PDA

Visualizza Versione Completa : Perle "cattolicamente" scorrettissime: Cammilleri, una risorsa per la nostra causa



Italianhawk83
01-04-05, 19:48
Amici,
posto di seguito qualche intervento di Rino Cammilleri, firma "very politically incorrect". Sono tutti da leggere...

Italianhawk83
01-04-05, 19:50
Aveva ragione Orwell: «Chi controlla il passato, controlla il presente. Chi controlla il presente, controlla il futuro». Da qui le zuffe sulla storia, della quale, come si sa, c'è quella «ufficiale», contro cui combattono i «revisionisti».

Certo, una storia «ufficiale» fa pensare ai totalitarismi. Infatti, già gli antichi Incas cassavano dalle cronache ufficiali i funzionari epurati. E nei primi quindici anni della rivoluzione bolscevica l'insegnamento della storia fu vietato nelle scuole. La storia la «fanno» (meglio: la raccontano) i vincitori, si sa, ed è già tanto se la raccontano tutta. I bolscevichi facevano partire gli studenti dall'anno zero, il loro.

Anche i cristiani hanno il loro anno zero, la nascita di Cristo, ma non si sono mai sognati di raccontare le cose solo a partire da allora. Invece, «Il Giornale» ha dovuto dedicare un'intera pagina al modo di narrare la storia oggi nel mondo. In Iran, «tutto ciò che precede l'islamizzazione del Paese» è ignorato. Lo stesso in Sudan, dove l'epurazione ha raggiunto anche i musei e i monumenti nubiani.

In Arabia Saudita «la storia del mondo non islamico è ignorata, e quando proprio non si può tacere, si ricorre al vituperio». In Turchia, che pur aspira a entrare nella Ue, «la storia contemporanea dopo la morte di Ataturk (1938) è completamente ignorata».

Credo che uno dei (tanti) criteri con cui giudicare se una civiltà è superiore o meno a un'altra sia anche questo: vedere come viene trattata la storia. Ed è anche il motivo che mi costringe da trent'anni ad occuparmene.

Italianhawk83
01-04-05, 19:52
L’agenzia «Corrispondenza romana» ha riflettutto su recenti indagini giornalistiche (soprattutto di «Panorama» del 3 febbraio 2005) che hanno sottolineato il trend permissivo della magistratura italiana.

Tra riti abbreviati, patteggiamenti, permessi premio, semilibertà e scarcerazioni anticipate sembra una campagna saldi/sconti da supermarket («Ammazzi cinque e paghi due», ha sbottato il padre di una delle vittime dei satanisti varesotti). E non è solo la magistratura ad evidenziare una mentalità marx-freudiana. Anche certi cappellani carcerari sembrano voler dare le «colpe» del crimine alla «società». Comprensibile che, stando a quotidiano contatto con i racconti lacrimevoli dei carcerati, questi preti finiscano per impietosirsi. Ma rovesciare l’idea stessa di codice penale, il quale non deve più «punire» ma «recuperare», porta ad atteggiamenti francamente estremi. Come quello di pretendere dalle famiglie delle vittime il «perdono». Un perdono, va da sé, senza pentimento e soprattutto senza riscatto. Il pensiero politicamente corretto (che è un mix di marxismo e cattolicesimo progressista) ha condotto all’abolizione di reati come l’adulterio, il concubinato, la sodomia, l’aborto e il tentato suicidio, ed ha fatto diventare reati inquinare, sculacciare i figli o schiaffeggiare un alunno, offendere un handicappato, molestare una donna, invadere la privacy, maltrattare un animale o fumare in pubblico. Così che una semplice avance può essere punita più gravemente di una rapina (sono osservazioni di Sergio Romano sullo stesso numero di «Panorama»).

L’ergastolo è stato abolito e impera, ormai, la convinzione che «punire» sia obsoleto: meglio «reinserire». Insomma, «buonismo» che valuta la pena solo in base all’utilità che il criminale stesso e la società ne possono ricavare; tanto, quel che è fatto è fatto: «chi muore giace e chi vive si dà pace», dice il proverbio. Naturalmente, la sicurezza sociale e la giustizia vanno a farsi benedire. Cioè, va a farsi benedire uno dei motivi per cui esiste lo Stato. Ma alla teologia marx-freud-catto-progressista del valore espiatorio della pena (la Croce) non gliene frega niente, né crede a una pena eterna (Inferno) e neppure temporanea (Purgatorio). Era solo questione di tempo prima che tale giro mentale da certe sagrestie finisse nei tribunali.

Italianhawk83
01-04-05, 19:57
Naturalmente le analisi si sono sprecate e ogni commentatore ha visto nella vittoria di Bush quel che ha voluto vedere: chi ha messo l’accento sulle tasse, chi sulla guerra in Iraq, chi sulla Borsa e chi sul petrolio. Ma pochi sono andati a guardare nel vero tema all’ordine del giorno in questo inizio di millennio: la religione.

E’ infatti così enorme da passare, paradossalmente, inosservato; eppure, in questi ultimi anni non si è fatto altro che parlarne. Islam, radici cristiane, concezione della famiglia, bioetica, relativismo. Anche la polemica su Buttiglione commissario europeo è stata “religiosa”. C’è una battaglia di civiltà in corso, ma quelli che parlano a nome del popolo sembrano non essersene accorti.

Se n’è accorto, invece, proprio il popolo, a cominciare da quello titolare della più antica e gloriosa democrazia. Sì, perché le ultime elezioni presidenziali americane sono state un autentico plebiscito popolare a favore di Bush, il quale ha incassato il più alto consenso mai avuto da un presidente americano. Nemmeno il mitico Kennedy ne ha avuto tanto.

E’ stata, questa, la vittoria della gente comune, di quel famoso americano medio che di solito a votare non ci va. Eppure, alla chiusura dei seggi c’erano ancora file interminabili di gente che voleva votare. Che voleva votare Bush. Mai vista una cosa simile.

L’America cosiddetta profonda, quella demonizzata nei romanzi di Stephen King, quella da cui, stando ai telefilm, tutti vorrebbero scappare per andare a vivere a New York o a Los Angeles, ha fatto una cosa che non aveva mai fatto prima: ha preso il pick-up scassato e si è fatta miglia di strada per andare a votare. Per Bush. Il celebre politologo Michael Novak, direttore degli Studi di scienze sociali all’American Enterprise Institute, intervistato da Riccardo Cascioli di «Avvenire» ha indicato chiaramente quale America ha perso con Kerry: quella dei ricchi.

Con buona pace dei nostri (italiani ed europei) osservatori ed esperti di sinistra. Già, perché oltre ai soliti finanziamenti al partito di Kerry, i vari Soros e Turner sono scesi in campo con una cifra che va dai sessanta agli ottanta miliardi dollari per battere Bush. Quest’ultimo è stato definito stupido e ignorante da quasi tutta Hollywood, da tutte le rockstar, perfino dai grandi quotidiani (altra rarità: poche volte era successo in precedenza).

L’élite colta e di spettacolo era schierata con Kerry. E, a sentire Novak, lo erano anche i miliardari in dollari, quelli che secondo una certa vulgata dovrebbero tenere per la destra. Invece, no (e ne abbiamo anche qui in Italia, esempi di ricconi sinistroidi).

Sì, perché essi «si concepiscono come il centro dell’universo»; per questo «sono fortemente relativisti». Insomma, non sopportano le limitazioni morali.

L’America, si dice, è spaccata in due? Macchè: le élites antipopolari costituiscono al massimo un dieci per cento, sono gli editorialisti, gli anchormen, i megaprofessionisti, gli artisti strapagati. La riprova di quanto siano rappresentativi di nulla la si è avuta nei referendum popolari che, in undici stati, hanno bocciato a stragrandissima maggioranza le cosiddette nozze gay.

Sostiene Novak che il risultato sarebbe stato lo stesso se si fosse tenuto analogo referendum in tutti gli altri States, e gli crediamo. Infatti, per esempio, l’aborto negli Usa è stato introdotto da un tribunale, non da un referendum come da noi.

Se il popolo americano venisse chiamato a pronunciarsi su questo tema, l’esito sarebbe senza dubbio diverso. Gli americani, popolo religioso, si sono resi conto che c’erano in gioco le fondamenta stesse della civiltà cristiana e occidentale: questa campagna elettorale è stata caratterizzata dalle grandi questioni etiche, come la famiglia tradizionale, la ricerca sull’embrione, il patriottismo.

E la gente comune si è ribellata alle sue élites, dicendo chiaro e forte come la pensa, nell’unico modo che le è dato per esprimersi: il voto.

Italianhawk83
01-04-05, 20:01
L'agenzia «Corrispondenza romana» mi ricorda che Ronald Reagan, presidente americano dal 1981 al 1989, non fu solo l'artefice del crollo dell'Urss e del rilancio economico degli Usa, ma anche il primo politico in Occidente a mettere al centro della sua agenda la lotta alla droga. E già nel 1970, ai tempi della sua ascesa a governatore della California.

In quegli anni Nixon si era impegnato nel tentativo di superare l'approccio esclusivamente repressivo al problema della tossicodipendenza, ma si era impantanato nella opinabile distinzione tra drogato e spacciatore, distinzione che vede il primo solo come vittima innocente. Infatti, con l'avvento della stagione «hippy», si passò da meno dell'1% di drogati occasionali nel 1962 al 70% del 1979, quando i tre quarti dei giovani americani tra i diciotto e i venticinque anni finirono coinvolti in uso di acidi, hashish e altro.

Reagan invece comprese che bisognava affrontare le radici ideologiche del problema e si adoperò per segare il ramo su cui stava seduta la cosiddetta «controcultura». Il suo impegno si chiamò «Guerra alla droga» e diede dignità istituzionale al movimento spontaneo di migliaia di gruppi di genitori divenuti poi Anti-drug Parents' Movement («Movimento dei genitori contro la droga»).

Nel 1984 varò il programma National Family Patnership, tramite programmi di educazione nelle scuole e nei posti di lavoro realizzati capillarmente in tutta la nazione. Reagan firmò infine la legge del 1986, Anti-Drug Abuse Act. In pochi anni riusci per la prima volta ad invertire la tendenza, riducendo di oltre il 70%, e in maniera stabile, il numero dei consumatori americani di droga. Con ricadute altrettanto positive in materia di crimini e decessi.

Anche per questo l'ex cowboy cinematografico ha dato il suo nome a un'epoca. Forse, davvero, per realizzare quel ha fatto lui ci voleva non un politico di carriera ma un «uomo medio», di quelli cresciuti nel mito, tipicamente americano, di John Wayne.

Italianhawk83
01-04-05, 20:04
Sappiamo che le posizioni del candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, John Kerry, sono molto diverse da quelle del repubblicano Bush sulla guerra in Iraq e al terrorismo islamico. Forse, con lui presidente, gli Usa inaugurerebbero una politica neo-isolazionista, chissà. Ma cosa significherebbe una vittoria di Kerry, cattolico, per i cattolici?

E' noto che egli, a differenza di Bush, è a favore dell'aborto, della libera ricerca biogenetica, dell'eutanasia, delle unioni omosessuali. Il senatore Kerry negli ultimi sei mesi non ha mai votato in Senato essendo stato troppo occupato nella campagna elettorale.

Ma ha trovato il tempo per attraversare mezza nazione e trovarsi a Washington per votare contro una legge che stabilisce pene per chi nel corso di un'azione prevista come delittuosa dalle leggi federali colpisce dannosamente la vita di bambini non nati che vi siano coinvolti. Kerry sapeva che, grazie ai voti della maggioranza repubblicana, la legge sarebbe passata ma ha voluto farsi vedere a votarle contro per assicurarsi l'appoggio elettorale della lobby abortista.

L'arcivescovo di St. Louis, Raymond Burke, intende negare la comunione ai politici cattolici favorevoli all'aborto, includendo espressamente il senatore Kerry. Col risultato che gli strateghi elettorali di Kerry adesso pensano che la cosa potrebbe accrescere la popolarità del loro candidato nei confronti dei settori anticattolici.

Già si parla di un parallelo tra Kerry e Kennedy: quest'ultimo, quand'era (anch'egli) candidato democratico, nel famoso discorso di Houston del 1960 dichiarò che la sua fede cattolica non avrebbe affatto influenzato le sue scelte come presidente. E mantenne. Ma in quattro decenni tanta acqua è passata sottto i ponti.

Quali potrebbero essere, oggi, gli scenari? Già il Canada ha una legislazione che considera «crimine odioso» parlar male dell'omosessualità. In certi stati americani si discute se agli studenti debba essere interdetta la preghiera a scuola in nome della «laicità» delle istituzioni (però li si costringe all'«educazione sessuale» con istruzioni sull'uso del preservativo).

Stati come la California e il Massachusetts stanno per riconoscere il cosiddetto «matrimonio omosessuale» e cresce la pressione sulla Chiesa cattolica, colpevole di essere «discriminatoria» nel rifiutare di dare solennità liturgica a tali "unioni".

Su questa via, potrebbe darsi che le femministe prima o poi chiedano al governo di agire contro una Chiesa che rifiuta l'ordinazione sacerdotale alle donne e che si cerchi di far mettere fuori legge chi protesta contro l'aborto. Strana libertà, quella proposta dai "libertari": libertà solo per loro, e divieti per tutti gli altri.

Italianhawk83
01-04-05, 20:06
Ricevo via e-mail alcune considerazioni da B. M. Bruti e le rilancio. E’ noto che il razzismo molto deve alle teorie darwiniste ottocentesche, delle quali era tributario anche il materialismo storico marxista.

Quest’ultimo si staccava dal socialismo utopico coevo, cui dava del «romantico» pretendendosi «scientifico». Tutte queste parentele si saldavano, a valle, nell’antisemitismo, le cui radici stavano in quel secolo (ma nulla aveva da spartire con l’antigiudaismo religioso di quelli precedenti). Infatti, il teorico del socialismo Alphonse de Tousnel (1803-1885), discepolo del famoso Charles Fourier, scrisse due opere significative: Gli ebrei, re dell'epoca e Storia dell'aristocrazia feudale dei finanzieri.

In esse si stigmatizzava la presunta oppressione esercitata sul mondo dal denaro ebraico. Per il più famoso Pierre Josephe Proudhon (1809-1865), secondo il quale «la proprietà è un furto», gli ebrei erano stati gli inventori del capitalismo ed erano pertanto nemici del genere umano: «Si deve rimandare questa razza in Asia o sterminarla». Il famosissimo Karl Marx (1818-1883), pur essendo ebreo, scrisse un La questione ebraica, nel quale affermava: «Il denaro è il geloso dio d'Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere».

Nel 1856 pubblicò sul «New York Tribune» un articolo intitolato «Il prestito russo»; in esso c’erano frasi del tipo: «Sappiamo che dietro ogni tiranno c'è un ebreo»; «L'utilità delle guerre promosse dai capitalisti cesserebbe se non fosse per gli ebrei che rubano i tesori dell'umanità»; «Gli usurai contemporanei che stanno dietro i tiranni e le tirannie per la maggioranza sono ebrei.

Il fatto che gli ebrei siano diventati tanto forti da mettere in pericolo la vita del mondo ci induce a svelare la loro organizzazione, i loro scopi, affinché il loro lezzo possa risvegliare i lavoratori del mondo a combatterli e ad eliminare un simile cancro». Hitler fondò un partito di «socialismo nazionale» o nazionalsocialismo, poi contratto in «nazismo», e portò alle estreme conseguenze simili premesse.

Italianhawk83
01-04-05, 20:07
Identikit del progressista medio: vive in un cascinale col camino a legna dove pratica la piccola pastorizia e coltiva zucchini senza ddt, si cura con le erbe e beve tisane, non ha la tivù e la sera ama giocare coi suoi cani al lume a petrolio (grezzo), pratica una religione antichissima, il buddhismo, e quando può va scalzo.

Ha tre cellulari che tiene spenti perché li usa solo in città (lavora come informatico), dove pratica la bici e le domeniche a piedi. Odia l’auto e, per le grandi distanze, privilegia il mezzo pubblico. Non gli parlate di energia nucleare perché si innervosisce.

Nemmeno di nuove strade vicino casa sua. Discariche? Allora volete vederlo veramente irato! Riciclaggio e basta, carta di stracci e bottiglie di vetro. Punto. E poi, se proprio insistete, mulini a vento ed energia solare, purchè non sciupino il panorama.

Non vuol vedere elettrodotti né, figurarsi, antenne. Il suo habitat è un ambiente pre-industriale, tanto «pre» da risalire al XV secolo (già, perché nel XVI è stato introdotto il tabacco). Potremmo continuare con gli esempi, cari lettori, ma è un esercizio che potete fare da soli a casa. La domanda, qui, è questa: ma perché diavolo si fanno chiamare «progressisti»?