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Burton Morris
03-12-09, 00:11
"La Repubblica", SABATO, 16 MAGGIO 2009
Pagina 10 - Interni

"Appalti, processate Mastella e la moglie"
L´ex ministro: non ci voleva la zingara. I pm di Napoli: tre casi di concussione
Prima udienza in luglio, dopo le Europee dove l´ex ministro è in lista con il Pdl

DARIO DEL PORTO
NAPOLI - L´inchiesta che diede la spallata al governo Prodi arriva davanti al giudice. La Procura di Napoli chiede il rinvio a giudizio dell´ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, della moglie Sandra Lonardo, che è presidente del Consiglio regionale della Campania, e di altri 21 imputati dell´indagine su alcune attività dell´Udeur avviata dai magistrati di Santa Maria Capua Vetere. Le conclusioni del procuratore capo Giandomenico Lepore e del pm Francesco Curcio sono arrivate ieri all´ufficio Gip. Il fascicolo è stato assegnato al giudice Sergio Marotta che nelle prossime ore dovrà fissare la data d´inizio dell´udienza preliminare. Primo appuntamento quasi certamente a luglio, dunque dopo le elezioni Europee di giugno alle quali Mastella è candidato nella lista del Pdl. «Non ci voleva la zingara per indovinare che sarebbe andata così - commenta l´ex Guardasigilli - comunque per quanto mi riguarda sono sereno. Mi auguro solo che uguale serenità nei miei confronti ci sia anche da parte degli altri».
L´inchiesta era esplosa nel gennaio 2008, quando Sandra Lonardo fu raggiunta da un´ordinanza di arresti domiciliari con l´accusa di tentata concussione per presunte pressioni esercitate sul manager dell´azienda ospedaliera Sant´Anna e Sebastiano di Caserta, Luigi Annunziata, con l´obiettivo (non conseguito) di ottenere la nomina di tre primari. L´arresto della moglie e di altri esponenti di primissimo piano del partito, come gli allora assessori regionali Andrea Abbamonte e Luigi Nocera, spinse Mastella, a sua volta coinvolto nell´indagine, a rassegnare le dimissioni da ministro della Giustizia. Si aprì in questo modo la crisi nel governo Prodi che sarebbe poi sfociata, quattro mesi più tardi, nelle elezioni anticipate. Nel frattempo gli atti furono trasmessi dalla Procura di Santa Maria a Napoli per competenza territoriale. L´ex ministro fu interrogato in Procura per oltre due ore, alla presenza dell´avvocato Titta Madia, e in quella sede respinse tutte le accuse come già aveva fatto la moglie.
Rispetto all´impianto originario dell´inchiesta, gli inquirenti del capoluogo hanno escluso per Mastella il reato di associazione per delinquere che era stato ipotizzato dai pm di Santa Maria Capua Vetere. Nell´avviso di chiusura delle indagini, recapitato alla fine di febbraio, gli inquirenti contestavano all´ex ministro l´ipotesi di tentata concussione. Con la richiesta di rinvio a giudizio i pm hanno eliminato alcune singole contestazioni lasciando sostanzialmente in piedi il tessuto centrale dell´inchiesta. Adesso la partita giudiziaria si sposta all´udienza preliminare. Stralciata invece la posizione di uno degli indagati, il sindaco di Cerreto Sannita Antonio Barbieri (difeso dall´avvocato Alfonso Furgiuele) per il quale si profila a questo punto la richiesta di archiviazione.

Inchiesta appalti, "Processate Mastella e la moglie" | Napoli la Repubblica.it (http://napoli.repubblica.it/dettaglio/articolo/1634533)

Burton Morris
03-12-09, 00:12
Stop ai portaborse in nero

• da La Stampa del 18 maggio 2009, pag. 14

di Maria Grazia Bruzzone

Più che la decenza poté il minaccioso tapiro, ma che sia la volta buona, è ancora da dimostrare. C’era voluta l’inchesta delle Iene perché Fini e Schifani annunciassero il giro di vite sulle centinaia di portaborse abusivi, o in nero, che si aggirano per il Palazzo. Il 60% dei 553 della Camera, forse persino tutti quelli del Senato, il cui numero resta imprecisato. Altro che precari. Uno scandalo nella prima istituzione dello Stato che si perpetua da anni. «Dal primo luglio nessun collaboratore entrerà in Parlamento senza un regolare contratto» hanno infine tuonato i presidenti delle due Camere. All’unisono o quasi, vista la competizione che le due Camere hanno ormai ingaggiato nella lotta alla casta. Adesso arriva il regolamento al quale tutti dovranno adeguarsi.
I questori di Palazzo Madama lo approvano domani, dopo di che il testo, concordato con gli uffici con la Camera, passerà al Consiglio di Sicurezza e verrà inviato ai senatori, perché si adeguino. Nel chiedere per i loro collaboratori il tesserino di ingresso che consente la postazione di lavoro fissa e di usufruire di vari servizi a cominciare dalla mensa, dovranno esibire un’autocertificazione e una copia del contratto regolare, depositato all’Ufficio del lavoro. Contratto di che tipo? «Uno scelto fra i contratti nazionali vigenti purché a tempo determinato, dovendo valere per la sola legislatura. Quanto ai compensi, non possiamo certo entrare nel merito. Ma è chiaro che se vedessi scritto 300 euro al mese, mi impensierirei», racconta Benedetto Adragna, questore al Senato in quota Pd. Da ex sindacalista cislino, si compiace delle restrizioni: «Sono consentiti i contratti col gruppo o col partito. Ma niente pensionati, né giovani tirocinanti, né collaboratori volontari». Che sono poi le deroghe che hanno affossato le norme già in vigore alla Camera, dove a forza di allargare le maglie era rimasto il divieto solo per i parenti.
Già. Perché a Montecitorio, dopo il primo servizio delle Iene, nel 2007, l’allora presidente Bertinotti si era sentito punto nel vivo. Solo 54 su 683 portaborse, l’8%, hanno un contratto? «Non lo sapevo» si era schermito. «Ma subito dopo le nuove regole sono arrivate le pressioni e le eccezioni che l’hanno svuotata» racconta Gabriele Albonetti, questore di opposizione oggi, di maggioranza allora, estensore del testo che la Camera oggi si è limitata ad aggiornare, togliendo appunto le eccezioni. «Le nuove norme i deputati le hanno già». Serviranno? Albonetti incrocia le dita. Adragna non nega di temere che i collaboratori di colpo diventino pochissimi. Oggi quanti sono? «Cinque o seicento».
Ad ex essere scettico è Francesco Comellini che insieme a 40 colleghi ha dato vita all’Ancoparl, associazione dei collaboratori parlamentari. Tutti regolari. A cominciare da lui che, in quanto collaboratore di un vicepresidente di commissione, è retribuito direttamente dalla Camera, con un contratto a tempo, 15 mensilità e contributi pagati. Un privilegio che i deputati «semplici» e i loro assistenti non hanno. Del resto le disparità si annidano in molti angoli. Secondo Comellini «l’unica soluzione del problema, che riconosce anche dignità professionale al lavoro che svolgiamo è quella adottata dal Parlamento Europeo», che paga direttamente l’assistente «qualificato», a cui il deputato ha diritto. Un costo troppo grande per le Camere che di questi tempi mirano a tagliare? Basterebbe sfoltire altrove. A Schifani lo ha detto. A Fini lo dirà, quando il presidente della Camera lo riceverà.

Burton Morris
03-12-09, 00:12
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 20 MAGGIO 2009
Pagina 36 - Cronaca

Dalla Jacuzzi sul terrazzo di casa alla trasferta ministeriale con famiglie al seguito
La nomenklatura arraffona e quei "ritagli" del potere
Il parrucchiere, le visite mediche, i telefonini. Persino il Telepass e il treno Mentre a Londra infuria lo scandalo delle note spese siamo andati a vedere gli "extra" dei nostri parlamentari Scoprendo che qui è tutto a forfait E che non c´è bisogno neanche di presentare una pezza d´appoggio
Da poco a Palazzo Madama sono state cancellate alcune voci come i viaggi dei mille "ex"
Fuori dal budget i soldi dati per i portaborse che molti finora pagavano in nero
All´Europarlamento da luglio si cambia registro, con un nuovo regolamento molto più severo
Pochi reati, tanti peccati: ecco tutte le volte che i pezzi grossi hanno fatto la cresta

(SEGUE DALLA COPERTINA)
CARMELO LOPAPA
(SEGUE DALLA COPERTINA)
Conti stracciati, conti allegri, conti che non quadrano ma chi se ne frega, nel nostro Paese. Altro che Inghilterra indignata per pochi spiccioli di note spese. Qui lo scandalo è codificato, è a norma di legge, è tanto palese da non destare, appunto, scandalo.
Benefit, rimborsi a go-go, voli, treni, navi, Telepass e corsi di lingua e buvette e ristorante a 8 euro. Non è più tempo da viaggi in Tanzania della commissione Lavoro di Montecitorio per «studiare il sistema pensionistico del paese dell´Africa orientale», ricordo appannato di qualche anno fa. Come pure l´onorevole Lorenzo Cesa non proporrebbe più l´indennità per ricongiungimento familiare, come si azzardò a ipotizzare quando, nella rovente estate 2007, il suo partito venne segnato dallo scandalo del deputato Cosimo Mele, la prostituta in albergo, l´uso (sospetto) di cocaina. Adesso ci si accontenta di piccole cose, ma è il pensiero quello che conta. L´ultimo lo hanno avuto i tre questori della Camera guidati da Francesco Colucci (Pdl) ed è planato ieri mattina sulla casella postale dei 630 deputati sotto forma di lettera-invito a «usufruire di un corso di 15 ore di lezioni individuali di informatica da 1,5 ore cadauno» che si svolgeranno a Montecitorio. Costo risibile da 235 euro a testa, il resto lo mette la Camera, ovvio.
Quisquilie, appunto. Sarebbe bello invece sapere anche qui da noi come il deputato utilizza i 4.003 euro mensili che il Parlamento gli mette in saccoccia ogni mese come "rimborso spese di soggiorno". Certo, magari anche l´elettore italiano vorrebbe sapere almeno dove risiede il suo onorevole di riferimento, quando trascorre quei tre giorni nella Capitale. Per esempio se lo utilizza tutto, il suo budget da diaria extra stipendio. O che ne fa di quell´altro da 4.190 euro al mese che gli viene erogato proprio a titolo di "rimborso spese". Qualcuno non vorrà mica sospettare che una parte di quei soldi o addirittura tutti finiscano nel conto in banca dell´onorevole? Sospettosi o malpensanti. Qui la nota spese è bandita, il pie´ di lista è sconosciuto. Le Camere pagano anzitempo, pagano sulla fiducia, pagano a forfait. Non c´è nulla da scoprire. Altro che dimissioni dello Speaker del parlamento inglese.
Che ridere, il milione di sterline per colpa del quale Westminster sta precipitando nello scandalo, col suo carico di rimborsi gonfiati dai deputati. Che ridere, perché Montecitorio e Palazzo Madama, in questo 2009, distribuiranno ai nostri 630 deputati e 322 senatori rimborsi spese destinati sulla carta a viaggi, diaria e segreterie per qualcosa come 96 milioni di euro, parenti molto vicini di 100 milioni. E il tutto, va da sé, senza chiedere lo straccio di una prova documentale che attesti se davvero saranno utilizzati per gli scopi "istituzionali". Sono 72 milioni di euro alla Camera e 24 milioni al Senato. E va da sé, che quegli 8.190 euro mensili ai deputati e 8.678 mila euro ai senatori sono solo, appunto, rimborsi. Nulla a che fare con le indennità da 5.500 euro, lo stipendio in senso stretto.
«Uno scandalo come quello britannico da noi è impensabile - racconta un grande conoscitore del Palazzo come Gabriele Albonetti, deputato questore già da due legislature - Al di là dell´eticità del comportamento di deputati e senatori, la questione è tecnica. Da noi, non esiste la nota spesa, la Camera e il Senato affidano una somma, diciamo così, sulla fiducia. Sarà poi l´onorevole a gestirla a suo piacimento». Nulla da spiegare e nulla da giustificare. Né gli alberghi, né i ristoranti, né le segreterie, né - chiamiamoli così - gli "extra" molto extra. Come non sono da rendicontare gli oltre 4 mila euro al mese (4.678 al Senato) erogati a ciascun onorevole per i cosiddetti portaborse. Col risultato ormai arcinoto che buona parte degli assistenti sono sottopagati o pagati in nero. Ieri il Consiglio dei presidenza del Senato, prossimamente quello della Camera, ammetteranno l´ingresso dal primo luglio solo per i portaborse dotati di badge, rilasciato dietro esibizione di regolare contratto. Ma molti dei ragazzi, in questi giorni, ti raccontano come alcuni dei loro onorevoli siano pronti a far sottoscrivere loro un contratto da addetto alle pulizie del gruppo parlamentare, che ne possa comunque consentire l´ingresso quotidiano a Palazzo e continuare come sempre. Come sempre in nero.
Un po´ di pulizia, va detto, la si sta pure facendo. Al Senato hanno cancellato i 730 mila euro sborsati, tra l´altro, per garantire un ufficio ai senatori rimasti privi di scrivania. O i 690 mila euro che sono parte della voce "rimborsi spese telefoniche". Ha fatto pure scalpore scoprire in questi giorni che i 1.058 "ex" senatori per fortuna ancora in vita costano però 1 milione 726 mila euro per viaggi in treni, aereo o per passaggi autostradali, al netto, ovvio, del vitalizio. Platea di beneficiari ridotta ora a 291 in uno slancio di austerity. Rigorismo che ancora non ha scalfito l´Asis, l´assistenza sanitaria garantita ai senatori e ai deputati e ai loro familiari. Basta pagare 25 euro al mese per ciascun figlio o consorte, ma anche - magia del Parlamento - per il convivente, e ogni cura è assicurata. Gratis. Perché la coppia di fatto che le Camere non hanno mai voluto riconoscere, lì dentro esistono, eccome, da tempo. Per l´esattezza dal 1985, quando è stata approvata la legge 687. Qualche sprovveduto Don Chisciotte, di tanto in tanto, prova pure a divertirsi e ad agitare le acque. In questa legislatura la dipietrista Silvana Mura, con un ddl che prevede tra l´altro la riforma del sistema dei rimborsi, da erogare solo dopo l´esibizione delle spese effettive. «Ma, per usare un eufemismo - racconta - non ha suscitato grandi entusiasmi tra i colleghi».
Fuori dai confini, qualche italiano finora ha potuto fare il furbo nell´Europarlamento. Tratta Bruxelles-Roma (o Milano) rimborsata forfaittariamente per la business class in base al chilometraggio. Quando invece era notorio che molti dei nostri 78 (come tanti altri) viaggiavano in low-cost. E lì, via con la cresta. Da luglio però, col nuovo Parlamento, si cambia registro: rimborso solo dei biglietti effettivamente acquistati. Il rimborso spese per lo staff viaggia sui 17 mila euro mensili. Non sarà per sfiducia, ma il tesoretto lì non lo fanno transitare dalla busta paga dell´onorevole. È a disposizione e le somme le paga direttamente il Parlamento agli assistenti che dimostrano con contatti e contributi di prestare servizio per il deputato. Rigore e trasparenza che i portaborse italiani sono costretti per ora solo a sognare.
filippo ceccarelli
Minuzie a confronto dei tanti misfatti resi perfettamente legali da tabelle amministrative, norme di attuazione, vere e proprie leggi dello Stato. Piccole miserie umane dei tanti che ai vari livelli comunque ci provano, "ci marciano", ci fanno la cresta, ne approfittano: avidi e perfino poetici filibustieri dell´arte d´arrangiarsi, invisibili e ingenui portabandiera dell´accumulazione selvaggia nelle casse pubbliche. Così pensi alle note spese e subito i ricordi si accavallano, ma alla fine viene in testa la Rai, ciclicamente funestata da audaci sperperi, epiche furbate e regolari tempeste moralizzatrici che, individuato qualche capro espiatorio, pian pianino si placano per lasciare che i sacrificati trovino altrove le vie del successo.
Se ne ha traccia in una ormai cospicua bibliografia che fin dall´inizio marca la questione con la più allegra tolleranza, per cui il grande inviato nell´Africa nera venga ribattezzato «Sciupone l´Africano»; mentre altre sintomatiche spese di inviati di guerra, ma sempre definite astronomiche e faraoniche, tolsero il sonno ai professori che tra il 1992 e il 1994 si trovarono a gestire il baraccone di viale Mazzini, decretando infine qualche blando provvedimento.
Lì dentro, si direbbe per tradizione, vanno in scena eventi e manifestazioni di ordinaria e sgangherata venalità. Nel recentissimo La piovra Rai (Bompiani) Denise Pardo racconta di quando, un bel giorno, nel cortile della sede di via Teulada comparvero alcuni operai con aria indaffarata che mescolavano acqua e cemento nelle loro carriole. Con il passare dei giorni, senza tracce di lavori in giro, c´è chi si insospettì e si mise a pedinare le maestranze. Scoprì dunque che, varcato quatti quatti il cancello d´uscita, quei muratori raggiungevano la villa del potente manager: e lì alacremente lavoravano a una megaristrutturazione, com´è ovvio a spese dell´azienda.
Da questo punto di vista, almeno nell´ottica italiana, è certamente la casa - argomento di cruciale insoddisfazione e quindi esposto al massimo di risentimento sociale - a catalizzare su di sé la maggior parte di queste magagne. Lo dimostra il periodico dipanarsi e disvelarsi di vicende variamente rubricabili come "affittopoli": appartamenti concessi o acquistati a basso prezzo da figure a loro modo eccellenti. E allora è un continuum di giornalisti che si attaccano ai citofoni, sordi dinieghi o spiegazioni imbarazzate da parte degli illustri inquilini, alcuni dei quali si sono visti costretti a commiserarsi per la propria condizione abitativa e condominiale anche spostando quadri e indicando macchie di umido a riprova che dopo tutto non avevano fatto un grande affare.
Chissà se poi gli credono. Certo, per buscare in proprio, qualche pezza d´appoggio bisogna pur sempre trovarla. A tale riguardo l´esperienza insegna a diffidare delle due classiche motivazioni che di solito vengono invocate per giustificare le più fantasiose e misere nefandezze. Una è la cosiddetta "via europea", cioè si dice o si fa dire che quella certa cosa non è sconveniente perché viene praticata anche a Londra, o a Parigi, o in Lussemburgo, comunque all´estero. L´impiccio diventa così, più che un atto dovuto, una virtuosa conquista.
Ma assai più efficace, per togliersi di torno qualsiasi remora, è l´uso della sicurezza. C´è sempre un pericolo, infatti, che aiuta a superare di slancio il confine scivoloso tra necessità e pretesto, imbroglio e ricompensa. A tale riguardo si consiglia vivamente la lettura di un libro di Paola Bolaffio e Gaetano Savatteri significativamente intitolato Premiata ditta Servizi Segreti (Arbor, 1994). Si narra qui con ampia casistica e dovizia di particolari come, più che acchiappare i terroristi, il Sisde provvedesse in realtà a soddisfare i bisogni di ministri e capi di partito della Prima Repubblica, a Roma, al paesello e anche nelle case di vacanza: opere murarie, impianti elettrici, schermi blindati, opere di falegnameria, arredi vivaistici, tappezzeria e tendaggi, antenna tv, manutenzione straordinaria dell´ascensore, opere di pulizia. C´era pure un mezzo albergo in campagna a disposizione, anche se i potenti frequentatori non hanno mai capito bene se fosse conveniente pagare, sia pure con i dovuti sconti, ma con la carta di credito.
Questo evoluto sistema di pagamento si rivelò foriero di amare sorprese per i furbi del Palazzo e dintorni, all´epoca dell´ennesimo scandalo delle Ferrovie (allora dello Stato). I giudici dragarono la mefitica palude del Consiglio d´amministrazione: ristoranti, acquisti in pellicceria e tanti di quei viaggi da far risuonare nei corridoi, riecheggiando la sigla dell´agenzia turistica di Stato, il grido felice «Cit! Cit! Hurrà!». Con i soldi dell´azienda, ironia della sorte, un consigliere s´era fatto murare una cassaforte a casa; un altro aveva fatto addirittura beneficenza. Ma già non erano più rimborsi spese. A volte le disperde il vento, le briciole del potere. Briciole, poi, fino a un certo punto.

Burton Morris
03-12-09, 00:12
Il tesoro della casta

• da L'Espresso del 22 maggio 2009, pag. 68/70

di Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli


Trasparenza addio, sulle sovvenzioni di privati e aziende ai partiti cala di nuovo l`ombra. Ai tempi di Tangentopoli il reato di illecito finanziamento travolse la prima Repubblica? Bene, adesso il finanziamento è diventato lecito ma invisibile, praticamente occulto: sotto i 50 mila euro resta nascosto a norma di legge. È l`arma segreta di un esercito di uomini con la ventiquattr`ore che cinge d`assedio i palazzi del potere: si chiamano lobbisti, e bussano alle porte dei politici, ungendo ingranaggi dove più gli conviene. Quanto pesi veramente la loro opera di "seduzione" sulle decisioni dei Parlamento è cosa ardua da capire. Le liste tenute dalle Camere non sono soltanto difficili da consultare, ma nascondono la reale entità del fenomeno. Spulciando i bilanci 2007 delle formazioni politiche rappresentate in Parlamento, infatti, "I: espresso" ha individuato una ``zona grigia", formata dai fondi dei quali i tesorieri di partito non sono tenuti a render nota la provenienza. Qui si scopre che ben il 27 per cento dei contributi privati ai principali partiti italiani è perlopiù di origine ignota. Un limbo da 15 milioni di euro, insomma. Appena due, invece, i milioni di curo in finanziamenti "trasparenti" nello stesso anno. Se poi pensi che nel 2008 (che è stata annata di campagne elettorali) le cifre "alla luce del sole" sono quadruplicate, vien da chiedersi quanto sia cresciuta in proporzione la zona d`ombra. Come funzioni il lobbismo sommerso celo spiega Franco Bonato, ex tesoriere di Rifondazione: «L`intento di celare la provenienza dei fondi diviene evidente quando si constata la facilità con cui il limite fissato per legge può essere aggirato. Se io, imprenditore, decido di dare 50 mila euro a un partito, ma preferisco che iI mio contributo resti segreto, mi basterà versarne 49.999. Se ho intenzione di versarne più di 50 mila, e voglio sempre restare anonimo, mi basterà ripartire la somma fra i componenti della mia famiglia. Così io ne verserò una quota, mia moglie un`altra, mio figlio un`altra ancora e così via. Sono stratagenuni di uso comune per chi non vuole farsi notare", conclude. Tutto grazie allo scorso governo Berlusconi. Agli inizi del 2006, poche righe inserite di soppiatto nel famoso Milleproroghe, a m& di sandwich fra una disposizione sull`8 per mille e un contributo a "Genova capitale europea della cultura 2004", sono andate a innalzare la soglia di trasparenza dei fondi privati, al di sotto della quale è impossibile sapere chi-dà-quanto-a-chi. La cifra è schizzata dai circa 6.600 euro fissati nel lontano 1981 ai 50 mila di oggi. Venti volte tanto. Pure fra i banchi dell`opposizione se n`erano accorti in pochi: fra questi Pierluigi Castagnetti, allora deputato della Margherita, ora Pd. «Permettere che si elargiscano anonimamente cento milioni di vecchie lire», ribadisce oggi, «vuol dire che qui non si parla più di "finanziamento", ma di semplice corruzione politica—. Per i partiti come per i singoli parlamentari. Lo stesso accadeva nel medesimo periodo per il finanziamento privato a deputati e senatori, con una modifica voluta dai parlamentari della Casa delle libertà, e infilata con altrettanta destrezza in un testo di legge sul voto domiciliare. In questo caso la soglia è salita dai 6.500 curo a 20 mila e con una differenza non da poco: mentre la zona grigia dei partiti è calcolabile a partire dai loro bilanci, quella dei parlamentari no. Il grigio, da noi, non è fatto solo di soldi che vanno da privati e lobbisti a partiti o singoli parlamentari. Fioccano i versamenti che per varie ragioni viaggiano da partito a garrito o da politico a partito. Le liste della Camera sono piene di rappresentanti che finanziano la propria formazione. Come gli oltre 4 milioni di curo arrivati ai Ds dai propri deputati e senatori nel 2007, i circa 713 mila curo dei leghisti o i 281 mila curo dell`Idv, ma succede anche con An e Margherita, ed era tradizione consolidata fra quelli di Rifondazione. Se l`autofinanziamento attraverso i propri politici può avere un senso, però, qualche perplessità la suscitano i casi in cui è il gruppo parlamentare a rimpinguare le casse del suo partito coi finanziamenti pubblici che riceve da Camera e Senato. Soldi che in teoria servirebbero esclusivamente alle spese di gestione degli uffici, ma che si traducono in un ulteriore finanziamento pubblico indiretto. Vedi i 97 mila curo del gruppo alla Camera di An, ma vedi anche il mezzo milione di curo che nel 2007 i gruppi leghisti hanno girato a via Bellerio. Se a tutto ciò aggiungi il fatto che, grazie a un vecchio cavillo tornato "utile" ai tempi di Internet, le liste dei finanziamenti privati non possono essere pubblicate ori line, è evidente che in Italia lobbisti e lobbizzati godono di una comoda cortina di fumo. Che fa diventare sempre più opachi i rapporti fra il potere economico e quello politico. Prendiamo Forza Italia. Il confronto fra i contributi sopra i 50 mila curo ricevuti negli ultimi due anni fa riflettere: nel 2007, quando era all`opposizione, è stata corteggiata dai lobbisti con 310 mila curo. Che però un anno dopo, conquistato palazzo Chigi, sono lievitati a quasi 2 milioni e mezzo. Tanti soldi, tanti favori da ricambiare? Una delle più folte pattuglie di sostenitori del Cavaliere sono i costruttori. A scendere in campo addirittura l`Associazione nazionale costruttori edili, con 50 mila euro che certo non staranno rendendo la vita più difficile al Piano Casa di Berlusconi. Insieme all`Ance i grandi costruttori privati. quelli che sugli appalti pubblici fanno la loro fortuna, a cominciare dall`Astaldi. passando per la Pizzarotti di Parma, per finire con il gruppo Gavio. Proprio Marcellino Gavio è il maggior finanziatore forzista, con 650 mila curo in 13 assegni da 50 mila l`uno. Gavio è azionista dell`Impregilo, società capofila per la costruzione del ponte sullo Stretto: è notizia di qualche settimana fa che, dopo lo stop imposto da Prodi, la grande opera ripartirà presto. Ma l`imprenditore alessandrino è anche uno dei signori delle autostrade italiane, visto che gestisce chilometri e chilometri di asfalto, soprattutto al Nord (una su tutte la Torino-Milano). Non gli dispiacerà se dal primo maggio il ministro delle Altero tata i pedaggi. Non solo cemento. Il partito berlusconiano si nutre anche di acciaio, coi 300 mila euro dell`imprenditore cremonese Gio- dalle cliniche, La Nuova Sanità srl di Bari, e Multimedica Holding spa di Milano. Che per un partito andare al potere sia come un battesimo, con tanto di regali degli invitati, lo ha capito bene Raffaele Lombardo, padre-padrone dell`Mpa, che da quando è diventato governatore della Sicilia e alleato di governo della destra ha fatto l`en plein. Nel 2007 nessun contributo di peso, un anno dopo 665 mila euro. Primo fan del medico siciliano è Maurizio Zamparini, presidente del Palermo calcio, con due versamenti da 100 mila euro l`uno. E si capisce: i suoi interessi nell`isola sono molteplici, visto che nel capoluogo sta per costruire un grosso centro commerciale, e in più vorrebbe gestire il progetto di un nuovo stadio. Va di magra, invece, a chi esce dalla stanza dei bottoni. E successo a Lamberto Dini, che quando risultava decisivo per le sorti del governo Prodi aveva ricevuto dall`imprenditore Davide Cincotti 295 mila euro. E ora che è intruppato nel Pdl gli tocca accontentarsi delle briciole (appena 100 mila). Idem per i Ds senesi. Quando il centrosinistra guidava il Paese, Giuseppe Mussari (capo del Monte Paschi) donava loro 162.500 euro, cifra che poi nel 2008 si è ridotta a meno della metà. A volte lobbista e politico sono anime gemelle, altre una strana coppia. Come l`antiberlusconiano ante litteram, Antonio Di Pietro, che ha intascato 50 mila euro da Sei Tv, una società televisiva milanese. Dalla visura camerale salta fuori che la proprietaria è tale Tiziana Grilli, moglie di Raimondo Lagostena Bassi, reuccio delle tv locali grazie al circuito Odeon. Lagostena però è uomo che fa affari col Cavaliere (visto che mandava in onda la defunta Tv delle libertà della Brambilla ), ed è anche editore di Telepadania (non a caso ha foraggiato anche la Lega con 60 mila euro). Allora con Di Pietro che t`azzecca? Curioso pure il finanziamento di 60 mila euro alla campagna elettorale di Gianni Alemanno da parte della Snai, società di scommesse. Anche se in fondo al sindaco di Roma l`azzardo non dispiace, visto che da tempo preme per un casinò nella capitale. Ancora, c`è lo strano caso dell`onorevole Sergio De Gregorio, che invece di finanziare la propria televisione (Italiani nel mondo reti televisive", società che gestisce una tv satellitare e web) riceve dalla stessa quasi 75 mila euro. Infine c`è il finanziamento al partito che diventa "lessico famigliare". Stiamo parlando dell`Udc di Pier Ferdinando Casini, che lo scorso anno ha potuto contare su 2.2 10.000 euro (seconda sola a Forza Italia), l`80 per cento dei quali proviene da un`unica fonte: l`immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone. Un bel po` di soldi, ma spezzettati in 18 tranche da 100 mila, perché così il suocero ci ha anche risparmiato su. Esiste infatti una norma studiata ad hoc perché i partiti calamitino soldi dai privati: chi dona fino a 103 mila euro può scaricare dalle tasse il 19 per cento dell`importo, molto di più rispetto a un`associazione qualsiasi.
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Gio, 21/05/2009 - 12:48
#146
g.manfredi
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Pannella, il corpo del contropotere

• da La Repubblica del 21 maggio 2009, pag. 1

di Francesco Merlo

Bianco, diafano, smunto, tutto pelle, ossa e occhioni stralunati, Marco Pannella sta di nuovo mettendo a rischio la sua vita perché le nomine alla Rai sono state bulgare e professionalmente prive di credibilità e perché i radicali sono di nuovo ridotti alla clandestinità e all´extra italianità, fuori dai confini, fuori dalla partita, cancellati dalla politica dei camerieri e delle veline, dai cani che temono di perdere l´osso. Vecchio, intrappolato nel suo ruolo di digiunatore, Marco Pannella ha mille volte ragione, e tanta più ne ha oggi che il potere si gioca tutto sulla presentabilità fisica, sulla prestanza sessuale, sui capelli tinti... Pannella è di nuovo l´esatto contrario del potere italiano. Quelli usano la politica per palestrare i corpi e lui usa il corpo per nobilitare la politica. Quelli consumano la politica per drogare il fisico e Pannella consuma il fisico per salvare la politica,
Apparentemente Pannella è perdente. L´Italia infatti non fa più caso ai suoi digiuni. Come se il potere, con la sua protervia, avesse dissipato il patrimonio Pannella. I nemici di sempre gioiscono perché in quel vecchio scarnificato vedono la prossimità della loro impunita vittoria: Pannella che pensava di logorare l´ottusità del potere con le oltranze e con gli eccessi è stato invece logorato dalla faccia tosta del potere.
Ma non è così. Ieri il suo corpo in tv mostrava tutta la giusta vulnerabilità di una grande vecchiaia che nel paese dei vecchi giovanilisti torna a fare scandalo. Pannella non è un "papi", ma è un rimprovero ai "papi" d´Italia. È una messa in ridicolo dei "papi" questa sua vecchiaia maestosa e regale, argentea, senza parrucche posticce e senza lifting. Pannella è vecchio perché è vivo, quegli altri sono mummificati dal narcisismo di plastica.
In realtà Pannella sta vincendo di nuovo. E infatti i potenti contro cui digiuna si informano dei suoi crampi, prendono nota degli etti, controllano la sofferenza diffusa, valutano il numero di pillole, e già gli propongono almeno un bicchiere, magari un sorso, o soltanto una goccia. Da cinquant´anni la politica italiana coccola Pannella tutte le volte che rischia di perderlo. Torna insomma la strana complicità tra Pannella e il mondo che a ogni digiuno vuole curarlo a forza, il mondo che non sopporta la sua fame e la sua sete ma in cinquant´anni non è riuscito a inventarsi qualcosa per proteggere ed esaltare Pannella, per usarlo, e dunque ascoltarlo prima che cominci a scioperare anziché salvarlo un attimo prima di morire. Proprio nel Paese dove, sulla nozione della vita, si mobilitano papi, vescovi, leader di partito, embrionologi, professori dell´aborto, scienziati, si è costretto un grande italiano a passare la vita mettendo a rischio la vita.
Ebbene, ieri a vederlo cosi ieratico abbiamo avuto il timore che Pannella stia rischiando davvero, e rischiando consapevolmente. Pannella sa bene che in Italia bisogna morire per diventare vivi. Tra i paradossi italiani c´è infatti pure questo: tutti coloro che, nel furore quotidiano della battaglia politica, vorrebbero ammazzare l´avversario, se lo ritrovano bello e vivo solo quando è morto.
E non pensate che sia solo Berlusconi a non sopportare più Pannella. I radicali credono che in Italia c´è la peste, che tutti fanno strage di legalità. La faccia decrepita di Pannella è la faccia decrepita dei sentimenti e dei valori, della lealtà e dell´amicizia, dell´onorabilità e della bella vecchiaia. Non era Pannella che si estenuava e quasi sembrava morire ieri sera in tv, ma era l´anima dell´Italia civile.

Burton Morris
03-12-09, 00:13
Associazione Aglietta - SANITA' (http://www.associazioneaglietta.it/SANITA'.html)





Scandalo Niguarda, Farina Coscioni: è l’ennesima conferma di come sia urgente e necessario riformare le procedure di selezione e i criteri di scelta dei responsabili delle aziende ospedaliere
Per questo e’ importante che la mia proposta di legge, presentata un anno fa, sia integralmente recepita e approvata. si scardinerebbe così l’attuale perverso meccanismo delle nomine

Roma, 28 maggio 2009


• Dichiarazione di Maria Antonietta Farina Coscioni parlamentare radicale e candidata per la lista Bonino-Pannella nella circoscrizione Nord-Ovest

“Appalti irregolari”, “nomine illegittime”, “consulenze anormalmente elevate”. E’ un quadro a tinte fosche quello che emerge dal dossier su appalti e incarichi d’oro relativi all’ospedale milanese Niguarda, redatto dai servizi ispettivi di Finanza pubblica, e inviato al ministero dell’Economia. Non è mio compito, evidentemente, accertare e stabilire le responsabilità amministrative e – probabilmente – penali in ordine a quanto accertato dai servizi ispettivi. Si tratta comunque di una vicenda emblematica, da cui è doveroso trarre conseguenze politiche. Si ripropone l’urgenza e la necessità di porre mano a una riforma delle procedure di selezione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, in modo da poter garantire il massimo della trasparenza possibile. *Per questo il 29 aprile scorso assieme ai miei compagni radicali alla Camera ho presentato una proposta di legge, che si prefigge di riformare le procedure di selezione e i criteri di scelta dei responsabili delle varie aziende ospedaliere.* *E’ una proposta che scardina completamente l’attuale meccanismo perverso delle “nomine”, e si propone un meccanismo di selezione dei manager che avrebbe conseguenze positive e benefiche sull’intera struttura di comando delle aziende sanitarie locali e ospedaliere. Per questo è importante che la mia proposta di legge venga integralmente recepita e approvata in tempi rapidi.* La sistematica e brutale occupazione da parte della partitocrazia di qualsiasi posto pubblico nel campo sanitario, così come emerge dalla vicenda Niguarda, comporta una situazione insostenibile per i costi e lo sperpero di pubblico denaro; inaccettabile per le disfunzioni che vengono pagate dal cittadino; e ingiusta sotto il profilo etico, se è vero come è vero che si viene nominati non in base alle capacità manageriali e al merito, ma appartenenza e fedeltà politica.

Burton Morris
03-12-09, 00:14
Corsi e ricorsi dei privilegi


• da Corriere della Sera del 2 giugno 2009, pag. 1

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di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella
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«Tempo di rumba, tempo di te / Ballo e non ballo: ma perché?», si chiede Mariano Apicella in una canzone. Pare ora per quelle foto che lo mostrano mentre scende da un volo-blu, dei giudici potrebbero farlo «ballare» sul serio. Tanto più che in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti il menestrello del Cavaliere confidava già tutto: «Quando lui ha bisogno mi telefona Marinella, la segretaria: “Mariano, se non hai problemi il dottore ti vorrebbe stasera”. Io vado a Roma, poso la macchina a Ciampino e parto con lui sull’aereo presidenziale. Quasi sempre per la Sardegna, qualche volta per Milano». A spese dei cittadini.

Si dirà: che c’entra? L’aereo pubblico partirebbe lo stesso e un passeggero in più non incide di un centesimo! È esattamente ciò che disse Clemente Ma*stella, nel settembre 2007, dopo essere stato denunciato dall’Espresso mentre saliva col fi*glio sul volo di Stato che portava Francesco Rutelli a Monza per il Gran premio di F1: «Mio figlio non lo vedo mai, che male c’è se l’ho por*tato al Gran premio? Tanto, se in aereo erava*mo 10 o 15 non cambiava niente».

Eh, no, è una questione di principio, titolò la Padania: «L’inGiustizia vola al Gran Pre*mio ». Il Giornale berlusconiano rincarò: «Non dicevano di voler tagliare i costi della politica? Forse usare l'aereo di Stato più farao*nico che ci sia per assistere al Gp di Monza non è il miglior modo di risparmiare. O no? Per dire: il Gran premio lo trasmettevano pu*re su RaiUno, il cui segnale, ci risulta, dovreb*be arrivare fino a Ceppaloni». E Alessandra Mussolini, furente: «Ho messo sul sito gli indi*rizzi e-mail di Rutelli e Mastella per consenti*re a tutti i cittadini di coprirli di “Vergogna!”» Dice oggi Palazzo Chigi che i «passaggi» of*ferti al cantautore personale del Cavaliere («Mi disse: “Vorrei avere qualcuno che mi fa un po’ rilassare nei fine settimana”») sono as*solutamente legittimi: «La disciplina dell'im*piego degli aerei di Stato è stabilità dalla Diret*tiva 25 luglio 2008, regolarmente registrata al*la Corte dei Conti, che ne detta le regole per tutte le Autorità ammesse ad usufruirne». E cosa dice questa legge, che spazzò via quella più restrittiva fatta dal governo Prodi per argi*nare un andazzo che nel 2005 aveva visto im*piegare i voli di Stato per 37 ore al giorno con una spesa di 65 milioni di euro pari al costo di 2.241 (duemiladuecentoquarantuno) biglietti andata e ritorno al giorno (al giorno!) da Mila*no a Londra con la Ryanair?

Dice quella legge (bollata allora da Libero con il titolo «Onorevoli e vip: Silvio allarga gli aerei blu» sotto l’occhiello: «Voli di Stato: la Casta mette le ali») che quelli che Luigi Einau*di chiamava «i padreterni» possono imbarca*re persone estranee «purché accreditate al se*guito della stessa, su indicazione dell'Autori*tà, anche in relazione alla natura del viaggio e al rango rivestito dalle personalità trasporta*te ». Di più: «L'imbarco di persone estranee al*la delegazione non comporta quindi alcun ag*gravio degli oneri comunque a carico dell'era*rio ». Appunto: la tesi di Mastella.

Obiezioni? Ma per carità: la legge è legge. E non ci permettiamo di dubitare che sia stata rispettata fino in fondo. Un conto è il rispetto delle regole formali, però (tanto più se queste sono state cambiate apposta) e un altro è l'op*portunità. È probabile che lo stesso Berlusco*ni avesse tutti i diritti mesi fa di prendere l’eli*cottero della protezione civile per andare a far*si un massaggio alla beauty farm di Mességué in Umbria, come documentò un filmato del TG3. L’opportunità, però è un’altra cosa. E di*spiace che anche questi episodi, gravi o secon*dari che li si consideri, confermino una certa «rilassatezza» sui costi e i privilegi della politi*ca. Come se la rovinosa sconfitta della sinistra alle elezioni dell'aprile 2008 avesse già saldato il conto tra la politica e i cittadini indignati.

Che la sinistra, incapace di capire l'insoffe*renza montante, meritasse la batosta, lo han*no ormai ammesso in tanti. Compreso Fausto Bertinotti, finito nel mirino proprio per i voli blu: «I nostri gruppi dirigenti? Sganciati e lon*tani dalla realtà dei lavoratori, autoreferenzia*li, così si è venuta formando anche a sinistra una vera e propria casta, un ceto politico inte*ressato solo alla propria sopravvivenza». Sarebbe davvero un peccato se la destra, che in gran parte cavalcò quei sentimenti di indignazione e oggi, secondo il Pd, triplica (da 150 a oltre 400 ore medie al mese) quei voli blu che ieri bollava con parole di fuoco, pensasse che la grande ondata di insofferenza si sia allontanata per sempre. Peggio ancora se pensasse che non c'è più bisogno di una ro*busta moralizzazione del sistema. Certo, alcu*ne misure sono state prese. La Camera e il Qui*rinale, quest'anno, dovrebbero costare meno dell'anno scorso. Ma già al Senato, ad esem*pio, non sarà così. E molti episodi rivelano una sconfortante indifferenza nei confronti dei tagli e soprattutto delle riforme ancora ne*cessari.
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Basti pensare alla recentissima denuncia dei «portaborse» secondo i quali i presidenti delle Camere, dopo avere «annunciato solen*nemente un giro di vite radicale contro lo scandalo dei collaboratori parlamentari assun*ti in nero», hanno riciclato «parola per paro*la, i contenuti di una missiva analoga spedita il 28 marzo 2007» e da loro stessi giudicati «inadeguati». O all’assenteismo dei nostri eu*ro- parlamentari, 10 dei quali sono tra gli ulti*mi 20 nella classifica. O alla decisione di vara*re l'area metropolitana di Reggio Calabria no*nostante sia per abitanti al 44º posto tra gli agglomerati urbani perfino dietro Aversa, Va*rese, Chiari, Vigevano… O ancora alla timidez*za nel prendere di petto temi politicamente spinosi come la gestione di carrozzoni quali la Tirrenia o l’Amia, la società che dovrebbe occuparsi dei rifiuti da cui è sommersa a Paler*mo e i cui capi (tra i quali il presidente, pro*mosso a senatore) andavano negli Emirati Ara*bi a «vendere» la raccolta differenziata «alla palermitana» spendendo anche 500 euro a pa*sto.
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Burton Morris
03-12-09, 00:14
"La Repubblica", MARTEDÌ, 02 GIUGNO 2009
Pagina 14 - Cronaca

Mille assunti mentre l´azienda andava in rosso
Turn over in famiglia e clientele politiche: storia del grande crac
Organici gonfiati, spese folli: così l´Amia è diventata una macchina mangia soldi

ANTONIO FRASCHILLA
PALERMO - L´azienda mangiasoldi che ha messo in ginocchio la città facendola sommergere dai rifiuti è un feudo del Pdl. Un feudo guidato per sei anni direttamente del coordinatore provinciale degli azzurri, il senatore Enzo Galioto. Eccola l´Amia, l´ex municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti a Palermo, azienda a totale capitale pubblico che ha agito sempre da privata, fino a quando però i nodi sono arrivati al pettine: con gli operai per giorni in stato in agitazione e la città diventata un tappeto di spazzatura.
Un privato strano, quello dell´Amia, che ad ogni tornata elettorale ha aumentato il numero dei dipendenti facendo lievitare il personale a quasi tremila unità rispetto ai 1.800 che aveva nel 2005. Il tutto attraverso la stabilizzazione di 900 precari, decine di assunzioni per chiamata diretta anche di parenti di politici (tutti del Pdl) e lo scambio padre-figlio, che ha fatto assumere ben 400 persone in appena tre anni. Un´azienda privata che mentre perdeva quasi 30 milioni di euro all´anno mandava i suoi manager a Dubai in cerca non si sa bene di quali affari, per allargare un business che per legge invece non poteva andare oltre il rapporto di lavoro con il Comune. «L´Amia è stata l´azienda con la quale il centrodestra ha fatto campagne elettorali sulla pelle dei cittadini, adesso con la spazzatura sotto casa», dice il consigliere comunale del Pd Davide Faraone, che da anni denuncia le assunzioni clientelari fatte nelle società del Comune.
Di certo c´è che nel 2006, alla vigilia delle elezioni amministrative che avrebbero portato il sindaco Diego Cammarata al suo secondo mandato, all´Amia vengono stabilizzati 900 lavoratori socialmente utili e viene creata una società ad hoc, Amia Essemme, che costa 25 milioni di euro all´anno. Nel 2006 Galioto, per far quadrate i conti, fa i salti mortali: con operazioni di cartolarizzazione a dir poco ardite, come la cessione di immobili e contratti ad una società collegata. Operazioni adesso finite nel mirino della Procura, che sospetta un falso in bilancio di 50 milioni di euro.
Se nel 2006 comunque i conti tornano, nel 2007 invece l´azienda perde 30 milioni. Cosa fa quindi il management per ridurre i costi? Nulla, anzi il presidente-senatore Galioto, con l´avvallo dei sindacati, vara un accordo che prevede l´assunzione di figli di operai che vanno in pensione. Così entrano all´Amia altre 400 persone. Nel frattempo, visto che il committente è sempre e solo il Comune che ogni anno versa circa 90 milioni di euro nelle casse dell´azienda, i debiti crescono e nel 2008 il bilancio si chiude con un altro rosso di 30 milioni. Tecnicamente l´azienda sarebbe fallita, dal governo nazionale arriva però un sostegno di 80 milioni di euro. Soldi che servono appena per coprire alcuni debiti e ricapitalizzare la società. Soldi che vanno presto in fumo, perché l´Amia continua a perdere 2 milioni di euro al mese.
Il sindaco Cammarata lo scorso gennaio decide però di cambiare i vertici dell´azienda. E chi va alla guida del cda? Marcello Caruso, ex assessore molto legato al presidente del Senato Renato Schifani: un ragioniere contabile alla sua prima esperienza manageriale.

Burton Morris
03-12-09, 00:15
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 03 GIUGNO 2009
Pagina 17 - Esteri

Londra, scandalo dei film porno: si dimette la ministra degli Interni
Jacqui Smith lascia: il marito acquistò i video e li mise in conto allo Stato
E venerdì Brown annuncerà super rimpasti: rischiano il Tesoro e forse anche gli Esteri
Le rivelazioni del "Daily Express" e del "Telegraph" travolgono il governo laburista

ENRICO FRANCESCHINI
dal nostro corrispondente
londra - Passerà alla storia come il ministro scivolato su un film porno. Jacqui Smith, responsabile degli Interni britannico, darà le dimissioni dal suo incarico. Come sempre, le indiscrezioni parlano di un «mutuo accordo» raggiunto col premier, una decisione presa da mesi, per motivi personali, insomma per passare più tempo in famiglia. Ma i maligni già commentano: e cosa farà, in tutto quel tempo improvvisamente libero? Guarderà altri film porno col marito? Già, perché in marzo venne fuori che il ministro degli Interni aveva messo in conto allo Stato, dunque al contribuente, il noleggio di due film a luci rosse, visionati su una rete televisiva porno a pagamento, facendosi ridare i soldi nell´ambito dei rimborsi spese previsti per i deputati. Poi è saltato fuori che i film se li guardò il marito, da solo, mentre lei non era in casa; e qualcuno notò che non c´era nulla di male se una signora inglese di mezza età e il suo legittimo consorte, per ravvivare la vita coniugale, fanno ricorso a un po´ di pornografia. Farsela pagare dallo Stato, però, era un po´ troppo: lei disse che è stato un errore, sgridò il marito, ridiede indietro il denaro, che era una manciata di sterline.
Ma a quella rivelazione, fatta dal Daily Express, ne sono seguite altre, fatte dal Daily Telegraph: la stampa, in questo paese, sta provocando un terremoto politico senza precedenti. Così sono emerse nuove scorrettezze: la ministra degli Interni si faceva rimborsare come «seconda casa», a Londra, una casa in cui viveva sua sorella. Non è la sola ad avere peccato: almeno metà dei deputati di Westminster sono nei guai per le rivelazioni del Telegraph, alcuni sono addirittura perseguiti dalla magistratura.
Alle elezioni legislative britanniche, il prossimo anno, è prevista un´ecatombe, i partiti promettono un radicale repulisti, un´ondata di volti nuovi in parlamento; e alle elezioni europee di questa settimana (qui si vota già domani), i maggiori partiti, in particolare il Labour, quello di governo, subiranno una batosta, come risultato del disgusto popolare alla scoperta di essere governati da una «casta» di imbroglioni e corrotti.
Jacqui Smith è la prima vittima illustre. Ce ne saranno, a quanto pare, delle altre, ancora più illustri. Il premier Gordon Brown potrebbe annunciare già venerdì un ampio rimpasto di governo: perderanno il posto, tra gli altri, il ministro del Tesoro Darling, quello dei Trasporti Hoon, forse anche quello degli Esteri Miliband. In parte per cambiare squadra, nella speranza sempre più disperata di Brown di riguadagnare consensi; in parte per eliminare ministri compromessi dallo scandalo. Darling, che aumenta le tasse e chiede sacrifici al paese, si faceva rimborsare dallo Stato perfino le spese del commercialista e metteva in conto due case, pur usandone una. Ma c´è chi ha fatto di peggio, come un deputato laburista che si è fatto rimborsare 5 sterline lasciate per beneficenza in una colletta in chiesa. Dio salverà la regina, ma non i suoi rappresentanti al governo e in parlamento.

Burton Morris
03-12-09, 00:15
Per gli eletti arrivano i rimborsi

• da Avvenire del 9 giugno 2009, pag. 5

Denaro fresco per le casse dei cinque partiti che inviano parlamentari a vale a dire Pdl, Pd, Lega, Italia dei Valori e Udc. Il partito di Silvio Berlusconi, ad esempio, avrà oltre 103 milioni di rimborsi elettorali, mentre quello di Dario Franceschini circa 84. A bocca asciutta rimarranno invece, per la prima volta, i partiti rimasti sotto la soglia del 4% imposta con la modifica alla legge elettorale europea varata quest`anno. Il calcolo dei soldi che andrà a ciascun partito è un po` complicato. Il monte complessivo da distribuire è di cinque euro per ogni cittadino avente diritto al voto, quest anno 50.341.790. La torta da spartire è dunque di 251.708.950 di euro. Una somma ingente, equivalente per esempio al taglio al Fondo sociale effettuato dal ministro dell`Economia Giulio Tremonti nella finanziaria del luglio scorso. Ad aver diritto ai rimborsi elettorali sono solo i partiti che eleggono almeno un eurodeputato; ma con la soglia del 4% introdotta quest`anno, sono solo cinque le formazioni che si spartiranno la somma complessiva. Quindi, ad esempio, il Pdl con il 35,25% dei voti non otterrà questa percentuale di rimborsi, bensì una fetta più grande. Infatti i suoi 10.807.176 voti vanno ponderati su quelli ottenuti dai soli cinque partiti che hanno acquisito il diritto al rimborso, vale a dire 26.391.247 (tutti i votanti sono stati infatti 30.645.386, al netto dell`astensione). La percentuale sale allora al 40,95%, ed è la fetta del "monte rimborsi" che otterrà, Stesso discorso vale per gli altri quattro partiti che accedono ai rimborsi. La percentuale che spetta al Pd è del 30,34%, quella della Lega è dell` 11,85%, quella di Di Pietro è del 9,29%, quella dell`Udc del 7,57%. In base a questa ripartizione, l`agenzia Ansa ha dunque calcolato gli importi dei rimborsi, sulla base dei risultati forniti dal ministero dell`Interno. Le somme saranno divise in cinque tranches uguali, che verranno assegnate annualmente a ciascun partito fino al 2014. Ed ecco le quote attribuibili partito per partito: al Pdl 103.074.815,035 euro; al Pd 84.368.495,430 euro; alla Lega 29.827.510,575 euro; all`Idv 23.383.761,455 curo; all`Udc 19.054.367,515 euro. Sempre per capire l`entità delle cifre che finiscono nelle casse dei partiti, basta considerare che 100 milioni sono quanto il governo ha destinato nel 2009 al Piano straordinario per costruire nuovi asili nido; 80 milioni sono l’intero plafond delle politiche giovanili; 30 milioni e il finanziamento 2009 per le pari opportunità.

Burton Morris
03-12-09, 00:15
"La Stampa", 09 Giugno 2009, pag. 15


Intervista a Clemente Mastella
"Ho sconfitto chi mi voleva in clandestinità”

L’ex ministro: nessuno mi ha aiutato

GUIDO RUOTOLO
ROMA


//alert(cont); if(cont==1){ immagine('20090609/foto/H10_278.jpg'); } Onorevole Clemente Mastella, 111.648 preferenze...
«Tutte conquistate con la mia faccia e il mio sudore. Da solo, senza apparati di partito. Solo qualche rappresentante di lista».
Da solo, ma pur sempre ospite nelle liste della casa del Popolo delle libertà.
«Ringrazio per essere stato ospitato. Questa campagna elettorale è stata per me una scommessa. Mi sono messo in gioco, in discussione. Il voto mi ha premiato».
L’Udeur è risorto, come l’araba fenice...
«Macché. Il mio partito non esisteva più. Era stato smantellato. Non potevo contare su nessuna struttura di potere, non su un assessore regionale, provinciale o comunale. Deserto politico, attorno a me. Anche a Benevento, sindaco e assessori mi hanno tradito. Chi ha raggiunto il Pd, chi Ciriaco De Mita. Non potevo contare neppure su un ministro. Ho rischiato, e mi è andata bene. Primo eletto in Campania, naturalmente dopo il capolista Silvio Berlusconi, con 82.000 preferenze. Benevento, 24.000 preferenze. In città, un voto su dieci abitanti. Togliamo i bambini... è stato un plebiscito. Ho spopolato, sono sempre più sannita. Rappresento una parte del popolo meridionale».
Alla faccia di Umberto Bossi e della Lega Nord?
«No, per carità».
Quando fu annunciata la sua candidatura, si levarono mugugni e malumori nel Popolo della libertà.
«Sì, qualcuno storse il naso. All’inizio, però. E devo dire che in queste settimane di campagna elettorale non è che ho avuto modo di partecipare a tante iniziative comuni. Mi hanno offerto un palcoscenico che ho sfruttato. Ho cantato e il pubblico ha apprezzato».
Cantato? Senza neppure una nota stonata?
«Nessuna stonatura. So cantare, evidentemente».
E adesso per andare a Strasburgo volerà con aerei di linea o con voli di Stato?
«Una ferita ancora aperta, quella. Parlerò al momento opportuno. Adesso c’è un problema di sicurezza, giusto? Così come c’era ai miei tempi».
Un volo di Stato per il Gran Premio di Formula Uno. Fece scandalo che portò con sé suo figlio. Ricorda le polemiche?
«Quello fu un agguato. Mi volevano morto, politicamente morto. Ero un ministro a rischio, e non andai a Monza per godermi la corsa. Dovevo consegnare un premio. Il giorno dopo ero lì per trattare problemi che riguardavano il Tribunale di Brescia e la mia partecipazione a un convegno pubblico».
Oggi invece il premier è sulla graticola per aver dato un passaggio ai suoi ospiti.
«Far polemiche su questo è sempre sbagliato. Non voglio intossicarmi la festa. Oggi festeggio il mio successo elettorale».
Come ha convinto i suoi 111.648 elettori a scrivere il suo nome sulla scheda?
«Hanno votato per me. Per quello che sono stato, per le ingiustizie che ho subito».
Negli anni ‘80, a Napoli, si candidò, per il consiglio comunale, il cantante Aurelio Fierro con questo slogan: “Un voto di simpatia...”.
«La interrompo. Aurelio Fierro non fu mai eletto. Io sono stato premiato perché impastato di meridionalità e di meridionalismo. Perché ho sofferto per certi valori che esprimevo. E, ripeto, per le ingiustizie che ho subito».
E adesso che farà?
«Per adesso mi godo la famiglia e gli amici. Se penso a un anno fa, sono passato dall’Inferno al Paradiso. I miei amici politici hanno vissuto quest’anno come ai tempi della Resistenza. Clandestini. Adesso è giorno di Liberazione anche per noi».

Burton Morris
03-12-09, 00:19
I voti smarriti tra i veleni di Sicilia


• da Corriere della Sera del 10 giugno 2009, pag. 1

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di Gian Antonio Stella
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«A mmmia!». Se non fosse un milanese fiero della sua milanesità al punto di dire che «bisogna avere la scighera (nebbia) nei polmoni» e che a palazzo Chigi «l'è un laura' de la madona» e che i politici di professione sono dei «faniguttùn», Silvio Berlusconi potrebbe sintetizzare la sua collera contro i siciliani in due parole: «A mmmia!». Più ci pensa, dicono, più gli monta dentro la rabbia. L'aveva detto chiaro e tondo: voleva fare un figurone, alle elezioni. Testuale: «Dobbiamo dare un drizzone a questa Europa». L'aveva ripetuto nel messaggio video urbi et orbi fatto distribuire in campagna elettorale: «Abbiamo davanti una sfida: dobbiamo diventare il primo gruppo popolare nel Parlamento Europeo per incidere sulle sue decisioni». E com'è finita? I numeri sono impietosi: il gruppo più robusto nel Ppe sarà la Cdu di Angela Merkel con 42 deputati, il secondo sarà l'Ump di Nicolas Sarkozy con 30 e il Pdl non solo sarà terzo (come il Milan in campionato!) ma con un solo parlamentare in più rispetto alla Platforma Obywatelska del polacco Donald Tusk, nonostante alla Polonia spettassero 22 seggi in meno rispetto ai 72 assegnati all'Italia. Seccante.

Di più, aveva chiesto un acquazzone di voti personali: «Se dovessi raccogliere milioni di preferenze avrei ancora più autorevolezza, perché nessun altro leader europeo potrà contare sui voti che immagino di poter avere». E per essere sicuro che tutti capissero aveva precisato: «Non vorrei che gli elettori che hanno intenzione di votarmi si limitassero a barrare il simbolo: per votare Berlusconi va scritto il nome nell'apposito spazio e possibilmente in bella calligrafia». Mettetevi dunque al posto suo, in queste ore in cui ribolle d'ira convinto d'aver fallito i due obiettivi per colpa «di Veronica, di Kakà e della Sicili». La Sicilia! La regione del «cappotto» (61 parlamentari a 0) alle politiche del 2001! Delle 9 province su 9 governate dalla destra! Dei 61 seggi contro 29 all'Ars! Come è possibile, frigge il Cavaliere, che la Sicilia l'abbia tradito regalandogli solo 362mila preferenze e cioè quasi un milione in meno dei voti pidiellini (1.316.000) alle politiche 2008? Com'è possibile che, dopo quelle pubbliche sviolinate che lo mettevano «in imbarazzo», solo il 52% degli elettori isolani del Pdl gli abbia dato domenica la preferenza?

Perfino Rita Borsellino, in proporzione ai voti del proprio partito, lo ha battuto! La Borsellino! Per non dire del fastidio d'avere scoperto che la guerra intestina dentro il partito, combattuta a colpi di preferenze date agli amici e ai compagni di cordata, l'aveva esposto a battersi in quel di Catania, come ha notato Marcello Sorgi, con uno sconosciuto di nome Giovanni Lavia. Ma chi è, 'sto pidiellino che per ore ha osato avere quasi le stesse preferenze di Sua Emittenza? Il fatto è che il Cavaliere seduttore per una volta era stato sedotto lui da mirabolanti promesse. Basti rileggere quanto avevano detto poche settimane fa i potentissimi alfieri locali Carmelo Briguglio e Giovanni La Via, i quali discettavano trionfanti che «le regole della democrazia non consentono a un minuscolo partito, com'è quello del presidente Lombardo, di imporre scelte di governo non condivise» e dunque dopo le Europee si sarebbero fatti i conti dato che «l'unico grande impegno» del partito, data per scontata una schiacciante vittoria, era «quello di raggiungere il 51%». Obiettivo ribadito dal coordinatore regionale Giuseppe Castiglione: «Il Pdl avrà un grandissimo consenso». E confortato da sondaggi spettacolari come quello di Demopolis che due settimane prima del voto sentenziava: «Il nuovo Pdl siciliano, con le sue diverse componenti, ha oggi per le Europee un voto certo del 46%, ma un bacino potenziale senza precedenti, che sfiora il 55%».

Come osava, Lombardo, a mettersi di traverso a un partito del 55%? Macché: 36,6%. Quasi venti punti in meno che nei sogni. E solo 692.340 voti. Cioè oltre seicentomila meno che alle politiche 2008. Col risultato finale che il Pdl, da quell'isola considerata il «granaio azzurro», manderà a Strasburgo la miseria di due parlamentari. Due su sei euro-deputati siciliani. In una terra dov'era convinto di avere oltre la metà dei consensi. Cosa succederà, adesso? C'è chi è pronto a scommettere che Berlusconi, anche se non subito per non acuire le tensioni peggiorando l'immagine di rissosità interna, potrebbe tagliare qualche testa. A cominciare da quella di chi gli aveva fatto credere di avere in pugno un trionfo storico esponendolo nella roccaforte isolana (lui, «col gradimento del 75% degli italiani») alla figura non simpatica di raccogliere la preferenza di un votante siciliano su sei. Molto dipenderà comunque dal modo in cui andrà l'incontro che il leader del Pdl avrà oggi o domani con Raffaele Lombardo. Cioè l'uomo che prima lo ha tolto dai pasticci facendogli vincere le comunali di Catania nel momento in cui Forza Italia e la destra erano in crisi dopo aver perso a ripetizione tutte le elezioni della primavera 2005, poi gli ha fatto stravincere le Regionali dell'anno scorso e adesso lo ha inguaiato, proprio alla vigilia del «drizzone all'Europa», facendo saltare il banco, azzerando la giunta, spaccando il Pdl e buttando fuori i pidiellini legati da quello che Gianfranco Micciché chiama il «patto del pistacchio».

Vale a dire l'accordo anti-lombardiano stretto a Bronte, il cuore dell'«oro verde», da Renato Schifani e Giuseppe Castiglione. Il governatore siciliano l'ha già detto: «Non cederò di un millimetro». E tanto per non concedere spazio a equivoci, non lascia passare giorno senza sparare a zero sul governo. Prima sfogandosi con Famiglia Cristiana: «Si rende conto che, mentre il Sud è in ginocchio, viene sollevata la questione del Nord come unica questione nazionale? Ma siamo impazziti?». Poi infilzando il coltello là dove il Premier è più sensibile: «Il ponte di Messina? Ma come potrà essere posta la prima pietra se manca il progetto esecutivo? Basta con la politica degli annunci nei confronti del Sud!». Poi denunciando che «il Mezzogiorno è scomparso dall'agenda del governo» e avvertendo che darà vita a un «Partito del Sud» perché «è il momento di pensare solo al Mezzogiorno». Tutte parole che, dopo i trionfi della Lega al Nord, rischiano di gonfiare nuvoloni neri sul futuro della destra nonostante i larghissimi numeri parlamentari. Tema: è possibile accontentare insieme Lombardo e i Lumbard?

Burton Morris
03-12-09, 00:19
La rivelazione del tesoriere Pd «In 5 anni ai partiti 941 milioni» - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/politica/09_giugno_11/tesoriere_pd_181d4ad6-5650-11de-82c8-00144f02aabc.shtml)


La rivelazione del tesoriere Pd: «In 5 anni ai partiti 941 milioni»
Mauro Agostini svela i meccanismi dei «rimborsi» e la difficile convivenza con i colleghi di Ds e Margherita

La copertina del libro di Mauro Agostini
La copertina del libro di Mauro Agostini
ROMA - «Il tesoriere ha in mano i cordoni della borsa di un partito. Figura tradizionalmente oscura, un po’ sinistra, al punto da passare per colui che manovra non solo i denari ma anche i segreti più turpi della politica ». Tanto basterebbe a spiegare perché nessun tesoriere di partito abbia mai scritto un libro. Nessuno prima di Mauro Agostini, l’uomo che un anno e mezzo fa ha avuto (e ha tuttora) in mano i cordoni della borsa del Partito democratico: non si sa se per coraggio o incoscienza. Il suo libro, da cui sono tratte queste frasi, esce oggi in libreria, l’ha pubblicato Aliberti in una collana diretta da Pier Luigi Celli e si chiama semplicemente Il tesoriere. Da un titolo così è lecito attendersi anche qualche considerazione numerica. Che infatti non manca. A cominciare dal calcolo minuzioso di quanti soldi pubblici, attraverso il meccanismo ipocrita dei cosiddetti rimborsi elettorali, sono entrati nelle tasche dei partiti italiani soltanto negli ultimi cinque anni, dal 2004 al 2008. Reggetevi forte: 941 milioni 446.091 euro e 14 centesimi. Cifre senza eguali in Europa, se si eccettua, sostiene Agostini, la Germania. La ciccia, tuttavia, non è nei numeri. Il tesoriere sostiene che è necessario un sistema di finanziamento dei partiti «prevalentemente pubblico » senza più ipocrisie, ma con «forme di controllo incisive e penetranti » di natura «squisitamente pubblica» e il «vincolo esplicito» di una gestione sobria ed economica prevedendo anche «sanzioni reputazionali ». Ma al tempo stesso non può non ripercorrere la storia dei ruvidi rapporti con i suoi colleghi dei Ds, Ugo Sposetti, e della Margherita, Luigi Lusi, i due partiti che hanno dato vita al Pd. «Il nuovo partito nasceva senza un euro. L’obiettivo, mai esplicitato, ma evidente in comportamenti (...) dei tesorieri Ds e Margherita era quello di dare vita a una sorta di triumvirato nella gestione delle risorse, di cui però i veri sovrani avrebbero dovuto essere Ugo Sposetti e Luigi Lusi, in quanto titolari dei rimborsi elettorali.
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Con le conseguenze facilmente immaginabili: quando le cose sarebbero andate secondo i desiderata dei due vecchi azionisti, i soldi sarebbero affluiti regolarmente, in caso contrario no. È evidente che la questione rivestiva un valore (...) squisitamente politico e di autonomia del nuovo partito». Una ricostruzione che indica senza mezzi termini fra le cause delle difficoltà interne del Pd la sopravvivenza dei vecchi apparati di partito, con le rispettive munizioni finanziarie. Agostini ricorda che i Ds avevano provveduto a blindare in fondazioni «con un percorso opaco» migliaia di immobili. E che il tesoriere della Margherita, Lusi, aveva dato sì la disponibilità a contribuire al Pd con i rimborsi elettorali, «a condizione che anche i Ds avessero fatto la loro parte, in ragione di quaranta a sessanta per cento». Ma «l’impossibilità dei Ds» a mettere mano al portafoglio motivata da quel partito con il forte indebitamento «assolveva tutti dall’obbligo politico di sostenere il Pd». Questa vicenda è chiaro sintomo di quella che Agostini definisce «un’ambiguità di fondo mai esplicitata ma che percorrerà il progetto sotto pelle in tutto il suo primo anno di vita e che rischia di essere anche la causa profonda della crisi che sfocia nelle dimissioni di Walter Veltroni ». Ancora: «L’ispirazione sembra più quella di dare vita a una specie di consorzio o di holding i cui diritti principali restano in mano ai soci fondatori, piuttosto che fondare una nuova formazione politica». La notizia con la quale comincia Il tesoriere, e cioè che il Pd ha fatto certificare il bilancio 2008 dalla Price Waterhouse Coopers («la prima volta», rivendica con orgoglio Agostini, che un partito italiano sottopone i suoi conti a una verifica del genere), valga a questo punto come una consolazione. Perché se la diagnosi politica è giusta, la strada è ancora tutta in salita. Dettaglio non trascurabile: il libro viene presentato oggi dal segretario del Pd, Dario Franceschini.

Sergio Rizzo
11 giugno 2009

Burton Morris
03-12-09, 00:20
Massari: le difficoltà politiche del Pd nascono dal finanziamento pubblico e dalla trasformazione del partito in holding

Roma, 11 giugno 2009


• Dichiarazione di Alessandro Massari membro della Direzione nazionale di Radicali Italiani


Agostini, tesoriere del PD nel suo libro “Il tesoriere”, solleva il velo d’ignoranza sul finanziamento pubblico dei partiti in Italia, in modo specifico su quello di PD, DS e margherita e su quanto questi danari abbiano influito sulla involuzione politica, ma non solo, del PD.

Alcune dati deludono chi pensa che la politica nel PD sia solo passione e militanza: negli ultimi cinque anni il finanziamento pubblico è stato enorme, pari a 941 milioni 446.091 euro e 14 centesimi.

Poiché il PD ha avuto diritto ai primi finanziamenti pubblici “diretti” solo dopo la competizione elettorale dello scorso anno, allora questi fondi gli sono stati “girati” dagli “azionisti di riferimento”: la Margherita e i DS, con le conseguenze immaginabili sulla titolarità degli stessi, così descritte dall’autore:<< i veri sovrani avrebbero dovuto essere Ugo Sposetti e Luigi Lusi, in quanto titolari dei rimborsi elettorali>>.

Si denuncia, finalmente, il “potere di veto” esercitato dagli “azionisti” della Margherita e deiDS , vera e propria ragione di tante difficoltà del PD, poiché ciò ha causato la necessità di garantire la <<sopravvivenza dei vecchi apparati di partito con le rispettive munizioni finanziarie>>ma le migliori condizioni delle finanze della Margherita -che non voleva pagare l’intero conto- rispetto a quella dei DS, «assolveva tutti dall’obbligo politico di sostenere il Pd… ed essere anche la causa profonda della crisi che sfocia nelle dimissioni di Walter Veltroni ».
Insomma la crisi del Pd e del suo primo segretario, è nata da risse per la “roba” tra le vecchie oligarchie di cui, è bene non dimenticarlo, anche Veltroni fa parte.

Ma sono le fondazioni di partito la parte più moderna di un gioco antico perché, grazie a questa schermatura , si sarebbero blindate «con un percorso opaco» migliaia di immobili. E ancora: «L’ispirazione sembra più quella di dare vita a una specie di consorzio o di holding i cui diritti principali restano in mano ai soci fondatori, piuttosto che fondare una nuova formazione politica».

Ciò che è sempre stato chiaro e segnalato dai radicali, trova oggi un’autorevole conferma: il PD è nato sulle rovine delle magre casse dei Ds, sui veti delle ricche casse della Margherita, sulla necessità di garantire la sopravvivenza dei vecchi apparati di partito e sull’uso spregiudicato delle fondazioni, che hanno trasformato i partiti, in questo caso il PD, in vere e proprie holding con al centro dei propri interessi “la roba”.

I radicali, da sempre denunciano le storture del sistema politico italiano, non ricorrendo a fondazioni e non trasformandosi in holding, ma continuando a concorrere alla formazione di proposte politiche alternative.

Burton Morris
03-12-09, 00:20
(Quanto i contribuenti italiani daranno a Gheddafi ... fino al 2029!)



Legge 6 febbraio 2009, n. 7


"Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana
e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008"



pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2009



Art. 1.

(Autorizzazione alla ratifica)

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008.



Art. 2.

(Ordine di esecuzione)

1. Piena ed intera esecuzione è data al Trattato di cui all’articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 23 del Trattato stesso.



Art. 3.

(Addizionale all’imposta sul reddito delle società)

1. Le disposizioni del presente articolo si applicano nei confronti delle società e degli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato:
a) che operano nel settore della ricerca e della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, con partecipazioni di controllo e di collegamento e con immobilizzazioni materiali e immateriali nette dedicate a tale attività con valore di libro superiore al 33 per cento della corrispondente voce del bilancio di esercizio;
b) emittenti azioni o titoli equivalenti ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato;
c) con una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro determinata sulla base della media delle capitalizzazioni rilevate nell’ultimo mese di esercizio sul mercato regolamentato con i maggiori volumi negoziati.
2. I soggetti di cui al comma 1 sono tenuti al versamento di un’addizionale all’imposta sul reddito delle società (IRES) pari al 4 per cento dell’utile prima delle imposte risultante dal conto economico qualora dallo stesso risulti un’incidenza fiscale inferiore al 19 per cento. In ogni caso l’addizionale non è dovuta per gli esercizi in perdita e il relativo importo non può eccedere il minore tra:
a) l’importo determinato applicando all’utile prima delle imposte la differenza tra il 19 per cento e l’aliquota di incidenza fiscale risultante dal conto economico;
b) l’importo corrispondente alle percentuali di seguito indicate del patrimonio netto, come definito al comma 5:
1) 10,3 per mille fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2011;
2) 5,8 per mille dall’esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2011 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2015;
3) 5,15 per mille dall’esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2015 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2019;
4) 4,65 per mille dall’esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2019 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2023;
5) 4,2 per mille dall’esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2023 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2028.
3. L’incidenza fiscale di cui al comma 2 corrisponde all’aliquota determinata dal rapporto tra i seguenti dati rilevati dal conto economico:
a) onere netto per l’IRES corrente, differita e anticipata, per le eventuali imposte sostitutive. Ai fini della presente lettera il riferimento all’IRES deve intendersi comprensivo dell’addizionale istituita dall’articolo 81, comma 16, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Non rileva ai fini della determinazione dell’onere netto per l’IRES l’addizionale prevista dal comma 2 del presente articolo;
b) utile prima delle imposte.
4. Dall’onere netto per l’IRES di cui al comma 3 sono esclusi gli effetti di imposta corrente, differita e anticipata, relativi alle società incluse nello stesso consolidato fiscale nazionale o mondiale o insieme con le quali è stata esercitata l’opzione per la trasparenza fiscale. Tuttavia tali effetti devono essere mantenuti, o, qualora non siano rilevati, l’onere netto per l’IRES deve essere corrispondentemente rettificato, nel caso in cui le partecipazioni in tali società siano oggetto di svalutazione. In ogni caso tali effetti rilevano in misura non superiore al 27,5 per cento della svalutazione della partecipazione alla quale si riferiscono, come risultante dal conto economico.
5. Il patrimonio netto per la determinazione del limite di cui al comma 2, lettera b), è quello risultante dal bilancio di esercizio diminuito dell’utile di esercizio e aumentato degli acconti sul dividendo eventualmente deliberati. Se il periodo d’imposta è superiore o inferiore a dodici mesi, il limite di cui al citato comma 2, lettera b), è ragguagliato alla durata di esso.
6. L’addizionale di cui al comma 2 è dovuta a decorrere dall’esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2008 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2028. Ai fini del calcolo dei versamenti in acconto relativi al primo esercizio si fa riferimento a quella che sarebbe stata l’addizionale dovuta per l’esercizio precedente, ferma rimanendo la facoltà di fare riferimento allo stesso esercizio relativamente al quale la stessa si rende dovuta.



Art. 4.

(Riconoscimento di un ulteriore indennizzo ai soggetti titolari di beni, diritti e interessi sottoposti in Libia a misure limitative)

1. Ai cittadini italiani nonchè agli enti e alle società di nazionalità italiana già operanti in Libia, in favore dei quali la legge 6 dicembre 1971, n. 1066, ha previsto la concessione di anticipazioni in relazione a beni, diritti e interessi perduti a seguito di provvedimenti adottati dalle autorità libiche, ovvero che hanno beneficiato delle disposizioni di cui alla legge 26 gennaio 1980, n. 16, alla legge 5 aprile 1985, n. 135, nonchè alla legge 29 gennaio 1994, n. 98, è corrisposto un ulteriore indennizzo, per gli anni dal 2009 al 2011, nei limiti delle risorse del fondo di cui al comma 5.
2. Agli effetti del comma 1 sono valide le domande già presentate, se confermate dagli aventi diritto entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Ai fini della corresponsione dell’indennizzo di cui al comma 1, le pratiche già respinte per carenza di documentazione sono, su domanda, prese nuovamente in esame con carattere di priorità dalla Commissione interministeriale di cui all’articolo 2, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 114, al fine di acquisire ogni elemento utile per l’integrazione della documentazione mancante.
4. Agli indennizzi corrisposti in base al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11 della legge 5 aprile 1985, n. 135, e all’articolo 1, comma 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 98.
5. Ai fini della corresponsione dell’indennizzo di cui al comma 1 è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un apposito fondo con una dotazione di 50 milioni di euro annui dall’anno 2009 all’anno 2011. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare previo parere delle Commissioni parlamentari permanenti competenti per materia e per i profili finanziari, sono stabilite la misura e le modalità di corresponsione dell’indennizzo di cui al comma 1, nel limite della dotazione del predetto fondo.



Art. 5.

(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dall’attuazione degli articoli 10, lettere a), b), c) e d), e 19 del Trattato di cui all’articolo 1, pari a euro 34.200.200 per l’anno 2009, a euro 74.216.200 per l’anno 2010, a euro 70.716.200 per l’anno 2011 e a euro 1.336.200 per ciascuno degli anni dal 2012 al 2029, e a quelli derivanti dall’attuazione dell’articolo 8 dello stesso Trattato, valutati in 180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2009 al 2028, nonchè agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 4 della presente legge, pari a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2009 al 2011, si provvede mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’attuazione dell’articolo 3.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 8 del Trattato di cui all’articolo 1 della presente legge, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati di apposite relazioni illustrative.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.




Art. 6.

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Burton Morris
03-12-09, 00:21
Parlamento, la classifica dei fannulloni


• da La Repubblica del 16 giugno 2009, pag. 1

-->

di Carmelo Lopapa
-->Pochi stakanovisti e un esercito di «fannulloni», direbbe Brunetta. Che stanno soprattutto a destra. Per non dire che con le pagelle scolastiche reintrodotte dalla Gelmini (da 0 a 10), solo il 2,6% dei parlamentari (16 deputati e 8 senatori per la precisione) sarebbero promossi al secondo anno di legislatura. Il primo anno si archivia così, con insufficienze a go-go: poco presenti, poco attivi, poco propositivi. Con gli onorevoli di opposizione a salvare la faccia. Le donne, come sempre, meglio degli uomini. E col dato più avvilente a fare da sfondo: un Parlamento ormai in ginocchio, ridotto a ratificare decisioni già adottate a Palazzo Chigi: in un anno, 61 ddl presentati dall´esecutivo trasformati in legge (90%), a fronte dei soli 7 di iniziativa parlamentare (10%).
La fotografia dei primi dodici mesi di vita delle Camere l´ha scattata l´»Osservatorio» composto da Cittadinanzattiva (movimento che dal ‘78 promuove i diritti dei cittadini e dei consumatori), Controllo cittadino e Openpolis. Le 32 pagine del rapporto 2008-2009 sulle attività parlamentari - che sarà presentato oggi - misurano con grafici e classifiche l´efficienza di gruppi e singoli. Un «indice di attività» elaborato in base a una serie di parametri: quante volte ogni parlamentare è stato primo firmatario o cofirmatario di un atto legislativo o ispettivo, quante volte relatore di un progetto di legge, quante volte è intervenuto in aula o in commissione, quante volte presente alle votazioni. Cosa si scopre? «Emerge molto chiaramente che i deputati dell´Italia dei valori sono i più attivi tra tutti i gruppi presenti alla Camera», su una scala da 0 a 10, la loro media di attività si attesterebbe attorno al 3,57. Sotto la sufficienza, ma meglio degli altri. Seguiti dal gruppo della Lega (2,67) e dal Pd (2,65). Stesso discorso al Senato, anche lì in testa i dipietristi, seguiti però da Udc e Pd. In entrambi i rami del Parlamento, il principale gruppo di maggioranza, il Pdl, ha raccolto il grado di efficienza più basso, ultimo alla Camera (2,01) e penultimo (seguito dal solo misto) al Senato (0,67). Quozienti che si invertono, ed è facile immaginare il perché, se si passano ai raggi x le presenze in occasione delle votazioni: essendo la gran parte dei ddl di origine governativa, ecco che i deputati del Pdl sono risultati presenti all´83% delle votazioni, i leghisti all´86, i democratici all´81. Le donne hanno un indice di attività medio di 2,7, mentre gli uomini si fermano al 2,2. Tra le senatrici e i senatori «la differenza è ancora più marcata: le prime hanno un indice di attività di oltre 3 punti, mentre i senatori sono al 2». Stesso discorso per le presenze.
E come alla fine di ogni anno scolastico che si rispetti, Cittadinanzattiva ha affisso i quadri con promossi e bocciati. Classifiche elaborate, anche queste, sulla base di quei criteri (presenze, firme agli atti, interventi, votazioni). Ed ecco allora la pidiellina Angela Napoli in testa ai virtuosi, affiancata dalla senatrice radicale-Pd Donatella Poretti (entrambe con un bel 10 per indici di attività). Maglia nera tra i «bocciati», invece, al coordinatore del Pdl Denis Verdini alla Camera e al senatore (anche lui pdl) Marcello Pera, che di Palazzo Madama è stato presidente. «È la prima volta che i cittadini accendono un faro sui lavori del Parlamento, basato su dati incontrovertibili e pubblici - spiega Antonio Gaudioso di Cittadinanzattiva - . È giunto il momento che gli elettori si assumano la responsabilità di verificare le attività delle istituzioni, tanto più utile nel momento in cui viene a mancare il rapporto diretto con gli eletti, ormai semplici nominati». -->
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Burton Morris
03-12-09, 01:26
In Parlamento e alla Provincia corsa alla doppia poltrona

• da Corriere della Sera del 19 giugno 2009, pag. 14

di Sergio Rizzo

Il deputato Francesco Stradella aveva già provato dodici anni fa il brivido dell’incompatibilità. Ma la sua corsa alla poltrona di sindaco di Alessandria, città di 85 mila abitanti, si era fermata al primo turno. Ostinato, alle ultime amministrative è invece arrivato al sospirato ballottaggio per la presidenza della Provincia: se domenica ce la farà, quel brivido avvertito nel 1997 si materializzerà. Addirittura piacevolmente, tanto è innocuo. La legge dice che chi è sindaco di un comune con oltre 20 mila abitanti oppure presidente di giunta provinciale non può essere parlamentare. Ma siccome non dice il contrario, può accadere che un onorevole si presenti alle amministrative, venga eletto e conservi il seggio a Montecitorio o Palazzo Madama. Senza che nessuno lo schiodi da lì. Ancora prima delle elezioni del 6 giugno c’erano in Parlamento ben cinque sindaci di città con più di 20 mila abitanti e due presidenti di Provincia. Come riescano a conciliare i due incarichi è un mistero. Ma il loro esempio ha funzionato eccome. Il primo turno delle ultime elezioni amministrative ci ha così regalato altri sei presidenti di Provincia con il doppio incarico. C’è il deputato leghista Ettore Pirovano, presidente della Provincia di Bergamo. Il senatore pdl Cosimo Sibilia (figlio del famoso presidente dell’Avellino calcio Antonio Sibilia), presidente della Provincia di Avellino. Il parlamentare dello stesso partito Edmondo Cirielli, noto per la famosa legge sulla prescrizione dei reati, da lui poi sconfessata, presidente della Provincia di Salerno. Ci sono poi i deputati Luigi Cesaro (Pdl) e Roberto Simonetti (Lega), rispettivamente presidenti delle Province di Napoli e Biella, e l’onorevole del Carroccio Daniele Molgora, presidente della Provincia di Brescia, che di incarichi ne ha addirittura tre, essendo anche sottosegretario all’Economia. Roba da far impallidire il suo collega deputato Paolo Romani, viceministro delle Comunicazioni, che al comune di Monza (120 mila abitanti) è «soltanto» assessore. Ma anche il suo collega senatore Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture, sindaco di Orbetello. E perfino il sottosegretario alla presidenza Gianfranco Micciché, che è stato proposto come assessore della nuova giunta comunale di Termini Imerese. Al primo turno un altro parlamentare del centrodestra, l’ex nazional alleato Marco Zacchera, è diventato sindaco di Verbania (30.128 abitanti), andando a ingrossare pure il plotone dei sindaci presunti incompatibili. ‘Chi pensa che sia finita qua, tuttavia, si sbaglia di grosso. Se Simeone Di Cagno Abbrescia prevalesse al ballottaggio su Michele Emiliano, anche Bari potrebbe avere un sindaco parlamentare. E lo stesso accadrebbe a Temi, in caso di vittoria del senatore del Pd Leopoldo Di Girolamo contro l’ex presidente della Consulta e della Rai Antonio Baldassarre. Per non parlare delle Province ancora in bilico. Come Frosinone, dove al ballottaggio c’è il deputato pdl Antonio Iannarilli. Oppure la già citata Alessandria. O ancora Brindisi, con il secondo turno che metterà alla prova il senatore del centrodestra Michele Saccomanno. Di fronte a una situazione simile sarebbe difficile continuare a fare spallucce. Convinto che si debba mettere un freno, mercoledì prossimo il presidente del comitato parlamentare per le incompatibilità Pino Pisicchio (Italia dei valori), porrà ufficialmente la questione. E si tratta di vedere che sviluppi avrà la faccenda in Senato, dove il presidente della giunta per le elezioni, Marco Follini, è fautore come Pisicchio del principio dell’assoluta incompatibilità fra incarichi elettivi diversi. Ma è una missione impossibile. Anche perché il confine fra «incompatibilità» e «opportunità», è ormai diventato impercettibile, come dimostrano anche altri fatti. A Fermo, per esempio, il sindaco della città Saturnino Di Ruscio si è presentato anche per la presidenza della nuova Provincia, arrivando al ballottaggio. Caso non isolato. Il sindaco di San Donà di Piave (35.417 abitanti) Francesca Zaccariotto corre al secondo turno per la Provincia di Venezia. Ad Ascoli Piceno l’ex deputato dell’Udc Amedeo Ciccanti, dirigente della Provincia, si è candidato contemporaneamente alle elezioni per il sindaco del capoluogo e a quelle per il presidente della Provincia. I parlamentari in carica del suo partito, del resto, si sono presentati in massa alle amministrative: Michele Vietti per la Provincia di Torino, Mauro Libé a Parma, Roberto Occhiuto a Cosenza, Teresio Delfino a Cuneo. E c’è chi si scandalizza perché l’assessore alla casa del Comune di Roma Alfredo Antoniozzi, eletto al parlamento europeo non si è ancora dimesso.

Burton Morris
03-12-09, 01:27
"Io, pagata in nero dai dipietristi e poi licenziata causa estate"

• da Il Giornale del 22 giugno 2009, pag. 12

di Marco Zucchetti
«Eeeh, mo’ non mi servi, non tengo molto da fare, è estate...». Clic. Fine della chiamata. Fine di un rapporto professionale, seppure coi contorni in chiaroscuro del lavoro nero. Il «principale» in questione, che scarica così il suo dipendente, è il deputato dell’Italia dei Valori Francesco Barbato, un tempo tra i più vicini ad Antonio Di Pietro, sempre tra i più attivi nel condannare la Casta e nel «rappresentare veramente le esigenze dei cittadini», come rivendica spesso in Aula; la «defenestrata», invece, è la sua collaboratrice Liliana. Che dopo quattro mesi da «fantasma» ha ricevuto il benservito. Alla faccia dei Valori e delle esigenze dei cittadini.
Liliana, anche i dipietristi hanno il pessimo vizio di sfruttare i collaboratori?
«Io posso parlare di uno solo, Barbato. E lui questo vizio ce l’ha. Eppure io non sono nata nella bambagia. Ho lavorato tre anni all'ufficio stampa dei Radicali, so cosa vuol dire farmi un mazzo così. Ma almeno avevo un contratto regolare».
Però ha dovuto cambiare...
«Purtroppo sì. Un altro suo collaboratore esterno mi ha detto che l’onorevole Barbato cercava una persona, quindi ci hanno presentati. Un colloquio senza nemmeno parlare di lavoro e un “cominci mercoledì”. Così a febbraio è iniziato il bailamme».
Qualche promessa?
«Semplicemente un contratto dopo un periodo di prova. Ma alla Camera non ci sono regole e quelle che valgono per tutti i lavoratori italiani lì sono ignorate perché con l’autodichiarazione c’è sempre la scusa per mettere all’angolo i principi costituzionali. Quindi passavano i mesi e il contratto non si vedeva. Come del resto Barbato».
Desaparecido?
«In aula c’era, ma è sempre molto difficile parlare. Quando lo vedevo e gli chiedevo notizie sul contratto mi diceva: “Vabbé, mo’ vediamo”».
Intanto lei lavorava...
«Dalle 9.30 alle 19.30, dal lunedì al venerdì. Toh, a volte arrivavo alle 10, ché non abito vicino a Montecitorio, io... Solitamente l’attività di un’assistente è strettamente legata a quella del parlamentare in questione: interrogazioni, appuntamenti, proposte di legge, rassegne stampa. E devo riconoscere che il lavoro svolto per Barbato non era esattamente frenetico».
Nella classifica di produttività dei deputati di Open Polis è 207° su 630. Comunque, dice il saggio: lavoro è se principale paga. Sennò è volontariato. Lei almeno era pagata?
«Puntualmente. Ma rigorosamente in nero. Andava a prelevare i contanti e li metteva in una bella busta con la scritta “Camera dei Deputati”. Io trattenevo la mia parte e poi lasciavo il resto dei soldi al mio collega».
Prassi comune tra i politici...
«Zero assicurazione, zero buoni pasto. Ho speso un capitale in panini nei bar, dato che io non pranzavo alla buvette con 4 euro come i parlamentari».
Epperò questo incanto si è spezzato...
«E in modo davvero antipatico. Alla vigilia della settimana bianca della Camera, giorni in cui è sospesa l’attività parlamentare, mi ha telefonato il mio collega dicendo di aver “intuito” che non sarei stata confermata. Ho chiamato Barbato che ha fatto il pilatesco: “Devi parlarne con lui, è stato lui che inizialmente ti ha contattata... in estate, sai, non servono persone...”. Eppure il “capo” era lui, era lui che mi pagava, però a decidere era il collega. Mah...». E tanti saluti.
«Esatto. Mai più sentito. Il 6 giugno mi ha fatto chiamare dal suo collaboratore dicendo che mi lasciava a casa perché non ero all’altezza del compito. Ah, giusto perché d’estate non serviva una figura come la mia, so che il mio posto è già stato assegnato a un’altra. Magari senza contratto. Ma tanto la giustificazione è la stessa: il periodo di prova...».
Cosa chiederebbe a Di Pietro?
«In quest’esperienza gli unici “valori” che ho incontrato sono stati quelli in nero e in busta chiusa. L’Idv parla di ripristino della legalità, trasparenza, aiuto alle fasce deboli e alternativa di diritto: ecco però in concreto come sono stata tutelata. Di Pietro non può tenere sotto controllo tutti i parlamentari, ma deve sapere che ci sono cellule cancerogene nel suo partito».
La stessa cosa che gli rimproverava Barbato a proposito dei membri campani di Idv...
«Appunto. Tralascio commenti».
Francesco Comellini, presidente dell’associazione collaboratori parlamentari, si augura che tutti seguano il suo esempio. Ma lei non teme di non lavorare più al Parlamento?
«Non guardo al rischio ma al coraggio di denunciare ciò che non va. Se uno sta zitto, come spesso i miei colleghi, subisce. Io nei Radicali ho imparato ad agire piuttosto di lamentarmi».

Burton Morris
03-12-09, 01:28
Alternativi al regime - Lettera

• da Terra del 24 giugno 2009, pag. 15

di Massimiliano Iervolino

In questi giorni assistiamo all’ennesimo spettacolo desolante della partitocrazia. Mi riferisco al dibattito surreale che, subito dopo l’europee, si è aperto in Regione Lazio. Una vera e propria guerra tra bande che, nella speranza di continuare ad acquisire potere, riempie le pagine dei giornali di argomenti e dibattiti che non toccano minimamente il vissuto della gente. Si passa dal rimpasto del Governo Marrazzo, all’apertura delle due colazioni all’Udc, per finire ai problemi della sinistra massimalista. Tutto questo avviene mentre la nostra Regione vive problemi drammatici. Una sanità sempre falcidiata dai conti in rosso e controllata costantemente dai partiti, una possibile emergenza rifiuti che vede come unica soluzione partitocratica la diffusione della “cultura” della discarica, una cementificazione selvaggia che, con un accordo bipartisan, continua ad attanagliare il nostro territorio e, per finire, un’assoluta mancanza di laicità dove, per esempio, le donne per trovare un medico del pronto soccorso disposto a prescrivere la “pillola del giorno dopo” sono costrette a girovagare la notte per gli ospedali romani. Tutti questi problemi dovrebbero portare le formazioni politiche ad aprire un dibattito ampio e serio, trascinando i cittadini della nostra regione alla riflessione, magari anche allo scontro democratico che, come ormai diciamo da decenni, è il sale delle migliori culture anglosassoni. Non vogliamo dei cittadini succubi delle lotte interne ai partiti e non vogliamo che la prossima campagna elettorale in regione Lazio si traduca in due mesi di promesse, senza che prima ci sia un confronto democratico utile agli elettori per decidere secondo il principio enaudiano del “conoscere per deliberare”. Da parte nostra, nei mesi precedenti al voto dell’europee, abbiamo molto riflettuto sul come far circolare le nostre proposte e sul come sconfiggere l’immobilismo dei due schieramenti laziali. Partendo dalla lettura dello Statuto della Regione Lazio ci siamo convinti che lo strumento referendario regionale fosse il migliore per perseguire questi obiettivi. Proprio per questo da due mesi, e fino al trenta settembre, siamo impegnati nella raccolta di 50.000 firme su ognuno dei referendum dai noi presentati. I quesiti sono otto (quattro propositivi e quattro abrogativi) e sono un vero e proprio programma di Governo per il Lazio, infatti riguardano: i rifiuti, le coppie di fatto, i costi della politica, i vincoli paesistici e i finanziamenti nel turismo agli enti religiosi. L’allontanamento dei cittadini dalla politica si supera solo attraverso lo scontro su argomenti forti che toccano il vissuto di ognuno di noi. Proprio per questo abbiamo incardinato questa iniziativa referendaria regionale, come al solito vicini alla gente e alla legalità.

Burton Morris
03-12-09, 01:28
"La Repubblica", VENERDÌ, 26 GIUGNO 2009
Pagina 2 - Economia

"La corruzione costa 60 miliardi l´anno"
Allarme della Corte dei conti: "E´ una tassa occulta. E l´evasione ne toglie altri cento"
Il procuratore generale Pasqualucci accusa: "L´azione repressiva è insufficiente e contro il sommerso sono stati frenati gli accertamenti nei comuni"

ROBERTO PETRINI
ROMA - Corruzione ed evasione. Sono queste le due piaghe che minano l´Italia, che drenano risorse allo sviluppo e intaccano la fiducia del paese. E´ questa la denuncia del procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci pronunciata ieri in occasione del Rendiconto generale dello Stato per l´esercizio 2008. Parole drammatiche che si sono unite al monito sulla inarrestabile crescita del debito pubblico e sulla difficoltà di reperire risorse per uscire dalla crisi.
La Corte dei Conti valuta in 60 miliardi all´anno il costo della corruzione per il paese: si tratta di una «tassa immorale e occulta», dice la magistratura contabile, «pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini». Il fenomeno è «talmente rilevante» che rischia di incidere sullo sviluppo economico e di scoraggiare – soprattutto nel Sud – gli investimenti esteri. Ci vuole dunque una «decisa azione di contrasto» che tuttavia – no-ta la Corte – attualmente sconta una «insufficiente azione re-pressiva». Tanto più che anche le tecniche della corruzione vanno evolvendosi: la bustarella, ormai passata di moda, è stata sostituita da «fatturazione di compensi per presunte consulenze, rimborso di spese elettorali, rimborso di presunte spese di viaggio e/o di rappresentanza».
Alla corruzione, segno del degrado del tessuto civile, si aggiunge la piaga dell´evasione. I dati forniti dalla Corte dei Conti sono inquietanti: il valore aggiunto del sommerso in Italia è pari al 18 per cento del Pil che in termini di gettito significa 100 miliardi sottratti dalle casse dello Stato. «Un vero e proprio tesoro – ha osservato Pasqualucci – che acquisito all´erario risolverebbe non pochi problemi». Ovvero: riduzione del debito, alleggerimento della pressione fiscale e risorse per rilanciare l´economia. Tuttavia la lotta all´evasione sembra segnare il passo: la Corte cita l´indebolimento dell´apparato sanzionatorio e la frenata degli accertamenti nei Comuni.
Tutto ciò mentre l´economia – come hanno sottolineato le relazioni dei presidenti di sezione Gian Giorgio Paleologo e Maurizio Meloni – non va bene e la crisi continua a mordere. Il governo ha rinunciato al programma di azzeramento del disavanzo, il deficit è il doppio rispetto al 2007, la pressione fiscale sale, la spesa sul Pil è al livello più alto dal Dopoguerra (40,4 per cento).
A ciò si aggiunga, sottolinea la Corte dei Conti, che l´auspicio della riduzione del debito è stato «disatteso» e dunque l´azione di recupero di risorse per il rilancio dell´economia si svolge in «spazi ridotti». Nel breve periodo queste risorse non possono venire dalla dismissione degli immobili e anche la lotta all´evasione richiede «tempi lunghi» per cui la soluzione proposta dal procuratore Pasqualucci è quella di intervenire sulle pensioni con il risultato di «liberare risorse». Del resto si può cogliere l´occasione, per un riesame della materia, della sentenza della Corte di giustizia europea che ci invita ad equiparare il trattamento tra uomini e donne nella pubblica amministrazione.
L´elenco dei mali della finanza pubblica si dipana nella relazione della magistratura contabile e si intreccia anche con gli effetti della crisi globale: molto duro il giudizio sui contratti derivati sottoscritti dai Comuni definiti una «bomba finanziaria a orologeria innescata dal ricorso sconsiderato a tali strumenti». Critiche anche alle cartolarizzazioni degli immobili pubblici: hanno dato risultati modesti.

Burton Morris
03-12-09, 01:28
"La Repubblica", VENERDÌ, 26 GIUGNO 2009
Pagina 3 - Economia

Sanità, appalti, business rifiuti: mazzette in aumento del 30%
Si travestono da consulenze o rimborsi viaggio

Il dossier
Non c´è più la busta di soldi, si passa attraverso società "cartiere" o sovrafatturazioni
Denunce concentrate al Sud e in Lombardia. Risarcimenti da 19 a 117 milioni.

LUISA GRION
ROMA - Non aspettatevi la mazzetta consegnata a mano o la busta di soldi nascosta fra gli incartamenti: la corruzione negli uffici pubblici ha fatto passi avanti e ora usa sistemi più elaborati. Il denaro passa alla persona «giusta» attraverso la sovrafatturazione di operazioni commerciali, l´utilizzo di società «cartiere» (quelle che emettono fatture inesistenti), il pagamento di presunte consulenze, il rimborso di spese elettorali o di falsate spese di viaggio e di rappresentanza. Nuove forme per esercitare vecchi vizi: corruzione (quando si chiede un pagamento per effettuare il «favore»), concussione (quando si utilizza il proprio ruolo dominante per costringere il privato a pagare o altro), abuso d´ufficio. Pratiche piuttosto diffuse nella pubblica amministrazione che il tornado di Mani Pulite ha colpito, ma certo non distrutto.
La Corte dei Conti ne traccia i confini, avverte che nel 2008 questa «tassa occulta e immorale» ha pesato «sulle tasche dei cittadini» per 60 miliardi e che il fenomeno, in tempi di crisi come quello attuale «è gravido di conseguenze». Perché sia chiaro - avvertono i magistrati contabili - ogni euro di mazzetta versato si ripercuote sui conti pubblici o come aumento di spesa o - per via delle operazioni illegali in «nero» - come mancato versamento di entrate fiscali.
L´Italia delle tangenti, con i suoi perversi legami con l´evasione, è dunque viva e gode di buona salute: il business delle mazzette, avverte la Corte, risulta in crescita del 30 per cento. Nel 2008 sono stati registrati 3.197 delitti, denunciate più di 10 mila persone, 182 sono state arrestate o fermate per istigazione alla corruzione. Sicilia e Campania, Puglia, Calabria e Lombardia stanno in testa alle classifica; Val d´Aosta, Liguria, Friuli. Trentino Alto Adige e Molise risultano le regioni più virtuose. Il Lazio, sede delle amministrazioni centrali, sta più o meno a metà strada.
Il guaio, precisa la Corte dei Conti, è che di fronte allo sforzo richiesto alle forze in campo, il risultato - dal punto di vista delle condanne e dei risarcimenti - è ancora risibile. Nel 2008 le sentenze riguardo tali delitti sono state 110 (di cui 98 condanne). I danni patrimoniali e all´immagine che ne sono conseguiti sono stati valutati per 117 milioni di euro (ma se nella top ten delle denunce sta in vetta Sud, quanto a sentenze e risarcimenti il Nord rimonta). Un buon risultato, se si considera che nel 2007 la quota si fermava a 18,8 milioni, ma certo poca cosa di fronte all´intensità del fenomeno.
Bisogna fare di più, avverte la Corte dei Conti, e soprattutto bisogna prevenire. «L´azione repressiva è insufficiente» si legge nel rendiconto, è un «mero deterrente contro la corruzione scoperta», ma per far sì che il fenomeno non esploda bisogna agire «su comportamenti, procedure, trasparenza».
Perché si corrompe? Ai vecchi obiettivi se ne sono aggiunti di nuovi: la Guardia di Finanza e i Carabinieri segnalano che nella pubblica amministrazione i settori più colpiti restano la sanità, le assunzioni del personale, la concessioni di finanziamenti e di appalti pubblici. Ma il malaffare sta crescendo anche nell´edilizia privata, nelle università, fra le consulenze e lo smaltimento rifiuti.
E´ «una tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini» avvertono i magistrati contabili. Il delitto, precisano, ha «un costo non monetizzabile» perché «rischia di ostacolare gli investimenti esteri, di distruggere la fiducia nelle istituzioni e di togliere la speranza nel futuro». Un quadro che fa a pugni con la rincorsa alla ripresa e che invece sviluppa una relazione pericolosa con l´evasione fiscale e l´economia sommersa, l´altra ferita aperta nell´economia italiana. I suo valore aggiunto, per la Corte di Conti « è quasi pari al 18% del Pil: in termini di gettito almeno 100 miliardi di euro l´anno. Un tesoro che deve essere recuperato».

Burton Morris
03-12-09, 01:31
Milano. Successo dei Radicali: l’Anagrafe Pubblica degli Eletti e dei Nominati approvata all’unanimità al Comune.
Federico e Baruffi:” Palazzo Marino si apre al controllo dei cittadini, tutte le grandi città seguano l’esempio e approvino la proposta radicale”

Milano, 28 giugno 2009



• Dichiarazione di Maurizio Baruffi, consigliere comunale dei VERDI e primo firmatario dell’O.d.G. e di Valerio Federico, membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e dell’Ass.E.Tortora Radicali Milano
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Ringraziamo tutti i consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione per aver avvicinato gli eletti ai cittadini con un atto concreto. L’Ordine del Giorno approvato prevede che entro il termine perentorio di 6 mesi sul sito del Comune siano disponibili, e facilmente consultabili, per ciascun eletto e componente di Giunta: le nomine in società a partecipazione pubblica o controllate, gli emolumenti percepiti a qualunque titolo, le presenze ai lavori istituzionali, gli atti presentati e l’archivio audio/video degli interventi effettuati. Dal sito si dovrà poter anche accedere all’elenco delle proprietà immobiliari del Comune e loro destinazioni d’uso, a tutte le informazioni che riguardano gli incarichi esterni e agli emolumenti dei consiglieri di amministrazione delle società controllate. Si tratta di una svolta necessaria che restituisce nobiltà alla politica.



Nei prossimi giorni ne daranno notizia in una conferenza stampa i Radicali e il consigliere Baruffi insieme al Presidente del Consiglio Comunale e ad alcuni consiglieri firmatari.

Burton Morris
03-12-09, 01:31
MINISTERO DELL'INTERNO
Ricostruzione completa del testo dell'atto DECRETO 3 giugno 2009
Riduzione dei fondi alle Comunita' montane. (09A07151) (GU n. 142 del 22-6-2009 )

IL MINISTRO DELL'INTERNO

di concerto con

IL MINISTRO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

Visto l'art. 76, comma 6-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, il quale prevede, per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, una
riduzione di 30 milioni di euro dei trasferimenti erariali spettanti
alle comunita' montane, intervenendo prioritariamente sulle comunita'
che si trovano ad una altitudine media inferiore a
settecentocinquanta metri sopra il livello del mare;
Visto l'ultimo periodo del richiamato comma 6-bis, dell'art. 76 il
quale, per l'attuazione della riduzione, rinvia ad un apposito
decreto del Ministro dell'interno, da adottare di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze;
Preso atto degli esiti delle riunioni tenutesi, in sede tecnica,
presso la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, nelle quali si e' convenuto, per il calcolo
dell'altitudine media dei territori delle Comunita' montane, di
utilizzare i dati forniti dall'Ente Italiano della Montagna (EIM);
Visti i dati altimetrici comunicati dall'Ente Italiano della
Montagna (EIM), ricavati utilizzando il dato in formato raster
costituito da una matrice con passo 20 x 20 m;
Acquisito il parere della Conferenza unificata nella seduta del 12
marzo 2009;

Decreta:


Art. 1.

Finalita' del provvedimento

1. Il presente provvedimento disciplina le modalita' di
applicazione della riduzione di 30 milioni di euro dei trasferimenti
erariali spettanti negli anni 2009, 2010, e 2011 alle comunita'
montane, ai sensi dell'art. 76, comma 6-bis, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133.



Art. 2.

Modalita' di applicazione della riduzione

1. La riduzione di 30 milioni di euro, per ciascuno degli anni
2009, 2010 e 2011, e' operata con le seguenti modalita':
a) una quota, pari al 50%, corrispondente ad euro 15.000.000, e'
ripartita a carico di tutte le comunita' montane riducendo in modo
lineare i trasferimenti erariali spettanti per gli anni stessi;
b) la restante quota, anch'essa corrispondente ad euro 15.000.000,
e' ripartita a carico delle sole comunita' montane con quota media
altimetrica inferiore ai 750 m slm, come risultante dai dati
elaborati dall'Ente Italiano della Montagna (EIM), riducendo in modo
lineare i trasferimenti erariali spettanti a tali comunita' montane.
2. Ai fini del calcolo della riduzione dei fondi, vengono
convenzionalmente prese in considerazione le Comunita' montane
esistenti alla data del 1° gennaio 2008, con riferimento ai dati
territoriali ultimi disponibili.
3. Nelle regioni Sicilia e Sardegna, anche in considerazione di
quanto previsto dall'art. 2-bis introdotto dalla legge 4 dicembre
2008, n. 189, di conversione del decreto-legge 7 ottobre 2008, n.
154, la quota parte della riduzione di € 30 milioni di cui al comma
1, viene operata sui trasferimenti attualmente attribuiti alle
Comunita' montane ancora esistenti o agli enti subentrati a quelle
disciolte, tenendo conto, ove mancano le Comunita' montane,
dell'altitudine media di quelle esistenti, prima della loro
soppressione.
Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana.

Roma, 3 giugno 2009

Il Ministro dell'interno
Maroni

Il Ministro dell'economia
e delle finanze
Tremonti

Burton Morris
03-12-09, 01:31
Bolognetti: Il Mezzogiorno tra miseria e malaffare: la partitocrazia crea povertà e corruzione

Potenza, 1 luglio 2009


• Dichiarazione di Maurizio Bolognetti, segretario Radicali Lucani

Il Procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, nella sua relazione sul rendiconto generale dello Stato ha affermato che l’impatto del fenomeno corruzione sulle tasche della collettività è stimabile in circa 60 miliardi di euro all’anno. Una tassa occulta che costituisce zavorra soprattutto per lo sviluppo del Mezzogiorno. Nel riportare la notizia, alcuni giornali nazionali(Corriere della Sera e Repubblica) hanno commesso un errore nell’ interpretazione dei dati riferiti dal Saet(Servizio anticorruzione e Trasparenza); errore che ha determinato la scomparsa della Basilicata dall’elenco delle Regioni a più alto tasso di corruzione. Rapportando il numero di denunce per episodi di corruzione agli abitanti, come illustrato dalle tabelle pubblicate dal Saet, la Basilicata detiene un poco lusinghiero primato. A ridosso della Lucania non felix troviamo, al secondo e terzo posto, la Calabria e il Molise(patria di Tonino Di Pietro). Altro elemento di valutazione trascurato dalla stampa nazionale è il numero di reati di corruzione in rapporto ai dipendenti pubblici; anche in questo caso, ai primi due posti della classifica nazionale troviamo Basilicata e Calabria. Insomma, Basilicata e Calabria, oltre a condividere il Parco Nazionale del Pollino, viaggiano appaiate nelle classifiche della corruzione e nelle classifiche della povertà. La Basilicata, come è noto, in base ai dati diffusi dal Ministero dello sviluppo economico è passata dal terzo al secondo posto tra le regioni più povere d’Italia, con il 27,9% delle famiglie che vivono in una condizione di grande disagio sociale; al terzo posto si attesta la Calabria, con il 25,7% di famiglie in difficoltà. Analizzando i dati su corruzione e povertà verrebbe da chiedersi se per caso non ci sia un nesso di causa-effetto. Alla domanda il Procuratore Pasqualucci dà risposta affermativa: il nesso c’è, e noi non possiamo che concordare. E’, tra l’altro, interessante notare che tutte, ma proprio tutte, le regioni del Sud, che sono state destinatarie di ingenti finanziamenti pubblici di provenienza Ue, risultano ai primi posti nelle classifiche della corruzione e della povertà. Da anni sosteniamo che in alcune zone del Mezzogiorno i danni prodotti dal regime partitocratico si manifestano in forma particolarmente virulenta. La partitocrazia crea povertà, ma anche corruzione, e corruzione e povertà viaggiano a braccetto. Il riflesso calabro-lucano della Peste italiana assurge a simbolo di un paese che nega democrazia, legalità, stato di diritto. Le cosche partitocratiche, che occupano capillarmente interi territori di questo nostro Mezzogiorno e che vivono di risorse pubbliche, che sperperano risorse pubbliche, sono più pericolose e invasive delle cosche della criminalità organizzata. Qui, al Sud, interi territori vivono nell’assoluta assenza di uno Stato di diritto, anzi spesso ciò che è diritto diventa concessione, favore reso al cittadino, trasformato in suddito e cliente. Qui, al Sud, sono troppi i magistrati che non vedono, non sentono e non intervengono, nemmeno quando i reati si consumano sotto il loro naso. Qui, al Sud, interi territori sono come feudi, governati da Baroni, che con magnanimità concedono ai loro vassalli un appezzamento di terreno, il governo di una parte del territorio che diventa terra di conquista e di saccheggio. Qui, al Sud, la cultura del potere per il potere assurge ad arte sublime: il potere che diventa un fine e non un mezzo, la politica che si fa mera clientela e scientifica lottizzazione. Il virus partitocratico infetta ogni cosa ed ha creato solo corti di nani e ballerine; le istituzioni sono diventate il pied à terre di questo o quel capobastone, mentre piovono consulenze e incarichi per premiare coloro che mostrano la loro fedeltà. Quella che noi Radicali abbiamo chiamato Peste italiana, qui, al sud ha effetti devastanti. Gioverà ripeterlo: quando viene negata democrazia, legalità e stato di diritto, non può esserci sviluppo economico e crescita sociale. Verità storica e verità giudiziaria non sempre coincidono; ma è verità, verità non rivelata, ma che si apre e che si manifesta davanti agli occhi di tutti coloro che vogliono guardare oltre certa iconografia, che questa nostra terra di Basilicata è stretta, come in una morsa, tra miseria e malaffare(felice binomio creato dal mio amico Vincenzo Montagna). Forse in queste ore assisteremo a processi di beatificazione e al ritorno di miti fasulli, contraddetti da statistiche e cifre che impietosamente descrivono un contesto economico, sociale e politico. L’aria di normalizzazione, che si respira da un po’ di tempo, è assolutamente nociva, soprattutto se impedirà di affrontare le ragioni che hanno fatto di una terra ricca di risorse umane e dalle grandi potenzialità una delle regioni più povere d’Italia. “il caso Basilicata come simbolo del caso Italia” merita di essere approfondito: esso è un capitolo interessante di quella peste italiana descritta da noi Radicali.

Burton Morris
03-12-09, 01:32
"La Stampa", 01 Luglio 2009

IL PRESIDENTE VUOLE FARE PULIZIA DEGLI ASSESSORI CHIACCHIERATI, E PROVA A CACCIARE LA DIRETTRICE DELL’ASL DI BARI


Puglia, Vendola azzera la giunta




GRAZIA LONGO
INVIATA A BARI


Azzerata la giunta regionale di centro sinistra guidata da Nichi Vendola. Lo scandalo a luci rosse dell’escort Patrizia D’addario, che ha registrato la notte di passione con Silvio Berlusconi, si è consumata in casa Pdl. Ma è il Partito democratico la prima vittima del terremoto politico scatenato dall’inchiesta della procura barese sull’imprenditore Gianpaolo Tarantini, indagato per corruzione e induzione alla prostituzione.
Il governatore pugliese ha fatto piazza pulita a seguito delle indiscrezioni giudiziarie su un possibile avviso di garanzia al suo vice, Sandro Frisullo, pd. Dalle intercettazioni della Guardia di Finanza è emersa una stretta amicizia tra Tarantini e Frisullo. A che titolo? Il pm Giuseppe Scelsi lo deve ancora accertare. «Ma anche se Frisullo non sarà indagato - precisa Vendola - è eticamente corretto sgomberare il campo da ogni equivoco. L’ho fatto presente a tutti e 14 i miei assessori e loro, Frisullo compreso, hanno concordato con me, rimettendo il mandato».
La questione morale prima di tutto. E non è la prima volta: lo scorso febbraio Vendola ritirò la delega all’allora assessore alla Sanità Alberto Tedesco coinvolto in un altro scandalo di appalti sanitari. «Anche all’epoca anticipai il lavoro dei giudici - prosegue il governatore -, perché i campi devono rimanere ben distinti. Un conto è l’attività della magistratura, un altro quella dei politici. I quali non possono, tuttavia, esporsi ai problemi legati a una gestione sanitaria permeabile di elementi lobbistici, affaristici e corruttivi».
Fin qui le ragioni legate alla questione morale. Ma la politica si nutre anche di equilibri e rapporti che possono cambiare. E’ lo stesso Vendola ad ammettere che «per la composizione della nuova giunta ci apriremo al dialogo con l’Italia dei Valori e l’Udc, verificando convergenze programmatiche». Eppure sono in tanti, a Bari, a scommettere su un’altra apertura: quella nei confronti di Adriana Poli Bortone, ex An, oggi presidente di «Io sud». Il toto-nomine la dà addirittura come possibile vice presidente regionale.
Altro tassello da sistemare è il rapporto con i dalemiani, corrente a cui appartiene Frisullo. In questo caso si ipotizza l’incarico a Enzo Lavarra, molto vicino a Massimo D’Alema.
Al momento, comunque, l’effetto più deflagrante è la rapidità con cui Nichi Vendola - rientrato solo ieri mattina da un viaggio istituzionale in Canada - ha rimescolato le carte. Va da sé che mentre si trovava in Canada si è più volte confrontato con il segretario regionale del Pd (nonché neo sindaco di Bari) Michele Emiliano. «Ho seguito le epopee notturne di Berlusconi - racconta Vendola - e sono rimasto sconcertato dalle barbarie del nostro Paese: al Tg1, come sfondo della notizia dello scandalo con annesso giro di cocaina, c’era la gigantografia della mia faccia. Io non ci sto a certi equivoci!». E s’è visto. Come si è notata la volontà di prendere le distanze da Lea Cosentino, direttrice dell’Asl di Bari (sempre in quota Pd), accusata di turbativa d’asta insieme a Tarantini, di cui è molto amica. Cosentino è stata sospesa. «Con mio profondo rammarico» dichiara, mentre annuncia l’eventualità di ricorrere al Tar.
Che la sanità pugliese sia nell’occhio del ciclone, del resto, si evince anche da una recente indagine della Corte dei Conti: ha accertato che il buco sanitario regionale, negli anni 2006 e 2007, non ammonta a 481 milioni di euro ma a 971 milioni. Una differenza di 490 milioni di euro, dunque. E se il mondo politico si agita in previsione delle elezioni regionali - il prossimo marzo - la procura prosegue le sue indagini. Sia sul fronte della corruzione per le protesi ortopediche della società di Tarantini. Sia sui suoi rapporti con il predidente del Consiglio. Dalle intercettazioni telefoniche risulta che si sentissero anche 10 volte al giorno per commentare la bellezza e le qualità delle ragazze presentate a Berlusconi da Tarantini. Il quale ribadisce, però, «che il premier era assolutamente all’oscuro che si trattasse di escort».

Burton Morris
03-12-09, 01:32
"La Stampa", 01 Luglio 2009

il caso
La crisi economica sotto la lente della Corte dei conti


Sprechi in Sicilia, dal 2007 deficit quasi raddoppiato


FRANCESCO GRIGNETTI
PALERMO


Sicilia, regina degli sprechi. Una regione a statuto autonomo dove non si bada a spese. Alla faccia della crisi, in un anno si è passati da 18,2 a 21,1 miliardi di euro (+16%), ma il commento della Corte dei Conti regionale è amaro: «Spendiamo una considerevole mole di pubbliche risorse, ma siamo agli ultimi posti in Italia come qualità della vita e abbiamo la più alta percentuale di disoccupazione tra tutte le Regioni d’Italia, addirittura il doppio della media nazionale. Che fine fanno tutti questi soldi che escono dalle tasche dei cittadini?».
Già, che fine fanno? Nel mirino della Corte dei Conti siciliana stavolta c’è l’organizzazione del lavoro della Regione stessa, alle cui dipendenze ci sono 13.896 impiegati, di cui ben 2111 sono dirigenti: 1 ogni 5,6 dipendenti. Nel resto di Italia, la media è di 1 ogni 50. Commento della Corte dei Conti: «Se nella Regione siciliana si attuasse lo stesso rapporto vigente nella burocrazia dello Stato, potrebbero bastare 237 dirigenti e dovrebbero essere posti in mobilità i restanti 1874».
Un fiume di soldi se ne va per il debito pubblico regionale, che nel 2008 ha sfondato il tetto dei 5 miliardi di euro (+83%). Pagano 395 milioni di euro di interessi alle banche ogni anno. E la Corte dei Conti è particolarmente preoccupata per le operazioni spericolate sui derivati; inizialmente con la «Lehman Brothers» e poi, dopo il fallimento della banca americana, con la «Royal Bank of Scotland». Fino al 2007 queste operazioni avevano assicurato un guadagno; nel 2008, con il rovesciamento della situazione, si registra la prima perdita. «Differenziali negativi pari a 47,7 milioni di euro». Si suggerisce quindi un’attenzione continua per evitare pericolose ricadute sul bilancio pubblico.
La formazione professionale dovrebbe aiutare i giovani a trovare lavoro. Nel 2008, la Regione ha attivato 2514 corsi con 31.918 iscritti, spesa complessiva 362 milioni di euro. Una montagna di soldi che produce un misero topolino. Secondo una verifica a campione, appena 1 studente per corso otterrà un lavoro. «Se si considera che ciascun corso costa in media 108 mila euro, ne discende che ciascun frequentante costa ai contribuenti 9.391 euro». Se poi si considera l’effettivo avviamento al lavoro, ogni successo costa ai contribuenti 72 mila euro. «Non so fino a che punto ne valga la pena», si domanda il procuratore generale Giovanni Coppola. Che avanza sospetti di clientelismo: i docenti non si sa con quali criteri vengano selezionati e non ci sono graduatorie. «A chi giovano i corsi di formazione professionale? Certamente giovano poco a chi li frequenta».
La sanità siciliana, poi, è sotto esame da tempo. Cinquantamila dipendenti; nel 2008 la spesa è salita a 11,5 miliardi di euro. Ma è una sanità dai numeri record e dai risultati pessimi. Un miliardo di euro se ne va per le 1619 convenzioni esterne con ambulatori, laboratori, case di cura e centri di emodialisi. Eppure. «In Sicilia la speranza di vita è tra le più basse d’Italia. Siamo al primo posto assoluto come decessi per ictus».
Emblematica la storia delle ambulanze. La Regione nel 2001 firma un contratto con la Croce Rossa per la gestione del soccorso. Da allora la spesa lievita a vista d’occhio. La Regione pagava per il servizio complessivamente 9 milioni di euro nel 2002; nel 2008 ha pagato 87,5 milioni di euro solo per il personale e i mezzi, escluse le spese generali.
Qualche segnale di miglioramento è in arrivo. La Giunta Lombardo ha appena varato una riforma che taglia il numero delle Asl e elimina 2500 posti letto di troppo. E s’è finalmente cancellato uno scandalo. Il costo del vaccino per il papilloma virus in Sicilia costa ora 43 euro a dose anziché 106 come accadeva fino all’anno scorso. Ma la Corte dei Conti invita a vigilare sul boom delle ricette mediche: 53 milioni di prescrizioni nel 2008, dieci ricette all’anno per ciascun siciliano. «Bisogna fare attenzione alle medie - ironizza il magistrato - perché io, personalmente, l’anno scorso non ho usufruito di alcuna prescrizione e quindi qualcuno ne avrà avute 20».

Burton Morris
03-12-09, 01:33
Destra con i soldi, sinistra in rosso

• da Italia Oggi del 2 luglio 2009, pag. 4

di Paolo Silvestre

Sorridono i partiti minori di destra mentre affondano i corrispettivi di sinistra. Il bilancio d’esercizio 2008 di «Alternativa sociale» il partito di Alessandra Mussolini, nonostante non abbia partecipato né alle elezioni politiche né alle amministrative (con un decremento del debito di esercizio consistente) ha presentato un avanzo di 369.656 euro. Il partito della Mussolini si è infatti limitato ad alcune iniziative sociali e politiche su scala nazionale e non ha dovuto quindi intraprendere campagne elettorali che condizionano di certo le spese di promozione dei propri candidati, beneficiando però nel 2008 dell’ultima rata del contributo per le elezioni europee. Dall’altra parte però non essendosi presentata alle politiche non ha avuto nessun contributo da parte di eventuali parlamentari eletti. Anche il «Movimento sociale Fiamma tricolore» di Luca Romagnoli ha presentato un avanzo di esercizio nel 2008 . E anche se dopo l’esito delle europee non potrà contare su ulteriori rimborsi pubblici, avrà a disposizione un rimborso per il 2009 dall’associazione La Destra-Fiamma tricolore per le quote dei propri candidati confluiti nella lista di coalizione che ha partecipato alle politiche 2008. Precipita il conto economico della «Federazione dei Verdi» che nel 2008 hanno presentato un disavanzo di 1.945.802. Il partito riorganizzato da Grazia Francescato ha però un patrimonio netto di 3.563.499 ma la spesa corrente e le iniziative politiche per le elezioni hanno condizionato i conti. La Federazione dei Verdi ha maturato contributi elettorali che incasserà nei prossimi anni, ma essendosi schierata alle europee con «Sinistra e Libertà» senza raggiungere il quorum, non potrà contare su eventuali contributi per le elezioni europee. «La sinistra e l’arcobaleno» il cartello elettorale che coinvolgeva Rifondazione comunista, i Comunisti italiani, la stessa Federazione dei Verdi e la Sinistra democratica non ha avuto buon esito nei risultati di gestione, visto che ha chiuso il bilancio 2008 con passivo di 1.942.264. In questo caso però, ha influito l’interruzione anticipata della legislatura e la convocazione delle elezioni politiche che non hanno reso i risultati sperati. Infine, «La Rosa nel pugno» dei laici socialisti e liberali radicali, hanno registrato un disavanzo di esercizio di 257.363 euro, accompagnato però da un patrimonio netto comunque positivo di 1.850.851 euro. Anche qui, nelle previsioni di bilancio emergono perplessità comuni a quelle degli altri partiti in questione, ossia l’incertezza dei nuovi scenari politici e normativi, soprattutto in termini di quota minima di voti necessari per conseguire l’accesso del parlamento.

Burton Morris
03-12-09, 01:33
"La Stampa", 02 Luglio 2009

Intervista
Il governatore pugliese
“Meglio azzerare la giunta che vivere nel sospetto”

GRAZIA LONGO
INVIATA A BARI

Cresciuto a pane, chiesa e comunismo, il governatore pugliese Nichi Vendola, 51 anni, si chiama così per effetto del primo compromesso storico della sua vita. Quello tra il patrono di Bari, San Nicola, e l’allora capo dell’Urss Nikita Kruscev.
Parla della «questione morale» che lo ha spinto ad azzerare la sua giunta e gli si illuminano gli occhi. Intanto non smette un attimo di sfiorare la fede che porta al pollice.
«Me l’ha regalata un pescatore di Mola di Bari il giorno in cui ho vinto le elezioni, nell’aprile 2005. Da allora non l’ho più tolta: rappresenta il mio matrimonio con il popolo. Matrimonio in cui la lealtà, la trasparenza e l’onestà sono pilastri fondanti».
Eppure, al momento il suo ex vice presidente Sandro Frisullo, non risulta raggiunto da un avviso di garanzia. Le intercettazioni telefoniche tra lui e l’imprenditore Gianpaolo Tarantini, che ha presentato al premier Berlusconi l’escort Patrizia D’Addario, alludono a rapporti di amicizia e assidue frequentazioni. Ma non è ancora chiaro a che titolo. Perché, dunque, lei ha deciso di fare piazza pulita?
«Appartengo ad una generazione che ha iniziato a fare politica insieme ad Enrico Berlinguer. Non potrò mai dimenticare i suoi due principali insegnamenti: la lotta allo stalinismo e la rivendicazione della questione morale. "Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto, dovunque si annidi" scriveva Berlinguer nel ’79».
Si riferisce alla lettera che all’epoca venne pubblicata sulla rivista Rinascita?
«Certo, Berlinguer aveva chiaro il concetto che il compito della politica è di essere al servizio della gente in modo eticamente ineccepibile».
Anche a costo di litigare all’interno dello stesso schieramento politico?
«Se è necessario sì. Tra me e i miei 14 assessori, comunque, non ci sono stati contrasti. Hanno tutti convenuto con me sull’importanza di superare lo scandalo che ha sconvolto la Sanità pugliese e le coscienze di molti, facendo un passo indietro».
Il procuratore capo Emilio Marzano ha dichiarato che pur di ottenere appalti per le protesi ortopediche prodotte dalla sua azienda, Gianpaolo Tarantini, non si poneva problemi di colore politico. Bussava alle porte del centrodestra, come a quelle del centrosinistra.
«Appunto. A parte la vicenda delle imprese notturne del nostro presidente del Consiglio, salite alla ribalta delle cronache grazie alle videoregistrazioni dell’escort barese, il vero problema, quello che può avere ripercussioni giudiziarie, è la corruzione, la turbativa d’asta. La questione morale, insomma. Che viene prima di tutto, anche dell’attività della magistratura».
In che senso?
«Già nei mesi scorsi ritirai la delega all’allora assessore alla Sanità Alberto Tedesco. E ci tengo a sottolineare che anche in quel caso Tedesco non era ancora stato indagato: ricevette l’avviso di garanzia due mesi dopo che venne esautorato dal suo incarico istituzionale. I giudici fanno il loro lavoro, io il mio».
Il paladino della moralità per restituire ai cittadini fiducia nelle istituzioni e per garantire la tenuta della democrazia?
«Non può essere altrimenti».
Per questo lei ha avviato un’inchiesta interna, per verificare se ci sono stati illeciti nell'attribuzione degli appalti sanitari?
«Certo. Il fascicolo è già sul tavolo del pm Desiree Digeronimo. E il 6 luglio verrò interrogato come persona informata sui fatti».
I controlli sugli appalti sanitari truccati si stanno allargando anche ad altre province: Brindisi, Lecce, Taranto.
«La Sanità è un settore molto esposto al rischio di corruzione. Per questo non voglio che i pugliesi si sentano mal rappresentati: azzerata la giunta, stiamo già lavorando per costruirne una nuova».
Aprendo all’Italia dei valori e all’Udc?
«Il dialogo con i moderati è prezioso: sto partendo per Roma dove mi confronterò con i segretari nazionali e valuteremo l’esistenza di un percorso comune. Che, lo ribadisco, deve avere come base proprio la questione morale».
E i rapporti con il Pd e i dalemiani?
«Non abbiamo problemi, lo stesso Frisullo (molto vicino a D’Alema, ndr) era pronto a rassegnare le dimissioni. Sono io che ho preferito andare oltre. Ho convocato gli assessori e, dopo aver discusso di tutto il can can che si è scatenato ho detto "è come se fossimo su una scacchiera e io devo fare la mossa del cavallo. Vado avanti?". Loro hanno risposto di sì e così hanno rimesso le deleghe. Nelle epopee notturne di Berlusconi la questione morale ha raggiunto forme pirotecniche. Ma non è questo il punto prioritario».
Qual è allora?
«Il fatto che esistano filoni dell’inchiesta che lambiscono la mia giunta. Tenerla ancora in piedi era inammissibile. Il Paese necessita di una politica vera, onesta, non astratta. In attesa che l’inchiesta della procura porti i suoi risultati, io continuerò a battermi per una politica "pulita" e scevra da ogni minimo sospetto».

Burton Morris
03-12-09, 01:37
Camera dei Deputati: 7 luglio, approvato l'ordine del giorno sull'Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati.


7 luglio 2009


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Il testo dell’Ordine del giorno sull’Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati - a prima firma Bernardini - approvato il 7 luglio 2009 dalla Camera:

“La Camera, premesso che: la piena conoscibilità dell'attività degli eletti è elemento essenziale in democrazia; il nuovo sito Internet della Camera dei deputati offre, molto più che in passato, la possibilità ai cittadini di conoscere sia l'attività degli eletti che la documentazione degli atti istituzionali; i provvedimenti necessari per portare a compimento questo processo di innovazione sono quelli di aggiornare ed ampliare il portale della Camera dei deputati rendendo accessibili tramite formati aperti, liberi e standardizzati (esempio XML) i seguenti dati: bilancio interno della Camera dei deputati con allegati; composizione dell'Istituzione; presenze e comportamento di voto dei deputati (anche in Commissione); atti presentati in tutte le articolazioni dell'attività parlamentare (compresi gli emendamenti a proposte di legge in esame); iter e loro conclusione; atti adottati dalle singole articolazioni dell'I! stituzione (Gruppi e Commissioni); diretta audio/video e archiviazione con indicizzazione di tutte le sedute d'Aula; registrazione e archiviazione con indicizzazione di tutte le sedute delle Commissioni; incarichi elettivi ricoperti nel tempo da ogni singolo deputato; dichiarazione dei redditi e degli interessi finanziari (anagrafe patrimoniale) di ogni singolo deputato; dichiarazione dei finanziamenti ricevuti e/o dei doni, benefici o altro assimilabile di ogni singolo deputato; registro delle spese oggetto di rimborso forfettario o documentato (staff, telefoniche, ufficio, viaggi, dotazioni informatiche, eccetera) spese elettorali sostenute e rimborsi elettorali ricevuti; spese e contributi dei Gruppi parlamentari; email, numero di telefono e di fax dell'ufficio del deputato,

impegna, per le rispettive competenze, l'Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori

a rendere fruibili sul sito internet tutte le informazioni relative all'attività, alla condizione patrimoniale dei deputati in vista della formazione di una sorta di anagrafe dei deputati, compatibilmente con il rispetto delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari”.

9/Doc. VIII, n. 4/16.(Testo modificato nel corso della seduta) Bernardini, Maurizio Turco, Farina Coscioni, Beltrandi, Mecacci, Zamparutti, Bachelet, Touadi, Quartiani, Sarubbi, Touadi, Quartiani, Sarubbi.

Burton Morris
03-12-09, 01:38
"La Stampa", 14 Luglio 2009, pag. 13

Sprechi d’Italia


Molise, il terremoto è giudiziario

Dopo la catastrofe/Una delibera regionale favoriva la ricostruzione
ma anche lo sviluppo dei paesi colpiti

Eccessi/Con quei soldi furono pagati anche il concorso di miss Italia
o un centro per la macellazione dei suini



GUIDO RUOTOLO
INVIATO A COLLETORTO (CB)


«E mo’ l’Aquila ce frega i soldi...». Bella la stanza del sindaco, dentro una torre angioina. Fausto Tosto ha un diavolo per capello. Non perché la Procura di Larino gli ha comunicato che le indagini sono finite e che, quindi, per lui - da ex vicesindaco ed ex assessore - per l’ex sindaco, un grappolo di assessori, tecnici, imprenditori, funzionari della Regione, del Cnr (27 persone in tutto) la prospettiva è un rinvio a giudizio. O non ha capito o fa il gradasso: «Mica è un avviso di garanzia, le indagini sono finite. Aggiungo, in una bolla di sapone perché, altrimenti, sarei già in carcere...».
L’inchiesta sul dopoterremoto a Colletorto. Le ipotesi di reato vanno dalla truffa all’abuso d’ufficio, al falso in atti pubblici alla concussione e riguardano i lavori di contenimento di una frana, quelli di puntellamento degli edifici, l’appalto per la scuola e un progetto di informatizzazione dell’area del cratere. Il sindaco è indiavolato perché adesso teme che con il terremoto abruzzese il rubinetto dei fondi si prosciughi: «Siamo solo al 50% della ricostruzione delle case terremotate. I finanziamenti sono pari a 47 milioni di euro, la metà dobbiamo ancora averla. E temo che sarà dura...».
Fausto Tosto sfoglia la prima pagina (di domenica) del «Nuovo Molise». Titolo d’apertura: «Di Pietro si sveglia e attacca: Molise, regno del malaffare». Il sindaco è una pentola a pressione pronta ad esplodere: «Mo’ gli rispondo a dovere. Come si permette? L’ho pure votato. Da ministro, Di Pietro ha avuto una certa attenzione per il Molise terremotato. Il suo "Accordo di programma" ha portato più soldi. Adesso, vuole fare il Governatore del Molise? Ci provi».
Colletorto. Sette anni dopo quella scossa del 31 ottobre del 2002. A San Giuliano crollò la scuola «Francesco Jovine», 27 bambini e una maestra sotto le macerie, vittime non del terremoto ma - insiste il procuratore di Larino, Nicola Magrone - «dei lavori fatti male»: «I periti hanno accertato che la struttura era al limite del collasso». E il processo d’Appello gli ha dato ragione con la condanna degli imputati.
Quella maledetta scossa ha aperto una ferita e, soprattutto, si è trasformata in una Bengodi per gli amministratori. Sono passati quasi trent’anni dal terremoto dell’Irpinia, eppure - naturalmente con tutte le differenze del caso - sembra di rivivere lo stesso film. Adesso il grimaldello per sfamare gli appetiti ingordi degli amministratori è l’articolo 15 dell’Ordinanza del Consiglio dei ministri che stanzia i fondi per la ricostruzione e che prevede finanziamenti anche per lo sviluppo del Molise. «Può un pubblico ministero - si chiede il procuratore Magrone - valutare se per lo sviluppo della Regione serve anche una manifestazione come "Miss Italia"?».
Roba da non crederci. E’ successo proprio a Larino, Teatro romano. Oppure, che c’entra con il terremoto il finanziamento a Montecilfone di una catena di macellazione dei suini mentre la scuola è ancora inagibile? E poi, il commissario per la ricostruzione, il governatore del Molise, Michele Iorio, ha allargato la pioggia di finanziamenti post-terremoto ben oltre i 14 comuni del cratere, a tutto il Molise. «Anche a Isernia - ironizza Magrone -, che il terremoto l’ha visto in televisione».
Sette anni dopo, diverse amministrazioni comunali sono sotto osservazione della magistratura. Il procuratore Magrone, naturalmente, non entra nel merito delle indagini, la prende alla larga: «Obiettivamente, la fase dei soccorsi e dell’emergenza è stata tempestiva, efficace, dignitosa. Il problema è arrivato dopo, con la ricostruzione. Non so più quanti fascicoli sono stati aperti. C’è il furbo che ha dichiarato danni a una casa diroccata da sempre per poterla ristrutturare. Per altre case, anche a San Giuliano, le ho viste con i miei occhi, i lavori di ristrutturazione hanno fatto sparire i marciapiedi». Insomma, le case di sono allungate e allargate.
Eppure l’imputato-indagato Fausto Tosto, sindaco di Colletorto, sembra vittima di un processo di sdoppiamento della personalità: «Il terremoto è un’occasione di sperperi incredibili. Intendiamoci, possono anche essere false le accuse dalle quale si dovrà difendere. Per svolgere le funzioni di primo cittadino, lavora part-time in banca (due giorni in ufficio, tre al comune). Sette anni dopo, dice che «fare il sindaco è terribile». «Legga - porge una lettera della Regione - noi abbiamo ottenuto 3 milioni e 900 mila euro per la nuova scuola. Abbiamo chiesto alla Regione un finanziamento per arredarla. La risposta: non è compito nostro».
Colletorto, 2.420 abitanti. 118 nuclei familiari (222 persone in tutto) percepiscono un contributo mensile di 100 euro come indennità per una «autonoma sistemazione», avendo avuto le case inagibili. 35 persone vivono nei 14 chalet di legno della Regione Valle d’Aosta; 9 negli 8 del Comitato "Un aiuto subito". Sette anni dopo. Il Molise, perché l’Abruzzo non faccia gli stessi errori.

Burton Morris
03-12-09, 01:38
"La Stampa", 14 Luglio 2009, pag. 13

Tangenti a Crotone per la centrale a gas



FRANCESCO GRIGNETTI
ROMA


E’ il racconto di un assalto alla diligenza, l’ordine di perquisizione che la procura di Crotone ha emesso a carico di un grappolo bipartisan di politici e funzionari regionali calabresi, l’ex sottosegretario Pino Galati e l’ex Governatore Giuseppe Chiaravalloti di area Pdl, ma anche l’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio e l’ex assessore Diego Tommasi dei Verdi. Al centro dell’indagine, la costruzione di una centrale elettrica che il signor Antonio Argentino e l’imprenditore americano Stephen Goldenhersh avrebbero voluto costruire in provincia di Crotone. Ma siccome non hanno pagato le classiche bustarelle, il progetto, che pure sembrava essere il migliore sotto il profilo ambientale, è finito su un binario morto. Argentino si danna, cerca di capire, indaga. Le spiegazioni gliele dà un vecchio amico dei tempi in cui entrambi militavano nella Dc, Annunziato Scordo: «Mi confermava di essere il fiduciario sia del presidente Chiaravalloti che del Galati nel contesto delle più grosse operazioni politico-imprenditoriali calabresi.... Erano proprietari, anche di fatto, di società italiane ed estere nelle cui disponibilità confluivano somme di danaro indebitamente percepite quale corrispettivo di atti amministrativi». Secondo la procura, un paio di società di diritto lussemburghese sono riconducibili ai politici locali, così come la società «Eurosviluppo Elettrica». Sostiene ancora Argentino: «Endesa e Asm-Brescia erano state costrette a pagare una somma esorbitante per l’acquisto delle quote della società; senza questo enorme esborso, mai avrebbero potuto costruire una centrale nella provincia di Crotone».
Nel fosco quadro delineato dai due imprenditori c’entra la massoneria. Per vincere un’estenuante guerra legale, il presidente Chiaravalloti, secondo quanto risulta ad Argentino, «ebbe a contattare la loggia massonica di palazzo Giustiniani per farsi consigliare un bravo avvocato amministrativista che, oltre ad avere buone conoscenza professionali, avesse le giuste aderenze... utili per condizionare il pronunciamento del Tar Calabria ed eventualmente del Consiglio di Stato in Roma». E c’entrano i ministeri romani. Ad Argentino nel 2006 consigliano di assoldare a caro prezzo uno studio professionale di Roma. Chi lo sollecita, «in maniera confidenziale ed accattivante mi riferì che tale società di consulenza faceva capo "al grande capo", il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, oltre che allo stesso assessore Tommasi, plenipotenziario in Calabria del ministro stesso. Ancora una volta io mi rifiutai in maniera categorica di subire tale ricatto, ed il progetto si è paralizzato».
I diretti interessati negano sdegnati. Pecoraro Scanio minaccia querele: «Mai occupato di finanziamenti e meno che meno a centrali a turbogas». E nega tutto Giuseppe Galati: «Anche in questo caso le accuse che mi vengono rivolte nella loro paradossale enormità, si sgretoleranno lasciando spazio alle verità dei fatti e alla volontà popolare».

Burton Morris
05-12-09, 13:53
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 15 LUGLIO 2009
Pagina 13 - Esteri

L´eurodeputato del Pdl: "Questi non sanno quanto si prende da noi a Montecitorio"
"Una miseria questi 290 euro". Mastella protesta per la diaria.
Per la prima volta gli stipendi sono tutti uguali. Per gli italiani una brutta sorpresa.

MARCO MAROZZI
DAL NOSTRO INVIATO
STRASBURGO - «Una diaria di 290 euro! ‘Sta miseria. Non ci si sta dentro. Questi non sanno cosa si prende al Parlamento italiano». Clemente Mastella esterna il suo disappunto per le nuove "durezze" a cui sono sottoposti i 736 eurodeputati. «Si prende meno che in Italia». Lo urla in ascensore, sventolando furioso le carte che via via gli porgono i suoi assistenti. Studia i chilometraggi. Chiede a Cristiana Muscardini, storica eurodeputata di An, ora nel Pdl assieme all´ex ministro di Prodi, come funzionino le firme-presenze per essere pagati.
Per albergo e vitto la Ue paga ai deputati 295 euro al giorno. Più una correzione legata alla durata del viaggio e alla distanza fra casa e aeroporto (tre euro al chilometro). Fino a questa legislatura gli euro erano 250: l´aumento è legato alla nuova normativa scattata all´Europarlamento.
Da quest´anno tutti i deputati guadagnano uguale: 7.666,31 lordi al mese, indicizzati sull´inflazione. Al netto, sono 5.700 euro. Con pensione dopo cinque anni, finito il mandato. Finora invece gli stipendi erano equiparati a quelli dei parlamentari nazionali: gli italiani erano i Paperoni e adesso prendono meno; ma per lituani, bulgari, e molti altri è una pacchia.
Nel conto, poi, ci sono 4.402 euro al mese per spese generali: vere o no, non si deve dimostrare nulla. Solo essere presenti in aula almeno sette volte all´anno. Altri 17.570 euro mensili, invece, sono per l´indennità di segreteria: stipendi e spese degli assistenti scelti dal deputato. Finora anche questa cifra era intascata senza ricevute, magari per collaboratori condivisi fra deputati.
I biglietti aerei per la prima volta non sono rimborsati a forfait: i rimborsi di business class per biglietti low cost o per viaggi di gruppo in auto erano prassi diffusa. Così ora è obbligatoria la ricevuta. Idem per la benzina: 0,49 euro al km. Infine, 4.148 euro sono destinati a viaggi fuori dai rispettivi Stati e 149 euro al giorno, hotel escluso, per missioni extra-Ue. Finisce così l´escamotage di incassare 1.500 euro in nero a settimana per i viaggi aerei che i deputati compiono per le tre settimane mensili di sedute a Bruxelles o Strasburgo. Alcuni, peraltro, si facevano vedere all´Eurparlamento anche la quarta settimana, quella destinata al collegio di casa. Altri 1.500 euro.

Burton Morris
05-12-09, 13:53
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 16 LUGLIO 2009
Pagina 13 - Interni


Da Fuorigrotta al Vomero viaggio tra i baroni delle tessere.

In un circolo boom del 366%
L´inchiesta
A Napoli gli iscritti sono 80 mila, quattro volte quelli di Roma e cinque volte quelli dell´intera Liguria
A Torre del Greco si è dimesso anche il commissario. E c´è chi dice: "Qui c´è una guerra per bande"

ALBERTO STATERA
NAPOLI - Sei milioni di euro. Occorrono non più di sei milioni, a 15 euro a tessera, per fare un´Opa totalitaria sul Pd. Neanche quel che costa rilevare una microazienda in difficoltà, forse meno di quello che Berlusconi spende ogni anno per Villa Certosa. I baroni delle tessere napoletani, cui piace la quantità, si sono così scatenati alla vigilia del congresso non tanto per la scalata al partito, ma per conservare in loco la genia intramontabile dei castosauri partenopei, la «cacicchità» degli amministratori locali evocata da Massimo D´Alema quando citò come esempio non proprio commendevole i capi delle comunità tribali nell´America centro-meridionale ai tempi dell´occupazione spagnola.
Per godere di visibilità congressuale contano le percentuali, per cui a Milano se si vuole contare basta spendere poco e avere ottomila tesserati (120 mila euro), invece degli 80 mila, quattro volte quelli di Roma e cinque quelli della Liguria, che la principesca megalomania partenopea impone, conquistando più di un quinto del totale nazionale delle tessere. Ma, si sa, qui le cose si fanno in grande.
Prendiamo un caso piccolo, ma - come dire? - di scuola. Circolo piddì di Fuorigrotta, via Cariteo 59, stesso stabile del municipio di zona, intonaci dei balconi che cascano, marciapiedi coperti di eiezioni canine, inquinamento a mille nell´ingorgo perenne, in un quartiere di melting pot assoluto, disoccupati, operai, impiegati, professori, professionisti. Al primo piano, sotto un ritratto di Lenin, vigila di pomeriggio il segretario Giorgio, che ha al suo attivo un record: l´incremento del 366 per cento delle tessere, lievitate da poche centinaia a 2.177. Il quartiere, ultima roccaforte di sinistra, partecipa più degli altri. Ma si narra che di quelle tessere sia effettivo titolare il consigliere regionale Tonino Amato, bassoliniano, se nel frattempo la topografia rapidamente mutevole non ne ha cambiato la location. Tanto più che alle primarie del 2007, in piena crisi dei rifiuti, fu qui che si cercò un´oasi favorevolmente fresca per la candidatura di Bassolino all´assemblea fondante del Pd, ma a sorpresa prevalse l´ignota signora Fortuna Caccavale, operatrice sociale, che poi non ci mise molto a farsi cooptare dal pupillo bassoliniano Andrea Cozzolino, assessore regionale e neoparlamentare europeo.
Cambio scena rispetto alla calura olezzante di Fuorigrotta.
Salerno l´altro ieri: quaranta forzuti impediscono, tra schiaffi e scontri corpo a corpo, che si tenga il congresso dei Giovani democratici. Il segretario regionale Michele Grimaldi dice che sono «camorristi fascisti», sia pur tesserati Pd. Off the record, come si dice, sarebbero invece i «bravi» del sindaco di Salerno democratico Vincenzo De Luca, storico nemico di Bassolino.
Sarà vero? Ridacchia amaro, al racconto dei dettagli di battaglia metropolitana salernitana, il consigliere comunale di Torre del Greco Pier Paolo Telese che se la vide con le «presenze inquinanti» e i «loschi figuri» tesserati della sua città: «Contammo persino dei latitanti in quella massiccia affluenza degenerata». Fu azzerato il tesseramento e nominato commissario Aldo Cennamo, che si è appena dimesso perché dice che il partito continua ad essere inquinato da «guerre per bande», come non esita a definirle anche Telese. Storiacce di provincia profonda?
Macchè, giura Telese, che propende per la segreteria nazionale del partito a Bersani, ma non cambierebbe una virgola di quel che dice Ignazio Marino: «Torre del Greco come tutta la Campania è la fotografia del sistema feudale che vige a Napoli e probabilmente a Roma: vassalli, valvassori, valvassini. Geografia identica di un partito amorfo e pieno di lupi voraci».
«Sì - filosofeggia il professor Eugenio Mazzarella, deputato lettiano, nel senso di Enrico Letta - c´è il confuso assemblaggio di destini personali di un ceto politico alla ricerca di una scialuppa di salvataggio». Ma secondo lui è persino meglio così che la realtà di un partito «non scalabile fino al compiersi tardivo del ciclo biologico, come quello di Berlusconi». Ma è difficile leggere come un segno di salute il dato di un partito come il Pd apparentemente contendibile con un´Opa tutto sommato poco costosa sulle tessere. Anche se a Berlusconi la Lega Nord costò meno in termini monetari.
Marco Follini, ex segretario dell´Udc e oggi senatore campano del Pd, ha vissuto nella Dc la sindrome del partito delle correnti e delle tessere e oggi, smaliziato, fa la morale: «Sa qual è la vera sindrome? La somma del tesseramento stile democristiano, più il vecchio apparato comunista, più la propensione meridionale».
Propensione a che, lui non lo dice, ma è abbastanza evidente che si riferisca al «familismo amorale», come lo battezzò il sociologo americano Edward C. Banfield. Soccorre, semmai, per spiegare gli effetti della sindrome, lo statuto del Pd, un documento che sembra scritto da un autore pazzo medievale. O da Stranamore, come sostiene l´ex presidente del Senato Franco Marini. «Un dottor Stranamore non solo pazzo, ma per di più di pessimo umore», aggiunge Follini, che rivendica il ripensamento urgente e totale di un sistema che si è rivelato un mostro, cercando invano di mettere insieme l´happening delle elezioni primarie con le esigenze bulimiche dell´apparato dell´ex Pci. Persino a Firenze le primarie che incoronarono Matteo Renzi, nuovo sindaco-ragazzo, si narra che furono gonfiate dalle truppe berlusconiane di Denis Verdini. E, per di più, gratis.
«Ah, Fanfani!»: pure questo va registrato nel «confuso assemblaggio» del Pd della vigilia congressuale. Debora Serracchiani? Il buon giovanotto Giuseppe Civati? Diceva il saggio Fanfani, come sadicamente ricorda Follini: «Hovvia! Chi l´è bischero, l´è bischero anche a vent´anni!».
Resta da stabilire chi sono i principali baroni napoletani delle tessere, i castosauri partenopei i cui nomi da Fuorigrotta al Vomero, dalla Riviera di Chiaia a Castel dell´Ovo, pochi osano pronunciare. Eppure, sono sulla bocca di tutti. Primo Andrea Cozzolino, il pupillo ex socialista di Bassolino, indagato tra l´altro per la costruzione di una centrale a biomasse a Caserta.
E´ un miracolo vivente: da assessore regionale è diventato parlamentare europeo con 120 mila preferenze per un partito ridotto in Campania al 23 per cento. Secondo, il boss della sanità Angelo Montemarano, la cui potenza fu testata quando suo figlio Emilio, sfrecciante in Porshe cabriolet per via Caracciolo, risultò primo degli eletti in consiglio comunale con 7.500 preferenze e nominò tra i suoi amici un assessore del comprensivo sindaco Rosetta Russo Iervolino. Come direttore demitiano dell´Asl numero 1 di Napoli il suo papà già tanti anni fa aveva avallato un contratto per la gestione degli immobili con Alfredo Romeo, il re degli appalti pubblici truccati. Non va invece a Strasburgo, pur con 80 mila preferenze, Pasquale Sommese, che di Romeo fu il primo sponsor nella Regione dell´era bassoliniana. Incidenti. Ma Bassolino rivendica orgogliosamente la sua storia di cacicco. Chi portò nel 2006 quelle poche decine di migliaia di voti che consentirono a Prodi di salire a Palazzo Chigi?
I baroni a Napoli sono di casa. Lasciategli la terra da coltivare, se no con pochi soldi fanno l´Opa.

Burton Morris
05-12-09, 13:57
"La Repubblica", VENERDÌ, 17 LUGLIO 2009
Pagina 17 - Interni

Comportamenti pubblici
Il filosofo Walzer: il berlusconismo in piena decadenza, ma in Italia manca l´opposizione
"Seggi in cambio di favori sessuali; negli Usa il Cavaliere sarebbe rovinato"
In una democrazia matura la verità dei comportamenti pubblici prima o poi emerge. Cosa non facile in Italia.

ROBERTO FESTA
Un clima di generale decadenza, con un premier che si ostina a considerare privato quello che è ormai ampiamente pubblico. Una storia che conferma lo scarso senso dello Stato dimostrato in altre occasioni dal capo del governo italiano. La prova di quanto in Italia manchi una vera opposizione politica. È questo l´affare Berlusconi visto da Michael Walzer, filosofo all´Institute for Advanced Study di Princeton, uno tra i più noti e originali pensatori della politica contemporanea. Walzer non ha dubbi. Negli Stati Uniti, Berlusconi si sarebbe dovuto dimettere
Walzer, Berlusconi e i suoi continuano a sostenere la tesi del carattere privato delle feste e degli incontri extra-coniugali del premier. È così? Un politico ha diritto alla privacy?
«Ho sempre pensato, e lo penso ancora, che la vita privata di un politico – famiglia, affetti, sesso – non debba essere oggetto di dibattito pubblico. Per esempio, Kennedy aveva una vita privata piuttosto movimentata, ma erano fatti suoi. Il privato diventa però pubblico in due casi. Anzitutto, quando un uomo politico difende pubblicamente i valori della famiglia, della religione, della fedeltà, e poi nel privato si comporta in spregio di quei valori. In questo caso, si tratta di un ipocrita. Ma è ancora più grave quando un politico usa il proprio ruolo per richiedere favori sessuali, o distribuisce cariche e denaro pubblici in cambio di quei favori».
Quindi, nel caso di Berlusconi?
«Quindi, nel caso di Berlusconi, il privato è ovviamente pubblico, e deve essere soggetto a dibattito pubblico».
Gli Stati Uniti hanno un´antica tradizione di uomini politici coinvolti in scandali sessuali: da Gary Hart a Bill Clinton, da John Edwards al caso recente del governatore del South Carolina, Mark Sanford. In tutte queste vicende, i politici si sono scusati pubblicamente, o hanno rassegnato le dimissioni. Perché gli americani tengono tanto alla vita privata dei loro leader?
«Perché l´America è un paese intimamente religioso, un paese intriso di una religiosità così convenzionale da costringere gli uomini politici ad adeguarsi a standard pubblici molto severi. Ogni caduta, in termini di sesso, di menzogna pubblica, viene presa molto seriamente. Non c´è niente di paragonabile, in Italia o in Europa».
Cosa dovrebbe fare a questo punto Berlusconi? Rispondere alle domande che parte della stampa gli fa? Andare davanti al parlamento?
«Sì certo, potrebbe servire. Ma è improbabile».
Perché?
«Per Berlusconi, rispondere alle domande equivarrebbe a chiedere scusa. E non mi sembra che il vostro primo ministro sia un tipo che chiede scusa. In realtà, la sua condotta in questa vicenda di donne a pagamento mi pare in sintonia con la sua storia di politico: una certa indifferenza per le regole, la corruzione finanziaria, la riduzione dell´interesse pubblico a interesse privato».
Che impressione fa l´Italia oggi, vista dagli Stati Uniti?
«Il riferimento storico più facile, quello più in voga qui da noi, è con la fase finale dell´impero romano. Personalmente, Berlusconi e il suo entourage mi comunicano un´impressione di decadenza, di infinita decadenza».
Nonostante tutti questi dubbi, sulla vita pubblica e privata del leader, la maggioranza degli italiani continua a sostenere Berlusconi. In democrazia, il consenso è più importante della verità?
«Il consenso è l´aspetto più importante di una democrazia. Non si governa senza consenso. Ma, in una democrazia matura, la verità dei comportamenti pubblici, prima o poi, emerge. Cosa non facile oggi in Italia».
La causa?
«Dal mio angolo visuale, dagli Stati Uniti, direi che oggi in Italia manca l´opposizione. Soprattutto, manca un´opposizione di sinistra, che chieda conto a Berlusconi dei suoi atti. Senza un serio contraltare politico, il sistema di controlli e trasparenza salta, e Berlusconi non deve preoccuparsi della verità».
Ma questo non dipende anche dal fatto che Berlusconi controlla buona parte del sistema televisivo?
«Soltanto in parte. L´informazione è essenziale. Ma la vera anomalia italiana non mi pare tanto la mancanza di una stampa libera, quanto di una forte opposizione. Nell´America degli anni Trenta gran parte dei giornali era controllata da un´élite corrotta e rapace, eppure il Paese trovò le energie per ripartire. In Italia oggi sembra essersi dissolta un´opposizione, politica e civile, capace di ribellarsi».
Cosa sarebbe successo, a Berlusconi, negli Stati Uniti? Sarebbe potuto restare al suo posto?
«Lo escludo. L´indignazione popolare sarebbe stata tale da costringerlo alle dimissioni immediate. Berlusconi è un uomo di 72 anni che frequenta ragazze molto più giovani. Soprattutto, offre spiegazioni contraddittorie delle sue frequentazioni. Per molto meno, negli Stati Uniti, sei rovinato».

Burton Morris
05-12-09, 13:58
Associazione Aglietta - Casi Ghiglia Cota e Picchioni (http://www.associazioneaglietta.it/ghiglia-cota.html)



"La Repubblica", SABATO, 18 LUGLIO 2009
Pagina VII - Torino

Ostruzionismo da 25 mila euro al giorno
Regione, cresce la polemica contro i 4 consiglieri che bloccano i lavori
La prossima settimana riunioni ad oltranza: nessuna pausa per mangiare e dormire

MARCO TRABUCCO
Guardate le foto dei quattro consiglieri qui a fianco: ciascuno di loro è costato ai contribuenti piemontesi, questa settimana almeno 25 mila euro. È il prezzo delle democrazia, replicano loro che da lunedì bloccano il Consiglio regionale con un ostruzionismo di cui non si è ancora capito bene il senso. Sono Deodato Scanderebech (Udc), Riccardo Nicotra (Socialisti e Liberali), Maurizio Lupi (Democrazia Cristiana) e Michele Giovine (Pensionati).
Per tutta la settimana il consiglio regionale è andato avanti con sedute al mattino, al pomeriggio e la sera (notte compresa) nel tentativo di approvare il nuovo regolamento d´aula che impedirebbe appunto assurde situazioni come quella che si sta verificando. I quattro però, facendo ricorso alla possibilità concessa dall´attuale regolamento di ricorrere senza limiti a continui inserimenti di nuovi ordini del giorno (o alla richiesta di invertirne l´ordine di discussione) hanno bloccato il dibattitto. E hanno così impedito agli altri 59 consiglieri di approvare il provvedimento.
Per una volta infatti la maggioranza e la stragrande parte dell´opposizione sono del tutto d´accordo. E per aggiungere pepe a questa costosa commedia dell´assurdo, anche i quattro "reprobi" non hanno nulla contro il nuovo regolamento. Chiedono solo che venga approvato insieme (o dopo) una revisione della legge elettorale che garantisca la loro "sopravvivenza" nel Consiglio anche nella prossima legislatura. Rocchino Muliere e Angelo Burzi, rispettivamente capigruppo di Pd e Pdl avevano qualche notte fa raggiunto un compromesso con loro . Il mattino dopo però tutto è saltato. Così la tensione è salita e ieri in molti interventi in aula i quattro sono stati definiti "ricattatori", descritti come alla ricerca di un qualsiasi posto in uno dei due schieramenti maggiori che garantisca ancora loro per altri 5 anni le laute prebende del consigliere regionale.
A spese dei contribuenti però: una valutazione sommaria infatti porta a valutare in circa 25 mila euro il giorno il costo dell´ostruzionismo. Al gettone di presenza che viene versato ad ogni singolo consigliere (120 euro di diaria che moltiplicato per 63 fa già quasi 7500 euro) bisogna infatti aggiungere i costi fissi per l´aula (elettricità, telefono e così via) e quelli per il personale tecnico amministrativo e di sorveglianza di Palazzo Lascaris costretto a fare costosi straordinari notturni. La presidenza del Consiglio regionale non fornisce cifre ufficiali. Ma la valutazione di 25 mila euro giornaliere (125 mila in cinque giorni) è da considerare congrua. Anche gli appelli alla ragione (e le garanzie) arrivate dalla presidente della giunta Mercedes Bresso non sono servite a nulla. Così si andrà avanti ad oltranza: la prossima settimana il consiglio verrà convocato tutti i giorni in due sedute: dalla mezzanotte alle 12 e dalle 12 a mezzanotte. Non ci saranno insomma più pause per mangiare o dormire.

Burton Morris
05-12-09, 13:59
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 22 LUGLIO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

Le menzogne documentate

GIUSEPPE D´AVANZO

Lo ha negato ostinatamente, ha evocato trame oscure e complotti assassini, ma Silvio Berlusconi sapeva che Patrizia fosse una prostituta perché i patti prevedevano che dovesse pagarla. Il «regalo» del Cavaliere aveva promesso Gianpaolo Tarantini alla signora.


La voce di Silvio Berlusconi, le parole di Patrizia D´Addario, ascoltate ora nelle registrazioni messe a disposizione dall´Espresso, rendono onirici i discorsi, le parole e i gesti distribuiti nel corso del tempo dal capo del governo, dal suo avvocato Niccolò Ghedini, dai corifei azzurri, dai commessi obbedienti dell´informazione. Stiamo soltanto al presidente del Consiglio e al suo consigliere legale. Il fatto è stranoto a chi non guarda soltanto i telegiornali controllati dal "sultano" anche se pagati dal contribuente. Patrizia D´Addario racconta di aver fatto sesso a pagamento con il capo del governo, la notte del 4 novembre 2008 (la paga un ruffiano, Gianpaolo Tarantini, benvenuto e atteso ospite delle feste del premier). La donna raccoglie, a Palazzo Grazioli, fotografie e registrazioni di quella notte. La sua testimonianza è fin dalle prime battute di una solidità che imporrebbe cautela, economia verbale. Ghedini muove per primo. Il suo passo, come sempre gli capita, pretende di eliminare l´evento, come se il fatto concreto (una prostituta a Palazzo Grazioli) potesse essere cancellato: è uno sgorbio sulla lavagna. «Non credo che la D´Addario sia mai andata a casa del premier», dice Ghedini (Ansa, 17 giugno). C´è un metodo nella tecnica dell´avvocato e del suo Capo: non esiste alcun criterio di verità praticabile, soltanto opinioni e "credenze" che durano un giorno. È una credenza o un´opinione che la D´Addario sia stata a Palazzo. Le informazioni che gli giungono da Bari (occhio, le registrazioni sono state consegnate al pubblico ministero e sono inesorabili) devono consigliargli una maggiore prudenza. Il secondo passo tende a minimizzare gli esiti giudiziari. «Ancorché fossero vere le indicazioni di questa ragazza, e vere non sono, il premier sarebbe l´utilizzatore finale e quindi mai penalmente punibile». (Affaritaliani.it, 17 giugno). Escluso ogni danno legale, Ghedini passa a banalizzare quel che è accaduto: se pure fosse vero quel è accaduto ma non è vero quel che è accaduto (Ghedini sa essere psichedelico), Berlusconi «sarebbe soggetto inconsapevole». Quella sera, ammesso che la D´Addario fosse lì ma non è vero che fosse lì, Berlusconi è stato soltanto affascinato dalla bellezza di quella donna che non sapeva si prostituisse. Gli dà manforte Gianpaolo Tarantini. Intervistato dal quotidiano della Casa, il ruffiano nega di pagare le signore «per prestazioni intime» con il premier: «Il presidente non poteva immaginare che io rimborsassi a delle ragazze le spese che dovevano sostenere per venire a Roma. Se avessi saputo che Patrizia D´Addario faceva la escort non l´avrei mai frequentata e tantomeno l´avrei portata a cena col presidente. Si era presentata come figlia di un imprenditore del settore edile» (Il Giornale, 27 giugno).
Vediamo come vanno davvero le cose nei documenti sonori dell´Espresso. Tarantini chiama Patrizia: «Ti passo a prendere alle nove e un quarto, andiamo lì… ». Tarantini sa che Patrizia è una prostituta: «Lui non ti prende come una escort, capito? Lui ti prende come un´amica mia, che ho portato…». Tarantini sa che c´è l´eventualità che Patrizia debba fare sesso con il "sultano": «… Poi se lui decide rimani lì…». Se viene "eletta" per una notte "favorita" del serraglio, sarà ospitata nel «letto grande». Patrizia vuole essere pagata, beninteso: «Mille per la serata». I patti sono chiari. Gianpaolo non paga l´intera posta, solo un gettone, il resto tocca al "sultano". Dice «Mille te li ho già dati… poi se rimani con lui… ti fa il regalo solo lui…». Dunque, «se fa il regalo» Berlusconi è consapevole del lavoro di Patrizia. Non è il povero diavolo raggirato da invitati ingrati. È questa la linea di difesa che il premier propone in pubblico. «Purtroppo abbiamo sbagliato l´ospite, e lui ha sbagliato l´ospite dell´ospite» (Ansa, 25 giugno).
Se ci sono limiti allo stravagante, si deve concludere al contrario che Berlusconi sollecita e sa qual è l´impegno di Tarantini e il lavoro professionale delle amiche che gli porta in casa. Gianpaolo conosce finanche le abitudini sessuali del premier («Non usa il preservativo»). Prepara le "ragazze". Le rassicura che Berlusconi «farà il regalo». Patrizia D´Addario protesterà, il giorno dopo, che nessuna busta le è stata data. Tarantini se ne meraviglia.
Le registrazioni sgonfiano quel che ci è stato raccontato finora. Ghedini ci aveva rassicurato che nessuno poteva essere così sciocco da credere che il "sultano" dovesse pagarsi il sesso. «Il presidente non ha bisogno che qualcuno gli porti le donne. Pensare che Berlusconi abbia bisogno di pagare 2000 euro una ragazza, perché vada con lui, mi sembra un po´ troppo. Penso che potrebbe averne grandi quantitativi, gratis» (Corriere, 17 giugno). Falso. Come falso è quel che racconta Berlusconi a un salariato della Casa: «Ha mai pagato una donna perché restasse con lei?». Risponde: «Naturalmente no. Non ho mai capito che soddisfazione ci sia, se non c´è il piacere della conquista…» (Chi, 24 giugno). Più che falso, è colpevolmente menzognero il Cavaliere quando la butta in politica, adombrando alle spalle della D´Addario un complotto e un partito. «C´è qualcuno che ha dato un mandato molto preciso e benissimo retribuito a questa signora D´Addario» (Chi, 24 giugno). Non c´è il mandato del ruffiano amico che ha ingaggiato Patrizia, e non solo, per animare le sue notti, ma addirittura il solito «progetto eversivo».
Questa è la scena, questo il metodo. Primo, negare. Lo si è visto anche lunedì alla diffusione dei primi nastri. «Materiale senza pregio, del tutto inverosimile e frutto di invenzione», dice Ghedini (Ansa, 20 luglio). Quel che sentivamo era «frutto di un´invenzione» meglio tapparsi le orecchie. Secondo, banalizzare. Nessun eccesso del Cavaliere, soltanto un invito infelice. Le parole di Tarantini liquidano anche questa: «… Poi ti fa il regalo solo lui…». Terzo, il discredito contro la donna: «E´ stata mandata e retribuita benissimo». Il solo che l´ha «retribuita» è stato Tarantini, Berlusconi se n´è dimenticato anche se lo doveva fare come era nei patti.
L´audio delle conversazioni a Palazzo Grazioli documenta che il capo del governo ha mentito a gola piena dal primo giorno di questa storia (terzo capitolo di uno scandalo cominciato con le Veline e continuato con Noemi). Non si può far torto a Luigi Zanda che ieri nell´aula di Palazzo Madama ha detto: «Gli ultimi scampoli di conversazione resi noti ieri e oggi sono lì a dimostrare quanto ci sia bisogno che chi governa il nostro Paese dica la verità. Anche nel dire il vero e il falso, il presidente Berlusconi ha superato ogni limite consentito. Non esiste alcuna nazione dove la menzogna dei governanti non corrompa pericolosamente la società e le istituzioni».

Burton Morris
05-12-09, 13:59
C'è un tesoretto segreto per i deputati

• da Panorama del 24 luglio 2009, pag. 60/61

di Daniele Martini

Ci sono mille modi per sprecare soldi: regalandoli a destra e a manca con prodigalità sospetta, buttandoli dalla finestra per il solo gusto di vederli volare, non volendoli risparmiare per principio, comprando cose inutili, conducendo un tenore di vita superiore alle proprie risorse... Quando di mezzo ci sono soldi pubblici il metodo più semplice è pretenderne tanti sapendo che sono troppi e poi utilizzarne pochi con l’intenzione di mettere la differenza al «pizzo», come dicono a Roma. Alla Camera dei deputati si sono specializzati proprio in questo sistema: da anni battono cassa al Tesoro chiedendo e prendendo 10 per poi spendere 7 e mettere 3 da parte. Qualche volta chiedono 9 e poi si atteggiano a Quintino Sella del Terzo millennio; in realtà è come se continuassero a sprecare 2, perché potrebbero fin da principio rivendicare il giusto senza giochetti. Qualche giorno fa, per esempio, è stata diffusa la notizia che per tre anni la Camera non chiederà un incremento della propria dotazione allo Stato e qualcuno ha salutato il fatto come un esempio di rigore, per una volta proveniente dall’alto. Ma è un abbaglio perché i soldi richiesti da Montecitorio restano ugualmente e strutturalmente in eccesso rispetto alle spese preventivate, che non sono né poche né oculate, anzi. Nonostante la crisi, i parlamentari non hanno perso il vizio di non farsi mancare nulla. E i cospicui avanzi di cassa portati a bilancio non sono frutto di parsimonia, ma di un artificio contabile giocato sulla differenza tra bilancio di cassa e di competenza. La riprova è data dal fatto che le spese vere non diminuiscono, ma crescono anno dopo anno: dell’1,5 per cento nel 2008 e dell’1,3 nel 2009 secondo il bilancio di previsione. Senza rinunciare a quasi nessuno dei privilegi che si sono autoconcessi, i deputati nel corso degli anni hanno messo da parte un fondo cassa che non è uno scherzo, un tesoretto di oltre 343 milioni di euro a fine 2008, così come risulta dal conto consuntivo approvato due settimane fa, salito già a 370 milioni a luglio 2009 e quindi pari a più di un terzo dei- l’intera dotazione annuale di Montecitorio, che nel 2008 è stata di 978 milioni. Una dotazione particolarmente ricca e calcolata in modo assai singolare. Dal momento che i deputati sono 630, il doppio dei senatori, e i dipendenti pure (1.800 circa contro i 990 del Senato dopo gli ultimi pensionamenti di luglio), e poiché il Senato ha un bilancio di circa 500 milioni, alla Camera, sostengono i deputati, deve essere erogata una dotazione doppia. Senza considerare, però, che molte spese fisse risultano praticamente identiche dall’una e dall’altra parte. L’aula in cui si vota, per esempio, è una in entrambe le camere, così come il numero delle leggi approvate è ovviamente lo stesso, e le commissioni idem, e via di questo passo. Anche per la Camera dovrebbe valere il principio elementare delle economie di scala, ma forse a Montecitorio le leggi dell’economia valgono a corrente alternata. Ogni volta che si accingono a redigere un nuovo bilancio i deputati questori partono in pratica con un abbuono ricco e quindi se volessero potrebbero davvero offrire il buon esempio all’inclita e al vulgo chiedendo al Tesoro una dotazione ridotta rispetto alla solita. Potrebbero fare il bel gesto invitando il ministro Giulio Tremonti a utilizzare per qualche buona causa più urgente la differenza, una volta tanto ottenendo l’applauso sincero di chi li ha votati. Potrebbero, magari, indirizzare quel surplus ai terremotati dell’Abruzzo; i terremotati, però, non pagano gli interessi, le banche sì: circa 15,4 milioni di curo nel 2008 su depositi e conti correnti della Camera. Ma perché mai a Montecitorio insistono con il trucchetto di succhiare tanto per spendere meno? Che senso ha? Quel di più probabilmente è richiesto per affrontare gli imprevisti, oltre che per lucrare gli interessi. In primo luogo le temutissime interruzioni di legislatura. Quando capitano, e in Italia purtroppo capitano abbastanza spesso, per le camere è un trauma, non solo perché è come se ai peones di Montecitorio e Palazzo Madama franasse il terreno sotto i piedi, ma anche da un punto di vista economico. La fine repentina della legislatura costa un sacco di soldi, dalle spese minime, come quelle per l’imballaggio delle carte dei parlamentari decaduti, al- l’imbiancatura degli uffici per i nuovi arrivati, dalle buonuscite per chi deve dire addio al Palazzo al numero delle pensioni che ovviamente cresce. Le pensioni risultano proprio uno dei capitoli di spesa più cospicui di Montecitorio, 175 milioni circa, anche perché sono concesse con criteri decisamente più generosi rispetto a quelli richiesti ai comuni mortali. Se, per esempio, ai dipendenti normali servono almeno 36 anni di contributi, ai deputati ne bastano 5, un settimo, per un vitalizio baby di tutto rispetto: 3.300 euro. E poi fra gli imprevisti ci può stare anche l’aumento delle indennità. È vero che deputati e senatori hanno giurato che non avrebbero votato aumenti fino alla fine della legislatura, ma di mezzo c’è la crisi: chi potrebbe giurare che, passata la tempesta, a Montecitorio e a Palazzo Madama non tornino subito a far festa con un ritocchino? Perché nel frattempo nessuno si impegna sul serio nel disboscamento della fitta giungla di privilegi parlamentari grandi e piccoli. Dal telefono ai viaggi gratis, dai 4 mila euro al mese per le spese di soggiorno agli altri 4.190 per la cura dei «rapporti con il proprio collegio di appartenenza», ottenuti a titolo di rimborso, sia che quelle spese ci siano state o no, a prescindere, come avrebbe detto Totò, dal momento che non sono richieste ricevute o pezze d’appoggio. I quattrini vengono erogati sulla fiducia, e forse è anche per questo che chi li prende viene chiamato onorevole. Qualche giorno fa la deputata radicale Rita Bernardini ha cercato di correggere l’andazzo: la sua proposta è stata approvata da 49 deputati e respinta da 428. Una maggioranza schiacciante, per una volta bipartisan.

Burton Morris
05-12-09, 14:00
Centrosinistra e appalti, blitz dei pm a Bari - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/09_luglio_30/bari_indagati_2ffe66e2-7cf9-11de-898a-00144f02aabc.shtml)

Le acquisizioni nelle sedi regionali di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e Libertà e Lista Emiliano


Bari, carabinieri in cinque sedi di partiti
Nel mirino i bilanci del centrosinista della Regione Puglia Quindici gli indagati, tra cuil'ex assessore Tedesco



BARI- I carabinieri si sono presentati giovedì mattina in cinque sedi di partiti del centrosinistra a Bari. I militari hanno acquisito i bilanci dei partiti della Regione Puglia nell'ambito dell'indagine del pm Desirè Digeronimo sul presunto intreccio tra mafia, politica e affari nella gestione degli appalti pubblici nel settore sanitario. Indagate 15 persone tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore del Pd.

LE ACQUISIZIONI- I militari si sarebbero presentati nelle sedi regionali di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e Libertà, e Lista Emiliano. Gli accertamenti disposti dal magistrato, che ha firmato decreti di esibizione di documentazione, riguardano l'ipotesi di illecito finanziamento pubblico ai partiti in riferimento al periodo compreso dal 2005 ad oggi, comprese le ultime elezioni al Comune di Bari.

L'INCHIESTA- Sono una quindicina le persone indagate tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco, ora senatore. Le ipotesi di reato sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, alla concussione, al falso, alla truffa; per alcuni reati si ipotizza l'aggravante di aver favorito un'associazione mafiosa.


30 luglio 2009

Burton Morris
05-12-09, 14:01
«Ci salverà un milione di imprenditori» (http://archiviostorico.corriere.it/2009/agosto/15/salvera_milione_imprenditori__co_8_090815019.shtml )

L' intervista/Il sociologo: questo autunno per il futuro del Paese sarà decisivo e non basterà far passare la nottata


«Ci salverà un milione di imprenditori»


De Rita: è l' ora di arrancare per risalire, non di adattarsi. Nel ' 78 Craxi mi chiese di piccola impresa, localismo, sommerso: «Lei è sicuro che questa cosa funziona? Perché, se è così ci monto su la mia onda lunga». Questo fa la politica. Il berlusconismo si sta sfarinando, ma è un fenomeno tutto interno alla maggioranza, il Pd non tocca palla. Saranno decisive per il centrodestra le regionali dell' anno prossimo.






Professor De Rita, a Ferragosto del 2007 lei previde sul «Corriere» la caduta di Prodi... «Bé, quello non era difficile...». Ma anche il logoramento di Veltroni, il ritorno di Berlusconi, e le difficoltà che avrebbe incontrato. Ora cosa vede per l' autunno? Arriva la ripresa? O arriva la crisi? «Se ho un merito, è guardare lontano. E credo che quest' autunno per il futuro dell' Italia sarà decisivo. Una svolta. Ci giochiamo tutto». È vero quanto sostiene il governo, che l' Italia sinora ha sentito la crisi meno degli altri? «Sì. Grazie a due buone cose che il governo ha fatto: garantire il sistema bancario e gli ammortizzatori sociali. E grazie ad alcuni caratteri del popolo italiano, di solito additati come vizi, che si sono rivelati strumenti per resistere». Quali? «Il pallino del mattone: avere l' 85% di proprietari di casa e un patrimonio immobiliare pari a 8 volte il Pil - contro il 3 degli Usa e il 5 della media europea - significa non vedere senzatetto accampati in strada. Il pallino del risparmio; per cui non si vive a debito e non si finisce in fila alla mensa dei poveri quando si esaurisce la carta di credito. La diffidenza per la finanza e il predominio dell' impresa familiare manifatturiera. Il ritorno della banca-sportelli, della banca di comunità, come riconosce Tremonti rivalutando il credito cooperativo. Il gran numero di statali, che ricevono uno stipendio pubblico e in crescita, contro tariffe e prezzi bloccati. La frammentazione in ottomila campanili: la crisi non è arrivata come un meteorite che ha scavato un buco enorme; si è spezzettata lungo un paese territorializzato. Il microwelfare, sintetizzato dalla splendida storia che abbiamo visto sul Corriere del novantenne abbracciato alla badante di trent' anni». Per cui ne siamo fuori? «No. Grazie a tutto questo abbiamo passato l' inverno. Ora serve qualcosa di più e di diverso. Invece sento proporre soluzioni antiche. Quella tipica della sinistra: le riforme». Cui lei non crede? «Non più. In 54 anni passati a leggere la società italiana, ho sentito troppe volte che la soluzione sarebbe venuta dalla riforma del lavoro, della sanità, della previdenza, e ovviamente dalla riforma della scuola, che non ci facciamo mai mancare. Tempo sprecato. Se un meridionale legge che verrà la Cassa del Mezzogiorno, emigra al Nord. Se dico a uno dei miei otto figli che i suoi problemi saranno risolti dalla riforma dell' università, lui va a studiare in America. Quando sento parlare di riforma del welfare, mi viene da assumere una badante». Magari la stessa della storia del Corriere... «Il punto è che il bisogno individuale non diventa più bisogno collettivo, impegno sociale, intervento pubblico, e quindi riforma». E l' altra soluzione antica? «Il fai-da-te berlusconiano. La libertà e la necessità di essere se stessi. Che però non nasce con lui: è un ciclo lungo, che secondo me risale a don Milani e all' obiezione di coscienza, prosegue con divorzio e aborto, ora forse porterà all' eutanasia. Ma è un ciclo che si sta esaurendo, e tra quattro o cinque anni finirà». Cosa servirebbe invece? «Uno scatto. Un clic collettivo. Il passaggio dall' adattamento all' arrancamento. L' adattamento è una tipica risorsa italiana. Siamo una società adattativa: femmina, non maschia; quotidiana, non eroica. Quando ho coniato formule critiche, come la mucillagine, ho avuto grande successo; ma quando dico che si deve andare oltre l' adattamento, non mi ascolta nessuno. Eppure è tempo di passare semmai all' arrancamento, che non è una parola negativa, anzi; indica lo sforzo di innovazione, la sfida dell' imprenditore». Saremo capaci di arrancare? «Ho l' impressione che gran parte di noi, constatato che le banche sono solide e il sistema manifatturiero è ancora lì, penserà che basti far passare la nottata, vale a dire un altro inverno. Ma una minoranza vitale capirà che l' adattamento non basta. E' quel milione di imprenditori, cui è affidata la nostra speranza. Quelli che arrancano, non più per difendersi, ma per riconquistare posizioni». Ci salveranno le piccole imprese? «Se sapranno superare due difficoltà. Chi ha fatto la scelta del lusso patisce il fatto che oggi in America e in Germania di ricchi ce ne sono meno. E il Nord-Est, che lavora molto per l' industria dell' auto e degli elettrodomestici, patisce la crisi altrui». Berlusconi finirà la legislatura? «Il berlusconismo si sta sfarinando. E i tempi del suo ciclo personale potrebbero essere più rapidi del ciclo storico che ha impersonificato: il faso-tuto-mi, l' autonomia e il primato della persona anche sul piano morale e comportamentale. Però Berlusconi non è finito: altrimenti, con il suo genio della fiction, sarebbe andato a elezioni anticipate, o sarebbe andato a curarsi non una settimana ma sei mesi, e non in Sardegna ma ai Caraibi. Uno come lui non si fa abbattere». Quale sarà il passaggio decisivo? «Le regionali dell' anno prossimo. Se il centrodestra percepirà che la parola Berlusconi non è più un valore aggiunto, si porrà il problema di come arrivare al 2013. Ma lo sfarinamento è tutto interno alla maggioranza. Il Pd non tocca palla». Il futuro è delle Leghe, anche al Sud? «I partiti che diventano soggetti di domanda, sempre in attesa di soldi da Roma, si condannano all' impotenza. Preferisco Galan, che si inventa "Forza Veneto" e dice che a Roma non andrà mai». Franceschini o Bersani? «Non ha importanza. L' importante per un leader politico è trovare il ciclo su cui montare. Come De Gasperi. C' è una bella pagina di Ossicini, che viene invitato da Spataro al compleanno della figlia e vi trova De Gasperi che gli dice: "Vieni con noi, stiamo preparando qualcosa di nuovo per quando Mussolini cadrà". Ma la cosa più bella è guardare la data: l' inverno tra il ' 38 e il ' 39. Il Duce trionfava, e un vecchio emarginato, un bibliotecario vaticano, preparava il dopo». Il suo paragone tra i leader attuali e De Gasperi è spietato. «Ma anche Fanfani, nel suo piccolo, ebbe il suo ciclo». E Craxi? «Sì, anche lui. Mi mandò a chiamare nel 1978, in pieno compromesso storico. Io avevo scritto pagine sul caso Moro di cui andavo molto fiero, e pensavo volesse parlarmi di quelle. Mi chiese invece di piccola impresa, localismo, sommerso: "Lei è sicuro che questa cosa funziona? Perché, se funziona, io ci monto su la mia onda lunga". Questo fa la politica. Berlusconi può essere antipatico, può essere accusato delle più nere nefandezze, ma ha costruito la sua onda lunga. Il problema del Pd non è fronteggiare Berlusconi; è costruire il dopo. Invece stanno passando l' estate a parlare di sinistra riformista».



Aldo Cazzullo



CHI E'

Giuseppe De Rita è nato a Roma nel 1932 da famiglia di origine molisana. Dopo la laurea in giurisprudenza diventa funzionario della Svimez, l' associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, di cui è responsabile della sezione sociologica dal ' 58 al ' 63. Nel 1964 è fra i fondatori del Censis, di cui è segretario generale dal ' 74. De Rita è stato presidente dello Cnel (Consiglio nazionale dell' economia e del lavoro) fra l' 89 e il 2000. È autore di numerosi libri fra i quali «La Chiesa galassia e l' ultimo concordato» (1983), «Il manifesto dello sviluppo locale» (1998) e «Che fine ha fatto la borghesia» (2004). Ogni anno, il Censis pubblica un rapporto sullo stato dell' economia e della società italiana che è spesso al centro del dibattito pubblico e di quello della politica italiana. Negli anni De Rita ha seguito con particolare attenzione il tessuto delle piccole imprese familiari e la loro flessibilità informale.

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(15 agosto 2009) - Corriere della Sera

Burton Morris
05-12-09, 14:02
Tarantini: il premier e quelle 30 ragazze Diciotto serate e 1000 euro a chi restava - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/politica/09_settembre_09/Tarantini_il_premier_e_quelle_30_ragazze_Diciotto_ serate_e_1000_euro_a_chi_restava_fiorenza_sarzanin i_885b4dc0-9cff-11de-9e0f-00144f02aabc.shtml)


le carte dell'inchiesta di bari


Tarantini: il premier e quelle 30 ragazze. Diciotto serate e 1000 euro a chi restava.
Nei verbali il racconto degli incontri: le retribuivo ma senza dirlo a Berlusconi.



BARI — Sarebbero una trentina le donne che Gianpa*olo Tarantini avrebbe portato alle feste del premier Silvio Berlusconi. Alcune hanno ri*cevuto un compenso di 1.000 euro «per prestazioni sessua*li », altre «soltanto un rimbor*so delle spese». Tra loro ci so*no anche alcune ragazze com*parse in programmi tv, come Barbara Guerra e Carolina Marconi del Grande Fratello. Non solo Patrizia D’Addario, dunque. Per oltre cinque me*si, da settembre 2008 alla fine di gennaio scorso, l’imprendi*tore pugliese ha reclutato ita*liane e straniere per allietare cene e incontri nelle residen*ze del presidente del Consi*glio.

È stato lui stesso ad ammet*terlo il 29 luglio scorso duran*te un interrogatorio nella ca*serma della Guardia di Finan*za di Bari dove è stato convo*cato in segreto come indaga*to per favoreggiamento della prostituzione. Incalzato dagli inquirenti ha fornito dettagli su voli, spostamenti, elargizio*ni, confermando così quanto era già emerso dalle intercet*tazioni telefoniche. Nel verba*le Tarantini ripete quello che aveva già detto in passato: «Le presentavo come mie ami*che e tacevo che a volte le re*tribuivo ». Ma poi rivela che fu proprio «Berlusconi a pre*sentarmi Guido Bertolaso, co*me gli avevo chiesto. E poi lo stesso Bertolaso inviò me e il mio amico Enrico Intini in Finmeccanica, ma dopo i pri*mi incontri non è più succes*so nulla».

Le ragazze
«Ho accompagnato in una occasione Terry De Nicolò a casa del presidente Berlusco*ni a Roma, tacendo allo stesso gli accordi da me presi con la De Nicolò e la vera attività dal*la stessa svolta, se non erro a settembre o ottobre 2008. Io ebbi in tale circostanza a retri*buirla anticipatamente nella previsione di una sua presta*zione sessuale poi non so se sia avvenuta. Vanessa Di Me*glio è una mia carissima ami*ca, che ho conosciuto per il tramite di mia moglie circa 10 anni fa. Da allora ho continua*to a frequentarla invitandola a feste nelle quali la riempivo di attenzioni anche fornendo*le cocaina. Tendenzialmente la stessa non è una professio*nista del sesso ma all’occor*renza non disdegna di essere retribuita per prestazioni ses*suali. Ho anche favorito le pre*stazioni sessuali della Di Me*glio con il presidente Berlu*sconi in due circostanze a Ro*ma il 5 settembre e l’8 ottobre 2008. Ricordo che il 5 settem*bre la Di Meglio si fermò a pa*lazzo Grazioli. Sonia Carpen*done, detta Monia, era da me conosciuta come una persona che a Milano esercitava la pro*stituzione, sicché sempre nel*la prospettiva che la stessa po*tesse effettuare prestazioni an*che in favore del presidente Berlusconi, la invitai a Roma pagandole il biglietto aereo e le spese di soggiorno. La stes*sa giunse con una ragazza che si presentò come sua sorella che adesso apprendo da lei chiamarsi Roberta Nigro. Non ricordo che Monia e la sua amica si siano fermate quella notte a palazzo Grazioli».

La «Billionairina»
Tarantini si sofferma più volte sugli incontri organizza*ti con volti noti della tv: «In occasione di un incontro a ca*sa del presidente Berlusconi a Roma il 23 settembre 2008 in*vitai Francesca Garasi che giunse con tre sue amiche, Ca*rolina Marconi, attrice di Ca*nale 5, Geraldine Semeghini, che nell’estate 2008 era re*sponsabile del privé del Billio*naire, che si presentò con una sua amica, e Maria Teresa De Nicolò. In quella circostanza mi limitai ad ospitare Geraldi*ne Semeghini e la sua amica, ma l’unica che ebbe un incon*tro intimo fu la De Nicolò». Gli viene contestata una conversazione con una donna pugliese e lui chiarisce: «Gra*ziana Capone è un avvocato che avevo conosciuto anni ad*dietro e che ho avuto modo di rincontrare nello studio del mio amico avvocato Salvato*re Castellaneta. In quest’ulti*ma circostanza la stessa mi disse che voleva incontrare il presidente Berlusconi sapen*do delle mie frequentazioni con lo stesso. Fu così che la in*vitai a venire con me a Milano dove la presentai al presiden*te. Io non ho retribuito la Ca*pone Graziana limitandomi ad offrirle il biglietto aereo». «Barbara Guerra l’ho cono*sciuta a Milano presentatami da un mio amico Peter Farao*ne, mentre Ioana Visan detta Ana l’ho conosciuta tramite lo stesso Peter o Massimo Ver*doscia. Sapevo che Barbara Guerra era una donna dello spettacolo mentre sapevo che Ioana era una escort. L’8 otto*bre 2008 ricordo di aver invi*tato le stesse a Roma unita*mente a Vanessa Di Meglio, li*mitandomi per quest’ultima a pagare il biglietto aereo ed il soggiorno in hotel, quanto al*le altre due, che venivano da Milano corrispondendo alle stesse anche una somma di denaro per l’eventualità che potessero avere un rapporto sessuale con il presidente Ber*lusconi. Ricordo che sia Ioana Visan che Barbara Guerra si fermarono a casa del presiden*te. Per il 9 ottobre devo esclu*dere di aver corrisposto altre somme di denaro alla Guerra ed alla Visan mentre confer*mo di non aver corrisposto al*cunché a Carolina Marconi». «Quanto all’incontro a casa del presidente Berlusconi del 16 ottobre 2008 non ho corri*sposto alcunché a Ioana Vi*san, Barbara Guerra e a Mile*na, sua amica, e a Clarissa Campironi, mia amica, limi*tandomi a sostenere le spese di viaggio e soggiorno poiché le tre venivano da Milano». Il verbale di Tarantini con*ferma quanto era già stato ri*velato da Patrizia D’Addario: «L’ho conosciuta come Ales*sia in quanto così presentata*mi da Massimiliano Ver*doscia, mio amico nonché col*laboratore, poiché io stavo cercando una ragazza da por*tare ad una cena a casa di Ber*lusconi. Alla D’Addario rap*presentai la possibilità di par*tecipare ad una cena a casa del presidente Berlusconi rico*noscendole il pagamento del*le spese di viaggio e di sog*giorno a Roma e un forfait di 1.000 euro. Devo precisare che Verdoscia mi aveva parla*to della D’Addario come di una donna immagine che al*l’occorrenza avrebbe potuto anche effettuare prestazioni sessuali. La D’Addario accettò la mia offerta, ma non ricordo se io o Verdoscia acquistam*mo il biglietto aereo».

Patrizia a Roma
Il racconto coincide anche nella ricostruzione degli spo*stamenti. Poi si arriva all’in*contro: «Dopo aver prelevato Clarissa Campironi che ospita*vo nell’Hotel De Russie mi re*cai unitamente al mio autista Dino Mastromarco a prende*re la D’Addario. Credo che Io*na Visan, Barbara Guerra e la sua amica Milena abbiano rag*giunto palazzo Grazioli con mezzi loro. Né la Campironi né la D’Addario si fermarono a palazzo Grazioli… Confer*mo che il 4 novembre 2008 mi recai a palazzo Grazioli uni*tamente a Patrizia D’Addario, Barbara Montereale e Lucia Rossini. Ricordo di aver retri*buito Patrizia D’Addario con l’importo di 1.000 euro sapen*do che la stessa all’occorrenza si prostituiva ed in tale pro*spettiva diedi anche a Barbara Montereale, presentatami dal*la D’Addario, l’importo di 1.000 euro esclusivamente perché svolgesse il ruolo di donna immagine, nulla diedi a Lucia Rossini, mia amica... La D’Addario mi fu possibile retribuirla solo in seguito poi*ché quella notte credo si era fermata a casa del presidente. Ricordo in particolare che quella sera dopo la cena io mi allontanai unitamente a Bar*bara Montereale ed a Lucia Rossini per tornare nei rispet*tivi alberghi, mentre Patrizia D’Addario rimase a casa del presidente in quanto mi disse di volergli parlare di una sua questione privata. Solo il gior*no dopo seppi dalla stessa D’Addario che avesse passato la notte a palazzo Grazioli».

Le amiche
Tarantini afferma che in al*cune occasioni le ragazze han*no partecipato gratuitamente agli eventi. «Il 21 ottobre 2008 ricordo di essermi reca*to a palazzo Grazioli insieme a Mary De Brito, Stella Schan e Donatella Marazza, tre mie amiche conosciute per il tra*mite di un’altra mia amica. Si trattò di una semplice cena ed io non ho retribuito alcuna delle tre... Non ho retribuito in alcun modo tali Maria Esther Garcia Polanco detta Maristel e Michaela Pribisova con le quali ho viaggiato da Roma a Milano con il presi*dente Berlusconi il 26 novem*bre 2008... Quanto alla mia frequentazione nel centro Messegué del 28 novembre, posso dire che sono andato con la sola Maristel senza averla retribuita in alcun mo*do ». Gli viene chiesto di una cena del 2 dicembre e lui di*chiara: «Non ho retribuito in modo alcuno Luciana Francio*li, Manuela Arcuri, Francesca Lana, Stella Maria Novarino per l’eventualità che avessero una prestazione sessuale con terzi, ed escludo che le stesse fossero dedite ad una attività di prostituzione». Non va così per il 10 dicem*bre, a palazzo Grazioli: «Ricor*do di aver pagato tali Karen e Niang Kardiatou detta Hawa 1.000 euro ciascuna prospet*tando loro l’eventualità di una prestazione sessuale con il presidente Berlusconi. Nes*suna delle due, peraltro, si fer*mò. Quanto alla festa del Mi*lan del 15 dicembre del 2008 ricordo di aver pagato Karen ma esclusivamente perché fa*cesse atto di presenza».

I volti della tv
L’imprenditore pugliese ammette che il 17 dicembre 2008 «portai a palazzo Grazio*li Linda Santaguida e Camilla Cordeiro Charao, pagando la sola Camilla Cordeiro Charao che si fermò dal presidente». La prima è stata riserva all’ Iso*la dei Famosi , l’altra è stata la valletta del programma Sco*rie su Raidue. Poi Tarantini parla di altri eventi: «Il 23 dicembre portai Carolina Marconi e Graziana Capone a casa del presidente limitandomi a pagare le spese di viaggio e di soggiorno alla sola Graziana e nessuna delle due rimase. Il 6 gennaio 2009 andai a Villa Certosa in Sarde*gna insieme a Barbara Monte*reale e Chiara Guicciardi e Cla*rissa Campironi ma non pa*gai nessuna delle tre. Il 14 gen*naio ricordo di essere andato a casa del presidente Berlusco*ni insieme a Guicciardi Chia*ra e Letizia Filippi, ma non pa*gai alcunché. Al di là di quan*to riferito non ho in alcun mo*do retribuito le ragazze indica*te o altre né ho in alcun modo favorito l’esercizio della pro*stituzione delle stesse in favo*re di persone diverse da quel*le indicate. Quando accompa*gnavo le ragazze a palazzo Grazioli le facevo sedere sui sedili posteriori in quanto i fi*nestrini posteriori della mia autovettura erano oscurati avendoli fatti sostituire nel settembre del 2008 se non ri*cordo male. Tale accorgimen*to era volto ad evitare che i giornalisti o altre persone po*tessero guardare nell’auto… Quando mi approssimavo a palazzo Grazioli avvertivo un responsabile della sicurezza del mio arrivo e quindi una volta giunto al portone la pri*ma guardia avvisava altri del nostro arrivo. Entrati nel corti*le venivamo accompagnati ai piani superiori dove veniva*mo ricevuti».

Guido Bertolaso
Alla fine del suo interroga*torio Tarantini parla della na*tura del suo legame con il pre*mier e dichiara: «Io ho voluto conoscere il presidente Berlu*sconi ed a tal fine mi sono sot*toposto a spese notevoli per entrare in confidenza con lui e sapendo del suo interesse ver*so il genere femminile non ho fatto altro che accompagnare da lui ragazze che presentavo come mie amiche tacendogli che a volte le retribuivo. Gli ho solo chiesto di presentar*mi il responsabile della Prote*zione Civile, il dottor Guido Bertolaso, in quanto volevo che Enrico Intini mio amico con il quale avevo stipulato un contratto di collaborazio*ne, potesse esporre allo stesso Bertolaso le competenze del suo gruppo industriale nella prospettiva di poter lavorare con la Protezione Civile. Una sera il presidente Berlusconi mi presentò Guido Bertolaso con il quale in seguito mi so*no incontrato unitamente ad Enrico Intini. Bertolaso ci in*viò a Finmeccanica ma poi, do*po i primi incontri con tale dottor Lunanuova, non è suc*cesso più nulla. Voglio infine precisare che il ricorso alle prostitute ed alla cocaina si in*serisce in un mio progetto te*so a realizzare una rete di con*nivenze nel settore della Pub*blica amministrazione perché ho pensato in questi anni che le ragazze e la cocaina fossero una chiave di accesso per il successo nella società».

Angela Balenzano, Fiorenza Sarzanini
09 settembre 2009

Burton Morris
05-12-09, 14:03
"La Repubblica", VENERDÌ, 11 SETTEMBRE 2009
Pagina 4 - Interni

BREVIARIO

Alcuni parlamentari pugliesi contro Emiliano: "Hai candidato tu Tedesco al Senato"
Pd, Franceschini va all´attacco: "Va rotto il legame politica-sanità"

GIOVANNA CASADIO
ROMA - Se c´è un reato, i giudici lo stabiliranno. Se uno va con una prostituta allora è una questione che non spetta al partito giudicare. Ma che in Puglia, e non solo, ci sia un legame marcio tra politica e sanità, e il Pd pugliese ne sia investito in pieno, questa è una cosa che «va rotta alla radice». Dario Franceschini si muove con molta cautela, però il suo è un attacco ai dalemiani che hanno governato in quella regione e che Tarantini ha inguiato. L´inchiesta barese si è abbattuta anche sui Democratici, provocando una resa dei conti interna che da Roma cercano di tenere sotto controllo per non farsi troppo male.
Franceschini, dunque. Durante un dibattito sulle pari opportunità, il segretario lavora di fioretto: «Quanto alle inchieste che riguardano la sanità e le escort, io penso che ci sia una competenza giudiziaria e poi ci sono valutazioni morali su certi comportamenti che ognuno, non un partito, deve fare per sé». E infine, l´affondo: «Ma c´è un rapporto politica-sistema sanitario che va rotto alla radice, se c´è un settore in cui deve valere solo la competenza e la qualità questa è la sanità e non è possibile che i condizionamenti politici arrivino per vari canali».
D´Alema non replica. E Nicola Latorre, dalemiano pugliese, la prende alla larga: «Non intervengo sugli aspetti personali, sarei un avvoltoio. D´intesa con Nichi Vendola, Frisullo ha lasciato l´incarico di vice presidente della Regione. L´ho cercato, ma non sono riuscito a parlargli». Armonia di facciata. Una quindicina di parlamentari pugliesi del Pd hanno preparato ieri un documento pesante contro il sindaco di Bari e segretario regionale del partito, Michele Emiliano che ha invitato l´ex assessore alla sanità, Alberto Tedesco a dimettersi da senatore e Sandro Frisullo a lasciare anche il partito. «La richiesta di dimissioni di un parlamentare ha una grandissima rilevanza politico-istituzionale», scrivono, e poi a farla è proprio Emiliano che ha nominato Tedesco sia nella commissione statuto del Pd che come candidato al Senato. «Se aveva tanta fiducia in lui prima, com´è che ora lo scarica? Cos´altro è successo?». Anche Emiliano allora «dovrebbe trarne le conseguenze». Nel Pd pugliese insomma volano gli stracci.
E il peggio potrebbe ancora arrivare se la Sanitopoli deflagra. Francesco Boccia, lettiano, pugliese, sostenitore della mozione Bersani, non vuole parlare. «Lo farò nei prossimi giorni, ho alcune cose molto dure da dire». Però uno sfogo gli scappa: «Non credo proprio che si possa affibbiare la croce ai dalemiani e più in generale a quelli della mozione Bersani; Franceschini non lo faccia. Prima è meglio se si informa, perché la Sanitopoli non risparmia nessuno e potrebbe coinvolgere anche i suoi supporter». Fuori da metafore, ce n´è per tutti. L´inchiesta su Tarantini e company arriva nel momento più delicato per il Pd, alla vigilia di un congresso già difficile, il primo in cui si misura la tenuta del partito alla ricerca di una leadership forte e per la quale sono in lizza Franceschini, Bersani e Marino. La questione morale viene maneggiata con cura.

Burton Morris
05-12-09, 14:03
Farina Coscioni: la malasanità non è solo caratteristica pugliese
GOVERNO E MINISTERO SI PREOCCUPANO SOLO DI FAR APPROVARE UNA PESSIMA LEGGE SUL TESTAMENTO BIOLOGICO MA SI DISINTERESSANO DELLA VERA DIFESA DELLA VITA INTERROMPENDO IL DIBATTITO IN COMMISSIONE SU IL "governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale". APPROVARE SUBITO IL PROGETTO DI LEGGE RADICALE PER NUOVI METODI DI SELEZIONE DEI RESPONSABILI DELLE AZIENDE SANITARIE

Roma, 11 settembre 2009


• Dichiarazione Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale

Quanto sta emergendo – e forse ci si sta affannando ad occultare – nell’ambito della “sanitopoli” pugliese non è, purtroppo caratteristica ed esclusiva di quella regione; una quantità di inchieste giornalistiche, di pubblicazioni, di denunce da parte dello stesso mondo medico, dei pazienti e delle loro famiglie, decine e decine di interrogazioni parlamentari presentate da noi radicali documentano come la Sanità italiana sia caratterizzata e segnata da un tasso di sprechi, pessima gestione del pubblico denaro, incompetenza, molto al di là del tollerabile e del consentito; l’attuale governo, e i titolari del ministero della Salute hanno una grave responsabilità: per loro sembra essere urgente e necessario assicurare il varo di una pessima legge sul testamento biologico in ossequio e obbedienza ai dettami che vengono da oltretevere, e in formale difesa di un peraltro malinteso “diritto alla vita”.

L’attuale governo e l’attuale maggioranza mortificano ogni giorno il Parlamento ridotto a mero “votificio” senza dibattito e senza trasparenza dei provvedimenti che palazzo Chigi ritiene urgenti e che quasi mai hanno il carattere dell’urgenza. Da tempo, assieme ai miei colleghi radicali, ho presentato una proposta di legge, per la riforma dei metodi di selezione dei direttori generali delle Aziende sanitarie regionali. Credo che quanto sta accadendo ed è accaduto sia la prova migliore che quel testo vada discusso e approvato.Basta con la sistematica e brutale occupazione da parte della partitocrazia di qualsiasi posto pubblico nel campo sanitario. Basta con il sistema delle nomine non in base alle capacità manageriali e al merito, quanto per una appartenenza politica.

I reati nel mondo della sanità sono consumati sulla pelle del cittadino, del malato. Le vicende finora emerse sono gravi e inquietanti, è giusto che chi ha commesso reati sia perseguito e punito con determinazione e severità; ma tutto sarà inutile se non si muteranno i meccanismi che hanno reso possibile le disfunzioni e gli illeciti che stanno emergendo in queste ore”.

Burton Morris
05-12-09, 14:03
"La Stampa", 13 Settembre 2009, pag. 1

Barbara Spinelli


Il Paese dalla vista corta

La lezione forse più importante degli ultimi anni di crisi economica è l’inconsistenza, la vuotezza del tempo breve. Per chi gioca in borsa il tempo è un attimo. Così per il politico, quando si nutre di sondaggi al punto di fabbricarseli. Per il giornalista, l’imprenditore, il sindacalista, le generazioni future sono nulla, l’immediato è tutto anche se serve a preservare un potere ormai finto.
Già nell’800 Jacob Burckhardt scriveva che l’indebitarsi dello Stato («La più grande, miserabile ridicolaggine del XIX secolo») era un «dissipare in anticipo il patrimonio delle future generazioni: una superbia senza cuore». Non rattrappisce solo il tempo, come la pelle di zigrino di Balzac. Il rattrappimento colpisce anche lo spazio. Tempo breve e spazio corto eclissano artificialmente le più vaste realtà che sono la nazione, l’Europa, il mondo. L’artificio sta ovunque sbriciolandosi perché ha prodotto danni enormi.
Non la crisi è mentale, come dissero gli avversari di Obama e come ripete Berlusconi. È mentale l’illusorio ottimismo consumistico di cui la crisi è stata la nemesi. Citiamo l’Italia perché da noi questa genealogia mentale della crisi persiste, con molteplici rami. Perché il tempo breve qui celebra i suoi fasti, e più che altrove è malato il rapporto col tempo: passato, presente, dunque futuro. Inutile commemorare 150 anni di storia italiana, se di questa malattia non si discute. Ambedue, tempo e luogo, sono pilastri delle storie nazionali e da noi pericolano. Quando Berlusconi vanta i tanti anni a Palazzo Chigi, quando imprime il suo marchio sull’anniversario dell’unità («Credo sinceramente di essere stato e di essere di gran lunga il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia avuto in 150 anni della sua storia») parla di una cosa apparentemente essenziale: del tempo lungo. Ma è tempo lungo fittizio, centocinquant’anni di storia sono un’emanazione luminescente e plastificata della sua persona e vengono d’un colpo vanificati. Il suo vero tempo è il governare giorno per giorno, come denunciato giovedì da Gianfranco Fini a Gubbio. Lo stesso avvenne in vari paesi sviluppati, prima della crisi: la furia dell’attimo borsistico era la regola, e da essa nascevano i chimerici incanti chiamati bolle.
La mancanza di visione del domani viene spesso identificata con un accidioso attardarsi sul passato. In realtà è il culto idolatrico dell’istante che crea immobilità, se è vero che l’istante nel momento stesso in cui arriva cessa d’esistere. Questo gioco col tempo fabbricato, che lusinga l’artefice e perciò è idolatrico, è una patologia non solo dell’Italia ma in Italia specialmente acuta; è il «chi me lo fa fare» che ricorre nei film di Fellini. Mai meditato a fondo, il passato viene insabbiato, anche giudiziariamente, e le ferite restano aperte. La patologia dell’Italia plasmata da 30 anni di tv berlusconiana è metodica distruzione del tempo. Quando se ne è afflitti accade che una sola cosa resti: l’inalterabile gelatina degli stereotipi. Gli stereotipi sono oggi, dice il Times, la nostra maledizione.
Come si sopprime il tempo? Trasformando la storia lunga in una successione di verbali scoppi rivoluzionari senza seguito, e il leader in prestigiatore carismatico onnipotente. La soppressione del tempo è compiuta da un re che non si cura delle istituzioni, fiero della propria corona ma ignaro di come i regni durino solo se si distingue tra corpo deperibile del monarca e permanere eterno della Corona. Un re che maschera il vuoto dietro il villaggio che Potemkin, amante di Caterina II, allestì lungo il Dnepr, per gabbare la regina (ieri illudeva la cartapesta, oggi lo schermo che gli spagnoli chiamano caja tonta: scatola tonta). Eros e Priapo imperversano come nel saggio di Gadda e sfociano nel sottotitolo gaddiano: «Da furore a cenere». Eros e Priapo vuol dire che il corpo del re è tutto, e il regno niente. Nelle democrazie parlamentari l’equivalente del Regno e della Corona è il senso delle istituzioni, dello Stato, della Costituzione.
La soppressione del tempo accade con la complicità di molti, perché sono molti, in tutti i partiti, ad aver interiorizzato il pensar breve, anzi brevissimo. Non mancano le eccezioni, e grazie alla crisi c’è chi tenta un cambio di rotta. Può apparire paradossale, ma due persone diverse come Obama e Fini allungano lo sguardo, provano a restaurare il tempo. Pur impensierito dal voto di metà mandato, Obama non smette d’insistere sui disastri dei tempi brevi, sull’obbligo di «costruire il futuro». È significativo che Fini abbia dato vita a una Fondazione che usa parole analoghe, «Fare futuro», e che i tempi lunghi siano un suo pensiero dominante.
Società e classi dirigenti riluttano a questo apprendistato. Soprattutto in Italia, Obama è dato per spacciato (i giornali già annunciano il «naufragio della riforma sanitaria») come si dava per spacciato ogni giorno Prodi. Alla furia borsistica dell’istante Obama risponde, nel discorso alle Camere del 9 settembre: «Troppi hanno usato \ come occasione per assicurarsi punti di vantaggio nel breve periodo, anche se così facendo derubano il paese dell’opportunità di risolvere una sfida di lungo termine». E conclude: «Non è quello che ci proponevamo di fare venendo qui. Non siamo venuti qui per aver paura del futuro».
L’uccisione del tempo ha i suoi conformisti, anche tra chi critica il governo. Anch’essi accumulano vantaggi brevi, trascurano l’arduo durare. Il caso Fini è così importante perché svela la permanenza, ben oltre la destra, dello sguardo tattico, corto. Non sono solo i giornali del premier a scagliarsi contro il presidente della Camera. Una più ampia platea reputa velleitarie le sue parole e proposte: perché le giudica prive di immediati consensi. Quante «divisioni» ha Fini? vien chiesto: è vista corta anche questa. Fini e FareFuturo sono minoritari a destra perché guardano oltre, lontano. Qui è la loro forza, che per molti è debolezza. Sono tanti a difendere uno status quo che garantisce popolarità e profitti, subito. Anche l’Unione Europea fu pensata con sguardo lungo, e derisa da chi lo aveva corto. È l’inerte saldezza dei vecchi ordini, descritta da Machiavelli nel Principe: «E debbesi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nemici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene, e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene». L’ordine vecchio rincuora, ma è dal nuovo che verranno i benefici.
Tempo lungo e spazio vasto (lo spazio della nazione, dell’Europa, del mondo) sono le due grandi vittime di chi guarda corto, e con l’accetta abbrevia, rimpicciolisce. Il sindaco di un paesino del Bergamasco, il leghista Aldegano, ritiene che la targa di Peppino Impastato nella biblioteca comunale non interessi nessuno da quelle parti e vada tolta, negando con ciò che mafia e illegalità siano fatti nazionali. Antonio Rapisarda sul sito FareFuturo scrive che simili offese toponomastiche rinchiudono il divenire collettivo «tra le strade del piccolo rione». Non diversa la reazione del premier alla riapertura delle indagini sulla morte di Borsellino e sul patto Stato-mafia: «È follia pura», ha detto l’8 settembre, che le Procure di Palermo e Milano «ricomincino a guardare i fatti del ’92, ’93, ’94». I magistrati sperperano soldi dei contribuenti, «cospirano come tori inferociti».
Non è cospirazione e non è spregio dei contribuenti accendere la luce su quegli anni. Sono gli anni in cui Dell’Utri «promise alla mafia precisi vantaggi in campo politico» (sentenza di primo grado), e nacque Forza Italia. Gli anni in cui ci accorgemmo che era vinta la battaglia contro il terrorismo ma non contro la mafia (Gian Carlo Caselli, Le due guerre, Melampo 2009). Gli italiani non sono solo consumatori-contribuenti ma cittadini con diritto di sapere il tempo da cui vengono e quello verso cui vanno. Giacché tutti viviamo il tempo come il duca di Guermantes in Proust: siamo «appollaiati» sul passato come «su viventi trampoli che aumentano senza sosta» e, certo, per questo siamo malfermi. Difficile camminare su trabiccoli «più alti di campanili». Ma difficile anche - senza trampoli - guardare alto e vedere lontano.

Burton Morris
05-12-09, 14:14
"Affari e Finanza", La Repubblica, 14/09/09

COPERTINA


Libia, tutti gli affari del Presidente


GIOVANNI PONS



è passato un anno dalla firma di Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi del Trattato di Amicizia tra Italia e Libia, una firma che nelle intenzioni del premier era volta a modificare profondamente i rapporti diplomatici e commerciali tra i due paesi.
Ma forse è giunto il momento di chiedersi se la svolta impressa dalla decisione di riconoscere gli errori dell’Italia nell’epoca coloniale e chiedere scusa pubblicamente per le atrocità commesse dai fascisti nel paese africano negli anni ’30, abbia portato effettivi benefici al paese. E anche se esiste, o si sta formando sottotraccia, una sorta di BerlusconiGheddafi connection, come denuncia il quotidiano inglese Guardian. Analizzando l’excursus di questo anno passato sottobraccio alla Libia si fa strada l’idea che al momento i maggiori benefici dell’accordo fortemente voluto da Berlusconi si sono cominciati a manifestare più in campo politico che economico. A dar retta ai dati del ministro dell’Interno Maroni, infatti, sembrerebbero diminuiti gli sbarchi di clandestini sulle coste del sud Italia e provenienti dalla Libia. Ma quando si passa alla sfera economica i risultati sono ampiamente al di sotto delle attese. Non solo non si sono visti importanti investimenti da parte dei fondi sovrani libici nelle aziende italiane, ma anche le commesse, gli appalti e gli accordi tra le imprese dei due paesi si contano sulle dita di una mano. Non solo. La più grande opera prevista dal Trattato, l’autostrada costiera che deve collegare la Tunisia all’Egitto, del costo di 5 miliardi di euro totalmente a carico dell’Italia, rischia di incontrare seri rischi di finanziamento.
Gli accordi BerlusconiGheddafi prevedono infatti una tassa, chiamata addizionale Ires sulle società petrolifere, con la quale si spera di raccogliere i soldi necessari nell’arco di 20 anni. Ma qualcosa non sta girando nel verso giusto. All’inizio della scorsa settimana, infatti, l’Eni ha presentato una istanza all’Ufficio delle Entrate proprio contro l’addizionale Ires, dicendosi pronta a impugnare il provvedimento. Il balzello è stato valutato dal cda dell’Eni in 230250 milioni all’anno nel prossimo triennio e grava quasi interamente sulla maggiore società petrolifera italiana. Che sta preparando delle contromisure (cfr box qui a lato). Una mina che rischia di mandare all’aria l’intero impianto del Trattato già approvato dal Parlamento nella sua interezza.
La palla alla fine rischia di finire come al solito nel campo del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il quale non ha alcuna intenzione di aprire il borsellino per finanziare un’opera pubblica di un paese straniero. È chiaro comunque che, essendo il Tesoro il principale azionista dell’Eni, e l’Agenzia delle Entrate anch’essa sotto la diretta influenza del ministero, una qualche soluzione al pasticcio dell’addizionale Ires Tremonti dovrà pur trovarla. Se non altro per l’importanza che i giacimenti di petrolio e gas situati in Libia hanno per l’Eni. Anche se questa volta, assicurano i bene informati, l’opposizione potrebbe essere molto più dura di quando, per esempio, venne introdotta la Robin Tax.
Questa volta c’è di mezzo Gheddafi e la sua politica estera che recentemente non ha mancato di sollevare polemiche a tutti i livelli. Dalla guerra diplomatica con la Svizzera per l’arresto del figlio Hannibal reo di aver maltrattato due cameriere, al recente attacco a Israele, paese colpevole, secondo il colonnello libico, di «tutti i conflitti che insanguinano l’Africa», fino all’accoglienza da eroe riservata al terrorista Addel Baset al Megrahi, condannato per l’attento di Lockerbie del 1988 e liberato quest’estate dalle autorità scozzesi. Proprio giovedì scorso Barack Obama ha espresso il suo «rammarico» al primo ministro britannico Gordon Brown per la decisione presa su Al Megrahi, nonostante sia motivata da una grave malattia. Un episodio che ha già fatto dimenticare la stretta di mano tra Obama e Gheddafi a L’Aquila in occasione del G8 di luglio.
Così, pare abbastanza evidente che nel contesto internazionale stia montando una certa insofferenza verso la politica eccessivamente accomodante di Berlusconi nei confronti della Libia. Sia la Francia che la Gran Bretagna si guardano bene dal compiere alcun riconoscimento formale degli errori del colonialismo in terra africana e per questo motivo i rapporti con l’Algeria, il Marocco, la Tunisia per questi paesi e la stessa Libia rimangono difficoltosi. Il presidente Sarkozy a fine agosto ha declinato l’invito di Gheddafi per la celebrazione della rivoluzione verde e Gordon Brown non l’ha nemmeno presa in considerazione mentre Berlusconi si è fatto vedere a Tripoli il 30 agosto per l’anniversario della firma del Trattato e posare la prima pietra della famosa autostrada, un modo evidente di distinguersi dai colleghi francese e inglese. Quando poi il Guardian lo ha attaccato sulla presunta Libia Connection, una parte della colpa è stata attribuita proprio a una sorta di "invidia" di Francia e Gran Bretagna per il filo diretto instaurato con Tripoli. Un filo che però finora non ha portato particolari benefici alle imprese italiane mentre un primo riconoscimento Berlusconi l’ha ottenuto con l’ingresso del fondo sovrano di Gheddafi nella Quinta Communication, società francese fondata nel 1989 da Tarak Ben Ammar e dallo stesso Berlusconi per dar corso a delle produzioni cinematografiche. In pratica già oggi si può affermare che la Fininvest della famiglia Berlusconi e il fondo sovrano libico sono diventati soci con l’obbiettivo di produrre film sul mondo arabo.
A parte ciò, l’unico investimento consistente, finora, del Lybian Investment Authority (Lia) e della Banca centrale libica riguarda i 2,2 miliardi destinati a comprare azioni Unicredit. I buoni uffici degli uomini di Alessandro Profumo con i preparati funzionari del fondo sovrano libico hanno portato all’acquisto del 5% delle azioni nel momento di maggiore difficoltà per la banca milanese nell’autunno 2008. Investimento poi arrotondato con altri 690 milioni di prestito convertibile e la nomina del banchiere centrale Farhat Bengdara alla vicepresidenza di Piazza Cordusio. Ma a parte questa incursione gli altri dossier caldi giacciono immobili.
In Mediobanca, che si era posizionata nella veste di trait d’union tra i soldi libici e le aziende italiane, non si muove una foglia. Proprio un anno fa si era parlato di un investimento dei libici in Telecom Italia, una via per sostituire il socio ingombrante Telefonica con qualcuno di più vicino alle strategie e agli interessi della società italiana. Ma i problemi di prezzo hanno allontanato la possibilità anche se oggi quell’accordo sembrerebbe più fattibile. Poi era stato annunciato un interesse a salire fino al 10% dell’Eni, ma la quota è tuttora ferma all’1%. Così come non se n’è fatto niente dell’aumento di capitale dell’Enel dove a un certo punto i libici erano indicati come importanti sottoscrittori. Da segnalare durante l’estate l’annuncio di alcune joint venture con Finmeccanica nei settori militare ed energetico, operazioni che comunque non comportano impiego di denaro fresco. Anche perché la presenza diretta di capitali libici nella società italiana comporterebbe un controllo indiretto sull’azienda americana Drs, recentemente acquistata da Finmeccanica, con inevitabili reazioni da oltreatlantico.
Dei lavori per l’autostrada dovrebbe beneficiare principalmente Impregilo, società di costruzioni presente da quarant’anni in Libia. Per il resto tutto bloccato, probabilmente a causa dei dissidi famigliari interni alla famiglia Gheddafi, dicono fonti bene informate. Dopo la sconfessione di Saif, il secondogenito della seconda moglie del colonnello che pareva destinato alla successione, l’incertezza regna sovrana e finché questo punto non sarà risolto gli investimenti libici all’estero rischiano di rimanere paralizzati. A parte qualche immobile a Londra o a Parigi.

Burton Morris
05-12-09, 14:14
Lo show senza concorrenza

• da La Stampa del 16 settembre 2009, pag. 1

di Mattia Feltri


Il farfallone amoroso gode del suo giorno dell’orgoglio e si riabilita - sempre che ne avesse bisogno - vestendosi e rivestendosi come Leopoldo Fregoli. Occhi lucidi e respiro lungo: tutti felici.
La concorrenza, si sa, non c’è: motivi tecnici. Ballarò spostato a domani, Matrix alla prossima settimana, sono questioni di palinsesto e, dicono da Mediaset, di diffocoltà organizzative; la Champions, dove Pippo Inzaghi collabora alla restituzione della grandeur, è confinata in pay e tutto il mondo televisivo - disinteressato agli ultimi giorni di Adolf Hitler su RaiTre - può assistere al trionfo del presidente del fare.
Fregoli, dicevamo: il presidente giardiniere illustra le qualità terapeutiche del fieno steso sul manto erboso; il presidente ingegnere dettaglia sulle costruzioni antisismiche, le doppie piastre, gli «assorbitori di potenza»; puntando gli indici, il presidente architetto deraglia nella plastificazione poiché il quartiere Bazzano, ricostruito a cinque chilometri dall’Aquila, è stato edificato di modo che le case sembrino di epoche diverse, e non «artefatte», e di conseguenza artefatte sono; il presidente designer guida la visita dentro alle case di legno che saranno consegnate con gli armadi - «anche con gli attacca-abiti» - e apre i frigoriferi delucidando sui requisti dell’ultimo modello; il presidente anglofono dice: «People first»; il presidente pater familias ha una pacca per tutti.
E mille e mille presidenti, il presidente anticomunista, il presidente imprenditore che nega le correzioni delle sue reti per favorire gli ascolti del gran ritorno di Porta a Porta, il presidente San Sebastiano traffito dai dardi della tv pubblica. E infine (per modo di dire) il presidente Tafazzi che non guarda più la tele. Ma in fondo è la serata squillante del governo del fare - non della ciàcola, non della lascivia - in un’elencazione di record che avrebbe mandato in tilt anche un Rino Tommasi, e il terrore sale quando il premier sfodera l’elenco delle opere compiute. Record, record e record: due mesi per l’asilo Giulia Carnevali (dal nome della giovane progettista morta nel terremoto, e il padre in studio, dignitosissimo, invita a guardare avanti), record; quattro mesi per le casette, record; entro settembre tutti fuori dalle tende, record; i giapponesi, gli americani e gli australiani ci invidiano le tecniche e i tempi, record; Nancy Pelosi che dice a Berlusconi: «Un’impresa del genere per noi negli Stati Uniti sarebbe stata impossibile», record; ho governato più di Alcide De Gasperi, record; ho governato meglio di De Gasperi, record.
E poi la gente, il people, e gli operai, i man at work, che dalla cima delle gru chiamano il presidente a braccia levate: «Silvio! Silvio!». L’uomo vecchio e stanco e barbuto che entra nella casa appena ricevuta e non resiste a un singulto di commozione. La donna col bimbo in braccio che sull’uscio dell’asilo sente la vita che ricomincia. I terremotati in piazza che si guardano attorno e dicono: è un miracolo, un miracolo. Faremo di più, faremo meglio, dice Berlusconi: abbiamo un know how che riproporremo per costruire le carceri, le centodieci città dove le giovani coppie troveranno l’abitazione che non trovano oggi, basta infilare tre turni di otto ore al giorno per ridurre i tempi di due terzi.
Sull’altra parte della barricata resta un povero Stefano Pedica, coordinatore laziale dell’Idv di Antonio Di Pietro, che fa picchetto all’ingresso della sede Rai di via Teulada, ma tanto Berlusconi entra lo stesso. E dentro il sindaco dell’Aquila, Stefano Cialente, cerca soltanto di attutire lo scoppio dei mortaretti. Qualche giornalista propone dei distinguo travolti dall’energica e fluviale parlantina del presidente del Consiglio. Piero Sansonetti si prende la briga di dirne due o tre. Bruno Vespa abbozza un paio di bisticci rapidamente sedati. E’ l’occasione buona per regolare i conti, da presidente pompiere, e per il resto rimangono negli occhi le casette di legno che casette non sono, dice Berlusconi, semmai ville dove a tutti noi piacerebbe abitare. Anche a lui, sembra, al farfallone amoroso che si autodichiara dittatore, scherzando, il narcisetto, ora che non più andrà notte e giorno d’intorno girando delle belle turbando il riposo.

Burton Morris
05-12-09, 14:15
Informazione: Ass. Coscioni chiede a Schifani, Fini e Zavoli il ripristino degli spazi dell’accesso illegalmente sospesi


Roma, 15 settembre 2009



Questa mattina, i dirigenti dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica hanno inviato una lettera aperta ai Presidenti delle Camere Schifani e Fini e al Presidente della Commissione di vigilanza Zavoli sul mancato rispetto degli obblighi di legge relativi all’accesso al Servizio pubblico per l’informazione radiotelevisiva. Ecco di seguito il testo della lettera, firmata dal Segretario Marco Cappato, dal Tesoriere Rocco Berardo e dai Co-Presidenti Maria Antonietta Farina Coscioni e Gilberto Corbellini:

“Gentili Presidenti, in Italia sono stati abrogati di fatto gli spazi di comunicazione riconosciuti dalla legge numero 103 del 1975 “ai partiti ed ai gruppi rappresentati in parlamento, alle organizzazioni associative delle autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e culturali, alle associazioni nazionali del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta”. Oltre alle Tribune politiche in periodo non- elettorale, dal febbraio 2008 sono illegalmente eliminati anche i cosiddetti “Spazi dell’accesso”, riservati al mondo associativo. L’associazione Luca Coscioni, come altre centinaia di organizzazioni e gruppi titolati a ottenere accesso al Servizio pubblico Radiotelevisivo, ha inoltrato domanda ed è da mesi in attesa di una risposta. A quanto pare, l’obbligo di legge sarebbe bloccato dalle manovre –dovremmo dire “solite” manovre, se non si prestasse all’equivoco di un’assuefazione che può essere altrui ma non nostra- di quello che per noi è un Regime sempre più apertamente anti-democratico, incapace di rispettare le proprie stesse regole. Con la presente Vi chiediamo, illustri Presidenti, un’azione urgente per il ripristino della legalità e il rispetto degli obblighi posti a tutela dei diritti civili e politici dei cittadini. Rimaniamo in attesa di una vostra cortese ed urgente risposta.”

Burton Morris
05-12-09, 14:16
"La Stampa", 20 Settembre 2009, pag. 13


“Le manovre di Palazzo non mi faranno fuori”

Vendola: con Fitto la politica era organica al sistema
Sì all’Udc senza alchimie o mi presento alle primarie

Intervista al presidente della Regione Puglia

RICCARDO BARENGHI
ROMA


L’informativa: con la dichiarazione «rischio la vita» voleva attirare
l’opinione pubblica


Il governatore della Puglia non è agitato dall’imminente chiusura delle inchieste che hanno sconvolto la sua regione e colpito in parte anche la sua giunta. Prima cita le Sacre scritture: «La verità ci farà liberi dal peccato». E poi lancia la sfida ai suoi alleati di oggi (il Pd) e quelli eventuali di domani (l’Udc di Casini): «Anch’io voglio costruire una coalizione più larga per le prossime regionali. Ma se dovesse sorgere un problema sul mio nome, allora li avverto: mi candido alle primarie».
Lei non è preoccupato di quel che potrebbe venir fuori una volta che le inchieste saranno chiuse?
«Tutt’altro, semmai tiro un sospiro di sollievo perché finalmente si passa da teoremi accusatori amplificati dal circuito mediatico alla conoscenza di quali sono i temi, i problemi reali e le persone coinvolte».
Tra i quali anche il vicepresidente della sua giunta, Frisullo e l’ex assessore alla sanità Tedesco, entrambi del Pd.
«Vedremo gli atti giudiziari, ma noi non abbiamo aspettato che finissero le indagini per bonificare la politica. Ovviamente è stato traumatico scoprire che pezzi della mia coalizione erano coinvolti in questa storia ma non è un caso che le due persone che lei ha citato siano fuori dal mio governo da tempo».
Non mi dirà che l’intreccio tra politica e affari, in particolare quando c’è di mezzo la sanità, riguarda solo loro due?
«Certo che no, è un sistema malato, direi anche marcio, che infatti si ripresenta da anni. Quando poi la Puglia era governata da Fitto, il rapporto tra la sanità privata (i Tarantini, gli Angelucci, i Tato Greco) e la politica era addirittura organico. Non parlo a vanvera, basta sentire le intercettazioni del 2002, del 2003 e del 2004. Ma io non voglio giocare a ping-pong sulla questione morale, oscillando tra urla populiste e deriva giustizialista: deve invece essere una lezione per tutti e tutti dovrebbero ricominciare da un lavoro che renda impermeabile la politica al sistema degli affari. Noi abbiamo cominciato a farlo».
In vista delle elezioni regionali di marzo, c’è un gran lavorio del Pd, in particolare di D’Alema che in Puglia conta parecchio, per allargare la coalizione anche all’Udc. Lei sarebbe favorevole?
Certo che lo sono, a patto però che non si costruisca una coalizione in laboratorio, una sorta di alchimia elettorale. Io sono aperto a discutere con l’Udc sulle questioni programmatiche, culturali e ovviamente morali».
Ma si dice che il prezzo per questa alleanza sarebbe la sua testa, se Vendola facesse un passo indietro...
«Non sono disponibile a fare passi indietro ma solo in avanti. Io sono figlio delle primarie, che ho vinto sconvolgendo gli accordi tra le segreterie dei partiti. Quindi non sarà una manovra di palazzo a scalzarmi. Se ci provano io mi ricandido alle primarie di coalizione: e vediamo chi le vince».
Invece a livello nazionale la sua Sinistra e Libertà che pensa di fare, entrerete nel Pd?
«Domani (oggi per chi legge, ndr) faremo la nostra assemblea a Bagnoli, apriremo le iscrizioni e nomineremo un gruppo dirigente transitorio fino alle regionali. Dopo di che faremo il nostro congresso».
Quindi un nuovo partito e niente Pd?
Noi incroceremo spesso e volentieri il Pd sulla nostra strada, ma difficilmente quel partito potrà essere attrattivo per le nostre ambizioni».
Detto più chiaramente, resterete fuori anche se il prossimo leader dovesse essere Bersani al quale voi guardate con parecchia simpatia?
«Non siamo entrati finora perché siamo nati su un’opzione diversa e su quella continuiamo a marciare. Quanto al futuro segretario del Pd, non ho alcuna intenzione di schierarmi con l’uno o con l’altro. Mi interessano le scelte politiche e culturali che quel partito farà per poter costruire insieme a loro e ad altri un largo fronte di alternativa al berlusconismo».
Compreso Di Pietro?
«Io nutro un dissenso radicale col giustizialismo, ma se Di Pietro uscisse dalla sua nicchia declamatoria si potrebbe anche aprire una discussione. Noi però non abbiamo bisogno di nuovi Savonarola o Torquemada».
A proposito di declamazioni, ieri il ministro Brunetta ha invitato la sinistra ad «andare a morire ammazzata»...
«Un lessico parafascista. Che dimostra come la cultura della mediazione, che è stata la bussola della Dc, oggi sia stata sostituita da una sorta di squadrismo di Stato. Brunetta e Feltri si comportano come due hooligans...».

Burton Morris
05-12-09, 14:17
"La Repubblica", SABATO, 19 SETTEMBRE 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

IL RUFFIANO E IL PRESIDENTE

GIUSEPPE D´AVANZO

Gianpaolo Tarantini deve essersi detto: faccio così, ammetto negli interrogatori quel che non posso negare o contraddire e dunque le feste a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa; il pagamento delle prostitute che infilavo nelle cene e nel letto di Silvio Berlusconi; l´uso della cocaina che a decine di grammi distribuivo nelle mie feste private. Confesso i legami cuciti – sempre attraverso notti di sesso nella garçonniere all´angolo Extramurale Capruzzi, a Bari – con gli amministratori regionali di sinistra, come quel Sandro Frisullo. Lascio capire che anche quel D´Alema – sì, quel D´Alema – l´ho avuto a tavola o in barca.




«Qualche volta» dico, alludendo a un´amicizia che purtroppo non è mai nata. Concludo che qualche affaruccio me n´è venuto - è vero, diciamo una certa «visibilità con i primari» che poi mi dovevano comprare le protesi che vendevo - ma poi niente di che, tutto sommato. Chiedo il patteggiamento (due anni di pena) ed esco da questa storia un po´ ammaccato e con qualche benemerenza da mettere sul tavolo nella mia seconda vita. Ho soltanto 35 anni, no? Un merito sarebbe stato sicuro e consistente, deve aver pensato Tarantini. Se patteggio, tengo fuori dai guai «il Presidente» perché nessuno potrà più ficcare il naso nelle decine e decine di telefonate tra me e lui - intercettate, purtroppo. Quelle chiacchiere, sì che lo metterebbero in imbarazzo.
La strategia di difesa di Tarantini è legittima, come tante altre. Si sbriciola dinanzi al rifiuto del pubblico ministero. Che nega il patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti) perché - dice il procuratore di Bari, Antonio Laudati - «l´attendibilità delle dichiarazioni dell´indagato deve essere verificata con ulteriori accertamenti. È vero, ho detto che, leggendo i verbali sui giornali, appare evidente che non ci sono responsabilità del presidente del Consiglio, ma le indagini non sono terminate e si deve verificare quanto è stato raccontato. Lo faremo in tempi rapidi».
Le parole del procuratore devono aver spaventato Tarantini, e non soltanto Tarantini. Che era nei guai e ci si ficca ancora più a fondo, a testa in giù. Comincia (sostiene la guardia di finanza) a trafficare con i testimoni e con le prove. Se le aggiusta per rendere attendibili, per i magistrati, i suoi ricordi. Forse, progetta una fuga all´estero per tirare il fiato e alleggerire la pressione in attesa di una luna migliore. Si vedrà se gli investigatori hanno visto giusto. Nell´attesa, alla mossa di Gianpi, la procura ne oppone un´altra, tattica e astuta. Non ne chiede l´arresto, ma soltanto il fermo. Quindi, è obbligata a consegnare al giudice delle indagini preliminari, che dovrà convalidarlo, soltanto qualche pezzullo di carta che documenta il pericolo di fuga o l´inquinamento probatorio e nulla di più. Lo scrigno delle fonti di prova già raccolte resterà chiuso e quindi, per il momento, le intercettazioni del presidente del Consiglio, le testimonianze delle giovani falene che hanno trascorso la notte a Palazzo o in Villa, gli amici di Gianpi che tiravano su la cocaina che egli dispensava con generosità, le tracce dei traffici sanitari resteranno ben protette.
* * *
Un´indagine penale non è soltanto l´accertamento di responsabilità personali (come sembra credere Ernesto Galli Della Loggia), è anche teatro, memoria collettiva, luce che illumina il mondo, che rivela pratiche, passioni, coraggio, debolezze, irresponsabilità, che racconta la tenuta di regole e dispositivi che evitano anarchia e soprusi e fanno ordinato il nostro vivere insieme. È un ordigno che riesce a dirci, qualche volta, e spesso non in modo esaustivo, dove viviamo, che cosa vi accade, con chi abbiamo a che fare. Da questo punto di vista, la storia di Gianpaolo Tarantini non è questo termitaio dai corridoi intricati.
Gianpi è in affari e s´è fatto ruffiano per accrescerli. Tutto qui, in soldoni. La sua intuizione è che, nell´Italia di oggi, il potere del sesso - l´influenza che può avere sugli uomini che governano il Paese o una Regione o un´Azienda sanitaria - ha la stessa energica forza corruttiva del denaro, grimaldello decisivo per gli affari neri degli anni novanta. È acuto il fiuto del giovanotto che forse avrà studiato anche psicologia sociale nel suo master in marketing all´università di Herisau, nello svizzero Canton Appenzello. L´intuizione, comunque, è subito vincente a Bari. Sandro Frisullo, vicepresidente regionale, abbocca all´amo di Tarantini. Gianpi gli organizza in un appartamento in affitto in via Giulio Petroni, angolo via Extramurale Capruzzi, incontri sessuali ora con Terry De Nicolò ora con Vanessa Di Meglio, ricompensate con cinquecento euro.
Tarantini attende l´arrivo dell´amico. Cenano in tre. Al caffè, Gianpi si leva di torno. Le chiama «attenzioni» non corruzione. «Le attenzioni da me avute per Frisullo mi hanno consentito - dice - di essere presentato al dottor Valente, direttore amministrativo dell´Asl di Lecce. Chiedevo un´accelerazione dei pagamenti per le prestazioni effettuate dalle mie aziende e l´esecuzione di una delibera adottata in materia di acquisto di tavoli operatori. So che Frisullo ha rappresentato più volte le mie esigenze a Valente ed io personalmente ne ho parlato con lo stesso Valente. I pagamenti sono avvenuti anche se comunque in ritardo, altrettanto per la delibera. La frequentazione di Frisullo mi serviva soprattutto per acquistare visibilità agli occhi dei primari che portavo da Frisullo».
* * *
Il metodo funziona, dunque. Tarantini decide di fare un salto, il gran salto, l´avventurosa capriola verso un sorprendente, inatteso successo. Dice a se stesso che se la sua intuizione è efficace in Puglia perché non deve esserlo altrove. Magari a Roma, nella Capitale, e con l´uomo che ha in mano in Paese? Dicono che le cose siano andate così. Non è stato il giovane ruffiano a bussare alla porta di Berlusconi, ma - scaltro, forse già conosce le debolezze del presidente - Tarantini è riuscito a giocare con Berlusconi come il gatto con il topo.
Accade nell´estate del 2008. Tarantini affitta, pagando centomila euro al mese (pare), la villa Capriccioli, a cinque minuti da Porto Cervo e non troppo lontano dalla Villa Certosa del capo del governo. A quel punto è un gioco da ragazzi - anche se molto, molto costoso - riempire la casa, il giardino, la spiaggia di bellezze, di cocaina, di allegria e risate e poi attendere, immobile come un ragno. Il calabrone cade nella rete. Pare che l´Egoarca non se ne capacitasse e il suo grandioso senso del sé ne fosse ferito: quelle giovani donne non si dirigevano alla Certosa, ma altrove, da un altro. Chi diavolo è questo «Gianpi» di cui tutti parlano quest´estate? Berlusconi chiede di sciogliere l´arcano a Sabina Beganovic, «l´ape regina» (Dagospia), donna così fidata da essersi tatuata su un piede «S. B. l´uomo che mi ha cambiato la vita». La Beganovic torna dall´Egoarca con le informazioni giuste e Tarantini ha finalmente accesso a corte. Con lui, le sue "ragazze".
«Io - sostiene oggi il giovanotto - ho voluto conoscere il presidente Berlusconi e mi sono sottoposto a spese notevoli per entrare in confidenza con lui e, sapendo del suo interesse per il genere femminile, non ho fatto altro che accompagnare da lui le ragazze che presentavo come mie amiche tacendogli che a volte le retribuivo». Berlusconi gradisce molto e consente a Tarantini di coltivare un sogno di potenza: perché rinchiudersi nel piccolo recinto degli affari sanitari pugliesi e non pensare in grande? Perché non diventare, grazie all´amicizia con «il Presidente», un imprenditore di carattere nazionale, europeo o, perché no?, un lobbista per tutte le decisioni che «il Presidente» può favorire, per i business che l´intervento del «Presidente» può rendere fluidi e vincenti?
L´impresa non pare impossibile a Tarantini. Bisogna investire un po´ di denaro, pagare le prostitute, accompagnarle a Palazzo Grazioli. Che ci vuole? La difficoltà semmai è avere sempre le "ragazze" a disposizione perché, si sa com´è «il Presidente», magari chiama nella tarda mattinata, prima o dopo un Consiglio dei ministri, e vuole che a sera - dopo un paio d´ore, maledizione - la festa sia organizzata. Ci sono giorni che Gianpi è come fuori di testa. Lo vedono agitato e inquieto come una mosca contro un vetro. Ha chiamato «il Presidente» e lui non ha disposizione quel che serve. Telefona, ritelefona, chiama e richiama questo, quello, chiunque possa aiutarlo, chiunque conosca almeno «una donna immagine che all´occorrenza avrebbe potuto anche effettuare prestazioni sessuali». Così ingaggia, il 16 ottobre, Patrizia D´Addario.
Gianpi riesce sempre a cavarsela con un salto mortale. Per non farne più, e rompersi il collo, comincia a corteggiare con accorti regali la rete di "ragazze" controllate, per così dire, da Sabina Beganovic. Forse per ingraziarsele, le rifornisce di cocaina, in palazzi sbagliati, off-limits. Non ne possono venire che guai che, infatti, non mancano. Il 20 dicembre del 2008, l´»ape regina» perde la pazienza, telefona a Gianpi (intercettato) e lo affronta a muso duro.
Sabina. «Hai capito Gianpaolo, che cazzo fai? Mandi alla gente regali e metti a me in una bruttissima situazione. Cioè io non so niente e tu ti spacci per mio amico … Per favore, non mi mettere in questa situazione»
Gianpaolo. «Io non l´ho fatto perché ti voglio sorpassare».
Sabina. «Ma figurati, non fare il furbo con me… Non mi mettere nei casini. Non fare il paraculo con me».
Gianpaolo. «Io non ho mai portato niente».
Sabina. «Ah bello!, io ho i testimoni. Ti ho detto: non fare il furbetto con me».
* * *
I conflitti con Sabina Beganovic non impediscono, in cinque mesi, a Tarantini (come ammette) di accompagnare trenta "ragazze" a diciotto cene del Presidente. Non tutte sono state pagate, non tutte sono prostitute, anche se in qualche caso «non disdegnano di essere retribuite per prestazioni sessuali». Gianpi tocca «il cielo con un dito». È nelle grazie del Presidente, finalmente. Può chiedergli di incontrare Guido Bertolaso per certe sue ambizioni (che, dice, ambizioni resteranno). Tarantini è il compagno fisso del «Presidente» in spensieratezze notturne, così appassionate da convincere il capo del governo a saltare qualche impegno pubblico. Come (lo racconta l´Espresso in edicola) tra il 23 e il 28 settembre. Le cose vanno così.
Il 23 settembre iniziano i lavori delle Nazioni Unite. Ci sono i leader del mondo. Durante la prima giornata parlano George W. Bush, Nicholas Sarkozy, il presidente iraniano Ahmadinejad. Gianpi a Roma ha organizzato per il premier una festicciola con Carolina Marconi, Francesca Garasi, Geraldine Semeghini, Terry De Nicolò. Ci si diverte e si fa presto a vedere l´alba. Il giorno dopo (mercoledì) Berlusconi decide di non partire più per il Palazzo di Vetro. Diffonde una buona ragione. Patriottica e irreprensibile. Deve seguire da vicino la crisi dell´Alitalia. Se ne stufa presto, però, ammesso che ne abbia mai avuto l´intenzione. In gran segreto raggiunge il castello di Torre Errighi, nei pressi di Melezzole di Montecchio di Terni e Health Center di Marc Méssegué, riaperto per la sua improvvisa visita. «Berlusconi di fatto scompare dai radar per cinque giorni» scrive l´Espresso. Frattini e Letizia Moratti sono costretti a presentare da soli l´Expo 2015 di Milano mentre Gianni Letta, sostenuto da Walter Veltroni, fa i salti mortali per far firmare la pace tra la Cai e i sindacati e salvare l´Alitalia.
L´indimenticabile settimana dell´Egoarca finisce così. Domenica 28 un elicottero della protezione civile lo accompagna dal castello di Torre Errighi a Ciampino, dove prosegue per Milano, destinazione San Siro. C´è il derby, e sugli spalti «il Presidente» è in compagnia di Tarantini. Gianpi ha con sé una nuova ragazza. La chiamano l´Angelina Jolie di Bari. Si chiama Graziana Capone, che racconta il post-partita: passeggiata in auto, arrivo ad Arcore, cena e festino con una decina di ragazze. Il Milan ha vinto uno a zero, il premier è euforico. «Abbiamo tirato fino a tardi, le quattro forse, qualcuna si è addormentata sul divano» (Repubblica). Il fastidio alla schiena del Presidente non c´è più, come per un miracolo. Dopo poche ore di sonno, Berlusconi può festeggiare di nuovo sul lago Maggiore i suoi settantadue anni in una scena, questa volta tutta familiare. «Ora resto a lavorare - dice ai giornalisti - Nessuna festa serale, perché abbiamo già festeggiato oggi» (l´Espresso).
* * *
Tarantini oggi vuole riuscire nell´impresa di liberarsi con il minimo danno dalle sei inchieste che lo coinvolgono senza danneggiare il presidente del Consiglio. Un´altra avventurosa capriola. Dice: «Ho fatto una cavolata, sono stato uno stupido. Quando ho avuto la possibilità di conoscere Berlusconi, ho toccato il cielo con un dito. Non mi sembrava vero. Poi l´ho conosciuto sul piano personale, con la sua simpatia, il suo calore umano, il suo rispetto per gli altri, la sua genialità. Davvero irresistibile. E ho creduto che sarebbe stato più facile frequentarlo facendomi accompagnare da bellissime ragazze. Gli chiedo scusa» (il Giornale). Gianpi non deve essere stato sollevato quando ha sentito «il Presidente» fingere dalla Maddalena di non ricordare nemmeno il suo cognome. «Un imprenditore di Bari, Tarantino o Tarantini, era venuto ad alcune cene facendosi accompagnare da belle donne. Erano ragazze che questo signore portava come amiche sue, come sue conoscenti».
Tutto cancellato, dunque? Come se quei fantastici mesi di feste, scorribande, canti, barzellette, cene, belle donne in tubino nero e trucco leggero, passioni, sesso non fossero mai esistiti. Come se le decine e decine di conversazioni telefoniche tra lui e «il Presidente» - quanto pressante, a volte - non ci fossero mai state. Come se il sogno di Tarantini fosse soltanto il delirio di un provinciale convinto che il potere del sesso è quel che serve oggi per fare affari e addirittura chiudere in una rete di ragno, quel calabrone del capo del governo. «Utilizzatore finale» - certo - ma anche complice del ruffiano (le intercettazioni documentano la sua disponibilità per i maneggi del giovanotto) e regista di uno spettacolo di cui era unico protagonista, unico spettatore, il solo impresario.
Può essere anche che finisca senza conseguenze la ricostruzione giudiziaria, si vedrà, ma quel che ci racconta quest´indagine penale è altro e ben visibile. Ci dice dove viviamo, che cosa vi accade, con chi abbiamo a che fare e non è sempre necessaria una sentenza della magistratura per comprendere e giudicare. Spesso, basta soltanto buon senso e un miccino di onestà.

Burton Morris
05-12-09, 14:18
Enti locali: il premio non si nega a nessuno

• da Corriere della Sera del 22 settembre 2009, pag. 1

di Gian Antonio Stella

Il «golpino» vorrebbero farlo a lui, Renato Brunetta, che proprio l’altro giorno aveva denunciato un tentato golpe dei «poteri forti» contro il governo. E a tentarlo non sarebbe la sinistra ma la stessa maggioranza. Dove c’è chi non apprezza il nodo della riforma: premi ai più bravi e zero ai fannulloni. E vorrebbe una deroga per tutti i dipendenti di Regioni, Comuni, enti locali, mondo sanitario. Lui, il ministro che da mesi tuona sulla necessità di scuotere il pubblico impiego introducendo finalmente la meritocrazia, sdrammatizza. «Mano, mano... Ho sempre detto alla Conferenza delle Regioni: la riforma dobbiamo farla insieme. D’altra parte è ovviamente loro la responsabilità dei dipendenti loro. Dobbiamo fidarci reciprocamente. Le commissioni parlamentari danno solo un parere. Consultivo. Non vincolante. Se chiederanno meno trasparenza dirò: non sono d’accordo. Se chiederanno più trasparenza dirò: benissimo. Accetterò tutti pareri, ma purché siano coerenti con lo spirito della legge». Il fatto è che, a leggere il Sole 24 ore, le cose stanno un po’ diversamente. Avete presente cosa dice la «Brunetta»? Fermo restando lo stipendio base contrattuale uguale per tutti, i premi in busta paga non dovranno più essere distribuiti a pioggia in modo appiattito e ugualitario, senza distinzione tra bravi e lavativi, ma spartiti in tre fasce: agli eccellenti (uno su quattro) deve andare la metà del «monte premi», i medi (due su quattro) devono dividersi l’al tra metà e quelli individuati come incapaci, assenteisti o peggio non dovranno avere un solo centesimo supplementare. Le obiezioni sono note: chi deciderà chi è bravo e chi è scarso? Chi potrà assicurare una ripartizione dei soldi corretta, cioè non influenzata dalle amicizie, dalla simpatia, dalle parentele o addirittura dalla clientela politica, in un Paese che sotto questo profilo non offre affatto le migliori garanzie? Dubbi legittimi. Ma è inaccettabile il sistema attuale. Che di fatto, mettendoli sullo stesso piano dei bravi, premiai peggiori. E sgretola le fondamenta di qualsiasi efficienza. Il risultato lo rivelò un giorno il predecessore di Brunetta, Luigi Nicolais: tutti ma proprio tutti i 3.769 dirigenti ministeriali italiani erano arrivati ad avere il massimo dei punti di valutazione, quindi il massimo dello stipendio. Come se su 3.769 cavalli fossero tutti purosangue senza la presenza di un solo ronzino, un solo somaro, un solo brocco. Insomma: una svolta è indispensabile. Il «sistema Brunetta» non è perfetto? Può darsi. Anzi, diamolo per scontato: sbagliava dei dribbling nei giorni migliori perfino Ronaldinho, figurarsi Renatinho. Tutto si può fare meglio. Anche un progetto di riforma che premi il merito. Quello che hanno in mente un po’ di membri delle commissioni unite Affari istituzionali e Lavoro di Montecitorio però, spiega Gianni Trovati sul Sole, è un’altra cosa: è il depotenziamento del principio cardine della riforma, quello secondo cui la differenza fra lo stipendio di chi si impegna e di chi se ne infischia deve essere netta. In commissione hanno in mente un’altra cosa: il governo vari pure la sua riforma per i dipendenti statali, purché quella griglia di tre fasce non venga imposta alle Regioni, agli enti locali e a tutto il mondo della Sanità. Vale a dire a circa un milione e trecentomila dipendenti pubblici. Pari al 37% del totale. «I meccanismi di un comune, magari piccolo, non possono essere uguali a quelli impiegati in una struttura con migliaia di dipendenti», ha spiegato il berlusconiano Giorgio Stracquadanio, che con il collega di partito Michele Scandroglio è relatore del provvedimento. Ed ecco quindi la prima deroga immaginata al decreto attuativo della riforma: niente gabbie «brunettiane» per i comuni con meno di 8 dipendenti o dì cinque dirigenti. Un ritocco apparentemente sensato, se questi comuni con più di cinque dirigenti non fossero, di fatto, solo quelli con più di 3omila abitanti. Cioè, stando ai dati dell’Anci, 307. Risultato: il principio dei premi per fasce salterebbe in 7.795 municipi su 8.102. Vale a dire che il 96% delle amministrazioni comunali potrà limitarsi «ad assicurare "l’attribuzione selettiva della quota prevalente" di premi "a una percentuale limitata del personale"». In pratica? Ognuno faccia come gii pare. «Regioni, enti locali e servizio sanitario dovranno dividere il personale in "almeno" tre fasce di merito - spiega Trovati -, ma nei vari scalini del podio le buste paga potranno incontrare una scansione più morbida rispetto a quella fissata dalla legge per le amministrazioni centrali». Quanto più morbida? Ognuno, par di capire, faccia anche qui come gli pare. Non solo: nello schema messo a punto salterebbe la cosa più importante di tutte. Cioè l’abolizione di qualsiasi premio sullo stipendio ai dipendenti peggiori. Che continuerebbero a godere, almeno in parte, del vecchio sistema: una prebenda non si nega a nessuno. Gli enti locali avranno un mucchio di tempo (fino alla fine del 2010) per decidere autonomamente come ripartire tra i dipendenti il «monte premi» aggiuntivo sulla busta paga. Dopo di che dovrebbe subentrare, in automatico, la «Brunetta». Ma sarebbe un automatismo, diciamo così, poco automatico. In qualsiasi momento, infatti, l’aggiornamento potrebbe essere bloccato dalla decisione di adottare, sia pure in ritardo, nuove regole autonome. Di più: le verifiche verrebbero fatte a posteriori in sede di Conferenza unificata entro la fine del 2011. E se ancora non bastasse, spiega lo stesso Sole, non è prevista alcuna sanzione per l’ufficio che, a dispetto di quanto previsto, dovesse infischiarsene di misurare i risultati ottenuti. Cosa indispensabile per valutare, in parallelo, la produttività degli uffici e delle persone. Non manca la ciliegina sulla torta. La proposta, partita dalla Lega per iniziativa della vicentina Manuela Dal Lago, di «promuovere un diverso coinvolgimento dei politici nella valutazione dei dirigenti». Traduzione: il politico dovrebbe poter assumere e licenziare i dirigenti a suo piacimento. Geniale. Domanda: c’è qualche italiano disposto a scommettere una castagna secca che i leghisti non avrebbero un occhio benevolente, diciamo così, per i dirigenti con tessera leghista, i democratici per quelli con tessera democratica, i berlusconiani per quelli con tessera berlusconiana?

Burton Morris
05-12-09, 14:18
Calabria, legge ad personam e contra personas


• da La Stampa del 22 settembre 2009, pag. 33

di Michele Ainis

Sarà pur vero che le leggi personali le ha inventate Berlusconi. Ma c’è chi, a sinistra, ne cavalca l’esempio. Di più: riesce a fondere in un solo atto normativo una legge ad personam e contra personas, oltre che contro le regole più elementari dello Stato di diritto.
Per raccontare questa storia, bisogna immergere lo sguardo nei palazzi del potere calabrese, facendo correre all’indietro l’orologio, fino alla data del 2001. Mentre il mondo inorridisce dopo l’attentato alle Twin Towers, la Calabria approva una legge (n. 25 del 29 ottobre 2001) per assumere i portaborse alle dipendenze del Consiglio regionale, attraverso un concorso «riservato». Qualcuno nei giornali mena scandalo, ma dopotutto la stessa sanatoria si ripete in molte altre regioni. Sicché il concorso viene espletato l’anno successivo, 132 portaborse sono dichiarati idonei, ma solo 85 ottengono in premio l’assunzione. E gli altri? Non c’è più posto, la pianta organica è al completo. Però gli esclusi hanno diritto, in base alla normativa statale e regionale, allo scorrimento della graduatoria, se e quando il Consiglio regionale procederà a nuovi reclutamenti. Gioca qui infatti un principio di economia amministrativa: perché mai armare un altro bastimento concorsuale quando la figura professionale che ti serve ce l’hai già, certificata dalla vecchia commissione di concorso?



Due anni dopo, nuovo concorso

Invece nel 2004 la regione indice una nuova procedura concorsuale: 170 posti. Evidentemente in un paio d’anni si era aperta una voragine in quell’organico zeppo come un uovo. Fanno domanda 48.983 persone, la popolazione d’una cittadina di provincia. E infatti il concorso non si è ancora concluso, benché la Calabria ne abbia affidato la gestione a una società esterna, per risparmiare tempo, non certo per risparmiar denaro. Domanda: ma non era meglio assumere gli idonei del 2002? Sulla carta sì, ma c’è portaborse e portaborse. C’è il parente stretto d’un consigliere regionale, c’è il funzionario di partito, il cui profilo corrisponde quasi sempre agli 85 fortunati vincitori; ma c’è anche il portaborse senza troppi santi in Paradiso, oppure disgraziato, nel senso che è caduto in disgrazia nel frattempo. Tuttavia i disgraziati non s’arrendono: vanno in giudizio, e il tribunale di Catanzaro in 29 casi riconosce il loro diritto all’assunzione. Con quali conseguenze? Un danno erariale di 3 milioni e mezzo di euro, non proprio una bazzecola.
Ecco, è a questo punto della storia che entra in scena Sua Maestà la Legge. Se ne rende anfitrione il presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Bova, ex diessino adesso in prima fila nel Partito democratico, nonché titolare d’una pagina su Wikipedia non troppo lusinghiera, per una pioggia di polemiche con il movimento antimafia calabrese e per una condanna della Corte dei conti (penne Montblanc in regalo ai consiglieri). Il rimedio? Una legge retroattiva, che cancelli oggi per allora il diritto allo scorrimento della graduatoria.


La certezza del diritto

Alla faccia degli illuministi, che a suo tempo ne vietarono l’uso perché altrimenti se ne va in fumo la certezza del diritto. E alla faccia della pubblica decenza, dato che la legge in questione (n. 27 del 2009) viene costruita nottetempo e in pieno agosto, come si fa con gli abusi edilizi. Senza uno straccio di relazione illustrativa che dia qualche informazione ai pochi consiglieri in aula. Senza neppure un passaggio in commissione, benché lo statuto della Calabria (art. 29) lo renda obbligatorio. Per intendersi: come se improvvisamente il presidente Fini tirasse fuori un foglietto dalla tasca, chiedendo ai deputati di trasformarlo in legge.
Per la verità, in quella notte del 6 agosto, un consigliere (Demetrio Battaglia) osserva che nessuna assemblea legislativa può cambiare in corso d’opera le regole del gioco. Ma il presidente Bova gli risponde secco: «Per strada, qualcuno che non è il legislatore ha forzato il legislatore». Questo qualcuno è il giudice, che evidentemente a Catanzaro vive sulla strada. Poi c’è qualcuno che doveva cautelarsi dal danno erariale (da qui la legge ad personam). E qualcun altro - i 29 disgraziati - che non doveva prendere servizio (da qui la legge contra personas). Ma dopotutto questa vicenda ci consegna una nota positiva: almeno in Calabria, non è vero che le leggi si disinteressano dei destini personali.

Burton Morris
05-12-09, 14:19
I guai di Cammarata, un sindaco in barca


• da Corriere della Sera del 24 settembre 2009, pag. 1

di Gian Antonio Stella

«Vattene», gli dice Gianfranco Micciché che si vantava d’es*sere il suo «creatore». «Vattene», gli dicono un po’ di ex alleati stufi di lui. «Vattene», gli dice la sinistra. «Vattene», gli dicono i contestatori che da due anni, fischia fischia, l’avevano spinto a rinunciare a sali*re sul carro di santa Rosalia. Ma lui, il (tuttora) sindaco di Palermo Die*go Cammarata, non ci sente. E che sarà mai, se alla sua barca badava uno skipper pagato dal comune? Breve riassunto. Prima puntata: la sera di lunedì Striscia la notizia manda in onda un servizio di Stefania Petyx dove si racconta di un impiegato della Gesip, la società comunale addetta ai giardini, che, cercato un sacco di volte sul posto di lavoro, non c'era mai. Peggio, la troupe del programma di Antonio Ricci lo aveva trovato a bordo di una bella barca di 13 metri e mezzo ormeggiata a Marina di Villa Igiea dove l'uomo raccontava, ignaro di essere registrato da una telecamera nascosta, che lui stava sempre lì, a badare allo yacht: «Io problemi di tempo non ne ho. Lavoro qui, alla barca. Mi vengo a sedere qua tutti i giorni». Non bastasse, si offriva di affittare lo yacht ma «senza fattura, naturalmente».

Non bastasse ancora, aggiungeva che in caso di problemi con la Finanza, sarebbe stato sufficiente lasciar cadere poche parole magiche: «Ci dite: noi siamo amici del sindaco». Seconda puntata: Cammarata cerca di metterci una toppa con un comunicato all'Ansa. «La barca oggetto del servizio di Striscia la notizia è di proprietà dei miei figli che l'hanno acquistata con atto del 10 febbraio 2004. Come è ovvio ne ho piena disponibilità. Purtroppo questo avviene solo raramente. Questa estate ne ho usufruito solo per un paio di fine settimana». Aggiunge anzi che: «Dall'estate scorsa la barca è in vendita, perché neanche i miei figli hanno il tempo di usarla e quest'estate è rimasta praticamente ferma. Conosco il signor Franco Alioto da molto tempo e si è occupato occasionalmente, e fino a ieri, di verificare che la barca sia in ordine. Lo faceva in piena autonomia e fuori dall'orario di lavoro, come è naturale che avvenga. Al riguardo ho già disposto che la Gesip proceda a una indagine interna sulla presenza nel posto di lavoro di Alioto». E rifiniva la versione con un dettaglio: si era sempre trattato di una «collaborazione non continuativa, peraltro regolarmente compensata come dimostrano i pagamenti tramite assegno».

Terza puntata: ignaro di quanto aveva dichiarato il sindaco, lo skipper-giardiniere, che si chiama Franco Alioto, raccontava alla cronaca palermitana di Repubblica che per carità, lo faceva così, quasi per amicizia: «Se il sindaco mi pagava? Diciamo che mi faceva un regalo. Sì, insomma, mi dava qualcosa». Lo faceva «per arrotondare lo stipendio: ho due figli da sostenere». Com'era nato il rapporto? «Ho conosciuto il sindaco sei o sette anni fa, lui aveva una barca più piccola di quella che ha adesso. Ci siamo incontrati e ci siamo subito fatti simpatia. Quando i suoi figli hanno acquistato la barca nuova, mi ha chiesto di aiutarli e io l'ho sempre fatto volentieri». Quarta puntata: «Striscia la notizia torna alla carica recuperando una vecchia confidenza di Cammarata. Il quale, senza sapere che quelle parole lo avrebbero inguaiato, diceva che «appena esce da Palazzo delle Aquile e sale in macchina la prima telefonata è per casa dove il fidato Franco pensa a mettere su la pentola e a preparare un primo». Chi era questo Franco? «Un marinaio di Porticello che conosce il pesce come le sue tasche: Franco, per gli amici "u bellacchiu"». Tombola. Mano a mano, vien fuori di tutto. Che la cronista di Striscia ha inutilmente cercato Alioto «forse una quarantina di volte», a partire da febbraio e sempre in orario di lavoro. Che il giardiniere-skipper aveva dei fogli-presenza firmati in bianco che poi venivano gestiti direttamente «in alto loco». Che era l'unico degli addetti alla Casa Natura della Favorita a non avere il tesserino magnetico. Che era stato assunto per chiamata diretta nell'azienda comunale dei giardini pur essendo di mestiere marinaio e avendo soltanto la quinta elementare. E via così. Che razza di azienda «modello» fosse, la Gesip, si sapeva. Basti ricordare che la potatura delle piante fino a 249 centimetri di altezza tocca ai suoi giardinieri, dai 250 in su a quelli del settore ville e giardini. Col risultato finale che, come raccontavamo mesi fa, per gestire una quota di verde urbano simile, poco più di 2000 ettari, Torino spende 12 milioni di euro e Palermo più del doppio: 27.

Immaginate come potevano essere i controlli, in una municipalizzata così, sul giardiniere-skipper... Diego Cammarata, però, tiene duro. Nonostante l'ultima tegola gli sia caduta su una testa già ammaccata. Prima i guai per la gestione disastrosa dell'Amat, dove su 598 autobus in dotazione quelli in grado di muoversi erano arrivati a essere meno della metà (235) e dove alla vigilia delle «comunali» erano stati assunti 110 autisti di autobus tutti 110 senza patente. Poi i guai dell'Amia, dove dirigenti erano troppo impegnati in lussuose missioni negli emirati arabi da 800 euro a notte per rimuovere la spazzatura, fino al punto di costringere Berlusconi a spedire giù di corsa Bertolaso per evitare un disastro «napoletano» targato Pdl. Poi la rivolta dei governatori e dei sindaci di destra del Nord, con in testa Flavio Tosi per la decisione del governo di tappare un po' di buchi palermitani con un sostanzioso acconto 80 milioni: «Il Comune di Palermo dovrebbe essere immediatamente commissariato. Già quello di Catania non era un bell'esempio, ma questo è ancora più grave: Cammarata guida il Comune da più di sette anni, non ha scusanti...». Eppure, a dispetto del nome della barca, che si chiama «Molla», il sindaco pare non avere intenzione di mollare affatto. Gianfranco Miccichè, quello che per anni è stato il viceré berlusconiano in Sicilia e il suo primo inventore (quando lo candidò alcuni commentarono: «Cammarata? Ma cu è, u' sciacquino di Micciché?») lo ha scaricato: «Spero ci risparmi almeno la pena di un dibattito sulla fiducia». E con Miccichè lo hanno scaricato i lombardiani. Che punterebbero insieme a logorarlo mentre preparano la successione. Ma questo, spiegano i suoi alleati a partire da Totò Cuffaro, è un ottimo motivo per restare imbullonati alla sedia. E lo scandalo? Uffa, uno più o uno meno...

Burton Morris
05-12-09, 14:21
Viterbo, lo scalo inutile che tutti vogliono


• da Corriere della Sera del 24 settembre 2009, pag. 1

di Sergio Rizzo

Al Comune di Viterbo esiste an*che un assessore per l’aeropor*to che ancora non c’è. Il nome: Gio*vanni Bartoletti. Ha 42 anni, un passato da ufficiale pilota e un pre*sente da presidente del comitato per l’aeroporto della Tuscia. È stato eletto nel 2008 per il centrodestra con la lista civica «Viterbo vola» e prontamente il nuovo sindaco Giu*lio Marini l’ha messo in giunta. Questo per dire che Gianni Aleman*no avrà pane per i suoi denti.

Il sindaco di Roma parte lancia in resta alla difesa dell’aeroporto di Ciampino contro il futuro scalo che dovrebbe portargli via il traffico low cost da e per la Capitale, evocando il fantasma di una nuova Malpensa? Ebbene, a Viterbo i suoi colleghi di partito montano le artiglierie pesanti. Nel Paese dei campanili ognuno vuole anche la sua pista. E pazienza se già ne abbiamo (in rapporto alla superficie) il doppio della Francia, se si fagocitano l’un l’altro, se in qualche scalo i passeggeri sono rari come i canguri albini. Quando si deve perorare una causa aeroportuale non c’è politico, di destra o sinistra, che si tiri indietro. Nel novembre 2007 un aeroplanino sorvolò Viterbo trascinando uno striscione dove c’era scritto a caratteri cubitali: «Grazie!». Di che? Ma di aver scelto la città della Tuscia come base per il terzo aeroporto del Lazio. Il ringraziamento era rivolto al ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi ma soprattutto al suo collega dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, margheritino, viterbese ex sindaco di Viterbo, che si era battuto come un leone contro Latina e soprattutto contro Frosinone. In pieno dramma psicologico Francesco Scalia, presidente anch’egli margheritino della Provincia ciociara, arrivò a minacciare le dimissioni. Ma allora Fioroni era ministro e davvero c’era poco da fare. Tanto più considerando che l’aeroporto viterbese aveva anche il sostegno di un altro pezzo da novanta della maggioranza di governo: il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti. Lo schiacciasassi politico macinò chi contrastava il progetto, come il Comitato per il No guidato dall’ex sindaco di Soriano del Cimino, Alessandro Pizzi, che paventavano seri danni ambientali (l’aeroporto è a due passi dalle terme). Inutili si rivelarono gli appelli al leader della Margherita Francesco Rutelli e le proteste di Verdi e sinistra radicale.

C’è da dire che fra le tre soluzioni che erano state proposte l’Enav aveva chiaramente indicato Viterbo per motivi tecnici: Latina è congestionata e interferisce con Pratica di Mare e Napoli, Frosinone è in una conca fra le montagne, spesso nebbiosa. Ma c’è da dire che anche l’opposizione politica di allora non si oppose. Basti pensare che il comitato per l’aeroporto è capeggiato da un uomo di centrodestra. Per non parlare del nuovo sindaco Marini. Il quale, per inciso, è anche deputato del Popolo della libertà. E questo nonostante per legge l’incarico di parlamentare sia incompatibile con quello di sindaci di città con oltre 20 mila abitanti (Viterbo ne ha 59.308). Non che per l’aeroporto le cose sarebbero cambiate di molto se il centrodestra non avesse vinto le elezioni: candidato sindaco dello schieramento opposto era Sposetti. Senza contare che anche alla presidenza della Provincia, in mano al centrosinistra, c’è un altro sostenitore dello scalo, ovvero l’ex segretario provinciale diessino Alessandro Mazzoli. Nato, per ironia della sorte, a Frosinone. Sulla carta, dunque, l’aeroporto è blindato. «Su questo c’è forte sintonia fra il governo, la Regione, la Provincia e il Comune », ha detto ieri il governatore del Lazio Piero Marrazzo. Quanto al rischio di creare una Malpensa in sedicesimi, è un’altra faccenda. Innanzitutto i soldi.

Per l’adeguamento delle strutture aeroportuali servirebbero circa 260 milioni. Ma è il meno. Viterbo dista da Roma circa 90 chilometri: almeno un’ora e mezzo con l’automobile e un paio d’ore con il treno. Ci sono ben due ferrovie che collegano la Capitale con la città della Tuscia, ma servono fondamentalmente il traffico pendolare e andrebbero seriamente adeguate. Per la linea delle Ferrovie dello Stato (tempo di percorrenza da un’ora e tre quarti a due ore e dieci) è previsto un raddoppio fino a Bracciano, mentre non esiste un progetto, né un finanziamento, per il potenziamento del tratto fino a Viterbo. Per la linea ferroviaria regionale gestita dalla romana Metro (tempo di percorrenza due ore e mezzo) l’ipotesi del raddoppio invece esiste. Ma bisognerà trovare altri 600 milioni di euro, e comunque per la realizzazione si parla di svariati anni. Infine, va da sé che l’aeroporto low cost a Viterbo ha senso se si svuota Ciampino. Diversamente, non ce l’ha. Peccato che uno dei maggiori vettori, cioè Ryanair, non ne voglia sapere di rinunciare a un privilegio che in Europa non ha nessuna compagnia a basso costo: quello di un aeroporto praticamente in città. Il suo capo, Michael O’Leary, ha avvertito che se dovrà lasciare Ciampino la compagnia irlandese abbandonerà Roma: mettendo a rischio, argomento molto convincente, 3.500 posti di lavoro. E ha comunque avviato una dura resistenza legale. Nel frattempo, notizia della scorsa primavera, la Regione Lazio ha dato il via a un quarto aeroporto. Dove? Ma a Frosinone, che domande...

Burton Morris
05-12-09, 14:24
La Stampa", 25 Settembre 2009, pag. 19


La rivista di Flores investiga sull’amico Tonino: a livello locale vincono gli ex Dc

Il j’accuse appare sulla rivista da sempre tacciata di dipietrismo
«C’è del marcio in Danimarca, va svelato»

Le due anime Quella ideal-movimentista
legata a Alfano, De Magistris, Vattimo, è
insidiata dai cacicchi Formisano e Belisario

MicroMega a Di Pietro: basta faccendieri nell’Idv

La storia
JACOPO IACOBONI


Tuttora Tonino Di Pietro, quando gli ricordano il voltafaccia di Sergio De Gregorio, se la cava così: «Lo ha spiegato anche Gesù Cristo: ogni dodici, uno tradisce. Visto che io una volta ho già sbagliato, significa che non sbaglierò più». Il problema è che nell’Italia dei valori la media è stata leggermente superata.
Lo denuncia non un’infoiata polemica della destra ma una documentata inchiesta sul numero di MicroMega in edicola. Avete letto bene. MicroMega, la rivista diretta da Paolo Flores D’Arcais, accusata dai nemici di giustizialismo e dipietrismo, che ospita gli interventi dei magistrati impegnati, gli atti d’accusa antiberlusconiani di Marco Travaglio, che per prima ha aperto al grillismo. Il saggio s’intitola C’è del marcio in Danimarca. L’Italia dei Valori regione per regione, consta di cinquanta pagine, è stato scritto da Marco Zerbino e farà discutere. Tesi di fondo: «Esistono due anime di Idv, quella ideal-movimentista da un lato, e quella inciucista e politicante dall’altro», una situazione che «crea spesso a livello locale situazioni di stallo», e di frequente «si risolve a favore della seconda».
Non troverete allora in queste pagine l’intelligente campagna elettorale di Tonino per conquistare il voto d’opinione antiberlusconiano, sedurre intellettuali importanti (da Gianni Vattimo a Giorgio Pressburger, candidati, al simpatizzante Claudio Magris), per schierare nomi impegnati della società civile (da Luigi de Magistris al simbolo antimafia Sonia Alfano). No, accusa MicroMega: «A livello locale, le ali del gabbiano arcobaleno sembrano troppo spesso zavorrate dal peso della sua contiguità a un ceto politico dai modi di fare discutibili, in molti casi approdato all’Idv dopo svariati cambi di casacca, alcuni dei quali acrobatici, e in seguito a ponderatissimi calcoli di convenienza personale. Non proprio quello che si aspetterebbe da un partito che aspira a incarnare un nuovo modo di fare politica».
Se l’origine dei mali è nel partito personale («una forma di autocrazia legalizzata» nella quale «la partecipazione degli iscritti era di fatto impedita ex lege»), il primo male è che questo è diventato il partito record dei commissariamenti. In Piemonte gli ultimi congressi risalgono al 2005. In Veneto è commissariata Treviso. In Friuli sono state a lungo commissariate Udine e Pordenone. In Liguria il capo Paladini in un anno ha allestito un congresso moltiplicando le tessere (da 700 a 7000, roba che neanche il Pd). In Toscana è commissariata Lucca. In Umbria c’è un «garante» (Leoluca Orlando). Nelle Marche tutte le sezioni provinciali sono commissariate. In Campania non si fa congresso dal 2005, come in Puglia. In Calabria spopolava fino a poche settimane fa Aurelio Misiti, ex sindaco comunista di Melicucco, ex assessore della giunta Carraro a Roma, presidente (di nomina berlusconiana) del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Tonino lo ha alfin sostituito con Ignazio Messina, capo degli enti locali dell’Idv, che ha ruoli di rilievo anche in Sicilia. Piccolo particolare, Messina, per nove anni sindaco a Sciacca, è uno degli antesignani del trasversalismo: nel 2004 sostenne laggiù il candidato sindaco di Forza Italia, Mario Turturici. Tonino con Silvio, che orrore. Ma accade, e pure spesso, in Italia.
In Liguria Giovanni Paladini, ex Ppi, poliziotto e segretario del Sap (uno di quelli che votarono «per affossare l’inchiesta parlamentare sul G8») tra le tante altre cose, accusa MicroMega, ha inserito in lista alle europee Marylin Fusco, «sua fiamma» (la neodipietrista, in un dibattito tv su Odeon, ebbe cuore di dire «nei confronti di Silvio Berlusconi è in atto una persecuzione»). C’è chi, in quell’entourage, è stato al centro di attenzioni dei pm per rapporti con famiglie calabresi.
Zerbino racconta vita e miracoli di Nello Formisano, capo in Campania. «Insieme all’ex dc potentino Felice Belisario incarna l’ala “pragmatica”, per così dire, dell’Idv: entrambi hanno riempito il partito delle mani pulite di faccendieri e arrivisti, in larga misura di provenienza democristiana». Grazie a Formisano - scrive - sono entrati Mimmo Porfidia (ex Udeur che verrà indagato dalla Dda di Napoli per il 416 bis), Nicola Marrazzo (attualmente capogruppo in consiglio regionale, «la sua famiglia possiede diverse imprese impegnate nel settore dei rifiuti, quattro delle quali si son viste ritirare dalla Prefettura il certificato antimafia»). È entrato il leggendario Sergio De Gregorio. È Formisano, in posti come Torre del Greco, San Giorgio a Cremano, Qualiano, ad aver reso normali operazioni di «Grosse Koalition alla pummarola», facendo entrare sistematicamente l’Idv in giunte di destra. Di Belisario MicroMega ricorda che ha lo stesso, diciamo così, talento trasversale; o che ha fatto arrivare al partito uomini del calibro di Orazio Schiavone, ex Udeur, condannato per esercizio abusivo della professione odontoiatrica.
Nelle Marche tutto è in mano a Davide Favia: l’ex fondatore di Forza Italia in quella regione! Ma tra i cambiatori di casacca si potrebbero citare Salvatore Cosma, Ciro Borriello, ovviamente Pino Pisicchio (ex dc, ppi, Rinnovamento italiano, Udeur), e il mastelliano Nello Di Nardo. Fa sobbalzare che, oltre ai tanti funzionari con guai giudiziari, ci sia stata anche la candidatura Idv alla Camera di un iscritto alla P2, Pino Aleffi.
Chi leggerà MicroMega troverà tutti i nomi. Scrive Paolo Flores nell’editoriale che accompagna l’inchiesta: «C’è del marcio in Danimarca, questo si sa (almeno dal 1604). Ma se la Danimarca resta l’ultima terra di speranza per una società civile democratica, raccontare il marcio che razzola in essa, raccontarlo tutto e senza le cautele (cioè autocensure) del “cui prodest?”, diventa un dovere verso la democrazia, e quasi un gesto d’amore». Lo capirà l’altra faccia, quella ideal-movimentista, dell’Italia dei Valori di Tonino?

Burton Morris
05-12-09, 14:31
"La Stampa", 26 Settembre 2009, pag. 12

“Troppi riciclati? I Dc non erano tutti male...”

Intervista ad Antonio Di Pietro
A Flores: io migliorerò. Ma lui non faccia di tutta l’erba un fascio

JACOPO IACOBONI



Lo volete capire che il mio, proprio perché è un partito post-ideologico, sta cercando di mettere insieme la popolazione al di là dei precedenti politici di ognuno?». Antonio Di Pietro ha iniziato la giornata leggendo dell’inchiesta di MicroMega severissima sull’Italia dei Valori, anticipata dalla Stampa. S’è arrabbiato, lì per lì; poi ha pensato che a quelle critiche occorresse rispondere, non mettere il muso. E col suo linguaggio (la popolazione, i precedenti politici...). Ora che sta finendo la giornata gli piove sul capo anche la censura di Fini e Schifani per le parole pronunciate dall’ex pm sullo scudo fiscale; Tonino contrattacca: «Come al solito la casta degli intoccabili fa quadrato quando viene presa con le mani nel sacco». E Scajola che annuncia il redde rationem con Annozero? «Usa le minacce... ma la minaccia mette gli italiani di fronte a un bivio: o cedere al ricatto e avviarsi a una dittatura del nuovo ventennio, o scendere in piazza e ribellarsi, il 3 ottobre e anche dopo».
Intanto l’Idv ha anche problemi di fuoco amico. Leggendo l’inchiesta di MicroMega anticipata dalla Stampa cosa pensava? Che starete più attenti nella selezione dei dirigenti?
«Voglio prendere l’inchiesta di MicroMega come uno stimolo a far meglio, anche se verrà strumentalizzato da qualcuno; un atto d’affetto. Assicuro che da parte mia c’è la piena volontà a fare meglio».
Però par di capire che lei non sia del tutto d’accordo con le critiche.
«A MicroMega vorrei dire: state attenti a non fare di tutta l’erba un fascio. A Flores sul prossimo numero chiederò di intervenire, replicherò caso per caso, anche sulle singole persone. Ho l’impressione che a volte veniamo accusati per il solo fatto di aver reclutato persone che hanno fatto politica con altri partiti: ma questo di per sé non vuol dire niente! Io voglio stare lontano da personaggi come Ciancimino o Salvo Lima; o anche da un certo tipo di politica andreottiana. Però non tutto nella prima repubblica era male, nella prima repubblica c’erano anche i Pio Latorre, i Mattarella, i Moro...».
Onestamente non è che se ne vedano tantissimi nell’Idv.
«Ma dobbiamo evitare di criminalizzare tutto quello che c’era prima di Tangentopoli! Giudicare caso per caso. E le assicuro, lo stiamo già facendo noi. Alle ultime elezioni è stato fatto: i nostri eletti e candidati hanno tutti il certificato penale al seguito (sic). Non c’è un solo caso di incandidabilità, di immoralità».
Scusi, che intende lei per «immoralità»?
«Persone condannate con sentenze definitive».
Non negherà che alcuni dirigenti locali, per esempio Nello Formisano, non piacciano a tanti, per trasversalismo, o per campagne acquisti un po’, come dire, spregiudicate.
«Ma lo sapete che per fare la battaglia di un milione di firme contro il Lodo Alfano, quella di piazza Navona, dove c’era anche Flores, ci sono volute un mucchio di firme portate da Formisano, e da altri come lui? Attenti, su 2500 eletti dell’Idv ci sono appena 32 persone che provengono da esperienze politiche precedenti, e ne sono orgogliose. Perciò Flores valuti avendo cognizione di tutto, non solo dei molti che si lamentano sul territorio perché, magari, non hanno ottenuto uno spazio personale».
Via, non può ridurla ai malumori di chi non fa carriera. È vero che molti di questi funzionari non piacciono anche dentro il partito? Un altro secondo MicroMega è Belisario.
«Ma che c’azzecca (testuale, nda.) Belisario?! Che ha fatto di male?».
Beh, per MicroMega è lui che ha portato Orazio Schiavone, condannato per esercizio abusivo della professione odontoiatrica.
«Ma non è vero, Schiavone non l’ha portato Belisario! E ora non è neanche più condannato, è condannato per un fatto che, secondo la normativa successiva, non è più neanche reato».
Ci sono altri casi imbarazzanti... Del campano Porfidia che dice?
«Non è vero che è indagato per il 416 bis, è indagato per un banalissimo abuso di quand’era sindaco. E comunque, da allora sta nel gruppo misto. Noi vigileremo di più, ma gli altri non devono sparare nel mucchio».
Perché chi l’ha detto che Di Pietro non è garantista.

Burton Morris
05-12-09, 14:32
Il caso
I costosi asciugamani di Palazzo Madama







I l Cavaliere invita gli italiani a consumare di più? Detto fatto, al Senato consumano. Per le stanze della presidenza a Palazzo Giustiniani, ad esempio, hanno appena comprato 50 asciugamani deluxe. A 88 euro l' uno. Pari a tre giorni di cassa integrazione di un operaio metalmeccanico. Totale: 4.400 euro. Giorgio Napolitano, che giovedì aveva spronato tutti dicendo che «le istituzioni devono dare l' esempio» ha avuto la sua risposta. Vi chiederete: ma di che materiale sono mai fatte, queste salviette per le mani, per costare una cifra che all' italiano medio appare spropositata? Sono di lino. E ricamate. Direte allora che sul sito e-bay.it si possono comprare asciugamani di lino e ricamati al prezzo di 29,99 per una confezione da sei e cioè a cinque euro l' uno, venti volte di meno. Per non parlare di quelle di spugna. Conosciamo l' obiezione: il decoro delle toilette di palazzo Giustiniani esige ben altro. Esattamente come le cucine presidenziali: non meritano forse una qualità adeguata al livello dell' istituzione per essere all' altezza delle raffinate papille gustative di Renato Schifani e dei suoi ospiti? Ecco allora una spesa assolutamente in-dis-pen-sa-bi-le: un costoso corso di perfezionamento fatto seguire presso la scuola culinaria del Gambero Rosso ai 9 (nove) cuochi interni. Così che possano poi scodellare sui prestigiosi deschi quei piatti griffati che, con innata modestia, vengono definiti «divine creazioni»: bauletti con ricotta e pistacchi con bottarga di tonno e sedano, intrighi con stracotto d' oca e burro al ginepro, quadrelli di cacao con scorzette d' arancia ai due ori Per carità, negare che nella scia delle polemiche sui costi della politica, qualche taglio sia stato fatto pure a Palazzo Madama sarebbe ingiusto. Le famose agendine 2009 di Nazareno Gabrielli costate la bellezza di 260 mila euro (più degli stipendi annuali dei governatori del Colorado, dell' Arkansas, del Tennessee e del Maine messi insieme) sono state ad esempio sforbiciate, per il 2010, del 20%. Un sacrificio doloroso ma necessario. Come ancora più dolorosi e necessari sono stati il blocco delle indennità, il giro di vite ai contributi dei gruppi parlamentari e altro ancora... Eppure, pare impossibile, nonostante i tagli palazzo Madama si appresterebbe a battere ancora cassa. Ancora pochi giorni e il 30 settembre scade il termine entro il quale gli organi costituzionali devono presentare al Tesoro le richieste per la dotazione finanziaria del 2010. Una data importante, tanto più dopo gli ultimi appelli lanciati, alla vigilia di un autunno che potrebbe essere critico, non solo del capo dello Stato ma anche del cardinale Angelo Bagnasco: misura e sobrietà. Fino a due o tre anni fa gli stanziamenti degli organi costituzionali venivano adeguati con il giochetto del cosiddetto «pil nominale». Si prendeva cioè a riferimento la crescita economica prevista, che di norma era più o meno il doppio dell' inflazione, e ogni anno la dotazione cresceva di quel tot. In seguito, sull' onda delle polemiche, le pretese si ridimensionarono al «semplice» recupero dell' inflazione programmata. Come è stato fatto l' ultima volta. Poi la crisi economica ha cominciato a mordere davvero, al punto che se si fosse applicato stavolta il vecchio criterio del «pil nominale», gli stanziamenti sarebbero crollati del 5%. Una batosta insopportabile. Ma mentre Quirinale e Camera decidevano di rinunciare per i prossimi tre anni al recupero dell' inflazione programmata, dal Senato non è arrivato alcun segnale. Evidentemente palazzo Madama considera ancora valida la richiesta relativa al 2009, con un aumento della dotazione pari all' 1,5% sia per il 2010 sia per i due anni successivi. Il Tesoro dovrebbe così versare nelle casse della camera alta 527 milioni di euro contro i 519 del 2009. Per salire poi a 535 e 543 milioni nel 2011 e nel 2012. Qualche goccia nel mare immenso del bilancio statale. Ma talvolta basta qualche goccia a far traboccare il vaso. Soprattutto considerando che l' inflazione programmata è almeno il doppio di quella reale. Come si giustifica allora l' esigenza di maggiori risorse per otto milioni l' anno? Forse con il progetto di realizzare un nuovo canale televisivo digitale terrestre (oltre a quello satellitare già esistente) affidato a un comitato istituito il 29 luglio e coordinato dal questore Benedetto Adragna? O con l' idea, ben più fumosa, di impiantare una struttura medica interna con tanto di sala di rianimazione pur essendo palazzo Madama a un chilometro dall' ospedale Santo Spirito? La verità è che l' andazzo seguito per anni è stato tale (nella legislatura 2001-2006 le spese correnti s' impennarono del 39% oltre l' inflazione) che la «macchina» lanciata verso costi sempre più folli va avanti per inerzia, a prescindere perfino dalla volontà di Schifani e dei questori. Tanto è vero che, non essendo mai stati cambiati sul serio certi automatismi del contratto interno, le retribuzioni e le pensioni dei dipendenti (che in molti casi possono ancora andarsene a 50 anni: tre lustri dopo la riforma Dini!) seguitano a crescere pesando immensamente di più che gli asciugamani. Dati alla mano: le pensioni medie variano dai 122 mila euro lordi l' anno per i commessi ai 325 mila euro per i funzionari. Una domanda, tuttavia, meriterebbe risposte convincenti. Perché il Senato continua a chiedere soldi se ha depositati presso la filiale interna della Bnl, liquidi, 108,9 milioni di euro? Avete capito bene: 108,9 milioni. Da dove arrivano tutti quei quattrini è presto detto: palazzo Madama non spende, nella realtà pratica, tutti i soldi che ogni anno il Tesoro gli dà. Il bilancio si chiude infatti regolarmente con avanzi di cassa che non vengono restituiti all' Erario, ma si accumulano in banca. Lo stesso avviene, e in misura addirittura maggiore, per la Camera dei deputati, che ha già da parte qualcosa come 380 milioni di euro. Il «tesoretto del Parlamento», per usare la definizione data dal Sole24ore lo scorso maggio, avrebbe quindi raggiunto, secondo gli ultimissimi calcoli, circa 490 milioni. Il doppio dei fondi occorrenti per rimettere in piedi le strutture universitarie dell' Aquila e pagare le rette di tutti gli studenti. La Camera si tiene stretti quei soldi con la giustificazione che alla scadenza degli onerosi contratti d' affitto degli uffici per i deputati nei «Palazzi Marini» (una quarantina di milioni l' anno) dovrà acquistare nuovi immobili. Ma il Senato, che gli edifici li ha già comprati e ha avuto dal Cipe anche i soldi per ristrutturarli? Ci si dirà che, con le procedure e le macchinosità attuali, è difficile restituirli, i soldi. Sarà Eppure c' è un illustre precedente. Alla fine degli anni Novanta l' Antitrust, all' epoca presieduta da Giuseppe Tesauro, rese al Tesoro l' equivalente di una cinquantina di milioni di euro: erano gli avanzi delle dotazioni annuali che l' autorità non aveva speso. E che tornarono così nelle casse dello Stato. Certo, bisogna volerlo...



Sergio Rizzo Gian Antonio Stella


Pagina 001.017
(26 settembre 2009) - Corriere della Sera

Burton Morris
05-12-09, 14:32
"La Repubblica", MARTEDÌ, 29 SETTEMBRE 2009
Pagina 10 - Interni

BELPAESE
IVA NEL BURKINA FASO

Dopo le prime perplessità, Iva Zanicchi, ormai veterana a Strasburgo, si dichiara soddisfatta di essere stata cooptata, oltre che nella commissione cultura, anche nella commissione sviluppo del Parlamento europeo. E spiega perché: «Ho avuto tanto dalla vita e adesso posso aiutare i Paesi emergenti». L´eurodeputato Pdl confessa di aver recentemente scoperto un mondo: «Fino a poco tempo fa se mi raccontavano di milioni di bambini denutriti e affamati, reagivo con un "Ma va là, che esagerati!". Adesso che tocco con mano queste storie, vi giuro che c´è da non dormirci la notte». Da Milano, la cantante annuncia il suo prossimo impegno internazionale: «Andrò in missione nel Burghina Faso (Burkina, ndr). Mi hanno detto che è un Paese povero».

Burton Morris
05-12-09, 14:36
L'azienda si rifiuta di rendere pubbliche le consulenze

• da Libero del 30 settembre 2009, pag. 2

di Enrico Paoli

Ma Pippo Baudo quanto prende dalla Rai? E Carlo, “prezzemolino”, Conti? Il pirotecnico Max Giusti, poi, si porta a casa un “pacco” di soldi o un “pacchetto”? L’elenco, ovviamente, sarebbe lungo quanto un rosario, ma per ognuno di questi teledivi vale la stessa domanda: quanto sborsa la Rai? Tecnicamente dovremmo sapere tutto, ma proprio tutto, dei compensi delle star e affini, dato che la Finanziaria del 2008 impone a tutte le aziende pubbliche di pubblicare online le cifre erogate ai consulenti. E visto che non esiste nessun dispositivo che affermi il contrario, i contratti artistici rientrano fra le consulenze. Ma a due anni dall’entrata in vigore della legge, sul sito Il portale dei Contratti di Consulenza del gruppo Rai (http://www.contrattidiconsulenza.rai.it) campeggia ancora la desolante scritta «Lavori in corso».
Dunque bisognerà aspettare ancora per sapere quanto la radio-televisione pubblica paga i suoi consulenti (con i soldi del canone). A causa di questa inadempienza, l’azienda rischia una maxi multa per la violazione dell’articolo della Finanziaria 2008. In particolare l’articolo 3, comma 44, prevede che «nessun atto comportante spesa può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell’amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al governo e al parlamento». La Rai, da parte sua, si è letteralmente arrampicata sugli specchi per giustificare l’assenza dei dati. Il principale argomento di difesa riguarda la mancata emanazione del “decreto attuativo”. Difesa quanto mai debole, considerato quanto hanno fatto le altre aziende pubbliche, che hanno messo online le cifre dei consulenti.
Ma c’è anche un’altra corrente di pensiero, all’interno della Rai, a sostegno della mancata pubblicazione dei dati. «Metterli online servirebbe solo a favorire la concorrenza, dato che Mediaset non ha lo stesso obbligo», dicono a viale Mazzini. Commercialmente parlando il ragionamento regge anche, il guaio è che Mediaset è un’azienda privata, mentre la Rai è pubblica. Fatto sta che tutta questa montagna di contratti sono stati saldati in violazione della legge e pertanto l’azienda rischia una multa. Della vicenda si era occupata, oltre un anno fa, l’Aduc (l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) che il 12 marzo 2008 aveva inviato alla procura Generale e alla procura regionale del Piemonte della Corte dei Conti un esposto-denuncia per la mancata pubblicazione sul sito della Rai. E a giugno dello stesso anno, sulla questione dei compensi dei consulenti, la senatrice Donatella Poretti (dell’ala radicale del Pd) ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti. Ad oggi non è arrivata nessuna risposta. E il sito “tace”.

Burton Morris
05-12-09, 14:37
Questo è un golpe. Difendiamoci

• da Il Giornale del 5 ottobre 2009, pag. 1

di Vittorio Feltri

Il discorso nella sua brutalità è molto semplice. Berlusconi è stato attaccato al portafogli affinché capisca con le cattive ciò che non ha afferrato con le buone: deve abbandonare la politica, dove la sua presenza non è gradita in quanto impedisce ai soliti ricchi - i campioni dei cosiddetti poteri forti - di fare il loro comodo, ossia continuare a trescare coi partiti della sinistra ottenendone favori e concessioni. In Italia è sempre stato così. La maggioranza di governo agisce come le pare, ruba (vedi Prima Repubblica), fa riforme e finte riforme, occupa e crea poltrone per i clienti, ma a una condizione: non disturbare le banche, i grandi enti privati e semipubblici, la finanza disinvolta, alcune megaindustrie, insomma quelli che comandano da decenni. Chi non sta al gioco o non garantisce di allinearsi è pregato di togliere il disturbo. O se ne va spontaneamente oppure i signori del denaro lo costringono in un modo o nell’altro a mettersi in disparte. Tertium non datur. Inutile dire che il Cavaliere si è ribellato alle regole del sistema perverso in vigore e ha fatto di testa propria; di qui i suoi guai. L’ultima fregatura - la sentenza che gli ingiunge di pagare 750 milioni di curo quale risarcimento per il lodo Mondadori - è la conseguenza estrema della cocciutaggine con cui egli ha resistito ai ripetuti «inviti» a levarsi di mezzo. Se avesse accettato di suicidarsi quale premier e leader del Pdl, o si fosse deciso almeno a trattare la resa, oggi non sarebbe in brache di tela: nessuno lo avrebbe toccato. Siccome invece Berlusconi ha tenuto duro su tutta la linea, vincendo addirittura tre elezioni tre, i poteri forti (usiamo questa orrenda espressione per comodità), dopo avergli fatto la guerra invano, sono ricorsi all’arma segreta, una specie di atomica. La giustizia civile, contro ogni ragionevole-previsione, pretende - e non scherza - che lui versi sull’unghia 750 milioni di euro, 1500 miliardi di antiche lirette. La qual cosa significa: ammazzare la Mondadori, Fininvest, e ferire a morte Mediaset (le televisioni odiate, anzi, invidiate, dalla sinistra pappa e ciccia coi parassiti del capitale). Il conflitto - insistiamo - è in atto da tempo. Quindici anni fa, sorprendentemente, il patron del Biscione, costatato il decesso del pentapartito (Dc, Psi, Pli, Pri, Psdi), fondò Forza Italia e scese in lizza per contrastare il trionfo scontato dei comunisti (ex da un pugno di anni) capeggiati da Occhetto. Sulle prime tale intromissione irritò gli apparati tradizionali che, imitando Eugenio Scalfari, presero a sfottere il parvenu di Arcore dipingendolo come un personaggio da operetta, indegno di entrare nell’Istituzione. Poi, a spoglio avvenuto, gli sconfitti; superata l’incredulità, inasprirono i loro sentimenti di ostilità verso l’intruso, e dall’irritazione passarono alla rabbia feroce. Nel giro di qualche mese organizzarono una battaglia collaterale a quella di Mani Pulite. Molti magistrati si offrirono volontari per «sfasciare quello», secondo gli stilemi dipietreschi. Non riuscirono a sfasciarlo, ma inviandogli un avviso di garanzia mentre presiedeva un vertice internazionale lo azzopparono, favorendo il ribaltone già allo studio. Da questo momento in poi Berlusconi non ha più avuto pace. Indagini, inchieste, ispezioni, processi, pubbliche derisioni. La sinistra pensò di averlo, se non liquidato, reso inoffensivo. Ovviamente sbagliava, perché il Cavaliere è un gatto dalle sette vite e nel 2001 rivinse le consultazioni politiche. A questo punto i progressisti si gettarono sul conflitto di interessi, ma con scarsi risultati pratici. Quindi riscoprirono la pista giudiziaria, e avanti con le toghe svolazzanti e quelle da varietà; mobilitarono la satira, i comici, i cantanti, i cinematografari. Una battaglia al giorno. E lui, il dittatore mediatico, non è mai andato al tappeto. Poiché nel 2008, dopo la mesta pausa prodiana, si è imposto per la terza volta alle urne, la sinistra è piombata nella disperazione, poi si è incattivita e ha speso il jolly: la gnocca, per la quale il premier ha un debole. E stato un tripudio di veline, puttane, avventuriere; una interminabile sfilata sui giornali e in tivù di amanti attribuite tutte a un Silvio attonito e privo di difese, il quale mai aveva sospettato che l’opposizione potesse rovistare nelle mutande altrui per bassissimi fini politici. In effetti, la strategia delle escort era sempre stata estranea ai costumi dei partiti. Ma con l’acqua alla gola, la sinistra ha violato anche il proprio galateo, inscenando il can can di cui i lettori immagino abbiano piena l’anima. In ogni caso, neanche lo scandalo delle sottane ha intaccato il patrimonio di consensi di Berlusconi. Occorreva dunque inventarsi un altro escamotage. Serviva qualcosa di grosso ed è stato trovato. A dire il vero c’era nell’aria puzzo di bruciato. Ma era difficile intuire da dove provenisse il fumo della persecuzione. Ora è chiaro. E si comprende perché, nonostante le batoste subite, il Pd lasciasse intendere l’arrivo di scosse e si preparasse al dopo-Berlusconi quando questi sembrava in sella più franco che mai. Evidentemente i democratici conoscevano le carte. E le carte sono quelle della Giustizia scoperte sabato, lo stesso giorno della manifestazione romana a sostegno della libertà di stampa. Un colpo micidiale per il premier e la sua famiglia: l’obbligo di pagare 750 milioni di euro. Mai accaduto niente di simile nella storia della Repubblica: rischia di saltare per aria un’azienda modello o di ridimensionarsi in modo drastico. Da notare che il giudice civile non si è neanche avvalso di un perito per valutare la somma indicata. Ha fatto tutto in proprio con un criterio che sarà interessante verificare. Strano. Di sabato i magistrati raramente lavorano, come ha ricordato il ministro Brunetta. Nella circostanza, la toga in questione ha fatto gli straordinari e a dimostrazione in corso ha emesso la sentenza aziendicida. Non dimentichiamo che a Fininvest sono collegate varie società: Mediolanum e Medusa, per citarne due da affiancare a Mediaset. E adesso? Prende forma l’ipotesi anticipata dal Giornale alcune settimane orsono. Rutelli si è lasciato sfuggire il termine Governo istituzionale. Una bella ammucchiata di partiti in puro stile italiota; e un presidente del Consiglio spendibile anche a sinistra. Nella persona di chi? Non sarà mica quel Fini che si è tanto arrabbiato quando gli abbiamo detto che va in cerca di applausi progressisti? Le caratteristiche ci sono. Si vedrà. Intanto Bossi e Calderoli e Cicchitto covano un paio di idee; andare in piazza o puntare a elezioni anticipate per scongiurare il progetto ammucchiata. Massi, datevi da fare. L’importante è non cedere. Coraggio, Silvio. Peggio stai e più siamo dalla tua parte.

Burton Morris
05-12-09, 14:39
La Corte Costituzionale si è pronunciata «Il Lodo Alfano è illegittimo» - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_07/lodo_alfano_corte_costituzionale_d1f066b8-b308-11de-b362-00144f02aabc.shtml)

PECORELLA: «Il risultato non cambia il quadro politico»


La Corte Costituzionale si è pronunciata: «Il Lodo Alfano è illegittimo»
Violati articoli 138 (ricorso a una legge costituzionale) e 3 (uguaglianza).
La decisione presa a maggioranza: 9 a 6



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La Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale
ROMA - Il Lodo Alfano è illegittimo. Così si sono pronunciati i 15 giudici della Corte Costituzionale. La legge che sospende i processi delle quattro più alte cariche dello Stato (i presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio) è stata bocciata dalla Consulta per violazione dell'articolo 138 della Costituzione, vale a dire l'obbligo di far ricorso a una legge costituzionale e non ordinaria, e dell'articolo 3, ovvero il principio di uguaglianza (leggi il verdetto). La decisione è stata presa a maggioranza (9 giudici contro 6) e avrà come effetto immediato la riapertura di due processi a carico del premier Silvio Berlusconi: per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.

ACCOLTI RICORSI - La Corte Costituzionale, chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale del provvedimento varato dal Parlamento a luglio 2008, ha accolto i rilievi mossi dai giudici milanesi impegnati nei processi Mediaset-diritti tv e caso Mills che vedono imputato Berlusconi. La Consulta ha invece dichiarato «inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione proposte dal gip del Tribunale di Roma». Un ricorso sollevato nell’ambito dell’inchiesta della Procura capitolina sulla presunta compravendita di senatori eletti all’estero nella passata legislatura, all’epoca del governo Prodi: i pm romani avevano chiesto l’archiviazione delle accuse per il presidente del Consiglio, mentre secondo il gip il lodo Alfano va applicato anche nella fase delle indagini preliminari. Da qui la decisione del giudice Orlando Villoni di trasmettere il fascicolo alla Consulta.

CAMERA DI CONSIGLIO - I giudici si erano riuniti martedì pomeriggio a Palazzo della Consulta. La camera di Consiglio si era aperta alle 17, dopo che il relatore Franco Gallo aveva esposto i termini della questione di incostituzionalità. Alla relazione erano seguiti gli interventi degli avvocati Niccolò Ghedini, Piero Longo e Gaetano Pecorella in rappresentanza del premier e di Glauco Nori per l'Avvocatura dello Stato. Non ammesso al dibattimento, invece, il costituzionalista Alessandro Pace in rappresentanza dei pm milanesi, secondo una consuetudine consolidata della Corte. La camera di Consiglio, sospesa una prima volta alle 19.30 di martedì, si è riaperta mercoledì mattina alle 9 e, dopo una seconda sospensione, tra le 13 e le 16, è ripresa fino alla sentenza arrivata alle 18.

«NON CAMBIA QUADRO POLITICO» - Poche ore prima del verdetto il deputato del Pdl Gaetano Pecorella, che ha sostenuto le ragioni del Lodo Alfano di fronte alla Corte Costituzionale, gettava acqua sul fuoco: «Il risultato non cambia il quadro politico, qualunque esso sia. Se fosse negativo, non sarebbe una sentenza di condanna per Berlusconi, ma riaprirebbe soltanto i processi. Quindi il ricorso alle urne non avrebbe senso, anche perché abbiamo già ora una forte maggioranza e la legislatura deve andare avanti». Il leader del Pd, Dario Franceschini, parlando a Ballarò, ha detto invece che la bocciatura del lodo Alfano potrebbe spingere Silvio Berlusconi a «reagire in un modo poco democratico».

BOSSI E ALFANO DA BERLUSCONI - Nel pomeriggio Umberto Bossi era andato a palazzo Grazioli per un incontro con Silvio Berlusconi. Oltre al Senatur sono arrivati Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione normativa, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Più tardi anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano si è aggiunto all'incontro tra il premier e i leader della Lega, cui ha partecipato anche il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto.






07 ottobre 2009

Burton Morris
05-12-09, 14:39
Veleni e menzogne a Tito Scalo

• da Left del 9 ottobre 2009, pag. 34

di S.N.

Venerdì scorso, si è tenuta alla Camera dei deputati una conferenza stampa di parlamentari e dirigenti Radicali per fare il punto della situazione sui veleni di Tito Scalo. Salvo l’interesse di left e di qualche quotidiano locale, questo caso continua a restare nell’ombra, nonostante la gravità della situazione permanga e nuove notizie provengano da Melfi. Il ministero dell’Ambiente, anche se ha rilevato per la vicenda di Tito nel verbale del 22 dicembre «gravi ritardi, omissioni e falsificazioni», avrebbe continuato a tacere sul fatto, se non ci fosse stata la tenacia di Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani. Il contenuto di quel verbale, infatti, non sarebbe stato di pubblico dominio ma soprattutto non si sarebbe accesa l’attenzione su altri territori limitrofi, sempre in Basilicata. Nelle ultime settimane è emerso lo scandalo dell’inceneritore Fenice, nato a Melfi negli anni Novanta e che tratta oltre 65mila tonnellate di rifiuti urbani e industriali l’anno. Sempre grazie a un’inchiesta di Bolognetti, risulta che, almeno dal 6 febbraio 2008, è in atto un inquinamento della falda acquifera. Sia 1 Arpab che Fenice erano a conoscenza di questa situazione. «Mentre non c’è ancora alcuna risposta dal ministero sulle interrogazioni su Tito Scalo - spiega Elisabetta Zamparutti, deputata Radicale -. Nel frattempo, è emerso che i danni ambientali dell’inceneritore Fenice sono stati taciuti per 13 mesi nonostante la legge preveda l’obbligo di comunicarli entro 24 ore. Le dichiarazioni del pentito Fonti sull’affondamento di parte delle navi dei veleni al largo anche delle coste lucane, generano ulteriori inquietudini sui rifiuti tossici in Basilicata». La colpa, come spesso accade, è della politica: «Come abbiamo documentato nel dossier "La peste italiana" - incalza la Zamparutti -, il sistema partitocratico che ci governa da 60 anni ha causato una degenerazione dello Stato di diritto e uno svuotamento, già all’indomani della sua approvazione, della Costituzione. II degrado del nostro territorio da tutti i punti di vista ambientale e idrogeologico - è frutto del degrado della classe dirigente del Paese. Come si suol dire: il pesce puzza dalla testa». Solo il 3 marzo 2009 l’Arpab, e il 12 marzo Fenice, infatti, danno comunicazione ufficiale della situazione al sindaco di Melfi. Il quale, il 14 marzo è costretto a emettere un’ordinanza che «vieta l’utilizzo delle acque sotterranee emungibili dai pozzi presenti nel perimetro del sito dell’impianto di termovalorizzazione Fenice, nonché di quelli a valle del sito stesso». Insomma, 13 mesi di silenzio, prima delle comunicazioni ufficiali. Il punto centrale di tutta questa vicenda, però, è che altri territori della Basilicata ma anche della Calabria e della Campania hanno la spina nel fianco dello smaltimento dei rifiuti. «Il problema è molto esteso - continua la deputata Radicale - e attraverso i satelliti si potrebbe sapere dove sono stati smaltiti i rifiuti tossici, in tutto il Meridione. Così come rispetto al dissesto idrogeologico, con le nuove tecnologie si possono prevedere gli smottamenti su scala davvero infinitesimale. Il fatto è che in un sistema non democratico tutto ciò non può trovare attuazione perché altre sono le priorità. Ha ragione Pannella quando dice che là dove c’è strage di legalità, poi c’è strage anche di vite umane». La politica nazionale chiede più soldi, più risorse da investire anche e soprattutto in campo ambientale. «Per noi Radicali, invece, quello che serve in Basilicata, come nel resto del Paese, è la trasparenza - conclude Elisabetta Zamparutti -. Per questo chiediamo l’adozione dell’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, e l’immediata riforma dei criteri di selezione del personale della pubblica amministrazione, con riferimento particolare alla sanità e all’ambiente, superando e abolendo l’attuale prassi di scelte clientelari e lottizzatorie. Occorrono riforme ma anche classi dirigenti alternative che siano credibili quando le propongono e le realizzano. I Radicali lo sono e si candidano a governare il Paese».

Burton Morris
06-12-09, 15:05
Fenice, Bolognetti: Tu chiamale se vuoi “percezioni”
Dr. Arminio, che fine ha fatto il procedimento 527/2009?

Potenza, 8 ottobre 2009


• Dichiarazione di Maurizio Bolognetti, Segretario radicali Lucani e Consigliere Associazione Coscioni


Onore al merito per il sindaco di Melfi. Ernesto Navazio, infatti, sta facendo tutto il possibile per tutelare i suoi concittadini. Abbiamo, però, la sgradevole sensazione che il Primo cittadino non venga adeguatamente supportato da altre istituzioni regionali, che continuano ad essere silenti e a mantenere il più assoluto riserbo rispetto a quanto abbiamo ripetutamente denunciato in questi giorni. Silenzio sulle incredibili dichiarazioni di Bove(Arpab); silenzio su un inquinamento che è stato comunicato con almeno 13 mesi di ritardo. Da fonte attendibile apprendiamo che nel corso della Conferenza di servizio, tenutasi a Melfi il 7 ottobre u.s., sarebbe emerso che il problema che ha determinato la presenza di sostanze cancerogene in falda, quali la trielina e altri alifati clorurati cancerogeni, è tutt’altro che risolto. Tale situazione sarebbe collegata al forno rotante utilizzato da Fenice per i rifiuti industriali.
Sappiamo anche che il buon sostituto procuratore Renato Arminio, per “senso di responsabilità”, non ha proceduto al sequestro del forno rotante. Da inguaribili ottimisti restiamo in fiduciosa attesa di un qualche provvedimento della Procura della Repubblica di Melfi. Il perdurante silenzio delle istituzioni continua ad essere accompagnato dalla negazione di conoscenza. Nessuno dei monitoraggi effettuati in questi mesi è stato reso pubblico. In via Anzio, dopo le clamorose rivelazioni di Bove, che temo non siano state dettate da un’improvvisa crisi di coscienza, non si è ritenuto opportuno chiedere le dimissioni del Direttore dell’Arpab. Scavando nel nostro archivio, abbiamo trovato un gustoso articolo che racconta dell’idilliaco rapporto tra Vincenzo Sigillito(direttore dell’Arpab) e Fenice Spa. Afferma Sigillito il 29 novembre 2008:“L’Arpa Basilicata considera il termovalorizzatore una risorsa estremamente positiva per il territorio lucano a maggior ragione in un momento in cui la regione è costretta a fronteggiare la problematica dello smaltimento rifiuti. Al tempo stesso, però, si riscontra, la percezione negativa che le realtà locali hanno dell’impianto di Melfi.” Gli fa eco l’amministratore delegato di Fenice, Patrick Lucciconi, il quale dichiara: “So bene che quando si ha a che fare con realtà simili a quella della Fenice è importante la comunicazione con le autorità locali, ma ancor più quella con i cittadini, perché quest’ultima fa la differenza tra la percezione positiva o negativa.” Caricato da Lucciconi, il direttore dell’Arpab si esalta e replica, affermando: “L’Arpa Basilicata ha offerto il proprio supporto tecnico-scientifico per avviare interventi informativi e di sensibilizzazione rivolti alle scuole sulle tematiche ambientali in generale e più in particolare sull’attività del termovalorizzatore di Melfi.” Capito?! L’Arpab considera Fenice importante: la monnezza dobbiamo incenerirla, mica riciclarla. E poi, è tutto un problema di percezioni, come per i monitoraggi, come per le dichiarazioni di Bove, come per il forno rotante, come per il mercurio e la trielina. Percezioni: c’è chi percepisce il reato e chi ispira la sua azione al senso di responsabilità; c’è chi invoca controlli e trasparenza e chi si preoccupa di “interventi formativi”. Cosa ci sia di formativo, poi, nelle dichiarazioni del dr. Bove, non l’ho ancora capito, ma purtroppo per me i tempi dei banchi di scuola sono trascorsi da tempo e non potrò mai formarmi alla scuola di Sigillito e Lucciconi. Ma sì, indirizziamoli alla giusta percezione questi cittadini lucani, e poi avveleniamogli l’acqua e la terra; tanto, una volta indottrinati non saranno più in grado di guardare in faccia la realtà. Tutta questione di percezioni, e soprattutto di denari che girano attorno all’affare degli inceneritori. E poi Fenice è un nome così evocativo, come l’araba che rinasce sempre dalle sue ceneri, e a ben pensarci fa anche rima con felice. Ma si, beviamoci sopra e tiriamo a campare; con un buon bicchiere d’ Aglianico del Vulture, hai visto mai, che cambiano pure le “percezioni”. Chissà perché, ma da certe vicende emerge il sapore delle purghe e dell’olio di ricino.

Burton Morris
06-12-09, 15:06
Corriere della Sera (http://www.corriere.it)

le richieste al gup
Tangenti sanitarie, il pm chiede il giudizio per il ministro Fitto e l'editore Angelucci
I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 1999 e il 2005, quando Fitto era presidente della Regione
Fitto nel suo ufficio di presidente della Regione Puglia

Fitto nel suo ufficio di presidente della Regione Puglia



BARI - Si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio per 78 dei 90 indagati la discussione dell’udienza preliminare a carico, tra gli altri, del ministro per gli Affari Regionali, Raffaele Fitto (Pdl), e dell’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci. La richiesta è stata fatta dalla pubblica accusa al termine dell’udienza del procedimento «La Fiorita», che si celebra dinanzi al gup Rosa Calia di Pinto. All’udienza, che si concluderà il 30 novembre prossimo, è costituita parte civile la Regione Puglia.

I fatti contestati fanno riferimento al periodo compreso tra il 1999 e il 2005, quando Fitto era presidente della Regione Puglia, e si prescriveranno tutti entro il 2012. A Fitto, all’epoca dei fatti presidente della Regione Puglia, si contestano i reati di associazione per delinquere, peculato, concussione, corruzione, falso, abuso d’ufficio e illecito finanziamento ai partiti.

I reati di corruzione e di illecito finanziamento di 500.000 euro al partito di Fitto «La Puglia prima di tutto» si contestano anche all’editore Angelucci. Secondo la difesa di Fitto, i reati contestati sono insussistenti, anche perchè il finanziamento elettorale ricevuto fu regolarmente registrato. Prima della discussione il gup ha ammesso sette imputati al giudizio con rito abbreviato e per altri cinque, tra cui l’imprenditore campano Alfredo Romeo (accusato di turbativa d’asta e di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio), ha disposto l’invio degli atti alla procura di Roma per competenza territoriale. Ha inoltre respinto tutte le eccezioni del difensore di Fitto, l'onorevole Francesco Paolo Sisto (Pdl), relative alla inutilizzabilità delle intercettazioni e di alcuni atti d’indagine.

In passato Fitto aveva respinto ogni addebito. «Ho letto con attenzione tutte le pagine del provvedimento e non so su che cosa rispondere». L'inchiesta fu un ciclone che si abbattè su direttori generali di Ausl pugliesi, funzionari pubblici e vertici del gruppo della cooperativa barese «La Fiorita» per l’assegnazione di gare d’appalto per i servizi di pulizia, guardiania, ausiliariato e smaltimento di rifiuti speciali in alcune Ausl. e portò nell’aprile del 2005 all’arresto di 14 persone.

Ad aprile scorso nella Procura di Bari arrivarono quattro ispettori inviati dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per accertare eventuali comportamenti irregolari nella conduzione delle due inchieste, a carico delle società «La Fiorita» e «Cedis», che vedono coinvolto il ministro Fitto. Contro l’ispezione ministeriale si scagliarono nove senatori del Pd, che in una interrogazione parlamentare firmata anche dai magistrati in aspettativa, Gianrico Carofiglio e Alberto Maritati, denunciarono «una interferenza nell’attività giurisdizionale, interferenza munita di un’oggettiva forza di intimidazione nei confronti dei pubblici ministeri, e soprattutto dei giudici che si occupano delle vicende che vedono come imputato il ministro Raffaele Fitto». Parole che suscitarono la dura replica dell’ex governatore pugliese che parlò di «casta togata che siede pro tempore sui banchi del Senato».


12 ottobre 2009

Burton Morris
06-12-09, 15:06
E i camuni gridarono: una provincia anche a noi

• da Corriere della Sera del 14 ottobre 2009, pag. 1

di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

E i Camuni? Niente ai Camuni? Deciso a vendicare l’ingrata storia, il deputato leghista Davide Caparini ha deciso di tirare dritto: vuole a tutti i costi la nuova Provincia della Valcamonica. Capoluogo: Breno, metropoli di 5.014 anime. Direte: ancora un’altra provincia? Ma non avevano promesso quasi tutti di abolirle? Certo: prima delle elezioni, però. Promessa elettorale, vale quel che vale. Tanto è vero che il disegno di legge per sopprimerle, presentato alla Camera dalla strana coppia Casini & Di Pietro, è già morto. Se dovesse passare l’iniziativa camunica del parlamentare del Carroccio, quella con capitale Breno (inno ufficiale: «E su e giù e per la Valcamonica / la si sente la si sente...») sarebbe la provincia numero 110. Quando nacquero nel 1861, al momento dell’Unità d’Italia, erano quasi la metà: 59. Distribuite sul territorio con un criterio semplice: dovevi attraversare ciascuna in una giornata di cavallo. Nel 1947 erano già 91. E col passaggio dagli equini alle autoblu, hanno continuato ad aumentare, aumentare, aumentare a dispetto del proposito dei padri costituenti, che avevano previsto la loro abolizione con l’arrivo delle Regioni, fino a diventare 95 e poi 102 e su su fino a 109 grazie a new entry e soprattutto al raddoppio (da 4 ad 8) di quelle della Sardegna. La quale con l’Ogliastra (57.960 abitanti, due terzi di Sesto San Giovanni) mise a segno il capolavoro, la provincia a due teste: Tortolì (10.661 anime) e Lanusei, che di anime ne ha ancora meno: 5.699. Un record mondiale. Che con l’arrivo di Breno verrebbe stracciato in attesa di nuove province e nuove capitali tipo Quinto Stampi, Pedesina, Zungri, Maccastorna, Carcoforo... Direte: ma dai, Carcoforo! Perché no, scusate? Se la provincia è indispensabile per essere vicina ai cittadini, cosa han fatto di male i carcoforesi per non avere anche loro una provincia? Quanto costino lo ha calcolato l’anno scorso il Sole 24 Ore: 17 miliardi di euro. Con un aumento del 70% rispetto al 2000. Da dove arrivano i denari? Un po’ dai trasferimenti. Parte dal prelievo del 12,5% sull’assicurazione delle auto e delle moto: 2 miliardi nel 2007, il 54% in più rispetto al 2000. Più aumenta l’assicurazione, più intasca la Provincia. Altri quattrini arrivano dall’imposta provinciale di trascrizione: le annotazioni al Pubblico registro automobilistico che doveva essere abolito. Ci sono poi un’addizionale sulla bolletta elettrica e il tributo provinciale per l’ambiente.
Come mai i cittadini non si arrabbiano? Occhio non vede, cuore non duole: sono tutte tasse dentro altre tasse. Non si notano. Va da sé che a quel punto, ignaro delle spese, il cittadino vede titillato il suo campanilismo. Come nel caso della provincia di Fermo nata dalla divisione di quella di Ascoli Piceno. Una specie di scissione dell’atomo: da una piccola provincia ne sono nate due minuscole. In compenso, al posto di un solo consiglio da 30 membri, ne sono nati due da 24: totale 48 poltrone. Per non dire della provincia a tre piazze di Barletta-Andria-Trani, chiamata così per non far torto ai permalosi cittadini dell’una o l’altra capitale. Quanti sono i comuni di quella nuova Provincia? Dieci in tutto, sono. Il che, diciamolo, aumenta la pena per i sette tagliati fuori dal nome: Bisceglie, Trinitapoli, Minervino Murge. E la targa automobilistica? «BT». Rivolta: «E Andria? Non si può fare “Bat”?». «No, quella è di Batman».
C’è da sorridere? Mica tanto. Sull’abolizione delle province, infatti, fu giocato un pezzo dell’ultima campagna elettorale. «Aboliremo le Province, è nel nostro programma», disse Berlusconi a Porta a porta il 10 aprile 2008. «Ma la Lega sarà d’accordo?», eccepì Bruno Vespa. E lui: «La Lega è composta da persone leali». «Presidente, che cosa ha previsto per abbassare i costi folli della politica?», gli chiese la signora Ines nella chat-line al Corriere. E lui: «La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei consiglieri comunali». E le Province? «Non parlo delle Province, perché bisogna eliminarle». Mostrava di crederci al punto, il Cavaliere, che cercava sponde: «Se Veltroni ci darà una mano...». La linea veltroniana, del resto, era già stata dettata: «Cominceremo da subito abolendo le Province nei grandi comuni metropolitani». Posizione confermata a Matrix: «All’abolizione delle province penso ci si possa arrivare. Ma non sono un demagogo. È facile dirlo in campagna elettorale...». Il socio fondatore del Pdl Gianfranco Fini era d’accordo: «I carrozzoni non sono intoccabili e si possono abolire per esempio le Province». Una tesi già benedetta da altri. Come l’ex ministro degli Interni azzurro Giuseppe Pisanu: «Le Province ormai non hanno più senso».
Qualche settimana dopo le elezioni il capo del Governo sventolava il primo trionfo, riassunto dai tg amici con titoli così: «Abolite nove Province». In realtà nove province cambiavano soltanto nome. D’ora in avanti si sarebbero chiamate aree metropolitane. Un ritocco semantico. Ma naufragato lo stesso. Poi cominciarono i distinguo. «C’è un solo punto nel programma in cui ho difficoltà serie con gli alleati, l’abolizione delle Province. La Lega ha una posizione molto ferma», confessò Berlusconi nel dicembre 2008. «Sono enti inutili, ma non riusciremo a cancellarli in questa legislatura», confermava Renato Brunetta. Di più: nel disegno di legge sulle autonomie locali definito dal ministro Roberto Calderoli non solo sopravvivevano. Venivano addirittura rafforzate, con la possibilità di riscuotere tasse proprie.
Vero è che Bossi aveva eretto un muro insormontabile: «Le Province non si toccano». Ma che la marcia indietro collettiva sia stata dovuta solo all’altolà del Carroccio non si può dire. Basti rileggere quanto affermò il deputato del Pd Gianclaudio Bressa nell’ottobre scorso: «Non siamo d’accordo con l’abolizione delle Province, né abbiamo mai detto di esserlo in passato. È ora di finirla con questa mistificazione». E quello che diceva Veltroni? Coro democratico: Veltroni chi? Ma è niente in confronto alle contraddizioni della maggioranza. Dove Sandro Bondi, da coordinatore forzista, era a pié fermo al fianco del Capo: «Aboliamo le Province. Sono un diaframma inutile fra i Comuni e le Regioni». Era il 14 luglio 2007: qualche mese dopo, con marmorea coerenza, si candidava alla presidenza della Provincia di Massa Carrara.
E meno male anche per lui (oggi ministro) che non ce l’ha fatta. Sennò sarebbe andato a ingrossare la folta schiera dei fedeli di sant’Alfonso Maria de’ Liguori al quale Dio concesse il dono della bilocazione. Cioè quei politici che sono insieme assisi su due poltrone: quella di parlamentare e quella di presidente provinciale. La legge dice che il presidente di una Provincia o il sindaco di una città con oltre 20 mila abitanti non può essere eletto parlamentare? Sì, ma non dice il contrario. Così i casi di doppio o triplo incarico si sono moltiplicati. Adesso sono nove, di cui sei pidiellini: c’è il presidente foggiano Antonio Pepe, quella astigiana Maria Teresa Armosino, quello avellinese Cosimo Sibilia, quello salernitano Edmondo Cirielli, quello napoletano Luigi Cesaro, quello ciociaro Antonio Iannarilli... Poi ci sono gli «ubiqui» della Lega: il presidente biellese Roberto Simonetti, quello bergamasco Ettore Pirovano e quello bresciano Daniele Molgora, che è anche sottosegretario all’Economia: un esempio di trilocazione mai tentato neppure dal santo fachiro Sai Baba capace al massimo di apparire insieme nell’Andra Pradesh e a Toronto. Chiederete: ma come fa uno a stare in tre posti diversi? La risposta la può forse suggerire lo stesso Pirovano. Il quale il 27 luglio scorso, mentre teneva la giunta a Bergamo, votava alla Camera a Roma materializzandosi grazie al tesserino usato al posto suo dal collega Nunziante Consiglio. Il quale, pizzicato da Fini, disse: «Era un gesto innocente, pensavo stesse per arrivare...». Ma se di lunedì ha la giunta! «Oh signur, credevo fosse martedì...».

Burton Morris
06-12-09, 15:11
Il Governo tentato dal chiudere i rubinetti alla stampa. Giallo su 70 milioni di contributi

• da MF del 21 ottobre 2009, pag. 8

Premesso che solo chi è senza contributi statali può scagliare la prima pietra (e questo risulterebbe un esercizio comunque ardito), la notizia fa comunque rumore. Soprattutto di questi tempi in cui si parla - e si manifesta - per la libertà di stampa. Il governo non avrebbe ancora stanziato i soldi aggiuntivi per il 2010 da destinare a giornali, radio e tv. L’indiscrezione, che serpeggiava da due settimane nei corridoi parlamentari, ieri ha fatto scattare l’allarme rosso con tanto di interrogazione bipartisan al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per conoscere la realtà dei fatti. Che sono questi. A metà del 2009 il governo, in uno dei decreti anti-crisi, aveva deciso di aumentare dal 5,5 al 6,5% l’entità della Robin tax (la tassa ormai celebre creata da Tremonti sugli extra utili di banche e società elettriche e petrolifere) proprio per finanziare uno stanziamento aggiuntivo agli editori di 70 milioni di euro, una cifra molto consistente che si aggiunge ai 261 milioni già sborsati. Dopo un ordine del giorno unanime, l’esecutivo aveva inserito la modifica alla legge che stava per essere convertita per dare modo a decine di giornali, piccoli, medi ma anche grandi, di tirare avanti in un periodo di vacche magrissime, causa il crollo della pubblicità. Ora, secondo Guanto riferiscono Vincenzo Vita e Luigi Lusi dei Pd, uniti nella causa comune a Alessio Butti del Pdl e Roberto Mura della Lega, questi soldi sembrano spariti. Un brutto colpo, se si considera che per gli ammortizzatori sociali, i prepensionamenti che tutte le grandi aziende editrici, da Rcs a L’Espresso hanno già deliberato, Palazzo Chigi ha messo sul piatto della bilancia 20 milioni di euro in due anni. «Tremonti sveli il giallo dei fondi per l’editoria», si chiede allarmato Vita, «la legge 99 dello scorso luglio ha previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro, già approvati dal Parlamento, ma ancora non sono stati emessi i decreti attuativi per il pagamento dei fondi». E, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, l’apprensione dei parlamentari (e degli editori, con Fieg in testa) ha un suo fondamento, visto che il buco risulta anche alla Ragioneria Generale dello Stato: i 70 milioni sono stati impegnati nella legge ma non ancora stanziati. Insomma, la norma non avrebbe copertura finanziaria per il 2010. Se si pensa che sono circa un centinaio i giornali interessati (senza contare le radio private e le tv locali), per importi che vanno da poche decine di migliaia di euro l’anno fino a 6-7 milioni di euro, come si evince dalle tabelle sui fondi 2008 pubblicate dal Dipartimento per l’Editoria, il caso non è da poco. Nel calderone dei contributi statali, che in tutto «non pareggiano minimamente il vero fabbisogno del settore pari a 470 milioni di euro» rileva Vita, ci sono testate celebri e media quasi sconosciuti: si va da quelle proprio di partito alle cooperative di giornalisti, passando per le case editrici legate a gruppi parlamentari fino a giornali operanti come onlus. Giusto per fare qualche nome, ai 70 milioni sono interessati quotidiani quali l’Unità, il Manifesto, Libero, Il Riformista, Italia Oggi, Avvenire, Famiglia Cristiana, la Padania ma anche Chitarre, Dolomiten, Mare e Monti, Buddismo e Società. E poi ci sono network notissimi come Radio Radicale o tv satellitari quale Nessuno Tv. Dall’esecutivo non arriva nessuna conferma, ma alcune voci indicano addirittura in Silvio Berlusconi il responsabile dell’inattesa e, si spera, momentanea frenata. Il premier, secondo alcune fonti, all’apice del suo scontro con la stampa avrebbe chiesto ai suoi collaboratori: «Ma perché dobbiamo dare tutti questi soldi a giornali che attaccano il governo tutti i giorni? Non sarebbe allora meglio devolverli alla Cassa integrazione?». Tremonti non avrebbe preso ancora in mano il dossier, ma è lecito attendersi che lo farà quanto prima, pena nuove accuse di attentato alla libertà di stampa (e di contributi).

Burton Morris
06-12-09, 15:13
Bufera su Arpac e Udeur: 63 indagati Ci sono lady Mastella e il consuocero - Corriere del Mezzogiorno (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2009/21-ottobre-2009/inchiesta-arpac-63-indagati-25-arresti-1601901588567.shtml)

l'inchiesta: su politici e imprenditori


Bufera all'Agenzia dell'ambiente, 25 arresti
Indagati in 63: c'è la moglie di Mastella

Lonardo, divieto di dimora in Campania. Coinvolto anche il consuocero di Clemente. Aiuti elettorali dai clan
L'ingresso della villa di Mastella a Ceppaloni

L'ingresso della villa di Mastella a Ceppaloni

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NAPOLI - Terremoto all'Arpac, l'agenzia dell'ambiente campano: 25 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 63 indagati, 18 divieti di dimora e 6 misure interdittive. Un vero e proprio ciclone contro uno dei settori pubblici, considerato da anni «feudo» del Campanile di Clemente Mastella. L'operazione condotta dalla Guardia di finanza di Napoli e dai carabinieri di Caserta coinvolge, infatti, politici, dirigenti della pubblica amministrazione, professionisti e imprenditori campani.

DIVIETO PER SANDRA - Nell’inchiesta risulta indagata anche la presidente del Consiglio regionale della Campania, Sandra Lonardo, destinataria di un provvedimento di divieto di dimora in Campania, dove svolge la sua attività istituzionale. Non solo: stamane sette carabinieri sono entrati nella villa della famiglia Mastella a Ceppaloni, nel Beneventano e ne sono usciti dopo qualche ora. Nei confronti dell’eurodeputato, che si trovava a Strasburgo, invece è stato emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari.

ARPAC - Il filone dell’indagine per il quale sono scattati gli arresti e gli «avvisi» riguarda l’Arpac, Agenzia regionale per la protezione ambientale. Le accuse contestate vanno dall'’associazione a delinquere finalizzata alla truffa, al falso, all'abuso di ufficio, alla turbativa d’asta e alla concussione. Nel mirino degli inquirenti sia la gestione di appalti pubblici sia i concorsi finalizzati all’assunzione di personale e l'affidamento di incarichi professionali nella pubblica amministrazione. Sarebbero stati trovati dei file in cui ogni nome da assumere era rigorosamente abbinato a quello di un politico Udeur (sequestrati anche dei pc). E nel partito chi non si piegava a quest'andazzo veniva vessato e intimidito.

COINVOLTO ANCHE IL CONSUOCERO - Arresti domiciliari sono stati disposti per Luciano Capobianco, ex direttore generale dell’Arpac, l’Azienda regionale per la protezione ambientale della Campania. Quindici gli indagati per i quali è stato applicato il divieto di dimora nella Regione Campania. Oltre alla Lonardo; il capogruppo alla Regione Fernando Errico; Nicola Ferraro, consigliere regionale; Antonio Fantini, già presidente della Regione Campania e segretario regionale Udeur. Gli altri provvedimenti riguardano Valerio Azzi, imprenditore; Carlo Camilleri, ingegnere e consuocero di Clemente Mastella; Ruggero Cataldi, ex direttore amministrativo Asl Benevento 1; Giuseppe Ciotola, imprenditore; Bruno De Stefano, direttore generale dell’Asl di Benevento; Arnaldo Falato, dirigente dell’Asl Benevento 1; Carmelo Lomazzo, dirigente Arpac; Massimo Menegozzo, dirigente Arpac; Massimo Palmieri, imprenditore; Francesco Polizio, dirigente Arpac; Mario Scarinzi, ex direttore generale dell’Asl Benevento 1. Il divieto di dimora nelle province di Benevento, Caserta e Napoli è stato disposto per Bartolomeo Piccolo, imprenditore, mentre il divieto di dimora nelle province di Benevento e Napoli per Giustino Tranfa, imprenditore, Antonio Zerrillo, ingegnere. La misura interdittiva del divieto di esercitare l’impresa e la professione è stata disposta per gli imprenditori Gaetano Criscione, Francesco Di Palma, Fabrizio Merolla, Claudio Rossi, Fabio Rossi e per il libero professionista Antonello Scocca.

APPOGGIO DEI CLAN - Un filone dell'inchiesta riguarda presunti appoggi elettorali di un clan di Marcianise (Caserta): questa parte verrà ora stralciata e passata, per competenza alla Dda. Tra l'altro Pellegrino Mastella, uno dei figli di Clemente, girava con una Porsche Cayenne procurata dal titolare di un autosalone di Marcianise attualmente detenuto per 416 bis.

CLEMENTE TORNA DA STRASBURGO - Il leader dell’ Udeur ha saputo dell’ inchiesta nella quale è coinvolto insieme con la moglie Sandra mentre stava partecipando a Strasburgo alla seduta del Parlamento Europeo. Mastella, che era giunto ieri nella città francese per i lavori dell’assemblea, sta ora rientrando in Italia: si è imbarcato sul primo volo utile per Parigi e dalla capitale francese proseguirà per Roma, dove arriverà nel pomeriggio.

Burton Morris
06-12-09, 15:29
"La Stampa", 21 Ottobre 2009, pag. 20


Frodi fiscali, fondi neri e bustarelle

Lei assessore, lui deputato pdl


Milano, 5 arresti per la bonifica dell’area Santa Giulia

Ombra Tangentopoli nel quartiere modello



PAOLO COLONNELLO

MILANO

Rosanna Gariboldi è moglie del potente Giancarlo Abelli, ex democristiano, passato ora al Pdl. Lui, deputato, è un uomo chiave della sanità lombarda. Lei, invece, è assessore provinciale a Pavia, eletta nelle file del Pdl e ora coinvolta nell’inchiesta perché - secondo l’accusa - usava un conto a Montecarlo per far transitare il denaro di provenienza illecita di Grossi.
Ora il boccino è in mano al ragionier Giuseppe Grossi, classe 1947, considerato il maggior imprenditore delle bonifiche ambientali e finito in carcere ieri mattina, insieme ad altre 4 persone, con accuse pesantucce: dall’associazione per delinquere, all’appropriazione indebita, dal riciclaggio, alla corruzione, alla frode fiscale. Per illuminare il tipo, basta la frase riportata in un interrogatorio di un suo ex collaboratore, tale Anastasi, finito in manette nella prima puntata di questa inchiesta, la primavera scorsa: «La filosofia di Grossi era che le società erano sue e lui poteva farne quello che voleva». Ovvero, secondo le accuse: frodare il fisco e costituire fondi neri per un totale di 22 milioni di euro. Anche se, scrive il gip Fabrizio D’Arcangelo nel provvedimento di cattura, «il perimetro delle sue entrate illecite è talmente vasto da non potersi allo stato compiutamente definire».
Considerando che «risulta comprovato» oltre al depauperamento delle sue stesse società anche «la esclusiva destinazione di tali somme al perseguimento di fini estranei agli interessi sociali», solo Grossi potrà spiegare a chi erano destinate tutte quelle provviste in nero che, dalla solita ragnatela di società e conti offshore all’estero, e in particolare tramite i conti Trullo (Madeira) e Dexter Finance (Delaware), avrebbe distribuito a non meglio identificati «pubblici ufficiali», piuttosto che uomini politici e amici di vario genere. Soldi riciclati, stando alle accuse, e fatti rientrare in Italia - dopo vari giochi di sponda tra la Svizzera, Madeira, Lussemburgo, Liechtestein e Montecarlo - sotto forma di ordinate mazzette da mille euro ciascuna consegnate da silenti spalloni ai suoi uomini di fiducia (due ex marescialli della Guardia di Finanza assunti come «problem solver») in quel di Gorgonzola. Contanti ridistribuiti talvolta sotto forma di costosi orologi, tal’altra tramite costosi piaceri a chi se lo meritava, amanti comprese (4 milioni e mezzo di euro per una casa in via Moscova).
I soldi sottratti al fisco e alle sue stesse società, radunate sotto i vessilli della Green Holding e della Sadi Spa, sarebbero stati inghiottiti con il vecchio giochetto delle sovrafatturazioni e delle fatturazioni inesistenti, grazie alla cresta sulle bonifiche per i mastodontici lavori di costruzione del quartiere residenziale affaristico di Montecity-Santa Giulia, in quel di Rogoredo, periferia est di Milano. Un’opera di vetro e cemento non ancora terminata ma già finita all’attenzione del grande pubblico (e della magistratura, che ne ha chiesto il fallimento) per il buco da 2 miliardi e mezzo di euro della società Risanamento dell’imprenditore astigiano Luigi Zunino, anche lui, a quanto pare, beneficiato con un milione di euro dalle funamboliche operazioni estero su estero del ragionier Grossi e, per questo, presumibilmente indagato.
L’inchiesta dove Grossi viene descritto come «dominus» o «capo del sodalizio criminoso», per usare le parole del gip, parte da una segnalazione della procura tedesca di Kaiserslautern e ha già fatto diverse vittime: è da qui infatti che è nato il filone sulla lista dei 500 presunti evasori scovata in una «pen drive» dell’avvocato svizzero Pessina, arrestato l’aprile scorso e considerato l’architetto delle finanze off shore di Grossi. Scivolando lungo il crinale delle scoperte investigative l’indagine, che ieri oltre a Grossi ha portato in carcere i suoi collaboratori Cesarina Ferruzzi, Paolo Titta e Maria Ruggero, ora rischia di trasformarsi in una vera e propria valanga che potrebbe prima o poi deflagrare nel mondo politico regionale e nazionale. Ancora, ad esempio, non è stata attribuita con certezza la destinazione di orologi per un valore di 6 milioni e mezzo di euro, distribuiti a vari personaggi. Per ora a farne le spese è stata la signora Rosanna Gariboldi, arrestata ieri mattina con l’accusa di riciclaggio. La signora, che stando alle accuse avrebbe movimentato diversi milioni di euro su un suo conto a Montecarlo guadagnando la rispettabile somma di un milione e 200 mila euro (dichiarazione dei redditi 2006: 50 mila euro), ricopre un ruolo modesto di assessore per il Pdl alla Provincia di Pavia, da cui ieri si è dimessa. Ma soprattutto è moglie del potentissimo Giancarlo Abelli, un vecchio democristiano riciclatosi nelle file del partito di Berlusconi e diventato mano a mano uomo chiave per la Sanità in Lombardia, ascoltatissimo ex assessore regionale del Presidente Formigoni e, da ultimo, deputato e vicecoordinatore nazionale del Pdl. Al momento Abelli non risulta indagato anche se il gip gli dedica una mezza paginetta dell’ordinanza, sottolineando come non solo risulti cliente di una delle tante società di Grossi, la Alfa Srl, attraverso la quale si vedrebbe fatturato il noleggio di una Porsche 911 coupé pari a 743,38 euro al mese («pagati talvolta in contanti»), ma che, dalle intercettazioni telefoniche sull’utenza dell’imprenditore, risulti anche beneficiario dell’aereo personale di Grossi di cui usufruirebbe settimanalmente (il martedì e giovedì) per la tratta Roma-Milano e viceversa.

Burton Morris
06-12-09, 15:30
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 21 OTTOBRE 2009
Pagina 22 - Cronaca

Giancarlo Abelli è uno dei politici lombardi più potenti, il suo maestro è stato Carlo Donat Cattin
Dal Policlinico a Forza Italia, l´ascesa del Signor Sanità
Un passato da democristiano, il transito con Formigoni nel Cdu di Rocco Buttiglione ora con Berlusconi, e vicino a Comunione e Liberazione

ANDREA MONTANARI
MILANO - Per tutti, amici e nemici, Giancarlo Abelli è il "ras del Ticino". Un politico rampante fino alla sfrontatezza. Grintoso, potentissimo. Vero padre della riforma sanitaria del governatore lombardo Roberto Formigoni. Un passato da democrististiano, prima di diventare un fedelissimo di Silvio Berlusconi, ma anche vicino a Comunione e Liberazione, pur non essendo un ciellino doc. Negli anni Ottanta, il suo padre politico, Carlo Donat Cattin, diceva di lui: «Ha la testa e le palle. E le sa usare al momento giusto». Per questo, almeno in Lombardia è stimato, riverito e temuto da direttori sanitari, primari, medici. Che anche oggi che l´ex assessore regionale alla Famiglia lavora a Roma come parlamentare e capo della segreteria politica del coordinatore nazionale del Pdl Sandro Bondi fanno la fila per incontrarlo il lunedì e il venerdì, nell´ufficio che Formigoni gli ha riservato nella sede della Regione. Consapevoli che nella sanità in Lombardia «non si muove foglia che Abelli non voglia».
Lui minimizza: «Nel mio impegno politico mi sono un po´ specializzato. Per cui conosco un po´ tutti nella sanità. Tutto qui». I soprannomi si sprecano. Il più noto è «il faraone», a sottolineare il suo potere. O il «pastore», per ricordare la capacità nel far rispettare la disciplina nel gruppo di Forza Italia in Lombardia. O «il comandante», nomignolo che risale al 1989 quando guidava il Policlinico di Milano. La sua irresistibile ascesa inizia nel 1974, quando a soli 34 anni diventa il più giovane presidente del policlinico San Matteo di Pavia. Lo stesso dove dieci anni dopo scoppia lo scandalo delle "polizze d´oro" e viene arrestato e poi condannato per truffa Claudio Gariboldi, fratello dell´attuale moglie di Abelli, Rosanna, arrestata ieri.
Il "faraone", nel frattempo, è passato con Formigoni nel Cdu di Rocco Buttiglione. Presiede la commissione Sanità e viene anch´egli arrestato con l´accusa di peculato, ma poi assolto. È proprio in quegli anni che conosce Rosanna Gariboldi, che lavora come impiegata al San Matteo. È già sposata con Gigi Tronconi, noto cardiologo socialista. I Gariboldi sono una delle famiglie più in vista della città. Basti pensare che quando divorziano vendono la loro casa al ministro dell´Economia Giulio Tremonti. Anche Abelli è sposato e di buona famiglia. Ma viene da Broni, nell´Oltrepo pavese, dove è tornato a vivere, dopo il divorzio, con la seconda moglie.
Nel 1998, in piena Tangentopoli, viene solo sfiorato dal caso Poggi Longostrevi. Non viene nemmeno rinviato a giudizio. «Assolto perché il fatto non sussiste – commenta soddisfatto – Dalle mie disavventure sono sempre uscito pulito. Potrei anzi definirmi una vittima degli errori giudiziari». L´accusa era di presunta frode fiscale. Sono gli anni dell´avvicinamento a Cl e a Forza Italia. Nel 2000 viene eletto in Lombardia e diventa assessore regionale alla Famiglia. Nel 2005 ripete il successo.
A Pavia, Abelli e lady Rosanna fanno vita mondana. Vanno spesso in Costa azzurra nella loro casa di Beaulieu sur Mer. Nel 2005, lui finisce nel mirino della Lega. L´allora assessore lombardo alla Sanità del Carroccio Alessandro Cè accusa Formigoni di usare la sanità come «sistema di potere». Il governatore lo caccia, ma dopo una pace siglata ad Arcore gli restituisce le deleghe. La Padania pubblica un editoriale che accusa Abelli di aver fatto diventare un figlio primario. Lui replica: «Mi accusano solo perché conosco tutti e tutti mi conoscono. Loro, invece, vorrebbero decidere ma in realtà non sanno distinguere tra un asino, un mulo e un cavallo». Nel 2008, Berlusconi lo chiama a Roma come vicecoordinatore nazionale di Forza Italia. E dopo il congresso del Pdl diventa braccio destro del coordinatore nazionale Sandro Bondi. Per alcuni una promozione. Per altri un pensionamento anticipato. Non è un mistero che Abelli ora stia pensando al ritorno in Lombardia. Magari proprio per guidare il Pdl.

Burton Morris
06-12-09, 15:31
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 21 OTTOBRE 2009
Pagina 22 - Cronaca

Milano, superprezzi per bonifiche; finisce in carcere il "re dei rifiuti"
Arrestati Grossi e la moglie di Abelli, braccio destro di Bondi
Costi gonfiati e fondi neri per 22 milioni grazie alle aree di Santa Giulia e dell´ex Falck

EMILIO RANDACIO
MILANO - Il più grande «gruppo industriale italiano nel campo dei rifiuti e dell´ecologia», ha gonfiato per anni i propri costi. Almeno «22 milioni di euro» sarebbero stati accantonati come fondi neri su società in paradisi fiscali. Le bonifiche di aree del calibro del complesso milanese Santa Giulia, dell´ex area Falck di Sesto San Giovanni e di Pioltello (area ex Sisa), sarebbero state camuffate sovrastimando le spese.
Questo il quadro che ha portato ieri in carcere Giuseppe Grossi, 62 anni, «dominus indiscusso del gruppo industriale Green Holding», tre suoi stretti collaboratori e l´assessore provinciale di Pavia, Rosanna Gariboldi. Le accuse parlano per i primi 4 indagati di associazione a delinquere, frode fiscale, appropriazione indebita, riciclaggio e anche di «corruzione di pubblici ufficiali». Per la Gariboldi, esponente del Pdl, c´è il riciclaggio, ma anche pesanti ombre sul ruolo del marito, capo della segreteria politica del coordinatore del Pdl Sandro Bondi, Giancarlo Abelli. Nell´ordinanza eseguita ieri dai militari del nucleo di Polizia tributaria di Milano, firmata dal gip Fabrizio D´Arcangelo su richiesta dei pm Pedio e Ruta, i possibili sviluppi dell´inchiesta sono tutt´altro che mascherati.
Il meccanismo truffaldino per creare fondi neri era stato scoperchiato alla fine del gennaio scorso. Allora in carcere erano finiti due dipendenti della società di Grossi, Giuseppe Anastasi e Paolo Pasqualetti. Ma anche l´avvocato svizzero Fabrizio Pessina. Sarebbe stato proprio Pessina a ideare il sistema grazie al quale il gruppo Grossi, «almeno a partire dal 2004», avrebbe fatto sparire denaro su conti e società estere.
Una potenza, Grossi, nell´ottenere appalti succulenti. E che, si legge nell´ordinanza, potrebbe anche aver utilizzato mazzette per garantirsi o l´impunità, o una vera e propria copertura politica. Per quale motivo Grossi abbia girato su un conto riservato di Montecarlo denaro «a partire dal 2001» alla Gariboldi, non si sa. Tranche anche da 500 mila euro, «compensazioni per investimenti», aveva giustificato con una memoria quel denaro Grossi, qualcosa di non spiegabile per l´accusa. Di certo il potente parlamentare del Pdl Abelli fino a ieri con Grossi ha avuto un rapporto molto stretto, visto che il politico utilizza «un´autovettura Porsche 911», che mensilmente noleggia in cambio di un canone di 743 euro versati alla società Alfa srl di Grossi. Inoltre dalle carte «emerge che Abelli usufruisce settimanalmente dell´aereo personale di Grossi per recarsi a Roma».
Tra le operazioni sospette contestate al manager delle bonifiche anche l´acquisto di orologi di pregio «per l´importo complessivo di 6 milioni e 400 mila euro», l´«acquisto e il noleggio di imbarcazioni», il passaggio di «buoni benzina» da 250 euro, a finanzieri «amici». Ieri il blitz si è concluso con il fermo di altri due indagati, Vincenzo Agosta e Matteo Terragni. A loro la procura contesta il riciclaggio per la gestione di una società con sede a Londra, la «Brooks and K. Europe», su cui sarebbe stato convogliato un «vorticoso giro finanziario», sempre attraverso la sovrafatturazione, con uscite che hanno raggiunto i 17 milioni di euro.

Burton Morris
06-12-09, 15:31
"La Stampa", 22 Ottobre 2009, pag. 7


“Ventisette assunti su 42: abbiamo fatto il pieno”
Le intercettazioni all’Arpac, il carrozzone di Clemente e amici

Mastella a Capobianco: «Ma chi è Massaccese? Non è nostro... vabbè»


Fantini, l’ex segretario regionale: «Là ci metti Rolando Bruno, e basta!»




FULVIO MILONE
NAPOLI


Raccomandazioni, minacce, interrogazioni pilotate in consiglio regionale. C’è di tutto e di più nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari sull’affaire dell’Arpac, l’Agenzia regionale per l’ambiente, che l’Udeur aveva secondo l’accusa trasformato in un carrozzone clientelare come pochi, un ente pubblico «privatizzato» da tutti i partiti, anche se quello dei coniugi Mastella faceva la parte del leone. Un migliaio le raccomandazioni, 655 delle quali andate a buon fine. A fronte di un numero sterminato di domande di assunzione da parte «di persone non sponsorizzate e rimaste di fatto accantonate - scrive il giudice - i segnalati beneficiati... rappresentavano una percentuale del 90 per cento». Dalle oltre 900 pagine dell’ordinanza del gip emergono i meccanismi di una macchina clientelare formidabile, basata secondo i casi sulle blandizie e le minacce.
Tutti raccomandati

A capo dell’Arpac, spiega il giudice, «non c’era come per legge il direttore generale (Luciano Capobianco, ndr) ma piuttosto i vertici della struttura di partito (Udeur, ndr) cui quest’ultimo apparteneva e di cui lo stesso altri non era che il terminale». Il controllo sulle assunzioni è ferreo e totale, gli sponsor «quasi facevano a gara per piazzare i propri raccomandati in modo da acquisire sempre maggiori benemerenza». La lista degli sponsor è lunga, il più efficace è l’ex consigliere regionale Nocera con 100 segnalazioni, seguono Tommaso Barbato con 43, Antonio Fantini con 36, Giuditta 35 e i coniugi Mastella assieme con 42.
C’è una telefonata intercettata il 7 maggio 2007, in cui l’allora ministro Clemente Mastella e Capobianco, numero uno dell’Arpac, parlano di un certo Massaccese che ha una consulenza con l’ente. Mastella: «Scusa ma questo Massaccese chi è?». Capobianco: «Non è... non è nostro, è dei privati»: Mastella: «Non è nostro? E’ dei privati? vabbè...». Capobianco: «E’ uno dei Ds...». L’Arpac, spiega ancora il giudice, fa un un massiccio ricorso ai Co.Co.Co, contratti di collaborazione rinnovabili. I nomi sono tutti lì, in un file trovato durante una perquisizione nell’ufficio della segretaria del capo. E’ proprio su quelle assunzioni, e sulle consulenze con professionisti, che i politici fanno a gara per rivendicarne la paternità. A volte si arrabbiano, litigano fra loro perché qualcuno «invade» il territorio dell’altro. Si infuria Fernando Errico, ex consigliere regionale dell’Udr, perché è stata stipulata una convenzione con un docente universitario di Benevento: quella città è «roba» del politico, eppure la raccomandazione è stata fatta da altri due compagni di partito. E lui, Errico, si sente «sminuito» per l’invasione di campo. Telefona a Capobianco e si lamenta: «E vabbuò, Luciano, però pure ‘ste cose... Non decidiamo niente su Benevento, almeno io».
La macchina-partito

A Benevento, come spiega in un’altra intercettazione telefonica l’ex assessore Udeur Luigi Nocera, l’Udeur ha fatto quasi il pieno delle assunzioni: «Ventisette su quarantadue». La macchina del partito procede veloce e inarrestabile come un treno, e poco importa se sul suo tragitto incontra qualche piccolo ostacolo. Come quello rappresentato da Capobianco, il capo dell’Arpac, che comincia a strafare con i contratti a termine e si comporta in modo a volte troppo trasparente. Si becca una solenne ramanzina da un altro ex assessore, Andrea Abbamonte: «Tu sei uno str.. perché: a) ti avevo detto di stare attento ai co.co.co.; b) perché hai fatto la delibera e chiesto il parere alla Funzione pubblica quando ti avevo avvertito che non ti dovevi permettere di chiedere quel parere... Sei un quaquaraquà... I miei co.co.co. sono battezzati e comunicati...». E parla, Abbamonte, anche di un convegno a cui ha da poco partecipato il capo del partito, Mastella: «Si è fatto portare in un agguato - dice all’interlocutore -. Perché questi del Pon (Programma operativo nazionale, ndr) sulla sicurezza spendono 10 milioni di euro per la formazione di supporto dei beni confiscati alla camorra, e che regalano al sottoscritto, quando va a un convegno, una Montblanc... Per farti capire come spendono i soldi... Poi hanno fatto quest’altra iniziativa per il recupero dei carcerati... Altri 10 milioni... e questa è la presentazione del recupero del carcerato... C’erano 3 buffet».
Per tornare alle raccomandazioni, rendono bene in termini di voti e clientele. Se l’Udeur, secondo l’accusa, fa ricorso a piene mani alla clientela, all’Arpac si attrezzano e compilano addirittura un archivio informatico con tanto di nomi e cognomi dei segnalati e i relativi sponsor. Lo ammette Tiziana Lamanna, segretaria di Capobianco, davanti al magistrato che la interroga. Si giustifica così: «Le richieste erano talmente tante che era opportuno e più pratico informatizzarle che andare ogni volta a consultare i curriculum» su carta.
Un medico onesto

L’Udeur, spiega il giudice, controlla tutto, anche la sanità in Campania. Come? Piazzando i suoi uomini in posti di responsabilità negli ospedali migliori. Come il Santobono, che però è diretto da un buon medico e ottimo amministratore, Nicola Mininni, il quale non accetta segnalazioni che non siano strettamente «professionali». Uno che non ci sta, insomma. Quindi, scrive il gip, deve essere «prima intimidito, poi se necessario intimorito, infine rimosso». L’Udeur vuole un suo primario, Rolando Bruno, ma Mininni resiste. Lo sponsor, l’ex consigliere regionale Nicola Ferraro, è furibondo. Organizza denunce alla procura della Repubblica contro il dirigente che non si piega, prepara anche interrogazioni per un question time contro di lui in consiglio regionale: «Mi sono preparato, martedì facciamo il question time... Questo è uno schiaffo a me personalmente, non gliela faccio buona neanche se viene Gesù Cristo...». E un altro maggiorente dell’Udeur, Antonio Fantini, rincara la dose: «Io vado da Mininni e gli dico: “Là ci metti Rolando Bruno! Punto!”».

Burton Morris
06-12-09, 15:35
"La Stampa", 22 Ottobre 2009, pag. 9


L’ultima bufera sull’universo Formigoni

Retroscena
I fedelissimi di Cl nel mirino della procura


MICHELE BRAMBILLA
MILANO


Milano un’inchiesta giudiziaria - l’ennesima - rischia di sollevare un polverone politico: l’ennesimo. Il motivo è presto detto. L’inchiesta ha portato in carcere (anche) alcuni personaggi vicini a Comunione e Liberazione. E a Milano, o meglio in Lombardia, Comunione e Liberazione in politica vuol dire Roberto Formigoni e il suo governo della Regione. Un governo che i nemici - ma anche alcuni alleati, la Lega in primis - chiamano sprezzantemente «un sistema di potere». Ecco perché non pochi, pure nel centrodestra, sono alla finestra per vedere se ancora una volta la magistratura potrà sparigliare le carte, e riaprire i giochi perfino sulle prossime regionali.
Le indagini sul «progetto Santa Giulia» - la riqualificazione di un quartiere di periferia - hanno portato all’arresto, tra gli altri, dell’imprenditore Giuseppe Grossi e di Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, parlamentare del Pdl ma soprattutto uomo-chiave della sanità lombarda. Sia Grossi sia Abelli sono vicini a Cl; il secondo, in particolare, è uno dei principali collaboratori di Formigoni. L’impressione, o il sospetto a seconda dei punti di vista, è che le successive mosse della Procura potrebbero gettare altre ombre sulla gestione di politica e affari in Lombardia.
Non è un mistero che in questa Regione la bilancia degli equilibri politici, anche all’interno del centrodestra che da sempre vince le elezioni a mani basse, penda a favore dell’ala cattolica dell’ex Forza Italia, il cui dominus indiscusso, qui, è Formigoni. Abbandonata l’idea, o la speranza, di diventare un leader nazionale (con Berlusconi al timone c’è poco spazio), Formigoni ha deciso ormai da tempo che è meglio essere primi in Gallia che secondi a Roma, e ha fatto della Lombardia il suo regno, avviandosi addirittura al quarto mandato. Dispone di una rete di fedelissimi, scelti perlopiù dal mondo dal quale proviene, che è appunto quello di Cl. Ciellini sono il segretario generale Nicola Sanese, gli assessori Raffaele Cattaneo e Giulio Boscagli, il consigliere Mario Sala. Ma ciellini sono anche e soprattutto molti direttori sanitari, amministratori di enti, insomma «gestori» della macchina regionale sul territorio.
Da qui la reiterata accusa secondo la quale in Lombardia non muove foglia che Cl non voglia. Cl e, operativamente, la Compagnia delle Opere, associazione che da Cl ha preso lo spunto e che raggruppa circa 34 mila imprese in tutta Italia. La Regione Lombardia privilegia la Compagnia delle Opere? Questa è l’accusa. Qualcuno la muove con toni violenti. L’anno scorso Eugenio Scalfari disse che «nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere». La Compagnia delle Opere gli replicò invitandolo a «visitare personalmente le nostre sedi e le nostre realtà imprenditoriali» per verificare quanti servizi e quale contributo alla società fornissero.
Cl, in questi casi, dice sempre che non può essere ritenuta responsabile di ciò che fa nel lavoro o in politica ciascun suo singolo aderente. Ma al di là di questa precisazione, c’è una visione del cattolicesimo diversa da quella di altre anime della Chiesa. Tutto cominciò molti anni fa, quando l’Azione Cattolica dichiarò, con Giuseppe Lazzati, la «scelta religiosa», una sorta di separazione tra fede e impegno politico e sociale. Cl, che è nata da una costola dell’Azione Cattolica, crede invece che il cattolico debba «sporcarsi le mani» stando nel mondo. Per il ciellino non c’è nulla di male nell’occupare posti di potere: è un servizio all’uomo anche quello.
Il punto è come si interpreta il ruolo in politica, se per servire o per fare disinvolti affari. I nemici di Cl parlano di un’egemonia esagerata e anche nel mondo cattolico le perplessità non mancano: il timore è che seguendo la logica della concretezza si sia finito con l’imbarcare di tutto, compreso qualcuno che può dare scandalo. Ma Cl ritiene che eventuali errori non possano sporcare un impegno complessivo che è anche quello che ha portato la Lombardia ad avere una delle sanità migliori d’Italia; che è anche quello delle aziende no profit che danno lavoro e speranza a immigrati e handicappati; che è anche quello del Banco Alimentare per sfamare i poveri; che è anche quello delle adozioni a distanza. Cose di cui sui giornali si parla poco.
E che poco interessano a chi attende di vedere a che cosa porterà questa inchiesta. Gli appetiti non mancano. La Lega già nel 2005 scatenò, su La Padania, un’offensiva durissima contro il «sistema di potere» di Formigoni. E ora cerca di capire se può strappare al Cavaliere anche l’irraggiungibile Lombardia.

Burton Morris
06-12-09, 15:35
"La Stampa", 22 Ottobre 2009, pag. 8


L’ombra lunga dei rifiuti tossici

PAOLO COLONNELLO
MILANO


L’inchiesta sulle bonifiche ambientali dell’area Montecity-Santa Giulia, che ha portato in carcere 5 persone tra cui il «Re delle bonifiche» Giuseppe Grossi e l’assessore provinciale di Pavia Rosanna Gariboldi Abelli, assomiglia a un vaso di Pandora da cui scaturiscono in continuazione filoni d’indagini. Non solo dunque fondi neri all’estero, conti cifrati e sospetti pagamenti di mazzette grazie alle fatture gonfiate per lo smaltimento dei terreni tossici dell’ex area Falk-Montedison ma anche un fronte che riguarda più da vicino l’inquinamento ambientale e un’altro che scandaglia il ruolo dell’imprenditore Luigi Zunino, accusato di aver usufruito del sistema off-shore di Grossi per intascare fondi neri pari a oltre 6 milioni grazie a rimesse sospette attraverso la società Cascina Rubina. Circostanza che ieri l’imprenditore ha smentito ma che potrebbe giocare un ruolo negativo nella futura decisione del tribunale fallimentare sul piano di ristrutturazione della società del costruttore, Risanamento, in bilico per un buco di circa 2 miliardi e mezzo. La nuova indagine getta infatti pesanti sospetti sulla reale origine dei costi per la costruzione del quartiere Santa Giulia, posto che per i pm sarebbero stati gonfiati per favorire i ritorni in nero della Green Holding e della Sadi di Grossi.
All’orizzonte il sospetto che il sistema parallelo di Grossi stesse per essere replicato anche nella bonifica dell’ex Sisas di Pioltello. L’altra domanda che si stanno ponendo gli investigatori riguarda invece lo smaltimento dei rifiuti tossici a costi inferiori al dovuto: dove finivano? Una traccia porta a una discarica del vercellese, la Santa Maria di Roasio, aperta da una delle società di Grossi, la Aimeri, nel bel mezzo del parco naturale di Baragge. Proprio qui sono state trasportate una parte delle terre contaminate di Santa Giulia attraverso viaggi notturni affidati alla società Di Giovanni (50 camion impiegati), finché un comitato di cittadini, dopo aver scoperto che i rifiuti potevano inquinare la falda acquifera, si è ribellato. Successive analisi hanno dimostrato che la terra era altamente inquinata con il Ddt: da qui la rapida decisione della società di smaltimento (che fa capo alla Green Holding) di bloccare i trasporti e trasferire in tutta fretta la terra contaminata a Pisa. Com’è possibile che rifiuti tossici venissero scaricati in un parco naturale? E’ una delle domande cui le indagini stanno tentando di dare risposte.

Burton Morris
19-12-09, 01:45
"La Repubblica", VENERDÌ, 23 OTTOBRE 2009
Pagina 9 - Interni

L´ex assessore regionale all´Ambiente, già Udeur oggi Udc: "La gente crede in me"
Nocera, il supersponsor: "Ma ne ho indicati solo venti"


NAPOLI - «Stavo appunto leggendo quante persone avrei raccomandato».
Nella lista la indicano come "sponsor" di 100 nomi.
«Veramente ne trovo solo venti. Ma non è il numero che conta. Sono stato assessore regionale per quattro anni, cento sono addirittura poche. Non c´è politico che non ne faccia. Segnalazioni, dico. Non raccomandazioni che è diverso».
C´è differenza?
«Eccome. Se mi arriva il curriculum di una persona non dico di assumerla. Mi limito a girare la segnalazione, poi altri decidono. Senza alcun obbligo».
Luigi Nocera, ex assessore regionale all´Ambiente in Campania, cento dei 655 nomi inseriti nella lista sequestrata dalla Procura sono indicati come sponsorizzati da lei. Chi sono queste persone?
«Non ricordo neppure i nomi. Sono le classiche segnalazioni di chi fa politica sul territorio, soprattutto al Sud dove c´è grande fame di lavoro».
Insomma, si fa così?
«Non dico questo. Dopo una segnalazione, si fanno i concorsi, le selezioni, le verifiche. Se in quella sede si commettono reati, è giusto che la magistratura proceda. Ma non si può perseguire un politico se spedisce un curriculum. Posso fare un esempio?»
Prego.
«Se lei viene da me perché conosco l´amministratore delegato di una compagnia aerea e mi chiede di segnalare suo figlio che fa il pilota, mi faccio mandare il curriculum e lo inoltro. Ma non chiedo di assumerlo, solo di valutare se ha i requisiti. Perché anche io prendo l´aereo e se quel pilota non è bravo potrei pagarne le conseguenze sulla mia pelle».
E quelli che non conoscono politici restano fuori?
«È vero, il sistema andrebbe cambiato nel suo complesso. In Italia esiste una prassi consolidata che vede le Pubbliche amministrazioni rallentare costantemente le procedure. Ma non è solo colpa della politica».
E di chi, allora?
«Deve cambiare la cultura. E anche i cittadini. Sono un medico, tanti si rivolgono a me per trovare posto in ospedale. È segnalazione o raccomandazione anche questa. Bisogna cambiare, certo. Ma non posso farlo da solo. E ripeto, la sfido a trovare un politico che non abbia fatto segnalazioni in vita sua».
Intanto lei rischia l´etichetta di "Mister 100 raccomandazioni".
«Quando fai politica sai che puoi andare incontro a situazioni sgradevoli. Ho fiducia nella magistratura e sono sicuro della mia innocenza. Alle Europee, con l´Udc, ho ottenuto 17 mila preferenze, segno che la gente crede in me. La politica mi appassiona, ritengo vada svolta nell´interesse generale. Se non è possibile, nessun dramma, mi faccio da parte».


(d. d. p.)

Burton Morris
19-12-09, 01:46
"La Repubblica", VENERDÌ, 23 OTTOBRE 2009
Pagina 13 - Cronaca

Milano, le carte dei pm gli affari segreti e i favori del re delle bonifiche
I viaggi del deputato sul jet di Grossi
Un filo diretto con Resca, direttore dei musei italiani. E al politico chiese: "Convincilo tu..."
Con l´aereo privato dell´industriale Giancarlo Abelli raggiungeva il Parlamento

EMILIO RANDACIO
MILANO - Una fitta rete di rapporti, frequentazioni di Palazzo, favori. Tutti in quel sottobosco tra affari e politica che, in Lombardia ma non solo, ruota intorno al Pdl e agli interessi della Compagnia delle Opere. È il mondo in cui Giuseppe Grossi, fondatore del «più grande gruppo industriale in Italia nel campo dei rifiuti» (parole sue), da tre giorni rinchiuso a San Vittore con pesanti accuse, sembra essersi mosso per anni. Negli ultimi mesi le microspie delle Fiamme gialle non hanno perso una sola delle sue conversazioni. Obiettivo, trovare riscontri alle ipotesi d´accusa dei pm Pedio e Ruta. Dall´associazione a delinquere alla frode fiscale, dalla truffa per finire all´inquietante «corruzione di pubblici ufficiali».
Sindaci, politici nazionali, ma anche semplici funzionari hanno intrattenuto un filo diretto con Grossi. In alcuni casi, i contatti sono certamente istituzionali, legati al suo lavoro. È il caso delle telefonate con il sindaco di Casei Gerola, in provincia di Pavia, dove la Green Holding di Grossi ha vinto uno dei tanti appalti per la bonifica di un´area da 404 mila metri quadri per riqualificare l´area di un ex zuccherificio. «Ti devo parlare di persona», lo incalza pochi mesi fa il primo cittadino, dandogli del tu. Nessun reato ipotizzabile, solo lo spaccato in cui Grossi lavora. Più emblematico, invece, il filo diretto instaurato con Mario Resca, uomo vicino al premier Silvio Berlusconi (è, tra l´altro, nel cda Mondadori), nominato nel 2008 dal terzo governo del Cavaliere alla Direzione generale dei musei italiani.
Le strade di Resca e Grossi si erano già incrociate quando il primo era stato nominato nel 2004 commissario straordinario della Cirio. Durante l´asta del patrimonio immobiliare, Grossi si era aggiudicato il palazzo Visconti a Brignano D´Adda, nel bergamasco. Tra i moltissimi incarichi di Resca, attualmente, anche la direzione dell´Italia Zuccheri spa, che, coincidenza, nell´area di Casei Gerola interessata alla bonifica aveva il suo stabilimento. I contatti sono frequenti, dicono i brogliacci della procura di Milano. Talmente confidenziali da consentire a Grossi di offrire a Resca un passaggio sul suo aereo privato per le vacanze. Siamo al giugno scorso, il manager comunica che sta andando in Egitto, a Urgada. «Vuoi un passaggio in aereo?», gli chiede Grossi. «Per l´andata sono a posto, ma per il ritorno...», risponde Resca.
Un mezzo, l´aeroplano personale del re delle bonifiche, che viene spesso offerto agli «amici». Tra i tanti beneficiati, anche l´onorevole del Pdl Giancarlo Abelli. Pavese, longa manus del governatore Formigoni nella gestione della sanità lombarda, Abelli è potente. Molto potente. Proprio a causa di questo affaire sulla Green Holding, la moglie del parlamentare, Rosanna Gariboldi, è in cella per riciclaggio. Di mezzo ci sono versamenti estero su estero sui conti cifrati dei coniugi Abelli (di uno di questi lo stesso Abelli è procuratore). Flussi di denaro considerevoli, giudicano i pm, sensibilmente superiori alla capacità reddituale della famiglia pavese: il saldo finale è di 1,2 milioni di euro.
Non solo. Tra Grossi e Abelli, oltre la militanza in Comunione e liberazione, ci sono interessi e affari. Per avere a disposizione una Porsche 911 coupè, Abelli paga un leasing mensile a una delle tante società del re delle bonifiche. Diverso il discorso sui viaggi aerei. Abelli, per raggiungere il Parlamento, secondo le indagini, si imbarca al martedì direttamente all´aeroporto privato di Linate, proprio a bordo del jet di Grossi. E il percorso inverso lo effettua il giovedì sera. «Non si hanno evidenze - scrive il gip di Milano D´Arcangelo - di come venga regolata economicamente tale prestazione».
In altre intercettazioni telefoniche, c´è anche il riferimento a un parlamentare che ha l´identikit sempre di Abelli. Avendo l´immunità, il politico non viene citato esplicitamente. Certo, questa persona sembra essere molto ben introdotta all´ospedale San Matteo di Pavia, di cui Abelli è stato direttore. Siamo nel giugno scorso: nell´entourage di Giuseppe Grossi inizia a circolare la voce che il "capo" potrebbe essere arrestato per l´inchiesta milanese. A spifferarlo a un collaboratore di Grossi (convinto di non essere intercettato), è un avvocato penalista, amico di vecchia data del principale. Grossi è spaventato e decide di effettuare una visita al cuore dal primario di fama internazionale, Mario Viganò. Il medico fa la sua diagnosi, che però non convince il re delle bonifiche. Lui, infatti, vuole farsi operare per l´applicazione di due bypass. Viganò è contrario. Ed ecco che Grossi chiama il parlamentare per chiedere un aiuto: «Convincilo tu», insiste Grossi. E la risposta è tutt´altro che remissiva. «Gli parlerò presto». Pochi giorni dopo, Grossi entra in sala operatoria.
Grossi non risparmia l´uso delle sue relazioni influenti anche per favorire gli amici: nel marzo scorso lo chiama il direttore generale della Provincia di Bergamo, tale dottor Bari, che gli chiede «di intercedere presso l´onorevole Valducci», presumibilmente l´attuale presidente della commissione telecomunicazioni della Camera, sempre esponente del Pdl. I brogliacci non svelano, questa volta, l´esito dell´intercessione.

Burton Morris
19-12-09, 01:49
"La Stampa", 24 Ottobre 2009, pag. 23

il caso
L’inchiesta sui fondi neri di Santa Giulia

Il conto misterioso della signora Abelli

PAOLO COLONNELLO
MILANO


L’inchiesta sui fondi neri dell’area Montecity-Santa Giulia, in quel di Rogoredo a Milano, illumina con un faro potente degli inquirenti anche strani movimenti di denaro avvenuti alla Servizi Industriali di Orbassano, altra società dell’impero industriale di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche finito in carcere martedì scorso con accuse che vanno dall’associazione per delinquere all’appropriazione indebita, alle false fatturazioni. Dalla sede della società specializzata nella lavorazione di rifiuti pericolosi e sorta su una vecchia discarica di rifiuti industriali vicino a Torino, la Guardia di Finanza avrebbe infatti trovato traccia di rimesse in nero (tramite un giro di società di trasportatori tedesche e svizzere) che sarebbero finite all’estero.
Precisamente sul conto «Trullo» aperto da Grossi a Madeira (in Portogallo) per far confluire i capitali illeciti ottenuti attraverso le false fatturazioni sui trasporti del materiale da bonificare. E dato che una sede della Servizi Industriali è appunto a Orbassano e amministratore delegato risulta quel Paolo Titta arrestato martedì scorso assieme a Grossi, si capisce come l’interesse degli investigatori si sia acceso anche per le attività torinesi della società.
I fronti aperti sono dunque molteplici. Da una parte i rapporti di Grossi - che si autodefinisce «il più grande imprenditore nel settore delle bonifiche industriali in Italia» - col mondo politico lombardo e nazionale, posto che buona parte dei 22 milioni di euro in nero, rintracciati nel sistema off-shore all’estero, rientrando in Italia non si sa che fine abbiano fatto; dall’altra l’attività dell’imprenditore nel campo delle bonifiche e dunque delle discariche, così come nel campo immobiliare.
Grossi infatti, oltre a quelli nell’area ex Sisal di Pioltello (dove in cambio della bonfica avrebbe chiesto concessioni edilizie e dove, secondo le accuse, avrebbe replicato il sistema Montecity) aveva da tempo grandi interessi per la costruzione di un gigantesco centro commerciale di 100 mila metri quadrati a Casei Gerola, nel Pavese. Proprio nell’area (da lui bonificata) di Italia Zuccheri Spa che ha avuto come presidente Mario Resca, uomo potente vicino a Silvio Berlusconi, direttore generale dei Musei Italiani e con il quale Grossi, nelle intercettazioni, sembra essere in grande confidenza. Tanto da offrirgli un passaggio per le vacanze sul suo aereo privato, nel giugno scorso.
Amicizie importanti e influenti quelle di Giuseppe Grossi, come quella con l’assessore all’Ambiente della Regione Lombardia, Massimo Ponzoni, o il vice coordinatore nazionale del Pdl Giancarlo Abelli. Questi nelle intercettazioni viene definito «il Faraone», negli ultimi giorni (anche ieri) in qualità di parlamentare non ha mancato di far visita in carcere alla moglie Rosanna Gariboldi, assessore provinciale di Pavia, pur non avendo il permesso di farlo come marito. La donna, arrestata assieme a Grossi e altri manager martedì scorso con l’accusa di riciclaggio, per aver gestito un conto a Montecarlo (sul quale aveva la procura Abelli) su cui sono passati svariati milioni dell’imprenditore delle bonfiche. «Erano soldi che investivo attraverso Grossi che è un amico di famiglia», avrebbe spiegato la donna ai pm che l’hanno interrogata l’altra sera.
Di quali soldi si tratti non è chiaro, visto che nella dichiarazione dei redditi dell’assessore si va dai 50 mila euro del 2006 ai 90 mila del 2008, mentre sul conto di Montecarlo fin dal 2003 giravano cifre in entrata e in uscita da 300 mila a 500 mila euro per volta, con un saldo finale per i coniugi Gariboldi-Abelli pari a un milione e 200 mila euro. Alla fine Rosanna Gariboldi Abelli si è convinta di aver dato tutte le spiegazioni del caso, anche su un altro conto aperto presso il Credit Suisse di Lugano e chiuso (a suo dire) nel 2005.
Ieri i pm hanno respinto le richieste di scarcerazione avanzate dai due ex finanzieri, collaboratori di Grossi, arrestati in gennaio. Respinta anche la richiesta presentata dal manager Paolo Titta.

Burton Morris
19-12-09, 01:49
07/09/2000
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"La Repubblica", SABATO, 24 OTTOBRE 2009

Pagina 1 - Prima Pagina

La polemica
La camorra alla conquista dei partiti in Campania


ROBERTO SAVIANO

Quando un´organizzazione può decidere del destino di un partito controllandone le tessere, quando può pesare sulla presidenza di una Regione, quando può infiltrarsi con assoluta dimestichezza e altrettanta noncuranza in opposizione e maggioranza, quando può decidere le sorti di quasi sei milioni di cittadini, non ci troviamo di fronte a un´emergenza, a un´anomalia, a un «caso Campania». Ma al cospetto di una presa di potere già avvenuta della quale ora riusciamo semplicemente a mettere insieme alcuni segni e sintomi palesi.
Sembra persino riduttivo il ricorso alla tradizionale metafora del cancro: utile, forse, soprattutto per mostrare il meccanismo parassitario con cui avviene l´occupazione dello Stato democratico da parte di un sistema affaristico-politico-mafioso. Ora che le organizzazioni criminali decidono gli equilibri politici, è la politica ad essere chiamata a dare una risposta immediata e netta. Nicola Cosentino, attuale sottosegretario all´Economia e coordinatore del Pdl in Campania, fino a qualche giorno fa era l´indiscusso candidato alla presidenza della Regione. Nicola Cosentino, detto «o´mericano», è stato indicato da cinque pentiti come uomo organico agli interessi dei Casalesi: tra le deposizioni figurano quelle di Carmine Schiavone, cugino di Sandokan, nonché di Dario de Simone, altro ex capo ma soprattutto uno dei pentiti che si sono rivelati fra i più affidabili al processo Spartacus.




Per ora non ci sono cause pendenti sulla sua testa e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono al vaglio della magistratura. Nicola Cosentino si difende affermando di non poter essere accusato della sua nascita a Casal di Principe, né dei legami stretti anni fa da alcuni suoi familiari con esponenti del clan. Però da parte sua sono sempre mancate inequivocabili prese di distanza e questo, in un territorio come quello casertano, sarebbe già stato sufficiente per tenere sotto stretta sorveglianza la sua carriera politica. Invece l´ascesa di Cosentino non ha trovato ostacoli: da coordinatore provinciale a coordinatore regionale, da candidato alla Provincia di Caserta a sottosegretario dell´attuale governo. E solo ora che aspira alla carica di Governatore, finalmente qualcuno si sveglia e si chiede: chi è Nicola Cosentino? Perché solo ora si accorgono che non è idoneo come presidente di regione?
Perché si è permesso che l´unico sviluppo di questi territori fosse costruire mastodontici centri commerciali (tra cui il Centro Campania, uno dei più grandi al mondo) che sistematicamente andavano ad ingrassare gli affari dei clan. Come ha dichiarato il capo dell´antimafia di Napoli Cafiero de Raho «è stato accertato che sarebbe stato imposto non solo il pagamento di tangenti per 450 mila euro (per ogni lavoro ndr) ma anche l´affidamento di subappalti in favore di ditte segnalate da Pasquale Zagaria». Lo stesso è accaduto con Ikea, che come denunciato al Senato nel 2004 è sorto su un terreno già confiscato al capocamorra Magliulo Vincenzo, e viene dallo Stato ceduto ad una azienda legata ai clan. Nulla può muoversi se il cemento dei clan non benedice ogni lavoro.
Secondo Gaetano Vassallo, il pentito dei rifiuti facente parte della fazione Bidognetti, Cosentino insieme a Luigi Cesaro, altro parlamentare Pdl assai potente, in zona controllava per il clan il consorzio Eco4, ossia la parte "semilegale" del business dell´immondizia che ha già chiesto il tributo di sangue di una vittima eccellente: Michele Orsi, uno dei fratelli che gestivano il consorzio, viene freddato a giugno dell´anno scorso in centro a Casal di Principe, poco prima che fosse chiamato a testimoniare a un processo. Il consorzio operava in tutto il basso casertano sino all´area di Mondragone dove sarebbe invece - sempre secondo il pentito Gaetano Vassallo - Cosimo Chianese, il fedelissimo di Mario Landolfi, ex uomo di An, a curare gli interessi del clan La Torre. Interessi che riguardano da un lato ciò che fa girare il danaro: tangenti e subappalti, nonché la prassi di sversare rifiuti tossici in discariche destinate a rifiuti urbani, finendo per rivestire di un osceno manto legale l´avvelenamento sistematico campano incominciato a partire dagli anni Novanta. Dall´altro lato assunzioni che garantiscono voti ossia stabilizzano il consenso e il potere politico.
Districare i piani è quasi impossibile, così come è impossibile trovare le differenze tra economia legale e economia criminale, distinguere il profilo di un costruttore legato ai clan ed un costruttore indipendente e pulito. Ed è impossibile distinguere fra destra e sinistra perché per i clan la sola differenza è quella che passa tra uomini avvicinabili, ovvero uomini "loro", e i pochi, troppo pochi e sempre troppo deboli esponenti politici che non lo sono. E, infine, è pura illusione pensare che possa esistere una gestione clientelare "vecchia maniera", ossia fondata certo su favori elargiti su larga scala, ma aliena dalla contaminazione con la camorra. Per quanto Clemente Mastella possa dichiarare: «Io non ho nessuna attinenza con i clan e vivo in una provincia dove questo fenomeno non c´è, o almeno non c´era fino a poco fa», sta di fatto che un filone dell´inchiesta sullo scandalo che ha investito lui, la sua famiglia e il suo partito sia ora al vaglio dell´Antimafia. I pubblici ministeri starebbero indagando sul business connesso alla tutela ambientale; si ipotizza il coinvolgimento oltre che degli stessi Casalesi anche del clan Belforte di Marcianise. Il tramite di queste operazioni sarebbe Nicola Ferraro, anch´egli nativo di Casal di Principe, consigliere regionale dell´Udeur, nonché segretario del partito in Campania. Di Ferraro, imprenditore nel settore dei rifiuti, va ricordato che alla sua azienda fu negato il certificato antimafia; ciò non gli ha impedito di fare carriera in politica. E questo è un fatto.
Di nuovo, non è l´aspetto folkloristico, la Porsche Cayenne comprata dal figlio di Mastella Pellegrino da un concessionario marcianisano attualmente detenuto al 416-bis, a dover attirare l´attenzione. L´aspetto più importante è vedere cos´è stato il sistema Mastella - un sistema che per trent´anni ha rappresentato la continuità della politica feudale meridionale - e che cosa è divenuto. Oggi, persino se le indagini giudiziarie dovessero dare esiti diversi, non si può fingere di non vedere che Ceppaloni confina con Casal di Principe o vi si sovrappone. E il nome di Casale qui non ha valenza solo simbolica, ma è richiamo preciso alla più potente, meglio organizzata e meglio diversificata organizzazione criminale della regione.
Per la camorra - abbiamo detto - destra e sinistra non esistono. Il Pd dovrebbe chiedersi, ad esempio, come è possibile che in un solo pomeriggio a Napoli aderiscano in seimila. Chi sono tutti quei nuovi iscritti, chi li ha raccolti, chi li ha mandati a fare incetta di tessere? Da chi è formata la base di un partito che a Napoli e provincia conta circa 60.000 tesserati, 10.000 in provincia di Caserta, 12.000 in quella di Salerno, 6.000 ciascuno nelle restanti province di Avellino e Benevento? Chiedersi se è normale che il solo casertano abbia più iscritti dell´intera Lombardia, se non sia curioso che in alcuni comuni alle recenti elezioni provinciali, i voti effettivamente espressi in favore del partito erano inferiori al numero delle tessere. Perché la dirigenza del Pd non è intervenuta subito su questo scandalo?
Che razza di militanti sono quelli che non vanno a votare, o meglio: vanno a votare solo laddove il loro voto serve? E quel che serve, probabilmente, è il voto alle primarie, soprattutto nella prima ipotesi che fosse accessibile solo ai membri tesserati. Questo è il sospetto sempre più forte, mentre altri fatti sono certezza. Come la morte di Gino Tommasino, consigliere comunale Pd di Castellammare di Stabia, ucciso nel febbraio dell´anno scorso da un commando di cui faceva parte anche un suo compagno di partito. O la presenza al matrimonio della nipote del ex boss Carmine Alfieri del sindaco di Pompei Claudio d´Alessio.
L´unica cosa da fare è azzerare tutto. Azzerare le dirigenze, interrompere i processi di selezione in corso, sia per la candidatura alla Regione che per le primarie del Pd, all´occorrenza invalidare i risultati. Non è più pensabile lasciare la politica in mano a chi la svende a interessi criminali o feudali. Non basta più affidare il risanamento di questa situazione all´azione del potere giudiziario. Non basterebbe neppure in un Paese in cui la magistratura non fosse al centro di polemiche e i tempi della giustizia non fossero lunghi come nel nostro. È la politica, solo la politica che deve assumersi la responsabilità dei danni che ha creato. Azzerare e non ricandidare più tutti quei politici divenuti potenti non sulle idee, non su carisma, non sui progetti ma sulle clientele, sul talento di riuscire a spartire posti e quindi ricevere voti.
Mentre la politica si disinteressava della mafia, la mafia si è interessata alla politica cooptandola sistematicamente. Ieri a Casapesenna, il paese di Michele Zagaria, è morto un uomo, un politico, il cui nome non è mai uscito dalle cronache locali. Si chiamava Antonio Cangiano, nel 1988 era vicesindaco e si rifiutò di far vincere un appalto a un´impresa legata al clan. Per questo gli tesero un agguato. Lo colpirono alla schiena, da dietro, in quattro, in piazza: non per ucciderlo ma solo per immobilizzarlo, paralizzarlo. Tonino Cangiano ha vissuto ventun´anni su una sedia a rotelle, ma non si è mai piegato. Non si è nemmeno perso d´animo quando tre anni fa coloro che riteneva responsabili di quel supplizio sono stati assolti per insufficienza di prove.
Se la politica, persino la peggiore, non vuole rassegnarsi ad essere mero simulacro, semplice stampella di un´altra gestione del potere, è ora che corra drasticamente ai ripari. Per mero istinto di sopravvivenza, ancora prima che per «questione morale». Non è impossibile. O testimonia l´immagine emblematica e reale di Tonino che negli anni aveva dovuto subire numerosi e dolorosi interventi terminati con l´amputazione delle gambe, un corpo dimezzato, ma il cui pensiero, la cui parola, la cui voglia di lottare continuava a prendersi ogni libertà di movimento. Un uomo senza gambe che cammina dritto e libero, questo è oggi il contrario di ciò che rappresentano il Sud e la Campania. È ciò da cui si dovrebbe finalmente ricominciare.


© 2009 . Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency

Burton Morris
19-12-09, 01:49
Il direttore generale Asl licenziabile per gravi motivi


Il Sole 24 Ore del 26/10/2009 p. 46


L'OK DELLA REGIONE Serve il parere della conferenza dei sindaci a meno che non sussista la condizione della particolare urgenza

Giovanni Parente
La regione può risolvere il contratto con il direttore generale di un'azienda sanitaria locale solo in presenza di gravi motivi. L'ente è comunque tenuto ad acquisire prima il parere della conferenza dei sindaci, a meno che non sussista il requisito della particolare gravità e urgenza.
Lo rileva la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 21212 dello scorso 5 ottobre. La Suprema corte conferma così la decisione d'appello che, sulla scorta di quanto già stabilito dal tribunale, aveva rilevato come la delibera di risoluzione e revoca della dirigente di un'Asl non era assistita dai gravi motivi previsti dall'articolo 3-bis del Dlgs 502/92 per la dichiarazione di decadenza dalla nomina, né dal requisito di particolare gravità e urgenza che permetteva di prescindere dal parere della conferenza dei sindaci previsto dall'articolo 2, comma 2 bis, dello stesso provvedimento.
Secondo la ricostruzione operata dal collegio di merito, la giunta regionale aveva avviato le procedure di risoluzione del contratto nel novembre 2001 ritenendo che fosse stato violato il principio del buon andamento dell'amministrazione. Le aveva concluse nel mese successivo con una delibera che stabiliva la risoluzione immediata del contratto privatistico di lavoro e sollevava la donna dall'incarico per il venir meno delle condizioni generali di fiducia e per la carenza dei rapporti di collaborazione con il collegio sindacale e le strutture portanti dell'azienda. Quest'ultimo addebito, però, «non aveva alcun fondamento» secondo la corte d'appello. Pertanto, a suo avviso, la risoluzione del rapporto doveva considerarsi illegittima: non si potevano addebitare alla dirigente la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione in assenza di responsabilità gestionali per vicende contabili risalenti alla gestione precedente, che anzi aveva cercato di risolvere collaborando, come richiestole, con gli organi di controllo.
Inoltre, il tribunale aveva, in primo grado, riconosciuto alla dirigente il risarcimento del danno da lucro cessante, biologico, professionale ed esistenziale. Nel presentare appello, la regione contestava i presupposti per la condanna a pagare per il danno biologico e le altre voci, mentre sulla lesione dell'immagine professionale considerava la dichiarazione di illegittimità del recesso già un mezzo idoneo di ristoro. I magistrati di secondo grado, però, hanno ritenuto che la liquidazione complessiva delle voci di danno e la valutazione equitativa, nell'impossibilità di una diversa "misurazione" per alcune di esse, erano giustificati.
Così la regione ha presentato ricorso in Cassazione, che lo rigetta riaffermando le lacune già evidenziate nei precedenti giudizi: «Nel caso di specie secondo gli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata il parere della conferenza prevista dall'articolo 2, comma 2-bis, del Dlgs 502/92, non è stato acquisito senza che ricorresse il requisito di particolare gravità ed urgenza che avrebbe consentito di prescinderne». Con la conseguenza che la delibera di risoluzione del rapporto deve ritenersi «viziata». La ricorrente, quindi, ha trascurato la specifica previsione di legge che, ai fini dell'acquisizione del parere della conferenza dei sindaci, fa riferimento «non ai gravi motivi di risoluzione del rapporto ma ai "casi di particolare gravità ed urgenza", nella specie non ricorrenti secondo l'accertamento della sentenza impugnata sostanzialmente incensurato».

Burton Morris
19-12-09, 01:50
Il deputato fa visita alla moglie in cella (http://archiviostorico.corriere.it/2009/ottobre/23/deputato_visita_alla_moglie_cella_co_8_091023035.s html)

Fondi neri e bonifiche Lei si difende: all' imprenditore Grossi facevo dei prestiti. La telefonata di Berlusconi: solidarietà.


Il deputato fa visita alla moglie in cella
Il pdl Abelli, che da marito non ha il permesso, usa i poteri di «sindacato ispettivo»




MILANO - Come marito, non ha il permesso di incontrare la moglie in carcere. Ma Giancarlo Abelli l' ha visitata lo stesso, entrando a San Vittore il martedì stesso dell' arresto: da deputato, al quale peraltro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha telefonato dalla Russia (dove è in viaggio) per esprimere solidarietà. I parlamentari, infatti, hanno la possibilità di entrare in qualunque momento in ogni carcere per esercitare i poteri di «sindacato ispettivo» sulle condizioni dei detenuti che la legge attribuisce loro. Ed è a questo titolo che il vicecoordinatore nazionale di Pdl, ex assessore regionale alla Sanità e oggi deputato, ha potuto parlare con la moglie Rosanna Gariboldi, dimissionaria assessore della Provincia di Pavia arrestata martedì insieme al re delle bonifiche ambientali Giuseppe Grossi, e ad altre 6 persone, per le ipotesi di reato di ricettazione e riciclaggio quale intestataria di un conto cifrato a Montecarlo, sul quale per 12 volte dal 2001 al 2008 ricevette ingenti somme da conti riconducibili a Grossi e per tre volte gliele inviò, con un saldo per sé di 1,2 milioni. Nella stessa giornata, dalla Gariboldi è passata anche la pdl Tiziana Maiolo, che ha una tradizione di visite ispettive nelle carceri. Abelli, di cui non si ricordano precedenti ispezioni a San Vittore, è entrato nel carcere martedì e ha parlato con la moglie mezz' ora nei termini previsti dalla legge, cioè alla presenza di agenti di custodia e non sui temi d' indagine. Temi che lo sfiorano personalmente, perché aveva «un mandato come procuratore» sul conto monegasco intestato alla moglie; perché la moglie ne ha un altro in Svizzera; e perché i magistrati, che non lo hanno indagato, accennano a «significative forme di agevolazione economica che Grossi eroga alla Gariboldi e al coniuge» Abelli, «quali la messa a disposizione di una Porsche e di un appartamento a Milano» (a fronte di canoni mensili), nonché di «un jet privato» a bordo del quale «vola settimanalmente» senza che si abbiano «evidenze di come venga regolata economicamente tale prestazione». La Gariboldi, difesa dai professori Ennio Amodio e Novella Galantini, ieri ha spiegato al gip l' origine del proprio conto con la vendita di case a Pavia e in Sardegna e la liquidazione di alcuni titoli: di volta in volta avrebbe poi aderito alla richiesta di Grossi (prestami dei soldi da investire e te li restituirò con utili), ricavandone appunto consistenti margini ma mai conoscendo di quale natura fossero le operazioni di Grossi. E intanto le esprime solidarietà anche Mario Mauro, presidente dei parlamentari europei del Pdl, per il quale «la notizia del suo arresto è l' ennesimo sintomo del rapporto in crisi tra politica e giustizia, e traduce il fatto che attraverso misure cautelari si intende produrre un effetto mediatico occhiutamente anticipatore di i sviluppi processuali». Grossi ha rappresentato ai pm la propria protesta per un arresto che ritiene «incomprensibile». Il suo manager Paolo Titta ha chiesto la scarcerazione, ma è contrario il parere dei pm. L' altra sua manager, Cesarina Ferruzzi, «si è assunta le proprie responsabilità - spiega il difensore Giuseppe Lucibello -, che però sono molto più circoscritte e limitate rispetto alle imputazioni mossele»: Ferruzzi, che mette a disposizione dei pm il proprio conto a Montecarlo e le relative somme, ammette non ingenti sovrafatturazioni ma spiega di aver per il resto solo eseguito indicazioni di Grossi. Così come l' interrogatorio dell' ex segretaria di Grossi, Maria Ruggiero, difesa da Daniela Covini, si gioca sulla sua consapevolezza o meno dell' origine e dei percorsi dei 4 milioni mezzo ricevuti da Grossi.



Luigi Ferrarella Giuseppe Guastella



L' inchiesta

In arresto Giuseppe Grossi, patron di Green Holding, è stato arrestato per associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale, appropriazione indebita, truffa, riciclaggio In cella In cella anche i manager Paolo Titta e Cesarina Ferruzzi, l' ex segretaria Maria Ruggiero, e Rosanna Gariboldi, assessore provinciale (dimissionaria) di Pavia con il Pdl e moglie del vicecoordinatore del Pdl Giancarlo Abelli Fondi neri I magistrati milanesi sono convinti di aver ricostruito la scia di 22 milioni di fondi neri del gruppo drenati all' estero da Grossi. Resta ancora da chiarire che fine abbiano fatto i 2 milioni e mezzo di euro in contanti che gli «spalloni» riportarono in Italia dalla Svizzera avvolti in carta di giornale. Sconosciuta anche la destinazione di orologi da collezione per i quali, negli anni, Grossi avrebbe speso almeno 6 milioni e 400 mila euro


Pagina 29
(23 ottobre 2009) - Corriere della Sera

Burton Morris
19-12-09, 01:50
Abelli: sul jet di Grossi? Faccio risparmiare lo Stato (http://archiviostorico.corriere.it/2009/ottobre/24/Abelli_sul_jet_Grossi_Faccio_co_9_091024011.shtml)

Milano/Il deputato pdl rivendica «l' amicizia fraterna» con l' imprenditore in cella che «mai ho favorito»


Abelli: sul jet di Grossi? Faccio risparmiare lo Stato
Il vice della Camera, Lupi, a San Vittore convince l' arrestato a riprendere i farmaci Podestà Sulla casa di Grossi in affitto al presidente della Provincia: «Canoni sempre pagati e non agevolati»




MILANO - «Ci sentiamo al telefono ogni giorno, facciamo vacanze insieme da anni... Sarei meschino a disconoscere l' amicizia fraterna e decennale con Giuseppe Grossi, anzi ne sono orgoglioso» rivendica il deputato e vicecoordinatore nazionale del Pdl Giancarlo Abelli a proposito del re delle bonifiche ambientali, arrestato per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di 22 milioni e visitato ieri a San Vittore dal vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, che l' ha convinto a interrompere lo sciopero delle medicine salvavita. Rientra nell' amicizia anche andare gratis a Roma ogni martedì e tornare il giovedì dal Parlamento sull' aereo di Grossi? Abelli, che non è indagato, accetta di rispondere a patto di non affrontare l' accusa costata l' arresto alla moglie Rosanna Gariboldi per l' ipotesi di ricettazione e riciclaggio nei pluriennali rapporti di dare e avere con Grossi (saldo: 1,2 milioni) su un conto cifrato monegasco della coniuge: «Quella di Grossi verso di me è una... chiamatela come volete, io dico una premura. Spontanea e naturale». Premura? «Potrà apparire eccessiva, ma va rapportata a chi è Grossi» dice Abelli riferendosi alla straordinaria ricchezza dell' imprenditore. «Per me è certamente più comodo volare sul suo aereo privato. E' solo comodità, non ricavo alcun vantaggio patrimoniale. Anzi, è lo Stato che ci guadagna». In che senso? «Come parlamentare, se prendo un volo di linea ho diritto al rimborso dei biglietti: dunque - è il punto di vista di Abelli - è la Camera dei deputati ad avere risparmiato un sacco di soldi». Abelli conferma di avere in uso da Grossi una Porsche 911 coupé «per la quale pago un canone mensile» (743 euro in contabilità) e un appartamento a Milano, di cui, diversamente da quanto abbozzato da due collaboratori di Grossi arrestati in febbraio, «pago l' affitto di tasca mia» e non con soldi ipoteticamente datigli in precedenza da Grossi stesso. I due arrestati nei loro verbali ricordano il nome di altri politici pdl in affitto da Grossi e cioè il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, e il presidente della Commissione trasporti e telecomunicazioni della Camera, Mario Valducci. «Il palazzo dove abito era stato interamente venduto dalle Generali a Grossi, che l' ha rivenduto a altro gruppo eccetto alcuni appartamenti tra i quali il mio» spiega Podestà: «Dunque oggi io pago l' affitto, che prima corrispondevo a Generali, a una società di Grossi, senza alcuna agevolazione. Mai ho parlato con lui, se non la volta in cui gli chiesi senza successo di vendermi casa». Analogo Valducci, «amico di Grossi: in passato ho abitato a Milano nella casa di una sua società. L' affitto? Sempre pagato, regolarmente e in assegni». Abelli ieri è tornato a visitare la moglie a San Vittore, giudicando non inopportuno utilizzare la prerogativa che come parlamentare ha di entrare nel carcere, dove martedì Gariboldi ha visto anche la consigliere regionale Antonella Maiolo (e non Tiziana, come riportato ieri per un lapsus sul nome di battesimo della sorella). Del resto a San Vittore è un continuo via e vai di politici, visto che ieri a incontrare Grossi è arrivato anche il vicepresidente pdl della Camera, Maurizio Lupi: insieme al provveditore alle carceri lombarde, Luigi Pagano, e a un medico, Lupi ha convinto l' imprenditore a interrompere lo «sciopero delle medicine» che, per protesta contro l' arresto ritenuto «ingiusto», lo induceva da 48 ore a non prendere più i farmaci per il cuore malato. Ma Abelli anticipa «i cattivi pensieri che fate e allora ve lo dico io prima: io non ho mai preso soldi da Grossi, né ho mai "incrociato" alcun affare di Grossi. Nella mia lunga attività di amministratore pubblico - afferma - mai ho compiuto un qualunque atto che, direttamente o indirettamente, l' abbia favorito in qualche modo».



Luigi Ferrarella

Pagina 23
(24 ottobre 2009) - Corriere della Sera

Burton Morris
19-12-09, 01:50
"La Stampa", 27 Ottobre 2009, pag. 18

COINVOLTO L’UFFICIO URBANISTICA DEL COMUNE


A Firenze lo scandalo appalti
Arrestato l’ex capogruppo Pd



MARIA VITTORIA GIANNOTTI
FIRENZE


Una società di progettazione in ascesa, alcuni dipendenti comunali compiacenti e due esponenti locali del Pd pronti a spendere i loro buoni uffici per agevolare pratiche e progetti, anche se «difettati». Sono i protagonisti dell’inchiesta giudiziaria che, ieri mattina, si è abbattuta sull’ufficio urbanistica del Comune di Firenze e su alcuni esponenti della passata amministrazione. Sette gli arrestati – sei sono ai domiciliari: tra questi, l’ex capogruppo del Pd in Palazzo Vecchio Alberto Formigli. Ventiquattro gli indagati: imprenditori edili e liberi professionisti, dipendenti pubblici e un ex consigliere comunale del pd, Antongiulio Barbaro, che, succedendo a Formigli, aveva ricoperto il ruolo di presidente della commissione urbanistica di Palazzo Vecchio.
Le accuse sono di associazione a delinquere, corruzione, abuso d’ufficio, truffa aggravata e falso ideologico. Nel mirino degli investigatori, ventuno cantieri aperti in città: nella maggior parte dei casi sono grandi interventi, che cambieranno il volto di interi quartieri. Ma quello che è venuto allo scoperto, nell’inchiesta partita due anni fa da un accertamento della Polizia stradale, è un sistema quotidiano di favori e di condizionamenti, che andava avanti da molto tempo. «La società di progettazione Quadra – spiegano i sostituti procuratori Giuseppina Mione e Leopoldo De Gregorio, che hanno coordinato l’inchiesta – costituiva un concreto monopolio. Andare da Quadra significava ottenere i permessi che si volevano». Per il procuratore capo Giuseppe Quattrocchi «è una corrosione del rispetto dell’etica pubblica».
Per mesi, telecamere e microspie piazzate nell’ufficio edilizia privata del Comune, hanno ripreso e registrato telefonate compromettenti, appuntamenti e falsificazione di documenti in «diretta». Due soci di Quadra avevano accesso ai computer di due dipendenti pubblici per modificare documenti presentati in precedenza. Ma le cimici hanno permesso anche di far emergere la disinvoltura con cui due dei dipendenti arrestati – uno è in carcere, l’altro, ora in pensione, è ai domiciliari - sempre troppo presi dai loro affari per stare in ufficio il tempo necessario, si scambiavano il badge per risultare al lavoro anche quando erano assenti. Il capo dell’ufficio tecnico sarebbe anche riuscito a fare una vacanza a New York, pur risultando in permesso retribuito per assistere la madre gravemente malata.
La corruzione si concretizzava in scambi di favori, ma i dipendenti pubblici avrebbero anche ottenuto denaro poi investito in Ucraina. «La mia amministrazione – ha commentato il sindaco Matteo Renzi – non ha niente a che vedere con questa vicenda».

Burton Morris
19-12-09, 01:51
"La Repubblica", MARTEDÌ, 27 OTTOBRE 2009
Pagina 13 - Interni

Lady Mastella rinviata a giudizio: "Voleva la nomina di tre primari"
Accusata di concussione. È l´inchiesta che portò alla caduta del governo Prodi

DARIO DEL PORTO
NAPOLI - Costretta a rimanere lontana dalla Campania e ora anche rinviata a giudizio: dopo il divieto di dimora disposto sei giorni fa nell´ambito del secondo filone dell´inchiesta Udeur, Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio regionale, deve incassare la decisione del gup Sergio Marotta sul primo capitolo dell´indagine, lo stesso che nel gennaio 2008 mandò definitivamente in crisi il governo Prodi. La moglie dell´ex ministro della Giustizia dovrà comparire in Tribunale il 15 febbraio per l´inizio del processo: è imputata di tentata concussione per presunte pressioni sul manager dell´azienda ospedaliera Sant´Anna e Sebastiano di Caserta, Luigi Annunziata, con l´obiettivo (non conseguito) di ottenere la nomina di tre primari. Il giudice, che aveva già stralciato la posizione di Mastella per la questione riguardante l´utilizzabilità delle telefonate di parlamentari, ha rinviato a giudizio in tutto dieci persone.
Per lo stesso episodio contestato a Sandra Lonardo saranno processati anche l´ex assessore regionale Andrea Abbamonte, i consiglieri regionali Nicola Ferraro e Ferdinando Errico e l´ex consulente legale della Lonardo. Abbamonte va a giudizio insieme al consuocero di Mastella Carlo Camilleri e all´ex assessore regionale Luigi Nocera, anche per l´ipotesi di tentata concussione ai danni del governatore Antonio Bassolino (che non si è costituito parte civile) per la nomina di un commissario all´Asi di Benevento. Rinviati a giudizio infine l´ex segretario del Tar Vincenzo Lucariello, il giudice amministrativo Ugo De Maio e Francesco Trusio per una presunta rivelazione del segreto d´ufficio riguardante il contenuto di una camera di consiglio su un ricorso amministrativo. I tre sono stati invece prosciolti dall´accusa di abuso d´ufficio. Prosciolti da un altro capo di abuso d´ufficio Abbamonte e Lucariello, mentre Camilleri è stato prosciolto da due ipotesi di falso e abuso d´ufficio. Su altri episodi minori gli atti sono stati trasmessi a Salerno e Benevento. «Sono assolutamente certa che la mia completa estraneità troverà piena dimostrazione nel dibattimento - ha commentato Sandra Lonardo - dagli atti emergono solo millanterie o episodi riferiti da terze persone. Soprattutto, nessuno ha mai riferito che io abbia chiesto alcunché al dottor Annunziata». Si difendono anche gli altri imputati mentre davanti al gip Anna Laura Alfano vanno avanti gli interrogatori del secondo versante dell´indagine partita a Santa Maria Capua Vetere e ora coordinata dal pm di Napoli Francesco Curcio. Lady Sandra ha chiesto di rinviare l´interrogatorio per poter approfondire l´ordinanza.

Burton Morris
19-12-09, 01:54
"La Stampa", 28 Ottobre 2009, pag. 21


Retroscena
Tangenti e arresti a Milano

Tutti gli uomini d’oro del re delle bonifiche

PAOLO COLONNELLO
MILANO

Un tipo generoso il «re delle bonifiche» Giuseppe Grossi, finito in carcere la settimana scorsa per le bonifiche «gonfiate» dell’area Montecity-Santa Giulia: ad ogni festa comandata partiva il giro di regali, ad amici e collaboratori, uomini politici e soci d’affari.
Di solito orologi di valore che l’imprenditore milanese andava a comprare, o faceva acquistare, dal suo rivenditore di fiducia, l’orefice Carlo Verga, negozio a due passi dal Duomo. Quasi una mania quella di Grossi o forse una necessità, tanto che gli inquirenti, che lo hanno indagato anche per corruzione, hanno calcolato che dei 22 milioni di fondi neri creati all’estero con le sue off-shore, l’imprenditore abbia riportato in Italia una buona parte del malloppo per spendere fino a 6 milioni e mezzo di euro nei preziosissimi orologi.
In parte li teneva per sé, perché Grossi, oltre a collezionare Ferrari e auto di lusso, nel suo caveau ne custodiva centinaia. Ma in parte finivano agli «amici», il cui elenco si ritrova quasi per caso, scritto a mano su fogli di quaderno o della sua Green Holding, tra le migliaia di pagine dei faldoni dell’inchiesta depositati agli avvocati e ora all’esame della Gdf.
Una lista puntigliosa, con tanto di modello regalato e valore dell’orologio e, a fianco, il nome del «fortunato». Solo il nome però, con il cognome puntato. O sigle, abbreviazioni, pseudonimi. Come «Puzzola», destinatario di due orologi da 9.612 euro ciascuno. O «Brontolo» che può sfoggiare un Daytona in oro da 15 mila e 625 euro. Ma ecco un certo Giancarlo A. (Abelli, il vicecoordinatore nazionale del Pdl?) cui spetta un cartier Paris, due fusi, in oro bianco da 19mila e 500 euro. E poi Maurizio L. con un Patek Philippe che sfiora i 12mila euro, oppure un certo Maurizio B. che riceve un Parmigiani in oro rosa da 20 mila euro. C’è Petro che riceve un orologio da 11.800 euro e «Willy» (intercettato come un uomo del Pirellone) che a Natale riceve un Patek Philippe da 9.300 euro; a Leone un Rolex da quasi 15 mila. Visconti un Jeager L.C. da 8.900 euro.
Il pezzo più pregiato (a un destinatario senza nome né sigla), è nella lista della società off-shore Ma.te.co: un Rolex data in oro giallo e bracciale in oro da 175 mila euro. Toccherà adesso a Grossi attribuire volti e cognomi dei beneficiari.

Burton Morris
19-12-09, 01:54
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 29 OTTOBRE 2009
Pagina 39 - R2

TANGENTOPOLI ATTO SECONDO

PIERO COLAPRICO
MILANO

Una volta, all´epoca dell´inchiesta Mani Pulite, quando si parlava di corruzione politica, non si poteva non parlare della «valigetta». Da allora, è avvenuta una mutazione genetica. Le ultime indagini raccontano che il denaro contante sembra essersi dissolto: non c´è praticamente più la mazzetta di banconote da ritirare, dopo che ha viaggiato da paradiso fiscale a paradiso fiscale. E allora, come funziona? Come un proverbio: «Chi trova un amico, trova un tesoro». La tangente post-moderna è tornata alla saggezza popolare.
Questo concetto «inedito» è stato mostrato, per la prima volta, dal giudice di Milano Fabrizio D´Arcangelo e serve come filo conduttore per spiegare anche i coniugi Mastella e i loro raccomandati che rappresentano voti. O il giudice, già troppo ricco per il suo stipendio, che vuole anche essere sicuro in pensione. O i diessini dell´Urbanistica di Firenze e il loro linguaggio: «Io sai non muovo foglia che capogruppo non voglia...». E il premier ed ex imprenditore Silvio Berlusconi, e anche l´ex erede al trono d´Italia (ora sotto processo a Potenza), entrambi a caccia di «favorite».




D´Arcangelo ha sulla scrivania il fascicolo con gli ordini d´arresto per varie persone coinvolte nella bonifica del territorio del nuovo quartiere di Santa Giulia, a Rogoredo. Il suo linguaggio è burocraticamente nitido: «Grossi - scrive il gip riferendosi a Giuseppe, il principale imprenditore italiano in materia di smaltimento - eroga all´indagata (Rosanna Gariboldi, assessore alla provincia di Pavia) e al coniuge (Giancarlo Abelli, al vertice del Pdl, è capo della segreteria del coordinatore Bondi), significative forme di agevolazione economica quali la messa a disposizione di una Porsche, di un aereo privato, di un appartamento in una via centrale di Milano», viale Tunisia.
La coppia in carriera politica e l´imprenditore sono amici ed ecco che la «valigetta» d´antica memoria sparisce e non passa più da una mano all´altra. Tutto regolare? Lo diranno i magistrati, ma intanto si nota un dettaglio: i favori sono sempre a senso unico (e non è così tra amici normali): «Quantomeno dal maggio 2004 a data attuale, viene fatturato all´Abelli mensilmente l´importo di euro 743 per il noleggio di un´autovettura Porsche 911 coupé.... inoltre, dalle indagini in corso sull´utenza in uso a Grossi, emerge che Abelli - continua il gip milanese - usufruisce settimanalmente nelle giornate di martedì e giovedì dell´aereo personale di Grossi sia per recarsi a Roma sia per fare ritorno a Milano».
Abelli non è che sia un nome notissimo, in Italia. Ma in Lombardia sì. È un potente della Sanità che s´è traghettato dalla prima alla seconda Repubblica con una navigazione sicura e inesorabile. Averne il beneplacito conviene a molti. E anche alla moglie del potente Abelli sembrano arrivare - questa la linea di difesa - alcuni utili suggerimenti finanziari, che sono davvero invidiabili per il comune investitore, e non solo di questi tempi. Ma loro sono «amici». Tanto amici, si direbbe dal saldo del conto bancario che la signora possiede a Montecarlo, che «è di 1,2 milioni... La ricezione di somme per centinaia di migliaia di euro da parte della Gariboldi appare del tutto ingiustificata - puntualizza il gip milanese - rispetto alla posizione reddituale dell´indagata esibita nella propria dichiarazione dei redditi. Le dichiarazioni della Gariboldi si allineano su valori, sino al 2006, inferiori ad euro 50 mila».
Mentre la brillante coppia padana riceve l´immancabile solidarietà del centrodestra, restano discordi i pareri su «come funziona» questo fiume carsico di favori e imbrogli. Due esempi. C´è chi, come il consigliere di cassazione Piercamillo Davigo, ama le equazioni: «Esiste un legame tra le dinamiche economiche, come il Prodotto interno lordo e la spesa pubblica, e la circostanza che la magistratura o i media riescano a far emergere i reati». Questa tesi, pubblicata anche in un articolo e in un libro Laterza, sostiene che quando la crisi economica avanza, avanzano le indagini sulle tangenti, sulle raccomandazioni e gli appalti «taroccati». In effetti, le più pesanti indagini anticorruzione scoppiano negli anni ‘90 (quelli dello sboom) e tornano in auge oggi, quando è in corso la depressione mondiale. Se cala la spesa pubblica, i cartelli di imprese «rosicchiano» di meno, quindi - suggerisce Davigo - cominciano a farsi le scarpe a vicenda: e le voci (le «soffiate») arrivano ai detective.
Di diversissimo parere Francesco Greco, uno dei pochi superstiti ancora in servizio del «pool Mani pulite». Per lui, procuratore aggiunto di Milano, «in realtà è tutto cambiato. Nel 1993 indagavamo sui falsi in bilancio, dieci anni dopo sull´aggiotaggio, nel senso che la nostra attenzione è passata dall´industria alla finanza». A suo parere, prima di Tangentopoli il massimo a cui si poteva arrivare era «inquadrare» i soldi in nero e le mazzette nelle varie aziende municipalizzate. Poi, quando Antonio Di Pietro era un pm stacanovista dell´interrogatorio, emerse un sistema scientifico di tangenti, con gli imprenditori che andavano a cercare i politici nazionali e locali per avere corsie privilegiate negli appalti. Finita la stagione del pool, mentre gli imprenditori entrano direttamente in politica, cambia però lo scenario.
E, infatti, «con i bond argentini, la Cirio e Parmalat - ha sostenuto più volte Greco - si vede come il rapporto con la politica sia più sfumato». I partiti hanno i rimborsi elettorali e imperano, sempre a dire di Greco, le lobby. Circolano meno soldi per le segreterie, ma i favori alle cordate giuste vengono contraccambiati con altri favori. Il fiume carsico, emerso a Milano nell´ultima ordinanza-Abelli, sembra in perfetta sintonia con le inchieste di Napoli e Bari. Ricapitoliamo.
In Puglia tiene banco la Sanità. Sinora il grande pubblico ha seguito le incredibili storie del «sistema Tarantini», con le ragazze facili portate dal viveur Gianpaolo, che si credeva in brillante carriera, nelle case di Silvio Berlusconi a Roma e in Costa Smeralda. Ma non c´è solo Tarantini. Pare che stiano emergendo numerose situazioni che sembrano dar ragione all´analisi del procuratore aggiunto milanese Greco. Secondo indiscrezioni, a Bari erano i funzionari e i dirigenti dell´assessorato, in cambio di favori fatti ad imprenditori, ad avere tangenti e favori. Mentre i politici non volevano il «pizzo» in contanti: badavano ad avallare gli appalti in cambio di un tornaconto elettorale.
E a Napoli qual è la linea difensiva di Clemente e Sandra Mastella? «Siamo persone per bene, non abbiamo preso soldi, ma se ti trovi davanti alla porta di casa dei poveracci che piangono e chiedono aiuto, che fai?». Già, ma se questi raccomandati sono scarsi perché assumerli e favorirli? Forse perché il «posto», nell´Italia precaria e finto-stracciona, fa più gola di una bustarella. Come dimostra la storia di Maria Rosaria Grossi, sino a poco tempo fa presidente pro tempore del tribunale fallimentare di Milano (non poco) e ora sotto inchiesta davanti al pm bresciano Fabio Salamone. Ha passato anni ad affidare incarichi redditizi ai suoi amici (e possiede più case di un´immobiliare, ben otto appartamenti). E - visto l´andazzo d´impunità generale che si respira - si considerava così tranquilla da proporre, chiaro e tondo, a un avvocato quasi estraneo, che resta allibito dalla sfacciataggine, un affare: «Io la riempio di incarichi se quando vado in pensione mi prende nel suo studio». Favori, amici, posti: è questo il nuovo corso del tangentaro.

Burton Morris
19-12-09, 01:54
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 29 OTTOBRE 2009
Pagina 41 - Cronaca

L´intervista
L´avvocato Giuliano Spazzali: sono cambiati i meccanismi, non il sistema
"Speravo nell´etica ha vinto il malaffare"

ORIANA LISO
milano
Nell´aula in cui si consumava il processo simbolo a Tangentopoli, lui era l´antagonista dell´allora pm Di Pietro. Oggi Giuliano Spazzali fa ancora - ma per poco, giura - il suo mestiere, l´avvocato. E guarda con disincanto alle nuove storie di mazzette.
Ma poi, sono davvero ancora mazzette?
«Se i soldi non passano più di mano in mano, ma per via telematica, non vuol dire che non esiste più la corruzione. Sono cambiati i meccanismi, magari, ma di certo non il sistema. Con Tangentopoli c´è stata l´illusione che si stesse verificando una rivoluzione etica, o almeno una evoluzione del costume, degli atteggiamenti. In realtà sono solo cambiate le persone - e spesso neanche quelle - ma non il sistema».
È molto gattopardesca, questa sua riflessione. Tutto cambia perché nulla cambi.
«Ma è così. Tutti hanno bisogno di qualcosa, oggi come allora. È una catena di salvataggio: da un lato ci sono coloro che immaginano di poter fornire servire servizi e prodotti. Dall´altro i politici - o meglio: una classe di governo che dovrebbe controllare la gestione economica - che si trovano a dover prendere decisioni con il concorso dei primi. Grandi, molto più spesso piccoli imprenditori. Ci sono meccanismi diversi nelle gare d´appalto, con i concorrenti che si mettono d´accordo prima per spartirsi le aree di intervento. Ma poi, tutti, si rivolgono al politico che ha altrettanto bisogno di loro».
Quindi non c´è scampo: Tangentopoli non è servita?
«È servita soltanto a mostrare che c´era un bisogno, un desiderio di cambiamento. Ma è stata un´illusione che non ha tenuto conto della realtà del nostro Paese, dove non esiste nessuno che, in qualche modo, ha trovato il posto di lavoro, o l´appalto, senza una mediazione. È un Paese dove non ci si chiede mai se la persona o l´impresa scelta è quella giusta per quel lavoro, ma si pensa solo a crearsi un parterre elettorale, nel caso dei politici. Ecco, al limite si sono ampliati gli interessi. Prima si pagavano tangenti per i grattacieli o le strade, ora anche per le bonifiche ambientali, visto che è un tema che sta a cuore alla gente».
Lei che ha difeso un imputato eccellente come Sergio Cusani, cosa pensa guardando alle inchieste di oggi?
«Io sono letteralmente inferocito. Si pensava: via le persone, via il problema, invece no. E il problema è che mancano delle forti opzioni etiche - di lealtà, di giustizia - per sperare che le cose cambino. Lo dico io, appunto, che ho difeso Cusani, che ha pagato e poi ha cambiato vita».

Burton Morris
19-12-09, 01:55
«Marrazzo vittima di ritorsioni». La sinistra accusa gli Angelucci.


Il Giornale del 30/10/2009 , articolo di Massimo Malpica ed. Nazionale p. 4


Il «Manifesto» attacca gli editori di «Libero»: «Pressioni sul governatore per le cliniche del Lazio». E anche il vice Montino li chiama in causa LA QUERELA Il presidente reggente vuole portare il quotidiano in tribunale SANITÀ La Regione aveva deciso di tagliare i finanziamenti ad alcune strutture private

Roma I toni sono forti, i concetti pure di più. Il Manifesto attacca l'editore di Libero e Riformista , Giampaolo Angelucci, tirandolo in ballo come nemico pubblico numero uno dell'ex governatore Piero Marrazzo, costretto alle dimissioni dallo scandalo del video col trans. «Il ricatto delle cliniche», titolava ieri il quotidiano diretto da Valentino Parlato, disegnando un retroscena per cui le dimissioni di Marrazzo avrebbero indotto Angelucci a brindare a champagne. La tesi del Manifesto è che Marrazzo, dopo aver assecondato le richieste di tagli alle spese sanitarie avanzate dal governo, aveva deciso di «far la guerra» all'editore-imprenditore, annunciando appena dieci giorni fa di voler tagliare i finanziamenti alla clinica San Raffaele di Velletri, di proprietà proprio di Angelucci. E che ora che è saltato, il rischio che la struttura chiuda i battenti è praticamente scongiurato. Ma «il ricatto delle cliniche» dov'è? L'articolo del Manifesto snocciola «tre questioni» da mettere insieme «per poi tirare le conclusioni». La prima, spiega il quotidiano, è che proprio Libero sarebbe «fin dall'inizio tra i più informati sul video che ritrae l'ex governatore laziale in compagnia di un trans e di un certo quantitativo di cocaina», come dimostra il fatto che i suoi cronisti abbiano detto di aver visto il video «già a metà estate». La seconda questione messa in fila dal Manifesto è molto più complessa. E affronta l'approccio «a geometria variabile» che Marrazzo avrebbe avuto rispetto ai tagli da fare per rientrare dal deficit sanitario. Dopo un primo momento di «docilità», nel quale Marrazzo aveva anche accettato «come vicecommissario Mario Morlacco», che il quotidiano ricorda essere «indagato in Puglia per il giro di tangenti tra Fitto e (guarda un po' le coincidenze) Giampaolo Angelucci», secondo la tesi del quotidiano il governatore torna battagliero con l'esecutivo. E annuncia che piuttosto che sfoltire le strutture pubbliche, preferisce «chiudere i rubinetti» alle cliniche private sotto i 90 posti. Il San Raffaele ne ha di più, prosegue il quotidiano, ma «la procura di Velletri l'ha messo sotto inchiesta per tariffe e bilanci gonfiati», così Marrazzo era deciso a tagliarla dai finanziamenti, nonostante il parere contrario di Morlacco. Il Manifesto avanza una liaison con la telefonata che Berlusconi fa a Marrazzo per avvisarlo del video. Perché «in quelle stesse ore il governatore si scontra pesantissimamente con Sacconi sul piano sanitario», ma «il 22 ottobre improvvisamente cambia idea» e «si dice pronto a dimettersi da commissario alla Sanità». La terza questione. Angelucci in passato, secondo il quotidiano di Parlato, è già «riuscito a far dimettere il poco compiacente assessore alla Sanità Augusto Battaglia», grazie a una «campagna mediatica di Libero » e alle «proteste dei lavoratori di Velletri» che adesso sarebbero «prove a carico dell'inchiesta che il procuratore ha fatto sulla clinica». Ora, finito fuori strada pure Marrazzo, c'è l'azzeramento del piano sanitario regionale, e meno pericoli per le strutture che fanno capo all'imprenditore. Tre elementi, e una conclusione (per la verità poco concludente, quanto al legame con quanto successo): Angelucci ha buoni motivi per brindare. Ma le frecciatine all'editoreimprenditore non finiscono qui. Ieri Libero ha attaccato il vice di Marrazzo, Montino, sostenendo che una nota discoteca gay sia di proprietà di una società controllata dal politico. Che replica a mezzo agenzie, puntando non solo contro il quotidiano («Li querelerò») ma anche contro il suo editore: «Non voglio credere che Angelucci abbia fatto una ritorsione nei miei confronti visto che le sue cliniche private hanno avuto un calo di entrate di 30 milioni di euro. Rientra nel piano di risanamento, non è un atteggiamento vessatorio».

Burton Morris
19-12-09, 01:55
Intervista a Franco Battiato: Requiem per la politica


• da Il Fatto Quotidiano del 30 ottobre 2009

di Marco Travaglio


Franco Battiato è molto diverso da come lo immagini. Allegro, scherzoso, spiritoso, talora persino un po` cazzone. Forse perché, con la sua cultura sterminata e la sua pace interiore, se lo può permettere. Un uomo, però, armato di un`intransigenza assoluta, di un`insofferenza antropologica per le cose che non gli piacciono. E` appena tornato da due concerti trionfali a Los Angeles e New York e ancora combatte il jet-lag nella sua casa di Milo (Catania). Parliamo del suo ultimo pezzo-invettiva "Inneres Auge", già anticipato sulla rete: uno dei due singoli inediti che impreziosiscono l`album antologico in uscita il 13 novembre ("Inneres Auge - Il tutto è più della somma delle sue parti"). Una splendida invettiva che si avventa sugli scandali berlusconiani e sulla metà d`Italia che vi assiste indifferente e imbelle, con parole definitive: "Uno dice: che male c`è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato? Non ci siamo capiti: e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti.....

Che significa "Inneres Auge"?

"Occhio interiore. Ma lo preferisco in tedesco. In italiano si dice "terzo occhio", ma non mi piace, fa pensare a una specie di Polifemo. I tibetani hanno scritto cose magnifiche sull`occhio interiore, che ti consente di vedere l`aura degli uomini: qualcuno ce l`ha nera, come certi politici senza scrupoli, mossi da bassa cupidigia; altri ce l`hanno rossa, come la loro rabbia".

Lei, quando ha scritto "Inneres Auge", aveva l`aura rossa.

"Vede, sto bene con me stesso. Vivo in questo posto meraviglioso sulle pendici del Mongibello. Dalla veranda del mio giardino osservo il cielo, il mare, i fumi dell`Etna, le nuvole, gli uccelli, le rose, i gelsomini, due grandi palme, un pozzo antico. Un`oasi. Poi purtroppo rientro nello studio e accendo la tv per il telegiornale: ogni volta è un trauma. Ho un chip elettronico interiore che va in tilt per le ingiustizie e le menzogne. Alla vista di certi personaggi, mi vien voglia di impugnare la croce e l`aglio per esorcizzarli. C`è un mutamento antropologico, sembrano uomini, ma non appartengono al genere umano, almeno come lo intendiamo noi: corpo, ragione e anima".

I "lupi che scendono dagli altipiani ululando".

"Quello è un verso di Manlio Sgalambro che applico a questi individui ben infiocchettati in giacca e cravatta che dicono cose orrende, programmi spaventosi, ragionamenti folli e hanno ormai infettato la società civile. Quando li osservo muoversi circondati da guardie del corpo, li trovo ripugnanti e mi vien voglia di cambiare razza, di abdicare dal genere umano. C`è una gran quantità di personaggi di questa maggioranza che sento estranei a me ed è mio diritto di cittadino dirlo: non li stimo, non li rispetto per quel che dicono e sono. Non appartengono all`umanità a cui appartengo io. E, siccome faccio il cantante, ogni tanto uso il mio strumento per dire ciò che sento".

L`aveva fatto già nel 1991 con "Povera Patria", anticipando Tangentopoli e le stragi. L`ha rifatto nel 2004 con "Ermeneutica", sulla "mostruosa creatura" del fanatismo politico-religioso e della guerra al terrorismo ingaggiata dai servi di Bush, "quella scimmia di presidente": "s`invade si abbatte si insegue si ammazza il cattivo e s`inventano democrazie".

"Sì, lo faccio di rado perché mi rendo conto di usare il mio mezzo scorrettamente. La musica dovrebbe essere super partes e non occuparsi di materia sociale. Ma sono anch`io un peccatore e la carne è debole..."

Lei non crede nel cantautore impegnato.

"Per il tipo che dovrei essere, no. Ma non sopporto i soprusi e ogni tanto coercizzo il mio strumento. Il pretesto di "Inneres Auge", che ha origini più antiche, è arrivato quest`estate con lo scandalo di Bari, delle prostitute a casa del premier. E con la disinformazione di giornali e tiggì che le han gabellate per faccende private. Ora, a me non frega niente di quel che fanno i politici in camera da letto. Mi interessa se quel che fanno influenza la vita pubblica, con abusi di potere, ricatti, promesse di candidature, appalti, licenze edilizie in cambio di sesso e di silenzi prezzolati. Questa è corruzione, a opera di chi dovrebbe essere immacolato per il ruolo che ricopre".

"Non ci siamo capiti", dice nella canzone.

"Non dev`essere molto in gamba un signore che si fa portare le donne a domicilio da un tizio che poi le paga, dice lui, a sua insaputa per dargli l`illusione di piacere tanto, di conquistarle col suo fascino irresistibile. Quanto infantilismo patologico in quest`uomo attempato! Ma non c`è solo il premier".

Chi altri non le piace?

"Tutta la banda. I cloni, i servi, i killer alla Borgia col veleno nell`anello. Li ho sempre detestati questi tipi umani. Per esempio il bassotto che dirige un ministero e fa il Savonarola predicando e tuonando solo in casa d`altri, senza mai applicare le stesse denunce ai suoi compagni di partito e di governo. Meritocrazia: ma stiamo scherzando? Badi che, quando dico bassotto, non mi riferisco alla statura fisica, ma a quella intellettuale e morale: un occhio chiuso dalla sua parte e uno aperto da quell`altra".

"La Giustizia non è altro che una pubblica merce", dice ancora.

"Penso al degrado della giustizia: ma i magistrati dovrebbero ribellarsi tutti insieme e appellarsi al mondo contro le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Non possono accettare, nell`èra dell`informatica, di scrivere ancora sentenze e verbali col pennino e il calamaio, mentre la prescrizione si mangia orrendi delitti e, in definitiva, la Giustizia".

Quando Umberto Scapagnini divenne sindaco di Catania, lei minacciò addirittura di espatriare. Come andò?

"Avevo previsto un decimo di quel che poi è accaduto. Un inferno. Catania era uno splendore: in pochi anni, come Palermo, è stata devastata da questa cosiddetta destra. Ma nessuno ne parla".

Lei è di sinistra?

"E chi lo sa cos`è la sinistra. Basta parlare di destra e di sinistra, anche perchè a sinistra c`è un sacco di gente che ha sempre fatto il doppio gioco al servizio della destra, spudoratamente. Per evitare tranelli, uso un sistema tutto mio: osservo i singoli individui, poi traggo le mie conclusioni".

Ha votato alle primarie del Pd?

"Sì, per Bersani. Non che sia il mio politico ideale, ma mi sembra un tipo in gamba. Forse l`ho fatto perché almeno, in queste primarie, il voto non era inquinato. Non è poco, dalle mie parti, dove alle elezioni politiche e alle amministrative i seggi sono spesso presidiati da capibastone e capimafia che ti minacciano sotto gli occhi della polizia".

Quella cosa dell`espatrio non era esagerata?

"La ripeterei oggi. Io sono sempre pronto: se in Italia le cose dovessero peggiorare, me ne andrei. Ubi maor, minor cessat. Mica puoi fare la guerra ai mulini a vento. Per fortuna è difficile che si ripeta il fascismo, anche perché sono convinto che molti italiani la pensano come me e sarebbero pronti a impedirlo. Comunque, "pi nan sapiri leggiri ne sciviri", comprerò una casa all`estero".

Lei è molto antiberlusconiano.

"Sono un Travaglio un po` più bastardo. Penso che la tecnica migliore sia l`aplomb misto all`irrisione, senza urli né insulti".

Ma Berlusconi non è finito, al tramonto?

"Dipende da quanto dura, il tramonto. Ma non credo sia finito: la cordata è ancora robusta. Però mi sento più tranquillo di qualche mese fa: sta commettendo troppi errori".

I partiti hanno mai provato ad arruolarla?

"Mai. A parte Pannella, tanti anni fa. Qualche mese fa mi ha chiamato un ministro di questo governo per dirmi che mi segue da sempre e concorda in pieno con una mia intervista. Forse non aveva capito o avevo sbagliato qualcosa io. Ma ora, dopo il mio ultimo singolo, magari fa marcia indietro".

"Inneres Auge" già impazza sulla rete. Teme reazioni politiche?

"Mi aspetto la contraerea. Ma siamo pronti".

Non teme, con una canzone così "schierata", di perdere il pubblico berlusconiano?

"Mi farebbe un gran piacere. Se invece uno che non mi piace viene a dirmi di essere un mio fan, sinceramente mi dispiace".

Ai tempi del "La voce del padrone", a chi la interpellava sul significato dei suoi testi ermetici, lei rispondeva "sono solo canzonette". Lo sono ancora?

"Quello era un gioco, ma non sono mai stato d`accordo con questa massima di Edoardo Bennato. "La voce del padrone" era un`operazione programmata come un divertimento frivolo e commerciale, e riuscì abbastanza bene, mi pare. Ma in realtà avevo inserito segnali esoterici che sono stati ben percepiti e seguiti da molti ascoltatori. Ogni tanto mi dicono che qualcuno, ascoltando i miei pezzi, ha letto Gurdjieff e altri grandi mistici. E questo mi rende un po` felice".

"Inneres Auge": serve a qualcosa, una canzone?

"Lei parla di corda in casa dell`impiccato: ho sempre avuto dubbi su questo nella mia vita. Ma, dopo tanti anni, posso affermare che un brano molto riuscito può scatenare influenze esponenziali. Una canzone può migliorarti e farti cambiare idea e direzione. Un giorno domandarono a un grande pianista dell`Europa dell`Est, ora a riposo: lei pensa di emozionare il suo pubblico? E lui: "Quando sono riuscito a emozionare anche un solo spettatore nella sala gremita di un mio concerto, ho raggiunto il mio scopo".

Burton Morris
19-12-09, 01:59
"La Repubblica", MARTEDÌ, 03 NOVEMBRE 2009
Pagina 8 - Interni

L´incontro
Parla la Masi, titolare dell´agenzia fotografica che ha cercato di vendere il filmato: hanno potuto guardarlo anche Signorini e Belpietro
"Angelucci è venuto da me e ha visto il video; è curioso che lui neghi, io confermo tutto"
Ho incontrato l´editore alla Photo Masi il 14 ottobre. E mi disse che il filmato lo interessava.

PAOLO BERIZZI
MILANO - Alle quattro del pomeriggio nel suo ufficio di viale Monza - la stessa strada dove aveva sede l´agenzia Corona´s di Fabrizio Corona e dove si trovano gli uffici della LM production di Lele Mora - Carmen Masi, titolare con il marito Domenico dell´agenzia Photo Masi, dice che nella vicenda del video di Marrazzo ha letto cose «curiose». «Ma mi lasciano indifferente, perché io ho raccontato la verità».
Si riferisce alla smentita di Giampaolo Angelucci, l´editore di Libero, che ha negato di averla incontrata e di aver visionato il filmato nella sua agenzia?
«Sì. E´ curioso che smentisca e non capisco perché lo abbia fatto. Da parte mia confermo che il 14 ottobre, intorno alle 12, il signor Angelucci, mai conosciuto prima, è venuto qui alla Photo Masi e ha visionato il video sul nostro pc. Mi ha detto che gli interessava e che mi avrebbe fatto sapere».
E poi?
«Più sentito. Lo stesso giorno informai Signorini (direttore di "Chi" e "Tv Sorrisi e Canzoni") dell´incontro con Angelucci, e fu lo stesso Signorini, verso le 17, a chiamarmi dicendomi di fermare tutto perché "Panorama" era interessato a comprare il filmato».
Ai carabinieri lei racconta che prima ancora Signorini le prospetta un interessamento da parte di "Libero".
«Ho detto tutto nel verbale di quella notte, quando i militari suonano alla mia porta alle 4.15 per sequestrare il video. I direttori che l´hanno visionato, per quanto ne so io, sono Signorini e Belpietro (direttore di "Libero"), oltre all´inviato di "Oggi" Giangavino Sulas».
Fu lei a proporre il filmato a Signorini, o Signorini, come altri giornalisti, già sapeva che circolava?
«Fui io a contattarlo. Il 5 ottobre, assieme a mio marito e al nostro avvocato, andai a Segrate a mostrarglielo. Ma non se ne fece nulla. Poi tutto quanto è trasceso».
Può ricostruire dall´inizio la storia di questo video?
«Primi di agosto. Massimiliano Scarfone, nostro corrispondente da Roma (lo stesso paparazzo delle foto di Sircana) mi chiama: "C´è un video interessante che si può vendere". Lo vedo, ne parlo con il mio avvocato (Eller Vanicher) che mi da´ l´ok. Lo propongo a Brindani (condirettore di "Oggi") ma la trattativa naufraga. Così decido di contattare Signorini».
Scusi, ma lei stava cercando di vendere un filmato realizzato abusivamente, messo in circolazione da una banda di criminali.
«Come potevo immaginarlo? Che ne sapevo che dietro c´era tutta questa storiaccia?».
Scarfone lo ha avuto da uno dei carabinieri arrestati.
«Con i nostri corrispondenti c´è un rapporto di fiducia. E poi, soprattutto per scoop importanti, non si chiede mai chi è la fonte. Anche perché sarebbe inutile, è come domandarlo a un giornalista. Se arriva un fotografo e ti dice "c´è quel personaggio che si incontra con tizio o con caio" non gli chiedi chi lo ha messo sulla pista giusta. Guardi il materiale e basta, e se è interessante provi a venderlo, come abbiamo fatto».
Possibile che non l´abbia nemmeno sfiorata l´idea che quel filmato era roba scivolosa?
«Volevo far fare una perizia, ho cercato un perito ma non l´ho trovato».
Che cosa l´ha colpita di più di tutta questa vicenda?
«Che un presidente di Regione non denunci un ricatto. Io, che sono una cittadina comune, mi sarei subito rivolta alla magistratura. Lo dico anche contro quello che poteva essere il mio interesse commerciale».
La sua agenzia era già stata al centro di polemiche per il caso Sircana. Dopo questa nuova bufera avete avuto o vi aspettate delle ricadute negative?
«No. Ho provato solo un fastidio urticante sentendo dire a Corona che il nostro metodo di lavoro è lo stesso che usava lui, solo che lui è finito in carcere e a noi nemmeno un avviso di garanzia. Sono affermazioni che non stanno in piedi e che offendono la professionalità della mia agenzia».

Burton Morris
19-12-09, 01:59
"La Repubblica", MARTEDÌ, 03 NOVEMBRE 2009
Pagina 8 - Interni

"I soldi servivano anche per la droga"
Marrazzo tre ore dal pm. "Sono stato rapinato, non ci fu nessun ricatto"

ELSA VINCI
ROMA - «Quei soldi servivano anche per la droga». Stavolta ha ammesso che quei cinquemila euro non erano soltanto per Natalì, la trans che appare nel video del ricatto, ma pure per comprare la cocaina. Piero Marrazzo, l´ex governatore del Lazio travolto dallo scandalo, convocato ieri per la seconda volta dalla procura di Roma, ha dovuto rispondere per tre ore ai magistrati. Ha dovuto chiarire, spiegare. Perché tanti soldi e coca? «La acquistavo per uso personale». È sempre un testimone, che ha affrontato un duro interrogatorio con accanto la moglie, la giornalista Roberta Serdoz, e l´avvocato di fiducia. «Non sono mai stato ricattato. Ho solo subito una rapina». Aggiusta la versione del 21 ottobre scorso, quando ha accusato i due carabinieri che hanno fatto irruzione in casa del trans in via Gradoli di aver lasciato tre "piste" su un tavolo.
«Lontano da occhi indiscreti». La procura ha accettato la richiesta fatta arrivare da Marrazzo attraverso il suo legale, Luca Petrucci. L´appuntamento alle tre e mezza del pomeriggio negli uffici della Procura generale a piazza Adriana, a un paio di chilometri dalla folla e dai curiosi del tribunale. Una sede blindata contro le incursioni di giornalisti e tv.
Stanco, provato in volto. Ma nessun crollo emotivo davanti al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al pm Rodolfo Sabelli. La moglie sempre accanto, durante un interrogatorio condotto sul filo della falsa testimonianza, della calunnia. Infatti l´avvocato di tre dei cinque militari sotto inchiesta per il ricatto a luci rosse, Marina Lo Faro, non ha dubbi nel dichiarare: «Se queste indiscrezioni sulla cocaina sono confermate, presenterò subito un esposto con la denuncia per calunnia nei confronti dei miei assistiti». Il destino giudiziario di Marrazzo sembra ancora da definire. I pm si stanno dedicando a ricostruire il quadro del ricatto, ma sul conto dell´ex governatore restano degli interrogativi. Per esempio sulla disponibilità di denaro. Verrà data un´occhiata, ma non subito, alle spese di rappresentanza dell´ex presidente.
Quando a sera, intorno alle 18,30, Marrazzo e la moglie hanno lasciato gli uffici sono usciti da una porta laterale di via Triboniano, mentre l´avvocato Petrucci e un collaboratore si sono allontanati dentro il Suv con i vetri scuri del legale. «Chiediamo silenzio - dice l´avvocato - per proteggere la famiglia. Adesso Marrazzo è un privato cittadino».
Dopo l´ex governatore i magistrati hanno sentito anche uno dei transessuali suoi amici. Nelle sue risposte è stata cercata la via per arrivare al video lungo, alla versione integrale del filmino su Marrazzo. Due giorni fa ascoltata anche la trans Brenda. Oggi ancora interrogatori a Regina Coeli. Ma Luciano Simeone, Luca Tagliente e Nicola Testini si avvarranno della facoltà di non rispondere. Non sarà sentito Antonio Tamburrino. Pare risponderà invece Donato D´Autilia, il quinto militare, indagato per ricettazione.

Burton Morris
19-12-09, 02:00
"La Repubblica", MARTEDÌ, 03 NOVEMBRE 2009
Pagina 9 - Interni

Non conosco Cafasso
La frequentazione
Facevo uso di droga
L´uscita

"Tremila euro per Natalì e la coca poi entrarono i carabinieri ma non mi accorsi del filmino"
E i militari arrestati raccontano una nuova verità

I verbali
Non conosco Cafasso, il pusher. Non ho avuto rapporti con lui né quel giorno né in altre circostanze
Natalì la frequentavo da tempo, l´ho incontrata anche nella casa in zona Cortina d´Ampezzo
È capitato che facessi uso di cocaina, avevo tanti contanti perché era previsto il consumo di droga

CARLO BONINI
ROMA - Piero Marrazzo torna di fronte ai pubblici ministeri, che lo avevano ascoltato il 21 ottobre, per una nuova deposizione che chi lo ascolta definisce a sera «ancora molto confusa». E che tuttavia - per quanto ne riferiscono fonti inquirenti della Procura - modifica in una parte cruciale il racconto dei fatti di via Gradoli 96. Dice: «L´elevato importo in contanti - 5 mila euro - che avevo con me la mattina del 3 luglio si giustifica perché nei miei incontri era previsto il consumo di cocaina. Cocaina di cui è capitato che anche io facessi uso».

"NESSUN RICATTO.
SOLTANTO UNA RAPINA"
L´ex governatore rimane negli uffici giudiziari di Piazza Adriana per tre ore, ma il cuore della sua testimonianza non dura più di sessanta minuti. E ha il suo epitaffio in una dichiarazione che chiede di mettere a verbale. «Non sono stato vittima di nessun ricatto e ho sempre svolto il mio ruolo di Presidente della Regione Lazio nell´interesse esclusivo dei cittadini. Ho sempre considerato quanto mi era accaduto la mattina del 3 luglio soltanto una rapina».
Soltanto «una rapina». Di cui l´ex Governatore ora torna a precisare le circostanze e i protagonisti. A cominciare dalla figura di Natalì, il transessuale brasiliano. Il 21 ottobre, l´aveva descritto come un appuntamento poco più che occasionale («Era una persona incontrata qualche tempo prima per strada, di cui avevo il numero di cellulare»). Che ora, al contrario, diventa «una frequentazione che risale nel tempo». Marrazzo spiega di aver frequentato via Gradoli «più volte». E di aver incontrato Natalì «anche nell´appartamento» in zona Cortina d´Ampezzo che il transessuale riteneva fosse «la casa» del Governatore. «La mattina del 3 luglio arrivai in via Gradoli con l´auto guidata dal mio autista, scendendo ad alcune centinaia di metri dal luogo dell´incontro con la scusa di fare una passeggiata». Il transessuale lo aspetta nell´appartamento, «dove - assicura Marrazzo - non notai la presenza di nessun altro». Tantomeno di Gianguarino Cafasso, il "pappone" di via Gradoli. Il pusher che riforniva trans e clienti della comunità. «Non so chi sia - spiega Marrazzo ai pm che insistono su questo punto - Non l´ho visto quel giorno, né ho mai avuto rapporti con lui».

I TREMILA EURO SUL TAVOLINO
E LA COCAINA
Il Governatore entra dunque in casa e - come già aveva spiegato nel suo primo interrogatorio - dice: «Mi spoglio parzialmente e deposito parte della somma concordata per l´incontro su un tavolinetto in una delle due stanze di cui era composto l´appartamento: 5000 euro. Mi sembra di aver lasciato sul tavolinetto 3000 euro, conservando il resto nel portafoglio». I pm, però, questa volta muovono un´obiezione. «Come giustifica una somma così alta per una prestazione sessuale?». Marrazzo si aspetta la domanda. Ha avuto modo di riflettere sulla risposta da dare per 12 giorni. E non è una risposta semplice, né emotivamente, né processualmente. «Il compenso pattuito con Natalì era in effetti di mille euro. L´elevato importo in contanti che avevo con me la mattina del 3 luglio si giustifica perché negli incontri era previsto il consumo di cocaina. Cocaina di cui è capitato che anche io facessi uso».
Il passaggio è tanto delicato, quanto cruciale. Marrazzo, infatti, pur dovendo riconoscere quel che aveva preferito tacere nella sua prima deposizione (il consumo di cocaina durante i suoi incontri), decide di provare a tenere comunque insieme le sue parole del 21 e quelle di oggi. Ribadisce, infatti, che, entrato nell´appartamento, non ebbe modo di notare cocaina. «Mi accorsi che era sul tavolo solo dopo l´irruzione dei carabinieri». Anche se, questa volta, evita - per quel che riferiscono fonti inquirenti - di accusarli direttamente o indirettamente di averla introdotta nell´appartamento (Il 21 ottobre aveva detto: «Posso avanzare l´ipotesi che siano stati loro a metterla sul tavolino»). Sono parole evidentemente pesate con grande attenzione, che lo devono mettere al riparo da una possibile accusa di calunnia, e che mettono però fuori gioco la testimonianza di Natalì. Che, nei suoi due verbali di interrogatorio, si era detta certa che tra lei e l´ex Governatore cocaina non ne fosse mai girata: «Mai Piero ne ha portata con lui. Mai io gliene ho data».

"NON MI SONO MAI ACCORTO
CHE QUALCUNO FILMASSE"
Nella nuova deposizione di Marrazzo, la dinamica dell´irruzione dei carabinieri e la rapina che ne sarebbe seguita, è il calco del verbale del 21 ottobre. Dal furto del denaro contante sul tavolino a quello nel portafogli, ai tre assegni in bianco per un importo di 20 mila euro. E, come quel giorno, l´ex Governatore torna a ripetere: «Non ho avuto nessuna percezione che qualcuno mi filmasse». Né quel 3 luglio, né nei mesi precedenti, quando compagni dei suoi appuntamenti erano i transessuali Brenda e Michelle. Ai pubblici ministeri che, su questa circostanza, gli chiedono se abbia avuto la consapevolezza di essere stato filmato o fotografato (come Brenda ha ribadito a verbale, sostenendo che Marrazzo era «consenziente»), Marrazzo risponde di conoscere entrambi, ma insiste: «No. Non ho mai saputo di essere stato né fotografato, né filmato».

LA NUOVA VERITA´ DEI CARABINIERI
Marrazzo - spiegano fonti inquirenti - tornerà ad essere sentito. E´ un fatto che la sua deposizione di ieri, pur conservando elementi di contrasto cruciali, cominci ad avvicinarsi e in qualche modo a modellarsi sulla nuova verità che il maresciallo Nicola Testini e i carabinieri Carlo Tagliente e Luciano Simeone hanno consegnato il 24 ottobre al gip Sante Spinaci che ne ha convalidato il fermo. Con tre verbali ora depositati agli atti del tribunale del Riesame.
«Intendiamo modificare quanto riferito con le nostre dichiarazioni spontanee del 20 ottobre scorso (giorno in cui vennero perquisiti i loro alloggi ndr.)», dicono i carabinieri. E la loro storia prende un´altra strada. «Il 3 luglio - spiegano Tagliente e Simeone - il nostro confidente Cafasso ci indicò l´appartamento di via Gradoli, segnalandoci telefonicamente un festino di trans e cocaina. Eravamo in macchina e raggiungemmo il condominio in pochi minuti». E qui, la scena che si apre ai due carabinieri e un po´ diversa da quella che ricorda Marrazzo. Nell´appartamento, sarebbero in tre. «Riconoscemmo la presenza di Cafasso, che ci aveva preceduto, del transessuale Natalì e del Presidente Piero Marrazzo». «Sul tavolo - aggiungono i due militari - notammo due strisce di cocaina e, appoggiati in un piatto, una cannuccia, un portafoglio e un tesserino plastificato». Quello che accade dopo - raccontano ancora a verbale Tagliente e Simeone - è uno scambio di battute con il Governatore. «Dicemmo a Marrazzo: "Ma che sta facendo?". E lui: "Nulla di male". E noi: "Ma le sembra normale?". A quel punto, lui disse: "Vi prego, non mi rovinate" e offrì di aiutarci con l´Arma». Alla scena, a dire dei due carabinieri, assiste anche Natalì (lei, al contrario smentisce, sostenendo di essere stata «chiusa sul bacone»). Quindi, spiegano al gip: «In quel momento, non ci accorgemmo che Cafasso stava girando delle immagini. Noi, verificammo che la quantità di cocaina era modica e la gettammo nel water. Quindi, ci scambiammo dei numeri di telefono. Marrazzo prese il numero di uno dei nostri cellulari e ci diede quello della sua segreteria». Poi, «dopo circa 15 minuti, ci allontanammo dalla casa». Il maresciallo Testini (quel giorno e nei giorni successivi in ferie a Bari) conferma a verbale la versione di Tagliente e Simeone e aggiunge di aver saputo quanto è accaduto soltanto l´8 luglio, al suo rientro a Roma. Quando Cafasso informa Tagliente e Simeone, di aver girato un video quella mattina del 3 luglio e di aver voglia di farci sopra del grano. I tre ammettono con il gip di «aver sbagliato» a mettersi a quel punto nel gioco. Di aver «commesso una grave leggerezza». Ma, giurano, di «non aver mai ricattato o voluto ricattare nessuno». Di non aver rapinato nessuno. Di non aver accettato assegni in bianco. E offrono una prova. Il numero di cellulare consegnato a Marrazzo al momento dell´irruzione verrà disattivato quattro giorni dopo. Dice l´avvocato Marina Lo Faro, difensore dei tre carabinieri: «Si è mai visto un ricattatore che volontariamente si disfa dell´unico contatto telefonico su cui può essere rintracciato dal ricattato?».

Burton Morris
19-12-09, 02:00
A spasso nella Camera senza vita


• da La stampa del 5 novembre 2009

di Mattia Feltri

Arrivano le scolaresche, come al solito, e il commesso gli dice: «Ora vi conduco al piano nobile». I ragazzi sono delusi: a Montecitorio non c’è seduta ed è come andare allo zoo e trovare vuota la gabbia dei leoni. Si gira qua e là nel deserto. Questo palazzo dovrebbe essere il palcoscenico della frenesia, dello scalpiccìo.

Dovrebbe essere la capitale del confabulare fitto, della densità per metro quadro, e invece è teatro di una settimana sorda e grigia, dentro e fuori. Uno dell’ufficio stampa conduce in visita un paio di amici: «Ne approfitto». Vedranno scale maestose e quadri secolari e sentiranno l’eco dei loro passi. La buvette sembra un caffè storico in decadenza. I baristi hanno confezionato pochi panini e di varietà ridotta. «Ma che c’è di strano? E’ come se fosse sempre lunedì o martedì mattina o giovedì sera o sempre venerdì».
Gianfranco Fini, il presidente, si era ripromesso di mettere al chiodo i deputati, farli votare ogni santo giorno, anche il sabato fosse stato necessario. Invece, normalmente, si vota un giorno e mezzo alla settimana, come nelle legislature scorse. Secondo le statistiche, dall’inizio della legislatura un deputato lavora in media diciassette ore e sei minuti alla settimana, purché non sia mai assente. Nella legislatura scorsa erano sedici ore e mezzo. L’andazzo dura da un po’. «Questo posto non conta più nulla», dice Franco Giordano di Sinistra e Libertà, uno dei tanti ex parlamentari che vengono qui a sbrigare faccende. La politica qui non si fa più, dice. Lo dicono tutti: i deputati non sono eletti, ma selezionati. Si rimpiange il famigerato voto di preferenza, quando entravano in Parlamento i più votati, non i meglio piazzati in lista. «Almeno rispondevano a qualcuno, e non solo al capo», dice Enzo Carra del Pd. Anche lui è di quelli che rimangono qui, ci sono i lavori in commissione.
Ma per capire l’unicità di questa settimana bisogna andare all’agenzia di viaggi interna. Al mercoledì, spiegano, c’è sempre la fila perché all’indomani si conta di tornare a casa. Questo mercoledì ci si girano i pollici. La decisione di Fini - serrare l’aula perché non c’è niente da discutere, non ci sono i soldi per coprire la più sgangherata delle proposte di legge - è una mezza furbata. Ci sono leggi che non costano nulla. E poi la settimana prossima doveva essere di quelle da dedicare al territorio d’elezione, e invece si voterà: una semplice inversione del programma. La verità non sono tanto i quattrini. Un funzionario apre il computer e squaderna i dati: centouno leggi approvate, novantatré di iniziativa del governo, tre di iniziativa mista, cinque di iniziativa parlamentare. Cioè, in un anno e mezzo i seicentoquindici deputati hanno prodotto cinque leggi. Che poi è un paradosso lamentarsene, visto che c’è un ministero dedicato alla riduzione delle norme.
A Montecitorio ora pare di essere tutti amici. Ci si imbatte con lo stupore del naufrago che credeva di stare su un’isola deserta. I cronisti si raccontano storielle. I politici non si ritraggono all’analisi. Alla barberia hanno affilato i rasoi sin dalla mattina presto per due clienti. Ma anche qui nessuna meraviglia: «E’ quasi sempre così». Semmai il problema è che temono di essere licenziati, sebbene neghino, ma se continua così... Uno come Giancarlo Mazzuca, che è stato direttore del Quotidiano Nazionale e adesso è deputato del Pdl, fatica a dismettere il broncio: «Ci danno dei fannulloni, ma io sono uno che ha sempre lavorato e lavoro anche qui. In commissione si sgobba. E’ che vorrei fare di più, dare un contributo concreto, ma ormai questo è un votificio e basta. Sempre che ci sia da votare». Dice che se tornasse indietro forse si candiderebbe ancora, forse no.
Enzo Carra è in una giornata di vena. Il suo ruolo in commissione Trasporti lo illustra così: «Diciamo che mi arriva una segnalazione, che so? Il treno Roma-Bari fa sempre ritardo. Io scrivo un’interrogazione e fra sei mesi il ministro mi risponde che meglio non si può fare per ragioni economiche, organizzative ecc.». E così illustra il suo ruolo in commissione Vigilanza: «Chiedo a Mauro Masi per quale ragione la Rai abbia deciso di togliere i suoi canali dal pacchetto Sky, dal momento che, bla bla bla, bla bla bla, e lui alla fine risponde: perché abbiamo deciso così». Il lavoro in commissione, dice Carra, è scorante. Il lavoro di parlamentare è un misto di impotenza, vittimismo e sciatteria. Nessuno propone più nulla perché tanto sarebbe inutile: il governo blocca tutto. Ci sono progetti di legge, per esempio quello sull’incentivazione alla produzione e al consumo di biocarburanti, presentato dal deputato Bellotti del Pd, che è stato esaminato il 28 ottobre del 2008 e rinviato e mai più visto.
Una bella verità la dice Franco Giordano: «Fateci caso, una volta uno ci teneva a dire che era onorevole o senatore. Adesso dice che è avvocato o commercialista e poi, semmai, che è parlamentare». Dice che la sfera privata ha completamente preso il sopravvento su quella pubblica. Per lui è un male. «Io vedo ex prefetti ed ex generali languire prossimi alla depressione», dice Mazzuca. Siedono su divanetti, in Transatlantico. Qualcuno esce a fumare sotto due gocce di pioggia. «Le cose stanno così - dice disincantato Roberto Rao, dell’Udc -, martedì sera, in commissione Giustizia, la maggioranza è stata battuta sugli animali da compagnia. Si doveva stabilire la non punibilità dei veterinari in alcuni casi, e qualche collega novizio della commissione aveva capito che si autorizzavano le mutilazioni... Diciamo che succedono un po’ di pasticci, anche in aula. Da che si vota con le impronte digitali, i casi dei pianisti si sono molto ridotti e la maggioranza va sotto spesso. Forse anche per questo si vota e si lavora sempre meno».
Soltanto che c’è questa settimana di vuoto programmato: è la bandiera bianca issata sul pennone di un palazzo che pare aver perso non soltanto la sacralità, ma qualsiasi significato. Qui, in piazza, alla mattina nessuno più srotola uno striscione di protesta.

Burton Morris
19-12-09, 02:00
Il "partito personale" di Di Pietro alle prese con la questione morale


• da Corriere della Sera del 5 novembre 2009

di Paolo Franchi

Può darsi che Antonio Di Pietro dica la verità, quando sostiene che lui e Luigi De Magistris sono come «due fratelli siamesi». E può darsi pure che sia sincero De Magistris, quando giura di essere «in perfetta sintonia con Di Pietro».

Può darsi. Ma, a guardare le polemiche che (non da oggi) scuotono l’Italia dei Valori, si riaffaccia subito alla memoria la massima antica di Pietro Nenni. Secondo la quale un puro trova sempre uno più puro di lui che lo epura. Di qua l’eroe di Mani Pulite, prima pubblico ministero «più amato dagli italiani», poi capo indiscusso e indiscutibile (almeno fino a ieri) dell’Idv, attesa, a febbraio, da un congresso che (almeno fino a ieri) sembrava fatto apposta per tributargli, sull’onda dei clamorosi risultati elettorali, l’ennesima acclamazione. Di là l’ex magistrato che, nella bufera, lascia anche lui la toga, si getta a corpo morto in politica, scavalca abbondantemente Di Pietro (19 mila voti in più) nelle elezioni europee, e (lui dice a sua insaputa) viene proposto come candidato alla guida dell’Idv medesima da un’ampia mobilitazione sul web, e non solo sul web. In mezzo un partito (chiamiamolo così) al quale evidentemente non bastano i successi per sbarazzarsi di un malessere che anzi, giorno dopo giorno, sembra farsi serio.

Soprattutto perché ha qualcosa, o forse parecchio, da spartire, specialmente in periferia, con quella «questione morale» che Di Pietro, prima da magistrato, poi da politico, ha sempre impugnato come una bandiera, o forse come una clava. Colpisce leggere sull’ultimo numero di Micromega, la rivista di un intellettuale un tempo più che amico come Paolo Flores d’Arcais, che nell’Idv non mancano casi di «illegalità diffusa», così diffusa da rendere urgente una «rifondazione», e vederli puntigliosamente elencati. E colpisce ancora di più apprendere (lo ha ricordato ieri sul Corriere Gianna Fregonara) che a Napoli l’altro giorno Di Pietro è stato accolto con striscioni su cui campeggiava la scritta: «Fuori i collusi».

Qualcuno potrebbe anche parlare, con un po’ di malizia, di una sorta di legge del contrappasso: e non avrebbe davvero tutti i torti. Il fatto è, però, che, anche nel caso dell’Idv, a ragionare solo per ritorsioni polemiche non si va troppo lontano. Sia perché Di Pietro, letto Micromega, ha aperto un’inchiesta interna (e informale) sui mali del Gabbiano sul territorio e, per quanto tardiva possa essere l’iniziativa, non c’è motivo di dubitare che non vorrà tener conto almeno dei casi più gravi. Sia, soprattutto, perché questa vicenda sin qui appena abbozzata rinvia a problemi d’ordine più generale, e forse è proprio su questi conviene puntare l’attenzione.

Sui partiti personali, fondati sul rapporto diretto tra il leader, la sua gente e gli elettori, e quindi sull’«io» assai più che sul vecchio e desueto «noi», si è scritto e si scrive moltissimo, quasi sempre a proposito di Silvio Berlusconi e del Pdl, ma talvolta anche del Pd, specie all’inizio della breve stagione di Walter Veltroni: ora per vantarne assieme la modernità e l’inevitabilità, ora per contestarne in radice il carattere strutturalmente non democratico. Ma se c’è, o se c’è stato, un partito personale per eccellenza, questo, non c’è dubbio, è l’Italia dei Valori, non a caso presentata al suo sorgere da Di Pietro come una specie di incarnazione vivente della «fine della partitocrazia». E ai capi (o ai proprietari, fa lo stesso) dei partiti personali è del tutto inutile chiedere conto di quanto succede in casa loro, e del personale politico che li segue e li contorna: risponderanno sempre, magari in buona fede, che certo, di cose che non vanno ce ne sono sicuramente, ma che in ultima analisi la politica, quella vera, quella importante, la fanno loro, e per il resto l’intendance suivra. Invece, non è così, e non solo perché, nelle salmerie, spesso si esagera fino a superare abbondantemente ogni possibile livello di guardia. Il fatto è che nei partiti personali la leadership, per definizione, non è contendibile, o quanto meno non è contendibile democraticamente, secondo regole chiare e condivise. Ciò non significa, naturalmente, che non possa essere contesa, e che, quando se ne dà l’occasione, non lo sia. Significa che la lotta politica interna (di per sé inevitabile, e anche fisiologica) si consuma in forme opache, spesso torbide e tendenzialmente autodistruttive, anche, e forse soprattutto, quando, per condurla, ci si fa forti di piazze, reali e virtuali, che, nel caso dell’Idv, si è provveduto a infiammare, per anni e anni, in nome dell’antipolitica.

Naturalmente, è tutto da stabilire che questo, per l’Italia dei valori, sia un destino segnato. Forse Di Pietro stupirà tutti facendo un congresso vero, chiamato a gettare le basi di un partito vero. Forse ha ragione la sua fedelissima tesoriera Silvana Mura quando dice, sempre a Gianna Fregonara, che De Magistris è giovane, ha il futuro dalla sua anche per motivi anagrafici, ma deve capire, e da buon pilota capirà, che per guadagnarlo deve stare attento a non rompere la macchina. In fondo quelli che ci narrano le cronache sono soltanto dei sintomi. Ma sintomi gravi. Sintomi di una malattia che non affligge solo l’Idv.

edera rossa
19-12-09, 03:11
credo vi sia un s ola cosa peggiore della partitocrazia ( fenomeno gravissimo per la sfiducia nella democrazia che fa sorgere tra i cittadini e per come incide negativamente sui criteri di reclutamento della nuova classe politica) , questa cosa si chiama partitofobia. :ciaociao:

zulux
20-12-09, 23:05
credo vi sia un s ola cosa peggiore della partitocrazia ( fenomeno gravissimo per la sfiducia nella democrazia che fa sorgere tra i cittadini e per come incide negativamente sui criteri di reclutamento della nuova classe politica) , questa cosa si chiama partitofobia. :ciaociao:

...arguta osservazione...

Burton Morris
25-12-09, 22:05
"La Repubblica", VENERDÌ, 06 NOVEMBRE 2009
Pagina 2 - Interni

Le risposte di Berlusconi e le verità che mancano

Il premier e le 10 domande
Nel libro di Vespa altre menzogne e tanti silenzi


Silvio Berlusconi risponde alle dieci domande di Repubblica, dopo 175 giorni, 10 ore e 18 minuti (il paziente computo è di un nostro lettore, Michele De Luca). Domande che il capo del governo ha giudicato così diffamanti da richiedere un risarcimento milionario per l´offesa ricevuta. Gli interrogativi erano, come dimostra oggi Berlusconi, del tutto legittimi. Facevano tesoro, peraltro, di una sua convinzione. Questa: credo che chi è incaricato di una funzione pubblica, come il presidente del Consiglio, debba dar conto dei suoi comportamenti, anche privati. (Porta a Porta, 5 maggio 2009).
Repubblica concorda con Silvio Berlusconi. È evidente che, nonostante il frastuono mediatico di questi mesi, non si mai discusso di un divorzio, affare privato di due coniugi, né di pettegolezzi o di vita privata. Come ha avuto subito chiaro il premier, la questione interroga le condotte di «un incaricato di una funzione pubblica».
Berlusconi non ha ritenuto opportuno rispondere direttamente alle nostre domande. Ha affidato le sue risposte a Bruno Vespa, un giornalista della televisione pubblica, collaboratore di un settimanale di proprietà (Panorama) del presidente del consiglio, in un libro edito dalla Mondadori, proprietà di Berlusconi. Qui ricordiamo le domande, diamo conto delle risposte del premier. Si scorge qualche menzogna, più d´una contraddizione, le dissimulazioni e i silenzi cui il capo del governo ci ha abituato.



Berlusconi, oggi: «Non ho avuto alcuna relazione con signorina Noemi. Al riguardo si sono dette e scritte soltanto calunnie». Berlusconi sostiene «di avere incontrato la ragazza soltanto quattro volte». Dove e quando? Il premier autorizza Vespa a raccontare: «La prima, il 19 novembre, quando Noemi fu ospite a Villa Madama... la seconda il 15 settembre alla festa di Natale del Milan... La terza a Villa Certosa, dove la ragazza fu invitata a trascorrere con alcune amiche le feste di fine d´anno... la quarta, alla sua festa di compleanno».

Repubblica ha documentato, con una testimonianza mai smentita, come il premier abbia conosciuto Noemi Letizia attraverso un book fotografico. Berlusconi dice invece di aver incontrato Noemi in quattro occasioni, dunque nelle uniche circostanze già scovate da Repubblica. Quel che il premier dice oggi è in contraddizione con quanto hanno detto, nel corso del tempo, Elio Letizia, Noemi e lo stesso Berlusconi. Il padre della minorenne ha ricordato che decide di presentare la sua famiglia al presidente del consiglio nel «dicembre del 2001»: «A metà dicembre, io e mia moglie andammo a Roma per acquisti e, passando per il centro storico, pensai che fosse la volta buona per presentare a Berlusconi mia moglie e mia figlia». (il Mattino, 25 maggio). Nello stesso giorno il capo del governo ha un altro ricordo. «La prima volta che ho visto questa ragazza è stato a una sfilata» (Corriere, 25 maggio), dunque né a Villa Madama né presentata dal padre. Noemi non racconta quando ha visto per la prima volta «Papi», ma confessa di averlo incontrato in più occasione, in forma privata e non in pubblico. «Gli faccio compagnia. Lui [Berlusconi] mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che desidera da me». (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile).





Berlusconi non risponde a questa domanda. Come si deduce dalla risposta al primo interrogativo, non è in condizione di raccontare la verità a meno di non contraddirsi.





Berlusconi: «Ho proposto incarichi di responsabilità soltanto a donne con un profilo morale, intellettuale, culturale e professionale di alto livello».


La risposta del premier non corrisponde alla verità nota a tutti e peraltro, per la prima volta, svelata dai fogli della destra e addirittura dal giornale di famiglia.
Il primo quotidiano che dà conto della candidatura di una "velina" alle elezioni europee è, infatti, il Giornale. Il 31 marzo, a pagina 12, nella rubrica Indiscreto a Palazzo si legge che «Barbara Matera punta a un seggio europeo». «Soubrette, già "Letterata" del Chiambretti c´è, poi "Letteronza" della Gialappa´s, quindi annunciatrice Rai e attrice della fiction Carabinieri», la Matera, scrive il Giornale, «ha voluto smentire i luoghi comuni sui giovani che non si applicano e non si impegnano. "Dicono che i ragazzi perdino tempo. Non è vero: io per esempio studio molto"». «E si vede», commenta il giornale di casa Berlusconi.
Libero (22 aprile) è il secondo giornale che dà conto della «carta segreta che il Cavaliere è pronto a giocare». Notizia e foto di prima pagina con «Angela Sozio, la rossa del Grande Fratello e le gemelle De Vivo dell´Isola dei famosi, possibili candidate alle elezioni europee». A pagina 12, le rilevazioni: «Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore» è il titolo. «Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl» è il sommario.
I nomi della candidate che si leggono nella cronaca di Libero sono: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e «una misteriosa signorina» lituana, Giada Martirosianaite. Le scelte del premier furono apprezzate con entusiasmo nel suo "campo". «Meglio la Sozio di Zagrebelsky» titolò il Foglio (24 aprile).
Molte candidate-veline, una volta escluse, protesteranno con vivacità pubblicamente. Il padre di Emanuela Romano arriverà a darsi fuoco dinanzi al portone di Palazzo Grazioli. La stessa Noemi non nasconde che, avuto accesso a Berlusconi, potrà avere spazio in politica. «[Da grande vorrò fare] la showgirl. Mi interessa anche la politica. Sono pronto a cogliere qualunque opportunità. (…) Preferisco candidarmi alla Camera, al Parlamento. Ci penserà Papi Silvio» (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile).






Come si ricorderà è stata la prostituta Patrizia D´Addario a raccontare (e a documentare con registrazioni sonore e visive) di aver fatto sesso con Berlusconi a palazzo Grazioli. Il premier replica: «C´era una cena con molte persone organizzata dalle militanti dei club ´Forza Silvio´ e ´Meno male che Silvio c´è´ alla quale "all´ultimo momento si infilò anche Tarantini con due sue ospiti».

Berlusconi inciampa in poche righe in tre frottole, che possono essere documentate. Non è vero che Tarantini porta con sé soltanto due ospiti. Le ospiti sono tre: Barbara Montereale, Lucia Rossini e Patrizia D´Addario. La circostanza è confermata dallo stesso Tarantini. Interrogato l´8 settembre, dice: «Confermo che il 4 novembre 2008 mi recai a palazzo Grazioli unitamente a Patrizia D´Addario, Barbara Montereale e Lucia Rossini». Non è vero che in quella serata c´erano molte persone e nessuno ricorda la presenza delle militanti dei club "Forza Silvio" e "Meno male che Silvio c´è". Lo racconta subito Patrizia D´Addario: "Quella sera non c´erano altre ospiti. Abbiamo trovato un buffet di dolci e il solito pianista [Apicella]» (Corriere della sera, 17 giugno) Lo conferma anche oggi Barbara Montereale. Gli unici altri protagonisti della serata furono le guardie del corpo del presidente. La loro presenza è agli atti dell´indagine di Bari. In un colloquio registrato, si sente la D´Addario chiedere alla Montereale: «Ti ricordi come ti corteggiava?». L´altra risponde: «Tutto davanti alle guardie del corpo. Uno schifo. Tu sei un´altra come Noemi che gli può fare male». Non è vero che Tarantini si infilò «all´ultimo momento». L´imprenditore barese pianifica la visita almeno 24 ore prima, come risulta dalle dichiarazioni delle ragazze e dalle intercettazioni telefoniche. Le ragazze dei club, come ha riferito ancora ieri la Montereale a Repubblica, erano presenti non a Palazzo Grazioli ma a Villa Certosa il 6 gennaio, quando lei tornò con Tarantini a incontrare Berlusconi.





Berlusconi: «La magistratura ha già archiviato la pratica al riguardo. Io non ho mai utilizzato "voli di Stato" in modo non lecito. Inoltre ho cinque aerei privati che posso utilizzare in qualunque momento».

La risposta è soltanto parzialmente corretta. E´ vero che il 20 ottobre il tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le accuse di abuso d´ufficio e peculato contro Berlusconi. Va ricordato però che le regole per quei "viaggi di Stato" sono state modificate il 25 luglio 2008 dalla presidenza del consiglio e consentono molta discrezionalità nella composizione della delegazione che accompagna il capo del governo. Ne possono far parte, come accade, come è accaduto, anche musicisti e ballerine. La replica di Berlusconi è soltanto parzialmente corretta perché dimentica che il tribunale amministrativo del Lazio ancora indaga e ha chiesto, il 28 ottobre, a Palazzo Chigi i documenti relativi a cinque voli tra Roma e Olbia (24, 25, 31 maggio, 1 giugno, 17 agosto 2008), la lista delle persone ammesse al volo, le ragioni della loro presenza. Un procedimento è aperto anche presso la Commissione Europea «per verificare la sussistenza di illeciti compiuti dalle nostre istituzioni».






Berlusconi: «La risposta vale per oggi come per il passato, in quanto io non mi sono mai lasciato ricattare da nessuno, né mi sono mai comportato in modo per cui un simile evento si potesse verificare. Quando nei miei confronti sono state avanzate richieste che, secondo il giudizio mio e dei miei legali, si configuravano come ricattatorie, mi sono immediatamente rivolto all´autorità giudiziaria».

La replica del capo del governo è gravemente insincera per il presente e per il passato. Anche trascurando il recentissimo "caso Marrazzo" (vede il video ricattatorio - "corpo del reato" - avverte Marrazzo, gli consiglia di acquistarlo e distruggerlo), è stato lo stesso premier a denunciare, a La Maddalena, come la notte di sesso con la prostituta Patrizia D´Addario lo abbia esposto a un´imbarazzante e pericolosa vulnerabilità. «Sono stato vittima di una persona che ha voluto creare artatamente uno scandalo. La signora ha commesso quattro reati e rischia una pena edittale di 18 anni, ma non ho ancora deciso se dare il via a queste cause» (Ansa, 10 settembre, 21,01). Per il passato, la sfiducia per l´autorità giudiziaria e la diffidenza per ogni denuncia è addirittura documentata e fragorosa. Nel 1975 esplode un ordigno contro la sua abitazione in via Rovani a Milano. Berlusconi non ne fa cenno alle polizie. Nel 1986, scoppia un´altra bomba contro il palazzo di via Rovani. Berlusconi confessa ai carabinieri di sospettare il mafioso Vittorio Mangano, fattore di Villa San Martino ad Arcore. Aggiungerà: «Se mi avesse chiesto cinquanta, sessanta milioni glieli avrei dati...». Il 7 febbraio 1988, Berlusconi conversa al telefono (intercettato) con un suo amico (l´immobiliarista Renato Della Valle). Dice: «C´ho tanti casini in giro, a destra, a sinistra. Ce n´ho uno abbastanza grosso, per cui devo mandare via i miei figli, che stanno partendo adesso per l´estero, perché mi hanno fatto estorsioni... in maniera brutta». Berlusconi spiega che si tratta di «una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa, e... sono ritornati fuori». Poi racconta: «Sai, siccome mi hanno detto che, se entro una certa data, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio a me e espongono il corpo in piazza del Duomo...». Anche dinanzi a questo terribile ricatto, Berlusconi non si è rivolto né alle polizie né alla magistratura.






Il premier non risponde.






Berlusconi: «Come molti ricorderanno ho ripetutamente indicato a titolo di suggerimento, affinché dal Parlamento possa essere compiuta la scelta migliore, un candidato (Gianni Letta) che ritengo sia il migliore in assoluto».

In questo caso, la menzogna è sorprendente. Non c´è chi non sappia che il capo del governo abbia come obiettivo l´ascesa alla presidenza della Repubblica. Lo ha detto lui stesso: «Se passerà la riforma presidenziale, come quella sul modello francese o americano, dovrei automaticamente presentarmi come candidato alla presidenza della Repubblica» (19 luglio 2002). «Uno con la mia storia perché non dovrebbe pensarci » (3 ottobre 2008). Qualche giorno prima Bossi aveva detto: «Berlusconi al Quirinale, noi lo voteremo» (28 settembre 2008).






Berlusconi: «I violenti attacchi contro di me, sempre avulsi da ogni attinenza alla realtà e frutto solo di preconcetta ostilità, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non ho certo mai pensato di impiegare queste risorse contro alcuno».

E´ già accaduto nella precedente legislatura (2001/2006) che l´intelligence militare, governata da Berlusconi, si mettesse al lavoro contro gli avversari veri o presunti del capo del governo e del suo partito. Il 5 luglio 2006, in un ufficio riservato del direttore del Sismi (Niccolò Pollari), furono sequestrati centinaia di report, dossier su politici, magistrati, imprenditori, giornalisti, alti funzionari delle burocrazie della sicurezza. E soprattutto «un appunto» di 23 pagine che elaborava un programma per «disarticolare con mezzi traumatici» l´opposizione al governo. Il testo spiega come e perché «disarticolare», «neutralizzare», «ridimensionare» e «dissuadere» anche con «provvedimenti» e «misure traumatiche» ogni dissenso, autentico o ipotetico. L´appunto fu trovato nelle carte del braccio destro (e riservato) del direttore del Sismi - Pio Pompa. Pompa, il 21 novembre 2001, aveva inviato un fax a Palazzo Grazioli: « (...) Sarò, se Lei vorrà, il suo uomo fedele e leale...». Il progetto di «disarticolazione» fu attuato «fin dalla prima quindicina di settembre (2001)». Ne faranno le spese, magistrati, giornalisti e, alla vigilia delle elezioni del 2006, il competitore di Berlusconi, Romano Prodi. Contro di lui, e con la collaborazione di giornalisti pagati dagli "spioni", il Sismi scatenerà una campagna di discredito con documenti falsi.





Berlusconi: «A questa domanda rispondono i fatti. Da quella data a oggi le mie condizioni di salute, a parte un fastidioso torcicollo ormai debellato e la scarlattina che ho avuto a fine ottobre, sono infatti quelle che mi hanno permesso di proseguire e completare sedici mesi di fittissimi impegni che per brevità così riassumo: 170 incontri internazionali, 25 vertici multilaterali, 9 vertici bilaterali, 80 conferenze stampa, 66 consigli dei ministri 91 interventi e discorsi pubblici a braccio. Cosa avrei fatto se non fossi stato ammalato?».

La notizia dell´energico e ottimo stato di salute del presidente del consiglio non può che farci piacere, naturalmente. Tuttavia, è necessario qualche ricordo. E´ stata la moglie del premier, Veronica Lario, a dire: «Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. È stato tutto inutile» (Repubblica, 3 maggio). La signora si riferiva alla frequentazione delle minorenni, al vortice di giovani donne (secondo Veronica Lario, «figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica») che rallegrava e rallegra le notti dell´«imperatore». La moglie del premier si riferiva alla sexual addiction che affligge il presidente del consiglio. Della satiriasi, Berlusconi non parla. Parlano per lui il "caso D´Addario" e le conversazioni (intercettate) con l´imprenditore Giampaolo Tarantini

Burton Morris
25-12-09, 22:10
credo vi sia un s ola cosa peggiore della partitocrazia ( fenomeno gravissimo per la sfiducia nella democrazia che fa sorgere tra i cittadini e per come incide negativamente sui criteri di reclutamento della nuova classe politica) , questa cosa si chiama partitofobia. :ciaociao:

Sì, ma non per questo possiamo ignorare lo schifo a cui si è ridotta la politica.

Burton Morris
25-12-09, 22:10
"La Repubblica", VENERDÌ, 06 NOVEMBRE 2009
Pagina 4 - Interni

Il retroscena della notte in cui tutto cominciò

Veronica, il ciarpame e quella frase cancellata

DARIO CRESTO-DINA
Bruno Vespa dedica a Veronica Lario 25 pagine su 518, ventiquattro delle quali nel primo capitolo, non a caso intitolato La grande tempesta. Da Veronica infatti tutto comincia e si dipana tra il 28 aprile ("Ciarpame senza pudore", dichiarazione all´Ansa dopo aver letto su Repubblica la cronaca di Conchita Sannino sulla festa per Noemi a Casoria) al 3 maggio, quando la signora annuncia il divorzio e a Repubblica dice: «La strada del mio matrimonio è segnata, non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni». Nessuna novità, se non una: il motivo per cui la sera di martedì 28 aprile la mail della Lario arrivata alle 20.15 sul computer dell´allora direttore dell´Ansa Giampiero Gramaglia deve attendere più di due ore, fino alle 22.31, prima di essere messa in rete.
Sono due ore di grandissima tensione. Gramaglia capisce che ha una bomba politica tra le mani e impiega quel tempo per censurare la moglie del premier e avvisare Berlusconi, che si trova a Varsavia, della bufera che lo sta per investire. Nel pomeriggio di quel giorno, secondo la ricostruzione di Vespa, l´Ansa manda a Veronica tre domande scritte. La prima sul ruolo delle donne in politica, la seconda sull´uso di candidate avvenenti per attirare voti, la terza sul fatto che lei, quando incontrò Silvio, era un´attrice. Veronica a questa non risponde, in compenso si fa da sola una quarta domanda (la presenza di Berlusconi al diciottesimo compleanno di Noemi) e la risposta è devastante. C´è soprattutto una frase terribile, un giudizio sul marito che suona come un epitaffio morale. Gramaglia cerca Bonaiuti a Varsavia, gli legge le dichiarazioni della Lario. Il premier non può abbandonare la cena ufficiale fino al dolce, lo ingolla frettolosamente, prende il cellulare dal suo portavoce che lo avverte: «Veronica è imbufalita». Dall´altra parte c´è Gramaglia.
Scrive Vespa: «Il direttore dell´Ansa gli lesse il testo integrale, inclusa la frase incriminata, e lo avvertì che, quando la signora lo avesse richiamato, le avrebbe chiesto di toglierla. Berlusconi restò interdetto. Disse che si trattava di una questione privata e dunque non capiva perché l´Ansa avrebbe dovuto diffondere una cosa del genere. Lasciò intendere che avrebbe contattato la moglie per un chiarimento, ma poi rinunciò». A questo punto a Gramaglia resta da affrontare la moglie del premier. Questo il resoconto del colloquio telefonico fatto da Vespa. «Signora, la frase è un po´ troppo sopra le righe. Mi permette di tagliarla?». «Direttore, ho i miei buoni motivi per averla scritta. Comunque, si regoli come meglio crede. L´importanza è che la sostanza di quel che penso esca immutata».
Vespa non rivela quale fosse la frase tagliata e Gramaglia, sentito da Repubblica ieri sera, dice: «Ritengo sia sbagliato e ingiusto parlare di censura. Abbiamo fatto il nostro mestiere. Quell´espressione era troppo forte, passibile di querela. Decisi di toglierla solo dopo aver parlato con la signora e avere avuto il suo sì». Ma perché prima avvisò Berlusconi? «Giudicai la situazione delicata, forte e importante anche sul piano politico. Mi sembrò giusto avvertire il presidente del Consiglio».

Burton Morris
25-12-09, 22:11
Calabria, ai forestali 240 milioni l' anno (http://archiviostorico.corriere.it/2009/novembre/07/Calabria_forestali_240_milioni_anno_co_9_091107027 .shtml)

La storia/I 9.700 dipendenti che gestiscono anche uno zoo esotico. Fallito il blitz per trasferirli alle Province


Calabria, ai forestali 240 milioni l' anno.
Finiti i fondi del governo per gli stipendi. E si prepara un' altra rivolta




ROMA - «La mia solidarietà piena ai forestali della Calabria, lasciati senza certezza finanziaria da un governo ostaggio della Lega. È tempo di scendere in piazza». L' autore di questa sorprendente dichiarazione si chiama Filippo Callipo, detto Pippo. Sorprendente perché il signore in questione altri non è che un noto imprenditore calabrese, cavaliere del lavoro, produttore del rinomato tonno Callipo. Niente affatto sorprendente, invece, se si considera che Pippo Callipo, come ha ricordato ieri Italia Oggi, potrebbe essere candidato (dipietrista) alla presidenza della Regione Calabria. E, com' è noto, i forestali calabresi votano. A dicembre finiranno i soldi per i loro stipendi e se non li metteranno in Finanziaria si rischia un avvio d' anno incandescente, con blocchi stradali e altre clamorose proteste. Scene già viste. Il fatto è, però, che di quattrini non ce ne sono. A meno di non tagliare da qualche altra parte. Il sistema dei forestali fu inventato negli anni Ottanta dalla Dc per giustificare 34 mila stipendi. Che fosse assistenzialismo allo stato puro, era lampante. «Sono una maledizione. Non fanno niente, non intervengono contro le fiamme, non danno alcun aiuto», ebbe a dire un politico navigato come Giacomo Mancini. Si può immaginare che non avrebbe usato gli stessi toni se invece di essere una clientela dc fosse stata una clientela del suo psi, ma non era troppo lontano dalla realtà. Allora come forse anche oggi. Un rapporto della Corte di conti del 2007 ha rivelato come la Calabria, nonostante una moltitudine di forestali, fosse «la Regione con la più estesa superficie boscata percorsa dal fuoco». Nel periodo 2003-2006, caso unico in Italia, il numero dei comuni calabresi interessati ogni anno dagli incendi non è mai sceso sotto quota 200, avendo raggiunto anche il livello di 271. Grazie anche a generosi prepensionamenti l' esercito dei forestali negli anni si è assottigliato fino a 9.760 unità. In realtà erano scesi a 8.300, poi sono stati imbarcati altri 1.460 lavoratori socialmente utili già in carico ai comuni. Costano ben 240 milioni di euro l' anno: 80 li mette la Regione e 160 lo Stato. E rappresentano un problema che nessuno ha interesse a risolvere. Infatti non c' è partito che non abbia a cuore la faccenda. A parte, per ragioni facilmente intuibili, la Lega Nord. Esattamente cinque anni fa il Carroccio piantò una grana in Parlamento perché venissero cancellati i finanziamenti che correvano da più di vent' anni. Ma ottenne soltanto la nomina a commissario per Roberto Calderoli. Il quale esordì con propositi bellicosi. «Vado a verificare quanti sono questi forestali, cosa fanno e come lavorano. Andiamo a vedere se è l' ennesimo esempio di assistenzialismo malato. Se è vero che c' è chi accende fuochi per poi andare a spegnerli», raccontò ad Alessandro Trocino del Corriere. Ma in Calabria il commissario leghista non ci mise praticamente piede. Finché nel 2007 qualcuno pensò di farli addirittura scomparire, i forestali, con una legge regionale per liquidare l' Afor, l' azienda della Regione che li ha tutti in carico. Un baraccone che per giustificare la propria esistenza in vita non aveva esitato a realizzare iniziative stravaganti come uno zoo per animali esotici a 1.300 metri di quota, dove l' inverno è come in Alaska. Subito ribattezzato il Jurassic park dell' Aspromonte, sarebbe costato 10 milioni di euro. La chiusura dell' Afor aveva un obiettivo: il trasferimento a libro paga delle Province dei circa 10 mila forestali. Operazione che avrebbe risolto alla radice il problema di dover battere cassa ogni anno a Roma. Se soltanto, però, le Province avessero avuto i soldi. Inoltre il numero dei dipendenti provinciali di tutta la Calabria (oggi sono 3.527) avrebbe superato di slancio quota 13 mila, più di tutto il personale delle Province lombarde e piemontesi messe insieme. Così il processo di liquidazione dell' Afor si è bloccato. E anche l' ultimo blitz, per fare passare comunque tutti i dipendenti agli enti locali prima della fine dell' anno è per il momento fallito. Mentre sale la tensione. Qualche settimana fa il segretario regionale dell' Udc Francesco Talarico ha scritto a Tremonti implorandolo di mettersi una mano sulla coscienza. «Altrimenti altre 9 mila famiglie rischierebbero di essere ridotte in povertà».



Sergio Rizzo



La scheda

Il Corpo Forestale dello Stato nel 1981 è stato incluso tra le cinque forze di polizia con compiti anche di protezione civile. In Calabria è passato da 34 mila a 9.760 unità. Costa 240 milioni di euro l' anno: 80 li mette la Regione e 160 lo Stato.


Pagina 26
(7 novembre 2009) - Corriere della Sera

Burton Morris
25-12-09, 22:11
"La Repubblica", SABATO, 07 NOVEMBRE 2009
Pagina 6 - Interni

Sopravvivere agli scandali
Una barzelletta
Parla l´editorialista Michael Wolff: i giornalisti americani avrebbero preteso un terreno neutro, non Vespa
"Risposte evasive e non credibili; negli Usa non sarebbe stato possibile"
Dal punto di vista americano è quasi inspiegabile che un leader sia riuscito a sopravvivere a dispetto di tanti scandali
Il premier sapeva di essere diventato la barzelletta del mondo e ciò gli dava più fastidio delle grane giudiziarie

ARTURO ZAMPAGLIONE
NEW YORK - Guru dei media e autore di una graffiante biografia di Rupert Murdoch, Michael Wolff confessa di avere «un debole» per Silvio Berlusconi.
«È il mio argomento preferito», dice con una punta d´ironia il columnist che a settembre, con un lungo articolo su Vanity Fair, ha fatto conoscere per primo al pubblico americano le peripezie sessuali e giudiziarie del premier. E che ne pensa ora Wolff delle risposte che Berlusconi, dopo mesi di silenzio, ha finalmente dato alle dieci domande di Repubblica? «Capisco i motivi che lo hanno portato a non eludere più quegli interrogativi sulla sua vita personale e politica», ci spiega Wolff. «Ma le risposte sono state evasive, non appaiono plausibili e comunque non sono state offerte in un terreno giornalisticamente neutro, come noi negli Stati Uniti avremmo preteso».
Michael Wolff, cominciamo dalle motivazioni di Berlusconi. Perché secondo lei è uscito allo scoperto?
«Berlusconi sapeva di essere diventato la barzelletta del mondo e questa situazione gli dava persino più fastidio che le grane giudiziarie. Ci soffriva, ne andava di mezzo la sua dignità. Lo sapete che a ogni summit internazionale i suoi colleghi stranieri cercavano di non farsi mai fotografare vicini a lui? Non volevano essere immortalati accanto a uno considerato un clown e che un giorno o l´altro potrebbe anche finire in prigione».
Eppure negli Stati Unti non ci sono stati gli stessi affanni sul caso Berlusconi emersi in molti paesi europei. La stampa americana ne ha cominciato a parlare solo dopo la pubblicazione del suo articolo. Come lo spiega?
«È vero. Io stesso ho impiegato cinque anni a convincere Vanity Fair a occuparsi di Berlusconi. Il motivo? In questa fase gli Stati Uniti sono molto ripiegati su loro stessi e anche quel che succede in paesi culturalmente più vicini, come la Gran Bretagna, riceve solo una attenzione marginale. Ad esempio si scrive molto poco sul tramonto politico di Gordon Brown. E l´Italia è ancora più lontana dell´Inghilterra».
Vi sareste accontentati, voi giornalisti americani, delle risposte fornite da Berlusconi a Bruno Vespa?
«Assolutamente no: innanzitutto avremmo preteso un terreno neutro, e non di parte, per dare la sua versione. E poi non gli avremmo permesso di negare tutto nel modo in cui l´ha fatto, che sembra non veritiero, o quanto meno non plausibile. Perché infatti avrebbe dovuto aspettare così tanti mesi per darci solo una generica smentita?»
Secondo lei, che conosce bene l´Italia, e la ama, quanto ha nuociuto la vicenda Berlusconi all´immagine all´estero del paese?
«Di sicuro non vi ha giovato. Dal punto di vista americano è quasi inspiegabile come un leader politico sia riuscito a sopravvivere a dispetto di tanti scandali. Negli Stati Uniti nessuno avrebbe retto da solo alla pressione dei media, del mondo giudiziario, dell´opposizione e del suo stesso partito».
Ai tempi del Watergate Richard Nixon si è però trovato in una situazione simile.
«È vero, ma sappiamo anche la fine che ha fatto. E, più di recente, il comportamento di Bill Clinton è sfociato nel suo impeachment. Ma quel che colpisce di più dell´Italia è la capacità di un uomo solo di controllare tutto - parlamento, finanza, media - senza che succeda nulla. Ed è forse per questo che Rupert Murdoch, che ho intervistato spesso, dice cose buone di Berlusconi: è stato capace di conquistare un potere che lui, Murdoch, ha sempre desiderato ma non è mai riuscito a ottenere».

Burton Morris
25-12-09, 22:12
"La Stampa", 07 Novembre 2009, pag. 22


Inchiesta
Il caso che fa tremare la Regione


“La Abelli in affari con gli assessori della Lombardia”



BIANCA SABATINI
MILANO


Escono dalla cancelleria con un voluminoso fascicolo di carte, gli avvocati di Giuseppe Grossi, il «re delle bonifiche», e di Rosanna Gariboldi, ex assessore della provincia di Pavia e moglie del parlamentare Pdl Giancarlo Abelli. Lo ha appena depositato la procura e contiene nuovi elementi d’accusa cui hanno fatto cenno i pm Laura Pedio e Gaetano Ruta davanti al Tribunale del riesame. I legali avevano presentato istanza di scarcerazione per i loro assistiti, la procura ha dato parere nettamente contrario. «Rosanna Gariboldi - hanno detto i pm - risulta in società e in affari con assessori regionali. Non solo: è emerso tutto un mondo all’estero, rapporti e affari con il mondo politico gestiti all’estero». E lontani nel tempo erano i rapporti con Grossi: «Già nel 2001 lui e la Gariboldi intrattenevano rapporti d’affari all’estero. A quell’epoca Grossi non conosceva l’avvocato Pessina (l’avvocato svizzero accusato di aver gestito centinaia di patrimoni sottratti al fisco, ndr); segno che era abituato a creare fondi neri».
I pm hanno poi proseguito nelle accuse all’amministratore delegato di Sadi, contestando la tesi dei suoi legali secondo cui avrebbe «confessato tutto». «E’ vero - ribatte in sostanza l’accusa - Grossi ha ammesso che c’è stata evasione fiscale per creare fondi neri, ma non ne sono mai state rivelate le finalità. Ci sono milioni di fondi neri di cui non conosciamo l’utilizzo; ci sono i conti a Londra della moglie e delle figlie di Grossi e anche di questi non sappiamo nulla. Ha speso 6 milioni per regalare orologi di valore a decine di persone, e non sappiamo chi sono. Né da lui, né dalla signora Abelli sono arrivate spiegazioni plausibili», concludono i pm.
Gli avvocati di Grossi, Massimo Pellicciotta e Salvatore Pino hanno cercato di dare ai giudici un’immagine completamente diversa del loro cliente: «Ha dimostrato un ravvedimento operoso. Prima ancora dell’arresto ha fatto bloccare in Svizzera 12 milioni di euro, per metterli a disposizione della magistratura italiana. Ha pagato più tasse di quello che doveva; sta restituendo somme superiori a quelle che, secondo l’accusa, sono state sottratte». E se uscisse dal carcere non esisterebbe, per i legali, alcun pericolo di fuga.
L’udienza davanti al Riesame riprende oggi, e gli avvocati avranno esaminato le nuove carte. Dove è possibile vengano tirati in ballo proprio i rapporti d’affari di Rosanna Gariboldi con alcuni «assessori regionali». I pm non ne hanno fatto i nomi, anche se tempo fa era emersa l’esistenza di una società immobiliare, che aveva costruito un complesso a Cabiate (Como), di cui erano soci la signora Abelli, l’assessore regionale all’Ambiente Massimo Ponzoni e quello ai Servizi Massimo Buscemi, entrambi del Pdl al pari dell’altro socio, Giorgio Pozzi, vicecoordinatore del partito a Como. «Niente di illecito - aveva ribattuto Ponzoni a un articolo del settimanale “L’Espresso” - e le quote della società sono poi state vendute ad un acquirente».

Burton Morris
25-12-09, 22:12
"La Stampa", 08 Novembre 2009, pag. 1

Barbara Spinelli


Quel muro che cadde sulla sinistra

Il muro di Berlino cadde sulla testa della sinistra italiana come il giorno del Signore nella prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi: «Voi sapete bene che il giorno del Signore arriverà come un ladro, di notte. Proprio quando la gente dirà “Pace e sicurezza”, improvvisa piomberà su di essi la rovina, allo stesso modo che arrivano alla donna incinta i dolori del parto. E non scamperanno». Per alcuni nel partito comunista italiano fu proprio così: Alessandro Natta, che fino all’88 aveva guidato il Pci, confidò a Claudio Petruccioli (era il 10 novembre, poche ore dopo la notte fatale) che «Hitler aveva vinto». Fu in quei giorni che il suo successore, Achille Occhetto, cominciò a parlare, alla Bolognina, della Cosa: non riuscì ancora a darle un nome, ma sentì che per scampare bisognava subito inventarsi un partito nuovo e soprattutto un nome che facesse dimenticare il passato con i suoi tanti pensieri falsi, le sue doppie verità, le sue volontarie impotenze. Per molti militanti fu una scossa, perché il passato non lo dismetti in una notte alla maniera in cui Stalin dismetteva storie e compagni, cancellandone le tracce.

Perché il nuovo non puoi definirlo una Cosa, solo perché hai paura di usare parole tragicamente disonorate come progetto, ideologia, meta. Non solo: se i vertici cambiarono così prontamente strada, vuol dire che per decenni avevano nascosto alla base il vero: se avessero parlato prima, non avrebbero permesso che l’Italia restasse senza alternanza per quasi mezzo secolo.
Da allora sono passati vent’anni, e gli eredi del Pci ancora soffrono quel congedo precipitoso, quel vocabolario che d’un colpo si svuota. Ci sono parole che lasciano l’impronta anche se son nebbia, e un destino simile toccò alla Cosa. Al posto dell’idea del mondo, comparve questo sostantivo che è un annuncio, un guscio che si promette di riempire: «un nome generico - scrive il Devoto - che riceve determinazione solo dal contesto del discorso». Tutto da allora è stato futuro appeso a un contesto indeterminato: anche le primarie, cui si era chiamati a aderire senza saper bene a cosa si aderisse. Anche la speranza di coniugare le due forze fondatrici della repubblica: il socialismo e il cattolicesimo, dimenticando (lo storico Giuseppe Galasso l’ha ricordato il 30 agosto sul Corriere della Sera) il terzo incomodo che è la tradizione laica, liberale, radicale. Riesaminando l’ultimo ventennio, Arturo Parisi parla del controllo che le nomenclature dell’ex Pci hanno finito con l’acquisire sull’Ulivo, e del patto stretto da esse con i falsi innovatori dello stesso partito. I candidati segretari regionali provenienti dai Ds erano nelle ultime primarie il 75 per cento del totale, facendo «coincidere la geografia elettorale del Pd con i confini del voto comunista» e sconfiggendo l’Ulivo (intervista a Gianfranco Brunelli, Il Regno 16/2009).
Forza indispensabile della sinistra ma non bene identificata, l’ex Pci l’ingombra con il peso, non leggero, di una storia ripudiata. Sono anni che espia, fino all’eccesso, un passato di cui tuttavia non vuol parlare. Il centrismo, i toni bassi, la tregua fra i poli, la politica senza contrapposizioni: siamo in un paese dove il principale partito di sinistra, vergognandosi del passato, non fa vera opposizione per tema di somigliare a quel che era. Dallo spirito dell’89 ha appreso poco. Lo stato di diritto, l’onestà delle élite, la scoperta del conflitto sale della democrazia: la liberazione dell’89 ha preso da noi la forma di Mani Pulite, senza lambire la politica. Inutile prendersela con i magistrati, se l’ansia di rigenerazione hanno finito con l’esprimerla solo loro. Bersani ha preso atto, ieri, che dialogo è ormai una «parola malata e ambigua».
L’espugnazione dell’Ulivo e del Pd non crea identità. Anche il socialismo italiano fu espugnato così: usurpandolo, non integrandolo e cercando di capire l’altrui tracollo oltre che il proprio. Anche per il socialismo italiano la caduta del Muro spuntò infatti come un ladro notturno. Le metamorfosi del Pci sono una storia di crudele appropriazione, ma il socialismo è non meno colpevole di questo furto di vocaboli e identità. Non è mai riuscito a divenire dominante, come nel resto d’Europa. E quando con Craxi volle disputare la rappresentanza della sinistra al Pci non seppe trarne le conseguenze: continuò nei suoi doppi giochi, prospettò l’unità delle sinistre senza rinunciare a spartire potere, non si rinnovò moralmente ma degradò sino a divenire il simbolo della corruttela italiana.
In un lucido saggio sull’Italia, lo storico Perry Anderson descrive un partito socialista che ingenera il berlusconismo, spiegando come questi sia erede dell’ultimo Psi più che della Dc (London Review of Books, 21-3-02). La spregiudicatezza di Craxi è un tratto speciale e irripetibile della nostra cultura. Altrove lo spregiudicato è figura settecentesca che combatte pregiudizi, dogmi: non coincide con l’uomo senza scrupoli. Da noi i due tratti si confondono, e spregiudicatezza è encomiabile virtù di chi sprezza le regole, la legge, l’etica, nella certezza che il potere renda tutto lecito se non legale. L’intera classe dirigente ne è responsabile, e non stupisce che da decenni l’agenda della politica sia dettata da Berlusconi.
Occhetto sperava forse in una svolta autentica. Sperava in una carovana che viaggiando associasse forze diverse, e temeva la caserma anelata da Massimo D’Alema. Un timore che si rivelò giustificato, ma che non vede il solo D’Alema sul banco degli imputati. Questi fu almeno chiaro: l’Ulivo non gli piacque mai. Più colpevoli furono i falsi innovatori, che promettevano senza mantenere: che non hanno esitato, come Veltroni, a distruggere l’ultimo governo Prodi. Ciononostante è D’Alema la persona chiave del ventennio. In qualche modo è restato quel che era, senza più dogmi ma con inalterata volontà di potenza. Dei comunisti ha la stessa insofferenza verso il dissenso, lo stesso fastidio freddo verso la stampa indipendente. Sono sue e non di Berlusconi frasi come: «I giornali? È un segno di civiltà non leggerli. Bisogna lasciarli in edicola». La morte temporanea dell’Unità, nel 2000, lo testimonia. Michele Serra parlò di delitto perfetto su la Repubblica: «La fine dell’Unità, forse più ancora della Bolognina, illumina lo sconquasso identitario della sinistra italiana. Ne racconta le insicurezze, i complessi di inferiorità, l’incerto e poco lineare incedere verso una modernità spesso vissuta da praticoni».
Vivere la modernità da praticoni è l’abbandono dell’ideologia, in nome dell’antidogmatismo. Il fatto che le ideologie totalitarie siano perite, non significa che un partito possa solo vivere di volontà di potenza, e su essa fabbricare inciuci. Che possa continuare a ricevere il colore da discorsi effimeri. Dotarsi di un’ideologia vuol dire avere un sistema coerente di immagini, metafore, princìpi etici. Vuol dire pensare un diverso rapporto con gli stranieri, la natura, il lavoro che muta, l’immaginario. A differenza della politica quotidiana, l’ideologia ha una durata non breve ma media, e la durata non è imperfezione. È perché non aveva idee sull’informazione di massa e sulla società di immigrazione che la sinistra fu travolta da Berlusconi. Che non seppe adottare, subito, una legge sul conflitto d’interesse. Che giunse sino a chiamare la Lega una propria costola.
Perry Anderson ritiene che la nostra sinistra sia invertebrata. Una Cosa appunto, senza scheletro: un metamorfo, come nel film di Carpenter. Il suo sogno ricorrente è quello d’un paese normale: un’altra Cosa - imprecisa, mimetica - che dall’89 cattura gli spiriti. La sinistra invertebrata ha corteggiato Clinton, Blair, Schröder, tessendo elogi del moderatismo, del centrismo. Vita normale, per la sinistra, ha significato sin qui smobilitazione ideologica, conformismo: il nuovo ancora lo si aspetta.

Burton Morris
25-12-09, 22:13
"La Repubblica", LUNEDÌ, 09 NOVEMBRE 2009
Pagina 11 - Interni

In aula 8 ore a settimana, fermi 4200 ddl, a picco la produttività delle Camere
L´inchiesta
Negli ultimi sei mesi è crollata l´attività del Parlamento: delle 47 leggi approvate ben 36 provengono dal Consiglio dei ministri E nelle commissioni migliaia di provvedimenti chiusi nei cassetti
Un senatore lavora due giorni a settimana, un deputato tre. Un disegno di legge d´iniziativa parlamentare impiega fino a 147 giorni per essere approvato, per un decreto del governo ne bastano 19

CARMELO LOPAPA
Quel nastro bianco e rosso da cantiere chiuso e sotto sigilli il presidente della Camera, Gianfranco Fini lo reciderà oggi.
Dieci giorni di stop forzato e nel pomeriggio Montecitorio riapre i battenti. Saranno stati sufficienti a debellare lo strano virus che affligge ormai il Parlamento, che ne ha ridotto le capacità, abbattuto la produttività e infine mortificato la funzione, fino alla paralisi di questi giorni?
Le Camere non hanno mai brillato per iperattivismo, d´accordo. Ma negli ultimi sei mesi - complice il progressivo affievolimento dell´iniziativa del governo, ormai unico dominus dell´attività legislativa - hanno rallentato e infine esaurito la loro corsa. Non è solo un problema di quantità, di ore lavorate, come se deputati e senatori fossero operai a cottimo. Il fatto è che le 8,6 ore di seduta a settimana (dal martedì al giovedì pomeriggio) alle quali si sono limitati i senatori dal 1 maggio al 31 ottobre e le 18 dei deputati (dal lunedì al giovedì pomeriggio) nello stesso periodo, raccontano di un arrancare senza precedenti. Denunciato in fondo, con tutta la diplomazia del caso, dalla clamorosa iniziativa del presidente Fini nel momento in cui ha chiuso per mancanza di leggi e di copertura per finanziarle. Messaggio al governo, preceduto da due (inutili) riunioni di richiamo all´ordine coi presidenti di commissione. Al Senato invece si va avanti senza scosse, sebbene proprio lì i numeri parlino di un calo ancora più marcato: dalle 17,7 sedute al mese del primo anno di legislatura si è passati alle 14 degli ultimi 180 giorni, le ore di aula da 11 a 8,6 a settimana.
"Repubblica" ha passato al setaccio proprio gli ultimi sei mesi di attività di Camera e Senato, grazie ai dati ufficiali forniti dal Servizio statistiche di Montecitorio e dal Servizio resoconti e comunicazione istituzionale di Palazzo Madama. Quadro che tiene ovviamente conto della pausa vacanze che ha fermato il Parlamento dal 7 agosto al 15 settembre. Un cammino nella giungla dei numeri per tentare di risalire alla fonte della paralisi. E se delle 47 leggi approvate da maggio ad ora 36 provengono dal Consiglio dei ministri, due miste e solo 9 di iniziativa parlamentare, vuol dire che le Camere ormai ratificano per lo più norme dettate dal governo Berlusconi e che di conseguenza il «legificio» si ferma se la macchina si intoppa. Cordoni chiusi della borsa del ministro Tremonti, ma c´è dell´altro.

L´INGORGO
Il richiamo di Fini ai presidenti di commissione non era casuale. In questo momento (come si evince dalla tabella) sono fermi proprio nelle commissioni ben 579 disegni di legge (297 al Senato e 282 alla Camera). Per non parlare di tutti gli altri ancora da esaminare: allora si tocca quota 1.621 al Senato e 2.606 alla Camera, oltre 4mila leggi al palo. Eppure, la commissione Affari costituzionali del Senato negli ultimi sei mesi si è riunita 37 volte per 25 ore di lavoro (meno di un´ora a seduta), la commissione Giustizia 33 riunioni per 36 ore di attività, Esteri 17 sedute in 14 ore, Difesa 24 sedute per 22 ore, e via così tutte le altre con l´eccezione della commissione Bilancio, 68 riunioni in sei mesi e 79 ore. Alla Camera, dall´1 maggio al 31 ottobre la commissione Affari costituzionali ha esitato 5 ddl in sede referente e 4 in sede legislativa, Giustizia solo 2 in sede referente. Difesa, Finanze, Cultura, Trasporti, Attività produttive zero (0) ddl esitati in sede referente.

LA CORSIA PREFERENZIALE
L´attività e soprattutto la qualità del legislatore non si misura col cronometro. Vero. Ma a volte il timing svela qualcosa. Ad esempio (vedi altra tabella), che un disegno di legge di iniziativa parlamentare impiega 123 giorni in media per essere approvato al Senato e 147 alla Camera. Quando invece ai decreti e alle proposte con la firma del premier Berlusconi o di un ministro ne bastano 19 giorni al Senato e 22 alla Camera. Merito/colpa della spada di Damocle della fiducia (25 in 18 mesi, ultima sullo scudo fiscale), ma non solo. Sta di fatto che in 18 mesi di legislatura, su 112 leggi approvate, 97 sono di iniziativa governativa (ma 33 decreti e 45 ratifiche di trattati internazionali) e solo 15 parlamentari.

DIPENDENTI PART TIME
Il 3 maggio, un´inchiesta di "Repubblica" rivelava che nei due mesi precedenti di marzo e aprile, al Senato, si era lavorato solo per 10 giorni al mese, col record di sole 7 ore di sedute in una settimana di aprile. Sono seguiti impegni solenni sul prolungamento dell´orario lavorativo di coloro che Beppe Grillo si ostina a definire «nostri dipendenti». Cos´è accaduto nei sei mesi successivi, in cui governo e maggioranza sono stati assorbiti anche da vicende non prettamente politiche? Al netto della pausa estiva, in sei mesi la Camera ha tenuto 72 sedute, 14 al mese circa, lavorando per 18 ore a settimana, 4 ore e mezza al giorno nel quattro giorni di attività. Comunque, un incremento rispetto 16,5 ore a settimana dei primi quattro mesi. A Palazzo Madama le cose continuano ad andare peggio. L´assemblea, da maggio al primo novembre, ha tenuto 72 sedute per 173 ore complessive, ovvero 34,6 ore al mese (erano 46 i primi quattro mesi del 2009): dunque 8,6 ore a settimana (erano 11,5). In linea col record negativo di aprile che aveva destato scandalo.

Burton Morris
25-12-09, 22:13
Misura cautelare per Cosentino - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_09/cosentino_campania_misura_cautelare_c19693be-cd5c-11de-b7a9-00144f02aabc.shtml)


il deputato in corsa per la poltrona di presidente della Regione Campania


Misura cautelare per Cosentino: «Presunti contatti con la camorra»
Il sottosegretario all'Economia indagato per presunti rapporti con il clan dei Casalesi



NAPOLI - Sarebbe stata già firmata e sta per essere inoltrata alla Camera la richiesta di autorizzazione per l'esecuzione di una misura cautelare - non è stato possibile sapere se di detenzione in carcere, agli arresti domiciliari o di carattere interdittivo - nei confronti di Nicola Cosentino, sottosegretario all'Economia e coordinatore regionale del Pdl. La notizia, diffusa dall'Ansa, è trapelata in ambienti giudiziari, anche se i magistrati titolari dell'inchiesta si sono rifiutati di confermare l'indiscrezione. Cosentino risulta indagato per presunti contatti con il clan dei Casalesi nell'ambito di un procedimento scaturito dalle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Il nome di Cosentino è anche dato in corsa per la poltrona di presidente della Regione Campania.

CAMORRA - La misura cautelare sarebbe stata emessa dal gip Raffaele Piccirillo, su richiesta dei pm Alessandro Milita e Giuseppe Narducci. Da indiscrezioni, i magistrati ipotizzerebbero a carico di Cosentino un concorso esterno in associazione camorristica. Trattandosi di un deputato, il gip - come stabilisce la legge - ha disposto la notifica dell'ordinanza al Presidente della Camera, con richiesta di autorizzazione all'esecuzione del provvedimento. La documentazione sarà poi inviata alla giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio, che dovrà formulare una proposta per l'Aula. La posizione di altri indagati coinvolti nello stesso procedimento, sui quali pendono richieste di misure cautelari, sarebbe stata stralciata.

L'AVVOCATO - Il legale di Cosentino, l'avvocato Stefano Montone, si è recato in giornata dal procuratore Giovandomenico Lepore e dal gip Piccirillo. Il penalista negli ultimi tempi aveva informato i magistrati che Cosentino era disponibile a presentarsi per dichiarazioni spontanee o per rendere interrogatorio, ma gli inquirenti - ha spiegato il legale - non hanno ritenuto di dover accogliere tali richieste.


09 novembre 2009

Burton Morris
25-12-09, 22:13
Crescono le poltrone in Senato


• da Il sole 24 ore del 19 novembre 2009

L’aumento delle poltrone continua a essere un grande classico del Parlamento. Di legislatura in legislatura, di anno in anno, se c’è una costante certezza è quella di assistere all’addizione di incarichi con annessi benefits. È quello che è successo anche ieri all’aula del Senato dove è stato portato da 10 a 12 il numero dei segretari d’aula che, per inciso, beneficiano di tre segretarie, telefonino e auto blu. L’antefatto è questo: l’Idv è rimasta senza la sua rappresentanza tra i segretari d’aula perché all’epoca i voti (incluso quello del Pd) andarono alla senatrice Thaler della Svp e, dunque, il partito di Di Pietro restò a bocca asciutta. Il "vulnus" andava sanato. E ieri anche di questo si sono occupati i senatori. Ai quali ha indicato una soluzione "controcorrente" – visto il suo precedente – il senatore Riccardo Villari che ha proposto le dimissioni dei segretari e la ripartenza da zero. L’aula lo ha applaudito ma poi ha votato per i due nuovi incarichi. Già perché, per far entrare uno dell’Idv, bisogna che entri anche uno del Pdl visto che il regolamento impone un equilibrio tra rappresentanze. Grandi i numeri per il via libera: 239 sì, 12 no e 15 astenuti. Tra i contrari, i radicali Marco Perduca e Donatella Poretti del gruppo Pd: «È stato un no contro la tenia partitocratica che ieri ha visto consociati tutti i gruppi per fare un favore all’Idv: vedremo come la stampa riuscirà a valorizzare questo ulteriore accordo notturno tra Di Pietro e l’arcinemico Berlusconi».
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Tue, 10/11/2009 - 10:04
#41
g.manfredi
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Corriere della Sera (http://www.corriere.it)

Con lui e contro di lui


Il sodalizio con Cesaro tra polpette e mozzarelle
Il «nemico» Bocchino: doverosa vicinanza




MILANO — Luigi Cesaro, per gli amici Giggino a’ purpetta, a tarda sera spegne il cellulare. «So’ distrutto», confessa. Di Nicola Cosentino è l’amico più caro. Il sodale. Nicola&Gigino, assieme, hanno «conquistato» Roma e il Pdl. Dove andava l’uno c’era l’altro. E viceversa.

Perché hanno capito subito una cosa semplice: in due erano più forti. Nati in territori contigui, Casal di Principe e Sant’Antimo, entrambi imprenditori di successo, anni fa si sono dati un obiettivo: il salotto buono del partito. Arrivare a lui, a Berlusconi. Nessuno ci avrebbe scommesso un euro. Ricchi erano ricchi, ma c’era quell’aria provinciale difficile da scrollarsi di dosso. Cesaro, poi, il più bersagliato per i suoi modi di fare (cliccatissimo su YouTube il video in cui mangia e sputa le unghie in Aula). E invece oggi basta aprire il sito della Camera e osservare dove sono seduti per capire: Cosentino accanto a Niccolò Ghedini, Cesaro accanto a Valentino Valentini. A fare da apripista è stato Cesaro, eletto prima.

Famose le sue mozzarelle di un caseificio di Cardito spedite settimanalmente a palazzo Grazioli. O le polpette della mamma, che gli sono valse il soprannome, usate per siglare patti di pace o per deliziare il palato del Cavaliere. E insieme hanno sbaragliato l’ex coordinatore Antonio Martusciello e suo fratello Fulvio, un tempo i viceré del Pdl napoletano. Alle comunali del 2006 in una notte esclusero dalle liste 76 consiglieri uscenti, tutti martuscelliani. Ma la vera strategia è stata la conquista degli uomini vicini al premier. Prima Elio Vito, che però dopo si è smarcato. Poi Antonio Marzano. Infine, Sandro Bondi e Denis Verdini, tra i più convinti sostenitori della candidatura di Cosentino. Che, sabato sera, ha rivelato a Cesaro: «Giggino, mi sa che ci siamo». Poi lone wolf , come lo chiamano per il suo carattere solitario, se ne è tornato a casa a Caserta, a vedere la partita dei rossoneri con il figlio. Adesso che la notizia è ufficiale, gli amici levano gli scudi. E i nemici scelgono di non infierire. Uno di questi è Italo Bocchino.

È stato lui a spingere con Fini perché si opponesse alla candidatura di Cosentino. Ma ieri il vicecapogruppo alla Camera è stato laconico: «Aspetto di capire. Intanto esprimo doverosa vicinanza personale nella convinzione che saprà dimostrare la sua innocenza». Parole di circostanza, dietro le quali si nasconde una guerra politica violenta.

Tacciono, invece, i Martusciello. Antonio ormai è quasi fuori dalla politica. È tornato al suo ruolo di manager (è nato in Publitalia), ma non dimentica che è al suo ex amico Cosentino che deve la scomparsa politica: nel 2006 i rapporti tra uno degli ex pupilli di Confalonieri e il Cavaliere si incrinarono per la sua opposizione alla candidatura di Malvano a sindaco di Napoli.

Cosentino invece la avallò. Da lì, la scalata. Sorte più o meno identica per Fulvio Martusciello, consigliere regionale più votato d’Italia e però oggi messo in un angolo dal suo ex testimone di nozze e da Cesaro. Chi difende a spada tratta il sottosegretario all’Economia, invece, è Mario Landolfi, suo vice in Campania: «Gli esprimo solo la mia solidarietà. In questi anni abbiamo costruito insieme un partito migliore. Ora è il momento dell’amarezza». E invece il sottosegretario al Lavoro Pasquale Viespoli, tra i possibili candidati a governatore, pur esprimendo solidarietà chiarisce: «Finalmente potrà dimostrare la sua innocenza. Ma il valore della legalità per il centrodestra dev’essere un punto fermo. Se mi dimetterei da sottosegretario? Cosentino sceglierà la via giusta per chi si considera innocente...».


10 novembre 2009

Burton Morris
25-12-09, 22:14
Due poltrone in più al Senato. E Tonino acchiappa il "segretario"


• da Il Giornale del 19 novembre 2009

Abbasso la Casta, basta privilegi. Degli altri, beninteso: quando c’è ciccia da spartire, gli integerrimi uomini dell’Italia dei Valori sanno dare senso al nome. I valori sono valori e un «segretario d’aula», per esempio, al giorno d’oggi «vale» oro. Non che sia utile a qualcosa - il lavoro d’aula lo fanno i funzionari -, però sa leggere con voce stentorea (non sempre, in verità) il «processo verbale» all’inizio di ogni seduta su quel che si è combinato nella precedente. Lavoro faticoso, si direbbe persino usurante, che costa alla collettività, tanto per dare un’idea, almeno 250mila euro in più l’anno rispetto a quello di un senatore «semplice». Mica bruscoletti, avrebbe detto Antonio Di Pietro.

A Palazzo Madama, dopo aver fatto fuoco e fiamme, i dipietristi hanno incassato la sospirata poltroncina con il placet generale (o quasi). Se non fosse stato per i radicali Marco Perduca e Donatella Poretti, entrambi Pd, la «riformina» dipietrista che fa strame del diritto e del buon senso sarebbe passata alla chetichella. «Un accordo notturno del partito di Di Pietro con l’arcinemico Cavaliere, alla vigilia di una grande manifestazione anti-Berlusconi convocata a reti unificate per il 5 dicembre prossimo», denunciano. Polemiche politiche a parte, fatti e circostanze rendono la vicenda esemplare. Subito dopo le scorse elezioni politiche, sulla scorta di complicate trattative tra Di Pietro e il Pd, l’Idv aveva rinunciato a esprimere il proprio segretario d’aula. Passato un po’ di tempo, gli inesperti dipietristi hanno capito che non sta bene lasciare briciole nel piatto. Hanno perciò cominciato a reclamare la loro poltroncina di seconda fila: dagli e dagli, il Consiglio di Presidenza ha raggiunto infine l’accordo. Facendo dimettere uno dell’opposizione, come aveva invano proposto il senatore del Pd, Alberto Maritati? Macché, sarebbe stato scortese. Meglio aggiungere due posti a tavola: uno al dipietrista designato (Aniello Di Nardo?), un altro alla maggioranza, per rispettare il principio di rappresentatività proporzionale.

Così gli indefessi senatori ieri hanno votato la deroga all’articolo 5 del Regolamento, valida soltanto per questa legislatura, come un sol uomo: 239 sì, 12 no e 15 astenuti. Un trionfo, tanto più che il costo per le casse dello Stato si aggirerà soltanto sul mezzo milione in più l’anno. Al segretario d’aula difatti spettano circa 3.400 euro in più di indennità (il lavoro di lettura in aula è di grande responsabilità); 11mila e rotti per i propri collaboratori (è un’attività che consente di mettersi in mostra, e dunque va adeguatamente gestita la propaganda); un ufficio di rappresentanza con segretaria; l’auto blu. Dulcis in fundo: ottomila euro l’anno per «elargizioni» ad associazioni e istituzioni. Anche gli amici del segretario d’aula hanno diritto a far festa, perbacco.

Burton Morris
25-12-09, 22:14
Mini poltrone tagliate e province salvate


• da Corriere della Sera del 20 novembre 2009

di GIAN ANTONIO STELLA, SERGIO RIZZO


Un po`più, un po` meno, un po` prima, un po` dopo. Il progetto di riforma delle Province previsto nella Carta delle autonomie varata ieri dal governo somiglia alla risposta del vecchio Ruggero Bauli a chi gli chiedeva la ricetta del pandoro. Vaghezza. Spiega infatti quel disegno che entro 24 mesi dal varo della legge (campa cavallo...) il governo ne deciderà la «razionalizzazione». Decisione che sarà presa basandosi sulla «previsione che il territorio di ciascuna Provincia abbia un`estensione e una popolazione tale da consentire l`ottimale esercizio delle funzioni previste per il livello di governo di area vasta». Vale a dire? Chi vivrà vedrà. Tanto più che la riforma dovrà passare al vaglio delle Camere dove difficilmente, visti i precedenti, diventerà più rigida. Nel frattempo, a dispetto delle promesse che vedevano per una volta d`accordo sia Berlusconi («Non parlo delle Province, bisogna eliminarle») sia Fini («I carrozzoni non sono intoccabili e si possono abolire per esempio le Province») tutto resta com`era. Come volevano Bossi («Le Province non si toccano») e la Lega, che in attesa di conquistare Veneto e Piemonte hanno sempre detto di non voler mollare quegli enti dove un peso l`avevano. Alla faccia dei 17 miliardi che ogni anno ci costano. Sia chiaro: una robusta sforbiciata, nel disegno di legge presentato da Roberto Calderoli, c`è. E va riconosciuta. D`ora in avanti, spiegano le agenzie, «le giunte comunali potranno essere composte da un massimo di due assessori per i Comuni tra 1.000 e 3.000 abitanti, fino a un massimo di 12 nei Comuni con più di 1 milione di abitanti e 10 se sopra i 500 mila. Le giunte provinciali potranno essere composte da un massimo di 4 assessori per le Province con meno di 300 mila abitanti, fino a un massimo di 10 assessori per quelle con più di 1.400.000 abitanti». Quanto ai consigli comunali, non più di 45 membri nei Comuni con oltre un milione di abitanti (oggi sono 60), non più di 40 in quelli con più di 500 mila (oggi 50), non più di 37 in quelli con più di 250 mila (oggi 46) e giù a scalare fino al minimo: non più di otto nei municipi con meno di mille abitanti. Certo, sono riduzioni meno drastiche di quelle promesse mesi fa e di quelle che il ministro leghista aveva in tasca ieri mattina all`ingresso a palazzo Chigi: sperava di tagliare il 35%, ha dovuto accontentarsi del 20%0, quello strappato a suo tempo da Prodi. Così come sono stati sensibilmente «ritoccati» al rialzo i tetti massimi dei membri dei consigli provinciali: dovevano scendere a 30 per le Province con più di un milione e 400 mila abitanti e invece saranno 36, scendere a 24 per quelle con più di 700 mila e invece saranno 30, scendere a 18 per quelle con più di 300 mila e invece saranno 24, scendere a 12 per tutte le altre più piccole e invece saranno 20. Per non parlare dei vertici amministrativi dei municipi. La facoltà per i Comuni con almeno 15 mila abitanti di nominare un direttore generale (anche con stipendi stratosferici) era stata nella prima bozza abolita: d`ora in avanti, solo con almeno 250 mila abitanti. Macché, ne basteranno 65 mila. Amen: chi si contenta gode. C`è chi dirà che, nell`annunciare trionfante il «taglio complessivo di 50 mila poltrone» Roberto Calderoli esagera. Ed è vero: a parte gli assessori è difficile considerare una «poltrona», come comunemente s`intende, un seggio che prevede un gettone di 59 euro lordi nelle città con più di 250 mila abitanti come Venezia o Firenze (manco i soldi per la baby sitter), 36 euro in quelle da 30 a 250 mila come Padova o Brescia o 18 euro e 8 centesimi lordi, cioè poco più di dieci euro netti, per i municipi fino a io mila abitanti come Cortina d`Ampezzo o Fiuggi. Quello che più spicca, però, non è quello che c`è nella legge: è quel che manca. In particolare nei confronti di alcuni degli enti che Calderoli definisce non solo superflui ma «dannosi». Nella prima bozza del provvedimento, del 15 maggio scorso, fosse o no giusto quel marchio d`infamia, era prevista ad esempio la soppressione dei difensori civici comunali e provinciali che (eccezioni a parte), si sono rivelati deludenti, dei Commissariati per la liquidazione degli usi civici, delle circoscrizioni nei Comuni con meno di 250 mila abitanti, dei Tribunali delle acque pubbliche, delle comunità montane, dei bacini imbriferi montani, delle Autorità d`ambito territoriale (Ato), dei consorzi di bonifica e degli enti parco regionali. Una decimazione. Col passare dei mesi, umma umma, sono scampati al braccio della morte i Commissariati per gli usi civici e i Tribunali delle acque e le Ato e gli enti parco regionali e i difensori civici provinciali. Finché ieri sono stati salvati anche i consorzi di bonifica e i bacini imbriferi, montani... È rimasto, questo sì, il taglio delle comunità montane. «Sono 367 e il grosso delle spese serve per il personale e i gettoni e quello che viene lasciato alle funzioni che svolgono è la minima parte. D`ora in avanti, se le vogliono, se le paghino le Regioni», ha spiegato Calderoli. Le cifre sventolate dal ministro, però, sono contestate. Dopo i tagli decisi da 13 su 15 delle regioni ordinarie, sono scese da 352 a 220, regioni a statuto speciale comprese: un colpo di accetta del 37%. Quanto ai gettoni a presidenti, assessori e consiglieri gli ultimi dati Istat parlavano di una somma intorno al 3,5%. E a questo punto un dubbio è legittimo: vuoi vedere che, incapace di tagliare davvero sulle cose grosse (Province, Regioni, Parlamento, spesa sanitaria...) il Palazzo vuole offrire alla plebe la testa mozzata del soggetto più debole, la comunità montana che in certe aree era diventato un folle carrozzone clientelare ma in altre ha cercato davvero di arginare la crisi, lo spopolamento, l`abbandono delle nostre Alpi e dei nostri Appennini? Conosciamo la risposta: subentreranno le Unioni tra i piccoli Comuni, obbligati a dividere le spese mettendosi insieme. Sarà... Ma se è vero che i Comuni sotto i tremila abitanti sono 4.548 e che finora le unioni in genere raggruppano cinque municipi non c`è il rischio, come denuncia Enrico Borghi a nome dei «montanari», che a 220 comunità montane (che nel 2011 riceveranno 10 milioni di euro, pari a un centesimo della Camera) subentrino un migliaio di nuovi enti consentendo magari di salvarsi, sotto altro nome, alle comunità montane a 39 metri sul mare? Sarebbe davvero una beffa…

Burton Morris
25-12-09, 22:15
Il cavaliere e la favola dei 106 processi


• da la Repubblica del 20 novembre 2009

di Giuseppe D'Avanzo

Si dice: il processo sia «breve» e se questa rapidità cancella i processi di Silvio Berlusconi sia benvenuta perché contro quel poveruomo, dopo che ha scelto la politica (1994), si è scatenato un «accanimento giudiziario» con centinaia di processi.
Al fondo della diciottesima legge ad personam, favorevole al capo del governo c´è soltanto uno schema comunicativo, fantasioso, perché privo di ogni connessione con la realtà. È indiscutibile che un giudizio debba avere una ragionevole durata per non diventare giustizia negata (per l´imputato innocente, per la vittima del reato). «Processo breve», però, è soltanto un´efficace formula di marketing politico-commerciale. Nulla di più. Per credere che dia davvero dinamismo ai dibattimenti, bisogna dimenticare che le nuove regole (durata di sei anni o morte del processo) sono un imbroglio, se non si migliorano prima codice, procedura, organizzazione giudiziaria. Sono una rovina per la credibilità del «sistema Italia», se definiscono «non gravi» i reati economici come la corruzione. Con il tempo, la ragione privatissima del disegno di legge è diventata limpida anche per i creduloni, e i corifei del sovrano ora ammettono in pubblico che la catastrofica riforma è stata pensata unicamente per liberare Berlusconi dai suoi personali grattacapi giudiziari. L´effrazione di ogni condizione generale e astratta della legge deve essere sostenuta ? per conformare la mente del "pubblico" ? da un secondo soundbite, quella formuletta breve e convincente che, come una filastrocca, deve essere recitata in tv, secondo gli esperti, al ritmo di 6,5 sillabe al secondo, in non più di 12/15 secondi. Diffusa, ripetuta e disseminata dai guardiani vespi e minzolini dei flussi di comunicazione, suona così: Silvio Berlusconi ha il diritto di proteggersi ? sì, anche con una legge ad personam ? perché ha dovuto subire centinaia di processi dopo la sua «discesa in campo», spia di un protagonismo abusivo e tutto politico della magistratura che indebolisce la democrazia italiana. Bene, ma è vero che Berlusconi è stato «aggredito» dalle toghe soltanto dopo aver scelto la politica? E quanto è stato «aggredito»? Davvero lo è stato con «centinaia di processi» tutti conclusi con un nulla di fatto? Domande che meritano parole factual, se si vuole avere un´opinione corretta anche di questo argomento sbandierato da tempo e accettato senza riserve anche dalle menti più ammobiliate.
Il numero dei processi di Berlusconi è un mistero misericordioso se si ascolta il presidente del consiglio. Dice il Cavaliere: «In assoluto [sono] il maggior perseguitato dalla magistratura in tutte le epoche, in tutta la storia degli uomini in tutto il mondo. [Sono stato] sottoposto a 106 processi, tutti finiti con assoluzioni e due prescrizioni» (10 ottobre 2009). Nello stesso giorno, Marina Berlusconi ridimensiona l´iperbole paterna: «Mio padre tra processi e indagini è stato chiamato in causa 26 volte. Ma a suo carico non c´è una sola, dico una sola, condanna. E se, come si dice, bastano tre indizi per fare una prova, non le sembra che 26 accuse cadute nel nulla siano la prova provata di una persecuzione?» (Corriere, 10 ottobre). Qualche giorno dopo, Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, pompa il computo ancora più verso l´alto: «I processi contro Berlusconi sono 109» (Porta a porta, 15 ottobre). Lo rintuzza addirittura Bruno Vespa che avalla i numeri di Marina: «Non esageriamo, i processi sono 26».
Ventisei, centosei o centonove, e quante assoluzioni? In realtà, i processi affrontati dal Cavaliere come imputato sono sedici. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l´affare Mills; istigazione alla corruzione di un paio di senatori (la procura di Roma ha chiesto l´archiviazione); fondi neri per i diritti tv Mediaset (in dibattimento a Milano); appropriazione indebita nell´affare Mediatrade (il pm si prepara a chiudere le indagini).
Nei dodici processi già conclusi, in soltanto tre casi le sentenze sono state di assoluzione. In un´occasione con formula piena per l´affare "Sme-Ariosto/1" (la corruzione dei giudici di Roma). Due volte con la formula dubitativa del comma 2 dell´art. 530 del Codice di procedura penale che assorbe la vecchia insufficienza di prove: i fondi neri "Medusa" e le tangenti alla Guardia di Finanza, dove il Cavaliere è stato condannato in primo grado per corruzione; dichiarato colpevole ma prescritto in appello grazie alle attenuanti generiche; assolto in Cassazione per «insufficienza probatoria». Riformato e depenalizzato il falso in bilancio dal governo Berlusconi, l´imputato Berlusconi viene assolto in due processi (All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2) perché «il fatto non è più previsto dalla legge come reato». Due amnistie estinguono il reato e cancellano la condanna inflittagli per falsa testimonianza (aveva truccato le date della sua iscrizione alla P2) e per falso in bilancio (i terreni di Macherio). Per cinque volte è salvo con le «attenuanti generiche» che (attenzione) si assegnano a chi è ritenuto responsabile del reato. Per di più le «attenuanti generiche» gli consentono di beneficiare, in tre casi, della prescrizione dimezzata che si era fabbricato come capo del governo: "All Iberian/1" (finanziamento illecito a Craxi); "caso Lentini"; "bilanci Fininvest 1988-´92"; "fondi neri nel consolidato Fininvest" (1500 miliardi); Mondadori (l´avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, "compra" il giudice Metta, entrambi sono condannati).
È vero, l´inventario annoia ma qualcosa ci racconta. Ci spiega che senza amnistie, riforme del codice (falso in bilancio) e della procedura (prescrizione) affatturate dal suo governo, Berlusconi sarebbe considerato un "delinquente abituale". Anche perché, se non avesse corrotto un testimone (David Mills, già condannato in appello, lo protegge dalla condanna in due processi), non avrebbe potuto godere delle «attenuanti generiche» che lo hanno reso "meritevole" della prescrizione che egli stesso, da presidente del consiglio, s´è riscritto e accorciato.
L´imbarazzante bilancio giudiziario non liquida un lamento che nella "narrativa" di Berlusconi è vitale: fino a quando nel 1994 non mi sono candidato al governo del Paese, la magistratura non mi ha indagato. Se non si lasciano deperire i fatti, anche questo ossessivo soundbite non è altro che l´alchimia di un mago, pubblicità. Berlusconi viene indagato per traffico di stupefacenti, undici anni prima della nascita di Forza Italia. Nel 1983 (l´accusa è archiviata). È condannato in appello (e amnistiato) per falsa testimonianza nel 1989, venti anni fa. Nel 1993 ? un anno prima della sua prima candidatura al governo ? la procura di Torino già indaga sul Milan e i pubblici ministeri di Milano sui bilanci di Publitalia. Al di là di queste date, è documentato dagli atti giudiziari che Silvio Berlusconi e il gruppo Fininvest finiscono nei guai non per un assillo "politico" dei pubblici ministeri, ma per le confessioni di un ufficiale corrotto del Nucleo regionale di polizia tributaria di Milano. Ammette che le "fiamme gialle" hanno intascato 230 milioni di lire per chiudere gli occhi nelle verifiche fiscali di Videotime (nel 1985), Mondadori (nel 1991), Mediolanum Vita (nel 1992), tutti controlli che precedono l´avventura politica dell´Egoarca. Accidentale è anche la scoperta dei fondi esteri della Fininvest. Vale la pena di ricordarlo. Uno dei prestanomi di Bettino Craxi, Giorgio Tradati, consegna a Di Pietro i tabulati del conto «Northern Holding». Li gestisce per conto di Craxi. Sul conto affluisce, senza alcun precauzione, il denaro che il gotha dell´imprenditoria nazionale versa al leader socialista. C´è una sola eccezione. Un triplice versamento non ha nome e firma. Sono tre tranche da cinque miliardi di lire che un mittente, generoso e sconosciuto, invia nell´ottobre 1991 a Craxi. «Fu Bettino a annunciarmi l´arrivo di quel versamento», ricorda Tradati. Le rogatorie permettono di accertare che i miliardi, "appoggiati" su «Northern Holding», vengono dal conto «All Iberian» della Sbs di Lugano. Di chi è «All Iberian»? Per mesi, i pubblici ministeri pestano acqua nel mortaio fino a quando un giovane praticante dello studio Carnelutti, un prestigioso studio legale milanese, confessa al pool di avere fatto per anni da prestanome per conto della Fininvest in società create dall´avvocato londinese David Mackenzie Mills.
Così hanno inizio le rogne che ancora oggi Berlusconi deve grattarsi. Il caso, la fortuna, la sfortuna, fate voi. Tirando quell´esile filo, saltano fuori 64 società off-shore del «gruppo B di Fininvest very secret», create venti anni fa e alimentate prevalentemente con fondi provenienti dalla «Silvio Berlusconi Finanziaria». È in quell´arcipelago che si muovono le transazioni strategiche della Fininvest che, come documenterà la Kpmg, consentono a Berlusconi e al suo gruppo di «alterare le rappresentazioni di bilancio»; «esercitare un controllo con fiduciari in emittenti tv che le normative italiane estere non avrebbero permesso»; «detenere quote di partecipazione in società quotate senza informare la Consob e in società non quotate per interposta persona»; «erogare finanziamenti»; «effettuare pagamenti»; «intermediare tra società del gruppo l´acquisizione dei diritti televisivi»; «ricevere fondi da terzi per finanziare operazioni di Fininvest effettuate per conto di terzi». È il disvelamento non di un episodio illegale, ma di un metodo illegale di lavoro, dello schema imprenditoriale illecito che è a fondamento delle fortune di Silvio Berlusconi. Per dirla tutta, e con il senno di poi, sedici processi per venire a capo di quel grumo di illegalità oggi appaiono addirittura un numero modesto. Nel «group B very discreet della Fininvest» infatti si costituiscono fondi neri (quasi mille miliardi di lire). Transitano i 21 miliardi che rimunerano Bettino Craxi per l´approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi in Cct destinati alla corruzione del Parlamento che approva quella legge; la proprietà abusiva di Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle"); il controllo illegale dell´86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l´acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma (gli consegnano la Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. E c´è altro che ancora non sappiamo e non sapremo?
Tutti i processi che Berlusconi ha affrontato e deve ancora affrontare nascono per caso non per un deliberato proposito. Un finanziere che confessa, un giovane avvocato che si libera del peso che incupisce i suoi giorni consentono di mettere insieme indagine dopo indagine, ineluttabili per l´obbligatorietà dell´azione penale, una verità che il capo del governo non potrà mai ammettere: il suo successo è stato costruito con l´evasione fiscale, i bilanci truccati, la corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa. Per Berlusconi, la banalizzazione della sua storia giudiziaria, che egli traduce e confonde in guerra alla (o della) magistratura, non è il conflitto della politica contro l´esercizio abusivo del potere giudiziario, ma il disperato e personale tentativo di cancellare per sempre le tracce del passato e di un metodo inconfessabile. Con quali tecniche Berlusconi ha combattuto, e ancora affronterà, questa contesa è un´altra storia.

Burton Morris
25-12-09, 22:15
"La Repubblica", VENERDÌ, 20 NOVEMBRE 2009
Pagina 25 - Economia

Conti all´estero, fatture false e politica ecco la ragnatela del "re delle discariche"
A differenza di Tangentopoli, non c´è uno che parla. Però la corruzione è molto estesa
L´imputato era consapevole degli interessi ombra della malavita calabrese

PIERO COLAPRICO
MILANO - Imbrogli per fare imbrogli, per fare altri imbrogli e per intascare un sacco di soldi in contanti. Questa sembra, in estrema sintesi, la vita segreta di un multi-milionario che sino a un mese fa, quando il 20 ottobre è stato arrestato per riciclaggio con vari collaboratori, era sconosciuto al grande pubblico. Si chiama Giuseppe Grossi, ha 62 anni, ed è un protagonista di quello che potremmo definire il «sistema-discarica».
La parola sistema viene suggerita da Palazzo di giustizia: «A differenza di Tangentopoli, non c´è un Mario Chiesa che crolla e parla. Però ci sembra di stare vicino a un sistema di corruzione molto esteso», dicono gli investigatori. Hanno sotto esame i trucchi contabili e le bonifiche delle discariche. Lo scenario che gli si sta aprendo davanti porta, secondo attendibili indiscrezioni, all´enorme business dei termovalorizzatori. E cioè agli impianti che inceneriscono i rifiuti e trasformano il vapore in energia.
C´è un´espressione che conoscono in pochi, ma che ci riguarda tutti, perché ci toglie il denaro dalle tasche (e nemmeno lo sappiamo). È «Cip 6». Il gestore nazionale dei servizi elettrici (Enel) è obbligato per legge ad acquistare l´energia da chi la produce attraverso fonti considerate rinnovabili. E non al costo di mercato. Su questo acquisto obbligatorio è stato imposto un sovrapprezzo di circa il 7 per cento, che viene ritoccato ogni trimestre dal governo e addebitato direttamente sulle bollette di casa. Questa cifra, a conti fatti, supera i 3 miliardi di euro all´anno. Tre miliardi che, in base al Cip 6, escono dalle tasche già malridotte dei cittadini italiani per andare a vantaggio di chi? Di chi ha in mano i termovalorizzatori. E guarda caso, in tutt´Europa è solo l´Italia che concede questo incentivo agli imprenditori (spesso legati alla politica) che bruciano rifiuti.
Grossi è - oltre al numero uno delle bonifiche - anche l´amministratore dell´Area Dalmine, un grosso impianto che serve il territorio bergamasco. Ne aveva chiesto - prima delle disavventure giudiziarie - il raddoppio. Ma non solo. Nell´area di Casei Gerola, tra Voghera e Pavia, sulle «ceneri» di un ex zuccherificio ha avviato un progettone che incontra delle difficoltà per l´opposizione degli abitanti, godendo però dell´avallo totale del centrodestra.
Chi era questo ragioniere milanese prima del ?97? E come può quell´anno comprare una società Usa e diventare in un amen il più importante imprenditore italiano dell´ecologia? Sono domande cruciali e i pm ci stanno lavorando in queste ore. Stanno partendo da giri di soldi che attraversano la Banca del Gottardo, perché Grossi «esteroveste» le aziende: fa in modo che la proprietà aziendale parli italiano, ma «non sia» italiana.
Dentro i confini Grossi preferisce godere di forti agganci con il mondo di Comunione e liberazione, che sostiene. Al suo compleanno ha invitato il presidente della Regione Roberto Formigoni, organizza partite di caccia con l´ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio, è in stretta relazione con l´immobiliarista Zunino: per essere uno che ha cominciato a lavorare all´Ilva di Taranto, ne ha fatta di strada. Capire se l´abbia fatta tutta sulle sue gambe non è facile.
Qualche conto non torna. Santa Giulia è l´ultima area che Grossi, attraverso la sua Green Holding, ha bonificato. Una perizia ha messo in allarme la Procura: pare che il materiale portato via sia circa la metà di quello dichiarato. Che cos´è successo laggiù a Rogoredo? Lo stesso Grossi non ignora in uno dei suoi verbali il peso delle gang, limitandosi a parlare solo di Torino: «Dopo l´acquisto dagli americani, mi ero conto che la Sadi (è il nome dell´azienda, ndr.) di Torino era in mano al clan malavitoso calabrese dei Mazzaferro... Mi furono mostrate le intercettazioni telefoniche da cui emerse che avevano intenzione di gambizzarmi». Anche se nessuno ne dà conferma, tocca all´aggiunto Ilda Boccassini studiare gli organigrammi criminali che si stanno affacciando all´orizzonte del settore delle bonifiche, e del trasporto dei terreni.
Le varie denunce di Lega Ambiente e dei Verdi erano rimaste lettera morta. C´è voluto il fisco tedesco - un fisco temuto e rispettato, capace di chiudere in galera per evasione fiscale il padre della gloria nazionale Steffi Graf - ad accorgersi che qualche cosa non andava con «gli italiani». O, più precisamente, con i lombardi. I giudici di Kaiserslautern si sono interessati a sei affaristi locali. Che avevano incassato compensi esagerati per smaltire i rifiuti in arrivo da via Bonfadini 148, Milano. Non c´è dunque «complotto»: i tedeschi hanno avviato le perquisizioni, avvisato la Finanza italiana, il fascicolo è arrivato alla Procura di Milano è così, davanti al procuratore aggiunto Francesco Greco, è emerso un giro di società. Anzi, di scatole vuote, di paradisi fiscali, di fatture false e collaboratori occulti di Grossi: un mix che, in pochi mesi, aveva fatto guadagnare al «dominus» circa 22 milioni di euro esentasse sulle «bonifiche» di Santa Giulia e Pioltello. Tutti per lui?
Pare di no, visto che, per esempio, esiste il conto «Associati», aperto alla banca Safras di Montecarlo dall´assessore provinciale di Pavia Rosanna Gariboldi, che è la moglie del deputato del centrodestra Gianfranco Abelli, da sempre il burattinaio delle carriere nella Sanità lombarda, cliniche comprese. I bonifici arrivano sempre da Grossi, c´è un saldo di 1,2 milioni di euro. Ed esistono, si legge nei dossier, altri ordini di «trasferimento su vari conti correnti, a favore di beneficiari non identificabili». Ma sarebbe meglio dire: beneficiari «non ancora» identificabili. Ecco perché nella «Lombardia giudiziaria» tornano oggi sussurri e grida.

Burton Morris
25-12-09, 22:15
"La Repubblica", DOMENICA, 22 NOVEMBRE 2009
Pagina 11 - Interni

Lady Abelli, gli affari e l´ira del Faraone: il terremoto che scuote il sistema Formigoni

L´inchiesta
E il Consiglio regionale della Lombardia vara una commissione d´inchiesta

ALBERTO STATERA
MILANO

«Il Faraone è tornato e saprà distinguere tra amici e nemici», tuona minaccioso Giancarlo Abelli, deputato e vicecoordinatore nazionale del Popolo delle Libertà, detto per l´appunto il Faraone, nella sala grande del collegio Cardano di Pavia. È reduce da un «vertice» milanese con Roberto Formigoni, Ignazio La Russa e Mariastella Gelmini dedicato ad affrontare lo scandalo della bonifica di Santa Giulia-Montecity, il nuovo quartiere che forse galleggia su un mare di veleni, dove è affogato oberato dai debiti Luigi Zunino e che sta terremotando la politica lombarda. Fino al punto da farla sembrare la tarda replica della saga del «mariuolo» craxiano Mario Chiesa, configurando la tangentopoli milanese del nuovo millennio, targata non più Psi, ma Cl-Pdl. Ciò che giorno dopo giorno sembra rendere ormai una scommessa la ricandidatura del governatore ciellino al Pirellone nel prossimo marzo.
Non meno di duecento persone capeggiate dal sindaco pavese Alessandro Cattaneo, cui sfugge una lacrimuccia, da quello di Vigevano Ambrogio Cotta, dal presidente della provincia Vittorio Poma e dai «generali» della sanità lombarda, omaggiano il Faraone redivivo. Il quale rivela commosso di aver appena ricevuto una lettera dalla sua signora Rosanna Gariboldi, ex assessore alla provincia di Pavia, in carcere per associazione a delinquere e riciclaggio di 22 milioni di euro insieme a Giuseppe Grossi, il ras delle bonifiche ambientali, quello che regalava orologi a politici e funzionari (per 6 milioni e mezzo di euro) come un distintivo di appartenenza al suo clan.
Lady Abelli, come la chiamano a Milano, in cella si dispera, «ma noi siamo forti - avverte il marito in quel melting pot di ex democristiani, ex socialisti, ex fascisti, ex comunisti confluiti nel nuovo potere berlusconian-ciellino - e se qualche finto amico pensa che il vecchio leone sia ferito e vuole tirargli un calcio, si sbaglia di grosso. Quel leone è vivo e il suo morso è ancora potente». Come quello della leonessa, che il tribunale del riesame, oltre ai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, considerano dotata di «una capacità criminale non comune» e parte di un «meccanismo ben lungi dall´essere completamente disvelato».
Formigoni, che ancora nel giugno scorso concesse graziosamente 44 milioni di euro aggiuntivi per una bonifica che forse in realtà non si è mai fatta, è avvertito. Il Faraone e la Lady non finiranno da soli sotto la valanga che sta per staccarsi dal Pirellone, dalla galassia di Comunione e Liberazione e del braccio operativo della Compagnia delle Opere, che in tre lustri col formigonismo sono diventate un blocco di potere economico da 70 miliardi di euro di fatturato, di cui quasi la metà realizzata in Lombardia, attraverso migliaia di società, cooperative, fondazioni lautamente finanziate in un sistema di autoalimentazione che svuota lo Stato dall´interno.
In principio fu soprattutto la sanità, dove le scorrerie non si contano dai tempi dello scandalo delle ricette d´oro, che costò alla regione 60 miliardi di lire. «Per me - disse allora ai magistrati il ras della sanità Giuseppe Poggi Longostrevi, poi morto suicida - pagare Abelli era come stipulare un´assicurazione». Oggi definire i confini della galassia è una missione quasi impossibile: dalla sanità all´edilizia, dalle opere pubbliche all´housing sociale, dalla formazione alle bonifiche, dalle associazioni professionali alle cave. E il Pdl, vuoi ramo Forza Italia vuoi ramo Alleanza nazionale, si trasfonde ormai nel devoto business della galassia ciellina.
Lady Abelli era socia in affari di due assessori regionali in carica e di un ex assessore in svariate attività immobiliari. Si sfila qualche mese fa a favore di misteriose società lussemburghesi quando sente che la valanga della bonifica di Santa Giulia sta per precipitare. Ma il socio Massimo Ponzoni, assessore all´Ambiente, continua a costruire attraverso una società della moglie. Massimo Buscemi, assessore alle Reti e Servizi di utilità, e Giorgio Pozzi ex responsabile all´Innovazione a all´Artigianato, partecipano come azionisti di maggioranza a una speculazione immobiliare nel Varesotto. La società si chiama «Lux ad sidera» e i terreni sono stati venduti dalle suore Canossiane. La devozione prima di tutto, ad onore del virgineo formigonismo.
Il monito a Pavia del Faraone, detto anche «Telefonino», per il ruolo di comunicazione via cellulare ricoperto da anni tra Formigoni e Berlusconi, che notoriamente non si amano, deve aver avuto un suono sinistro per molti. A cominciare proprio dai tre personaggi incontrati prima della maschia esternazione pavese, seguita di pochi giorni a quella al fianco di Rocco Buttiglione nel Castello di Bereguardo, dove scolpì una scomunica per «la lobby degli omosessuali, perché gli esseri umani sono necessariamente o uomini o donne». Che ci faceva Maria Stella Gelmini all´incontro con il governatore e con il coordinatore Pdl La Russa? Il ministro dell´Istruzione, finora considerata possibile candidata alla presidenza della Lombardia per il Pdl in caso di dipartita di Formigoni, aspetta un figlio da Giorgio Patelli, immobiliarista bergamasco, già socio della Tecno-Geo, che ha fatto parte - alla faccia del conflitto d´interessi - del comitato regionale per le valutazioni di impatto ambientale sull´apertura di nuove cave, cui sono molto interessati i pm del caso Montecity, che ne hanno chiesto con insistenza all´assessore Ponzoni in un interrogatorio durato dieci ore. I nuovi filoni d´inchiesta pullulano e non si sa dove potranno portare.
«Formigoni è prigioniero da quindici anni della Lombardia - dice il segretario del Pd Maurizio Martina - ma la Lombardia dopo quindici anni non può più essere prigioniera di Formigoni e del suo sistema di potere». E il capo del gruppo consiliare Carlo Porcari ha depositato la mozione con trenta firme di consiglieri regionali per l´istituzione di una commissione d´inchiesta sullo scandalo Santa Giulia-Montecity, che potrebbe ulteriormente azzopparlo alla vigilia della ricandidatura, che lui stesso nell´ultima settimana ha dato per certa per almeno diciassette volte, senza che nessuno aprisse mai bocca per confermarla.
Confabulano i leghisti e ridacchiano tra loro. Altro che Veneto e Piemonte. Se la valanga continua a scivolare verso il Pirellone ciellino, forse si materializza il sogno di Umberto Bossi: il nuovo grattacielo voluto da Formigoni, più bello e soprattutto più alto del Pirellone, finalmente alla Lega. Dio e il popolo lo vogliono. Per Roberto Castelli? Troppo leggero. Per Roberto Maroni o Alberto Giorgetti, pesi più consistenti? E perché no per il senatùr in persona? Chi potrebbe mai dire di no a Umberto Bossi governatore della Lombardia?


a. staterarepubblica. it

Burton Morris
25-12-09, 22:16
"La Repubblica", LUNEDÌ, 23 NOVEMBRE 2009
Pagina 21 - Cronaca

Sperperi e illegalità: così l´ippica italiana è diventata un debito
L´Unire, l´ente promotore, è un carrozzone che perde 111 milioni
La scorsa stagione ha distribuito un quarto delle sue entrate ai 44 ippodromi: 120 milioni al buio, senza accertamenti
Al segnale tv vanno 30 milioni. In tutti gli altri sport i diritti inondano di denaro la disciplina, qui invece costano

CORRADO ZUNINO
ROMA - In 173 sono riusciti a fabbricare un disavanzo da 111 milioni di euro. Centosettantatré dipendenti dell´ente italiano con il peggior rapporto d´Italia lavoratore-deficit. Ogni impiegato, ogni dirigente, porta sulle proprie spalle un debito di 641 mila euro e rischia di non poterlo passare ai figli. Non perché qui non ci sia nepotismo, solo l´ente rischia di collassare prima. Ecco, l´Unire - Unione nazionale incremento razze equine, gli organizzatori e promotori dell´ippica nazionale - sta peggio del paese. Ventidue volte peggio. Ogni italiano nasce e si fa carico di 29.200 euro di debito, ogni dipendente del carrozzone Unire deve rispondere di 641 mila euro, in quotidiana crescita.
Ha tutto per meritarsi la definizione di "carrozzone", l´Unire. Ha i modi e i risultati del caravanserraglio pubblico. Luculliano ai tempi dell´ippica d´oro, l´ippica che ispirava film e scommetteva 3 miliardi e 368 milioni di euro in un anno (il dato più alto, risale a tredici anni fa). Incapace di darsi un ruolo utile in questi anni di profondo rosso. L´ippica ha perso il 53 per cento delle sue entrate e l´Unire continua a fare cose come questa. La scorsa stagione ha distribuito un quarto delle sue entrate ai quarantaquattro ippodromi nazionali: 120 milioni al buio, senza accertare se nelle stalle dell´impianto c´erano maiali al posto dei cavalli (è accaduto), se i proprietari da decenni non rifacevano la pista, se la camorra si era infiltrata proprio per drenare il finanziamento pubblico. L´Unire, che ha compiti di indirizzo politico di un mondo, l´ippica, al quale sono appesi sempre più precariamente 50 mila lavoratori, impiega quasi metà del bilancio per pagare i premi alle scuderie e agli allevatori. I premi viaggiano con un ritardo medio di tre mesi e le piccole "factory" hanno iniziato a liberarsi dei cavalli da corsa: finiscono al macello, verso le proliferanti corse abusive per strada. L´altro giorno a Giugliano, hinterland napoletano, la polizia ha denunciato marito e moglie: su un´area spoglia di 200 mila metri quadrati avevano tirato su un ippodromo abusivo con una pista da trotto lunga un miglio, dodici edifici (compreso quello per i vigilantes privati) e 180 box per cavalli. Più 2.500 cortisoni, uso doping.
L´Unire, dicevamo. La terza voce di spese dell´ente, trenta milioni, è impegnata sul segnale televisivo: servizi e dirette sul canale 220 di Sky. In tutti gli altri sport i diritti tv inondano di denaro la disciplina, qui invece costano. E poi sono anni, almeno dal 1999, che l´ente spinge per regalare alle agenzie ippiche gli 86,2 milioni dovuti come canone televisivo. Che c´è dietro questa tensione dell´ente all´abbuono? Difficile spiegare. I canoni non pagati si sono accumulati stagione dopo stagione e una perizia, oggi, li definisce "inesigibili". Una perizia delle agenzie ippiche. Il ministro Zaia, sulla sanatoria ai concessionari delle scommesse, assicura che resisterà.
Per mantenere in vita la sua alta e bassa burocrazia l´ente spende 28 milioni. Di questi, 245 mila euro lordi vanno per le quattordici mensilità del segretario generale, Riccardo Acciai. Lo stipendio del presidente Goffredo Sottile è intorno ai 200 mila euro. Non sono retribuzioni scandalose, solo alte. «Il doppio di quello che percepisco io», fa notare il ministro di riferimento, Luca Zaia. Già. Il ministro leghista ha appena nominato alla presidenza dell´ente l´ex presidente dell´azienda tramviaria della provincia di Treviso, terre sue. È Tiziano Baggio, manager in attesa di ratifica parlamentare. Di ippica non sa nulla. Prima dei tram, curava i bilanci di una fabbrica di poltrone. Ma quelli dello staff di Zaia dicono che «è assetato di sangue e di baroni». Se non lo rimette a posto lui, l´ente da -111 milioni, «si può chiudere direttamente l´ippica». E questo lo dice Zaia.
Negli uffici sulla Cristoforo Colombo raccontano come gli amministrativi dell´ente abbiano fatto sparire direttive del ministro, le abbiano sepolte evitando di protocollarle e archiviarle. «Piuttosto sono io che ho fermato diverse delibere dell´Unire, soprattutto quando chiedevano nuove assunzioni», replica Zaia. Di certo, al ministro delle Politiche agricole è stato impedito di realizzare uno studio sull´ente, una "due diligence" necessaria per comprendere entità del buco, distribuzione del personale, sprechi. «Mi hanno detto che costava 60 mila euro e che saremmo finiti alla Corte dei conti». "Diligence" sepolta, con le altre carte.
Il palazzo sulla Colombo, civico 283 a, inghiotte delibere e denari. Sono sette piani da "maison" del lusso per 1,5 milioni di affitto da versare ogni anno al Fondo pensioni della Bnl. Fu Claudio Lotito presidente della Lazio, vicino all´ex ministro dell´Agricoltura Gianni Alemanno, a facilitare la trattativa. Legno pregiato a terra, corridoi infiniti. Solo la stanza del presidente Sottile, ex prefetto, è una piazza d´armi di 250 metri quadrati adornata di tappeti di valore. Lo sfarzo è un´eredità culturale del segretario generale simbolo dello spreco Unire, quel Franco Panzironi uomo della destra sociale che il sindaco di Roma appena insediato - sì, Alemanno - ha nominato presidente dell´Azienda municipalizzata ambiente della capitale prendendosi, per sovrappiù, il figlio nello staff personale. Anche all´Ama Panzironi ha preteso un arredamento da casa d´arte.
La crisi di legalità dell´ippica è questione palese. «Basta con quegli ippodromi dove vincono sempre gli stessi», ha tuonato il ministro Zaia dalla "Fieracavalli" di Verona subito dopo aver ricevuto una busta con una pallottola. Nelle ultime stagioni l´ente è diventato, così, un bunker: per presidente ha assorbito un prefetto, vicepresidente è un generale dell´esercito in pensione, Filiberto Cecchi, e come segretario generale c´è un uomo cresciuto al ministero degli Interni (Acciai, sì). Ancora nel 2003, si sa, il più importante pentito dell´ippica italiana metteva a verbale alla procura di Napoli queste rivelazioni: «Alcuni funzionari dell´Unire scommettevano sulle corse dopo la chiusura delle casse: avevano trovato il modo di fermare l´orologio».
C´è anche Unirelab, il braccio antidoping dell´ente. Costa nove milioni l´anno e con i suoi cinquanta dipendenti è un´area di riserva della destra sociale di Gianni Alemanno e Antonio Bonfiglio, già capo della procura antidoping, oggi sottosegretario alle Politiche agricole. L´attuale direttore sanitario, Paolo De Juliis, è stato indagato perché per quattro mesi Unirelab viaggiò senza direttore sanitario. E gli ottomila test realizzati oggi non sono validi. In questi giorni il segretario Acciai con una circolare ha sospeso alcuni processi per doping: si rischia di bloccare tutta l´attività. Una lobby mai smantellata è quella dei giudici di gara, l´élite degli starter, un altro orto della destra. L´élite inamovibile è formata da 14 collaboratori per il galoppo e 17 per il trotto e viene inviata tutte le settimane a controllare partenze e arrivi delle corse. Un giudice costa da 180 a 340 euro ogni giorno di missione, più il rimborso chilometrico. L´ente, ostinato, assegna ai protetti sempre i viaggi più lunghi: gli starter di Pisa vanno a controllare le corse a Taranto, quelli di Napoli sono spediti all´ippodromo di Milano. Pesano, infatti, per 12 milioni l´anno.
Come si salva un ente del genere? Soprattutto, è il caso di salvarlo? Grazie all´attivismo della Lega Nord, per la prima volta dopo 76 anni, agli introiti da scommessa si è affiancato un contributo pubblico. Centocinquanta milioni garantiti dal Fondo giochi incardinato al ministero dell´Economia e custodito dal sottosegretario Alberto Giorgetti (area An). Questo finanziamento non consentirà comunque, spiega Armando Branchini, professore della Bocconi che ha firmato il Piano di rilancio dell´ippica, di chiudere in pareggio la stagione 2009. C´è proprio tutto per il carrozzone Unire, anche il sostentamento pubblico. Un carrozzone da manuale. Pronto ad affidare l´intera ippica, per incapacità, per complicità, per sopravvivere, alle grandi multinazionali delle scommesse.

Burton Morris
25-12-09, 22:16
"La Stampa", 24 Novembre 2009, pag. 21


“Parmalat pagava tutti i partiti”
Tanzi in aula: “Compravamo aziende per fare dei favori e le banche lo sapevano”

Un crac da 14 miliardi di euro

La storia
Il declino dell’ex re del latte


«Obbligato a fare così senza mai ricevere nulla in cambio»

«Banca Roma mi ha fatto prendere Eurolat a un prezzo più alto»

PIERANGELO SAPEGNO
PARMA


Il crac Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio operato in Italia. Fu scoperto alla fine del 2003 dalla Guardia di Finanza con l’arresto dei Calisto Tanzi e dei suoi collaboratori: il buco lasciato dalla società di Collecchio si aggirava sui quattordici miliardi di euro. Il fallimento della Parmalat è costato l'azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti, molti dei quali si sono trovati letteralmente sul lastrico mentre i risparmiatori che avevano investito in bond hanno ricevuto dopo una lunga battaglia giudiziaria soltanto un parziale risarcimento.
Il volto è sempre lo stesso, appena un po’ più teso, e anche la erre arrotolata sulle sue emozioni è sempre la stessa. Racconta un Paese che sembra girato alle nostre spalle, l’Italia dell’arco costituzionale, come si diceva allora, e lui che pagava tutti, da destra a sinistra, e comprava aziende su aziende per fare piaceri, «senza aver mai niente in cambio», se non la certezza di poter vivere affogando nei propri debiti. Che è invecchiato, Calisto Tanzi, non lo si vede dal viso liscio e dallo sguardo fermo, o dal portamento ancora eretto, ma lo si percepisce dal tremolio della voce, dalla resa faticosa cui consegna la sua confessione. Forse sarà perché l’Italia che ritorna non è mai troppo lontana da quella che c’è, ma l’immagine di Calisto Tanzi in completo scuro e cravatta regimental che smarrisce le parole barbugliando a fatica che «domani magari mi passa», dopo aver appena ricordato che lui pagava tutti i politici «se non a 360 gradi almeno a 358» e che le banche sapevano tutto dei debiti della Parmalat e ne approfittavano, ci restituisce tutto quello del nostro passato che non passerà più. Il nostro capitalismo senza plusvalore.
Ieri, il Cavaliere era in aula, processo Parmalat. Doveva parlare tutto il giorno. S’è fermato nel primo pomeriggio, quando il pm Vincenzo Picciotti ha detto che viste «le difficoltà espressive dell’imputato», forse sarebbe meglio rinviare. Il presidente del collegio Eleonora Fiengo gli ha chiesto se ce la faceva. Lui ha cercato di dire domani, senza riuscirci («do-do-do, domani»), «magari mi passa», ha balbettato, «ma quando mi viene ci sono momenti in cui non riesco a dire neanche una parola. Questo è dal 2003 che mi succede. Anzi, mi scusi, dal 2004».
Il 2003 è l’anno del crac. La fine di un’epoca, la caduta agli inferi, come la giornata di ieri, piena di grigio e di nebbia, cominciata con orgoglio e finita nella dolenza triste della vecchiaia. Quando arriva in tribunale, gli vanno vicino e gli chiedono che cosa racconterà oggi. Risponde, arrotando le erre, come sempre: «Io racconto solo e dico solo la verità. E basta». E qual è la verità che sta dietro alla Parmalat? «Che era la più bella azienda che esistesse in Italia». Poi, in aula, all’inizio è un fiume in piena, ribatte alle accuse di Fausto Tonna, ripete che era lui, l’amministratore delegato che faceva i giochi di prestigio per falsificare i bilanci, che lui non ne sapeva niente perché non ci capiva niente: «Non ne ero proprio capace. Quelle operazioni le ho solo ratificate». Poi parla delle banche, che la situazione dell’azienda era «un fatto conosciuto» anche da loro, che per questo non credevano «nella rappresentazione del nostro bilancio». Ripete le stesse accuse che disse anche noi, la domenica prima che cominciasse questo processo: la Parmalat era vittima del sistema. E lui era prigioniero del potere.
Così, comincia con il Palazzo: «Abbiamo pagato i politici, ma loro non servivano per i finanziamenti». Gli chiedono di fare i nomi, ma lui risponde di non ricordarne, anche perché c’era qualcun’altro deputato a questo compito. La Parmalat era così da sempre, una grande mucca da mungere che faceva comodo a tanti, o a quasi tutti: «Contatti con i politici ne abbiamo avuti diversi a partire dal 1960 fino al 2003 quando mi sono dimesso. I politici venivano contatti per instaurare quei buoni rapporti di cui l’azienda aveva bisogno. Avevamo delle persone a Roma che facevano questo. Sergio Piccini, un ex sindacalista di Parma, aveva conoscenze con tutti i politici dell’arco costituzionale. Poi è morto in un incidente stradale. Allora ho conosciuto Romano Bernardoni, e abbiamo delegato a lui questo compito. Comunque nessuno di loro ci ha mai aiutato ad avere finanziamenti. Non erano pagati direttamente, ma tramite alcuni signori». Tutti, quasi nessuno escluso, come lascia intendere il cavaliere: «Se non a 360 gradi, di sicuro a 358. I soldi uscivano dal conto Valori Bollati».
E se l’amministratore delegato Fausto Tonna nella sua deposizione aveva detto che una delle principali cause del crac era rappresentata dalle continue acquisizioni che il gruppo faceva senza avere le risorse necessarie per sostenerle, lui ribatte che quelle acquisizioni «erano proposte al 90 per cento dalle banche». Dice che le banche sapevano tutto e sfruttavano la posizione della Parmalat a loro piacimento. Tutti facevano così, aggiunge. Poi fa degli esempi: l’Affare Sipac, in Sicilia, per diventare il numero uno sul mercato del succo d’arancia. «Spendemmo un mucchio anche per lo stabilimento. Ma dopo mancava la materia prima: le arance non arrivavano mai». Calogero Mannino, dice, era preoccupato solo per l’occupazione. E per l’affare Eurolat, «dovevo comprare questa società del Gruppo Cirio a prezzo più alto, altrimenti guastavo i rapporti con Banca Roma. Ho subito pressioni durante le trattative e il dottor De Nicolais è quello che spingeva di più».
E’ solo l’inizio, e la sua storia potrebbe ancora continuare. Ma si ferma incrinando la voce. E’ che il tempo sconti non ne fa a nessuno, neanche a lui.

Burton Morris
25-12-09, 22:17
"La Repubblica", MARTEDÌ, 24 NOVEMBRE 2009

Pagina 27 - Economia

"Parmalat pagava i politici dal ´60; banche sapevano del falso dal 2002"
Tanzi parla per la prima volta davanti ai giudici di Parma, vuota il sacco e poi si sente male

ETTORE LIVINI
DAL NOSTRO INVIATO
PARMA - Accuse alle banche: «Conoscevano la reale situazione di Parmalat almeno dal 2002». Messaggi ai palazzi romani: «La politica? Abbiamo distribuito soldi se non a 360 gradi a 358». E, soprattutto, tanti «non so» e «non ricordo». A sei anni dal crac di Collecchio, Calisto Tanzi ha risposto ieri a Parma per la prima volta alle domande dei pm in un´aula di tribunale. Ribadendo la sua linea di difesa - «non mi occupavo di finanza, ho saputo del buco nei conti solo nel novembre 2003» - assicurando di non aver alcun tesoretto nascosto e alzando bandiera bianca a metà pomeriggio quando all´improvviso ha mostrato evidenti difficoltà a parlare («mi accade da sei anni») costringendo il tribunale a sospendere e rinviare l´udienza.
Lucido, in abito e cravatta scuri, Tanzi - già condannato a 10 anni in primo grado a Milano per aggiotaggio - ha ribadito la sua versione dei fatti. Puntando il dito contro il braccio destro Fausto Tonna e gli istituti di credito. La cosmesi di bilancio - ha ammesso - «è iniziata nel ‘93-94, appena dopo la quotazione». L´ex patron ha però ribadito di non aver mai dato disposizione di truccare i conti. «Avevo tutti i poteri, certo - ha detto - , ma le operazioni le faceva Tonna, io non ne sarei stato capace. Fino all´ultimo ero convinto anch´io che in azienda ci fosse un miliardo di liquidità». Bonlat? «Non sapevo cosa c´era dentro». Le distrazioni verso il turismo? «Firmavo, ma non mi dicevano che i soldi arrivavano da Parmalat».
Tanzi ha rivelato invece una memoria di ferro quando si è trattato di chiamare in causa le banche. Su questo fronte ce n´è per tutti. Mps era a conoscenza dei guai di Collecchio «all´epoca della quotazione». «Mediobanca e Jp Morgan sapevano dei bilanci falsi a fine 2002 quando studiarono un aumento di capitale da 600 milioni». «Banca di Roma ci ha fatto forti pressioni per comprare Eurolat a un prezzo alto minacciando che i nostri rapporti si sarebbero incrinati». Sui politici, per ora, nessun nome: «Abbiamo avuto contatti dal 1960 al 2003, prima per Odeon Tv poi per avere buone relazioni istituzionali. Abbiamo girato soldi attraverso il nostro conto Valori Bollati a tutto l´arco costituzionale», ha detto l´ex patron che ha invece chiamato fuori la famiglia: «Siamo stati utilizzati come prestanome dalle banche. E Parmalat, lasciatemelo dire, era la miglior impresa alimentare italiana». Il tesoretto? «Non esiste al mondo un mio conto o un conto di cui sia a conoscenza su cui ci sia un euro», ha concluso Tanzi.

Burton Morris
25-12-09, 22:17
Un "doppio incarico" per 100 parlamentari e l'incompatibilità svanisce


• da Corriere della Sera del 25 novembre 2009

di SERGIO RIZZO

Sono circa un centinaio i politici che siedono in Parlamento e svolgono qualche altra funzione, magari di tipo istituzionale, per esempio sindaco o presidente di un’amministrazione provinciale. Con tanti saluti alle norme sull’incompatibilità tra il mandato di parlamentare e incarichi in società pubbliche e private o nei Comuni con oltre 20 mila abitanti e le Province. Tanto che qualcuno incassa il doppio incarico addirittura dopo essere entrato in Parlamento. «Politici, giù le mani dall’Expo». Se questa frase non fosse stata pubblicata a pagina intera il 26 ottobre sul Giornale con tanto di gigantografia dell’autore, si stenterebbe a credere che a pronunciare il minaccioso avvertimento sia stato proprio lui: un politico in servizio permanente effettivo da otto anni. Nel 2001 Lucio Stanca entrò nel governo di Silvio Berlusconi come ministro dell'Innovazione. Poi senatore e nel 2008 deputato. Quando l'hanno designato amministratore delegato dell'Expo 2015 il presidente del comitato parlamentare per le incompatibilità Pino Pisicchio ha diligentemente sollevato il problema del doppio incarico, chiedendo le dimissioni. Ma la sua tesi non è passata. La maggioranza compatta gli ha fatto marameo, accogliendo l'argomentazione difensiva di Stanca. Quale? Che la legge del 1953, nello stabilire l'incompatibilità fra mandato parlamentare e incarichi in società pubbliche e private, ha concesso la deroga per gli enti fiera. E siccome l'Expo 2015 è una fiera... Il Parlamento è sovrano e va bene così. Del resto, il suo collega di Camera e di partito Maurizio Lupi non è forse amministratore delegato di Fiera Milano congressi? Anche se gli incarichi non sono certo paragonabili: l'Expo 2015 gestirà 15 miliardi di euro. Ed è lecito interrogarsi su come Stanca riuscirà a far fronte a due impegni così gravosi. Ma volete mettere la comodità di gestire un’azienda con uno schermo parlamentare?

C’è da dire che lui non si mostra affatto preoccupato, seguendo l'esempio di altri suoi impavidi colleghi. Basta ricordare il senatore Vincenzo Galioto già amministratore dell'Amia, disastrata azienda municipalizzata per i rifiuti di Palermo. O Dario Fruscio, per due anni senatore e consigliere d’amministrazione dell’Eni (130 mila euro di appannaggio). O ancora Pietro Fuda, che durante il suo biennio a Palazzo Madama era amministratore unico della società che gestisce l’aeroporto di Reggio Calabria.

C’è stato chi, fra deduzioni e controdeduzioni, in barba alle regole è riuscito a tirare avanti pure per cinque anni. E con questi precedenti l’incompatibilità è ormai una faccenda all’acqua di rose. Tanto che qualcuno incassa il doppio incarico addirittura dopo essere entrato in Parlamento. Claudio Fazzone, per esempio. Ex capo della scorta di Nicola Mancino, è senatore del Pdl nonché punto di riferimento politico per il centrodestra a Fondi, dove il ministro dell'Interno Roberto Maroni aveva chiesto lo scioglimento del consiglio comunale per presunte infiltrazioni criminali. Fazzone è presidente di Acqualatina, società che gestisce il servizio idrico, controllata dagli enti locali dell’area pontina: nominato dopo il suo ingresso a Palazzo Madama, nel 2006, è stato riconfermato il 10 luglio 2009, oltre un anno dopo le successive elezioni politiche. In entrambi i casi senza battere ciglio.
Si dirà che molti dei 22 doppi incarichi in società pubbliche che il comitato di Pisicchio ha dovuto affrontare dall’inizio della legislatura (da Viviana Beccalossi, già presidente del consiglio regionale della Lombardia e consigliera dell'Agea, ad Antonino Foti, vicepresidente della Borsa elettrica) non portano via che poche ore l'anno. Sicuramente meno impegnativi del secondo incarico della parlamentare Rosy Mauro, vicepresidente del Senato e presidente del sindacato leghista Sinpa. A parte s'intende, ogni considerazione circa l'opportunità. Come la mettiamo invece con i doppi incarichi istituzionali?

Perché un conto è partecipare una volta al mese a un consiglio di amministrazione, altro conto è fare insieme il parlamentare e il vicesindaco di Roma (Mauro Cutrufo) o di Milano (Riccardo De Corato), il sindaco di Catania (Raffaele Stancanelli), Brescia (Adriano Paroli) e Afragola (Vincenzo Nespoli), il presidente della Provincia di Asti (Maria Teresa Armosino), Foggia (Antonio Pepe) e Napoli (Luigi Cesaro). Se poi il sindaco, come il ministro Altero Matteoli (Orbetello), o il presidente di Provincia, come il sottosegretario Daniele Molgora (Brescia), o l’assessore, come il viceministro Paolo Romani (Monza) è pure al governo, la faccenda si complica ancora.

Nonostante ciò i doppi incarichi istituzionali in Parlamento sono proliferati fino a circa un centinaio perché la norma che vieta la sovrapposizione fra il Parlamento e i Comuni oltre 20 mila abitanti e le Province non viene più rispettata. Ma come fanno, non avendo il dono dell’ubiquità? Il sindaco di Viterbo Giulio Marini, pur di non mancare alle sedute del Senato si è trasformato in Speedy Gonzalez: «In due anni con la mia Cinquecento ho fatto ottantamila chilometri avanti e indietro per la Cassia». Ma Viterbo è a 93 chilometri da Roma. Bergamo, invece, è a 612. Infatti la scorsa estate un deputato della Lega, Nunziante Consiglio, è stato pizzicato a votare anche per Ettore Pirovano, fresco presidente della Provincia di Bergamo. Si è giustificato dicendo che il collega stava per arrivare. Ma quando gli è stato fatto notare che quel lunedì a Bergamo c’era la giunta provinciale e Pirovano stava lì, ha sgranato gli occhi: «Lunedì? Non è martedì?»

Burton Morris
25-12-09, 22:18
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 25 NOVEMBRE 2009
Pagina 4 - Interni

Milano, a causa di un errore dei giudici di Appello congelati quasi 400.000 euro frutto della tangente al Pci-Pds incassata da Greganti
Dimenticato in banca il tesoretto del Compagno G

EMILIO RANDACIO
MILANO - Da diciassette anni, sul conto bancario intestato alla procura di Milano giacciono 400 milioni di vecchie lire dimenticati. Gli interessi li hanno fatti lievitare a 390.000 euro. Sono una piccola fetta delle tangenti che il vecchio pentapartito aveva riservato allo scomparso Pci-Pds, e smascherato dalle indagini di Mani pulite. Quei soldi, tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, sono finiti al cassiere di Botteghe Oscure Primo Greganti, nel gioco della spartizione della torta degli appalti pubblici per la costruzione di centrali Enel. In questi anni, le sentenze hanno ricostruito così la storia. Ma per fare entrare i soldi del «compagno G», nelle disastrate casse dell´Erario, c´è un intoppo che ha messo al tappeto la già ingolfata macchina della pubblica amministrazione.
Per ricostruire questa storia bisogna tornare indietro. Esattamente al primo marzo del 1993, quando Greganti finisce in carcere per corruzione e il pool sequestra il denaro rimasto sul suo conto dal nome in codice «Gabbietta». Rimasto chiuso a San Vittore per quasi sei mesi, Greganti nega sempre con determinazione che il destinatario finale di una maxitangente complessiva da un miliardo e 200 milioni di lire siano le Botteghe Oscure. Nella sentenza, però, il suo ruolo e la causale di quel pagamento vengono così nitidamente definiti: «Fiduciario del Pci, pronto a mettere a disposizione i propri conti personali per esigenze illecite del partito». E nonostante la difesa dell´indagato, il pool di Mani Pulite non si intenerisce e, oltre a ottenere la condanna definitiva a tre anni di carcere dell´ex «Compagno G», fa immediatamente sequestrare quei 400 milioni di lire.
Da allora, quel denaro giace nella filiale della Bnl del Tribunale milanese. Nel frattempo la somma originaria ha maturato, anno dopo anno, gli interessi bancari fino ad raggiungere la cifra di 390 mila euro, quasi il doppio. Denaro immobile, fermo e quasi beffardamente intoccabile. Tutta colpa di una dimenticanza dei giudici d´appello che, nel motivare la sentenza, si sono scordati di decretare anche la confisca della cifra sequestrata. Ora, a diciassette anni di distanza, la procura dovrà porre rimedio alla svista. In termine tecnico, la mossa riparatoria passa per una procedura che il codice definisce burocraticamente con il nome di «incidente di esecuzione». Un atto formale già fissato per le prossime settimane, in cui le parti dovranno essere convocate per sancire la definitiva confisca. Solo allora, finalmente, quei 390mila euro diventeranno a titolo definitivo di proprietà dello Stato.

Burton Morris
25-12-09, 22:19
Quei tagli (mai partiti) alle poltrone pubbliche


• da Corriere della Sera del 3 dicembre 2009

di SERGIO RIZZO

«Taglieremo cinquantamila poltrone!» proclamava il leghista Roberto Calderoli: mentre i suoi ne occupavano una in più. Pizzicato da Gianfranco Fini a votare con la tesserina del suo collega Ettore Pirovano, assente causa doppio incarico, il deputato del Carroccio Nunziante Consiglio è stato risarcito di quella figuraccia rimediata alla Camera. Giovedì scorso l'hanno nominato presidente delle Tramvie elettriche bergamasche. Consiglio ha così sostituito Gianfranco Ceruti, ex consigliere regionale azzurro, alla guida dell’azienda pubblica controllata pariteticamente dal Comune e dalla Provincia orobica, ente presieduto guarda caso proprio dall'onorevole Pirovano. Il quale in questo modo ha consentito anche all'onorevole Consiglio di accedere al sempre più frequentato (sono ormai un centinaio) circolo degli onorevoli con doppio o triplo incarico. E la legge? Quella del 1953, la numero 60, che i padri della Repubblica vollero intitolare «Incompatibilità parlamentari»? L'articolo 2 non vieta forse ai membri del Parlamento di «esercitare funzioni di amministratore, presidente, liquidatore, sindaco o revisore» di «enti che gestiscano servizi di qualunque genere per conto dello Stato o della pubblica amministrazione»? Vecchiume. Nel 1953 Pirovano aveva quattro anni. Consiglio, invece, non esisteva nemmeno nei pensieri dei suoi futuri genitori.
Norme anacronistiche, per chi il doppio incarico addirittura lo teorizza. E magari dirà pure che in questo modo, se proprio non si riescono a tagliare le poltrone, almeno si riduce il numero di quelli che le occupano. Per giunta, risparmiando qualcosina. Nessuno stupore, perciò, che una norma rigorosa per impedire gli incarichi multipli sia proprio fra le cose che mancano nel Codice delle autonomie trionfalisticamente presentato alla stampa dal ministro Calderoli dopo il Consiglio dei ministri che l'ha approvato il 19 novembre. Una riformina che, com'era prevedibile, sta incontrando qualche ostacolo. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ne vorrebbe anticipare un pezzo nella Finanziaria. I famosi tagli al numero dei consiglieri comunali, degli assessori, conditi con un limite agli stipendi dei consiglieri regionali, che non avrebbero in alcun caso potuto guadagnare più dei parlamentari. E qualche sfoltita qua e là alle categorie meno potenti, come i difensori civici comunali. Ma per ora la Camera non gliel'ha passata.
Le sforbiciatine non avrebbero comunque effetti immediati, visto che la riduzione dei posti non sarebbe operativa che dopo la scadenza dei consigli e delle giunte attualmente in carica. Perché allora metterle nella Finanziaria? Ma perché nella legge di bilancio, che dev`essere approvata tassativamente entro il 31 dicembre, il taglio delle poltrone sarebbe al riparo delle imboscate parlamentari: pressoché scontate durante l`iter di qualunque legge, figuriamoci di questa. Agguati che avrebbero la conseguenza di massacrare ulteriormente una riforma già abbondantemente edulcorata rispetto la versione di partenza. Sparito il colpo di spugna sugli enti «dannosi». Tribunali delle acque, autorità d`ambito territoriale, enti parco regionali, consorzi di bonifica, bacini imbriferi montani, difensori civici provinciali, commissari per la liquidazione degli usi civici: tutti salvi. Addolcita la pillola per i consorzi comunali, che dovrebbero scomparire dopo un anno dall`approvazione del codice. Ma non tutti: anzi, quasi nessuno, dato che «sono esclusi dalla soppressione» quei consorzi che all`entrata in vigore della legge gestiscano servizi in comune fra enti locali. E sfumata anche la fatidica abolizione delle comunità montane. Perché non verranno cancellati quegli enti ma soltanto le norme statali che li riguardano. Con i relativi finanziamenti. Ad abolirli ci penseranno semmai le Regioni. Per non parlare delle Province: costano 17 miliardi di euro e in campagna elettorale Silvio Berlusconi aveva promesso di eliminarle. Macché. Saranno invece «razionalizzate» con decreti legislativi da scrivere in due anni dopo che il codice sarà stato varato. Di concreto era rimasta la sola riduzione delle poltrone. Misura che colpirebbe soprattutto piccoli e piccolissimi comuni dove i consiglieri, spesso, nemmeno incassano i simbolici gettoni di presenza. Anche qui, poi, in seguito alle pressioni degli enti locali, il taglio era stato ridimensionato dal 35% dei posti stabilito inizialmente a circa il 20%. E arrivati a questo punto, meglio blindare almeno quello. Sempre che ci si riesca. Tremonti e Calderoli sono convinti che l`emendamento alla Finanziaria, arena- tosi al suo sbarco in Parlamento, alla fine passerà. in caso contrario, preparino i sacchetti di sabbia.

Burton Morris
25-12-09, 22:19
COMUNICATO


Rendiconti dei partiti e movimenti politici per l'esercizio 2008 (articolo 8 della legge 2 gennaio 1997, n. 2) (09A11537)

(GU n. 269 del 18-11-2009 - Suppl. Straordinario)



Ispolitel - Banche Dati Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (http://www.gazzettaufficiale.it/guridb/dispatcher?service=1&datagu=2009-11-18&task=dettaglio&numgu=269&redaz=09A11537&tmstp=1260373486574)

Burton Morris
25-12-09, 22:20
Anagrafe degli eletti, Bacaro e Iervolino: Finalmente uno strumento di trasparenza reale per il comune di Roma. Sotto la spinta dei Radicali e di 7000 cittadini il consiglio comunale di Roma approva l?Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati


11 dicembre 2009


· Dichiarazione di Demetrio Bacaro Segretario di Radicali Roma e Massimiliano Iervolino primo firmatario della proposta di delibera di iniziativa popolare e membro della Giunta di Radicali Italiani
"Nella seduta odierna, dopo mesi di rinvii in deroga allo Statuto vigente, il Consiglio Comunale ha dibattuto e votato la proposta di delibera ad iniziativa popolare, coordinata dall’Associazione Radicali Roma, sull’Istituzione di un’Anagrafe Pubblica degli Eletti e dei Nominati. La proposta è stata bocciata con 4 voti favorevoli, ma nessun contrario e tutti gli altri consiglieri astenuti. Tale risultato ha consentito, però, di approvare una proposta analoga, anche se non identica e carente in alcune specifiche, di iniziativa consiliare, alla stesura della quale hanno peraltro contribuito in alcune parti gli stessi radicali nei mesi scorsi. Ci riteniamo soddisfatti di essere riusciti a portare in porto questa importante vittoria politica, che consentirà ai cittadini romani di avere un importantissimo strumento di controllo e verifica sull’operato dei propri Consiglieri e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. Siamo passati dalla proposta popolare, allo scontro verbale anche acceso con le Istituzioni ed infine all’opera di sensibilizzazione di tutte le forze consiliari su questo tema, per noi fondamentale. Intendiamo ringraziare i 7000 romani che ci hanno dato la forza e lo strumento per incidere nella politica cittadina pur in assenza di un rappresentante in Consiglio”

Burton Morris
25-12-09, 22:20
"La Repubblica", DOMENICA, 13 DICEMBRE 2009

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Se il Carroccio diventa una Lega nazionale

ILVO DIAMANTI

In questi giorni concitati sembra che, in Italia, esista solo Berlusconi. Impegnato nella sua lotta quotidiana con quanti ce l´hanno con lui. Più o meno tutti, cioè. Persone e istituzioni. Magistrati e alte cariche dello Stato. E alleati che occupano alte cariche dello Stato, come il presidente della Camera Gianfranco Fini.



Capo dell´opposizione di centrodestra. Anzi, dell´opposizione. Eppure, oggi più che mai, l´attore politico più importante della maggioranza è la Lega. Le guerre personali e di fazione che agitano il Pdl e Berlusconi la rafforzano. D´altronde, il suo peso politico, negli ultimi anni, non ha smesso di crescere. Anzitutto, per motivi elettorali. Ha superato l´8% dei voti validi alle politiche del 2008 e il 10% alle europee del 2009. Tuttavia, nel 1996 – e anche nel 1992 – aveva ottenuto un risultato migliore. Ma allora correva da sola contro tutti. Oggi è al governo. I suoi elettori occupano circa un quarto dell´area di centrodestra, in Italia. Ma oltre il 40% nelle regioni del Nord (al di sopra del Po). Dove, alle elezioni politiche del 2008, si è imposta come primo partito in 800 comuni su circa 4000. Ma il suo peso politico è molto superiore a quello elettorale (come ha lamentato di recente Piero Ignazi sull´Espresso). Perché, senza la Lega, per Berlusconi, le elezioni diventano un azzardo. Lo ha sperimentato nel 1996. Non ci proverà più. E per evitare tensioni, alle prossime elezioni cederà la presidenza di – almeno – una grande regione del Nord.
La forza della Lega riflette, in modo simmetrico, le debolezze del principale partito di maggioranza. Il Pdl. E i tormenti del suo leader, Silvio Berlusconi. Il Pdl non è ancora un partito. Appare, invece, una somma di elettorati e di gruppi dirigenti, senza un´effettiva identità condivisa. Fin qui, alle elezioni ha raccolto fra 35 e il 37% dei voti validi. Più o meno la somma dei risultati ottenuti dai partiti da cui origina. I quali, tuttavia, continuano a operare divisi, a livello locale. C´è poi il problema della leadership. Certo: Berlusconi è indiscutibile, ma Fini lo discute. Quasi ogni giorno. In fondo: logora il carisma del "capo assoluto". Così Berlusconi è costretto a legarsi sempre di più alla Lega. Compatta: in Parlamento e sul territorio, guida una maggioranza spesso incerta e divisa. Ne costituisce la bussola. Orientata a Nord. Come i ministri-chiave del governo. Leghisti e no. Tremonti e Maroni, anzitutto. Poi Brunetta, Sacconi, Gelmini, Zaia. Scajola. Lo stesso La Russa, politicamente, è milanese. Il Sud. La Sicilia, un tempo bacino elettorale di FI, oggi contesa da altri soggetti regionalisti, è rappresentata – soprattutto e anzitutto – dal ministro Alfano. Impegnato a tempo pieno nella "guerra" contro i magistrati. Accanto al suo leader.
La Lega, dunque, garantisce un consenso essenziale al governo e al premier – in ogni occasione e in ogni materia. In cambio del sostegno alle politiche che le interessano maggiormente. A favore del Nord e in tema di sicurezza. Nel frattempo, sta ridimensionando la sua "eccezione", sul piano territoriale e sociale. Alle europee, ha colorato di verde le regioni rosse dell´Italia centrale. Dal punto di vista socio – anagrafico, continua ad attirare i piccoli imprenditori e i lavoratori dipendenti della piccola impresa privata. Ma, fra i suoi elettori, è cresciuta la presenza dei giovani. E, soprattutto, quella delle donne. Fino a 10 anni fa, era un partito maschio e maschilista. Oggi quasi metà del suo elettorato è composto da donne. Insomma, il suo elettore "medio" si è avvicinato alla "media sociale". Da cui si distingue per gli atteggiamenti: perché riassume – enfatizzate – le fobie del nostro tempo. Su queste paure – oltre che sulla radice territoriale – la Lega ha fondato la propria offerta politica, negli ultimi anni. E, al contempo, ha costruito l´identità politica della maggioranza di centrodestra. Più di quanto non abbia fatto lo stesso Berlusconi. Imprigionato in una sorta di autismo, che lo spinge a riproporre se stesso come mito ed esempio. Mito esemplare. L´italiano tipo. La Lega, invece, agita la società, ne ascolta il rumore. E lo amplifica con argomenti espliciti e un linguaggio violento. Con iniziative polemiche dall´intento simbolico ed educativo.
È la Lega degli uomini spaventati, che raccoglie le paure e le moltiplica. Capta la xenofobia e la riproduce.
È la Lega dei localismi, che intercetta lo spaesamento prodotto dalla globalizzazione. Dalla caduta del Muro e dei muri. Intercetta il distacco dallo Stato, dalle istituzioni, dalla Ue. E lo amplifica. È la Lega dei cattolici senza fede. Sorta nel vuoto prodotto dall´eclissi del sacro – per citare Sabino Acquaviva – e dalla secolarizzazione. Propone una nuova religione. Naturalmente secolarizzata. Senza Dio e senza chiesa. Sovente, contro la Chiesa. D´altra parte, nella sua base elettorale è maggioritaria la presenza dei cattolici non praticanti. Molti dei quali riducono la religione a una cornice del senso comune. Un sistema di valori e di credenze che usa la tradizione per "difendersi" dalla (post) modernità.
Il paradosso è che la Lega, in questo modo, si distacca dal suo specifico territoriale. Non ambisce (solo) alla "corona longobarda", come ha suggerito Gad Lerner su Repubblica. Sta, invece, mutando in "Lega Nazionale". Non solo perché il suo elettorato ha superato i confini del Po. Non solo perché è il perno del governo nazionale. Ma perché, con le sue polemiche, le sue politiche, le sue parole sta affermando un´idea di "nazione" piuttosto precisa a un paese dall´identità incerta. Attraverso l´opposizione agli stranieri, agli immigrati, all´Islam. Il distacco fra noi e gli altri. La Lega: rivendica il tricolore e la croce, uniti per dividere. Dagli stranieri. Fa riferimento esplicito al nostro "carattere nazionale". Evoca una "nazione" di individui e di localismi, che chiedono protezione allo Stato, ma ne diffidano. Invocano la tradizione e i suoi principi. Ma vogliono essere liberi da ogni regola. Da ogni limite. Correre felici a 150 all´ora. E oltre. Una Lega veloce. Nazionale. Mentre Berlusconi corre dovunque. Ma, alla fine, è sempre lì. Gira intorno a se stesso.

Burton Morris
25-12-09, 22:21
"La Stampa", 17 Dicembre 2009, pag. 21

L’INCHIESTA COINVOLGE ALTRE SEI PERSONE TRA LE QUALI DUE FUNZIONARI PUBBLICI


Corruzione, arrestato Prosperini

Con lui in cella anche Lagostena, patron di Odeon Tv, e il consulente Saini




PAOLO COLONNELLO
MILANO


«L’omosessualità? Una devianza»; «I musulmani? Garrotiamoli»; «La sinistra? Stupratori comunisti!». Basta la parola: Piergianni Prosperini. Medico dermatologo, ex parà, ex leghista, ex An, ex consigliere comunale di Milano, ex opinionista televisivo e, da ieri, assessore regionale con delega allo Sport e Turismo in carcere a San Vittore, con l’accusa di corruzione per aver intascato una tangente, ritrovata su un conto svizzero intestato a un fiduciario, pari a 230 mila euro. Nonché per aver usato altri 200 mila euro, prelevati dai fondi destinati alla diffusione dello Sport in Lombardia, per comprarsi spazi pubblicitari su sei emittenti tv locali dove faceva soprattutto propaganda a sè stesso.
Il folkloristico e un po’ fanatico assessore della giunta di Roberto Formigoni, è stato arrestato ieri sera dalla Guardia di Finanza su ordine del gip Ghinetti, in base alla richiesta dei pm Alfredo Robledo e Paolo Storari. In carcere sono finiti anche l’imprenditore televisivo Raimondo Lagostena Bassi (figlio del famoso avvocato femminista degli Anni 70) e Massimo Saini, titolare di un’agenzia di consulenza e comunicazione, indicato come «intermediario». La vicenda riguarda una serie di favori televisivi che sarebbero stati resi a Prosperini dal circuito televisivo di Lagostena, Odeon Tv e Telereporter. Titolare da tempo di una rubrica autogestita sulle due emittenti, Prosperini - secondo le accuse - avrebbe da una parte ricevuto la mazzetta da 230 mila euro depositata in Svizzera e dall’altra si sarebbe visto azzerare un debito di altri 200 mila euro per gli spazi autogestiti non pagati, in cambio di un sostanzioso appalto da 7 milioni di euro per la promozione dell’immagine turistica della Lombardia destinato alle televisioni.
Un giro frenetico di soldi nel quale Saini - con la sua agenzia - avrebbe svolto il ruolo di intermediatore tra Prosperini e Lagostena Bassi. Oltre ai tre arrestati, gli inquirenti hanno iscritto nel registro degli indagati altre 6 persone: tra questi due funzionari regionali dell’assessorato allo Sport e Turismo, del quale è titolare Prosperini: gli uffici, insieme con l’abitazione del politico, sono stati perquisiti da cima a fondo. In serata il presidente della Regione, Formigoni si è detto «certo del fatto che l’assessore Prosperini saprà dimostrare la sua estraneità e innocenza, di cui non ho motivo di dubitare. Confido che la giustizia, cui va lasciato compiere il suo corso, saprà arrivare a conclusioni certe in un tempo molto rapido». Ma la vicenda scuote ulteriormente la tenuta del governo al Pirellone, già provato dall’inchiesta sulle bonifiche di Santa Giulia. Un’indagine che ha portato in carcere l’imprenditore Giuseppe Grossi, la moglie di un fedelissimo di Formigoni come Giancarlo Abelli e messo sotto la lente d’ingrandimento della Procura almeno altri 3 assessori regionali. L’inchiesta che causato l’arresto di Prosperini nasce almeno un anno e mezzo fa da alcune verifiche fiscali. Condotta all’inizio dal pm Francesco Prete, aveva già portato l’assessore e il direttore del settore Sport della Lombardia, Roberto Lambicchi, a ricevere un’informazione di garanzia. L’ipotesi all’epoca era di truffa ai danni dello Stato.

Burton Morris
25-12-09, 22:21
"La Stampa", 18 Dicembre 2009, pag. 23

OGGI INTERROGATORIO A VOGHERA DELL’ASSESSORE AL TURISMO LOMBARDO

Prosperini e gli strani rapporti con l’Eritrea




PAOLO COLONNELLO
MILANO


Incorreggibile Piergianni Prosperini che, tra le altre cose, si fregia del titolo di «colonnello dell’esercito eritreo» del feroce dittatore Isaias Afewerki: mentre lo stavano arrestando nel suo ufficio della Regione, è uscito su un balconcino e di nascosto ha telefonato ad Antenna 3: «Dicono che mi stanno arrestando? Eh la Madonna! Ma non è vero sono qui nel mio salotto di casa, bello paciarotto...». È finita che l’han ciapà, come direbbe lui, e portato nel carcere di Voghera a sirene spiegate. Non a caso nell’ordine di cattura si parla di «pericolo d’inquinamento delle prove».
Oggi probabilmente sarà interrogato dal gip Andrea Ghinetti che ha firmato l’ordine di cattura per ipotesi di corruzione, turbativa d’asta e truffa ai danni della Regione Lombardia. L’assessore allo Sport e Turismo del Pirellone, secondo le accuse, avrebbe ricevuto una tangente di 230 mila euro estero su estero dall’imprenditore televisivo Raimondo Lagostena Bassi su un suo conto svizzero all’Ubs di Lugano (individuato attraverso una rogatoria) in cambio di un appalto per una maxi campagna per la promozione turistica della Lombardia del valore di 7 milioni di euro finita alla “Profit Group” del padrone di Odeon Tivù; inoltre avrebbe pagato con i fondi dell’assessorato decine di spot televisivi per le sue campagne elettorali pari a 200 mila euro tramite sovrafatturazioni delle emittenti Telecity e Telelombardia indagate ai sensi della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle imprese.
Ma le sorprese non sembrano finite qua. E nonostante il presidente della Regione Roberto Formigoni si dica «tranquillo e fiducioso che Prosperini saprà dimostrare la propria innocenza», intercettazioni e conti cifrati raccontano che l’assessore «paciarotto» dovrà spiegare parecchie cose prima di «chiarire» la sua posizione. Come ad esempio il significato di ben sei società off shore rintracciate dalle indagini della Guardia di Finanza e di cui l’assessore, scrive il gip, «avrebbe avuto disponibilità diretta o indiretta». Ovvero: la HTK con sede a Vienna, la Finley Service LLC, Chamonix LLC, Willoe Overseas, Kekana ltd. Quest’ultima utilizzata come intermediazione per ricevere le tangenti da Lagostena Bassi sul conto di Lugano. Oppure i suoi rapporti non proprio limpidi con il regime del dittatore eritreo, che spuntano nel provvedimento del giudice dove si parla di «corruzione di funzionari di stati esteri» facendo riferimento a una presunta tangente di circa 800 mila euro per la vendita al governo eritreo di 8 pescherecci da parte dei «Cantieri Navali Vittoria».
In carcere sono finiti anche Lagostena e Massimo Saini, legale rappresentante della Prillo Comunicazione e project manager delle «agenzie» aggiudicatarie dell’appalto per la promozione turistica in Lombardia - «cioè di Leo Burnett fino al 2007 e poi di Publicis». Ma Saini, scrive il giudice, «è in realtà il collettore di tutte le richieste e le proposte di spesa inerenti, in stretta complicità con l’assessore Prosperini di cui egli rappresenta lo spregiudicato trait d’union col mondo dei mezzi di comunicazione di massa che coprono il bacino elettorale del politico». Tra i tanti favori chiesti agli amici ottiene anche che venga pagata come hostess alla Bit una ragazza russa cui si sente molto legato, tale Elena Novikova la quale riceve 1.000 euro per una prestazione in Fiera che, accertano gli investigatori, non è mai avvenuta.

Burton Morris
25-12-09, 22:21
"La Stampa", 18 Dicembre 2009, pag. 23

GLI APPALTI «SOSPETTI»

La giunta Formigoni nel mirino della procura



MILANO


«Non c’è nessuna preoccupazione», ha dichiarato ieri il presidente della Lombardia Roberto Formigoni assumendo ad interim le deleghe allo Sport e al Turismo lasciate vuote dall’arresto di Piergianni Prosperini.
Ma forse le cose non sono così lisce come «Il Celeste» (così lo chiamano in Regione) vuole far credere. Perché non tutte le inchieste giudiziarie possono definirsi «risibili» come quella che lo ha visto recentemente indagato per «lancio di oggetti» in relazione alle emissioni di polveri sottili nell’aria pesantemente inquinata della metropoli lombarda. Forte dell’investitura ricevuta domenica scorsa in piazza Duomo da Silvio Berlusconi poco prima che il premier venisse aggredito da uno squilibrato, Formigoni sa bene che se l’arresto del suo assessore «paciarotto», può rappresentare un semplice incidente di percorso circoscrivibile ad un’attività discutibile ma assolutamente pesonale di Prosperini, la vera inchiesta che preoccupa i vertici del Pirellone è quella relativa alle disinvolte operazioni di bonifica dell’amico imprenditore Giuseppe Grossi, finito a San Vittore l’ottobre scorso insieme ad altre 4 persone, tra cui l’assessore provinciale di Pavia Rosanna Gariboldi, moglie del «fedelissimo» ex assessore e ras della sanità lombarda Giancarlo Abelli.
In quell’indagine, ancora lungi dal terminare, sono all’esame degli inquirenti diversi appalti, non solo l’area Santa Giulia, sulla quale gravano anche sospetti di presenze camorriste nella movimentazione terra. C’è ad esempio un finanziamento a Grossi di oltre 30 milioni da parte della Regione come «paracadute» per la bonifica e poi la realizzazione di immobili nell’ex area Sisas di Pioltello. Oppure la bonifica e la conseguente realizzazione di un mega centro commerciale (oltre 100 mila metri quadrati, il più grande della Lombardia) presso l’area dell’ex zuccherificio di Casei Gerola. Tutti progetti sui quali stanno indagando gli investigatori che cercano di comprendere le connessioni con funzionari e politici della Lombardia. Non a caso, qualche settimana fa è stato interrogato per oltre 10 ore l’assessore all’ambiente Massimo Ponzoni, titolare di una società immobiliare insieme alla Gariboldi, all’assessore ai servizi Massimo Buscemi e l’ex assessore Giorgio Pozzi. Ponzoni sarebbe stato sentito anche in merito al piano Cave all’interno del quale sarebbero state riscontrate pesanti irregolarità.

Burton Morris
25-12-09, 22:21
"La Repubblica", VENERDÌ, 18 DICEMBRE 2009
Pagina 12 - Interni

Sui rom disubbidì alla Lega: rimosso il prefetto di Venezia
Cacciari: vendetta politica. Anche Galan critica Maroni
Al centro del caso il trasferimento di un gruppo di sinti in casette allestite dal Comune

ROBERTO BIANCHIN

DAL NOSTRO INVIATO


VENEZIA - Per uno «sgarbo» al ministro dell´interno, il prefetto perde il posto. Ha commesso l´»errore» di non opporsi all´insediamento di trentotto famiglie di nomadi in un villaggio di Mestre costruito appositamente dal Comune con una spesa di 2,8 milioni e duramente contestato dalla Lega. Per questo Michele Lepri Gallerano, 64 anni, napoletano, prefetto di Venezia da appena quattro mesi, è stato rimosso da Roberto Maroni. Per ora verrà collocato «fuori ruolo» presso la Presidenza del Consiglio. Poi, annuncia il Consiglio dei ministri, diventerà commissario dello Stato per la Regione Sicilia.
La motivazione ufficiale, all´interno di un vasto movimento di prefetti in tutta Italia, non parla del campo nomadi. Ma per il sindaco Massimo Cacciari, che giudica la rimozione «di una gravità eccezionale», è proprio questo che viene imputato al prefetto. «È stato rimosso per ragioni esclusivamente politiche, per una vendetta politica» dice. D´accordo anche il governatore veneto del Pdl Giancarlo Galan: «Mala tempora currunt. Mi colpisce assai negativamente la notizia che un bravo servitore dello Stato sia stato "burocraticamente" rimosso. Qualche volta è capitato anche a me di criticare qualche prefetto, ma non è mai accaduto che alle mie critiche facesse seguito un trasferimento». Dello stesso avviso un altro esponente del Pdl, il senatore Maurizio Saia, che parla di «sconcerto e preoccupazione», e di «motivazioni del tutto incomprensibili».
Tra l´altro, spiega Cacciari, il prefetto non avrebbe comunque potuto impedire l´insediamento dei nomadi, che era stato legittimamente deciso dal Comune specie dopo che il vecchio campo era stato dichiarato del tutto inagibile dall´Asl per «gravissime carenze igieniche e sanitarie». Il nuovo villaggio era stato autorizzato anche da sentenze del Tar e dal Consiglio di Stato in seguito ai ricorsi di alcuni comitati di cittadini contrari all´insediamento. Per questo il sindaco parla di «decisione indecente» da parte di una politica «rozza, intollerante e stupida», e di una «volgare vendetta politica che vuole colpire un funzionario dello Stato di provata lealtà, che non ha colpa alcuna».
Contro il nuovo villaggio, una serie di casette prefabbricate con la piazzola per le roulotte, in cui la scorsa estate erano stati trasferiti gli zingari di etnia sinti di un vecchio e fatiscente campo nomadi alla periferia di Mestre, si erano levati gli strali del Carroccio, che aveva inscenato diverse manifestazioni. E la presidente leghista della Provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto, aveva chiesto l´intervento del prefetto. «Mi ero fatta portavoce del ministro Maroni nella richiesta di un´ispezione per verificare le modalità di passaggio dalla vecchia alla nuova struttura, ma la mia richiesta era rimasta inevasa», spiega la Zaccariotto, che ora non piange certo per la rimozione del prefetto: «Evidentemente sono state fatte tutte le valutazioni e le verifiche del caso».
Insorge invece il centrosinistra. Per il Pd è una «decisione che sgomenta, volgare nelle forme e violenta nella sostanza politica». Iginio Michieletto, consigliere regionale del Pd, parla di «uso leghista del potere» che trasforma le istituzioni nel «braccio armato dei settori più xenofobi di un governo impegnato nella guerra a ogni pratica di umanità». Per l´esponente dei verdi Gianfranco Bettin, uno dei tre esponenti del centrosinistra candidati a succedere a Cacciari, è «la nuova intollerante casta padana che vuole dei podestà: al posto del federalismo preferiscono i federali». Per il Prc è «un ennesimo atto di prepotenza». E l´Idv annuncia che porterà il caso in Parlamento.

Burton Morris
25-12-09, 22:22
"La Repubblica", VENERDÌ, 18 DICEMBRE 2009
Pagina 13 - Interni

Camera, l´esercito degli incompatibili
In 47 con il doppio incarico. E la giunta "salva" altri 12 amministratori
Stanca (Expo) e e il democratico Colaninno giudicati invece compatibili

CARMELO LOPAPA
ROMA - Gli irriducibili della poltrona portano la fascia tricolore. E guai a chi glieli tocca: e la fascia, e lo scranno in Parlamento. Il comitato per le incompatibilità della giunta delle elezioni della Camera si è pronunciato a maggioranza (Pdl-Lega) in favore del mantenimento del doppio incarico degli otto presidenti delle province e dei quattro sindaci di città con più di 20 mila abitanti al contempo deputati. La legge dice che chi ricopre quelle cariche amministrative non può essere eletto in Parlamento (ineleggibilità), ma non prevede il contrario: l´onorevole può farsi dunque eleggere negli enti locali, anche i più grandi. Il fatto è che quella degli amministratori locali parlamentari inamovibili è solo una delle partite aperte a Montecitorio col partito del doppio incarico. Un esercito di 112 passati al setaccio. Ora i responsi.
Non solo amministratori locali, ma anche ad e consiglieri di società private e banche, assessori e consiglieri regionali. Tutti, tranne i sindaci e i presidenti di provincia, hanno mantenuto anche le doppie indennità finché hanno mantenuto le due poltrone. La giunta ha dichiarato incompatibili 47 deputati: 42 tra consiglieri e assessori regionali hanno dovuto lasciare la carica, da Viviana Beccalossi, assessore lombarda del Pdl a Francesco Laratta del Pd in Calabria, da Carlo Costantini abruzzese dell´Idv alla sottosegretaria veneta Francesca Martini, tra gli altri. Poi, ci sono i 5 deputati che sono stati pizzicati perché insigniti di pesanti cariche societarie. Incompatibili e hanno dovuto rinunciare: Gennaro Malgieri, Pdl, consigliere di amministrazione Rai, Nino Lo Presti, Pdl, del direttivo Aci di Palermo, Salvatore Ruggeri dell´Udc, nel cda di Mps Banca personale spa. Altri due hanno lasciato negli stessi giorni in cui stava per essere sentenziata dalla giunta la loro incompatibilità: i due pidiellini Michele Scandroglio, vicepresidente di Advancing Trade spa, e Ignazio Abrignani, presidente di Agripart spa. Altri 18 onorevoli sono stati più fortunati. Il loro doppio incarico societario è stato giudicato a maggioranza compatibile. Ad esempio Lucio Stanca, amministratore delegato dell´Expo 2015 di Milano, a dispetto delle polemiche, o il democratico Matteo Colaninno, ad della Omniaholding spa e consigliere di Omniainvest spa. Oppure, tra gli altri, i pidiellini Manuela Di Centa, in giunta Coni, e il vice presidente della Camera Maurizio Lupi, ad della Fiera di Milano spa. Altri 30 deputati hanno lasciato le loro cariche societarie prima che su di loro si abbattesse la scure.
Ma a far discutere, nelle prossime settimane, sarà soprattutto il via libera scontato in giunta al drappello di sindaci di grandi centri e presidenti di provincia. Grazie a un parziale vuoto normativo, che ora fa gioco a tanti. Maria Teresa Armosino, presidente Pdl della Provincia di Asti, Luigi Cesaro, presidente Pdl della Provincia di Napoli, Roberto Simonetti, presidente leghista della Provincia di Biella, Daniele Molgora, presidente leghista della Provincia di Brescia, Edmondo Cirielli (della famosa legge sulla prescrizione), presidente Pdl della Provincia di Salerno, Ettore Pirovano, presidente Pdl della Provincia di Bergamo, Antonio Pepe, presidente Pdl della Provincia di Foggia, Nicola Cristaldi, sindaco Pdl di Mazara del Vallo, Adriano Paroli, sindaco Pdl di Brescia, Marco Zacchera, sindaco Pdl di Verbania, Giulio Marini, sindaco Pdl di Viterbo. Anche al Senato, dove siedono sereni un presidente della Provincia (Cosimo Sibilia, pidiellino, ad Avellino) e tre sindaci, tra i quali il ministro Altero Matteoli, primo cittadino di Orbetello e il pidiellino sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli. Alla Camera, il presidente della giunta delle elezioni, Maurizio Migliavacca (Pd), annuncia che alla riapertura di gennaio il caso verrà portato all´esame della giunta plenaria. Ma «nel comitato è emerso l´orientamento maggioritario favorevole alla compatibilità - racconta Migliavacca - secondo un indirizzo inaugurato nella XIV legislatura e motivato con il fatto che nell´ordinamento italiano è assente un´esplicita norma di legge che preveda l´incompatibilità». Il precedente che ha fatto scuola riporta al sindaco di Palermo Diego Cammarata, che nel 2001-2006 venne lasciato al suo scranno di deputato forzista.

Burton Morris
25-12-09, 22:22
"La Repubblica", VENERDÌ, 18 DICEMBRE 2009
Pagina 14 - Interni

Formigoni contro i giudici: "Prosperini è persona limpida"
Il gip: l´assessore aveva debiti elettorali con alcune tv
I soldi dovuti alle emittenti sono stati abbuonati con un sistema di fatture gonfiate
L´accusa: una tangente da 230 mila euro in cambio un appalto da 7 milioni

ANDREA MONTANARI
MILANO - Il giorno dopo l´arresto per corruzione e turbativa d´asta dell´assessore lombardo al Turismo e allo Sport Piergianni Prosperini del Pdl, il governatore Roberto Formigoni attacca i magistrati. «Almeno per le carte che conosco - accusa - l´arresto di Prosperini non mi sembra motivato. Non sono preoccupato. Non credo che sarà facile per i magistrati dimostrare la sua colpevolezza. Come è noto è il magistrato inquirente che deve dimostrare la colpevolezza dell´indagato e non viceversa». L´assessore che da mercoledì si trova nel carcere di Voghera è accusato di aver preso una tangente di 230mila euro in cambio della concessione di un appalto da 7 milioni di euro per promuovere il turismo lombardo su alcune emittenti televisive private. Ma Formigoni insiste: «Tutti sanno che se c´è una persona che appare limpida e trasparente, che ha la passione della politica, e che ci mette del suo, è proprio Prosperini. È e resta innocente fino alla dimostrazione del contrario. È giusto che la magistratura compia il suo corso, ma mi auguro che sia molto rapido, perché il momento è delicato».
Nelle stesse ore in cui il suo assessore veniva arrestato, infatti, l´ufficio di presidenza del Popolo delle Libertà ufficializzava la ricandidatura per la quarta volta di Formigoni alla guida la Lombardia. Ma c´è di più. Nell´inchiesta dei pm di Milano Alfredo Robledo e Massimo Storari, l´assessore è chiamato in causa anche per alcuni debiti pregressi per circa 200 milioni con le emittenti lombarde Telelombardia e Telecity, poi abbuonati attraverso un sistema di fatture gonfiate.
Il presidente della Provincia di Milano e coordinatore lombardo del Pdl Guido Podestà, però, parla di «giustizia a orologeria» ed evoca addirittura lo spettro di Tangentopoli. «Quando - sostiene - c´era un abuso evidente della custodia cautelare e in media su dieci arrestati solo uno alla fine veniva condannato».
Oggi, come chiesto a gran voce da tutta l´opposizione di centrosinistra, il Consiglio regionale si riunirà in sessione speciale per fare il punto su una vicenda che sembra di fatto aver riaperto in Lombardia una questione morale. Ci sarà anche Formigoni, che ieri ha assunto ad interim le deleghe di Prosperini. L´assessore arrestato, invece, oggi incontrerà in carcere il suo difensore, l´avvocato Ettore Traini, mentre l´interrogatorio di garanzia davanti al gip Andrea Ghinetti, potrebbe slittare a domani.
Il segretario regionale del Pd Maurizio Martina sposa la linea garantista, ma non fa sconti al governatore lombardo. «Formigoni non può chiamarsi fuori - incalza - Deve spiegare. È lui che ha dato la delega a Prosperini. Non prestiamo il fianco alla demagogia, ma vogliamo chiarezza e tempestività». Rifondazione Comunista denuncia che «in Lombardia si è ormai aperta una questione morale grande come una casa, che deriva da quindici anni di occupazione del potere». L´ex sottosegretario socialista Bobo Craxi ironizza ipotizzando che Prosperini sia stato «inesorabilmente punito dalla legge del contrappasso. Mi ricordo quando maramaldeggiava sui suoi avversari all´epoca di Mani pulite».
Se nel centrodestra il Pdl fa quadrato su Prosperini, la Lega tace e ieri si è molto irritata quando il presidente del consiglio regionale della Lombardia Giulio De Capitani, esponente di spicco del Carroccio, ha espresso la «sua solidarietà personale» all´assessore arrestato.

Burton Morris
25-12-09, 22:28
"La Repubblica", VENERDÌ, 18 DICEMBRE 2009
Pagina 15 - Interni

Dalle intercettazioni della Finanza emerge un sistema di appalti e tangenti
Gianni il boss dell´etere: "Se non sono in onda non rinnovo quei contratti"
Prosperini vuole che gli investimenti pubblicitari vadano alle tv che lo ospitano nelle tribune elettorali e passano i suoi spot

WALTER GALBIATI
MILANO - Il sistema Prosperini. Soldi pubblici per ottenere tangenti e promozioni elettorali gratuite o a basso prezzo. L´ordinanza del giudice Andrea Ghinetti e le intercettazioni della Guardia di Finanza ricostruiscono i motivi per cui il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il sostituto Paolo Storari hanno chiesto l´arresto dell´assessore regionale al Turismo e allo Sport, Pier Gianni Prosperini, del consulente della Regione, Massimo Saini, e del numero uno del gruppo Profit (Odeon Tv e Telereporter) Raimondo Lagostena.
I poteri della sfera magica
Per riuscire ad assegnare al gruppo Profit l´appalto da 7,2 milioni di euro per la promozione turistica della Lombardia, Prosperini, che secondo il gip maneggiava i fondi della Regione come fosse «un boss», aveva deciso di ricorrere alla collaborazione di Massimo Saini. Il contratto 2008-2010 viene assegnato al consorzio Pubblicis/Profit e la società Prillo Comunicazione di Saini si aggiudica una consulenza per 78mila euro. L´arma vincente di Saini emergerebbe dalla conversazioni intercettate. Tre mesi prima del bando, cioè nel febbraio 2007, Saini sarebbe venuto in possesso del piano di gara e in particolare della bozza di capitolato speciale d´oneri, contribuendo addirittura a redigerlo. Sono chiare le parole intercettate il 26 febbraio 2007 in una telefonata tra Giampiero Viotti, dirigente Sistemi turistici e progetti della Regione Lombardia, e Giuseppina Valeriano.
Viotti: «No perché io ho parlato con Massimo (Saini), mi ha detto che lui ha visto il bando, adesso io non lo so come ha fatto a vederlo, mi ha detto manca questo manca quell´altro». Valeriano: «Ma no guarda il bando non è ancora stato pubblicato». Viotti: «Ma, non lo so, lui mi ha detto che l´ha visto». Valeriano: «L´ha visto con i poteri della sfera magica». Viotti: «Gli ho detto senti guardalo, se c´è qualcosa che non va, dillo subito che va modificato per renderlo intelligibile». Valeriano: «Strano però da chi l´ha ...». Viotti: «L´ha avuto sicuramente ...è andato a prenderlo da Lambicchi o qualcuno glielo ha fatto vedere». Roberto Lambicchi è vicario del direttore generale presso l´assessorato Tursimo e Sport.
«I soldi devono andare alle televisioni»
Pur avendo presentato un piano che avrebbe dovuto favorire i nuovi mezzi di comunicazione, Prosperini vuole che gli investimenti pubblicitari siano indirizzati alle televisioni che lo ospitano nelle tribune politiche e che passano i suoi spot elettorali. «Alle televisioni - si legge nell´ordinanza - vengono destinati nel 2008 oltre due milioni di euro, cioè 5 volte in più rispetto al budget previsto per l´intero biennio. Lo stesso discorso vale per la radio. Il desiderio di Prosperini si capisce da una telefonata con Saini del 19 febbraio 2008, in cui l´assessore vuole una preponderanza del mezzo televisivo. Prosperini: «Tutto deve rimanere come l´anno scorso». Saini: «Assolutamente». Prosperini: «Voglio che ci sia una preponderanza della comunicazione di quel tipo, capito?».
«I debiti in totale erano 200mila»
Dalle intercettazioni si capisce che i fondi regionali per la pubblicità sono stati destinati anche a coprire i debiti personali di Prosperini con le emittenti locali, debiti contratti «per veicolare la propria immagine sul pertinente territorio elettorale». Lambicchi: «Ho parlato col boss (l´assessore ndr)». Saini: «Eh...». Lambicchi: «Mi ha detto che lui voleva ... deve .... allora sono Telelombardia e Telecity... 100-100». In totale 200mila euro. Vengono ripianati gonfiando i costi delle prestazioni.
Il potere di Prosperini
La forza di Prosperini emerge da una intercettazione del 28 gennaio 2008 con Sandro Parenzo, patron di Telelombardia e Antenna Tre. Prosperini: «Ascolta! ottobre, nonostante gli accordi, non sono venuto, novembre non sono venuto, dicembre una volta, gennaio un cazzo. Cosa devo, come devo prenderla? Eh adesso dobbiamo fare, devo fare il rinnovo dei cosi, dei contratti, non so...se non voi non state mai ai patti, perché devo starci io?». Parenzo: «Provvederemo».
Un potere tanto forte da imporre anche la cacciata dallo schermo dell´ex alleata e amica Carla De Albertis. «Il nostro interlocutore - ha messo a verbale il direttore generale di Profit, Anna di Sabato - è sempre stata Carla De Albertis, ma poi a causa dei litigi tra lei e Prosperini, la De Albertis non ha potuto fornire alcuna prestazione a Profit group. Lei chiese di fornire le prestazioni ma io personalmente le risposi che eravamo in imbarazzo in quanto Prosperini aveva detto che non la voleva più nemmeno sentire o vedere».
«C´è l´accordo tra l´editore e il dottore»
Radio Reporter si è vista assegnare incarichi per un importo complessivo di 72 mila euro, in quanto si è impegnata a mandare in onda gratuitamente interviste telefoniche di Prosperini della durata di 3 minuti. Saini: «Io quello che ti dico è che ho incontrato l´editore (di Radio reporter) con il dottore e hanno stretto un accordo. Se te senti il dottore, il messaggio è: non chiedetegli un tubo».

Burton Morris
25-12-09, 22:28
Governo Italiano - Rassegna stampa (http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=41765127)



I PARTITI? SPENDONO 100 MILIONI E INCASSANO 500

Da "IL SOLE 24 ORE" di venerdì 18 dicembre 2009

Costi della politica. Corte conti sul voto 2008: i rimborsi elettorali sono diventati un finanziamento strutturale

Mariolina Sesto

27-28 marzo x.994) le spese soste- l`anno scattata con la Finanziaria zionipolitiche, 3 europee e3 regioROMA nute dai partitisi sono triplicate Prodi per il 20o8: «Questo prov. nali), 2,2 miliardi di giuro i rimbor..~_~;

Spendi i curo e te ne rimbor- passando da 36 milioni ano mi- vedimento - è il commento dei si incassati dai partiti.

sano 4.5. Così funziona il sistema lioni mentre i rimborsi elettorali giudici contabili - costituisce un Quanto alle spese sostenute dei contributi statali pericostiso- riconosciuti dallo Stato di sono segnale di chiara volontà di con- nell`ultima tornata di politiche, stenuti dai partiti durante le cam- decuplicati passando da47 milio- tenimento delle spese pubbliche quella del 2008, la Corte non ha pagne elettorali. A denunciarlo è ni a 503 milioni. Due - sottolinea ma non elimina l`esigenza di cor- ravvisato sforamenti dei tetti di la Corte dei conti nel rapporto sul- la Corte - sono state lenormati- relare, almeno in parte, l`ammon spesa previsti per legge. Emergole elezioni politiche 2008 trasmes- ve che hanno fatto gonfiare ilfor- tare del contributo statale alle no però notevoli differenze nel so ieri alla Camera. Io totale ipar- ziere statale in favore delle for- spese elettorali effettivamente volume di fondi impegnati dai titihanno certificatospese perno mazioni politiche: innanzitutto sostenute dai partiti». partiti. SeilPdlcerti-fica53,6miliomilioni di euro e nehanno incassa- la legge del 2002 che ha elevato Impressionanti i totali radino- ni di curo di spese per manifesti e ti 503. Un bell`affare. Che spinge i da 4tnila lire a 5 curo il contribu- lati nei 15 anni: 579 i milioni di eu- cene elettorali, il Pd si contiene inmagistrati contabili a trarre le se- to calcolato per ogni cittadino rospesi peraffrontare leucampa- vestendo una cifra tre volte infeguenti conclusioni: «Quello che iscritto nelle liste elettorali per gne elettorali del periodo (5 ele- riore 18,4 milioni. Cospicuo, se viene normativamente definito le elezioni della Camera. Come commisurato al peso elettorale contributo per il rimborso delle se non bastasse, a questo regalo AUMENTO ESPONENZIALE del partito, anche l`esborso spese elettorali è, in realtà, un ve- si aggiunge quello della leggina dell`Udc: i5,7milioni. Benpiù conro e proprio finanziamento», che riconosce il versamento del Dal `94 al 2008 i contributi tenuti i budget messi in campo da Ancora più sorprendente è il rimborso anche quando la legi- sono decuplicati ldv e Lega: rispettivamente 3,4 e trend storico degli ultimi 15 anni. slaturasi interrompe in anticipo. All`ultima tornata nazionale `9milioni. in tutti icasi quisquiDallaprùnaconsultazione eletto- Unico segnale in controtenden- lie rispetto ai contributi intascati rale sottoposta al controllo della za - annota ancora la Corte - è la il Pdl ha speso risorse dopo, a spese di tutti i cittadini.

Corte (le elezioni politiche del riduzione di zo milioni di curo tre volte superiori al Pd :,EFtE_1,;,;, Si allarga la forbice tra spese e contributi elettorati Valori in milioni di euro Spese riconosciute Politiche Europee . Regionali ; Politiche 27 28 12 23 21 marzo giugno aprile aprile 1994 1994 1995 1996 36,26 15,59 7,07 19,81 Fa, Contributi statali Europee Regionali i PolitiE:be ; Europee 13 16 13 12-13 giugno aprile maggio giugno 1999 2000 2001 2004 39,74 28,67 49,65 87,24 Regionalf ` Politiche 3 4 e 17-19 9-10 aprile aprile 2005 2006 61,93 122,87 Politiche 13-14 aprile 2008 110,12 tl1P I 46,91 23,45 Fonte: Corte dei conti 22 29,72 46,91 86,52 85,88 246,62 208,38 .

Burton Morris
25-12-09, 22:29
"La Stampa", 19 Dicembre 2009, pag. 18

IL CASO DELL’ASSESSORE LOMBARDO FINITO IN CARCERE


L’amministratore della Cantieri Navali Vittoria in procura: «Erano tangenti»


Prosperini, un milione di euro per i pescherecci all’Eritrea


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PAOLO COLONNELLO
MILANO


La domanda è: perché mai l’assessore regionale allo Sport e Turismo Piergianni Prosperini, finito in carcere l’altro ieri con l’accusa di corruzione, gestiva attraverso fiduciarie ben cinque società off-shore tra l’Austria e la Svizzera? Un po’ troppe per ricevere la ricca ma isolata tangente da 230 mila euro che l’imprenditore televisivo Lagostena Bassi gli versò tre mesi dopo aver ricevuto l’appalto da 7 milioni dalla Regione per gestire la campagna sul turismo in Lombardia. E allora? La risposta sta nascosta in un verbale di un industriale italiano, l’amministratore della Cantieri Navali Vittoria che racconta di aver versato al leader della corrente Nordestra finito in carcere quasi 1 milione di euro in tangenti.
L’uomo è stato sentito tempo fa in Procura nell’ambito di un’indagine parallela sulle strane attività del «colonnello eritreo» Prosperini, insignito del grado e del comando dell’esercito africano dal feroce dittatore Isaias Afewerki. Il manager viene convocato dopo che i pm hanno scoperto che la sua società ha pagato fatture per almeno 800 mila euro a una società-schermo svizzera di tale Domenico Scarfò, che nell’ordinanza di arresto per Prosperini viene indicato come il suo fiduciario e che davanti ai magistrati svizzeri ha già ammesso di essere il prestanome dell’assessore lombardo.
All’inizio del suo interrogatorio, l’industriale nautico, come rivela anche l’Espresso on line, racconta di aver pagato una regolare mediazione internazionale per vendere 8 modernissimi pescherecci al regime eritreo. Ma quando i magistrati gli mostrano i documenti che dimostrano il passaggio dei soldi da una off-shore all’altra tutte intestate al solito fiduciario di Prosperini, l’industriale vuota il sacco e ammette che quei soldi altro non sono che una tangente camuffata con false fatture. Per formalizzare l’accordo, dice il manager, era stato convocato nel 2005 a Milano, nell’ufficio dell’assessore dove di solito facevano anticamera decine d’imprenditori desiderosi di fare affari con la dittatura eritrea e dove si erano accampati anche gli emissari del governo africano.
L’attività del mediatore Prosperini evidentemente rendeva bene: ieri gli uomini della Guardia di Finanza gli hanno sequestrato su 5 conti italiani presso Intesa San Paolo, altri 250 mila euro. E oggi, quando verrà interrogato a San Vittore, l’assessore dovrà iniziare a dare qualche spiegazione.

Burton Morris
25-12-09, 22:29
"La Stampa", 19 Dicembre 2009, pag. 18

IL GOVERNATORE IN AULA


E Formigoni lo difende: «Anche Stasi sembrava colpevole»


Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha ribadito ieri la propria stima nei confronti dell’ex assessore regionale al Turismo Pier Gianni Prosperini, invitando l’opinione pubblica «a seguire con attenzione e con quel tanto di distacco che impedisce di appassionarsi a cause che finiscono per rivelarsi perse». Il governatore ha poi citato espressamente il caso di Alberto Stasi, «indicato prima come colpevole e infine assolti in Tribunale».

Burton Morris
25-12-09, 22:29
"La Repubblica", SABATO, 19 DICEMBRE 2009
Pagina 12 - Interni

Saltato il sistema
Il presidente siciliano Lombardo attacca Schifani e Alfano: "Vado avanti con la nuova giunta"
"Temo questo clima, in Sicilia si spara ma farò saltare i privilegi come Milazzo"
Hanno capito che si è rotto il giocattolo, mi attaccano perché ho fatto saltare il sistema su rifiuti e sanità

CARMELO LOPAPA
PALERMO - «Stanno cercando di abbattermi con ogni mezzo. Con la politica hanno capito che sarà dura. Non ho paura, vado avanti determinato, ma temo questo clima da istigazione all´odio nei miei confronti. Qui non siamo a Milano, dove al massimo ti tirano una statuetta del Duomo. In Sicilia purtroppo i nemici vengono abbattuti anche a cannonate. Qui si spara». Alle 7,15 del mattino il governatore siciliano Raffaele Lombardo è uno dei tanti passeggeri di un low cost Roma-Palermo. Solo un po´ più sveglio e reattivo.
Fila corridoio, nessuno al seguito, è reduce da un faccia a faccia col presidente della Camera Gianfranco Fini (e poi con Tremonti), avuto proprio nelle stesse ore di giovedì in cui il presidente del Senato Schifani lanciava il suo anatema contro i trasformismi e l´ipotesi di ribaltone nella «sua» isola. Ovvero, la ventilata e ormai prossima intesa di Lombardo con il Pd e i "ribelli" di Micciché per dar vita a un governo delle riforme. Un cauto via libera all´operazione da parte di Fini è solo un´indiscrezione che il governatore si limita a non smentire.
Presidente Lombardo, per la seconda carica dello Stato state preparando un ribaltone trasformista che tradirà la volontà degli elettori.
«Che vergogna, vedere un presidente del Senato che, anziché tenersi al di sopra delle parti, interviene come un capofazione su una vicenda siciliana alla quale non riesce a disinteressarsi».
Sostiene di essere arbitro e dunque di voler vedere rispettate le regole.
«Proprio lui che predica intese e riforme a Roma, perché poi si scopre tutore di una pseudo ortodossia di centrodestra, nella sua regione? La verità è che il presidente Schifani e il ministro Alfano sono nervosi, perché hanno capito che è finita».
Finita cosa?
«Hanno capito che si è rotto il giocattolo. Che ho fatto saltare un sistema di interessi, privilegi, favori e che in Sicilia ruotava attorno ai due più grossi affari: i rifiuti, con la scelta esclusiva e strana dei termovalorizzatori per risolvere l´emergenza; e la sanità, che con i macigni ereditati dal recente passato ci stava portando alla bancarotta».
Sembra che i suoi guai siano iniziati proprio con la scure sulla sanità privata.
«Scelte drastiche ma che andavano fatte. Il vero ribaltone lo hanno fatto quei due, il Guardasigilli Alfano e il presidente Schifani. Da quando hanno insediato il loro uomo alla guida del Pdl, Giuseppe Castiglione, è un continuo darmi addosso. Col risultato che hanno mandato per aria la giunta e spaccato in due il Partito. Complimenti».
Guardi, presidente, che non sono solo loro. Ora anche i coordinatori nazionali del Pdl la invitano a ripristinare la vecchia maggioranza. Il ministro Alfano dice che per rilanciare la Sicilia sarà necessario che lei si faccia da parte.
«Trovo inquietante che il ministro della Giustizia riservi toni ultimativi alla mia esperienza di governo. Se risulto così nocivo, perché non ci hanno pensato un anno e mezzo fa. Quanto ai coordinatori, sappiano che io non faccio ribaltoni e non tradisco alcun elettore. Voglio realizzare le riforme, se anche il Pdl ci starà, ben venga. In ogni caso le condurremo in porto con le forze politiche responsabili che ci staranno».
Cioè col Pd. Sia Schifani che Alfano hanno suggerito all´opposizione di sottrarsi alla tentazione dell´inciucio.
«Ma quale inciucio. A loro piacerebbe un´opposizione accondiscendente col governo. Ma sia io che Bersani resteremo anche in Sicilia ognuno nella propria casa. Siamo invece d´accordo sulla opportunità di incontrarci a metà strada, sul terreno delle riforme appunto».
Il vero regista dell´operazione viene ritenuto da molti Massimo D´Alema, col quale ha cenato a Palermo poche settimane fa. Il patto della spigola, l´hanno battezzato.
«Nessun patto, con D´Alema c´è un rapporto consolidato nel tempo. Nutre un significativo interesse nei nostri confronti».
Dunque nuova giunta con assessori democratici?
«Il nuovo governo regionale che nascerà tra Natale e Capodanno non avrà alcun assessore del Pd. La giunta sarà quasi tutta confermata, ma saranno nuove le competenze. I democratici garantiranno un sostegno esterno».
Per fare cosa? Lei parla genericamente di riforme.
«Realizzeremo due grandi progetti. Metteremo mano al sistema dei rifiuti, i cui danni devastanti sono sotto gli occhi di tutti, e rivoluzioneremo la burocrazia. O si fa questo o la Sicilia è votata al fallimento. Gli elettori lo sanno, per questo stanno dalla mia parte».
Presidente Lombardo, confessi, lei sogna di diventare il Silvio Milazzo del terzo millennio. Come allora col milazzismo, governo degli opposti e la Dc (oggi il Pdl) all´opposizione. È così?
«Perché, cosa c´era che non andasse in Milazzo. Gran persona per bene e ottimo amministratore. Aveva capito già allora che destra e sinistra sono finzioni. Che conta il buon governo e che l´unica vera alternativa è un governo forte e autonomista. Quello ha realizzato e io quello intendo fare».

Burton Morris
25-12-09, 22:30
"La Repubblica", SABATO, 19 DICEMBRE 2009
Pagina 15 - Interni

Veneto, la corsa a ostacoli della Lega per archiviare la "Galassia Galan"
I rivali del governatore uscente sostengono che in 15 anni di regno sono stati "blindati" la sanità e gli appalti
Gli ispettori di Tremonti a caccia di sprechi. Deficit record nella Asl di Rovigo: 279 milioni per soli 180 mila assistiti

ALBERTO STATERA

«La Lega al governo del Veneto? Potrà assumere soltanto gli imbianchini», ridacchia Franco Frigo del Pd, presidente della Regione tra il 1992 e il 1993. Perché il "Sistema Galan", durato tre lustri, «si è accaparrato tutte le concessioni per i prossimi trent´anni». Ovunque: nella sanità, nei lavori pubblici, nelle grandi opere. Una galassia ora al capolinea, nonostante i tentativi di ingegnerie politiche che pullulano in queste ore, pur di non lasciare campo libero a Bossi che esercita in Veneto la golden share rilasciata da Berlusconi.
Pierferdinando Casini è quotidianamente in viva voce con Antonio De Poli, il suo uomo a Venezia. Francesco Rutelli, leader della neonata Api, garantiva ieri sera da Roma di avere «notizie incoraggianti su Galan», che già da un anno parla di una nuova formazione «civica» per ricandidarsi contro il volere di Bossi e Berlusconi, pur di non far tornare il Veneto a Vandea d´Italia, con i leghisti che - parola del governatore uscente - «usano toni e parole di una volgarità indegna, a tratti bestiale».
Ma l´operazione "Salvate il soldato Galan", lanciata l´estate scorsa dall´ex sindaco di Venezia ed ex ministro di Prodi Paolo Costa, non sembra decollare. «Certo, se Galan si mettesse con l´Udc, con la nuova ditta Rutelli-Dellai-Tabacci e avendo la sostanziale benedizione di Cacciari - calcola il senatore democrat padovano Paolo Giaretta - potrebbe forse mettere insieme un 15% e aprire nuovi scenari non solo locali. Ma se uno il coraggio non ce l´ha non se lo può dare». Concorda Tabacci, nonostante l´ottimismo di Rutelli, avvertendo che il fuoco si può tentare di farlo solo con la legna che si ha. Come dire che quella di Galan è piuttosto umida.
Più che il coraggio, per la verità, al recalcitrante governatore uscente, antico pupillo di Marcello Dell´Utri in Publitalia, manca la volontà. Detto il Colosso di Godi, per la statura imponente e le abitudini goduriose, che oscillano tra le battute di pesca e gli ozi nella villa di Cinto Euganeo con la fresca consorte, la figlia neonata e le sue rose, in un libro-intervista proclamò che l´idea di fare il ministro la considerava «una sciagura». Se mai, gli piacerebbe fare il presidente dell´Enel, delle Poste o di una banca. Peccato che nessuno gli ha offerto niente. Anzi, se il candidato governatore sarà Luca Zaia, Bossi ha già avvertito che la Lega mollerà il ministero dell´Agricoltura se vincerà non solo in Veneto, ma anche in Piemonte. Sindaco di Venezia al posto di Cacciari? Figurarsi se nelle calli passa un padovano.
«E´ una fesseria dire che un ministro conti più di un presidente di Regione», che il governatore uscente considera «il più bel mestiere del mondo». Per tenersi il sultanato e coccolare la macchina di potere che ha costruito in tre lustri, ha litigato con quasi tutti nel suo partito, da Claudio Scajola a Fabrizio Cicchitto, da Mario Valducci a Renato Brunetta. E persino del capo ha detto che «ogni tanto sbaglia nella scelta delle persone». Come in quella di Aldo Brancher, ex religioso e potente uomo di collegamento tra Pdl e Lega, che ha definito «un uomo senza qualità e con tanti peccati». Mal gliene incolse.
Giulio Tremonti, che del Carroccio è il deus ex machina in seconda, dopo decine di inchieste giudiziarie, ha mandato gli ispettori a spulciare nel cuore del sistema galaniano di potere: la sanità. Ne è uscito un quadro raccapricciante da Belluno a Padova, da Verona a Venezia.
L´Asl di Rovigo, per dirne una, ha un record rispetto al numero degli assistiti, che sono solo 180 mila: 279 milioni di buco messi insieme in un quinquennio dal fedele Adriano Marcolongo, che ha tuttavia continuato a ricevere «premi di risultato». Gli ispettori di Tremonti nel vicereame del direttore generale della Sanità Giancarlo Ruscitti hanno scoperto «gravi e numerose irregolarità negli appalti, illegittimi affidamenti di contratti a trattativa privata, eccessivo ricorso a forniture senza gara pubblica, artificioso frazionamento degli importi per restare sotto le soglie di legge».
Poi c´è il boom delle consulenze esterne, con avvocati e professionisti di ogni genere pagati ancor prima dell´incarico e «rapporti illegittimi con le cliniche private». Ruscitti è l´uomo che è riuscito a far litigare Galan persino con il papa. Sì proprio Ratzinger, che gli fece fare anticamera, rifiutando infine di incontrarlo. «Ruscitti, che gode di molte entrature in Vaticano - ha raccontato il governatore al suo biografo Paolo Possamai - ha scoperto che non sono stato ricevuto perché non sono sposato con Sandra». Poi subitamente impalmata con la benedizione di Silvio Berlusconi in persona. Il prossimo governatore leghista dovrà ora vedersela sulla sanità anche con il patriarca di Venezia Angelo Scola, assai sensibile al sistema sanitario Comunione e Liberazione, che prevale in Lombardia con Formigoni.
Ma vale più la sanità, nel quindicennale potere galaniano che il futuro governatore leghista dovrà scalare pezzo per pezzo, o gli appalti per i lavori pubblici? «Sugli appalti hanno lavorato tutti insieme appassionatamente», con scarsa soddisfazione dei molti esclusi, ci ha detto Massimo Calearo, l´imprenditore vicentino portato da Walter Veltroni in Parlamento e adesso passato all´Api di Rutelli. E´ un ticket potentissimo che schiera Pier Giorgio Baita della Mantovani, Impregilo, Maltauro, Ingui, lo studio Altieri, Marchi all´aeroporto e via cantando. Non c´è appalto pubblico di qualche rilievo che non transiti dalle loro mani. Tanto che, come dice Frigo, Zaia o chi per lui, nei prossimi trent´anni potrà soltanto assumere imbianchini. Tanto più che né Zaia, nè alcun altro leghista risponde all´identikit del suo successore tracciato dal Colosso di Godi: «Coraggioso, capace di vedere lontano, con adeguata cultura politico-istituzionale».
Requisito essenziale, infine: aver letto Tocqueville e Bobbio. Ma Galan, che dice di averli letti, resisterà probabilmente alle sirene liberali che lo vogliono far correre libero per le nuove praterie politiche. Meglio essere con chi governerà anche senza Tocqueville, almeno per difendere dall´estinzione tutto il potere della Galassia Galan.


a. staterarepubblica. it

Burton Morris
25-12-09, 22:30
L' eclettico Poletti dalla politica al folk (http://archiviostorico.corriere.it/2009/dicembre/19/eclettico_Poletti_dalla_politica_folk_co_9_0912191 13.shtml)

fil di rete
L' eclettico Poletti dalla politica al folk





N on c' è dubbio: questa settimana, il momento televisivo più «caldo» è appannaggio dell' emittente lombarda Antenna 3 con l' arresto in quasi-diretta di Pier Gianni Prosperini nel corso della trasmissione Forte & Chiaro condotta da Roberto Poletti. Di Prosperini si è scritto molto, meno di Poletti. Che è un personaggio molto noto nell' emittenza locale, con continui passaggi fra Telelombardia, 7 Gold, Antenna 3 (un anno, ha cambiato ben cinque emittenti), è stato anche direttore di Radio Padania Libera, la radio del Carroccio. Personaggio eclettico, ha condotto persino una trasmissione sul paranormale ospitando spesso in studio l' ex deputato Alessandro Meluzzi, prima della conversione (una delle tante). Ha anche inventato (lui nato a Feltre) un programma di riscoperta del folk milanese Tutt' altra musica, «dove tra una canzone di Enrico Musiani, e una dei Cantamilano, tra l' immancabile Madonnina, e Quando sona i campan, le «sue» Sciure Marie passano allegramente la serata ballando e danzando spensierate. In realtà, anche Poletti è un ex deputato: candidato indipendente nella lista dei Verdi, entra alla Camera nel febbraio del 2006. L' abbandona poi in diretta tv (un vizio), prima della caduta del governo Prodi, dichiarando pubblicamente di vergognarsi di guadagnare uno stipendio tanto generoso senza la possibilità di far niente in Parlamento. Lo stile di Poletti è molto immediato, tenacemente «dalla parte della gente», a cui è legato da cordone telefonico, sempre on line, o dai fax e ora dalle mail. Doveva essere l' erede di Daniele Vimercati, doveva essere l' erede di Gianfranco Funari. Ma una biografia lo descrive solo come il «giornalista che fa volare le casalinghe di Voghera tre metri sopra il cielo». Poi l' ultimo colpo di scena: Prosperini sta per essere arrestato ma finge tranquillità. Ma allora, il telefono dice la verità solo se intercettato?

Burton Morris
25-12-09, 22:30
Il procuratore: intercettate E intercettano anche lui (http://archiviostorico.corriere.it/2009/dicembre/19/procuratore_intercettate_intercettano_anche_lui_co _8_091219017.shtml)

La stori/Catania, il magistrato ascoltato sulla linea che il suo ufficio controllava. Indagato per abuso d' ufficio


Il procuratore: intercettate E intercettano anche lui
Pagati dal Comune in rosso gli affitti alla moglie della toga Al telefono Al vaglio della Guardia di Finanza i colloqui con il ragioniere capo del Comune Le indagini Il magistrato è indagato a Messina assieme a Francesco Bruno






[COPYRIGHT[/COPYRIGHTCATANIA - E' finito nelle intercettazioni telefoniche disposte dal suo stesso ufficio ed ora è indagato dalla procura di Messina. Una situazione paradossale quella che coinvolge il procuratore di Catania Enzo D' Agata, chiamato a rispondere per alcune telefonate con il ragioniere capo del comune Francesco Bruno che è anche uno degli indagati nell' inchiesta per il buco di bilancio che coinvolge 40 tra ex amministratori e funzionari. La storia di Catania in bolletta, con le strade al buio perché non aveva soldi per pagare l' Enel e centinaia di altri fornitori, a suo tempo diventò un caso nazionale anche perché fu necessario l' intervento del governo Berlusconi che inviò 140 milioni per evitare la bancarotta. Sulla vicenda la magistratura aprì un' inchiesta affidata proprio dal Procuratore D' Agata ai suoi Pm Giuseppe Gennaro, Francesco Puleio e Andrea Ursino che a loro volta hanno sequestrato atti, disposto perizie e anche intercettazioni telefoniche. Ma la sorpresa è arrivata quando tra gli atti depositati sono saltate fuori le intercettazioni della Guardia di Finanza con le telefonate tra il ragioniere capo e il procuratore D' Agata. Si è così scoperto che l' alto magistrato è indagato a Messina. Alcuni mesi fa nel momento in cui i Pm hanno ricevuto le intercettazioni hanno informato il procuratore generale Giovanni Tinebra che a sua volta ha dato via libera a trasmettere gli atti a Messina competente per le inchieste in cui sono coinvolti magistrati catanesi. E così Bruno e D' Agata sono finiti nel registro degli indagati della procura di Messina. L' ipotesi di reato per il primo sarebbe di falso ed abuso d' ufficio mentre a D' Agata verrebbe contestato l' abuso d' ufficio. Nell' autunno 2008 sono diversi i contatti telefonici tra i due che in una circostanza si sarebbero pure incontrati nell' ufficio del procuratore. «Mi ha parlato bene di lei il dottor Gennaro (un dei pm dell' inchiesta ndr) - dice D' Agata- la vorrei incontrare». E poi ci sono anche le telefonate tra Bruno e suoi stretti collaboratori dalle quali, sempre secondo l' accusa, emergerebbe che si sarebbe prodigato per far pagare delle somme dovute alla moglie e alle cognate del procuratore D' Agata per un immobile dato in locazione al Comune. Da notare che in quel periodo (nonostante Berlusconi avesse da poco deciso di staccare l' assegno da 140 milioni) erano ancora centinaia i creditori che bussavano alla porta del municipio mentre per le locazioni fioccavano gli sfratti. Tra i tanti creditori anche i congiunti del procuratore per le quali il Comune onorò il debito, pare intorno a 50 mila euro. E questo grazie ad una certificazione (che secondo l' accusa è falsa) messa a punto da Bruno il quale attestava che «parte dell' immobile è saltuariamente utilizzato anche a deposito per esigenze di giustizia». Certificazione che creò di fatto una corsia preferenziale per il pagamento, in quanto permetteva di attingere a fondi inviati al Comune per le spese necessarie al funzionamento degli uffici giudiziari catanesi. Tra l' altro sarebbe stato lo stesso procuratore ad interessarsi presso il ministero per accelerare l' arrivo delle somme dovute a Catania, circa due milioni di euro. Ma ci sono anche altre telefonate. In una il procuratore D' Agata si informa su una vicenda che riguarda «mio cugino Tamburino che mi sta tormentando». Tutte telefonate fatte tra settembre e novembre del 2008, cioè qualche mese dopo che sui giornali era uscita la notizia dei 40 indagati per il buco di bilancio. Dunque il procuratore sapeva che stava parlando con un indagato, e quindi che era intercettato. Ma al di là dei profili penali la vicenda è molto imbarazzante e sta rendendo incandescente il clima a Palazzo di Giustizia. Il procuratore D' Agata si dice «assolutamente sereno tanto che sono stato io stesso a sollecitare l' invio degli atti a Messina» anche se a qualcuno ha detto di sentirsi vittima di un colpo basso. In relazione al pagamento del comune «si tratta di una questione tecnica molto complicata e sono stati sovrapposti argomenti diversi. In base alle regole della tesoreria unica c' erano anche fondi non vincolati a spese di giustizia: erano rimaste delle somme libere sulle quali è stata fatta una regolare transazione per debiti pregressi».

Alfio Sciacca


Pagina 23
(19 dicembre 2009) - Corriere della Sera

Burton Morris
25-12-09, 22:31
Segretari d'Aula: Senatori Radicali non votano contro tenia partitocratica e suoi trucchi


22 dicembre 2009





* Dichiarazione dei Senatori Radicali nel gruppo del Pd Marco Perduca e Donatella Poretti:


In linea col nostro voto contrario alla modificazione del regolamento del Senato per istituire due nuovi segretari d'aula per accontentare le richieste del gruppo dell'Italia dei Valori, oggi pomeriggio non ci presenteremo in aula al momento della loro elezione. Chi invece lo farà sappia che sarà chiamato a votare fino a quando non verrà eletto un membro del gruppo dell'Italia dei Valori che, tra le altre cose, non ha ancora fatto circolare il nome del prescelto, forse perché, in queste ore di tempeste ce ne potrebbero essere alcuni interessati a passare a un altro gruppo. Infatti il regolamento prevede che se il segretario eletto in rappresentanza di un gruppo politico dovesse cambiare affiliazione partitica dovrebbe anche dimettersi dalla carica... ci sarà un senatore dell'IdV pronto a sacrificare le proprie convinzioni politiche per le convenienze della dotazione da segretario?

Burton Morris
25-12-09, 22:31
L'inciucino sui segretari


• da Corriere della Sera del 22 dicembre 2009

di GIAN ANTONIO STELLA

Esiste l’inciucio puro e virtuoso? E’ quello che ti chiedi annotando quanto accadrà oggi al Senato dove, come succede sempre alla vigilia di Natale con le faccende che non devono dare nell’occhio, verranno votati due nuovi segretari d’aula, portando il conto finale a dodici contro gli otto fissati dal regolamento. Uno scandaletto piccolo, se vogliamo. Ma illuminante. Il tutto per placare Antonio Di Pietro, che spara contro ogni accordo trasversale il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì...



Sia chiaro, all'Italia dei Valori non viene regalato niente: a quella poltrona aveva diritto. Ma il modo in cui si arriva a chiudere una delle tante guerricciole tra destra e sinistra è piuttosto discutibile.

A partire dal contesto. Dicono i numeri, infatti, che palazzo Madama non ha mai faticato poco come di questi tempi. Basti ricordare che, come ha dimostrato poche settimane fa un'inchiesta di Carmelo Lopapa su Repubblica, non solo «la commissione Affari costituzionali negli ultimi sei mesi si è riunita 37 volte per 25 ore di lavoro (meno di un'ora a seduta), la commissione Giustizia 33 riunioni per 36 ore di attività, Esteri 17 sedute in 14 ore, Difesa 24 sedute per 22 ore, e via così...» ma la stessa assemblea, dal primo di maggio alla fine di ottobre, ha lavorato mediamente 8 ore e 45 minuti.

C'è chi ne trarrebbe la conclusione che, visto che per regolamento i segretari d'aula «tengono nota dei senatori iscritti a parlare; danno lettura dei processi verbali e, su richiesta del Presidente, di ogni altro atto e documento che debba essere comunicato all'Assemblea; fanno l'appello nominale; accertano il risultato delle votazioni...», già otto dovrebbero farsi carico di un'ora di fatica la settimana a testa. Ridotto in dieci a 52 minuti a testa. In dodici a 44 minuti scarsi. Ma sentiamo già l'obiezione: è il prezzo della democrazia! Lasciamo stare...
Qual è il punto? Il punto, come hanno inutilmente sottolineato i senatori radicali Donatella Poretti e Marco Perduca denunciando la «tenia partitocratica che vede consociati tutti i gruppi in Senato per fare un favore all'Italia dei Valori», è che come ogni organismo di garanzia che non appartiene a nessuno la struttura dei segretari d'aula avrebbe dovuto avere al suo interno una rappresentanza di tutti i gruppi parlamentari. E come ha riconosciuto Anna Finocchiaro non è giusto che esista «un Gruppo parlamentare con 13 senatori che non ha la possibilità o l'occasione di partecipare al Consiglio di Presidenza e, dunque, di concorrere all'organizzazione ed alle scelte politiche ed istituzionali che caratterizzano le funzioni del Consiglio di Presidenza». Parole d'oro. Sottoscritte dalla stessa maggioranza.

Ma da cosa è nato il pasticcio? Dall’ingordigia, accusa il senatore dell’Udc Gianpiero D'Alia, dei partiti più grossi che, «invocando un principio maggioritario che non c'è né nello spirito né nella lettera della norma (né costituzionale né regolamentare), hanno giocato all'asso pigliatutto, come si suol dire: avendo il maggior numero di voti, hanno determinato le elezioni dei quattro Segretari di maggioranza e di opposizione, escludendo dalla rappresentanza i Gruppi parlamentari più piccoli». «E noi?», avevano protestato i dipietristi. Risposta corale: d'accordo, ne aggiungiamo due, uno dell’Idv e uno della maggioranza, per pareggiare i conti. Macché: nel segreto dell'urna il candidato di Tonino Di Pietro, Aniello Di Nardo, era stato scartato in favore della sudtirolese Helga Thaler Ausserhofer.

Nuove proteste dipietriste: vergogna! E nuova risposta, un mese fa: ne aggiungiamo provvisoriamente altri due, uno ai dipietristi e uno alla maggioranza. Altri due? Nonostante i gruppi parlamentari, grazie alla nascita del Pdl e del Pd e la scomparsa di vari partiti minori, si siano dimezzati? Nonostante si tratti di nuove spese (segreterie, assistenti, prebende varie...) in un momento di crisi pesantissima in cui soltanto il mondo della politica non vede neppure scalfito il proprio fatturato? Nonostante le promesse di tagli e di moralizzazione? Scusate, ha chiesto a quel punto il senatore Riccardo Villari, ma invece che aggiungerne altri con un aumento complessivo del 33% sul limite del regolamento, «basterebbe che coloro i quali hanno, in qualche misura, recuperato una presenza in più la cedessero, dimettendosi spontaneamente». Una proposta sensata. E applaudita anche dai rappresentanti dell'Italia dei Valori. Ma bocciata dall'assemblea con 239 favorevoli ad aumentare l'organico, 12 contrari e 15 astenuti. Un accordo trasversale che, in altre occasioni, sarebbe stato marchiato con un solo aggettivo: inciucista.

Oggi, alle 16.30, dopo un mesetto di trattative, siamo finalmente al voto. E se qualche manina misteriosa facesse un altro scherzetto bocciando di nuovo il candidato dipietrista per far passare un altro esponente dell'opposizione, hanno maliziosamente chiesto Donatella Poretti e Marco Perduca, cosa succederebbe? Ne facciamo altri due e poi altri due e poi altri altri due e avanti così all'infinito?

Burton Morris
25-12-09, 22:31
"La Repubblica", MARTEDÌ, 22 DICEMBRE 2009
Pagina 12 - Interni

Rosanna Gariboldi, moglie del vicecoordinatore del Pdl, è in carcere dal 20 ottobre

Lady Abelli pronta a patteggiare: restituirà oltre 1milione di euro
Oggi la decisione del giudice, dopo il via libera dei pubblici ministeri alla scarcerazione

WALTER GALBIATI
MILANO - Una pena di due anni. E un milione e duecentomila euro a disposizione della Procura. È questo il nocciolo della proposta di patteggiamento che Rosanna Gariboldi, "Lady Abelli", ha messo sul tavolo del giudice per le indagini preliminari, Fabrizio D´Arcangelo, insieme con una nuova richiesta di scarcerazione. Il tutto sarà valutato oggi dopo che ieri è arrivato il parere favorevole dei pubblici ministeri, Laura Pedio e Gaetano Ruta, alla liberazione della moglie del deputato Giancarlo Abelli, vicecoordinatore nazionale del Partito delle Libertà ed ex assessore regionale alla Sanità lombarda. Ed è proprio la possibilità del patteggiamento che dovrebbe far pendere l´ago della bilancia a favore della signora Gariboldi, in carcere ormai da due mesi con l´accusa di riciclaggio. Vi era finita per aver schermato soldi provenienti dai conti dell´imprenditore attivo nelle bonifiche ambientali, oggi agli arresti, Giuseppe Grossi. Soldi ritenuti frutto di un reato, l´appropriazione indebita compiuta a danno delle società dello stesso Grossi. Secondo la Procura, l´imprenditore avrebbe gonfiato i costi di alcune bonifiche, tra cui quella per i terreni del quartiere milanese Santa Giulia, per accantonare all´estero fondi neri su conti personali.
Il Tribunale del riesame di Milano era stato durissimo con la Gariboldi di fronte alla prima richiesta di scarcerazione. La donna era stata definita capace di «una non comune prerogativa criminale», e i comportamenti di "Lady Abelli" erano stati ritenuti «non episodici», tantomeno «occasionali». Il collegio guidato da Paolo Micara aveva sottolineato «la naturalezza con la quale la prevenuta (la Gariboldi, ndr.) si è inserita in un contesto tanto articolato che prevedeva la necessità di distinguersi tra diversi schemi societari in diverse parti del mondo, usando conti su diverse banche estere». E inoltre quello della Gariboldi, scrivevano i giudici, «non è stato il comportamento di uno sprovveduto di fronte alle promesse remuneratorie del Grossi».
Sul conto Associati 17964 presso la Banque J. Safra di Montecarlo, la Gariboldi aveva ricevuto il 17 marzo 2008 e il 6 ottobre 2008 due bonifici di 332.000 e 300.000 euro dai conti di Grossi. Il saldo del conto, all´arrivo della Guardia di Finanza, era di 1,2 milioni di euro. «Non voglio sapere più nulla di quei soldi», avrebbe confidato la Gariboldi ai suoi avvocati Ennio Amodio e Pietro Trivi. E proprio l´intero saldo di quel conto, è stato offerto alla procura per raggiungere il patteggiamento. Il reato contestato è il riciclaggio, in una forma meno aggravata - come spiegano i legali in una memoria - perché non strumentale all´appropriazione indebita. L´eventuale pena di due anni non si trasformerebbe in carcere, grazie alla sospensione condizionale vista la mancanza di precedenti dell´indagata.

Burton Morris
25-12-09, 22:31
Di Pietro: Al Senato passa l'inciucio per il suo segretario


• da Il Giornale del 23 dicembre 2009

di Felice Manti

Finalmente Antonio Di Pietro ha vinto la sua personale battaglia. Fuori i condannati dal Parlamento? No. Tornano le preferenze? Nemmeno. E allora? Allora succede che, dopo mesi di battaglia, l’Aula del Senato ha modificato il regolamento di Palazzo Madama per permettere l’elezione di due senatori a segretari d’Aula. Uno dei quali spetta proprio all’Italia dei Valori (alla fine risulterà eletto il fedelissimo Aniello Di Nardo, con 82 voti). Una battaglia di retroguardia che colma un vuoto di democrazia ma anche un regalo di Natale per i dipietristi a carico di Pantalone, visto che per il cruciale compito di «tenere nota degli iscritti a parlare, fare l’appello nominale, dare lettura dei processi verbali e accertare il risultato delle votazioni» Di Nardo e la Pdl Simona Vicari (eletta con 182 preferenze) porteranno a casa 3.400 euro di indennità in più, oltre a 11mila euro destinati ai collaboratori, l’ufficio di rappresentanza, l’immancabile auto blu e altri 8mila euro per «elargizioni» a associazioni e istituzioni.
Lo «scandalo» dei segretari d’Aula è scoppiato all’alba della nuova legislatura. Quando Di Pietro si era dapprima rimangiato la promessa di fare un gruppo unico con il Pd, anche per l’eccellente risultato elettorale, e poi aveva litigato coi colonnelli democratici sull’assegnazione dell’agognata e danarosa poltrona di segretario d’Aula. Un peccato mortale, in tempo di crisi. E infatti, passata qualche settimana per capire di aver commesso un colossale e carissimo errore strategico, i dipietristi hanno iniziato ad alzare la voce invocando il dovuto. Dopo altre settimane di fitte trattative nel Consiglio di presidenza è arrivato l’accordo bipartisan. Siccome i posti sono tutti occupati, e gli «aventi diritto» tanta voglia di rinunciare alle prebende non l’avevano mica (sarebbe toccato a un senatore dell’opposizione), ecco l’idea: aggiungiamo due posti a tavola. Uno all’Idv e uno alla maggioranza, non sia mai che il principio di rappresentatività proporzionale debba essere violato per uno scopo così poco nobile.
La modifica dell’articolo 5 del Regolamento del Senato è stata votata a metà novembre, ed è valida solo per questa legislatura. A rompere le uova nel paniere i soliti Radicali eletti in quota Pd, Marco Perduca e Donatella Poretti. Che prima hanno detto «no» alla modifica ad Dipietrum, poi ieri, davanti al voto definitivo di Palazzo Madama, hanno lanciato il «loro» allarme democratico: «Abbiamo espresso il nostro dissenso alla tenia della partitocrazia e ai suoi trucchi uscendo dall’aula al momento del voto, in linea col nostro voto contrario di novembre. Anche perché - è stato il loro ragionamento - chi è rimasto ha dovuto votare fino a quando non è stato eletto un membro del gruppo dell’Italia dei Valori». Il nome del «prescelto» Di Nardo, peraltro, non era nemmeno stato avanzato ufficialmente. «Qualche dipietrista è pronto a cambiare casacca», hanno malignato i due senatori. Il prescelto, dunque, dovrà giurare fedeltà a Di Pietro. Perché una sua capriola politica potrebbe «formalmente» costringerlo a dimettersi. E allora, altro giro altra corsa.

Burton Morris
25-12-09, 22:32
"La Stampa", 23 Dicembre 2009, pag. 25

L’EX ASSESSORE PROVINCIALE DI PAVIA COINVOLTA NELLO SCANDALO DELLE BONIFICHE


“Troppo pericolosa per tornare libera”
Milano, il gip dell’inchiesta Santa Giulia: “La Gariboldi potrebbe inquinare le prove”



PAOLO COLONNELLO
MILANO


«La particolare fraudolenza delle condotte realizzate e la loro pluriennale permanenza nel tempo assieme al rischio di recidiva non rendono concepibile la sospensione condizionale della pena. Nessun rilievo ha il deposito della richiesta di patteggiamento e l’accordo tra le parti».
Considerato il periodo natalizio, è durissima l’ordinanza del gip Fabrizio D’Arcangelo con cui ieri è stata respinta la richiesta di scarcerazione avanzata dai legali di Rosanna Gariboldi, nota anche come «Lady Abelli», l’ex assessore provinciale di Pavia finita in carcere per lo scandalo delle bonifiche di Montecity- Santa Giulia.
In meno di una pagina e mezzo il giudice smonta le speranze della moglie del potentissimo vicecoordinatore nazionale del Pdl Giancarlo Abelli, finita in carcere l’ottobre scorso con l’accusa di aver riciclato sui suoi conti di Montecarlo svariati milioni di euro dell’imprenditore Giuseppe Grossi, realizzando in cambio una plusvalenza di 1 milione e 200 mila euro.
Secondo il gip «non risultano mancanti né attenuate le esigenze cautelari non essendo intervenuti elementi dai quali trarre una valutazione prognostica diversa e più tenue di quella già tracciata». E fa niente se la Procura aveva dato parere favorevole accettando contestualmente una richiesta di patteggiamento a due anni di reclusione e la restituzione della plusvalenza visto che, per il giudice D’Arcangelo «tali somme», sono già state poste sotto sequestro dall’autorità giudiziaria. «Le esigenze cautelari non sono mancanti e non si sono attenuate per il deposito di un patteggiamento sulla base di un mero raggiungimento di un accordo tra le parti».
Per il giudice insomma, finché l’inchiesta non sarà terminata e i misteri di Santa Giulia svelati, gli imputati arrestati dovranno continuare a rimanere in prigione per evitare inquinamenti probatori. Una motivazione che non lascia spazio a mediazioni facendo intravedere una linea dura che annuncia probabilmente a nuovi provvedimenti. L’inchiesta sulle bonifiche ambientali attende infatti una svolta sia sul versante del movimento terra, che coinvolgerebbe da una parte violazioni ambientali dall’altra anche esponenti della malavita organizzata (con un’indagine affidata al sostituto procuratore della distrettuale antimafia Dolci), sia su quello dei finanziamenti della Regione per gli interventi di Grossi su importanti aree da bonificare, nonché sui rapporti dell’imprenditore con vari esponenti del Pirellone, come testimoniato dal famoso elenco di orologi di marca regalati a Natale a politici e funzionari.
Non a caso, il gip D’Arcangelo fa un riferimento esplicito al tribunale del riesame che ha «confermato integralmente» la seconda ordinanza di arresto. Amareggiati e delusi i legali della Garibdoli, il professor Ennio Amodio e l’avvocato Novella Galantini, che parlano di «decisione abnorme» in quanto «viola in radice i principi fondamentali del sistema processuale. Il gip nega la libertà a Rosanna Gariboldi affermando che non potrà mai esserci un patteggiamento a pena sospesa. In questo modo egli indossa illegittimamente i panni del giudice di merito, sostituendosi al magistrato cui spetterà valutare l’accordo tra le parti».
Il gip di Milano, prosegue Amodio, «detta un inconcepibile veto circa qualsiasi valutazione, diversa dalla sua, con riguardo alla sospendibilità della pena. E dimentica persino che se le parti hanno deciso di definire un processo, non ha senso il protrarsi della misura cautelare per sua natura strumentale a un esito che, nel caso concreto, è ormai prefigurabile». Secondo l’avvocato Amodio rimangono due strade: «O andiamo in Cassazione ma i tempi potrebbero essere abbastanza lunghi oppure chiediamo la fissazione dell’udienza per discutere il patteggiamento.
Si dice «profondamente sconvolto», il marito della Gariboldi, Giancarlo Abelli, vice coordinatore nazionale del Pdl e capo della segreteria politica Sandro Bondi: «Speravo di passare il Natale in famiglia con mia moglie». Secondo Bondi infine, «le motivazioni del gip suscitano sgomento non tanto sul piano giuridico quanto su quello umano. Come una donna di oltre 60 anni possa essere trattenuta in carcere per il pericolo di recidiva è qualcosa che sfugge al buon senso e soprattutto al senso di umanità che deve essere proprio dei giudici».

Burton Morris
25-12-09, 22:32
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 23 DICEMBRE 2009
Pagina 12 - Interni

Lady Abelli, Natale in carcere il gip: può compiere altri reati Bondi lo accusa di "disumanità"

Dalla Porsche del re delle bonifiche a San Vittore
La procura aveva chiesto la scarcerazione. Inutile anche l´offerta di 1,2 milioni.

WALTER GALBIATI
MILANO - Il panettone a San Vittore e lo spumante anche. Non è certo questo il Natale e il Capodanno che si aspettavano in casa Abelli, quando hanno presentato la richiesta di scarcerazione per Rosanna Gariboldi, arrestata nelle scorse settimane per concorso in riciclaggio, per i molti affari in comune con il re delle bonifiche Giuseppe Grossi, pure agli arresti.
Lei è la moglie del deputato del Pdl Giancarlo Abelli, capo della segreteria politica del ministro Sandro Bondi, nonché ex assessore della Sanità lombarda, da sempre al fianco di Roberto Formigoni. «Sono profondamente sconvolto. Speravo di passare il Natale con la famiglia», ha detto Abelli. «Mia moglie è una donna onesta». Anche Bondi è intervenuto per dirsi «sgomento» e accusare il giudice di mancato «senso di umanità».
Il gip Fabrizio d´Arcangelo, nelle due pagine con cui ha motivato il rigetto dell´istanza di scarcerazione, ha usato parole pesanti. Soprattutto quando ha richiamato la sentenza del Tribunale del Riesame che aveva già negato una prima volta alla Gariboldi di tornare in libertà: «La particolare fraudolenza delle pregresse condotte realizzate e la loro pluriennale permanenza nel tempo costituiscono elementi concreti e specifici che, oltre a denotare l´elevata intensità e l´attualità del pericolo di recidiva, evidenziano in modo icastico la non concedibilità della sospensione condizionale della pena».
Tradotto dal "giudiziariese", significa che Lady Abelli ha compiuto atti gravissimi, li può compiere nuovamente e per questo anche nell´ottica di un possibile patteggiamento, non si può nemmeno pensare di poterla lasciare in libertà con la sospensione della pena. I legali della Gariboldi, infatti, per rafforzare l´istanza di scarcerazione avevano dato la loro disponibilità a patteggiare la pena a due anni, con la messa a disposizione di 1,2 milioni di euro.
Una mossa che ha permesso di ottenere il parere favorevole alla liberazione da parte dei pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, ma che non ha convinto il giudice. «I gravi indizi di colpevolezza» rimangono e così anche «le esigenze cautelari, non essendo intervenuti - scrive il gip - elementi dai quali trarre una valutazione prognostica diversa e più tenue di quella tracciata».
D´Arcangelo non si è fatto smuovere nemmeno dalla decisione della difesa di trasferire su un conto della procura le somme considerate frutto del riciclaggio e depositate su un conto a Montecarlo. Il trasferimento «non giustifica ex se la attenuazione della misura coercitiva originariamente adottata, in quanto tali somme sono già state attinte da un vincolo cautelare», insomma quei soldi sono già in mano alla procura grazie al sequestro.
Del resto il quadro emerso durante le indagini preliminari, non è dei più rassicuranti e i legami tra i coniugi Abelli e Giuseppe Grossi, l´imprenditore diventato improvvisamente il re delle bonifiche lombarde, ha quanto meno dei lati oscuri. Secondo la procura, Grossi, agli arresti presso l´ospedale San Paolo, avrebbe gonfiato i costi delle bonifiche, attraverso l´interposizione di società estere, per creare fondi neri. Soldi che, stando alle ipotesi investigative, servivano per corrompere politici compiacenti. Ebbene in questo scenario, sono stati collocati i rapporti tra un conto di Grossi e un altro della signora Abelli, acceso presso la banca J. Safra di Monaco.
Anche perché l´ex impiegata del Policlinico San Matteo di Pavia non è certo una persona qualunque, ma è la moglie del politico che da almeno un ventennio tira le fila della sanità lombarda e dal 2006 siede sulla poltrona di assessore provinciale all´Organizzazione interna di Pavia. Da Grossi, sul conto Associati dell´Abelli sono piovuti tra il 2001 e il 2008, qualcosa come 2,3 milioni di euro e all´arrivo della Guardia di Finanza il saldo è risultato attivo per 1,2 milioni.
Lei li ha spiegati come semplici prestiti e investimenti condotti in coppia con quell´industriale tanto amico da passarci insieme le vacanze negli ultimi sette anni. Legami che risultano ancor più ambigui se, come scrive il giudice nella prima ordinanza di arresto, è vero che grazie a Grossi «dal maggio 2004 fino a data attuale viene fatturato all´Abelli mensilmente l´importo di euro 743,38 per il noleggio di un´autovettura Porsche 911 coupè» e che il deputato del Pdl «usufruisce settimanalmente, nelle giornate di martedì e giovedì, dell´aereo personale di Grossi sia per recarsi a Roma sia per fare ritorno a Milano». Alla Gariboldi, invece, risulta che sia stato affittato un appartamento in viale Tunisia, intestato a una società del gruppo Grossi, la Plurifinance.

Burton Morris
25-12-09, 22:32
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 23 DICEMBRE 2009
Pagina 12 - Interni

L´assessore
I pm milanesi: anche Prosperini resti in cella

MILANO - «Pier Gianni Prosperini deve rimanere in carcere». Il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e il pm Massimo Storari hanno dato parere negativo alla scarcerazione dell´assessore al Turismo della Regione Lombardia, arrestato nei giorni scorsi per una presunta tangente incassata - questa è l´accusa - per fare aggiudicare al gruppo televisivo di Raimondo Lagostena un appalto per trasmissioni televisive dedicate al turismo in Lombardia. Il parere della procura è arrivato sul tavolo del gip di Milano, Andrea Ghinetti, che dovrà decidere ora sull´istanza di scarcerazione avanzata dal legale di Prosperini, l´avvocato Ettore Traini.

Burton Morris
25-12-09, 22:32
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 24 DICEMBRE 2009
Pagina XI - Napoli

Castellammare, arrestato l´ex manager Asl
Il pm: lotta tra due centri di potere per accaparrarsi le risorse economiche

DARIO DEL PORTO
Un´azienda sanitaria dilaniata da uno scontro fra «due centri di potere contrapposti che si fronteggiavano con mezzi illeciti per accaparrarsi le risorse economiche». Uno scenario da «assalto alla diligenza», quello dell´Asl 5 di Castellammare di Stabia, delineato da un´indagine coordinata dal procuratore aggiunto di Torre Annunziata Raffaele Marino che vede ora agli arresti domiciliari l´ex direttore generale della Asl, Gennaro D´Auria, e il dirigente Giuseppe Porcaro, accusati di violenza privata (reato così derubricato dal giudice rispetto all´ipotesi di concussione formulata dal pm) ai danni di farmacisti, titolari di centri accreditati e altri privati attivi nel settore della sanità. Al solo Porcaro è contestata anche una tentata concussione: avrebbe chiesto, ma senza ottenerli, 2 o 4 mila euro alla titolare di un ambulatorio dentistico per il rilascio di un parere favorevole.
Gli indagati sono complessivamente 12. L´inchiesta, condotta dai carabinieri della pg della Procura e del gruppo di Torre Annunziata, è partita tre anni fa delle denunce presentate dallo stesso D´Auria e da un avvocato, Giuseppe Ruocco, indagato per falso ma non raggiunto da alcun provvedimento. Secondo l´accusa i due rappresenterebbero altrettanti «centri di potere»: da una parte quello che, attraverso il meccanismo delle «azioni giudiziarie seriali per il recupero dei crediti vantati dalle Asl», bloccava con il pignoramento i fondi erogati all´azienda ostacolandone la gestione economica: un lavoro a prima vista «professionale, svolto in regime di concorrenza fra avvocati» ma considerato dalla Procura gestito «in regime di monopolio grazie a una fitta rete instauratasi tra lo studio dell´avvocato Ruocco» e l´Asl 5. Dall´altra, quello ritenuto facente capo a D´Auria il quale mostrando di voler «ripristinare la legalità» avrebbe in realtà puntato a creare «un nuovo sistema illecito con diversi soggetti e diverse logiche». Il manager, è la tesi degli inquirenti, avrebbe «posto in essere minacce esplicite e implicite ai creditori dell´azienda per costringerli a revocare i mandati conferiti allo studio Ruocco e ad altri difensori». D´Auria avrebbe scatenato una «lotta senza quartiere contro l´avvocato Ruocco» finalizzata, scrive il procuratore Diego Marmo, a creare un «paravento "legale e morale" per mettere le mani su una grossa fetta di denaro speso dall´Asl per il contenzioso».
Gli inquirenti contestano anche la scelta di D´Auria di affidare a legali esterni la difesa dell´Asl nel contenzioso seriale: fra il 2006 e il 2006, rileva la Procura, «sono stati conferiti oltre 22 mila incarichi esterni in violazione della normativa specifica, sempre agli stessi difensori» che avrebbero percepito rispettivamente oltre un milione e 300 mila euro il primo e 119 mila euro il secondo. «Tale collaborazione - commenta il pm - si è conclusa con la soccombenza dell´Asl 5 nel 95 per cento delle cause con un aggravio di spesa» quantificato in 24 milioni di euro. Su questo punto il gip non ha ritenuto sussistente il peculato ipotizzato dal pm ravvisando solo un abuso d´ufficio. Secondo l´accusa, il contenzioso era «lo strumento per "gestire di fatto" la cassa dell´azienda», con un giro d´affari stimato in circa 700 mila euro mensili «sottratti alla destinazione pubblica per essere spartiti tra avvocati, finanziarie e alti funzionari».
Afferma l´avvocato Giovambattista Vignola, che assiste D´Auria e Porcaro insieme all´avvocato Pippo Nardone: «È lo stesso gip ad affermare che D´Auria, attraverso la riduzione delle azioni legali, non voleva conseguire alcun vantaggio personale ma solo contrastare l´aggressione alle casse dell´ente. È sorprendente che con questa motivazione sia stato disposto l´arresto. E conoscendo l´equilibrio del procuratore Marmo mi stupisce l´esecuzione del provvedimento alla vigilia di Natale». L´avvocato Ruocco, attraverso il suo difensore, Gaetano Inserra, dice: «L´inchiesta nasce da una denuncia che ho presentato io in Procura. Sono stato sentito a chiarimenti anche dal procuratore Marmo, ho un solo centro di potere: quello del mio studio».

Burton Morris
02-01-10, 23:49
"La Repubblica", MARTEDÌ, 29 DICEMBRE 2009
Pagina 17 - Economia

Rimborsati ai partiti 503 milioni ma le spese 2008 sono gonfiate
Patto Berlusconi-Fini: il 75% dei contributi a FI
I giudici contabili: costi triplicati dal ´94 a oggi, in 15 anni lo Stato ha versato 2,2 miliardi di euro

SILVIO BUZZANCA
ROMA - Spendi un euro per la campagna elettorale, ne incassi quattro di rimborso pubblico. Una moltiplicazione dei pani e dei pesci della politica italiana messa impietosamente a nudo dalla Corte dei conti nella sua relazione sui consuntivi che le segreterie dei partiti hanno presentato per le elezioni politiche del 2008. Conti che i magistrati contabili bocciano in parte perché gonfiati, soprattutto per quanto riguarda la voce "spese strumentali". Tradotto vuol dire che i tesorieri hanno abbondato nel rendicontare viaggi, spese di telefono e simili. Un comportamento che si giustifica con il timore che il Parlamento possa approvare modifiche alle leggi sui rimborsi, come invoca la stessa Corte dei Conti, stringendo i cordoni della borsa proprio sulle "spese strumentali".
I magistrati contabili hanno verificato che per il 2008 i partiti hanno dichiarato di avere speso circa 140 milioni di euro. In realtà secondo i giudici hanno messo mano realmente a 110 milioni di euro. Un buon investimento visto che da qui al 2013, divisi in cinque rate, di euro ne riceveranno ben 503 milioni. Questo vuol dire che ogni elettore (il calcolo dei rimborsi si fa sul numero degli aventi diritto al voto e non sui voti ricevuti), versa ai partiti 10,05 euro attraverso le casse dello Stato. Soldi sicuri, anche in caso di scioglimento delle Camere. I partiti, infatti, stanno ancora incassando altre notevoli cifre provenienti dalle elezioni politiche del 2006. Garantite fino al 2011. Senza scordare i soldi delle recenti Europee. Il meccanismo del rimborso elettorale, introdotto dopo che un referendum aveva cancellato il finanziamento pubblico dei partiti, conclude la Corte dei conti, dal 1994 ad oggi ha portato nelle casse dei tesorieri politici ben 2 miliardi 253 milioni 612 mila euro. Di fronte a spese accertate per soli 579 mila euro. Complessivamente, in questi ultimi 15 anni, l´onere per lo Stato si è triplicato.
Ovviamente nell´incassare la parte del leone la fa il Popolo della libertà. Il Partito di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini aveva presentato una richiesta di rimborso di circa 69 milioni di euro. Di cui quasi 16 milioni erano "spese strumentali". La Corte dei conti ha stabilito in effetti queste spese ammontavano a solo 652.712 mila euro. Con uno scostamento di oltre 15 milioni di euro. Poco importa, perché alla fine il Pdl si porta a casa 206 milioni e 518 mila euro.
Soldi che verranno divisi fra An e Forza Italia secondo un patto segreto firmato da Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, allegato all´atto costitutivo del nascente statuto del Pdl. L´accordo, firmato alle 23 del 27 febbraio del 2008, prevede che i soldi dei rimborsi elettorali devono andare al 75 per cento a quella che fu Forza Italia e il restante 25 per cento a quello che resta di Alleanza nazionale. Il documento, redatto davanti ad un notaio, fu stilato alla presenza di altre sei persone e il giorno dopo fu "certificata" la data della sua scrittura spedendo una raccomandata dall´ufficio postale romano di San Silvestro.
Questa suddivisione fissa del rimborso elettorale è del resto riscontrabile anche nel primo bilancio del Pdl dove si spiega che il rimborso elettorale è diviso in parti percentuali fisse fra An e Forza Italia. Questo vuol dire che An, come spiega il tesoriere Francesco Pontone, avrà diritto a 41 milioni e 331 mila euro dei 206 milioni di euro incassati dal Pdl.

Burton Morris
02-01-10, 23:50
DA IL FATTO QUOTIDIANO

CL, GUAI A CHI LA TOCCA
Un dirigente della sanità lombarda, ora sospeso, svela lo strapotere di Formigoni e della Compagnia


di Ferruccio Pinotti

Chi attacca Comunione e Liberazione, "muore". L'espansione del potere di CL ha assunto caratteri tali che chi si oppone a essa, o semplicemente critica lo stile della potente lobby cattolica, è sottoposto a pesanti pressioni. Esemplare il caso del dottor Enrico De Alessandri, un dirigente della sanità lombarda sottoposto a un severo provvedimento solo per aver criticato lo strapotere di CL in un sito, www.teo? pol.it? , nel quale De Alessandri pubblica un dossier in cui è illustrato l'assalto al potere in una regione che gestisce un bilancio da 20 miliardi di euro, pari a quello di un piccolo Stato.

De Alessandri è stato sospeso dal lavoro per un mese, dal 16 novembre al 16 dicembre di quest'anno, con l'avviso che se non toglierà dal web le sue considerazioni seguiranno provvedimenti più pesanti. Un dettaglio che la dice lunga sulla vicenda è il fatto che la comunicazione del 20 ottobre è firmata dal dirigente del personale della Regione, Michele Camisasca, nipote del famoso Massimo Camisasca, il sacerdote che è stato una delle figure chiave del movimento (dal 1985 è superiore generale della "Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo"), nonché storiografo ufficiale di CL.

Il provvedimento disciplinare è arrivato dopo una serie di richiami scritti. Una comunicazione del 18 settembre proponeva addirittura un patteggiamento: "La riduzione della punizione a soli dieci giorni in cambio dello stop alla pubblicazione del libro (.)". Ma il dottor De Alessandri, che è stato direttore del Centro regionale emoderivati della Regione Lombardia e che lavora attualmente presso l'Assessorato alla sanità della Regione Lombardia, intende resistere, esercitando il diritto di espressione sancito dall'articolo 21 della Costituzione. Le sue critiche, infatti, non sono rivolte al datore di lavoro ma all'occupazione del potere in Lombardia da parte di un movimento religioso, CL appunto.

I consiglieri regionali di Verdi, Pd e Sinistra hanno subito presentato un'interpellanza urgente alla Giunta. Nell'interrogazione, presentata il primo dicembre, il consigliere regionale Mario Agostinelli parla di "un gravissimo intento persecutorio nei confronti del dott. De Alessandri" e interroga la Giunta regionale per sapere se non ritiene "di sospendere immediatamente l'azione in atto, con l'integrazione da subito nell'attività lavorativa e nella relativa retribuzione". A difendere De Alessandri c'è ora un luminare del diritto: il professor Vittorio Angiolini, già legale della famiglia Englaro nella difficile battaglia sulla fine di Eluana.

Cosa racconta De Alessandri nel suo dossier? La tesi di fondo del libro è che CL abbia costituito una situazione di potere monopolistico nell'ambito di un'importante istituzione pubblica come la Lombardia, attraverso un'occupazione "militare" da parte dei suoi esponenti di tutti i centri di potere: dai direttori generali ai dirigenti delle unità organizzative nei più importanti assessorati; dai direttori generali delle pubbliche aziende ospedaliere ai primari; dagli amministratori delegati ai presidenti delle società di trasporto; dai direttori generali degli enti e delle agenzie regionali ai consigli di amministrazione delle società a capitale pubblico della Regione Lombardia operanti in ambiti strategici come le infrastrutture, la formazione, l'ambiente, costituendo, di fatto, una pericolosa situazione di potere "dominante".

De Alessandri spiega al il Fatto Quotidiano: "La distribuzione dei fondi pubblici privilegia in misura schiacciante le imprese della Compagnia delle Opere rispetto all'intero mondo imprenditoriale lombardo". L'opposizione regionale lombarda ha definito la sospensione dal lavoro di De Alessandri "un provvedimento persecutorio". Certo, nel suo dossier, De Alessandri porta fatti, nomi e cifre inquietanti. "Se nelle altre regioni si può legittimamente parlare di 'primari di partito' e di 'manager di partito', in Lombardia si parla quasi esclusivamente di 'primari di CL' e di 'manager di CL'". De Alessandri stigmatizza anche il comportamento di coloro "che mettono nel curriculum la loro foto con don Giussani". "Dietro al mondo delle nomine, c'è tutto un universo di convenzioni, accreditamenti, assegnazioni di incarichi e appalti che vedono primeggiare un gruppo su altri. Il ciellino Guido Della Frera, ex braccio destro del governatore lombardo, abbandona nel 2003 l'incarico di Assessore regionale per fare l'imprenditore nel settore della sanità privata. Non passano cinque mesi e una società di cui era azionista, il Polo geriatrico riabilitativo di Cinisello Balsamo, ottiene dalla Regione l'accreditamento presso il Servizio sanitario nazionale di 141 posti letto a uso riabilitazione. La struttura è privata, ma il ricovero lo paga lo Stato. Da allora per Della Frera è stata una marcia trionfale. Nel 2004 Formigoni ha accreditato il Polo geriatrico con altri 246 posti per la sede di Milano città, dando contestualmente il via libera a un'altra società del suo ex braccio destro, la Polo Riabilitativo srl, per la costruzione di una nuova struttura con 216 posti letto fra degenza, day hospital, emodialisi, radiologia e altro ancora".

Il dirigente compone un quadro preciso: "Tra le tante mostruosità istituzionali introdotte dal governatorelombardo,milimitoacitare un esempio giudicato di eccezionale gravità da alcuni stessi consiglieri regionali. Si tratta di Infrastrutture Lombarde, la società per azioni creata dalla Regione Lombardia per promuovere le nuove infrastrutture (costruzioni di ospedali, svincoli autostradali), duramente contestata già all'inizio della sua istituzione: il Presidente della Regione controllerà tutti gli appalti, togliendo ogni possibilità di controllo al Consiglio regionale, hanno dichiarato alcuni consiglieri regionali dell'opposizione. Una situazione esplosiva per la democrazia".

Com'è riuscito Formigoni a consolidare un potere tanto assoluto? Secondo De Alessandri, "anzitutto decapitando i vertici della dirigenza regionale e sostituendoli con esponenti di CL. La carica di segretario generale, ovvero la prima carica dirigenziale della Regione Lombardia è, da oltre quattordici anni, saldamente occupata dal ciellino Nicola Maria Sanese, soprannominato il vice governatore. Le cariche di direttore generale nei più importanti assessorati sono strettamente legate all'appartenenza a Comunione e Liberazione. Le unità organizzative più strategiche sono anch'esse dirette da esponenti del movimento fondato da don Giussani. Nicola Maria Sanese è un nome storico tra gli organizzatori dei meeting di Rimini unitamente al ciellino Roby Ronza, che Formigoni ha nominato Delegato per lo sviluppo e consolidamento delle relazioni internazionali" . Quello descritto da De Alessandri è un sistema pervasivo. "Il ciellino Raffaele Cattaneo occupava nella scorsa legislatura la seconda carica dirigenziale della Regione: quella di vice segretario generale. Nominato sottosegretario regionale all'inizio della presente legislatura, detiene attualmente la carica di Assessore regionale alle infrastrutture e mobilità. Non solo: Raffaele Cattaneo è, dal 2004, presidente del consiglio di sorveglianza di Infrastrutture Lombarde Spa, di Lombardia Informatica e, come se tutto questo non bastasse, è membro del Cda della Sea, la società di gestione degli aeroporti di Milano. Oltre a loro, tra i fidatissimi, figura Giulio Boscagli, Assessore alla famiglia e alla solidarietà sociale. E ancora Romano Colozzi, al quale non a caso spetta la responsabilitàdella'cassaforte'regionale: Romano Colozzi è Assessore alle risorse e finanze".

Il blocco di potere ciellino è fortissimo anche ai vertici delle fondazioni sanitarie: "Nel luglio 2009 Formigoni ha nominato Giancarlo Cesana, nome storico di CL, presidente del Policlinico Mangiagalli", scrive De Alessandri. "Il ciellino Alberto Garocchio è stato nominato nel consiglio di amministrazione dell'Istituto dei tumori, Cosma Gravina nel cda dell'Istituto neurologico Carlo Besta. Il ciellino Luigi Roth è stato invece confermato nel consiglio di amministrazione del Policlinico Mangia-galli. Luigi Roth, già Presidente di Fondazione fiera di Milano, detiene il record delle cariche cumulative: nel marzo 2009 Formigoni lo ha nominato alla guida del consorzio destinato a realizzare un'opera colossale,laCittàdellasalutediMilano. Roth è, contemporaneamente, Presidente di Terna Spa, membro del consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Ferrara, Presidente della Banca popolare di Roma. Inoltre, opinionista deIlSole24Ore,Avvenire,LaNazione. Il ciellino Claudio Artusi, già ad di Fiera Milano Spa, è attualmente ad di CityLife. Nel 2004 CityLife acquistò dalla Fiera guidata da Artusi parte del quartiere della vecchia fiera cittadina, su cui dovrebbe prendere forma il progetto firmato da Isozaki, Liebeskind e Hadid. Intanto Roth è stato nominato nel cda della Cassa di risparmio di Ferrara e alla presidenza della controllata Popolare di Roma".

CL allarga il suo potere anche ad ambiti della finanza cattolica tradizionalmente ostili. "Dopo una lunga battaglia dentro la Banca popolare di Milano, la sconfitta di Mazzotta ha aperto le porte alla presidenza di Massimo Ponzellini. Ma al suo fianco come vicepresidente, avrà Graziano Tarantini, che ha fondato e fatto crescere la Compagnia delle Opere di Brescia. Avvocato 49enne, con alle spalle una grande esperienza nella finanza, già da anni Tarantini rappresenta nel consiglio della banca milanese per antonomasia l'anima della Compagnia. Nel consiglio di amministrazione dell'ente presiedutodaGiuseppeGuzzetti,invece,la galassia della Compagnia è rappresentata dal milanese Angelo Abbondio", segnala il dossier di De Alessandri. Che commenta: "Chiunque abbia tentato di opporsi allo strapotere di CL è stato emarginato". Difficile sapere come finirà la sua coraggiosa battaglia. Ma a De Alessandri piace citare il passo di un articolo di Eugenio Scalfari del 13 ottobre 2008: "Un sistema di potere come quello di Formigoni, CL, non esiste in alcun punto del Paese, nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere. Negli ospedali, nell'assistenza, nell'università, tutto è diretto da 4-5 persone che hanno anche una specie di cenobio dove ogni tanto si ritirano, sotto voti di castità o qualcosa di simile".

Burton Morris
02-01-10, 23:51
«Meglio aspettare due generazioni»

Corriere della Sera del 31/12/2009 , articolo di Andrea Garibaldi

ed. NAZIONALE p. 11


Pannella: prematuro dedicargli qualcosa, iene e parassiti intorno alla sua figura Nel '92 la partitocrazia si era costituita come associazione a delinquere e accusò l'anello debole, né comunista né democristiano

ROMA - «Io Craxi lo conoscevo bene. Come pochi altri. Da quando lui aveva vent'anni e io ventiquattro. Abbiamo condiviso molte idee».
Quindi, lei è naturalmente favorevole all'idea di Letizia Moratti di intestargli un giardino, a Milano?
«Sinceramente no. Perché la gente deve essere costretta a vivere in via Togliatti, via Almirante, via Craxi? Se il ricordo resiste dopo almeno due generazioni, vuol dire che si tratta di storia. Sennò, è un'operazione politica, con sentimenti e risentimenti».
Marco Pannella, lei sarà ad Hammamet a metà gennaio per celebrare i dieci anni dalla morte di Craxi? Sarà alla commemorazione in Senato?
«Nessuno mi ha invitato».
E se la inviteranno?
«Se Anna, la moglie di Bettino, mi chiama, vado di corsa».
Il presidente della Repubblica, Napolitano riceverà i vertici della Fondazione Craxi al Quirinale. Forse manderà un messaggio in Senato.
«Penso che Napolitano dirà: "Sono stato amico e compagno di Craxi". Già nel '90, al Parlamento europeo, s'era differenziato dalle posizioni del Pci su Craxi. Sarà interessante vedere quali parole, con prudenza istituzionale, riterrà possibile e doveroso pronunciare per aiutare la riflessione. Mentre attorno sento iene e corvi e parassiti...».
Iene e corvi?
«Chi ne approfitta per un'ulteriore criminalizzazione. Come se Craxi fosse ancora pericoloso».
Parla degli ex magistrati Borrelli e Di Pietro?
«Parlo di una categoria di persone. A Di Pietro dò molte attenuanti, fra coloro che non hanno cultura garantista: viene dalla mia terra, ha sgomitato, studiato...».
E i parassiti?
«Quelli che usano Craxi per le loro carriere, come quando era in vita».
Gli ex socialisti che sono al governo, Frattini, Sacconi, Brunetta andranno ad Hammamet.
«Parassiti sono tutti quelli che utilizzano il ricordo di Craxi per dare valore alla propria figura».
Rino Formica, ex ministro socialista, ha detto che Craxi fu travolto da una "rivolta di palazzo", per restaurare l'ordine che lui minacciava.
«Craxi nell'agosto '92 in Parlamento disse: tutti rubavamo per finanziare i nostri partiti. Io risposi: tutti, tranne i radicali. La partitocrazia si era costituita in associazione a delinquere e i membri di quella associazione accusarono l'anello debole, non comunista, non Dc: Bettino Craxi».
Massimo Pini, grande amico di Craxi, lo accomuna a Berlusconi: due leader anomali, scardinatori di sistemi bloccati.
«Bel regalo che fa Pini a Craxi! Ma no! Berlusconi è il prodotto della storia antidemocratica della partitocrazia. A parte i primi tre anni di impegno politico, quando ha creduto di fare il leader liberale».
Nessun complotto contro Craxi, insomma.
«Non c'era alcun grande vecchio. Craxi però fece il grande errore di non andare in galera».
Lei glielo disse?
«Dopo il discorso in Parlamento gli consigliai: quando arriva il mandato di cattura, ti presenti a Regina Coeli e ti fai arrestare. Alle elezioni europee prendi più del 15 per cento. Allora potrai davvero fare la tua chiamata di correo degli altri partiti».
Era stato uno scardinatore del sistema?
«No, solo un innovatore. Craxi viene dalla mia stessa esperienza nelle organizzazioni universitarie, Ugi e Unuri. Facemmo la battaglia per non far sparire i laici a fronte di comunisti, neofascisti, democristiani».
E poi?
«Bettino andò avanti su questa linea. Però, a un certo punto, decise che a brigante doveva rispondere con brigante e mezzo».
Lei ha raccontato che alla fine le propose di prendere in mano il Partito socialista.
«Eravamo da lui, penultimo piano dell'hotel Raphael, poco tempo prima del lancio delle monetine. Mi disse: "Adesso è il turno tuo". Sei matto, risposi, ci sarà la rivolta, tutti quelli che aspettano la tua eredità prenderanno il mitra...».

Burton Morris
11-01-10, 21:10
"La Repubblica", DOMENICA, 03 GENNAIO 2010
Pagina 25 - Economia

Affitti stracciati e maxi-svendite: la parentopoli delle case popolari
Iacp in deficit di 100 milioni, in Sicilia il business dei consulenti
Il 25 per cento degli oltre 62 mila alloggi dell´isola è occupato abusivamente
Gli affitti sono fermi a 56 euro al mese e il censimento dei beni è incompleto

CARMELO LOPAPA
DAL NOSTRO INVIATO
CATANIA - Ora che le mangiatoie dei ras politici locali hanno fatto crac, ora che hanno generato un buco nero da centinaia di milioni di euro che non ha precedenti in 50 anni di dissennata gestione pubblica, ora che emergono parentopoli e scandali, solo ora la Regione siciliana corre ai ripari. Ci prova, quanto meno, cercando intanto di capire quanto i dieci Istituti autonomi case popolari - scomparsi dal ´98 nel resto d´Italia e rimasti in piedi solo nell´isola - siano sprofondati nel baratro di conti da tribunale fallimentare.
Nessuno li conosce, da Catania a Palermo, da Trapani a Messina, ma in base a una stima approssimativa sembra abbiano superato quota cento milioni di disavanzo. Il monitoraggio disposto in gran fretta dall´assessorato ai Lavori pubblici confermerà nei prossimi giorni cifre e resoconti da brividi, da quel mondo pasciuto all´ombra di gestioni clientelari. Strapuntini da lottizzazione nei dieci consigli di amministrazione (ora commissariati), assunzioni negli uffici degli Istituti, assegnazione dei 63 mila alloggi finalizzate a catalizzare consensi per i signorotti locali ad ogni tornata elettorale, con un pacchetto potenziale di oltre 200 mila voti (4 per ogni famiglia che occupa l´immobile). In Sicilia cambiano i governi, l´ultimo in settimana, ma i feudi elettorali restano. E i più grossi vanno sotto la sigla Iacp.
Residenze nei quartieri più eleganti e stalle, catapecchie nei centri storici e case dormitorio nei quartieri ghetto dello Zen a Palermo o di Librino a Catania. Agiati professionisti o venditori ambulanti nullatenenti, non fa differenza. I primi pagano un canone da miseria per appartamenti lussuosi in centro, gli altri occupano abusivamente e non pagano le case del degrado, da anni.
Il risultato è lo stesso: gli uni e gli altri concorrono - con la complicità di amministratori non casualmente distratti - al dissesto dei dieci Iacp, uno per provincia, più quello di Acireale. Sopravvivono a decine di progetti di riforma. L´ultimo, approvato dalla giunta di Raffaele Lombardo e arenato ora in Assemblea regionale siciliana, prevede la loro trasformazione, finalmente anche nell´isola, in strutture aziendali, con taglio dei cda da 10 a 3-5 consiglieri. E sì, perché fino a pochi mesi fa i dieci enti erano gestiti da altrettanti consigli di amministrazione, ognuno con i suoi dieci consiglieri, il presidente con indennità vicina ai 7.500 euro mensili (il 75 per cento rispetto a quella dei presidenti delle province) e i consiglieri equiparati per tre quarti agli stipendi degli assessori. Una pacchia da sottopotere. La situazione da profondo rosso ha indotto ora il governo regionale a congelare i cda, commissariando tutti gli Iacp con l´esclusione di quello di Ragusa.
«Abbiamo disposto questo primo monitoraggio perché la situazione ormai è fuori controllo - racconta l´architetto Vincenzo Pupillo, che in assessorato regionale Lavori pubblici è responsabile del servizio Gestione patrimonio - Non abbiamo neanche esatta contezza degli alloggi. Quel che sappiamo è che il 25 per cento degli oltre 62 mila sono occupati abusivamente da anni. Interi quartieri degradati, dallo Zen di Palermo a Librino a Catania. Sappiamo che un altro 30 per cento di immobili fa registrare una morosità di lungo corso. E questo nonostante i canoni siano tra i più bassi d´Italia. Si va dai 52 euro ai 208. Neanche i singoli istituti conoscono i loro disavanzi reali. Speriamo ora di venirne a capo».
Ci sono numeri e canoni a far luce sul disastro. In Lombardia il canone medio di affitto, che tutti pagano per i 114.501 appartamenti, è di 87,50 euro, nel Lazio per i quasi 100 mila alloggi, è 86,27 euro. Nelle nove province siciliane la media è di 60 euro, laddove e quando si paga. Al contrario, nell´isola si sono venduti più immobili Iacp che nelle altre regioni, stando all´ultima analisi prodotta dalla Corte dei conti che nel 2007 ha fotografato 15 anni (1993-2007) di gestione dell´edilizia residenziale pubblica in Italia. Ebbene, in Sicilia 19.849 alloggi venduti, contro i 10.785 della Lombardia e i quasi 5 mila in Campania. Il motivo è semplice, racconta ancora il dirigente «Don Chisciotte» dei Lavori pubblici, Pupillo: «I dieci Iacp siciliani non hanno venduto, hanno regalato, prezzo medio di 15 mila euro, in molti casi anche meno, fino a 8 mila euro per appartamento. Così, sono stati svenduti i prezzi migliori e a carico degli Istituti sono rimasti 50 mila alloggi assai diroccati, che comportano ulteriori spese di manutenzione».
I bubboni a Palermo e Catania. Nel capoluogo, innanzitutto. Dove il locale Iacp gestisce 11 mila alloggi ma non cava un ragno dal buco. Quasi un terzo, il 28 per cento circa, è occupato abusivamente, il 35 per cento giace in un fondale di morosità perenne. Il risultato sta tutto nella relazione inviata poche settimane fa alla presidenza della Regione dal commissario Marcello Gualdani. Debiti per 56 milioni, inventario degli immobili mai effettuato, incarichi e consulenze a parenti di politici e amministratori per recuperare i crediti dagli inquilini abusivi: sono stati 1.763 affidati a decine di avvocati esterni, con parcelle anche da 100 euro a incarico, in una partita di giro tutta interna agli «amici» del Pdl. Peccato che le lettere di riscossione siano «state a volte inviate sotto compenso anche a defunti» scrive il commissario. Che poi elenca: 220 incarichi affidati a Beatrice La Barba, compagna del presidente uscente dello Iacp di Palermo, Giuseppe Palmeri («E´ vero, ma allora tra noi non c´era alcun rapporto, se non professionale», si è difeso lui). Altri 225 incarichi a Daniela Cascio, moglie dell´assessore comunale Giampiero Cannella (Pdl), 49 a Paola D´Arpa, moglie del funzionario regionale che vigila sullo Iacp, Gaetano Ciccone. E poi, incarichi di progettazione per restauro a Onofrio Gullo, figlio del sindaco di Monreale.
Incarichi quindi tutti revocati e affidati ai dipendenti, con un risparmio stimato dal commissario in 500 mila euro. Per non dire che dalla relazione sono emersi immobili mai inventariati, una cinquantina tra Palermo e provincia, perfino nell´isola turistica di Ustica.
A Catania la musica non cambia. Anche lì, interi quartieri, quelli più degradati dove polizia e vigili urbani non mettono piede, occupati abusivamente. Il nuovo commissario Antonio Leone, piazzato lì dal governatore Lombardo, sta facendo i conti con una morosità che negli ultimi anni ha superato il 90 per cento, su un patrimonio di 10.003 alloggi, occupati abusivamente per un quarto (il 24 per cento). Vecchi e nuovi amministratori parlano di decine di milioni di euro di disavanzo, ad oggi non stimabile. Il costo medio dell´affitto sarebbe di 67 euro. Ma a pagarlo è solo un inquilino su 10. Poveracci ma anche parecchi furbi, a lucrare alle spalle dell´erario, nella Sicilia delle troppe clientele e dei feudi inespugnabili.

Burton Morris
11-01-10, 21:10
Caro direttore, Gianfranco non è come Di Pietro


• da Il Giornale del 5 gennaio 2010

di Ignazio La Russa

Caro direttore, ho letto con grande stupore su il Giornale di oggi (ieri ndr), lunedì 4 gennaio, il titolo, su tutta la prima pagina, «Fini come Di Pietro» ripreso a pagina 3 dall’articolo col titolo «Fini fa sparire le case come Tonino». Titolo e contenuto, nella migliore delle ipotesi, sono frutto di un colossale abbaglio, nella peggiore sono invece il maldestro e calunnioso tentativo di addebitare a Fini (e come conseguenza a tutta An) propositi o comportamenti scorretti del tutto inesistenti che soltanto una campagna di natura diffamatoria, che ho già avuto modo di definire «fuoco amico immotivato» potrebbe giustificare.

L’articolo cerca, sia pur con qualche cautela, di accreditare la tesi contenuta nei due citati titoli di per sé gravemente offensivi sia per l’uso del verbo «sparire», sia per l’accostamento a comportamenti di Di Pietro che, in ogni caso, «non ci azzeccano» non foss’altro perché l’Idv non è confluito in nessun nuovo partito e la loro diversa natura ha dato vita a polemiche nate al loro interno. In realtà la situazione è assai diversa da come appare sul Giornale ed è del tutto cristallina, tant’è che nessuno, dicesi nessuno, in An ha sollevato la minima perplessità. Com’è noto, sette giorni prima della nascita del Pdl, An tenne il suo ultimo congresso con cui deliberò di aderire al nascente nuovo partito frutto del concorde incontro politico tra Berlusconi e Fini.

Nel corso della relazione congressuale, che tenni in qualità di coordinatore nazionale di An e perciò ripresa da Tv e giornali, oltre ai contenuti politici, illustrai (e poi lessi) anche il percorso giuridico-amministrativo della confluenza nel Pdl che venne specificatamente approvato dai congressisti all’unanimità. In forza di tale deliberazione si è stabilito che Alleanza nazionale, esattamente come Forza Italia, resterà giuridicamente in vita fino al 2013 per consentire la normale definizione dei rapporti economici di dare e avere ancora in corso. Ogni passaggio fu inoltre concordato con gli amici di Forza Italia anche per assecondare loro specifiche esigenze. Va pertanto precisato che:
1) Nulla è cambiato né è oggi in corso di cambiamento per quanto riguarda la sorte degli immobili che, meritoriamente, come ammette lo stesso articolo, sin dai tempi dell’Msi, la destra ha acquisito per destinarle a proprie sedi politiche.
2) Non è quindi in corso alcun passaggio «a società ad hoc» come invece dice l’articolo adombrando con ciò chissà quali manovre in atto.
3) È altrettanto fortemente errato scrivere che esiste oggi una «fondazione» guidata dal «finiano di ferro Donato Lamorte» con «tesseramento prolungato a marzo 2010».

Al contrario il congresso di An all’unanimità, stabilì in accordo con quanto Forza Italia aveva già deliberato da pochi giorni, di affidare il percorso di ordinaria amministrazione di An, fino al 2013, a un comitato altamente rappresentativo presieduto dall’onorevole Donato Lamorte con la partecipazione non certo di amici o parenti ma di esponenti della «storia» di An tra cui il senatore Valentino, il senatore Gamba, il senatore Caruso, l’onorevole Biava e con la contestuale nomina di una terna di amministratori guidata dal senatore Franco Pontone, esempio riconosciuto di assoluta correttezza amministrativa nel mondo politico.



Sarà nel 2013, fra tre anni cioè, che tutti insieme potremo decidere di dar vita a uno strumento come una fondazione, che sul piano culturale coltivi i valori per cui ci siamo battuti in Alleanza nazionale e che, sul piano politico, sono oggi presenti nel Pdl. Ma quello che qui importa e che con questa lettera mi preme precisare è che il titolo e l’articolo di oggi, mi creda direttore, hanno indignato non solo me, ma tutti coloro che hanno militato in An. Il Giornale ha infatti cercato di attribuire a Fini intenzioni, o addirittura comportamenti, che nulla hanno a che fare con il modo trasparente e corretto con cui tutta An ha gestito la confluenza nel Pdl.

Vorrei fosse chiaro infine che, in ogni caso resterebbe invalicabile la circostanza che Fini (che era già presidente della Camera) affidò all’ufficio politico e semmai a me, come coordinatore, il compito di definire tutti gli inevitabili aspetti giuridici della confluenza da sottoporre al Congresso. Come difatti avvenne. Mi consenta in conclusione, caro direttore, di rinnovarle il mio auspicio, o meglio ormai la mia esplicita richiesta (che sono certo è largamente condivisa da altri lettori del suo giornale) di non vedere impegnato il Giornale ad alimentare (o a volte addirittura creare) tensioni nel campo del centro destra ma al contrario, pur con tutta la verve anche polemica di cui lei è maestro, ad accrescere la coesione della coalizione che sta governando l’Italia.

Sono certo che converrà con me nel ritenere questa una condizione necessaria per dare risposta ai problemi del Paese che la sinistra, ne sono convinto almeno quanto lei, potrebbe solo accrescere se, per nostre divisioni e incomprensioni, le lasciassimo campo libero. La ringrazio per la pubblicazione.

Burton Morris
11-01-10, 21:10
Giù al Nord - Rubrica di Radio Radicale a cura di Valerio Federico con la collaborazione di Luca Perego

4a Puntata – Formigolandia, Comunione e Liberazione al potere (2° parte)
Martedì 5 gennaio 2010 alle h.23.25



Conducono Valerio Federico e Luca Perego co-autori del dossier “La Peste Lombarda” Agenda Coscioni anno IV n.07: Luglio 2009 | Associazione Luca Coscioni (http://www.lucacoscioni.it/agendacoscioni/agenda-coscioni-6).
Tema della puntata: il sistema formigoniano e il potere di Comunione e Liberazione - CL e la gestione diretta del potere, i volontari del Movimento, i memores, don Giussani e la conversione globale, il papato e il Movimento.
In studio: Eleonora Bianchini, giornalista di Politica e Società di Blogosfere, network di blog del Sole 24 Ore. Verranno trasmesse delle interviste a don Giorgio De Capitani, autore del sito DonGiorgio.it - Politica a Tutto Campo (http://www.dongiorgio.it) e a Giuseppe Di Leo, vaticanista di Radio Radicale.


Puoi scriverci a giualnord.radioradicale@gmail.com oppure visitare il blog GIU' AL NORD (http://giualnordradioradicale.splinder.com) (dove è possibile riascoltare le puntate precedenti)

Le frequenze di Radio Radicale: Le frequenze di Radio Radicale | RadioRadicale.it (http://www.radioradicale.it/frequenze)

Giù al Nord | RadioRadicale.it (http://www.radioradicale.it/rubrica/848)

Burton Morris
11-01-10, 21:12
"La Stampa", 05 Gennaio 2010, pag. 13



Qui Torino

La Guardia Nazionale rinuncia: “Aspettiamo il voto delle Regionali”



Niente ronde, per il momento, a Torino e in provincia. Il progetto di istituire la Guardia Nazionale Italiana che sembrava sul punto di decollare, dopo una serie di annunci ufficiali, è per il momento tramontato. Gli organizzatori avevano studiato divise e ogni dettaglio, avevano pure a disposizione un aereo e il gruppo sommozzatori. I neo-militi avrebbero dovuto inaugurare la sede ufficiale, proprio a Torino, entro il 2009. Ma è stato tutto rinviato: «Aspettiamo l’esito delle elezioni regionali, intendiamo promuovere la nostra associazione, che già conta migliaia di iscritti, nell’ambito della protezione civile. Sarà la prima mossa. Poi vedremo che fare, come presentarci», spiegano i promotori. Nè risulta che siano state presentate, in prefettura e questura, altre domande di associazioni decise a seguire le orme delle ronde padane, una volta attive anche in Piemonte.
«Merito della politica del governo e in particolare per l’azione svolta da ministero dell’Interno. In questa fase - spiega uno dei fondatori delle formazioni di volontari della sicurezza in camicia verde, l’eurodeputato Mario Borghezio - la situazione dell’ordine pubblico non richiede l’intervento delle ronde. Ma siamo pronti a rimetterle in campo, se mai si ripresentassero le condizioni».

Burton Morris
11-01-10, 21:13
"La Stampa", 05 Gennaio 2010, pag. 13


Qui Bergamo


Niente volontari
neanche nel cuore
della Padania

N egli uffici della Prefettura di via Torquato Tasso a Bergamo di domande non ce ne sono ancora. Sembrava che tra i primi si muovesse l’associazione cittadina degli ex carabinieri, ma dal comando provinciale è arrivato un discreto invito a lasciar perdere già a novembre. Su per le valli dove la Lega raccoglie consensi su consensi, si studia la legge, si cerca di capire cosa si può e cosa non si può fare. Il neosindaco del Pdl della Città dei Mille Franco Tentorio, cita a memoria i paletti messi dal ministro dell’Interno Maroni: «Le ronde dovranno essere composte da volontari ed essere disarmate. Dovranno offrire la loro disponibilità gratuitamente. Al primo posto dovrà essere garantita affidabilità e professionalità».
Il rischio di avere per le strade giustizieri fai-da-te piace a nessuno. Ma è chiaro che all’assessore alla Sicurezza, il leghista Cristian Invernizzi, piacerebbe il moltiplicarsi delle ronde di cittadini: «L’associazione degli ex paracudisti si è già offerta. Qualche contatto è stato avviato con gli ex poliziotti. Quando avremo il quadro delle domande e il benestare del Prefetto, ragioneremo su quale servizio offrire alla gente». Nelle intenzioni, il servizio sarebbe soprattutto diurno, con controlli dal mattino alla sera: «Sarebbe meglio operare quando la città è più frequentata dalla gente». \



Qui Padova


Zero richieste, ma la Lega
ci crede ancora: “Così
superiamo anche il Pdl”

Il sindaco di Padova Flavio Zanonato del Pd, questa legge sulle ronde l’aveva bollata come «un pastrocchio». Non ha cambiato idea, ma alla fine non sarà certo lui a tirarsi indietro: «Le ronde vanno bene solo se slegate dai partiti, solo se sono composte da semplici cittadini». In Prefettura, a Palazzo Santo Stefano, di domande non ne sono ancora arrivate. Ma in zona c’è chi sta già affilando le armi. Due giorni fa a Campo San Martino si sono riuniti dodici sindaci della provincia, tutti della Lega, per firmare l’ordinanza che istituiva gli «Osservatori volontari per la sicurezza». Smesse le camicie verdi, abbassate le bandiere con il Sole delle Alpi, i leghisti padovani si preparano ad onorare le regole imposte dal ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Maurizio Conte, segretario provinciale della Lega, lo ripete da tempo che non è più un problema di camicie verdi: «Le ronde le abbiamo volute noi per sensibilizzare il governo e la gente. L’obiettivo è stato raggiunto. La posizione della Lega è stata legittimata». Gli uomini delle ronde, se e quando otterranno l’approvazione del Prefetto, avranno la casacca gialla, saranno disarmati, collaboreranno con le forze dell’ordine. E i leghisti non nascondono la speranza, che possano essere un’arma in più in vista delle elezioni regionali di marzo.

Burton Morris
11-01-10, 21:15
Ronde, tanto rumore per nulla

Moratti: non dovranno essere una sorta di giustizia fai da te dei cittadini




FABIO POLETTI
MILANO

L’unica ronda visibile a Milano per ora, è quella di «Porta Volta»: Aldo, Giovanni e Giacomo con basco, gonnellino kilt e carriola, che impazzano alla tv da Fabio Fazio. In Prefettura è arrivata una sola domanda, quella dei poliziotti in pensione riuniti nell’Api, a libro paga di Palazzo Marino per controllare scuole e parchi. Presto ne arriverà un’altra dell’associazione «Milano più sicura», l’ex ronda di militanti leghisti di via Crema e piazza Trento che, smessa la casacca verde come impone la legge firmata dal ministro dell’Interno Maroni, si presenta con nuovi colori ma con la stessa testa. Sarà perchè non se ne parla più, sarà perchè gli indici della criminalità sono in discesa, sarà pure perchè le regole per molti sono troppo restrittive, malgrado mille annunci e mille aspettative le ronde di mezzanotte fanno fatica a decollare.
Gli ottomila cittadini delle ronde, di cui parlava dieci anni fa il parlamentare della Lega Mario Borghezio sembrano un miraggio. Se si esclude Bari dove sono resistiti per un mese i controlli anti bulli, il fenomeno piace soprattutto al Nord. Da Cuneo a Trieste non c’è comune che non avesse la sua ronda. Ma è difficile che resistano ai paletti imposti dalla legge che vieta simboli di partito, figuriamoci le divise paramilitari delle ronde nere della Guardia Nazionale Italiana o i Berretti blu legati all’Msi che si vedevano in giro per Milano fino a qualche tempo fa.
Il sindaco Letizia Moratti che sulla sicurezza ha sempre puntato molto, non ha mai nascosto la necessità di avere regole precise: «Le ronde non devono essere la giustizia fai-da-te di singoli cittadini». Eppure dove a Milano sono nate negli Anni Novanta, c’è anche chi inizia ad avere qualche ripensamento. Giovanni De Nicola, consigliere provinciale del Pdl, un tempo alla testa del «Fronte dei cittadini», si chiede che senso abbia fare le ronde oggi: «Se non sono davvero manifestazioni spontanee di cittadini sono inutili. Quando le facevamo noi era un modo per dimostrare che avevamo il controllo del teritorio, dei nostri quartieri. Oggi la polizia e l’esercito presente in città, fanno di più e fanno pure meglio».
Che la sicurezza non sia più una prerogativa della destra o della sinistra lo sanno tutti. Ma il rischio che sulle ronde i partiti si giochino la visibilità è alto. Davide Boni assessore leghista al Territorio in Lombardia schiaccia sull’acceleratore: «Sarebbe assurdo escludere qualcuno perchè vota un partito. Non è questo lo spirito della legge». Alessandro Morelli, consigliere di zona 5 e animatore di «Milano più sicura» promette che non ci saranno escamotage: «In strada non ci saranno nostri militanti». Max Bastoni, uno dei responsabili dei Volontari Verdi, giura di voler rispettare la legge ma storce il naso: «Sono stati i nostri alleati di governo a non volere le ronde di prima. Temevano che noi diventassimo troppo forti. Ma è chiaro che quando si parla di sicurezza si parla di politica. E la Lega, tra tutti, è quella che da sempre si occupa di più di certi temi. Noi non vogliamo in strada “giustizieri della notte”. Ma la gente vuole una risposta concreta alla domanda di sicurezza». Chi di sicuro non ci sta anche se viene sempre tirata in ballo, talvolta a sproposito, è l’associazione dei City Angels. Il suo presidente Mario Furlan è più che categorico: «Noi non presenteremo alcuna domanda. Le ronde servono solo se hanno una funzione sociale, aiutare chi è per strada, non solo per la sicurezza. Giocarsela tra sigle politiche come stanno facendo, non serve».

Burton Morris
11-01-10, 21:15
Malasanità, Farina Coscioni: ogni giorno è un bollettino di guerra


7 gennaio 2010




Subito approvazione proposta di legge dei deputati radicali per una nuova selezione della dirigenza sanitaria e in particolare dei direttori sanitari. Questo e’ il banco di prova, tra chi vuole una sanita’ al servizio del cittadino e una sanita’ pascolo di clientela e illeciti guadagni della partitocrazia

Dichiarazione di Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale e copresidente dell’Associazione Luca Coscioni

Ogni giorno la cronaca ci “racconta” di una sconcertante quantità di episodi di mala-sanità, di cittadini che muoiono o vengono gravemente lesionati a causa di imperizie e negligenze di medici, di personale e di strutture sanitarie.
Ogni giorno, le cronache, anche giudiziarie e penali, non solo quelle giornalistiche, ci “raccontano” come la Sanità sia diventato il terreno di scorribanda e di caccia di politici e di partiti privi di scrupoli, che hanno trasformato luoghi di sofferenza e di cura in pascolo elettorale per le loro clientele e strutture di potere. E’ un vero e proprio bollettino di guerra.
Ho presentato solo in questa settimana una decina di interrogazioni su casi di mala-sanità, volendo ancora credere che il ministro della Salute vorrà prima o poi corrispondere a questa mia funzione ispettiva.
A fronte di tutto ciò non possono che risultare stupefacenti le affermazioni di chi, come il presidente della Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato Cesare Cursi ritiene inutile istituire un garante contro gli errori nel mondo della Sanità, sostenendo che gli strumenti già ci sono e occorre farli funzionare. Se questi strumenti ci sono, non lo dica a noi, ma si attivi perché la maggioranza di cui fa parte, li faccia funzionare.
Quanto all’idea che occorre una nuova selezione della dirigenza sanitaria, e in particolare dei direttori generali, con nuovi criteri di qualità, ricordo solo che dal 29 aprile del 2008 c'è alla Camera depositata una proposta di legge di cui sono prima firmataria appunto riguardante la riforma delle procedure di selezione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere.
La verità è che non approvando integralmente la mia proposta di legge si ha il timore di perdere quel terreno di caccia e di scorribanda, e di enormi guadagni che è la Sanità. Se non è così, lo si dimostri con i fatti, che le parole lasciano il tempo che trovano. Questo è il banco di prova tra chi vuole una Sanità al servizio del cittadino e chi invece vuole una Sanità pascolo di clientela e illeciti guadagni per la partitocrazia.

Burton Morris
11-01-10, 21:15
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 07 GENNAIO 2010
Pagina 3 - Cronaca

Il professore Paolo Cornaglia Ferraris, medico e saggista
"Lottizzati e approssimativi questo è il male da sradicare"
"Bisognerebbe applicare una scatola nera a tutto il sistema per capire non tanto il responsabile ma quale procedura non abbia funzionato"

LAURA ASNAGHI
MILANO - Professor Paolo Cornaglia Ferraris, da medico e autore di "Camici e pigiami", quali sono le cause di questa tragica catena dei casi di malasanità che si registrano soprattutto al Sud?
«Negli ultimi vent´anni la sanità al Sud ha funzionato come serbatoio elettorale, diventando un dominio dei partiti, con assunzioni lottizzate. Al Sud la sanità è una valvola di compensazione della disoccupazione, in barba alla professionalità e alle esigenze dei malati. E un sistema sanitario così concepito non può che produrre valanghe di errori pagati a caro prezzo dai malati».
Però il problema della malasanità colpisce anche al Nord.
«Vero, e questo è frutto della approssimazione e della mancanza di una vera organizzazione professionale del sistema sanitario. Al Sud, ma molto spesso anche al Nord, i direttori degli ospedali sono più interessati ad assumere medici della stessa area politica, senza tener conto del meriti maturati in corsia».
C´è rimedio a questa "malattia cronica"?
«Sì, basterebbe applicare una "scatola nera" a tutto il sistema sanitario italiano per capire non tanto il responsabile ma quale procedura non ha funzionato. L´importante è scoprire l´errore e fare in modo che non si verifichi più. Dopo di che l´ospedale risarcisce subito il paziente, evitando inchieste infinite».
Sì, però la storia del paziente morto perché cade dall´ambulanza in corsa lascia sgomenti.
«Quando non si ha coscienza del lavoro che si fa, succede anche questo. Ecco perché occorre puntare sulla la formazione professionale. E fare in modo che la sanità non sia più terreno di clientele politiche ma di sfide scientifiche nell´interesse del malato».
E il caso della bimba con il braccio sano ingessato?
«È la dimostrazione che non c´è un controllo del processo produttivo. Vuol dire che tra chi fa la radiografia e il medico che assiste la paziente non c´è dialogo e dunque la possibilità di intercettare l´errore».

Burton Morris
11-01-10, 21:16
"La Repubblica", VENERDÌ, 08 GENNAIO 2010
Pagina 15 - Cronaca

Io difendo il Sud
Proposta superflua
L´oncologo difende il sistema italiano: episodi spiacevoli si verificano ovunque, in Gran Bretagna sono più che da noi
Veronesi: basta accuse ai camici bianchi; la nostra sanità tra le migliori al mondo
Il Sud viene spesso demonizzato ma nessuno dice mai che lì si muore meno che al Nord, grazie anche allo stile di vita
Sono stato a fianco del mio collega Marino in tante battaglie ma il Garante che lui propone di istituire mi pare del tutto superfluo

CARLO BRAMBILLA
MILANO - «Non vedo la necessità di un Garante della salute. Anche perché la nostra sanità è regionale e quindi ci vorrebbe un garante per ogni regione. A livello nazionale il garante c´è già ed è il ministro della Salute». Umberto Veronesi, senatore del Pd, boccia senza tanti giri di parole l´ipotesi avanzata da un altro senatore del Pd, Ignazio Marino, anche lui medico: «Mi trovo d´accordo con lui in tantissime battaglie, ma non su quella del Garante, che giudico una figura del tutto superflua». Alla Malpensa per presentare la nuova iniziativa della Fondazione Veronesi che invierà a Cuba un gruppo di oncologi dello Ieo nell´ambito del progetto "Science for Peace", il grande oncologo commenta le ultime proposte per contrastare la malasanità italiana.
Professor Veronesi, Ignazio Marino sostiene la necessità di un´authority, slegata dalla politica, che contrasti i più diffusi casi di malasanità.
«Il mio parere è che si sta esagerando con questa "malasanità". I dati italiani dimostrano che la sanità italiana è una delle migliori del mondo. Avvengono ovunque, ogni tanto, degli episodi spiacevoli. Quelli che si verificano in Gran Bretagna, per esempio, sono superiori ai nostri».
Quali sono le cause delle disfunzioni del nostro sistema sanitario?
«Se ci sono disfunzioni o aree critiche è perché la legge 833 di riforma sanitaria che ha istituito il nostro Ssn nel 1978 è stata mal applicata e in alcuni casi profondamente tradita. Bisogna piuttosto fare un reset generale. Non bisogna esagerare con le accuse di malasanità e con la demonizzazione dei casi che accadono nel nostro Mezzogiorno».
È noto a tutti, però, che il sistema sanitario italiano funziona meglio al Nord piuttosto che al Sud.
«Ma nessuno dice mai che al Sud si muore di meno. Qualche dato: per cancro in Calabria muoiono 196 persone ogni 100 mila, contro 321 in Lombardia. In media i decessi per tumore sono 331 per 100 mila al Nord, 315 al Centro e 224 al Sud. In Lombardia si muore 5 volte di più per Aids che in Campania, Basilicata e Calabria. Certo tutto questo non è merito del sistema, ma degli stili di vita più sani. Tuttavia se guardiamo gli indicatori di efficienza del sistema sanitario, i dati non sono peggiori».
Cosa è urgente fare per migliorare la sanità italiana?
«Prima di tutto dobbiamo mettere in atto la prevenzione che, proprio come il Sud ci insegna, è il cardine della buona salute. Secondo: dobbiamo fare in modo che tutti i medici lavorino a tempo pieno, perché non può esistere un malato di serie A, in clinica privata, e uno di serie B, in ospedale. Terzo: dobbiamo azzerare l´ingerenza della politica nella autonomia del medico. Quarto: dobbiamo ripristinare lo spirito etico dell´ospedale, oggi troppo spesso asservito ai criteri di gestione economica. Quinto: dobbiamo ristrutturare la rete ospedaliera».
Gli ospedali italiani sono spesso obsoleti?
«Sì. E vanno cambiati radicalmente. La loro organizzazione ruota attorno al medico, mentre dovrebbe ruotare attorno al malato».
Quanto pesa l´invadenza della politica?
«Negli ospedali oggi la figura dominante è il direttore generale, che è di nomina politica e quindi risponde alla politica e raramente condivide le proprie scelte con clinici e ricercatori. Si è stravolta così l´etica dell´ospedale, che è cosa diversa dall´etica dell´azienda. Non credo sia giusto intendere

Burton Morris
11-01-10, 21:16
Radicali: “Subito l’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati”

Dichiarazioni di Francesco Poirè, segretario dell’associazione Enzo Tortora – Radicali Milano

Dopo la sentenza della Corte dei Conti dello scorso marzo contro il Sindaco Moratti e 16 assessori per quattro incarichi dirigenziali conferiti a professionisti senza un curriculum all’altezza (con un danno erariale di 263 mila euro) un’altra sentenza sconvolge palazzo Marino e condanna il sindaco e la sua giunta per l’assunzione di nove dipendenti dell’ufficio stampa che ha provocato danni per 125.457 euro.

Tutte queste assunzioni risultano prive dei pre-requisiti per accedere a quelle posizioni: evidentemente la meritocrazia tanto sbandierata dal Sindaco non viene applicata per le assunzioni del suo ufficio stampa con la silenziosa complicità della giunta, che ha ratificato le designazioni.

Chiediamo che la nostra proposta di un’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, trasformata in ordine del giorno e approvata dal consiglio comunale di Milano nel giugno 2009, diventi finalmente realtà, garantendo trasparenza, informazione e la possibilità per i cittadini di conoscere per deliberare. Se nell’occasione pubblicassimo online tutti i dati sugli stipendi, le competenze e gli interessi di chi amministra la nostra città, il controllo democratico garantirebbe che casi come quelli che hanno portato alla condanna del sindaco siano sempre più difficili. Purtroppo l’applicazione della decisione già presa giace oggi dimenticata nel cassetto di qualche assessore.

Chiediamo solo che la Giunta rispetti gli impegni assunti di fronte ai cittadini.
Francesco Poirè

--
Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano
Via Malachia Marchesi de Taddei, 10 - 20146 Milano
Telefono/Fax 02 39 54 20 26
Radicali Milano - Associazione Radicale Enzo Tortora (http://www.radicalimilano.it)

Burton Morris
11-01-10, 21:17
Contratti d'oro, l'opposizione vuole il sindaco in aula


• da La Repubblica - ed. Milano del 11 gennaio 2010

di Oriana Liso

«Chiediamo ancora una volta al sindaco Moratti di venire in aula a riferire sulla nuova condanna arrivata dalla corte dei Conti: è inaccettabile che su questioni così importanti il sindaco non senta questo dovere». Parte all´attacco il capogruppo Pd Pierfrancesco Majorino sulla vicenda delle assunzioni di personale senza requisiti nell´ufficio stampa di Palazzo Marino, al centro dell´inchiesta-bis della corte dei Conti: i magistrati contabili hanno emesso la sentenza che condanna il sindaco e la giunta a risarcire oltre 125mila euro di danno erariale per "colpa grave".
Oggi Majorino, durante la seduta del consiglio comunale, ribadirà formalmente la richiesta. Ma intanto aggiunge: «Davanti a due condanne dei magistrati contabili sul suo modo di operare le scelte nell´amministrazione, il sindaco dovrebbe pensare a dimettersi». Per ora gli uffici legali di Palazzo Marino stanno studiando la sentenza, per decidere se fare ricorso, come nel caso della condanna per le "consulenze d´oro". Proprio dopo quella condanna il sindaco aveva promesso di presentarsi davanti al Consiglio o in commissione per riferire sulla vicenda. Una promessa mancata, visto che la Moratti ha scelto poi di parlarne solo attraverso il suo canale su Youtube. Tanto che ora, ironicamente, il consigliere della Lista Fo Basilio Rizzo commenta: «Propongo al sindaco un faccia a faccia su Youtube, con Red Ronnie come intervistatore: così finalmente potremo confrontarci sulle condanne che sta collezionando». E i Radicali rilanciano: «Evidentemente la meritocrazia tanto sbandierata dal sindaco non viene applicata per le assunzioni del suo ufficio stampa con la silenziosa complicità della giunta: chiediamo che la nostra proposta di un´anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, approvata dal consiglio comunale a giugno, diventi realtà».

Burton Morris
16-01-10, 14:28
"La Stampa", 12 Gennaio 2010, pag. 10


Le arance di carta di Rosarno

Finti agrumeti e finti disoccupati: così si è retto ed è entrato in crisi un sistema



GIUSEPPE SALVAGGIULO
INVIATO A ROSARNO


Un registro spiegazzato nell'ufficio anagrafe del Comune è il filo per provare ad afferrare i fatti di Rosarno: 14.745 abitanti divisi in 5.049 famiglie e 150 stranieri residenti, più o meno il 5 per cento di quelli che vivevano qui fino a due giorni fa. Come vivono le 5 mila famiglie di Rosarno? Da sempre grazie ai «giardini», i piccoli agrumeti che colorano la piana. A parte quattro o cinque latifondisti, la proprietà terriera è molto frazionata. Almeno 2.000 famiglie possiedono un appezzamento. Dimensione media: un ettaro. In tutto servono 3 mila braccianti. Fino a pochi anni fa, un ettaro di arance da industria (per fare i succhi) garantiva un reddito annuo di 7-8 mila euro: oltre alla vendita, c'erano i contributi europei legati alla quantità di agrumi commercializzati.
Le associazioni di produttori gestivano i contributi europei. Il contadino portava le arance alla cooperativa che poi le conferiva a un'associazione. Quest'ultima smerciava gli agrumi ai colossi alimentari e incassava i soldi dall'Ue. In questi passaggi, accadeva un «miracolo»: le arance si moltiplicavano, ma solo sulle fatture, per gonfiare i rimborsi. «Ne portavamo cento quintali e ne dichiaravamo cinquecento o anche mille», racconta un produttore. Le associazioni incassavano i contributi, ne giravano una parte irrisoria ai contadini (comunque felici per aver ottenuto più del dovuto) e trattenevano una quota significativa «per il disturbo». Il business ingolosiva politica e cosche. Su tre associazioni di produttori, una era controllata dalla sinistra e l'altra era di estrazione Dc. Mentre la 'ndrangheta stendeva la sua longa manus sui mercati ortofrutticoli.
Grazie alle «arance di carta» come qui le chiamano, prosperavano anche tanti magazzini e industrie di trasformazione, che davano lavoro a 1.000-1.500 rosarnesi. Altri 2.000-2.500 campavano con un diverso stratagemma. L'Inps garantisce un sussidio ai braccianti disoccupati, purché abbiano lavorato almeno 102 giorni nell'ultimo biennio. In caso di calamità, bastano solo 5 giorni. Dieci anni fa, c'erano tremila rosarnesi iscritti come braccianti disoccupati. In un terzo dei casi le assunzioni erano fittizie e servivano a riscuotere gli assegni statali: bastava un'autocertificazione e ogni anno piovevano 8 milioni di euro divisi in 2.500 persone, circa 3 mila euro a testa. Anche in questo caso il sistema si reggeva su una truffa. I contributi previdenziali non venivano versati, i finti braccianti facevano un altro lavoro e in campagna ci andavano gli immigrati, che costano la metà.
Arance di carta e sussidi europei, lavoro di carta e assegni Inps, tremila pensionati e mille impiegati pubblici: così si sosteneva l'economia di Rosarno.
Negli ultimi anni, i pilastri del sistema hanno ceduto. La stretta dell'Inps ha ridotto i braccianti disoccupati a 1.200 e i relativi assegni da 8 a 2 milioni l'anno. E l'escalation delle truffe sui contributi ai produttori ha messo in allarme l'Ue. Nel 2004 otto persone finirono in galera per aver riscosso 600 mila euro di contributi illeciti: dei 250 camion di agrumi dichiarati ne erano partiti solo 12. Due anni fa, altri 45 arresti per un affare di 18 milioni di euro. Gli 11 milioni di chili di arance certificati? Mai esistiti. E le spremute d'arancia? Mai viste né bevute.
Due anni fa sono cambiate le regole. Oggi i rimborsi arrivano a forfait: 1500 euro a ettaro a prescindere dalla produzione. Oltre alle «arance di carta», sono sparite cooperative, associazioni di produttori, magazzini e aziende di trasformazione. Ma contemporaneamente è crollato il prezzo di vendita degli agrumi: gli incassi non coprono più le spese, dunque oggi i contadini lasciano le arance sugli alberi.
Rosarno, che fino a due anni fa aveva bisogno nei campi di 1.800 immigrati clandestini, oggi ne richiede solo alcune centinaia. E bulgari e romeni, cittadini europei, sono più appetibili degli africani: se li assumi in nero, rischi multe più lievi.
Così i mille neri degli accampamenti sono rimasti senza lavoro. Nei ghetti cresceva la tensione. Fuori, l'insofferenza per una comunità non più «funzionale» al sistema. È bastata una miccia per innescare l'esplosione. Ma una volta espulsi i neri, Rosarno non ha risolto i suoi problemi. Chi ha un posto pubblico, una pensione o un sussidio di disoccupazione se la passa sempre bene. I piccoli proprietari arrancano. E i giovani fuggono: duemila solo negli ultimi anni, l'80 per cento delle nuove generazioni.
Rosarno, da oggi, dovrà occuparsi di altri migranti. I suoi.


E' stato convalidato dal gip di Palmi l'arresto dei tre abitanti di Rosarno accusati di avere aggredito alcuni immigrati. Il provvedimento coinvolge anche Antonio Bellocco, figlio di un esponente di spicco della 'ndrangheta, accusato di aver preso parte alle violenze.

Burton Morris
16-01-10, 14:29
Tagliare le poltrone? Era solo un bluff


• da la Repubblica del 13 gennaio 2010

di Francesco Merlo

Solo gli ingenui potevano credere che alla vigilia delle elezioni degli amministratori la maggioranza avrebbe abolito... gli amministratori. In Italia infatti per eliminare un posto bisogna crearne due. È questa la vecchia regola della Democrazia cristiana che ha governato per sessanta anni con i proconsoli, con i cacicchi e con gli ascari ed è questa la regola anche di questo governo.
Questo governo ha appunto annunziato, per il secondo anno consecutivo, il rinvio di un anno – e fanno dunque due - del dimagrimento degli enti locali più obesi del mondo. Il Consiglio dei ministri ha già predisposto il decreto legge che contraddice la legge. Insomma è la strategia di Penelope applicata al contrario: quella voleva imbrogliare i «proci», che sono gli scrocconi e i gozzovigliatori della ricchezza pubblica, la ricchezza di Ulisse; qui invece vogliono imbrogliare Ulisse. Se dunque la legge finanziaria li aveva condannati, oggi il governo li resuscita.
Ma rimangono morti che camminano. Gli enti locali, infatti, sono troppo spesso assembramenti condominiali, distributori di prebende stipendiali e serbatoi di consenso per la famigerata partitocrazia italiana. Ed è significativo che la rivolta contro la riduzione del venti per cento dei consiglieri e del numero degli assessori sia stata trasversale, coinvolgendo anche i Comuni governati dalla sinistra. È ovvio che ciascuno difenda i propri privilegi, i propri amici, i propri stipendi. È il governo centrale che non deve consegnarsi in ostaggio. Anzi è nel rapporto con la periferia che si misura la sua forza. Nel punto più distante lo Stato verifica la sua vicinanza ai cittadini. In periferia si certifica la credibilità del centro.
E tuttavia la pessima figura del governo non ci stupisce e non ci coglie impreparati. È anzi un assaggio del futuro federalista, della prossima grande riforma e dell´alta sfida ai fannulloni nella pubblica amministrazione. È un ulteriore disvelamento della demagogia imbonitoria. L´abbattimento della burocrazia che si autoriproduce, l´abolizione delle Province e appunto la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori negli enti locali erano infatti tre obiettivi caratterizzanti del programma elettorale del Popolo della libertà, tre piccole-grandi riforme di buon senso, gli strumenti più ovvi di qualsiasi progetto di risparmio economico, il nuovo inizio di una stagione più seria e più responsabile anche sul piano morale.
Ma purtroppo il clientelismo è una vecchia piaga preunitaria del nostro Paese: era una specie di ‘spoil system´ dei conquistatori che si annettevano contrade estranee. Vi hanno fatto ricorso anche lo Stato piemontese e gli uomini del Risorgimento. Purtroppo è stato uno strumento dell´Unità d´Italia. Imponendo uomini fidati i nuovi amministratori cercavano di controllare le istituzioni ereditate non solo dal Borbone, ma anche dai Papalini, dagli austroungarici e da tutti gli Stati e staterelli preunitari. Se ne servì poi il fascismo che ingrossò a dismisura la pubblica amministrazione non solo collocando i camerati ma lenendo così la disoccupazione e domando il malumore sociale. Infine la Democrazia cristiana ne fece una scienza fondata sulla sua cultura comunitaria e antistatuale. Ai democrstiani non importavano l´efficienza e il rigore dello Stato laico ma soltanto il consenso e il benessere impiegatizio. Il risultato, noto a tutti gli studiosi, è che in Italia lo Stato non è la più alta e qualificata sintesi della maturità sociale ma è un ente di collocamento. E dunque ogni volta che c´è stata e c´è in progetto una riforma contro l´istituzione obesa i politici italiani finiscono col renderla ancora più panciuta.
Il ministro della Semplificazione, il leghista Calderoli, è uno dei generali del Federalismo, la più strombazzata delle riforme – la rivoluzione leghista – che dovrebbe appunto semplificare e rendere veloce il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Ebbene, la sua ritirata di oggi, il salvataggio di ben trentamila poltrone e lo sperpero di dodici milioni di euro suonano come profezia del suo Federalismo e del suo destino. È infatti facile prevedere che il Federalismo aggiungerà alle burocrazie e ai ceti politici locali le burocrazie federali, i funzionari e i clienti del Federalismo. Oggi il ministro della Semplificazione si è trasformato nel ministro della Complicazione. (Presto avrà bisogno di un´agile struttura – almeno due sottosegretari – per risemplificarsi).

Burton Morris
16-01-10, 14:29
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 13 GENNAIO 2010
Pagina 13 - Interni

Due anni a Rosanna Gariboldi, moglie del vicecoordinatore nazionale del Pdl
Lady Abelli patteggia e torna libera: "Più umanità in cella che fuori"
Resta detenuto il re delle bonifiche Giuseppe Grossi. Ha avuto una crisi cardiaca
Confiscati alla donna 1,12 milioni di euro, depositati in un conto a Montecarlo

WALTER GALBIATI
EMILIO RANDACIO
MILANO - Lady Abelli patteggia ed esce dal carcere. Rosanna Gariboldi, la moglie del deputato e vicecoordinatore nazionale del Pdl, Giancarlo Abelli, rivede la libertà, dopo essere finita in carcere il 20 ottobre scorso con l´accusa di riciclaggio. «Ho trovato più umanità in cella che fuori», ha dichiarato appena uscita da San Vittore. L´inchiesta era quella su Giuseppe Grossi, l´imprenditore diventato negli ultimi anni il numero uno delle bonifiche lombarde.
Ieri davanti al giudice per le indagini preliminari, Anna Maria Zamagni, si è svolta l´udienza, dove con un patteggiamento e con l´assenso dei pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, è stata fissata la pena di due anni di reclusione, la multa di 3mila euro e la confisca di 1,12 milioni di euro, ovvero il saldo del conto corrente Associati, aperto presso la Banque J. Safra di Monaco e sequestrato dai pm. «Ha chiuso con un patteggiamento avendo constatato che la giustizia non le ha consentito altra via di uscita. Ma non è una resa», ha dichiarato al termine dell´udienza camerale il suo difensore, l´avvocato Ennio Amodio.
Con lei ha patteggiato anche la segretaria di Grossi, Maria Ruggiero: la pena è di un anno e nove mesi, la multa di duemila euro e la confisca di ben 5,6 milioni di euro, cinque dei quali sono stati trovati su un conto corrente a Vaduz in Liechtenstein, i restanti tra la Svizzera e l´Italia. Inoltre la Ruggiero ha consegnato alla procura le chiavi di un appartamento da 1,5 milioni di euro in via Moscova e una Smart intestati a una società di cui sarebbe stata prestanome. Entrambe erano accusate di riciclaggio, la Gariboldi per aver messo a disposizione il conto di Monaco «per movimentare - scrive il gip - i fondi di pertinenza del Grossi», mentre la Ruggiero di aver compiuto «operazioni economiche e finanziarie» con fondi «tutti provenienti e diretti a persone o società riferibili a Grossi e frutto dell´appropriazione indebita dallo stesso posta in essere».
Nelle motivazioni il giudice ha sottolineato la mancanza di precedenti penali per le due indagate, in particolare per la Gariboldi ha sottolineato come abbia «progressivamente maturato una maggiore disponibilità a collaborare, mettendo da ultimo a disposizione dell´autorità l´intero saldo del conto corrente, pari al doppio della somma sequestrata». Alla Gariboldi, prima il Riesame e poi il giudice Fabrizio d´Arcangelo avevano negato la scarcerazione. Secondo il giudice, la Ruggiero non ha ostacolato la ricerca della verità, è stata corretta, ha collaborato e «sin dall´inizio delle indagini, ha indicato i conti esteri ovvero i beni riferibili a lei, anche non ancora individuati dall´autorità procedente, mettendoli a disposizione».
Ora restano detenuti Paolo Titta e Cesarina Feruzzi, amministratori delle società di Grossi e lo stesso «re» delle bonifiche. Grossi, cardiopatico, è nel reparto di medicina penitenziaria dell´ospedale San Paolo. Più volte interrogato dai pm, Grossi ha impugnato i no alla scarcerazione arrivati dal Riesame sull´ordinanza di arresto e dal gip D´Arcangelo sulle condizioni di salute. L´udienza d´appello si terrà il prossimo 19 gennaio. Proprio sabato scorso, Grossi ha avuto una nuova crisi cardiaca, che ne ha peggiorato il quadro clinico.

Burton Morris
16-01-10, 14:29
Tessere gonfiate e rendite di posizione

• da Europa del 15 gennaio 2010

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di Maurizio Turco, Michele De Lucia

Lo scandalo delle tessere gonfiate dell’Ugl rappresenta un’occasione, da non lasciare cadere, per aprire un dibattito a tutto tondo sul ruolo del sindacato nel nostro paese, ferma restando la gravità dei fatti che stanno emergendo e della stessa reazione di Renata Polverini. La candidata del centrodestra alla guida della regione Lazio non può cavarsela con un semplice «non rispondo» o, peggio ancora, sostenendo che dovrebbe dire cose che non può rivelare «nell’interesse dei lavoratori italiani», specie quando l’accusa è quella di aver fornito dati truccati magari non foss’altro che per ottenere un maggior numero di poltrone nei comitati di vigilanza degli enti previdenziali. L’interesse dei lavoratori italiani, e degli stessi iscritti (quelli veri) all’Ugl, è invece quello di conoscere la verità. Delle due l’una: o i dati relativi alle trattenute Inps sulle pensioni a favore dei sindacati sono stati riportati in modo scorretto dagli organi di stampa (si è parlato di 66mila a fronte dei 558mila dichiarati dall’Ugl), ma allora non si comprende perché l’Ugl non ne chieda l’immediata rettifica, fornendo quelli veri, oppure gli stessi sono corretti, e allora l’Ugl ha molto da spiegare ai cittadini e ai propri iscritti, tanto più che il sistema delle trattenute automatiche sulle pensioni è disciplinato dalla legge 485 del 1972 e da una convenzione tra Inps e sindacati. Quanto sta emergendo, tuttavia, non è che un epifenomeno del tradimento della Costituzione repubblicana e dei principi dello stato di diritto che partiti, sindacati e Confindustria hanno perseguito anno dopo anno, in una sorta di pancorporativismo perfetto, fondato sulla difesa delle rendite di posizione e degli interessi di casta contro l’interesse generale.
Per dire “basta” a questo sistema, produttore di iniquità e povertà, riteniamo che vadano con urgenza poste all’ordine del giorno del parlamento le proposte presentate dai radicali in tutti questi anni: attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e abbandono della cosiddetta concertazione; attuazione dell’articolo 40 della Costituzione e riconduzione dello sciopero alla sua funzione originaria di strumento di rivendicazione contrattuale, in alternativa a quella impropria di strumento di partecipazione politica; severa contrazione della contrattazione collettiva centralizzata; contestuale introduzione di una disciplina legislativa volta a garantire condizioni retributive minime costituzionalmente garantite dall’articolo 36 della Costituzione; abolizione del vero e proprio “sostituto d’imposta” che l’Inps e gli imprenditori esercitano rispettivamente su milioni di pensionati e lavoratori attivi, riscuotendo il rinnovo automatico dell’iscrizione ai sindacati per conto degli stessi.

Burton Morris
16-01-10, 14:30
"La Stampa", 15 Gennaio 2010, pag. 18

ESPONENTI DEL PD NELL’INCHIESTA DELLA PROCURA

Concorsi truccati,politica e spioni: manette a Lady Asl


CARMINE FESTA
BARI


Un concorso truccato. E una storia di spionaggio con investigatore abusivo pagato 72 mila euro, col vizio di pedinare politici - tra cui l'ex assessore regionale alla Sanità, Alberto Tedesco, oggi senatore del Pd - e falsificare atti giudiziari. È il nuovo terremoto nella sanità pugliese, già finita al centro di numerose inchieste della procura barese: i fascicoli si sono intrecciati con le indagini che fanno tremare il Pd e tutto il centrosinistra e che - con l'imprenditore delle protesi Gianpaolo Tarantini - hanno portato fino alle escort ingaggiate per le serate a palazzo Grazioli.
La protagonista della nuova inchiesta è Lea Cosentino, «lady Asl», 41 anni, manager dimissionaria della sanità barese, agli arresti domiciliari per falso e peculato. Sarebbe stata lei - secondo la procura - a ingaggiare Antonio Coscia, investigatore abusivo, per chiedergli di bonificare alcuni uffici dell'Asl nei quali la Cosentino sospettava la presenza di «cimici», piazzate dalla procura.
Lady Asl avrebbe anche fatto pressione sulla commissione nominata per assegnare l'incarico quinquennale di direttore medico della struttura complessa di Allergologia e Immunologia Clinica presso l'ospedale di Altamura. Quel posto fu affidato a Eustachio Nettis contro il quale un'altra candidata, Mariateresa Ventura, ha fatto ricorso al giudice del lavoro. Da quella denuncia è partita l'inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari 5 persone: con Cosentino e Coscia sono stati raggiunti dal provvedimento Leonardo Digirolamo, responsabile dell'area legale dell'Asl barese; Giuseppe Lonardelli, direttore sanitario del Policlinico di Bari, membro della commissione d'esame; Eustachio Nettis, il vincitore del concorso. Obbligo di dimora invece per gli altri due componenti della commissione (Stefano Pucci, direttore dell'Unità di Allergologia all'ospedale di Civitanova Marche, e Agostino Cirillo, direttore di Allergologia all'ospedale di Caserta), per Vito Mastrangelo, coordinatore dell'ufficio concorsi dell'Asl di Altamura, e per Antonio Colella, dirigente dell'Asl attualmente irreperibile che avrebbe utilizzato una delibera illegittima per pagare un conto di 72 mila euro all'investigatore abusivo.
Per il gip Giulia Romanazzi la manager Cosentino appartiene «a una rete politico-affaristica tuttora perdurante» e ciò «indubbiamente depone in senso sfavorevole in merito alla sua attuale pericolosità». Nelle 135 pagine del fascicolo sono trascritte numerose intercettazioni telefoniche relative ai tentativi di modificare l'esito del concorso per l'ospedale di Altamura, dal quale è partita l'inchiesta. Tra i politici coinvolti - ma non indagati - ci sono l'ex assessore alla sanità Alberto Tedesco, l'assessore comunale barese Ludovico Abbaticchio, ginecologo che all'epoca dei fatti (2006) aveva la delega all'Urbanistica, l'assessore regionale ai Trasporti Mario Loizzo e Antonello Natalicchio, sindaco di Giovinazzo, comune alle porte di Bari. Sono tutti esponenti del Pd.

Burton Morris
24-01-10, 13:58
"La Stampa", 16 Gennaio 2010, pag. 17

Soldi, donne e tanta Sanità

Retroscena
Dalla D’Addario a Lady Asl

CARMINE FESTA
BARI

Vacanze costose a Montecarlo, Roma o Nizza. Un rolex «Daytona». Un cappotto «Kiton». E ancora: auto e autisti a disposizione. Oppure la promessa di farle incontrare il presidente Silvio Berlusconi, il ministro Raffaele Fitto, il vicepresidente della Regione Puglia Sandro Frisullo, il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso. Conoscenze utili per fare carriera e per consolidare potere. Quante attenzioni per Lea Cosentino. A «lady Asl» provvedeva Gianpaolo Tarantini. E non certo per amicizia disinteressata.
La Cosentino - secondo le accuse della procura di Bari - avrebbe ricambiato tanta gentilezza e i regali ricevuti promuovendo nel sistema sanitario pugliese le aziende «Techno Hospital srl» e «System Medical srl» dei fratelli Gianpaolo e Claudio Tarantini. Come? Nominando nei punti chiave dirigenti che avrebbero agevolato delibere favorevoli al business che Gianpy realizzava grazie a un «sistema» collaudato e che dava i suoi frutti. Un esempio? In quattro mesi - dal settembre 2008 al gennaio scorso - l'imprenditore ha vinto sei gare d'appalto con un volume d'affari di circa 800 mila euro.
In breve: Tarantini chiedeva, Cosentino disponeva e firmava delibere. E non da sola. Ieri l'ex manager dell'Asl barese è stata indagata dalla procura di Bari per associazione a delinquere assieme all'imprenditore delle protesi ormai noto in tutta Italia per il giro di escort al servizio dei politici. Indagato anche Francesco Lippolis, direttore amministrativo dell'Asl di Bari. Agli arresti domiciliari sono finiti Antonio Colella, capo dell'ufficio Area Gestione Patrimonio dell'Asl all'epoca dei fatti (fino a settembre 2009), attualmente direttore amministrativo dell'ospedale di Molfetta e Michele Vaira, funzionario dell'Area che governava Colella.
E' stato proprio Gianpy Tarantini, detenuto ai domiciliari a Roma dallo scorso settembre con l'accusa di spaccio di stupefacenti a ricostruire con i magistrati - che ritengono attendibili le dichiarazioni rese in settantacinque pagine di verbali - fin nei dettagli la complessità del suo «sistema». Tra i «dettagli» spuntano prestazioni sessuali della prostituta Terry De Nicolò a beneficio di Antonio Colella, «saldate» da Tarantini con 1500 euro, la promessa del «re» delle protesi che avrebbe garantito una rendita mensile da duemila euro a Domenico Colella, figlio di Antonio. O quel mutuo a favore di Paola Petruzzelli legata ad Antonio Coltella da una relazione sentimentale. In banca, al Monte dei Paschi di Siena, filiale barese di via Nicolò dell'Arca, ci andò per mediare anche Tarantini. Francesco Lippolis, oltre alla nomina a direttore amministrativo dell'Asl, avrebbe intascato trentamila euro in tre tranche. Mille per ogni delibera quelli versati a Michele Vaira.
E la contropartita per Tarantini? Anche le sue convenienze erano ben collaudate. Cosentino e gli altri dirigenti dell'Asl barese in più occasioni avrebbero invitato alle gare d'appalto - ma solo fittiziamente - aziende concorrenti con quelle di Tarantini per simulare una concorrenza che non ci sarebbe in realtà mai stata. Oppure avrebbero acquistato strumenti chirurgici per 32.730,24 euro senza che nessun medico ne avesse mai fatto richiesta. O aggiudicato alle aziende del giovane rampante barese l'appalto da 513 mila euro per l'acquisti di letti operatori destinati alle sale chirurgiche dell'ospedale Di Venere. Un «sistema» che il suo autore ha deciso ora di rivelare. Fin nei dettagli più intimi: dalle carte, infatti, spunta anche una sua relazione sentimentale con «lady Asl».

Burton Morris
24-01-10, 13:58
“Il Sole 24 Ore”, 17/01/10, n. 16

Funzione pubblica. Le istruzioni.

SU INTERNET ANCHE LE INDENNITA’ DEI POLITICI LOCALI

Gianni Trovati
Milano

Obblighi “ultralarge” per le regioni e gli enti locali, che devono pubblicare su internet anche i curricula di presidenti, sindaci e assessori, e disciplina “di favore” per la presidenza del Consiglio, che almeno per il momento rimane esclusa dalle novità.

Nella circolare 1/2010 la Funzione pubblica traccia i confini delle nuove regole sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni, rivoluzionate dal decreto attuativo della riforma Brunetta (Dlgs. 150/2009), che ha rafforzato un filone nato con i primi passi della cura anti-fannulloni nella manovra dell’estate 2008.
Le novità più importanti delle istruzioni del ministero arrivano per gli enti territoriali, e non riguardano solo le informazioni da pubblicare su internet. Analizzando la riforma, la Funzione Pubblica arriva alla conclusione che anche a Regioni ed enti locali si applichi da subito l’intero pacchetto del “ciclo delle performance”, che pure non era direttamente richiamato nelle regole destinate agli enti locali. Le istruzioni di palazzo Vidoni troncano ogni dubbio, e spiegano che per dare le pagelle (e i relativi premi) al personale anche sul territorio servono il programma triennale, il piano e la relazione sulle performance, la creazione dell’organismo indipendente di valutazione.
Tutti questi documenti devono finire nella sezione “operazione trasparenza” che dovrà campeggiare sul sito internet di ogni istituzione pubblica, centrale e locale. Su internet dovranno finire anche i nomi e i curricula dei valutatori, l’ammontare dei premi stanziati e di quelli distribuiti, i curricula dei titolari di posizione organizzativa (accanto a quelli dei dirigenti, già obbligatori), gli incarichi e le consulenze.

Non solo: tutte le pubbliche amministrazioni dovranno indicare sul web, sempre nella sezione sulla trasparenza, le buste paga e i curricula di “coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico-amministrativo”. In regione, provincia e comune, significa mettere sulla piazza telematica la storia e le indennità del presidente, del sindaco e degli assessori.

Trasparenza totale anche sulle buste paga dei segretari comunali e provinciali: è vero che non sono espressamente indicati dalla norma ma, sottolinea palazzo Vidoni, la ratio è chiara e lo impone. Ai responsabili degli uffici non “trasparenti” il Dlgs 150/2009 riserva l’azzeramento dei premi in busta, e la circolare ricorda che “la stessa cura è richiesta a ciascun dirigente”, responsabile dell’aggiornamento dei propri dati.

Niente di tutto questo, per il momento, si applica a Palazzo Chigi, e quindi alla stessa Funzione pubblica, che della presidenza del Consiglio è un dipartimento. E’ l’unica amministrazione ancora regolata dalle norme precedenti (cioè l’articolo 21 della legge 69/2009, che impone di mettere online buste paga e curricula dei soli dirigenti e non prevede sanzioni).
La circolare detta novità importanti anche per il censimento annuale di consorzi e partecipate; gli enti locali dovranno indicare alla Funzione pubblica le società riportate nell’ultimo consuntivo, e anche chi non ha partecipazioni dovrà effettuare la comunicazione.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

Burton Morris
24-01-10, 13:59
ANAGRAFE PUBBLICA DEGLI ELETTI: DOMANI I RADICALI IN CONSIGLIO COMUNALE PER ILLUSTRARE LA PROPOSTA AI CAPIGRUPPO.

Boni e Manfredi: “Contro le rivolte populiste noi proponiamo una riforma concreta di trasparenza, fatta propria dal Parlamento Europeo e dal Parlamento italiano”

Domani martedì 19 gennaio, alle ore 14:30, presso la Sala Capigruppo del Comune di Torino, sarà discussa la proposta di deliberazione di iniziativa popolare “Anagrafe pubblica degli eletti e trasparenza delle istituzioni per il Comune di Torino” presentata su iniziativa dei Radicali nel febbraio scorso dopo aver raccolto quasi 2000 firme di cittadini torinesi. La proposta sarà affrontata dalla Conferenza dei Capigruppo.



Dichiarazione di Igor Boni (Segretario dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta – primo firmatario) e Giulio Manfredi (Comitato nazionale di Radicali Italiani)

“Dopo quasi un anno dal deposito delle firme, finalmente domani avremo l’occasione di discutere della nostra proposta di delibera durante la Conferenza dei Capigruppo. Chiederemo al Consiglio comunale di accelerare i tempi per giungere rapidamente all’approvazione definitiva della delibera, che farebbe di Torino una delle prime città italiane a far proprio un provvedimento di trasparenza, consentendo ai cittadini di essere pienamente informati sulle attività degli eletti e dei nominati. Se la delibera fosse approvata, infatti, ciascuno avrà a disposizione le presenze degli eletti, le loro attività istituzionali ma saprebbe anche quanti passaggi da un gruppo consiliare all’altro avvengono e i guadagni di ciascuno. Altresì, vogliamo rendere pubblici e facilmente accessibili i dati dei nominati e dei consulenti del Comune: conoscere le loro attività, i loro curricula e i loro compensi serve a tutti per valutare l’operato della politica (di qualsiasi colore essa sia). Contro le rivolte populiste noi proponiamo una riforma concreta di trasparenza, fatta propria dal Parlamento Europeo (su iniziativa del Parlamentare radicale Marco Cappato) e dal Parlamento italiano (su iniziativa della delegazione radicale del PD)”.



Torino, 18 gennaio 2009

Burton Morris
24-01-10, 13:59
«Concussione», Vendola indagato

Corriere della Sera del 19/01/2010 ,

articolo di Angela Balenzano Fiorenza Sarzanini ed. NAZIONALE p. 15


Il governatore: si vuole inquinare la lotta politica. Io dovrei essere premiato Intercettazioni Al centro dell'indagine una intercettazione tra Vendola e l'ex assessore Tedesco Dimissioni L'assessore alla Salute Fiore non esclude di lasciare l'incarico: devo capire com'è andata

BARI - L'inchiesta sulla sanità pugliese appare ormai un ciclone inarrestabile. Dopo funzionari, assessori, manager di primo livello come Lea Cosentino, la direttrice della Asl di Bari finita agli arresti domiciliari, nel registro degli indagati viene iscritto anche il governatore Nichi Vendola. Reato ipotizzato: concussione. L'episodio appare banale, riguarda la mancata nomina di un luminare dell'epidemiologia. Ma sembra inserirsi in un filone più ampio sul sistema di designazione dei primari e dei direttori sanitari in una logica spartitoria che i pubblici ministeri hanno messo sotto osservazione già da diverso tempo. E che adesso deflagra in piena campagna elettorale e a cinque giorni dalle primarie del centrosinistra.
Questo filone di indagine nasce da una serie di conversazioni intercettate nella primavera 2008 tra lo stesso Vendola e l'allora assessore alla Sanità Alberto Tedesco. I due discutono della posizione di Giancarlo Logroscino, medico barese che insegna alla Harvard School di Boston. Si tratta di un professionista stimato, che può vantare numerosi titoli accademici, ma nonostante questo non è riuscito ad ottenere la nomina di primario al "Miulli". Il governatore rimprovera l'assessore in quota al Pd di essere intervenuto per bloccarlo, quest'ultimo dice di aver ricevuto numerose pressioni sia da politici, sia dall'ambiente sanitario. Alla fine il presidente della Regione si mostra convinto che si sia mossa la massoneria. Ne parla esplicitamente, senza però rivelare da chi lo abbia saputo.
È stato proprio questo scambio di opinioni a convincere i pubblici ministeri che fosse necessario verificare in che modo avvengano le designazioni e che ruolo abbia in questa partita lo stesso Vendola. Lui ostenta sicurezza: «Sarei indagato? Sono mesi che rimbalza questo schizzo di fango, che danzano per aria queste "notiziole", che provano ad assediare la mia vita. Sono notizie usate continuamente allo scopo di inquinare la lotta politica. Se poi parliamo del caso del professor Giancarlo Logroscino, non riesco neppure a capire il motivo per cui sarei stato iscritto nel registro degli indagati e per quali reati. Diciamo che dovrei essere premiato per aver capovolto l'andazzo italiano: premiare e selezionare coloro che operano nella sanità pubblica non con criteri meritocratici, ma con il sistema della fedeltà politica».
L'episodio si inserisce in un'inchiesta più ampia documentata in una informativa consegnata dai carabinieri alla fine dello scorso novembre per denunciare il governatore insieme ad altre dieci persone per aver «imposto nel maggio 2008 ai direttori generali delle Asl e di differenti presidi ospedalieri pugliesi, le nomine dei direttori amministrativi e sanitari, nonché di primari di strutture operative complesse al fine di rafforzare la presenza della propria coalizione politica nelle istituzioni locali».
Oltre a Vendola, nell'elenco compaiono il suo capo di gabinetto, Francesco Manna; l'ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco, indagato e costretto alle dimissioni nella scorsa primavera, ma beneficiato di un posto da senatore del Partito democratico; l'attuale assessore ai trasporti, Mario Loizzo, anche lui del Pd; il responsabile dell'Area personale Mario Calcagni; Lea Cosentino; l'ex direttore della Asl di Lecce, Guido Scoditti; il presidente del Consiglio comunale di Triggiano, Adolfo Schiraldi; l'imprenditore di Altamura Francesco Petronella. È stato l'ascolto delle intercettazioni telefoniche e ambientali e l'analisi delle delibere a convincere gli investigatori dell'Arma che le scelte avvenissero privilegiando la sponsorizzazione politica piuttosto che i requisiti tecnici dei candidati. Un sistema confermato dall'imprenditore Gianpaolo Tarantini che ha ammesso di essere riuscito a far designare dalla sua amica Lea Cosentino i funzionari che lo avrebbero poi agevolato nella concessione di appalti per le forniture di materiale sanitario.
Ieri sera l'assessore regionale alla Salute Tommaso Fiore non ha escluso di poter lasciare l'incarico: «Devo capire se sono stato un anno lì dentro a governare un sistema criminale oppure no. Ci sono tre possibili alternative: o questa teoria è falsa; o questa teoria è vera e quindi io non ho il diritto, come capocriminale, di parlare; oppure io sono un imbecille, non essendomi accorto di tutto questo e quindi ugualmente non ho il diritto di parlare».

Burton Morris
24-01-10, 13:59
Un flop i piani di rientro per la sanità

Il Sole 24 Ore del 19/01/2010 p. 14



OBIETTIVO MANCATO Secondo la magistratura contabile non sarà raggiunto il riequilibrio dei conti entro l'anno. Con la finanza creativa oneri fino al 2037.

Roberto Turno
ROMA


Contabilità disastrate e bilanci che fanno acqua da tutte le parti, controlli interni ed esterni senza rete, calcolo dei debiti «inadeguato» (per difetto), cartolarizzazioni e finanza creativa che hanno scaricato fino al 2037 sulle generazioni future una montagna insostenibile di "cambiali" senza almeno garantire ai posteri le chance per una sanità migliore. Rischia di tradursi in un clamoroso flop la gestione dei piani di rientro dai debiti sanitari accumulati fino al 2005 nelle cinque regioni (Lazio, Campania, Sicilia, Abruzzo e Molise) con asl e ospedali in extradeficit.
In un dossier appena trasmesso al Parlamento, la Corte dei conti punta l'indice sui bilanci dal 2001 al 2005, che nelle cinque regioni sotto tutela valevano 23,6 miliardi di debiti su cui lo Stato è intervenuto con assegnazioni specifiche (3 miliardi) e prestiti dell'Economia (altri 9 miliardi), pretendendo in tempi certi coi piani di rientro di azzerare i deficit e riqualificare il sistema.
Punto d'arrivo che per la magistratura contabile resta una missione impossibile. L'obiettivo di uscire dal tunnel entro il 2010, afferma, è irraggiungibile. E senza perifrasi i magistrati contabili manifestano serie perplessità anche sulla «coincidenza» del ruolo di governatore con quello di commissario ad acta per la sanità: come invece accade nel Lazio, in Campania, Abruzzo e Molise e come è stato confermato dalla Finanziaria 2010 e dal «Patto per la salute» tra governo e regioni. Due "mestieri" conflittuali, secondo la Corte. Che ancora sui commissariamenti alza il tiro e indica anche la Sicilia («permangono criticità e inadeguatezze») tra le regioni da commissariare.
Ma è sulla veridicità delle contabilità e dei bilanci, come sulle procedure di gestione dell'indebitamento, che la Corte dei conti manifesta forti preoccupazioni. L'entità stimata dei disavanzi 2001-2005 è «provvisoria e suscettibile di continue rideterminazioni», sia a causa delle situazioni amministrative e contabili delle aziende sanitarie, sia perché le Regioni «hanno sovrapposto le proprie patologie gestionali a quelle delle aziende». Tanto che, in un quadro di gravi carenze nei controlli esterni e anche esterni, non è stato in più casi possibile neppure avere certezza sulla «fondatezza delle pretese creditorie». Un caso su tutti: in Campania due dirigenti si sono auto-inseriti tra i creditori insoddisfatti per 396mila euro, fino a tentare un colpo da 2 milioni nella procedura di negoziazione di altri crediti. Le irregolarità contabili in generale sono state segnalate dagli advisor, precisa la Corte, «a differenza degli organi istituzionalmente preposti al controllo contabile, i collegi sindacali».
L'altro affondo la Corte dei conti lo riserva alla gestione dell'indebitamento, a partire dalle cartolarizzazioni con la sottoscrizione di «obbligazioni particolarmente onerose»: la rinegoziazione dei debiti con l'Economia ha permesso di ridurne il peso sui bilanci più vicini, è vero, ma ha prodotto un «forte slittamento (fino al 2037) degli oneri sulle generazioni future senza che le stesse possano usufruire di alcun beneficio correlato».
Senza dire del «potenziale conflitto di interessi tra banca advisor e banca gerente i diversi titoli emessi», o della cartolarizzazione immobiliare nel Lazio (centro-destra con Storace) «paradigma negativo di riferimento. Con la finanza creativa, conclude la Corte dei conti, esiste d'altra parte una «sproporzione» tra parte pubblica e banche, a tutto danno della prima, che finisce per «gravare sulla qualità dei servizi e sul prelievo erariale, penalizzando collettività presenti e future». Beffa doppia, insomma.

Burton Morris
24-01-10, 13:59
Deficit sanitari, regioni all'angolo

ItaliaOggi del 19/01/2010 p. 26


Dagli enti con i bilanci in rosso nessun intervento strutturale

I piani di rientro attuati nel periodo 2001-2005 dalle cinque regioni con la sanità in deficit (Abruzzo, Campania, Lazio, Molise e Sicilia) fanno acqua da tutte le parti. Invece che realizzare interventi «strutturali» per colmare una volta per tutte le voragini nei conti, le amministrazioni hanno tirato a campare. Non hanno fatto nulla per evitare il riprodursi delle «criticità gestionali» emerse. Anzi, hanno «svilito» i piani di rientro «con azioni dettate solo da logiche emergenziali». Nel mirino ci sono soprattutto le Asl che hanno dimostrato scarsa trasparenza nella gestione contabile, al punto che è difficile «scomporre con esattezza i debiti negli esercizi di pertinenza». Le aziende sanitarie locali, infatti, non hanno tenuto correttamente la contabilità, pregiudicando in questo modo il controllo di gestione. E si sono fatte incantare dalle sirene di chi ha proposto loro facili ristrutturazioni dei debiti che però hanno avuto l'unico effetto di allungare il periodo di ammortamento dei prestiti, scaricandolo sulle generazioni future. È una dura requisitoria quella fatta dalla Corte dei conti sull'utilizzo da parte dei governatori delle risorse (3 miliardi di euro in conto capitale e 9,077 miliardi sotto forma di prestito) stanziate per ridurre il disavanzo sanitario regionale. La relazione della sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni statali, approvata con delibera n. 22/2009 (depositata il 28 dicembre scorso, ma resa nota solo ieri) punta il dito soprattutto contro le Asl. I magistrati contabili non sono soddisfatti del modo in cui sono stati effettuati i controlli di legalità e regolarità dei bilanci. E anche l'attività negoziale delle aziende sanitarie ha lasciato molto a desiderare. Ma le maggiori criticità sono emerse dalla tenuta della contabilità che svuota l'efficacia dei controlli di gestione, «trasformando le grandi potenzialità di questo strumento manageriale», scrive la Corte, «in un punto di debolezza, dal momento che le aziende stesse non riescono a rendere il conto di qualità ed entità delle prestazioni sanitarie e del rispetto dei vincoli afferenti all'impiego di contributi finalizzati». «Nelle aziende delle regioni oggetto di dissesto», proseguono i giudici contabili, «la contabilità privatistica non viene quasi mai collegata all'organizzazione e ai centri di costo» e in questo modo si perde «il carattere di impulso all'efficienza e all'economicità connaturato all'impiego di detti strumenti manageriali». Ma c'è ancora un altro punto su cui la sezione presieduta da Giorgio Clemente non è stata tenera con le regioni. Si tratta, come detto, del frequente ricorso «alla ristrutturazione dei debiti con contestuale allungamento degli ammortamenti». Secondo la Corte conti, questo escamotage è stato utilizzato per coprire «deficit originati dalla gestione corrente e per l'acquisizione di beni che esauriscono il loro valore nel breve periodo». I giudici erariali stigmatizzano questo andazzo perché contrasta «con i principi dell'equità intergenerazionale, caricandone gli oneri sulle generazioni future che non potranno fruire dei benefici correlati». Tra le pratiche finanziarie maggiormente produttive di dissesti la Corte cita ad esempio le cartolarizzazioni (e soprattutto quella che ha riguardato gli immobili della regione Lazio) e la sottoscrizione dei prodotti subprime.«Prestiti e fidi bancari», è l'accusa della Corte conti, «si fondano non tanto sull'obiettivo rating della controparte pubblica quanto sull'aspettativa che quest'ultima faccia comunque fronte alle obbligazioni finanziarie, indipendentemente dalla persistenza di corretti equilibri di bilancio». E per finire, la Corte ha criticato anche la prassi che ha portato alla nomina dei governatori quali commissari prefettizi in regioni come Lazio, Campania e Molise (si veda ItaliaOggi del 15/1/2010). «La coincidenza tra le figure di commissario e governatore crea una singolare continuità tra la presidenza dell'ente inadempiente e l'organo straordinario nominato per surrogarlo nel perseguimento degli obiettivi fissati dal piano».

Burton Morris
24-01-10, 14:00
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 20 GENNAIO 2010
Pagina 10 - Interni

Vendola, Procura contro gli investigatori
"Strumentalizzazioni", giallo sull´iscrizione tra gli indagati. Il governatore: vado avanti
L´autodifesa su Youtube: "È la settimana delle primarie". D´Alema "Ma in Puglia rischiamo di perdere"

GABRIELLA DE MATTEIS
GIULIANO FOSCHINI
BARI - C´è qualcuno che potrebbe voler strumentalizzare le indagini della procura di Bari, veicolando le fughe di notizie. E questo qualcuno potrebbe essere tra gli investigatori. A lanciare il sospetto, pesantissimo, è il procuratore di Bari, Antonio Laudati, che nel pomeriggio di ieri ha diffuso una nota ufficiale per spiegare la posizione processuale del presidente della Regione, Nichi Vendola. Il Governatore pugliese è indagato da più di due mesi per concussione, in seguito a una denuncia dei Carabinieri del nucleo operativo di Bari che si stanno occupando della maxi indagine sulla sanità pugliese. La notizia è trapelata però soltanto ieri, costringendo così Laudati a intervenire con una nota scritta in punta di diritto nella quale da un lato parla «di un´ennesima fuga di notizie» ma dall´altro comunque non conferma (né smentisce) l´indiscrezione di stampa. «Nei confronti del presidente della giunta regionale pugliese, Nichi Vendola - scrive Laudati - non vi sono nel registro degli indagati di questa procura iscrizioni suscettibili di comunicazione». Una formula tecnica (articolo 110 bis del codice di procedura penale) che può significare sia che il presidente non è indagato sia che l´iscrizione è stata secretata.
Laudati va però oltre: «La Procura - dice - prende atto delle possibili strumentalizzazioni delle indagini per finalità diverse da quelle processuali così come delle precedenti fughe di notizie sugli accertamenti in corso: allo stato, non può escludersi che esse siano riferibili a componenti del gruppo investigativo». Vendola allo stato è sospettato - dai sostituti procuratori Desirè Digeronimo, Francesco Bretone e Marcello Quercia - di aver fatto pressioni sul suo ex assessore (oggi senatore Pd), Alberto Tedesco, per la nomina di alcuni primari. In particolare avrebbe chiesto spiegazioni sul perché Giancarlo Logroscino, neurologo pugliese tornato in Puglia dopo aver lavorato per anni ad Harvard, non avesse vinto la selezione all´ospedale di Acquaviva delle Fonti. Il fatto è raccontato in un´informativa dei Carabinieri depositata a novembre: la Procura prima di decidere se archiviare o meno la posizione del Governatore vuole però leggere gli atti conclusivi dell´inchiesta che non sono ancora pronti.
Il procuratore Laudati non è stato l´unico a paventare una possibile strumentalizzazione. Vendola - ringraziando il capo della Procura e parlando di «fiducia massima» nei cofronti della magistratura - ha attaccato in mattinata con una video lettera su You Tube e poi in una conferenza stampa, a margine del Meeting internazionale dei giovani che si sta tenendo in questi giorni a Bari. «Capisco - ha detto il Governatore - che questa è la settimana delle primarie, capisco che la lotta politica si possa svolgere su tanti piani, a volte su piani inclinati, che rischiano di portarci in un dirupo. Io ho una grande serenità nella mia coscienza, ho la consapevolezza di non aver mai offeso le regole, il Codice penale e la legge interiore che ogni uomo porta dentro di sé». Poi il riferimento agli avversari, dentro e fuori la sua coalizione. «Sono tanti mesi, quasi un anno intero, in cui abbiamo visto andare in scena - ha concluso Vendola - tentativi di colpirmi. Devo essere proprio un´anomalia, devo essere una cosa strana da far sparire. Mi spiace per tutti i miei nemici, ma non intendo sparire». Dal mondo politico tutto - da Fitto a Di Pietro - sono arrivati a Vendola attestati di stima e solidarietà. «Mai avuto alcun dubbio sull´onestà di Nichi» ha commentato, subito, il suo avversario alle primarie di domenica prossima, Francesco Boccia. Stesso tono usato da Massimo D´Alema, in Puglia per la campagna elettorale, che però ha comunque invitato gli elettori del centrosinistra a non votare Vendola alle primarie: «Se vince Boccia - ha detto - noi salviamo Nichi dal rischio più grave per lui e soprattutto per noi che è quello di vincere le primarie e di perdere le elezioni».

Burton Morris
24-01-10, 14:00
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 20 GENNAIO 2010
Pagina 11 - Interni

Veleni e note spese: a Bologna va in scena l´affaire Delbono
Sindaco in imbarazzo, Pdl all´attacco
L´ex compagna e collaboratrice del primo cittadino e lo strano bancomat tenuto per 4 anni
Il pm indaga e interroga Cinzia Cracchi. "Bugie e romanzi a vuoto", dice l´interessato

MICHELE SMARGIASSI
BOLOGNA - Insomma chi pagava i conti della signora? E con quali soldi, privati o pubblici? Notule, conti di ristorante, strisciate di carte di credito, fatture d´albergo: la giunta di Bologna è appesa al contenuto di polverose buste di scontrini. Le sorti del sindaco Flavio Delbono dipendono da ciò che i magistrati capiranno delle sue galanterie verso la ex fidanzata nonché ex segretaria Cinzia Cracchi nel corso di cinque viaggi di rappresentanza tra il 2004 e il 2008, quando lui era assessore regionale; oltre che su alcuni week-end turistici, una foresteria, un´auto blu e, ultima scoperta, quattro anni di disponibilità di uno strano bancomat. Lei, che come lui è ora indagata per peculato e abuso d´ufficio, alla pm Morena Plazzi che le ha fatto «un bellissimo interrogatorio da donna a donna», non ha affatto negato le circostanze, anzi ha indicato i compagni di viaggio da chiamare a testimoniare, ma sulle spese ha candidamente dichiarato: «Io non pagavo, dica lui dove prese i soldi».
Da venti giorni Bologna attende, con imbarazzi a sinistra, di capire qualcosa del "Cinzia-Gate" che sembra unificare i due precetti del segugio politico-giudiziario: "follow the money" e "cherchez la femme". Di certo nessun sindaco di questa città storica del buongoverno di sinistra è mai stato messo così sulla graticola. Per Delbono, Pd, è una vicenda «rivoltante». Il fresco successore di Sergio Cofferati, docente di economia politica e amico di Romano Prodi, non se la prende coi giudici, ma con l´uomo che ritiene responsabile di tutta la bagarre, l´ex patron del Bologna Calcio Alfredo Cazzola, l´ex avversario che fece esplodere il caso alla fine della campagna elettorale di giugno, dopo aver ricevuto le informazioni necessarie proprio dalla Cracchi. Ex fidanzata ed ex collaboratrice di Delbono doppiamente delusa e respinta, giacché, dopo la rottura sentimentale, era stata spedita a fare l´impiegata al Cup, la centrale delle prenotazioni sanitarie, e aveva quasi pensato di far denuncia per mobbing. Ballottaggio al calor bianco, scambi di denunce, poi Delbono vinse e tutto sembrò rientrare, querele comprese.
Ma a sorpresa l´inchiesta, che pareva avviata all´archiviazione, a Capodanno si è riavviata. «Non ho mai usato denaro pubblico a fini personali e sono pronto a dimostrarlo», il sindaco è sicuro di sé, ma è costretto a rompere il silenzio sotto il quale sperava che l´affaire si spegnesse come un cerino. Invece no, il Cinzia-gate è un´anguilla che svirgola sempre in nuove direzioni. Perché non è più solo questione delle spese di viaggio della signora, che lo accompagnò in veste privata (risultava in ferie) dal Messico alla Bulgaria, da New York a Pechino: se pagò Delbono con la carta di credito della Regione, o se approfittò di ospitalità offerte da terzi, o se rimborsò poi le spese della compagna, non dovrebbe essere difficile da dimostrare, e gli avvocati del sindaco garantiscono che «la Regione non ha pagato nulla oltre il dovuto». Il guaio è che spunta uno strano bancomat. Ora sotto sequestro, restò per quattro anni (fino a quando, finita la love story, fu bloccato) nella borsetta della signora Cracchi, che ne attingeva, pare, tra 500 e mille euro al mese, ma non era intestato a lei, né a Delbono, bensì a tale Mirko Divani, che non conosce la Cracchi ma si presenta come un amico di salsicciate del sindaco, e ha un contratto di fornitura proprio col Cup. Insomma un prestanome, che dice di aver accettato di fare quel favore a Delbono perché «c´erano degli affari tra noi, roba personale». Chi rifornisse il conto del bancomat, non è chiaro. Divani, per rimborsare vecchi debiti con l´amico? O Delbono, privatamente, a titolo di generoso argent de poche, ma allora perché ricorrere a un intermediario?
L´inchiesta dunque continua. Le elezioni regionali s´avvicinano: Delbono fu il braccio destro del governatore, ora ricandidato, Vasco Errani. Il sindaco chiede di essere sentito subito dai magistrati, ma intanto non riesce a mantenere calma e gesso: «Spifferi, bugie, mezze ammissioni e romanzi a vuoto». Il centro-destra sogghigna: «Prova sulla sua pelle quello che Berlusconi sopporta da mesi». Il Pd è tentato di reagire berlusconianamente, invocando il consenso contro il controllo: «Su questa vicenda si sono già espressi i cittadini eleggendo Delbono», disse a botta calda il segretario Andrea De Maria. Chi se la gode un mondo è Cazzola, lo sconfitto di giugno: non gli par vero di ritrovarsi davanti al mirino il «fagiano che non sa volare» che mancò clamorosamente nelle urne.

Burton Morris
24-01-10, 14:00
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 20 GENNAIO 2010
Pagina 47 - R2

BERTOLASO SPA

ALBERTO STATERA

IL VICERÉ Bertolaso I sale trionfalmente al soglio di imperatore di tutti gli appalti con il decreto legge, varato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri e adesso in discussione al Senato, che "privatizza" la Protezione civile della nazione trasformandola in una Spa. Altro che la gerarchia dei ministri stilata ufficialmente dal suo mentore Gianni Letta.
Guido Bertolaso, dottore in medicina, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e capo del Dipartimento della Protezione civile, scala di fatto l´ordine protocollare superando in termini di potere reale non solo Frattini, Maroni e Alfano, i primi tre nella classifica lettiana, ma anche Giulio Tremonti, custode dei cordoni della borsa. Perché più e meglio di come ha fatto fin qui potrà spendere come vuole un numero imprecisato di miliardi di euro pubblici senza alcun controllo, autorizzazione o rendiconto e, se occorre, con la secretazione, come è avvenuto per il G8 che avrebbe dovuto svolgersi all´isola della Maddalena e fu infine trasferito all´Aquila terremotata.
Potrà spendere ad libitum Bertolaso non solo per frane, incendi e terremoti, ma per qualunque "Grande evento" sia giudicato degno, nei confini della Repubblica e nell´orbe terracqueo, di un "decreto emergenziale".


i ministeri tacciano sotto il tallone di Tremonti e la Corte dei Conti si metta l´animo in pace. I controlli sono off limits nei confronti di "B&B".
Già soprannominata "Bertolaso Spa" tra i senatori di tutte le parti da noi interpellati che stanno esaminando il decreto, la "Protezione civile servizi Spa" diventa di fatto se non il più grande, certamente il più autonomo ente appaltatore della Repubblica, con una quasi totale deroga alle tradizionali norme di legge per i fondi in transito da palazzo Chigi e destinati ai più svariati scopi: dalle gare ciclistiche, alla celebrazione di santi, dai party di Stato ai viaggi del Papa, dalle piscine alle discariche, dal traffico delle gondole in laguna alle regate, dagli alberghi di lusso agli scenari di cartapesta per i vertici internazionali. Come quello - tripudio del kitsch curato da Berlusconi in persona - che fece sorridere i ministri convenuti per il vertice Nato-Russia di Pratica di Mare. Per spingersi prossimamente alla gestione dell´Expò di Milano del 2015 e alle Olimpiadi del 2020 contese tra Roma e Venezia, che Berlusconi e Letta vogliono nelle mani della seconda "B", quella di Bertolaso.
Una macchina di potere così travolgente da spostare ulteriormente dalle sedi dei ministeri e naturalmente del Parlamento e delle Autorità di controllo fino a palazzo Chigi la barra del potere reale della ditta Berlusconi & Bertolaso, che sotto l´ala nobile del Gentiluomo di Sua Santità Gianni Letta, della cultura dell´emergenza ha fatto una scienza di potere infinitamente più sofisticata rispetto a quella della prima repubblica, che prevedeva complesse "cupole" per la spartizione di favori, potere e ricchezze, magari attraverso i titoli in cui erano convertiti i fondi neri dell´Iri, di cui il sottosegretario Letta ha diretta conoscenza, avendone riscossa a suo tempo una quota pari a circa un miliardo e mezzo di lire di allora.
Sbaglierebbe chi credesse che l´emergenza della "Bertolaso Spa" si sostanzi soltanto nei terremoti, nelle frane, nelle esondazioni, negli incendi, che pure ogni anno non ci fanno mancare niente.
Tutto è ormai emergenza in questo paese: dal quattrocentesimo anniversario della nascita di San Giuseppe da Copertino, celebrato in provincia di Lecce con l´ordinanza "emergenziale" 3356, al congresso eucaristico nazionale, previsto ad Ancona dal 4 all´11 settembre 2011, di cui Bertolaso è già commissario, per ora con una dote di soli 200 mila euro da spendere per la buona riuscita dell´evento. Spiccioli, bazzeccole, pinzillacchere. Ben altri sono gli interessi che sotto la voce "Protezione civile" fanno fluire centinaia e centinaia di milioni. Spesso agli amici e agli amici degli amici.
Tra il 2001, quando Bertolaso venne nominato capo della Protezione civile e i primi cinque mesi del 2009, la presidenza del Consiglio ha emesso 587 "ordinanze emergenziali", di cui solo una parte riferita a calamità naturali. Il resto a "Grandi eventi", o presunti tali. Pare che nessun organo di controllo da noi interpellato sia in grado al momento di sapere esattamente quanto la coppia "B&B" è riuscita a spendere negli ultimi anni, senza alcuna pastoia o controllo di legittimità. Ma ha prodotto una stima attendibile Manuele Bonaccorsi, autore di un dossier intitolato Potere assoluto - La protezione civile ai tempi di Bertolaso, appena pubblicato e che la Cgil, che giudica il nuovo decreto sulla protezione civile «improprio e anticostituzionale», illustrerà sabato prossimo all´Aquila in una manifestazione di protesta dei Comitati dei terremotati contro la "Protezione Civile Spa". Tra il 3 dicembre 2001 e il 30 gennaio 2006 la presidenza del Consiglio ha varato 330 ordinanze. Di queste, sono pubblici gli stanziamenti di 75 ordinanze, che valgono circa un miliardo e 490 mila euro. Non si tratta di un campione rappresentativo, ma è un dato che consente una stima. Nei cinque anni, tramite ordinanze della Protezione civile, in spregio alle norme sugli appalti e le assunzioni, sarebbero stati spesi 6,5 miliardi. Se si fa il calcolo su 587 ordinanze della presidenza del Consiglio in meno di nove anni, si arriva a 10,6 miliardi. Una somma sufficiente - giudicano gli autori del dossier - a costruire un blocco di potere indistruttibile, segreto e libero da qualsiasi regola.
Capite allora perché l´imperatore di tutti gli appalti, che il centrosinistra considerava uno dei suoi, dichiara nelle interviste che tra tutti i quattordici governi in cui ha «servito», il Berlusconi quater è «il migliore»? Figlio di un pilota dell´aeronautica militare, medico nel Terzo mondo stipendiato dalla Farnesina e pars magna a Roma di una società immobiliare operante nel comprensorio dell´Olgiata, gran giocatore di golf con il suocero Guido Piermarini, campione del generone romano, da giovane medico l´idolo di Guido Bertolaso era il medico dei derelitti Albert Schweitzer. Poi, al seguito di Giulio Andreotti, l´aspirante medico dei derelitti scoprì che era meglio curare i potenti della terra che i diseredati della terra.
Dieci anni fa era ancora nessuno. «Io lo conoscevo bene», racconta Luigi Zanda, oggi vicepresidente dei senatori del Pd, che nel 2000, quando era presidente dell´Agenzia del Gran Giubileo, lo incontrò come vice di Francesco Rutelli, sindaco di Roma e commissario all´evento. «Abile nella soluzione dei problemi, aveva un ego smisurato», secondo Zanda, che oggi guida in Parlamento le legioni degli oppositori alla "Bertolaso Spa", che, oltre alla Cgil, allinea per ora la Conferenza delle Regioni, presieduta da Vasco Errani, e l´Associazione dei comuni di Sergio Chiamparino.
Oltre a uno schieramento bipartisan che non ne può più della ditta "B&B", covata dietro le quinte da Gianni Letta e dal suo sistema di potere, curato da ambasciatori che, a suo tempo, figurarono come reclutatori della Loggia P2 di Licio Gelli, impegnata soprattutto a riciclare tangenti con la complicità della banca del Vaticano. Come il mitico Luigi Bisignani, che oggi, ufficialmente manager di una società tipografica torinese, in realtà svolge per conto di Letta le funzioni di portavoce dei potentissimi sottosegretariati di palazzo Chigi. "B&B", più la "L" di Letta.
«Quella cui assistiamo - dice Zanda - è una picconata allo Stato, una sovrapposizione abnorme tra un capo Dipartimento, un direttore generale che dovrebbe ispirarsi all´imparzialità, e un sottosegretario controllore-controllato, cui, per di più, col nuovo decreto, si implementano i poteri. Nella repubblica democratica italiana non è mai accaduto che un membro del governo abbia avuto contemporaneamente la carica di sottosegretario e di direttore generale. È come se il ministro dell´Interno Maroni fosse anche il capo delle polizia. Per la serie: continuiamo a picconare questo ex Stato di diritto».
Legibus solutus, anche a causa del caratteraccio arrogante e litigioso nonostante il Premio Santa Caterina da Siena appena ricevuto, il pio Bertolaso rischia col suo sistema di potere di incappare in quei piccoli granelli che, se sottovalutati, possono inceppare il meccanismo. Tra le centinaia di delibere emergenziali passate negli anni passati del suo potere da palazzo Chigi, destinate a moltiplicarsi con il decollo del decreto "B&B", ce n´è qualcuna che proprio non può passare indenne a qualche sacrosanta verifica giudiziaria. A parte l´inchiesta "Rompiballe", che coinvolge Bertolaso nelle vicenda del discutibile riciclaggio dei rifiuti napoletani, fiore all´occhiello del berlusconismo, vogliamo magari parlare degli appalti secretati per il G8 della Maddalena, confluiti in una piccola società di Grottaferrata, Castelli Romani, di nome Anemone, come il suo titolare, personaggio riconducibile ai cari del commissario bertolasiano Angelo Balducci? O dei venti inutili poli natatori sorti a Roma ad uso dei soliti palazzinari, facendo carta straccia dei piani regolatori, per i Mondiali di nuoto del 2009?
Quella volta fu un figlio del Balducci, oggi stimato presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, a tentare il business milionario su un territorio prossimo alla via Salaria che rischia di affogare sotto il Tevere ogni volta che fa due gocce d´acqua.
Tanto era sfrontata la speculazione del giovane Balducci, che qualche magistrato proprio non la digerì. Ora la "Protezione Civile Spa" della premiata ditta "B&B", punta con tanti amici costruttori a luoghi secchi e desertici. E soprattutto, liberata con la privatizzazione dagli ultimi lacci dei controlli, a nessuna interferenza di giudici rossi.



L´intervista
Guido Bertolaso: la società sarà a totale capitale pubblico
"Ma con i nuovi poteri batteremo la burocrazia"

ALBERTO MATTONE
ROMA
Sottosegretario Guido Bertolaso, un decreto trasformerà la Protezione civile che lei guida, in una Spa. In quale Stato al mondo un ente che si occupa di calamità naturali viene privatizzato?
«Il dipartimento della Protezione civile rimane alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio, ed era così anche con Prodi. Non cambia nulla nella struttura che esiste oggi, ma in aggiunta a questa, creiamo una società di servizi a totale capitale pubblico, con un cda che sarà composto da tre magistrati contabili e da un direttore generale che sarà scelto attraverso un bando».
Non c´è il rischio di mandare in secondo piano la gestione delle emergenze?
«Questa società di servizi sarà la struttura operativa per organizzare opere di ricostruzione, i grandi eventi e altre attività tecniche, in modo da concentrarci meglio sulla gestione delle calamità».
Cosa c´entrano con la Protezione, allora, eventi come le Olimpiadi invernali, le gare ciclistiche o i pellegrinaggi del Papa?
«Abbiamo gestito sempre questi eventi in passato: i funerali del Papa e quant´altro. Si tratta di appuntamenti previsti dalla legge del 2001. Il nuovo decreto non ci dà nuove responsabilità».
La gestione del traffico delle gondole a Venezia è un´emergenza nazionale?
«Quello di Venezia era un allarme del 2004, che ci hanno segnalato i sindaci Costa prima e Cacciari dopo. L´intervento della Protezione civile ha permesso di imporre sul Canal Grande limiti di velocità ai motoscafi che, con le loro onde, provocavano criticità ai palazzi antichi».
Non sarebbe meglio concentrarvi sulle calamità naturali?
«Sì, e ce ne occupiamo bene, come dimostra il terremoto dell´Aquila, la cui buona gestione è stata riconosciuta a livello mondiale. Se il sindaco di Venezia, che non è della maggioranza, ci pone un problema noi diamo una risposta. Ci carichiamo di tutte le emergenze. E ce ne sono anche di più singolari».
Per esempio?
«Il sindaco di Ostuni mi ha chiesto aiuto per disincagliare dalla spiaggia un mercantile turco. Gli ho risolto il problema, perché abbiamo strumenti che consentono di trovare soluzioni pratiche ai mille ostacoli burocratici che impediscono interventi rapidi».
Di ostacoli burocratici sembra ne abbiate pochi. La accusano di aver speso, dal 2001 ad oggi, circa 10 miliardi di euro senza alcun controllo.
«È un´autentica calunnia. Il dipartimento gestisce ogni anno un miliardo di euro: 850 milioni servono per i mutui delle emergenze passate. Gli altri 150 milioni sono destinati al personale, alla lotta agli incendi boschivi e alle attività di previsione».
Soldi gestiti senza appalti pubblici.
«È un´altra balla cosmica. All´Aquila stiamo per terminare 4.700 appartamenti antisismici per ospitare 18 mila terremotati al costo di 700 milioni. Abbiamo fatto una gara europea, a cui hanno partecipato 56 imprese: hanno vinto in 16».
Le buste dove sono state aperte?
«Davanti al pubblico e la Corte dei Conti ha espresso grande apprezzamento per la trasparenza delle procedure. Mettiamo tutto a concorso. E, siccome siamo organizzati, le gare le facciamo rapidamente e senza ricorsi».
Sarà o no un´anomalia il fatto che il sottosegretario Bertolaso controlla Bertolaso capo della Protezione civile?
«Sono accuse patetiche. Sono capo della Protezione civile dal 2001, nel 2008 mi hanno nominato sottosegretario per risolvere i problemi della spazzatura a Napoli. Adesso, mi hanno chiesto di restare alla presidenza del Consiglio per occuparmi delle emergenze all´estero, e quindi non ci sono conflitti di interesse. Sono controllato dalla Corte dei Conti».
Mai ricevuto pressioni politiche, Bertolaso?
«Se le avessi ricevute, un minuto dopo l´avrebbe saputo il magistrato».

Burton Morris
24-01-10, 14:00
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 20 GENNAIO 2010
Pagina IX - Napoli

Il precedente
Invalidità fittizie: i carabinieri estendono i controlli a tutta la Campania. La Corte dei conti apre un fascicolo
Sequestrate 200 pratiche all´Asl 1; malattie mentali e ciechi: stessi nomi

Niente di più facile che fingersi pazzo. E riscuotere la pensione di invalidità dall´Inps, fino a mille euro al mese. Il guasto è stato forse individuato nel meccanismo burocratico. C´è una commissione medica: non visita a fondo chi dice di essere malato di mente. Ascolta. Poi rimanda il paziente ad uno specialista che ritorna con un certificato. Nuovo passaggio negli uffici Asl, quindi il decreto di pensione va dalla Municipalità all´Inps che dopo un po´ di mesi manda negli uffici postali o accredita in banca la pensione. Gli arretrati, secondo le accuse dei finti ciechi, va a chi cura la pratica. Quindi al Caf (Centro assistenza fiscale) di Salvatore Alayo.
I carabinieri sono stati ieri nella sede Asl 1, sezione 44 di via Chiatamone. Sequestrate duecento pratiche. Da oggi saranno controllate. Tre gli elementi sotto esame. Il numero di protocollo, se c´è. La firma del medico, se è autentica. Il centro o lo specialista che in privato emette il certificato. Al contrario di quanto è emerso nell´inchiesta sui finti ciechi, è fondata l´ipotesi di medici e funzionari coinvolti. Le indagini sono quindi più delicate e lunghe. Sembra intanto probabile che Salvatore Alayo, pesantemente accusato dai finti ciechi che aveva aiutato a ricevere la pensione, sia anche all´origine del nuovo filone: i finti pazzi. Difeso dall´avvocato Giuseppe Ricciulli, sarà presto interrogato.
Ma potrebbe esservi una paradossale scoperta. La sezione 24, ex 44, dell´Asl 1 che occupa una sede provvisoria e inadeguata a Barriera Pizzofalcone, da anni sotto minaccia di sfratto, ha dimostrato una lodevole solerzia. Una esperta di informatica, Rosanna Scalabrini, su richiesta del direttore della sezione di igiene e salute mentale Claudio Petrella, ha avviato una ricerca interna. L´Asl ha duemila pazienti tra Chiaia, San Ferdinando, Posillipo, Capri e Anacapri. Negli archivi la Scalabrini ha cercato i nomi di indagati apparsi sui giornali e i cognomi delle famiglie storiche del Pallonetto di Santa Lucia. Ricorrono negli anni 2008 e 2009 le famiglie con lettere iniziali D. e P. con nomi di donna. Prende quota una ipotesi: nella stessa famiglia c´è chi si è proposto come finto cieco e chi come finto pazzo, diversificando le patologie.
«Noi siamo a disposizione di magistratura e carabinieri e pronti a fornire sia le carte che i documenti, come abbiamo fatto già nel 2006», precisa Claudio Petrella che guida uno staff di dieci medici nella sua sezione. «Psichiatri che svolgono con passione e competenza il loro lavoro, che sono apprezzati da tutti e sulla cui serietà sono pronto a giurare mille volte. Se problemi vi sono stati, di certo vanno cercati altrove». I nomi che ricorrono sono tuttavia legati a certificati e diagnosi con numeri di protocollo regolari, firme autentiche e blande patologie psichiche. Insufficienti per richiedere una pensione. Saranno i carabinieri a scoprire eventuali trucchi: se i certificati sono stati riprodotti solo nell´intestazione Asl completa e nella firma, ma con diagnosi alterata.
L´indagine del capitano Federico Scarabello e del comandante dei carabinieri di Posillipo, Tommaso Fiorentino, è seguita dal comando regionale con molta attenzione. Il generale di divisione Franco Mottola ha mobilitato i carabinieri di tutta la Campania nella ricerca di altri abusi nel settore previdenziale, coordinati dalle varie Procure, ovvio. Lo stesso generale dal 1981 al 1986 ha diretto da capitano la compagnia del Vomero. Fu protagonista di una indagine clamorosa a quei tempi: duemila tra arresti e denunce per false invalidità Inps. Un´inchiesta coordinata da Luigi Gay, oggi procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere, e Bruno D´Urso allora giudice istruttore ed ora vicepresidente dell´ufficio Gip.
Segue la vicenda anche la Corte dei Conti per l´ennesimo danno erariale in Campania. Il procuratore Arturo Martucci di Scarfizzi, che a febbraio dedicherà la sua relazione agli scandali della sanità e dei rifiuti, ha aperto un fascicolo sui finti ciechi. Ieri nel suo ufficio di via Piedigrotta è stato visto il comandante provinciale della Finanza, generale Giovanni Mainolfi.
(a. c.)

Burton Morris
24-01-10, 14:01
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 20 GENNAIO 2010
Pagina III - Napoli

Parla uno dei protagonisti dello scandalo delle pensioni d´invalidità
"Io, finto pazzo da tre anni e mai un controllo medico"

ANTONIO CORBO

Dai finti ciechi ai finti pazzi. Nessuno sa quanti siano, né i loro nomi: 400 è un numero convenzionale. L´indagine comincia ora, sono state appena trasferite le pratiche sospette dalla cassaforte della I Municipalità a tre armadi di una caserma. Ma uno è qui. Un finto pazzo. Da tre anni prende una pensione che non gli spetta. «Sono uno di quelli che cercano».


Ore 19.10, arriva di corsa da Pizzofalcone, dove abita. Per salvarsi, è pronto a parlare. Lo ha convinto un suo amico per telefono. Trent´anni, faccia scura e lineamenti duri, robusto ma agile, giubbino, jeans su scarpe bianche da jogging. Incontro nel posto più banale per un appuntamento, bar Cimmino di via Filangieri, nel caos più chic della città. Esitava, ha paura, qualcuno gli ha detto che può fidarsi, legge molti giornali, e da "Repubblica" ha saputo che è l´ora dei pentiti.
Molti vogliono chiarire la posizione. La sua qual è?
«Io prendo la pensione come malato di nervi».
Sta bene, invece?
«No, avevo una forte depressione. Questa è la verità. Ho una vita piena di guai, ho una famiglia. Come faccio a stare bene?»
Ha avuto controlli medici negli ultimi tempi?
«Mai».
Come ha fatto ad avere la pensione di invalidità?
«Non lo so».
Non è mica un ambo al Lotto. La pensione non arriva per caso. Bisogna presentare certificati, domande, occorrono controlli, firme.
«Ho presentato le carte dal Caf».
Si ricorda dove?
«Quello che sta dalle mie parti».
Il Centro assistenza fiscale di piazzetta Salazar è il più vicino a Pizzofalcone. Il primo pentito ufficiale dei "falsi pazzi" non scopre chi l´ha aiutato. Il Caf di Salvatore Alayo, in carcere dall´11 dicembre, considerato il regista della truffa sulle pensioni dei ciechi, con 59 arresti al Pallonetto di Santa Lucia il 5 dicembre. Accusato anche da alcuni degli arrestati. Ma il Caf è proprio quello. Ipotesi investigativa rilevante: per i finti ciechi e i finti pazzi c´è una sola regia.
Ora è lui che domanda: «Io vorrei mettermi in regola. Chiarire i fatti. Come posso fare?» Si dà poi una risposta. «Sto per andare dall´avvocato». Dà anche il nome del penalista, sembra orientato a presentarsi ai carabinieri di Posillipo, il comandante Tommaso Fiorentino ha iniziato questa indagine che si estende sempre di più, ed è ora coordinata dalla sezione "reati contro la pubblica amministrazione" che era stata abolita, l´ha ripristinata il nuovo procuratore Giandomenico Lepore. Una felice intuizione. Il pool è diretto da Francesco Greco, pubblico ministero Giuseppe Noviello, lo stesso che si occupa dello scandalo rifiuti. Un´indagine che ormai impegna tutta la compagnia dei carabinieri di Rione Traiano, guidati dal capitano Federico Scarabello.
Le notizie sulle false invalidità lo hanno allarmato, e lo ammette. «Io avevo una forte depressione. Stavo male. Vorrei vedere altri al mio posto». Confida: «Ho una vita piena di guai e neanche un soldo. Mi è difficile pure pagare l´avvocato». Sembra molto preoccupato, e lo ammette. «Non dormo la notte da molto tempo con tutte le notizie che si sentono, dove abito io si parla solo di questo con tutte quelle donne agli arresti domiciliari».
Da due mesi non ritira la pensione. «Io come altri non la ritiriamo da molto tempo». Qualcosa si è incagliato nei meccanismi burocratici. E questo lascia pensare a responsabilità diffuse. Chi riscuote la pensione per falsa invalidità, ora vuol chiarire. Ma anche chi la concede, avrà controllato meglio negli archivi. «Sono pronto a dire tutto. L´unica cosa che non posso fare è quello che tutti mi dicono di fare. Restituire i soldi che ho preso». Un gesto istintivo: mette la mano nella tasca del jeans. «E dove li prendo? Ho due figli. E nessuno è più disoccupato di me».

Burton Morris
24-01-10, 14:01
TORINO/ANAGRAFE PUBBLICA DEGLI ELETTI: POSITIVA LA REAZIONE DEI CAPIGRUPPO ALLA PROPOSTA RADICALE
Boni: “Molte parole di elogio per la nostra iniziativa si trasformino in un’approvazione celere del testo della delibera di iniziativa popolare”

La Conferenza dei Capigruppo del Comune di Torino ha ascoltato alcuni dei presentatori della delibera di iniziativa popolare su anagrafe pubblica degli eletti e trasparenza delle Istituzioni. All’audizione sono intervenuti Igor Boni e Silvio Viale (segretario e presidente dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta) e Maurizio Trombotto (esponente di SD).

Successivamente alla presentazione della delibera (corredata da circa 2000 firme di cittadini torinesi),
Igor Boni (Segretario Associazione radicale Adelaide Aglietta – primo firmatario) ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“Malgrado il ritardo con il quale il Comune ci ha chiamato per l’illustrazione della delibera ai Capigruppo (le firme le abbiamo consegnate quasi un anno fa) la seduta ha avuto un esito positivo. In particolare i Capigruppo del PD (Andrea Giorgis), di Forza Italia – Popolo delle Liberta' (Daniele Cantore) e dell’UDC (Alberto Goffi) hanno sottolineato l’importanza e l’urgenza di questo strumento. Oltre alla illustrazione della delibera (che prevede di mettere on-line, facilmente accessibili. dati su presenze e attività in consiglio degli eletti, dati su spese e contributi ricevuti, bilanci e nomine, compensi dei nominati e dei consulenti) mi sono permesso di sollecitare una rapida approvazione da parte dell’aula. Una risposta ai populismi di ogni colore dell’anti-politica, un modo concreto per porre le istituzioni dietro un vetro e non, come ora, dietro ad uno specchio”.

La delibera è stata sottoscritta tra gli altri da:
Mercedes Bresso, Franco Debenedetti, Carlo Augusto Viano, Nicoletta Casiraghi, Maurizio Trombotto, Silvio Viale, Pietro Garibaldi, Elena Negri, Luciana Littizzetto, Luigi Brossa, Diego Castagno, Emilia Rossi, Carmelo Palma, Bianca Guidetti Serra, Nicola De Ruggiero.

Torino, 20 gennaio 2010

Associazione radicale Adelaide Aglietta Torino (http://www.associazioneaglietta.it)

Burton Morris
24-01-10, 14:01
Lady Asl: "Così funzionava il sistema degli appalti"

La Repubblica del 21/01/2010 , articolo di GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI ed. Nazionale p. 12


BARI - Lady Asl punta l'indice contro il senatore del Pd, ez assessore pugliese alla Sanità, Alberto Tedesco: era lui, dice, a indicare le aziende che avrebbero dovuto vincere alcuni appalti e i primari da nominare.
Gianpaolo Tarantini, invece, chiama in causa l'ex vicepresidente Sandro Frisullo a cui avrebbe dato donne e soldi in cambio di vantaggi nelle Asl. Nelle inchieste giudiziarie che hanno travolto la sanità pugliese spuntano due nuovi verbali.
Sono devastanti le parole che il 19 ottobre scorso Lea Cosentino, l'ex direttore generale dell'Asl di Bari ora agli arresti domiciliari per altre vicende, mette a verbale davanti al sostituto procuratore Roberto Rossi. Lady Asl chiarisce i suoi rapporti con Gianpaolo Tarantini, negando di averlo mai favorito.
«Con lui - dice la Cosentino - cercavo di trovare un contrappeso alla pressione da me subita continuamente da parte dell'assessore Tedesco e delle persone e aziende a lui vicine». Il riferimento è per esempio l'appalto all'oncologico per il quale Tedesco si sarebbe interessato insieme al genero (Elio Rubino) a cui fa capo una società che ha interessi nella sanità. «Posso riferire di aver visto Rubino, gestore della Dragher, mentre affrontava presso la sede dell'Asl questioni relative all'appalto dei lotti delle sale operatorie del nuovo oncologico. In particolare ho conoscenza diretta che ha sollecitato l'aggiudicazione definitiva di quel lotto alla ditta citata. Posso riferire che l'assessore Tedesco mi aveva parlato della Dragher prima della gara». Lady Asl chiarisce che la procedura si è svolta regolarmente, ma aggiunge: «Ho saputo che Tedesco era intervenuto (...) per far vincere la gara alla Dragher».
Nell'atto di accusa di Lady Asl c'è poi l'appalto per la gestione del servizio di pulizia e quello del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, dove Tedesco avrebbe sponsorizzato due aziende. L'assessore si sarebbe poi speso per un contratto di leasing di un laser oculare fornito dall'azienda del genero. Che non va in porto perché, racconta la Cosentino, acquistare il macchinario era più conveniente. «Questa cosa fece arrabbiare l'assessore Tedesco». Poi ci sono gli interventi continui sui primari, tanto che la Cosentino decise - almeno così racconta al giudice - di parlarne con il presidente della Regione Vendola, lamentandosi «delle pressioni». L'attendibilità delle dichiarazioni della Cosentino è, secondo gli investigatori, da verificare: il pm le contesta di aver raccontato «frottole», ma lei assicura che si tratta della verità. Allegate allo stesso fascicolo ci sono anche intercettazioni telefoniche che riguardano sia Tedesco sia l'assessore ai Trasporti Mario Loizzo (non è indagato): emerge come, in cambio di favori ad alcuni medici, chiedessero appoggi a quella o quell'altra lista ai tempi delle primarie vinte da Veltroni («Vota Latorre» dice Loizzo a un aspirante primario).
Di Sandro Frisullo, ex vicepresidente, parla invece Gianpaolo Tarantini. Dice di averlo corrotto con soldi e donne per aver in cambio un suo interessamento per velocizzare le procedure di pagamento del materiale sanitario fornito dalle sue aziende. Frisullo, attraverso il suo legale, smentisce e chiarisce di aver già espresso la sua disponibilità a essere ascoltato dai magistrati.

Burton Morris
24-01-10, 14:01
«La sanità pubblica non è il collocamento del potere politico»

L'Unita' del 21/01/2010 , articolo di CONCITA DE GREGORIO

ed. Nazionale p. 17


Il senatore assicura di «non credere ai complotti ho parlato con Bersani e non ho mai pensato che...» Ma è un fatto «che i migliori lasciano questo Paese»

La sanità pubblica non è un ufficio di collocamento per il personale politico né un bacino di denaro per il mondo degli affari: esiste in funzione dei cittadini, della loro salute. Se i medici e i dirigenti sono reclutati con criteri che prescindono dal merito è molto probabile che non siano bravi medici né bravi dirigenti: la qual cosa può essere un problema giudiziario, è certo un problema politico ma prima di tutto è un problema di tutti gli italiani che saranno curati peggio di come potrebbero. Questo dice Ignazio Marino alla fine di una giornata passata a ripetere che non è solito pensare ai complotti, che non crede ce ne sia stato uno ai suoi danni, che con Bersani presenterà a febbraio il suo progetto di riforma sui criteri di nomina di direttori generali e primari e che questo deve diventare un punto qualificante della politica del Pd perché certo che c'è un problema, un problema molto serio, ed è l'intreccio fra sanità politica e affari che induce i nostri uomini migliori ad andarsene dall'Italia e che rende la vita molto difficile a quelli, di valore, che restano. Senatore Marino, cos'è successo col Sant'Orsola di Bologna? Può ripeterci quel che ha testimoniato in procura a dicembre? «Sono stato sentito ed ho portato le mail che ho qui. Il carteggio col direttore generale Augusto Cavina. Nella primavera del 2009 avevo ricevuto un'offerta dal Sant'Orsola per andare ad operare da loro. A giugno ho avuto una proposta di contratto molto dettagliata: una volta alla settimana, il lunedì mattina, nessun compenso dovuto in caso di prestazioni in regime di libera professione ed altre specifiche. Nello stesso periodo ho deciso di candidarmi alle primarie, sono stato preso da altri impegni e ho tenuto il contratto nel cassetto. A metà agosto ho scritto al direttore scusandomi per il ritardo e dicendomi pronto a firmare. Mi ha risposto il giorno stesso: lavori di ristrutturazione alle sale chirurgiche consigliavano di soprassedere fino a ristrutturazione avvenuta. Ho chiesto quando sarebbe avvenuta la ristrutturazione, mi ha risposto: nell'autunno del 2010. Ho capito, ho risposto cordiali saluti. Mi sono preoccupato a quel punto di trovare un altro luogo dove operare i miei pazienti». Nelle intercettazioni si legge che in un colloquio il direttore le avrebbe parlato di ragioni politiche. «Non abbiamo mai avuto colloqui dopo la proposta di contratto, solo scambi via mail. Non mi ha mai parlato di politica». Cosa pensa che sia successo fra giugno e agosto? «Ho parlato con Bersani. Non ho mai neppure pensato che un uomo dei suo calibro possa immaginare di impedire ad un medico di operare malati di cancro al fegato, è assolutamente fuori discussione. Non è così. Presenteremo insieme il mio ddl nei prossimi giorni». Dunque crede che in autonomia i dirigenti sanitari emiliani abbiano cambiato idea? Nel caso: perché? «Hanno cambiato idea. Sul perché non ho una risposta». Cosa dice il suo ddl? «Che i direttori sanitari devono essere nominati sulla base dei titoli, scelti da un albo a cui devono iscriversi. Oggi hanno 18 mesi di tempo per dimostrare che hanno i requisiti. Dovranno mostrarli prima. Dice poi che i primari devono essere selezionati da una commissione di 4 loro colleghi estratti a sorte fra un elenco di specialisti della stessa disciplina che lavorano in altre regioni. Oggi il direttore generale propone una rosa di tre nomi, poi la politica sceglie». Le è mai capitato da quando è in politica di avere pressioni? «Al principio mi chiedevano appuntamento persone che avevano in corso un concorso per primario, mi manifestavano simpatia politica e chiedevano appoggio. Ho preparato una lettera standard da indirizzare ai dirigenti: "Vi chiedo, sulla base della verifica dei titoli e dello stato di servizio, di scegliere il migliore". Dopo qualche tempo non ho avuto più richieste di appuntamento».

Burton Morris
24-01-10, 14:18
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 21 GENNAIO 2010
Pagina 1 - Prima Pagina

Il caso
Sono oltre 2000, Lombardo ne nomina altri 9: ora ce n´è uno ogni 5 dipendenti
In Sicilia la fabbrica dei dirigenti

PALERMO

Raffaele Lombardo ha lavorato sino a notte fonda, fiancheggiato dai suoi «saggi». E alla fine ha sentenziato: alla Sicilia servono quei nove supermanager. Altri nove? Sì, altri nove. Non bastavano i 2.111 dirigenti che hanno consegnato alla Regione il record della burocrazia italiana.


Uno ogni 5,6 dipendenti. In Lombardia ce ne solo 300, uno ogni dodici impiegati. Per non parlare dello Stato, dove il rapporto è di uno a cinquanta. Ma nella pletora isolana di burocrati graduati, ha stabilito la giunta Lombardo, non ci sono le professionalità richieste. Ci vogliono gli «esterni». E pazienza se, con le loro indennità oscillanti da 150 a 250 mila euro i prescelti graveranno per un milione mezzo di euro sul bilancio colabrodo dell´ente. Idonei e arruolati.
Per carità, non è la prima volta che si ricorre ai tecnici prelevati fuori dall´amministrazione. E anzi, durante l´era Cuffaro, fecero rumore le indennità da mezzo milione di euro accordate a fedelissimi dell´ex governatore come la responsabile dei fondi europei Gabriella Palocci o il capo dell´agenzia per i rifiuti Felice Crosta. Compensi che non hanno evitato alla Sicilia di restare all´ultimo posto della spesa delle risorse comunitarie né di scongiurare un´emergenza ambientale simile a quella che colpì la Campania.
Ma Lombardo, che della discontinuità con l´allegra gestione dell´ex amico Cuffaro ha fatto un cavallo di battaglia, ora rischia di rimanere sfregiato dalle polemiche sulla burocrazia. Gli alleati che ha estromesso dal governo - Udc e Pdl - gli hanno già fatto notare che i tecnici scelti fuori dall´amministrazione saranno pure validissimi ma non sono proprio estranei alla politica: due di essi, Nicola Vernuccio e Rossana Interlandi, fino all´anno scorso erano i commissari dell´Mpa - il partito del governatore - a Palermo e Caltanissetta. Un altro, Gesualdo Campo, è stato assessore in quota autonomista nella giunta provinciale di Catania. E un altro ancora, Mario Zappia, ex sindaco di Bronte, grazie all´appoggio dell´Mpa aveva guidato l´Ato rifiuti «Joniambiente».
Il sindacato dei dirigenti interni della Regione chiede l´accesso agli atti delle nomine e preannuncia una pioggia di ricorsi. Stavolta con qualche chance: perché nel frattempo è entrato in vigore il decreto Brunetta che chiede di verificare se le professionalità ricercate non esistano già all´interno dell´amministrazione. E solo due giorni fa è stata pubblicata una sentenza della Corte costituzionale che, su un caso che riguarda il Piemonte, ha definito «eccessiva» la percentuale del 30 per cento di ricorso agli esterni. La stessa che vige in Sicilia. Anche la giunta Lombardo, nei giorni scorsi, si era posto il problema, andando in crisi davanti a un numero decimale. Il trenta per cento di 28 (la cifra complessiva dei posti a disposizione) fa 8,4: «Vuol dire che ne possiamo nominare otto o nove?», si sono chiesti in giunta, dove siedono due magistrati e quattro avvocati. Un paio di giorni di impasse e decisione non imprevedibile: nove, of course.
Il governatore, che pure sta tagliando i costi della sanità, ha abbassato i compensi e messo in cantiere una riforma che dovrebbe ridurre il numero dei dirigenti, rischia di restare impantanato nelle sabbie mobili della «sua» burocrazia. La stessa che gli aveva già riservato imbarazzi nell´autunno del 2008, quando si scoprì che l´ex assessore Giovanni Ilarda - una sorta di Brunetta siciliano - aveva fatto assumere la figlia nell´ufficio di gabinetto di un altro assessore. O a luglio del 2009, quando l´allora segretario generale della Regione, Pier Carmelo Russo, chiese di andare in pensione a soli 47 anni, sfruttando le generose norme siciliane per i dipendenti che hanno un parente da accudire.
Incurante delle polemiche, Lombardo ha promosso Russo al rango di assessore. Il burocrate ha accettato manifestando legittima sofferenza. E anticipando le perplessità degli avversari politici con una mossa a effetto: rinuncerà all´indennità di carica. Non alla pensione da 6.400 euro al mese. Nell´imbarazzo del Pd, che ha accettato di collaborare con Lombardo per le riforme (e che gli ha chiesto di congelare almeno le nomine degli esterni negli uffici di gabinetto), il governatore si è scontrato con l´ultimo caso legato alla burocrazia regionale giusto ieri: quando il consigliere regionale del Pdl Salvino Caputo ha denunciato che Antonino Nobile, un funzionario che era stato arrestato per tangenti e malgrado ciò aveva fatto regolarmente ritorno in ufficio, era stato candidato da una lista collegata all´Mpa alle elezioni del 2008. Il governo, di fretta, ha sospeso Nobile dal servizio.

Burton Morris
24-01-10, 14:18
"La Repubblica", VENERDÌ, 22 GENNAIO 2010
Pagina 15 - Interni

Le tappe
Delbono sotto assedio per i soldi a Cinzia
Il sindaco di Bologna: chiarirò ai pm. Pd in allarme: però non ha usato soldi pubblici

LUCIANO NIGRO

BOLOGNA - Alcune migliaia di euro. Soldi che Flavio Delbono avrebbe dato alla ex fidanzata Cinzia Cracchi anche dopo la fine della loro relazione. E´ sulla giustificazione di quel passaggio di denaro che il sindaco di Bologna ora si gioca tutto. Sotto assedio da due settimane nell´inchiesta che lo vede indagato per abuso d´ufficio e peculato, il successore di Sergio Cofferati, per uscire dall´angolo, da quello che lui stesso definisce un «tritacarne mediatico», annuncia che parlerà alla città, smonterà «accuse kafkiane» e «dichiarazioni assurde». «Spiegherò quello che è successo veramente - dice - ma fin d´ora assicuro che non ho commesso reati né usato soldi pubblici a fini privati». Insomma racconterà la sua verità, dopo averla riferita alla procura. E se se finora ha taciuto, dice, «è solo per rispetto dei magistrati». L´interrogatorio, sollecitato da tempo, è imminente. Forse domani.
Poi però dovrà dare una versione pubblica e convincente anche sui viaggi all´estero, sulle auto blu, su quello strano bancomat di un amico da cui Cinzia prelevava fino a mille euro al mese. Ma soprattutto sui soldi che la ex compagna, oggi grande accusatrice, dice che le furono promessi in cambio del silenzio durante l´inchiesta. Corruzione? Un tentativo di estorsione? E´ questa l´ultima e più grave insidia del Cinzia-gate. Oggi si scopre, infatti, che Delbono avrebbe effettivamente dato alcune migliaia di euro alla sua ex fidanzata anche dopo la fine della loro relazione. Non è chiaro se prima o durante la campagna elettorale che lo ha portato a Palazzo d´Accursio. Il legale del sindaco, però, mette avanti le mani: «Potrebbe essersi trattato di una richiesta di aiuto e basta del tipo "aiutami perché ho bisogno", senza che per forza lei abbia chiesto a Delbono qualcosa in cambio del suo silenzio». Una mano, insomma, a una donna in difficoltà. Come era già accaduto, del resto, durante la storia d´amore, con il bancomat che, giura l´avvocato, «era alimentato da soldi personali di Delbono». Spiegazioni che attende la città e che ora si aspetta anche il Pd. Ieri sera è stato convocato d´urgenza un esecutivo provinciale per dare un segnale di attenzione alla base sconcertata. «Piena fiducia ai magistrati e al sindaco» ha ripetuto il segretario di Bologna Andrea De Maria, sottolineando l´importanza della promessa di un chiarimento «diretto» di Delbono alla città. Il Pd, insomma continua a far quadrato, ma si aspetta che il sindaco sappia fermare l´ondata di voci e insinuazioni che stanno mettendo a dura prova la sua credibilità.
Ore decisive per Delbono e il Pd pende dalle sue parole. Anche Pier Luigi Bersani. Ai cronisti che gli riferivano della richiesta di Pier Ferdinando Casini di «fare chiarezza sulla vicenda bolognese», il segretario del Pd ha risposto seccamente: «Ho letto una dichiarazione di Delbono». Come dire: è il sindaco, adesso, che deve parlare.



Cinzia Cracchi conferma le accuse al primo cittadino: "Mi ha offerto consulenze"
"L´ho amato e ho perso tutto, ma ora Flavio deve dimettersi"

JENNER MELETTI
BOLOGNA - Le offese no, non le sopporta. «Stamattina mi ha telefonato un´amica, mi ha detto che su un giornale, accanto alla mia foto, c´era quella della D´Addario. Così io sarei una di quelle… Io Flavio Delbono l´ho amato davvero, non una notte ma sette anni interi. E mi sono rovinata la vita». Piange, Cinzia Cracchi, bionda protagonista del Cinzia-gate. Un sorso di caffè d´orzo e gli occhi tornano asciutti. Vuole apparire forte, la donna che sta portando il sindaco e la giunta comunale di Bologna verso il crac.
«E se anche succedesse? Se Delbono dovrà dimettersi, non sarà la fine del mondo. Uno come lui, cadrà sempre in piedi. Tutti sono solidali con lui, tutti lo proteggono. Se si dimette, vuol dire che pagherà le conseguenze delle sue azioni».
Non vuole parlare dell´inchiesta, la signora che sta mettendo in crisi quella che era l´amministrazione rossa più forte d´Italia. «Vede, in questa vicenda una persona sconfitta c´è già: sono io. Sempre sui giornali, Cinzia-gate di qua, Cinzia-gate di là… Ma lo sa chi sono io? Una che ha cominciato a lavorare a 17 anni in un asilo comunale, facevo la "dada", quella che pulisce i bambini, li imbocca a pranzo… Poi ho fatto i concorsi, sono arrivata in Comune come impiegata. Ed è lì che ho conosciuto Flavio. Io ero orgogliosa di essere una donna che lavora, credo che il lavoro dia la dignità vera a una persona. E ho perso anche quello».
Credevano, i bolognesi, che il 1999 fosse l´anno buio della città solo perché, per la prima volta, una giunta di centrodestra, guidata da Giorgio Guazzaloca, saliva lo scalone d´onore di palazzo d´Accursio. In quell´anno cominciava però anche la storia di Cinzia & Flavio, all´inizio una piccola storia «clandestina» nascosta fra le quattro mura del gruppo consiliare dell´Asinello, dove Cinzia è appena arrivata come segretaria. Nel 2001 la storia diventa nota a tutti.
«C´è stato anche chi mi ha avvertito: stai attenta, di Flavio non ti puoi fidare. Sei sposata, hai una figlia… Ma io avevo gli occhi bendati, ero innamorata e basta. Ho lasciato mio marito e nel 2003 ho seguito Flavio che era diventato vice presidente della Regione. Non volevo lasciare il Comune, ma lui è riuscito a convincermi». Il vice presidente che presenta la sua segretaria come fidanzata e si fa accompagnare da lei in tante trasferte. Nel 2004 l´ex «dada» dell´asilo, grazie all´aiuto di Flavio, tenta anche la carriera politica. Si candida al Consiglio comunale, nella lista Riformisti per Bologna, di cui Delbono è esponente di spicco. È votata soltanto da 170 cittadini e torna al suo lavoro di segretaria. Per stare con lei, il vice presidente ha lasciato la seconda moglie, incinta. Dalla prima moglie aveva avuto una figlia.
«Tutto è finito dopo una litigata. Avvenne una sera del 2008 e il giorno dopo, invece di fare la pace, abbiamo continuato a fare gli arrabbiati. Dopo qualche giorno capimmo che era finita. Lui mi disse che me l´avrebbe fatta pagare. Mi ha mandato al Cup, il centro unico di prenotazioni per la sanità, a fare la centralinista».
Tre anni di silenzio, con una figlia ancora piccola da crescere. Solo l´anno scorso, quando la campagna elettorale per il Comune si avvia verso la fine, Cinzia Cracchi diventa la Stefania Ariosto delle Due Torri. Va dal candidato del centrodestra Alfredo Cazzola e gli dice: «Sono stata all´estero con Flavio Delbono, pagava sempre lui. Con che soldi, non so». Il sindaco del Pd vince e tutto sembra acquietarsi. L´inchiesta viene archiviata a settembre ma riaperta alla vigilia di Natale. Le accuse di Cinzia (le ha confermate ieri) diventano pesantissime.
«Il sindaco Delbono mi ha incontrato più volte dopo che l´inchiesta è stata riaperta. Mi ha offerto consulenze del Comune, un´auto nuova, per il mio silenzio. Il suo legale dice che potrei essere stata io a chiedere un aiuto? Se io lo avessi ricattato vorrebbe dire che lui ha qualcosa da nascondere. Una signora di sua fiducia ha fatto da mediatrice fra lui e me fin da giugno, quando Flavio era in campagna elettorale. Ed è stata premiata: adesso è infatti assessore. Ho parlato al Pm di un bancomat, che poi è stato sequestrato, che Flavio mi aveva dato quando eravamo assieme. Ora dicono che era di un suo amico. Io ho sempre pensato che fosse suo. Con Flavio sono stata anche in Messico, e quella era proprio una vacanza non un viaggio di lavoro».
Si parla, da parte del legale del sindaco, di testimoni presenti agli ultimi incontri. «Se Delbono vuole testimoni ne trova quanti ne vuole. Tutti sono corruttibili». Che succederà, adesso? «Io vorrei soltanto essere dimenticata. La mia vita è distrutta. Ho perso il marito e un lavoro che avevo conquistato. D´ora in poi penserò solo a me stessa e a mia figlia. Lui, Flavio, cercherà di restare attaccato alla sua poltrona fino all´ultimo. Se cadrà, potrà dare la colpa solo a se stesso. Ciò che mi da più fastidio, in questi giorni, è tutta la solidarietà espressa a quest´uomo. Anche la giunta ha detto: va tutto bene, ha chiarito tutto. Ma io Flavio lo conosco davvero».

Burton Morris
24-01-10, 14:18
"La Repubblica", VENERDÌ, 22 GENNAIO 2010
Pagina 24 - Cronaca

"Cercasi segretaria del capo ma solo se ha la pistola"
Palermo, inchiesta sulle assunzioni di una spa della Regione
Nel mirino le selezioni del personale: la società ha un deficit da 4 milioni

TIZIANA LENZO
PALERMO - Promozioni e assunzioni facili, tra cui quella di una segretaria "armata". La procura di Palermo indaga sulla Multiservizi, società "in house" della Regione Sicilia (spa a capitale pubblico), che assicura pulizie e servizi a ospedali e dipartimenti regionali e che nell´ultimo triennio ha prodotto un deficit di oltre quattro milioni di euro.
Due giorni fa, la guardia di finanza, su delega del pm Alessandro Nicchi, ha acquisito alcuni provvedimenti deliberati dal vecchio consiglio d´amministrazione (il cda è stato rinnovato nell´ottobre scorso) presieduto da Sebastiano Burgaretta Aparo, ex Udc diventato senatore e transitato nell´Mpa di Lombardo, e di cui facevano parte il geometra Salvatore Gueli (Udc) con la carica di vice presidente, Leonardo Lemura (An) e l´ex presidente della Regione Matteo Graziano, ex Pd passato all´Udc.
Tra gli atti richiesti dagli inquirenti ci sarebbe anche il contratto di assunzione di una "segreteria armata" e il relativo bando di selezione che risalirebbe al dicembre 2007.
Gli investigatori mirano ad accertare eventuali anomalie commesse dal cda nel reclutamento della donna, Irene Sampino, ex guardia giurata, dipendente della società di vigilanza Ksm e che all´epoca dell´insediamento del vecchio cda, alla fine del 2006, svolgeva la propria attività presso l´aeroporto di Punta Raisi.
Nel 2007, la Multiservizi stipulò un contratto con la Ksm per un servizio di vigilanza armata. La prescelta per garantire la prestazione fu la Sampino che venne così trasferita negli uffici della società regionale. Mesi dopo, alla fine del 2007, per il cda cessò l´esigenza di avere una guardia giurata e nacque, invece, il bisogno di una segretaria con «esperienza nel settore della vigilanza armata» alle dirette dipendenze dell´azienda. Venne indetto un bando di selezione e la Sampino fu la prescelta. La neoassunta venne destinata a espletare mansioni di segreteria di direzione con la retribuzione prevista dal contratto nazionale lavoro del settore commercio. Le altre segretarie già presenti in azienda furono trasferite a supportare l´ufficio paghe e contributi.
L´indagine della procura di Palermo è scaturita dall´esposto presentato nel settembre scorso da alcuni lavoratori dell´azienda che in cinque pagine hanno raccontato di presunti sperperi, assunzioni per mansioni inesistenti, intimidazioni da parte del vecchio cda nei confronti di alcuni lavoratori e violazioni di norme nazionali e regionali. A cominciare dalle nuove assunzioni. Ma non solo. La Multiservizi, che conta 1.200 dipendenti, avrebbe pure elargito promozioni, aumenti di stipendio e premi di produzione alla dirigenza, mentre avrebbe concesso permessi sindacali oltre il limite orario stabilito dalla legge.
Sempre su delega della procura, la guardia di finanza nei mesi scorsi ha già sentito quattro testi che avrebbero confermato la presunta «gestione disinvolta» da parte dell´ex cda presieduto da Burgaretta Aparo. Sotto la vecchia amministrazione la Multiservizi ha registrato crescenti perdite di esercizio: circa 600 mila euro nel 2006, un milione e mezzo di euro nel 2007, e circa tre milioni di euro nel 2008.

Burton Morris
24-01-10, 14:19
"La Repubblica", SABATO, 23 GENNAIO 2010
Pagina 13 - Interni

BREVIARIO

Fondi Ue, spunta il nome di Scajola jr
Nell´indagine della Finanza anche il nipote del ministro, vicesindaco di Imperia
Inchiesta su irregolarità nella gestione di 30 milioni di finanziamenti

MARCO PREVE
GENOVA - La relazione dei finanzieri consegnata a novembre concludeva con un´ipotesi di turbativa d´asta per una mezza dozzina di persone e l´eventuale perquisizione dell´abitazione e dell´ufficio della persona oggetto d´indagine. Che poi sarebbe stato l´ufficio del vicesindaco di Imperia. Che poi sarebbe la stella nascente del Pdl ligure: Marco Scajola, figlio di Alessandro, ex sindaco ed ex deputato Dc, e nipote di Claudio, ministro dello Sviluppo economico.
L´inchiesta che coinvolge l´ultimo rampollo della potente famiglia politica ligure - al momento non è indagato e non è stato perquisito, ma la sua posizione è sottoposta ad "approfondimenti" - è quella della procura di Genova sulle presunte irregolarità nella gestione e negli appalti dei 30 milioni di euro di finanziamenti Ue del Fondo Sociale Europeo e del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.
E arriva in un momento delicato per Marco Scajola, proprio durante la campagna elettorale per le prossime elezioni regionali di marzo nelle quali, con la benedizione dello zio, il trentanovenne appassionato di wind surf, laureato in psicologia (professione che lo ha portato anche a fare il consulente per programmi come Il Grande Fratello), è in lista con il centro destra e, in caso di vittoria del candidato Sandro Biasotti, diventerà il nuovo assessore al turismo. Nei progetti di famiglia, solo una tappa prima del balzo verso Roma.
Come per altri soggetti, anche la posizione di Marco Scajola, è stata temporaneamente accantonata dal pm Paola Calleri che in queste ore sta chiudendo uno stralcio dell´inchiesta riguardante appalti per una casa di riposo.
I reati contestati per i fondi sono: associazione per delinquere, corruzione, turbativa d´asta, truffa aggravata, fatture false. Una ventina gli indagati fino ad oggi noti, assessori e consiglieri regionali del Pd e del Pdl, e poi tanti funzionari di Regione, comuni, provincie, camere di commercio, e soprattutto un gruppo di liberi professionisti, guidati dall´ingegner Romolo Marzi, consulenti ritenuti il perno del meccanismo nonchè fonte delle tangenti ricavate dalle false sponsorizzazioni di squadre di calcio minore. Nelle 60 mila intercettazioni c´è finito di tutto. Anche alcuni dialoghi, o riferimenti allo stesso Claudio Burlando, al suo vice Massimiliano Costa e ad Alessandro Scajola, segretario generale della Camera di Commercio fino a pochi mesi fa.
Ma la posizione più scottante, per ora, sarebbe proprio quella di Marco Scajola. Tre sono gli aspetti che più interessano il pm Paola Calleri: i meccanismi di stesura dei bandi di gara per ottenere i fondi europei e la conseguente assegnazione degli appalti, e poi il ruolo del nipote del ministro, sia come amministratore pubblico, che consulente di una delle cooperative sociali coinvolte, la savonese "Il Faggio", più di vent´anni di esperienza nell´assistenza e la sanità, fortemente radicata a sinistra. Ma da qualche anno è riuscita a sbarcare anche nella "bianca" provincia di Imperia. Merito della consolidata qualità dei suoi servizi, ma certo non ha nuociuto la scelta di quadri e collaboratori. Quella del presidente, l´ex socialista Antonio Bonjean e quella del consulente incaricato della selezione del personale: lo psicologo e psicoterapeuta Marco Scajola. Per uno dei progetti con sovvenzioni europee è stato indagato per turbativa d´asta un dirigente del Faggio. E, intanto, le indiscrezioni sul nipote vice sindaco hanno iniziato a rincorrersi nelle sedi del Pdl, sussurrate però, perché al Ministro certi discorsi non piacerebbero.

Burton Morris
17-02-10, 23:33
Sanità. Poretti: La nomina del prof. Lorenzelli all'Istituto Gaslini di Genova, esemplare caso...

25 gennaio 2010



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Premessa: il problema e’ a monte, nel meccanismo perverso delle nomine politiche e governative non per selezione concorsuale o per graduatoria. Gli effetti si vedono a valle, e nella sanita’ sono in alcuni casi disastrosi. Al momento, per ridurre il danno, si puo’ solo attivare quel meccanismo di trasparenza e valutazione utile per conoscere e quindi deliberare.
Proviamo con un esempio concreto: l’Atto di Governo n.54 per la nomina del prof. Vincenzo Lorenzelli a Presidente dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico “Giannina Gaslini” di Genova.
Consultando il curriculum inviato alle Commissioni e gli interventi dei relatori dello scorso 19 gennaio si evince che il prof. Lorenzelli abbia ricoperto molti incarichi sia nel passato che nel presente (1), anche se si approfondisce la sua carriere di professore di Chimica e in particolare i diversi ruoli ricoperti nell’Universita’ di Genova. In una cartellina si riesce anche ad inserire un paragrafo sulle sue doti di nuotatore che l’hanno portato a vincere medaglie in diversi stili. Segue l’elenco di cariche ricoperte attualmente e in passato e di pubblicazioni. Stranamente dalla paginetta viene pero’ espunta una carica attuale: consigliere comunale per l’Udc a Genova.
Il prof. Lorenzelli infatti viene eletto nel maggio 2007 dopo una tormentata vicenda conclusasi con le sue dimissioni da presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, ente che controlla la maggioranza della banca Carige, un incarico che ricopriva dal 1998, cui si era aggiunto dal 2001 quello di presidente di Vita Nuova spa, societa’ assicurativa controllata dalla banca stessa. Per questo e’ stato oggetto di numerose interrogazioni nella XIV legislatura che denunciavano la condizione di palese incompatibilita’ e di conflitto d’interesse in base alla legge sulle Fondazioni.
Dopo un accordo tra il presidente della regione Liguria Claudio Burlando e l’ex ministro Claudio Scajola, Lorenzelli si dimette e viene sostituito da monsignor Giorgio Noli, vicario episcopale per il Servizio e la Testimonianza nella Carita’, su indicazione dell’arcivescovo di Genova, monsignor Angelo Bagnasco.
Il prof. Lorenzelli e’ per molti anni presidente della Fondazione Rui (Residenze Universitarie Internazionali), attualmente presidente del Consiglio di Amministrazione della ASRui (Associazione Studi e Servizi Rui), autentico business core dell’Opus Dei con le numerose ramificazioni imprenditoriali ad essa connesse nei cinque continenti, tra queste il Campus Biomedico di cui lo stesso Lorenzelli e’ Magnifico rettore dal 1998. Dell’affiliazione all’Opus Lorenzelli non fa mistero “ma -tiene a precisare in un’intervista- la Prelatura non gestisce il Campus”, anche se “vigila su di esso offrendo l’assistenza pastorale e l’orientamento dottrinale delle attivita’ formative”.
Da Roma torniamo a Genova sempre seguendo la Chiesa e torniamo alla proposta di nomina al vaglio del Parlamento.
Nell’agosto 2005 Vincenzo Lorenzelli viene chiamato dal cardinale Tarcisio Bertone, presidente della Fondazione Gaslini per ricoprire l’incarico di Commissario straordinario dell’Istituto Gaslini, uno degli ospedali pediatrici piu’ importanti del mondo. Un’emergenza: sei mesi in attesa di adeguarsi alla normativa che prevedeva la trasformazione degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Lorenzelli e’ sorprendentemente rimasto al suo posto per 4 anni, commissario straordinario e consigliere della stessa Fondazione (ancora un doppio incarico?).
Oggi il Governo lo propone a presidente dell’Istituto. Il suo curriculum (vero), gli obiettivi che si era prefisso da commissario straordinario e i risultati raggiunti sarebbero le uniche informazioni utili al Parlamento per valutare professionalmente la nomina. Speriamo che giungano entro il 31 gennaio, data ultima per l’espressione del parere da parte delle commissioni di Camera e Senato.
(1) Curriculum Vitæ del prof. Vincenzo Lorenzelli (fornita dal Governo alla Commissione XII Igiene e Sanita’ del Senato) e che non siamo riusciti a trovare sui siti istituzionali.






* Intervento della sen. Donatella Poretti, Radicali-Pd, segretaria commissione Igiene e Sanita'

Burton Morris
17-02-10, 23:33
L'anagrafe di Pannella

• da L'Opinione delle Libertà del 28 gennaio 2010

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di Valter Vecellio

"Doveva essere più accorto. Ma nessuno si è limitato a dire questo: gli hanno dato del delinquente. Per altri di centro-destra che ne fanno di tutti i colori, nessuno ha gridato allo scandalo".
Così Romano Prodi, a proposito della vicenda dell`ormai ex sindaco di Bologna Flavio Delbono per quella che ormai tutti chiamano "Cinziagate": i viaggi all`estero e le spese personali che si sospetta siano state pagate con carta di credito della Regione Emilia-Romagna e poi fatte passare come spese di rappresentanza.
Per queste vicende Delbono è indagato per peculato, abuso d`ufficio e truffa aggravatà, vedremo se si tratta di accuse fondate o no. Certamente Delbono avrebbe dovuto essere più accorto, su questo Prodi ha ragione; e si può anche convenire che è presto per dargli del delinquente; che altri del centro-destra ne facciano e ne abbiano fatte di tutti i colori è affer: mazione che lascia il tempo che trova. Ammesso che sia vero, non giustifica; né un comportamento sbagliato viene attenuato perché altri si sono comportati in analogo modo, o peggio. Una cosa, poi, colpisce. La ex compagna di Delbono, Cinzia Cracchi, la donna che ha fatto esplodere il caso, dice: "Delbono prendeva lo stipendio da assessore regionale, seimila euro, e lo divideva in tre: duemila alla prima moglie; duemila alla seconda e mille alla ex compagna. Manteneva tre donne e due figli. Per me c`erano seicento euro, e quando gli chiedevo: scusa, ma come fai?, lui rideva: di cosa ti preoccupi? Faccio i convegni, mi danno un sacco di soldi, godiamoci la vita". Niente da dire sul "godersi la vita", però questo "faccio convegni, mi danno un sacco di soldi", merita un approfondimento, dei chiarimenti.
Chi organizzava questi convegni? Chi pagava; ed era denaro in nero o regolarmente contabilizzato?
Perché Delbono era così richiesto e pagato? Sono interrogativi cui bisognerà che qualcuno risponda.
Non solo. Racconta ancora Cinzia Cracchi che Delbono per i suoi incontri privati utilizzava sempre l`automobile di servizio, autista compreso: "Sempre. Pure al cinema, andavamo con l`autista, ora che ci penso non riesco neppure a immaginare Flavio senza la sua macchina blu"; e aggiunge: "Che
Flavio vivesse sopra le righe è cosa nota a tutta Bologna, largheggiava, gli piaceva trattare bene tutti, a cominciare da se stesso". Sempre da quel sacco di soldi che gli davano per i convegni.
E comunque c`è questo uso improprio dell`auto di servizio e dell`autista. O no? Ecco che viene
in mente una bella, istruttiva pagina dei "Giorno della civetta" di Leonardo Sciascia. Non quella, stracitata, dove il capomafia don Mariano Arena suddivide l`umanità, uomini, mezz`uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. No, la pagina precedente. Quando il capitano Bellodi sente che don Mariano Arena, il mafioso, sta per farla franca, ed è tentato di usare quei metodi al di là e al di sopra della legge che utilizzò Cesare Mori, il prefetto di ferro mandato da Mussolini in Sicilia contro la mafia, e che per combatterla fece ricorso a ogni mezzo, salvo poi essere rimosso quando si mise in testa di colpire in alto, quei mafiosi, che erano già parte del regime fascista. II capitano Bellodi ha questa tentazione per un momento, poi la respinge, e dice che bisogna invece
usare gli strumenti della legge, della legalità.
II romanzo è stato scritto nel 1959, e indica una strada che verrà intrapresa molti anni dopo dal commissario Boris Giuliano prima e da Giovanni Falcone poi: inseguire la scia che il denaro inevitabilmente lascia, sempre che ci siano persone capaci di vederla, e di volerla vedere, questa scia.
E la pista del denaro, della contabilità quasi sempre a doppio fondo nelle banche, nelle aziende, la revisione dei catasti, vale per i mafiosi, dice Sciascia, ma anche "per tutti quegli altri membri di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della
famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso". Delbono certo non è un mafioso, ma a Bologna nessuno ha provato ad annusare, a confrontare i segni di una ricchezza ostentata con lo stipendio, e ne ha voluto tirare il giusto senso. A Bologna e in chissà quanti altri posti, evidentemente.
E qui si arriva a una proposta dei radicali, purtroppo non accolta come sarebbe stato giusto fare; la proposta dell`anagrafe pubblica degli eletti, per conoscere lo stato patrimoniale dei nostri rappresentanti, sapere di "che" vivono e poterlo comparare sul "come" vivono; e conoscere quali provvedimenti, quali comportamenti adottano nelle loro sfere dì competenza. Uno strumento di trasparenza e conoscenza, insomma. tanti che oggi, a Bologna, e non solo a Bologna, si stupiscono e si mostrano preoccupati per casi come quelli di Delbono provino a spiegarci perché non hanno fatto nulla quando Marco Pannella proponeva loro di adottare l`anagrafe pubblica degli eletti: che avrebbe appunto consentito di sapere anche per quali convegni, e chi, dava a Delbono "un sacco di soldi", per potersi "godere la vita".

Burton Morris
17-02-10, 23:33
Sanità. Poretti: nomine dirigenziali e trasparenza. Disegno di legge per l'anagrafe digitale

29 gennaio 2010



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* Intervento della senatrice Donatella Poretti, Radicali-Pd, segretaria Commissione Sanità


Il metodo attuale di nomina politica dei dirigenti della Sanità e', di fatto, l'ennesima occupazione della partitocrazia di qualsiasi posto pubblico: sistema che nello specifico raggiunge il suo apice, con effetti devastanti per gli utenti del servizio pubblico sanitario. L'affidamento di strutture complesse e costose, come le aziende sanitarie locali e ospedaliere, a persone designate dalle giunte regionali non tanto per le loro capacità manageriali ma per il loro grado di acquiescenza ai politici, si riflette a piramide sull'intera struttura; soprattutto su chi e' alla base di questa piramide, il paziente/utente, con conseguenze deleterie sia per la salute che per l'utilizzo di risorse che essi stessi finanziano con imposte e ticket sanitari.
Per bloccare e riformare questo meccanismo, con il sen. Marco Perduca ho depositato un disegno di legge che prevede l'introduzione di un sistema di Valutazione-Informazione-Scelta a tutti i livelli del sistema.
Disegno di legge che parte dal presupposto che un nostro recente ordine del giorno, fatto proprio dall'attuale Governo, ha impegnato lo stesso a definire e realizzare, in accordo con le Regioni, un sistema di valutazione delle diverse tipologie di servizi sanitari erogati ai cittadini, ed un sistema di informazione sui risultati accessibile a chiunque.
Il ddl prevede che il paziente/utente si trasformi in soggetto attivo e strumento di governo del sistema, con valutazioni quantitative indipendenti per tutti i servizi sanitari, a tutti i livelli, rendendo pubblica, semplice e facilmente accessibile l'informazione su questi risultati.
La selezione dei manager sanitari e' prevista con affidamento ad una commissione di cinque membri scelti fra i rappresentanti delle maggiori società di consulting manageriale di interesse nazionale, valutando: fatturato, numero delle sedi sul territorio, quantità del personale inquadrato e a progetto.
Quindi:
1) rendere pubblici curricula, obiettivi, risultati e valutazioni dei Direttori Generali di AO e ASL attraverso la creazione di una anagrafe pubblica digitale.
2) creare un sito web ove i pazienti dei Medici di Medicina Generale possano esprimere il grado di soddisfazione sul proprio MMG, relativamente a puntualità, reperibilità, disponibilità al dialogo, completezza delle informazioni, organizzazione.
3) creare sistemi di valutazione di strutture e servizi, per renderne pubblici i risultati e che si applichi a tutte le strutture del sistema sanitario italiano. Rendere possibili comparazioni e risultati delle valutazioni sia via Internet che fisicamente in loco.

Qui il disegno di legge: Sanità. Anagrafe digitale per una maggiore trasparenza delle nomine dei dirigenti | SEN. DONATELLA PORETTI (http://blog.donatellaporetti.it/?p=1181)

Burton Morris
17-02-10, 23:34
MANIFESTI ABUSIVI, I PARTITI SI FANNO GIA' LA SANATORIA

Da "IL TEMPO" di venerdì 29 gennaio 2010

http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/PLS/PLSTG.pdf



Emendamento bipartisan. La multa per chi imbratta i muri? Solo mille euro.



Alessandro Bertasi

a. bertasi @iltempo. it



Ce ne sono già un po` ovunque. Sui piloni di cemento dei sottopassaggi, lungo i muri della città e addirittura sui vetri delle cabine telefoniche. Ogni posto è buono per affiggere i manifesti elettorali di questa campagna che, giorno dopo giorno, entra sempre più nel vivo. Faccioni sorridenti che "incartano" abusivamente ogni angolo libero e ben visibile delle città nel tentativo di accattivarsi la simpatia della maggioranza dei votanti. Una prassi che si ripresenta immancabilmente ogni anno a ridosso delle elezioni dato che i candidati, in modo assolutamente bipartisan, non si accontentano più degli spazi messi a disposizione dai Comuni sugli appositi tabelloni, ma vogliono esagerare.

E se poi arriva la multa? Che importa, tanto poi c`è un condono e non paga niente nessuno. O meglio, per essere corretti, a quanto raccontano alcuni deputati, a fronte di sanzioni di diverse migliaia di euro, le federazioni dei partiti complici dell`attacchinaggio abusivo, appena approvato il condono, finivano per pagare solo 1000 euro di multa.

Da quest`anno però le cose cambiano. Di certo non nella sostanza, dato che, in modo bipartisan, l`agone politico ha deciso di difendere la libertà di attaccare, ovunque i propri manifesti, ma nella tempistica. Infatti, questa volta, la proposta di sanatoria per le affissioni abusive presentata dai senatori Francesco Pontone del Pdl e Luigi Lusi del Pd arriva già prima delle elezioni.

Un`idea inserita in un emendamento al decreto "milleproroghe" in discussione in commissione Affari Costituzionali che va a prorogare la sanatoria prevista dal "milleproroghe" 2009 fino al 31 marzo 2010 e che prevede di sanare le violazioni, anche ripetute e continuate, commesse versando, «per il complesso delle violazioni commesse e ripetute» mille euro «per anno e per provincia».

L`esame del "milleproroghe" intanto entrerà nel vivo dalla prossima settimana anche se sembra ormai certo, visti i tempi stretti per l`esame e l`elevato numero di proposte emendative, che il governo potrebbe ricorrere al voto di fiducia.

Ipotesi meno probabile per il relatore Lucio Malan (Pdl) che commenta: «Escludo il ricorso alla fiducia ci sono molti emendamenti sui quali c`è un forte consenso a farli passare e quin di lo. strumento migliore è l`esae parlamentare».

Per quanto riguarda i con tenuti, oltre all`introduzione dell`emendamento sui manifesti abusivi, le novità riguardano anche l`introduzione del "nodo" zone franche.

Un emendamento che stabilisce come il ministero dell`Economia di concerto con lo Sviluppo economico e previa intesa con la Conferenza Unificata, stabilirà «le condizioni e le modalità di applicazione delle esenzio- ni fiscali, individuando specifici limiti temporali e di tipologie di destinatari». Un altro emendamento del Pdl rinvia al 31 dicembre 2015 dal 31 dicembre 2012 la proroga delle concessioni degli stabilimenti marittimi, mentre il relatore ha ritirato l`emendamento che faceva confluire nel "milleproroghe" il decreto di rinvio al 2011 del taglio delle poltrone degli enti locali che seguirà un iter a sé.

La Lega, invece, propone in un emendamento al "milleproroghe" che vede come primo firmatario Massimo Garavaglia, un aumento del 10% della tassa sui superalcolici per finanziare la detassazione degli investimenti in macchinari obsoleti per sostituirli con apparecchiature di nuova tecnologia.

Infine un emendamento presentato dal relatore Malan, prevede che «al fine di sostenere la crisi di liquidità delle aziende del settore lattiero-caseario, l`importo della sesta rata è suddiviso in parti uguali tra le rimanenti rate, gravato dei relativi interessi».

«Finanziamo la detassazione degli investimenti in macchinari» Per il decreto il governo ipotizza un voto di fiducia Per aiutare il settore si pensa di rateizzare la sesta rata [.]

Burton Morris
17-02-10, 23:35
Politica e bilanci/L' analisi della Corte dei conti sull' amministrazione che ha quasi 20 mila addetti: costi previdenziali cresciuti del 38% dal 2001, con 196 baby pensionati nel 2008.


Regione Siciliana, stipendi record: +40% sugli statali
Per ogni dipendente 42 mila euro, in 4 anni paghe aumentate del 38%. Direttori a riposo con 5.300 euro al mes.
Permessi boom: I regionali hanno diritto a 35 mila giornate di permessi: come se in 150 non andassero mai in ufficio.
Pioggia di retribuzioni. Oltre al proprio personale, la Regione paga (33 milioni) il personale delle scuole materne e 6.700 forestali.






ROMA - Nel suo ultimo libro Renato Brunetta dice che per sollevare il Sud dalla sua condizione si dovrà fare un' altra spedizione dei Mille. Ma quando il ministro della Funzione pubblica sbarcherà a Marsala, anziché picciotti disposti a combattere con la camicia rossa troverà più verosimilmente un esercito di sindacalisti sulle barricate. Brunetta dichiara guerra ai distacchi sindacali, sostenendo che in questi anni se n' è «fatto abuso», e li taglia del 15%, riducendoli a una media di 76 minuti l' anno per ogni dipendente? Bene, in base a un accordo firmato nel 2003 dall' allora governatore Totò Cuffaro, i 14.158 dipendenti a tempo indeterminato della Regione siciliana, dei quali 2.110 sono dirigenti, hanno ancora diritto a 35 mila giornate di permessi, pari a 249.200 ore, o 1.056 minuti ciascuno. Non è uno sbaglio. Sono proprio 1.056 minuti, cioè 14 volte più di quanto spetta a un altro comune mortale che lavora al ministero. È come se 150 persone non andassero mai in ufficio. Non c' è da meravigliarsi che la sezione siciliana della Corte dei conti, in una relazione diffusa giovedì che contiene anche questa perla, suggerisca la disdetta di questo accordo. Un privilegio che lascia interdetti. Tanto più alla luce del trattamento di cui godono i dipendenti della Regione. Nel 2008 i compensi per il personale hanno raggiunto 817 milioni 879.900 euro. Considerando che i dipendenti fissi e a tempo determinato sono 19.129, parliamo di 42.756 euro ciascuno, ovvero il 40% in più di un ministeriale. Il nuovo governatore Raffaele Lombardo ha ereditato una situazione davvero difficile. Nel primo anno del suo mandato, il 2008, l' esborso per le retribuzioni del personale è salito di quasi il 14%. Vanificando completamente il tentativo di contenere i costi fatto quattro anni fa, quando si stabilì per legge che le spese per il personale negli anni dal 2006 al 2008 non dovevano eccedere l' ammontare del 2004, ma diminuito dell' 1%. Fra il 2004 e il 2008 le retribuzioni del personale regionale sono invece lievitate, in Sicilia, del 38%. Il fatto è che nel 2005 la giunta Cuffaro, qualche mese prima delle elezioni alle quali l' ex governatore correva di nuovo, ha contrattualizzato 3.496 precari. Poi sono state «stabilizzate» 130 persone. Quindi altre 197. E 53 ancora. Ciliegina sulla torta: le buonuscite sarebbero costate nel 2008 ben 52 milioni, il 16% in più del 2007. Non contenti, i giudici contabili girano il coltello nella piaga, rimarcando che la Regione sopporta pure il costo (33 milioni) per il personale delle scuole materne regionali e dei 6.700 operai forestali a tempo determinato: da aggiungere naturalmente al numero dei dipendenti regionali. Per non parlare poi del costo delle pensioni: 557 milioni nel 2008. E qui si apre un altro capitolo, dove la crescita inarrestabile della spesa, aumentata del 38% fra il 2001 e il 2008, non è che un dettaglio. Intanto la riforma varata dal governo di Lamberto Dini nel 1995, che ha introdotto il sistema contributivo (la pensione si calcola sulla base dei reali contributi versati e non più in base alla retribuzione) per i dipendenti della Regione siciliana è entrata in vigore soltanto il primo gennaio del 2004 anziché del 1996. Quindi con otto anni di ritardo. Ma soprattutto la legge regionale con la quale la riforma è stata ratificata ha conservato per i periodi di servizio antecedenti al 2004 il vecchio sistema per cui la pensione si calcolava sull' ultimo stipendio. Nel periodo compreso fra il 2001 e il 2008 il numero dei pensionati è salito di 2.050 unità: 550 soltanto nell' ultimo anno. È aumentato, e di un bel po' , anche l' assegno medio. Che ha raggiunto 2.472 euro al mese (+26,4%). I direttori, in particolare, si possono davvero leccare i baffi: 5.347 euro al mese, il 38,1% in più. I magistrati della Corte dei conti non mancano di osservare come per i dipendenti regionali continui a esistere un meccanismo, non previsto invece dalle norme nazionali, che consente ai figli di disabili gravi di andare in pensione anticipatamente. Dal 2004 al 2008 hanno usufruito di questa possibilità 745 persone, con numeri in progressiva crescita: dai 121 nel 2004 ai 196 del 2008.

Sergio Rizzo

Pagina 11
(30 gennaio 2010) - Corriere della Sera

Burton Morris
17-02-10, 23:35
"La Repubblica", LUNEDÌ, 01 FEBBRAIO 2010
Pagina 13 - Esteri

Difesa spa, il business delle spese militari
Una società controllata dal ministero per gestire gli acquisti delle Forze armate
Solo le armi resteranno fuori dalle competenze della nuova agenzia

GIAMPAOLO CADALANU
ROMA - Le polemiche si sono riaccese quando la Cavour ha levato le ancore per far rotta verso Haiti. Perché mai, si sono chiesti in molti nelle Forze armate, mandare una portaerei a portare aiuti? Non era meglio spedire i C-130 per operare subito sul campo e magari risparmiare qualcosa per evitare i tagli all´ordinaria amministrazione, dall´addestramento ai pezzi di ricambio? La prima spiegazione era quasi accettabile: la Cavour deve muoversi comunque. Meglio usarla per Haiti che farla girare invano nel Mediterraneo, anche pagando ricche indennità di missione all´equipaggio. Però poi qualche alto graduato ammetteva: è un prodotto della tecnologia italiana, farlo vedere significa procurare affari.
Persino la tappa in Brasile sembra ideata solo per far vedere la portaerei ai rappresentanti di un governo molto interessato. In altre parole, i clienti vengono prima dei terremotati. Il viaggio umanitario verso Haiti, insomma, sarebbe solo l´ultima tappa di un progressivo allontanamento delle scelte militari dall´interesse nazionale diretto, per privilegiare piuttosto esigenze industriali.
Per gli esperti la tendenza è evidente. È passata per la pervicacia nel seguire i piani di produzione del costosissimo cacciabombardiere F-35, o Jsf, concepito per le esigenze della guerra fredda (può compiere missioni di bombardamento con obiettivi lontanissimi, ovvero era stato ideato per colpire Mosca) e oggi inutile: «In un momento di crisi quegli oltre 13 miliardi potevano andare in elicotteri, più utili per le missioni di pace, o magari anche per jet intercettori più utili, come gli Eurofighter», dice Massimo Paolicelli, coautore del libro Il caro armato.
Ma il punto di non ritorno in un processo che ieri Eugenio Scalfari definiva «il disossamento dello Stato», è la nascita di Difesa Servizi Spa, «primo passo dello sgretolamento della Pubblica amministrazione», come l´ha chiamato il capogruppo pd alla Camera Gian Piero Scanu. Concepita con un disegno di legge e poi inserita con cinque commi nella legge finanziaria per superare le perplessità nella stessa maggioranza, dall´inizio dell´anno l´azienda a cui verrà affidata gran parte dell´attività della Difesa è una realtà, almeno sulla carta. Mancano i decreti di attuazione, che devono arrivare entro metà febbraio, ma il processo è avviato.
Alla Difesa spa andrà la responsabilità di ogni acquisto per le Forze armate, armamenti esclusi. Le decisioni saranno prese dal consiglio di amministrazione, otto membri di scelta ministeriale, che dovranno rendere conto solo al ministro, per un budget fra i tre e i cinque miliardi di euro. Il meccanismo spazza via ogni criterio di trasparenza: la Corte dei Conti potrà intervenire solo in caso di comportamenti penalmente rilevanti (in sostanza, di dolo conclamato), mentre non è ben chiaro che cosa succederà se la Difesa spa dovesse andare in perdita.
L´azienda ha il potere di inserire nelle strutture militari anche impianti energetici, senza limitazioni legate alle esigenze delle Forze armate: in parole povere, potrebbe far eseguire la costruzione delle centrali nucleari all´interno delle caserme, senza preoccuparsi di ottenere autorizzazioni dagli enti locali e scavalcando ogni discussione. La Difesa spa curerà anche non meglio definite «sponsorizzazioni»: un termine che inevitabilmente propone immagini di blindati in missione sulle montagne dell´Afghanistan colorati come le monoposto di formula 1, o cacciatorpediniere colorati come le barche della Coppa America, idee molto lontane dalla tradizione delle Forze armate.
Ma il vero affare è quello del mattone: la Difesa spa gestirà anche le dismissioni immobiliari, con lo scopo dichiarato di recuperare danaro per le spese militari. Ad affiancarla, secondo i piani del governo, saranno società di gestione del risparmio, che dovranno valorizzare il patrimonio della Difesa creando dei fondi di investimento e vendendone i titoli, per poi rimborsare all´erario il valore di partenza degli impianti venduti e versare alla Difesa le plusvalenze.
Il meccanismo ha già trovato un intoppo: per garantire la creazione di queste plusvalenze, a fianco dell´inevitabile cambiamento di destinazione d´uso dei beni immobili era prevista la possibilità di un ampliamento della volumetria pari al 30 per cento, anche qui scavalcando ogni autorizzazione, compresa quella sull´impatto ambientale. Un nuovo scempio, bloccato però come incostituzionale dai giudici della Consulta.

Burton Morris
17-02-10, 23:36
"La Repubblica", LUNEDÌ, 01 FEBBRAIO 2010
Pagina 13 - Esteri

Il generale Del Vecchio, ex capo della missione in Afghanistan
"Un colpo di mano del governo con seri problemi di trasparenza"

ROMA - In tema di dismissioni militari e Difesa spa, Mauro Del Vecchio è profondamente deluso. L´ex capo del contingente italiano in Afghanistan, oggi membro della commissione Difesa del Senato per il Pd, ci teneva a regolare le questioni in Parlamento.
Generale, la Difesa Spa è stata creata inserendo alcuni commi nella Legge finanziaria. È il modo migliore, secondo lei?
«È stato un vero colpo di mano del governo. Su questo tema c´erano state numerose audizioni in commissione, c´era stato un confronto aperto ma costruttivo. Maggioranza e opposizione avevano discusso a lungo per arrivare a una soluzione condivisa. Invece il governo ha deciso di inserire tutto in Finanziaria».
Come giudica l´idea di privatizzare parte dei compiti tradizionali della Difesa?
«C´è sicuramente un problema di trasparenza, dovremo fare un controllo dettagliato di tutte le attività di quest´agenzia. Per quanto riguarda la sua efficienza, credo che già ci fossero nelle Forze armate professionalità in grado di curare le competenze che sono state affidate all´esterno».
Ma il principio le sembra accettabile?
«La Difesa spa nasce con l´obiettivo di trovare fondi per le Forze armate, ma il meccanismo mi sembra pericoloso. La Difesa è per definizione un interesse dello Stato, ho molte perplessità sull´ipotesi che i privati possano gestirne una parte sfuggendo al controllo dell´apparato pubblico, con esigenze e criteri di gestioni privati».
(g. cad.)

Burton Morris
17-02-10, 23:36
Il doppio incarico dell'onorevole
a volte diventa triplo


di Nicoletta Cottone



Il doppio incarico dell'onorevole a volte diventa triplo - Il Sole 24 ORE (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2010/02/doppio-incarico-parlamentari-sindaci-comuni-presidenti-provincia.shtml?uuid=3b37321a-0f42-11df-970e-e564523b835f&DocRulesView=Libero)

Burton Morris
17-02-10, 23:37
Rita Bernardini scrive al Presidente Fini e spiega le ragioni del Satyagraha intrapreso in appoggio a quello di Marco Pannella. Tra le richieste, l'accesso alla lista dei fornitori e dei consulenti della Camera


Roma, 2 febbraio 2010

Lettera di Rita Bernardini, deputata della delegazione Radicale nel Gruppo del Pd, al Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini:

Egregio Presidente della Camera dei Deputati,
dalla giornata di ieri mi sono unita al Satyagraha di Marco Pannella con 9 obiettivi che riguardano punti precisi di mancato rispetto delle regole che mina la credibilità dello Stato di Diritto nel nostro Paese. Il mio Satyagraha assumerà per ora la forma dello sciopero della fame.
La prego di considerare due punti in particolare.
Il primo: come sa, già in sede di discussione del Bilancio Interno della Camera dei Deputati, ho chiesto di poter analizzare la documentazione completa che dovrebbe corredare il bilancio necessaria, a mio avviso, per un voto consapevole da parte dei deputati che compongono l'Assemblea. In particolare, il 7 luglio in aula, avevo chiesto di avere accesso alla lista dei fornitori. Successivamente, il 9 luglio, con una richiesta scritta di accesso agli atti, alla lista dei fornitori avevo aggiunto quella dei consulenti della Camera dei Deputati e l'elenco delle dichiarazioni congiunte di cui all'art. 4, l. n. 659/1981.
I questori della Camera dei deputati, dietro mia sollecitazione rivolta direttamente a Lei, mi risposero il 24 settembre 2009, negandomi l'accesso richiesto sia alla lista dei fornitori che a quella dei consulenti. Non entro nel merito della risposta ricevuta che Lei ben conosce, mi limito a citarLe il comma 4 dell'art. 68 del Regolamento di Amministrazione e Contabilità: "I deputati in carica hanno comunque accesso alle deliberazioni del Collegio dei deputati questori, ai contratti e all'Albo dei fornitori e degli appaltatori della Camera". Preciso inoltre che il Regolamento di Amministrazione e Contabilità non è reperibile on line nel sito ufficiale della Camera dei Deputati.
Il secondo punto fa riferimento all'attuazione dell'ordine del giorno presentato dalla delegazione radicale all'interno del Gruppo del PD e approvato in data 7 luglio 2009 e riguardante l'Anagrafe pubblica on line dei Deputati. Ad oggi, l'Anagrafe richiesta non è stata ancora istituita.
Certa della Sua risposta, la saluto cordialmente manifestandole, ancora una volta, la mia massima stima.
Rita Bernardini

Burton Morris
17-02-10, 23:38
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/31-gennaio-2010/fiat-liberis...

I liberisti che boicottano la Fiat

di Alessandro De Nicola



31 gennaio 2010



Dazi? Protezionismo? Embargo contro la Cina? Macché, i ragazzi della Giovane Italia, l'organizzazione dei Pdl junior, hanno invitato a boicottare la Fiat e i prodotti «riconducibili alla casa torinese». Con manifestazioni e bandiere al vento. In 30 città.

Non stropicciatevi gli occhi, è proprio così: i futuri ministri liberal-liberisti vogliono punire i consumatori limitando la scelta delle automobili e i risparmiatori che hanno in portafoglio titoli del gruppo torinese. Accentuando la causa della loro stessa protesta: i licenziamenti dovuti alla chiusura, tra due anni, dello stabilimento di Termini Imerese. Meno auto Fiat vendute, più licenziamenti.

È l'onda anomala della crisi: i giovani critici del mercato, inforcando occhiali da miope, hanno avuto la prova che le libere imprese creano instabilità. Per questo la politica deve riprendersi il suo spazio. Ma siamo sicuri che a mercati imperfetti si contrappongano governi perfetti? Silvio Berlusconi diceva di avere la foto di Gianni Agnelli sul comodino. Ma questi ragazzi cos'hanno sui loro comodini? La foto del subcomandante Marcos?

In queste settimane stiamo assistendo a un braccio di ferro tra Fiat e la politica sul futuro dello stabilimento di Termini Imerese. Si alternano momenti di tensione ad altri di dialogo ma, in poche parole, mentre il governo vuole tenere aperta lo fabbrica per motivi occupazionali, l'azienda è intenzionata a chiuderla in quanto poco produttiva. In questo contesto si sono fatti avanti i ragazzi della Giovane Italia, organizzazione giovanile del Pdl, i quali hanno organizzato manifestazioni in 30 città incitando all'embargo popolare «allargato anche ai prodotti riconducibili al gruppo Fiat nel campo dell'editoria, banche e finanza» per protestare contro il suo comportamento «anti-nazionale», con l'invito a dismettere «titoli azionari o partecipazioni a fondi che possano identificarsi con la Fiat, ritirare i risparmi e chiudere i rapporti con gli istituti bancari che hanno Fiat fra gli azionisti». Saggi e prudenti, non hanno ingiunto a emittenti televisive e riviste di smettere di fare pubblicità alle automobili, altrimenti avrebbero ricevuto una giustificatissima lavata di capo da Arcore.

L'insulsaggine dell'iniziativa è evidente: boicottando i prodotti della casa torinese si infliggerebbe un danno ai consumatori che preferiscono la 500 alla Yaris, allocando in modo inefficiente le loro risorse; si svantaggerebbero i milioni di risparmiatori che direttamente o tramite fondi hanno in portafoglio azioni Fiat e, ciliegina sulla torta, peggiorando il conto economico si renderebbero inevitabili ulteriori licenziamenti, certo non il loro blocco. Buone notizie per i produttori di auto cinesi contro la cui invasione tanto tuonò l'attuale ministro dell'Economia.

Ora, la vicenda non meriterebbe tanto spazio ma ci rammenta cosa succede a riporre fiducia nella politica come cura dei fallimenti del mercato o della globalizzazione, citando il beneamato Nicolas Bruni-Sarkozy.

I critici dell'economia di mercato aperta e concorrenziale hanno visto infatti nella crisi economico-finanziaria del 2008-2009 la prova che le imprese lasciate libere a se stesse creano instabilità, ineguaglianza e shock e quindi la politica deve riprendersi il suo spazio. Il ragionamento fallace si basa sull'assunto che a dei mercati imperfetti si contrappongano dei governi perfetti. Infatti, se si ammettesse che i ministri e i burocrati sono altrettanto ciechi dei manager, perché farli intromettere nelle decisioni del mercato? Peccato che, senza tornare ai disastri del socialismo reale, l'evidenza anche recente ci dimostri ogni giorno che la pubblica autorità può creare danni sistemici superiori a quelli di qualsiasi operatore economico. I governi greci hanno dimostrato buon senso? La Fed è stata impeccabile? L'amministrazione Obama e i suoi salvataggi e deficit sono nel giusto? Gli aiuti di stato generosamente elargiti a molte grandi imprese (compresa la Fiat, certo) hanno raggiunto risultati efficienti? E domani quando i ragazzi della Giovane Italia diventeranno ministri?

È logico che sia così: i governi guardano al breve termine, favoriscono alcuni interessi elettorali e lobbistici a discapito di altri, non hanno le informazioni necessarie per prendere decisioni sensate (il velo di ignoranza avvolge anche loro). I politici e le burocrazie, poi, pensano in primis, nell'ordine, a sopravvivere, essere rieletti e accrescere il proprio potere, a volte con mezzi illeciti come la corruzione.

Perché dovremmo fiduciosamente consegnarci nelle loro mani? Non è necessario che i mercati siano perfetti per funzionare meglio dello stato.

31 gennaio 2010

Burton Morris
17-02-10, 23:38
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 03 FEBBRAIO 2010
Pagina 27 - Nazionale

Una circolare della Funzione Pubblica esclude Palazzo Chigi e i suoi dipartimenti dal regime sanzionatorio L'iniziativa
Statali, obbligo di trasparenza ma non al ministero di Brunetta

CARLO ALBERTO BUCCI LUISA GRION

ROMA - Tutti gli statali sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Tutti gli statali devono rispettare l'obbligo della trasparenza, ma se qualcuno non lo fa pazienza: per quel gruppo di eletti, almeno per ora, non ci saranno le sanzioni previste per gli altri. Lo si legge nero su bianco nella prima circolare del 2010 inviata dal ministero della Funzione Pubblica alle amministrazioni. Un documento che esclude Palazzo Chigi dalle «punizioni» legate al silenzio su retribuzioni, assenze, curricula e che così facendo protegge pure il ministero di Brunetta che figura come un dipartimento della stessa Presidenza del Consiglio.

In altre parole chi ha proposto la riforma «in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle amministrazioni» si auto-assolve se non la applica. Palazzo Chigi (compresa la Funzione Pubblica e la Protezione Civile) si concede una sorta di piccola immunità: le notizie dovranno essere pubblicate sul sito Internet, ma se così non sarà i suoi dirigenti non saranno privati di quella parte di stipendio legata alla produttività.

E' vero che la circolare precisa anche che la materia sarà meglio specificata con successivi decreti di Palazzo Chigi volti a determinare «limiti e modalità di applicazione delle disposizioni anche inderogabili alla Presidenza del Consiglio», ma al momento la situazione è questa. Ai prescelti «non si applica il regime sanzionatorio contenuto nel comma 9 dell'articolo 11 della legge». Un passaggio che prevede appunto che sia «fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti». Quindi ai dirigenti di Palazzo Chigi, comunque vada, è assicurata la busta paga piena, agli altro no: il documento ricorda infatti che gli obblighi di trasparenza sono di «immediata applicabilità per le amministrazioni regionali e locali». Un particolare che ha suscitato le critiche del sindacato: «E un provvedimento fatto in casa commenta Michele Gentile della Cgil - varato il decreto Brunetta sta iniziando una fase di disapplicazione del decreto stesso.

Questa circolare né è un prova, ma lo sono anche il fatto che la Protezione Civile spa e la Difesa servizi spa escono pure loro dall'ambito di applicazione della legge». E ancora, puntualizza Gentile «in Parlamento è in discussione un provvedimento legislativo sulla riforma dell'ordinamento delle Camere di Commercio: anche in questo caso una parte del personale avrà una specifica definizione contrattuale al di fuori dell'ambito di applicazione del decreto Brunetta».

Una lettura cui subito ribatte il ministero della Funzione Pubblica: «La riforma Brunetta è in piena fase di implementazione e di attuazione non solo in tutte le amministrazioni centrali, ma anche in moltissime amministrazioni locali, che hanno subito assicurato il loro fattivo sostegno. Lo dimostrano - conclude la nota - i protocolli d'intesa per la sperimentazione e il monitoraggio dell'applicazione della riforma che sono stati sottoscritti da tempo con il presidente di Anci , con l'Upi e con la Federazione della aziende sanitarie e ospedaliere».

Burton Morris
17-02-10, 23:38
Bonino: «Spezzare la commistione fra sanità e politica»

• da Da Il Messaggero del 4 febbraio 2010

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di M. Ev.

Bisogna fare saltare la commistione fra sanità e politica. La ricetta di Emma Bonino, che deve comunque fare i conti con una realtà non facile da governare, è stata illustrata ieri pomeriggio, nel corso di un dibattito al Policlinico Umberto I, con il direttore generale. Ubaldo Montaguti, e
il rettore della Sapienza. Luigi Frati. Il Policlinico Umberto I è il perno di tante eccellenze della sanità laziale ma anche il simbolo dei suoi mali. Emma Bonino: «Una soluzione miracolo
per la sanità del Lazio non esiste, se non in un cambiamento radicale di metodo. Si deve rompere
il vincolo tra politica e gestione della sanità. In tanti anni c`è stata una commistione politica-managerialità che è finita in corto circuito. Non vi propongo la rivoluzione.
Ma la convocazione, se sarò eletta, degli stati generali della salute entro tre mesi. Possiamo uscire da questa situazione rendendo i cittadini consapevoli». A proposito del debito regionale, lo spettro che inseguirà chiunque diventerà il nuovo presidente della Regione: «Le azioni di fondo sono state avviate ma siamo lungi da essere in una situazione rosea. Va fatta nel Lazio una grande
operazione verità e trasparenza. Su un bilancio di 18 miliardi, 12 sono relativi alla sanità, ma a fronte di questa spesa non c`è soddisfazione da parte degli utenti. E` importante la trasparenza nelle procedure, per esempio nella nomina dei vertici delle Asl, i cui curricula andrebbero
pubblicati su internet». Ieri mattina, con una nota, Emma Bonino ha parlato anche di Acea. Ha spiegato: «La decisione di Alemanno di accelerare sulla privatizzazione di Acea, in queste condizioni di opacità, è doppiamente sbagliata: nei tempi e nei modi. Oltre a essere viziata da un grave difetto di trasparenza, la vendita del patrimonio pubblico di Acea, quando il titolo è ai minimi storici, rischia di trasformarsi in una maxisvendita a danno dello stesso Comune e, soprattutto, dei cittadini romani». Dura la risposta del presidente della Commissione lavori pubblici del Comune, Giovanni Quarzo (Pdl): « L`opposizione continua ad alimentare un polverone polemico circa una serie di presunte decisioni su Acea che tuttavia ancora non sono state prese
nè dall`amministrazione comunale nè dal management della municipalizzata».
Giordano Tredicine, vicecapogruppo del Pdl: «Il centrosinistra preferisce gettare fumo negli
occhi ai cittadini pur di farsi propaganda».

Burton Morris
17-02-10, 23:39
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 04 FEBBRAIO 2010
Pagina 15 - Interni

L'inchiesta
In Puglia l'"autogol" di Palese: firmò prestito-truffa per la Regione
Il gip accusa di "ignoranza" l'attuale candidato governatore

GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI

BARI - Non «ha capito cosa firmava». Perché «non conosce la lingua inglese» (il contratto non era in italiano) e perché non aveva alcuna competenza finanziaria e giuridica. Il risultato è che la regione Puglia stava per perdere un centinaio di milioni di euro.

Non è cominciata bene la campagna elettorale del candidato del Pdl in Puglia, Rocco Palese. L'uomo «del fare» e della «competenza» - così come si presenta in campagna elettorale - ha dovuto fare i conti ieri con i giudizi durissimi che il giudice Anna Polemio ha dato sul suo operato da assessore al bilancio cinque anni fa, quando era assessore della giunta guidata da Raffaele Fitto. Le parole del giudice sono nel decreto di sequestro che il tribunale di Bari ha notificato ieri a tre dirigenti di Merryl Linch e a uno di Dexia-Crediop, le società che nel 2002 sottoscrissero con la Regione due bond per 870 milioni di euro.

Secondo il sostituto procuratore Francesco Bretone - che ha condotto l'inchiesta avvalendosi dell'apporto del commercialista Massimiliano Cassano - l'amministrazione pugliese fu truffata dai dirigenti delle banche d'affari (sono indagati in quattro) che vendettero loro un prodotto senza sapere esattamente cosa fosse. Per questo ieri la Guardia di Finanza ha sequestrato la rata da 30 milioni di euro che la Regione stava versando, come prevedeva il contratto. E ha disposto anche il sequestro dei beni patrimoniali degli istituti di credito internazionali di 73 milioni di euro, cioè quello che la Regione aveva versato. Secondo la procura, in particolare, sarebbe «stata attestata una falsa convenienza economica dell'operazione finanziaria ai funzionari della Regione» che non erano assolutamente in graLa sede della Merrill Lynch, a destra Rocco Palese do di capire di cosa si trattasse. Lo ammette anche lo stesso Palese nell'interrogatorio reso come persona informata sui fatti il 17 novembre scorso. «Io non conosco l'inglese- ha detto Palese al pm Bretone - di scolastico ho fatto francese, l'inglese l'ho studiato quando facevo la scuola di sperimentazione». Palese ha firmato il contratto a Londra. «Guardi, non ho approfondito - confessa al magistrato, lo stesso che indaga sulla gestione della sanità nella giunta Vendola- Ero nella loro sedeea un certo punto mi danno il documento (...)». L'aspirante Governatore ammette di non averci capito nulla: «Non so che cosa fa Merril Lynch, sicuramente so che alla fine della scadenza deve restituire 870 milioni (...) Non sapevo che i soldi erano in Lussemburgo». Sulla lingua chiarisce: «Sì, l'inglese non lo so, ma anche a leggere in italiano, non è che capisco l'operazione finanziaria... (...)». E poi conclude: «Non c'è stato mai uno, dappertutto, neanche a Roma, dove sono andati in istruzione al comitato interministeriale, dove c'è la firma in tutte e due le volte di Tremonti che autorizza tutte le cose e non immagino... si dice che lui ha creato la finanza creativa, non immagino che non fosse esperto in tutte queste cose».

Dagli atti emerge poi che Merryll Lynch (il cui rappresentante Daniele Borrega è stato interdetto) avrebbe inoltre consigliato alla Regione Puglia di farsi assistere da studi legali di comprovata fama internazionale omettendo però di comunicare che gli stessi avevano con essa rapporti professionali duraturi.

La Regione ha già annunciato che si costituirà parte civile nel procedimento e che chiederà la restituzione alle banche di quanto versato. La Dexia dichiara invece «di non aver sottoscritto con la Regione Puglia alcuna operazione in derivati».

Burton Morris
17-02-10, 23:42
"La Stampa", 03 Febbraio 2010, cronaca di Torino

PALAZZO LASCARIS: SÌ UNANIME ALLA LEGGE PER CONTENERE I COSTI DI 70 SOCIETÀ CONTROLLATE

Tagliati gli stipendi dei manager regionali
Tetto per i compensi, ridotti i benefits aziendali



MAURIZIO TROPEANO


Il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato all’unanimità un disegno di legge presentato dalla giunta Bresso che taglia gli stipendi di presidenti e manager delle società controllate e/o partecipate dalla Regione e da Finpiemonte e Finpiemonte Partecipazioni. Il testo fissa un tetto ai compensi e al numero massimo dei consiglieri e introduce anche elementi per premiare la buona gestione e penalizzare quella cattiva dei boiardi. In tutto saranno coinvolte circa 400 persone e una settantina di società.
Alcune delle norme del contenimento dei costi sono state applicate negli anni passati per esplicita volontà politica della giunta Bresso - nel corso del 2008 sono state cancellate 43 poltrone con un risparmio di circa 200 mila euro - ma solo adesso diventano vincolanti anche per il futuro. Spiega il vicepresidente della giunta, Paolo Peveraro: «Con questa iniziativa legislativa abbiamo deciso di armonizzare e rendere sistematici gli interventi sugli organi di gestione delle società a partecipazione regionale». L’obiettivo è quello di ottimizzare i costi delle partecipazioni societarie della Regione.
Che cosa cambia? Prima di tutto il livello di retribuzione dei presidenti e degli amministratori. La legge fissa un limite: il 50% dell’indennità lorda del presidente della Regione. In caso di gestione di società di particolare complessità, come ad esempio FinPiemonte e Scr, il tetto sale al 70%. Il resto dei componenti dei consigli di amministrazione percepirà solo un gettone di presenza non superiore a 300 euro.
Viene introdotto il principio della premialità che condiziona l’erogazione di una quota non inferiore al 30% della retribuzione al raggiungimento di risultati di valorizzazione della società. Il manager che per tre esercizi finanziari consecutivi chiude in perdita il conto economico non potrà assumere un nuovo incarico gestionale all’interno del sistema della partecipate e/o controllate regionali. I fringe benefits (auto, telefono, appartamento) riconosciuti agli amministratori non possono superare il 10% del trattamento retributivo lordo.
Giro di vite anche per i direttori operativi, alcuni dei quali ricevono compensi complessivi di poco superiori ai 300 mila euro. Il loro trattamento viene equiparato a quello dei direttori generali e dunque al massimo a 150 mila euro complessivi compresi i 30 legati agli incentivi. Tetto anche per i fringe benefits.
Le società partecipate hanno tempo 6 mesi per adeguarsi alla nuova legge. Il testo presentato dalla giunta Bresso è stato emendato nel corso della discussione in sede di commissione.

Burton Morris
17-02-10, 23:43
:: Radicali.it :: (http://www.radicali.it/view.php?id=152751)

Milleproroghe. Staderini: sui manifesti abusivi è di nuovo Lega ladrona
"Il Carroccio vero leader della partitocrazia. Noi radicali lotteremo dentro e fuori il Senato."

Roma, 9 febbraio 2010



• Dichiarazione di Mario Staderini, segretario di Radicali Italiani

Con un blitz notturno in Commissione affari costituzionali del Senato, in perfetto stile partitocratico, la Lega Nord , con la complicità del PDL, si è regalata il condono alle migliaia di multe che deve pagare per i manifesti abusivi che hanno devastato le città del Nord.
Anzi, il condono sarà valido sino al 31 maggio 2010, in pratica una licenza a delinquere per tutte le prossime elezioni regionali.

Come sul finanziamento pubblico, dove la Lega e’ in prima fila tra i partiti che si spartiscono i 300 milioni di euro l’anno della truffa dei rimborsi elettorali, incassando oltre 40 milioni di euro pur avendone spesi poco più di 3 milioni, il partito di Bossi conferma la sua leadership tra i ladri di legalità e di denaro pubblico.
I manifesti abusivi non sono solo un gesto di inciviltà, sono un crimine, un danno alla democrazia e ai diritti dei cittadini di conoscere le diverse proposte politiche.

Il condono è un atto criminogeno, che reca danni enormi alle casse dei Comuni, i quali già hanno messo in bilancio le sanzioni dopo aver comunque speso milioni di euro per la defissione dei manifesti.
Complice della Lega è, al solito, il Ministro Tremonti che rispondendo ad una interrogazione parlamentare di Rita Bernardini ammette di non essere nemmeno in grado di quantificare l’ammontare delle minori entrate.

Noi Radicali, che da anni rinunciamo ai manifesti e presentiamo esposti in procura mentre le istituzioni si girano dall’altra parte, lotteremo dentro e fuori il Senato affinché venga respinto il tentativo dei partiti, per il quindicesimo anno consecutivo, di autoassolversi dalle loro condotte criminali.

Burton Morris
17-02-10, 23:44
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 11 FEBBRAIO 2010
Pagina 25 - Cronaca

La polemica La denuncia di Ferdinando Aiuti dopo le scelte di Fazio: nominato Zangrillo, l'organismo non è equilibrato
"Nel Consiglio superiore di sanità c'è anche il medico di Berlusconi"

MARIO REGGIO

ROMA - «O sei del San Raffaele di Milano o della Cattolica, oppure un radiologo o medico di Berlusconi, altrimenti la strada per il Consiglio Superiore di Sanità è sbarrato». La denuncia arriva dall'immunologo Ferdinando Aiuti, professore emerito alla Sapienza, consigliere comunale del Partito della Libertà a Roma, a due giorni dalle nuove nomine al massimo organo di consulenza del ministro della Salute. «Tra l'altro si è verificata una cosa strana, il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità è stato nominato anche al vertice del Consigli Superiore, Enrico Garaci assume così due cariche che non sono compatibili, controllore e controllato. Mai visto prima, quando ogni tre anni, al rinnovo del Consiglio Superiore si scatenavano le polemiche, stavolta è stato superato il limite di sopportazione». Ferdinando Aiuti è un fiume in piena: «Uno dei due vice è Antonio Emilio Scala, preside della facoltà di Medicina del San Raffaele di don Verzè, il professor Alberto Zangrillo, direttore del dipartimento di anestesia e rianimazione dello stesso ospedale è il sanitario che ha seguito il presidente Berlusconi». Ma qual è il problema di fondo? Aiuti spiega: «In Italia ci sono 22 facoltà di Medicina statali, e le scelte hanno permesso un percorso preferenziale a quelle cattoliche, in base alla logica che il Consiglio Superiore di Sanità dovrà prendere decisioni importanti come la ospedalizzazione per la pillola abortiva Ru486, la difesa della vita, le linee guida sul testamento biologico. Non sono di sinistra, ma mi sento profondamente laico, mi preoccupa il silenzio dell'opposizione».

Replica il ministro della Salute Ferruccio Fazio.

«Il ministro non è presente al momento delle nomine, indica solo le sue preferenze per il presidente ed i due vice, ma non vota.

Ho chiesto la nomina di Enrico Garaci perché era necessaria una persona di alto profilo per traghettare il Consiglio Superiore in questo periodo di transizione - afferma Ferruccio Fazio - quando assumerà una serie di compiti che ora sono gestiti da una pletora di commissioni del ministero della Salute. C'è chi mi accusa di essere dipendente del San Raffaele di Milano, ma nonè vero, sono ordinario di Medicina nucleare alla Bicocca di Milano, che è un'università pubblica, anche se continuo ad avere rapporti di lavoro con il San Raffaele. In sostanza sono orgoglioso di questo nuovo Consiglio Superiore di Sanità». E l'opposizione? Il senatore Ignazio Marino dichiara: «È sorprendente che le due cariche più importanti degli organi di consulenza e supporto del ministro si sommino nella stessa persona. È possibile che i tanti scienziati che lavorano in Italia ed all'estero non ci siano persone in grado di evitare a Garaci questo sovraccarico di lavoro? Un'altra cosa che stupisce è che non ci sia né un cardiologo né uno specialista in cure palliative. Su 50 membri c'è solo un'infermiera. E ci stiamo avvicinando alla Ru486, dopo le decisioni dell'Emea e della Food and Drug administration non può essere appalto della maggioranza».

Burton Morris
17-02-10, 23:46
"La Repubblica", VENERDÌ, 12 FEBBRAIO 2010
Pagina 9 - Cronaca

IL DOCUMENTO
Appalti spa/Sesso&affari/ecco le carte dello scandalo

CARLO BONINI
(segue dalla prima pagina)

ROMA - Nelle 126 pagine della sua ordinanza di custodia cautelare, il gip Rosario Lupo documenta il contenuto di centinaia di conversazioni telefoniche intercettate e trascritte dal Ros dei carabinieri tra l'autunno del 2008 e il gennaio scorso.

Sono le voci della "cricca dei banditi" che abitava la "Protezione civile spa". Frammenti "rubati" di un discorso privato che intreccia miserie quotidiane e affari di prima grandezza in un'allegra consapevolezza di impunità «delinquenziale» (l'aggettivo è del gip). È il ritratto di una classe dirigente in accappatoio di spugna ed escort a domicilio che, mentre con la mano sinistra pilota appalti pagati con denaro pubblico e protetti da corsie normative d'urgenza, con la destra, scrocca dagli imprenditori beneficiati la riparazione dello sciacquone del cesso di casa, lo stipendio dei domestici, i mobili per la villa di campagna, l'assunzione e il suv per il figlio di trent'anni. Ecco gli stralci più significativi di questo documento.

I SOLDI PER BERTOLASO E IL PRETE MISSIONARIO Il 20 settembre 2008, l'imprenditore Diego Anemone (A.) ha urgenza di recuperare almeno cinquantamila euro in contanti in vista dell'incontro che ha fissato con Guido Bertolaso. Decide di bussare alla porta di don Evaldo Biasini (E.), economo del "Collegio Preziosissimo sangue" di Roma, struttura missionaria dove Anemone sta svolgendo lavori di ristrutturazione.

A. Senti don Eva', scusa se ti scoccio... Solo per rotture di coglioni, perché stamattina devo vedere una persona verso le 10 e mezza. Tu come stai messo? E. Di soldi? Qui ad Albano ce n'ho soltanto 10 mila (euro ndr.). Giù a Roma potrei darteli. Debbo poi portarli in Africa mercoledì.

Vediamo un po'...

A. Eh, ma se io ti mando un attimo a prendere. Oppure se c'è qualcuno giù. Oggi non ce la facciamo? Va beh, domani allora. Domani mattina faccio un salto, casomai.

LA FESTA MEGAGALATTICA. LE RAGAZZE DEL "SALARIA SPORT VILLAGE". LE "STELLINE DEL CAZZO" DEL GRITTI PALACE Guido Bertolaso frequenta con assiduità il "Salaria sport Village" di Roma, centro riconducibile a Diego Anemone. Nella sala massaggi del centro, il capo della Protezione civile incontra almeno una dozzina di volte prostitute ingaggiate da Anemone, in particolare tali Francesca e Monica (brasiliane).

In un'occasione, il 21 settembre 2008, Anemone (A.) e Simone Rossetti (R.), suo factotum, preparano una "festa mega galattica" che deve stupire il dottor Bertolaso.

R. Capo A. Eccomi R. Allora, domenica prossima alle 8 A. Di quello che parlavamo prima? R. Si, sì, cosa megagalattica A. Lì da voi? R. Chiudo il circolo due ore prima. Festa al Centro Benessere A. Ok R. Tre persone con lui A. Perfetto R. Sicuramente ci costerà qualche soldino A. Non mi frega un cazzo Simo' R. No, no, io 'ste cose A. Però mi raccomando. La riservatezza tua e basta, Simo' R. Tranquillo proprio. Organizzo proprio tutto il passaggio. Vai tranquillo.

I due si risentono a ridosso dell'"evento".

R. Senti, quante situazioni devo creare? Una... Due...

A. Io penso due... lui si diverte... due R. Tre?.. Che ne so? A. eh la Madonna! R. Va bene, a posto.

A. di qualità! R. Assolutamente, sempre.

Il 27 settembre 2008, Bertolaso (B.) dovrà rinunciare all'ultimo momento all'evento.

Se ne rammarica e fissa con Anemone (A.) per un'altra data.

B: Pronto.

A: Disturbo? Buongiorno.

B: Sono a Brescia nel mio lungo giro italiano. A: Madonna! Ma torni su Roma? B: Tornerò questa sera ma poi poi dovrei muovermi domani mattina e rimanere fuori al nord.

A: Quindi non ci sei domani sera.

B: No, ahimé non ci sono. Però conto che l'offerta possa essere ripetuta ovviamente in un'altra occasione.

A: Va bene B: Ripeto, spero che mi consentirai di approfittarne in un'altra occasione.

Le occasioni non mancano. Il 21 novembre 2008, Bertolaso (B.) telefona a Rossetti (R.), il factotum di Anemone.

B: Sono Guido, buongiorno R: buongiorno Guido B: Io sono atterrato in questo istante dagli Stati Uniti. Se oggi pomeriggio, se Francesca potesse... Io verrei volentieri... una ripassata» R: Va bene B: Perché so che è sempre molto occupata. Siccome oggi pomeriggio invece io sono abbastanza libero... Richiamo fra un quarto d'ora e tu mi dici (segue alle pagine 10 e 11) (segue dalla pagina 9) IL 10 febbraio 2009, Anemone (A.) si sincera con Bertolaso (B.) se abbia o meno intenzione di fare "un sopralluogo" (appuntamento con la escort) dove sta Simone (il Salaria sport center) B: Eccoci A: Disturbo? Come stai? B: Potrebbe andare meglio.

A: Senti, volevo chiederti una cosa. Ma tu, poi, me lo fai quel sopralluogo domani? B: Domani? Domani non faccio nessun sopralluogo. A: Lì dove sta Simone B: No, ho riunioni varie. Poi, se durante il pomeriggio... certamente, se riesco a ritagliarmi un paio d'ore di tranquillità caso mai, sì lo faccio.

Non avevo capito....

Il 17 febbraio 2009, ancora Bertolaso (B.) con Anemone (A.) B: Io domani pomeriggio, verso le due, di andarea fare una terapia in modo da riprendermi un pochettino, sempre se c'è ovviamente quella persona. Quella là. Capito? A: Perfetto. Assolutamente.

L'11 marzo c'è un regalo per Francesca da Bertolaso (B.) che informa Rossetti B: Sono Guido, Buongiorno. Senti sei al centro te? Stanno venendo i miei due ragazzi che avevano una cosa per Francesca che gli dovevo mandare da tanto tempo, ma poi.. una cosa e un'altra... Li intercetti te o glielo dico io di rivolgerti a te direttamente? Il 17 ottobre del 2008, Fabio De Santis (D.), successore di Balducci quale commissario delegato dei lavori del G8 alla Maddalena, informa Anemone (A.) che sono stati accreditati i soldi alle imprese. In quell'occasione, De Santis coglie l'occasione per chiedere un ringranziamento come si deve. Due ragazze, per lui e Della Giovampaola (G.) all'hotel Gritti di Venezia.

D: Dammi un bacio in fronte.

A: Dove vuoi, sul culo pure se mi dai una buona notizia.

D: Preparati A: Che vuol dire? D: Eh! Ci ho i soldi in cassa! A: CHe ci hai? D: I soldi in cassa A: Ma che cazzo stai a di' D: Non sto scherzando. Tu pensi di parlare...

Tiè, ti passo il "lungus" (è Della Giovampaola).

La conversazione tra Della Giovampaola e Anemone si interrompe e riprende più tardi G: Ti dico una cosa così. In vita mia, Fa', Dani', non l'ho mai vista. Cioè all'1e 15 sono arrivatii soldi sul conto. All'1.18 il soggetto attuatore li aveva già mandati in Banca d'Italia. All'1 e 19 sono partiti i pagamenti. Una cosa mai vista! A: Ma dai? Grande. Grande! Numero uno.

G: Uno, quattro, cinque e sei (si riferisce all'importo dell'accredito. 1 milione 456 mila euro ndr). Mai vista una cosa del genere. Allora, a questo punto, in virtù di questa cosa... Non è che uno, siccome la vita è così... E' una cosa un po' così (ride) A (ride): Eh certo.

Della Giovampaola informa Anemone che l'indomani lui, De Santis e Balducci sono a Venezia, dove parteciperanno a una cena con il governatore della Regione Galan, organizzata dalla figlia di Pierluigi Alessandri, imprenditore che si è aggiudicato i lavori del nuovo palazzo del cinema di Venezia (appalto per i 150 anni dell'unità d'Italia). G: Che si deve fare? Ti faccio presente che noi, domani sera, insieme a una terza persona dormiamo a Venezia A: Uhm. Ci organizziamo... Uno? Due?, Tre...

tre? G: No, no. Due. (...) Domani sera, sì. Abbiamo già fissato anche le camere e tutto. Se fosse possibile prendere un'ulteriore camera. Poi noi, siamo a cena. Non so che ora facciamo... Quando ritorna, uno fa un numero, sa che lì è il numero e punta. Capito? A: Ma mi devi dire l'albergo però! Della Giovampaola lo informa che l'hotel è il Gritti. Quindi aggiunge: Siccome è roba che ha sei, quasi sette stelle, deve essere tutto equivalente. Perché non è che arrivano due stelline del cazzo che poiè una cosa che non va bene? Anche perché se no, non le fanno entrare. Lì ci sono tutti i marmi, i dipinti, i cazzi. Se no, non entrano. Capito? A (ride): Eh no, non va bene. Adesso mi organizzo, vai.

"33, 33, 33". LA MADDALENA. COSI' SI DIVIDE E SI GONFIA LA TORTA DEGLI APPALTI.

L'ORDINANZA PER I MONDIALI DI NUOTO bili per la chiusura dei cantieri della Maddalena sono un'occasione irripetibile per la lievitazione dei costie la spartizionea tavolino dei lotti. Il7 settembre 2008, l'architetto Marco Casamonti (C.), che sta progettando l'albergo della Maddalena, si vanta con il padre dei soldi che è riuscito a mettersi in tasca.

C: Ti volevo dire che ho fatto progetti per 70 milioni di opere. Glieli danno. Sicché, se non glieli facevo io i progetti non li pigliava. Sono piaciuti tanto, perché io gli ho presentato anche la parcella. Gli ho chiesto 2 milioni di euro. Ma lui (l'imprenditore Carducci) mi ha detto: "Tu sei caro, tu sei caro". E io ho detto: "Io sono caro, ma anche ti faccio fare 70 milioni di opere. Se non c'ero io, col cazzo che tu le facevi. Sicché... Deve un colpo al cerchio e uno alla botte (ride) Qualche mese prima, il 17 maggio 2008, Fabio De Santis (D.), commissario delegato ai lavori della Maddalena, discute con Anemone (A.) del sistema di spartizione degli appalti.

A: Mi avevi chiamato, Fabbie'? D: Si, si. Ero io.

A: Comandi, comandi D: Dico. Non so se si verificherà tutto questo ben di Dio, ma comunque sappi che, insomma, un 33 per cento di azioni ce l'hai.

A: Ma vaffanculo, va (ride) D: Eh. Perché io ho deciso che faccio 33, 33, 33.

A: Eh, va bene allora D: E l'1 per cento lo diamo a Mauro (Della Giovampaola, il funzionario incaricato della vigilanza sulle opere ndr.). Gli ho detto a Mauro: "Testa sulle spalle e piedi per terra, perché ci aspetta un periodo di fuoco A: Sui, no, ma dico: ormai è fatta D: Bisogna stare. Bisogna veramente mettere la testa nel ghiaccio tutti i giorni A: Si, si tutti i giorni, se no ci scappa D: Sì, se no il rischio di impazzireè facile. Quindi, piedi per terra e lavorare piano piano. Un bacio e grazie di tutto A: No, a me non mi devi dire niente. In bocca al lupo. C'è un'altra torta, già spartita, che preoccupa la "cricca": gli appalti per i mondiali di nuoto del 2009, su cui sono intervenuti un'indagine e i sequestri della Procura di Roma. Il 26 settembre 2009, Anemone (A.), che è titolare del cantiere sequestrato del Salaria Sport village, apprende da tale Enrico Bentivoglio (E.) chei problemi sono risolti perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha approvato un'ordinanza che sana ex post le irregolarità urbanistiche di cui gli appaltatori si sono resi responsabili insieme alla Protezione Civile e spegne l'indagine della magistratura.

E: A dimostrazione della considerazione che hanno della legalità e di coloro che cercano di farla rispettare, se la pigliano nel culo, capito? (ride) Se la pigliano nel culo.

A: Senti Enri', ma tu il provvedimento ce l'hai sotto l'occhio? E: Che cosa? No, è già sanata. Sanata. Non ce l'ho io, ce l'ha lui, però me l'hanno raccontata.

IL TERREMOTO DELL'AQUILA E LO SFOGO DI BALDUCCI: CHE CAZZO HO FATTO IO PER MIO FIGLIO? Nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 il terremoto devasta l'Aquilae la sua provincia. L'11 aprile, Angelo Balducci (B.), ormai presidente del Consiglio nazionale dei Lavori pubblici, è al telefono con Anemone (A.). I rapporti tra i due non sembrano più quelli di un tempo. Balducci, che ha inserito il giovane imprenditore nel lotto delle aziende che lavoreranno alla ricostruzione, scalpita perché vuole avere un ritorno maggiore per i suoi servizi.

Balducci parla del futuro incerto del figlio Filippo. B: Dico che quello (Filippo) oggi ha fatto trent'anni. Io per carità, non è che mi voglio nemmeno permettere di confrontarmi con voi. Ma io dico che tu, a trent'anni, eri già a capo di un piccolo impero... Questo non c'ha manco un posto da usciere tanto per essere chiari. Permetterai che uno è un po' incazzato.

A: Beh, fino a un certo punto. Perché comunque rimane pur sempre, come si dice, il figlio di un Dio minore... Ho recepito, Angelo, il discorso che mi hai fatto... E che cazzo! Mi fai parlare... Hai fatto una serie di osservazioni, constatazioni, alle quali io do una interpretazione....

B (riferendosi alla circostanza di essersi fatto promotore dell'inserimento di Anemone nei lavori post-terremoto): Tu ti rendi conto, ti rendi conto, oggi. Chi si sarebbe mosso al posto mio? Chi? A: Io non credo...

B: Ti rendi conto, con le conseguenze che mi fanno pagare... A chi vado a raccontare che non sono in grado di collocare un figlio? Perché tra l'altro con tutto quello che mi è successo, che io vengo chiamato a orologeria, cioè quando serve, io proprio non lo accetto e credo di dire una cosa sacrosanta. Io che ho la coscienza da padre, dico: "Che cosa ho fatto per mio figlio? Un cazzo". Mentre per tutti gli altri... Ho fatto l'inimmaginabile. Il problema è che io, purtroppo, siccome le cose le vedo perché sono più anziano e mi faccio convincere.... Allora, quello che mi parla della figlia di quello... quell'altro... Quello sta lì, quell'altro sta là... quell'altro.. e Monorchio il figlio così. Mi permetterai che mi girano i coglioni. Comunque ricordati una cosa che le cose ingiuste non portano mai bene.

Filippo Balducci sarà assunto e stipendiato da una delle aziende di Anemone.

"MONITORA; MONITORA".I DUE TORO. PADRE E FIGLIO.

Preoccupata dalle indagini di Roma e Firenze sugli appalti della Maddalena, la "cricca" muove l'avvocato Edgardo Azzopardi perché prenda contattoe assuma informazioni da Camillo Toro, commercialista da poco entrato al ministero delle Infrastrutture e dal padre Achille, procuratore aggiunto con delega alle indagini sulla pubblica amministrazione della Procura di Roma. Il 18 settembre 2009, tale Manuel Messina (M.) racconta ad Anemone di un incontro avuto con Azzopardi e delle istruzioni che gli sono state date.

M: Senti, sono appena stato da lui e gli ho detto le cose chiaramente, esattamente come hai detto te. Ha chiamato il figlio (Camillo) e ha detto che si vuole incontrare con il padre (Achille)... eh cazzo! E poi gli ho detto anche un'altra cosa. Dico: "Ricordati che gli impegni che prendiamo noi tre, li manteniamo sempre, a qualunque costo.

Anche se ci sono difficoltà oggettive". Poi ha richiamato subito quell'altro. Il figlio ha richiamato per dire che il padre c'ha un po' di febbretta e che se era urgentissimo, va bene oggi pomeriggio.

Decine di intercettazioni documentano contatti continui tra Azzopardi e Camillo. Con il primo che raccomanda di utilizzare per le comunicazioni il sistema Skype (telefonate via internet), per non essere ascoltati. Fino alla telefonata del 1 febbraio scorso tra Azzopardi (A.) e Camillo Toro (T.) A: Tu stai sempre monitorando? T: Eh per forza. Compatibilmente con le mie possibilità. Quelle fisiche. Ma io sono abbastanza efficiente devo dire. Non me lo voglio dire da solo, però A: Tu monitorizza. Monitorizza. Monitorizza il resto del mondo.

LA PERDITA. I MOBILI. LO SCIAQUONE. I DOMESTICI Anemone è a disposizione della famiglia Balducci per qualunque tipo di incombenza domestica. Anche in piena estate. Il 25 agosto 2008, Rosanna Thau (T.), moglie di Balducci, chiama Anemone (A.) per investirlo con una serie di richieste.

R: Senti, ti volevo dire una cosa sui domestici (una coppia di rumeni custodi della villa di Montepulciano ndr.). Ci pensate voi... lo stipendio? A: Non c'è problema gli facciamo un bel discorsetto. R: Ti volevo anche dire una cosa. Un minuto fa, siccome nel bagno di Lorenzo (uno dei figli, l'attore ndr.) sento scolare l'acqua che sono venuti pure a vedere, non vorrei che si esaurisse A: Mo' telefono subito. Ma che scherzi, già ce n'è poca. Mo' ci penso io Il 27 novembre 2008, la Thau (R.) ha un altro problema. Lo sciacquone della villa a Montepulciano. L'interlocutore è sempre Anemone (A.) R: Più che altro invece il discorso è quello della cassetta dell'acqua. Quella che perde acqua. A me è venuta una bolletta spaventosa. Io non so.

A: Ma non l'hanno sistemata. Ma è possibile.

L'avevo detto pure a quel testa di cazzo di Aurelio R: No, no, guarda. L'ho detto ad Aurelio... Se c'è qui vicino qualcuno che cambi il galleggiante perché a me è venuta una bolletta di 1.200 euro A: Faccio venire Luigi. Sta lì a Monteleone.

Anemone provvede anche alle esigenze domestiche (gli arredi in falegnameria) di casa De Santis (il successore di Balducci). Ecco una conversazione tra Fabio De Santis (F.) e la moglie Silvia (S.) F: Ma il mobile lo hanno fatto in camera tua? S: No, no. Domani. Oggi solo la libreria.

F: Ma è bella? Come è? S: La libreriaè bellissima. Certo, bianca. Ma insomma, nonè la morte sua, come diconoa Roma.

Comunque vedi un po' tu. Giudica. Soprattutto, mi fa incavolare l'unica cosa - capisco che a caval donato non si guarda in bocca - però dico e che cazzo la sedia me la potevano scurire. A me non sembra che l'abbiano scurita.

L'OMBRA DELLA MAFIA L'imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli è uomo legatissimo ad Angelo Balducci.

Prima del Natale 2007 "ha dovuto contrarre un prestito di 100 mila euro con personaggi campani per "soddisfare richieste avanzate dall'ufficio di via della Ferratella" (il dipartimento di Balducci). I 100 mila euro di prestito con i napoletani diventano 140 mila. E Piscicelli si sfoga più volte al telefono con il cognato.

P. Da quella gente lì è meglio che ci stai lontano...se si sgarra è la fine...quello vanno trovando...io già l'altra volta dal 5 al mese sono passati al 10 al mese.

Chiosa il gip: "E dunque emerge l'interessamento anche di soggetti legati alla malavita organizzata di stampo mafioso che controllano cordate di imprese interessate al banchetto costituito dagli ultramilionari appalti".

MALINCONICO AL "PELLICANO" Balducci si attiva con Anemone e con l'imprenditore Francesco Maria Piscicelli perché provvedano a sistemare, in più soggiorni vacanza, all'hotel "Pellicano" di porto santo Stefano, il professor Carlo Malinconico, all'epoca segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e, dal luglio 2008, segretario della Federazione Italiana Editori e Giornali (Fieg). Il 28 aprile 2008, Anemone (A.) chiama Piscicelli (P.) A: Andrebbe fatta una riservazione per l'1 il 2, il 3 e il 4. Per quel signor Carlo... Con la M il cognome, no? P: Ci penso io. Ci penso io.

A: E poi ci vediamo e mi dici tutto P: No, ci penso io A: Perché l'ha chiesto a lui (Balducci ndr.) e quindi lui ci tiene, Angelo.

P: Ci penso io. Allora spetta, ripetimi i giorni A: Lui arriva l'1 alle 2 e mezza., tre. Diciamo dall'1 notte, il 2, il 3, il 4 e il 5 riparte.

Il 30 aprile, alle 20.29, Malinconico (M.) chiama Balducci (B.) M: Pronto B: Professore M: Ti chiamavo inanzitutto per il piacere di sentirti e per ringraziarti B: Che scherzi? M: Perché poi Lillo oggi mi ha detto che... Insomma ti aveva... E tu avevi poi dato...

B: Tutto a posto. Ci mancherebbe M: Grazie veramente benissimo. Ottimo il tutto. ASSUMETE ANTHONY SMIT Angelo Balducci, sollecitato da Mauro Masi, direttore generale della Rai, chiede ad Anemone di far assumere Anthony Smit, fratello della compagna di Masi. Un tipo che vive ad Anacapri e di mestiere, dicono, fa il sommozzatore. E' l'8 giugno 2009. Balducci (B.) tramite il centralino di Palazzo Chigi si fa passare Masi (M.) M: Senti, quella persona lì. Se puoi fare una telefonata entro oggi. A me servirebbe, insomma.

B: Si, infatti, io ora sono uscito e fra due minuti lo chiamiamo M: Hai tutti i riferimenti? B: Si M: Va bene. Perfetto. Poi, ho visto, "15 giugno", addirittura. Hai anticipato? Per il resto, tutto bene. Ho visto, tutto bene.

B: Ti ringrazio molto M: Ma figurati, io ringrazio te B: Se tu gli dai così... un gesto M: Ma stai sicuro al 100 per cento Un'ora dopo, Balducci chiede a Della Giovampaola di chiamare Smit per riferirglia suo nome che per il "progetto" si sarà operativi dal 15 giugno. Della Giovampaola tarda a chiamare e Masi si fa di nuovo vivo dopo neppure cinque minuti. Insiste con Balducci per fare quella telefonata. Smit (S.) viene chiamato ed è assunto, dal 1 settembre 2009 al Salaria Sport Village di Anemone (A.), anche se lo stipendio lo prende dall'inizio dell'estate. Ecco come si accorda con il nuovo datore di lavoro.

S: Scusami se mi permetto, ma da quando avresti bisogno di cominciare a inquadrarmi? A: Io l'inquadratura l'ho fatta dal1 luglio, va bene. Quindi significa che la mensilità di luglio la prendi tutta e siccome agosto è ferie ti prendi anche quella di agosto. Se tu vedi, che hai finito tutto quanto, ci vediamo a settembre.

Lo stipendio pre-datato non basta. Il 10 settembre Smit chiede ad Anemone di trovargli una casa. S: Volevo vedere se si poteva andare un po' avanti con questo discorso della casa.

A: Sentiamoci tra un'ora, un'ora e mezza.

Dopo due ore, il problema è risolto. 950 euro per un appartamento a Settebagni. Naturalmente a carico di Anemone

Burton Morris
17-02-10, 23:46
"La Repubblica", VENERDÌ, 12 FEBBRAIO 2010
Pagina 18 - Interni

POLITICA INTERNA POLITICA E GIUSTIZIA
Milano, preso con la mazzetta in mano
Arrestato il consigliere comunale del Pdl Pennisi, è accusato di concussione

EMILIO RANDACIO
(segue dalla prima pagina)

MILANO -A cento passi da Palazzo Marino. Pochi di più dalla Madonnina. È qui, di fronte alla storica libreria milanese Hoepli, che ieri pomeriggio è stata stoppata la carriera politica del presidente della commissione Urbanistica del Comune di Milano, l'esponente del Pdl Milko Pennisi. I finanzieri lo hanno bloccato con in mano una mazzetta con dentro 5 mila euro e lo hanno arrestato con l'accusa di concussione. Era appena uscito dal Consiglio comunale per ritirarla. A consegnargliela, il rappresentante di una ditta di costruzioni, M. B.: era l'unico modo per sbloccare la pratica per edificare una palazzina di tre piani, con annessa zona fitness, in zona Bovisa, a Nord di Milano. A novembre, l'imprenditore aveva ricevuto l'aut aut da Pennisi: «O paghi o i lavori si fermano». In un'altra zona del centro, in via Manzoni, M. B.

aveva pagato la prima tranche: 5mila euro, in banconote da 500, arrotolate in un pacchetto di sigarette. Ma l'imprenditore, preoccupato di essere raggirato, all'appuntamento si è presentato con una telecamera che ha ripreso il passaggio della mazzetta. Lunedì scorso, a poche ore dal secondo appuntamento con l'esponente del Pdl, M.B. ha deciso di bussare alla porta della procura, negli uffici dei procuratori aggiunti Francesco Greco ed Edmondo Bruti Liberati. Ha consegnato il dvd del primo incontro e ha raccontato per ore del «ricatto»a cui era sottoposto da mesi. Ieri l'arresto in flagranza di Pennisi, su disposizione dei pm Laura Pedio, Grazia Pradella e Tiziana Siciliano. La sua segretaria-ombra, sempre presente agli appuntamenti con la mazzetta, è finita sul registro degli indagati con la medesima accusa di concussione.

Il suo ufficio, nella sede di Palazzo Marino, è stato perquisito fino a sera. Pennisi, con a fianco il suo legale, ha iniziato a raccontare la sua versione alle 19.30, prima di essere trasferito in carcere.

Pennisi, classe 1961, originario di Mondovì (Cuneo), ha mossoi suoi primi passi lavorativi in Publitalia, la concessionaria di pubblicità del gruppo Fininvest fondata da Marcello Dell'Utri. Nel 1989, dopo la laurea in Giurisprudenza, Pennisi vi ha svolto un master in comunicazione d'impresa. Nel '93 è tra i fondatori di uno dei primi circoli che convoglieranno poi in Forza Italia. Nel 1995 viene eletto prima nel Consiglio provinciale, poi entra a Palazzo Marino come consigliere.

«Ho piena fiducia nella magistratura e mi auguro che il consigliere Pennisi possa chiarire al più presto la sua posizione di fronte alla giustizia», il primo commento a caldo del sindaco di Milano, Letizia Moratti. Il suo vice, il senatore del Pdl Riccardo De Corato, si affretta comunque a sottolineare come sia «infondato ogni paragone storico tra l'arresto di ieri e Tangentopoli». Tutto questo mentre, mercoledì prossimo, ricorreranno i 18 anni dall'arresto di Mario Chiesa.

Burton Morris
17-02-10, 23:47
"La Repubblica", VENERDÌ, 12 FEBBRAIO 2010
Pagina 18 - Interni

L'inchiesta/Giunta di centrodestra: ha chiesto soldi ad un imprenditore
Vercelli, in manette il presidente della provincia

MEO PONTE

VERCELLI - Aveva promesso una campagna elettorale «francescana», ora è accusato di aver chiesto tangenti ad un imprenditore per finanziare la sua scalata alla Regione Piemonte. Ieri pomeriggio Renzo Masoero, 46 anni e da dieci presidente della Provincia di Vercelli oltre che sindaco di Livorno Ferraris, è stato arrestato dopo un lungo interrogatorio negli uffici della Procura della Repubblica. L'accusa è quella di concussione. Secondo indiscrezioni Masoero, esponente di spicco di Alleanza Nazionale e candidato alle prossime elezioni regionali in Piemonte per il Pdl a sostegno di Roberto Cota, capogruppo leghista alla Camera, avrebbe chiesto soldi un imprenditore per la campagna elettorale promettendogli l'assegnazione di appalti probabilmente per l'ampliamento di alcune discariche della zona. Il procuratore capo di Vercelli, Giorgio Vitari, lo stesso magistrato che nel 1983 coordinò l'inchiesta sulle tangenti al comune di Torino, si trincera dietro il segreto istruttorio dicendo: «Nessun commento su quando sta accadendo». Per tutta la giornata di ieri però nel suo ufficio sono stati ascolti dirigenti del settore Bilancio e Lavori Pubblici della Provincia vercellese. Negli uffici della Provincia è stata sequestrata la delibera riguardante il programma dei lavori pubblici del prossimo triennio che avrebbe dovuto essere approvata a giorni. L'ultimo ad essere interrogato in serata è stato l'assessore all'Ambiente, Fabrizio Finocchi, che spiega: «Stavo andando a cena con un amico quando sono stato chiamato da un maresciallo della Finanza che mi ha convocato in Procura. Lì ho trovato altro persone che mi hanno detto che nel pomeriggio il presidente Masoero era stato arrestato. Ho avuto con il procuratore Vitari un colloquio sereno, avendo grande fiducia nella giustizia». L'inchiesta della sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza sarebbe nata dalla denuncia dell'imprenditore a cui Masoero avrebbe chiesto i soldi. Tutto però è avvolto nel massimo riserbo. Juri Toniazzo, segretario particolare di Masoero che si è presentato in Procura per avere notizie, si è sentito rispondere: «Vada pure a casa, abbiamo molte persone da interrogare». Masoero, difeso dall'avvocato Andrea Corsaro, sindaco leghista di Vercelli, dopo l'arresto avrebbe ottenuto gli arresti domiciliari. La moglie però ancora in serata spiegava: «Mio marito arrestato? E' certamente un errore, è in giro per la sua campagna elettorale. E' venuto a casa per cenare e poi è uscito nuovamente per i suoi impegni politici».

Burton Morris
17-02-10, 23:47
"La Stampa", 12 Febbraio 2010, pag. 7

Dissenso a destra

Intervista

“L’efficienza non sia pretesto per sottrarsi alle regole”
Baldassarri: stop sulla Protezione Civile Spa

STEFANO LEPRI
ROMA
Prima che questo scandalo scoppiasse, lei è stato l’unico nel centro-destra a opporsi a trasformare la Protezione civile in società per azioni, astenendosi nel voto al Senato. Ora Silvio Berlusconi conferma che il progetto andrà avanti. Perché lei non è d’accordo?
«Perché non si possono usare l’efficienza e la rapidità come pretesto per sottrarre pezzi di istituzioni alle regole del diritto pubblico» risponde Mario Baldassarri (Pdl), professore di economia, presidente della commissione Finanze del Senato.
Aveva qualche sospetto?
«Ho posto un problema di principio. Mi posso fidare di Guido Bertolaso anche al 110 per cento, ma facendo leggi mi devo preoccupare anche di chi verrà dopo di lui, nella girandola delle nomine. Le persone passano, le istituzioni restano, e non si possono creare poteri senza controlli. Come liberale, le dico che non è così che si fa funzionare il mercato. Come cattolico, le dico che è meglio non creare occasioni per peccare».
Per lungo tempo lo spirito dei tempi ha suggerito di ispirarsi all’efficienza di tipo aziendale.
«Impariamo dall’esperienza. Negli ultimi 15 anni, il combinato disposto fra macchinosità burocratica e crisi dell’impresa pubblica ha creato una pericolosa reazione a rovescio. Purtroppo abbiamo spaccato alcune fondamenta dello Stato, su due direttrici. Da una parte, con le privatizzazioni si sono vendute ad alcuni amichetti pezzi importanti dell’economia italiana; dall’altra, abbiamo privatizzato pezzi di Stato. Non c’è più l’Iri, ma i Comuni, le Regioni, si sono fatti le loro società per azioni...»
In modo da sfuggire ai controlli della Corte dei Conti.
«Questo l’ha detto lei».
Invece di restringersi l’influenza della politica si allarga.
«Proprio perché sono un liberale vedo una pericolosissima deriva».
I liberali dicono che l’azienda, struttura in sé autoritaria, è efficiente se immersa in un mercato competitivo, dove le aziende nascono e muoiono...
«Appunto. Ce lo insegna anche la crisi finanziaria mondiale, crisi non certo del mercato, ma dello Stato, scoppiata perché mancavano le regole per far funzionare i mercati finanziari. Senza regole non c’è il mercato, c’è un suk. Più in concreto, da anni mi batto perché nella politica industriale non si diano più incentivi a fondo perduto, e invece crediti di imposta alle imprese che davvero lavorano e guadagnano sul mercato».
Il privato non è migliore per virtù insita, insomma.
«Ho visto fior di manager provenienti dal settore privato distruggere aziende pubbliche».
Oltre alla Protezione civile, il governo fa una SpA anche per la Difesa. Anche lì vede il rischio di creare spazi di arbitrio?
«Sono contrario anche a Difesa SpA e l’ho dichiarato. Per eseguire gli acquisti pubblici in modo più efficiente e trasparente era stata creata una società apposita, la Consip, e invece la si sta demolendo».
Però se la burocrazia è lenta resta la tentazione di aggirarla.
«Si poteva fare un’Agenzia pubblica. Perché no? L’ho chiesto e nessuno mi ha risposto. Il modello del ministero dell’Economia funziona. L’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia del Territorio, l’Agenzia del Demanio, hanno migliorato molto le cose rispetto alle burocrazie che sostituivano. Ancora peggio, la Protezione civile Spa sarà autorizzata ad assumere partecipazioni, diventerà una holding. Mi dica lei che può succedere: se in una situazione di emergenza ai Vigili dei Fuoco servono camion, si acquisiranno partecipazioni in una fabbrica di camion?».
Il suo intervento in Senato, in dissenso dal suo gruppo, è stato applaudito dal Pd.
«Avevo fatto appello a principi liberali che speravo essere presenti trasversalmente nell’aula. Quanto a trasformare organismi tecnici in organismi politici, il centrosinistra lo ha fatto più di noi».

Burton Morris
17-02-10, 23:48
"La Repubblica", DOMENICA, 14 FEBBRAIO 2010
Pagina 17 - Interni

Blitz a Fondi, che il prefetto voleva sciogliere per mafia
La Bonino avverte gli elettori: "Pdl, candidati non trasparenti"
Accuse al senatore azzurro Fazzone, uno dei grandi elettori di Renata Polverini

GIOVANNA VITALE
DAL NOSTRO INVIATO
FONDI - «Credo che questa città abbia perlomeno il diritto alla speranza e alla fiducia». Quando Emma Bonino conclude il suo intervento all´auditorium di Fondi, il comune di centrodestra che il prefetto di Latina avrebbe voluto sciogliere per mafia, la platea esplode in un applauso. «Erano secoli che da queste parti non si sentiva parlare di legalità, regole, trasparenza», commenta una coppia di mezz´età venuta ad ascoltare la donna che, con tutte le sue forze, sta tentando di confermare il centrosinistra al governo della regione. «È una vita che mi batto per questo» ripete la pasionaria radicale a ogni tappa del suo tour alla conquista del basso Lazio, un´impresa viste le percentuali bulgare di cui gode il Pdl; alla guida, in provincia di Latina, di ben 27 municipi su 33.
«Ho un dossier alto così», dice Bonino a proposito del "caso Fondi", non è certo una coincidenza che sia arrivata sin qui, nel feudo del senatore azzurro Claudio Fazzone, l´uomo che più di tutti si oppose allo scioglimento del comune «infiltrato dalle ´ndrine calabresi», come accertato dai giudici e denunciato dal prefetto Frattasi. Ora lui non solo è uno dei motori del comitato Polverini: è pronto a candidarsi al consiglio regionale. Una scelta «politicamente biasimevole, io non lo metterei nelle mie liste», alza le spalle Bonino, «starà ai cittadini decidere se votarlo o meno». Punta sulla sua «diversità» e sulla «intelligenza degli elettori», la vicepresidente del Senato: «Spero che la gente non ne possa più di annunci e di promesse e voglia parole di serietà». Sconfortata ma non rassegnata. «C´è uno scadimento totale, non c´è più decenza istituzionale», ragiona alludendo allo scandalo che ha travolto la protezione civile. «O ci mettiamo in testa che le regole garantiscono tutti, mentre le deroghe e gli appalti su chiamata diretta premiano solo pochi, sempre gli stessi, oppure non abbiamo futuro. È impensabile chiedere ai cittadini di essere onesti quando chi governa è di una disonestà patente». Chiede di «cambiare mentalità e metodo», la candidata. «Siamo passati da popolo ad audience e poi da audience a plebe, chiamata a raccolta solo quando si deve votare con battute e barzellette già insopportabili al bar, figuriamoci se pronunciate dal premier». Perché «amministrare la res publica significa avere onori ma soprattutto oneri», vuol dire «organizzare servizi che rispondano ai cittadini non a lobby e potentati», esige «trasparenza». Per migliorare la sanità, aiutare «le persone fragili», dire «no al nucleare in tutto il Paese, non solo un po´ più su o più giù, magari in una regione non proprio amica: non sono Zaia per intenderci», opporsi alla «privatizzazione dell´acqua, come a Latina, dove costa più che altrove». Gestita da una società per azioni il cui presidente si chiama, guarda caso: Claudio Fazzone.

Burton Morris
17-02-10, 23:48
"La Stampa", 16 Febbraio 2010, pag. 5

Corruzione, indagato il coordinatore del Pdl




MARIA VITTORIA GIANNOTTI
FIRENZE


La Yaris con a bordo il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini lascia gli uffici della Procura fiorentina da un’uscita secondaria, sgommando a gran velocità. Sono da poco passate le venti: Verdini è seduto sul sedile posteriore, alla guida c’è il suo avvocato Marco Rocchi. L’interrogatorio, durato un’ora e quaranta, si è appena concluso. Nessuna dichiarazione da rilasciare ai cronisti assiepati davanti all’entrata. E la voce che gira con insistenza in città per tutta la giornata sembra trovare conferma: il coordinatore nazionale del Pdl sarebbe iscritto nel registro degli indagati per concorso in corruzione. A sera conferma anche il diretto interessato: «Sono indagato per corruzione ma sono estraneo alla vicenda». Nel mirino, i rapporti tra Verdini e Riccardo Fusi, imprenditore toscano, presidente della Baldassini-Tognozzi-Pontello, già indagato. E le decine di telefonate intercorse tra i due. In una, del 21 gennaio 2009, il politico si vanterebbe di aver contribuito a far nominare provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis. Il 28 marzo 2008, Fusi e Verdini parlano di un’operazione bancaria condotta sul Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente. Il 24 aprile del 2008, parlando della composizione del nuovo governo Berlusconi, a Fusi che chiedeva se poteva stare tranquillo, Verdini risponde di sì. Ancora nell’estate 2008 Fusi sollecita a Verdini un incontro con Matteoli per discutere della scuola marescialli di Firenze.
Ma ad intrattenere rapporti con l’imprenditore, sarebbero anche i familiari dell’onorevole Verdini. Sua moglie, Simonetta Fossombroni, l’11 aprile chiama Riccardo Fusi annunciando che i figli vogliono andare in Versilia, al Forte dei Marmi. «I ragazzi stasera vogliono dormire al Forte...”. Fusi si offre di ospitarli a casa. “No – replica Fossombroni – poi vengono ad orari diversi fanno casino”. Fusi ha pronta un'altra opzione: “Va bè allora li vuoi mandare in albergo?”. I due trovano un accordo. “Semmai all'albergo gli dai la camera quella che aveva Denis che aveva due stanze così stanno insieme” propone Fossombroni. Fusi si mette subito all'opera. E telefona al direttore di un hotel per prenotare un appartamento con due stanze, preoccupandosi anche della questione economica specificando che: “tutto quello che fanno è a carico nostro va bene?”.
La sera del 17 aprile è direttamente Tommaso Verdini a chiedere a Fusi una camera doppia per la sera stessa all’hotel Cusani a Milano. “Io devo fare il test alla Bocconi”. Fusi: “Due persone vai ok a posto”. Il giorno dopo il giovane Verdini informa Fusi di una variazione di programma. “Scusami c’hanno dato una camera doppia matrimoniale quindi avevo chiesto di spostarci e ce n’hanno date due.. volevo sapere se anche quell’altra era sul conto tuo”. Fusi replica: “Mettile sul conto mio”.
Il copione si ripete il 10 luglio quando Tommaso Verdini, reduce dall’esame di maturità, chiama Fusi: “Volevo andare al Forte domani c’è verso di prendere un paio di camere in albergo o è tutto pieno?”. L’imprenditore trova una soluzione: “Stasera vai lì all’albergo e poi domani sera vieni a casa mia perché è pieno”. Poi si accorda con il direttore dell’albergo che chiede delucidazioni sul pagamento. “Come sempre?” chiede. “Come sempre” rassicura Fusi. Pochi giorni dopo la meta è Milano, tappa intermedia per Ibiza. Al telefono, sempre Tommaso Verdini. “Noi siamo in otto quindi ci bastano due camere”. Fusi assicura la disponibilità di quattro stanze. Poi, prende accordi con l’albergo. Quattro camere e la possibilità di lasciare le macchine lì fino al ritorno. Il conto? “Quello lì, va bene?”.

Burton Morris
17-02-10, 23:49
"La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 2 - Cronaca

"Denis ha fatto davvero il massimo, grazie a lui sono qui da Letta"
I verbali

FRANCA SELVATICI
FIRENZE - «Ora sono a Roma, perché sono qui a Palazzo Chigi, sono da Letta, qui, capito?» È il 12 maggio 2009. Sono trascorse cinque settimane dal terremoto che ha sconvolto l´Abruzzo. Riccardo Fusi, imprenditore fiorentino presidente della Baldassini Tognozzi Pontello (Btp), la decima impresa di costruzioni italiana, è riuscito ad avere un appuntamento con il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. Al termine dell´incontro è raggiante. Al socio Roberto Bartolomei racconta: «Oggi ho fatto un lavoro straordinario, da stamani ad ora, se non ne va in porto nemmeno una allora vuol dire che deve essere destinata, sennò non c´è verso: tutte al massimo che si poteva fare, tutte al massimo, tutte al massimo. Anche quello che s´è visto ieri, se facesse sempre come oggi, si sarebbe i primi in classifica... operativi più che così non c´è verso».
«Quello che s´è visto ieri» è l´onorevole Denis Verdini, fiorentino, amico da una vita di Fusi, coordinatore del Pdl e presidente di una banca, il Credito cooperativo fiorentino, che ha sempre finanziato le attività della Btp. Gli inquirenti lo considerano il socio di fatto di Fusi. Il quale lo martella perché ha bisogno di lavorare. Di "murare", dice lui, di vincere gare e di rientrare nel grande cantiere della Scuola marescialli dei carabinieri di Firenze: un appalto che gli è stato tolto. Verdini lo porta dal ministro Matteoli. Ma le cose non si sbloccano. Il 23 febbraio 2009 Fusi si sfoga con lui: «Nessuno mi dà una mano... c´è quella Scuola marescialli dei carabinieri, una tragedia, sono sette anni che soffro, Denis». Verdini cerca di confortarlo: «O Riccardo, lo so che ti lamenti, ma io più che portarti dal ministro perché tu lo volevi denunciare, per evitare che tu lo denunciassi... che ci posso fare? Ora, lui è un uomo serio... «Fusi: C´è un danno allo Stato enorme, fanno un´opera che non è collaudabile, s´è vinto un arbitrato e noi si deve soffrire così?» Verdini: «La politica c´ha i suoi tempi, c´ha gli uffici legali... tu sei un imprenditore, ti scontri tutti i giorni con le amministrazioni pubbliche... quello che fa incazzare la gente è che la politica ribalta i problemi invece che risolverli... è un Paese che deve cambiare». Fusi: «Io pensavo che visto quello che prometteva il tuo presidente qualcosa cambiasse, invece qui mi pare a me... ». Verdini: «Insomma la mentalità è cambiata, nella prassi poi, sai, gli uffici sono fatti dalle stesse persone».
Verdini introduce l´amico nei giri del suo partito. Fusi stringe rapporti soprattutto con gli onorevoli imprenditori, come Rocco Girlanda, titolare di un cementificio e amministratore del Corriere dell´Umbria, e Vito Bonsignore. Verdini gli chiede di occuparsi di lavori in Sicilia a cui tiene Renato Schifani. E si adopera, insieme con un collaboratore di Girlanda, Leonardo Benvenuti (ora indagato), per far promuovere l´ingegner Fabio De Santis, uno degli arrestati, alla carica di provveditore alle opere pubbliche della Toscana. L´obiettivo, in parte raggiunto, è quello di sbloccare la questione Scuola dei Carabinieri.
Il 23 gennaio 2009 chiama l´amico: «Ti volevo dire: quella cosa lì romana è andata a buon fine, ma è stata dura, eh, diglielo ai nostri, poi lui, devo dire, è stato molto corretto con me, il piacere me l´ha fatto, tra l´altro ha parlato con il suo capo, il quale ha detto: «Va be´, se è per Denis, allora si fa». È stata una cosa dura, comunque è stata una cosa tosta, no no, era solo per dire, falla pesa´, insomma, ecco, tutto là».
D´altra parte Verdini, da "uomo di mondo", capisce che in Toscana il suo amico imprenditore si dichiari vicino al Pd. Il 20 febbraio 2009, in una delle innumerevoli conversazioni intercettate, Fusi gli spiega: «Ho cominciato a dire che sono Pd, che voto a sinistra. Da quando mi hanno messo vicino a te io non ritiro mai una concessione, non mi danno mai un appalto, mi fanno causa tutti». Verdini: «Bene, o Riccardo, o Riccardo, ma lo si sa perché gli imprenditori stanno con chi gli fa fare le cose, quindi giustamente qui in Toscana tu devi stare con il Pd». Fusi: «Io ti voglio bene però vado da quell´altra parte». Verdini: «Ma io son contento. Son contento tanto noi, voglio dire, hai visto come si fa? Si va in Sardegna e si vince. Io sono con Berlusconi, hai capito?». Fusi: «Sì, intanto, vedi, non ti offendere, però quando tu mi fai queste battute "noi si va in Sardegna e si vince" tu mi sembri come quelli che vanno allo stadio che vincono e perdono ma in realtà io non vinco mai un cazzo, capito?... Perché a Firenze si dice: "s´è vinto la partita"... l´ha vinta Della Valle la partita». Verdini: «Non è che ti debba insegnare a te, è un mondo fatto così, purtroppo, come dire? La strada per andare in Paradiso... non si va in carrozza in Paradiso, bisogna soffrire». Fusi: «Comunque, fissami questa cena con il presidente, io voglio che mi compri due difensori, perché io sto soffrendo parecchio con questo Milan, capito? Invece di parlare di politica, compriamo due difensori».
Sebbene Fusi continui a tormentarsi per il lavoro che manca, sebbene ancora oggi sostenga che l´amicizia con Verdini non gli ha portato neppure un appalto, qualcosa si muove, e non solo per la Scuola marescialli. Dopo il terremoto di Abruzzo la Btp entra in un consorzio di imprese impegnate nella ricostruzione, il Federico II. Il 22 luglio 2009 uno di consorziati, Liborio Fracassi, gli spedisce un sms: «Abbiamo vinto il primo appalto: una scuola per 7,3 milioni da consegnare chiavi in mano il 10 settembre. È il primo, gli altri a breve. Ferie a L´Aquila».

Burton Morris
17-02-10, 23:50
"La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 3 - Cronaca

La vita e la carriera politica dell´uomo che guida i pdl
Da macellaio a banchiere, l´ex allievo di Spadolini "prescelto" da Berlusconi

ANTONELLO CAPORALE
ROMA - La chioma folta, le idee antiche e piane: «Anch´io sono ambizioso». A diciassette anni Denis Verdini organizzò la sua vita in una cameretta dietro la sala da macello. Macellazione e distribuzione all´ingrosso di carni. Fegato, cosce, sovracosce. Per cinque anni in giro per l´Europa a importare vacche e maiali, conigli e agnellini con un sogno in testa: i soldi. Infatti, il suo ricordo è: «Feci un sacco di soldi».
Fiorentino, ha studiato al Cesare Alfieri, ha ascoltato le lezioni di Spadolini, è stato perciò repubblicano, ha approfondito la storia d´Italia. Ma la radice quadrata della sua personalità, la cosa che lo fa davvero vincere quando conta vincere, si esprime nel senso dato alla vita: avere mani forti e stomaco libero dai pensieri.
E Silvio Berlusconi quando bisogna immaginare il successore di Sandro Bondi alla guida di Forza Italia, decide di fidarsi delle sue mani: «Serve un macellaio come lui!», dice col sorriso di chi l´ha indovinata ancora una volta. È infatti lui, è Verdini che ne fa conseguire il teorema: «Sono un tagliatore di teste». Brizzolato e molto ravvivato nell´aspetto del viveur, ricercato nel piacere di esibire quotidianamente scarpe e calzini abbinati, generoso («forse ho comprato calzini anche a Bondi»), danaroso. La sua casa, almeno l´ultima residenza conosciuta a due passi da piazza Venezia, riassume nei vari slarghi di cui si compone l´architettura, la vastità delle opere e la determinazione nel raggiungerle del legittimo possessore. Giardino da favola e palme, camerieri africani in livrea, silenzio ovunque. Verdini, quando dorme, si adagia su un baldacchino prezioso sistemato a un lato di una camera così sontuosa da apparire, così l´ha descritta Il Giornale, larga quanto un «hangar aeroportuale».
È ricco abbiamo detto. Infatti è banchiere, conosciuto per la presidenza pluriennale del Credito cooperativo fiorentino. Sua moglie è una facoltosa mazziniana, fervente repubblicana. Come lui, per via di Spadolini. E l´amore per Berlusconi è stato accecante, certamente totale. Non pone problemi, ha un bel carattere Denis. Fa i conti sempre in testa prima di scegliere la parola giusta: «Bisogna pensare sempre, e io penso». Per caso ha conosciuto Sandro Bondi, e per caso ha poi saputo che Fivizzano è il luogo di nascita di ambedue. «A un anno di vita ero già a Firenze. Non siamo uguali in tutto. Lui ha un approccio più morbido io più decisionista».
Si è visto quando ha realizzato il sistema a punti delle cariche istituzionali: una spartizione premiale, una lottizzazione matematicamente perfetta tra i soci del Popolo della libertà. Per esempio: avere la presidenza della Camera vale "100 punti". Un ministero "60", una poltrona da sottosegretario "20". Lui con la calcolatrice detraeva dai mille di partenza i premi ricevuti. E sistemava le cose per benino.
Se ne accorse Bondi prima degli altri che Verdini ci sapeva fare con l´aritmetica. Alla Camera gli fu vicino di banco: apprezzato per le virtù, la dedizione, la comunione. In Forza Italia iniziarono a chiamare Verdini «la badante» di Bondi o anche il suo «manutengolo». «Questo soprannome - ha spiegato con un bel sorriso compiaciuto a Libero - è nato quando in Forza Italia arrivò il professor Gaetano Quagliariello, cui ho detto scherzando: guardi che qui non siamo mica all´università. Lei è il manutengolo del manutengolo (che sarei io) del cameriere di Berlusconi, cioè Bondi». Il quale, è cronaca questa, con molta serietà corresse: «Maggiordomo, prego». Maggiordomo o manutengolo, comunque al servizio della causa. Uomo del fare, ha sempre i minuti contati. Giustamente diserta i lavori della Camera: «Lì si perde troppo tempo». Anni fa, una signora, cliente della sua banca, tentò di fargliene perdere altro, denunciandolo per stupro. E un pubblico ministero donna, «molto cocciuta», ritenne di approfondire. Poi la verità: «Fui assolto dal gip e poi al processo». Questa ultima tegola dovrebbe essere, se sono fatti bene i conti, la diciannovesima. I precedenti diciotto procedimenti penali sono stati tutti superati «con assoluzione».

Burton Morris
17-02-10, 23:50
"La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 1 - Prima Pagina

I verbali
Nelle telefonate Leone, Lotito e il cognato di Rutelli

CARLO BONINI

ROMA

Mogli e mariti. Figli e cognati. Professionisti. Grand commis di Stato. Imprenditori rapaci e spicciafaccende da due soldi.
L´album di famiglia della "cricca della Ferratella" (20 faldoni di atti istruttori, 20 mila pagine di intercettazioni telefoniche) è una Corte dei favori a inviti. Che spesso svela storie penalmente irrilevanti, ma illuminanti nel documentare la forza di attrazione di un sistema di relazioni.
Per apprezzare la vertigine, sarebbe sufficiente annotare quanto scrivono i carabinieri del Ros nell´informativa del 15 ottobre 2009, quando scoprono che «due cognati importanti» girano intorno alla figura, non proprio specchiata, dell´imprenditore Diego Anemone: Francesco Piermarini, cognato di Bertolaso e ingegnere nei cantieri del G8 della Maddalena. E Paolo Palombelli, cognato del senatore Francesco Rutelli. Perché? Angelo Balducci e Diego Anemone dei due parlano con un linguaggio carbonaro.
B: «Tra un po´ devo vedere il cognato Paolo».
A: «Lui mi aveva detto che passata questa buriana ci saremmo visti per quel programma che lui conosce bene. Nel frattempo lui ci ha già un discorso in corso».
B: «Senti, no, il cognato...».
A. «Di F R».
B: «E poi c´è quell´altro cognato».
A: «Oddio, quanti ce ne sono di cognati?»
B: «Guido... il cognato di... Noi lo stiamo utilizzando lì. Lui invece lo vorrebbe spedire laggiù».
«Utilizzato lì»; «Spedito laggiù». «Programma». «Discorso in corso». L´allusione è regola dell´esprimersi. Tranne quando c´è da chiedere o da promettere. L´8 maggio del 2008, Carlo Malinconico, allora segretario generale uscente della Presidenza del Consiglio, chiede a Balducci una parola buona che gli garantisca la sopravvivenza politica nella nuova stagione di centro-destra che va a cominciare. Per prudenza, lascia che a chiamare sia un funzionario di Palazzo Chigi, Calogero Mauceri, restando in ascolto accanto alla cornetta.
M: «Sono qui un attimo con Carlo che aveva piacere di salutarti, ma ci chiedevamo se... Diciamo un po´ da Oltretevere (il Vaticano, ndr) ci fosse un piccolo segnale... Insomma, forse... Non vorrei che poi si pensi.... A parte che andiamo a messa la domenica e ci facciamo pure la comunione (ride). Però non vorrei che qualcuno dicesse che siamo dei comunisti e che mangiamo i bambini...».
B: «Come no».
M: «Aspetta che ti passo Carlo».
Malinconico: «Angelo carissimo, innanzitutto era solo per abbracciarti. Nei prossimi giorni mi auguro abbiamo occasione anche magari brevemente di fare il punto della situazione. Pensaci un attimo, perché siccome ci sono buoni propositi... Tutto sommato una spintarella...».
Balducci promette di occuparsi del Segretario generale che esce, ma cura con attenzione quello che entra. Manlio Strano. L´uomo diventa cruciale quando la Procura di Roma sequestra gli impianti del "Salaria sport Village" di Anemone (il centro massaggi di Bertolaso). È il 25 giugno del 2009 e "la cricca" aspetta l´ordinanza libera-tutti del Consiglio dei ministri, la cosiddetta salva-piscine e condona-abusi. Balducci chiede e ottiene da Strano un appuntamento e insiste sui tempi della firma. Così:
B: «Se ovviamente è una cosa che puoi dirmi, pensi che domani la cosa del nuoto potrebbe andare alla firma del Consiglio?».
S: «Sai le ordinanze non passano in Consiglio. Vengono portate qui e firmate. Ma non in Consiglio».
B: «Ah ho capito, perché dovrebbe... Siccome sapevo che era pronta».
S: «Sicuramente allora domani mattina gliela fanno firmare a Berlusconi. Vigilerò al riguardo. Va bene?».
Il giorno successivo, per Balducci (in conto Anemone, visto che il "Salaria sporting" è suo), si scomoda il capo dell´ufficio legislativo della Protezione civile, l´avvocato Giacomo Aiello. Con un sintetico sms: «Opc firmata. Giacomo». La "cricca" esulta e nel comunicarlo ai suoi amici in Comune, svela che anche nell´Aula Giulio Cesare c´era il partito del condono. Il consigliere Antonello Aurigemma parla con Anemone. «Il provvedimento l´hanno modificato proprio per non far intervenire il Comune. Ne ha preso atto il sindaco, perché l´ordinanza fatta la settimana scorsa non andava bene. Perché lui non voleva prendere nessun provvedimento in merito. E così l´hanno modificata».
Nella gelatina del Sistema galleggiano - lo sappiamo dall´ordinanza - i consiglieri della Corte dei Conti Antonello Colosimo e Mario Sancetta. Ma anche - si legge ora negli allegati - l´avvocato generale Giancarlo Mandò, cui Balducci chiede lumi su una «pratica di interesse» e il presidente del Tar Lazio, Pasquale De Lise. Per venire a capo della rogna del ricorso di Italia Nostra, che chiede di sospendere l´ordinanza salva-piscine e appalti per il Mondiali di nuoto 2009, Balducci pensa bene infatti di coinvolgere come avvocato Patrizio Leozappa, il genero di De Lise. «Ti chiederei di essere in supporto», gli dice. Dagli atti non si capisce se Leozappa abbia mai ricevuto un incarico formale. È un fatto che, il 27 agosto 2009, Italia Nostra perda il suo ricorso. Ed è un fatto che De Lise ai primi di settembre chieda un incontro con Balducci. «Ti devo mostrare una carta», gli dice.
Non c´è problema che non possa essere risolto. Porta che non possa essere aperta. Balducci, che ha una moglie produttrice cinematografica e un figlio attore, coltiva un rapporto di amicizia con Gaetano Blandini, direttore cinema del ministero dei Beni culturali. Quando un´inchiesta dell´Espresso comincia a frugare sul lato debole di Balducci (i rapporti societari della moglie con la consorte di Anemone e i film in cui ha lavorato il figlio), Blandini, con un sms, lo rassicura: «Male non fare. Paura non avere. Trattasi di spazzatura estiva». Già, Balducci non ha di che preoccuparsi. Lorenzo, il figlio, non rimarrà disoccupato. Ha lavorato in "Distretto di polizia" e fa parte della scuderia Falchi. Con Anna, passata al ruolo di produttrice, ha realizzato due film, il mediocre "Ce n´è per tutti" e "Due vite per caso". Entrambi hanno ottenuto finanziamenti pubblici, da parte del ministero dei Beni culturali. Anemone, la sera del 5 novembre 2008 chiama Giancarlo Leone, vicedirettore della Rai, presidente di Rai Fiction. Lo chiama «quel piccolino». Anna Falchi lo vuole cacciare dalla nuova fiction della televisione pubblica («dove è entrato grazie all´intervento dello stesso Leone», scrivono i carabinieri) perché il ragazzo si è rasato i capelli a zero. Leone risolve il problema. E Anemone, naturalmente, risolve a Leone i problemi della ristrutturazione di casa. Naturalmente, accade anche che al povero Vincenzo Mollica del Tg1 venga chiesta una bella intervista a Lorenzo Balducci.
Nella "cricca", del resto, c´è un posto al sole per tutti. Persino per un tipo come Simone Rossetti. Quello che apparecchia il set per l´incontro di Monica e Bertolaso al Salaria Sport Village. Che risolve il problema di qualche "stellina di qualità" con cui rendere dolci le notti veneziane al Gritti e individua nel "Fenix", un 3 stelle in viale Gorizia, lo scannatoio per gli appassionati della "Ferratella". Il 26 settembre Rossetti avverte Anemone di un incontro "importante": «Sto andando a Formello perché mi vuole incontrare il presidente Lotito (Lazio calcio ndr.)». «A te?». «Poi ti spiego. Comunque porta soldi a noi». «Attento perché quello è un figlio di una mignotta».

Burton Morris
17-02-10, 23:51
La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 5 - Cronaca

L´ingegnere
I rapporti tra il capo dipartimento dei Lavori pubblici, Anemone e il costruttore siciliano Gruttadauria e dall´inchiesta emergono gli intrecci societari tra il funzionario Di Nardo e il clan dei Casalesi
Dalle imprese accusate di mafia 5500 euro al mese a Balducci jr
"Non voglio fare brutte figure con il giovane Filippo più che altro, capisci bene che non possiamo andare indietro, almeno dobbiamo mantenere lo stesso stipendio, per gli equilibri generali"

MARINO BISSO
ROMA - Neppure gli imprenditori in "odore" di mafia potevano permettersi il lusso di non pagare uno stipendio d´oro per un posto da apprendistato a Filippo, il figlio trentenne di Angelo Balducci. E anche Ezio Gruttadauria, costruttore di Caltanissetta, era pronto a mettere mano al portafoglio.
È l´8 settembre 2008 Ezio Gruttadauria telefona a Diego Anemone:
Ezio: «Ti volevo chiedere una consa perché non voglio fare brutte figure. Una domanda tra me e te, però. Ma il giovane Filippo, siccome devo fare un passaggio dalle mie parti, come è retribuito da te?».
Diego:«Ma lui o la fidanzata?».
Ezio:«L´altra è già a posto».
Diego:«Lui ha un contratto da aprendistato
Ezio:«Però quello che volevo capire e non voglio fare brutte figure. Siccome lui mi ha detto dei numeri che non c´entrano che mi sembrano strani per quel tipo di contratto».
Diego: «Quanto ti ha detto lui?».
Ezio: «Credo 3000-3500»
Diego: «Tre va bene».
Ezio: «Più che altro capisci bene che non possiamo andare indietro, quanto meno dobbiamo mantenere...Almeno mantenere lo stesso stipendio anche se per una figura così giovane da noi qualche problema lo crea, non tanto per l´entità, quanto per gli equilibri generali...».
Il nome degli imprenditori Gruttaduria, all´inizio degli anni ´90, era al centro di un´inchiesta della Direzione Antimafia di Palermo che aveva trovato due numeri telefonici con l´indicazione «ingegnere Gruttadauria» sopra alcune rubriche sequestrate nell´ambito della maxi indagine sulla spartizione degli appalti pubblici in Sicilia sotto il controllo di Cosa Nostra. Proprio in questa inchiesta, assieme ad altri costruttori finiti in carcere, era stato indagato Dino Anemone, (poi prosciolto nel 2004), il padre dei due imprenditori romani Daniele e Diego Anemone "patron" del Salaria Sport Village.
«Il giovane Filippo», come è soprannominato nelle telefonate intercettate dai carabinieri del Ros di Firenze, prima di accaparrarsi un contratto sicuro come «assistente del sovrintendente, all´Accademia di Santa Cecilia» aveva guadagnato anche di più «fino a 5500 euro al mese solo per lavorare come apprendista presso la società Salaria Sport Village» il maxi impianto realizzato dal gruppo Anemome, sulle rive del Tevere.
Ma nell´inchiesta del Ros emergono anche i rapporti con i Casalesi. L´uomo chiave è Antonio Di Nardo, il funzionario del ministero delle Infrastrutture indagato per gli appalti del G8. «Nardo Antonio - clan Casalesi». È il titolo dell´informativa che riferisce d due note della direzione investigativa Antimafia di Napoli, una del 14 marzo 2003 e una dell´8 luglio 2003.
«La società "Soa nazionale costruttori organismo di attestazione spa" con sede a Sondrio è di fatto occultamente riconducibile a Antonio Di Nardo ».
Tra i soci della società figurano tra gli altri, il parlamentare del Pdl Paolo Russo e Giuseppe Mastrominico. «Quest´ultimo - scrivono i carabinieri - è cugino di Pasquale Mastrominico che, a sua volta, è cognato di Rachele Iovine, sorella del boss dei casalesi Antonio Iovine detto ‘o Ninno´». La Direzione antimafia di Napoli descrive anche i legami tra Antonio Di Nardo e Carmine Diana, titolare della "Impregica Costruzioni srl".
«Diana - si legge nell´informativa - è ritenuto legato al noto Francesco Bidognetti, esponente dei casalesi». E ancora: «Di Nardo è l´imprenditore che gestisce occultamente il ‘Consorzio Stabile Novus´, che ha sede a Napoli e che è associato alla ‘Opere Pubbliche e Ambiente Spa´ di Francesco Maria De Vito Piscicelli», l´imprenditore che rideva la notte del terremoto. Per i pm fiorenti, Di Nardo «fa anche da intermediario tra De Vito Piscicelli e un certo Rocco Lamino, per la restituzione di un prestito da usura di 100mila euro». Di Nardo, e Lamino, sono definiti in un´intercettazione dello stesso De Vito Piscicelli, «soggetti pericolosi. Da quella gente che è meglio che ci stai lontano. Se si sgarra è la fine...».

Burton Morris
17-02-10, 23:51
"La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 7 - Interni

Dal 2001 quasi 400 ordinanze, con retribuzioni straordinarie per Bertolaso

Quei compensi aggiuntivi al commissario.

E il Pd punta il dito sul conflitto di interessi

ROMA - Oltre 400 ordinanze di Protezione civile dal 2001 ad oggi. Molte delle quali hanno previsto la nomina di un commissario. In più di un´occasione lo stesso Guido Bertolaso. E al commissario è andato «quasi sempre» un compenso aggiuntivo. «Già oggi, anche grazie alle retribuzioni straordinarie, il capo della Protezione civile si è garantito una pensione da 1 milione di euro l´anno». Lo afferma il senatore pd Mario Gasbarri, per anni responsabile protezione civile per i Ds, ora al lavoro col suo gruppo a un dossier sulla «Bertolaso spa» che sarà presentato nei prossimi giorni.
Il paradigma della gestione degli ultimi anni sarebbe l´ordinanza con cui la presidenza del Consiglio, «su proposta del capo della Protezione civile, nomina commissario» lo stesso Bertolaso per la gestione in «emergenza» del Congresso eucaristico in programma ad Ancona dal 4 all´11 settembre 2011. E «per l´espletamento delle attività previste - si legge nell´ordinanza - al commissario è attribuito un compenso mensile lordo pari al 3,75 per cento del suo trattamento economico complessivo». Secondo il Pd non sarebbe questa la sola ordinanza che preveda «extra». Il decreto legge sulla Protezione civile spa che ora il governo sta modificando, fissa in 330 mila euro l´indennità annua del vertice.
Ma non è solo una questione di retribuzioni. Il vicecapogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, torna sul Bertolaso che ieri su Repubblica ha sostenuto la compatibilità tra le sue due cariche (capo del dipartimento e sottosegretario), dal momento che lui non sarebbe sottosegretario alla Protezione civile. «Ma secondo il decreto che la Camera sta esaminando e lo stesso sito della Presidenza del Consiglio - sottolinea il senatore pd - Bertolaso è sottosegretario alla Protezione civile in ambito europeo. E incompatibile lo è ai sensi della legge Frattini del 2004 sul conflitto di interessi», che all´articolo 2 vieta la concomitanza tra incarichi di governo e altri uffici pubblici. «Non a caso - fa notare Zanda - il premier ha inserito nel decreto una deroga in favore di Bertolaso».

Burton Morris
17-02-10, 23:52
"La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 12 - Interni

Il presidente della Camera critica l´attuale sistema: non è il trionfo della democrazia, ma con le preferenze non era meglio
"La legge elettorale? Meglio il maggioritario" e Fini attacca i doppi incarichi "indecenti"

Castelli: "Ha una concezione artigianale della amministrazione".

Il plauso di Bondi

CARMELO LOPAPA
ROMA - «L´attuale legge elettorale non è certo il trionfo della partecipazione, le candidature le decidono in pochi in una stanza». Il presidente della Camera Gianfranco Fini parla con schiettezza agli studenti della Luiss. La terza carica dello Stato parla del Parlamento in carica e non si strappa le vesti in difesa della norma elettorale in vigore. «Se dipendesse da me tornerei al breve periodo del collegio uninominale - spiega - col quale i candidati potevano essere valutati dai cittadini. Ma non bisogna neppure rimpiangere l´epoca delle preferenze, quando qualcuno che non era né De Gasperi, né Berlinguer, né Nenni, prendeva migliaia di voti apparentemente senza motivo». Uscita a sorpresa, sufficiente a riaprire il dibattito sulla riforma elettorale dentro la stessa maggioranza, col ministro per i Rapporti col Parlamento, Gianfranco Rotondi, già contrario. «I collegi uninominali sono l´inizio della corruzione della democrazia. Torniamo piuttosto alle preferenze».
Ma il Fini a briglie sciolte dell´università cattura l´attenzione degli studenti soprattutto sulla questione morale. Ritorno di Tangentopoli ma anche il malcostume dei doppi incarichi. Meno di un mese fa la giunta delle elezioni di Montecitorio ha dichiarato «compatibili» 12 deputati (9 Pdl, 3 leghisti) al contempo presidenti di Provincia o sindaci di comuni con più di 20 mila abitanti. In tutto il Parlamento sono 16, «tollerati» solo perché eletti dopo l´inizio della legislatura. Tra loro anche il sindaco di Catania (ex An) Raffaele Stancanelli. «La storia delle incompatibilità sta superando la soglia della decenza, significa abusare della fiducia degli italiani, che non hanno l´anello al naso. È già difficile fare bene una cosa - conclude il presidente della Camera - figurarsi due o tre». Sarà forse perché uno dei 12 deputati in questione è Daniele Molgora, leghista, che di incarichi ne ha collezionati tre (presidente della Provincia di Brescia e sottosegretario all´Economia). Sta di fatto che Roberto Castelli, viceministro del Carroccio, protesta: «Fini ha una concezione artigianale dell´amministrazione, non ha ben presente il concetto di squadra di governo. Ci sono manager che gestiscono con successo decine di aziende nel mondo». Al contrario, il coordinatore Pdl Sandro Bondi plaude. «Ha ragione Fini. Bisogna far rispettare le incompatibilità e ricondurre le indennità a livelli accettabili». Apprezzamenti anche a sinistra. «Serve una nuova legge sull´incompatibilità» sostiene il pd Maurizio Migliavacca, presidente della giunta per le elezioni. E regole certe invoca pure Pino Pisicchio dell´Api, «perché è davvero oltre la decenza che i deputati facciano gli amministratori locali o gli ad dell´Expo 2015». E il riferimento è a Lucio Stanca, dichiarato anche lui tuttavia compatibile.
Allo studente che gli domanda provocatoriamente «quanto pesi il suo passato da camerata» il presidente Fini non si sottrae: «Il passato pesa sempre. Ma più passano gli anni e maggiori sono le occasioni per riflettere e qualche volta per rivedere i giudizi».

Burton Morris
17-02-10, 23:52
"La Repubblica", MARTEDÌ, 16 FEBBRAIO 2010
Pagina 1 - Prima Pagina

PUNIRE LA SPESA ALLEGRA DELLE REGIONI

TITO BOERI

MANCA meno di un mese e mezzo alle elezioni regionali, il nostro debito pubblico è tornato ai livelli del 1992 in un momento in cui i mercati attribuiscono un forte rischio insolvenza anche ai paesi dell'area euro.

Eppure nessuno parla di misure per tenere sotto controllo la spesa per le «relazioni finanziarie con le autonomie territoriali»: conta per un quarto del bilancio dello Stato e negli ultimi anni ha determinato fino al 50 per cento degli incrementi nella spesa corrente. Non si parla neanche di federalismo, neppure da parte di quei partiti che ne hanno fatto la propria bandiera. Sanno bene che il federalismo in Italia non sarà mai possibile finché non ci saranno freni all'irresponsabilità di molte amministrazioni locali, fin quando la classe politica locale non pagherà un prezzo per i dissesti finanziari che ha causato.

In questa legislatura è avvenuto esattamente il contrario: la Regione Sicilia, che per molti anni ha registrato disavanzi contabili per abitante inferiori solo a quelli del Lazio, ha ricevuto 4 miliardi di euro in regalo dallo Stato. Stessa sorte è toccata al Comune di Catania, destinatario di 140 milioni per evitare la bancarotta. Queste scelte riducono ulteriormente la responsabilizzazione, l' accountability delle amministrazioni locali nei confronti degli elettori, che è già debole soprattutto al Sud. Danno l'impressione che ignorare sistematicamente i vincoli di bilancio sia una strategia vincente per ricevere ancora più risorse dallo Stato. C'è bisogno, dunque, di sanzioni amministrative forti e visibili, che servano prima come deterrente all'irresponsabilità gestionale e poi, a danno compiuto, come punizioni esemplari, in grado di promuovere maggiore consapevolezza tra i cittadini sulla qualità delle loro amministrazioni locali.

Alcune sanzioni esistono già sulla carta, ma non vengono applicate. Una di queste è il commissariamento delle regioni che sforano i vincoli del cosiddetto patto di stabilità interno. La decisione finale è lasciata alla discrezionalità della politica che sceglie arbitrariamente quali amministrazioni commissariare e quali no. Di più il commissariamento può essere oggi affidato agli stessi Governatori responsabili del dissesto finanziario, un controsenso. La scelta sul commissariamentoo meno di una Regione deve invece basarsi su parametri oggettivi, come ad esempio il disavanzo procapite, e il commissariamento deve comportare necessariamente una riduzione dei poteri del Governatore in carica. Altrimenti una politica nazionale sempre p i ù p r e s a i n ostaggio dai potentati locali finirà per assolvere i reggenti delle amministrazioni legate alla propria maggioranza, come appunto accaduto in questa legislatura.

Come proposto recentemente da Massimo Bordignon e Sandro Brusco su lavoce.info bisognerebbe anche punire direttamente questi potentati locali, ad esempio, tagliando il finanziamento pubblico dei partiti della maggioranza nelle Regioni che hanno prodotto i disavanzi. Opportuno anche sospendere (o per lo meno ridurre) gli emolumenti per i componenti della giunta per il periodo del commissariamento; altro incentivo diretto, questa volta sull'esecutivo, a ben operare.

Il ministro La Russa ha recentemente reagito a queste proposte cercando di cambiare discorso (mi ha chiesto l'indirizzo del mio barbiere!) e poi, messo alle corde, sostenendo che non è più possibile tagliare i finanziamenti ai partiti perché ormai sono diventati un mero rimborso delle spese elettorali.

E' una presa in giro. In realtà a partire dal 2002 le spese sostenute i n c a m p a g n a elettorale non servono affatto a giustificare e ripartire i fondi p u b b l i c i , c h e vengono assegnati unicamente in base ai voti ricevuti. Questo dimostra, se ce n'era ancora bisogno, che la norma che ha sostituito il finanziamento pubblico dei partiti con i cosiddetti rimborsi per le spese elettorali è servita soltanto a violare la volontà popolare che nel referendum del 1993 aveva abolito con oltre il 90 per cento dei voti favorevoli il finanziamento pubblico dei partiti.

Le ultime elezioni regionali hanno comportato un trasferimento ai partiti di circa 40 milioni all'anno, per un totale nel quinquennio di quasi 198 milioni. I fondi vengono esplicitamente attribuiti per Regione e per partito in base ai voti ricevuti.

Tutto è scritto sulla Gazzetta Ufficiale.

Facciamo un esempio di come la norma potrebbe operare. In Campania, i due maggiori partiti della coalizione vincente, Ds e Margherita (33 per cento dei voti nel 2005), hanno ricevuto negli ultimi 5 anni dallo Stato quasi 8 milioni, esattamente un terzo dei fondi assegnati alla Campania per il «rimborso» delle spese per le regionali. Si sarebbe dunque potuto benissimo imporre per legge che nei due anni (dal luglio 2008 in poi) in cui la Campania è rimasta commissariata, il rimborso relativo a quella regione non venisse versato ai partiti della coalizione di maggioranza. Ci avrebbero rimesso dunque circa 3 milioni di euro, un incentivo non da pocoa una gestione più oculata del denaro pubblico, utile anche nel promuovere una scelta oculata del candidato per le prossime elezioni. Fornirò volentieri al ministro La Russa non tanto il nome del mio barbiere, quantoi calcoli di quanto sarebbe costato al suo partito lo sforamento nella Regione Lazio.

Ma ne sono convinto: sa già che si tratta di svariati milioni di euro. Sorge legittimo il dubbio: era per questo che ha cercato di cambiare discorso?

Burton Morris
17-02-10, 23:53
DOPPIO INCARICO/GRIZZANTI (LISTA BONINO-PANNELLA): “CARA ARMOSINO, FINI E BONDI CE L'HANNO INSEGNATO: IL DOPPIO INCARICO È PECCATO”.

Asti, 16 febbraio 2010

Dopo le dichiarazioni del Presidente della Camera Gianfranco Fini durante un convegno organizzato dall’ Università Luiss:

“La storia delle incompatibilità sta superando la soglia della decenza, significa abusare della fiducia degli italiani, che non hanno l´anello al naso. È già difficile fare bene una cosa figurarsi due o tre”.

Ed il plauso del coordinatore Pdl e Ministro Bondi.

“Ha ragione Fini. Bisogna far rispettare le incompatibilità e ricondurre le indennità a livelli accettabili”.

Salvatore Grizzanti, capolista in provincia di Asti della Lista Bonino-Pannella alle prossime elezioni regionali, si chiede:

“Meno di un mese fa la giunta delle elezioni di Montecitorio ha dichiarato «compatibili» 12 deputati (9 del Pdl e 3 della Lega) al contempo presidenti di Provincia o sindaci di comuni con più di 20 mila abitanti. In tutto il Parlamento sono 16, «tollerati» solo perché eletti dopo l´inizio della legislatura.

Cosa ne pensa la Presidente della Provincia e deputata Maria Teresa Armosino? È d’accordo con il presidente della sua camera di appartenenza e con il coordinatore del suo partito o forse preferisce la posizione leghista? Il viceministro Castelli ha infatti dichiarato in merito, che Fini avrebbe una concezione artigianale dell’amministrazione, perché ci sono manager che riescono a gestire anche dieci aziende nel mondo.

Mi chiedo se lei riesca a coprire bene entrambi i ruoli… Probabilmente se ci fosse un’anagrafe pubblica degli eletti in tutte le istituzioni, come da tempo noi Radicali chiediamo, i cittadini potrebbero esserne informati e magari andare a votare con la conoscenza necessaria anche coloro a cui pagano più di uno stipendio. Intanto dal sito OpenParlamento possiamo apprendere che l’indice di attività parlamentare della Presidente è inferiore alla media e che nella classifica di tale indice è 550ª su 630 deputati. Non proprio un risultato da top manager come vorrebbe Castelli…

Anche in queste pratiche partitocratiche gli esponenti del Pdl sembrano essere sempre più simili ai colleghi leghisti, non a caso hanno deciso di appoggiarne uno alla presidenza della Regione.”

Salvatore Grizzanti (347.8948034)

On. Maria Teresa ARMOSINO - cosa fa in parlamento - OpenParlamento (http://parlamento.openpolis.it/parlamentare/181)



Radicali Asti (http://www.radicaliasti.blogspot.com)

www.associzioneaglietta.it

Emma Presidente | Lista Bonino Pannella - Regionali 2010 (http://www.boninopannella.it)

Burton Morris
17-02-10, 23:54
DOPPI INCARICHI IN POLITICA/LISTA BONINO PANNELLA: MINISTRO MATTEOLI, DIA ASCOLTO A FINI.

SI DIMETTA DA SINDACO DI ORBETELLO... O DA MINISTRO.

Bruno Mellano (presidente Radicali Italiani) e Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani):

Ogni tanto ci dilettiamo a spulciare online la Gazzetta Ufficiale. Quella del 26 gennaio scorso contiene l’ennesima ordinanza contenente “Disposizioni urgenti di protezione civile”. L’art. 7 dell’ordinanza riguarda il sito di bonifica di interesse nazionale della laguna di Orbetello; tra le varie disposizioni c’è anche quella che consente alCommissario delegato di erogare un indennizzo, nel limite massimo di euro 1.050.000, a favore della Orbetello pesca
lagunare S.r.l. per il settore della pesca nell'area lagunare.

Se uno va a consultare il sito comuni-italiani.it, apprende che il sindaco di Orbatello è il “Rag. Altero Matteoli”; alla “Categoria Professione” leggiamo “Professioni non altrove Classificabili”. Il sito è reticente: stiamo parlando del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli, che proprio oggi, sul “Corriere della Sera”, in una lettera aperta, dichiara la sua completa estraneità a vicende al centro in questi giorni di inchieste giudiziarie riguardanti anche la Protezione civile.

Noi non abbiamo alcun elemento per non credere all’estraneità del ministro Matteoli, di cui apprezziamo anche la pacatezza delle dichiarazioni politiche, pacatezza tanto più apprezzata se paragonata alle esternazioni dei suoi colleghi di partito Gasparri e La Russa. Ma proprio per evitare qualsiasi sospetto o illazione, sarebbe quantomai importante se il ministro riflettesse sulle parole pronunciate ieri dal Presidente della Camera Gianfranco Fini contro l’estesa pratica dei doppi e tripli incarichi in politica.

Ministro Matteoli, inizi lei a dare un piccolo concreto segnale di cambiamento: si dimetta da sindaco di Orbetello … o, se preferisce, da ministro!


Roma, 16 febbraio 2010

Burton Morris
17-02-10, 23:55
"Finalmente c`e un controllo e ora l`anagrafe patrimoniale"

• da la Repubblica del 17 febbraio 2010

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di A. Cus.

«Nonostante l`ostruzionismo dei Questori della Camera, e solo grazie al presidente Fini, per la prima volta è consentito a un deputato di poter controllare le spese di Montecitorio». Rita Bernardini, deputato radicale, continua lo sciopero della fame (è oggi al 16esimo giorno), per
ottenere, fra l`altro, che sul sito della Camera siano pubblicate l`anagrafe patrimoniale dei deputati. E le loro attività istituzionali.


Onorevole Bernardini, qual è il significato politico dei rendere pubblico quanto costa
la macchina di Montecitorio?
«I conti dei rami del Parlamento non sono soggetti ad alcun controllo esterno. L`unico è il nostro. Ma ci viene tenuto nascosto che c`è un articolo del regolamento amministrativo che consente di accedere ad ogni atto».

Da oggi dunque sarà possibile controllare i costi?
«Come radicali pubblichiamo sui nostri siti i conti perché crediamo anche i cittadini debbano
verificare il regolare funzionamento della Camera».

Non le sembra che si spenda un po`troppo in affitti?
«Con quei soldi avrebbero comprato non so quante volte Palazzo Marino. Mi pare un`operazione partitocratica perché immagino che chi lavora per la srl Milano 90, magari a stipendi di fame, sia segnalato dai partiti».

Burton Morris
17-02-10, 23:55
Staderini denuncia: «Elezioni illegali, Radicali voce fuori dalla partitocrazia»

• da Il Clandestino del 17 febbraio 2010

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di Antonio Creti

La campagna elettorale entra nel vivo. II 27 febbraio scadono i termini per la presentazioni delle
liste e Mario Staderini, segretario nazionale dei radicali italiani è nel pieno della bagarre.


Come sta andando?
"In Italia è letteralmente scomparsa la democrazia. Lo Stato di diritto non esiste, ovunque le leggi sono violate con la complicità delle istituzioni. Anche presentarsi alle elezioni, è ormai diventato un privilegio di pochi partiti. A 8 giorni dal termine del deposito delle firme i cittadini italiani non sono
stati in nessun modo informati delle modalità del procedimento elettorale, né del loro diritto di sottoscrivere le liste di candidati. 20omila persone (cancellieri di tribunale, giudici di pace, notai consiglieri ed assessori comunali e provinciali, i funzionari di Comuni e Provincie), cui la legge affida la funzione di autenticare le firme, non sono stati neanche informate del loro potere-dovere
di farlo. Comuni, Province e Tribunali non hanno predisposto ed organizzato un vero servizio pubblico di autenticazione. L`onere della raccolta firme, nato per arginare le candidature
temerarie e le liste senza rappresentatività, è diventato uno strumento per impedire l`accesso alle
elezioni di quelle forze politiche che vivono fuori dal recinto partitocratico. Solo i partiti in possesso di un apparato burocratico cresciuto con la truffa deirimborsi elettorali e le clientele sono nelle condizioni di farlo. In Inghilterra, ad esempio, si paga una semplice cauzione. Se ciò non bastasse in 6 Regioni sono state cambiate le leggi elettorali a campagna già in corso, rendendo tecnicamente impossibile raccogliere le firme sino agli inizi di febbraio".
Siamo impegnati giorno e notte nella raccolta delle 16o mila firme necessarie e, in queste condizioni di illegalità e vuoto di conoscenza, raccogliere 1ooo firme in piccole province, come Rieti, Lecco o Rovigo, tanto per citarne soltanto alcune, è proibitivo, anche per noi che pochi anni fa abbiamo raccolto 14 milioni di voti per la presentazione di 20 referendum.

Avete denunciato questa situazione?
"Abbiamo scritto ai Ministri Maroni e Alfano. II 7 febbraio abbiamo diffidato la Rai e i direttori
dei Tg nazionali e regionale. Ma non mi pare che le cose siano minimamente cambiate. Noi semplicemente diciamo che questa campagna elettorale è illegale e ci appelliamo alla Presidenza delle Repubblica e alle Istituzioni. Abbiamo spedito i moduli con le nostre liste in tutti i Comuni e
spesso neanche vengono aperti. Siamo al paradosso che al più antico partito italiano, un partito che alle elezioni europee ha raggiunto una percentuale del 2,4%, viene chiesta la prova di esistere.
Ma senza legalità è una prova diabolica. Insomma, queste di fatto sono elezioni da annullare".


I media vi stanno aiutando?
"Siamo di fatto oscurati. La Rai non informa gli elettori sulla necessità della raccolta delle firme. Questo fatto non interessa alla partitocrazia, ergo non interessa alla Rai. Invece tutta l`attenzione
è rivolta alla par condicio, considerataun pericolo. E dobbiamo anche sottostare alla rivolta dei conduttori televisivi. Per loro la libertà coincide con la lottizzazione. Vogliamo andare al dettaglio di queste trasmissioni? In Annozero nelle ultime 20 puntate dei 38 politici presenti, il 70% erano di Pd e PdI e il 25% di ldv e Lega. A Ballarò il 73% di Pd e Pdl e il 15% di ldv e Lega. Vogliamo fare una scommessa? Vedrete che alle elezioni i 4 partiti avranno complessivamente, più o meno, queste percentuali. È l`assenza di democrazia I cittadini non decidono liberamente chi votare, sono chiamati a certificare un consenso determinato anche dalle presenze in Tv".

Questo vale anche per Bonino, capolista nel Lazio?
"Esattamente. Anche per Emma la Tv si rivelerà decisiva. La Polverini è onnipresente. Dai Tg fino a Porta a Porta. Da ogni parte si fa vedere insieme al Premier che per lei sta conducendo una campagna in stile Cappellaci in Sardegna. E non è soltanto una questione relativa a Emma. Ieri il TG3 ha regalato una vetrina incredibile a Cota, danneggiando chiaramente la Bresso in Piemonte. Noi però scommettiamo sui "faccia a faccia". Con il regolamento Beltrandi si potrà avere, in regime di par condicio, un confronto vero sui programmi e le strategie. Senza toni forti. Senza urla. Ma chiarendo agli elettori ì nostri obiettivi. Quindi nel Lazio per la Bonino, la partita è tutta
da giocare e siamo fiduciosi!"

Burton Morris
17-02-10, 23:56
Suolo e legalità

• da Terra del 17 febbraio 2010

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di Elisabetta Zamparutti

Le frane che colpiscono il nostro Paese, tanto dal punto di vista idrogeologico quanto da quello ideologico, sono frutto di un dissesto che attiene essenzialmente all`assenza di legalità.
Occorre partire da questo per mettere un argine ai vari "cedimenti" che registriamo su più fronti e per questo voglio ribadire la necessità che sia data immediata attuazione ai contenuti della mozione d`iniziativa radicale approvata all`unanimità lo scorso 26 gennaio dall'Aula di Montecitorio. Un testo scaturito da un lavoro congiunto con le associazioni ambientaliste, avviato
a fronte della prosecuzione di una cattiva gestione del territorio e delle carenze della politica urbanistica ed edilizia contenute anche nel cosiddetto Piano Casa. Il Parlamento ha indicato
nel principio per cui «il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio», la stella polare a cui guardare per il governo
del territorio. Questo dà ancora maggior valore agli impegni puntuali che il governo si è assunto con quel voto. Il 12 novembre il governo ha presentato alla Commissione ambiente della Camera i dati sul rischio idrogeologico, con le stime per gli interventi di messa in sicurezza. L`estensione
delle aree a rischio è del 9,8 per cento del territorio, di cui il 6,8 per cento relativo a centri urbani, infrastrutture e aree produttive.
Il fabbisogno necessario per la sistemazione complessiva del dissesto è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 per il Centro-Nord e 13 per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il recupero e
alta tutela del patrimonio costiero. Con, la mozione il governo è impegnato a presentare e a dotare delle opportune risorse pluriennali il piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico;
a dare sollecita attuazione della direttiva europea sulla gestione dei rischi di alluvioni; a definire
un quadro di riferimento certo per le singole normative regionali e a perseguire un`efficace e severa politica di contrasto alle violazioni in materia urbanistica e all`abusivismo. Ma soprattutto,
di fronte al disordine che regna sovrano in materia, l`impegno è di avviare un`analisi sistematica degli usi del-suolo su tutto il territorio secondo criteri uniformi. La mia proposta è l`istituzione di un osservatorio nazionale sull`uso del suolo. Anche l`adempimento degli impegni assunti dal
governo di fronte all'Aula attiene alla legalità. Come Radicali chiediamo conto e rispetto di quei contenuti e chiediamo di fare altrettanto a tutte le altre forze politiche che lo hanno votato.

Burton Morris
17-02-10, 23:56
L'uomo del ministero e l'aiuto del giudice - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/10_febbraio_17/bianconi-protezione-civile_b03c3fec-1b90-11df-9bdf-00144f02aabe.shtml)

Protezione civile / Le carte


L'uomo del ministero e l'aiuto del giudice
Le telefonate e gli incontri tra Antonio Di Nardo e Tesauro per il contenzioso sulla licenza a un’azienda



Protezione civile / Le carte

L'uomo del ministero e l'aiuto del giudice

Le telefonate e gli incontri tra Antonio Di Nardo e Tesauro per il contenzioso sulla licenza a un’azienda



ROMA - Nella richiesta d’arresto dei funzionari della Protezione civile e dell’imprenditore accusati di corruzione, il suo nome è citato quasi di sfuggita, indicato come uno che ha contribuito a far avere un prestito di 100.000 euro (destinati amazzette, secondo l’accusa) a tassi usurari. E poi come «gestore occulto» del Consorzio Stabile Novus, un gruppo che secondo i carabinieri del Ros raccoglie anche imprese a cui sono interessati personaggi «contigui a strutture criminali di stampo mafioso finalizzate al controllo degli appalti pubblici»; il Consorzio Novus ha ottenuto un appalto da 12 milioni di euro per la realizzazione di un impianto per il nuoto, nella gestione «emergenziale» dei mondiali 2009. Lui si chiama Antonio Di Nardo, nato a Giugliano, in provincia di Napoli, 63 anni fa, dipendente del ministero delle Infrastrutture. Secondo l’indagine condotta finora dai magistrati di Firenze è in rapporti stretti con Francesco De Vito Piscicelli, quello che al telefono confessava di aver riso la notte del terremoto in Abruzzo, immaginando gli affari che ne potevano venir fuori. Anche Di Nardo, dal fiume di intercettazioni accumulate dagli investigatori, sembra un tipo molto interessato agli affari. E a parte le telefonate, i carabinieri hanno portato ai magistrati «ulteriori elementi di valutazione in ordine ai rapporti di Di Nardo con la criminalità organizzata campana e in particolare con soggetti vicini al clan camorristico dei Casalesi». Si tratta di rapporti antimafia di qualche anno fa, dove si indicano le relazioni pericolose di alcuni personaggi collegate a Di Nardo.

Le telefonate importanti
Nelle sue telefonate il poliedrico personaggio parla con uomini politici, costruttori, funzionari dello Stato, magistrati. Nomi importanti accostati ad altri semi-sconosciuti (ma noti alle cronache giudiziarie) che nelle relazioni dei carabinieri si susseguono uno dopo l’altro. In mezzo a due conversazioni del novembre 2008 con altrettanti imprenditori definiti «indiziati di mafia », ecco spuntare un colloquio con Giuseppe Tesauro, giudice della corte costituzionale. È la mattina del 28 novembre 2008, Di Nardo è in allarme per un contenzioso sulla licenza a una società a lui «occultamente riconducibile»: la «Soa nazionale costruttori - organismo di attestazione »; Tesauro chiede «come sono andate le cose», e lui risponde: «Poi ti spiego, più o meno sullo stesso principio dell’altra volta... Ti volevo far vedere delle cose un attimino...». Due ore dopo richiama: «Peppe scusami, domattina stai a casa? A che ora vuoi che mi vengo a prendere un caffè». Si accordano per le nove.

Socio e sentenza
Il problema della Soa nasceva da una presunta incompatibilità tra il ruolo di Di Nardo come socio e come dipendente del ministero, ma anche da una sentenza del Tar che ricordava alcuni sospetti sui suoi rapporti imprenditoriali. Poi il consiglio di Stato aveva rovesciato quel verdetto, ma evidentemente all’Autorità di vigilanza dei Lavori pubblici c’erano altre resistenze. In una telefonata del 7 ottobre 2008 il giudice Tesauro dice a Di Nardo: «Poi ho visto quella lettera che ti hanno fatto... va benissimo, no?... La lettera che ti hanno fatto sulla compatibilità... va molto bene, no?».
Il 24 febbraio 2009 Tesauro conferma un appuntamento per la cena, e Di Nardo avvisa il genero di portare la sentenza del consiglio di Stato. Due giorni dopo il giudice costituzionale chiama Di Nardo: «Ho ricevuto una telefonata con la quale mi si dice che tutto si è chiuso bene ». Il 6 marzo è ancora Tesauro a chiamare: «Ci possiamo vedere 5 minuti?». Si accordano per la domenica successiva, alle 9 del mattino, e il giudice chiede: «Poi è andato tutto bene, sì?», e Di Nardo: «Bene, bene, per ora sembra dì sì». Da altri amici il dipendente ministeriale-imprenditore aveva saputo che l’Autorità di Vigilanza aveva concesso l’autorizzazione alla «Soa», nonostante la contrarietà del presidente.
Di Nardo e Tesauro sono entrambi soci di una società chiamata «Il Paese del Sole Immobiliare, srl», in cui compaiono anche un direttore generale del ministero delle Infrastrutture e il giudice della Corte dei conti Mario Sancetta, attualmente presidente della Sezione regionale di controllo della Campania. I carabinieri hanno registrato molte telefonate fra Di Nardo e Sancetta, il quale mostra di muoversi bene nel mondo dell’imprenditoria e degli appalti. La mattina del 7 aprile 2009, a poche ore dal terremoto dell’Aquila, parla con Rocco Lamino (amico e socio di Di Nardo) e i carabinieri riassumono: «È pronto ad attivare i suoi contatti per far ottenere delle commesse in Abruzzo alle imprese riferibili a Di Nardo e Lamino», e Lamino assicura: «Presidè, noi siamo pronti a partire anche domani mattina». Subito dopo il giudice Sancetta parla con Di Nardo.
Sancetta: «Ma lì a L’Aquila chi è il provveditore?».
Di Nardo: «È questo di Roma... Lui c’ha competenza con l’Abruzzo».
Sancetta: «Aah, buono allora... non, non per altro... per vedere se si può attivare qualcosa, no?».
Di Nardo: «...Le disgrazie... certo che è così».
Sancetta: «No, dico, lì bisogna muoversi».
Nel pomeriggio Sancetta richiama e, parlando ancora dei lavori post-terremoto dice: «Per quelle opere lì... se dobbiamo attivarci è bene che si faccia subito...». Dalle telefonate si capisce che a settembre 2008 Sancetta ha chiesto l’intervento di Di Nardo, attraverso il coordinatore del Pdl Denis Verdini, per farsi nominare capo di gabinetto dal presidente del Senato Renato Schifani. Tra Di Nardo e Verdini s’intuisce una certa familiarità. Il 3 settembre 2008 l’imprenditore va a trovare il parlamentare. Dopo l’incontro Di Nardo parla con Luigi Cesaro, allora deputato del Pdl e oggi presidente della Provincia di Napoli; subito dopo chiama Francesco De Vito Piscicelli (sempre quello che rideva del terremoto) e, secondo la sintesi degli investigatori, «lo informa circa l’esito dell’incontro avuto con l’on. Verdini; il linguaggio è naturalmente allusivo, infatti Di Nardo evita di indicare in maniera diretta persone e cose, ma è chiaro che nel suo discorso fa riferimento all’on. Verdini, all’ingegner Balducci (il responsabile della stazione appaltante per i Grandi Eventi, arrestato una settimana fa) e ad appalti; Di Nardo racconta che l’on. Verdini gli ha fatto vedere i documenti che gli ha fatto pervenire l’ing. Balducci riferiti ai progetti degli appalti di loro interesse». L’incarico che voleva al Senato il giudice Sancetta non l’ha avuto, e forse anche per questo, il 3 luglio 2009, si lamenta con Rocco Lamino «colpevole di non mantenere gli impegni e di non essere riconoscente», annotano i carabinieri. E a proposito della controversia sulla «Soa» dice: «È venuto a casa mia e m’ha portato la questione della Soa... io ho chiamato il relatore in sua presenza, gli ho detto quello che doveva fare... quello ha fatto due pagine di ordinanza... è andata al Consiglio di Stato... ho parlato con questo... col relatore e gliel’hanno risolto... Dopodiché si è messo a fare storie, a chiacchierare, a raccontare frottole... ma i fatti io non li vedo...». Solo promesse, accusa Sancetta: «Sa che mi ha detto? "Ah, adesso a settembre scadono dei componenti dell’Autorità... lei può andare lì... ho parlato col professor Tesauro", come per farmi vedere che lui si interessa... Ma in questo modo mi prendi in giro?».



Giovanni Bianconi
17 febbraio 2010

Burton Morris
17-02-10, 23:56
SCANDEREBECH CERCA CANDIDATI RACCOGLIENDO CURRICULUM COME PER LA SELEZIONE DEI CONCORRENTI DEL GRANDE FRATELLO

Boni e Pisano: “Altro che nobiltà della politica, ideali, progetti. Si costruiscono partiti e liste con il solo scopo di agguantare un posto in consiglio regionale. Risibili le dichiarazioni di Ghigo che definiscono la scelta di Scanderebech dettata da coerenza e non da convenienze”



Un volantino distribuito in questi giorni recita: “Al Centro con Scanderebech – Partito moderato e cattolico cerca candidati per le prossime elezioni regionali. Serietà, impegno e onestà, predisposizione alle relazioni umane, entusiasmo e passione, voglia di scendere in campo esponendosi personalmente, nessun carico pendente con la giustizia. Mandando il proprio curriculum ai recapiti sottostanti sarete contattati in breve tempo. E’ garantita la massima riservatezza”.



Igor Boni e Nathalie Pisano (candidati della Lista Bonino-Pannella) hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

“Se si trattasse di uno scherzo nulla di male. Dato tuttavia che siamo di fronte alla modalità con la quale si progetta la costruzione, nell’arco di qualche giorno, di una nuova lista di appoggio al leghista Roberto Cota, guidata dal transfuga dall’UDC Deodato Scanderebech, le cose sono un tantino diverse. Evidentemente non c’è limite al peggio: per agguantare un posto in consiglio regionale si è disposti veramente a tutto, per di più con il sorprendente plauso di Enzo Ghigo che definisce la scelta di Scanderebech dettata da coerenza e non da convenienze (ci vuole un bel coraggio!!). Altro che nobiltà della politica, ideali, progetti; ormai la politica italiana ha rotto gli argini: vale tutto e il contrario di tutto. Vale giustificare sotto l’ombrello della coerenza l’evidenza di una scelta di becero opportunismo politico. Vale selezionare i candidati come se si trattasse dell’individuazione dei concorrenti del grande fratello, senza nemmeno sapere se i candidati ad essere candidati hanno qualche progetto politico e quale; è sufficiente essere brillanti. Vale perfino abbandonare un partito per costituirne un altro nello schieramento opposto, ben sapendo che se anche vincesse il Centro-sinistra si guadagnerebbe un posto da Deputato dopo le necessarie dimissioni dal Parlamento del vice-presidente regionale Teresio Delfino (Scanderebech è il primo dei non eletti nelle liste dell’UDC). Ma in fondo il problema non è Scanderebech, è qualcosa di molto più grande e pericoloso che ormai pervade l’intero sistema istituzionale del nostro Paese; qualcosa che con puntualità i Radicali denunciano da oltre 50 anni”.



Torino, 17 febbraio 2010

Burton Morris
17-02-10, 23:57
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 17 FEBBRAIO 2010
Pagina 11 - Interni

Gli affitti record della Camera: spesi 54 milioni l'anno per uffici e segreterie
E per la ristorazione il budget è di 7milioni

ALBERTO CUSTODERO

ROMA - Montecitorio spende per gli affitti 54 milioni. La ristorazione costa 7 milioni e mezzo.

La prevenzione dagli incendi 2 milioni e 800. Acquistare nuove tappezzerie (e restaurare le vecchie), arredi, targhe, cartelli, casseforti e armadi blindati costa un milione. Dieci milioni si spendono per gli atti parlamentari, dalla stampa alla pubblicazione online. L'"ufficio tecnico" di Montecitorio (collaudi, manutenzione impianti termici, elettrici ed elettronici), ha un budget di 17,5 milioni che servono anche per gli ascensori. I corsi di lingua straniera per gli onorevoli, dall'inglese al russo, costano mezzo milione.

Sono questi i dati più significativi che spiccano analizzando l'elenco fornitori e consulenti del secondo ramo del Parlamento consegnato dal presidente Gianfranco Fini alla deputata radicale Rita Bernardini che per la prima volta li ha resi pubblici. Non è stato facile, per la Bernardini, avere quei dati finora segreti: li ha chiesti in agosto ed è riuscita ad ottenerli solo dopo aver iniziato per protesta lo sciopero della fame.

Da quei conti si evince che la Camera spende per cancelleria, taglierine, scarpe antinfortunistiche, camicie, biancheria, sartoria, buste, calendari, lavanderia circa 7 milioni. Sessantun mila euro per prodotti igienici.

Per posteggiare le moto dei deputati, il costo dei parcheggi interni è di 33 mila euro. Per le auto più di un milione. Per l'assistenza medica, un milione e mezzo. Il 40 per cento circa del bilancio dei fornitori della Camera dei Deputati risulta concentrato nelle società di un imprenditore romano, un cosiddetto "palazzinaro". Su un budget complessivo di circa 139 milioni di euro, nelle casse della Milano 90 srl di Sergio Scarpellini finiscono quasi 51 milioni per gli affitti degli immobili annessi a Montecitorio: il solo Palazzo Marini costa circa 45 milioni. Altri 2,6 milioni, poi, per la ristorazione, l'en-plein dell'appalto.

L'analisi dei conti dei fornitori della Cameraè tutt'altro che di immediata comprensione, proprietarie soci sono schermati da varie e complesse compagini societarie. È il caso, ad esempio, proprio di Scarpellini, l'immobiliarista romano che sta costruendo un nuovo quartiere nella periferia della Capitale (la Romanina) ed è pronto a guidare la cordata di imprenditori per la costruzione del nuovo stadio della Roma. La Milano 90 è per l'80 per cento dell'Immobilfin (80%)e per il 20% della Aries, entrambe di proprietà dello Scarpellini. Ma dai dati della Camera di commercio emerge un giallo sulle quote della Immobilfin: risultano infatti date in "pegno" alla Aareal Bank a sua volta detenuta da una finanziaria dal nome impronunciabile (Depfa Deutsche Pfandbriefbank), nome che spunta, però, nella prima indagine sui derivati venduti dalle banche agli enti locali. Il suo amministratore, Francis William Marrone, è indagato per truffa al comune di Milano, e la società, due settimane dopo la chiusura indagini da parte della procura milanese, ha cessato l'attività.

Nell'elenco fornitori della Camera dei Deputati compare anche l'imprenditore Angelo Jacorossi, l'ex re del petrolio romano - rapito negli anni Settanta dall'anonima sequestri - coinvolto in alcune indagini negli anni '90. Il suo nome spunta partendo dalla Saccir spa alla quale è affidata una fornitura record per manutenzione impianti idrosanitari da 2.350.000 e 780.000. Amministratore delegatoe socio al 7,5% risulta Mario Cattabriga, ma il 50 % della società è della francese Dalkia International S. A. e per il restante 42 % della Samovar srl nella cui compagine azionaria figurano Angelo Jacorossi e famiglia. Per l'ammodernamento del canale televisivo satellitare della Camera sono stati arruolati due consulenti: Rosaria Marchese, (40.000 euro), nominata dal ministro Bondi nella Commissione cinematografia, e Gustavo Pacifico (50 mila euro), responsabile editoriale del canale Stream 2 su cui va in onda Grande Fratello. La cura degli aspetti artistici di Montecitorio, e l'organizzazione delle mostre, sono affidate alla consulenza dell'architetto Cristina Mazzantini (100 mila euro), testimone di nozze di Azzurra Caltagirone, consorte di Pier Ferdinando Casini.

Burton Morris
17-02-10, 23:58
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 17 FEBBRAIO 2010
Pagina 27 - Nazionale

Addio a Gaetano Caltagirone dalla bancarotta alla riabilitazione
Epocale la frase a Evangelisti: "A Fra' che te serve?"

FILIPPO CECCARELLI

CI SONO figure che senza volerlo, senza saperlo, anzi addirittura togliendosi di mezzo prima del tempo, finiscono per anticipare il futuro. E quando se ne vanno sul serio, come accaduto ieri a Gaetano Caltagirone, morto a Roma all'età di 80 anni, ecco, solo allora si capisce che hanno fatto scuola, hanno dato l'esempio, hanno aperto la strada a quello che adesso è fin troppo acquisito.

Nessun altro personaggio della cronaca, più di Gaetano Caltagirone, è rimasto impiccato a una frase, per giunta attribuitagli da un suo interlocutore: «A Fra' che te serve?». E prima ancora di chiedersi quanto poco farebbe effetto questa brusca richiesta al giorno d'oggi, dopo gli eroi e i mariuoli di Tangentopoli, dopo i furbetti del quartierino e anche dopo questi sciacalleschi imprenditori scelti dalla Protezione civile, vale la pena di ricordare che la pronunciò, anzi certamente la sceneggiò nel 1980 l'allora luogotenente di Andreotti, Franco Evangelisti, che della filibusta democristoide interpretava l'anima più allegra e spudorata, con tanti di baffetti, occhio da pesce e incarnato giallastro, di gallina sotto sforzo, come dice il poeta, leggermente renale. Ebbene: in quell'intervista di Evangelisti a Paolo Guzzanti c'era qualcosa che superava l'estetica, lo stile e anche l'impudica ribalderia di quel detto: c'era il primo segno dell'addio alla legalità da parte di una intera classe dirigente e di potere partitocratico, del suo costituirsi in comunità extra-giuridica, non tanto contro, ma al di là e al di fuori della legge, comunque sulla via della privatizzazione della cosa pubblica.

Poi è anche vero che Caltagirone, fallito, scappatoe debitamente ricoperto dalla nera cappa delle accuse e del disonore, conobbe già nel 1988 la riabilitazione giudiziaria e anche un indennizzo, come ricordò con un filo di voce Andreotti a un giornalista del New York Times che quella storica frase gli aveva ricordato, con accento americano, in una drammatica confererenza stampa nell'aprile 1993. Così come è vero che nel luglio scorso Caltagirone riottenne anche il titolo di Cavaliere del Lavoro che gli era stato tolto al momento della fuga, o dell'esilio. Quando con il suo Mystère abbandonò, dopo averla comodamente svuotata di tutto, la villa che era appartenuta ad Amedeo Nazzari (e mostrata da Fellini ne Le notti di Cabiria ).

Qui, per festeggiare l'onorificenza, aveva ospitato la nomenklatura della Prima Repubblica, con propaggini nel giornalismo laico e nel mondo comunista, da annichilire il Pasolini di Petrolio.

E sempre qui, in camera da letto, nel buio, in pigiama, a piedi nudi, seduto sul letto, Caltagirone riceveva direttori generali e presidenti di banche. Due tv accese, flaconi di medicine ovunque, fasci di banconote nel comodino.

Qui firmava i contratti a mezzanotte in punto, per scaramanzia.

In un delizioso libretto, L'Armata Caltagirone (Mondadori, 1980), Stefano Malatesta racconta uno straordinario incontro con questo inimitabile personaggio: «Avevo creduto di incontrare un Felix Krull romanesco. Davanti a me stava invece un Howard Hughes al penultimo stadio, i lineamenti induriti, due enormi borse sotto gli occhi». Quando Malatesta pronunciò il nome di Andreotti, «Caltagirone si alzò dal letto, irrigidendosi tutto, con le vene del collo che gli battevano.

"Ma tu, chi ti manda, che cazzo vuoi?" cominciò a urlare».

Resta uno dei più grandi giocatori d'azzardo, vanto e terrore dei casinò. Deciso, audace, dispotico, protagonista di scene incredibili e di leggende come quella secondo cui in Inghilterra si sarebbe mangiato una pallina di roulette; una differente lectio vuole che le abbia sputato sopra, costringendo l'inorridito croupier britannico ad asciugarla con una candido telo. Non sapeva perdere, ma quando vinceva, come solo lui sapeva, gli sceicchi si alzavano per stringergli la mano. Era un tipo difficile, duro, con una visione elementare della vita, un fascino rozzo ma infallibile, una energia pazzesca, una generosità insperabile che soggiogava i collaboratori, una volontà di salire ed esibire lussi che a un certo punto era divenuta quasi patologica.

Eppure, tutt'altro che un parvenù. No scarpe sporche, nemmeno all'inizio, no soldi tenuti legati in saccoccia con un elastico, no piagnisteo come gli altri palazzinari figli di capicantieri. Originariamente siciliana, l'azienda di costruzioni del nonno Gaetano e del padre Ignazio era antica, estesa, solida e anche titolata. Il ramo di Gaetano e dei suoi due fratelli fece la sua scommessa sui lavori in appalto, a prezzi chiusi, con prevendita in blocco agli enti. La premessa di questo sistema stava tutta, evidentemente, nei rapporti strettissimi con il potere, e si perfezionò fino al punto - oh estrema beatitudine dell'andreottismo realizzato - di aver voce in capitolo nelle nomine degli amministratori di quegli stessi enti che avrebbero comprato le case. Anche per questo era necessario chiedere cosa servisse a Franco. Così una società del gruppo venne battezzata "Giulio I" e un'altra "Giulio II", fermo restando che Caltagirone era assai premuroso anche con i dorotei, i fanfaniani, Forze nuove e con la corrente manciniana nel Psi. In quegli stessi anni, un giovane costruttore milanese stringeva impegnative relazioni con Bettino Craxi. Perché la politica ha bisogno degli affari,e viceversa;e questo scambio che sempre si adatta alla necessità dei tempi e dei luoghi, è comunque destinato a travolgere dubbi, intransigenze, ipocrisia. Con il che, anche a costo di forzare il paradigma secondo cui ogni storia personale è da considerarsi unica e irripetibile, Gaetano Caltagirone assomiglia a una specie di profeta di qualcosa che ha preso il sopravvento.

Un padrone in rivolta. Un vincitore sconfitto. Un condannato risarcito, però lontano. Poi sì, certo, la vita degli individui è ancora più complicata, ma la morte è terribilmente semplice e non c'è vincita né perdita che possa impedirne il corso.

Burton Morris
18-04-10, 20:59
Staderini denuncia: «Elezioni illegali, Radicali voce fuori dalla partitocrazia»

• da Il Clandestino del 17 febbraio 2010

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di Antonio Creti

La campagna elettorale entra nel vivo. II 27 febbraio scadono i termini per la presentazioni delle
liste e Mario Staderini, segretario nazionale dei radicali italiani è nel pieno della bagarre.


Come sta andando?
"In Italia è letteralmente scomparsa la democrazia. Lo Stato di diritto non esiste, ovunque le leggi sono violate con la complicità delle istituzioni. Anche presentarsi alle elezioni, è ormai diventato un privilegio di pochi partiti. A 8 giorni dal termine del deposito delle firme i cittadini italiani non sono
stati in nessun modo informati delle modalità del procedimento elettorale, né del loro diritto di sottoscrivere le liste di candidati. 20omila persone (cancellieri di tribunale, giudici di pace, notai consiglieri ed assessori comunali e provinciali, i funzionari di Comuni e Provincie), cui la legge affida la funzione di autenticare le firme, non sono stati neanche informate del loro potere-dovere
di farlo. Comuni, Province e Tribunali non hanno predisposto ed organizzato un vero servizio pubblico di autenticazione. L`onere della raccolta firme, nato per arginare le candidature
temerarie e le liste senza rappresentatività, è diventato uno strumento per impedire l`accesso alle
elezioni di quelle forze politiche che vivono fuori dal recinto partitocratico. Solo i partiti in possesso di un apparato burocratico cresciuto con la truffa deirimborsi elettorali e le clientele sono nelle condizioni di farlo. In Inghilterra, ad esempio, si paga una semplice cauzione. Se ciò non bastasse in 6 Regioni sono state cambiate le leggi elettorali a campagna già in corso, rendendo tecnicamente impossibile raccogliere le firme sino agli inizi di febbraio".
Siamo impegnati giorno e notte nella raccolta delle 16o mila firme necessarie e, in queste condizioni di illegalità e vuoto di conoscenza, raccogliere 1ooo firme in piccole province, come Rieti, Lecco o Rovigo, tanto per citarne soltanto alcune, è proibitivo, anche per noi che pochi anni fa abbiamo raccolto 14 milioni di voti per la presentazione di 20 referendum.

Avete denunciato questa situazione?
"Abbiamo scritto ai Ministri Maroni e Alfano. II 7 febbraio abbiamo diffidato la Rai e i direttori
dei Tg nazionali e regionale. Ma non mi pare che le cose siano minimamente cambiate. Noi semplicemente diciamo che questa campagna elettorale è illegale e ci appelliamo alla Presidenza delle Repubblica e alle Istituzioni. Abbiamo spedito i moduli con le nostre liste in tutti i Comuni e
spesso neanche vengono aperti. Siamo al paradosso che al più antico partito italiano, un partito che alle elezioni europee ha raggiunto una percentuale del 2,4%, viene chiesta la prova di esistere.
Ma senza legalità è una prova diabolica. Insomma, queste di fatto sono elezioni da annullare".


I media vi stanno aiutando?
"Siamo di fatto oscurati. La Rai non informa gli elettori sulla necessità della raccolta delle firme. Questo fatto non interessa alla partitocrazia, ergo non interessa alla Rai. Invece tutta l`attenzione
è rivolta alla par condicio, considerataun pericolo. E dobbiamo anche sottostare alla rivolta dei conduttori televisivi. Per loro la libertà coincide con la lottizzazione. Vogliamo andare al dettaglio di queste trasmissioni? In Annozero nelle ultime 20 puntate dei 38 politici presenti, il 70% erano di Pd e PdI e il 25% di ldv e Lega. A Ballarò il 73% di Pd e Pdl e il 15% di ldv e Lega. Vogliamo fare una scommessa? Vedrete che alle elezioni i 4 partiti avranno complessivamente, più o meno, queste percentuali. È l`assenza di democrazia I cittadini non decidono liberamente chi votare, sono chiamati a certificare un consenso determinato anche dalle presenze in Tv".

Questo vale anche per Bonino, capolista nel Lazio?
"Esattamente. Anche per Emma la Tv si rivelerà decisiva. La Polverini è onnipresente. Dai Tg fino a Porta a Porta. Da ogni parte si fa vedere insieme al Premier che per lei sta conducendo una campagna in stile Cappellaci in Sardegna. E non è soltanto una questione relativa a Emma. Ieri il TG3 ha regalato una vetrina incredibile a Cota, danneggiando chiaramente la Bresso in Piemonte. Noi però scommettiamo sui "faccia a faccia". Con il regolamento Beltrandi si potrà avere, in regime di par condicio, un confronto vero sui programmi e le strategie. Senza toni forti. Senza urla. Ma chiarendo agli elettori ì nostri obiettivi. Quindi nel Lazio per la Bonino, la partita è tutta
da giocare e siamo fiduciosi!"

Burton Morris
18-04-10, 20:59
Suolo e legalità

• da Terra del 17 febbraio 2010

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di Elisabetta Zamparutti

Le frane che colpiscono il nostro Paese, tanto dal punto di vista idrogeologico quanto da quello ideologico, sono frutto di un dissesto che attiene essenzialmente all`assenza di legalità.
Occorre partire da questo per mettere un argine ai vari "cedimenti" che registriamo su più fronti e per questo voglio ribadire la necessità che sia data immediata attuazione ai contenuti della mozione d`iniziativa radicale approvata all`unanimità lo scorso 26 gennaio dall'Aula di Montecitorio. Un testo scaturito da un lavoro congiunto con le associazioni ambientaliste, avviato
a fronte della prosecuzione di una cattiva gestione del territorio e delle carenze della politica urbanistica ed edilizia contenute anche nel cosiddetto Piano Casa. Il Parlamento ha indicato
nel principio per cui «il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio», la stella polare a cui guardare per il governo
del territorio. Questo dà ancora maggior valore agli impegni puntuali che il governo si è assunto con quel voto. Il 12 novembre il governo ha presentato alla Commissione ambiente della Camera i dati sul rischio idrogeologico, con le stime per gli interventi di messa in sicurezza. L`estensione
delle aree a rischio è del 9,8 per cento del territorio, di cui il 6,8 per cento relativo a centri urbani, infrastrutture e aree produttive.
Il fabbisogno necessario per la sistemazione complessiva del dissesto è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 per il Centro-Nord e 13 per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il recupero e
alta tutela del patrimonio costiero. Con, la mozione il governo è impegnato a presentare e a dotare delle opportune risorse pluriennali il piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico;
a dare sollecita attuazione della direttiva europea sulla gestione dei rischi di alluvioni; a definire
un quadro di riferimento certo per le singole normative regionali e a perseguire un`efficace e severa politica di contrasto alle violazioni in materia urbanistica e all`abusivismo. Ma soprattutto,
di fronte al disordine che regna sovrano in materia, l`impegno è di avviare un`analisi sistematica degli usi del-suolo su tutto il territorio secondo criteri uniformi. La mia proposta è l`istituzione di un osservatorio nazionale sull`uso del suolo. Anche l`adempimento degli impegni assunti dal
governo di fronte all'Aula attiene alla legalità. Come Radicali chiediamo conto e rispetto di quei contenuti e chiediamo di fare altrettanto a tutte le altre forze politiche che lo hanno votato.

Burton Morris
18-04-10, 21:00
L'uomo del ministero e l'aiuto del giudice - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/10_febbraio_17/bianconi-protezione-civile_b03c3fec-1b90-11df-9bdf-00144f02aabe.shtml)

Protezione civile / Le carte


L'uomo del ministero e l'aiuto del giudice
Le telefonate e gli incontri tra Antonio Di Nardo e Tesauro per il contenzioso sulla licenza a un’azienda



Protezione civile / Le carte

L'uomo del ministero e l'aiuto del giudice

Le telefonate e gli incontri tra Antonio Di Nardo e Tesauro per il contenzioso sulla licenza a un’azienda



ROMA - Nella richiesta d’arresto dei funzionari della Protezione civile e dell’imprenditore accusati di corruzione, il suo nome è citato quasi di sfuggita, indicato come uno che ha contribuito a far avere un prestito di 100.000 euro (destinati amazzette, secondo l’accusa) a tassi usurari. E poi come «gestore occulto» del Consorzio Stabile Novus, un gruppo che secondo i carabinieri del Ros raccoglie anche imprese a cui sono interessati personaggi «contigui a strutture criminali di stampo mafioso finalizzate al controllo degli appalti pubblici»; il Consorzio Novus ha ottenuto un appalto da 12 milioni di euro per la realizzazione di un impianto per il nuoto, nella gestione «emergenziale» dei mondiali 2009. Lui si chiama Antonio Di Nardo, nato a Giugliano, in provincia di Napoli, 63 anni fa, dipendente del ministero delle Infrastrutture. Secondo l’indagine condotta finora dai magistrati di Firenze è in rapporti stretti con Francesco De Vito Piscicelli, quello che al telefono confessava di aver riso la notte del terremoto in Abruzzo, immaginando gli affari che ne potevano venir fuori. Anche Di Nardo, dal fiume di intercettazioni accumulate dagli investigatori, sembra un tipo molto interessato agli affari. E a parte le telefonate, i carabinieri hanno portato ai magistrati «ulteriori elementi di valutazione in ordine ai rapporti di Di Nardo con la criminalità organizzata campana e in particolare con soggetti vicini al clan camorristico dei Casalesi». Si tratta di rapporti antimafia di qualche anno fa, dove si indicano le relazioni pericolose di alcuni personaggi collegate a Di Nardo.

Le telefonate importanti
Nelle sue telefonate il poliedrico personaggio parla con uomini politici, costruttori, funzionari dello Stato, magistrati. Nomi importanti accostati ad altri semi-sconosciuti (ma noti alle cronache giudiziarie) che nelle relazioni dei carabinieri si susseguono uno dopo l’altro. In mezzo a due conversazioni del novembre 2008 con altrettanti imprenditori definiti «indiziati di mafia », ecco spuntare un colloquio con Giuseppe Tesauro, giudice della corte costituzionale. È la mattina del 28 novembre 2008, Di Nardo è in allarme per un contenzioso sulla licenza a una società a lui «occultamente riconducibile»: la «Soa nazionale costruttori - organismo di attestazione »; Tesauro chiede «come sono andate le cose», e lui risponde: «Poi ti spiego, più o meno sullo stesso principio dell’altra volta... Ti volevo far vedere delle cose un attimino...». Due ore dopo richiama: «Peppe scusami, domattina stai a casa? A che ora vuoi che mi vengo a prendere un caffè». Si accordano per le nove.

Socio e sentenza
Il problema della Soa nasceva da una presunta incompatibilità tra il ruolo di Di Nardo come socio e come dipendente del ministero, ma anche da una sentenza del Tar che ricordava alcuni sospetti sui suoi rapporti imprenditoriali. Poi il consiglio di Stato aveva rovesciato quel verdetto, ma evidentemente all’Autorità di vigilanza dei Lavori pubblici c’erano altre resistenze. In una telefonata del 7 ottobre 2008 il giudice Tesauro dice a Di Nardo: «Poi ho visto quella lettera che ti hanno fatto... va benissimo, no?... La lettera che ti hanno fatto sulla compatibilità... va molto bene, no?».
Il 24 febbraio 2009 Tesauro conferma un appuntamento per la cena, e Di Nardo avvisa il genero di portare la sentenza del consiglio di Stato. Due giorni dopo il giudice costituzionale chiama Di Nardo: «Ho ricevuto una telefonata con la quale mi si dice che tutto si è chiuso bene ». Il 6 marzo è ancora Tesauro a chiamare: «Ci possiamo vedere 5 minuti?». Si accordano per la domenica successiva, alle 9 del mattino, e il giudice chiede: «Poi è andato tutto bene, sì?», e Di Nardo: «Bene, bene, per ora sembra dì sì». Da altri amici il dipendente ministeriale-imprenditore aveva saputo che l’Autorità di Vigilanza aveva concesso l’autorizzazione alla «Soa», nonostante la contrarietà del presidente.
Di Nardo e Tesauro sono entrambi soci di una società chiamata «Il Paese del Sole Immobiliare, srl», in cui compaiono anche un direttore generale del ministero delle Infrastrutture e il giudice della Corte dei conti Mario Sancetta, attualmente presidente della Sezione regionale di controllo della Campania. I carabinieri hanno registrato molte telefonate fra Di Nardo e Sancetta, il quale mostra di muoversi bene nel mondo dell’imprenditoria e degli appalti. La mattina del 7 aprile 2009, a poche ore dal terremoto dell’Aquila, parla con Rocco Lamino (amico e socio di Di Nardo) e i carabinieri riassumono: «È pronto ad attivare i suoi contatti per far ottenere delle commesse in Abruzzo alle imprese riferibili a Di Nardo e Lamino», e Lamino assicura: «Presidè, noi siamo pronti a partire anche domani mattina». Subito dopo il giudice Sancetta parla con Di Nardo.
Sancetta: «Ma lì a L’Aquila chi è il provveditore?».
Di Nardo: «È questo di Roma... Lui c’ha competenza con l’Abruzzo».
Sancetta: «Aah, buono allora... non, non per altro... per vedere se si può attivare qualcosa, no?».
Di Nardo: «...Le disgrazie... certo che è così».
Sancetta: «No, dico, lì bisogna muoversi».
Nel pomeriggio Sancetta richiama e, parlando ancora dei lavori post-terremoto dice: «Per quelle opere lì... se dobbiamo attivarci è bene che si faccia subito...». Dalle telefonate si capisce che a settembre 2008 Sancetta ha chiesto l’intervento di Di Nardo, attraverso il coordinatore del Pdl Denis Verdini, per farsi nominare capo di gabinetto dal presidente del Senato Renato Schifani. Tra Di Nardo e Verdini s’intuisce una certa familiarità. Il 3 settembre 2008 l’imprenditore va a trovare il parlamentare. Dopo l’incontro Di Nardo parla con Luigi Cesaro, allora deputato del Pdl e oggi presidente della Provincia di Napoli; subito dopo chiama Francesco De Vito Piscicelli (sempre quello che rideva del terremoto) e, secondo la sintesi degli investigatori, «lo informa circa l’esito dell’incontro avuto con l’on. Verdini; il linguaggio è naturalmente allusivo, infatti Di Nardo evita di indicare in maniera diretta persone e cose, ma è chiaro che nel suo discorso fa riferimento all’on. Verdini, all’ingegner Balducci (il responsabile della stazione appaltante per i Grandi Eventi, arrestato una settimana fa) e ad appalti; Di Nardo racconta che l’on. Verdini gli ha fatto vedere i documenti che gli ha fatto pervenire l’ing. Balducci riferiti ai progetti degli appalti di loro interesse». L’incarico che voleva al Senato il giudice Sancetta non l’ha avuto, e forse anche per questo, il 3 luglio 2009, si lamenta con Rocco Lamino «colpevole di non mantenere gli impegni e di non essere riconoscente», annotano i carabinieri. E a proposito della controversia sulla «Soa» dice: «È venuto a casa mia e m’ha portato la questione della Soa... io ho chiamato il relatore in sua presenza, gli ho detto quello che doveva fare... quello ha fatto due pagine di ordinanza... è andata al Consiglio di Stato... ho parlato con questo... col relatore e gliel’hanno risolto... Dopodiché si è messo a fare storie, a chiacchierare, a raccontare frottole... ma i fatti io non li vedo...». Solo promesse, accusa Sancetta: «Sa che mi ha detto? "Ah, adesso a settembre scadono dei componenti dell’Autorità... lei può andare lì... ho parlato col professor Tesauro", come per farmi vedere che lui si interessa... Ma in questo modo mi prendi in giro?».






Giovanni Bianconi
17 febbraio 2010

Burton Morris
18-04-10, 21:00
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 17 FEBBRAIO 2010
Pagina 11 - Interni

Gli affitti record della Camera: spesi 54 milioni l'anno per uffici e segreterie
E per la ristorazione il budget è di 7milioni

ALBERTO CUSTODERO

ROMA - Montecitorio spende per gli affitti 54 milioni. La ristorazione costa 7 milioni e mezzo.

La prevenzione dagli incendi 2 milioni e 800. Acquistare nuove tappezzerie (e restaurare le vecchie), arredi, targhe, cartelli, casseforti e armadi blindati costa un milione. Dieci milioni si spendono per gli atti parlamentari, dalla stampa alla pubblicazione online. L'"ufficio tecnico" di Montecitorio (collaudi, manutenzione impianti termici, elettrici ed elettronici), ha un budget di 17,5 milioni che servono anche per gli ascensori. I corsi di lingua straniera per gli onorevoli, dall'inglese al russo, costano mezzo milione.

Sono questi i dati più significativi che spiccano analizzando l'elenco fornitori e consulenti del secondo ramo del Parlamento consegnato dal presidente Gianfranco Fini alla deputata radicale Rita Bernardini che per la prima volta li ha resi pubblici. Non è stato facile, per la Bernardini, avere quei dati finora segreti: li ha chiesti in agosto ed è riuscita ad ottenerli solo dopo aver iniziato per protesta lo sciopero della fame.

Da quei conti si evince che la Camera spende per cancelleria, taglierine, scarpe antinfortunistiche, camicie, biancheria, sartoria, buste, calendari, lavanderia circa 7 milioni. Sessantun mila euro per prodotti igienici.

Per posteggiare le moto dei deputati, il costo dei parcheggi interni è di 33 mila euro. Per le auto più di un milione. Per l'assistenza medica, un milione e mezzo. Il 40 per cento circa del bilancio dei fornitori della Camera dei Deputati risulta concentrato nelle società di un imprenditore romano, un cosiddetto "palazzinaro". Su un budget complessivo di circa 139 milioni di euro, nelle casse della Milano 90 srl di Sergio Scarpellini finiscono quasi 51 milioni per gli affitti degli immobili annessi a Montecitorio: il solo Palazzo Marini costa circa 45 milioni. Altri 2,6 milioni, poi, per la ristorazione, l'en-plein dell'appalto.

L'analisi dei conti dei fornitori della Cameraè tutt'altro che di immediata comprensione, proprietarie soci sono schermati da varie e complesse compagini societarie. È il caso, ad esempio, proprio di Scarpellini, l'immobiliarista romano che sta costruendo un nuovo quartiere nella periferia della Capitale (la Romanina) ed è pronto a guidare la cordata di imprenditori per la costruzione del nuovo stadio della Roma. La Milano 90 è per l'80 per cento dell'Immobilfin (80%)e per il 20% della Aries, entrambe di proprietà dello Scarpellini. Ma dai dati della Camera di commercio emerge un giallo sulle quote della Immobilfin: risultano infatti date in "pegno" alla Aareal Bank a sua volta detenuta da una finanziaria dal nome impronunciabile (Depfa Deutsche Pfandbriefbank), nome che spunta, però, nella prima indagine sui derivati venduti dalle banche agli enti locali. Il suo amministratore, Francis William Marrone, è indagato per truffa al comune di Milano, e la società, due settimane dopo la chiusura indagini da parte della procura milanese, ha cessato l'attività.

Nell'elenco fornitori della Camera dei Deputati compare anche l'imprenditore Angelo Jacorossi, l'ex re del petrolio romano - rapito negli anni Settanta dall'anonima sequestri - coinvolto in alcune indagini negli anni '90. Il suo nome spunta partendo dalla Saccir spa alla quale è affidata una fornitura record per manutenzione impianti idrosanitari da 2.350.000 e 780.000. Amministratore delegatoe socio al 7,5% risulta Mario Cattabriga, ma il 50 % della società è della francese Dalkia International S. A. e per il restante 42 % della Samovar srl nella cui compagine azionaria figurano Angelo Jacorossi e famiglia. Per l'ammodernamento del canale televisivo satellitare della Camera sono stati arruolati due consulenti: Rosaria Marchese, (40.000 euro), nominata dal ministro Bondi nella Commissione cinematografia, e Gustavo Pacifico (50 mila euro), responsabile editoriale del canale Stream 2 su cui va in onda Grande Fratello. La cura degli aspetti artistici di Montecitorio, e l'organizzazione delle mostre, sono affidate alla consulenza dell'architetto Cristina Mazzantini (100 mila euro), testimone di nozze di Azzurra Caltagirone, consorte di Pier Ferdinando Casini.

Burton Morris
18-04-10, 21:01
"La Stampa", 18 Febbraio 2010, pag. 2

“Ma il grande guaio sono le consulenze”
Colloquio con il procuratore della Lombardia

PAOLO COLONNELLO
MILANO

Quello che sta succedendo in questi giorni si commenta da sè: corruzione e concussione sono fenomeni in aumento anche in Lombardia, sebbene la nostra vera piaga siano al momento le consulenze e gli incarichi professionali nelle amministrazioni. Tuttavia...». Il Procuratore della Corte dei Conti della Lombardia Eugenio Schlitzer, cognome tedesco ma accento partenopeo, si prende qualche secondo di pausa e spara: «Tuttavia noi come Corte dei Conti siamo costretti a dare il minimo peso a questo fenomeno emergente perché con la legge attuale potremo dar seguito agli episodi di malcostume, chiedendo i risarcimenti, solo dopo che le sentenze saranno passate in giudicato».
E quale sia il danno, ciascuno lo può valutare da solo: «Basta aprire un giornale: al di là della veste giuridica del reato, cioè concussione o corruzione, a noi basta il danno d’immagine. Quando un Presidente di Commissione Urbanistica si fa trovare con 5000 euro in mano versati da un imprenditore, il danno d’immagine per l’Amministrazione Pubblica è lampante. Eppure, potremo procedere solo tra qualche anno». E poi a giocare contro la buona volontà del procuratore Schlitzer c’è la solitudine dei numeri: «Siamo in 6, me compreso, ad occuparci di tutte le vertenze della Lombardia, si parla di 5-6000 fascicoli. E come si fa quando ciascuno ha mille fascicoli da sbrigare?». Ciò nonostante, la Corte dei Conti domani inaugurerà il proprio anno giudiziario offrendo dati stabili e piccole oscillazioni che in campo penale possono aiutare a capire la tendenza del crimine tra i colletti bianchi.
A proposito di consulenze e incarichi professionali, se l’anno scorso ha ballato la giunta del sindaco Letizia Moratti, quest’anno toccherà alla Provincia di Filippo Penati (ora in corsa per le regionali), finita sotto la lente d’ingrandimento della magistratura contabile per alcune disinvolture nella distribuzione di consulenze. Oppure all’ospedale San Matteo di Pavia, con danni all’erario per oltre 500 mila euro. Ma la Corte dei conti si prepara a chiedere danni anche all’Anas per un’inchiesta che vede sul piatto reati che vanno dalla corruzione alla truffa e riguarda ben 80 capi d’imputazione. Bastano questi dati per capire quale sia l’andazzo: ospedali, strade, consulenze. Gli strumenti classici per la corruzione, la cui diffusione, sebbene registri un deciso aumento, va pur sempre paragonata con dati di qualche anno fa.
I procedimenti definiti nel 2009 dalla Procura diretta da Schlitzer con una richiesta risarcitoria a carico di dipendenti pubblici (non necessariamente pubblici ufficiali) sono 72 stati. Nel 2008 erano 79, nel 2007 erano 115, nel 2006 erano 88. Per capire la dimensione dei numeri, basti pensare che nel 1999, i casi di corruzione trattati dal tribunale penale del distretto di Milano furono 499! Mentre quest’anno, all’inaugurazione dell’anno giudiziario il procuratore generale ne ha denunciati 51. Prima di parlare di una nuova Tangentopoli forse bisognerà aspettare ancora un po’.

Burton Morris
18-04-10, 21:01
"La Stampa", 18 Febbraio 2010, pag. 9

“Se al ministero andrà D’Alì, lui è come un fratello”
Le carte
Le intercettazioni svelano intrecci con figure ingombranti

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Compaiono i nomi di De Santis e Giovampaola, finiti in carcere alcuni giorni fa

Lectio magistralis all’Università del malaffare del prof. Vincenzo Di Nardo, uno degli indagati dell’inchiesta fiorentina: «Nel mondo imprenditoriale va avanti chi è più furbo... (ride)... e tiriamo avanti... comunque tanto... come mi diceva un vecchio imprenditore... “ricordati mai contestare... se sono più furbi di te non ti devi incazzare... solo imparare”...». E già, come potrebbe essere diversamente in un Paese dove la corruzione è aumentata a dismisura e siamo tornati ai livelli della Prima Repubblica? Non è il caso di andare per il sottile, in questa giungla di raccomandati e furbetti.
E’ proprio un bel tipo Riccardo Fusi, presidente della Btp, l’amico dell’onorevole Pdl Denis Verdini, che frequenta personaggi ingombranti, come il commercialista Pietro Di Miceli che gli investigatori del Ros dei carabinieri ricordano che è stato indagato (e poi assolto) per mafia, per i suoi rapporti con i Corleonesi. Di Miceli, iscritto con il titolo di cavaliere all’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, mediatore d’affari anche con lo Ior, la banca vaticana, iscritto all’Albo dei periti e dei curatori fallimentari del Tribunale di Palermo, consulente aziendale, chiamato pesantemente in causa dalle rivelazioni recenti di Massimo Ciancimino per i suoi rapporti con Vito Ciancimino, i Servizi segreti, diversi magistrati.
E’ il 5 marzo 2008 quando il commercialista palermitano contatta Riccardo Fusi. In ballo ha due affari che lo interessano: l’aeroporto di Frosinone e un Centro accoglienza a Roma. Fusi è al telefono con Alessandro Biagetti, il quale gli comunica: «Ci stiamo posizionando bene... alle Infrastrutture ci va un amico mio... quindi... già... ci va un amico mio a fare il viceministro... Tonino D’Alì... lui è proprio mio fratello». Non sprizza entusiasmo Fusi: «Il nostro professore (parla di Pietro Di Miceli, ndr) non ha ancora raggiunto alcun risultato concreto... io ogni tanto lo sento... però per ora... non siamo a nulla... mi ha chiamato per cazzate... qui passano mesi noi si è parlato di grandi progetti ma io ancora non c’ho neanche lo schizzo di un disegno.. io cerco di tenere il rapporto ecco dico la verità di andare a trovare il Papa ne faccio anche a meno... capisci il messaggio».
Il 22 aprile sempre Biagetti parla con Fusi: «Ascolta... le cose si stanno evolvendo, c’è stato un passaggio oggi abbastanza importante sulla costituzione finale.. come si chiama.. del Consorzio per la Cei... il cardinal Bertone sta cominciando a parlare di posa della prima pietra... quindi... il che significa... che il nostro buon Rino sarà direttore generale». Biagetti: «Il ministro è Matteoli... il viceministro sono in corsa almeno tre in questo momento: il mio amico Tonino D’Alì, senatore di Trapani, tieni conto che lui è mio fratello».
Che fatica stare appresso alle scadenze burocratiche. Biagetti: «Stamattina c’è stato un altro incontro tra il nostro amico e Sodano, e le tensioni interne sembrerebbero essere risolte.. spostamento del Propaganda Fide che rompeva le palle... quindi pure questo passaggio».
Toh, si parla anche dell’ex governatore Piero Marrazzo - travolto dal grande ricatto dei carabinieri del disonore per una storia di trans e coca - nelle intercettazioni. Alessandro Biagetti aggiorna Riccardo Fusi sui comuni affari in cui è interessato anche Di Miceli («il professore»), «facendo riferimento a un’operazione immobiliare asseritamente in avanzata fase di sviluppo: «Abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti perché si comincia a definire la data della posa della prima pietra.... ottobre... novembre... la cosa più importante è che abbiamo parlato direttamente con Marrazzo... con il Presidente della Regione... e di concerto con il Comune... sta facendo finalmente arrivare un c... di connessione».
Anche il progetto per l’aeroporto di Frosinone va avanti. E’ il 30 luglio Vincenzo Di Nardo ragguaglia Riccardo Fusi: «E’ giusto impostare il progetto sui passeggeri... perché secondo me quello va tutto impostato sui pellegrini: Di Miceli ha assicurato di poter garantire i numeri richiesti... ci deve essere un centro commerciale fatto apposta per i pellegrini... Di Miceli mi ha detto che loro sono in grado di garantire come passeggeri della tramvia 38 milioni di passeggeri i primi 10 anni dal Comune per essere sicuri che il progetto abbia sostenibilità. E lui mi ha detto: “Io sono in grado di garantirli... anche con garanzia dello Ior”...».

Burton Morris
18-04-10, 21:02
Appalti, le mani su L'Aquila

• da la Repubblica del 18 febbraio 2010

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di Carlo Bonini

L'AQUILA 6 aprile 2009. 307 morti, 20 mila edifici gravemente lesionati, 1.500 feriti. L`Italia è china sulla catastrofe abruzzese. Sapevamo sin qui di "due sciacalli" («che non hanno avuto né avranno un solo euro», Gianni Letta) che se la ridono nel letto, immaginando l`opulenza della ricostruzione. Purtroppo, è andata peggio.
Un migliaio di pagine di allegati all`ordinanza del gip di Firenze raccontano un`altra storia. Altri sciacalli. Documentano un banchetto che non è vero dovesse ancora cominciare, semplicemente perché era già cominciato. E in soli dodici giorni. Dalli al 18 di
aprile. Così.
Il terremoto ha eccitato Mario Sancetta (S.), magistrato della Corte dei Conti che le carte, con eufemismo, definiscono «soggetto poliedrico». E` un`appendice petulante della "cricca". Di mestiere fa il «facilitatore». Chiama, briga, sollecita il suo network di relazioni per spingere negli appalti che contano le imprese che fanno capo al "Consorzio stabile novus" di Antonio Di Nardo, l`anima nera della Banda, quella che profuma di mafia e camorra. Nell`autunno del 2008, Sancetta ha cercato senza successo, attraverso Denis Verdini, la poltrona di capo di gabinetto del Presidente del Senato Renato Schifani. Alle 11.36 del 7 aprile, con centinaia di cadaveri ancora da estrarre dalle macerie, telefona a Rocco Lamino (L.), amministratore del Consorzio.
S: vede che cosa è successo `sta cosa qui... orafo l`altro giorno... avevo chiamato Terracciano... mi ha detto che era li a L`Aquila per via... ha un incarico perla Prodi bis... ora`sta Prodi bis non so esattamente di che cosa si occupa... ora quello che dico io è questo... siccome lui mi ha sempre detto "a disposizione" perchè lui è il trait d`union anche con chi sa lei... allora non so se è il caso di parlargli chiaro di qualche cosa...
L:... come no!?... noi già abbiamo mandato le lettere come impresa... di accreditamento al Provveditorato
S:... no perchè voglio dire... adesso bisogna vedere anche in quell`area che è abbastanza impegnata in queste operazioni
L:... come no!... damo` a 10 giorni bisogna intervenire immediatamente.
S:... no bisogna farlo subito...lì bisogna andare a parlare direttamente con Bertolaso a questo punto.
In attesa di Bertolaso, Sancetta (S.) si porta avanti. Sia con l`ex ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi (anche se, confida a Lamino, Con quello c`ho in piedi sta cosa alla Corte dei Conti e li ho l`impressione che se prima non vede risolta la cosa sua non alza un dito»). Sia con Denis Verdini (attraverso Antonio Di Nardo). Sia con Gianni Guglielmi, provveditore per le opere pubbliche di Lazio e Abruzzo, competente per la ricostruzione. «Un amico» nominato appena due mesi prima dal ministro delle infrastrutture Altero Matteoli. Nella stessa tornata che ha visto la"cricca" issare Fabio De Santis sulla poltrona di Provveditore alle opere pubbliche in Toscana. Per agganciarlo, muove Antonio Di Nardo (N), che di Guglielmi è amico e di Guglielmi, neanche a dirlo, diventerà nei mesi successivi il segretario.
S:... senta volevo dirle questo... in relazione a questa cosa di... del terremoto... pensavo che si poteva stabilire un contatto con...
N:... certo certo...
S:... con quello che sta qui che abbiamo visto l`altravolta... o no?
N:... come no!.. adesso si vada a fare Pasqua... appena lei viene ci incontriamo un attimino perchè penso che avrà pure qualcosa già pronto... per lei.
S:... no ma io dico per quel... per quelle opere lì.
N:... anche quelle.
S:... no perchè se dobbiamo attivarci è bene che si faccia subito
Si agita anche il costruttore Francesco Piscicelli (P.), lo "sciacallo" che il 6 aprile «se la ride nel letto». Una settimana fa, ha chiesto scusa agli abruzzesi giurando di non aver mai pronunciato quelle parole. Ecco cosa torna a dirsi alle 19.56 de19 aprile 2009 con il cognato Pierfrancesco Gagliardi.
G:... senti un po` ma... tu vuoi fare un bell`appalto sul lago di Garda da sette milioni di euro... o è troppo lontano... è una rottura di cazzo..?
P:... no... lascia perdere. .. mo` c`è il terremoto da seguire...
G:... si giusto, bisogna concentrarsi lì... perchè lì partono a duemila all`ora adesso...
P:... ma già mi hanno chiamato a me...
G:... ma veramente?
P:... si, la prossima settimana devo dare sei escavatori... venti camion... si così funziona nelle emergenze... tutto in economia...
G:... ah!... glieli dai e poi dopo si fa in economia... cioè tot ore,tot al giorno...
P:... questo per le emergenze...
G:... uhm, uhm... certo lì adesso ci fanno carne da porco lì...
P:... eh là c`è da ricostruire dieci anni...
G:... però guarda... che quella cosa che aveva detto Riccardo a suo tempo... di fare la società. .. specializzata nei restauri delle opere d`arte... Piscicelli non parla a vanvera. Si è già mosso con Denis Verdini (ha fissato un appuntamento subito dopo Pasqua) e l`idea di Gagliardi della società specializzata in restauri di opere d`arte vedrà la luce nei mesi successivi insieme alla BTP di Fusi con la nascita del "Consorzio Federico II":12 milioni di euro di appalti nella prima fase della ricostruzione (moduli scolastici provvisori; restauro degli alloggi della caserma Pasquali; messa in sicurezza e recupero di opere d`arte nella sede della direzione generale della Cassa di risparmio della Provincia dell`Aquila e a palazzo Branconi-Farinosi). Quindi, il 22 luglio, 7,3 milioni di euro per la scuola media "Carducci".
Sancetta, Piscicelli, Gagliardi, Di Nardo. La "cricca" fibrilla e dunque non se ne sta con le mani in mano nemmeno Angelo Balducci. Alle 18 dell` 11 aprile è negli Uffici della Protezione Civile, a Roma, in via Ulpiano, dove lo ha convocato Guido Bertolaso per discutere dell`emergenza terremoto. Poco prima di mezzogiorrno, Balducci (B) allerta il costruttore Diego Anemone (A), il tipo che aiuta Bertolaso a rilassarsi nelle salette del Salaria Sport Village.
B: Senti m`hanno rintracciato dalla Protezione Civile che alle 6 c`è una riunione ricognitiva... un po` su tutto ... sia sul G8 che sull`Abruzzo... tu magari. .. non sarebbe male insommase... facessi capire insomma che. .. come tanti altri operatori... una disponibilità in Abruzzo in qualche modo insomma da... io adesso stasera glielo dico... ma insomma... farglielo (...)... tanto diciamo .. alla fine sempre il cetriolino sempre a me torna»
A: (ride)
B:... ridi ridi Durante la riunione, Bertolaso, senza successo, ha insistentemente chiesto aBalducci di rintracciare subito Anemone per discutere di Abruzzo e per questo, alle 19.34, quando finalmente risponde al telefono, Balducci si sfoga, spiegandogli cosa dovrà immediatamente fare.
B:... certo se uno ha bisogno con voi...
A:... ma porca miseria l`ho lasciato li sul mobile con la vibrazione... eh...
B:... ho fatto proprio una bella figura... ho detto.... « mo` lo chiamo e te lo passo»...
A:...... mannaggia!... e sono uscito fuori un minuto cazzo... l`ho lasciato un quarto d`ora
B:... infatti... solo che... siccome gli avevo... gli avevo appena detto... dico... «guarda per qualunque cosa così»... dice... «e allora sentiamolo dai!!»... «mo te lo chiamo»... e uno... va be allora.. e due. .. e tre. .. e quattro... dice... «lascia perdere va che è meglio»... hai capito?...
A:... ci credo...
B:... no, no... però... eh... perché lo dovrei rivedere un attimo a lui... perchè dopo lui riparte su per L`Aquila... ecco, è uscito adesso. .. sta tornando da Gianni Letta... e quindi. .. perchè. .. se io adesso mi sbrigo... tu magari scendi giù li... nell`area vostra e ti detto un indirizzo... lì... una cosa da mandare lì a Guido. Preparati un foglietto per scrivere.
Gli sforzi di Sancetta per agganciare il nuovo Provveditore alle Opere del Lazio e Abruzzo, vengono premiati. Il 18 aprile, Sancetta (S.) riferisce a Rocco Lamino (L.), amministratore del Consorzio Stabile Novus che il tipo «si è messo a disposizione»
S:.. Gli ho consegnato la cosa abbiamo parlato ampiamente gli ho detto appunto... mi ha chiesto dice «ma ce l`hanno il NOS?» (Nulla osta sicurezza)... «certo che ce l`hanno»... dice «allora senz`altro» dice «poi chiamo io»... per cui insomma è stato invece tempestivo farlo adesso questo intervento.
L:... no no è meglio anticiparci sempre.
S: poi questo m`ha detto... «qualunque cosa mi può chiamare io sono a disposizione»
Il 13 luglio, Guglielmi quella promessa la ribadisce. E Sancetta ne riferisce entusiasta al solito Rocco Lamino: «... allora io ho chiamato il... Giannichemi ha detto che lui stava tornando da L`Aquila... tutti i giorni a L`Aquila... m`ha detto "Appena capita qualche cosa di
buono. .. senz`altro"».
Naturalmente, chiede qualcosa in cambio. Che Sancetta racconta così: «Questo mò vuole un favore. Vuole fare l`amministratore delegato dell`Anas e chiede di essere sostenuto».

Burton Morris
18-04-10, 21:03
"La Repubblica", VENERDÌ, 19 FEBBRAIO 2010
Pagina 9 - Cronaca

CRONACA APPALTI E CORRUZIONE I verbali

E Bertolaso chiamò Anemone: "Se hai bisogno vieni qui a L'Aquila"

Telefonate e sms con l'imprenditore subito dopo il terremoto.

Piscicelli al telefono con il capo cantiere l'8 maggio.

L'ingegnere Albanesi con Anemone. Ancora Albanesi con Anemone.
CARLO BONINI

ROMA - Guido Bertolaso va ripetendo di «essere stato ingannato».

Di non sentirsi responsabile di ciò che intorno a lui si muoveva, perché lo ignorava. Non poteva sapere - dice - che una "cricca di banditi" avesse occupato stabilmente il cuore dei Grandi Appalti della Protezione Civile. Eppure, le intercettazioni che, all'indomani del terremoto dell'Aquila, registrano le comunicazioni più significative del capo della Protezione Civile e di alcune figure chiave di quest'affare - i costruttori Diego Anemone e Francesco Piscicelli, l'ingegnere progettista Silvio Albanesi e il presidente del Consiglio nazionale dei lavori pubblici Angelo Balducci- sembrano documentare esattamente il contrario.

Vediamo. "SE HAI BISOGNO VIENI SU.

PARLIAMO QUI, A L'AQUILA" «La mattina del 29 aprile (8.56) - annota un'informativa del Ros dei carabinieri datata 12 maggio 2009- Diego Anemone (A), con un sms, sollecita un incontro a Bertolaso»: "... Per favore, possiamo vederci? grazie". Anemone ha una qualche urgenza. E la ragione si comprende da ciò di cui il costruttore discute, immediatamente dopo, con Mauro Della Giovampaola (D): la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge che regola lo spostamento del G8 dalla Maddalena a L'Aquila, stabilendo, tra l'altro, che non debbano essere pagati maggiorazioni e straordinari nei cantieri sardi per i lavori effettuati all'indomani dell'1 marzo 2009. Anemone già lavora nei cantieri della Maddalenae vuole entrare in quelli della ricostruzione abruzzese. Non stupisce dunque che frigga.

D:...siamo in attesa che esce questo Decreto Legge A:...ma quando esce?. . dovrebbe uscire oggi D:... stamattina.. . dovrebbe essere pubblicato sulla Gazzetta stamattina A:...quindi come avevano previsto? D:...e quindi sì.. . penso come l'avevano previsto A:...(bestemmia) D:.. . retroattivo A:...retroattivo? D:...sì A:... quindi dall'1 marzo D:.. . penso di sì A:... ma possono fare una cosa così?. . . bo!.. .va be' Alle 9.03 di quella stessa mattina, con un tempismo singolare considerando la spaventosa agenda di quei giorni a l'Aquila, Bertolaso (B) ritiene che un sms non sia sufficiente a rispondere alla richiesta che soltanto 7 minuti prima gli ha inviato Anemone (A), ma che sia opportuno parlargli di persona.

A:...pronto B:...buongiorno sono Guido A:...buongiorno come va? B:...eh.. . io sono qua. . . sempre in montagna A:...eh.. . mi immagino B:...quindi non so se...

A:...complimenti per tutto B:...e per che cosa? A:... veramente B:...e quindi che ti posso dire?. . .

io son qua.. . quindi se hai bisogno vieni su... parliamo qua... perché non.. . penso che sicuramente fino all'uno.. . al due (maggio ndr .) non riesco a muovermi... capito? A:...che faccio ti raggiungo lì.. .

magari do un colpo di telefono prima quando vengo su... non so quandoè più comodo... così se c'ha un attimo di tranquillità.. .

B:...vediamo un po'.. . io c'ho.. .

(parla con altre persone che gli sono accanto ndr )... c'ho una serie di accordi ed appuntamenti sia oggi che domani.. . però.. . se vieni domani. . .

domani pomeriggio? A:...va bene. . . io do un colpo di telefono domani ad ora di pranzoe poi mi dici te B:...sì.. .verso le quattro.. .cinque potrei essere libero. . . fammi un colpo domani e vediamo...d'accordo? Anemone incontrerà Bertolaso.E ne uscirà confortato. Anche se, a tranquillizzarlo, alle 13.32, di quello stesso 29 aprile, prima ancora che raggiunga il giorno successivo l'Aquila, è un signore che si chiama Silvio Albanesi.

"CI SONO TANTE COSE DA FARE. E PARLO DEL FUTURO.

CAPITO?» Ai più, il nome dirà poco. Ma dire Silvio Albanesi (AL) significa dire Guido Bertolaso. È un ingegnere di 63 anni, pesarese, docente di tecnica delle costruzioni all'università di Ancona. Un professionista che dalla pubblica amministrazione ha cominciato a ricevere commesse dal 1987 (alluvione della Valtellina) e che in quell'aprile di un anno fa, lavora, come progettista, nei cantieri della Maddalena, della scuola dei Marescialli e dell'auditorium di Firenze. Albanesi siede nel Consiglio superiore dei lavori pubblici ed è legato a filo doppio sia con chi lo presiede, Angelo Balducci («Gli sono amico e lo sarò anche in futuro», ha detto in questi giorni al " Resto del Carlino "), che con Bertolaso. La sua collega di studio, Angela Manenti, è infatti amica della moglie del capo della Protezione civile e per questo, dopo il 6 aprile, è stata chiamata a lavorare a tempo pieno nella caserma di Coppito, dove Bertolaso ha messo il suo quartier generale.

Il suo colloquio del 29 aprile con Anemone (A) è significativo. Quanto la certezza con cui, per due volte, formula una promessa.

A:...ascolta Silvio.. . lì ho provveduto a telefonare e dopo fatto con te ci vado... ascolta noi ci vediamo..

quando arrivi. . quando stai lì che entri dentro la Struttura AL:... va bene ci vediamo più tardi A:... mi dai uno squillo quando stai lì ti vengo incontro AL:...abbiamo 27 cose che potremmo ragionare insieme A:.. ce ne abbiano tante Silvio.. .. . . io sono veramente disperato AL:... no... no.. . invece non bisogna essere disperati A:... proprio mi viene da piangere.. . guarda AL:... no.. . non bisogna essere disperati A:... va beh.. .

AL:... parlo del futuro.. . non parlo del passato.. .

A:... eh? AL:... parlo del futuro.. . non parlo del passato A:... va bene.. . ti aspetto AL:... ci sono tante cose che si possono... hai capito? A:... ti aspetto.. .

I due, quel giorno torneranno a sentirsi alle 18.33. Per commentare il decreto che sposta il G8 dalla Maddalena a l'Aquila. E in questa circostanza, che la promessa di Albanesi ad Anemone si riferisca agli appalti della ricostruzione è ancora più chiaro. AL:... ho trovato il decreto.. . adesso me lo devo leggere perché è lungo 39 pagine... però il decreto individua il commissario (il commissario straordinario per il G8 de l'Aquila ndr .) che è il capo.. .(Bertolaso ndr .) A:... chi è? AL:... è il capo della.. . attuale A:... sì AL:... eh.. . però ci sono 4 vice.. . di cui uno con funzione di vicario A:... eh.. . ma non sappiamo i nomi però AL:... fino adesso.. . chi ha fatto il vice con funzione di vicario...è il prefetto... gli altri 3 non ne ho la minima idea.. . e invece il.. . non si parla della parola "attuatore".. .non l'ho vista.. .

però il soggetto che fa gli appalti A:... sì AL:... è quello di cui parlavamo prima A:... ok Insomma, Bertolaso commissario a l'Aquila è una garanzia. Per Anemone e, naturalmente per Balducci, che, con un sms al capo della Protezione civile, chiede subito udienza e saluta così il decreto di Palazzo Chigi: "Dove e quando vuoi. Mi fai sapere? Un abbraccio all'unico amico e fratello".

"MI SERVE UNO CON LE PALLE PER LA STRUTTURINA" Intanto, una settimana dopo, l'8 maggio, una telefonata tra lo "sciacallo" Piscicelli (P) e il suo capocantiere, tale Illuminati (I) dimostra che non è una millanteria telefonica con il cognato la circostanza che chi ha riso del terremoto sia stato immediatamente chiamato a metterci le mani. I:... ingegnere ditemi P:.. . buongiorno... allora pensate fra sabato e domenica una persona di coordinare camion escavatori..

operai e probabilmente anche l' Edilcapacci per fare.. . come si chiamano.. le carpenterie a... probabilmente lunedì ho il via per partire per L'Aquila I:...ah! ho capito P:...ecco... però ci vuole una persona e non potete essere voi perché siamo impelagati là... allora pensate qualcuno con le palle.. . che si mette là e che per noi coordina escavatori..

. camion e probabilmente l'Edilcapacci che porta i materiali per puntellare.. . fare carpenteria a puntellamento.. . quelle cose lì.. . e poi mano mano vedremo.. . non lo so.. . comunque ci vuole uno con i coglioni..

. incominciate.. . non è facile I:...ma deve coordinare i movimenti terra? P:...deve coordinare non solo i movimenti terra.. deve coordinare tutta questa strutturina.. . di gestione polivalente che va dai movimenti terra che non sono movimenti terra. . . sono movimenti alle carpenterie.. ci vuole una persona nostra che sta lì e coordina tutto questo.. . tutto questo va tutto in economia. . . avete capito?. . .. non è che ci sono misure e niente..

Burton Morris
18-04-10, 21:03
"La Repubblica", VENERDÌ, 19 FEBBRAIO 2010
Pagina 1 - Prima Pagina

LA TRIARCHIA DELL'EMERGENZA

GIUSEPPE D'AVANZO

DEFLAGRA lo scandalo della Protezione civile e Silvio Berlusconi urla ai magistrati "Vergognatevi!" e, in fretta, corre a nascondersi per sette giorni tra le quinte. Si defila. Sta alla larga, muto come un pesce. Ben protetto, attende gli eventi e ora che il fondo "gelatinoso"- familistico, combriccolare, spregiudicato, avidissimo - è in piena luce, il premier avverte il pericolo, come un fiato caldo sul collo. Può scoppiargli tra le mani, quest'affare. Prova a uscire dall'angolo. Rinuncia a trasformare in un soggetto di diritto privato, in una società per azioni, le "funzioni strumentali" della Protezione civile. Abbandona la pretesa di garantire l'impunità amministrativa a chi la governa. Accantona l'idea di imporre al Parlamento un altro voto di fiducia. Si accorge che quei passi indietro non sono sufficienti. Non lo proteggono abbastanza da quel che si scorge nel pozzo nero dove si sono infilati molti dei suoi fedelissimi, addirittura il coordinatore amatissimo del suo partito. Si decide a una proposta che, fiorita sulla sua bocca, appare avventurosa: "Chi sbaglia e commette dei reati non può pretendere di restare in nessun movimento politico" (se non se stesso, quanti del suo inner circle dovrà escludere dal Palazzo?). SEGUE AL DI là del messaggio promozionale che, vedrete, durerà il tempo della campagna elettorale, il premier si sente interrogato e coinvolto dallo scandalo.

Finalmente, perché il modello del trauma e del miracolo, dell'emergenza risolta con un prodigio - non è altro che questo la Protezione civile - è il fondamento della "politica del fare", la strategia che glorifica una leadership politica che ha in Gianni Letta la guida burocratico-amministrativa e in Guido Bertolaso il pilota tecnocratico. Il destino dell'uno è avvinto alla sorte dell'altro, degli altri, come in un indistricato nodo gordiano perché il sistema della Protezione civile è il prototipo del potere che Berlusconi pretende e costruisce. E' il dispositivo che anche pubblicamente Berlusconi invoca quando dice: "Per governare questo Paese ho bisogno dei poteri della Protezione civile".

La storia è nota, oramai. Il sovrano decide l'eccezione rimescolando l'emergenza con l'urgenzae infine l'urgenza con l'ordinarietà.

Nel "vuoto di diritto", cade ogni regola. Si umilia la legge. Il governo può affermare l'assolutezza del suo comando. Lo affida alla potenza tecnologica della Protezione civile, libera di decidere - al di là di ogni uguaglianza di chances - progetti, contratti, direzione dei lavori, ordini, commesse, consulenze, assunzioni, forniture, controlli. La scena è ancora più vivace se si rileggono le parole del bardo televisivo del premier: "Piaccia o non piaccia, Berlusconi è l'uomo del fare. Sbuffa contro le lentezze di un sistema bicamerale perfetto e si rifugia nei decreti legge. Lamenta gli estenuanti dibattiti parlamentari e propone di far votare solo i capigruppo. Si sente imbrigliato nei vincoli costituzionali che il presidente della Repubblica (e ora anche quello della Camera) gli ricordano. Ma appena arriva un'emergenza rinasce. Perché rinasce? Perché emergenza chiama commissario e il commissario agisce per le vie brevi, saltando le procedure. Guido Bertolaso e Gianni Letta si ammazzano di lavoro, l'uno sul campo, l'altro nelle retrovie di Palazzo Chigi. Ma il commissario ideologico è il Cavaliere. ... Quando va a L'Aquila, Berlusconi si siede con gli uomini della Protezione civile e guarda carte, rilievi, progetti. Niente doppie letture parlamentari in commissione e in aula, niente conferenze di servizi, niente rallentamenti burocratici, niente fondi virtuali" (Bruno Vespa, Panorama, settembre 2009).

Adesso sappiamo che cosa si è mosso e ritualmente si muove dietro l' emergenza, sia essa il G8 alla Maddalena, i rifiuti di Napoli, il terremoto dell'Aquila o i festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Berlusconi, "commissario ideologico", laboriosamente chino su "carte, rilievi e progetti" è un'immagine che bisogna ricordare. Racconta una presenza e una responsabilità. Spiega meglio di tante parole perché - ora che quel potere assoluto si scopre corrotto - lo scandalo della Protezione civile è lo scandalo di una leadership politica, il dissesto della "politica del fare", lo smascheramento della materia di cui è fatta, di un metodo, degli uomini che lo interpretano. Nel cerchio infimo della responsabilità troviamo gaglioffi che ridono di tragedie e lutti che presto diventeranno - soltanto per loro - fortuna e ricchezza; funzionari dello Stato che barattano i loro obblighi per i favori di una prostituta; giudici costituzionali in società con imprenditori malfamati; segretari generali di Palazzo Chigi che esigono prebende e benevolenze perché sanno di poterle pretendere (è a Palazzo Chigi, nella stanza di Gianni Letta, che tutto si decide e quindi...); un corteo di mogli, cognati, figli, fratelli - rumoroso e vorace come una nube di cavallette - in cerca di collocazione, incarichi, provvigioni, affari, magari soltanto uno stipendiuccio da incassare senza troppa fatica. Qualche malaccorto minimizza: non è una notizia che politici e amministratori si interessano di appalti. L'argomento dovrebbe chiudere il discorso, lasciare cadere in un canto che quegli appalti interessavano soltanto alcuni, sempre gli stessi, e non il mercato, non i migliori, non la pubblica utilità; far dimenticare che dove non ci sono regole, dove non soffia l'aria fresca dell'attenzionee della critica pubblicaè inevitabile che "cresca come un fungo una corruzione senza colpa".

Una corruzione senza colpa è quel che si scorge a occhio nudo nello scandalo della "politica del fare", al di là di ogni indagine giudiziaria, come se le condotte di quegli uomini di Stato e civil servant e professionisti e imprenditori fossero necessitate, come se le loro azioni fossero, più che una libera decisione, "un adempiere, un 'riempire' tasselli già pronti". Costretti in un "sistema", come può esservi responsabilità e castigo? In qualche modo, è vero perché "di rado un individuo si rende colpevole da solo", ha scritto Joseph De Maistre.

Le ragioni di quelle responsabilità devono essere rintracciate in un cerchio più alto, allora, nella triarchìa (Berlusconi, Letta, Bertolaso) che ha voluto e creato un metodo, ne ha amministrato le condizioni e i risultati, ha lasciato un salvacondotto a quei comportamenti storti. E' per questo che oggi Bertolaso e Letta devono mentire o dissimulare (non sapevamo, non siamo stati informati, siamo stati informati male) e Berlusconi deve lamentare che i suoi due collaboratori "sono stati ingannati". Bene. Ammettiamo che siano stati imbrogliati davvero e chiediamoci: Bertolasoe Letta hanno avuto la possibilità di non lasciarsi ingannare? Sono stati messi nella condizione di sapere e provvedere? Non dallo zibaldone delle intercettazioni, ma dalle stesse parole di Bertolaso si può trarre la conferma di una consapevolezza delle manovre smorte e della necessità di non punire per salvaguardare il "sistema".

Dice Bertolaso: "A un certo punto, ho scoperto che alla Maddalena dei lavori, che avevamo previsto costassero 300 milioni di euro, stavano per essere appaltati a 600. Incaricato della pratica era un certo De Santis. Io ho capito che qualcosa non tornava. Ho allontanato De Santis" ( il Giornale, 14 febbraio).

Dunque, salta fuori che l'ingegnere Fabio De Santis, "soggetto attuatore" dei progetti del G8 - Bertolaso finge di non sapere chi è, anche se lo ha scelto direttamente - potrebbe essere disonesto. Lo sostituisce. Non segnala a nessuno il suo sospetto o le sue certezze nemmeno quando Fabio De Santis, pur privo delle qualifiche idonee (non è un direttore generale), è nominato provveditore alle opere pubbliche in Toscana e Umbria, dove diventerà il perno di un "sottosistema" che ha il cardine politico nel coordinatore del Partito delle Libertà, Denis Verdini, e l'asse imprenditoriale in Riccardo Fusi della Baldassini-Tognozzi-Pontello.A livello locale, si riproduce un triangolo speculare e simmetrico a quel che governa lassù in alto, a Roma.

Bertolaso sa di non poter denunciare quel "certo De Santis" perché il sistema che sostiene la strategia dell'emergenza e il "fare" è oligarchico, protetto, "chiuso". Egli ne è parte costituente e perno essenziale. Sa del familismo di un altro "soggetto attuatore", Angelo Balducci, ma come denunciarlo se egli stesso, il gran capo della Protezione civile, il leader tecnocratico del "fare" berlusconiano, chiama al lavoro, dovunque operi, il cognato? Bertolaso sa dove si trova, sa qual è il suo mestiere e la sua parte in commedia, è consapevole di quali fili che non deve toccare, delle richieste che deve soddisfare.

Ancora un esempio, per comprendere meglio. E' tratto non dai brogliacci dei carabinieri, ma dal lavoro giornalistico. Si sa chi è Gianpaolo Tarantini. E'il ruffiano che ingaggia prostitute per addolcire le notti di Silvio Berlusconi. Si sa che Tarantini vuole lucrare da quella attività affari e ricchezza. Chiede al capo di governo di incontrare Bertolaso. Gli vuole presentare un suo socio o protetto, Enrico Intini, desideroso di entrare nella short list della Protezione civile. Berlusconi organizza il contatto. Bertolaso discute con Intini e Tarantini. Quando la storia diventa pubblica, Bertolaso dirà: "La Protezione civile non ha mai ordinato néa Intini néa Tarantini l'acquisto di una matita, di un cerotto o di un estintore". E' accaduto, per Intini, di meglio.

Peccato che Bertolaso non abbia mai avuto l'occasione di ricordarlo. L'impresa di Intini ha vinto "la gara per il nuovo Palazzo del cinema di Venezia, messa a punto dal Dipartimento guidato da Angelo Balducci, appalto da 61,3 milioni di euro". Scrive il Sole 24 ore: "La gara ha superato indenne i ricorsi delle imprese escluse e dell'Oice (organizzazioni di ingegneria) in virtù delle deroghe previste per la Protezione civile". Anche per Tarantini non è andata male. Ha una società che naviga in cattive acque, la "Tecno Hospital". La rileva "Myrmex" di Gian Luca Calvi, fratello di Gian Michele Calvi, direttore del progetto C.A.S.E., la ricostruzione all'Aquila di 183 edifici, 4.600 appartamenti per 17mila persone con appalti per 695 milioni di euro. Come si vede, forse il ruffiano di Berlusconi e il suo amico non hanno venduto alla Protezione civile una matita, ma la Protezione civile, direttamente o indirettamente, qualche beShakespeare ha scritto che per un governante "lasciare al misfatto ( evil) un qualche compiacente lasciapassare - invece di colpirlo - è l'equivalente di averlo ordinato" (Misura per misura). E' quel che si vede nello scandalo della "politica del fare". Chi governa, vede e sa. Lascia correre, chiude gli occhi e si volta dall'altra parte per proteggere un "sistema" che privatizza l'intervento dello Stato, chiudendolo nel cerchio stretto delle famiglie, degli amici politici, dei compari di convivio. Non si discute di responsabilità penali (se ci saranno, si vedrà, e poi quasi mai per capire e giudicare bisogna attendere una sentenza). E' in discussione un "sistema", un dispositivo di potere, chi lo ha creato, l'affidabilità di chi lo governa, la responsabilità di decisione e controllo che Berlusconi, Letta e Bertolaso si sono assunti dinanzi al Paese.

Gianni Letta, governatore della macchina burocratico-amministrativa in nome di Berlusconi, sarà anche stato distratto quando Angelo Balducci è asceso alla Presidenza del Consiglio superiore dei lavori pubblici (ora è in galera) o quando quel "certo De Santis" è stato destinato alle opere pubbliche della Toscana e dell'Umbria. Il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, candidato dal presidente del consiglio alla Presidenza della Repubblica, sarà stato anche "informato male" quando ha detto che non ha mai lavorato in Abruzzo (ci ha lavorato fin dalla prima ora), quel furfante che rideva mentre, alle 3,32 del 6 aprile del 2009, 308 aquilani morivano, 1.600 erano feriti e 63.415 restavano senza casa, ma ci si deve chiedere allora: quante volte Gianni Letta è stato "informato male" o è stato distratto negli anni dello "stato d'eccezione"? Lasciamo cadere ogni ipotesi di complicità o favore (e in alcuni casi è impossibile non scorgerla), come si possono conciliare i poteri assoluti della triarchìa con l'irresponsabilità con cui ha assolto al suo dovere? Né vale dire che all'Aquila i poteri straordinari della Protezione civile si sono rilevati efficienti. Come purtroppo si rendono conto gli aquilani, la "politica del fare", giorno dopo giorno, sta mostrando quel che era: miracolismo mediatico. Un modello centralista e autoritario - il prototipo del potere berlusconiano - ha trasformato un'antica città con un sistema urbano delicato e un centro storico prezioso e vitale (perderà due terzi degli abitanti e nulla si sa delle strategie e dei piani per farlo rivivere) in un deserto di venti periferie e quartieri satellite che travolgono i luoghi, la memoria, i legami sociali, deformandone l'identità culturale, pregiudicando un futuro a cui è stata promessa "la ricostruzione" e ha ottenuto soltanto un progetto edilizio e nulla più. Ma questa è un'altra storia che presto saranno gli stessi aquilani a raccontare. C'è da credere che saranno loro, gli aquilani, a spiegare agli italiani con il tempo e la loro infelice esperienza che cos'è davvero la "politica del fare", perché lo scandalo della Protezione civile è il tracollo di un prototipo di potere, il più clamoroso fallimento dell'"uomo del fare".

Burton Morris
18-04-10, 21:03
Elezioni regionali: la lista Bonino-Pannella denuncia la Rai alla Procura di Roma
Depositato stamane esposto-denuncia per omissioni d'atti d'ufficio
Roma, 19 febbraio 2010



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Questa mattina la Lista Bonino-Pannella, rappresentata dall’avv. Giuseppe Rossodivita, ha depositato presso la Procura di Roma, un esposto denuncia nei confronti del Direttore Generale della Rai, Mauro Masi, dei Consiglieri di Amministrazione - Giovanna Bianchi Clerici, Rodolfo De Laurentis, Alessio Gorla, Nino Rizzo Nervo, Guglielmo Rositani, Giorgio Van Straten, Antonio Verro, Angelo Maria Petroni- nonché dei direttori dei telegiornali nazionali e regionale per il reato di omissioni d’atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma 1, c.p.

A pochi giorni dal termine per la presentazione delle candidature per le prossime elezioni regionali, a causa della pressoché totale mancanza di informazione da parte della Rai, gli elettori continuano ad ignorare gli adempimenti previsti così come la possibilità di recarsi presso ogni Comune per la sottoscrizione delle liste.

Di fronte all’inerzia della Concessionaria di servizio pubblico rispetto a tali obblighi, previsti dall’art. 4, della legge n. 43 del 1995 e dall’articolo 8 del Regolamento della Commissione parlamentare di vigilanza, la Lista Bonino-Pannella aveva formalmente diffidato lo scorso 7 febbraio i soggetti segnalati oggi alla Procura.

Evidentemente, il DG ed il CDA della Rai hanno preferito occuparsi esclusivamente al tentativo di disinnescare le conquiste di legalità contenute per la prima volta nel Regolamento della Commissione parlamentare di vigilanza approvato una settimana fa.

Burton Morris
18-04-10, 21:04
ITALO BOCCHINO

Da "IL TEMPO" di venerdì 19 febbraio 2010

II vicecapogruppo PdI a Montecitorio «Si tratta di casi isolati che vanno comunque puniti»

Italo Bocchino «Cacciamo a pedate chi si mette a rubare»

Alessandro Bertasi a.bertasi@iltempo.it

Corruzione, malaffare e politica. Tre parole che Berlusconi non vuole più vedere accostate, soprattutto se si riferiscono al Pdl. «Chi si macchia di corruzione non può stare nel nostro partito» è lo sfogodel premier, che poi passa dalle parole ai fatti e predispone un disegno di legge che inasprisca le pene per chi si macchia di questo reato. Un provvedimento che piace al vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino, che segue la linea tracciata dal Cavaliere: «Il punto di forza di questo testo sta proprio nel fatto di rendere più rigide le norme contro la corruzione. L`opinione pubblica e tutti coloro che hanno responsabilità amministrativa devono capire che questo governo e questa maggioranza non possono tollerare nessun episodio, sebbene singolo, di corruzione a danno dei cittadini».

Onorevole Bocchino, crede veramente che si tratti solo di casi isolati? «Io penso che sia così.

Singoli casi che non possono essere considerati facenti parte di un sistema di degenerazione della politica.

Detto ciò, non sminuiamoli e soprattutto puniamo chi si macchia di questi reati sia penalmente, sia all`interno dei partiti, prestando sempre maggiore attenzione alla selezione qualitativa della classe dirigente» Cosentino alla fine si è dimesso da coordinatore regionale del Pdl in Campania.

Crede che la decisione sia stata una conseguenza delle accuse a suo carico per concorso esterno in associazione camorristica? «Per nulla. Le dimissioni di Cosentino sono legate esclusivamente alla sua contrarietà all`accordo con l`Udc nella provincia di Caserta.

Il mio auspicio è che ritiri le dimissioni, oppure che queste vengano respinte dal partito».

Crede che siamo nel bel mezzo di una seconda Tangentopoli? «No, non lo credo, anche perché non c`è un sistema marcio. Tangentopoli partiva dal presupposto che i partiti avessero bisogno di massicci finanziamenti. Oggi c`è il finanziamento pub blico, che è una scelta saggia in una democrazia matura.

Così si evita che ipartíti cerchino soldi».

Ma non le sembra che il malcostume ora sia quello di "finanziare" i singoli politici in cambio, difavori? «I finanziamenti ad personam sono previsti dalla normativa vigente. La legge dice che ogni persona fisica può dare a un politico fino a 50 mila euro all`anno e non c`è neppure bisogno della rendicontazione.

Quindi, se tutto avviene nella legalità, perché dovrebbero esserci problemi. Bisogna impedire invece che si violi la legge. Se ciò accadesse, la magistratura deve intervenire severamente e i partiti devono cacciare a pedate chi si fa corrompere».

Ritiene che le intercettazioni aiutino il processo di pulizia della politica? «Quello è un compito che spetta ai partiti che devono intervenire per isolare chi commette reati o ha dato vita a episodi di malcostume particolarmente gravi.

Se le intercettazioni riguardano rapporti di amicizia e cose che non prefigurano reato penale non c`è ragione perché il partito debba intervenire».

È arrivata l`ora anche nel Pdl di affrontare una sorta di "questione morale"? «Non c`è una questione morale all`interno del Pdl.

Poi, mi creda, il mio partito ha una rigidità nella scelta delle candidature che impedisce qualsiasi sorpresa».

Oggi Di Pietro ha detto che Berlusconi è come il conte Ugolino, divora e poi piange...

«La blocco subito, se Berlusconi "divora e piange", Di Pietro divora e basta».

Burton Morris
18-04-10, 21:04
Le accuse e la difesa: i primi dieci giorni dello scandalo appalti (http://archiviostorico.corriere.it/2010/febbraio/20/accuse_difesa_primi_dieci_giorni_co_9_100220004.sh tml)

protezione civile
I protagonisti


Le accuse e la difesa: i primi dieci giorni dello scandalo appalti
Nomi, legami, telefonate: radiografia dell' inchiesta.
I magistrati: Bertolaso ha accettato soldi contanti e prestazioni sessuali






Tre alti funzionari e un imprenditore in carcere per corruzione, ventisette persone indagate per lo stesso reato, una schiera di alti funzionari, politici intercettati indirettamente, dipendenti pubblici che al telefono mostrano dimestichezza con questo scambio tra appalti e favori che ha travolto la Protezione Civile. C' è tutto questo nelle oltre 20.000 pagine di atti giudiziari - dove le presunte violazioni penali si intrecciano con episodi di malcostume - che la procura di Perugia (che ha ereditato per competenza gli atti) sta adesso esaminando in attesa di decidere le prossime mosse. Un' attività parallela a quella dei magistrati fiorentini che attendono la decisione del giudice sulla richiesta di altre ordinanze presentata già da qualche settimana. A dieci giorni dagli arresti, si delineano le posizioni di accusa e difesa, e ci si prepara all' evoluzione di un' indagine che potrebbe avere a breve nuovi sviluppi. GLI ARRESTATI Angelo Balducci Funzionario delegato alla gestione Grandi Eventi e poi presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici è accusato di aver concesso appalti a imprenditori amici - con un' attenzione particolare per il gruppo che fa capo a Diego Anemone - in cambio di numerosi benefit. In particolare: telefoni cellulari, viaggi in idrovolante e aerei privati, automobili, lavori di manutenzione delle sue case, arredi, assunzione del figlio e della nuora, pagamento dello stipendio ai domestici. I magistrati gli contestano anche di essere in società con Anemone visto che le mogli di entrambi detengono il 75 per cento della società Erretifilm che si occupa di produzioni cinematografiche. Al giudice ha detto che si è equivocato sulle parole pronunciate al telefono anche perché si trattava di conversazioni tra amici. Poi ha consegnato i contratti con le aziende che prevedono la concessione ai «controllori» di auto e cellulari. Fabio De Santis Funzionario delegato alla gestione Grandi Eventi e poi provveditore ai lavori Pubblici in Toscana avrebbe anche lui aiutato alcuni imprenditori - in particolare il gruppo Anemone - a ottenere gli appalti del G8 a La Maddalena, quelli per i Mondiali di nuoto a Roma e alcuni per le celebrazioni del 150° anniversario dell' Unità d' Italia. In cambio: cellulari, autovetture, arredi e alcune prestazioni sessuali in alberghi di Roma e Venezia messi a disposizione da Diego Anemone. Non ha risposto alle domande del giudice. Il suo avvocato Remo Pannain ha dichiarato che «potrà chiarire tutto perché i benefit erano previsti dal contratto e il resto riguarda soltanto la sfera privata». Mauro Della Giovampaola Funzionario delegato al controllo del G8 a La Maddalena avrebbe favorito l' imprenditore Anemone ricevendo in cambio l' uso di un immobile, arredi e prestazioni sessuali. Davanti al giudice si è avvalso della facoltà di non rispondere. Diego Anemone A 39 anni è riuscito a far aggiudicare al suo gruppo una serie di appalti da milioni di euro: lo stadio del tennis e il nuovo museo di Tor Vergata, l' aeroporto di Perugia, tre lotti a La Maddalena. E gli contestano di averli ottenuti dopo aver elargito «favori e altre utilità» ai funzionari pubblici, compreso il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Anche lui non ha deciso finora di non rispondere al giudice. GLI INDAGATI Guido Bertolaso Il capo della Protezione Civile è accusato di corruzione: avrebbe accettato da Anemone «soldi contanti e prestazioni sessuali». Bertolaso ha negato in maniera categorica qualsiasi illecito, ma non è stato ancora interrogato. Nell' ordinanza del giudice sono riportate intercettazioni telefoniche dell' imprenditore arrestato che - in vista di un appuntamento con Bertolaso - chiede a un amico se può procurargli denaro contante. «Gli investigatori ritengono che abbia una certa fondatezza ritenere che detti incontri siano stati finalizzati alla consegna delle somme», scrive il giudice che evidentemente non vuole assumersi la paternità di questo sospetto. E in effetti al momento negli atti non si rintraccia riscontro alla dazione. Lo stesso magistrato ritiene invece «comprovata» la prestazione sessuale di una brasiliana di nome Monica all' interno del centro benessere del Salaria Sport Village (circolo sportivo di Anemone inserito nel circuito dei mondiali di nuoto) avvenuta il 14 dicembre e la ritiene una «contropartita». Denis Verdini Il coordinatore del Pdl è sospettato di aver favorito illecitamente la nomina di De Santis a provveditore della Toscana. Agli atti sono allegate numerose sue conversazioni, in particolare con Riccardo Fusi, patron dell' azienda toscana Btp, che gli chiede aiuto per ottenere gli appalti. Verdini dice più volte di essere a disposizione e utilizza per alcuni suoi spostamenti anche un elicottero messo a disposizione dall' imprenditore. Dopo aver appreso del suo coinvolgimento nell' inchiesta il parlamentare si è presentato ai pubblici ministeri. E ha dichiarato: «Fusi è un mio amico e gli ho presentato il mondo, ma certamente non per soldi. C' è un sistema, però non è illegale». Riccardo Fusi Sono decine le telefonate intercettate nelle quali l' imprenditore - con l' amministratore delegato Vincenzo Di Nardo - si attiva per ottenere i lavori. E riesce a essere inserito nel sistema. La ditta riesce ad aggiudicarsi la ricostruzione di una scuola a L' Aquila dopo il terremoto. Antonio Di Nardo Dipendente del ministero delle Infrastrutture, è uno degli uomini che mostra di poter gestire gli affari anche grazie ad alcune società nelle quali, secondo l' accusa, risulta essere gestore occulto. Ha rapporti diretti con i funzionari responsabili dei Grandi Eventi e segnala le ditte per gli appalti. I magistrati stanno anche valutando «i suoi rapporti con la criminalità organizzata campana e in particolare con soggetti vicini al clan camorristico dei Casalesi». Negli allegati ci sono sue conversazioni con Denis Verdini e con l' attuale presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro. Francesco De Vito Piscicelli È l' imprenditore che la notte del terremoto «ridevo nel letto». Lui ha negato di aver mai pronunciato quella frase, attribuendola al cognato. Mostra grande attivismo per procurarsi appalti e riesce a ottenere alcuni lavori per i mondiali di nuoto. I magistrati stanno verificando se abbia ottenuto altre commesse, lui ha negato di aver mai goduto di favoritismi. Mario Sancetta Presidente della Sezione di controllo della Corte dei Conti della Campania è in continuo contatto con imprenditori e funzionari del ministero delle Infrastrutture e dopo il terremoto de L' Aquila sollecita i suoi amici imprenditori ad attivarsi insieme a lui per farsi aggiudicare gli appalti. Dalle telefonate si capisce che a settembre 2008 ha chiesto l' intervento di Di Nardo, attraverso il coordinatore del Pdl Denis Verdini, per farsi nominare capo di gabinetto dal presidente del Senato Renato Schifani. I POLITICI Altero Matteoli Denis Verdini assicura a Riccardo Fusi di averlo contattato per risolvere una questione legata all' appalto della Scuola dei marescialli ed è stata intercettata anche una telefonata diretta tra il ministro delle Infrastrutture e lo stesso imprenditore che gli chiede aiuto, ma Matteoli lo informa che sta andando in ferie. Pubblicamente il ministro ha dichiarato «con serenità, e con una punta d' orgoglio, che i miei comportamenti e la mia azione alla guida del Dicastero sono stati e saranno sempre e solo improntati al rispetto delle leggi, delle regole e della massima trasparenza». Guido Viceconte e Mario Pepe Entrambi «sono interessati nel far aggiudicare lavori pubblici all' imprenditore Guido Ballari», ma nell' ordinanza viene anche sottolineato come «fino al dicembre 2003 Ballari e Pepe comparivano (il primo amministratore unico e il secondo socio) nella Eurogruppo servizi». In una telefonata Pepe parla pure di «far scorrere una graduatoria» con riferimento alla nomina di De Santis. Viceconte dice di aver fatto «solo un favore a un amico, basta questo per finire alla gogna?». Pepe afferma invece di aver soltanto comunicato al funzionario dei Grandi Eventi «che era stato fottuto. E per il resto posso dire che Ballari è mio amico dai tempi dell' università». I COMPRIMARI Giuseppe Tesauro Il giudice della Corte Costituzionale viene intercettato più volte mentre parla con Antonio Di Nardo e lo aiuta a risolvere un contenzioso con il ministero delle Infrastrutture legato alla sua doppia veste di dipendente pubblico e imprenditore. I due si vedono più volte. Tesauro è socio, insieme a Di Nardo e al giudice della Consulta Sancetta, di una società chiamata «Il Paese del Sole Immobiliare, srl». Ma si difende: «È stato mio cliente quarant' anni fa e si è rifatto vivo da poco. La società? Era un piccolo investimento in Sardegna, l' avevo dimenticato». Giancarlo Leone Dirigente della Rai, nelle telefonate intercettate mostra di essere buon amico di Angelo Balducci e di Diego Anemone. Con quest' ultimo parla spesso anche della ristrutturazione del suo appartamento del quale l' imprenditore si sta occupando. E si interessa di far inserire in una fiction della televisione di Stato il figlio attore di Balducci. Lui stesso assicura di aver provveduto anche a risolvere un problema che rischiava di farlo estromettere dalla produzione. Gaetano Blandini Direttore cinema del ministero dei Bene Culturali ha rapporti con Balducci e Anemone. L' indagine mira a verificare se li abbia agevolati la società delle loro mogli nell' erogazione dei fondi per le produzioni di film. Sarebbe riuscito a far assumere una persona di sua fiducia al dipartimento Grandi Eventi. Gli architetti e la sinistra Nelle conversazioni intercettate alcuni professionisti si lamentano perché «il sistema Veltroni» ha condizionato il sindaco di Firenze Domenici nella gestione degli appalti. Altri sostengono che «Balducci è uomo di Rutelli». Entrambi gli uomini politici del centrosinistra hanno smentito di essersi mai occupati di questo tipo di lavori.



Fiorenza Sarzanini


Pagina 9
(20 febbraio 2010) - Corriere della Sera

Burton Morris
18-04-10, 21:04
"La Repubblica", LUNEDÌ, 22 FEBBRAIO 2010
Pagina 2 - Cronaca

L'inchiesta

"Tangenti pulite e fatturate" il business consulenze d'oro nel sistema Protezione civile
Nuovo filone d'indagine: ecco la ragnatela di Bertolaso

GIUSEPPE D'AVANZO

LA FIGURA, le mosse abusive, la fiacchezza morale di Achille Toro sono decisivi per comprendere che cosaè accaduto; perché; che cosa accadrà ora; in quale budello è finito Bertolaso; la «tangente pulita» che oggi definisce la corruzione italiana. Achille Toro è l'influente procuratore aggiunto di Roma. Sovraintende le inchieste contro la pubblica amministrazione marcia. Si sente in pectore il nuovo procuratore della Capitale (ahinoi, se non fosse stato costretto a dimettersi, non avrebbe avuto torto a crederlo).

QUANDO le sue parole si manifestano nell'universo sonoro dell'inchiesta che esamina gli affari extra ordinem della Protezione civile, i pubblici ministeri di Firenze hanno già pronto il calendario delle loro iniziative. Due blocchi di arresti da eseguire nello stesso giorno dentro il sistema, direbbe Denis Verdini, cresciuto come una metastasi lungo il corpaccione ipertrofico della Protezione civilee nelle strutture di governo dei Lavori pubblici. L'uno e le altre sottomesse all'urgenza della politica di creare un cerchio chiuso e oligarchico di consenso e obbedienza.

I prosecutors hanno sistemato una stabile ragnatela intorno agli attori che decidono e beneficiano degli appalti del Dipartimento di Guido Bertolaso. Comunicazioni, dati, informazioni, immagini, documenti confermano, senza ambiguità, la scena e il delitto. All'ombra del "vuoto di diritto", creato dall' emergenza, si è formata una consorteria affaristica. Vi fanno parte imprenditori, spesso scadenti per capacità industriale, alti funzionari dello Stato delle opere pubbliche, influenti giudici amministrativi - regionali e della Corte dei conti - addetti ai controlli che, al contrario, sono cointeressati, in proprio, agli affari dei controllati. In cima alla piramide, Guido Bertolaso, onnipotente per la mano libera che gli consente la legislazione straordinaria, dominante per il rapporto diretto, protetto, esclusivo con il sottosegretario Gianni Letta e il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Bertolaso è al corrente di quel fondo fangoso? O, come dice oggi, è "parte lesa" perché non sa, non comprende, s'occupa di altro? Nell'inchiesta nata a Firenze, la mappa degli illegalismi, che ha il suo centro nella Protezione civile, è divisa in tre grandi aree: gli appalti "in deroga" del Dipartimento di Bertolaso (G8, Mondiali di nuoto, intervento nell'area terremotata dell'Aquila, celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia...); il quadro milionario che aiuta la distribuzione arbitraria delle consulenze per quelle opere ("tangenti pulite e fatturate", si sente dire); le manovre organizzate con gli "arbitrati", la decisione privata che risolve le controversie che oppongono le società appaltatrici di lavori pubblici alle amministrazioni che glieli hanno affidati (lo Stato è sempre perdente, soccombe nel 95 per cento dei casi).

Ogni inchiesta implica una strategia, un'economia, un modello.I pubblici ministeri di Firenze, nel loro lavoro, evitano fantasmi e forzature (modello). Si scoprono soltanto quando il terreno processuale appare solido, il reato documentato, le responsabilità ragionevolmente definite (strategia).

Non infieriscono con atti di accusa e carcere, se non è indispensabile (economia). Si può dire che, in altri luoghi, Bertolaso forse sarebbe stato arrestato. Di sicuro sarebbe stato arrestato Mario Sancetta, consigliere delle Corte dei conti e presidente di sezione. Doveva essere "controllore", dalle carte emerge come un intrigante mediatore di affari.

Suggerisce agli imprenditori dove giocare le loro chances, negli appalti del porto di Civitavecchia, della Fiera Spa di Milano, all'Aquila distrutta in aprile. Favorisce incontri (l'amico e imprenditore Rocco Lamino con Luisa Todini, parlamentare della maggioranza, alla guida di un'impresa vincitrice d'appalti per il terremoto abruzzese). Sancetta dice di avere "buoni argomenti per avvicinare Bertolaso" che ha procedimenti aperti alla Corte dei conti. Dice di poter condizionare ("influire") l'ex ministro Pietro Lunardi (è stato al ministero il capo del suo ufficio legislativo). Non si sa perché e come.

Il presidente Mario Sancetta non viene arrestato perché a Firenze avvertono la loro competenza incerta. Accade anche per Angelo Balducci, presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, interfaccia diretto di Bertolaso. L'intervento della procura di Roma appare il più coerente e corretto per legge.

Qui cominciano imprevisti incidenti. In quella procura c'è una toga infedele. È Achille Toro, il procuratore addetto ai reati della pubblica amministrazione. Offre servizi spionistici alla combriccola affaristica. Quando da Firenze avvertono Roma che presto saranno inviati i risultati di un'istruttoria che richiede, "per competenza", l'intervento della Capitale, Toro allerta la consorteria. Tra il 28 e il 30 gennaio, come ha raccontato ieri la Repubblica, i movimenti del network diventano indiavolati. Incontri di buon mattino "senza telefoni" anticipano che "pioverà molto". I discorsi, dinanzi al peggio, si fanno depressi. "Mi sembri un morto", dice la moglie ad Angelo Balducci. È vero, Balducci è molto sconfortato. Il procuratore gli ha fatto sapere che sarà arrestato. Il grand commis corre ai ripari. Chiama lo studio dell'avvocato Coppi prima di raggiungere Palazzo Chigi e incontrare Guido Bertolaso e "quell'altro", con ogni probabilità Gianni Letta. Toro, per suo conto, vuole essere più avveduto. Lavora subito per coprirsi le spalle. Convoca una cronista e gli "soffia" che "il telefono di Angelo Balducci è intercettato dai Ros per conto della procura di Firenze". La notizia sarà pubblicata il 9 febbraio. Tornerà utile se le cose si mettono male, pensa il magistrato. Si precostituisce un alibi. Potrebbe dire Toro a chi lo interroga: come potete pensare che abbia fatto la spia, la notizia dell'indagine e delle intercettazioni di Balducci era nota, pubblica, scritta nera su bianco nelle cronache. Non sanno - né Balducci né Toro - che i guai sono più vicini di quanto immaginano. Balducci sarà arrestato il giorno dopo. Toro saprà di essere indagato per violazione del segreto istruttorio e, una volta trasferita a Perugia l'indagine, per corruzione. Si dimetterà il 17 febbraio per scrollarsi così di dosso la probabilità di essere arrestato (ancora con la toga sulle spalle, avrebbe potuto inquinare le indagini). Il "servizio" offerto dal procuratore alla consorteria di imbroglioni mette sottosopra il calendario dei pubblici ministeri di Firenze. Sono costretti ora a muoversi in fretta. Volevano agire con due diversi iniziative (arresti a Roma e a Firenze). Ne devono privilegiare una, quella nella Capitale, per distruggere subito e in fretta la trama che tesse Achille Toro, per evitare fughe all'estero (un paio già in preparazione), l'inquinamento delle prove, la scomparsa dei documenti, le pressioni inevitabili del potere sulle burocrazie della sicurezza. L'urgenza non è priva di conseguenze. Lascia in secondo piano l'esame del gran circo degli "arbitrati" che costa allo Stato, più o meno, 350 milioni di euro l'anno e arricchisce di, più o meno, 25 milioni l'anno gli "arbitri": un ristretto club di avvocati - non più di una decina -, giudici amministrativi, avvocati generali dello Stato, giudici contabili. Il "tradimento" di Achille Toro provoca un secondo danno. Rallenta l'intervento sulla rete delle "tangenti pulite e fatturate", come ormai hanno imparatoa chiamarle anche fonti vicine all'inchiesta.

Si tratta di questo. La Protezione civile ha centinaia di consulenti. Ci sono consulenze di "area politica ed economica", di "ricerche e di indagine". Se ne rintracciano alcune stravaganti. "Consulenti di comunicazione politica e pubblica nel settore", consulenti di "accessibilità immediata agli specialisti del settore per la risoluzione di problematiche improvvise", "consulenti in strategie e tecniche dell'informazione, di immagine e divulgazione della cultura di protezione civile", consulenti per "coadiuvare il Capo del Dipartimento nelle attività collegate all'iter parlamentare dei provvedimenti legislativi", "consulente per le attività di comunicazione visiva". Ogni progetto o intervento della Protezione civile può rendere necessario, per un brevissimo, breve o lungo periodo, un'"assistenza tecnica", di "sperimentazione e analisi", dall'emergenza piogge in Friuli Venezia Giulia all'emergenza Pantelleria, dalla "Commissione generale di indirizzo Campionati del mondo di ciclismo su strada 2008" alle celebrazioni per il 150 anni dell'Unità d'Italia. I consulenti possono tirar su centinaia di migliaia di euro o anche trentamila euro per pochi giorni di lavoro e senza alcuna fatica o competenza. Le fumisterie degli incarichi corrispondono all'assoluta arbitrarietà degli ingaggi e delle selezioni, spesso direttamente decise da Guido Bertolaso. Tuttavia, se si guarda con attenzione ai nomi dei consulenti, alle loro famiglie e relazioni e ruoli pubblici, si intravede una razionalità e un disegno. Nelle liste dei consulenti delle più bizzarre e ben pagate consulenze, ci sono coloro che direttamente possono proteggere il sistema che si è creato negli interstizi operativi della Protezione civile.

La consulenza non è altro che "una tangente pulita e fatturata" per tener buono il giudice amministrativo, l'assessore riluttante, il giudice contabile, il pargolo scapestrato del parlamentare, il genero del capo corrente, il procuratore cui si chiede di farsi quietista e guardare da un'altra parte. È il modo di creare intorno al sistema un muro di supporters e un anello di complicità.

Terzo e ultimo danno per l'inchiesta di Firenze.

L'infedeltà di Toro ha costretto a una discovery anticipata. La premura ha frenato l'accertamento di che cosa sapesse davvero Guido Bertolaso di quel che si muoveva dentro e intorno alle traboccanti responsabilità. È l'ultima questione da affrontare.

Sembra di poter dire: Bertolaso crede che convincere sia ingannare. Ancora ieri ha ripetuto: "Vogliono distruggere la mia credibilità". Il fatto è che la sua affidabilità è in calare per quel che non ha fatto, quando sarebbe stato necessario, e per quel che oggi dice e dissimula risistemando gli avvenimenti del passato come meglio gli conviene. Dice: nessuno mi ha avvertito, mentre è stato avvertito dell'indagine e proprio dal maggiore indagato, Angelo Balducci. È una prognosi con un forte rilievo induttivo che il presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, messo sul chi vive dalle informazioni che abusivamente gli offre Achille Toro, si precipiti a Palazzo Chigi e riveli al capo del Dipartimento della Protezione civile le rogne che sono vicine. È una suggestione, è vero, anche se molto ragionevole. Con chi volete che ne parli, quel pover'uomo di Balducci? È vicino alla rovina. Lo è, non soltanto per le sue voglie, ma anche per le azioni che hanno mosso e assestato tasselli già pronti, integrato con la sua influenza e potere e docilità il sistema che ha, nel suo vertice operativo, Guido Bertolaso. Oggi Bertolaso disconosce Balducci.

Nelle sue parole Balducci appare un tipo che si è ritrovato tra i piedi, non ha potuto evitare, anche se l'avrebbe fatto volentieri. Non sapeva che fosse quel fior di manigoldo ("Sono stato ingannato", dice). Nella storia dell'indagine di Firenze, invece, ci sonoi segni della loro antica relazione,a volte complice. Quando il 30 gennaio, il presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici si precipita a Palazzo Chigi per incontrare "Bertolaso e quell'altro" non è la prima volta che invoca l'aiuto dell'onnipotente leader tecnocratico del governo. Accade anche alla fine del 2008. Succede questo. L'Espresso racconta (23 dicembre) come in una casa di produzioni cinematografica, la Erretifilm srl, si incrocino i destini di Rosanna Thau, 62 anni, moglie di Angelo Balducci, e di Vanessa Pascucci, 37 anni, moglie di quel Diego Anemone che, pur dichiarando 26 dipendenti, si taglia la fetta più grossa dei 300 milioni di euro necessari per costruire il centro congressi per il G8 della Maddalena. In quell'occasione, Balducci concorda con Bertolaso una lettera per denunciare "la evidente natura scandalistica dell'articolo [che] introduce, ad arte, le attività hobbistiche della signora Thau, ventilando commistioni del tutto inesistenti". Bertolaso prende subito,e pubblicamente, per buona la replica. Nelle stesse ore diffonde un comunicato: "Il capo del Dipartimento della Protezione Civile e commissario delegato per il G8, dott. Guido Bertolaso, ha ricevuto dall'ingegner Balducci una relazione che ribadisce la regolarità delle procedure seguite ed esclude qualsiasi legame familiare con imprese impegnate nella realizzazione delle opere". Pur promettendo la massima trasparenza sul caso, la Protezione civile toglie in quelle ore dal suo sito le ordinanze di Palazzo Chigi con cui Balducci era stato nominato "soggetto attuatore" e il provvedimento con cui Silvio Berlusconi ha chiesto a Bertolaso di "assicurare un'adeguata attività di verifica degli interventi infrastrutturali posti in essere dai soggetti attuatori". È una buona occasione per tagliare i ponti con Balducci. Non accade. È il momento giusto per liquidare quel Anemone. Non accade neanche questo. Al contrario, le carte fiorentine raccontano come il capo della Protezione civile accetti di incontrare l'imprenditore, non in ufficio né al circolo della Salaria. Si incontrano in strada, in piazza Ungheria ai Parioli. Parlano di appalti.

Di lievitazione e adeguamento di prezzi. Con la soddisfazione di Anemone che, salutato Bertolaso, dice ai suoi compari: "L'ho convinto". I modi per difendersi e di persuadere sono molti. Quelli scelti da Guido Bertolaso, finora, devono far dimenticare troppi ricordi e indizi e prove per poter essere efficaci e convincerci che egli ignorasse i segreti della sua bottega.

Burton Morris
18-04-10, 21:04
"La Repubblica", LUNEDÌ, 22 FEBBRAIO 2010
Pagina 20 - Commenti

LETTERE,COMMENTI&IDEE LINEA DI CONFINE

Il Paese dove fioriscono gli anemoni

MARIO PIRANI

Vacua discussione semantica il quesito se il ritorno della corruzione segni la riedizione di Tangentopoli. Quel che la rende più pervasiva, sfuggente per mille canali, è il suo rifrangersi nei singoli rapporti minori, nella vita quotidiana, nell'annebbiarsi di ogni confine tra lecito e illecito. Un fenomeno che va osservato guardando non solo agli appalti milionari o alle grandi opere ma alla sopraffazione di ogni giorno, al regime di dominio imposto da potenti boss locali, fuori dei riflettori dei mass media nazionali, ai voti di scambio e di «favori» che si svolgono in teatri periferici. Gli «anemoni» ormai fioriscono ovunque. Solo per caso sono venuto in possesso di uno straordinario libro, scritto da un anziano pensionato, ex presidente delle cooperative di Campobasso, il signor Vinicio D'Ambrosio, che ha compilato 500 pagine di avvincente documentazione su «Il regno del Molise - Sprechi, scandali e inchieste giudiziarie nell'Isola felice governata da Michele Iorio»(Ed. Il Chiostro, Benevento, ma se lo volete, meglio cercarlo in: info@edizioni - il chiostro. it). Sembra il copione di uno dei quei film di Frank Capra, con l'ingenuo e onesto eroe in impari lotta col potente Governatore dello Stato. Solo che in quei film l'onesto alla fine vince, qui mi semba assai difficile, perché il governatore, un berlusconiano doc, si è praticamente «comprato» la Regione, la più piccola d'Italia, dopo la Val d'Aosta. Poco più di trecentomila abitanti in tutto con la caratteristica di avere ben 69,1 dipendenti pubblici a libro paga, ogni mille abitanti, un record unico in Italia, se si esclude il Lazio, che però conta i ministeri e gli uffici centrali. Primo posto relativo alla popolazione anche per diarie, stipendi e consulenze, al Molise tocca anche il primato dei trasferimenti dallo Stato: più di 1000 euro pro capite contro i 243 della media italiana. Statisticamente si può arguire che quasi non esista famiglia che non si senta beneficiata e non finisca per considerare naturali anche i lussi che il sultano locale si concede: a cominciare dallo stipendio di 144.457 euro netti, più dei suoi colleghi della Liguria, del Piemonte, dell'Emilia, dell'Abruzzo, della Toscana, ma anche più del governatore della California.

In compenso i buchi di bilancio sono enormi. Mi limito a quello della Sanità che anch'esso tocca un record nazionale: con 75 milioni nel 2008 e i previsti 83 nel 2009 (quindi in crescita malgrado gli impegni di rientro) risultando il più alto in Italia in assoluto in rapporto al Fondo ricevuto dallo Stato. Del resto non a caso commissario al risanamento è stato nominato lo stesso Iorio che si è guardato bene dall'applicare le misure di appropriatezza nella spesa suggerite dall'Agenzia sanitaria nazionale, come, ad esempio, imporre al Gemelli locale di eseguire le terapie oncologiche in day hospital al costo di 350 euro al giorno e non in regime di ricovero (1500 euro al giorno) come seguita a fare, a spese della Regione. Il consenso paga. Lo sa bene Iorio che ne è maestro, con predilezione particolare per la Sanità dove gode di un rapporto particolarmente «affettivo»: il figlio Luca è in carico come medico all'Ospedale di Isernia, l'altro, Raffaele, dirige nello stesso capoluogo un centro ortopedico privato, dopo che il reparto di ortopedia del nosocomio pubblico è stato chiuso d'imperio, la sorella Rosetta è direttore del Distretto sanitario della città, suo marito, Sergio Tartaglione è primario del reparto di psichiatria e presidente dell'Ordine dei medici, il fratello Nicola è primario di neurofisiopatologia (?), il cugino di Iorio, Vincenzo Bizzarro, consigliere del Pdl, è ex direttore del distretto sanitario mentre la moglie, Luciana De Colaè vice direttore sanitario dell'ospedale.

Un piccolo florilegio tra le nefandezze raccolto dal valoroso D'Ambrosio. E dai magistrati che hanno rinviato Iorio a giudizio in due processi, mentre l'inchiesta è in corso in altri due.

Troverà egualmente posto nelle «liste pulite» promesse da Berlusconi?

Burton Morris
18-04-10, 21:05
Int. a Emma Bonino: «Strage di legalità senza precedenti»

• da Il Clandestino del 23 febbraio 2010

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di Antonio Pitoni

Quando il gioco si fa duro, non sono certo tipi da passare la mano i Radicali. Che anzi rilanciano, con Emma Bonino che dopo le denunce dei giorni scorsi ha deciso di aumentare il fuoco della controffensiva. Sciopero della fame e della sete, annunciato a Milano al fianco di Marco Cappato, candidato governatore della Lombardia, come ulteriore iniziativa di lotta contro «l`illegalità di queste elezioni regionali».

E` stata una scelta inevitabile?
«Abbiamo documentato e avvertito tutte le istituzioni preposte che si stavano violando le regole della legge elettorale. Ma permanendo questa strage di legalità senza precedenti. In realtà ci troviamo di fronte alla preclusione inflitta ai cittadini italiani che volessero votare liste che non
saranno presenti sulle schede, non perché assenti dal panorama politico nazionale, ma perché costrette a dimostrare la propria esistenza, anche quando, come nel nostro caso, parliamo di partiti
con una antica e conclamata storia alle spalle. Per questo, lungi dall`alzare bandiera bianca,
ho di deciso di accompagnare le nostre ripetute denunce con questa iniziativa nonviolenta di sciopero totale della fame e della sete».

Cosa contestate in particolare nel merito?
«La violazione di tre principi fondamentali: l`obbligo dei Comuni, nei 20 giorni precedenti il termine della presentazione delle liste, di consentire la raccolta delle firme necessarie per almeno
dieci ore al giorno, oltre al ruolo attribuito agli organi di informazione di proprietà pubblica di informare i cittadini dell`obbligo previsto a carico dei Comuni.
Terzo, dal momento che nulla di tutto questo è avvenuto, la violazione della funzione di servizio pubblico dei 3oomila circa autenticatori che dovrebbero garantire questo servizio. Insomma, da un
lato ci viene impedito di sottoporci al giudizio degli elettori e dall`altro si impedisce agli elettori
di esprimere le proprie opinioni politico-elettorali. E poi vorrei toccare anche un altro aspetto... ».

Sarebbe a dire?
«Le cronache degli ultimi giorni sono intasate da notizie su Tangentopoli, corruzione e questione morale. Ma ritengo che l`illegalità sia ancora più grave quando a determinarla sono le istituzioni, abdicando al loro ruolo, e non comuni malfattori».


Cosa vi aspettate, quindi, dalle Istituzioni anche attraverso il suo sciopero della fame e della sete?
«Che chi può e deve torni ad esercitare le proprie prerogative per riparare il mal fatto fino ad oggi. Del resto, negli ultimi anni, di decreti legge in prossimità delle elezioni per spostare date del voto, aumentare o diminuire le firme, se ne ricordano svariati. Dei resto, legalità e trasparenza
sono le due parole che più diffusamente mi sento ripetere dai cittadini in questa campagna elettorale».

Burton Morris
18-04-10, 21:05
Altro che liste pulite. Nel Pdl c'è il pienone di indagati e famigli

• da Il Riformista del 24 febbraio 2010

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di Alessandro De Angelis

Sarà che i «legami gelatinosi» vanno di moda, tanto che nelle inchieste fiorentine la rete si è
estesa dai big - da Angelo Balducci in giù - a figli, amici e parenti. O, più semplicemente, sarà
che il Pdl alla famiglia ci tiene da sempre. Forse per questo le liste per le regionali sono avvolte dalla gelatina del «tengo famiglia». Pare che l'operazione trasparenza nel Pdl non è piaciuta molto. Di certo non l'ha apprezzata Nicola Cosentino che a Caldoro ha sottoposto una lista di fedelissimi, tutti con problemi giudiziari: Domenico De Siano, ex sindaco di Lacco Ameno, indagato dalla procura di Napoli nell`ambito dell`inchiesta per la costruzione dell'approdo turistico del piccolo comune vicino a Ischia; Alberico Gambino, ex sindaco di Pagani, condannato per peculato a causa dell'uso improprio della carta di credito intestata al primo cittadino; Luciano Passariello, capogruppo del Pdl in regione e il consigliere regionale e Pietro
Diodato entrambi raggiunti da un avviso di garanzia nell`inchiesta sui rimborsi chilometrici.
Da sud a nord non si contano i candidati pidiellini coinvolti in inchieste. In Piemonte aveva già
messo i manifesti il presidente della provincia di Vercelli, Renzo Masoero quando è stato arrestato, pochi giorni fa, per concussione. Pare invece certa la candidatura del capogruppo in regione Angelo Burzi anche se dovrà affrontare un processo per istigazione alla corruzione per uno scandalo che lo avrebbe coinvolto quando era assessore al Bilancio con Ghigo. E nelle liste
del Pdl circola pure il nome di Angiolino Mastrullo, arrestato nell`80 per uno scandalo sulle
forniture di carne alle Asl e nuovamente arrestato nel 1995 per corruzione falso. In quel caso
patteggiò la pena. Tra l`altro se dovesse vincere in Roberto Cota, il primo dei non eletti alla Camera nelle liste della Lega è Maurizio Grassano, ex presidente del consiglio comunale di Alessandria. Peccato che è stato arrestato qualche tempo fa per con l`accusa di falso finalizzato alla truffa aggravata ai danni del Comune.
Forse proprio per questo via vai nei tribunali che il coordinatore del Pdl Ignazio La Russa ha
stabilito un criterio meno rigido sull'operazione liste pulite: «Abbiamo deciso questo metodo: chi
ha un rinvio a giudizio a carico sarà invitato a non candidarsi, salvo che si tratti di reati assolutamente marginali. Per tutti gli altri casi la possibilità di candidatura è possibile». E in Lombardia sarà candidato Gianluca Rinaldin consigliere uscente coinvolto in un`inchiesta a Como (per truffa e falso in atto pubblico), a meno che il gup - la decisione è attesa per oggi - non gli comunichi il rinvio a giudizio. Via libera pure a Massimo Ponzoni, l'assessore ascoltato dalla procura di Milano nell`inchiesta sul re delle bonifiche Giuseppe Grossi, nonostante i rumours nel partito lombardo su un presunto avviso di garanzia a suo carico. Così come sarà in lista Giancarlo Abelli, il ras della sanità lombarda e parlamentare la cui moglie Rosanna Gariboldi è finita in galera nell'ambito della stessa inchiesta.
Da inquisitopoli a parentopoli. E' la versione capitolina del «tengo famiglia»: amici, parenti, amici degli amici. Ecco che il listino di Renata Polverini lo guiderà la first lady della capitale Isabella Rauti, moglie del sindaco Alemanno e capo del dipartimento delle Pari opportunità al
ministero di Mara Carfagna. Merito o parentela? Chissà. E' certo che l`amletico quesito non riguarda solo lei. Carlo De Romanis, uomo di fiducia di Antonio Tajani, alle scorse europee non ebbe fortuna. Quindi, posto sicuro nel listino anche per lui, con la benedizione del commissario
europeo.
Del resto, si sa che il Cavaliere ama i giovani. E per l`occasione ha trovato posto - sempre nel listino - anche Alessia Amore, 26 anni, sponsorizzata da Alfredo Pallone europarlamentare e vicecoordinatore laziale del Pdl vicinissimo a Fabrizio Cicchitto. Chi è Alessia Amore? Nel curriculum vanta un`apparizione al congresso fondativo del Pdl. Quando, insieme ad altre tre giovani acqua e sapone lesse, a inizio lavori, un discorsetto preparato per l`occasione a palazzo Grazioli. Dall`Amore all`amicizia. E' stata inserita nel listino anche Antonia Postorivo, che ha credenziali di tutto rispetto. Quali? Un marito eccellente, il senatore siciliano ex Forza Italia Antonio D'Alì. E un lavoro da avvocato nello studio di Cesare Previti, che dal cuore del Capo
non è mai uscito.
Perché nel Pdl al cuor non si comanda. Ecco dunque che anche le liste, dove servono un bel pò di preferenze, sono tenute assieme dalla dolce gelatina familiare, sia nella corrente di Gianni Alemanno sia in quella di Maurizio Gasparri. Sarà ricandidato, come si usa, il consigliere uscente Pietro Di Paolo, che per inciso è il marito di Barbara Saltamartini, parlamentare vicinissima al sindaco di Roma. Così come sarà ricandidato Erder Mazzocchi, figlio di Antonio Mazzocchi, altro parlamentare alemanniano.
Tra i fedelissimi di Maurizio Gasparri e del suo plenipotenziario Fabio Rampelli è confermato - e questo è ovvio - il consigliere uscente Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni. Per inciso: al suo ministero lavora come dirigente Emanuela Rampelli, la sorella di Fabio. Molto probabile anche la candidatura, sempre nello stesso giro, di Pier Paolo Terranova: è il marito di Laura Marsilio, assessore alla scuola del Comune di Roma, che (sarà un dettaglio?) è pure sorella del parlamentare ex aennino Marco Marsilio. Ed è probabile pure la candidatura di Luca Gramazio, consigliere comunale a Roma, il cui papà Domenico di mestiere fa il senatore con un trascorso nella destra sociale di Alemanno e un presente con Maurizio Gasparri. E le veline? Per ora è blindata nel listino lombardo solo Nicole Minetti, la bella igienista dentate del Cavaliere nonché ballerina di Colorado Cafè.
Il premier, raccontano, è stato intransigente. C'è gelatina e gelatina.

Burton Morris
18-04-10, 21:05
"La Stampa", 24 Febbraio 2010, pag. 1

Michele Ainis

La repubblica dei corrotti



Benvenuti nella Repubblica dei corrotti: c’è posto per tutti e non c’è neanche bisogno di mettersi ordinatamente in fila, tanto nessuno la rispetta. Ma come abbiamo fatto a guadagnarci questo speciale passaporto? Perché siamo inquilini d’uno Stato senza Stato, ha osservato ieri Luca di Montezemolo. E perché in questo vuoto prosperano l’inefficienza pubblica e l’illegalità privata.
Ma prospera inoltre un paradosso, giacché nel nostro caso il vuoto dipende in realtà dal troppo pieno. Non è che ci abbia lasciato orfani lo Stato: semmai è cresciuto a dismisura, è diventato un elefante impietrito dalla sua stessa mole. Non è che in Italia manchino le leggi: ne abbiamo viceversa fin troppe sul groppone, col risultato che s’elidono a vicenda, e in ultimo ciascuno fa come gli pare. Non è che il Paese soffra l’assenza di un’energia riformatrice, come il corpo d’un malato lasciato senza medicine: le medicine sono a loro volta troppe, troppi i dottori che ce le somministrano, e ovviamente ogni dottore cambia la terapia confezionata da chi lo aveva preceduto. Sicché alla fine della giostra il paziente muore intossicato.
Valga per tutti il caso dell’università. Noi professori siamo costretti ormai da anni a un andirivieni normativo, dato che ogni governo si sente in obbligo di riformare la legge di riforma, quella varata dal vecchio esecutivo. Le riforme, poi, non sempre fanno tabula rasa del passato ordinamento; più spesso vi s’innestano, crescono per superfetazione, e infatti in questo momento gli atenei italiani offrono simultaneamente corsi di laurea diversi per durata, per numero d’esami, per disciplina complessiva. Non sapendo come diavolo chiamarli, li distinguono in relazione al vecchio, al nuovo e al «nuovissimo» ordinamento, con buona pace dell’Accademia della Crusca. Nel frattempo l’università ha sperimentato più divorzi di Liz Taylor: prima fusa con la scuola sotto un unico ministro, poi retta da un dicastero autonomo, ora di nuovo coniugata. Ma a conti fatti abbandonata al suo destino, perché nessuna riforma può generare frutti se non le si lascia il tempo d’attecchire. Dal pieno nasce dunque il vuoto, ed è esattamente in questo vuoto che hanno messo radici parentopoli, concorsopoli e gli altri scandali dell’università. Per forza, con 111 leggi in materia d’istruzione negli ultimi tre lustri, tutte elencate e consultabili nel sito web di Montecitorio.
Ecco, le leggi. Nonostante le buone intenzioni del ministro Calderoli, ne abbiamo ancora 20 mila in circolo. Senza contare quelle regionali (all’incirca 25 mila), né i regolamenti del governo (70 mila). Significa che il nostro diritto è un corpo opaco, inconoscibile per gli stessi addetti ai lavori. Significa al contempo che i furbi trovano sempre una scialuppa normativa che li conduce in salvo, mentre l’onesto annega. Ma questa ipertrofia della legislazione nutre a sua volta il corpaccione dello Stato, e a sua volta ne è nutrita. Anche qui basterà un esempio. Nell’officina del diritto ospitata da Palazzo Chigi c’erano 345 dipendenti sotto il Duce; oggi sono quasi 5 mila. E anche quando lo Stato si sottopone a una cura dimagrante, cedendo quote di potere, finisce per moltiplicare gli apparati burocratici (è il caso delle Regioni), oppure per moltiplicare i controllori, i quali giocoforza si pestano i piedi a vicenda (è il caso delle authorities, che ormai sono una dozzina).
Insomma, la nostra malattia morale s’accompagna a una bulimia di leggi, di istituzioni, d’apparati. Sarà la fame atavica dei politici italiani, che non sanno rinunciare a una provincia inutile o ai mille posti in Parlamento per non sparecchiare la tavola imbandita. Sarà l’idea di passare in gloria con la riforma del millennio. Però c’è almeno una virtù che a questo punto dovrebbero esibire: la virtù dell’astinenza.


michele.ainis@uniroma3.it

Burton Morris
18-04-10, 21:05
Regionali, Staderini a Maroni, da giorni abbiamo documentato pubblicamente le omissioni e le violazioni di legge

24 febbraio 2010



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Dichiarazione di Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani
Il Ministro Maroni sa bene che da giorni abbiamo documentato pubblicamente le omissioni e le violazioni di legge che hanno di fatto abolito i diritti dei cittadini nella fase preelettorale di presentazione delle liste.
La violazione dell’art 1, comma 4 della legge 43/95, ad esempio, è un fatto incontestato: la RAI non ha informato gli italiani, nei tempi e con le modalità previste, del loro diritto di sottoscrivere le liste. Ed ancora oggi molti Comuni non rispettano le prescrizioni su orari d’apertura e avvisi pubblici, per non parlare dell’assenza di un vero servizio di autenticazione delle firme.
Quanto al cambiare le regole ad un mese prima delle elezioni, vorrei innanzitutto ricordare al Ministro che tra gennaio e febbraio del 2010 sono stati modificati persino i sistemi elettorali di ben tre regioni (Calabria, Basilicata ed Umbria), determinando tra l’altro una grave incertezza sugli adempimenti necessari.
Sono queste le ragioni che rendono non solo opportuno ma doveroso l’intervento del Governo.
Infatti, che il Governo possa intervenire con un decreto legge in materia elettorale in prossimità del voto non è una opinione, ma la costante degli ultimi 15 anni.
L’esempio più recente è il DL n. 24 del 15 febbraio 2008, con il quale, a soli 27 giorni dalla scadenza del relativo termine, fu previsto l’esonero delle sottoscrizioni delle liste che rispettavano determinati requisiti. Prima di esso, almeno altre 5 volte fu usato proprio un decreto legge in prossimità del voto, mentre con il DL n.90 del 29 marzo 1995 si prorogò addirittura il termine di presentazione delle liste proprio alla luce del mancato funzionamento dello Stato, “ritenendo la straordinaria necessità ed urgenza nell’impossibilità per le forze politiche di avvalersi di un congruo periodo di tempo ai fini della raccolta delle sottoscrizioni”,

Burton Morris
18-04-10, 21:06
"La Repubblica", VENERDÌ, 26 FEBBRAIO 2010
Pagina 11 - Interni

L´uomo del boss e le schede pre-votate: così in Germania Nicola diventò senatore
Nelle intercettazioni la rete dei falsi . "Si fanno anche al consolato"
"Siamo entrati in uno schifo di casa di italiani: il cane che abbaiava, la figlia che cacava"

ETTORE LIVINI
MILANO - Il manuale della caccia al voto per il Parlamento italiano, da questa settimana, ha il suo nuovo testo di riferimento: le intercettazioni del caso Nicola Di Girolamo. Una trentina di pagine dell´ordinanza dell´inchiesta Phuncard, dove gli inquirenti hanno raccolto passo passo l´appassionante lavoro della macchina elettorale messa in piedi dal candidato Pdl e dalla ‘ndrangheta calabrese per conquistare una poltrona in Parlamento, rastrellando voti tra gli italiani emigrati in Germania nell´aprile 2008. In campo un´organizzazione sui generis. Un po´ brancaleonesca, con un senso dell´orientamento approssimativo («siamo andati a Nord, poi stamo a tornà a sud, poi andiamo a ovest, quindi a est», spiegano al telefono). Ma efficace: «Un plebiscito! – festeggia alle 18.27 del 16 aprile 2008 a urne aperte il neo senatore al telefono con il boss Franco Pugliese –. 24.500 voti. Un´operazione strepitosa». Costruita, come raccontano le carte della magistratura, su un´impressionante marea di brogli.
La caccia al voto della premiata ditta Di Girolamo-Pugliese è partita un po´ alla buona da Esslingen, 15 km. da Stoccarda solo un paio di settimane prima delle elezioni. In campo due uomini. Roberto Macori (collaboratore di Gennaro Mockbel) nel ruolo di autista un po´ schizzinoso e il vero "cacciatore": Giovanni Gabriele, uomo di fiducia del clan di Capo Rizzuto, o meglio – come racconta al telefono Macori a Di Girolamo – «il capo della direzione germanica». Sede operativa: la sede di un Inter Club presso la città tedesca.
Il piano è semplice. Partenza la mattina («facciamo 4-500 km al giorno, si lamenta Macori) per battere palmo a palmo i quartieri italiani dove Gabriele – preceduto dalle raccomandazioni della ‘ndrangheta – raccoglie e compila le schede elettorali con il nome di Di Girolamo. La politica, si sa, è una cosa sporca. Ma così sporca, evidentemente, non se l´aspettava nemmeno Macori: «Siamo entrati nel quartiere turco – racconta il 3 aprile all´aspirante senatore –. Non sai che vuol dire. Una casa di schifo di disperati italiani, il cane che abbaiava, la ragazzina che cacava». Lui, lo intercettano gli inquirenti, non vuol «metter piede dentro». Gabriele non si formalizza. Sfodera «la sua verve calabrese» – come dice ammirato il compagno d´avventura – e tra cani e bambini si porta a casa 20 voti.
La verve dell´uomo di Pugliese, evidentemente, è assai convincente. Soprattutto se oliata dai soldi garantiti dalla macchina elettorale di Di Girolamo & C. («mandami ancora due sacchi», chiede Macori al telefono a Mockbel). «Stanno scendendo voti da Stoccarda e da Francoforte», li intercettano gli inquirenti. «Ho scritto io 40 schede», dice Gabriele, rimproverato dal compagno che gli raccomanda più prudenza al telefono («Devi parlare con gli elettori, non scrivere»).
La caccia al voto, tra l´altro, non è in atto solo a Stoccarda. Il risiko è europeo. «Tu ti sei fatto la Germania – dice Mockbel a Macori il 10 aprile –. Uno ce sta a fa la Francia, quello ‘ndo stanno oggi si so´ fatti i paesi Bassi». Piovono promesse. E non solo. «Il sondaggio di Marcianise dice 200», dice un più criptico Gabriele. «Sei un mito Giovà, fotografa, fotografa». Tanto per avere le prove. I due calcolano di aver messo insieme mille voti. «Ieri notte abbiamo fatto l´ultimo sforzo al consolato», racconta Macori a Di Girolamo alla vigilia del voto. «State facendo un capolavoro», si complimenta lui.
I conti alla fine tornano. La macchina da voti ha funzionato: «Amico senatore», si complimenta il boss pugliese con Di girolamo il 16 aprile. «Mi hai detto che avrei toccato i frutti con mano – risponde lui – e direi che li abbiamo toccati. Abbiamo davanti un grande futuro». I due acchiappa-voti sul campo lo sanno: ««´Amo gettato le basi – commenta soddisfatto del suo lavoro Macori – cementato proprio, ce potemo costruire il Colosseo qui».
Si vedrà alle prossime elezioni. Di certo Silvio Berlusconi ci aveva visto giusto. E in anticipo. Nel 2006, sconfitto per un pugno di voti da Romano Prodi, aveva lamentato possibili brogli sulla conta delle preferenze degli italiani all´estero. «Non pagano le tasse – aveva detto – dubito possano votare». Forse, viste le carte del caso Di Girolamo, la questione non è solo fiscale.

Burton Morris
18-04-10, 21:06
"La Repubblica", VENERDÌ, 26 FEBBRAIO 2010
Pagina 14 - Cronaca

Aerei privati, escort e auto di lusso la corruzione ai tempi di Criccopoli
Benefit al posto delle mazzette: e i reati triplicano in un anno

Il dossier

Soldi nei pacchetti di sigarette ed abiti firmati per evitare controlli: da Milano a Palermo, ecco la mappa del malaffare

PIERO COLAPRICO
MILANO - Tangentopoli è alle spalle, benvenuti a Criccopoli, città moderna dove non passano di mano le valigette di denaro, così volgari, così Prima Repubblica. Cioè, passano ancora, ci mancherebbe, ma laggiù, molto in basso, tra i miserabili rampanti. Tra i razziatori che vivono alla periferia del potere vero, al micragnoso livello dei milanesi Piergianni Prosperini e Milko Pennisi, degli agenti della Stradale, degli assessorini locali sparsi per la penisola, dei funzionari delle dogane comprati con un po´ di biancheria.
No, le banconote non servono più nella città dei favori «alla grande». La vasta e ancora inesplorata Criccopoli, nata sulla - per usare la parola dei giudici fiorentini - gelatina, elevata però al rango di un nuovo galateo. La gelatina cementa i costosi lavori del G8 spostato dalla Maddalena all´Aquila, svetta la stessa gelatina nella ricostruzione a chiacchiere dell´Abruzzo infelice, dove se stai nella "Bertolaso Spa" ottieni un appalto, ma in cambio sei tu che ristrutturi le case di chi te lo fa ottenere, gli paghi la servitù, gli assumi il parente, gli mandi la squillo in hotel, e fa niente che invece di due stangone bionde arriva una sola colombiana di un metro e sessanta. Tra amici gelatinosi ci si sbaglia, il bello è che ci si perdona. Sempre.
Luciano Moggi e le sue "amichevoli" telefonate ad arbitri e presidenti e manager di società calcistiche non sono diverse dal clima di gelatinosa impassibilità che si immagina coprire la faccia del senatore pdl Nicola Di Girolamo, mentre un faccendiere gli dice: «Per me conti come il portiere mio, sei una grandissima testa di c...». E come non percepire lo stesso ballonzolare intorno ai movimenti Bari-Roma-Sardegna-Milano dell´imprenditore barese Gianpaolo Tarantini, che vuole stare sul ricco mercato della sanità pubblica e scorta le prostitute a casa di Silvio Berlusconi, o le manda al vicegovernatore pd della Puglia, Sandro Frisullo?
Le prime tracce di questa mutazione genetica della "corruzione dell´amicizia" si sono scoperte lo scorso ottobre a Milano. Un gip manda in carcere Giuseppe Grossi. Questo sconosciuto sessantaduenne è il titolare del principale gruppo italiano di bonifiche e ha erogato, scrive il gip, «all´indagata (Rosanna Gariboldi, assessore alla provincia di Pavia) e al coniuge (Giancarlo Abelli, al vertice del Pdl, è capo della segreteria del coordinatore Bondi), significative forme d´agevolazione economica quali la messa a disposizione di una Porsche, di un aereo privato, di un appartamento in una via centrale di Milano», viale Tunisia. Ma non solo: a lady Abelli piovono soldi su un conto a Montecarlo: il saldo «è di 1,2 milioni...», inspiegabile con la sua dichiarazione dei redditi, sotto i 50 mila euro. Sarebbero il frutto dei suggerimenti finanziari di Grossi, dicono: certo, le borse annaspano, solo Grossi resta il re Mida alla gelatina.
Se al livello alto, quello dei grandi appalti e dei grandi affari di Criccopoli, si è tutti galantuomini a prescindere, e le mazzette sono state sostituite da cordialità e benefici, chi sta in basso che cosa fa? Chi è lontano dei vertici (e dai vortici di denaro), ma campa "dentro" la politica e gli affari, queste cose le sa o non le sa? La Corte dei conti qualche giorno fa ha portato numeri concreti sui (definizione del premier) contemporanei "birbantelli": le denunce per corruzione nel 2009 sono triplicate, segnando un aumento del 229 per cento; le concussioni sono aumentate del 153 per cento. «L´ombra delle tangenti in Italia non accenna ancora a dissolversi», ha detto il presidente Lazzaro, parlando di corruzione «capillare».
A molti razziatori bastano gli spiccioli, come capita a Patrizia Valeri, dottoressa dell´Ausl di Parma: ammorbidisce i controlli in un bar in cambio di abiti firmati. Spuntano duecento euro a necroforo a Reggio Emilia: vengono pagati da una dozzina di ditte per accaparrarsi i circa 1.300 funerali all´anno di chi entrava cadavere nella camera ardente dell´ospedale Santa Maria Nuova. E a Bari sono finiti nei guai in otto, tra dipendenti delle Dogane, spedizionieri e uomini della guardia di finanza, che in cambio di mutande, calze e scarpe, lasciavano passare i camion senza aprire i cassoni.
La stessa ragnatela si muove nel Palazzo. Del Sud sappiamo sin troppo, ma è il Nord che non scherza quanto ad arrembaggi del "politico-ladro". Il milanese consigliere comunale Pennisi che incassa cinquemila euro nascosti in un pacchetto di sigarette. L´assessore regionale Prosperini, che dà pubblicità (pagata dalla Regione) ad alcuni canali tv locali e in cambio ottiene denaro e spazi per lui, per sbraitare comizi e lanciare le sue battute da avanspettacolo del razzista. Il presidente della Provincia di Vercelli, Alberto Masoero, (pure lui Pdl) arrestato l´11 febbraio nel suo ufficio per una bustarella da 10mila euro. E se ovunque l´urbanistica è da tremito ai polsi, a Firenze sono l´ex vicesindaco Graziano Cioni e l´ex assessore all´urbanistica Gianni Biagi (ambedue del Pd), ad ottenere soldi e vantaggi, perché senza di loro «non si muove foglia»: e lo dicono tranquilli.
Battere la corruzione sarà un´impresa titanica, ma forse bisognava provare a dare un taglio al passato, non scordare le tremila confessioni di Mani pulite. Ma chi poteva dare il giusto colpo di forbice? Il premier Silvio Berlusconi accusato di essersi fatto aiutare David Mills (condannato). E stando a un giudice di primo grado deve 750 milioni di euro al Gruppo De Benedetti, perché il suo grande amico Cesare Previti (condannato) ha comprato con mazzette in lire (ricostruite perfettamente) la sentenza (bene fuori mercato, come i testimoni) che gli dette la proprietà della casa editrice Mondadori. Se siano storie di un passato da dimenticare, o di un eterno presente, potrebbe spiegarcelo, prima o poi, proprio qualcuno dei "birbantelli".

Burton Morris
18-04-10, 21:06
"La Stampa", 28 Febbraio 2010, pag. 12

Formica: “Il rischio è lo spappolamento dell’intero Stato”

Intervista
Già ministro delle Finanze

FABIO MARTINI
ROMA



Dal «mariuolo» Mario Chiesa al «birbantello» Angelo Balducci. La domanda è se, diciotto anni dopo, l’Italia sia tornata alla stagione di Tangentopoli. Inauguriamo una serie di interviste a protagonisti di ieri e di oggi, testimoni di un periodo che ci auguravamo passato.

Siamo dentro una nuova, grande Tangentopoli? No, stavolta la crisi è più grave, perché in Italia si sta diffondendo una pandemia mai vista prima, che può portare al collasso dello Stato. Parola di Rino Formica. Pochi, come lui, conoscono meccanismi e segreti della "macchina del potere" e oltretutto l’ex ministro socialista è un personaggio che non ha mai smesso di pensare controcorrente anche quando era granitico uomo di governo. «Guardi, per me sarebbe facile ripetere: noi lo "facevamo" per il partito, mentre questi di oggi pensano ad arraffare per sé e chi se ne importa del resto. Ma la questione è più seria: stavolta, per la prima volta nella storia unitaria, si rischia lo spappolamento dello Stato, snervato nei suoi gangli vitali. Con un’aggravante: nell’opinione pubblica cresce un disgusto senza reazione, si attendono fatalisticamente nuovi eventi più squalificanti». Ottantatre anni, ma ne dimostra tanti di meno, dirigente del Psi degli anni d’oro di Craxi, autore di celebri aforismi, anche stavolta Formica va all’attacco.
Sarà banale, ma viene spontaneo pensarlo: ci risiamo? O forse Tangentopoli non ci ha mai lasciati?
«Tutte balle! Giustificazionismo dei reduci. Cominciamo col dire che è difficile trovare simmetrie tra allora e oggi. Di allora sappiamo tutto, tutto è chiaro. Di questa nuova pandemia invece non si capisce ancora la profondità, l’estensione, la qualità né la quantità».
Dagli scandali degli ultimi mesi par di capire che - oggi come allora, come sempre - l’Italia è il regno degli amici, delle spintarelle, delle percentuali...
«Sì, ma nel 1994 entrò in crisi un sistema con delle regole, oggi è in crisi lo Stato. Non eravamo mai arrivati a questo punto. Quelli della mia generazione avranno fatto tanti errori, ma noi non abbiamo mai scardinato lo Stato».
Formalmente no, sostanzialmente se ne può discutere...
«No, non è mai entrato in crisi lo Stato, neppure nei passaggi più traumatici. Non dopo la prima guerra mondiale, non durante il fascismo e neppure quando si sdoppiò, tra Salò e Brindisi. E resse anche dopo una guerra persa».
E come mai resse anche allo corrosione di una corruzione pervasiva?
«Perché avevamo alle spalle 50 anni di cultura politica del "quasi". Una cultura che aveva fatto vivere bene tutti. Eravamo quasi in Occidente, eravamo una quasi-democrazia, eravamo quasi-comunisti, c’era una quasi-religione, eravamo amici di tutti. Insomma, l’Italia ha vissuto su questa gattopardesca capacità di sopravvivenza. Ma ora - con la competizione internazionale e l’indebolirsi delle autorità sovranazionale - scopriamo che siamo senza-Stato».
Dal quasi al senza, cosa è un nuovo aforisma formichiano?
«Non è un aforisma. Per responsabilità delle classi dirigenti della transizione, l’Italia sta passando dai quasi-partiti ai senza-partiti. Dal quasi-Stato al senza-Stato».
Che in Italia possa entrare in crisi lo Stato sembra una boutade...
«Non lo è. Il mio non è un atteggiamento moralistico, ma in questo momento non c’è una sola area dello Stato che non sia attaccata dalla pandemia. Ogni ramo è corroso dalla criminalità, dalla compromissione, dal comparaggio. L’ultima vicenda, quella del riciclaggio, non è il solito Brambilla che ha fatto la fattura falsa, è una vicenda sfacciata che investe i più alti rappresentanti di un servizio pubblico. Se Telecom ha davvero organizzato riciclaggio, chi può escludere che abbia una sua informazione privata? Siamo alla caduta di ogni freno inibitorio, non c’è rispetto della legge, della legge morale, del comune sentire. E lo Stato è forte quando previene, non quando reprime».
Se la sentirebbe di aggiornare il suo motto «la politica è sangue e merda»?
«No, la politica è stata passione e contaminazione. Ma quando la politica viene estirpata, non è più niente, né passione né contaminazione. E infatti, cosa si dice? Che siamo in una situazione liquida!».
E secondo lei dove si va a sbattere?
«Può crescere la domanda di massa per un rafforzamento dello Stato e a quel punto il passaggio all'autoritarismo di Stato può diventare obbligatorio. Fino a qualche giorno fa questa tendenza avrebbe potuto incarnarsi in Bertolaso, uno che fa salvataggi energici ma disarmato. Per tornare alla democrazia, servirebbe uno choc, un'Algeria. Il vero punto di svolta nella lotta alle Br fu quando dissero che volevano colpire "il cuore dello Stato, per sradicarlo". Si capì che era in gioco lo Stato e gli italiani scelsero». \

Burton Morris
18-04-10, 21:07
"La Repubblica", DOMENICA, 28 FEBBRAIO 2010
Pagina 21 - Cronaca

Arcus, la società per la cultura che regala le "mance" di Stato
Gestisce 200 milioni distribuiti a discrezione, senza controlli

L´inchiesta
All´università gregoriana un milione e mezzo di euro per restaurare i cortili interni

CARMELO LOPAPA
ROMA - L´ultimo pacco siglato «Cultura spa» porta in dote 200 milioni di euro. L´infornata è di questi giorni e permetterà al governo una distribuzione a pioggia in favore di centinaia di associazioni, enti, teatri e fondazioni. Più che di privatizzazione della cultura, l´operazione sa tanto di mancia di Stato, giusto a un mese dal voto, per amici, boiardi e parenti importanti. Succede così dal 2004. I tre ministeri di riferimento stanziano (Beni culturali, Economia e Infrastrutture) e i beneficiari graditi incassano. È un affare gestito da pochi, con fondi pubblici e scavalcando il controllo parlamentare.
La «Cultura spa» di impronta berlusconiana - assieme ad Ales - ha il volto di Arcus, più che un volto il vero braccio operativo, il braccio lungo della spartizione. «Società per lo sviluppo dell´arte» fondata nel 2004 (sotto il precedente governo del Cavaliere) a capitale interamente sottoscritto dal ministero dell´Economia. I suoi decreti operativi vengono adottati dal ministero per i Beni culturali di Sandro Bondi, di concerto con le Infrastrutture di Altero Matteoli. Una spa a tutti gli effetti - col suo cda di sette componenti per dieci dipendenti - che, come ha avuto modo di denunciare in ripetute occasioni la Corte dei conti, si è «trasformata in un una agenzia ministeriale per il finanziamento di interventi», spesso «non ispirati a principi di imparzialità e trasparenza». La storia torna a ripetersi. Nel silenzio generale, la spa Arcus ha adottato a febbraio il piano triennale di interventi: 119 milioni per quest´anno, 43 per il prossimo, 37 e mezzo per il 2012. Totale: 200 milioni, parcellizzati in 208 interventi.
La logica appare discrezionale, se non emergenziale, in stile Protezione civile. Nel calderone, dietro il Lazio con 23 milioni di euro nel 2010, la parte del leone la fa la Toscana dei ministri Bondi e Matteoli: 21,4 milioni, rispetto per esempio agli 8,5 della Sicilia o ai 12,5 della Campania, pur ricche entrambe di siti, chiese, monumenti. Ma quali sono gli interventi strategici sui quali il ministero punterà per i prossimi tre anni? Nel capitolo «varie», intanto, 500 mila euro vengono destinati alla «partecipazione dell´Italia all´Expo di Shangai 2010». A guidare la missione sarà Mario Resca, consigliere d´amministrazione della Mondadori, berlusconiano doc, direttore generale del dipartimento per la «valorizzazione del patrimonio culturale» al ministero. Solo coincidenze, ovvio. Come lo è il fatto che, in Veneto, Arcus finanzia con due capitoli per un totale di 600 mila euro il dipartimento di Archeologia dell´Università di Padova. Direttore è la professoressa ordinaria di Archeologia Elena Francesca Ghedini, sorella del più illustre deputato, avvocato e consigliere del premier, Niccolò. Altissime le sue referenze nel mondo culturale: dal 2008 il ministro Bondi l´ha voluta al suo fianco quale «consigliere per le aree archeologiche» e dal marzo 2009 quale membro del «Consiglio superiore per i beni culturali». Ma di bizzarrie nelle 18 tabelle del piano se ne scovano tante. Ad Amelia, in Umbria, l´Associazione culturale società teatrale riceverà 800 mila euro, la Fondazione teatro dell´Archivolto in Liguria 450 mila euro e via elargendo.
Generoso il finanziamento di decine di interventi su immobili ecclesiastici, anche del patrimonio vaticano, dunque extraterritoriali. È il caso del «restauro dei cortili interni della Pontificia università gregoriana» a Roma: 1 milione di euro nel 2010 e 500 mila nel 2011, sebbene lo Stato abbia già finanziato lo stesso restauro con 457.444 euro tratti dai fondi dell´8 per mille, lo scorso anno, e con 442.500 euro, nel 2007. Ma, anche qui, la lista di monasteri, campanili e basiliche beneficiati è sconfinata. Dal pozzo dei miracoli di Arcus il governo attinge per aiutare pure le amministrazioni comunali «amiche» in crisi finanziaria: 1 milione alla cultura del Comune di Roma di Gianni Alemanno, 1,5 milioni per la rassegna estiva «Kals´art» del Comune di Palermo (Diego Cammarata).
La spa del ministero tra il 2004 e il 2009 aveva già spalmato, su 300 interventi, finanziamenti pubblici per altri 250 milioni di euro. La storia non cambia. E dire che il ministro Bondi, presentando in Parlamento il suo programma, il 26 giugno 2008, annunciava l´intenzione di «restituire alla società Arcus la sua mission originaria, evitando interventi a pioggia» e promettendo di «privilegiare d´ora in poi interventi di notevole spessore». Dalla fondazione del 2004, a gestire la spa è il direttore generale Ettore Pietrabissa, già vice all´Iri e poi all´Abi. Presidente è un vecchio andreottiano, Salvatore Italia, classe ‘40, alla guida del cda composto da altri sei consiglieri. Vertice di tutto rispetto per una spa che vanta però solo 4 dipendenti distaccati dal ministero e 6 contratti a termine. Sebbene la sede legale sia in via del Collegio romano 27, nei locali del ministero, quella «operativa» si trova in via Barberini 86, in un elegante ufficio da 350 metri quadrati nel pieno centro di Roma, affittato per circa 16 mila euro al mese, 175 mila euro l´anno. Nel 2010, stipendi, sede, gettoni e quant´altro necessita al funzionamento di Arcus costeranno 2 milioni di euro.
«La spa è solo a uso e consumo dei gabinetti dei ministeri», racconta Gianfranco Cerasoli, responsabile cultura della Uil. «Un carrozzone da smantellare, che continua a finanziare beni extraterritoriali della Chiesa: le sue risorse potrebbero essere gestite dal ministero, tagliando spese che gravano inutilmente sui contribuenti». Resta il nodo dei controlli. «Arcus ha di positivo l´immediata operatività, finanzia anche opere importanti - spiega Fabio Granata, componente Pdl della commissione Cultura della Camera - tuttavia in due anni di legislatura mai un atto della spa è transitato in Parlamento».

Burton Morris
18-04-10, 21:07
"La Stampa", 01 Marzo 2010, pag. 1

Massimo Gramellini

Quel solito pasticciaccio brutto

Capitale sciatta, oltre che corrotta. Nazione peggio che infetta: disperata. Quanto succede a Roma in queste ore è lo specchio di un Paese che affoga drammaticamente nel ridicolo. Cominciamo dal Pdl, che è riuscito nell’impresa di presentare le sue liste al di là dell’orario consentito. L’immane compito era affidato a un ex socialista, tale Alfredo Milioni, visto uscire di corsa dall’ufficio elettorale a mezzogiorno meno un quarto come se avesse dimenticato qualcosa (i simboli, le firme, la trebisonda: non si è ancora capito bene). Ha poi tentato di rientrarvi a tempo scaduto, dopo aver approfittato della pausa-pranzo «pe’ magnà quarcosa». Proprio vero che a volte non basta avere i Milioni. Per colpa sua il primo partito italiano, quello che esprime il presidente del Consiglio e il sindaco di Roma, è stato escluso dalle Competizione nella Capitale e rischia di restare fuori dal Consiglio regionale del Lazio persino nell’eventualità di una vittoria della sua candidata Polverini.
Chissà come sarà contento Berlusconi: se la prende con la burocrazia, ma era entrato in politica con la promessa di portarvi una ventata di efficienza aziendalista e si ritrova a capo di un movimento che non riesce a rispettare neanche le scadenze più banali. Su questo episodio di ordinaria trasandatezza sono già fiorite versioni suggestive: c’è chi narra di un ritardo dovuto a litigi furibondi nella compilazione delle liste (si sa che finiani e berluscones si amano da impazzire), chi di un’azione ostruzionistica da parte dei seguaci «gandhiani» della Bonino, che si sarebbero sdraiati per terra nei corridoi dell’ufficio elettorale pur di impedire a Milioni il raggiungimento dell’agognata meta.
Sono una banda di incapaci», ha sintetizzato il democristiano Rotondi, erede di un partito che poteva anche scannarsi dietro le quinte, ma sapeva presentarsi sempre puntuale all’appuntamento con le poltrone. Naturalmente non sarà facile tenere il Pdl fuori dalle urne, e forse non sarebbe nemmeno giusto nei confronti dei suoi incolpevoli elettori. Così alla fine assisteremo all’ennesimo pasticciaccio brutto, cucinato a colpi di deroghe e leggine. A uscirne sconfitta sarà ancora una volta la credibilità di una classe politica composta da personale che, anche quando non è disonesto, si rivela sconsolatamente mediocre.
Mediocre oppure sprezzante. Volgendo lo sguardo a sinistra, infatti, ci si imbatte nella scelta di dubbio gusto di Emma Bonino, che accetta la collaborazione dei terroristi neri Mambro e Fioravanti, rei confessi di numerosi omicidi politici. La Bonino sostiene che i due assassini hanno saldato il loro debito con la società. Ma una cosa è la legge, un’altra è, o dovrebbe essere, la sensibilità di un leader. Nessuna norma può impedire a chi sparava alla gente di collaborare alla campagna elettorale di Emma Bonino. Dovrebbe essere la stessa Bonino a impedirlo. Perché chi ha commesso reati di sangue può tornare in libertà dopo aver scontato la pena, ma non occuparsi attivamente di politica, neanche da posizione defilata: è una forma di elementare rispetto nei confronti dei familiari delle vittime. Nessuno tocchi Caino, va bene: ma almeno non fatecelo trovare nel retropalco dei comizi.
Riassumendo: a Roma gli elettori del Pdl non sanno neppure se potranno votarlo, mentre gli elettori del Pd si scoprono a braccetto con i terroristi di destra. Se aggiungiamo queste delizie alle truffe e alle ruberie che stanno trasformando la lettura dei giornali in un percorso di guerra, si può ben dire che la politica abbia messo inconsapevolmente in atto una delle più massicce campagne di astensionismo della storia.

Burton Morris
18-04-10, 21:08
Crimini ambientali: dopo le denunce del radicale Bolognetti, la Procura Di Potenza perquisisce la sua abitazione/sede di Radicali Lucani

2 marzo 2010



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· Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata radicale, membro della Commissione Giustizia

Sto pensando seriamente di suggerire a Maurizio Bolognetti di chiedere asilo politico in un’altra regione italiana prima che anche questa si trasformi definitivamente nell’immensa cloaca di ingiustizie e di illegalità che è da tempo la Lucania.
E’ accaduto ieri che dopo gli esposti e le denunce presentate dal Segretario dell’Associazione Radicali Lucani e membro della direzione di Radicali italiani Maurizio Bolognetti sull’inquinamento e le mancate bonifiche della Val Basento e di Tito scalo, la Procura della Repubblica di Potenza abbia disposto ed effettuato la perquisizione dell’abitazione dell’esponente radicale, abitazione che è anche sede del soggetto politico radicale in Basilicata.
Per mesi, non una volta Maurizio Bolognetti è stato ascoltato sugli esposti presentati sulle vicende Tito e Fenice. Ma ieri, lunedì 1 marzo, ecco che la Procura di muove: Bolognetti viene convocato presso la Caserma dei Carabinieri di Latronico e pensa per un momento – nonostante i manganellamenti ricevuti in questi anni - che finalmente lo avrebbero ascoltato sulle sopra citate denunce. Si sbagliava: la Procura di Potenza, attraverso il Noe, voleva semplicemente conoscere le sue fonti e per poter acquisire un carteggio di posta elettronica ha disposto la perquisizione della sua abitazione. E le denunce su Tito e Fenice, sull’Arpab e la Val Basento? Beh, quelle possono aspettare. Intanto, c’è da perseguire chi fa il suo dovere di cittadino e di esponente politico denunciando i gravissimi danni alla salute e all’ambiente provocati da anni di delitti, connivenze, insabbiamenti.

Burton Morris
18-04-10, 21:08
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 04 MARZO 2010
Pagina 24 - Cronaca

Milano
Tangenti sanità ridotta a 5 mesi la pena a Sirchia

MILANO - Condanna ridotta a 5 mesi di reclusione e a 600 euro di multa per Girolamo Sirchia, accusato di appropriazione indebita ai danni della "Fondazione il sangue" di cui era segretario e tesoriere. L´ex ministro della Salute ed ex primario del Policlinico, che in primo grado si era visto infliggere una pena di 3 anni per un giro di tangenti nel mondo della sanità, è stato assolto per un episodio di corruzione mentre per un altro è stata dichiarata la prescrizione. Lo ha deciso ieri la seconda corte d´Appello di Milano che oltre a revocare la pena accessoria dell´interdizione dai pubblici uffici per cinque anni a Sirchia, ha diminuito la pena a 4 mesi e 500 euro di multa a Riccardo Ghislanzoni, presidente della fondazione e suo coimputato.

Burton Morris
18-04-10, 21:08
"La Stampa", 06 Marzo 2010, pag. 7

Verdini: “Raccomandai Fusi”

Nuova ordinanza del gip di Firenze: “Sistema collaudato in grado di inquinare appalti''



NICCOLÒ ZANCAN
INVIATO A FIRENZE


Trecentoquaranta pagine piene di telefonate così: «Ciao Riccardo». «C’hai parlato?». «No, è a Bruxelles, mi deve chiamare, è da stamattina che lo perseguito». «Maremma bucaiola...». «Stai tranquillo, lo piglio, lo piglio...».
Riassunto della storia: l’imprenditore fiorentino Riccardo Fusi pressa l’amico banchiere Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, affinché interessi il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, per cercare di riprendersi l’appalto della nuova scuola dei marescialli di Firenze. Tentativi, raccomandazioni: un’attività frenetica di pubbliche relazioni, ringraziamenti, regali, aperitivi, appuntamenti. Fusi ritiene che il lavoro gli sia stato tolto ingiustamente, con grave danno erariale per lo Stato, oltre che per se stesso. Aspira alle Grandi Opere. Vuole entrare negli appalti per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia: i nuovi Uffizi, il nuovo auditorium di Firenze. Sembra che il suo mestiere di presidente della Btp - sesta impresa di costruzioni italiana - consista precisamente in questo.

«La patente per uccidere»
Fusi da un lato aggancia Francesco De Vito Piscicelli, faccendiere con amici in «odore di camorra» e «un background di vent’anni di buttamento di sangue» negli uffici che contano. Il prezzo è giusto. «Quasi ci fosse un tariffario», scrive il gip Rosario Lupo. Un milione e mezzo per risolvere il problema. Dall’altra tenta una strada più alta: si rivolge all’amico del cuore Denis Verdini, toscano come lui. Tutte le strade lo portano inesorabilmente alla «cricca di via della Ferratella» a Roma: a Angelo Balducci e Fabio De Santis. Il versante fiorentino dell’inchiesta, quindi, sembra speculare a quello romano, dove l’imprenditore di riferimento era invece Diego Anemone.
«Emerge un sistema di corruttela consolidato e collaudato, esteso ed efficiente, annidato al vertice della struttura amministrativa della presidenza del Consiglio e, per ciò stesso, altamente pericoloso». Così ha scritto il gip facendo sue le parole della Procura di Firenze. Riassuntiva pare una frase di De Santis: «C’abbiamo la patente per uccidere... Possiamo piglià tutto quello che ci pare». Ecco il motivo delle quattro nuove ordinanze di custodia eseguite mercoledì notte.


La parcella dell’avvocato
Per Balducci, De Santis, Piscicelli e l’avvocato romano Guido Cerruti, nel ruolo di garante del patto fra Roma e Firenze, l’accusa è di concorso in corruzione aggravata e continuata. Anche il prezzo per il lavoro della cricca era già stato fissato, proprio attraverso la parcella dell’avvocato: «Due per cento sull’importo incassato qualora fosse stato riconosciuto un risarcimento economico in favore della Btp - scrive il gip - ovvero una somma di denaro pari allo 0,8 dell’importo dell’appalto (circa 250 milioni di euro) se i lavori fossero stati riaffidati all’impresa». Soldi, certo. In mezzo alla solita gelatina di rapporti scivolosi.
Le prime settanta pagine si concentrano su Fusi e Verdini, entrambi indagati a piede libero. Scrive il gip: «E’ un capitolo fondamentale per comprendere appieno questa complicata vicenda. Risulta dalle conversazioni riferite che Fusi e Verdini siano legati da un rapporto amicale, ma anche da rapporti economici...».


Gli amici toscani e il ministro
Ricorre spesso il nome del ministro Matteoli. L’annuncio trafelato di Verdini è del 3 dicembre 2008: «Devi andare subito al ministero. Ti aspetta Altero...». «Subito al ministero? Ma c’ho Rocco qui.. Come faccio?». «Tu fissi dopo con lui, via.. vai. Poi c’ha una delegazione». Alle 12,12 l’incontro è finito, Verdini vuole sapere: «Ci sei andato?». Fusi risponde: «Sì, sono uscito ora. S’è fatto un programma». I rapporti proseguono. 5 agosto 2008. Verdini: «Sono qui con Altero, secondo lui s’è fatto tutto ciò che doveva essere fatto». Agli atti c’è anche una telefonata fra Fusi e il ministro: «Ma sei già in vacanza?». Fusi: «Macché. Lavoro, lavoro, lavoro...». Matteoli: «Il tuo complice però è già in vacanza». Fusi: «Un po’ sì e un po’ no, ma tu come funzioni? Ci si può vedere un minuto? So che dovrebbero esserci sviluppi per quanto riguarda la scuola di Firenze...». Un impressionante incrocio di chiamate. Verdini a Balducci: «Ho lavorato bene con il ministro in maniera che le cose andassero... Mi prepari anche l’elenco dei nostri amici sul territorio che in questi giorni me li lavoro...». Balducci: «Come no! Certo...». Si incontrano. Balducci è radioso, ne parla con De Santis: «E’ andata al di là di ogni aspettativa. Mi ha detto: "Io sono qua per risolvere insieme a te, sul piano del territorio..."». Scrive il gip: «Con malcelata soddisfazione Balducci riferisce che Verdini gli ha chiesto di gestire insieme i prossimi appalti».


L’uomo giusto al posto giusto
Sempre Verdini avrebbe avuto un ruolo determinate nella nomina di Fabio De Santis a provveditore per le opere pubbliche della Toscana, ruolo cruciale per gestire la grana della scuola dei marescialli. Osserva il gip: «Un privato quale è Fusi si dà da fare affinché De Santis venga nominato, nonostante la sua qualifica tecnica sia di seconda fascia. Lo fa tramite l’amico Verdini e i rapporti di questo con il ministro competente». E’ un ginepraio di entrature. Il gip: «Un meccanismo messo in piedi da imprenditori senza scrupoli e da pubblici funzionari venduti che fa rilevantissimi danni non solo alle casse dello Stato ma anche all’ambiente e alla qualità degli interventi pubblici sul territorio». Va detto che Verdini è già stato interrogato. Non ha negato l’amicizia con Fusi, neppure di averlo raccomandato per fargli ottenere qualche appalto in Abruzzo: «Gli ho presentato delle persone, è vero che ho fatto una telefonato per caldeggiare la nomina di De Santis. Ma mi sono sempre comportato in maniera trasparente. Fra me e Riccardo Fusi non ci sono cointeressenze».
Ora sta per succedere una cosa importante. Forse la prima svolta nell’inchiesta. Proprio Fusi, che si è dimesso da ogni carica per scampare il carcere, verrà interrogato mercoledì 10 marzo. L'avvocato Alessandro Traversi: «Non andremo a difenderci. Il nostro sarà un atto d’accusa al sistema».

Burton Morris
18-04-10, 21:09
"La Repubblica", MARTEDÌ, 09 MARZO 2010
Pagina 14 - Cronaca

Un mare di controversie, chiuse quasi sempre con la sconfitta delle amministrazioni pubbliche
Arbitrati, una "cupola" milionaria
Da Sancetta a Figliolia, nelle mani di pochi il contenzioso sugli appalti
Un club ristretto, non più di 20-30 esperti valutavano ragioni e torti nei contratti
I carabinieri del Ros hanno analizzato 35 incarichi assegnati nel 2005-2007

FRANCA SELVATICI
FIRENZE - Mario Sancetta, Carlo Malinconico, Pier Maria Piacentini, Antonello Colosimo, Patrizio Leozappa, Ettore Figliolia, Vincenzo Nunziata, Aldo Linguiti. Liberi professionisti, giudici amministrativi, magistrati contabili, avvocati dello Stato. Sono alcuni dei nomi che ricorrono nell´inchiesta sugli appalti del G8 e dei Grandi Eventi. Altrettanto rilevante è la loro presenza nei collegi arbitrali che ogni anno decidono controversie da centinaia di milioni di euro sugli appalti pubblici, dando quasi costantemente torto alle stazioni appaltanti, cioè alle pubbliche amministrazioni: lo afferma con preoccupazione la stessa Autorità di vigilanza sui lavori pubblici. I carabinieri del Ros hanno posto sotto osservazione «la rete di rapporti interpersonali di alcuni soggetti» emersi nell´inchiesta, rilevando «un articolato contesto di relazioni che si interfaccia con l´affidamento degli incarichi legali e tecnici nei contenziosi amministrativi in materia di appalti pubblici, in cui parrebbe avere un anomalo ruolo di coordinamento l´avvocato romano Guido Cerruti», arrestato il 5 marzo per corruzione.
I dati rilevati dai carabinieri riguardano 35 arbitrati nel biennio 2005-2007. Nella maggioranza dei casi la stazione appaltante pubblica è l´Anas, ma figurano anche il Comune di Roma, la Regione Veneto, la Regione Calabria, il Ministero delle Infrastrutture, il Comune di Venezia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, alcune Asl. Tutte soccombenti. Tutte condannate a risarcire le imprese private e a versare importi rilevantissimi, fino a decine di milioni di euro.
Gli arbitri sembrano appartenere a un club ristretto, come se in Italia non esistessero più di venti-trenta esperti in grado di valutare le ragioni e i torti nei contratti di appalto dei lavori pubblici. Fra i presidenti dei collegi arbitrali del biennio 2005-2007 troviamo tre volte ciascuno l´avvocato dello Stato Ettore Figliolia (già capo dell´ufficio legislativo del vicepresidente del consiglio Francesco Rutelli durante l´ultimo governo Prodi) e il presidente del Tar Lombardia Pier Maria Piacentini; due volte il magistrato contabile Mario Sancetta (indagato nell´inchiesta sui Grandi Eventi per associazione a delinquere con l´aggravante di mafia); due volte il suo collega Antonello Colosimo, in stretti rapporti con l´imprenditore Francesco De Vito Piscicelli arrestato il 5 marzo per corruzione; due volte l´avvocato dello Stato Aldo Linguiti (più volte consultato nella vicenda della Scuola Marescialli dei Carabinieri); due volte l´avvocato Stefano Vinti (avvocato dell´imprenditore Riccardo Fusi e arbitro da lui designato nel collegio che nel 2007 gli ha dato ragione sulla Scuola dei Marescialli); una volta Carlo Malinconico, già segretario regionale presso la Presidenza del Consiglio, oggi presidente della Federazione Italiana Editori di Giornali, beneficiario, secondo le accuse, di soggiorni all´Hotel Pellicano dell´Argentario a spese di Pisciscelli; una volta l´avvocato Patrizio Leozappa, legale dell´imprenditore Diego Anemone e di Angelo Balducci, nonché genero dell´ex presidente del Tar Lazio e oggi presidente del Consiglio di Stato Pasquale De Lise. La Finanziaria 2008 aveva vietato alle pubbliche amministrazioni di ricorrere agli arbitrati. L´applicazione della norma è però slittata di anno in anno.

Burton Morris
18-04-10, 21:09
"La Stampa", 10 Marzo 2010, pag. 12

La ’ndrangheta e l’altro senatore in Sudamerica

Una telefonata del 2008 di Aldo Miccichè a Dell’Utri svela il piano: fare incetta di schede bianche e barrarle

Il fondatore di Publitalia 2 anni fa ridimensionò tutta la vicenda



GUIDO RUOTOLO
ROMA

Strana, la coincidenza. Che getta un’ombra inquietante sul voto di Camera e Senato dell’aprile del 2008, nelle circoscrizioni estere. La ’ndrangheta scese pesantemente in campo. Non solo per far eleggere al Senato Nicola Di Girolamo, con i voti taroccati in Germania, procurati dalla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto. Si mobilitò pure nella Piana di Gioia Tauro, con la cosca Piromalli, per raccattare voti nella Circoscrizione America Latina.
La storia è vecchia, la raccontò in diretta proprio La Stampa, a poche ore dall’apertura delle urne in quell’aprile del 2008. L’allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria andò a Roma, dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, per denunciare che erano in corso dei brogli elettorali in Venezuela, nella circoscrizione America Latina. Il ministro Amato dettò poi alle agenzie di stampa: «Ritengo che le misure adottate dalla Farnesina abbiano prevenuto il danno».
In sostanza, indagando sugli affari della famiglia Piromalli di Gioia Tauro, gli inquirenti si imbatterono in alcune conversazioni telefoniche tra due personaggi: Aldo Miccichè e Marcello Dell’Utri. Aldo Miccichè, calabrese, democristiano nella Prima Repubblica, complessivamente ha sommato 25 anni di «cumulo pena» per diversi reati. Un faccendiere trapiantato in Venezuela. Il senatore Marcello Dell’Utri nell’aprile del 2008 ridimensionò la portata dei rapporti con Miccichè.
«Provvederò che presso ogni consolato ci sia la nostra presenza segreta per i cosiddetti voti di ritorno». E’ il passaggio chiave di una intercettazione telefonica dell’8 marzo del 2008 (ore 2,19) tra Miccichè e Dell’Utri. Il piano è semplice: fare l’incetta di schede bianche e votarle. «Ho valutato le spese per tutti i dieci Paesi... complessivamente mi servono 60.000 euro...». E Marcello Dell’Utri rispose: «Benissimo...».
Un passaggio dell’atto di accusa contro la famiglia Piromalli: Gioacchino Arcidiaco - amico di Antonio Piromalli, figlio di Giuseppe, detenuto, sottoposto allo speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis, capo di una delle più potenti ’ndrine insediate nella Piana di Gioia Tauro - doveva incontrare l’onorevole Dell’Utri per prospettargli talune situazioni che riguardavano la famiglia Piromalli e sollecitare un suo intervento. Il 2 dicembre 2007 viene intercettata una chiamata telefonica nel corso della quale Arcidiaco, in vista di questo importante incontro, chiede lumi ad Aldo Miccichè, ex uomo politico da tempo residente in Venezuela. «Voglio capire in che termini mi devo proporre», domanda Arcidiaco. Miccichè non ha al riguardo alcun dubbio: «La Piana ... la Piana è cosa nostra facci capisciri… il Porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi, insomma! Hai capito o no? Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi, mi hai capito?...». E, per spiegarsi meglio, aggiunge: «Ricordati che la politica si deve saper fare… ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro, ha bisogno di noi… hai capito il discorso? E quando dico noi intendo dire Gioacchino ed Antonio, mi sono spiegato?». Parole che testimoniano non solo di quanto sia esteso, profondo e ramificato il potere mafioso esercitato dalla famiglia Piromalli - ai cui componenti Antonio e Gioacchino fa esplicito riferimento Miccichè nel corso della citata conversazione - ma anche e soprattutto quali capacità di proporsi verso l'«esterno, addirittura al livello istituzionale nazionale, tale famiglia possa vantare»

Burton Morris
18-04-10, 21:09
"La Stampa", 10 Marzo 2010, pag. 12

“Ce li votiamo noi”
“Sì, esattamente”

Le carte
L’ex Dc calabrese in Venezuela parla al senatore Pdl

Il senatore forzista Marcello Dell’Utri, alla vigilia delle elezioni del 2008, quando uscì la notizia dei suoi rapporti con il faccendiere calabro-venezuelano Aldo Micciché, si difese: «Ero da qualche mese in contatto con lui per ragioni di energia. Lui in Venezuela si occupa di forniture di petrolio. Io ero in contatto con una società russa che ha sede anche in Italia, per cui conoscendo questi russi ho fatto da tramite. Sul discorso delle elezioni, lo misi in contatto con la Contini. Non vedo dove sia la materia del contendere». Marcello Dell’Utri (M) chiama Aldo Micciché (A). E’ l’8 marzo del 2008 alle ore 2,19. Ecco la sbobinatura della telefonata.
M: «Buonasera, sono Marcello Dell'Utri… il signor Aldo».
A: «Tesoro, bello d'Aldo tuo… allora guarda che lì l'operazione mi pare chiusa. Eh… praticamente ehm… la raffineria, tramite il… Group Cedranal (fonetico) dà l'ok alle cose stesse… quindi l'operazione viene serrata».
M: «Benissimo, benissimo».
A: (i due adesso parlano di elezioni, ndr) «Io ho fatto le varie spese eccetera e ho visto che con 60 mila dividendo… dividendo….sono dieci Stati eh!».
M: «Si, si, quindi sono… ecco!».
A: «Mi pare, sessanta e trenta novanta… minchia, nemmeno con centomila euro…».
M: «Eh! E’ vero…».
A: «Già ce la cacciamo, insomma! Eh, meglio di così non posso fare eh!».
M: «No, no, no… hai fatto una cosa bellissima, complimenti davvero. Si, si».
A: «Allora… assolutamente riservato, attenzione, c'è tutta la cronistoria perfetta che, che… ci sono i voti, ci sono tutte le speran… le rappresentanze, le cose… attenzione che noi l'operazione grossa che facciamo. Scusami se ti rubo un secondo».
M: «Figurati, figurati».
A: «Sono i cosiddetti voti di ritorno, hai capito? Provvederò che presso ogni consolato ci sia la nostra presenza segreta per i cosiddetti voti di ritorno, che nel 2006 hanno rappresentato più del trenta per cento! E sono stati votati segretamente dai nostri affettuosi avversari. Sai che sono i voti di ritorno, no?».
M: «Si, si».
A: «Se non… se non m'intendi dimmelo… sia ben chiarito che i diplomatici o detti tali non sono nostri amici, di ciò ho le prove provate, molti di loro hanno i baffetti… quando ti dico i baffetti lo capisci...».
M: «Sì…(ride)».
A: «….e consumano, e consumano molta mortadella non solo tosco-emiliana. Va bene?»
M: «Benissimo, sì, sì».
A:«Ora i dolenti….ora qual è il problema, se noi blocchiamo… blocchiamo il ritorno dei certificati e li controlliamo. O ce li votiamo noi, parliamoci chiaro! Mi segui?»
M: «Esatto, esatto».
A: «Perché ognuno di questi gentiluomini o c'ha la moglie, o c'ha il cugino, o c'ha il compare nel consolato, e allora io gli metto due dei miei! O sbaglio?».
M: «Chiarissimo, bello… si, si».
A: «Poi gli… quelli che distribuiscono i certificati, attenzione! Improvvisamente mi vedo arrivare a casa mia quaranta o cinquanta certificati, mi stai seguendo?».
M: «Si, come no!».
A: «I comunistelli locali sono bravissimi in questo! Ma stavolta io li ho fottuti!».
M: «Bravo! …(ride)».
A: «Non ho perso nessuna elezione e non voglio mancarne una a settantadue anni, che andrò a compiere il dodici aprile. Le mie possibilità complete nei... paesi, riguardano le seguenti famiglie: siciliani, calabresi, campani, veneti, laziali ed in parte liguri… tu sai la forza della verità nostra! In via molto riservata, sarò assistito benevolmente dai miei cardinali e conseguenzialmente dalla mia chiesa cattolica… L'ultima cosa… le..le..i nostri cari ormai… ormai… amici massoni eccetera, abbiamo superato tutte le varie empasse, ricordati che l'uomo del giorno lì è il nostro presidente dei probiviri, chiaro?».
M: «Sì».
A: «Ti voglio bene».
M: «Grazie Aldo! Un bacione, ciao, ciao!».

Burton Morris
18-04-10, 21:09
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 10 MARZO 2010
Pagina 17 - Economia

Riciclaggio, Di Girolamo confessa la frode
L´ex senatore: creavo società e contattavo le banche per conto di Mokbel
Interrogato due ore dal procuratore aggiunto Capaldo: "Focarelli trattava con le aziende"

ELSA VINCI
ROMA - L´ex senatore confessa. Nicola Di Girolamo, ex parlamentare del Pdl, travolto dall´inchiesta sulla frode da due miliardi che ha coinvolto società come Fastweb e Tis, la controllata Telecom che gestisce il traffico estero, ha ammesso: «Quella vendita di servizi telefonici fasulli era un trucco pianificato a tavolino». Due ore di faccia a faccia con il procuratore aggiunto Gianfranco Capaldo. Per cominciare a vuotare il sacco. Cinque anni di intercettazioni inchiodano l´ex senatore alle sue responsabilità. E ieri sera è cominciato un racconto che si preannuncia a capitoli.
Di Girolamo con il gip non aveva voluto parlare. All´interrogatorio di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere, precisando però che la scelta era dovuta «solo alla complessità della vicenda». Al pm aveva fatto capire di essere pronto a collaborare. Lunedì pomeriggio l´avvocato Pierpaolo Dell´Anno si è affacciato in procura. E ieri l´appuntamento a Trastevere per l´interrogatorio a Regina Coeli.
Si è discusso delle operazioni finanziare organizzate da Gennaro Mokbel e dalla sua cricca, si è cominciato a parlare di riciclaggio. Nei prossimi incontri con il magistrato si toccheranno i temi delle elezioni vinte con le schede compilate dalla ‘ndrangheta e dei rapporti con il clan Arena che a Stoccarda avrebbe requisito i documenti elettorali degli emigranti calabresi per contrassegnarli tutti con il nome di Di Girolamo. Insomma dell´elezione di mafia che lo ha costretto alle dimissioni poi accolte dal Senato.
«L´indagato ha confermato l´illegalità di operazioni legate al servizi telefonici», dicono con soddisfazione gli inquirenti. In particolare quelle denominate "Phuncard" e "Traffico telefonico". Capaldo e il pm Giovanni Bombardieri hanno cominciato dall´inizio. E Di Girolamo ha risposto: «L´idea, il progetto, l´organizzazione sono di Mokbel e di Focarelli». Ha parlato di piano studiato nei dettagli per mettere in piedi un circuito finanziario e organizzare un sistema di riciclaggio che, secondo la procura, ha permesso di ripulire centinaia di milioni di euro. Difficile negare che Mokbel fosse il capo. Il tenore delle intercettazioni non lascia dubbi. Ma Di Girolamo avrebbe inchiodato anche Carlo Focarelli, il consulente d´impresa che secondo le accuse ha ideato la frode al fisco. Era lui che trattava con le aziende cadute nella rete.
Di Girolamo ha spiegato quale fosse il suo "lavoro" nell´organizzazione: «Il mio ruolo era quello di creare società e di tenere i rapporti bancari». Per i magistrati che conducono l´inchiesta le dichiarazioni dell´ex senatore rappresentano la prima importante conferma all´impianto accusatorio.
"Phuncard" e ´Traffico telefonico", ovvero "frodi carosello" organizzate per creare crediti Iva fittizi, che hanno provocato un danno all´erario quantificato in 370 milioni di euro. La prima truffa ha riguardato la commercializzazione di schede prepagate, denominate appunto Phuncards: avrebbe dovuto consentire l´accesso tramite un sito internet a contenuti tutelati da diritto d´autore, in realtà inesistenti. La seconda operazione commercializzava "servizi a valore aggiunto" da realizzare con l´acquisto e la veicolazione dei contenuti attraverso servizi di interconnessione internazionale. Anche in questo caso il traffico telematico si è rilevato inesistente.

Burton Morris
18-04-10, 21:18
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 10 MARZO 2010
Pagina 22 - Cronaca

Tangenti, Prosperini patteggia: 3 anni
Milano, l´ex assessore lombardo verserà 400 mila euro di risarcimento
L´esponente del Pdl era stato arrestato in diretta tv. L´accusa: pilotava gli appalti

EMILIO RANDACIO
MILANO - Pier Gianni Prosperini sceglie il patteggiamento per uscire dall´inchiesta che lo ha travolto. A quasi tre mesi dal suo arresto per corruzione, turbativa d´asta e truffa, l´ormai decaduto assessore regionale lombardo del PdL, ha ufficialmente ottenuto il via libera dalla procura. Arrestato in diretta televisiva, mentre dal suo ufficio del Pirellone stava partecipando a un programma di un´emittente locale, l´ex esponente di An aveva subito garantito: «È un equivoco, chiarirò tutto ai magistrati». Da allora, però, non ha mai abbandonato il carcere di Voghera. Era accusato di aver preteso una mazzetta da 230 mila euro su uno dei cinque conti esteri cifrati, dall´imprenditore Raimondo Lagostena, per «pilotare» un appalto regionale da oltre 7 milioni di euro «per la realizzazione del progetto di comunicazione per la promozione del turismo nella Regione Lombardia del 2008-2010».
I magistrati titolari dell´inchiesta, Alfredo Robledo e Paolo Storari, hanno dato l´assenso al rito alternativo, fissando la pena in tre anni e tre mesi di carcere. Il legale dell´ex assessore a Sport, Giovani, Turismo e Sport, l´avvocato Ettore Traini, ha chiesto che con il patteggiamento si revochi la misura cautelare in carcere, trasformandola in arresti domiciliari. Nell´accordo, Prosperini dovrà versare circa 400 mila euro a titolo di risarcimento. Prima che il patteggiamento diventi definitivo, sarà comunque indispensabile il via libera del gip Gambitta, che nei prossimi giorni valuterà la congruità della pena.
Lo stesso destino giudiziario dovrebbe essere riservato anche agli altri due protagonisti di quest´affaire. L´avvocato di Lagostena, Jacopo Pensa, sta trattando una pena di 2 anni e 10 mesi, oltre a un risarcimento di 150mila euro. Mentre Massimo Saini, «consulente della società Rti Publicis/Profit», tramite per l´accusa della trattativa con l´assessorato, attraverso l´avvocato Giuseppe Ciancia avrebbe l´ok a una pena di poco superiore ai due anni. Per Saini, però, i pm avrebbero negato la condizionale. Tutti e tre gli indagati, accusati a vario titolo di turbativa d´asta, corruzione e truffa ai danni della Regione, si trovano ancora in cella.
In attesa di conoscere il giudizio finale e decisivo del gip, i guai giudiziari per l´ex assessore Prosperini, non sono comunque finiti. Se il filone principale, infatti, si potrebbe concludere a breve, le indagini su altri tre casi di presunta corruzione andranno avanti. Nel mirino, soprattutto, la gestione dei fondi regionali del responsabile dell´assessorato. Milioni di euro stanziati per emittenti televisive sotto forma di spot per promuovere le bellezze lombarde, recita l´accusa, che sarebbero in parte rientrati nelle tasche dello stesso Prosperini per comparsate sul piccolo schermo o su emittenti radiofoniche sotto elezioni.
All´indomani del suo arresto, Prosperini aveva incassato la totale solidarietà sia del governatore Roberto Formigoni che del suo compagno di partito, il ministro della Difesa Ignazio La Russa. «Almeno per le carte che conosco - aveva detto Formigoni - l´arresto di Prosperini non mi pare sufficientemente motivato. Tutti conoscono Prosperini. Se c´è una persona che appare limpida e trasparente, che ha la passione della politica, e che ci mette del suo, è proprio Prosperini». Ancora più netto il responsabile della Difesa. «Io - aveva detto La Russa - di Prosperini ho, ho sempre avuto e avrò sempre fiducia perché in tutta la sua vita è stato un uomo irreprensibile in ogni suo atteggiamento pubblico».

Burton Morris
18-04-10, 21:21
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 10 MARZO 2010
Pagina 22 - Cronaca

Il lobbista della ´ndrangheta: così pagai le cene del Pdl

DAVIDE CARLUCCI
MILANO - «Ho pagato con un assegno personale, di cui mi hanno fatto fattura, il Pdl per la cena elettorale del partito a dicembre. Credo di averne pagate due, una un po´ più ristretta con Berlusconi e una un po´ più allargata dove Berlusconi non c´era...». A parlare, interrogato dal pm Paolo Storari, è Alfredo Iorio, un imprenditore lombardo arrestato a novembre per corruzione nell´ambito di un´inchiesta della Direzione investigativa antimafia sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nei comuni a sud di Milano.
Iorio, considerato dalla Dda, insieme al suo socio Andrea Madaffari, una sorta di lobbista dei clan, con le sue rivelazioni ha consentito l´arresto per tangenti di Tiziano Butturini, ex sindaco Pds di Trezzano sul Naviglio, e di Michele Iannuzzi, consigliere Pdl. Al pm parla anche dei suoi rapporti con l´assessore lombardo Stefano Maullu, candidato alle regionali per il Pdl, e con Fabio Altitonante, assessore provinciale al Territorio, dello stesso partito. Altitonante si prodiga per accelerare una pratica edilizia per 17 appartamenti a Milano «incagliata» in Regione. Nei verbali, depositati in questi giorni, spuntano anche rivelazioni su un avvocato torinese che, grazie ai suoi «agganci in tribunale» a Milano, riuscirebbe a combinare affari nelle aste immobiliari.

Burton Morris
18-04-10, 21:21
"La Stampa", 11 Marzo 2010, pag. 12


Un esercito di escort nel carnet della cricca


Le carte
L’inchiesta sul G8

FRANCESCO GRIGNETTI
PERUGIA

Quelle imprese vanno commissariate perché sono una distorsione permanente del mercato. I pubblici ministeri di Perugia vanno all’attacco delle imprese di Diego Anemone: lui è in carcere, accusato di corruzione continuata, ma le sue imprese stanno lavorando ancora ai Grandi Appalti. Epperò la legge è chiara, esiste una responsabilità giuridica anche delle società. «Occorre tenere presente che l’attività di indagine fino a questo momento svolta ha evidenziato la sistematicità con la quale le persone poste ai vertici delle società coinvolte nel presente procedimento sono incorse allo strumento della corruzione per ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici». I magistrati sostengono anche di più. Questi imprenditori hanno adottato la corruzione «come normale modus operandi». E allora ecco la richiesta al gip di nominare un commissario straordinario che prenda in mano le diverse società della galassia Anemone e le riconduca a una organizzazione più rispettosa delle leggi e dell’etica del mercato per la assoluta «necessità di recidere la propensione verso la criminalità del profitto».
Sistema escort

Che non fosse soltanto Diego Anemone a utilizzare il sesso come gradita merce di scambio, emerge da un altro filone dell’indagine condotta dal Ros di Firenze. A fare i conti c’è da farsi girare a testa: sarebbero ben 350 le escort di lusso (e non) che i carabinieri hanno censito lungo la loro inchiesta. In un apposito faldone ci sono nomi, cognomi e indirizzi di signorine compiacenti a Bologna, Firenze, Roma, Venezia. Era il vizietto di diversi funzionari della «cricca». Che però, come hanno scoperto i carabinieri, a colpi di cinque-sei-settecento euro ad appuntamento, era anche abbastanza caro. ma tanto pagavano gli imprenditori. Anche un certo Guido Ballari, a sua volta in rapporti con parlamentari del Pdl, pagava spesso. In un’occasione, a Roma, al quartiere Balduina, Fabio De Santis fu accompagnato da Ballari a uno dei soliti appuntamenti. Lui su a spassarsela, Ballari giù in strada ad aspettare. Rivelerà poi l’intercettazione di una telefonata tra De Santis e Ballari: «Ma lo sai che te la sei cavata per un pelo? Un attimo dopo che sei uscito, là è arrivato il marito di quella... Sai che casino che succedeva...». Risate.
Come Toro e Ferrara frenarono

Che il procuratore aggiunto Achille Toro avesse bloccato l’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ecologico, negando le intercettazioni telefoniche era noto. Ma anche il procuratore capo, Giovanni Ferrara, aveva mille dubbi. E i suoi furono argomenti «politici», non giudiziari. Toro era sicuramente un magistrato che amava procedere con i piedi di piombo. «Anche in altre circostanze - ha messo a verbale il pm Assunta Cocomello - il dottor Toro è stato molto cauto». Ma questa volta, visto che c’entrava il G8, le prudenze erano state esasperate. «Il dottor Ferrara e il dottor Toro segnalavano la necessità di individuare il passaggio di somme di denaro... Al massimo individuavano elementi per ipotizzare un abuso d’ufficio. Il dottor Ferrara mi ha anche responsabilizzato in ordine alla delicatezza dell’indagine in relazione a una eventuale fuga di notizie in pieno G8».
Tante perplessità e dubbi della procura romana irritarono i carabinieri del Noe. Al punto che l’11 febbraio 2009, negate le intercettazioni e anzi scippati dell’inchiesta che passava alla Guardia di Finanza, inviarono una nota riservata al comando. Gli ufficiali dell’Arma misero per iscritto tutti i loro dubbi a futura memoria. Ha testimoniato uno dei firmatari, il capitano Pasquale Starace, che tutto si bloccava per contrasti tra magistrati. «Il procuratore capo dr Ferrara e il procuratore aggiunto dr Toro formulavano obiezioni di “opportunità politica” e non di discrezionalità giudiziaria». E ribadisce il tenente Francesco Ceccaroni che i carabinieri rimasero perplessi perché loro volevano approfondire un’ipotesi di reato e gli veniva risposto che si temeva «il nocumento all’immagine del paese che sarebbe potuto derivare da un’indagine penale su un avvenimento di tale portata».
Ai pm perugini a questo punto dev’essere sorto un dubbio: ma anche Ferrara giocava la partita di Toro? E’ quanto ha intuito la stessa Cocomello, che ha concluso così: «Preciso di non avere mai avuto sospetti sull’operato dei miei capi».

Burton Morris
18-04-10, 21:21
"A Fastweb e Tis sapevano". Di Girolamo inguaia i manager.

• da la Repubblica del 12 marzo 2010

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di Carlo Picozza

Con l'ammissione di aver percepito «compensi» milionari dal gruppo di Gennaro Mokbel e con l'accusa ai vertici di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle di essere bene informati della truffa, si è concluso martedì scorso l'interrogatorio in carcere dell'ex senatore del Pdl Nicola Di Girolamo: «C'erano dirigenti ben consapevoli della illiceità delle operazioni che dovevano consentire di accumulare somme ingenti di denaro attraverso il meccanismo della frode dell'Iva». Davanti ai magistrati di Romache indagano sul riciclaggio internazionale da due miliardi di euro (365 i milioni sottratti al fisco), Di Girolamo ha fatto nomi e cognomi degli ex manager delle due società (che ancora non hanno votato il commissariamento annunciato per ieri). E in cambio del lavoro reso al gruppo di Mokbel, Di Girolamo ha riconosciuto di avere percepito in tutto «un milione e 700 mila euro di cui 200 mila in contanti» per l'operazione Phuncard. Al di là di quest'ultima cifra la dinamica dell'incasso Di Girolamo l'ha raccontata così: «Presi 4 milioni di euro: un milione e mezzo sono restati a me, 2,5 erano destinati a un fondo comune per l'acquisto di partecipazioni in una holding, la Runa, costituita a Singapore».
Alcuni manager di Fastweb e di Telecom Sparkle erano insomma al corrente delle operazioni di telefonia consumate attraverso la frode al fisco. «I nomi che ricorrevano», ha dichiarato Di Girolamo, «sono quelli che faceva Carlo Focarelli, ideatore di quelle operazioni, con competenze in telecomunicazioni, informatica e operazioni Iva: Stefano Mazzitelli, ex ad di TIS, Massimo Comito, responsabile dell'area europea, Antonio Catanzariti (vendite di trafffico all'ingrosso), Giuseppe Crudele e Bruno Zito manager di Fastweb, persone con le quali Focarelli riferiva di avere contatti operativi». Quindi, ha concluso Di Girolamo, «immagino che quei dirigenti fossero a conoscenza della illiceità delle operazioni».
Di Girolamo ricevette sui «200 mila euro in contanti» per l'operazione Phuncard: «Non sono stato parte attiva», ha detto ai pm Francesca Passaniti, Giancarlo Capaldo e Giovanni Bombardieri che indagano sul maxiriciclaggio, «ma ero a conoscenza dell'iniziativa». «Il mio compenso è variato in ragione dei profitti, sempre crescenti, dell'operazione. Dei 4 milioni - ha precisato Di Girolamo -, secondo le decisioni di Mokbel, due milioni e mezzo dovevano rimanere come fondo comune per l'acquisizione di partecipazioni della holding Runa, mentre io ho percepito un milione attraverso la società Gis e 500 mila euro con le Antiche Officine Campidoglio». «Dalla Runa», ha detto Di Girolamo, «dotata di un fondo iniziale di 5 milioni, non so che operazione sia stata realizzata. Erano previste dalle 10 alle 13 quote da 2 milioni e mezzo ciascuna per la costituzione della Runa: oltre a me, ricordo che avrebbero dovuto partecipare, Mokbel, Ricci, Toseroni, Focarelli, Breccolotti, Murri, Fanella, gli inglesi».
Il tribunale del riesame, il 17 marzo valuterà il ricorso presentato dall'ex ad e fondatore di Fastweb, Silvio Scaglia, mentre sulle richieste avanzate da 21 indagati, tra le quali quella di Mazzitelli, Comito, Catanzariti, Zito e Crudele si pronuncerà in corrispondenza con la scadenza, per ognuno, dei termini di custodia cautelare.

Burton Morris
18-04-10, 21:30
"La Repubblica", DOMENICA, 14 MARZO 2010

Pagina 13 - Cronaca

Bertolaso&c, l´affare emergenze ecco la fabbrica degli stipendi d´oro
Boom di gettoni straordinari, spesi 10 miliardi in nove anni

L´inchiesta

Il giro delle ordinanze facili. Pochi invece i fondi investiti per la prevenzione.
Corsie preferenziali per terremoti, ma anche convegni, gare sportive e visite del Papa

PAOLO BERIZZI


ROMA - Ci sono eventi e eventi, nell´Italia dell´emergenza continua e delle ordinanze a pioggia. Alcuni calamitosi. Altri che non lo sono per niente. Ma che, per la Protezione civile, erano e sono da ritenersi "grandi eventi". Gare ciclistiche, regate, mondiali di nuoto, beatificazioni, visite pastorali, convegni eucaristici, vertici politici e militari, pellegrinaggi. Per legittimarli, e per assegnare un compenso "aggiuntivo" ai «soggetti attuatori», ai commissari delegati e a quelli straordinari che li gestiscono - quasi sempre Guido Bertolaso - a palazzo Chigi è sempre pronta una disposizione urgente. Che in molti casi stabilisce un gettone: dal 3,75% al 50% del «trattamento economico complessivo in godimento».
Sono 628 le ordinanze straordinarie dal 2001 a oggi. Un diluvio di procedure "ad hoc" che hanno permesso al dipartimento di Protezione civile della Presidenza del consiglio di bruciare, in nove anni, oltre 10 miliardi di euro. Più di un miliardo all´anno. Settanta milioni al mese. Quasi 3 milioni al giorno. Un sistema che ha ingrossato i conti delle centinaia di ditte appaltate a trattativa privata. O con gare-lampo sottratte alle regole di assegnazione e controllo della Corte dei Conti. O - vedi Abruzzo - «sulla base di criteri di scelta di carattere fiduciario».
L´Italia che emerge dalle ordinanze di Protezione civile è un paese a rischio ininterrotto. Pronto a sprecare. Calamità naturali, certo. Terremoti, alluvioni, smottamenti. Mettiamoci pure il traffico di una mezza dozzina di città, i rifiuti sotto il Vesuvio, le gondole e i vaporetti che assediano Venezia e «l´eccezionale afflusso turistico» nelle isole Eolie. Ma in un fritto misto di sacralità, agonismo e alta diplomazia istituzionale, a Bertolaso&co sono state affidate anche: le visite pastorali del Papa (800 mila euro stanziati nel 2008 per gli spostamenti di Benedetto XVI, ogni volta che il pontefice supera le sponde del Tevere il governo concede la dichiarazione di "grande evento"); i mondiali di ciclismo di Varese (71 milioni) e quelli di nuoto di Roma (60 milioni); i congressi eucaristici di Bari (2005, 3 milioni) e Ancona (2011, 200 mila euro per ora); le Olimpiadi di Torino e i vertici internazionali come il Nato-Russia del 2002 a Pratica di Mare (5 milioni solo di telecomunicazioni). E ancora: il semestre italiano di presidenza europea, la firma della Carta di Roma, il doppio G8 Maddalena-L´Aquila - quello della "cricca" costato 500 milioni - , la Louis Vuitton trophy. E, trattata come «un evento calamitoso di natura terroristica», l´influenza suina: 24 milioni di vaccini acquistati dalla casa farmaceutica Novartis; ne è stato usato uno solo, gli altri 23 sono andati in malora. In tutto una quarantina di eventi. Almeno tre - secondo le procure di Roma, Firenze e Perugia - hanno prodotto la «gelatina» della corruzione, il reato di cui è ac-cusato il capo della Protezione civile.
Il dipartimento al tempo di super Guido è una macchina del potere. La più veloce, ricca e meno controllata dello Stato. Un pozzo di San Patrizio che in meno di un decennio - da quando nel 2001 Berlusconi ne ha fatto un dipartimento della presidenza del consiglio - si è trasformato in un grande ente appaltatore. In spregio alle norme sugli appalti e le assunzioni. Tutte per chiamata diretta, senza concorso (l´ultima infornata ne ha prodotte 200). Gli stipendi, poi. Dal capo ai funzionari, ce ne sono molti che lievitano grazie alle indennità: non solo per le emergenze e le missioni, anche per i grandi eventi.
È qui il nocciolo del potere della Protezione civile. Decreto varato da Berlusconi il 7 settembre 2001, articolo 5 bis comma 5. La "carta" estende il potere di ordinanza «alla dichiarazione di grandi eventi (...) diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza». Tradotto: una frana è come il G8, il terrorismo in Iraq come il ciclismo in Insubria. La canonizzazione di Padre Pio e Josè Maria Escrivà come i tuffi al Foro Italico e la preregata dell´America´s cup. Risultato: centinaia di milioni che fanno felici gli amministratori locali. E non solo. «È un´anomalia istituzionale - tuona il senatore del Pd Mario Gasbarri - . Le ordinanze le propone Bertolaso, Berlusconi le firma e le emana. In ogni ordinanza si nomina Bertolaso commissario. E in queste ordinanze lui riceve un compenso aggiuntivo. Bertolaso, insomma, decide quanti soldi deve prendere Bertolaso». Il capo della Protezione civile guadagna 236 mila euro (lordi). Più di ogni altro capo dipartimento. La sua retribuzione va in deroga alle leggi vigenti (pubblico impiego e contratto nazionale di lavoro del personale dirigente). Nel 2008 ha dichiarato un reddito imponibile di 1 milione e 13mila euro (quarto più ricco nel governo), a fronte di uno stipendio di molto inferiore. «Emolumenti episodici relativi ad attività svolte negli anni precedenti», ha spiegato in una nota la Protezione civile. Già. Ma qual è il compenso «aggiuntivo» di cui - documenti alla mano - Bertolaso pare aver beneficiato in questi anni? Per quanto Repubblica ha potuto sin qui verificare, ci sono una serie di ordinanze, almeno 12, emanate dalla Presidenza del consiglio tra aprile 2002 e giugno 2009, nelle quali è indicato un compenso extra per il commissario degli eventi. Che risponde quasi sempre al nome di Bertolaso. Lo "scalino" standard ammonta al 3,75%. Da calcolarsi sul «trattamento economico complessivo in godimento». Esempi. Il G8, il 50° anniversario della firma dei trattati di Roma, il congresso eucaristico di Ancona (in programma l´anno prossimo e già affidato al sottosegretario B.). In altri casi, come per il pellegrinaggio a Loreto del 2007, palazzo Chigi elargisce ai soggetti attuatori un´indennità pari al 50% del «trattamento economico». «Vorremmo capire se il compenso per Bertolaso è cumulativo o se lo è stato - ragiona Antonio Crispi, funzione pubblica Cgil - , lo chiederemo al segretario generale della presidenza del consiglio dei ministri». È un ginepraio il sistema di ordinanze di Protezione civile. Spesso, a un certo punto, la traccia che indirizza ai cachet si perde. Ecco alcune procedure urgenti. Emergenza terrorismo internazionale (2003, ancora in vigore, «retribuzione da determinarsi con successivo provvedimento del ministro dell´Interno); le frane di Cosenza (dal 2005 al 2010, compenso che Repubblica ha potuto stimare in circa 32 mila euro per il solo 2009 a favore del commissario straordinario); anniversario della firma dei trattati di Roma (2006, 3,75%); G8 (2007, 3,75%); congresso eucaristico di Ancona (2008, 3,75%). «Più ordinanze propone e più Bertolaso guadagna?», attacca Gasbarri.
Che con le ordinanze si sia fatto prendere un po´ la mano, del resto, lo ha ammesso lo stesso sottosegretario. «Forse il ricorso ai poteri di emergenza è stato un po´ eccessivo» ha detto a Panorama il 25 febbraio scorso. «Purtroppo, da servitore dello Stato, ogni volta che mi hanno sottoposto un problema, io sono intervenuto. Mi sembrava il modo migliore per fare andare avanti il paese». 800 dipendenti, una rete di 1milione e 300mila volontari, ultimo bilancio 2 miliardi e 72 milioni di cui 1,2 miliardi destinati ai mutui accesi per i lavori di ricostruzione e solo 31 milioni all´attività di "previsione e prevenzione" (la ragione sociale della Protezione civile). Uno «Stato nello Stato», lo definisce Manuele Bonaccorsi in "Potere assoluto". Con i piedi ben piantati nei grandi eventi. Meno sulla salvaguardia dell´ambiente. «Se non tuteli il territorio non tuteli la vita umana, di cui sei diretto responsabile - dice ancora Antonio Crispi - . Bisogna togliere alla Protezione civile i grandi eventi, cambiare il sistema». Quello che munge milioni allo Stato anche per un pellegrinaggio o una gara di ciclismo. "Emergenze" che per molti funzionari valgono il 30% in più dello stipendio. E altri cotillon. Lo dice chiaro l´ordinanza per i campionati di ciclismo di Varese: «Ai componenti della struttura commissariale», oltre all´indennità di missione, «spettano 100 ore mensili di straordinario forfaittario».

p.berizzirepubblica.it
(1 - continua)

Burton Morris
18-04-10, 21:31
"La Repubblica", LUNEDÌ, 15 MARZO 2010
Pagina 11 - Cronaca

Fas, ecco il bancomat del governo: milioni per opere che vanno a pezzi
Da Como a Messina, fondi a pioggia per le aree sottoutilizzate
Denuncia di Report. E in Sicilia c´è un superingegnere onnipresente nei progetti

ANTONELLO CAPORALE
ROMA - C´è un uomo che asfalta l´Italia. Un solo uomo che crea, progetta, a volte collauda, sempre verifica, infine inaugura. Si chiama Antonino Bevilacqua, e il suo curriculum è luce luminosa nel deserto ingegneristico italiano. É siciliano di Palermo, dunque e anzitutto la Sicilia è sua. Non si è occupato solo di 9 lotti della Palermo-Messina, ma anche di altri 2 della Siracusa-Gela. É stato progettista della Agrigento-Caltanissetta, della Ragusa-Catania-Comiso, della Circumetnea, dell´aeroporto mai realizzato di Agrigento, di un maxi lotto nel quadrilatero delle Marche, del ponte di Ortigia a Siracusa, della tratta ferroviaria Palermo-. Agrigento. É stato il direttore dei lavori della Catania-Siracusa, di 2 macrolotti della Ionica 106 e altri 2 della Salerno-Reggio Calabria, di un lotto del raccordo anulare di Roma, del passante ferroviario di Palermo.
E ancora: si è occupato del ponte sul Simeto e degli svincoli autostradali di Giostra. Ma l´ingegner Bevilacqua è anche professore universitario, dal 2004 presiede l´Autorità Portuale di Palermo e ora si occuperà pure naturalmente dei lavori del ponte sullo Stretto. Insomma, un uomo del fare! Infatti Silvio Berlusconi l´ha voluto conoscere, e due volte l´ingegnere ha avuto il piacere di stringergli la mano. Da lui, dalla sua testa e dalle sue mani passa il meglio del meglio che l´amico Gianfranco Miccichè finanzia dalla postazione al Cipe.
Dove vanno i soldi. Anzi, come vengono spesi i soldi. O anche solo sprecati, dimenticati, ripuliti, risucchiati. Rompendo la lunga ibernazione informativa della Rai, Milena Gabanelli ieri sera è riuscita a mandare in onda (una mano gliel´ha data anche Antonio Di Bella, il direttore di Raitre) un´inchiesta minuziosa di Sigfrido Ranucci sul tragitto che compiono le molte milionate di euro. Un acronimo (Fas, fondi per le aree sottoutilizzate) li contiene e la mano della politica li destina. Ovunque ce ne sia bisogno e a prescindere, direbbe Totò. I Fas stanno aiutando Como, che economicamente non ha problemi. Con i Fas si vorrebbe ricostruire L´Aquila, con i Fas si inizia il cammino del Ponte sullo Stretto. E soldi, tanti, sono giunti per completare la Catania-Siracusa: un´opera utile, disegnata bene, realizzata meglio. A cui ha dato una mano anche l´azienda degli Ercolano, albero genealogico che riconduce a una unica tipologia di reato: associazione mafiosa. Protocollo della legalità si chiama l´arma che lo Stato impugna quando gli appalti si fanno difficili e gli appetiti assai sostenuti. Legalità?
Malgrado gli Ercolano, l´autostrada è stata completata. Una grande opera di cui il governo, sempre molto attento a questi impegni, non ha ritenuto di celebrare la nascita nel modo solito. Il nastro tricolore fu invece sforbiciato dal premier, alcuni anni fa, per rendere il giusto onore alla conclusione di un´opera trentennale: l´autostrada Messina-Palermo. Finita finalmente! Eccola qui. Sta già sprofondando. Avvallamenti e dossi. Le telecamere di Report filmano, documentano. Le crepe nel cemento, i viadotti come un ring ad alto rischio. Si è capottata anche l´auto della scorta del procuratore nazionale antimafia. Ammaccature ma nessun graffio. Deficit al sistema di telecontrollo, perfettamente progettato, guard rail più bassi del minimo di legge. Manutenzione poca, controlli assenti e soprattutto buio totale. Una galleria per esempio per mesi è stata impraticabile per il rischio crollo. E invece di pensare a metterla in sicurezza si è deciso di appaltare a degli sbandieratori un´azione di moral suasion nei confronti degli automobilisti: abbassavano e infine alzavano bandiere rosse. Night & day. Pericolo segnalato, rischio azzerato. Sbandierando sono andati via, per la bisogna, "alcuni milioni di euro".
Per sprecare bene bisogna avere talento. Infatti a Catania la Circumetnea, azienda fatiscente e in perdita, è stata affidata alle cure di Gaetano Tafuri, ex assessore al bilancio del comune di Catania, la città fallita. Tafuri al tempo consegnò le carte della disfatta a Scapagnini, il sindaco del default. Scapagnini le dette a Berlusconi che le passò a Tremonti. Con i fondi Fas, sempre loro, circa 140 milioni di euro, è stato ripianato il deficit. Il ministro Altero Matteoli, uomo di ferro, ha chiamato a risanare i conti della Circumetnea proprio Tafuri, l´uomo che secondo i magistrati fu tra gli artefici del buco alle casse catanesi. Tutto torna: lui è del Mpa, il movimento di Lombardo, e la Sicilia è regione affidata alle cure specialistiche del governatore. Infatti Tafuri si è messo all´opera e su questa metropolitana si viaggia lenti, perché l´intero percorso non è stato mai completato, ma contenti. L´acquisto del biglietto è un optional, dei controllori nemmeno l´ombra, le carrozze fanno rabbrividire. Guardare per credere. Tafuri però ha dato una sistemata al bilancio e reso completo l´organigramma. Come fosse un grande evento, e lui Bertolaso, ha deciso una sessantina di assunzioni intuitus personae. Cioè: i figli dei sindacalisti, il figlio del suo autista e quello della segretaria di Lombardo, e poi sindaci e assessori in quota Mpa. Perciò e di nuovo: tutto torna.

Burton Morris
18-04-10, 21:31
"La Stampa", 14 Marzo 2010, pag. 18

il caso

Denaro pubblico gettato al vento in Valle d’Aosta

Il trenino degli sprechi non parte più

Da linea per le miniere a “via dello sci”
Ferma da sempre, la Regione rinuncia

ENRICO MARTINET
AOSTA

Da simbolo del duro lavoro di miniera a emblema dello spreco di soldi pubblici. È un trenino infilato nella montagna per 8 dei 12 chilometri di tratta, era destinato a diventare tranvia turistica. In 53 anni di servizio i locomotori hanno tirato vagoni carichi di magnetite, minerale di ferro scavato nei monti di Cogne destinato all’omonima azienda dell’acciaio. La «via del ferro» era il trenino Cogne-Acque Fredde, non distante dalle piste di sci di Pila, poi la teleferica che segue il versante fino all’acciaeria. Funzionò dal 1926 al 1979, quando per fare acciaio si preferirono i rottami al minerale. Fine di un’epoca e avvio dell’idea di una «tranvia della neve». Risultato: 25 anni in cui la Regione Valle d’Aosta ha gettato su quei binari 60 milioni di euro (5 a chilometro) per non ottenere nulla.
I vagoncini turistici non sono mai partiti e i lavori in galleria sarebbero da rifare. Ma così non sarà. Lo stop alla rivisitazione di un’incredibile «tela di Penelope» è dello scorso anno, la riconversione è di adesso. I fabbricati diventeranno un bar e un albergo, il governo regionale ha commissionato uno studio di fattibilità che costa settemila euro. La galleria del Drinc (6,5 chilometri) resterà un monumento a ogni possibile errore tecnico: il cambio in tunnel stradale è stato bocciato per costi e tempi di realizzo.
Il trenino delle miniere chiuse nel ‘79 e l’anno dopo già si decise che il pensionamento sarebbe durato solo qualche anno, il tempo per farlo diventare l’alternativa alla strada di Cogne a rischio valanghe. Sarebbe diventato il collegamento tra il comprensorio sciistico di Pila e Cogne.
Invece la tormentata storia della riconversione diventa il diario di denaro gettato nel 2007: la società cui la Regione aveva affidato la gestione della tranvia scrive che non sa che farsene di una tratta incompleta e inutilizzabile. Così l’Amministrazione regionale che fino a quel momento aveva continuato a pagare collaudi, lavori e migliorie si trova di fronte al disastro. Affida uno studio di guai tecnici e di responsabilità. La sentenza è devastante: i lavori della galleria sono da rifare, le opere di cemento crollano per infiltrazioni d’acqua che contengono sostanze corrosive. I binari nuovi sono deformati, hanno curvature impossibili, in alcune parti non sono allineati. Nel tempo i progetti avevano dovuto essere adeguati perché le normative sulla sicurezza erano state modificate.
L’analisi tecnica è impietosa, neppure la scelta dei locomotori era azzeccata. L’alimentazione a batteria dei treni non era in grado di far concludere il viaggio di andata. Il progettista dell’opera era anche il direttore dei lavori: non è cambiato in 25 anni di costruzione dei vari lotti che poi sono stati collaudati da altri professionisti che scrissero di anomalie marginali. Dal 1985 al 2007 nessuno si accorse che il «trenino della neve» non avrebbe mai potuto funzionare se non ricominciando i lavori daccapo. Ora il dossier è alla Corte dei Conti, il processo è imminente.
Tra rotaie e regione valdostana pare non esserci feeling: la ferrovia che la collega al Piemonte è tra le più lente d’Italia, con disservizi continui. Alcuni anni fa la Regione decise l’acquisto dei «Minuetto», splendidi treni che durarono poco perché le ruote «mangiavano» i binari.

Burton Morris
18-04-10, 21:32
"La Stampa", 15 Marzo 2010, cronaca di Torino

Documento
La relazione del 2009 sulle spese

LE CIFRE NON COLLIMANO

Corte dei Conti all’attacco: “Ci nascondono le consulenze”

I giudici contabili: gli enti pubblici non inviano i dati

Incarichi per 50 milioni ma al ministero ne risultano per 250



RAPHAËL ZANOTTI

Le consulenze esterne, nel corso del 2009, sono diminuite in tutto il Piemonte. La Regione le ha tagliate del 45%, passando dai 5,1 milioni spesi nel 2008 ai 208 dell’ultimo anno. Gli enti locali, Comuni e Province, hanno tagliato del 21% (da 14,9 milioni a 11,7 milioni) e persino gli ospedali, che da soli continuano a rappresentare circa un terzo della spesa regionale, sono riusciti a passare dai 26,6 milioni spesi nel 2008 ai 21,8 dell’ultimo anno (-18%). Peccato che questi dati siano «inattendibili».
A sostenerlo è la Corte dei Conti che ha appena pubblicato la sua relazione annuale sulle spese della pubblica amministrazione in fatto di incarichi esterni, mostre, convegni e pubblicità. La Corte dà conto dei miglioramenti nei conti, ma bacchetta la pubblica amministrazione perché nasconde i dati, o quantomeno si “dimentica” di inviarli alla sezione deputata al controllo. E non si tratta di bruscolini.
Facciamo un esempio. Secondo la documentazione inviata il sistema Piemonte avrebbe speso nel 2009, per consulenti e collaboratori di alto profilo, qualcosa come 40 milioni di euro. È un dato veritiero? No, secondo la Corte, visto che nel 2008 la spesa risultava di 49 milioni, ma all’anagrafe delle prestazioni del ministero della Pubblica Amministrazione, che ha appena terminato il monitoraggio su quell’anno, la cifra supera i 246 milioni di euro. Praticamente cinque volte di più. Il divario è troppo grande perché possa essere determinato dagli incarichi inferiori ai 5000 euro, non soggetti al controllo della Corte. Secondo i giudici contabili la cosa è più grave: siccome l’ente pubblico che non invia la documentazione non viene multato, molti decidono di non spedire nulla, non permettendo alla Corte di svolgere il suo compito.
Altro esempio. La Regione risulta aver speso 2,8 milioni nel 2009. Un bel risultato se si considera che l’anno precedente ne spendeva praticamente il doppio (5,1 milioni). Peccato che basti controllare il sito web della Regione, alla voce “Operazione Trasparenza”, per scoprire che i contratti stipulati con professionisti esterni raggiungono la cifra di 6,1 milioni di euro. La Corte non ha ricevuto alcuna documentazione relativa alle consulenze e alle spese di rappresentanza del Consiglio Regionale. E sul sito internet è stato omesso il nome dei dirigenti collegati invece in modo indeterminato alle “retribuzioni annue lorde”. Non va meglio dalle parti di Comuni e Province. Il Comune di Torino ha inviato atti alla Corte che dimostrano consulenze per 1,4 milioni di euro nel 2008, ma controllando l’anagrafe delle prestazioni del ministero si scopre un «importo previsto» (cioè contrattuale o pattuito) che vale 7 milioni di euro. Anche qui, cinque volte tanto. Che fine hanno fatto le altre consulenze?
Comuni e Province, poi, pare si siano dimenticati di inviare alla Corte gli atti relativi agli incarichi esterni per lavori di architettura e ingegneristica. Una mancanza tale che i giudici hanno aperto un’indagine specifica, ancora in corso. su 450 incarichi esterni per una cifra pari a 6,8 milioni di euro.
E dire che l’attività della sezione controllo è utile alla pubblica amministrazione visto che fornisce l’andamento della spesa e individua gli errori più comuni. Sui 1829 atti inviati, 147 sono risultati irregolari, il 9%. Si continuano ad affidare consulenze senza bandire una gara pubblica, oppure senza verifica se ci sono dipendenti all’interno dell’ente che potrebbero ricoprire l’incarico, oppure a persone senza i requisiti. Insomma, la classica chiamata dell’amico. Una situazione che non migliorerà fino a quando la legge non prevederà sanzioni.