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krentak the Arising!
15-04-05, 18:48
Aids, l'Onu si arrende alla Chiesa
di Riccardo Cascioli

Il fallimento della "politica del preservativo" spinge le agenzie
internazionali a guardare ai successi delle organizzazioni cattoliche,
basati sulla presenza e sull'educazione. Il caso dell'Uganda.


«La Chiesa cattolica e la Caritas sono risorse chiave a livello dei singoli
Paesi. Quindi per favore contattate e cercate una collaborazione attiva con
loro attraverso le Conferenze episcopali cattoliche e gli uffici nazionali
della Caritas, e facilitate il loro inserimento negli appropriati progetti
di cooperazione nel Paese». Questo ordine è stato impartito ai coordinaton
nazionali dell'UNAIDS (l'agenzia dell'Onu che si occupa di lotta all'Aids)
da parte del Direttore del Country & Regional Support Department, Michel
Sidibe. La data del memorandum è il 31 marzo 2004 e rappresenta una svolta
nell'atteggiamento delI'agenzia dell'Onu.

Finora, infatti, da UNAIDS e da altre agenzie internazionali erano venute
solo velenose polemiche contro la Chiesa cattolica, accusata essenzialmente
di ostacolare l'uso dei preservativi come forma di prevenzione dell'Aids.
Addirittura quando nell'autunno scorso ii cardinale Alfonso Lopez Trujillo,
presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, affermò alla BBC che il
preservativo è permeabile al virus Hiv chiedendo che ciò venisse scritto su
tutte le confezioni di profilattici (come si usa per le sigarette), fu
oggetto di un linciaggio me diatico senza precedenti.

UNAIDS ora invece riconosce in questa lettera che «la Chiesa cattolica è
responsabile del 26% di tutti i servizi sanitari nel mondo» e che in 38
Paesi in via di Sviluppo (che vengono tutti elencati nel memorandum) ha in
corso importanti programmi per la prevenzione e cura delI'Aids. Non si fa
ancora marcia indietro sul preservativo, ma indirettamente si riconosce che
questa forma di prevenzione - l'unica sostenuta a livello di agenzie
internazionali - non dà i risultati previsti. In realtà, alcuni ricercatori
si spingono più in là. Edward Green, scienziato di forrnazione liberale dell'Harvard's
Center for Population and Development Studies, nel 2002 affermava in uno
studio che «dopo 20 anni di pandemia non c'è al cuna evidenza che piü
preservativi portino a meno Aids». E nel 2003 lo stesso Green ha pubblicato
un libro dal titolo significativo - Rethinking AIDS Prevention (Ripensare la
prevenzione dell'Aids), Greenwood Press - in cui, partendo dall'esperienza
sul campo e dai dati raccolti, sostiene che l'unico approccio che risulta
efficace nella prevenzione deIl'Aids è quello basato sull'educazione all'astinenza
e alla fedeltà coniugale. Insomma, ciò che la Chiesa cattolica ha sempre
fatto e che anche l'arnministrazione Bush sta ora cercando di fare
sostenendo le organizzazioni religiose che operano nei Paesi in via di
Sviluppo. Per inciso, vale la pena ricordare che ii 24 maggio scorso proprio
a Edward Green è stato assegnato l'importante Premio Philly Bongole Lutaaya
per il suo lavoro sull'Aids in Africa.

Il caso che meglio spiega queste posizioni é quello dell'Uganda, l'unico
Paese dove ci sia stata una reale diminuzione nel tasso di infezioni da HIV:
secondo i dati offerti da uno studio di USAID (l'agenzia per lo sviluppo
internazionale che fa capo al governo americano) c'è stata una riduzione del
75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 e del
54% nel suo complesso. E questo perché è stato ridotto del 65% ii sesso con
partner casuali, grazie all'azione del governo che ha puntato soprattutto
sull'educazione all'astinenza e alla fedeltà coniugale, nconoscendo al
contempo il lavoro di chi già sul campo lavorava in questa direzione. Al
contrario, l'arcivescovo di Nairobi, Raphael Ndingi Nzeki, ha denunciato che
negli altri Paesi «l'Aids è cresciuto cosìI rapidamente a causa della
disponibilità dei preservativi». Non sembn un'affermazione provocatoria: il
29 gennaio 2000 lIa rivista scientifica The Lancet, a proposito dell'incentivo
alI'uso dei profilattici, avvertiva del pericolo di "una falsa percezione di
protezione" che "induce ad aumentare i comportamenti a rischio".

E lecito a questo punto porsi una domanda: come è accaduto che la Chiesa
avesse ragione mentre a livello internazionale c'e stato un abbaglio
collettivo? Sostanzialmente perché mentre le agenzie Onu si sono sempre
mosse sulla base di schemi ideologici, la Chiesa è presenza, la Chiesa vive
il metodo della condivisione. Giuliano Rizzardini, primario di malattie
infettive all'ospedale di Busto Arsizio ma con una lunga esperienza in
Africa nella lotta all'Aids e consulente della Santa Sede, spiega che «la
presenza permette di cogliere i reali bisogni, di creare un contesto
educativo che solo permette a prevenzione e terapie di essere efficaci, di
inventare modalità di intervento, di essere credibili e autorevoli nel
suggerire soluzioni». Non sono parole, é un fatto, corroborato da alcuni
dati: le organizzazioni cattoliche che in tutto il mondo lavorano a vario
titolo per la salute sonc 110.954 e gestiscono 6.038 ospedali, 17.189
dispensari, 799 lebbrosari, 13.238 case di cura per anziani e cronici,
64.979 centri di riabilitazione, counselling, assistenza pediatnca. E nell'Uganda
diventata esempio per il resto del mondo in fatto di lotta all'Aids la
sanità gestita dalla Chiesa cattolica - secondo le cifre fornite dal Journal
of Medicine and the Person - conta 27 ospedali (un quarto del totale) 220
unità sanitarie di primo livello e le scuole infermieri, mantenendo "un
ruolo decisivo neIl'erogazione sia dei servizi di base che di alta
specializzazione traman dando un prezioso ethos professionale una cultura di
servizio".

Una seconda questione importante è nella specificità di questa presenza
della Chiesa: essa, infatti, nell'offrire un servizio, punta all'eclucazione
della persona. I governi occidentali e le agenzie internazionali pensano che
basti rendere disponibili le medicine per avere terapie di successo, e
invece questo non basta. Ancora l'esperienza del dottor Rizzardini: «Le
terapie hanno successo soltanto se sono inserite in un contesto educativo».
Vale a dire che l'astinenza e la fedeltà coniugale, ad esempio, non sono
imposizioni di morale o di igiene, ma - come nel caso dell'Uganda - sono
inserite nella prospettiva di un'educazione aIl'affettività, alla
responsabilità personale e al rispetto verso gli altri.
Non dobbiamo pensare che le agenzie Onu abbiano già imparato la lezione, ma
la svolta dell'UNAIDS indica almeno che un primo passo nella giusta
direzione è stato fatto.

Ricorda

"La vera educazione deve promuovere la formazlone della persona umana sia in
vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie socletà, di cuii l'uomo
è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà misslonl da svolgere".
(Gravissimum Educatlonis, Dichiarazione conciliare sulI'educazione
cristiana, 28 ottobre 1965, n. 1°).

Bibliografia

Angelo Scola, La Buona Salute e i luoghi della cura, Cantagalli 2002.
Gina Bramucci, Avsi e HIV/AIDS, pamphlet ordinabile solo via Internet
scrlvendo a milano@avsi.org

© il Timone n. 35 - anno VI - Luglio/Agosto 2004

UgoDePayens
15-04-05, 19:11
Se l'ONU la smettesse davvero di mettersi DI TRAVERSO e in competizione (maldestra) con gli enti caritatevoli della Chiesa cattolica, a trarne giovamento sarebbero anzitutto le popolazioni più disagiate.
Inutile dire che, a livello personale, se dovessi scegliere di devolvere qualche milione di Euro a progetti di cooperazione internazionale, sceglierei la trasparenza, la cultura e la "storia" della caritas, piuttosto che l'ONU.

benfy
16-04-05, 16:17
strano non ho mai visto particolari simpatie del centro destra per la caritas.

è vero che è meglio la CARITAS dell'ONU e soprattutto dei governi.