; e inoltre lo preavvertì del fatto che successivamente sarebbe potuta cadere addosso a lui qualche grande disgrazia, se il Salvatore avesse operato dei miracoli in virtù dei quali si fosse liberato.

1206. Lucifero ordì questa insidiosa trama per revocare con un più forte timore le suggestioni, che aveva precedentemente infuso nel perfido cuore del discepolo traditore contro l'Autore della vita. Ma la sua nuova malizia gli riuscì vana, perché Giuda, che volontariamente aveva perduto la fede e non nutriva i violenti sospetti del demonio, volle mettersi a rischio cercando la morte del suo Maestro piuttosto che esporsi allo sdegno dei farisei se lo avesse lasciato in vita. Invaso dal terrore, per la sua abominevole ingordigia non fece caso al consiglio di Lucifero, benché reputasse che questi fosse l'uomo di cui aveva assunto l'aspetto. E siccome egli era già stato abbandonato dalla grazia divina, non volle né poté lasciarsi persuadere dal consiglio del demonio a retrocedere dalla sua cattiveria. Ora, mentre l'Autore della vita si trovava a Gerusalemme, i sommi sacerdoti si stavano consultando sul modo in cui Giuda avrebbe adempiuto la promessa di consegnarlo ad essi. In quel momento entrò il traditore, e riferì loro che il suo Maestro si era recato con gli altri discepoli sul monte degli Ulivi e quella notte gli sembrava la migliore occasione per catturarlo, qualora essi fossero andati con cautela e preparati, affinché non sfuggisse dalle loro mani con gli artifici e gli stratagemmi che egli ben conosceva. I sacrileghi sacerdoti si rallegrarono tanto e si affrettarono a reclutare gente armata per catturare l'innocentissimo Agnello.

1207. Sua Maestà stava intanto discutendo, con gli undici apostoli, della salvezza eterna di tutti noi e degli stessi che tramavano la sua morte. Oh, inaudita e mirabile contesa della malizia umana e dell'immensa bontà e carità divina! Se sin dal primo uomo incominciò questa lotta del bene e del male nel mondo, nella morte del nostro Redentore i due estremi giunsero al sommo grado a cui potevano arrivare, poiché ciascuno di essi operò in presenza dell'altro nel modo supremo che gli fu possibile: gli uomini con la propria malizia togliendo la vita al loro stesso Creatore e redentore, e questi dandola per essi con immensa carità. In tale occasione fu necessario - a nostro modo di intendere - che l'anima santissima di Cristo nostro bene volgesse la sua attenzione sulla sua santissima Madre, e facesse lo stesso la sua divinità, al fine di trovare fra le creature qualche oggetto di compiacimento in cui far dimorare il suo amore ed arrestare la sua giustizia. Difatti, solo in quella pura creatura scorgeva degnissimamente consumata la passione e morte che gli veniva preparata dagli uomini; solo in quella santità senza limiti la giustizia divina si ritrovava in parte compensata della malizia umana. Nell'umiltà e nella fedelissima carità di questa celeste Signora restavano depositati i tesori dei meriti di Cristo nostro Signore, affinché in virtù di questi e della sua morte rinascesse in seguito la Chiesa come nuova fenice da cenere ardente. Questo compiacimento, che l'umanità del nostro Redentore riceveva dalla vista della santità di Maria, gli dava sostegno e coraggio per vincere la malizia dei mortali, poiché reputava giustamente spesa la sua pazienza nel soffrire tali pene, avendo tra gli uomini la sua amantissima e degna Madre.

1208. La gran Signora dal luogo dove se ne stava ritirata in preghiera vedeva tutto quello che andava succedendo: i pensieri dell'ostinato Giuda e il modo in cui si appartò dal collegio apostolico; come gli parlò Lucifero sotto l'aspetto di quell'uomo, suo conoscente; quello che avvenne quando il discepolo traditore si recò dai sommi sacerdoti, e ciò che questi disposero e operarono per catturare in fretta il Signore. La nostra capacità non è sufficiente a spiegare il dolore che, per questa conoscenza infusa, penetrava il purissimo cuore della vergine Madre, gli atti di virtù che ella esercitava alla vista di tali malvagità e il modo in cui si comportava dinanzi a questi avvenimenti: basti dire che tutto successe con pienezza di sapienza, di santità e di compiacimento della santissima Trinità. Maria sentì pure compassione per Giuda e pianse la perdita di quel perverso discepolo, compensando la sua empietà con l'adorazione, la confessione, l'amore e la lode dello stesso Signore, che egli aveva venduto con un tradimento così ingiurioso e sleale; sarebbe stata disposta e pronta a morire per la sua salvezza, se fosse stato necessario. La prudentissima Signora pregò anche per coloro che stavano tramando la cattura e la morte del suo Agnello divino, poiché li rimirava; li stimava e li reputava come oggetti che si dovevano acquistare ed apprezzare con il valore inestimabile di una vita e di un sangue preziosi, quali erano quelli di un Dio incarnato.

1209. Il nostro Salvatore proseguì il suo cammino verso il monte degli Ulivi e, passando il torrente Cedron, entrò nell'orto del Getsèmani. Ivi, parlando a tutti gli apostoli che lo seguivano, disse: «Sedetevi qui, mentre io vado a pregare; e pregate anche voi per non entrare in tentazione». Gesù diede loro questo avvertimento affinché fossero perseveranti e forti nella fede di fronte alle tentazioni che aveva predetto nella cena: essi si sarebbero scandalizzati in quella notte al vederlo patire, e tutti quanti sarebbero stati investiti da satana per essere gettati nell'inquietudine e nel turbamento con false suggestioni, come era stato profetizzato che il pastore doveva essere maltrattato e percosso, e le pecorelle dovevano essere disperse. Il Maestro della vita, quindi, lasciando gli altri otto apostoli insieme, prese con sé san Pietro, san Giovanni e san Giacomo, e con loro si appartò in un luogo, dove non pote va essere visto né sentito dai rimanenti. Restando con questi tre, alzò gli occhi verso l'eterno Padre, lo adorò e lodò come era solito fare, e nel suo intimo elevò una preghiera e una supplica perché si adempisse la profezia di Zaccaria. Egli permetteva, così, alla morte di avvicinarsi a lui, che era innocentissimo e senza peccato, e comandava alla spada della giustizia divina di risvegliarsi sul pastore e sull'uomo, che era anche vero Dio, per riversare su di lui tutta la sua asprezza, trafiggendolo fino a togliergli la vita. A tal fine Gesù si offrì di nuovo al Padre per soddisfare la sua giustizia, a riscatto di tutto il genere umano; inoltre diede consenso ai tormenti della passione e morte di affliggerlo proprio nella parte in cui la sua santissima umanità era sensibile. Da quel momento in poi respinse ogni consolazione e ogni sollievo che gli sarebbe potuto traboccare dalla parte insensibile, affinché con questa rinuncia le sue pene e i suoi dolori giungessero al sommo grado del patire. E l'Onnipotente concesse ed approvò tutto, secondo la volontà della santissima umanità del Verbo.

1210. Questa supplica di Cristo espresse l'assenso che apri le porte al mare della passione e dell'amarezza, perché entrassero con impeto nella sua anima, come egli aveva detto per bocca di Davide. E così incominciò a sentire paura ed angoscia, e tutto preso da questi sentimenti disse ai tre apostoli: «La mia anima è triste fino alla morte». E poiché queste parole e questa tristezza del nostro Redentore racchiudono tanti misteri, fonte di insegnamento per noi, riferirò nel modo in cui l'ho compreso qualcosa di ciò che mi è stato dichiarato. Sua Maestà permise che la sua mestizia raggiungesse, sia per natura che per miracolo, il sommo grado, proporzionatamente a tutta la parte sensibile della sua umanità. E per il naturale desiderio di vivere non si rattristò solo nella parte inferiore del suo essere, ma anche nella parte superiore, con la quale considerava la riprovazione degli innumerevoli uomini per cui doveva morire, conoscendola dai giudizi e dai decreti imperscrutabili della giustizia divina. Questa fu la causa della sua maggiore tristezza, come dirò in seguito. E non disse che era mesto per la morte, ma fino alla morte, perché fu meno la tristezza causata in lui dal naturale desiderio di vivere in vista della morte così vicina che non quella di vedere la perdita dei reprobi. In verità, a prescindere dalla necessità di questa morte per la redenzione umana, la sua santissima volontà era pronta a vincere questa naturale brama per lasciarci un insegnamento: si riteneva obbligato a patire per ricambiare il beneficio di quella gloria che aveva ricevuto la sua umanità durante la vita terrena, nel corso della trasfigurazione. In tal modo quello che aveva ricevuto sarebbe stato bilanciato da quello che avrebbe pagato. Noi così saremmo stati istruiti da questa dottrina per mezzo dei tre apostoli, testimoni di quella gloria e di questa angoscia e scelti proprio a tal fine: divulgare l'uno e l'altro mistero, che compresero con una illuminazione particolare, data loro appositamente.

1211. Perché rimanesse soddisfatto l'immenso amore che il nostro salvatore Gesù nutriva per noi, fu necessario che questa misteriosa tristezza lo inondasse profondamente, in modo da farlo patire fino al sommo grado; difatti, se così non fosse stato non sarebbe rimasta appagata la sua carità, né si sarebbe potuto comprendere chiaramente che questa non era estinguibile dalle molte acque delle tribolazioni'°. Ed in uno stato di tale sofferenza il divin Maestro esercitò questa carità verso i tre apostoli condotti con sé, i quali erano turbati perché sapevano che già si avvicinava l'ora in cui egli doveva patire e morire, secondo quello che aveva dichiarato loro in tanti modi e per via di molte predicazioni. La viltà che essi soffrivano li confondeva e li faceva vergognare, senza che avessero il coraggio di manifestarla. Ma l'amantissimo Signore li prevenne palesando loro la mestizia che avrebbe sofferto fino alla morte, affinché essi vedendolo afflitto e pieno di angosce non si vergognassero di sentire le loro pene e i timori da cui erano assaliti. La manifestazione della tristezza del Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo racchiudeva tuttavia un altro mistero: essi, tra tutti gli altri, erano pieni di meraviglia, ammirando il dominio che il loro Maestro aveva sopra le creature, e nutrivano un concetto più sublime della sua divinità e della sua eccellenza come anche della grandezza della sua dottrina, della santità delle sue opere e della sua prodigiosa potenza nei miracoli. E perché fossero confermati nella fede che egli era uomo vero e sensibile, fu conveniente che questi tre apostoli fossero privilegiati dal favore di vederlo mesto ed afflitto, come un semplice mortale, affinché nella loro testimonianza la santa Chiesa fosse istruita contro gli errori che il demonio pretendeva di seminare in seno ad essa sulla verità dell'umanità di Cristo nostro salvatore, e noi fedeli ricevessimo questa consolazione quando ci avessero afflitto le tribolazioni e fossimo stati oppressi dall'amarezza.

1212. Illuminati interiormente i tre apostoli con questa dottrina, l'Autore della vita soggiunse: «Restate qui e vegliate con me». Con questo invito insegnava ad essi a mettere in pratica tutti gli avvertimenti che aveva loro dato, e li ammoniva a rimanere saldi nei suoi precetti e perseveranti nella fede; a non piegare dalla parte del nemico e ad essere attenti e vigilanti per riconoscerlo e resistergli, nell'attesa di vedere, superate le ignominie della passione, l'esaltazione del suo nome. Il Signore, pronunciati questi consigli, si allontanò per un certo tratto dal luogo dove si trovavano Pietro, Giovanni e Giacomo, e prostratosi a terra con il suo divin volto pregò il Padre eterno dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!». Cristo, nostro bene, elevò questa preghiera dopo essere sceso dal cielo con la piena volontà di morire e patire per gli uomini; e quindi abbracciò volontariamente la sua passione non curandosi dell'atroce pena che gli avrebbe provocato e della gioia che gli era posta innanzi. Corse così con ardentissimo amore verso la morte, gli obbrobri, i dolori e le afflizioni, stimando in sommo grado gli uomini, che aveva deciso di riacquistare con il prezzo del suo sangue. Ora, poiché con la sua divina ed umana sapienza e con la sua inestimabile carità dominava il timore naturale della morte, non sembra che questa sola paura potesse motivare tale richiesta. Questo ho compreso nella luce che mi è stata data intorno agli arcani misteri della preghiera del nostro Salvatore.

1213. E per manifestare ciò che ho inteso, rendo noto che in tale occasione il nostro redentore Gesù e l'eterno Padre trattavano dell'impresa più ardua che Cristo dovesse svolgere, quale era la redenzione umana, frutto della passione e della sua morte di croce, per l'occulta predestinazione dei santi. Ed in questa preghiera il divin Maestro presentò all'Onnipotente i suoi tormenti, il suo sangue preziosissimo e la sua morte, che offriva per tutti i mortali, come prezzo sovrabbondante per ciascuno di quelli già nati e di quelli che sarebbero nati sino alla fine del mondo. Da parte del genere umano presentò tutti i peccati, le infedeltà, le ingratitudini e gli oltraggi che i malvagi avrebbero commesso per rendere inutile la sua obbrobriosa morte, da lui accettata e sofferta per loro e per quelli che in effetti sarebbero stati condannati alla pena eterna per non aver approfittato della sua clemenza. E benché morire per gli amici e per i predestinati fosse al nostro Salvatore benaccetto, e come desiderabile, patire e morire per i reprobi gli era molto amaro e penoso, poiché per loro non vi era un fine per cui il Signore soffrisse fino alla morte. Sua Maestà chiamò questo dolore calice: il nome con cui gli ebrei designavano ciò che era causa di molta angoscia e di grande pena. Difatti, lo stesso Gesù ne aveva fatto uso, con questo significato, parlando con i figli di Zebedeo, quando aveva chiesto loro se anch'essi avrebbero potuto bere il calice come egli avrebbe dovuto fare. Questo calice per Cristo nostro bene fu molto più amaro, in quanto comprese che la sua passione e morte per i reprobi non solo sarebbe stata senza frutto, ma occasione di scandalo ridondando per loro in maggior pena e castigo per averla disprezzata e per non averne tratto il frutto che avrebbero dovuto.

1214. Ho dunque compreso che la preghiera di Cristo nostro Signore consistette nel chiedere al Padre che passasse da lui il calice amarissimo di morire per i reprobi e che - essendo ormai inevitabile la morte - nessuno, se fosse stato possibile, si perdesse. La redenzione che egli offriva era sovrabbondante per tutti, e per quanto dipendeva dalla sua volontà egli l'applicava a tutti affinché a tutti giovasse efficacemente. Ma se ciò non fosse stato possibile rimetteva la sua santissima volontà in quella dell'eterno Padre. Il nostro Salvatore ripeté questa supplica per tre volte`, ad intervalli, pregando a lungo in preda all'angoscia, come dice san Luca, e come richiedeva la grandezza e l'importanza del caso trattato. A nostro modo di intendere si verificò in questo frangente una specie di contesa tra la santissima umanità di Cristo e la sua divinità: l'una, per l'intimo amore che portava agli uomini della sua stessa natura, desiderava che tutti per mezzo della sua passione conseguissero la salvezza eterna; l'altra faceva presente che, per i suoi altissimi giudizi, era già prestabilito il numero dei predestinati, e conformemente all'equità della sua giustizia non si doveva concedere il beneficio a chi tanto lo disprezzava con libera volontà e si rendeva indegno della vita dell'anima, resistendo a chi gliela procurava ed offriva. Da questo conflitto scaturirono l'amarezza di Cristo e la lunga preghiera che recitò invocando il potere del suo eterno Padre, essendo tutte le cose possibili alla sua infinita maestà e grandezza.

1215. L'agonia del nostro Salvatore si intensificò in virtù del grande amore che nutriva per noi e della resistenza che prevedeva sarebbe stata posta al conferimento a tutti gli uomini dei frutti della sua passione e morte. Ed allora arrivò a sudare abbondantemente grosse gocce di sangue, che caddero fino a terra. E benché la sua supplica fosse condizionata e non gli fosse concesso ciò che chiedeva, in particolare per i reprobi, ottenne che gli aiuti fossero grandi e frequenti per tutti i mortali e si moltiplicassero in chi li avesse accolti senza frapporre ostacolo. Inoltre ottenne che i giusti e i santi partecipassero con sovrabbondanza del frutto della redenzione e fossero arricchiti copiosamente di doni e grazie di cui i reprobi si sarebbero resi indegni. Pertanto la volontà umana di Cristo conformandosi a quella divina accettò la passione per tutti: per i reprobi, in modo sufficiente, perché fossero loro dati gli aiuti necessari, se avessero voluto approfittarne; per i predestinati, nella forma più piena ed efficace, perché avrebbero cooperato alla grazia. Così restò predisposta e quasi effettuata la salvezza del corpo mistico della santa Chiesa, sotto il suo capo e suo artefice, Cristo nostro bene.

1216. Ora, a compimento di questo divino decreto, poiché sua Maestà si trovava per la terza volta a pregare in preda all'angoscia, l'eterno Padre inviò il santo arcangelo Michele affinché lo confortasse nei sensi corporali, dichiarandogli sensibilmente ciò che lo stesso Signore già sapeva con la scienza della sua santissima anima. Difatti, niente avrebbe potuto dirgli l'angelo che il Signore non sapesse, come anche nessun altro effetto avrebbe potuto operare nel suo intimo per questo suo intento. Tuttavia, come si è già detto, poiché Cristo aveva sospeso il sollievo che dalla sua onniscienza sarebbe potuto ridondare nella sua santissima umanità, lasciandola per quanto possibile patire in sommo grado come poi egli disse sulla croce, ricevette allora un altro conforto nella parte sensitiva con il messaggio del santo arcangelo. E questo conforto fu un'esperienza nuova che mosse in lui i sensi e le facoltà naturali. Ciò che san Michele disse da parte dell'eterno Padre consistette nel dichiarare e far percepire a Gesù che non era possibile - come sua Maestà sapeva - che si salvassero coloro che non lo volevano. Nella giustificazione divina aveva tanta rilevanza il numero dei predestinati, benché fosse minore di quello dei reprobi; e tra quelli era compresa la sua santissima Madre, la quale era degno frutto della sua redenzione e oggetto di invocazione dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, delle vergini e dei confessori, i quali si sarebbero molto distinti nel suo amore ed avrebbero operato strepitosi prodigi per esaltare il santo nome dell'Altissimo. Tra tutti questi l'angelo gli nominò, dopo gli apostoli, anche i fondatori degli ordini religiosi, con il carisma proprio a ciascuno; inoltre gli manifestò o riferì altri grandi ed arcani misteri, che non è necessario dichiarare, né io ho l'ordine di farlo, poiché quanto ho già detto è sufficiente per proseguire la narrazione di questa Storia.

1217. Gli evangelisti riportano che nel recitare quest'accorata supplica, durante le pause, il nostro Salvatore si recava a visitare gli apostoli e ad esortarli che vegliassero, pregassero e non entrassero in tentazione. Egli fece ciò per sollecitare i prelati della sua Chiesa a pascere il gregge loro affidato. E difatti, se per aver cura di essi il vigilantissimo pastore lasciò la preghiera che gli stava tanto a cuore, in questa sua premura rimane implicitamente dichiarato quello che devono fare i prelati e quanto debbano posporre gli affari e gli interessi alla salvezza dei fedeli. E perché si comprenda il bisogno che avevano gli apostoli di essere visitati da sua Maestà, avverto che il dragone infernale dopo che fu cacciato dal cenacolo, come ho detto sopra, rimase per qualche tempo afflitto e affranto nelle voragini dell'abisso; poi ebbe però il permesso di uscirne, perché la sua malizia doveva servire per l'esecuzione dei decreti del Signore. Immediatamente con molti demoni si avventò su Giuda per impedirgli - nel modo che ho già esposto - la vendita di Gesù, ma non potendo dissuaderlo si diresse contro gli apostoli, perché sospettava che nel cenacolo questi avessero ricevuto dal loro Maestro grandi favori, che egli desiderava scoprire per distruggerli, se avesse potuto. Il nostro Salvatore vide la crudeltà e il furore del principe delle tenebre e dei suoi ministri, e come padre amantissimo, supremo e vigilante si premurò di avvertire i suoi piccoli figli, seguaci alle prime armi, quali erano gli apostoli. Li svegliò e comandò loro che pregassero e stessero desti contro i nemici, perché non cadessero nella tentazione che nascostamente li minacciava e che essi non prevedevano né avvertivano.

1218. Il divin Maestro ritornò, dunque, nel luogo dove stavano i tre apostoli, ma li trovò che dormivano per essersi lasciati vincere dal tedio e dalla tristezza che pativano, nonostante come uomini prescelti fossero maggiormente tenuti a stare svegli e ad imitarlo. Vennero a cadere invece in quella tiepidezza di spirito in cui furono vinti dal sonno e dalla pigrizia. Prima di svegliarli per parlare con loro, sua Maestà si fermò a guardarli e pianse un po' vedendoli, per la loro negligenza, sepolti ed oppressi da quell'ombra di morte, mentre appunto Lucifero stava in agguato su di essi. Disse allora a Pietro: «Simone, così dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola con me?». E quindi soggiunse a lui ed agli altri: «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione, perché i miei e vostri nemici non dormono come fate voi». Cristo nostro bene riprese san Pietro non solamente perché egli era capo ed eletto come superiore di tutti gli altri, e perché tra loro si era distinto nel protestare con fervore, dicendo che sarebbe stato disposto anche a morire per lui e che non lo avrebbe rinnegato quando anche tutti gli altri scandalizzati fossero stati sul punto di abiurare, ma anche perché con quei propositi e con quelle offerte, che allora egli aveva fatto di vero cuore, aveva meritato fra tutti di essere ripreso ed avvertito. Il Signore senza dubbio corregge quelli che amai' e si compiace sempre dei buoni propositi, anche se possono venir meno nell'esecuzione come accadde a san Pietro, il più fervoroso dei Dodici. Nel capitolo seguente parlerò della terza volta in cui Cristo nostro salvatore tornò di nuovo indietro a svegliare tutti gli apostoli, cioè di quando Giuda era prossimo a consegnarlo ai suoi nemici.

1219. Frattanto, la Signora dei cieli si era ritirata nel cenacolo in compagnia delle pie donne, e nella divina luce vedeva con somma chiarezza tutte le opere e i misteri del suo santissimo Figlio nell'orto, senza che le fosse nascosta alcuna cosa. Nello stesso tempo in cui il Signore si ritirò con i tre apostoli, Pietro, Giovanni e Giacomo, anche la divina Regina si appartò in una stanza con le tre Marie. Lasciò così il resto delle sante donne, di cui Maria Maddalena era stata designata come superiora, esortandole a pregare ed a vegliare per non cadere in tentazione. Con le tre donne a lei più familiari supplicò invece l'eterno Padre che le sospendesse ogni sollievo e ogni consolazione che le impedisse di patire in sommo grado, sia nella parte fisica che in quella spirituale, a imitazione del suo santissimo Figlio, affinché nel suo corpo verginale avvertisse lo strazio delle piaghe e dei tormenti che lo stesso Gesù doveva patire. Questa richiesta fu esaudita dalla santissima Trinità; pertanto la Madre sentì tutti i dolori del proprio Figlio, come si dirà in seguito. E benché da una parte questi fossero tali da farla più volte morire, se la destra dell'Altissimo non l'avesse miracolosamente preservata, dall'altra, siccome furono dati a lei dalla mano del Signore, agirono da sostegno e conforto della sua vita, perché nel suo ardente e sconfinato amore sarebbe stata più violenta la pena di veder patire e morire il suo benedetto Unigenito senza soffrire con lui.

1220. La Regina scelse le tre Marie perché l'accompagnassero e l'assistessero nella passione, e a tal fine esse furono istruite sui misteri di Cristo con grazia e cognizione maggiore rispetto alle altre donne. Ritiratasi con queste tre, la purissima Madre incominciò nuovamente a sentire tristezza ed angoscia e disse: «L'anima mia è afflitta perché deve patire e morire il mio amato figlio e Signore, ed io non posso morire con lui e con gli stessi tormenti. Pregate, o amiche mie, affinché non vi sorprenda la tentazione». Proferite queste parole, si allontanò un poco da loro e, accompagnando la preghiera del nostro Salvatore nell'orto, elevò la stessa supplica nel modo che conveniva a lei e conformemente a quanto conosceva della volontà umana del suo santissimo Figlio. Ma la Regina dei cieli, sapendo lo sdegno che il dragone nutriva anche contro le tre donne, ritornava, come Cristo con gli apostoli, ad esortarle per continuare poi l'orazione del Salvatore, vivendo la sua stessa agonia. Pianse anche la condanna dei reprobi, perché le furono manifestati grandi misteri sull'eterna predestinazione e riprovazione. E per imitare in tutto il Redentore del mondo, e cooperare con lui, la divina Signora giunse ad avere un sudore di sangue, simile a quello di Cristo. Per disposizione della santissima Trinità le fu così inviato l'arcangelo san Gabriele per confortarla, come fu mandato san Michele al nostro Salvatore. Il santo principe dichiarò a Maria la volontà dell'Altissimo con le stesse parole che san Michele proferì a Gesù. E così la Madre ed il Figlio furono simili nell'operare e nel conoscere, nella misura che conveniva a ciascuno, poiché in entrambi furono identiche la preghiera e la causa del dolore e della tristezza che soffrirono. Ho compreso che in questa circostanza la prudentissima Signora teneva pronti dei teli per tutto ciò che nella passione doveva succedere al suo amantissimo Figlio; ed allora inviò nell'orto, dove il Signore stava sudando sangue, alcuni dei suoi angeli perché, con uno di questi panni, asciugassero e tergessero il suo venerabile viso. I ministri dell'Altissimo poterono eseguire tale compito poiché sua Maestà per amore e maggior merito della Madre accondiscese a questo pietoso e tenero affetto. Giunta poi l'ora in cui il nostro Salvatore doveva essere catturato, l'addolorata Madre avvisò le tre Marie: tutte ne fecero lamento con amarissimo pianto, ma si distinse in modo particolare la Maddalena, perché più delle altre era infiammata di amore e di fervorosa carità.

Insegnamento della Regina del cielo

1221. Figlia mia, tutto quello che hai inteso e raccolto in questo capitolo è un richiamo e un avviso di somma importanza per tutti i mortali e per te, se saprai trarre ed applicare la giusta considerazione. Rifletti, dunque, e medita nel tuo intimo quanto debba stare a cuore la questione della predestinazione o riprovazione eterna delle anime che il mio santissimo Figlio trattò con tanta ponderazione. Difatti, la difficoltà o l'impossibilità che tutti gli uomini fossero salvi e beati gli rese oltremodo amara la passione e morte che accettò e patì per la redenzione di tutti. In questo conflitto interiore, egli manifestò il valore e l'importanza di questa impresa; e perciò moltiplicò le preghiere e le suppliche al suo eterno Padre, spingendosi per amore degli uomini fino a sudare copiosamente il suo sangue d'inestimabile prezzo, perché la sua morte non avrebbe potuto essere applicata fruttuosamente a tutti, per la malizia con la quale i reprobi se ne sarebbero resi indegni. Il mio figlio e Signore ha giustificato la sua causa nell'aver procurato a tutti la salvezza senza limiti, con il suo sconfinato amore e con i suoi meriti; e l'eterno Padre l'ha giustificata nell'aver dato al mondo la redenzione, che ha posto in potere di ciascuno, affinché chiunque, a suo libero arbitrio, stenda la mano o alla vita o alla morte, o all'acqua o al fuoco conoscendo la distanza che intercorre fra loro.

1222. Ma quale scusa o discolpa pretenderanno di presentare gli uomini per essersi dimenticati della propria eterna salvezza, quando mio Figlio ed io con l'Onnipotente la desiderammo ardentemente per essi e ci prodigammo con tanta cura ed affetto affinché l'accettassero? E se nessuno dei mortali trova giustificazione per la propria accidia e la propria stoltezza, ancor meno la troveranno nel giorno del giudizio i figli della santa Chiesa, che hanno ricevuto la fede in questi mirabili sacramenti e che durante la vita differiscono solo di poco dagli infedeli e dai pagani. Non credere, figlia mia, che sia stato scritto invano che molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Temi questa sentenza, e rinnova nel tuo cuore la sollecitudine e lo zelo per la tua salvezza, considerandoti ancor più obbligata per la maggior conoscenza che hai ricevuto su misteri così eccelsi. Ed anche se tu non avessi alcun interesse per la vita eterna e per la tua felicità, ciononostante dovresti sentirti mossa a corrispondere all'amorevolezza con la quale ti manifesto tanti e così divini segreti. E poiché ti chiamo mia figlia e sposa del mio Signore, devi comprendere che il tuo compito deve essere amare e patire senza alcuna attenzione alle cose visibili. Io, che sempre impiegai le mie facoltà con grande zelo in queste due azioni, ti invito ad imitarmi e, affinché tu giunga a seguirmi, voglio che la tua preghiera sia continua, senza sosta, e che vegli un'ora con me. E quest'ora deve essere tutto il tempo della vita mortale, perché paragonata all'eternità è meno che un'ora, anzi un momento. Con questa disposizione, voglio che tu prosegua nella venerazione dei misteri della passione, e che li scriva, li senta e li imprima nel tuo cuore.

Augustinus
24-03-05, 23:09
Libro VI, Cap. 13, §§ 1223-1239

CAPITOLO 13

La cattura e la consegna del nostro Salvatore, dovute al tradimento di Giuda; ciò che fece in quest'occasione Maria santissima ed alcuni misteri riguardo a questo fatto.

1223. Mentre il nostro salvatore Gesù si trovava presso l'orto degli Ulivi, pregando il suo eterno Padre e sollecitando la salvezza di tutto il genere umano, Giuda si affrettava a farlo catturare e a consegnarlo ai sommi sacerdoti ed ai farisei. E poiché Lucifero con i suoi demoni non poté dissuadere la perversa volontà del malvagio discepolo e degli altri dall'intento di togliere la vita al loro Creatore e maestro, la sua antica superbia mutò disegno, ed agendo con nuova malizia infuse empie suggestioni nei giudei, affinché con maggior crudeltà e con atrocissime ingiurie tormentassero Cristo. Il dragone - come si è detto finora - già nutriva il pieno sospetto che quell'uomo così eccezionale fosse il Messia e vero Dio. Per non rimanere in questo dubbio, cercava allora nuove prove contro il Signore per mezzo di violenti insulti, che riversò nell'immaginazione dei giudei e dei loro ministri, comunicando ad essi la sua indicibile invidia. In quest'occasione tutto si adempì conformemente a quanto lasciò scritto Salomone nel libro della Sapienza. Il demonio, infatti, pensò che se Cristo non era Dio, ma semplice uomo, avrebbe ceduto alla persecuzione ed ai tormenti, ed egli così lo avrebbe vinto; se invece lo era, avrebbe manifestato la sua identità liberandosi e operando nuovi prodigi.

1224. L'empia temerarietà di Lucifero accese ardentemente l'invidia dei sommi sacerdoti e degli scribi. Essi adunarono rapidamente una turba di gente e designando Giuda come capo condottiero lo fornirono di un distaccamento di soldati gentili, di un tribuno e di molti altri giudei, affinché tutti quanti andassero a prendere l'innocentissimo Agnello. Sua Maestà stava proprio attendendo quell'evento, leggendo i pensieri ed osservando i disegni dei sacrileghi sommi sacerdoti, come aveva espressamente profetizzato Geremia. Quegli esemplari di malvagità uscirono allora dalla città e si avviarono verso il monte degli Ulivi con fiaccole accese e lanterne, armati e muniti di funi e catene, come l'ideatore del tradimento aveva consigliato loro, temendo nella perfidia e nella slealtà di cui era intriso che il suo mansuetissimo Maestro, da lui reputato stregone e mago, operasse qualche miracolo per sfuggirgli dalle mani. Di certo, contro la divina potenza non sarebbero stati efficaci le armi e i preparativi degli uomini, qualora il Signore avesse voluto far uso di essa, come avrebbe potuto e come aveva fatto in altre occasioni prima di giungere a quell'ora stabilita per consegnarsi di propria volontà alla passione, alle ignominie ed alla morte di croce.

1225. Mentre quelli si avvicinavano, sua Maestà ritornò per la terza volta dai suoi discepoli e, trovandoli di nuovo addormentati, disse loro: «Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino». Il Maestro della santità disse queste parole ai tre apostoli prediletti, con somma pazienza, mansuetudine e dolcezza. E quelli, trovandosi confusi, come dice il sacro testo, non sapevano che cosa rispondergli. Subito si alzarono ed il Salvatore con loro tre tornò ad unirsi agli altri otto, nel luogo dove li aveva lasciati; ma trovò pure loro addormentati, vinti ed oppressi dal sonno per la grande tristezza che soffrivano. Comandò allora che tutti uniti sotto il loro Capo, in forma di congregazione e di corpo mistico, andassero incontro ai nemici. In questo modo insegnava loro la virtù che deve esercitare una comunità perfetta per vincere il demonio e i suoi seguaci e non essere sopraffatta; difatti, una cordicella a tre capi, come dice il libro del Qoèlet, non si rompe tanto presto ed a colui che contro di uno è potente due potranno resistere: questo è il vantaggio del vivere in compagnia di altri. Il Signore ammonì di nuovo tutti gli apostoli e li avvertì su quanto stava per accadere. E subito si sentì lo strepito dei soldati e degli anziani che venivano a prenderlo. Sua Maestà avanzò di alcuni passi per andare loro incontro, ed iniziando un intimo monologo con ammirevole affetto, maestoso valore e suprema pietà disse: «Passione desiderata dall'anima mia, dolori, piaghe, obbrobri, pene, afflizioni ed ignominiosa morte venite ormai! Venite, venite presto, perché l'ardente amore che porto agli uomini, per la loro salvezza, vi attende. Avvicinatevi all'innocente fra tutte le creature, a chi conosce il vostro valore e vi ha tanto cercato, desiderato e sollecitato, e vi riceve con gaudio e di propria volontà: vi ho comprato con le mie brame di possedervi e vi apprezzo per quanto meritate. Voglio riparare al disprezzo che di voi si ha e nobilitarvi, elevandovi a dignità molto eminente. Venga la morte, affinché io, accettandola senza meritarla, riporti il trionfo su di essa e meriti la vita a coloro ai quali fu data per castigo del peccato. Permetto che mi abbandonino i miei amici, perché io solo voglio e posso entrare in battaglia, per guadagnare a tutti il trionfo e la vittoria».

1226. Mentre Gesù diceva queste ed altre parole, gli si accostò per primo Giuda, dando a tutti quelli che lo avevano seguito il segnale prestabilito: il Maestro era colui al quale si sarebbe avvicinato per salutarlo, dandogli il finto bacio di pace, come era solito fare. Quindi avrebbero potuto catturarlo subito, senza scambiarlo per un altro. L'infelice discepolo prese tutte queste precauzioni non solo per l'avidità del denaro e per l'odio che nutriva verso sua Maestà, ma anche per il timore che aveva. Lo sciagurato reputò, infatti, che, se Cristo non fosse morto, per lui sarebbe stato impossibile ritornare alla sua presenza e stargli dinanzi. Temendo allora questa confusione più della morte della sua anima e del suo divin Maestro, per non vedersi in quello stato vergognoso, bramava di portare subito a compimento il suo tradimento e far morire l'Autore della vita per mano dei suoi nemici. Si avvicinò, dunque, il traditore al mansuetissimo Signore e, come insigne artefice d'ipocrisia, dissimulando l'inimicizia, gli diede un bacio sul viso e gli disse: «Dio ti salvi, Maestro». E con questo perfido atto terminò l'istruzione del processo della perdizione di Giuda che si giustificò senza più l'intervento di Dio, perché d'allora in poi gli venissero sempre meno la grazia e gli aiuti divini. La sfrontatezza e la temerarietà del malvagio discepolo giunsero fino al sommo grado della malizia, perché egli negando interiormente, anzi misconoscendo, la sapienza increata di Cristo nostro Signore riguardo alla conoscenza del suo tradimento, e il potere che aveva di annichilirlo, pretese di nascondere la sua malvagità con la finta amicizia di vero discepolo: e ciò al fine di consegnare ad una morte tanto vergognosa e crudele il suo Creatore e maestro, da cui aveva ricevuto grandi benefici e verso il quale si trovava tanto obbligato. Questo tradimento fu il compendio di tanti gravi peccati scaturiti da una malizia di calibro ineguagliabile: egli fu infedele, omicida, sacrilego, ingrato, disumano, disubbidiente, falso, mendace, avido, empio, antesignano di tutti gli ipocriti, e come tale si comportò verso la persona del Dio incarnato.

1227. Da parte del Signore restarono sempre giustificate la sua ineffabile misericordia e l'equità della sua giustizia, con cui adempì eminentemente le parole di Davide: Troppo io ho dimorato con chi detesta la pace. Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra. Sua Maestà espletò ciò in modo così eccelso che all'avvicinarsi di Giuda, con la dolcissima risposta che gli diede - «Amico, per questo sei qui!» - e per intercessione della sua santissima Madre, inviò al suo cuore una nuova illuminazione. Egli ebbe modo così di conoscere l'atrocissima perversità del suo tradimento e le pene che per essa lo aspettavano, se non si fosse ravveduto con una vera penitenza che - se avesse voluto farla - gli avrebbe fatto ritrovare misericordia e perdono nella divina clemenza. Queste parole di Cristo, nostro bene, risuonarono nel cuore di Giuda come un'ammonizione che possiamo formulare con l'espressione: «Amico, riconosci che ti perdi e ti rendi inutile, con questo tradimento, la mia liberale mansuetudine. Se vuoi la mia amicizia non te la negherò, appena sentirai il dolore del tuo peccato. Considera la tua temerarietà nel tradirmi con un finto gesto di pace, e con un bacio di falsa amicizia. Ricordati dei benefici ricevuti dal mio amore; ricordati che sono figlio della Vergine, dalla quale sei stato tanto vezzeggiato ed aiutato, durante il mio apostolato, con gli avvertimenti e i consigli di madre amorosa. Per lei sola non avresti dovuto commettere un tradimento tale qual è quello di vendere e consegnare il Figlio suo: ella non ti offese mai, e la sua dolcissima carità e la sua mansuetudine non meritano che tu commetta un oltraggio così enorme. E sebbene tu lo abbia fatto, non disprezzare la sua intercessione, poiché questa sola sarà potente presso di me, e per lei io ti offro il perdono e la vita che per te molte volte ella mi ha chiesto. Persuaditi che ti amiamo, e sappi che ti trovi ancora in un luogo di speranza e che non ti negheremo la nostra amicizia, se tu lo vorrai. Altrimenti meriterai il nostro disprezzo, il tuo castigo e la tua eterna pena». Queste parole così sublimi non fecero presa sullo sciagurato cuore dell'infelice discepolo, più duro di un diamante e più disumano di una belva; egli opponendo resistenza alla divina clemenza giunse a quella disperazione di cui parlerò nel capitolo seguente.

1228. Quando l'Autore della vita, che si trovava con i suoi discepoli, fu baciato da Giuda, la truppa dei soldati, avuto il segno di riconoscimento, si mosse per arrestarlo. Vennero a trovarsi faccia a faccia, gli uni dirimpetto agli altri, come i due squadroni più opposti e contrari che mai vi siano stati al mondo. Da una parte vi era Cristo, nostro Signore, vero Dio e vero uomo, come capo di tutti i giusti, accompagnato dagli undici apostoli, che erano e dovevano essere gli uomini migliori e più valorosi della sua Chiesa; era assistito anche da una innumerevole schiera di spiriti angelici che, meravigliati dello spettacolo, lo benedivano ed adoravano. Dall'altra parte si faceva avanti, seguito da molti gentili e dagli anziani giudei, Giuda, autore del tradimento, armato d'ipocrisia e di ogni malvagità, pronto a metterle in atto con ferocia. In questo squadrone avanzava anche, con un gran numero di demoni, Lucifero, incitando ed addestrando Giuda e i suoi alleati, perché intrepidi mettessero le sacrileghe mani addosso al loro Creatore. Sua Maestà parlò ai soldati con grande coraggio ed autorità e con una incredibile propensione al patire dicendo: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». In questa risposta d'incomparabile valore e felicità per il genere umano, Cristo si dichiarò nostro salvatore, dandoci il pegno sicuro della nostra redenzione e la ferma speranza dell'eterna salvezza, la quale dipendeva solamente dall'offrirsi di propria volontà alla passione e alla morte di croce.

1229. I nemici non poterono intendere tale mistero, né capire il legittimo senso delle sue parole, ma lo compresero la sua beatissima Madre, gli angeli e in gran parte anche gli apostoli. E fu come quando l'Onnipotente disse al profeta Mosè: «Io sono colui che sono!, perché sono da me stesso, e tutte le creature ricevono da me il loro essere e la loro esistenza. Sono eterno, immenso, infinito, uno nella sostanza e negli attributi, e mi sono fatto uomo nascondendo la mia gloria per operare, per mezzo della passione e morte che mi volete dare, la redenzione del mondo». Quando il Signore pronunziò quella parola in virtù della sua divinità, i nemici non gli poterono resistere. Entrata nelle loro orecchie, caddero tutti con la testa e col dorso a terra; e non solo furono scaraventati i soldati, ma anche i cani che conducevano ed alcuni cavalli che montavano: tutti caddero a terra, restando immobili come pietre. Lucifero e i suoi demoni furono anch'essi atterrati e rovesciati, patendo nuovamente confusione e tormento. In questo stato rimasero quasi mezzo quarto d'ora, senza segno di vita, come se fossero stati morti. Oh, misteriosa parola della sapienza divina, più che invincibile nella potenza! Non si vanti alla tua presenza il saggio della sua saggezza e della sua astuzia, e non si vanti il forte della sua forza; si umilii la vanità e l'arroganza dei figli di Babilonia, poiché una sola parola della bocca del Signore, proferita con tanta mansuetudine ed umiltà, confonde, annienta e distrugge tutto il potere degli uomini e dell'inferno. Comprendiamo, figli della Chiesa, che le vittorie di Cristo si ottengono confessando la verità, bandendo l'ira, praticando la sua mitezza e la sua umiltà di cuore e vincendo con l'essere vinti, con semplicità di colombe, con la quiete e la sottomissione delle pecorelle, senza la resistenza dei lupi rabbiosi e sanguinari.

1230. Il nostro Salvatore, con gli undici apostoli, rimase ad osservare l'effetto della sua divina parola nella rovina di quegli uomini, esemplari di malvagità. Sua Maestà con viso addolorato vide riflesso in essi il castigo dei reprobi, ed ascoltando l'intercessione della sua dolcissima Madre li lasciò rialzare, poiché tutto questo aveva disposto l'eterna volontà. E quando quelli ritornarono in sé, egli pregò l'onnipotente Dio e disse: «Padre mio, nelle mie mani avete posto tutte le cose, e nella mia volontà la redenzione umana che la vostra giustizia vuole. Io intendo soddisfarla pienamente con tutto me stesso, e consegnarmi alla morte per guadagnare ai miei fratelli la partecipazione dei vostri tesori e l'eterna felicità che avete preparato per loro». Con la forza di questa volontà l'Altissimo lasciò che tutta quella canaglia di uomini, demoni ed altri animali si alzasse per ritornare nello stato in cui si trovava prima di cascare a terra. E il nostro Salvatore domandò loro per la seconda volta: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Con queste parole permise ai soldati che lo prendessero, ed eseguissero il suo volere, incomprensibile ad essi: caricare sulla sua divina persona tutti i nostri dolori e tutte le nostre sofferenze.

1231. Il primo uomo che villanamente avanzò per mettere le mani addosso all'Autore della vita e catturarlo fu un servo dei sommi sacerdoti, chiamato Malco. E benché tutti gli altri apostoli fossero turbati ed afflitti dal timore, ciò non impedì a san Pietro di accendersi tutto di zelo per onorare e difendere il suo divin Maestro. Sfoderando una spada, tirò un colpo a Malco e gli recise un orecchio troncandoglielo del tutto. La sferzata avrebbe causato una maggior ferita se la provvidenza divina - del Maestro della pazienza e della mansuetudine non l'avesse deviata. Sua Maestà non permise però che in quell'occasione subentrassero la sofferenza o la morte di qualcun'altro all'infuori delle sue, delle sue piaghe e del suo sangue, poiché egli veniva a redimere tutto il genere umano, dando a tutti la vita eterna se avessero voluto accettarla. Non rientrava, infatti, nella sua volontà e nella sua dottrina che la sua persona fosse difesa con armi offensive, e che restasse questo esempio nella sua Chiesa come modo primario per difenderla. A conferma di tutto ciò e di quanto aveva insegnato, prese l'orecchio reciso e lo restituì al servo Malco, rimettendoglielo al suo posto perfettamente sano, anzi ancor meglio di prima. Gesù allora si volse a riprendere san Pietro dicendogli: «Rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada per ferire periranno di spada. Non vuoi che io beva il calice che mi ha dato mio Padre? Pensi forse che io non gli possa domandare molte legioni di angeli in mia difesa, e che egli non me le invierebbe subito? Ma come si adempirebbero allora le Scritture e le profezie?».

1232. Da questa dolce correzione san Pietro fu illuminato ed istruito per fondare e difendere la Chiesa, di cui era capo, con le armi spirituali, poiché la legge del Vangelo non insegnava a combattere né a vincere con armi materiali, ma con l'umiltà, la pazienza, la mansuetudine e la perfetta carità, superando il demonio, il mondo e la carne. Mediante queste vittorie la forza divina trionfa sui suoi nemici, sulla potenza e sull'astuzia di questo mondo, dal momento che difendersi e offendere con le armi non è dei seguaci di Cristo nostro Signore, ma dei principi della terra bramosi di nuove conquiste: il coltello della Chiesa deve essere quello spirituale, che tocchi le anime anziché i corpi. Quindi Cristo nostro Signore si volse verso i suoi nemici e i capi dei giudei e, parlando loro con grande autorevolezza, disse: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare e predicare, e non mi avete arrestato. Ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre». Tutte le parole del nostro Salvatore, specialmente quelle che proferì in occasione della sua passione e morte, erano di notevole spessore per gli arcani misteri che racchiudevano, e non è possibile comprenderle tutte né dichiararle.

1233. Questi uomini avvezzi al peccato con il rimprovero del divin Maestro avrebbero ben potuto addolcirsi e confondersi, ma non lo fecero, perché erano terra maledetta e sterile, priva della rugiada delle virtù e della vera pietà. Tuttavia l'Autore della vita volle riprenderli ed insegnar ad essi la verità, perché la loro perfidia fosse meno scusabile, e alla presenza della somma santità e giustizia quel peccato ed altri commessi non restassero senza ammonimento ed essi non andassero via senza quella benefica medicina, se fossero stati disposti ad accettarla. Inoltre questa riprensione sarebbe servita a far conoscere che egli sapeva tutto quanto doveva succedere e che di sua spontanea volontà si abbandonava alla morte, consegnandosi liberamente nelle mani di coloro che gliela procuravano. Per tutto questo e per altri altissimi fini, sua Maestà pronunciò quelle parole, parlando al cuore di quegli uomini malvagi come colui che aveva la capacità di penetrarlo e di scovare la loro malizia, l'odio che contro di lui avevano concepito e la causa della loro invidia. Questa era stata particolarmente scatenata dall'aver ripreso i vizi dei sacerdoti e dei farisei, dall'aver insegnato al popolo la verità e il cammino della vita eterna, dall'aver attirato con la sua dottrina, con il suo esempio e con i suoi miracoli la volontà di tutti gli uomini umili e pii, e dall'aver ricondotto molti peccatori alla sua amicizia e alla sua grazia. Quindi era chiaro che colui che aveva il potere di operare queste cose in pubblico l'avrebbe avuto anche per far sì che senza la sua volontà non lo potessero prendere nel Getsèmani. Egli, infatti, non aveva lasciato che lo prendessero nel tempio e nella città dove predicava, non essendo arrivata l'ora stabilita dalla sua volontà per dare il permesso agli uomini ed ai demoni. E proprio perché aveva loro concesso in quel preciso momento di essere catturato, disprezzato, afflitto e maltrattato disse: «Questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre». E fu come se avesse detto loro: «Sinora è stato necessario che io dimorassi con voi come maestro per vostro insegnamento, e perciò non ho consentito che mi toglieste la vita. Ma ora voglio compiere con la mia morte l'opera della redenzione umana, che il mio eterno Padre mi ha commissionato; e perciò vi permetto di catturarmi e di eseguire su di me la vostra volontà». Così presero il mansuetissimo agnello e, assalendolo come tigri feroci, lo legarono, lo strinsero con funi e catene e lo condussero alla casa del sommo sacerdote, come dirò in seguito.

1234. La purissima Madre era attentissima a quello che succedeva nella cattura di Cristo nostro bene, mediante la chiara visione che le rendeva tutto manifesto come se fosse stata presente con il corpo. Ella per la sapienza infusa penetrava tutti i misteri racchiusi nelle parole del suo santissimo Figlio e le opere che egli eseguiva. Quando vide che quello squadrone di soldati, seguito dalla folla, si era diretto verso la casa del sommo sacerdote, la prudentissima Signora, prevedendo le irriverenze e gli oltraggi che tutti costoro avrebbero compiuto verso il Creatore e redentore, invitò i suoi e molti altri angeli affinché assieme a lei rendessero culto di adorazione e di lode al Signore delle creature, per riparare le ingiurie e le offese con cui avrebbe dovuto essere trattato da quegli uomini malvagi, principi delle tenebre. Diede lo stesso avviso alle donne che con lei stavano pregando, e manifestò loro come appunto in quell'ora il suo santissimo Figlio consentisse ai suoi nemici che lo prendessero e lo maltrattassero, eseguendo tutto ciò con deplorevole empietà e crudeltà di peccatori. Con l'assistenza dei santi angeli e delle pie donne, la religiosa Regina fece mirabili atti di fede, di amore e di devozione internamente ed esternamente, confessando, lodando, adorando e magnificando la divinità infinita e l'umanità santissima di Gesù. E così le sante donne la imitavano nelle genuflessioni e prostrazioni che faceva, e gli spiriti celesti rispondevano ai cantici con i quali ella onorava il suo amantissimo Figlio. E mentre da un lato i figli della malvagità offendevano sua Maestà con ingiurie ed irriverenze, dall'altro la pietosa Madre lo ripagava con lodi e venerazione. Nello stesso tempo ella placava anche la divina giustizia, affinché non si accendesse di sdegno e d'ira contro i persecutori di Cristo, e non li distruggesse; difatti, solamente Maria santissima poté trattenere il castigo di quelle offese.

1235. La gran Signora con la sua intercessione non solo poté spegnere lo sdegno del giusto giudice, ma riuscì ad ottenere anche favori e privilegi per quegli uomini che lo irritavano, e a far sì che la divina clemenza rendesse loro bene per male, mentre essi recavano a Cristo nostro Signore male per bene, in retribuzione della sua dottrina e dei suoi benefici. Questa misericordia giunse al sommo grado per lo sleale ed ostinato Giuda. Difatti, vedendo la divina Madre che egli lo tradiva con il bacio di finta amicizia e che con la sua immondissima bocca, dove poco prima era stato lo stesso Signore sacramentato, si permetteva di toccare il venerabile volto di Gesù, trapassata dal dolore e vinta dalla carità pregò il medesimo Signore di dare un nuovo aiuto a Giuda. E così, se lo avesse accettato, non si sarebbe perduto chi era arrivato a tale felicità, qual era quella di toccare in quel modo il viso che desiderano guardare perfino gli angeli. Alla richiesta di Maria santissima, suo Figlio inviò grandi benefici al discepolo traditore che - come già si è detto - li ricevette al momento della consegna del Maestro. E se lo sciagurato li avesse accolti ed avesse incominciato a corrispondervi, questa Madre di misericordia gliene avrebbe ottenuti molti di più, e infine anche il perdono della sua malvagità, come fa con altri grandi peccatori che a lei desiderano dare questa gloria e guadagnare per sé quella eterna. Ma Giuda non giunse a questa sapienza e perse tutto, come dirò nel capitolo seguente.

1236. Quando la Regina dei cieli vide che in forza della parola divina caddero a terra tutti gli anziani e i soldati, venuti a prendere Gesù, compose con gli angeli un altro maestoso cantico, in cui esaltava la potenza infinita e le virtù della santissima umanità di Cristo. In questo inno elogiava la vittoria riportata dall'Altissimo quando aveva sommerso nel Mar Rosso il faraone con tutte le sue truppe, e lodava il proprio figlio e vero Dio, che come Signore degli eserciti e delle vittorie voleva darsi in preda ai patimenti ed alla morte per redimere nel più mirabile modo il genere umano dalla schiavitù di Lucifero. Maria poi elevò una preghiera al Signore, chiedendogli di rialzare e far ritornare in sé tutti coloro che erano stati rovesciati ed atterrati. Ella lo fece in primo luogo perché mossa dalla sua liberalissima pietà e dalla fervorosa compassione per quegli uomini, che il Signore aveva creato a propria immagine e somiglianza; secondariamente perché avrebbe adempiuto la legge della carità insegnata e praticata dal suo Figlio e maestro: perdonare ai nemici e fare del bene ai persecutori; infine perché si dovevano compiere le profezie e le scritture relative al mistero della redenzione umana. E benché tutto questo fosse infallibile, non vi è alcuna contraddizione nel fatto che Maria santissima lo chiedesse e che per le sue preghiere l'Altissimo si sentisse sollecitato a dispensare questi benefici: nella sapienza infinita e nei decreti della sua eterna volontà tutto era previsto ed ordinato per tali mezzi e suppliche. Non è necessario che io mi trattenga ancora a dare ulteriori spiegazioni, perché certo non vi sarebbe stato un modo più conveniente per ottenere l'intervento della divina provvidenza. Nel momento in cui i soldati presero e legarono il nostro Salvatore, la purissima Madre sentì nelle sue mani i dolori delle corde e delle catene, come se fosse stata legata e stretta anch'ella; e lo stesso accadde riguardo ai colpi ed ai tormenti che andava ricevendo il Signore. Questa pena che avvertiva nel corpo, concessale in forma di privilegio - come è stato detto sopra e come si vedrà nel corso della passione -, le fu in parte di sollievo, perché l'amore gliene avrebbe arrecato una più grande nell'anima, se ella non avesse patito assieme al proprio Figlio in quel modo.

Insegnamento della Regina del cielo

1237. Figlia mia, con tutto quello che vai scrivendo e comprendendo per mezzo del mio insegnamento, ti appresti ad istruire il processo contro tutti i mortali, e contro di te se come loro non ti spoglierai della rozzezza e della villania, e non supererai l'ingratitudine, meditando giorno e notte la passione, i dolori e la morte di Gesù crocifisso. Questa è la sapienza dei santi, ignorata dagli uomini del mondo; questo è il pane della vita e dell'intelletto, che sazia i piccoli e dà loro scienza, lasciando vuoti e famelici i superbi amatori del secolo. In tale dottrina desidero che tu sia sollecita e sapiente, poiché da essa ti verranno tutti i beni. Il mio figlio e Signore insegnò l'ordine di questo arcano mistero quando disse: «lo sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Dimmi ora, o carissima: se il mio divin Maestro si fece via e vita degli uomini, per mezzo della passione e morte che patì per loro, non è forse necessario che, per seguire il suo stesso cammino e professare la sua verità, tutti passino per Cristo crocifisso, afflitto, flagellato e disonorato? Considera, dunque, l'ignoranza dei mortali: vogliono giungere al Padre senza passare per il suo Unigenito; vogliono regnare con sua Maestà senza aver patito e aver preso parte alle sue pene, e senza neppure ricordare la sua passione e morte, provandola in qualche modo o mostrandone una vera gratitudine. E vorrebbero allora che essa giovasse loro per poter godere, nella vita presente ed in quella eterna, i piaceri e la gloria, mentre il Creatore ha patito fortissimi dolori e atroci sofferenze per entrarvi ed ha lasciato questo esempio per aprire ad essi la strada della luce.

1238. Il riposo non è compatibile con la vergogna di non aver lavorato, per chi avrebbe dovuto acquistarlo solo con questo mezzo. Non è vero figlio colui che non imita il proprio padre, né servo fedele chi non obbedisce al proprio padrone, né discepolo chi non segue il proprio maestro, né io reputo come mio devoto colui che non prende parte a quanto abbiamo sofferto mio Figlio ed io. Anzi l'amore con cui noi procuriamo la salvezza eterna agli uomini ci obbliga, vedendoli così dimentichi di questa verità e tanto avversi al patire, ad inviare loro tribolazioni e pene, affinché se non le amano spontaneamente, almeno le accettino e soffrano forzatamente: solamente per questa via entreranno nel cammino sicuro di quel riposo eterno che tanto desiderano. Eppure ciò non basta: l'inclinazione e l'amore cieco per le cose visibili e terrene trattengono i mortali, li ostacolano e li rendono tardi e duri di cuore, assopendo in essi la memoria, l'attenzione e gli affetti, e impedendo che si innalzino al di sopra di se stessi e di tutto ciò che è transeunte. Da qui scaturisce la motivazione per cui non trovano serenità nelle tribolazioni, né sollievo nei travagli, né consolazione nelle pene, né quiete nelle avversità, perché aborriscono tutto ciò e non cercano niente che sia penoso, come invece bramavano i santi, che si gloriavano nelle tribolazioni come chi arrivasse al coronamento dei propri desideri. In molti fedeli questa insipienza va anche oltre, perché alcuni chiedono di essere infiammati dell'amore di Dio, altri che siano loro perdonate molte colpe, altri ancora che vengano loro concessi grandi benefici: richieste che non possono essere esaudite perché non le domandano nel nome di Cristo mio Signore, imitandolo ed accompagnandolo nella sua passione.

1239. Abbraccia dunque, figlia mia, la croce, e senza di essa non accettare alcuna consolazione nella tua vita mortale. Imitami, secondo la luce che hai e l'obbligo in cui ti pongo di sentire e meditare la passione del Signore: per tale via ascenderai alla vetta della perfezione e guadagnerai l'amore di sposa. Benedici e magnifica il mio santissimo Figlio per l'amore con cui si consegnò per la salvezza dell'umanità. I mortali riflettono poco su questo mistero, ma io come testimone ti avverto che il mio santissimo Figlio, se tralasci il suo ardente desiderio di salire alla destra dell'eterno Padre, nessuna cosa gradiva e bramava tanto quanto quella di offrirsi ai patimenti della morte di croce, dandosi a tal fine in potere dei nemici. Voglio anche che deplori, con intimo dolore, che Giuda nelle sue scelleratezze e perfidie abbia più seguaci di Cristo. Molti sono gli infedeli, molti i cattivi cattolici, molti gli ipocriti che con il nome di cristiani vendono e tradiscono, e nuovamente vogliono crocifiggere il mio santissimo Figlio. Piangi per tutti questi mali che senti e conosci, affinché anche in ciò tu mi possa imitare e seguire.

Augustinus
24-03-05, 23:12
Libro VI, Cap. 14, §§ 1240-1255

CAPITOLO 14

La fuga e la dispersione degli apostoli dopo la cattura del Maestro; la conoscenza che ne ebbe la sua santissima Madre e ciò che fece in questa occasione; la dannazione di Giuda e il turbamento dei demoni per quello che venivano a sapere.

1240. Eseguita la cattura di Gesù - come è già stato narrato - si adempì ciò che egli aveva predetto nell'ultima cena: in quella notte tutti si sarebbero fortemente scandalizzati a causa della sua persona, e satana li avrebbe assaltati per vagliarli come il grano. Gli apostoli, afflitti, restarono confusi e disorientati quando videro che il Maestro veniva catturato e legato, e si accorsero che né la sua mansuetudine né le sue parole tanto dolci e potenti né i suoi miracoli né il suo innocentissimo conversare avevano potuto placare l'ira della folla e mitigare l'invidia dei sommi sacerdoti e dei farisei. Per naturale timore si avvilirono, perdendo il coraggio e dimenticando i consigli di Cristo. Incominciarono così a vacillare nella fede e ciascuno di essi, vedendo quello che stava succedendo a sua Maestà, pensava a come mettersi in salvo dal pericolo che incombeva. Subito lo squadrone dei soldati, con tutta la turba di gente che gli andava dietro, si accinse ad arrestare e ad incatenare il mansuetissimo Agnello, contro il quale tutti fremevano di sdegno. Gli Undici, approfittando allora dell'occasione, fuggirono senza essere scorti dai giudei, sebbene questi - se lo avesse permesso l'Autore della vita - senza dubbio li avrebbero catturati poiché scappavano come codardi e rei, ma non era opportuno che fossero presi e patissero in quel momento. E difatti, il nostro Redentore aveva manifestato questa sua volontà dicendo alle guardie, venute ad arrestarlo, che se cercavano lui lasciassero liberi coloro che lo accompagnavano: così accadde con la forza della sua divina provvidenza. Frattanto, anche contro i suoi seguaci si estendeva l'odio dei sommi sacerdoti e dei farisei che volevano farla finita in un colpo solo con tutti loro, se ne avessero avuto la possibilità. E proprio per questo il pontefice Anna interrogò il Salvatore riguardo ai suoi discepoli e al suo annuncio.

1241. Lucifero dinanzi a tale fuga si ritrovò confuso e perplesso, incrementando la sua malizia per vari fini. Egli bramava di estinguere l'insegnamento del Messia e di sterminare tutti i suoi compagni fino a spegnere il loro ricordo, e agognava che essi fossero presi ed uccisi. Tuttavia, non gli sembrò facile conseguire questo disegno, e riconoscendone la difficoltà cercò di turbare gli apostoli spronandoli a scappare, affinché non vedessero la pazienza del Signore nella passione, né fossero testimoni di ciò che in questa sarebbe accaduto. Temette che essi, con il sublime esempio e la nuova dottrina che avrebbero potuto apprendere, sarebbero divenuti più forti e più saldi nella fede tanto da resistere alle sue seduzioni. Gli parve che se da allora avessero incominciato a titubare, in seguito li avrebbe potuti far cadere con nuove persecuzioni, servendosi dei giudei, i quali sarebbero stati sempre pronti ad insultarli, per l'odio che portavano all'Unigenito. Con questa malvagia considerazione il diavolo si ingannò da se stesso, e quando si accorse che essi erano intimoriti, codardi e abbattuti per la tristezza, reputò che quella fosse la migliore disposizione d'animo per tentarli. Li assaltò così con furiosa rabbia, proponendo loro grandi dubbi e sospetti, perché abbandonassero il loro Maestro. Ed essi riguardo alla fuga non resistettero come invece avevano fatto dinanzi a tante false suggestioni contro la fede, benché anche in questa avessero mancato: gli uni più gli altri meno, giacché non furono tutti parimenti turbati e scandalizzati.

1242. I discepoli si divisero tra loro correndo verso luoghi diversi, dato che era difficile nascondersi insieme, sebbene in quel momento lo desiderassero. Solo Pietro e Giovanni si unirono per seguire da lontano Gesù con l'intento di vedere la conclusione del suo supplizio. Intanto essi erano tutti presi nell'intimo da un turbamento di sommo dolore e di forte tribolazione, che metteva sotto torchio il loro cuore senza lasciare consolazione e riposo. Da una parte erano combattuti dalla ragione, dalla grazia, dall'amore e dalla verità, dall'altra dalla seduzione, dal sospetto, dal timore e dallo sconforto. Ma la ragione e la luce della verità li riprendevano dall'incostanza e dall'infedeltà per aver lasciato Cristo, schivando come vigliacchi il pericolo, dopo essere stati avvisati e aver fatto sfoggio, poco prima, del loro coraggio nel voler morire con lui, se fosse stato necessario. Si ricordarono della negligente disobbedienza e della trascuratezza nel pregare, e nel prepararsi contro le tentazioni, come sua Maestà aveva loro ordinato. l‘affetto che gli portavano, per la sua amabile conversazione e il suo dolce tratto, per la sua dottrina e le sue meraviglie, e il pensiero che egli era vero Dio li animavano e li spronavano a ritornare a cercarlo e ad offrirsi al martirio come servi fedeli. A tutto ciò si univano la preoccupazione per Maria santissima, e la considerazione delle sue incomparabili pene e del bisogno di conforto che avrebbe avuto. E così da un lato volevano andarla a trovare per assisterla nel suo tormento, dall'altro invece erano lacerati e combattuti dalla paura di finire in pasto alla crudeltà dei giudei, abbandonandosi alla morte, alla confusione e alla persecuzione. Ma riguardo alla scelta di presentarsi dinanzi all'addolorata Madre li affliggeva anche l'idea che ella li avrebbe obbligati a ritornare nel luogo in cui stava il suo Unigenito; inoltre temevano che se fossero rimasti con lei sarebbero stati poco sicuri, perché avrebbero potuto essere ricercati nella sua casa. Tutto questo era sovrastato dalle empie e terribili seduzioni del dragone, che inculcava nella loro mente immagini atroci: il suicidio; l'impossibilità del Maestro di liberare se stesso e di strappare loro dalle mani dei sommi sacerdoti, che in quell'occasione lo avrebbero ucciso; e la fine di tutta la loro dipendenza da lui, perché non lo avrebbero più visto. Inoltre erano avvinti anche dall'insidia che, sebbene la sua vita fosse esente da colpe, egli proclamando dottrine molto dure ed aspre sino ad allora mai praticate veniva odiato dai capi del popolo e dalla gente: ragion per cui era troppo drastico seguire un uomo che doveva essere condannato ad una fine infame e vergognosa.

1243. Questa lotta interiore negli apostoli si trasmetteva da un cuore all'altro. Satana, infondendo queste ed altre malvagie convinzioni, pretendeva che essi dubitassero dell'insegnamento del Signore e delle profezie inerenti ai suoi misteri e alla sua passione. Siccome nel dolore di questo conflitto non avevano speranza che il Messia uscisse vivo dalle potenti mani dei sommi sacerdoti, lo sgomento suscitò in loro una profonda tristezza e malinconia, per cui risolsero di schivare il pericolo e salvarsi. Fuggirono con tale pusillanimità e codardia che in nessun posto si consideravano sicuri in quella notte, spaventati da qualsiasi ombra e da ogni rumore. Un terrore più grande fu provocato in essi dalla slealtà di Giuda, giacché egli avrebbe potuto istigare anche contro di loro l'ira degli anziani, poiché, dopo aver eseguito la sua perfidia e il suo tradimento, non si era più fatto vedere da nessuno. San Pietro e san Giovanni, tra i più fervorosi nell'amore di Gesù, resistettero più degli altri al demonio e restando uniti vollero andare dietro a sua Maestà da lontano. Furono molto aiutati a prendere questa decisione dal fatto che san Giovanni conoscesse Anna, il quale con Caifa, sommo sacerdote in quell'anno, si alternava nel ministero del pontificato. Caifa era anche colui che nel sinedrio aveva consigliato ai giudei: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo». La familiarità di Giovanni con Anna scaturiva dalla buona reputazione dell'Apostolo, considerato una persona distinta, cortese, affabile, di nobile origine e di virtù molto amabili. Fiduciosi di questo, i due proseguirono meno timorosi il loro cammino. Essi portavano nei loro cuori la gran Regina del cielo; afflitti per la sua amarezza, erano desiderosi della sua presenza per sollevarla e consolarla, distinguendosi particolarmente in questo devoto affetto l'Evangelista.

1244. In tale occasione la Principessa, dal cenacolo, per mezzo di una sublime illuminazione non solo rimirava il proprio Figlio nei tormenti della cattura, ma anche veniva a sapere tutto quello che accadeva agli Undici, interiormente ed esteriormente. Vedeva la loro tribolazione e le loro tentazioni, scrutava i loro pensieri, le loro determinazioni, ciò che ciascuno faceva ed il luogo in cui si trovava. E sebbene tutto le fosse noto, ella non si sdegnò né rinfacciò ad essi la slealtà che avevano commesso, ma anzi si rese principio e strumento della loro salvezza, come racconterò in seguito. D'allora in poi incominciò a pregare, e con dolcissima carità e compassione di madre diceva nel suo intimo: «Pecorelle semplici ed elette, perché lasciate il vostro Pastore, che aveva cura di voi e vi conduceva al pascolo, dandovi il cibo della vita eterna? Perché, pur essendo seguaci di una dottrina così verace, abbandonate il datore di ogni vostro bene? Come potete dimenticare il suo comportamento così amoroso che vi attirava a lui? Perché ascoltate il maestro della menzogna, il lupo sanguinario che pretende la vostra rovina? O tesoro mio dolcissimo e pazientissimo, quanto mansueto, benigno e misericordioso vi rende l'amore degli uomini! Estendete la vostra pietà a questo piccolo gregge, che il furore del serpente ha turbato e disperso. Non date in pasto alle bestie le anime che vi hanno lodato. Enormi portenti avete operato con i vostri discepoli, ma enorme sofferenza siete solito dare a quelli che scegliete come vostri servi. Non riprovate coloro che la vostra volontà elesse a fondamento della Chiesa: non si perda tanta gloria! Non si vanti Lucifero di aver trionfato dinanzi a voi sulla parte migliore della vostra casa e famiglia. Guardate il vostro amato Giovanni, osservate Pietro e Giacomo da voi prediletti con singolare affetto. Volgete gli occhi della vostra clemenza anche verso tutti gli altri e schiacciate la superbia del dragone, che con implacabile crudeltà li ha turbati».

1245. In questa circostanza la grandezza di Maria, con la sua intercessione e con la pienezza di santità che manifestò all'Altissimo, superò ogni capacità umana ed angelica. Ella, oltre a sentire nel corpo e nello spirito gli strazi del suo Unigenito e le ingiurie vergognose che subiva nella sua persona, da lei stimata e ossequiata in sommo grado, avvertì e comprese anche l'angoscia dello smarrimento degli apostoli. Guardava la fragilità e la dimenticanza che essi avevano mostrato riguardo ai favori, agli avvertimenti e alle ammonizioni del loro Maestro: defezione che si era verificata in loro in brevissimo tempo dopo il sermone che egli aveva loro proferito nell'ultima cena, e l'eucaristia che aveva loro amministrato innalzandoli e vincolandoli alla dignità di sacerdoti. Conosceva anche il pericolo a cui erano esposti di cadere in peccati più gravi per l'astuzia con la quale il principe delle tenebre si affaticava a rovinarli, e l'inavvertenza, dovuta alla paura, che teneva più o meno in possesso il loro animo. Per tutto questo la Vergine moltiplicò le suppliche a Cristo sollecitandone gli aiuti fino a quando avesse guadagnato per essi il riscatto e il perdono, affinché rientrassero nell'amicizia e nella grazia superna, di cui ella si rendeva strumento efficace e potente. L'eccelsa Signora raccoglieva così nel suo cuore tutta la fede, la santità, il culto e la venerazione dell'intera comunità ecclesiale che stava in lei come in un'arca incorruttibile, conservando e racchiudendo in sé la legge evangelica, il sacrificio, il tempio ed il santuario. Ella sola credeva, amava, sperava e onorava il Verbo incarnato per sé, per gli Undici e per tutto il genere umano, in modo da compensare, per quanto era possibile ad una semplice creatura, l'incredulità e le omissioni di tutto il resto del corpo mistico. Faceva eroici atti di fede, speranza e carità, e celebrava la divinità e l'umanità del proprio figlio e vero Dio; con prostrazioni e genuflessioni lo adorava e con mirabili cantici lo benediva, senza che l'intima sofferenza e l'amarezza della sua anima sconvolgessero la forza della sua mediazione, accordata dalla mano dell'Onnipotente. Per questa sovrana non si addice quello che è affermato nel Siracide che la musica è importuna nel dolore, perché solo ella poté e seppe in mezzo alle sue pene accrescere la dolce armonia delle virtù.

1246. Lasciando gli apostoli nello stato che ho descritto, mi volgo a raccontare l'infelicissima fine di Giuda, anticipando quanto gli accadde nella sua miserevole e disgraziata sorte, per fare poi nuovamente ritorno alla narrazione della passione. Il traditore, con il distaccamento di soldati e la turba di gente che aveva condotto dal nostro Redentore, giunse prima a casa di Anna e poi a quella dell'altro sommo sacerdote Caifa, dove era atteso anche dagli scribi e dai farisei; e siccome Gesù era tanto maltrattato con percosse ed insultato con bestemmie sotto i suoi occhi, sopportando tutto con silenzio, mansuetudine e mirabile pazienza, il sacrilego discepolo incominciò a mettere in discussione dentro di sé la sua perfidia. Egli riconosceva che essa era l'unica causa dell'ingiusta crudeltà con cui quell'uomo tanto innocente veniva trattato, senza che lo meritasse. Si ricordò dei miracoli che aveva visto, dell'insegnamento che aveva udito e dei benefici che aveva ricevuto da lui; gli si presentarono dinanzi la pietà e la mitezza della Regina, la carità con cui ella aveva sollecitato la sua salvezza e la malvagità ostinata con la quale egli aveva offeso entrambi per un vilissimo interesse: l'insieme di tutte le trasgressioni che aveva commesso gli si pose davanti come un caso impenetrabile e come un alto monte che lo schiacciava.

1247. Giuda - come si è detto sopra - dopo essere andato incontro al Messia e averlo consegnato con il finto bacio, si trovava fuori dalla divina grazia. Ma per gli imperscrutabili disegni celesti, benché stesse in balia del proprio consiglio, fece i ragionamenti permessi dalla divina giustizia nella sua naturale coscienza; e li fece con tutte le suggestioni di satana che lo assisteva. Quantunque riflettesse tra sé e formulasse un retto giudizio riguardo a ciò che si è riferito, quando era il padre della menzogna a propinargli i discorsi egli si ritrovava più che mai confuso e turbato. Difatti, il diavolo alla veracità dei suoi ricordi accoppiava false ed ingannevoli congetture, affinché ne venisse a dedurre non già il suo riscatto e il desiderio di conseguirlo, ma al contrario l'impossibilità di ottenerlo, fino alla disperazione, come appunto accadde. Il demonio gli risvegliò così una profonda contrizione delle sue colpe, e non già per un buon fine, né per il motivo di aver offeso la verità, ma per il disonore che avrebbe avuto presso gli uomini e per il male che il Maestro, potente in miracoli, gli avrebbe potuto fare: in tutto il mondo perciò non gli sarebbe stato possibile sfuggire dalle sue mani, perché il sangue del giusto avrebbe gridato contro di lui. Con questo ed altri pensieri che gli suggerì, il traditore rimase in preda alla confusione e all'odio rabbioso verso se stesso. E ritiratosi da tutti stava per buttarsi giù da un punto molto elevato del palazzo di Caifa, ma non poté farlo. Dopo questo tentativo, come una fiera, sdegnato contro se stesso si mordeva le braccia e le mani, si dava durissimi colpi in testa tirandosi i capelli e, parlando in modo spropositato, si mandava maledizioni ed esecrazioni, come il più infelice e sfortunato tra i mortali.

1248. Il serpente, vedendolo così avvilito, gli propose di andare dai sacerdoti per confessare il suo peccato e restituire il loro denaro. Egli lo fece con celerità e ad alta voce rivolse loro queste parole: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»; ma essi, per nulla impietositi, gli risposero che avrebbe dovuto considerarlo prima. L'intento del drago era quello di provare ad impedire che il Salvatore fosse ammazzato, per le motivazioni che ho esposto sopra e che dirò in seguito. Con questa ripulsa datagli dagli anziani del popolo, così piena di empissima crudeltà, Giuda non ebbe più dubbi e si persuase che non fosse più possibile evitare tale uccisione. Reputò così anche il principe del male, non tralasciando però di mettere in atto altre strategie per mezzo di Pilato. Egli allora, ritenendo che il discepolo malvagio ormai non gli sarebbe più potuto servire per realizzare il suo intento, accrebbe in lui la tristezza e la collera, convincendolo a togliersi la vita per non aspettarsi una condanna più dura. Questi accettò l'inganno e uscito dalla città andò ad impiccarsi: si fece omicida di se stesso colui che si era fatto deicida del suo Creatore. Ciò accadde il venerdì alle dodici, lo stesso giorno della crocifissione di Cristo, ma prima che questi spirasse, perché non era opportuno che la morte di Gesù e l'opera della nostra redenzione cadessero immediatamente sopra l'esecrabile morte di Giuda, che con somma malizia le aveva disprezzate.

1249. I diavoli subito ricevettero la sua anima e la portarono all'inferno; il suo corpo invece restò impiccato e poi si squarciò nel mezzo e si sparsero fuori le viscere con meraviglia e spavento di tutti, al vedere che quel tradimento aveva avuto un castigo così terribile. Per tre giorni egli restò appeso ed esposto al pubblico. Nello stesso tempo i giudei tentarono di tirarlo via dall'albero e di seppellirlo nascostamente, perché da un simile spettacolo ridondava gran confusione ai sacerdoti e ai farisei, che non potevano contraddire quella testimonianza della loro ferocia. Tuttavia, nonostante si dessero da fare, non riuscirono a smentirla né furono capaci di staccare le sue membra da dove si era impiccato, sino a quando, trascorsi tre giorni, per disposizione superna gli stessi demoni lo tolsero dalla forca e lo portarono via per unirlo alla sua anima, affinché nel profondo dei loro antri pagasse eternamente il suo peccato. E poiché è degno di spaventoso stupore ciò che ho conosciuto delle pene che gli furono inflitte, lo riferirò nel modo e nell'ordine in cui mi è stato mostrato. Tra le oscure caverne degli infernali ergastoli ve ne era una libera, molto grande e di maggior tormento rispetto alle altre; i principi delle tenebre non avevano potuto precipitarvi nessuno, benché la loro efferatezza avesse cercato di farlo fin da Caino. Ognuno di essi, ignorando il segreto, si meravigliava di questa impossibilità fino a quando arrivò l'anima di Giuda che con facilità fu fatta sprofondare in quella fossa, mai occupata da alcun dannato. Il motivo di tale difficoltà consisteva nel fatto che dalla creazione del mondo quella caverna era stata assegnata a coloro che, pur avendo ricevuto il battesimo, si sarebbero perduti per non aver saputo usufruire dei sacramenti, dell'insegnamento, della passione e morte di sua Maestà, e dell'intercessione della sua santissima Madre. E siccome egli fu il primo ad essere partecipe di tali benefici a vantaggio della sua salvezza che orribilmente li disprezzò, fu anche il primo a provare quel luogo e tutte quelle punizioni predisposte per lui e per chi lo avrebbe emulato e seguito.

1250. A me è stato ordinato di esporre dettagliatamente questo mistero per ammonire ed istruire tutti i cristiani e specialmente i sacerdoti, i prelati e i religiosi, i quali per il loro servizio toccano più frequentemente e familiarmente il santissimo corpo e sangue del Signore. Per non essere ripresa, vorrei trovare i termini e le ragioni con cui dare ad esso rilevanza e devozione, cercando di compensare l'insensibile durezza umana, affinché tutti possano trarne profitto e temere il castigo che sovrasta i cattivi credenti, secondo lo stato di ciascuno. I diavoli torturarono il traditore con inesplicabile crudeltà, perché non aveva rinunciato a vendere il proprio Maestro, per il cui martirio essi sarebbero rimasti vinti e spodestati dalla terra. Il nuovo sdegno, che per tale motivo essi concepirono contro Gesù e Maria, viene messo in atto contro tutti quelli che imitano quel perfido e cooperano con lui nel disprezzare la dottrina evangelica, i sacramenti della legge di grazia e il frutto del riscatto. A buon diritto allora Lucifero e i suoi riversano la propria vendetta su quei battezzati che non vogliono seguire Cristo, loro capo, e volontariamente si separano dalla Chiesa dandosi in potere ad essi, che con implacabile superbia la aborriscono e la maledicono e come strumenti della divina giustizia castigano le ingratitudini dei redenti verso il loro Redentore. Considerino attentamente i fedeli questa verità! Se la tenessero presente sentirebbero palpitare i loro cuori e otterrebbero l'aiuto necessario per allontanarsi da un pericolo così deplorevole.

1251. Durante il tempo della passione il drago, con tutta la sua malvagia schiera, rimase sempre attento e in agguato per finire di accertarsi se il Nazareno fosse il Messia e il salvatore del mondo. Difatti alcune volte era persuaso dai miracoli, altre volte invece veniva dissuaso dalle azioni e dagli affanni della debolezza umana che egli assunse per noi, ma moltiplicò maggiormente i suoi sospetti nell'orto degli Ulivi, dove sperimentò l'autorità di quella parola pronunciata dall'Unigenito: «Sono io!», da cui fu rovesciato e fatto cadere a terra con i suoi ministri. Era trascorso poco tempo da quando, accompagnato dalle sue legioni, era uscito dall'inferno, dove era stato scaraventato durante l'ultima cena. E benché in quella occasione fosse stato precipitato dal cenacolo solamente dalla Vergine - come ho affermato precedentemente - egli si soffermò a riflettere, reputando che quella potenza messa in atto dal Figlio e dalla Madre fosse del tutto nuova, mai sperimentata prima contro di loro. Quando gli fu permesso di rialzarsi, parlò agli altri dicendo: «Non è possibile che una simile forza sia di un semplice uomo, senza dubbio questi è insieme Dio e uomo. Se egli muore come noi disponiamo, è certo che per questa via opererà la redenzione, adempirà il volere dell'Altissimo, e resterà distrutto il nostro impero e delusa ogni nostra speranza di vittoria. Ci siamo malamente consigliati nel procurargli la morte. Ma se non possiamo impedire che perisca, vediamo di provare fino a dove arrivi la sua pazienza, istigando i suoi mortali nemici a tormentarlo con empia crudeltà. Aizziamoli contro di lui, suscitiamo in loro sentimenti di disprezzo, persuadiamoli a compiere sulla sua persona oltraggi e ignominie; spingiamoli ad usare il loro sdegno per affliggerlo, e stiamo attenti agli effetti che tutte queste cose produrranno in lui». I demoni quanto proposero tanto intentarono. Non riuscirono però ad ottenere tutto quello che avevano tramato, come sarà manifestato nel corso della passione, e ciò per gli imperscrutabili arcani che riferirò e che in parte ho già esposto. Essi provocarono quei criminali perché decidessero di angustiare sua Maestà con atrocissime sevizie, che tuttavia non vennero concretizzate, perché egli non ne permise altre all'infuori di quelle che rientravano nel suo volere e nella necessità di patire, lasciando che fosse espresso in queste tutto il loro furore.

1252. Ad impedire l'insolente malizia del serpente intervenne nuovamente la Signora, a cui erano manifesti tutti i suoi sforzi. Alcune volte con l'autorità di sovrana gli ostacolava molti intenti, affinché non li consigliasse agli esecutori della passione; altre volte, riguardo a quelli che egli proponeva, chiedeva all'Eterno che non permettesse che fossero eseguiti, e per mezzo dei suoi angeli concorreva a distogliere e a far svanire quei malefici progetti; altre ancora, per quelli che rientravano nella volontà di patire del suo Unigenito - come ella penetrava nella sua infinita sapienza - interrompeva la sua intercessione: in tutto veniva così eseguito il beneplacito divino. Similmente, venne a conoscenza di quanto accadde nell'infelice morte e nei tormenti di Giuda, del luogo che gli fu assegnato negli inferi e della sede di fuoco che avrebbe occupato per tutta l'eternità, come maestro d'ipocrisia e precursore di chi avrebbe rinnegato il Signore con la mente e con le azioni. Questi sono coloro - come dice Geremia - che abbandonano la fonte di acqua viva per essere scritti nella polvere ed allontanati dal cielo dove stanno scritti i nomi dei predestinati. La Regina di misericordia conobbe tutto, pianse amaramente e pregò per la salvezza degli uomini, supplicando che fossero rimossi da una cecità, da un precipizio e da una rovina così grandi; però si conformò sempre agli insondabili e giusti giudizi della Provvidenza.

Insegnamento della Regina del cielo

1253. Carissima, sei rimasta meravigliata, e non senza ragione, di ciò che hai inteso e narrato dell'infelice sorte di Giuda e della caduta dei suoi compagni. Essi vennero a mancare pur essendo discepoli di Gesù, nutriti con il latte della sua dottrina, della sua vita, dei suoi miracoli, ed aiutati dalla sua dolce e mite parola, dalla mia intercessione, dai miei consigli e da altri benefici ottenuti per mezzo di me. In verità ti dico che se tutti i fedeli avessero l'accortezza di imitare l'esempio lasciato da Cristo ritroverebbero un salutare consiglio ed una pratica istruzione per coltivare il timore di Dio durante il loro pericoloso pellegrinaggio. Essi ricevono tanti privilegi, ma tutto questo può non essere tenuto presente come vivo esempio di santità, alla stessa maniera degli apostoli. E difatti io li ammonii in vari modi e pregai affinché fossero elargiti loro gli ausili necessari; inoltre con la mia dolce e innocente conversazione comunicai loro la carità che dall'Altissimo e dal Salvatore rifluiva in me, ma essi, pur trovandosi dinanzi al loro Maestro, dimenticarono tanti favori e il dovere di corrispondervi. E allora chi sarà così presuntuoso nell'esistenza terrena da non paventare il pericolo della rovina, per quanti doni abbia avuto? I Dodici erano uomini prescelti e ugualmente uno arrivò a cadere come il più infelice tra tutti, e gli altri giunsero a venir meno nella fede, che è il fondamento di ogni virtù; questo fu conforme all'equità ed agli imperscrutabili disegni dell'Onnipotente. Dunque, come mai non hanno paura coloro che non sono apostoli né hanno operato come questi alla scuola di mio Figlio, e non meritano la mia intercessione?

1254. Della perdizione del traditore e del suo giustissimo castigo esponi quanto basta perché si comprenda a quale stato possano arrivare e condurre i vizi, e dove la volontà perversa possa trasportare una persona che si dia in preda ad essi e a satana, disdegnando le chiamate e gli aiuti della grazia. Su ciò che hai scritto ti invito ad osservare che non solo le pene che patisce costui, ma anche quelle di molti cristiani - che si dannano con lui e scendono al medesimo luogo, che fu loro destinato sin dagli inizi del mondo - superano i tormenti di molti demoni. Difatti, sua Maestà non morì per gli angeli malvagi, ma per gli uomini, né ai primi spettarono il frutto e gli effetti del riscatto che ai secondi sono dati nei sacramenti. Perciò disprezzare tale incomparabile beneficio non è tanto colpa di Lucifero, quanto dei credenti ai quali riguardo a questo è dovuta una punizione del tutto nuova e diversa. L'inganno in cui caddero il principe delle tenebre e i suoi ministri non riconoscendo Gesù, come vero Dio e redentore sino alla sua morte attanaglia sempre il loro intimo, e ciò fa scaturire in essi altro sdegno verso coloro che sono stati salvati e soprattutto verso coloro per i quali è stato versato in modo particolare il sangue dell'Agnello. Si affaticano allora con veemenza per far sì che ci si dimentichi dell'opera della redenzione, rendendola infruttuosa. Nell'inferno poi si mostrano più adirati e furibondi contro i cattivi cristiani, e senza alcuna pietà infliggerebbero a questi maggiori tribolazioni se la giustizia del Signore non disponesse con equità che le pene siano proporzionate alle colpe, non lasciando ciò all'arbitrio dei diavoli, ma attenuandolo con la sua potenza e la sua infinita sapienza, poiché tanto si estende la sua bontà.

1255. Desidero inoltre che riguardo alla caduta degli apostoli consideri il pericolo della fragilità umana, poiché anche questa dinanzi alle elargizioni celesti facilmente si assuefa ad essere villana, torpida ed ingrata, come successe loro quando fuggirono dal Maestro e nella loro incredulità lo abbandonarono. Tale debolezza negli uomini trova la sua origine nell'essere tanto sensibili ed inclini a tutto ciò che è terreno e sottomesso ai sensi, nel rimanere ben radicati a queste depravate tendenze per il peccato e nell'abituarsi a vivere e ad agire secondo la carne, piuttosto che secondo lo spirito. Ne consegue che trattano ed amano sensibilmente anche gli stessi doni dell'Altissimo e, quando questi vengono a mancare, subito si rivolgono ad altri oggetti sensibili, si affannano per essi e trascurano la vita spirituale, che praticavano solo in superficie. Per questa inavvertenza e torpidezza caddero gli Undici, benché fossero tanto favoriti dal mio Unigenito e da me. I miracoli, le parole e gli esempi che ricevettero erano sensibili, ma essi, benché perfetti e giusti, erano attaccati unicamente a quello che percepivano; così, appena questo venne a mancar loro si turbarono con la tentazione e vi caddero avendo poco penetrato quanto avevano visto ed udito alla scuola del Messia. Con questo insegnamento potrai orientarti sulla strada della mia sequela come discepola spirituale e non terrena, non assuefacendoti al sensibile, benché si tratti di grazie dell'Eterno e mie. E quando ti verranno concesse non soffermarti sulla materia, ma solleva la tua mente al sublime che si percepisce solo con la luce e la scienza interiore". E se il sensibile può impedire la vita spirituale, che cosa non farà ciò che appartiene alla vita terrena, animale e carnale? Voglio, dunque, da te - e tu stessa lo osservi chiaramente - che dimentichi e cancelli dalle tue facoltà ogni immagine e ogni specie di creatura, affinché ti ritrovi sempre idonea ad imitarmi e ad intendere la mia salutare dottrina.

Augustinus
24-03-05, 23:16
Libro VI, Cap. 15, §§ 1256-1267

CAPITOLO 15

Si narra che il nostro salvatore Gesù venne condotto incatenato al palazzo del sommo sacerdote Anna; ciò che accadde in quell'occasione e ciò che patì la stia santissima Madre.

1256. Degna cosa sarebbe parlare della passione, delle ignominie e dei tormenti di Gesù con parole così vive ed efficaci da penetrare più di una spada a doppio taglio, fino a dividere con intensa sofferenza la parte più intima di noi stessi. Difatti, le pene che gli furono inflitte non furono comuni: non si troverà mai dolore simile al suo dolore ! La sua persona non era come quella degli altri uomini; inoltre egli non patì per sé né per le sue colpe, ma per noi e per i nostri peccati. È opportuno, dunque, che descriviamo i travagli del suo martirio non in modo usuale, ma forte ed incisivo, così da proporli ai nostri sensi. Me infelice, che non posso dar efficacia alle mie espressioni, né trovare quelle che l'anima mia desidera per manifestare questo segreto! Esporrò solo ciò che arriverò a comprendere e mi spiegherò come potrò e mi sarà propinato, benché la scarsezza del mio talento coarti e limiti la grandezza dell'illuminazione, e i termini inadeguati non arrivino a dichiarare il concetto più nascosto del cuore. Supplisca a tale lacuna la vitalità della fede che noi, membri della Chiesa, professiamo. E se i vocaboli sono ordinari, siano. straordinari l'afflizione e il sentimento, sia altissimo il giudizio, veemente la comprensione, profonda la riflessione, cordiale la riconoscenza e fervente l'amore, poiché tutto sarà meno della verità dell'oggetto e meno di quanto noi dovremmo corrispondere come servi, amici e figli adottati per mezzo della morte di Cristo, nostro bene.

1257. Il mansuetissimo Agnello, catturato e legato, fu condotto dall'orto degli Ulivi al palazzo dei sommi sacerdoti, e per primo a quello di Anna. Quel turbolento squadrone di soldati e di ministri camminava preavvisato dai consigli del discepolo traditore che aveva raccomandato a tutti loro di non fidarsi del Maestro, ma di arrestarlo sotto buona scorta, ben stretto con corde, perché come uno stregone sarebbe potuto sfuggire dalle loro mani. Questi esecutori di malvagità erano anche irritati e provocati occultamente da Lucifero e dai principi del suo regno di tenebre, affinché trattassero il Signore empiamente, senza umanità né dignità. E, come strumenti obbedienti alla volontà del dragone, non lasciarono cadere niente di quanto venne permesso di eseguire contro di lui. Lo legarono con una catena di grossi anelli di ferro, in maniera tale che dopo avergli circondato i fianchi e il collo venivano a sopravanzare i due estremi. A questi attaccarono delle manette con le quali bloccarono quelle divine mani che avevano creato l'intero universo: strette in questo modo gliele posero non al petto, ma al dorso. Avevano preso la catena dalla casa di Anna, dove serviva per alzare la porta di un carcere, fatta a saliscendi; con l'intento di catturare il Salvatore l'avevano tolta di là e accomodata con le manette mediante dei lucchetti. Tuttavia, dopo che lo ebbero serrato in questa morsa inaudita, non rimasero né soddisfatti né sicuri, poiché subito lo avvolsero con due corde molto lunghe: una gliela gettarono al collo e incrociandogliela sul petto gliela girarono intorno al corpo, stringendolo con forti nodi e lasciando pendenti le estremità, affinché due di loro lo trascinassero; con la seconda, invece, gli legarono le braccia e le mani dietro alla schiena lasciandone ugualmente pendere due lunghi capi, dai quali altri due di loro potessero trascinarlo.

1258. L'Onnipotente e il Santo così ridotto si lasciò catturare e sottomettere, come se fosse stato il più facinoroso ed il più svigorito dei nati, avendo preso su di sé l'iniquità di tutti noi e, per operare il bene, la debolezza e l'impotenza con cui siamo incorsi nel peccato. I soldati lo legarono nel Getsèmani, tormentandolo anche con insulti: come velenosi serpenti con bestemmie, ingiurie ed inauditi obbrobri sputarono il sacrilego veleno, che avevano dentro, contro colui che è adorato e magnificato da ogni essere vivente in cielo e sulla terra. Partirono allora tutti quanti dal monte degli Ulivi con clamori e gran tumulto, conducendo in mezzo a loro il Redentore, tirandolo alcuni per le corde dinanzi ed altri per quelle che portava al dorso, attaccate ai polsi. E con questa inconcepibile brutalità a volte lo facevano camminare in fretta, precipitosamente, altre lo tiravano indietro e trattenevano, altre ancora lo strattonavano da un lato e dall'altro, dove la forza diabolica li spingeva. Questi ministri di empietà spesso lo buttavano anche al suolo dove egli, avendo le mani incatenate, sbatteva con il suo venerabile volto, rimanendo malconcio, pieno di polvere e riportando molte ferite. Quando cadeva gli si gettavano addosso, dandogli calci, calpestandolo, passando sopra la sua regale persona e calcandogli la faccia. Ed elevando vituperi con urla e scherni, lo saziavano di umiliazioni, come deplorò Geremia.

1259. Satana, in mezzo al furore violento che aveva acceso in costoro, stava molto attento alle opere di sua Maestà, pretendendo di irritarne la pazienza al fine di comprendere se fosse veramente un semplice uomo. E difatti questo dubbio angustiava la sua acerrima superbia più di tutte le sue grandi pene. Ma quando riconobbe la mansuetudine, la tolleranza e la dolcezza che egli mostrava fra tanti oltraggi e affronti, e quando vide che li riceveva con volto sereno e austero senza turbamento né alterazione, si infuriò ancor di più. E come impazzito ed imbestialito, tentò di prendere le corde per tirarlo assieme ai suoi demoni con maggiore violenza di quella che mettevano in atto gli stessi manigoldi, al fine di provocare con più crudeltà la sua mitezza. Questo intento, però, fu impedito da Maria santissima, la quale dal luogo dove stava ritirata osservava scrupolosamente, con la chiara visione che aveva, tutto quello che si andava eseguendo contro suo Figlio. Di fronte all'ardimento di Lucifero, usò il potere di regina e gli comandò di non accostarsi ad offenderlo come aveva determinato. Nel contempo, le forze di questo nemico vennero meno ed egli non poté realizzare il suo desiderio, perché non era conveniente che la sua malvagità si frapponesse in quella maniera nella passione di Gesù. Tuttavia, gli fu permesso per disposizione divina di provocare i suoi contro di lui e di incitare i giudei, poiché erano fautori della sua morte e detentori delle sue sorti. Così fece e, rivoltosi ai principi delle tenebre, disse: «Chi è mai costui che, venuto al mondo, con la sua pazienza e le sue opere ci tormenta e distrugge in tal modo? Nessuno, da Adamo fino ad oggi, ha conservato tale imperturbabilità in mezzo ad una sofferenza così atroce, e non si sono mai viste tra i mortali un'umiltà e una mansuetudine simili. Dunque, come potremo starcene quieti con un esempio tanto raro e potente da attirare tutti dietro di sé? Se questi è il Messia, senza dubbio aprirà il cielo e chiuderà la strada per la quale conduciamo i mortali alla perdizione, e noi resteremo vinti e delusi nei nostri propositi. E quand'anche non fosse che un uomo, io non posso accettare che venga lasciato un modello tale di pazienza. Venite, dunque, esecutori della mia perfidia, e perseguitiamolo per mezzo dei suoi nemici che, obbedienti alla mia autorità, hanno indirizzato contro di lui la furiosa invidia che ho loro comunicato».

1260. L'Autore della nostra salvezza si assoggettò allo spietato sdegno che il drago risvegliò e fomentò in quello squadrone di giudei, nascondendo il potere con il quale li avrebbe potuti reprimere o annichilire, e tutto ciò affinché la nostra redenzione fosse più copiosa. I soldati, maltrattandolo, lo condussero legato al palazzo di Anna, alla cui presenza lo posero come malfattore, degno di condanna a morte. Era usanza presentare così incatenati i delinquenti che meritavano il castigo capitale, e proprio quei legacci ne erano una testimonianza. In tal modo lo tiravano come se gli intimassero la sentenza prima che la pronunziasse il giudice. Il sacrilego sacerdote, pieno di superbia e di arroganza, uscì in una sala e si sedette sulla sedia o tribunale che vi si trovava. Subito un'immensa moltitudine di demoni lo circondò, mentre satana gli si pose accanto. I ministri e i soldati gli mostrarono Gesù incatenato, dichiarando: «Ecco, signore, conduciamo qui quest'uomo cattivo, che con i suoi incantesimi e con le sue malvagità ha turbato tutta Gerusalemme e l'intera Giudea; ma questa volta non gli ha giovato l'arte magica per sfuggire dalle nostre mani».

1261. Il Signore era assistito da innumerevoli angeli che lo riconoscevano e adoravano, i quali erano meravigliati degli imperscrutabili giudizi della sua sapienza, poiché egli consentiva di essere presentato come peccatore, mentre l'iniquo sacerdote si mostrava giusto e zelante dell'onore che empiamente pretendeva di strappargli insieme alla vita. Intanto 1'amantissimo Agnello taceva senza aprire bocca, come aveva predetto il profeta Isaia, ed allora Anna con tono imperioso lo interrogò riguardo ai suoi discepoli e a quello che egli predicava, al fine di calunniare la risposta, se avesse contenuto qualche parola che desse motivo di accusa; ma il Maestro della santità, che regge ed emenda i più saggi, offrì all'Eterno l'umiliazione di essere portato come reo dinanzi al sommo sacerdote, e di venire interrogato da lui come delinquente ed autore di una falsa dottrina. Alla domanda sul suo insegnamento, egli replicò con volto umile e lieto: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito citi che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Difese così il suo ammaestramento e la sua credibilità, rimettendosi ai suoi ascoltatori. D'altra parte la verità e la virtù si accreditano e si garantiscono da se stesse, anche tra i peggiori nemici.

1262. Riguardo ai suoi seguaci non disse nulla, sia perché non era opportuno, sia perché questi non si trovavano allora nella disposizione d'animo da poter essere da lui lodati. Quantunque la risposta che aveva dato fosse stata così sapiente e consona alla domanda, una delle guardie si mosse con inconcepibile audacia e, alzando la mano, colpì il suo sacro e venerabile volto e nel percuoterlo lo riprese: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Sua Maestà ricevette questa ingiuria e pregò il Padre per colui che lo aveva offeso, stando pronto a voltarsi per offrire l'altra guancia e prendere, se fosse stato necessario, un altro schiaffo, adempiendo così ciò che egli stesso aveva insegnato; ma, affinché quell'insolente non restasse soddisfatto ed imperturbato per quell'atto di inaudita malvagità, ripeté con grande serenità e mansuetudine: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Oh, spettacolo di nuova meraviglia per gli spiriti sovrani! Oh, come a saperlo non dovrebbe tremare il cielo e spaventarsi tutto il firmamento? Costui è colui di cui disse Giobbe: non solo è saggio di mente, ma tanto potente e forte che nessuno resistendogli può con ciò aver pace; sposta i monti con il suo furore, prima che essi possano accorgersene; scuote la terra dal suo posto e sbatte le sue colonne le une contro le altre; comanda al sole che non sorga e pone alle stelle il suo sigillo; egli è colui che fa cose grandi ed incomprensibili; è colui alla cui ira nessuno può far fronte e dinanzi al quale si piegano quelli che sostengono il mondo. Questi è colui che per amore dei medesimi uomini tollera di essere percosso da un ministro scellerato con uno schiaffo sul volto!

1263. Il sacrilego servo per l'umile ed efficace risposta di Gesù restò come disorientato nella sua malvagità. Tuttavia né questa confusione né quella in cui poté entrare il sommo sacerdote, a motivo di tale insolenza commessasi alla sua presenza, mosse lui e i giudei a moderarsi, in qualche modo, contro l'Autore della vita. Mentre continuavano a ricoprirlo di vituperi, giunse alla casa di Anna san Pietro insieme a san Giovanni che, essendo conosciuto, si introdusse facilmente nel palazzo. L'altro, invece, rimase fuori, fino a quando la portinaia, una serva del sommo sacerdote, alla richiesta di Giovanni, non lo lasciò entrare perché vedesse quello che stava succedendo al Redentore. I due si trovarono davanti alla sala del sommo sacerdote e, poiché in quella notte faceva freddo, Pietro si accostò al fuoco preparato dai soldati. La serva lo guardò allora con attenzione e, riconoscendolo come uno dei seguaci di Cristo, si avvicinò dicendogli: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». La domanda gli fu rivolta con una specie di disprezzo e di rimprovero, tanto che egli con debolezza e viltà si vergognò. Quindi si appartò dalla conversazione ed uscì fuori, anche se immediatamente dopo, seguendo il Maestro, si sarebbe diretto verso l'abitazione di Caifa, dove per altre due volte avrebbe negato di conoscerlo.

1264. Per il nostro Salvatore fu più grande questa sofferenza che quella dello schiaffo, essendo la colpa odiosa e nemica della sua immensa carità e le pene amabili e dolci, perché con esse avrebbe vinto i nostri peccati. Al primo rinnegamento pregò l'Eterno per il suo futuro vicario e dispose che, per mezzo dell'intercessione di Maria santissima, gli venisse elargita la grazia dopo le tre negazioni. Intanto ella dal suo oratorio osservava tutto ciò che avveniva e, serbando in se stessa il propiziatorio e il-sacrificio, cioè il suo stesso Unigenito sacramentato, si rivolgeva a lui per le sue richieste e i suoi affetti amorosi: esercitava così eroici atti di compassione, culto e adorazione. Allorché fu messa al corrente del rinnegamento di san Pietro pianse amaramente e non smise sino a quando non ebbe l'illuminazione che l'Altissimo non gli avrebbe ricusato gli aiuti e lo avrebbe rialzato dalla caduta. La purissima Principessa sentì nel suo corpo verginale tutte le percosse e i tormenti del suo diletto, nelle stesse parti in cui egli veniva maltrattato. Non appena sua Maestà venne stretto con le corde e le catene, ella avvertì nei polsi un dolore tanto atroce che le fuoriuscì il sangue dalle mani, come se queste fossero state realmente legate, e lo stesso accadde in tutti gli altri patimenti. Siccome a tale angoscia si univa quella del cuore, nel vedere soffrire il Verbo incarnato ella giunse a versare lacrime di sangue: il braccio dell'onnipotente era l'artefice di questa meraviglia! Sentì anche il colpo dello schiaffo come se nel contempo quella mano sacrilega avesse percosso insieme il Figlio e la Madre. Dinanzi a questo atto oltraggioso e in mezzo a tutte queste bestemmie ed irriverenze, invitò gli spiriti celesti a magnificare e ad adorare con lei il Creatore, come ricompensa degli obbrobri che egli subiva dai peccatori. E con prudentissime parole - ma molto lamentevoli e dolorose - discuteva con essi della causa della sua amara compassione e del suo pianto.

Insegnamento della Regina del cielo

1265. Carissima, a cose grandi ti chiama e t'invita la divina luce che vai ricevendo circa i misteri del Signore e miei su ciò che patimmo per il genere umano e che continuiamo a patire per il cattivo contraccambio che esso ci rende, come irriconoscente ed ingrato verso tanti benefici. Tu vivi nella carne peritura e sei soggetta a queste ignoranze e miserie, ma con la forza di quanto comprendi si generano e si risvegliano in te innumerevoli atti di ammirazione e di afflizione sia per la dimenticanza e la poca partecipazione ed attenzione dei mortali ad arcani così eccelsi, sia per i beni che essi perdono a causa della loro accidia e della loro tiepidezza. Dunque, quale sarà la sentenza che esprimeranno su tutto ciò gli angeli e i santi? Quale sarà quella che presenterò io al cospetto del sommo sovrano, nel vedere il mondo e ancor più i fedeli in una condizione così pericolosa di spaventosa spensieratezza, dopo che il mio Unigenito è morto per loro, dopo che hanno ottenuto me come madre e avvocata e hanno avuto come esempio la sua purissima vita e la mia? In verità ti dico: solo la mia intercessione e i meriti che porto dinanzi all'Altissimo, del Figlio mio e suo, possono sospendere il castigo e placare il suo giusto sdegno, perché non distrugga la terra e non flagelli duramente i membri della comunità ecclesiale che, pur conoscendo la sua volontà, non l'adempiono. Io però sono molto disgustata nel trovare così poche persone che piangono con me e consolano il Redentore nelle sue pene. Questa durezza per i cattivi cristiani nel giorno del giudizio sarà la punizione di maggior turbamento, perché si accorgeranno allora con dolore irreparabile che non solo furono ingrati, ma disumani e crudeli verso di lui, verso di me e verso se stessi.

1266. Considera dunque il tuo dovere: innalzati sopra ogni cosa terrena e sopra te medesima, perché io ti ho chiamata ed eletta affinché ricalchi le mie orme e mi accompagni in quello in cui mi lasciano sola le creature che il Maestro ed io abbiamo tanto beneficato e obbligato. Pondera diligentemente quanto costò al mio Unigenito riconciliare gli uomini con il suo eterno Padre e guadagnar loro la sua amicizia. Piangi ed affliggiti perché molti vivono in questa dimenticanza, e molti altri si affaticano con tutti i loro sforzi per distruggere e perdere ciò che costò il sangue e la crocifissione dello stesso Dio, e ciò che io dalla mia concezione ho procurato e di continuo procuro a vantaggio della loro salvezza. Risveglia nel tuo cuore un'amara contrizione nel constatare che nella santa Chiesa hanno numerosi successori i sommi sacerdoti sacrileghi ed ipocriti, che con falsa apparenza di pietà condannarono Gesù. Ed è così che rimangono ben radicate la superbia, il fasto ed altre gravi colpe che vengono intronizzate e rese lecite, mentre l'umiltà, la verità, la giustizia e le virtù restano oppresse e tanto soffocate da far prevalere solo la cupidigia e la vanità. Pochi sono coloro che conoscono la povertà di Cristo e ancor meno sono coloro che l'abbracciano. La fede è come ostruita e non si dilata per la smisurata ambizione dei potenti; in molti cattolici resta spenta e così tutto ciò che deve avere vita rimane morto e si dispone per la perdizione. I consigli del Vangelo cadono nell'oblio, i precetti sono violati, la carità è quasi estinta. Mio Figlio offrì le sue guance alle percosse con mansuetudine, ma chi perdona un'ingiuria per comportarsi come lui? Anzi, il mondo ha emanato una legge per il contrario e non solo gli infedeli l'hanno seguita, ma anche gli stessi credenti.

1267. Poiché conosci questi peccati, desidero che tu, in riparazione di essi, imiti quello che io feci nella passione e in tutto il mio pellegrinaggio: la pratica delle virtù contro i vizi. Per compensare il nostro Salvatore per le bestemmie lo benedicevo, per le imprecazioni lo lodavo, per le infedeltà lo confessavo, e così operavo per tutte le altre offese. Sull'esempio di Pietro, cerca di schivare i pericoli che corrono i discendenti di Adamo, giacché tu non sei più forte dell'Apostolo, e, se qualche volta ti capita per debolezza di cadere, piangi subito con lui e chiedi la mia intercessione. Ripara le tue mancanze e i tuoi errori ordinari con la pazienza nelle avversità; accoglile con volto sereno, senza alcun turbamento, qualsiasi esse siano: infermità, molestie delle creature o anche quelle che avverte lo spirito per la contraddizione delle passioni e per la lotta contro i nemici invisibili e spirituali. Ben puoi patire per tutto questo, e lo devi, tollerandolo con fede, speranza e magnanimità di cuore e di mente, poiché ti avverto che non vi è esercizio più vantaggioso e utile all'anima quanto il soffrire: esso dà luce, disinganna, distoglie dalle cose terrene e conduce al Signore. Ricordati che sua Maestà viene sempre incontro al debole, liberandolo e proteggendolo, perché egli sta dalla parte del tribolato.

Augustinus
24-03-05, 23:20
Libro VI, Cap. 16, §§ 1268-1282

CAPITOLO 16

Si narra come Cristo nostro salvatore fu condotto alla casa del sommo sacerdote Caifa, dove venne accusato ed interrogato; il rinnegamento di Pietro per altre due volte; ciò che Maria santissima fece in questa occasione ed altri arcani misteri.

1268. Dopo che il nostro Salvatore ebbe ricevuto gli affronti e lo schiaffo, Anna lo mandò così com'era, legato ed incatenato, a Caifa, suo genero. Questi, esercitando in quell'anno l'ufficio di sommo sacerdote, aveva già riunito gli scribi e gli anziani del popolo per istruire il processo dell'innocentissimo Agnello. Frattanto i diavoli, vedendo l'invincibile pazienza e la mitezza che il Signore degli eserciti mostrava di fronte alle ingiurie subite, stavano come attoniti, invasi da una confusione e da un furore indicibili. Non riuscivano a penetrare i suoi sentimenti e le sue idee, e nelle azioni esterne, di cui si servivano per sondare il cuore delle altre persone, non ritrovavano alcun movimento disordinato. Egli, d'altra parte, non si lamentava né sospirava né concedeva alcun piccolo sollievo alla sua umanità, e perciò il dragone, di fronte a tanta grandezza d'animo, si meravigliava e si affliggeva come dinanzi a cosa inaudita, mai vista tra i mortali di natura passibile e fragile. Furibondo, allora, irritava i principi, gli scribi e i ministri affinché lo offendessero e maltrattassero ricoprendolo di abominevoli obbrobri: tutti - se la divina volontà lo permetteva - erano pronti ad eseguire quanto veniva loro suggerito.

1269. Quell'orda di spiriti infernali e di gente spietata partì dalla casa di Anna e, trattando Gesù ignominiosamente, con inesplicabile crudeltà, lo trascinò lungo le strade fino al palazzo di Caifa. Questa schiera violenta entrò con scandaloso tumulto e il Creatore dell'universo fu accolto dall'intero sinedrio tra forti risate e beffe, perché tutti lo vedevano soggetto ed arreso al loro potere e alla loro giurisdizione, dalla quale erano convinti che non avrebbe potuto più difendersi. Oh, segreto dell'altissima sapienza del cielo! Oh, stoltezza dell'ignoranza diabolica e del1'accecatissima goffaggine degli uomini! Oh, quale immensa distanza c'è tra voi e le opere dell'Altissimo! Il Re della gloria, potente in battaglia, vince i vizi, la morte e le colpe con le virtù della pazienza, dell'umiltà e della carità, e il mondo crede di averlo sottomesso con la superbia e la sua arrogante presunzione. Quale distacco intercorreva tra i pensieri di Cristo e quelli che tenevano in possesso tali esecutori di malvagità! L'Autore della vita offriva all'Onnipotente quel trionfo, che la sua mansuetudine e la sua umiltà acquistavano sul peccato, e pregava per i sacerdoti, gli scribi e tutti coloro che lo perseguitavano manifestando la sua pazienza, i suoi dolori e l'ignoranza degli accusatori. Maria santissima in quello stesso momento elevava una medesima supplica, intercedendo per i nemici suoi e del suo Unigenito; inoltre, lo accompagnava e lo imitava in quello che egli andava compiendo perché, come ho già detto molte volte, tutto le era noto. Tra il Figlio e la Madre vi era una dolcissima e mirabile corrispondenza, sommamente gradevole agli occhi dell'Eterno.

1270. Caifa, assistito da Lucifero con i suoi demoni, stava sulla cattedra acceso da una mortale gelosia e da una violenza rabbiosa contro il Maestro. Gli scribi e i farisei nei confronti del docile Agnello erano come lupi sanguinolenti davanti alla preda, e tutti insieme si rallegravano come fa l'invidioso quando vede avvilito e smarrito chi era più in alto di lui. Di comune accordo cercarono allora qualcuno che, subornato con donativi e promesse, rendesse qualche finta dichiarazione contro di lui. Giunsero quanti erano prevenuti, ma in quello che attestavano non concordavano fra sé, e quindi ciò che asserivano non poteva applicarsi a colui che per natura era l'innocenza e la santità stessa. Per non correre il rischio di vedersi confusi, i sommi sacerdoti presentarono altri due falsi testimoni, i quali deposero contro sua Maestà, asserendo di averlo udito affermare di essere tanto potente da distruggere il tempio di Dio fatto da mani di uomini, e da edificarne in tre giorni un altro che non fosse fabbricato da loro. Ma nemmeno tale attestazione sembrò conveniente, sebbene per mezzo di questa pretendessero di fornire una colpa nei suoi confronti: quella di usurpare il potere divino e di volersene appropriare. Del resto, quand'anche ciò fosse stato detto così, sarebbe stato ugualmente verità infallibile e non avrebbe potuto ritenersi errato o presuntuoso, poiché Gesù era realmente Dio. Tuttavia la deposizione era mendace perché egli non aveva pronunciato quelle parole come le riferivano i testimoni, che avevano ingiustamente inteso che egli parlasse di un tempio materiale. E difatti, quando i compratori e i venditori, scacciati fuori da esso, domandarono al Messia con quale autorità facesse ciò, la sua risposta fu: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», riferendosi al tempio della sua santissima umanità che, disfatto da loro, egli avrebbe risuscitato al terzo giorno, come in effetti avvenne.

1271. Il nostro Redentore a tutte le calunnie che venivano scagliate contro di lui non ribatté. Caifa, vedendo allora il suo silenzio e la sua mitezza, si alzò dalla sedia e gli chiese: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Egli tuttavia non aprì bocca, perché tutti i membri del sinedrio non solo erano predisposti a non dargli credito, ma avevano anche il doppio intento che egli pronunciasse qualche espressione di cui servirsi per poterlo denigrare. Con questo volevano persuadere il popolo che quanto essi macchinavano contro costui era retto, e così la gente non sarebbe venuta a sapere che lo condannavano a morte senza una giusta causa. Il malvagio sacerdote, dinanzi all'umile tacere del Signore, invece di intenerire il suo cuore si infuriò ancor di più, vedendo resa vana la sua malizia. Frattanto satana stava molto attento alle opere del Salvatore, nonostante la sua intenzione fosse differente da quella del sommo sacerdote; infatti, egli pretendeva solo di irritare la sua pazienza oppure di obbligarlo a proferire qualche parola che gli permettesse di capire se fosse veramente Dio.

1272. Con questo proposito il dragone accese l'immaginazione di Caifa, affinché con grande collera ed autorità rivolgesse al Nazareno l'interrogativo: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Questa domanda fu azzardata e piena di temerarietà e d'insipienza poiché trattenere il Maestro legato come reo, nel dubbio se fosse o non fosse vero Dio, era un delitto e una terribile sfrontatezza: l'indagine si sarebbe dovuta svolgere diversamente, secondo ragione ed equità. Ma egli, sentendosi invocare per il Dio vivo, adorò e venerò quel santissimo nome, benché pronunziato da lingua sacrilega. E in virtù di questa riverenza replicò: «Tu l'hai detto, anzi io vi dico che d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra del Padre, e venire sulle nubi del cielo». A questa divina dichiarazione i demoni e gli uomini si turbarono con effetti diversi. Lucifero e i suoi sentirono nell'intimo una forza superiore che li precipitò in un baratro, facendo sperimentar loro un atroce tormento, e non avrebbero ardito ritornare alla presenza di sua Maestà se l'altissima provvidenza non avesse nuovamente consentito loro di ricominciare a dubitare se egli avesse detto il vero, oppure avesse ribattuto in tal modo per liberarsi dai giudei. Con tale sospetto i principi delle tenebre fecero un ulteriore sforzo, uscendo un'altra volta in campo aperto: si riservava così per la croce, secondo la profezia di Abacuc, l'ultimo trionfo che su di essi e sulla morte avrebbe dovuto riportare il nostro Redentore, come in seguito vedremo.

1273. Il sommo sacerdote, invece di essere disingannato dalla risposta ricevuta, ne fu sdegnato; si alzò un'altra volta e, stracciandosi le vesti a prova dello zelo per l'Onnipotente, gridò: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Questa pazza ed abominevole avventatezza suonò veramente come una bestemmia, perché negò a Gesù la filiazione di Dio che per natura gli si addiceva e gli attribuì la colpa che per natura ripugnava. Tale fu la sua stoltezza da renderlo esecrabile e blasfemo quando affermò che bestemmiava colui che era la santità stessa! Egli, che poco prima, per ispirazione dello Spirito Santo, in virtù della sua dignità aveva preannunciato che conveniva che morisse uno solo affinché non perisse tutta la gente, non meritò per i suoi peccati di comprendere la stessa verità che proclamava; ma, essendo gli esempi e i giudizi dei governanti e dei superiori tanto influenti da muovere il popolo incline a lusingarli e ad adularli, quel malvagio sinedrio fu istigato ad irritarsi contro di lui. Tutti quanti ribatterono: «È reo di morte!», e contemporaneamente, aizzati dal demonio, scagliarono contro il mansuetissimo Agnello il loro diabolico furore: alcuni lo schiaffeggiavano, altri gli strappavano i capelli; alcuni gli sputavano sul venerabile viso, altri gli davano colpi sul collo. Ciò era una specie di vergognoso oltraggio, con il quale i giudei trattavano coloro che reputavano vilissime persone.

1274. Mai tra i mortali si inventarono ignominie più crudeli e disonorevoli di quelle che in quest'occasione furono commesse contro il Salvatore. San Luca e san Marco nei rispettivi Vangeli riportano che i soldati gli bendarono gli occhi e lo percossero con schiaffi e pugni, dicendogli: «Profetizza adesso, indovina: chi ti ha colpito?». Il motivo per cui gli coprirono il volto fu misterioso: dal giubilo con il quale egli pativa quegli obbrobri e quei vituperi ridondarono su di esso un fulgore ed una bellezza così straordinaria che riempirono di meraviglia e di angosciosa confusione tutti quegli esecutori di empietà. Essi invece, per dissimularla, attribuirono quello splendore a stregoneria e ad arte magica; come indegni di guardarla decisero nuovamente di ricoprire la faccia del Signore con un panno immondo, perché quella divina luce li tormentava e, inoltre, veniva a debilitare le forze con cui mettere in atto la loro collera. Tutti questi spregi ed abominevoli insulti, che egli subiva, erano visti e sofferti dalla sua santissima Madre nelle medesime parti e nello stesso momento. Vi era solo questa differenza: in lui i dolori erano causati dalle torture che gli erano inflitte; in lei erano provocati dalla mano dell'Altissimo, per volontà della stessa Regina. E naturalmente, se per l'intensità delle pene e delle angustie interiori ella veniva meno, era però subito sorretta e confortata dalla grazia divina per continuare a patire con il suo amato Figlio.

1275. I sentimenti che l'Unigenito esprimeva durante queste torture del tutto nuove e atroci sono indicibili e incomprensibili per ogni capacità umana. Solo Maria li conobbe pienamente al fine di imitarli con somma perfezione. Intanto il Maestro, sperimentando l'atrocità del dolore, andava sentendo compassione verso quelli che avrebbero dovuto seguire la sua dottrina e, nell'istante in cui con il suo esempio insegnava loro lo stretto cammino della santità, si volse a benedirli maggiormente. Anzi, in mezzo a quegli obbrobri e a quegli strazi, rinnovò ai suoi eletti le beatitudini che in precedenza aveva loro offerto e promesso. Riguardò amorevolmente gli uomini che avrebbero dovuto ricalcare le sue orme nella povertà di spirito dicendo: «Beati sarete nella penuria e nel distacco dalle cose terrene, perché con la mia passione e morte devo guadagnare il regno dei cieli, come pegno sicuro e certo della povertà abbracciata volontariamente. Beati saranno coloro che con mansuetudine soffriranno e tollereranno le avversità e i travagli, perché oltre al diritto di essere partecipi del mio gaudio, che acquisteranno per essere venuti dietro a me, possederanno anche gli animi umani con la dolce conversazione e la soavità delle virtù. Beati quelli che seminano nelle lacrime, perché in esse riceveranno il pane della vita e dell'intelletto, e raccoglieranno poi il frutto della felicità eterna».

1276. «Benedetti saranno anche quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché li soddisferò e sazierò in modo tale da oltrepassare tutti i loro aneliti, così nella grazia come nel premio della gloria. Benedetti quelli che avranno compassione di coloro che li offendono e li perseguitano nella misura in cui lo faccio io, perdonando ed offrendo a chi mi odia la mia amicizia e la mia grazia se la vuole accettare: io prometto ad essi, in nome del Padre mio, una copiosa misericordia. Siano benedetti i puri di cuore, che mi imiteranno crocifiggendo la loro carne per conservare il candore dello spirito: io prometto ad essi di farli giungere alla visione della mia divinità. Benedetti i pacifici che non contrappongono il proprio interesse di fronte ai malvagi, bensì li sopportano con animo semplice e tranquillo senza brama di vendetta: essi saranno chiamati figli miei, perché imitano il loro Padre celeste, ed io li riconosco e li imprimo nella mia mente e nel mio intimo adottandoli come miei. Siano beati ed eredi del mio regno tutti coloro che patiranno persecuzione a causa della giustizia, perché soffriranno con me, e dove sono io desidero che là siano per sempre anche loro. Rallegratevi voi, o poveri! Consolatevi voi, che siete e sarete mesti! Celebrate la vostra fortuna, voi piccoli e disprezzati dal mondo! E voi che patite con umiltà e pazienza, abbiate sempre la gioia interiore, affinché possiate seguirmi per i sentieri della verità. Rinunziate alla vanità; disdegnate il fasto e l'arroganza della fallace e menzognera Babilonia; passate per il fuoco e per le acque della tribolazione fin quando arriverete a me, che sono luce, verità e via all'eterno riposo e refrigerio».

1277. Mentre il nostro Salvatore era tutto preso da questi pensieri e dalle suppliche a favore dei peccatori, il consiglio dei maligni lo circondò e - come aveva predetto Davide - simile a un branco di cani arrabbiati lo investì, coprendolo di scherni, obbrobri, percosse e bestemmie. L'accortissima Vergine, che lo accompagnava in tutto, elevò per i nemici la stessa preghiera di intercessione del suo diletto, e nelle benedizioni che egli estese ai giusti ed ai predestinati si costituì come loro madre, rifugio e protettrice. Infine, a nome di tutti, innalzò cantici di lode e di ringraziamento al Signore perché nella sua accettazione e nel suo compiacimento riservava ai disprezzati e ai poveri un luogo così sublime. Tale motivazione e le altre, che avevano suscitato sentimenti di pietà in Cristo, la spinsero, per il resto della passione e della sua esistenza terrena, ad optare nuovamente e con incomparabile fervore per le ingiurie e le pene.

1278. San Pietro aveva seguito sua Maestà dall'abitazione di Anna a quella di Caifa, da lontano perché trattenuto e scoraggiato dal timore dei giudei. Tuttavia, egli vinceva in parte questo terrore con l'affetto che portava al suo Maestro e con il suo coraggio naturale. Tra la moltitudine di gente che entrava ed usciva dalla casa di Caifa, non gli fu difficile introdurvisi, protetto alquanto dall'oscurità della notte. Alle porte dell'atrio, però, lo vide un'altra serva, la quale, avvicinatasi ai soldati che anche lì stavano a scaldarsi al fuoco, disse: «Costui è uno di coloro che accompagnavano il Nazareno». Poco dopo uno dei circostanti esclamò: «In verità anche tu sei galileo ed uno di loro». Ma egli negò di nuovo e, giurando che non era suo seguace, si allontanò da essi. E benché fosse uscito fuori nel cortile, non se ne andò né poté farlo, perché frenato dall'amore e dalla compassione per i tormenti nei quali lasciava il Redentore, di cui desiderava vedere la fine. Stette allora a vagare e a spiare per circa un'ora dentro il palazzo finché un parente di Malco, lo schiavo del sommo sacerdote a cui aveva tagliato l'orecchio, lo riconobbe e soggiunse: «Tu sei galileo e discepolo di Gesù, io ti ho visto con lui nell'orto». Allora Pietro ebbe ancor più paura e cominciò ad imprecare e a giurare che non conosceva quell'uomo. Subito cantò il gallo per la seconda volta, e si adempì puntualmente la sentenza e la predizione dell'Unigenito: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte».

1279. Il dragone infernale procedette contro l'Apostolo con molta operosità per farlo cadere: dapprima mosse le serve, perché meno considerate, e poi i soldati, affinché le une e gli altri lo affliggessero con il loro interesse verso di lui e con le domande che gli rivolgevano. E allorché si accorse che era in pericolo e che incominciava a vacillare lo turbò con immaginazioni e timori. Per questa veemente tentazione, il primo rinnegamento fu semplice, il secondo con giuramento, e il terzo invece fu espresso da Pietro con l'aggiunta di imprecazioni ed esecrazioni contro se stesso. In questo modo, prestando attenzione alla crudeltà dei nostri avversari, da un peccato minore si passa ad uno più gravoso; ma egli sentendo il canto del gallo si ricordò dell'avviso del Signore, che in quell'istante voltatosi lo guardò con la sua liberale misericordia». Ed affinché lo rimirasse, intervenne la Regina, poiché dal cenacolo, dove si trovava in ritiro, si era mossa a pietà avendo appreso i rinnegamenti, il modo e le cause per le quali il futuro vicario di suo Figlio - angosciato dalla paura e molto più dalla spietatezza di Lucifero - li aveva commessi e, prostrandosi subito a terra, fra le lacrime presentò all'eterno Padre la fragilità di costui e i meriti di Cristo. L'Altissimo ridestò allora il suo animo, lo riprese benignamente e infuse in lui la luce necessaria perché riconoscesse la propria colpa. In quello stesso momento egli uscì dalla casa di Caifa con il cuore spezzato da intimo dolore e, piangendo amaramente per la sua caduta, si rifugiò in una grotta, che adesso chiamano del Gallicanto, dove fortemente scosso si pentì con vivo dispiacere. In tre ore ritornò in grazia ed ottenne il perdono, benché le sante ispirazioni gli fossero sempre state date. In questo tempo la purissima Madre gli inviò uno dei suoi angeli, affinché di nascosto lo consolasse e ravvivasse in lui la speranza; difatti, in mancanza di tale virtù, avrebbe potuto essergli ritardata la clemenza divina. Il messaggero celeste, poiché era trascorso così poco da quando era stata commessa tale mancanza, partì con l'ordine di non manifestarglisi; eseguì allora tutto puntualmente senza essere visto dal gran penitente, che restò confortato e perdonato per l'intercessione di Maria.

Insegnamento della Regina del cielo

1280. Carissima, il misterioso avvicendarsi degli obbrobri e degli affronti che subì sua Maestà è un libro chiuso da aprire e penetrare soltanto con l'illuminazione superna. Ed è così che tu lo hai compreso e che in parte ti è stato manifestato, benché tu stia per scrivere molto meno di quello che hai inteso, non potendo dichiarare tutto. Intanto io voglio che nella misura in cui esso si sfoglia davanti a te e ti si fa chiaro rimanga impresso in te; desidero anche che, nella cognizione di un esempio così vivo e vero, tu apprenda la sublime scienza che la carne ed il sangue non ti possono spiegare, perché il mondo non la conosce né è degno di conoscerla. Questa filosofia consiste nell'assimilare ed amare la felicissima sorte degli indigenti, degli umili, degli afflitti, dei disprezzati e di tutti coloro che rimangono anonimi ai figli della vanità. Il nostro Salvatore stabilì questa dottrina nella sua Chiesa, quando sul monte predicò e propose a tutti le otto beatitudini. E, come un dottore pronto ad eseguire l'insegnamento annunciato, lo mise in pratica quando tra gli obbrobri della passione ne ripropose il valore, secondo quanto hai già riportato. Ora, sebbene i cattolici tengano aperto dinanzi ai loro occhi il libro della vita e ne abbiano presente il contenuto, sono molto pochi e contati quelli che frequentano la scuola divina per studiare su di esso, mentre sono numerosi quelli che stolti ed insensati lo ignorano e non sono disponibili ai suoi consigli.

1281. Tutti aborriscono la povertà e sono assetati di ricchezze dalla cui fallacia non vengono disingannati. Infiniti sono quelli che perseguono l'ira e la vendetta, e disdegnano la mansuetudine. Pochi piangono le vere miserie, in cui incorrono per le trasgressioni, mentre molti si affannano per la terrena consolazione. A stento vi è chi ami la giustizia, e chi non sia ingiusto e sleale con il prossimo. La clemenza si vede estinta, la schiettezza dei cuori violata ed oscurata, la pace distrutta; nessuno perdona e tutti non solo non vogliono patire per giustizia, ma meritando di soffrire molti castighi e tormenti ingiustamente fuggono da essi. Perciò sono pochi i beati che vengono raggiunti dai miei favori e da quelli del mio Unigenito. Molte volte ti è stato palesato il dispiacere e il legittimo sdegno dell'Onnipotente contro i maestri della fede, i quali dinanzi al loro modello e Maestro vivono quasi come infedeli. Addirittura molti altri sono ancora più detestabili, perché dispregiano il frutto della redenzione pur confessandolo e nella terra dei santi operano il male con empietà, rendendosi indegni del rimedio che con larga clemenza fu loro concesso.

1282. Da te voglio che lavori duramente per giungere ad essere beata, ricalcando perfettamente e integralmente le mie orme secondo le forze che ricevi, al fine di intendere ed eseguire questa dottrina nascosta ai prudenti e ai saggi del mondo. Ecco che allora ogni giorno ti rivelo nuovi segreti della mia sapienza, affinché il tuo intimo si infiammi e tu prenda animo per stendere le mani a cose grandi. Ora ti propongo un esercizio che io praticai e nel quale tu potrai in parte imitarmi. Già sai che dal primo istante della mia concezione fui piena di grazia, senza macchia di peccato originale e senza essere partecipe dei suoi effetti: ed è per questo singolare privilegio che fui beata per virtù, senza sentire ripugnanza né alcuna contraddizione da vincere, e senza trovarmi debitrice di qualcosa per errori propriamente miei. Eppure la scienza divina mi insegnò che io come donna, essendo traviata per natura, anche se non ero toccata dalla colpa, dovevo abbassarmi fino a lambire la polvere. E poiché ero provvista degli stessi sensi di coloro che avevano commesso la disobbedienza, con i suoi malvagi effetti che sin d'allora si sperimentano, dovevo per questa sola parentela avvilirli e frenarli nell'inclinazione che istintivamente riportavano. Così io procedevo come una figlia fedele che consideri come suo il debito del padre e dei fratelli, benché non le appartenga, e cerchi in tutti i modi di pagarlo e soddisfarlo con tanta maggiore diligenza quanto più ama i suoi familiari, e quanto meno essi possono disobbligarsi. Ciò io operavo verso tutto il genere umano, piangendo i suoi errori e le sue miserie; e poiché ero discendente di Adamo, mortificavo in me i sensi e le facoltà con cui egli aveva mancato, e mi umiliavo come se fossi coperta, oberata e rea della sua trasgressione, nonostante non mi riguardasse, e lo stesso facevo per gli altri uomini, miei fratelli. Tu non puoi seguirmi in tali azioni perché non sei scevra della colpa, ma questo ti obbliga ad emularmi nel resto che io attuavo. Il possesso del peccato originale e il dovere di soddisfare alla giustizia superna ti devono spingere ad affaticarti senza interruzione per te stessa e per gli altri, e a piegarti sino a terra, affinché il tuo cuore contrito inclini la pietà celeste ad usar misericordia.

Augustinus
24-03-05, 23:23
Libro VI, Cap. 17, §§ 1283-1296

CAPITOLO 17

Le sofferenze che patì il nostro salvatore Gesù durante la notte del rinnegamento di Pietro e il gran dolore della sua santissima Madre.

1283. I santi evangelisti hanno fatto passare sotto silenzio i patimenti di Gesù nella notte del rinnegamento di Pietro e gli insulti che ricevette nella casa di Caifa, mentre tutti e quattro riferiscono la nuova consultazione fatta tra i membri del sinedrio per presentarlo a Pilato, come si vedrà nel capitolo seguente. Io allora dubitai se fosse opportuno proseguire il mio racconto e manifestare quanto mi era stato dato di comprendere, perché nel contempo mi fu fatto capire che nel nostro pellegrinaggio terreno non ci sarà svelata ogni cosa, né conviene che si dica a tutti ciò di cui si viene a conoscenza, poiché nel giorno del giudizio saranno palesati questo ed altri misteriosi eventi della vita e della passione del nostro Redentore. Inoltre, su quanto io posso dichiarare, non trovo parole adeguate al mio pensiero e molto meno all'oggetto che concepisco, perché l'argomento è ineffabile e superiore alla mia capacità. Tuttavia, per obbedire, esporrò quello che mi sarà concesso di intendere, per non essere ripresa per aver taciuto una verità così sublime da confondere e condannare la vanità e la dimenticanza umana. Confesso dinanzi al cielo la mia durezza a non morire di vergogna e dolore, per aver commesso colpe che tanto costarono a quel Dio che mi diede l'esistenza: non possiamo negare l'orrore e la gravità del peccato che fece strazio dell'Autore della grazia e della gloria. Sarei la più ingrata di tutti gli uomini, al pari dello stesso demonio, se da oggi in poi non aborrissi la colpa più della morte: questo debito desidero trasmettere e ricordare a tutti i cattolici, figli della Chiesa.

1284. L'ambizioso sommo sacerdote, di fronte alle torture che Cristo nostro bene subiva silenziosamente alla sua presenza, si accese d'invidia, mentre i suoi collaboratori, non appagati di ciò che veniva messo in atto contro la divina persona, fremettero d'ira. Passata la mezzanotte, deliberarono che il Salvatore restasse ben custodito fino al mattino, per avere la certezza che non potesse fuggire mentre dormivano. Ordinarono perciò di rinchiuderlo, legato com'era, in un sotterraneo che serviva per far scontare l'ergastolo ai peggiori ladroni e facinorosi dell'impero. Questo carcere era senza luce e così sporco e maleodorante che, se non fosse stato ben chiuso, avrebbe potuto infettare l'intera abitazione; difatti, erano parecchi anni che non veniva pulito sia perché assai profondo, sia perché non si facevano molti scrupoli di confinare le persone più inique in quell'orribile luogo, ritenendole gente indegna di ogni pietà, bestie indomite e feroci.

1285. Eseguito subito l'ordine del malvagio consiglio, il Creatore dell'universo fu portato in quell'immondo e tenebroso luogo. E poiché seguitava a stare legato nello stesso modo in cui era stato condotto dal Getsèmani, quei malviventi poterono continuare con sicurezza a sfogare su di lui lo sdegno che il principe delle tenebre somministrava loro incessantemente: ora lo tiravano per le corde, ora lo trascinavano con disumano furore, con percosse esecrabili. La prigione descritta in un angolo presentava una sporgenza, talmente resistente da non essere mai stata smussata, a cui venne spietatamente attaccato con l'estremità delle corde sua Maestà, che, lasciato in piedi con il corpo ricurvo, non aveva possibilità di sedersi e rialzarsi per un piccolo sollievo: questo si rivelò una tortura nuova ed estremamente penosa. I soldati, abbandonandolo così, serrarono le porte con le chiavi che consegnarono ad un custode perché ne avesse cura.

1286. Il dragone infernale nella sua recondita superbia non aveva riposo; bramava sempre di poter sapere se costui fosse il Messia e, per irritarne l'eccelsa pazienza, macchinò un'altra malvagità. Infuse nell'immaginazione della guardia depravata l'intento di invitare alcuni amici, dai costumi simili ai suoi, per scendere tutti insieme nella fossa e trattenersi alquanto a prendere in giro il mansuetissimo Agnello: volevano obbligarlo a profetizzare ed a fare qualcosa di inaudito, poiché lo ritenevano un mago o un indovino. Con questa diabolica suggestione Lucifero eccitò anche altri sgherri inducendoli ad eseguire le perfide molestie che avevano pensato. E mentre essi si riunivano per decidere, molti degli angeli che assistevano Gesù nel martirio, vedendolo in un posto tanto ignobile, stretto in quella dolorosa posizione, subito si prostrarono davanti a lui, adorandolo come vero Dio. Inoltre, gli resero riverenza e culto tanto più profondi quanto più lo riconobbero mirabile nel permettere di farsi insultare per l'amore che portava ai mortali, e gli elevarono alcuni inni e cantici composti da Maria. In nome della stessa Signora, lo pregarono che, quantunque non volesse mostrare la potenza della sua destra nell'innalzare la sua santissima umanità, almeno desse loro il permesso di alleviargli il tormento e difenderlo da quella schiera di malvagi, che incitata dal diavolo si preparava ancora ad offenderlo.

1287. Il nostro Maestro non accettò un ossequio così particolare e disse: «Ministri dell'eterno Padre, non è mia volontà avere sollievo in questo momento. Io desidero sopportare gli affronti per soddisfare la carità ardente con la quale amo i discendenti di Adamo, e lasciare ai miei eletti un esempio, affinché mi imitino e non si perdano d'animo nelle tribolazioni, tenendo presenti i tesori della grazia che ho procurato ad essi con abbondanza. In tal modo io voglio giustificare la mia causa perché nel giorno della mia ira sia manifesta ai reprobi la giustizia con cui saranno condannati per aver disprezzato l'acerbissima passione, che io ho accettato per procurare il loro rimedio. Dite a colei che mi ha generato che si consoli in quest'afflizione, sino a quando non arriverà il giorno della gioia e del riposo, e mi accompagni adesso nell'opera della redenzione, poiché dal suo compassionevole affetto e da tutto ciò che fa io ricevo soddisfazione e compiacimento». Dopo questa risposta, i messaggeri superni ritornarono dalla Regina e con queste rassicuranti parole la confortarono, benché ella tramite un'altra via di conoscenza non ignorasse il volere di patire del suo Unigenito e tutto ciò che succedeva nella casa di Caifa. E quando ebbe notizia della nuova crudeltà con la quale i soldati lo avevano attaccato e della condizione tanto dura in cui era stato lasciato, la purissima Vergine provò nella sua delicatissima persona lo stesso dolore, avvertendo anche quello dei pugni, degli schiaffi e degli obbrobri che erano stati riservati all'Autore della vita. Nel corpo della candidissima colomba tutto risuonava come un'eco miracolosa: stesso dardo feriva il Figlio e la Madre, stesso coltello trapassava entrambi, con la sola differenza che egli soffriva come uomo-Dio e unico salvatore dell'umanità, ella come semplice creatura e coadiutrice del beneplacito divino.

1288. Quando l'amorosa Principessa seppe che Gesù permetteva l'ingresso nel carcere a quei vilissimi malfattori, pianse amaramente per quanto stava per accadere. Prevedendo i perversi propositi di Lucifero, fu molto prudente ad usare il suo potere regale e ad impedire che si eseguisse contro il suo diletto qualche atto indecoroso, come costui stava macchinando. Difatti, sebbene tutte le azioni tramate fossero indegne e di somma irriverenza, in alcune vi poteva concorrere minore decenza: queste erano quelle che il nemico cercava di inculcare nelle guardie per provocare lo sdegno di Cristo, quando vedeva che con le altre molestie intentate non era riuscito ad irritare la sua mansuetudine. Furono talmente rare, ammirevoli, eroiche e straordinarie le opere compiute da Maria in questa circostanza ed in tutto il corso della passione, che non si possono giustamente riferire né lodare, benché su tale argomento siano stati scritti molti libri: è ineluttabile, allora, rimettere tutto ciò al tempo della visione beatifica, perché è così sublime da non potersi narrare in questa vita.

1289. Quei ministri del peccato entrarono nel sotterraneo, celebrando con ingiurie la festa che avevano deciso di fare tra derisioni e beffe contro il Signore. Avvicinatisi a lui, incominciarono a sputargli in faccia in modo nauseante, schernendolo e dandogli schiaffi con incredibile sfacciataggine; ma egli non rispose né aprì bocca né alzò lo sguardo, serbando sempre sul volto un'umile serenità. Quei farabutti volevano obbligarlo a parlare oppure a fare qualcosa di ridicolo o straordinario, al fine di avere ancora un'occasione per appellarlo come stregone e burlarsi di lui. Allorché si accorsero invece della sua imperturbabile mitezza, si lasciarono maggiormente irritare dai diavoli: lo sciolsero dalla roccia a cui stava legato e lo posero in mezzo alla prigione, bendandogli con un panno i santissimi occhi. Accerchiatolo incominciarono uno dopo l'altro a percuoterlo con pugni sotto il mento e schiaffi, chiedendogli di indovinare chi fosse colui che lo aveva colpito; ciascuno faceva a gara per superare gli altri nelle derisioni e nelle bestemmie. In quest'occasione, essi pronunciarono parole blasfeme ancor più fieramente che alla presenza di Anna.

1290. Alla pioggia di obbrobri il mansuetissimo Agnello non ribatteva. Frattanto, satana bramava che facesse qualche gesto contro la pazienza, crucciandosi nel vedere come questa virtù rimanesse immutabile in lui. Infuse, allora, nell'immaginazione di quei suoi amici l'infernale decisione di spogliarlo di tutte le vesti e di trattarlo come aveva escogitato nella sua esecrabile mente. A questa suggestione quegli iniqui non fecero resistenza, risolvendo di concretizzarla subito. La prudentissima Vergine con preghiere, lacrime e sospiri e con l'autorità di regina impedì l'abominevole sacrilegio, implorando il Padre che non concorresse con le cause seconde in tali azioni delittuose. Ingiunse così a quei ministri di empietà di non usare la loro forza naturale per effettuare quanto avevano ordito e, per questa potenza, essi non poterono realizzare niente di ciò che il serpente con la sua malizia aveva loro suggerito, poiché dimenticavano immediatamente molte cose che desideravano fare tralasciandone altre, e rimanevano con le braccia irrigidite sino a quando non ritrattavano la loro perversa iniziativa. Nel desistere ritornavano nello stato normale, perché quel miracolo non era compiuto per castigarli, ma solo per impedire gli atti più ignobili; infatti, era loro consentito di eseguire solamente le irriverenze che rientravano nel beneplacito superno.

1291. La potentissima sovrana comandò anche ai demoni che tacessero e non incitassero più a simili oltraggi. Da questo ordine il dragone restò schiacciato e reso inabile in ciò a cui si estendeva la volontà di diniego della Madre; fu allora impossibilitato ad aizzare ulteriormente la stolta rabbia di quei delinquenti, che pertanto non furono più in grado di dire o fare qualcosa di indecoroso, se non nell'ambito loro permesso. Tuttavia essi, pur sperimentando in sé tutti quegli effetti mirabili e alquanto insoliti, non meritarono di disingannarsi né di riconoscere il potere divino e, benché in quel frangente si sentissero ora storpi ora liberi e sani, attribuivano il repentino cambiamento a facoltà di stregone e di mago, ritenendo tale il Maestro della verità e della vita. Con questo diabolico errore perseverarono nel fare altre burle infamanti e nell'infliggere nuovi tormenti a Cristo, fin quando si accorsero che la notte era già molto avanzata. Ritornarono allora a legarlo alla roccia e lasciandolo lì attaccato uscirono con i ministri infernali. Per disposizione dell'eccelsa sapienza fu affidata alla gran Signora la difesa dell'onestà e della dignità del suo Unigenito, perché queste non venissero offese.

1292. Il nostro Salvatore rimase nuovamente solo in quella fossa, assistito però dagli angeli che, stupefatti delle sue opere e dei segreti giudizi in ciò che aveva voluto patire, lo adoravano e lo benedicevano magnificando ed esaltando il suo santo nome. Egli elevò una lunga orazione all'Eterno, pregandolo per i futuri cristiani, per la propagazione della fede e per gli apostoli, intercedendo particolarmente in favore di san Pietro, che in quel momento si rammaricava e piangeva il proprio peccato. Raccomandò anche quelli che lo avevano ingiuriato e deriso, e soprattutto invocò l'Onnipotente per Maria e per coloro che a sua imitazione sarebbero stati afflitti e disprezzati dal mondo: per tutti questi fini offrì la passione che già incombeva su di lui. Nel contempo la celeste Principessa, addolorata, lo accompagnava innalzando le stesse suppliche a vantaggio dei figli della Chiesa e dei nemici, senza turbarsi né risentire sdegno contro questi ultimi. Nutriva disprezzo solo verso Lucifero, perché incapace di aprirsi alla grazia a causa della sua irreparabile ostinazione, e con profondi gemiti parlò all'Altissimo:

1293. «Bene dell'anima mia, siete degno di ricevere l'onore e la lode degli esseri viventi: tutto a voi è dovuto, perché siete immagine del Padre e impronta della sua sostanza, infinito nel vostro essere e nelle vostre perfezioni; siete principio e fine di ogni santità. Se tutto è stato creato per adempiere docilmente il vostro volere, come mai adesso disprezzano, insultano e oltraggiano la vostra persona, meritevole del loro supremo culto e della somma venerazione? Come mai si è tanto innalzata la malizia dei mortali? Come mai si è tanto inoltrata la superbia sino a mettere la bocca nel cielo? Come può esser diventata così potente l'invidia? Voi siete l'unico splendido sole di giustizia che illumina e dissipa le tenebre dell'errore. Siete la sorgente della grazia, che non è negata a nessuno se la vuole. Siete colui che per liberalità date l'essere, il movimento e la conservazione. Tutto dipende da voi ed ha bisogno di voi, senza che voi abbiate bisogno di niente. Che cosa dunque hanno visto nelle vostre opere? Che cosa di tanto gravoso hanno ritrovato in voi perché siate così offeso e maltrattato? O atrocissima bruttura del peccato, che hai sfigurato la bellezza del cielo ed oscurato lo splendore del suo venerabile volto! O sanguinolenta fiera, che senza umanità tratti il riparatore stesso dei tuoi danni! Figlio mio, io so già che siete l'artefice del vero amore, l'autore del riscatto, il maestro, il Signore degli esercititi, e che voi stesso mettete in pratica la dottrina insegnata agli umili discepoli della scuola divina. Voi abbassate l'alterigia, confondete l'arroganza e siete esempio di salvezza perenne. Ma se volete che ciascuno imiti la vostra ineffabile carità e la vostra infinita mitezza, spetta a me farlo per prima; a me che offrii il mio corpo per rivestirvi della carne passibile, nella quale ora siete percosso, riempito di sputi e schiaffeggiato. Oh, potessi subire io sola tante pene e voi, innocentissimo tesoro mio, restarne privo! Ma se ciò non è possibile, patisca almeno io con voi sino alla fine. E voi, spiriti superni che, stupefatti della sua mansuetudine, conoscete la sua immutabile divinità e l'innocenza e la nobiltà della sua vera umanità, ricompensatelo delle ingiurie e delle bestemmie. Dategli magnificenza e gloria, sapienza, virtù e fortezza. Invitate gli astri, i pianeti, le stelle e gli elementi affinché tutti lo confessino, e considerate se per caso vi sia un altro dolore simile al mio». Queste ed altre struggenti parole proferiva la purissima Regina, sospirando alquanto nell'amarezza del suo cordoglio.

1294. Nel corso della passione la pazienza della Vergine fu incomparabile: non le parve mai troppo quello che sopportava, non considerando il peso dei suoi tormenti uguale a quello del suo affetto, che misurava sull'amore, sulla dignità di Gesù e sulle torture a lui inflitte. Inoltre, per tutte le insolenze lanciate contro di lui, ella nutrì il desiderio di sentirle su di sé e, pur non reputandole proprie, le pianse perché rivolte contro la divina persona e ritorte a danno degli aggressori stessi. Pregò per tutti costoro, affinché l'Onnipotente li perdonasse, li allontanasse dalla colpa e da ogni male, e li illuminasse con la sua luce, cosicché anch'essi conseguissero il frutto della redenzione.

Insegnamento della Regina del cielo

1295. Carissima, sta scritto nel Vangelo che l'Altissimo diede al suo e mio Unigenito il potere di condannare i reprobi nel giudizio universale. In quel giorno tutti coloro che saranno considerati rei vedranno e riconosceranno la sua santissima umanità, nella quale furono riscattati tramite il suo martirio. Per di più, sarà lo stesso Signore a chiedere ai peccatori di rendere conto delle loro azioni e, siccome non gli potranno rispondere né dare soddisfazione, questa vergogna sarà il principio della punizione che riceveranno per la loro ostinata ingratitudine. Allora sarà palese la misericordia di Dio in tutta la sua grandezza, ma anche la giustizia, perché i cattivi saranno meritevoli del castigo eterno. Enormi e acerbissime furono le sofferenze che patì il mio santissimo Figlio, particolarmente per coloro che non avrebbero guadagnato gli effetti della redenzione. Mentre veniva torturato, il mio cuore si sentì trapassato, come pure nel guardarlo coperto di sputi, schiaffeggiato, bestemmiato ed afflitto con torture tanto empie che non si possono comprendere nell'esistenza terrena. Io ebbi di ciò una chiara visione e la mia angoscia fu conforme alla rivelazione datami. Ma le tribolazioni peggiori furono provocate dalla consapevolezza che molti si sarebbero dannati nonostante il supplizio di sua Maestà.

1296. Desidero che tu mi accompagni in questi patimenti, che mi imiti e che gema sopra una così lamentevole sciagura; tra i mortali non ve n'è un'altra degna di essere deplorata tanto amaramente, né vi è strazio che si possa paragonare ad essa. Sono pochi nel mondo quelli che riflettono su tale verità con la dovuta ponderazione, ma il Maestro ed io li accogliamo con speciale compiacimento, perché ci seguono sulla via dei dolori e si affliggono per la perdizione di tante anime. Cerca di distinguerti in quest'esercizio ben accetto al sommo sovrano. Devi però essere al corrente delle sue promesse: a colui che chiederà sarà dato, a chi griderà sarà aperta la porta dei suoi infiniti tesori. Ed affinché tu sappia cosa offrirgli, imprimi nella memoria le pene procurate al tuo sposo, per mano di uomini vili e depravati, e l'invincibile pazienza, la mansuetudine, il silenzio con cui egli si assoggettò alla loro iniqua volontà. Tenendolo presente come modello, d'ora innanzi tenta con tutte le forze di mantenerti immune dall'irascibilità e da ogni altra passione che attanaglia i discendenti di Adamo; fa' che si generi in te un profondo rifiuto della superbia che disprezza ed offende il prossimo. Supplica inoltre il Padre perché ti conceda mitezza, affabilità e amore verso la croce: stringiti ad essa, prendila con pio affetto e va' dietro a Cristo, affinché tu giunga a possederlo.

Augustinus
24-03-05, 23:25
Libro VI, Cap. 18, §§ 1297-1313

CAPITOLO 18

La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù; la decisione di rimetterlo a Pilato; l’accorrere di Maria santissima verso il Figlio con san Giovanni evangelista e le tre Marie.

1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa, dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato, in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di lui!

1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il Messia promesso.

1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente, decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.

1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore, che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo». Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente fosse.

1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del cielo».

1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme, insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava, l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano: «A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni, ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici. Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con dolcezza, facendo a tutti del bene.

1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.

1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza, rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno. Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».

1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore, seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi. E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme». «Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto meno di uccidere».

1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione. Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia, come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.

1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti, sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti, soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza, desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale; spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin quando videro esaudito il loro proposito.

1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo, ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la folla.

1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo, innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia, crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.

1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi, se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare, non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio Salvatore elargire.

Insegnamento della Regina del cielo

1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà, primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della divina pietà, che è sempre sovrabbondante.

1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia, della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece, tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi, per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi, comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti, adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché pochi sono quelli che camminano su di essa.

1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano, lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio. Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera sapienza.

Augustinus
25-03-05, 00:00
http://www.wga.hu/art/a/andrea/castagno/1_1440s/06apollo.jpg http://www.wga.hu/art/a/andrea/castagno/1_1440s/08lasts1.jpg Andrea del Castagno, Ultima Cena, 1447, Sant'Apollonia, Firenze

http://www.wga.hu/art/b/bouts/dirk_e/lastsupp/0altar.jpg http://www.wga.hu/art/b/bouts/dirk_e/lastsupp/1lastsu.jpg http://www.wga.hu/art/b/bouts/dirk_e/lastsupp/1lastsu1.jpg Dieric Bouts il Vecchio, Pala del SS. Sacramento, 1464-67, Sint-Pieterskerk, Lovanio

http://www.wga.hu/art/c/cleve/joos/lament1.jpg Joos van Cleve, Pala della Lamentazione (dettaglio), Musée du Louvre, Parigi

Augustinus
25-03-05, 00:02
http://www.wga.hu/art/g/ghirland/domenico/4lastsup/1passign.jpg Domenico Ghirlandaio, Ultima Cena, 1476, Badia dei Santi Michele e Biagio, Passignano sul Trasimeno

http://www.wga.hu/art/g/ghirland/domenico/4lastsup/2ogniss.jpg Domenico Ghirlandaio, Ultima Cena, 1480, Ognissanti, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/ghirland/domenico/4lastsup/3smarco.jpg Domenico Ghirlandaio, Ultima Cena, 1486 circa, San Marco, Firenze

http://www.wga.hu/art/g/giotto/z_panel/3polypty/3lastsup.jpg Giotto di Bondone, Ultima Cena, 1320-25, Alte Pinakothek, Monaco

http://www.wga.hu/art/g/giotto/padova/3christ/scenes_3/chris13.jpg Giotto di Bondone, Ultima Cena, 1304-06, Cappella Scrovegni (cappella Arena), Padova

http://www.wga.hu/art/g/giotto/padova/3christ/scenes_3/chris14.jpg Giotto di Bondone, Lavanda dei piedi, 1304-06, Cappella Scrovegni (cappella Arena), Padova

http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525/10lastsu.jpg Hans Holbein il giovane, Ultima Cena, 1524-25, Kunstmuseum, Öffentliche Kunstsammlung, Basilea

http://www.wga.hu/art/h/huguet/last_sup.jpg Jaume Huguet, Ultima Cena, 1470 circa, Museu Nacional d'Art de Catalunya, Barcelona

Augustinus
25-03-05, 00:03
http://www.wga.hu/art/l/leonardo/05copies/7lastsup.jpg Leonardo da Vinci, Ultima Cena, copia del XVI sec., Museo Da Vinci, Tongerlo

http://www.wga.hu/art/l/leonardo/03/4lastsu3.jpg http://www.wga.hu/art/l/leonardo/03/4lastsu2.jpg http://www.wga.hu/art/l/leonardo/03/4lastsu4.jpg Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1498, Convento di Santa Maria delle Grazie, Milano

http://www.wga.hu/art/m/master/hausbuch/lastsupp.jpg Maestro di Housebook, Ultima Cena, Staatliche Museen, Berlino

http://www.wga.hu/art/p/pourbus/pieter/lastsupp.jpg Pieter Pourbus, Ultima Cena, 1548, Groeninge Museum, Bruges

http://www.wga.hu/art/r/ratgeb/lastsupp.jpg Jörg Ratgeb, Ultima Cena, 1519, Staatsgalerie, Stoccarda

Augustinus
25-03-05, 00:04
http://www.wga.hu/art/t/tintoret/5_1580s/3lastsup.jpg http://img208.imageshack.us/img208/3294/lsuppermn7.jpg Tintoretto, Ultima Cena, 1592-94, S. Giorgio Maggiore, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3b/2upper/2/26lasts.jpg http://img168.imageshack.us/img168/1865/26lastsly9.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/3b/2upper/2/26lasts2.jpg Tintoretto, Ultima Cena, dettaglio, 1579-81, Scuola di San Rocco, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tintoret/4_1570s/1lastsu1.jpg Tintoretto, Ultima Cena, 1570 circa, Santo Stefano, Venezia

http://www.wga.hu/art/t/tintoret/4_1570s/1lastsu2.jpg Tintoretto, Ultima Cena, 1570 circa, San Polo, Venezia

Augustinus
12-04-06, 22:13
http://img254.imageshack.us/img254/37/p02824a01nf2005zo1.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/1_1540s/4washin.jpg http://www.wga.hu/art/t/tintoret/1_1540s/4washin1.jpg Tintoretto, Cristo lava i piedi agli apostoli, 1547 circa, Museo del Prado, Madrid

http://www.wga.hu/art/s/sassetta/eucharis/4lastsup.jpg Sassetta, Ultima Cena, 1423, Pinacoteca Nazionale, Siena

http://www.wga.hu/art/r/rosselli/lastsup.jpg Cosimo Rosselli, Ultima cena, 1481-82, Cappella Sistina, Vaticano

http://www.erain.es/departamentos/religion/Trabajos/Bach04/euca/imag/foto01.jpg William Hole, L'ultima Cena

Augustinus
12-04-06, 22:14
Quaresima: cammino di penitenza, di digiuno ed astinenza (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=45732)

Domenica delle Palme (6° Domenica di Quaresima) (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=150656)

Mercoledì Santo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=245381)

Venerdì Santo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=155444)

Meditazioni sulla Passione di N. S. Gesù Cristo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149185)

È lecito ad un cristiano partecipare attivamente ad una celebrazione di pesach? (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=403926)

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Corpus Domini ed Eucarestia (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=104469)

Preziosissimo Sangue di N.S Gesù Cristo (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=267826)

Questioni di rito (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=88406)

Pro vobis et pro multis (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=310490)

Motu proprio sulla Messa Tradizionale (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=355238)

Speciale sull'Anno dell'Eucaristia e sul Congresso eucaristico di Bari (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=169697)

rassegna fotografica sui Miracoli Eucaristici (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=168159)

Caterina63
13-04-06, 09:43
BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 aprile 2006

Cari fratelli e sorelle,

inizia domani il Triduo pasquale, che è il fulcro dell'intero anno liturgico. Aiutati dai sacri riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo e della solenne Veglia Pasquale, rivivremo il mistero della passione, della morte e della risurrezione del Signore. Questi sono giorni atti a ridestare in noi un più vivo desiderio di aderire a Cristo e di seguirlo generosamente, consapevoli del fatto che Egli ci ha amati sino a dare la sua vita per noi. Cosa sono, in effetti, gli eventi che il Triduo santo ci ripropone, se non la manifestazione sublime di questo amore di Dio per l’uomo? Apprestiamoci, pertanto, a celebrare il Triduo pasquale accogliendo l’esortazione di sant’Agostino: “Ora considera attentamente i tre giorni santi della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione del Signore. Di questi tre misteri compiamo nella vita presente ciò di cui è simbolo la croce, mentre compiamo per mezzo della fede e della speranza ciò di cui è simbolo la sepoltura e la risurrezione” (Epistola 55, 14, 24: Nuova Biblioteca Agostiniana (NBA), XXI/II, Roma 1969, p. 477).

Il Triduo pasquale si apre domani, Giovedì Santo, con la Messa vespertina “in Cena Domini”, anche se al mattino normalmente si tiene un’altra significativa celebrazione liturgica, la Messa del Crisma, durante la quale, raccolto attorno al Vescovo, l’intero presbiterio di ogni Diocesi rinnova le promesse sacerdotali, e partecipa alla benedizione degli oli dei catecumeni, dei malati e del Crisma, e così faremo domani mattina anche qui, in San Pietro. Oltre all’istituzione del Sacerdozio, in questo giorno santo si commemora l’offerta totale che Cristo ha fatto di Sé all’umanità nel sacramento dell’Eucaristia. In quella stessa notte in cui fu tradito, Egli ci ha lasciato, come ricorda la Sacra Scrittura, il “comandamento nuovo” - “mandatum novum” - dell'amore fraterno compiendo il gesto toccante della lavanda dei piedi, che richiama l’umile servizio degli schiavi. Questa singolare giornata, evocatrice di grandi misteri, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani. Preso da grande angoscia, narra il Vangelo, Gesù chiese ai suoi di vegliare con Lui rimanendo in preghiera: “Restate qui e vegliate con me" (Mt 26,38), ma i discepoli si addormentarono. Ancora oggi il Signore dice a noi: “Restate e vegliate con me”. E vediamo come anche noi, discepoli di oggi, spesso dormiamo. Quella fu per Gesù l’ora dell’abbandono e della solitudine, a cui seguì, nel cuore della notte, l’arresto e l’inizio del doloroso cammino verso il Calvario.

Centrato sul mistero della Passione è il Venerdì Santo, giorno di digiuno e di penitenza, tutto orientato alla contemplazione di Cristo sulla Croce. Nelle chiese viene proclamato il racconto della Passione e risuonano le parole del profeta Zaccaria: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). E il Venerdì Santo anche noi vogliamo realmente volgere lo sguardo al cuore trafitto del Redentore, nel quale - scrive san Paolo - sono “nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), anzi “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9), per questo l’Apostolo può affermare con decisione di non voler sapere altro “se non Gesù Cristo e questi crocifisso” (1 Cor 2,2). E’ vero: la Croce rivela “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” – le dimensioni cosmiche, questo è il senso - di un amore che sorpassa ogni conoscenza – l’amore va oltre quanto si conosce - e ci ricolma “di tutta la pienezza di Dio” (cfr Ef 3,18-19).Nel mistero del Crocifisso “si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale” (Deus caritas est, 12).La Croce di Cristo, scrive nel V° secolo il Papa san Leone Magno, “è sorgente di tutte le benedizioni, e causa di tutte le grazie” (Disc. 8 sulla passione del Signore, 6-8; PL 54, 340-342).

Nel Sabato Santo la Chiesa, unendosi spiritualmente a Maria, resta in preghiera presso il sepolcro, dove il corpo del Figlio di Dio giace inerte come in una condizione di riposo dopo l’opera creativa della redenzione, realizzata con la sua morte (cfr Eb 4,1-13). A notte inoltrata inizierà la solenne Veglia pasquale, durante la quale in ogni Chiesa il canto gioioso del Gloria e dell’Alleluia pasquale si leverà dal cuore dei nuovi battezzati e dall’intera comunità cristiana, lieta perché Cristo è risorto e ha vinto la morte.

Cari fratelli e sorelle, per una proficua celebrazione della Pasqua, la Chiesa chiede ai fedeli di accostarsi in questi giorni al sacramento della Penitenza, che è come una specie di morte e di risurrezione per ognuno di noi. Nell’antica comunità cristiana, il Giovedì Santo si teneva il rito della Riconciliazione dei Penitenti presieduto dal Vescovo. Le condizioni storiche sono certamente mutate, ma prepararsi alla Pasqua con una buona confessione resta un adempimento da valorizzare appieno, perché ci offre la possibilità di ricominciare di nuovo la nostra vita e di avere realmente un nuovo inizio nella gioia del Risorto e nella comunione del perdono datoci da Lui. Consapevoli di essere peccatori, ma fiduciosi nella misericordia divina, lasciamoci riconciliare da Cristo per gustare più intensamente la gioia che Egli ci comunica con la sua risurrezione. Il perdono, che ci viene donato da Cristo nel sacramento della Penitenza, è sorgente di pace interiore ed esteriore e ci rende apostoli di pace in un mondo dove continuano purtroppo le divisioni, le sofferenze e i drammi dell’ingiustizia, dell’odio e della violenza, dell’incapacità di riconciliarsi per ricominciare di nuovo con un perdono sincero. Noi sappiamo però che il male non ha l'ultima parola, perché a vincere è Cristo crocifisso e risorto e il suo trionfo si manifesta con la forza dell’amore misericordioso. La sua risurrezione ci dà questa certezza: nonostante tutta l’oscurità che vi è nel mondo, il male non ha l’ultima parola. Sorretti da questa certezza potremo con più coraggio ed entusiasmo impegnarci perché nasca un mondo più giusto.

Questo auspicio formulo di cuore per tutti voi, cari fratelli e sorelle, augurandovi di prepararvi con fede e devozione alle ormai prossime feste pasquali. Vi accompagniMaria Santissima che, dopo aver seguito il Figlio divino nell’ora della passione e della croce, ha condiviso il gaudio della sua risurrezione.

*******

Auguro a tutti un Santissimo Triduo Pasquale, nella gioia del Cristo Risorto.

Fraternamente Caterina LD

Augustinus
04-04-07, 17:12
In rilievo

Aug. :) :) :)

Augustinus
05-04-07, 16:07
http://www.wga.hu/art/b/borras/lastsupp.jpg Fray Nicolás Borrás, Ultima cena, 1570 circa, collezione privata

http://www.wga.hu/art/g/greco_el/02/0207grec.jpg El Greco, Ultima cena, 1568 circa, Pinacoteca Nazionale, Bologna

http://www.wga.hu/art/v/vazquez/lastsupp.jpg http://www.juntadeandalucia.es/cultura/museos/media/fotos/MBASE-MBASE_os_10_E101P_lg.jpg Alonso Vázquez, Ultima cena, 1588-1603, Museo de Bellas Artes, Siviglia

http://cgfa.sunsite.dk/champaigne/champaigne5.jpg http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/18251_p0004105.001.jpg Philippe de Champaigne, Ultima Cena, 1648, Musée du Louvre, Parigi

http://i.a.cnn.net/cnn/services/presents.opk/after.jesus/images/hi_res/last_supper.jpg http://ns3033.ovh.net/~palais/IMG/jpg/44-LaGrandeCene-Lyon.jpg Philippe de Champaigne, Ultima Cena, XVII sec., Lione

Augustinus
05-04-07, 16:17
http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/23048_p0001708.002.jpg http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/23050_p0001708.003.jpg Mathieu Le Nain, Ultima Cena, XVII sec., Musée du Louvre, Parigi

http://cartelfr.louvre.fr/pub/fr/image/6095_p0006871.001.jpg Frans II Pourbus, detto il Giovane, Ultima Cena, 1618, Musée du Louvre, Parigi

http://www.wga.hu/art/c/cesari/betrayal.jpg Giuseppe Cesari, Tradimento di Cristo, 1596-97, Galleria Borghese, Roma

http://www.wga.hu/art/c/caravagg/11/72denial.jpg Caravaggio, Rinnegamento di Pietro, 1610, Shickman Gallery, New York

http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/verso_1/verso089.jpg Duccio di Buoninsegna, Cristo dinanzi ad Anna e rinnegamento di Pietro, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

http://www.wga.hu/art/d/duccio/buoninse/maesta/verso_2/verso11.jpg Duccio di Buoninsegna, Cristo sbeffeggiato e rinnegamento di Pietro, 1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena

http://www.wga.hu/art/t/tournier/denial.jpg Nicolas Tournier, Rinnegamento di Pietro, 1625 circa, Museo del Prado, Madrid

Augustinus
05-04-07, 21:18
http://www.wga.hu/art/h/honthors/1/03christ.jpg http://www.wga.hu/art/h/honthors/1/04christ_d.jpg Gerrit van Honthorst detto Gherardo delle Notti, Cristo di fronte al Sommo Sacerdote, 1617 circa, National Gallery, Londra

http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525p/2passio.jpg http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525p/2passio1.jpg http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525p/2passio2.jpg http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525p/2passio3.jpg http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525p/2passio4.jpg http://www.wga.hu/art/h/holbein/hans_y/1525p/2passio5.jpg Hans Holbein il Giovane, Scene dalla Pala della Passione di Cristo, 1524-25, Kunstmuseum, Öffentliche Kunstsammlung, Basilea

Augustinus
05-04-07, 21:39
http://www.wga.hu/art/c/caravagg/07/39garden.jpg Caravaggio, Cristo nel Giardino, 1603, Formerly Kaiser-Friedrich-Museum, Berlino

http://www.wga.hu/art/c/caravagg/03/191captu.jpg Caravaggio, Cattura di Cristo, 1598 circa, National Gallery of Ireland, Dublino

http://www.wga.hu/art/c/caravagg/03/192captu.jpg Caravaggio, Cattura di Cristo, 1598 circa, Museum of Western European and Oriental Art, Odessa

Augustinus
06-04-07, 12:17
BENEDETTO XVI

OMELIA NELLA

SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE

Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì Santo, 5 aprile 2007

Cari fratelli e sorelle,

nella lettura dal Libro dell’Esodo, che abbiamo appena ascoltato, viene descritta la celebrazione della Pasqua di Israele così come nella Legge mosaica aveva trovato la sua forma vincolante. All’origine può esserci stata una festa di primavera dei nomadi. Per Israele, tuttavia, ciò si era trasformato in una festa di commemorazione, di ringraziamento e, allo stesso tempo, di speranza. Al centro della cena pasquale, ordinata secondo determinate regole liturgiche, stava l’agnello come simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Per questo l’haggadah pasquale era parte integrante del pasto a base di agnello: il ricordo narrativo del fatto che era stato Dio stesso a liberare Israele “a mano alzata”. Egli, il Dio misterioso e nascosto, si era rivelato più forte del faraone con tutto il potere che aveva a sua disposizione. Israele non doveva dimenticare che Dio aveva personalmente preso in mano la storia del suo popolo e che questa storia era continuamente basata sulla comunione con Dio. Israele non doveva dimenticarsi di Dio.

La parola della commemorazione era circondata da parole di lode e di ringraziamento tratte dai Salmi. Il ringraziare e benedire Dio raggiungeva il suo culmine nella berakha, che in greco è detta eulogia o eucaristia: il benedire Dio diventa benedizione per coloro che benedicono. L’offerta donata a Dio ritorna benedetta all’uomo. Tutto ciò ergeva un ponte dal passato al presente e verso il futuro: ancora non era compiuta la liberazione di Israele. Ancora la nazione soffriva come piccolo popolo nel campo delle tensioni tra le grandi potenze. Il ricordarsi con gratitudine dell’agire di Dio nel passato diventava così al contempo supplica e speranza: Porta a compimento ciò che hai cominciato! Donaci la libertà definitiva!

Questa cena dai molteplici significati Gesù celebrò con i suoi la sera prima della sua Passione. In base a questo contesto dobbiamo comprendere la nuova Pasqua, che Egli ci ha donato nella Santa Eucaristia. Nei racconti degli evangelisti esiste un’apparente contraddizione tra il Vangelo di Giovanni, da una parte, e ciò che, dall’altra, ci comunicano Matteo, Marco e Luca. Secondo Giovanni, Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali. La sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero. Ciò significa, però, che Egli morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale – questo, almeno, è ciò che appare. Secondo i tre Vangeli sinottici, invece, l’Ultima Cena di Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserì la novità del dono del suo corpo e del suo sangue. Questa contraddizione fino a qualche anno fa sembrava insolubile. La maggioranza degli esegeti era dell’avviso che Giovanni non aveva voluto comunicarci la vera data storica della morte di Gesù, ma aveva scelto una data simbolica per rendere così evidente la verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello che ha sparso il suo sangue per tutti noi.

La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso. Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a questa affermazione. Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l’antica Pasqua otteneva il suo vero senso.

San Giovanni Crisostomo, nelle sue catechesi eucaristiche ha scritto una volta: Che cosa stai dicendo, Mosè? Il sangue di un agnello purifica gli uomini? Li salva dalla morte? Come può il sangue di un animale purificare gli uomini, salvare gli uomini, avere potere contro la morte? Di fatto – continua il Crisostomo – l’agnello poteva costituire solo un gesto simbolico e quindi l’espressione dell’attesa e della speranza in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il sacrificio di un animale non era capace. Gesù celebrò la Pasqua senza agnello e senza tempio e, tuttavia, non senza agnello e senza tempio. Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero, come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del ministero pubblico di Gesù: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). Ed è Egli stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio.

Così al centro della Pasqua nuova di Gesù stava la Croce. Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui. E così essa rimane sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene il dono. “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso”. Ora Egli la offre a noi. L’haggadah pasquale, la commemorazione dell’agire salvifico di Dio, è diventata memoria della croce e risurrezione di Cristo – una memoria che non ricorda semplicemente il passato, ma ci attira entro la presenza dell’amore di Cristo. E così la berakha, la preghiera di benedizione e ringraziamento di Israele, è diventata la nostra celebrazione eucaristica, in cui il Signore benedice i nostri doni – pane e vino – per donare in essi se stesso. Preghiamo il Signore di aiutarci a comprendere sempre più profondamente questo mistero meraviglioso, ad amarlo sempre di più e in esso amare sempre di più Lui stesso. Preghiamolo di attirarci con la santa comunione sempre di più in se stesso. Preghiamolo di aiutarci a non trattenere la nostra vita per noi stessi, ma a donarla a Lui e così ad operare insieme con Lui, affinché gli uomini trovino la vita – la vita vera che può venire solo da Colui che è Egli stesso la Via, la Verità e la Vita. Amen.

http://img391.imageshack.us/img391/5522/lastsupperrf5.jpg Pascal-Adolphe-Jean Dagnan-Bouveret, Ultima Cena, XIX sec., collezione privata

Augustinus
20-03-08, 13:31
http://www.wga.hu/art/s/signorel/various/9commun.jpg Luca Signorelli, Istituzione dell'Eucaristia, 1512, Museo Diocesano, Cortona

http://www.wga.hu/art/p/palma/giovane/2/01washfe.jpg Palma il Giovane, Lavanda dei piedi, 1591-92, San Giovanni in Bragora, Venezia

http://www.wga.hu/art/r/rubens/14religi/72religj.jpg Pieter Pauwel Rubens, Ultima Cena, 1631-32, Pinacoteca di Brera, Milano

http://www.wga.hu/art/v/veronese/06/9lastsup.jpg Paolo Veronese, Ultima Cena, 1585 circa, Pinacoteca di Brera, Milano

Augustinus
20-03-08, 15:17
The Passion of Christ in the Four Gospels

We have in the Gospels four separate accounts of the Passion of Our Lord, each of which supplements the others, so that only from a careful examination and comparison of all can we arrive at a full and clear knowledge of the whole story. The first three Gospels resemble each other very closely in their general plan, so closely indeed that some sort of literary connection among them may be assumed; but the fourth Gospel, although the writer was evidently familiar at least with the general tenor of the story told by the other three, gives us an independent narrative.

If we begin by marking in any one of the Synoptic Gospels those verses which occur in substance in both of the other two, and then read these verses continuously, we shall find that we have in them a brief but a complete narrative of the whole passion story. There are of course very few details, but all the essentials of the story are there. In St. Mark's Gospel the marked verses will be as follows: xiv, 1, 10-14, 16-18, 21-23, 26, 30, 32, 35-6, 41, 43, 45, 47-9, 53-4, 65 to xv, 2, 9, 11-15, 21-2, 26-7, 31-33, 37-9, 41, 43, 46-7. Verbal alterations would be required to make the verses run consecutively. Sometimes the division will not quite coincide with the verse. It is possible that this nucleus, out of which our present accounts seem to have grown, represents more or less exactly some original and more ancient narrative, whether written or merely oral matters little, compiled in the earliest days at Jerusalem. This original narrative, so far as we can judge from what is common to all the three Synoptics, included the betrayal, the preparation of the Paschal Supper, the Last Supper with a brief account of the institution of the Eucharist, the Agony in the Garden, the arrest and taking of Our Lord before Caiphas, with His examination there and condemnation for blasphemy. Then follow Peter's denials, and the taking of Our Lord before Pilate. Next comes Pilate's question: "Art thou the king of the Jews?" and Our Lord's answer, "Thou sayest it", with Pilate's endeavour to set Him free on account of the feast, frustrated by the demand of the people for Barabbas. After this Pilate weakly yields to their insistence and, having scourged Jesus, hands Him over to be crucified. The story of the Crucifixion itself is a short one. It is confined to the casting of lots for the garments, the accusation over the head, the mocking of the chief priests, the supernatural darkness, and the rending of the Temple veil. After the death we have the confession of the centurion, the begging of the body of Jesus from Pilate, and the burial of it, wrapped in a clean linen cloth, in Joseph's new tomb hewn out in the rock close by.

In order to distinguish what is peculiar to each Evangelist we must notice a remarkable series of additional passages which are found both in St. Matthew and St. Mark. There are no similar coincidences between St. Matthew and St. Luke, or between St. Mark and St. Luke. These passages taken as they occur in St. Mark, are as follows: Mark, xiv, 15, 19-20, 24-28, 31, 33-4, 37-40, 42, 44, 46, 50-2, 55-8, 60-4, xv, 3-8, 10, 16-20, 23-4, 29-30, 34-6, 40, 42. They have the character rather of expansions than of additions. Still some of them are of considerable importance, for instance, the mocking of Our Lord by the soldiers in the Prætorium, and the cry from the Cross, "My God, my God, why hast thou forsaken me?" Possibly this series also formed part of an original narrative omitted by St. Luke, who had a wealth of special information on the Passion. Another explanation would be that St. Mark expanded the original narrative, and that his work was then used by St. Matthew. The passages found in St. Mark alone are quite unimportant. The story of the young man who fled naked has very generally been felt to be a personal reminiscence. Mark alone speaks of the Temple as "made with hands", and he is also the only one to note that the false witnesses were not in agreement one with another. He mentions also that Simon the Cyrenian was "father of Alexander and of Rufus", no doubt because these names were well known to those for whom he was writing. Lastly, he is the only one who records the fact that Pilate asked for proof of the death of Christ. In St. Matthew's Gospel the peculiarities are more numerous and of a more distinctive character. Naturally in his Gospel, written for a Jewish circle of readers, there is insistence on the position of Jesus as the Christ. There are several fresh episodes possessing distinctive and marked characteristics. They include the washing of Pilate's hands, the dream of Pilate's wife, and the resurrection of the saints after the death of Christ, with the earthquake and the rending of the tombs. The special features by which St. Luke's passion narrative is distinguished are very numerous and important. Just as St. Matthew emphasizes the Messianic character, so St. Luke lays stress on the universal love manifested by our Lord, and sets forth the Passion as the great act by which the redemption of mankind was accomplished. He is the only one who records the statement of Pilate that he found no cause in Jesus; and also the examination before Herod. He alone tells us of the angel who came to strengthen Jesus in his agony in the garden, and, if the reading is right, of the drops of blood which mingled with the sweat which trickled down upon the ground. To St. Luke again we owe our knowledge of no less than three of the seven words from the Cross: the prayer for His murderers; the episode of the penitent thief; and the last utterance of all, "Father, into thy hands I commend my spirit". Finally it is St. Luke alone who tells us of the effect produced upon the spectators, who so short a time before had been so full of hatred, and how they returned home "striking their breasts".

The traditional character of the Fourth Gospel as having been written at a later date than the other three, and after they had become part of the religious possession of Christians generally, is entirely borne out by a study of the passion. Although almost all the details of the story are new, and the whole is drawn up on a plan owing nothing to the common basis of the Synoptists, yet a knowledge of what they had written is presupposed throughout, and is almost necessary before this later presentment of the Gospel can be fully understood. Most important events, fully related in the earlier Gospels, are altogether omitted in the Fourth, in a way which would be very perplexing had we not thus the key. For instance, there is no mention of the institution of the Holy Eucharist, the agony in the garden, or the trial and condemnation before Caiphas. On the other hand, we have a great number of facts not contained in the Synoptists. For instance, the eagerness of Pilate to release our Lord and his final yielding only to a definite threat from the Jewish leaders; the presence of our Lady at the foot of the Cross, and Jesus' last charge to her and to St. John. Most important of all perhaps, is the piercing of the side by the soldier's spear and the flowing forth of blood and water. It is St. John alone, again, who tells us of the order to break the legs of all, and that Jesus Christ's legs were not broken, because he was already dead.

There seems at first sight a discrepancy between the narrative of the Fourth Gospel and that of the Synoptists, namely, as to the exact day of the crucifixion, which involves the question whether the Last Supper was or was not, in the strict sense, the Paschal meal. If we had the Synoptists only we should almost certainly decide that it was, for they speak of preparing the Pasch, and give no hint that the meal which they describe was anything else. But St. John seems to labour to show that the Paschal meal itself was not to be eaten till the next day. He points out that the Jews would not enter the court of Pilate, because they feared pollution which might prevent them from eating the Pasch. He is so clear that we can hardly mistake his meaning, and certain passages in the Synoptists seem really to point in the same direction. Joseph, for instance, was able to buy the linen and the spices for the burial, which would not have been possible on the actual feast-day. Moreover, one passage, which at first sight seems strongest in the other direction, has quite another meaning when the reading is corrected. "With desire I have desired", said Jesus to His Apostles, "to eat this pasch with you, before I suffer. For I say to you, that from this time, I will not eat it, till it be fulfilled in the kingdom of God" (Luke 22:15). When the hour for it had fully come He would have been already dead, the type would have passed away, and the Kingdom of God would have already come.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XI, 1911, New York (http://www.newadvent.org/cathen/11530a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:20
Devotion to the Passion of Christ

The sufferings of Our Lord, which culminated in His death upon the cross, seem to have been conceived of as one inseparable whole from a very early period. Even in the Acts of the Apostles (i, 3) St. Luke speaks of those to whom Christ "shewed himself alive after his passion" (meta to mathein autou). In the Vulgate this has been rendered post passionem suam, and not only the Reims Testament but the Anglican Authorized and Revised Versions, as well as the medieval English translation attributed to Wyclif, have retained the word "passion" in English. Passio also meets us in the same sense in other early writings (e.g. Tertullian, "Adv. Marcion.", IV, 40) and the word was clearly in common use in the middle of the third century, as in Cyprian, Novatian, and Commodian. The last named writes:

"Hoc Deus hortatur, hoc lex, hoc passio Christi
Ut resurrecturos nos credamus in novo sæclo."

St. Paul declared, and we require no further evidence to convince us that he spoke truly, that Christ crucified was "unto the Jews indeed a stumbling-block, and unto the Gentiles foolishness" (1 Corinthians 1:23). The shock to Pagan feeling, caused by the ignominy of Christ's Passion and the seeming incompatibility of the Divine nature with a felon's death, seems not to have been without its effect upon the thought of Christians themselves. Hence, no doubt, arose that prolific growth of heretical Gnostic or Docetic sects, which denied the reality of the man Jesus Christ or of His sufferings. Hence also came the tendency in the early Christian centuries to depict the countenance of the Saviour as youthful, fair, and radiant, the very antithesis of the vir dolorum familiar to a later age (cf. Weis Libersdorf, "Christus-und Apostel-bilder", 31 sq.) and to dwell by preference not upon His sufferings but upon His works of mercifulness, as in the Good Shepherd motive, or upon His works of power, as in the raising of Lazarus or in the resurrection figured by the history of Jonas.

But while the existence of such a tendency to draw a veil over the physical side of the Passion may readily be admitted, it would be easy to exaggerate the effect produced upon Christian feeling in the early centuries by Pagan ways of thought. Harnack goes too far when he declares that the Death and Passion of Christ were regarded by the majority of the Greeks as too sacred a mystery to be made the subject of contemplation or speculation, and when he declares that the feeling of the early Greek Church is accurately represented in the following passage of Goethe: "We draw a veil over the sufferings of Christ, simply because we revere them so deeply. We hold if to be reprehensible presumption to play, and trifle with, and embellish those profound mysteries in which the Divine depths of suffering lie hidden, never to rest until even the noblest seems mean and tasteless" (Harnack, "History Of Dogma", tr., III, 306; cf. J. Reil, "Die frühchristlichen Darstellungen der Kreuzigung Christi", 5). On the other hand, while Harnack speaks with caution and restraint, other more popular writers give themselves to reckless generalizations such as may be illustrated by the following passage from Archdeacon Farrar: "The aspect", he says, "in which the early Christians viewed the cross was that of triumph and exultation, never that of moaning and misery. It was the emblem of victory and of rapture, not of blood or of anguish." (See "The Month", May, 1895, 89.) Of course it is true that down to the fifth century the specimens of Christian art that have been preserved to us in the catacombs and elsewhere, exhibit no traces of any sort of representation of the crucifixion. Even the simple cross is rarely found before the time of Constantine (see CROSS), and when the figure of the Divine Victim comes to be indicated, it at first appears most commonly under some symbolical form, e.g. that of a lamb, and there is no attempt as a rule to represent the crucifixion realistically. Again, the Christian literature which has survived, whether Greek or Latin, does not dwell upon the details of the Passion or very frequently fall back upon the motive of our Saviour's sufferings. The tragedy known as "Christus Patiens", which is printed with the works of St. Gregory Nazianzus and was formerly attributed to him, is almost certainly a work of much later date, probably not earlier than the eleventh century (see Krumbacher, "Byz. Lit.", 746).

In spite of all this it would be rash to infer that the Passion was not a favourite subject of contemplation for Christian ascetics. To begin with, the Apostolical writings preserved in the New Testament are far from leaving the sufferings of Christ in the background as a motive of Christian endeavour; take, for instance, the words of St. Peter (1 Peter 2:19, 21, 23): "For this is thankworthy, if for conscience towards God, a man endure sorrows, suffering wrongfully"; "For unto this are you called: because Christ also suffered for us, leaving you an example that you should follow his steps"; "Who, when he was reviled, did not revile", etc.; or again: "Christ therefore having suffered in the flesh, be you also armed with the same thought" (ibid., iv, 1). So St. Paul (Galatians 2:19): "with Christ I am nailed to the cross. And I live, now not I; but Christ liveth in me"; and (ibid., v, 24): "they that are Christ's, have crucified their flesh, with the vices and concupiscences" (cf. Colossians 1:24); and perhaps most strikingly of all (Galatians 6:14): "God forbid that I should glory, save in the cross of our Lord Jesus Christ; by whom the world is crucified to me, and I to the world." Seeing the great influence that the New Testament exercised from a very early period upon the leaders of Christian thought, it is impossible to believe that such passages did not leave their mark upon the devotional practice of the West, though it is easy to discover plausible reasons why this spirit should not have displayed itself more conspicuously in literature. It certainly manifested itself in the devotion of the martyrs who died in imitation of their Master, and in the spirit of martyrdom that characterized the early Church.

Further, we do actually find in such an Apostolic Father as St. Ignatius of Antioch, who, though a Syrian by birth, wrote in Greek and was in touch with Greek culture, a very continuous and practical remembrance of the Passion. After expressing in his letter to the Romans (cc. iv, ix) his desire to be martyred, and by enduring many forms of suffering to prove himself the true disciple of Jesus Christ, the saint continues: "Him I seek who dies on our behalf; Him I desire who rose again for our sake. The pangs of a new birth are upon me. Suffer me to receive the pure light. When I am come thither then shall I be a man. Permit me to be an imitator of the Passion of my God. If any man hath Him within himself, let him understand what I desire, and let him have fellow-feeling with me, for he knoweth the things which straiten me." And again he says in his letter to the Smyrnæans (c. iv): "near to the sword, near to God (i.e. Jesus Christ), in company with wild beasts, in company with God. Only let it be in the name of Jesus Christ. So that we may suffer together with Him" (eis to sympathein auto).

Moreover, taking the Syrian Church in general -- and rich as it was in the traditions of Jerusalem it was far from being an uninfluential part of Christendom -- we do find a pronounced and even emotional form of devotion to the Passion established at an early period. Already in the second century a fragment preserved to us of St. Melito of Sardis speaks as Father Faber might have spoken in modern times. Apostrophising the people of Israel, he says: "Thou slewest thy Lord and He was lifted up upon a tree and a tablet was fixed up to denote who He was that was put to death -- And who was this? -- Listen while ye tremble: -- He on whose account the earth quaked; He that suspended the earth was hanged up; He that fixed the heavens was fixed with nails; He that supported the earth was supported upon a tree; the Lord was exposed to ignominy with a naked body; God put to death; the King of Israel slain by an Israelitish right hand. Ah! the fresh wickedness of the fresh murder! The Lord was exposed with a naked body, He was not deemed worthy even of covering, but in order that He might not be seen, the lights were turned away, and the day became dark because they were slaying God, who was naked upon the tree" (Cureton, "Spicilegium Syriacum", 55).

No doubt the Syrian and Jewish temperament was an emotional temperament, and the tone of their literature may often remind us of the Celtic. But in any case it is certain that a most realistic presentation of Our Lord's sufferings found favour with the Fathers of the Syrian Church apparently from the beginning. It would be easy to make long quotations of this kind from the works of St. Ephraem, St. Isaac of Antioch, and St. James of Sarugh. Zingerle in the "Theologische Quartalschrift" (1870 and 1871) has collected many of the most striking passages from the last two writers. In all this literature we find a rather turgid Oriental imagination embroidering almost every detail of the history of the Passion. Christ's elevation upon the cross is likened by Isaac of Antioch to the action of the stork, which builds its nest upon the treetops to be safe from the insidious approach of the snake; while the crown of thorns suggests to him a wall with which the safe asylum of that nest is surrounded, protecting all the children of God who are gathered in the nest from the talons of the hawk or other winged foes (Zingerle, ibid., 1870, 108). Moreover St. Ephraem who wrote in the last quarter of the fourth century, is earlier in date and even more copious and realistic in his minute study of the physical details of the Passion. It is difficult to convey in a short quotation any true impression of the effect produced by the long-sustained note of lamentation, in which the orator and poet follows up his theme. In the Hymns on the Passion ("Ephraem Syri Hymni et Sermones," ed. Lamy, I) the writer moves like a devout pilgrim from scene to scene, and from object to object, finding everywhere new motives for tenderness and compassion, while the seven "Sermons for Holy Week" might both for their spirit and treatment have been penned by any medieval mystic. "Glory be to Him, how much he suffered!" is an exclamation which bursts from the preacher's lips from time to time. To illustrate the general tone, the following passage from a description of the scourging must suffice:

"After many vehement outcries against Pilate, the all-mighty One was scourged like the meanest criminal. Surely there must have been commotion and horror at the sight. Let the heavens and earth stand awestruck to behold Him who swayeth the rod of fire, Himself smitten with scourges, to behold Him who spread over the earth the veil of the skies and who set fast the foundations of the mountains, who poised the earth over the waters and sent down the blazing lightning-flash, now beaten by infamous wretches over a stone pillar that His own word had created. They, indeed, stretched out His limbs and outraged Him with mockeries. A man whom He had formed wielded the scourge. He who sustains all creatures with His might submitted His back to their stripes; He who is the Father's right arm yielded His own arms to be extended. The pillar of ignominy was embraced by Him who bears up and sustains the heaven and the earth in all their splendour" (Lamy, I, 511 sq.). The same strain is continued over several pages, and amongst other quaint fancies St. Ephraem remarks: "The very column must have quivered as if it were alive, the cold stone must have felt that the Master was bound to it who had given it its being. The column shuddered knowing that the Lord of all creatures was being scourged". And he adds, as a marvel, witnessed even in his own day, that the "column had contracted with fear beneath the Body of Christ".

In the devotional atmosphere represented by such contemplations as these, it is easy to comprehend the scenes of touching emotion depicted by the pilgrim lady of Galicia who visited Jerusalem (if Dr. Meester's protest may be safely neglected) towards the end of the fourth century. At Gethsemane she describes how "that passage of the Gospel is read where the Lord was apprehended, and when this passage has been read there is such a moaning and groaning of all the people, with weeping that the groans can be hear almost at the city. While during the three hours' ceremony on Good Friday from midday onwards we are told: "At the several lections and prayers there is such emotion displayed and lamentation of all the people as is wonderful to hear. For there is no one, great or small, who does not weep on that day during those three hours, in a way that cannot be imagined, that the Lord should have suffered such things for us" (Peregrinatio Sylviæ in "Itinera Hierosolymitana", ed. Geyer, 87, 89). It is difficult not to suppose that this example of the manner of honouring Our Saviour's Passion, which was traditional in the very scenes of those sufferings, did not produce a notable impression upon Western Europe. The lady from Galicia, whether we call her Sylvia, Ætheria, or Egeria, was but one of the vast crowd of pilgrims who streamed to Jerusalem from all parts of the world. The tone of St. Jerome (see for instance the letters of Paula and Eustochium to Marcella in A.D. 386; P.L., XXII, 491) is similar, and St. Jerome's words penetrated wherever the Latin language was spoken. An early Christian prayer, reproduced by Wessely (Les plus anciens mon. de Chris., 206), shows the same spirit.

We can hardly doubt that soon after the relics of the True Cross had been carried by devout worshippers into all Christian lands (we know the fact not only from the statement of St. Cyril of Jerusalem himself but also from inscriptions found in North Africa only a little later in date) that some ceremonial analogous to our modern "adoration" of the Cross upon Good Friday was introduced, in imitation of the similar veneration paid to the relic of the True Cross at Jerusalem. It was at this time too that the figure of the Crucified began to be depicted in Christian art, though for many centuries any attempt at a realistic presentment of the sufferings of Christ was almost unknown. Even in Gregory of Tours (De Gloria Mart.) a picture of Christ upon the cross seems to be treated as something of a novelty. Still such hymns as the "Pange lingua gloriosi prœlium certaminis", and the "Vexilla regis", both by Venantius Fortunatus (c. 570), clearly mark a growing tendency to dwell upon the Passion as a separate object of contemplation. The more or less dramatic recital of the Passion by three deacons representing the "Chronista", "Christus", and "Synagoga", in the Office of Holy Week probably originated at the same period, and not many centuries later we begin to find the narratives of the Passion in the Four Evangelists copied separately into books of devotion. This, for example, is the case in the ninth-century English collection known as "the Book of Cerne". An eighth century collection of devotions (manuscript Harley 2965) contains pages connected with the incidents of the Passion. In the tenth century the Cursus of the Holy Cross was added to the monastic Office (see Bishop, "Origin of the Prymer", p. xxvii, n.).

Still more striking in its revelation of the developments of devotional imagination is the existence of such a vernacular poem as Cynewulf's "Dream of the Rood", in which the tree of the cross is conceived of as telling its own story. A portion of this Anglo-Saxon poem still stands engraved in runic letters upon the celebrated Ruthwell Cross in Dumfriesshire, Scotland. The italicized lines in the following represent portions of the poem which can still be read upon the stone:


I had power all
his foes to fell,
but yet I stood fast.
Then the young hero prepared himself,
That was Almighty God,
Strong and firm of mood,
he mounted the lofty cross
courageously in the sight of many,
when he willed to redeem mankind.
I trembled when the hero embraced me,
yet dared I not bow down to earth,
fall to the bosom of the ground,
but I was compelled to stand fast,
a cross was I reared,
I raised the powerful King
The lord of the heavens,
I dared not fall down.
They pierced me with dark nails,
on me are the wounds visible.

Still it was not until the time of St. Bernard and St. Francis of Assisi that the full developments of Christian devotion to the Passion were reached. It seems highly probable that this was an indirect result of the preaching of the Crusades, and the consequent awakening of the minds of the faithful to a deeper realization of all the sacred memories represented by Calvary and the Holy Sepulchre. When Jerusalem was recaptured by the Saracens in 1187, worthy Abbot Samson of Bury St. Edmunds was so deeply moved that he put on haircloth and renounced flesh meat from that day forth -- and this was not a solitary case, as the enthusiasm evoked by the Crusades conclusively shows.

Under any circumstances it is noteworthy that the first recorded instance of stigmata (if we leave out of account the doubtful case of St. Paul) was that of St. Francis of Assisi. Since his time there have been over 320 similar manifestations which have reasonable claims to be considered genuine (Poulain, "Graces of Interior Prayer", tr., 175). Whether we regard these as being wholly supernatural or partly natural in their origin, the comparative frequency of the phenomenon seems to point to a new attitude of Catholic mysticism in regard to the Passion of Christ, which has only established itself since the beginning of the thirteenth century. The testimony of art points to a similar conclusion. It was only at about this same period that realistic and sometimes extravagantly contorted crucifixes met with any general favour. The people, of course, lagged far behind the mystics and the religious orders, but they followed in their wake; and in the fourteenth and fifteenth centuries we have innumerable illustrations of the adoption by the laity of new practices of piety to honour Our Lord's Passion. One of the most fruitful and practical was that type of spiritual pilgrimage to the Holy Places of Jerusalem, which eventually crystalized into what is now known to us as the "Way of the Cross". The "Seven Falls" and the "Seven Bloodsheddings" of Christ may be regarded as variants of this form of devotion. How truly genuine was the piety evoked in an actual pilgrimage to the Holy Land is made very clear, among other documents, by the narrative of the journeys of the Dominican Felix Fabri at the close of the fifteenth century, and the immense labour taken to obtain exact measurements shows how deeply men's hearts were stirred by even a counterfeit pilgrimage. Equally to this period belong both the popularity of the Little Offices of the Cross and "De Passione", which are found in so many of the Horæ, manuscript and printed, and also the introduction of new Masses in honour of the Passion, such for example as those which are now almost universally celebrated upon the Fridays of Lent. Lastly, an inspection of the prayer-books compiled towards the close of the Middle Ages for the use of the laity, such as the "Horæ Beatæ Mariæ Virginis", the "Hortulus Animæ", the "Paradisus Animæ" etc., shows the existence of an immense number of prayers either connected with incidents in the Passion or addressed to Jesus Christ upon the Cross. The best known of these perhaps were the fifteen prayers attributed to St. Bridget, and described most commonly in English as "the Fifteen O's", from the exclamation with which each began.

In modern times a vast literature, and also a hymnology, has grown up relating directly to the Passion of Christ. Many of the innumerable works produced in the sixteenth, seventeenth, and eighteenth centuries have now been completely forgotten, though some books like the medieval "Life of Christ" by the Carthusian Ludolphus of Saxony, the "Sufferings of Christ" by Father Thomas of Jesus, the Carmelite Guevara's "Mount of Calvary", or "The Passion of Our Lord" by Father de La Palma, S.J., are still read. Though such writers as Justus Lipsius and Father Gretser, S.J., at the end of the sixteenth century, and Dom Calmet, O.S.B., in the eighteenth, did much to illustrate the history of the Passion from historical sources, the general tendency of all devotional literature was to ignore such means of information as were provided by archæology and science, and to turn rather to the revelations of the mystics to supplement the Gospel records.

Amongst these, the Revelations of St. Bridget of Sweden, of Maria Agreda, of Marina de Escobar and, in comparatively recent times, of Anne Catherine Emmerich are the most famous. Within the last fifty years, however, there has been a reaction against this procedure, a reaction due probably to the fact that so many of these revelations plainly contradict each other, for example on the question whether the right or left shoulder of Our Lord was wounded by the weight of the cross, or whether Our Saviour was nailed to the cross standing or lying. In the best modern lives of Our Saviour, such as those of Didon, Fouard, and Le Camus, every use is made of subsidiary sources of information, not neglecting even the Talmud. The work of Père Ollivier, "The Passion" (tr., 1905), follows the same course, but in many widely-read devotional works upon this subject, for example: Faber, "The Foot of the Cross"; Gallwey, "The Watches of the Passion"; Coleridge, "Passiontide" etc.; Groenings, "Hist. of the Passion" (Eng. tr); Belser, D'Gesch. d. Leidens d. Hernn; Grimm, "Leidengeschichte Christi", the writers seem to have judged that historical or critical research was inconsistent with the ascetical purpose of their works.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XI, 1911, New York (http://www.newadvent.org/cathen/11530a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:23
The Last Supper

The meal held by Christ and His disciples on the eve of His Passion at which He instituted the Holy Eucharist.

TIME

The Evangelists and critics generally agree that the Last Supper was on a Thursday, that Christ suffered and died on Friday, and that He arose from the dead on Sunday. As to the day of the month there seems a difference between the record of the synoptic Gospels and that of St. John. In consequence some critics have rejected the authenticity of either account or of both. Since Christians, accepting the inspiration of the Scriptures, cannot admit contradictions in the sacred writers, various attempts have been made to reconcile the statements. Matthew 26:17 says, "And on the first day of the Azymes"; Mark 14:12, "Now on the first day of the unleavened bread, when they sacrificed the pasch"; Luke 22:7, "And the day of the unleavened bread came, on which it was necessary that the pasch should be killed". From these passages it seems to follow that Jesus and his disciples conformed to the ordinary custom, that the Last Supper took place on the 14th of Nisan, and that the Crucifixion was on the l5th, the great festival of the Jews. This opinion, held by Tolet, Cornelius a Lapide, Patrizi, Corluy, Hengstenberg, Ohlshausen, and Tholuck, is confirmed by the custom of the early Eastern Church which, looking to the day of the month, celebrated the commemoration of the Lord's Last Supper on the 14th of Nisan, without paying any attention to the day of the week. This was done in conformity with the teaching of St. John the Evangelist. But in his Gospel, St. John seems to indicate that Friday was the 14th of Nisan, for (18:28) on the morning of this day the Jews "went not into the hall, that they might not be defiled, but that they might eat the pasch". Various things were done on this Friday which could not be done on a feast, viz., Christ is arrested, tried, crucified; His body is taken down" (because it was the parasceve) that the bodies might not remain upon the cross on the sabbath day (for that was a great sabbath day)"; the shroud and ointments are bought, and so on.

The defenders of this opinion claim that there is only an apparent contradiction and that the differing statements may be reconciled. For the Jews calculated their festivals and Sabbaths from sunset to sunset: thus the Sabbath began after sunset on Friday and ended at sunset on Saturday. This style is employed by the synoptic Gospels, while St. John, writing about twenty-six years after the destruction of Jerusalem, when Jewish law and customs no longer prevailed, may well have used the Roman method of computing time from midnight to midnight. The word pasch does not exclusively apply to the paschal lamb on the eve of the feast, but is used in the Scriptures and in the Talmud in a wider sense for the entire festivity, including the chagigah; any legal defilement could have been removed by the evening ablutions; trials, and even executions and many servile works, though forbidden on the Sabbath, were not forbidden on feasts (Numbers 28:16; Deuteronomy 16:23). The word parasceve may denote the preparation for any Sabbath and may be the common designation for any Friday, and its connexion with pasch need not mean preparation for the Passover but Friday of the Passover season and hence this Sabbath was a great Sabbath. Moreover it seems quite certain that if St. John intended to give a different date from that given by the Synoptics and sanctioned by the custom of his own Church at Ephesus, he would have said so expressly. Others accept the apparent statement of St. John that the Last Supper was on the 13th of Nisan and try to reconcile the account of the Synoptics. To this class belong Paul of Burgos, Maldonatus, Pétau, Hardouin, Tillemont, and others. Peter of Alexandria (P.G., XCII, 78) says: "In previous years Jesus had kept the Passover and eaten the paschal lamb, but on the day before He suffered as the true Paschal Lamb He taught His disciples the mystery of the type." Others say: Since the Pasch, falling that year on a Friday, was reckoned as a Sabbath, the Jews, to avoid the inconvenience of two successive Sabbaths, had postponed the Passover for a day, and Jesus adhered to the day fixed by law; others think that Jesus anticipated the celebration, knowing that the proper time He would be in the grave.

PLACE

The owner of the house in which was the upper room of the Last Supper is not mentioned in Scripture; but he must have been one of the disciples, since Christ bids Peter and John say, "The Master says". Some say it was Nicodemus, or Joseph of Arimathea, or the mother of John Mark. The hall was large and furnished as a dining-room. In it Christ showed Himself after His Resurrection; here took place the election of Matthias to the Apostolate and the sending of the Holy Ghost; here the first Christians assembled for the breaking of bread; hither Peter and John came when they had given testimony after the cure of the man born lame, and Peter after his liberation from prison; here perhaps was the council of the Apostles held. It was for awhile the only church in Jerusalem, the mother of all churches, known as the Church of the Apostles or of Sion. It was visited in 404 by St. Paula of Rome. In the eleventh century it was destroyed by the Saracens, later rebuilt and given to the care of the Augustinians. Restored after a second destruction, it was placed in charge of the Franciscans, who were driven out in 1561. At present it is a Moslem mosque.

SEQUENCE OF EVENTS

Some critics give the following harmonized order: washing of the feet of the Apostles, prediction of the betrayal and departure of Judas, institution of the Holy Eucharist. Others, believing that Judas made a sacrilegious communion, place the institution of the sacrament before the departure of Judas.

IN ART

The Last Supper has been a favourite subject. In the catacombs we find representations of meals giving at least an idea of the surroundings of an ancient dining hall. Of the sixth century we have a bas-relief in the church at Monza in Italy, a picture in a Syrian codex of the Laurentian Library at Florence, and a mosaic in S. Apollmare Nuovo at Ravenna. One of the most popular pictures is that of Leonardo da Vinci in Santa Maria delle Grazie, Milan. Among the modern school of German artists, the Last Supper of Gebhardt is regarded as a masterpiece.

Bibliography

FOUARD, The Christ, the Son of God, tr. GRIFFITH, II (London, 1895), 386; MADAME CECILIA, Cath. Scripture Manuals; St. Matthew, II, 197; The Expository Times, XX (Edinburgh, 1909), 514; Theolog. praktische Quartalschrift (1877), 425; LANGEN, Die letzten Lebenstage Jesu (Freiburg, 1864), 27; KRAUS, Gesch. der chr. Kunst, s. v. Abendmahl; Stimmen aus Maria Laach, XLIX, 146; CHWOLSON in Mém. de l'Acad. impér. des Sciences de St. Pétersbourg, 7th ser., XLI, p. 37; VIGOUROUX, Dict. de la Bible (Paris, 1899), s. vv. Cène; Cénacle, where a full bibliography may be found.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIV, 1912, New York (http://www.newadvent.org/cathen/14341a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:25
Paschal Lamb

A lamb which the Israelites were commanded to eat with peculiar rites as a part of the Passover celebration. The Divine ordinance is first recorded in Exodus, xii, 3-11, where Yahweh is represented as giving instructions to Moses to preserve the Hebrews from the last of the plagues inflicted upon the Egyptians, viz. the death of the firstborn. On the tenth day of the first month each family (or group of families, if they are small) is commanded to take a lamb without blemish, male, of one year, and keep it until the fourteenth day of the month, and sacrifice it in the evening. The blood of the lamb must be sprinkled on the transom and doorposts of the houses in which the paschal meal is taken. The lamb should be roasted and eaten with unleavened bread and wild lettuce.

The whole of the lamb must be consumed -- head, feet, and entrails -- and if any thing remain of it until morning it must be burned with fire. The Israelites are commanded to eat the meal in haste, with girded loins, shoes on their feet, and staves in their hands "for it is the Phase (that is, Passage) of the Lord." The blood of the lamb on the doorposts served as a sign of immunity or protection against the destroying hand of the Lord, who smote in one night all the first-born in the land of Egypt, both man and beast. This ordinance is repeated in abridged form in Numbers xix, 11, 12, and again in Deuteronomy, xvi, 2-6, where sheep and oxen are mentioned instead of the lamb.

That the Paschal Lamb prefigured symbolically Christ, "the Lamb of God", who redeemed the world by the shedding of His blood, and particularly the Eucharistic banquet, or new Passover, has always remained the constant belief of Christian tradition.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VIII, 1910, New York (http://www.newadvent.org/cathen/08755a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:35
Agony of Christ

(From agonia, a struggle; particularly, in profane literature, the physical struggle of athletes in the arena, or the mental excitement previous to the conflict).

The word is used only once in Sacred Scripture (Luke 22:43) to designate the anguish of Our Lord in the Garden of Gethsemani. The incident is narrated also in St. Matthew (26:36-46) and St. Mark (14:32-42); but it is remarkable that only St. Luke mentions the details of the sweat of blood and the visitation of the angel. The authenticity of the verses narrating these details (43-44) has been called in question, because of their absence, not only from the text of the other synoptists, but even from that of St. Luke in several of the ancient codices (notably 1/1a -- the revised Sinaiticus -- A., B., et al.). The presence of the verses, however, in the majority of the manuscripts, both uncial and cursive, has sufficed to warrant their being retained in the critical editions of the New Testament. Their acceptance by such scholars as Tischendorf, Hammond, and Scrivener, seems to place the question of their authenticity beyond controversy. The "sweat of blood" is understood literally by almost all Catholic exegetes; and medical testimony has been alleged in evidence of the fact that such a phenomenon (haematodrosis), though rare and abnormal, is neither impossible nor preternatural.

Bibliography

DURAND, VACANT, BARABAN, composite article in VACANT, Dict. de theol. cath., s.v. Agonie du Christ.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. I, 1907, New York (http://www.newadvent.org/cathen/01224a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:36
Gethsemani

Gethsemani (Hebrew gat, press, and semen, oil) is the place in which Jesus Christ suffered the Agony and was taken prisoner by the Jews. Saint Mark (xiv, 32) calls it chorion, a "a place" or "estate"; St. John (xviii, 1) speaks of it as kepos, a "garden" or "orchard". In the East, a field shaded by numerous fruit trees and surrounded by a wall of loose stone or a quickset hedge forms the el bostan, the garden. The name "oil-press" is sufficient indication that it was planted especially with olive trees. According to the Greek version and others, St. Mathew (xxvi, 36) designates Gethsemani by a term equivalent to that used by St. Mark. The Vulgate renders chorion by the word villa, but there is no reason to suppose that there was a residence there. St. Luke (xxii, 39) refers to it as "the Mount of Olives", and St. John (xviii, 1) speaks of it as being "over the brook Cedron". According to St. Mark, the Savior was in the habit of retiring to this place; and St. John writes: Judas also, who betrayed him, knew the place; because Jesus had often resorted thither together with his disciples".

A place so memorable, to which all the Evangelists direct attention, was not lost sight of by the early Christians. In his "Onomasticon," Eusebius of Caesarea says that Gethsemani is situated "at the foot of the Mount of Olives", and he adds that "the faithful were accustomed to go there to pray". In 333 the Pilgrim of Bordeaux visited the place, arriving by the road which climbs to the summit of the mountain, i.e. beyond the bridge across the valley of Josaphat. In the time of the Jews, the bridge which spanned the torrent of Cedron occupied nearly the same place as one which is seen there today, as is testified by the ancient staircase cut in the rock, which on one side came down from the town and on the other wound to the top of the mountain. Petronius, Bishop of Bologna (c. 420), and Sophronius, Patriarch of Jerusalem, speak of this immense staircase and two other pilgrims counted the steps. Traces of it are still to be seen on the side towards the city, and numerous steps, very large and well-preserved, have been discovered above the present Garden of Gathsemani. The Pilgrim of Bordeaux notes "to the left, among the vines, the stone where Judas Iscariot betrayed Christ". In translating the "Onomasticon" of Eusebius, St. Jerome adds to the article Gethsemani the statement that "a church is now built there" (Onomasticon, ed. Klostermann, p. 75). St. Sylvia of Aquitania (385-388) relates that on Holy Thursday the procession coming down from the Mount of Olives made a station at "the beautiful church" built on the spot where Jesus underwent the Agony. "From there", she adds, "they descend to Gethsemani where Christ was taken prisoner" (S. Silviae Aquit. Peregr., ed. Gamurrini, 1888, pp. 62-63). This church, remarkable for its beautiful columns (Theophanes, Chronogr. ad an. 682), was destroyed by the Persians in 614; rebuilt by the Crusaders, and finally razed, probably in 1219. Arculf (c. 670), St. Willibald (723), Daniel the Russian (1106), and John of Wurzburg (1165) mention the Church of the Agony. The foundations have recently been discovered at the place indicated by them, i.e. at a very short distance from the south-east corner of the present Garden of Gethsemani.

A fragmentary account of a pilgrimage in the fourth century, preserved by Peter the Deacon (1037), mentions "a grotto at the place where the Jews the Savior captive". According to the tradition it was in this grotto that Christ was wont to take refuge with his disciples to pass the night. It was also memorable for a supper and a washing of the feet which, according to the same tradition, took place there. Eutychius, Patriarch of Constantinople (d. 583), says in one of his sermons that the Church commemorates three suppers. "The first repast", he says, "together with the purification, took place at Gethsemani on the Sabbath day, the first day, i.e. when Sunday was already begun. That is why we then celebrate the vigil" (P. G., LXXXVI, 2392). The second supper was that of Bethany, and the third was that was that of Holy Thursday at which was instituted the Holy Eucharist. Theodosius (c. 530) describes this grotto in these terms: "There is situated the basilica of Holy Mary, Mother of God, with her sepulchre. There is also the place where the Lord supped with his disciples. There he washed their feet. There are to be seen four benches where Our Lord reclined in the midst of His Apostles. Each bench can seat three persons. There also Judas betrayed the Saviour. Some persons, when they visit this spot, through devotion partake of some refreshment, but no meat. They light torches because the place is in a grotto". Antonius of Plaisance (570), Arculf, Epiphanius the Hagiopolite, and others make mention of the well known pasch of which the grotto of Gethsemani was witness. In the Church of the Agony the stone was preserved on which, according to tradition, Jesus knelt during His Agony. It is related by the Arculf that, after the destruction of the church by the Persians, the stone was removed to the grotto and there venerated. In 1165 John of Wurzburg found it still preserved at this spot, and there is yet to be seen on the ceiling of the grotto an inscription concerning it. In the fourteenth century the pilgrims, led astray by the presence of the stone and the inscription, mistakenly called this sanctuary the Grotto of the Agony.

In ancient times the grotto opened to the south. The surrounding soil being raised considerably by earth carried down the mountain by the rains, a new entrance has been made on the north-west side. The rocky ceiling is supported by six pillars, of which three are in masonry, and, since the sixth century, has been pierced by a sort of skylight which admits a little light. The grotto, which is irregular in form, is, in round numbers, 56 feet long, 30 feet wide, and 12 feet high in its largest dimentions. It is adorned with four altars, but of the pictures which formerly covered the walls, and of the mosaic floor, traces only can be found. At a distance of about 130 feet to the south of the grotto is the Garden of Gethsamani, a quadrangular-shaped enclosure which measures about 195 feet on each side. Here are seven olive trees, the largest of which is about 26 feet in circumference. If they were not found there in the time of Christ they are at least the offshoots of those which witnessed His Agony. With the aid of historical documents it has been established that these same trees were already in existence in the seventh century. To the east of the garden there is a rocky mass regarded as the traditional spot where the three Apostles waited. A stone's throw to the south, the stump of a column fitted in a wall pointed out to the native Christians the place where Jesus prayed on the eve of his Passion. The foundations of the ancient Church of the Agony were discovered behind this wall.

Fonte: [I]The Catholic Encyclopedia, vol. VI, 1909, New York (http://www.newadvent.org/cathen/06540a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:40
Maundy Thursday

The feast of Maundy (or Holy) Thursday solemnly commemorates the institution of the Eucharist and is the oldest of the observances peculiar to Holy Week. In Rome various accessory ceremonies were early added to this commemoration, namely the consecration of the holy oils and the reconciliation of penitents, ceremonies obviously practical in character and readily explained by the proximity of the Christian Easter and the necessity of preparing for it. Holy Thursday could not but be a day of liturgical reunion since, in the cycle of movable feasts, it brings around the anniversary of the institution of the Liturgy. On that day, whilst the preparation of candidates was being completed, the Church celebrated the Missa chrismalis of which we have already described the rite (see HOLY OILS) and, moreover, proceeded to the reconciliation of penitents. In Rome everything was carried on in daylight, whereas in Africa on Holy Thursday the Eucharist was celebrated after the evening meal, in view of more exact conformity with the circumstances of the Last Supper. Canon 24 of the Council of Carthage dispenses the faithful from fast before communion on Holy Thursday, because, on that day, it was customary take a bath, and the bath and fast were considered incompatible. St. Augustine, too, speaks of this custom (Ep. cxviii ad Januarium, n. 7); he even says that as certain persons did not fast on that day, the oblation was made twice, morning and evening, and in this way those who did not observe the fast could partake of the Eucharist after the morning meal, whilst those who fasted awaited the evening repast.

Holy Thursday was taken up with a succession of ceremonies of a joyful character. the baptism of neophytes, the reconciliation of penitents, the consecration of the holy oils, the washing of the feet, and commemoration of the Blessed Eucharist, and because of all these ceremonies, the day received different names, all of which allude to one or another of solemnities.

Redditio symboli was so called because, before being admitted to baptism, the catechumens had to recite the creed from memory, either in the presence of the bishop or his representative.

Pedilavium (washing of the feet), traces of which are found in the most ancient rites, occurred in many churches on Holy Thursday, the capitilavium (washing of the head) having taken place on Palm Sunday (St. Augustine, "Ep. cxviii, cxix", e. 18).

Exomologesis, and reconciliation of penitents: letter of Pope Innocent I to Decentius of Gubbio, testifies that in Rome it was customary "quinta feria Pascha" to absolve penitents from their mortal and venial sins, except in cases of serious illness which kept them away from church (Labbe, "Concilia" II, col. 1247; St. Ambrose, "Ep. xxxiii ad Marcellinam"). The penitents heard the Missa pro reconciliatione paenitentium, and absolution was given them before the offertory. The "Sacramentary" of Pope Gelasius contains an Ordo agentibus publicam poenitentiam (Muratori, "Liturgia romana vetus", I, 548-551).

Olei exorcizati confectio. In the fifth century the custom was established of consecrating on Holy Thursday all the chrism necessary for the anointing of the newly baptized. The "Comes Hieronymi", the Gregorian and Gelasian sacramentaries and the "Missa ambrosiana" of Pamelius, all agree upon the confection of the chrism on that day, as does also the "Ordo romanus I".

Anniversarium Eucharistiae. The nocturnal celebration and the double oblation early became the object of increasing disfavour, until in 692 the Council of Trullo promulgated a formal prohibition. The Eucharistic celebration then took place in the morning, and the bishop reserved a part of the sacred species for the communion of the morrow, Missa praesanctificatorum (Muratori, "Liturg. rom. Vetus", II, 993).

Other observances. On Holy Thursday the ringing of bells ceases, the altar is stripped after vespers, and the night office is celebrated under the name of Tenebræ.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. X, 1911, New York (http://www.newadvent.org/cathen/10068a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:41
Tenebræ

Tenebræ is the name given to the service of Matins and Lauds belonging to the last three days of Holy Week. This service, as the "Cæremoniale episcoporum" expressly directs, is to be anticipated and it should be sung shortly after Compline "about the twenty-first hour", i.e. about three p.m. on the eve of the day to which it belongs. "On the three days before Easter", says Benedict XIV (Institut., 24), "Lauds follow immediately on Matins, which in this occasion terminate with the close of day, in order to signify the setting of the Sun of Justice and the darkness of the Jewish people who knew not our Lord and condemned Him to the gibbet of the cross." Originally Matins on these days, like Matins at all other seasons of the year, were sung shortly after midnight, and consequently if the lights were extinguished the darkness was complete. That this putting out of lights dates from the fifth century, so far at least as regards the night Office, is highly probable. Both in the first Ordo Romanus and in the Ordo of St. Amand published by Duchesne a great point is made of the gradual extinction of the lights during the Friday Matins; though it would seem that in this earliest period the Matins and Lauds of the Thursday were sung throughout with the church brightly illuminated (ecclesia omni lumine decoretur). On Friday the candles and lamps were gradually extinguished during the three Nocturns, while on Saturday the church was in darkness from beginning to end, save that a single candle was kept near the lectern to read by.

All this suggests, as Kutschker has remarked, that the Office of these three days was treated as a sort of funeral service, or dirge, commemorating the death of Jesus Christ. It is natural also that, since Christ by convention was regarded as having lain three days and three nights in the tomb, these obsequies should have come in the end to be celebrated on each of the three separate occasions with the same demonstrations of mourning. There can be no reasonable doubt that it was from the extinguishing of lights that the service came to be known as Tenebræ, though the name itself seems to have arisen somewhat later. The liturgist de Vert has suggested an utilitarian explanation of the putting out of the candles one by one, contending that the gradual approach of the dawn rendered the same number of lights unnecessary, and that the number was consequently diminished as the service drew to a close. This view seems sufficiently refuted by the fact that this method of gradual extinction is mentioned by the first Ordo Romanus on the Friday only. On the Saturday we are explicitly told that the lights were not lit. Moreover, as pointed out under HOLY WEEK, the tone of the whole Office, which seems hardly to have varied in any respect from that now heard in our churches, is most noticeably mournful--the lessons taken from the Lamentations of Jeremias, the omission of the Gloria Patri, of the Te Deum, and of blessings etc., all suggest a service cognate to the Vigiliæ Mortuorum, just as the brilliant illumination of the Easter eve spoke of triumph and of joy, so the darkness of the preceding night's services seems to have been designedly chosen to mark the Church's desolation. In any case it is to be noticed that the Office of these three days has been treated by liturgical reformers throughout the ages with scrupulous respect. The lessons from Jeremias in the first Nocturn, from the Commentaries of St. Augustine upon the Psalms in the second, and from the Epistles of St. Paul in the third remain now as when we first hear of them in the eighth century.

The Benedictine Order, who normally have their own arrangement of psalms and nocturns, differing from the Roman, on these three days conform to the ordinary Roman practice. Even the shifting of the hour from midnight to the previous afternoon, when no real darkness can be secured, seems to have been prompted by the desire to render these sublime Offices more accessible to clergy and laity. Already in the thirteenth century it seems probable that at Rome Tenebræ began at four or five o'clock on the Wednesday (see Ord. Rom., xiv, 82, and Ord. Rom., xv, 62). Despite the general uniformity of this service throughout the Western Church, there was also a certain diversity of usage in some details, more particularly, in the number of candles which stood in the Tenebræ hearse, and in some accretions which, especially in the Sarum Use, marked the termination of the service. With regard to the candles Durandus speaks of as many as seventy-two being used in some churches and as few as nine or seven in others. In England the Sarum Ordinal prescribed twenty-four, and this was the general number in this country, variously explained as symbolizing the twenty-four hours of the day, or the twelve Apostles with the twelve Prophets. A twenty-fifth candle was allowed to remain lighted and hidden, as is done at the present day, behind the altar, when all the others had been gradually extinguished. At present, the rubrics of the "Ceremoniale," etc., prescribe the use of fifteen candles. The noise made at the end of Tenebræ undoubtedly had its origin in the signal given by the master of ceremonies for the return of the ministers to the sacristy. A number of the earlier Ceremoniales and Ordines are explicit on this point. But at a later date others lent their aid in making this knocking. For example Patricius Piccolomini says: "The prayer being ended the master of ceremonies begins to beat with his hand upon the altar step or upon some bench, and all to some extent make a noise and clatter." This was afterwards symbolically interpreted to represent the convulsion of nature which followed the death of Jesus Christ.

Bibliography

KUTSCHKER, Die heiligen Gebräuche (Vienna, 1843); CATALANI, Comment. in cæremoniale episcoporum, II (Rome, 1744), 241-50; MARTENE, De antiquis ecclesiæ ritibus, III (Venice, 1788), 81-82; and IV, 122-24; THURSTON, Lent and Holy Week (London, 1904).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XIV, 1912, New York (http://www.newadvent.org/cathen/14506a.htm)

Augustinus
20-03-08, 15:45
Washing of Feet and Hands

Owing to the general use of sandals in Eastern countries the washing of the feet was almost everywhere recognized from the earliest times as a duty of courtesy to be shown to guests (Genesis 18:4, 19:2; Luke 7:44, etc.). The action of Christ after the Last Supper (John 13:1-15) must also have invested it with a deep religious significance, and in fact down to the time of St. Bernard we find ecclesiastical writers, at least occasionally, applying to this ceremony the term Sacramentum in its wider sense, by which they no doubt meant that it possessed the virtue of what we now call a sacramental. Christ's command to wash one another's feet must have been understood from the beginning in a literal sense, for St. Paul (1 Timothy 5:10) implies that a widow to be honoured and consecrated in the Church should be one "having testimony for her good works, if she have received to harbour, if she have washed the saints' feet". This tradition, we may believe, has never been interrupted, though the evidence in the early centuries is scattered and fitful. For example the Council of Elvira (A.D. 300) in canon xlviii directs that the feet of those about to be baptized are not to be washed by priests but presumably by clerics or at least lay persons. This practice of washing the feet at baptism was long maintained in Gaul, Milan, and Ireland, but it was not apparently known in Rome or in the East. In Africa the nexus between this ceremony and baptism became so close that there seemed danger of its being mistaken for an integral part of the rite of baptism itself (Augustine, Ep. LV, "Ad Jan.", n. 33). Hence the washing of the feet was in many places assigned to another day than that on which the baptism took place. In the religious orders the ceremony found favour as a practice of charity and humility. The Rule of St. Benedict directs that it should be performed every Saturday for all the community by him who exercised the office of cook for the week; while it was also enjoined that the abbot and the brethren were to wash the feet of those who were received as guests. The act was a religious one and was to be accompanied by prayers and psalmody, "for in our guests Christ Himself is honoured and receive". The liturgical washing of feet (if we can trust the negative evidence of our early records) seems only to have established itself in East and West at a comparatively late date. In 694 the Seventeenth Synod of Toledo commanded all bishops and priests in a position of superiority under pain of excommunication to wash the feet of those subject to them. The matter is also discussed by Amalarius and other liturgists of the ninth century. Whether the custom of holiding this "maundy" (from "Mandatum novum do vobis", the first words of the initial Antiphon) on Maundy Thursday, developed out of the baptismal practice originally attached to that day does not seem quite clear, but it soon became an universal custom in cathedral and collegiate churches. In the latter half of the twelfth century the pope washed the feet of twelve sub-deacons after his Mass and of thirteen poor men after his dinner. The "Caeremoniale episcoporum" directs that the bishop is to wash the feet either of thirteen poor men or of thirteen of his canons. The prelate and his assistants are vested and the Gospel "Ante diem festum paschae" is ceremonially sung with incense and lights at the beginning of the function. Most of the sovereigns of Europe used also formerly to perform the maundy. The custom is still retained at the Austrian and Spanish courts.

The liturgical washing of hands has already been treated in the article LAVABO. It may be noted that possibly in consequence of the words of St. Paul (1 Timothy 2:8): "I will therefore that men pray in every place, lifting up pure hands", the early Christians made it a rule to wash their hands even before private prayer, as many passages of the Fathers attest (e.g. Tertullian, "Apolog.", xxxix; "De Orat.", xiii). The multiplied washings in a pontifical Mass probably bear witness to the practice of an earlier age. Let us notice also that the "Caeremoniale episcoporum" enjoins the use of the credenza or tasting as a precaution against poison even for the water used in the washing of hands.

Bibliography

THALHOFER in Kirchenlexikon, s. vv. Fuss-washung: Handwaschung; Carrol, Dict. d'archeol. et lit., s. v. Ablutions; THURSTON, Lent and Holy Week (London, 1904), 304 sq.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XV, 1912, New York (http://www.newadvent.org/cathen/15557b.htm)

Augustinus
20-03-08, 17:24
http://img150.imageshack.us/img150/535/83ba2de110816be2ba246b8gt8.jpg http://jesusandmary.info/images/last_supper_t.jpg http://img150.imageshack.us/img150/6859/passion13aiq9.jpg Carl H. Bloch, L'ultima cena, XIX sec.

http://img301.imageshack.us/img301/3846/4c5bafc969c9d1e32ef4b17ke2.jpg Sconosciuto, stampa dell'Ultima Cena, XIX sec.

Augustinus
20-03-08, 17:39
http://img329.imageshack.us/img329/1704/passion3bhv8.jpg

http://img229.imageshack.us/img229/3775/passion13bhj2.jpg

Augustinus
20-03-08, 22:48
http://img233.imageshack.us/img233/4933/11gx5.jpg http://www.tate.org.uk/collection/N/N01/N01394_9.jpg http://www.catholictradition.org/Passion/passion-g14.jpg Ford Madox Brown, Gesù lava i piedi a Pietro ed agli altri apostoli, 1852-56, Tate Gallery, Londra

http://www.catholictradition.org/Passion/passion-g15.jpg Pieter Pauwel Rubens, Lavanda dei piedi, 1632

http://www.wels.net/wmc/Downloads/206.gif

Augustinus
20-03-08, 23:08
http://farm2.static.flickr.com/1406/1273871081_463112ce91_b.jpg Agonia nel Giardino del Gethsemani, Basilica del Rosario, Lourdes

Holuxar
13-04-17, 18:15
13 aprile 2017: Sant'Ermenegildo, martire; Giovedì Santo (istituzione del Sacerdozio cattolico e dell'Eucaristia)...



"Giovedì santo"
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico (http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#PASS)
http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#PASS



Catechismo di San Pio X - La Settimana Santa - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/catechismo-san-pio-x-la-settimana-santa/)
http://www.sodalitium.biz/catechismo-san-pio-x-la-settimana-santa/

Giovedì Santo - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo/)
http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo/
“13 aprile 2017, Giovedì Santo.
Preghiera di Pio XII per la santificazione dei Sacerdoti.
O Gesù, Pontefice eterno, Pastor buono, Fonte di vita, che per singolare munificenza del tuo dolcissimo Cuore ci hai dato i nostri Sacerdoti a fine di compiere in noi quei disegni di santificazione che la tua grazia ispira ai nostri cuori, noi ti preghiamo: vieni in loro aiuto con la tua misericordia soccorritrice. Sia in essi, o Gesù, viva nelle opere la Fede, incrollabile nelle prove la Speranza, ardente nei propositi la Carità. La tua parola, raggio dell’eterna Sapienza, divenga, per la continua meditazione, l’alimento perenne della loro vita interiore; gli esempi della tua vita e della tua Passione si rinnovino nella loro condotta e nelle loro sofferenze a erudizione nostra, a luce e conforto nei nostri dolori. Fa’, o Signore, che i nostri Sacerdoti, distaccati da ogni mondano interesse e unicamente solleciti della tua gloria, persistano fedeli al dovere con pura coscienza fino all’estremo anelito. E quando con la morte del corpo rimetteranno nelle tue mani la ben compiuta consegna, abbiano in Te, Signore Gesù, che fosti in terra loro Maestro, l’eterno premio della corona di giustizia nello splendore dei Santi. Così sia. (17 luglio 1956).”



La Settimana Santa « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=27993)
http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=27993



https://www.sursumcorda.cloud/
“Carlo Di Pietro - Sursum Corda
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
Preghiera al Santo del giorno.
In nómine Patris
et Fílii
et Spíritus Sancti.
Amen.
Eterno Padre, intendo onorare sant’Ermenegildo Martire, figlio di Leovigildo, Re Ariano dei Visigòti. Chiuso in carcere per la confessione della fede cattolica, e non avendo voluto ricevere nella solennità Pasquale la comunione da un Vescovo Ariano, per comando del perfido padre fu colpito con una scure, ed entrò Re e Martire al possesso del regno celeste invece di quello terreno. Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi gli avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questo santo Martire, ed a lui affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, sant’Ermenegildo possa essere mio avvocato e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
#sdgcdpr”



Ligue Saint Amédée (http://www.SaintAmedee.ch/)
“Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].”
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
“Jeudi Saint”
“Sermon du Père Joseph-Marie pour le Jeudi Saint (2016).
http://prieure2bethleem.org/predica/2016_03_24_mars.mp3”






https://www.radiospada.org
https://www.facebook.com/radiospadasocial/?fref=nf

"[PIO XII] Per vivere la Settimana Santa
https://www.radiospada.org/2017/04/pio-xii-per-vivere-la-settimana-santa/
Pubblichiamo di seguito una serie di brevi meditazioni di Papa Pio XII, che possono essere utili per la preghiera personale in ciascun giorno della Settimana Santa. [RS]”
“Giovedì Santo. La presenza eucaristica.
Cristo ha una presenza umana e insieme divina, per la quale dovunque un sacerdote con la onnipotente parola di Lui levi in alto un pane e un calice, adorando ciò che ha fatto in memoria di Lui, là Egli sta col suo ministro, con lui cammina, si fa nostro cibo, viatico dei moribondi e degli infelici, fratello, sposo, padre, medico, conforto e vita delle anime, pane degli angeli. Finché sui campi del nostro globo spunterà una spiga di grano e penderà un grappolo d’uva, e un sacerdote salirà pensoso del sacrificio l’altare, l’Ospite divino sarà con noi; e il credente curverà nella fede la mente e il ginocchio innanzi a un’Ostia consacrata, come all’ultima cena gli apostoli nel pane e nel vino consacrato che il Salvatore dava loro dicendo: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue; adorarono Cristo. 28 aprile 1939.”


https://www.radiospada.org/2014/06/piu-preziosa-di-oro-e-gemme-la-presenza-reale/
"‘Più preziosa di oro e gemme’: la presenza reale."
"(...) Quindi da ciò si può vedere che la fede della Chiesa sull’Eucarestia è sempre rimasta immutata. Cosa fare davanti a ciò? ADORARE! Solamente adorare e comunicarsi a quel Corpo Santo che, con un atto supremo di amore, Egli ci diede come rimedio e medicina, cantando e ricordandoci con San Tommaso ‘se vacillano i sensi, a dar certezza ad un cuor sincero basta la fede’."
https://i2.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/06/j.jpg
https://i1.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/06/sumosacerdote.jpg


https://www.radiospada.org/2016/03/mattia-rossi-triduo-sacro/
https://www.radiospada.org/2016/03/mattia-rossi-triduo-sacro/
“[MATTIA ROSSI] Triduo Sacro.
Giovedì Santo
Sin dalle prime puntate dedicate alle domeniche di Quaresima, avevamo dimostrato come fosse già presente nella liturgia, ancorché in forma embrionale, la Pasqua e la gioia della Risurrezione: è stato così nella I domenica (link) ed è stato così anche nella II (link).
L’inizio del Triduo Sacro, culmine dell’anno liturgico, non fa che completare e coronare l’itinerario liturgico quaresimale. La Messa “in coena Domini”, infatti, si presta a qualche riflessione. Si inizia con il solenne introito Nos autem in IV modo, un modo piuttosto mesto e addolorato dedicato, però, a parole che non sono parole di dolore e di lutto. Perché una simile commistione di stili?
La risposta va ricercata solamente nel fatto che il canto gregoriano rappresenta un piccolo manuale di teologia. Quello stesso IV modo, che era già stato utilizzato all’inizio della quaresima come anticipazione della risurrezione pasquale, verrà utilizzato anche il giorno di Pasqua nell’introito Resurrexi: il gregoriano instaura un ponte tra l’inizio del Triduo e il suo compimento, ovvero la Pasqua.
E questo legame musicale, dato da due introiti concepiti nello stesso ambitus musicale, sussiste solamente in forza di un legame teologico. Lo si comprende solamente leggendo il testo dell’introito del Giovedì Santo: «Noi dobbiamo gloriarci nella croce di Nostro Signore Gesù Cristo. In Lui abbiamo la salvezza, la vita e la nostra risurrezione. Da Lui fummo liberati e salvati». Il rimando è diretto alla risurrezione, alla vita, alla salvezza, alla vittoria sulla morte della Pasqua e il gregoriano, nel giorno di inizio del Triduo in cui la liturgia commemora con gioia raggiante il Sacrificio del Divin Figlio, non fa altro che “ricordare” un simile mistero anche con la musica.
Non è, questo, l’unico richiamo alla Pasqua; anche l’offertorio Dextera Domini è un’unica, grande celebrazione della risurrezione: «La destra del Signore ha compiuto prodigi, la sua destra mi ha innalzato. Non morirò, ma vivrò e annunzierò le opere del Signore», laddove la destra è simbolicamente la potenza di Dio che salva dalla morte e ridona alla vita.
Venerdì Santo
Di taglio ben differente è, invece, la Liturgia di Passione del Venerdì Santo. L’atroce dolore e la desolazione per la Passione e morte di Cristo pervadono tutta la liturgia cattolica: non solo nella totale nudità degli altari e il silenzio, ma anche nei pochi (ma corposi) interventi gregoriani.
I due responsori, che fanno seguito alle due letture, sono musicalmente identici, stesso II modo e stessa melodia (che fu anche del tratto del mercoledì delle ceneri). Una simile uniformità melodica non va letta come monotonia o mancanza di fantasia: in questo giorno non c’è spazio per l’arte e la creatività, tutto deve essere minimale e fisso sulla croce e su grido disperato dell’Uomo crocifisso. Per questo il gregoriano, utilizzando un solo schema melodico per entrambi i responsori, garantisce la massima severità e concentrazione: nella fissità melodica che non lascia spazio all’inventiva, è possibile contemplare la morte del Signore con contrizione e senza distrazioni.
Certo, non mancano nella liturgia del Venerdì Santo vette della composizione gregoriana come i lunghi Improperi o il maestoso inno Crux fidelis-Pange lingua: brani che, nella loro celebrità, fanno un tutt’uno retorico con la liturgia della “Messa dei Presantificati”.
Sabato Santo
Come i responsori del Venerdì Santo, anche i cantici della veglia del Sabato Santo sono musicalmente uniformi: Cantemus Domino, Vinea facta est e Attende caelum conservano la stessa melodia, una melodia tipica che, infatti, colora e contrassegna la Pasqua. È proprio per questo motivo che, quella stessa melodia era risuonata anche nella IV domenica di Quaresima “Laetare”, quella esplicitamente deputata alla gioia, al pregustare la letizia pasquale. Il tratto Qui confidunt era, infatti, composto sullo stesso impianto modale dei tratti della Veglia Pasquale.
Proseguendo oltre i cantici del Sabato Santo, anche il Sicut cervus, il canto per la processione al fonte battesimale è scritto con il medesimo impianto melodico proprio per “segnare” i brani iniziali della Pasqua con una precisa cifra distintiva musicale.”



“13 aprile 2017: Sant'Ermenegildo, martire (la cui festa oggi tace).
A Siviglia, nella Spagna, sant'Ermenegildo Martire, il quale fu figlio di Leovigildo, Re dei Visigoti, Ariano; egli, chiuso in carcere per la confessione della fede cattolica, e non avendo voluto ricevere nella solennità Pasquale la comunione da un Vescovo Ariano, per comando del perfido padre fu colpito con una scure, ed entrò Re e Martire al possesso del regno celeste invece del terreno.”

“Luca Fumagalli Piergiorgio Seveso
13 aprile 2013 festa di Sant'Ermenegildo.
Nota finale: I Quaderni di Cassiciacum, con gli studi di padre Guérard des Lauriers sulla sede vacante, furono pubblicati dall'Ass. Sant'Ermenegildo dal 1979 al 1981. L'associazione aveva scelto come patrono il martire spagnolo per ricordare che un cattolico non può ricevere i sacramenti, seppur validi, da ministri che non professano integralmente la fede cattolica. Era ed è il problema delle Messe "una cum".”



“13 aprile 1945 - 13 aprile 2017: il martirio di Rolando Rivi.
Il 13 aprile 1945 moriva assassinato in odium fidei e dopo tre giorni di atroci sevizie il quattordicenne seminarista reggiano Rolando Rivi. Nato a San Valentino, frazione di Castellarano (RE), secondo dei tre figli di Roberto Rivi e Albertina Canovi, entrò nel seminario di Marola nell'autunno del 1942 ma nel 1944, in seguito all'occupazione tedesca del paese, fu costretto a ritornare a casa. Non smise però di sentirsi seminarista né di indossare l'abito talare, nonostante il parere contrario dei genitori preoccupati per i gesti di odio antireligioso diffusi nella zona: gli atti di violenza e le uccisioni di sacerdoti diverranno infatti in quel periodo molto comuni.
Il 10 aprile 1945, durante le ultime fasi della guerra di liberazione, fu rapito da un gruppo di partigiani comunisti, che costrinsero il ragazzo quattordicenne a seguirli nella boscaglia. Ai genitori fu lasciato un bigliettino con scritto "Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani". Accusandolo di fare la spia per i fascisti, dopo tre giorni di percosse, umiliazioni e sevizie, lo uccisero a colpi di pistola in un bosco di Piane di Monchio, frazione di Palagano.
Seguendo le indicazioni di alcuni partigiani, comprese quelle dello stesso assassino, la sera del 14 aprile Roberto Rivi e don Alberto Camellini, curato di San Valentino, ne ritrovarono la salma che presentava il volto coperto di lividi, il corpo martoriato e le due ferite mortali, una alla tempia sinistra e l'altra all'altezza del cuore. L'indomani lo trasportarono a Monchio, dove ebbe esequie e sepoltura cristiane. Rolando non aveva paura di nulla: "Io sono di Gesù" era il suo motto.”




Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico (http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#PASS)
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Luca, Sursum Corda!

Holuxar
29-03-18, 17:59
29 marzo 2018: Giovedì Santo (Istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio cattolico)…



"Giovedì santo."
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico
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"TEMPO DI PASSIONE
Capitolo I - Storia del Tempo di Passione e della Settimana Santa
Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico - Storia del Tempo di Passione e della Settimana Santa (http://www.unavoce-ve.it/pg-passione-st.htm)
Capitolo II - Mistica del Tempo di Passione e della Settimana Santa
Guéranger, L'anno liturgico - Mistica del tempo di Passione e della Settimana Santa (http://www.unavoce-ve.it/pg-passione-mist.htm)
Capitolo III - Pratica del Tempo di Passione e della Settimana Santa
Guéranger, L'anno liturgico - Pratica del Tempo di Passione e della Settimana Santa (http://www.unavoce-ve.it/pg-passione-pr.htm) "

"Guéranger, L'anno liturgico - Cenno storico sul Tempo Pasquale
Guéranger, L'anno liturgico - Cenno storico sul Tempo Pasquale (http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-st.htm)
Guéranger, L'anno liturgico - Mistica del Tempo Pasquale
Guéranger, L'anno liturgico - Mistica del Tempo Pasquale (http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-mist.htm)
Guéranger, L'anno liturgico - Pratica del Tempo Pasquale
Guéranger, L'anno liturgico - Pratica del Tempo Pasquale (http://www.unavoce-ve.it/pg-pasqua-pr.htm) "




Date ed orari delle Funzioni celebrate da Don Floriano Abrahamowicz a Paese (TV) durante la SETTIMANA SANTA: giovedì 29 MARZO 2018 e venerdì 30 MARZO 2018 alle ore 20.30 (ore 15.00 VIA CRUCIS), sabato 31 MARZO 2018 alle ore 22.30 e DOMENICA DI PASQUA alle ore 10.30 come ogni Domenica…


http://www.domusmarcellefebvre.it
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz
http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php




Giovedì Santo - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo/)
http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo/
«29 marzo 2018: Giovedì Santo, giorno dell’Istituzione della SS. Eucaristia e dell’Ordine Sacro.
Preghiera di San Pio X per i Sacerdoti.
O Gesù, Pastore Eterno delle anime, ascolta la nostra preghiera per i Sacerdoti, esaudisci in essa l’infinito tuo desiderio. Non sono i Sacerdoti il palpito tuo più tenero e delicato, l’alto amore in cui si assommano tutti i tuoi amori per le anime? Confessiamo di esserci resi indegni di avere santi Sacerdoti, ma la tua misericordia è infinitamente più grande della stoltezza e della malizia nostra.
O Gesù, fa che ascendano al tuo sacerdozio solo quelli che da Te sono chiamati, illumina i Pastori nella scelta, i direttori di spirito nel consiglio, gli educatori nella cura delle vocazioni.
Donaci Sacerdoti che siano angeli per purezza, perfetti nell’umiltà, ardenti di santo amore ed eroi di sacrificio, apostoli della tua gloria, salvatori e santificatori delle anime. Abbi pietà di tanti ignoranti cui debbono essere luce, di tanti figli del lavoro che invocano chi, preservandoli dagli inganni, li redima nel tuo nome, di tanti fanciulli e di tanti giovani che invocano chi li salvi e a Te li conduca, di tanti che soffrono ed hanno bisogno di un cuore che nel tuo li consoli. Tante anime giungerebbero a perfezione per il ministero di santi sacerdoti.
O Gesù abbi ancora una volta compassione delle turbe che hanno fame e sete. Fa’ che il tuo sacerdozio conduca a Te tutta l’umanità, sicché ancora una volta venga per esso rinnovata la terra, esaltata la tua Chiesa, stabilito nella pace il regno del tuo cuore.
Vergine Immacolata, Madre dell’Eterno Sacerdote, che hai avuto per primo figlio di adozione Giovanni, il sacerdote da Gesù prediletto, che sei stata nel Cenacolo maestra e Regina degli Apostoli, degnati mettere sulle tue labbra santissime, la nostra umile preghiera, intercedi presso il Cuore del tuo Figlio Divino e ottieni alla Chiesa una perenne, rinnovata Pentecoste. Così sia.».
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S. Messe dalla domenica delle Palme alla domenica in Albis - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/messe-dalla-domenica-delle-palme-alla-domenica-albis/)
“S. Messe dalla domenica delle Palme alla domenica in Albis 23 marzo 2018.
Il precetto della Comunione pasquale si soddisfa dalla domenica delle Palme (25 marzo 2018) alla domenica dopo Pasqua (in Albis, 8 aprile 2018).”
Orari per la Settimana Santa a Verrua Savoia (TO) e a Rimini - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/orari-la-settimana-santa-verrua-savoia-to-rimini/)
“Orari per la Settimana Santa a Verrua Savoia (TO) e a Rimini.
A Verrua Savoia (TO)
Domenica 25/03: Domenica delle Palme
ore 18: Santa Messa
Giovedì 29/03: Giovedì Santo
ore 18: S. Messa “In Cœna Domini”
Venerdì 30/03: Venerdì Santo
ore 15: Via Crucis;
ore 18: Adorazione della S. Croce e Messa dei Presantificati
Sabato 31/03: Sabato Santo
ore 18: Vigilia Pasquale
A Rimini
Domenica 25 marzo 2018, Palme
Benedizione delle Palme e S. Messa ore 10.30.
Giovedì 29 marzo 2018, Giovedì Santo
ore 19,00 S. Messa in Coena Domini e adorazione del SS. Sacramento al Sepolcro.
Venerdì 30 marzo 2018, Venerdì Santo
ore 15,30 adorazione al Sepolcro;
ore 16,00 Via Crucis;
ore 16,30 Lettura della Passione, Orazioni, Adorazione della Croce, Messa dei Presantificati.
Sabato 31 marzo 2018, Sabato Santo
ore 18,30 S. Messa della Vigilia."


"Catechismo di San Pio X - La Settimana Santa - Sodalitium."
La Settimana Santa - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/catechismo-s-pio-x-la-settimana-santa/)





La Settimana Santa « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it)
La Settimana Santa « www.agerecontra.it (http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=27993)
http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=27993






https://www.sursumcorda.cloud/
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
«Carlo Di Pietro - Sursum Corda.
“Eterno mio Dio, eccomi prostrato innanzi l'immensa Maestà Vostra, ed umilmente adorarvi. Vi offro tutti i miei pensieri, parole ed opere di questo giorno ed intendo di far tutto per amor Vostro, per gloria Vostra, per adempiere la Divina Volontà Vostra per servirvi, lodarvi e benedirvi, per essere illuminato nei misteri della Vostra Santa Fede, per assicurare la mia salute e sperare nella Vostra Misericordia, per soddisfare la Vostra Divina Giustizia, per tanti miei gravissimi peccati, per suffragare le anime Sante del Purgatorio, per impetrare la grazia dì una vera conversione a tutti i peccatori.”
Carlo Di Pietro - Sursum Corda
È una vecchia preghiera tratta dalla raccolta della Madre Veronica Briguglio, Preghiere di devozione e Mistero della Pasqua, Sezione seconda.».
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/29542629_1657533237616412_8715465101414299534_n.jp g?_nc_cat=0&oh=cfbb03887d52cca818eb81fe102e2bfa&oe=5B3BC45B







Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
“Jeudi Saint.”
Méditation pour le Jeudi Saint : Jour d'union (http://le-petit-sacristain.blogspot.ch/2017/04/meditation-pour-le-jeudi-saint.html)

“Méditation pour le Jeudi Saint : Jour d'union.”


https://3.bp.blogspot.com/-HOU1_tu0GUU/WO8p7fifqlI/AAAAAAAACG8/nz7wzO2pIJ4e8gg9x-KOXtT6jXqUxQZMQCLcB/s1600/The_Last_Supper_Judas_Dipping_his_Hand_in_the_Dish _%2528La_C%25C3%25A9ne._Judas_met_la_main_dans_le_ plat%2529_James_Tissot_detail.jpg


“LA MESSE DU JEUDI-SAINT. L'année liturgique, Dom Guéranger.”
https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/29543199_610209885978362_2021865394152010453_n.jpg ?_nc_cat=0&oh=fe1d47d20fd2655ad5875b3ea5236939&oe=5B6C21C7


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/29543199_610209885978362_2021865394152010453_n.jpg ?oh=fe1d47d20fd2655ad5875b3ea5236939&oe=5B6C21C7


“Sermon du Père Joseph-Marie pour le Jeudi Saint (2016).
http://prieure2bethleem.org/predica/2016_03_24_mars.mp3 ”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/29497297_610210355978315_7861017749960140673_n.jpg ?_nc_cat=0&oh=50bea9546cffd0f8266c4b05c39cc4e5&oe=5B4160EB


“Jeudi Saint (photos 2017)
Giovedì Santo 2017 - Fotogallery - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo-2017-fotogallery/) ”


https://external-mxp1-1.xx.fbcdn.net/safe_image.php?d=AQALW9mQHpxCh6O-&w=476&h=249&url=http%3A%2F%2Fwww.sodalitium.biz%2Fwp-content%2Fuploads%2FDU130074.jpg&cfs=1&upscale=1&fallback=news_d_placeholder_publisher&sx=0&sy=106&sw=800&sh=418&_nc_hash=AQC8T10tCZqt9h2E



29 mars : Saint Berthold, Prieur au Mont Carmel en Palestine (? 1188) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/29-mars-saint-berthold)
“29 mars : Saint Berthold, Prieur au Mont Carmel en Palestine (✝ 1188).
Au Mont Carmel en Palestine, vers 1188, le bienheureux Berthold. Soldat, il fut admis parmi les frères qui menaient la vie religieuse sur ce mont et, élu peu après par eux comme prieur, il confia la communauté à la Mère de Dieu.
Martyrologe romain.”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/5815/2183/8724/03_29_saint_berthold.jpg


http://liguesaintamedee.ch/application/files/5815/2183/8724/03_29_saint_berthold.jpg


29 mars : Saint Jonas et saint Barachisius, Martyrs (? 327) :: Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/saint-du-jour/29-mars-saint-jonas-et-saint-barachisius)
“29 mars : Saint Jonas et saint Barachisius, Martyrs († 327).”
http://liguesaintamedee.ch/application/files/5115/2183/8234/03_29_saints_jonas_barachisius.jpg


http://liguesaintamedee.ch/application/files/5115/2183/8234/03_29_saints_jonas_barachisius.jpg









https://www.radiospada.org
https://www.facebook.com/radiospadasocial/?fref=nf
“29 marzo 2018: Giovedì Santo (Istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio cattolico).”


https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/29542784_2064395156923476_4712254410466887337_n.jp g?_nc_cat=0&oh=9d1718187e8b993153cd5d31427b10ca&oe=5B69FE17


“Giovedì Santo. Continua la pubblicazione del libretto "dimenticato" sulla devozione alle Sante Piaghe.”
La devozione alle Sante Piaghe, la devozione che ‘salverà il mondo’ (II)
https://www.radiospada.org/2018/03/la-devozione-alle-sante-piaghe-la-devozione-che-salvera-il-mondo-ii/
«Radio Spada offre ai suoi lettori un testo “sparito” su una devozione dimenticata: quella delle Sante Piaghe. Il fatto di “sparire” non è stata certo un’esclusiva di questo libretto se si pensa a quanto tempo dovette stare – ignorato e nascosto un cofano – il “Trattato della Vera Devozione” di San Luigi M. G. da Monfort.
Curiose quattro questioni. La prima: il libretto che vi offriamo – relativo alle apparizioni e ai messaggi ricevuti dalla suora visitandina Maria Marta Chambon – ottenne importanti bendizioni e apprezzamenti da vescovi, arcivescovi, cardinali e dal Pontefice regnante all’epoca della prima pubblicazione italiana (1924), Pio XI. La seconda: la vita singolarissima della sua protagonista (anche se, in realtà, le vere protagoniste sono le Sante Piaghe). Sr. Maria Marta, lo vedremo in seguito, avanzò negli anni tra fatti straordinari e un’inarrestabile santità, al punto che l’Augusto Pontefice fece voti “affinchè le virtù e la vita esemplare di quella religiosa e fedele serva di Dio, siano il più largamente diffuse e conosciute“. La terza: la teologia dei messaggi consegnati a Sr. Maria Marta è perfetta, sebbene ricevuti da una donna umilissima. In essi si arriva a proporre la devozione alle Sante Piaghe come continuazione della devozione al Sacro Cuore che ebbe in un’altra visitandina (Santa Margherita Maria Alacoque) la sua più importante destinataria. La quarta: il valore profetico. “Le mie Piaghe vi salveranno infallibilmente; esse salveranno il mondo“, si può leggere nelle pagine del libretto. Ma non solo: “Vi occorrerà molto tempo per stabilire questa devozione, lavoratevi con coraggio”. Pare davvero strano, ma la profezia fu esatta: una devozione così plaudita dai vertici della Chiesa, e basata su una vita così santa, è ancora oggi, dopo molti anni, sostanzialmente sconosciuta [RS].
“All’epoca di una grande persecuzione della Chiesa, Sr. Maria Marta domandava spesso a Gesú di coprire con la protezione delle sue sante Piaghe il Sovrano Pontefice. Questa preghiera piaceva molto a Nostro Signore. Egli fece vedere alla nostra Sorella che la grazia sovrabbondava sul S.S. Padre Pio IX e che le preghiere fatte dalla Comunità vi contribuivano grandemente: “Dalle mie Piaghe esce per lui una grazia particolare.” Verso la fine del 1867, Nostro Signore le rivelò che Sua Santità avrebbe ancora molto da soffrire, che non vi sarebbe più pace, ma che grazie alla preghiera, il Papa potrebbe sussistere nella Santa Sede, nella tribolazione“
[Continua da La devozione alle Sante Piaghe, la devozione che ‘salverà il mondo’ (I)]».
https://www.radiospada.org/2018/03/la-devozione-alle-sante-piaghe-la-devozione-che-salvera-il-mondo-i/


https://i0.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2018/03/1182894704-006_como_s._cecilia_reliquiario_s._croce_particola re_2.jpg?w=640&ssl=1


https://www.radiospada.org/2018/03/film-completo-la-passione-di-cristo/
«[FILM COMPLETO] La Passione di Cristo.
Un film da rivedere in Quaresima e, in particolare, nel corso della Settimana Santa: lo offriamo ai nostri lettori senza sottotitoli dall’aramaico e dal latino per evitare distrazioni di lettura in un contesto che è chiaro a chiunque abbia elementi minimi di conoscenza del Vangelo.
Il valore cinematografico di questa opera non va separato da quello spirituale: la Passione di Nostro Signore, insieme con la devozione al Sacro Cuore e quella (dimenticata) alle Sante Piaghe siano il centro di questa Settimana che ci prepara alla Santa Pasqua.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti – Isaia 53, 5.
Con le mie Piaghe e il mio Cuore divino, voi potete ottenere tutto – N. S. G. C. a Sr. Maria Marta Chambon.».

https://www.radiospada.org/2012/06/devozione-delle-sante-piaghe-di-gesu-e-relative-promesse/
http://www.radiospada.org/wp-content/uploads/2012/06/santepiaghe1.png
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http://www.radiospada.org/wp-content/uploads/2012/06/santepiaghe4.png


"[PIO XII] Per vivere la Settimana Santa
https://www.radiospada.org/2017/04/pio-xii-per-vivere-la-settimana-santa/
Pubblichiamo di seguito una serie di brevi meditazioni di Papa Pio XII, che possono essere utili per la preghiera personale in ciascun giorno della Settimana Santa. [RS]”
“Giovedì Santo. La presenza eucaristica.
Cristo ha una presenza umana e insieme divina, per la quale dovunque un sacerdote con la onnipotente parola di Lui levi in alto un pane e un calice, adorando ciò che ha fatto in memoria di Lui, là Egli sta col suo ministro, con lui cammina, si fa nostro cibo, viatico dei moribondi e degli infelici, fratello, sposo, padre, medico, conforto e vita delle anime, pane degli angeli. Finché sui campi del nostro globo spunterà una spiga di grano e penderà un grappolo d’uva, e un sacerdote salirà pensoso del sacrificio l’altare, l’Ospite divino sarà con noi; e il credente curverà nella fede la mente e il ginocchio innanzi a un’Ostia consacrata, come all’ultima cena gli apostoli nel pane e nel vino consacrato che il Salvatore dava loro dicendo: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue; adorarono Cristo. 28 aprile 1939.”


https://i0.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2017/04/10942753_602030459927838_752384010526098368_n.jpg? resize=173%2C300&ssl=1


https://www.radiospada.org/2014/06/piu-preziosa-di-oro-e-gemme-la-presenza-reale/
«‘Più preziosa di oro e gemme’: la presenza reale.
(...) Quindi da ciò si può vedere che la fede della Chiesa sull’Eucarestia è sempre rimasta immutata. Cosa fare davanti a ciò? ADORARE! Solamente adorare e comunicarsi a quel Corpo Santo che, con un atto supremo di amore, Egli ci diede come rimedio e medicina, cantando e ricordandoci con San Tommaso ‘se vacillano i sensi, a dar certezza ad un cuor sincero basta la fede’.»
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https://i1.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/06/sumosacerdote.jpg


https://i2.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2014/06/j.jpg?resize=570%2C428&ssl=1


https://i1.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/06/sumosacerdote.jpg


https://www.radiospada.org/2016/03/mattia-rossi-triduo-sacro/
https://www.radiospada.org/2016/03/mattia-rossi-triduo-sacro/
“[MATTIA ROSSI] Triduo Sacro.
Giovedì Santo
Sin dalle prime puntate dedicate alle domeniche di Quaresima, avevamo dimostrato come fosse già presente nella liturgia, ancorché in forma embrionale, la Pasqua e la gioia della Risurrezione: è stato così nella I domenica (link) ed è stato così anche nella II (link).
L’inizio del Triduo Sacro, culmine dell’anno liturgico, non fa che completare e coronare l’itinerario liturgico quaresimale. La Messa “in coena Domini”, infatti, si presta a qualche riflessione. Si inizia con il solenne introito Nos autem in IV modo, un modo piuttosto mesto e addolorato dedicato, però, a parole che non sono parole di dolore e di lutto. Perché una simile commistione di stili?
La risposta va ricercata solamente nel fatto che il canto gregoriano rappresenta un piccolo manuale di teologia. Quello stesso IV modo, che era già stato utilizzato all’inizio della quaresima come anticipazione della risurrezione pasquale, verrà utilizzato anche il giorno di Pasqua nell’introito Resurrexi: il gregoriano instaura un ponte tra l’inizio del Triduo e il suo compimento, ovvero la Pasqua.
E questo legame musicale, dato da due introiti concepiti nello stesso ambitus musicale, sussiste solamente in forza di un legame teologico. Lo si comprende solamente leggendo il testo dell’introito del Giovedì Santo: «Noi dobbiamo gloriarci nella croce di Nostro Signore Gesù Cristo. In Lui abbiamo la salvezza, la vita e la nostra risurrezione. Da Lui fummo liberati e salvati». Il rimando è diretto alla risurrezione, alla vita, alla salvezza, alla vittoria sulla morte della Pasqua e il gregoriano, nel giorno di inizio del Triduo in cui la liturgia commemora con gioia raggiante il Sacrificio del Divin Figlio, non fa altro che “ricordare” un simile mistero anche con la musica.
Non è, questo, l’unico richiamo alla Pasqua; anche l’offertorio Dextera Domini è un’unica, grande celebrazione della risurrezione: «La destra del Signore ha compiuto prodigi, la sua destra mi ha innalzato. Non morirò, ma vivrò e annunzierò le opere del Signore», laddove la destra è simbolicamente la potenza di Dio che salva dalla morte e ridona alla vita.
Venerdì Santo
Di taglio ben differente è, invece, la Liturgia di Passione del Venerdì Santo. L’atroce dolore e la desolazione per la Passione e morte di Cristo pervadono tutta la liturgia cattolica: non solo nella totale nudità degli altari e il silenzio, ma anche nei pochi (ma corposi) interventi gregoriani.
I due responsori, che fanno seguito alle due letture, sono musicalmente identici, stesso II modo e stessa melodia (che fu anche del tratto del mercoledì delle ceneri). Una simile uniformità melodica non va letta come monotonia o mancanza di fantasia: in questo giorno non c’è spazio per l’arte e la creatività, tutto deve essere minimale e fisso sulla croce e su grido disperato dell’Uomo crocifisso. Per questo il gregoriano, utilizzando un solo schema melodico per entrambi i responsori, garantisce la massima severità e concentrazione: nella fissità melodica che non lascia spazio all’inventiva, è possibile contemplare la morte del Signore con contrizione e senza distrazioni.
Certo, non mancano nella liturgia del Venerdì Santo vette della composizione gregoriana come i lunghi Improperi o il maestoso inno Crux fidelis-Pange lingua: brani che, nella loro celebrità, fanno un tutt’uno retorico con la liturgia della “Messa dei Presantificati”.
Sabato Santo
Come i responsori del Venerdì Santo, anche i cantici della veglia del Sabato Santo sono musicalmente uniformi: Cantemus Domino, Vinea facta est e Attende caelum conservano la stessa melodia, una melodia tipica che, infatti, colora e contrassegna la Pasqua. È proprio per questo motivo che, quella stessa melodia era risuonata anche nella IV domenica di Quaresima “Laetare”, quella esplicitamente deputata alla gioia, al pregustare la letizia pasquale. Il tratto Qui confidunt era, infatti, composto sullo stesso impianto modale dei tratti della Veglia Pasquale.
Proseguendo oltre i cantici del Sabato Santo, anche il Sicut cervus, il canto per la processione al fonte battesimale è scritto con il medesimo impianto melodico proprio per “segnare” i brani iniziali della Pasqua con una precisa cifra distintiva musicale.”

“Il 29 marzo 1058 muore Papa Stefano X dei duchi di Lorena, Sommo Pontefice.”
“Il 29 marzo 537 Papa Vigilio viene esaltato al Sommo Pontificato.”
“Il 29 marzo 1796 veniva fucilato a Nantes uno dei campioni della Controrivoluzione Vandeana, François-Athanase de Charette de La Contrie, generale dell'Esercito Cattolico e Reale.”

"Accadeva oggi: quando la Vergine del Pilar restituì la gamba al mutilato."
https://www.radiospada.org/2018/03/accadeva-oggi-quando-la-vergine-del-pilar-restitui-la-gamba-al-mutilato/
«29 marzo 2018…Accadeva oggi: quando la Vergine del Pilar restituì la gamba al mutilato…dalla pagina Facebook Christus Vincit:
Il 29 marzo 1640 la Santissima Vergine del Pilar restituisce a Miguel Juan Pellicier, di Calanda (Regno di Aragona), la gamba destra che gli era stata amputata nel 1637 e seppellita nel cimitero dell’ospedale.
Il miracolo, dopo gli esami dei chirurghi e un regolare processo, fu canonicamente approvato da Monsignor Pedro Apaolaza Ramírez, O.S.B., Arcivescovo di Saragozza, il 27 aprile 1641:
“Noi, Don Pietro de Apaolaza, per grazia di Dio e della Sede Apostolica Arcivescovo di Saragozza, Consigliere del Re, etc., […] considerate tutte queste e altre cose , con il consiglio degli infrascritti illustrissimi Dottori sia di Sacra Teologia, sia di Diritto Pontificio, affermiamo, pronunziamo e definiamo che a Miguel Juan Pellicier, nativo di Calanda, […] fu restituita miracolosamente la gamba destra che in precedenza gli era stata amputata; e che non è stato un fatto operato dalla natura, ma opera mirabile e miracolosa; e che si deve giudicare e tenere per miracolo […] perché si tratta di un vero prodigio […]. Pertanto lo ascriviamo tra i miracoli e come tale lo approviamo, dichiariamo e autorizziamo e così diciamo”.
Preghiera alla Vergine: Onnipotente e sempiterno Iddio, che in modo mirabile ci ha dato un aiuto celeste per mezzo della gloriosissima Madre del tuo Figlio: concedi, propizio, a noi che la veneriamo piamente sotto il titolo della Colonna, di essere protetti dal suo perpetuo ausilio. Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.»
https://i2.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2018/03/pilar-milagro.jpg?w=576&ssl=1


https://i2.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2018/03/pilar-milagro.jpg?w=576&ssl=1






Dom Prosper Guéranger, L'Anno Liturgico (http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#PASS)
http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#PASS





https://i2.wp.com/radiospada.org/wp-content/uploads/2014/06/j.jpg




Luca, [I]Sursum Corda!

Holuxar
10-04-20, 01:14
9 APRILE 2020: GIOVEDÌ SANTO...

Date ed orari delle Funzioni del TRIDUO SACRO PASQUALE celebrate da Don Floriano Abrahamowicz a Paese (TV), in diretta streaming sul suo canale youtube, durante la SETTIMANA SANTA: giovedì 9 APRILE 2020 e venerdì 10 APRILE 2020 alle ore 19.30 (Santo Rosario e VIA CRUCIS), sabato 11 APRILE 2020 sempre alle ore 19.30; la SANTA MESSA della DOMENICA DI PASQUA del 12 APRILE 2020 e quella del LUNEDÌ di PASQUA del 13 APRILE 2020 verranno invece celebrate da Don Floriano Abrahamowicz di mattina alle ore 10.30 come ogni Domenica e Festa di precetto…Buona Settimana Santa!!!




«Don Floriano Abrahamowicz - Domus Marcel Lefebvre
http://www.domusmarcellefebvre.it
https://www.youtube.com/user/florianoabrahamowicz/
In Coena Domini (Santa Messa)
https://www.youtube.com/watch?v=AEu68_DtU30
Triduum Sacrum - Officium Tenebrarum
L'Ufficio delle Tenebre (Giovedì Santo - Sacro Triduo)
https://www.youtube.com/watch?v=p3FC_t9tLww
SANTA MESSA - domusmarcellefebvre110815 (http://www.domusmarcellefebvre.it/santa-messa-1.php)
La Santa Messa tutte le domeniche alle ore 10.30 a Paese, Treviso».




Triduo Sacro - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/triduo-sacro/)
http://www.sodalitium.biz/triduo-sacro/
«Triduo Sacro
Le cerimonie del Triduo Sacro non saranno trasmesse in streming da Verrua Savoia.
A chi vuole seguire le cerimonie della Settimana Santa consigliamo il canale dei confratelli americani del “Most Holy Trinity Seminary” di Mons. Donald Sanborn:
https://www.youtube.com/channel/UCuux5pdNEtdocBDT-EmsxXA
Con il fuso orario ci sono 6 ore di differenza, ma poiché le cerimonie negli Stati Uniti vengono celebrate al mattino, in Italia sono visibili ai seguenti orari nel pomeriggio:
9-04 Giovedi Santo ore 16 messa Pontificale
https://www.youtube.com/watch?v=rpV16y14bJg
Solemn Pontifical High Mass with Blessing of Holy Oils, followed by Vespers and stripping of the Altar
10-04 Venerdì Santo ore 15 messa dei presantificati
11-04 Sabato Santo ore 12 Vigilia pasquale»



Messa IMBC in streaming - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/messa-imbc-streaming/)
http://www.sodalitium.biz/messa-imbc-streaming/
«Per chi volesse seguire le cerimonie della Settimana Santa in forma più solenne consigliamo il canale dei confratelli americani del “Most Holy Trinity Seminary” di Mons. Donald Sanborn:
https://www.youtube.com/channel/UCuux5pdNEtdocBDT-EmsxXA »


Apriamo il Messale romano. Pillole di liturgia romana - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/apriamo-messale-romano-1-tempo-della-passione-la-settimana-santa/)
«Apriamo il Messale romano. 1. Il tempo della Passione e la Settimana Santa.
Apriamo il Messale romano. 2. Il Giovedì Santo
Pillole di liturgia, ispirate agli scritti di dom Guéranger»



Giovedì Santo - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo/)
http://www.sodalitium.biz/giovedi-santo/
«9 aprile 2020, Giovedì Santo.
Nel giovedì santo si celebra l’istituzione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

Alle ore 16 (ore italiane) S. Messa in streaming trasmessa dal Most Holy Trinity Seminary:
https://www.youtube.com/watch?v=rpV16y14bJg

O Verbo annichilito nell’Incarnazione, più annichilito ancora nell’Eucaristia, vi adoriamo sotto i veli che nascondono la vostra divinità e la vostra umanità nell’adorabile Sacramento. In questo stato dunque vi ha ridotto il vostro amore! Sacrificio perpetuo, vittima continuamente immolata per noi, Ostia di lode, di ringraziamento, di propiziazione! Gesù nostro mediatore, fedele compagno, dolce amico, medico caritatevole, tenero consolatore, pane vivo disceso dal cielo, cibo delle anime. Voi siete il tutto per i vostri figli! A tant’amore però molti non corrispondono che con la bestemmia e con le profanazioni; molti con l’indifferenza e la tiepidezza, ben pochi con gratitudine ed amore. Perdono, o Gesù, per quelli che vi oltraggiano! Perdono per la moltitudine degli indifferenti e degli ingrati! Perdono altresì per l’incostanza, l’imperfezione, la fiacchezza di quelli che vi amano! Gradite il loro amore quantunque languido, ed accendetelo di più ogni dì; illuminate le anime che non vi conoscono ed ammollite la durezza dei cuori che vi resistono. Fatevi amare sulla terra, o Dio nascosto; lasciatevi vedere e possedere nel Cielo! Così sia».
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Testi di Pio XII sulla Passione - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/testi-pio-xii-sulla-passione/)


Segnalazioni - Centro Studi Giuseppe Federici (http://www.centrostudifederici.org/segnalazioni-6/)
http://www.centrostudifederici.org/segnalazioni-6/
«Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenzasett_santa
Segnalazioni

Sante Messe dell’IMBC in streaming
http://www.sodalitium.biz/messa-imbc-streming

Catechismo Maggiore di san Pio X – Della settimana santa
Catechismo Maggiore di san Pio X - Della settimana santa - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/catechismo-s-pio-x-la-settimana-santa/)

Apriamo il Messale romano. 1. Il tempo della Passione e la Settimana Santa
Apriamo il Messale romano. Pillole di liturgia romana - Sodalitium (http://www.sodalitium.biz/apriamo-messale-romano-1-tempo-della-passione-la-settimana-santa/) »

http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/04/sett_santa.jpg


http://www.centrostudifederici.org/wp-content/uploads/2020/04/sett_santa.jpg




https://www.agerecontra.it/2017/04/la-settimana-santa/







https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«LA SETTIMANA SANTA
4. Giovedì Santo.
Il Giovedì Santo si chiama in Coena Domini:
1.perché Gesù Cristo fece in tale giorno coi suoi Apostoli l'ultima Cena solenne in un magnifico salone di Gerusalemme;
2.perché in essa istituì Gesù Cristo la gran Cena spirituale dell'Eucarestia preparata per tutti i popoli fino alla consumazione dei secoli.
Nel Giovedì Santo si fa la comunione anche del Clero per ricordare che in tal giorno Gesù Cristo di propria mano distribuì ai suoi Apostoli il SS. Sacramento, da Lui istituito dopo la cena legale, sotto le specie del Pane e del Vino.
Non si dice che una Messa e questa dal primo dignitario di ciascuna chiesa in cui si celebra, per indicare che in tal giorno il solo Gesù Cristo consacrò e dispensò di sua mano il Pane ed il Vino già tramutati nel suo Corpo e nel suo Sangue.
Si consacravano dal Vescovo gli Olii che si usano per i quattro Sacramenti, il Battesimo, la Cresima, l'Estrema Unzione e l'Ordine, nonché nella consacrazione delle cose destinate al divin culto e ciò per dimostrare:
1.che in tal giorno Gesù Cristo deputò gli Apostoli in suoi speciali ministri, facendoli non solo sacerdoti ma anche Vescovi;
2.che ogni benedizione procede dalla Passione a cui Gesù Cristo diede principio coll'Orazione nell'Orto dopo la Cena.
Si fa cessare il suono delle campane per significare con questo silenzio: 1. la mestizia della Chiesa; 2. il silenzio degli Apostoli che, per timore dei Giudei, cessarono di predicare Gesù Cristo e si diedero alla fuga.
Si fa la lavanda dei piedi: 1. per onorare la memoria di quella che fece Gesù Cristo ai suoi Apostoli; 2. per secondare l'invito che fece Gesù Cristo che dopo aver lavato i piedi ai suoi Apostoli, li esortò tutti ad imitare il suo esempio.
Si fa il Santo Sepolcro con molta magnificenza per ricordarci: 1. che Gesù Cristo fu sepolto in un sepolcro nuovo, reso poi sommamente glorioso nella sua Resurrezione; 2. che Gesù Cristo, anche nel semplice Corpo separato dall'anima, merita l'adorazione di tutto il mondo, perché unito inseparabilmente alla divinità; 3. che deve essere con molta cura purificato il nostro cuore quando in esso, come già nel Sepolcro, sta per essere depositato Gesù Cristo come colla SS. Comunione.
Non si tiene Acqua Santa nella Chiesa per indicarci:
1.che i fedeli in questi giorni devono essere così mondi da ogni peccato da non abbisognare di purificazione;
2.che quando Cristo ci lava col Sangue, non conviene usare altra aspersione.
Si fanno devote visite al Santo Sepolcro:
1.per riparare i tanti torti fatti a Gesù Cristo nei sette viaggi della Sua Passione;
2.per imitare la SS. Vergine e le altre pie donne che onorarono Gesù Cristo ora coll'accompagnarlo fino al Calvario per assistere alla sua morte, ora coll'avviarsi al Sepolcro per imbalsamarsi il cadavere.
(Mons. Giuseppe Riva, Manuale di Filotea, Milano 1901)
Foto: Feria V in Cœna Domini in Breviario Romano-Seraphico (1951) ex collectione privata familiæ Di Simone».





https://sardiniatridentina.blogspot.com/2018/03/giovedi-santo.html?m=0
«GIOVEDÌ SANTO IN COENA DOMINI
Giovedì Santo in Coena Domini
Il Giovedì Santo la Santa Chiesa commemora come Gesù Cristo il giorno prima di esser crocefisso per la redenzione dell’umanità volle istituire i Sacramenti dell’Eucarestia e dell’Ordine

Ad missam
Statio ad sanctum Ioannem in Laterano

INTROITUS
Gal 6:14.- Nos autem gloriári opórtet in Cruce Dómini nostri Iesu Christi: in quo est salus, vita et resurréctio nostra: per quem salváti et liberáti sumus ~~ Ps 66:2- Deus misereátur nostri, et benedícat nobis: illúminet vultum suum super nos, et misereátur nostri. ~~ Nos autem gloriári opórtet in Cruce Dómini nostri Iesu Christi: in quo est salus, vita et resurréctio nostra: per quem salváti et liberáti sumus

Gal 6:14.- Quanto a noi non sia mai che ci gloriamo d'altro se non della croce del Signor nostro Gesù Cristo; in Lui è la salvezza, la vita e la resurrezione nostra; per mezzo suo siamo stati salvati e liberati. ~~ Ps 66:2- Dio abbia pietà di noi e ci benedica; faccia splendere su di noi il suo sguardo e ci usi pietà. ~~ Quanto a noi non sia mai che ci gloriamo d'altro se non della croce del Signor nostro Gesù Cristo; in Lui è la salvezza, la vita e la resurrezione nostra; per mezzo suo siamo stati salvati e liberati.

Gloria
Durante il canto del Gloria si suonano le campane che poi rimarranno mute fino al Gloria della Notte di Pasqua.

ORATIO
Orémus.
Deus, a quo et Iudas reatus sui poenam, et confessiónis suæ latro praemium sumpsit, concéde nobis tuæ propitiatiónis efféctum: ut, sicut in passióne sua Iesus Christus, Dóminus noster, diversa utrísque íntulit stipéndia meritórum; ita nobis, abláto vetustátis erróre, resurrectiónis suæ grátiam largiátur: Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
Dio, da cui Giuda ricevette il castigo del suo delitto e il ladrone il premio del suo pentimento, fa a noi sentire l'effetto della tua pietà, affinché, come nella sua Passione Gesù Cristo Signor nostro diede all'uno e all'altro il dovuto trattamento, cosi tolte da noi le aberrazioni dell'uomo vecchio, ci dia la grazia della sua risurrezione. Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

LECTIO
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor 11:20-32.
Fratres: Conveniéntibus vobis m unum, iam non est Domínicam coenam manducáre. Unusquísque enim suam cenam præsúmit ad manducándum. Et alius quidem ésurit: álius autem ébrius est. Numquid domos non habétis ad manducándum et bibéndum? aut ecclésiam Dei contémnitis, et confúnditis eos, qui non habent? Quid dicam vobis? Laudo vos? In hoc non laudo. Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem. Simíliter et cálicem, postquam coenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine: hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis: mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de cálice bibat. Qui enim mandúcat et bibit indígne, iudícium sibi mandúcat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini. Ideo inter vos multi infirmi et imbecílles, et dórmiunt multi. Quod si nosmetípsos diiudicarémus, non útique iudicarémur. Dum iudicámur autem, a Dómino corrípimur,ut non cum hoc mundo damnémur.

Fratelli; quando vi adunate in sacra adunanza, non vi comportate come chi deve prepararsi a mangiare la Cena del Signore, poiché ciascuno pensa a consumare la propria cena tanto che uno patisce la fame e l'altro si ubriaca. Ma non avete le vostre case per mangiare e bere? O avete in disprezzo l'assemblea di Dio e desiderate far arrossire coloro che non hanno nulla? Che " devo dirvi? forse lodarvi? In questo certamente no, Quello infatti che io vi ho insegnato me l'ha comunicato il Signore, e cioè: II Signore Gesù la notte in cui fu tradito, prese il pane e, dopo aver reso le grazie a Dio, lo spezzò e disse: «Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo, che sarà dato a morte per voi; fate questo in memoria di me». E similmente, dopo aver cenato, prese anche il Calice, dicendo: «Questo Calice è il nuovo Patto nel mio Sangue: fate questo tutte le volte che ne berrete in mio ricordo», Quindi ogni qualvolta mangerete questo Pane e berrete questo Calice annunzierete la morte del Signore, finché Egli non venga. Chiunque dunque mangerà questo Pane o berrà il Calice del Signore indegnamente sarà reo del Sangue e del Corpo del Signore. Ognuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di quel Pane e beva di quel Calice; perché chi ne mangia e ne beve indegnamente, non pensando che quello è il Corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna. Ecco perché tra voi ci sono molti malati e deboli, e parecchi ne muoiono. Se ci esaminassimo bene da noi stessi, non saremmo condannati; invece se siamo giudicati dal Signore, Egli deve castigarci per non condannarci col mondo

GRADUALE
Phil 2:8-9
Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis
V. Propter quod et Deus exaltávit illum: et dedit illi nomen, quod est super omne nomen.

Il Cristo si è fatto per noi obbediente fino alla morte e morte di croce.
V. Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome, che è sopra ogni altro nome.

EVANGELIUM
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Ioánnem.
Ioann 13:1-15
Ante diem festum Paschae, sciens Iesus, quia venit hora eius, ut tránseat ex hoc mundo ad Patrem: cum dilexísset suos, qui erant in mundo, in finem diléxit eos. Et cena facta, cum diábolus iam misísset in cor, ut tráderet eum Iudas Simónis Iscariótæ: sciens, quia ómnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exivit, et ad Deum vadit: surgit a cena et ponit vestiménta sua: et cum accepísset línteum, præcínxit se. Deinde mittit aquam in pelvim, et coepit laváre pedes discipulórum, et extérgere línteo, quo erat præcínctus. Venit ergo ad Simónem Petrum. Et dicit ei Petrus: Dómine, tu mihi lavas pedes? Respóndit Iesus et dixit ei: Quod ego fácio, tu nescis modo, scies autem póstea. Dicit ei Petrus: Non lavábis mihi pedes in ætérnum. Respóndit ei Iesus: Si non lávero te, non habébis partem mecum. Dicit ei Simon Petrus: Dómine, non tantum pedes meos, sed et manus et caput. Dicit ei Iesus: Qui lotus est, non índiget nisi ut pedes lavet, sed est mundus totus. Et vos mundi estis, sed non omnes. Sciébat enim, quisnam esset, qui tráderet eum: proptérea dixit: Non estis mundi omnes. Postquam ergo lavit pedes eórum et accépit vestiménta sua: cum recubuísset íterum, dixit eis: Scitis, quid fécerim vobis? Vos vocátis me Magíster et Dómine: et bene dícitis: sum étenim. Si ergo ego lavi pedes vestros, Dóminus et Magíster: et vos debétis alter altérius laváre pedes. Exémplum enim dedi vobis, ut, quemádmodum ego feci vobis, ita et vos faciátis.

Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che per lui era venuta l'ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine: e fatta la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figliuolo di Simone Iscariota, il disegno di tradirlo: sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e ch'era venuto da Dio e a Dio se ne tornava: si leva da tavola, depone il mantello e, preso un asciugatoio, se Io cinge. Poi versa dell'acqua nel bacino, e si mette a lavare i piedi ai discepoli e a rasciugarli con l'asciugatoio. Viene dunque a Simon Pietro; e Pietro gli dice: Signore, tu lavare i piedi a me? Gesù gli rispose: «Quel che io faccio, tu adesso non lo sai; ma lo capirai dopo». Pietro gli dice: Tu non mi laverai i piedi, mai! E Gesù gli risponde: «Se io non ti laverò, non avrai parte con me». E Simon Pietro gli dice: Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo! E Gesù gli dice : «Chi è stato lavato, non ha bisogno di lavarsi, se non i piedi, ma è interamente mondo. E voi siete mondi, ma non tutti». Siccome sapeva chi era colui che l'avrebbe tradito, per questo disse: «Non tutti siete mondi». Come dunque ebbe loro lavato i piedi, ed ebbe ripreso il mantello, rimessosi a tavola, disse loro: « Lo capite quel che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Orbene, se io, che sono il Signore e il Maestro , vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi l'uno all'altro. Poiché vi ho dato un esempio, affinché cosi come ho fatto io, facciate anche voi».

Credo

OFFERTORIUM
Ps 117:16 et 17.
Déxtera Dómini fecit virtútem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

La destra del Signore ha mostrato la sua potenza; la destra del Signore mi ha esaltato: non morrò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.

SECRETA
Ipse tibi, quaesumus, Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus, sacrifícium nostrum reddat accéptum, qui discípulis suis in sui commemoratiónem hoc fíeri hodiérna traditióne monstrávit, Iesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum. Amen.

O Signore santo, Padre onnipotente, eterno Dio, ti renda accetto questo nostro sacrificio quegli stesso, che con l'odierna istituzione insegnò ai suoi discepoli di offrirlo in sua memoria, Gesù Cristo, Figlio tuo, Signore nostro; il quale con te vive e regna. Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

PRÆFATIO DE SANCTA CRUCE
Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui salútem humáni géneris in ligno Crucis constituísti: ut, unde mors oriebátur, inde vita resúrgeret: et, qui in ligno vincébat, in ligno quoque vincerétur: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem maiestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti iúbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes

È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai procurato la salvezza del genere umano col legno della Croce: così che da dove venne la morte, di là risorgesse la vita, e chi col legno vinse, dal legno fosse vinto: per Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo

INFRA ACTIONEM
Communicántes et diem sacratíssimum celebrántes, quo Dóminus noster Iesus Christus pro nobis est tráditus: sed et memóriam venerántes, in primis gloriósæ semper Vírginis Maríæ, Genetrícis eiúsdem Dei et Dómini nostri Iesu Christi: sed et beati Ioseph, eiusdem Virginis Sponsi, et beatórum Apostolórum ac Mártyrum tuórum, Petri et Pauli, Andréæ, Iacóbi, Ioánnis, Thomæ, Iacóbi, Philíppi, Bartholomaei, Matthaei, Simónis et Thaddaei: Lini, Cleti, Cleméntis, Xysti, Cornélii, Cypriáni, Lauréntii, Chrysógoni, Ioánnis et Pauli, Cosmæ et Damiáni: et ómnium Sanctórum tuórum; quorum méritis precibúsque concédas, ut in ómnibus protectiónis tuæ muniámur auxílio. Iungit manus. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

Uniti in una stessa comunione celebriamo il giorno santissimo nel quale nostro Signore Gesù Cristo fu consegnato per noi; e veneriamo anzitutto la memoria della stessa gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del medesimo nostro Dio e Signore Gesù Cristo: e di quella del beato Giuseppe, Sposo della medesima Vergine e dei tuoi beati Apostoli e Martiri: Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone e Taddeo, Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo, Crisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano, e di tutti i tuoi Santi; per i meriti e per le preghiere dei quali concedi che in ogni cosa siamo assistiti dall'aiuto della tua protezione. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.

Hanc ígitur oblatiónem servitútis nostræ, sed et cunctæ famíliæ tuæ, quam tibi offérimus ob diem, in qua Dóminus noster Iesus Christus trádidit discípulis suis Córporis et Sánguinis sui mystéria celebránda: quaesumus, Dómine, ut placátus accípias: diésque nostros in tua pace dispónas, atque ab ætérna damnatióne nos éripi et in electórum tuórum iúbeas grege numerári. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

Ti preghiamo, dunque, o Signore, di accettare placato questa offerta di noi tuoi servi e di tutta la tua famiglia, che ti offriamo per il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo affidò ai suoi discepoli di celebrare i misteri del Corpo e del Sangue: ti preghiamo, o Signore, fa che i nostri giorni scorrano nella tua pace e che noi veniamo liberati dall’eterna dannazione e annoverati nel gregge dei tuoi eletti. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Quam oblatiónem tu, Deus, in ómnibus, quaesumus, bene ☩ díctam, adscríp ☩ tam, ra ☩ tam, rationábilem acceptabilémque fácere dignéris: ut nobis Cor ☩ pus, et San ☩ guis fiat dilectíssimi Fílii tui, Dómini nostri Iesu Christi.

La quale offerta Tu, o Dio, degnati, te ne supplichiamo, di rendere in tutto e per tutto benedetta, ascritta, ratificata, ragionevole e accettabile affinché diventi per noi il Corpo e il Sangue del tuo dilettissimo Figlio nostro Signore Gesù Cristo.

Qui prídie, quam pro nostra omniúmque salúte paterétur, hoc est hódie, accépit panem in sanctas ac venerábiles manus suas, et elevátis óculis in coelum ad te Deum, Patrem suum omnipoténtem, tibi grátias agens, bene ☩ dixit, fregit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et manducáte ex hoc omnes.

HOC EST ENIM CORPUS MEUM.

Il Quale nella vigilia della Passione, cioè oggi, preso del pane nelle sue sante e venerabili mani , alzati gli occhi al cielo, a Te Dio Padre suo onnipotente rendendoti grazie, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: Prendete e mangiatene tutti: QUESTO È IL MIO CORPO.

Il resto del Canone è come al solito. All’ Agnus Dei si risponde tutte e tre le volte “miserere nobis”. Non si dà il bacio di pace e si omette l’orazione “Domine Iesu Christe qui dixisti”.

COMMUNIO
Ioann 13:12, 13 et 15.
Dóminus Iesus, postquam coenávit cum discípulis suis, lavit pedes eórum, et ait illis: Scitis, quid fécerim vobis ego, Dóminus et Magíster? Exemplum dedi vobis, ut et vos ita faciátis.

Il Signore Gesù, come ebbe cenato con i suoi discepoli, lavò loro i piedi, e disse: comprendete quel che io, Signore e maestro ho fatto a voi? Io vi ho dato l'esempio, perché cosi facciate anche voi.

POSTCOMMUNIO
Orémus.
Refécti vitálibus aliméntis, quaesumus, Dómine, Deus noster: ut, quod témpore nostræ mortalitátis exséquimur, immortalitátis tuæ múnere consequámur. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.

Preghiamo.
O Signore Dio nostro, ristorati da questi vitali alimenti, concedici di conseguire, col dono della tua immortalità, ciò che celebriamo durante la nostra vita mortale. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Dopo la Messa il Santissimo Sacramento viene portato al Sepolcro e si canta il Pange lingua.

Pange língua, gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
Fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
Ex intácta Vírgine,
Et in mundo conversátus,
Sparso verbi sémine.
Sui moras incolátus.
Miro clausit órdine.

In suprémæ nocte cœnae
Recúmbens cum frátribus,
Observáta lege plene
Cibis in legálibus,
Cibum turbæ duodénæ
Se dat suis mánibus.

Verbum caro, panem verum
Verbo carnem éfficit;
Fitque sanguis Christi merum:
Et si sensus déficit,
Ad firmándum cor sincérum
Sola fides súfficit.

Tantum ergo Sacraméntum
Venerémur cérnui:
Et antíquum documéntum
Novo cedat ritui:
Præstet fides supplémentum
Sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
Laus et iubilátio:
Salus, honor, virtus quoque
Sit et benedíctio
Procedénti ab utróque
Compar sit laudátio.
Amen.


Canta, o lingua, il mistero
del Corpo glorioso
e del Sangue prezioso,
che in prezzo del mondo
ha versato il frutto d'un seno generoso
il Re delle genti.

Dato a noi e nato per noi
da intatta Vergine,
dopo d'esser vissuto nel mondo
e sparso il seme della parola,
chiuse la fine del suo pellegrinaggio
con una meravigliosa istituzione.

Nella notte dell'ultima cena,
sedendo a mensa coi fratelli,
pienamente osservata la legge
sui cibi prescritti,
al collegio dei dodici in cibo
dà se stesso colle sue mani.

Il Verbo incarnato, con una parola,
di vero pane fa sua carne;
e il vino diventa sangue di Cristo;
e se i sensi ciò non comprendono,
a persuadere un cuor sincero
basta la sola fede.

Quindi un tanto Sacramento
prostrati veneriamo;
e l'antico sacrificio
ceda il posto al nuovo rito;
la fede poi supplisca
al difetto dei sensi.

Al Padre e al Figlio
sia lode e giubilo,
salute, onore, potenza
e benedizione;
a Colui che procede da ambedue
sia pari lode. Amen.

Quindi si compie la Spoliazione degli altari, durante la quale si cantano la seguente antifona e il salmo

Ant. Divisérunt sibi vestiménta mea: et super vestem meam misérunt sortem.

Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti? * longe a salúte mea verba delictórum meórum.
Deus meus, clamábo per diem, et non exáudies: * et nocte, et non ad insipiéntiam mihi.
Tu autem in sancto hábitas, * laus Israël.
In te speravérunt patres nostri: * speravérunt, et liberásti eos.
Ad te clamavérunt, et salvi facti sunt: * in te speravérunt, et non sunt confúsi.
Ego autem sum vermis, et non homo: * oppróbrium hóminum, et abiéctio plebis.
Omnes vidéntes me, derisérunt me: * locúti sunt lábiis, et movérunt caput.
Sperávit in Dómino, erípiat eum: * salvum fáciat eum, quóniam vult eum.
Quóniam tu es, qui extraxísti me de ventre: * spes mea ab ubéribus matris meæ. In te proiéctus sum ex útero:
De ventre matris meæ Deus meus es tu, * ne discésseris a me:
Quóniam tribulátio próxima est: * quóniam non est qui ádiuvet.
Circumdedérunt me vítuli multi: * tauri pingues obsedérunt me.
Aperuérunt super me os suum, * sicut leo rápiens et rúgiens.
Sicut aqua effúsus sum: * et dispérsa sunt ómnia ossa mea.
Factum est cor meum tamquam cera liquéscens * in médio ventris mei.
Aruit tamquam testa virtus mea, et lingua mea adhæsit fáucibus meis: * et in púlverem mortis deduxísti me.
Quóniam circumdedérunt me canes multi: * concílium malignántium obsédit me.
Fodérunt manus meas et pedes meos: * dinumeravérunt ómnia ossa mea.
Ipsi vero consideravérunt et inspexérunt me: * divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem.
Tu autem, Dómine, ne elongáveris auxílium tuum a me: * ad defensiónem meam cónspice.
Erue a frámea, Deus, ánimam meam: * et de manu canis únicam meam:
Salva me ex ore leónis: * et a córnibus unicórnium humilitátem meam.
Narrábo nomen tuum frátribus meis: * in médio ecclésiæ laudábo te.
Qui timétis Dóminum, laudáte eum: * univérsum semen Iacob, glorificáte eum.
Tímeat eum omne semen Israël: * quóniam non sprevit, neque despéxit deprecatiónem páuperis:
Nec avértit fáciem suam a me: * et cum clamárem ad eum, exaudívit me.
Apud te laus mea in ecclésia magna: * vota mea reddam in conspéctu timéntium eum.
Edent páuperes, et saturabúntur: et laudábunt Dóminum qui requírunt eum: * vivent corda eórum in sǽculum sǽculi.
Reminiscéntur et converténtur ad Dóminum * univérsi fines terræ:
Et adorábunt in conspéctu eius * univérsæ famíliæ géntium.
Quóniam Dómini est regnum: * et ipse dominábitur géntium.
Manducavérunt et adoravérunt omnes pingues terræ: * in conspéctu eius cadent omnes qui descéndunt in terram.
Et ánima mea illi vivet: * et semen meum sérviet ipsi.
Annuntiábitur Dómino generátio ventúra: * et annuntiábunt cœli iustítiam eius pópulo qui nascétur, quem fecit Dóminus.

Ant. Divisérunt sibi vestiménta mea: et super vestem meam misérunt sortem.

Ant. Si sono divise tra loro le mie vesti, e sulla mia tunica han gettato la sorte.

Dio, Dio mio, volgiti a me: * perché tu mi hai abbandonato? mi allontana dalla salvezza, la voce dei miei delitti.
Mio Dio, grido di giorno, e non mi esaudisci: * gridola notte, e non per mia follia.
Eppure tu abiti nel santuario, * o gloria d'Israele.
In te sperarono i padri nostri: * sperarono e tu li liberasti.
Gridarono a te e furono salvati: * in te sperarono, e non restarono confusi.
Ma io sono un verme, e non un uomo: * l'obbrobrio degli uomini, e il rifiuto della plebe.
Quanti mi vedono mi scherniscono, * parlottano [sogghignano] colle labbra e scuotono la testa.
Ha sperato nel Signore: egli lo liberi. * Lo salvi, giacché lo ama.
Sì, sei tu, che mi traesti dal seno, * mia speranza fin dalle poppe materne.
Su te fui gettato dal grembo materno: dal seno di mia madre tu sei il mio Dio. * Non ti allontanare da me,
Poiché la tribolazione è vicina, * poiché non c'è chi soccorra.
Mi hanno circondato molti giovenchi: * mi hanno accerchiato grassi tori.
Hanno spalancato contro di me la loro bocca, * come un leone che sbrana, e ruggisce.
Mi sono disciolto come acqua, * e si sono slogate le mie ossa.
Il mio cuore è diventato come cera, che si liquefa * in mezzo alle mie viscere.
Il mio vigore è inaridito come un coccio, e la mia lingua si è attaccata al mio palato, * e mi hai condotto nella polvere della morte.
Poiché numerosi cani mi han circondato: * un concilio di maligni mi ha accerchiato.
Hanno forato le mie mani e i miei piedi: * hanno contato tutte le mie ossa.
Essi poi mi hanno guardato e osservato attentamente. * Si sono divise tra loro le mie vesti, e sulla mia veste [tunica] han gettato la sorte.
Ma tu, o Signore, non allontanar da me il tuo soccorso: * accorri in mia difesa.
Libera dalla spada, o Dio, la mia anima: * e dalla violenza del cane [poiché è] la mia unica.
Salvami dalle fauci del leone, * e la mia debolezza dalle corna degli unicorni.
Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, * in mezzo alla Chiesa ti loderò.
O voi, che temete il Signore, lodatelo: * o intera discendenza di Giacobbe, glorificatelo.
Lo tema tutta la stirpe d'Israele, * perché non disdegnò, né disprezzò la supplica del povero:
Né rivolse da me la sua faccia * e quando alzai a lui le mie grida mi esaudì.
Da te la mia lode nella grande Chiesa, * scioglierò i miei voti in presenza di coloro che lo temono.
I poveri mangeranno, e saranno saziati e loderanno il Signore quei che lo cercano: * vivranno i loro cuori in eterno.
Si ricorderanno e si convertiranno al Signore * tutti i confini della terra:
E adoranti al suo cospetto, * tutte quante le famiglie delle genti.
Poiché del Signore è il regno, * ed egli dominerà sulle genti.
Tutti i potenti della terra hanno mangiato e hanno adorato; * dinanzi a lui si prostreranno tutti quelli che scendono nella terra.
E l'anima mia vivrà per lui, * e la mia stirpe a lui servirà.
Sarà annunziata al Signore la generazione avvenire, * e i cieli annunzieranno la giustizia di lui al popolo che nascerà, e che il Signore ha creato.

Ant. Si sono divise tra loro le mie vesti, e sulla mia tunica han gettato la sorte.


Dopo la spoliazione degli altari si celebra il rito della Lavanda dei Piedi

Antiphona 1
Ioann 13.34.
Ant. Mandátum novum do vobis: ut diligátis ínvicem, sicut diléxi vos, dicit Dóminus.
Ps 118:1.
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.
Ant. Mandátum novum do vobis: ut diligátis ínvicem, sicut diléxi vos, dicit Dóminus.

Un nuovo precetto vi do: che vi amiate a vicenda, come io ho amato voi, dice il Signore.
V. Beati quanti sono di condotta immacolata; che vivono nella legge del Signore.

Antiphona 2
Ioann 13:4, 5 et 15.
Ant. Postquam surréxit Dóminus a cœna, misit aquam in pelvim, et cœpit laváre pedes discipulórum suórum: hoc exémplum réliquit eis.
Ps 47:2.
Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitáte Dei nostri, in monte sancto eius.
Ant. Postquam surréxit Dóminus a cœna, misit aquam in pelvim, et cœpit laváre pedes discipulórum suórum: hoc exémplum réliquit eis.

Antiphona 3
Ioann 13:12, 13 et 15.
Ant. Dóminus Iesus, postquam cenávit cum discípulis suis, lavit pedes eórum, et ait illis: «Scitis, quid fécerim vobis ego, Dóminus et Magíster? Exémplum dedi vobis, ut et vos ita faciátis».
Ps 84:2.
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob.
Ant. Dóminus Iesus, postquam cenávit cum discípulis suis, lavit pedes eórum, et ait illis: «Scitis, quid fécerim vobis ego, Dóminus et Magíster? Exémplum dedi vobis, ut et vos ita faciátis».

Il Signore Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, disse loro: Capite che vi ho fatto io, Signore e Maestro? Vi ho dato l'esempio perché così anche voi facciate.
V. Signore, hai benedetto la tua terra. liberasti Giacobbe dalla schiavitù.
Il Signore Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, disse loro: Capite che vi ho fatto io, Signore e Maestro? Vi ho dato l'esempio perché così anche voi facciate.

Antiphona 4
Ioann 13:6-7 et 8.
Ant. «Dómine, tu mihi lavas pedes?» Respóndit Iesus et dixit ei: «Si non lávero tibi pedes, non habébis partem mecum».
V. Venit ergo ad Simónem Petrum, et dixit ei Petrus.
Ant. «Dómine, tu mihi lavas pedes?» Respóndit Iesus et dixit ei: «Si non lávero tibi pedes, non habébis partem mecum».
V. «Quod ego fácio, tu nescis modo: scies autem póstea».
Ant. «Dómine, tu mihi lavas pedes?» Respóndit Iesus et dixit ei: «Si non lávero tibi pedes, non habébis partem mecum».

O Signore, a me tu lavi i piedi? Rispose Gesù a Pietro: Se non ti laverò i piedi non avrai parte con me.
V. Venne dunque a Simon Pietro, e Pietro gli disse:
Signore, a me tu lavi i piedi? Rispose Gesù a Pietro: Se non ti laverò i piedi non avrai parte con me.
V. Ora non sai ciò che io faccio, lo saprai poi.
Signore, a me tu lavi i piedi? Rispose Gesù a Pietro: Se non ti laverò i piedi non avrai parte con me.

Antiphona 5
Ioann 13:14.
Ant. «Si ego, Dóminus et Magíster vester, lavi vobis pedes: quanto magis debétis alter altérius laváre pedes?»
Ps 48:2
Audíte hæc, omnes gentes: áuribus percípite, qui habitátis orbem.
Ant. «Si ego, Dóminus et Magíster vester, lavi vobis pedes: quanto magis debétis alter altérius laváre pedes?»

Se io, vostro Signore e Maestro, ho lavato i piedi a voi, quanto più dovrete lavarveli a vicenda?
V. Genti tutte, udite; porgete l'orecchio, abitatori tutti della terra.
Se io, vostro Signore e Maestro, ho lavato i piedi a voi, quanto più dovrete lavarveli a vicenda?

Antiphona 6
Ioann 13.35.
Ant. «In hoc cognóscent omnes, quia discípuli mei estis, si dilectiónem habuéritis ad ínvicem».
V. Dixit Iesus discípulis suis.
Ant. «In hoc cognóscent omnes, quia discípuli mei estis, si dilectiónem habuéritis ad ínvicem».

Da ciò capiranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete a vicenda.
V. Disse Gesù ai suoi discepoli:
Da ciò capiranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete a vicenda.

Antiphona 7
1 Cor 13:13.
Ant. Máneant in vobis fides, spes, cáritas, tria hæc: maior autem horum est cáritas.
V. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: maior horum est cáritas.
Ant. Máneant in vobis fides, spes, cáritas, tria hæc: maior autem horum est cáritas.

Restino in voi queste tre cose: fede, speranza e carità; di queste la carità è la maggiore.
V. Rimangono ora la fede, la speranza, la carità, queste tre virtù; la più grande di esse è la carità.
Restino in voi queste tre cose: fede, speranza e carità; di queste la carità è la maggiore.

Antiphona 8
Ubi cáritas et amor, Deus ibi est.
Congregávit nos in unum Christi amor. / Exsultémus et in ipso iucundémur. / imeámus et amémus Deum vivum. / Et ex corde diligámus nos sincéro.
Ubi cáritas et amor, Deus ibi est.
Simul ergo cum in unum congregámur: / Ne nos mente dividámur, caveámus. / Cessent iúrgia malígna, cessent lites. / Et in médio nostri sit Christus Deus.
Ubi cáritas et amor, Deus ibi est.
Simul quoque cum Beátis videámus / Gloriánter vultum tuum, Christe Deus: / Gáudium, quod est imménsum atque probum, / Sǽcula per infiníta sæculórum. Amen.

Dov'è carità ed amore, lì è Dio.
L’amore di Cristo ci riunì in un solo corpo. / Esultiamo e rallegriamoci in Lui. / Temiamo ed amiamo il Dio vivo. / E amiamoci con cuore sincero.
Dov'è carità ed amore, lì è Dio.
Allora se ci uniamo tutti insieme, badiamo di non essere, divisi di cuore. / Cessino le maligne contese, cessino le liti. / E in mezzo a noi ci sia il Cristo Dio.
Dov'è carità ed amore, lì è Dio.
In un coi beati possiamo noi vedere nella gloria il volto tuo, o Cristo Dio. / Vero ed immenso gaudio. / Per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.

Pater noster (in segreto)
V. Et ne nos inducas in tentationem.
R. Sed libera nos a malo.
V. Tu mandásti mandáta tua, Dómine.
R. Custodíri nimis.
V. Tu lavásti pedes discipulórum tuórum.
R. Opera mánuum tuárum ne despícias.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Orémus.
Adésto, Dómine, quǽsumus, offício servitútis nostræ: et quia tu discípulis tuis pedes laváre dignátus es, ne despícias ópera mánuum tuárum, quæ nobis retinénda mandásti: ut, sicut hic nobis, et a nobis exterióra abluúntur inquinaménta; sic a te ómnium nostrum interióra lavéntur peccáta. Quod ipse præstáre dignéris, qui vivis et regnas Deus: per ómnia sǽcula sæculórum. Amen.

V. Tu, o Signore, ordinasti che i tuoi comandi,
R. Siano bene eseguiti.
V. Tu lavasti i piedi dei tuoi discepoli.
R. Non aver in dispregio le opere delle tue mani.
V. Esaudisci, o Signore, la mia preghiera.
R. Il mio grido salga sino a te.
V. Il Signore sia con voi.
R. E con lo spirito tuo.

Preghiamo.
Noi ti preghiamo, o Signore, a favorire gli umili doveri della nostra servitù, e giacché tu ti sei degnato di lavare i piedi dei tuoi discepoli, non rigettare le opere delle tue mani, che ci comandasti di imitare; affinché, come qui da noi e a noi scambievolmente si lavano le esteriori sozzure, così da te siano lavate tutte le macchie interne dei nostri peccati. Il che ti degnerai di concederci tu stesso che vivi e regni Dio per tutti ì secoli dei secoli. Amen».

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https://tradidiaccepi.blogspot.com/2019/04/giovedi-santo-benedizione-e.html?m=1




https://www.facebook.com/catholictradition2016/
«SANTO TRIDUO PASQUALE
Stasera, secondo il rito secolare della Santa Chiesa, si apre il Santo Triduo Pasquale con l'Ufficio delle Tenebre in Coena Domini.
Santo Triduo Pasquale a tutti.
[SUSSIDIO] https://drive.google.com/file/d/10GitU2WGXbYKv6GWSvBfQ7WqcsPtfUjK/view (da pag. 174 a pag. 212)
[AUDIO] https://passioxp.com/2019/04/17/maundy-thursday-tenebrae-ss-ma-trinita-dei-pellegrini/
INDULGENZE (Preces et pia opera 1952, n. 189): Ai fedeli, che il Mercoledì, Giovedì e Venerdì Santo saranno intervenuti agli Uffici, detti «delle Tenebre», e avranno seguito il canto dei salmi e delle lezioni, secondo la capacità loro propria, o con divota lettura o con pie meditazioni sulla Passione del Signore o con preghiere, si concede: Indulgenza di 10 anni in ciascuno dei detti giorni; Indulgenza plenaria, se in tutti e tre i giorni avranno atteso al medesimo pio esercizio e, inoltre, avranno espiato i loro peccati con penitenza sacramentale, si saranno nutriti al celeste Banchetto e avranno pregato secondo l'intenzione del Sommo Pontefice (S. Pen. Ap., 16 marzo 1935)».



https://media.musicasacra.com/pdf/hebdomadae.pdf
«OFFICIUM MAJORIS HEBDOMADJE ET OCTA V lE PASCHJE CUM CANTU.TUXT A ORDINEM
BREVIARII, MISSALIS ET P0NTIFICALIS ROMANI EDITIO COMPENDIOSA I JUXTA TYPlCAM»





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“9 Aprile 2020: Giovedì Santo (Istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio cattolico)”

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https://www.radiospada.org/tag/breve-apologia-del-cristianesimo/

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«LE CAUSE DELLA TRISTEZZA DI GESÙ RIVELATE A SANTA CAMILLA BATTISTA VARANO
Cuore dolcissimo di Gesù, quanto ti ringrazio di aver tanto sofferto!»

https://www.radiospada.org/2020/03/la-corona-dei-cento-requiem/
«La Corona dei Cento Requiem
Una pietosissima pratica della beata Anna Maria Taigi (Siena, 29 maggio 1769 – Roma, 9 giugno 1837) per suffragare le Anime Sante del Purgatorio».
https://i0.wp.com/www.radiospada.org/wp-content/uploads/2020/03/ob_137c88_preghiera.jpg



https://www.radiospada.org/tag/passione-di-cristo/
https://www.radiospada.org/2018/03/film-completo-la-passione-di-cristo/
«[FILM COMPLETO] La Passione di Cristo.
Un film da rivedere in Quaresima e, in particolare, nel corso della Settimana Santa: lo offriamo ai nostri lettori senza sottotitoli dall’aramaico e dal latino per evitare distrazioni di lettura in un contesto che è chiaro a chiunque abbia elementi minimi di conoscenza del Vangelo.
Il valore cinematografico di questa opera non va separato da quello spirituale: la Passione di Nostro Signore, insieme con la devozione al Sacro Cuore e quella (dimenticata) alle Sante Piaghe siano il centro di questa Settimana che ci prepara alla Santa Pasqua.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti – Isaia 53, 5.
Con le mie Piaghe e il mio Cuore divino, voi potete ottenere tutto – N. S. G. C. a Sr. Maria Marta Chambon».



https://cristianesimocattolico.wordpress.com/2018/03/29/la-passione-di-cristo-film-completo/
“La Passione di Cristo (film completo)
Il Venerdì Santo, giorno di penitenza e di digiuno, bisogna mediare la dolorosa Passione del Signore. Per farlo meglio, vi offriamo un aiuto importante: il film completo La Passione di Cristo. Buona visione, ma soprattutto buona meditazione.
«Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Isaia 53, 5)”





https://forum.termometropolitico.it/2200-triduo-pasquale-prima-delle-riforme-di-pio-xii.html
https://forum.termometropolitico.it/55557-nel-triduo-pasquale-un-testo-per-meditare-sulla-passione-di-cristo.html
https://forum.termometropolitico.it/1696-giovedi-santo.html
https://forum.termometropolitico.it/342917-giovedi-santo.html





http://www.unavoce-ve.it/gueranger.htm#PASS




https://www.sursumcorda.cloud/
https://www.facebook.com/CdpSursumCorda/?fref=nf
«Carlo Di Pietro - Sursum Corda».
https://www.sursumcorda.cloud/preghiere.html





Ligue Saint Amédée (http://liguesaintamedee.ch/)
http://liguesaintamedee.ch/
https://www.facebook.com/SaintAmedee/?fref=nf
«Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum].»
“Jeudi Saint.”
"Méditation pour le Jeudi Saint : Jour d'union"




Lodato sempre sia il Santissimo nome di Gesù, Giuseppe e Maria!!!
CHRISTUS VINCIT, CHRISTUS REGNAT, CHRISTUS IMPERAT!!!
Luca, SURSUM CORDA – HABEMUS AD DOMINUM!!!