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anticlericale
23-04-09, 02:39
"La Stampa", 06 Febbraio 2009, pag. 14

ANCORA POLEMICHE SANTA SEDE-LEFEBVRIANI. IL CAPO DEL NORD-EST, ABRAHAMOWICZ ACCUSA: «PEGGIO DI UN’ERESIA»


La vicenda del vescovo «negazionista» Williamson


Padre Lombardi: «Ci sono stati difetti nella comunicazione»

“Il Concilio? Una cloaca maxima”

CITTà DEL VATICANO


Non è per niente chiusa la questione fra il Vaticano e i lefebvriani, gli scissionisti cui il Papa aveva appena tolto la scomunica, scatenando proteste planetarie poiché fra di loro ci sono vescovi negazionisti della Shoa, come Richard Williamson. Ieri, il capo dei lefebvriani del Nord-Est, don Floriano Abrahamowicz (che pochi giorni fa aveva preso le parti di Williamson sostenendo che le camere a gas nei campi di concentramento erano state costruite «almeno per disinfettare») si è scatenato contro il Concilio Vaticano II: «E’ stato peggio di un’eresia. San Pio X ci spiega che il modernismo è la “cloaca maxima” delle eresie e non si capisce niente in questo modernismo: una pagina dice la verità, giri la pagina c’è l’errore. In questo senso dico che il Concilio Vaticano II è una cloaca maxima».
Le parole di Abrahamowicz non arrivano a caso. Con un nota, infatti, mercoledì la segreteria di Stato vaticana (oltre a sollecitare Williamson ad abiurare le sue tesi negazioniste, se non voleva confermata la scomunica) aveva subordinato «il futuro riconoscimento della Fraternità Pio X» al «pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II». E la strada sembra ancora molto accidentata.
Tutto questo avviene al termine di una giornata durante la quale i lefebvriani non avevano offerto alcuna risposta - né sul caso del Concilio né su quello di Williamson - alla Santa Sede. Ma, in serata, un quotidiano locale tedesco, il «Kolner Stadt-Anzeiger», ha annunciato, pur senza citare fonti precise, che il superiore della comunità, Bernard Fellay, sarebbe pronto a ordinare nuovi sacerdoti, in aperto contrasto con i divieti vaticani. Si è in attesa di ulteriori conferme, ma la notizia ha ulteriormente aperto la ferita.
E sì che proprio ieri, come per mettere una pietra sopra un colossale pasticcio, il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, rispondendo a un intervista del quotidiano francese «La Croix», ha ammesso che ci sono stati evidenti problemi di comunicazione a proposito del decreto di remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Soprattutto, a proposito della concomitanza tra la revoca della scomunica e la diffusione delle frasi negazioniste di Williamson, la congettura di padre Lombardi è che «le persone che hanno gestito la vicenda» non hanno avuto «coscienza della gravità» di quanto era stato sostenuto. «Di certo il Papa non ne sapeva nulla», ha aggiunto padre Lombardi, concludendo che «se c’era uno che doveva esserne al corrente era il cardinale Castrillon Hoyos, presidente della commissione Ecclesia Dei, mediatore fra la Chiesa e gli ultra-tradizionalisti».



Sabato 24 gennaio
La sala stampa del Vaticano pubblica la remissione della scomunica per i quattro vescovi ordinati illecitamente nel 1988 da monsignor Lefebvre contro il divieto del Vaticano. Lefebvre aveva dato vita allo scisma non riconoscendo il Concilio Vaticano II che tra l’altro aveva abolito la messa in latino. Nonostante la precisazione iIl mondo ebraico insorge.
Mercoledì 28 gennaio
Il papa auspica che «La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo».
Mercoledì 4 febbraio
La Santa Sede precisa che «Il Papa non era al corrente delle dichiarazioni negazioniste» di Williamson e che per essere riabilitato dovrà rinnegare pubblicamente le sue tesi sgli ebrei.Giovedì 22 gennaio
La tv pubblica svedese manda in onda un’intervita al vescovo lefebvriano Richard Williamson. Il prelato nega l’esistenza delle camere a gas e dice che nei lager sono morti solo 2-300 mila ebrei.
Venerdì 23 gennaio
La procura di Regensburg indaga sulle parole del vescovo.

anticlericale
23-04-09, 02:39
Noi Radicali non violenti contro il Concordato
• da Left del 6 febbraio 2009, pag. 18

di Carlo Patrignani

Marco Pannella ha uno scatto di contentezza, quando gli chiediamo di parlare del Concordato. L`11 febbraio è vicino, è l`anniversario dei Patti Lateranensi tra Mussolini e Pio XI che subito dopo la firma, definì il duce "l`uomo della Provvidenza" perché quel testo resta la scaturigine delle molte provvidenze intascate dalla Chiesa. Il leader radicale sorride,l`argomento è suo: lo è dal 1977 quando da "non violento" propose il referendum abrogativo respinto, il 2 febbraio1978, dalla Corte costituzionale per incostituzionalità. Perché i Patti Lateranensi il 25 marzo 1947 con il noto art.7 votato insieme dalla De di Alcide De Gasperi e dal Pci di Palmiro Togliatti, più la destra,erano stati "elevati" a norma della Costituzione repubblicana, nata dalla lotta antifascista e antinazista. Al buon Dio pare che ci sia: 35 anni fa si occupò di portare a Paolo VI l`errore di fare il referendum sul divorzio e siccome il buon Dio non paga il sabato, quella domenica,il 12 maggio 1974, fu...». Si arresta,come a prendere la rincorsa. Lo anticipo:un disastro? «Sì, per loro, però». E una vittoria, «ma per noi, per il fronte divorzista».Quella vittoria, i Radicali l`hanno sempre festeggiata: le ultime due volte nel 2007 a Piazza Navona e nei 2008, con il convegno "Amore civile".
E oggi, domenica primo febbraio? «Pare che il buon Dio ci venga ancora incontro», aggiunge Pannella. L`eco dell`anatema domenicale,l`ennesimo, di papa Ratzinger contro eutanasia,aborto, fine e inizio vita, libertà di cura, è ridondante. «A conferma delle nostre previsioni sullo Stato Vaticano: una"monarchia assoluta", che però pare non trovare adesioni nel popolo, dove la "resistenza"cresce in termini di vissuti, sentimenti,empatia con noi». Una sintonia tra il popolo e uno sparuto gruppo di«500-1.000 partigiani, scrivi così – quasi mi ordina Pannella - che dagli anni Cinquanta fanno "resistenza" non violenta,responsabile, liberale e libertaria al regime: è ora di voltare pagina».Torna la `non violenza`, il cavallo di battaglia di Pannella che non lo molla, lo ripete,ogni volta, da decenni e decenni ...«C`è bisogno di voltar pagina, di costruire un`alternativa liberale, democratica,"non violenta" a questo regime che ci porta allo sfascio». Ma dove però, «il potere,l`ingerenza del Vaticano si fa più forte: l`infame linea di Ratzinger che tuona contro i fautori della morte, solo loro, ripete,sono perla vita». Il popolo sembra non seguirlo stando ai sondaggi: l`80 percento è favorevole a una morte dolce, e poi alcuni intellettuali "credenti" come il presidente del Comitato nazionale di bioetica, Paolo Casavola, dicono che forse è il caso di dar corso alla sentenza della Cassazione su Eluana. "Sì, ho letto e gli dico bentornato, una volta, ma tanti anni fa, quando mi battevo per riportare la legalità parlamentare sulle nomine, Casavola scrisse: possibile che è sempre necessario che ci dia il suo contributo Pannella con i suoi scioperi non violenti della fame e della sete?».
Andiamo avanti: si dice che il papa ha diritto di... Mi interrompe subito: «Il nostro è un Paese dove il capo della Chiesa si esprime in quantità e in qualità senza precedenti al mondo. Il giochetto di dire "non s`è fatto parlare il povero papa" non sta in piedi: sarebbe come voler raccontare che nell`Italia degli anni`30 si toglieva la parola a Mussolini». Insomma, la presenza"pervasiva" del Vaticano c`è eccome "fin dentro le case" degli italiani. «Senti, oggi chiunque vuole celebrare l`11 febbraio, l`anniversario del Concordato clericofascista,non può non discutere in questa occasione del suo peggioramento - sottolinea -. Con la tecnica di Margiotta Broglio che poi fece sua, Bettino Craxi, per motivi opportunistici, scelse l`orrida riedizione del Concordato senza toccare i trattati, non rinnovò i trattati,come gli chiedevo insistentemente, che era la parte più manifestamente di tentativo di uno Stato, diciamo, con due componenti: quella vaticana e quest`altra». Il leader radicale si riferisce agli Accordi di Villa Madama, ratificati dal Parlamento italiano il 25 marzo 1984, tra il suo"amico Bettino", ci tiene a rimarcarlo, allora presidente del Consiglio e mons. Casaroli. «Lì c`è scritto che il Vaticano, la Chiesa, e lo Stato italiano assieme si univano per il bene dell`Italia: ma come? Ma dove sta scritto? Per me è un`eresia. In sé il costantinismo era ufficiale, formale,ma non puoi dare per scontato che la Chiesa e quindi la Cei, la Conferenza episcopale italiana, sia delegata, al pari del Parlamento, a vegliare sul bene del popolo italiano, del nostro amato popolo».
Nessuno fiatò, nemmeno il Pci di Enrico II "patto" dell`84:«La Chiesa e l`Italia assieme si univano per il bene del Paese:ma come?Per me è un eresia» Berlinguer pronto invece a organizzare un referendum sul taglio di quattro punti allascala mobile: ovviamente,tranne i Radicali che ripropongono oggi, a distanza di 25 anni, la questione. «Persino a Teheran c`è un presidente laico, Ahmadinejad: qui da noi invece. C`è quel cardinale di Torino che interviene prima, mentre in Parlamento si discute...». E di ingerenze simili la lista è lunga e tocca persino la concertazione tra governo e sindacati... «E io allora mi rivolgo al presidente della Repubblica, Napolitano: siamo assassini perché abbiamo legiferato sull`aborto e siamo responsabili di una shoah permanente... presidente, ancora oggi un capo di Stato estero ha detto che è indegno quanto la magistratura italiana ha fatto in una certa occasione e continua adire che loro governano il monopolio della vita contro le ideologie, le posizioni di morte». Sì, Ratzinger se l`è presa con il presidente della Corte d`appello di Milano, Grechi, che a proposito del caso Eluana ha ribadito che "le sentenze" vanno rispettate.«Anch`io, a suo tempo, ho votato e fatto votare per Napolitano, e lei non è presidente neanche dell`Italia Pci, non dico comunista-stalinista, vorrei lo tenesse bene a mente: ognuno ha la sua storia,allora mio compito è farle sapere chela "razza" dei liberali, degli antifascisti, anche perché anticomunisti, quella razza lì è ancora organizzata e, pur non disponendo di elettorati passivi, è viva, c`è nella società». Il rischio di una deriva autoritaria perché muore lo Stato di diritto c`è. «È un fiume che sta stravolgendo il nostro Paese... Ci vuole dopo 60 anni di regime partitocratico un`alternativa liberale, bisogna voltar pagina nel segno della nonviolenza». Liberandosi della "zavorra" catto-comunista, il Concordato.

anticlericale
23-04-09, 02:40
I segreti dello Ior
Intervista a Maurizio Turco

• da Left del 6 febbraio 2009, pag. 23

di Federico Tulli

La religione «cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». È 1`11 febbraio del 1929 quando Mussolini e Pio XI siglano i Patti lateranensi tra lo Stato italiano e la Santa sede. Nasce la Città del Vaticano e al pontefice vengono attribuiti i poteri di un sovrano. Quelle poche parole dell`articolo 1, a 59 anni dalla Breccia di Porta Pia, legano Stato e Chiesa in un vincolo quasi indissolubile: una secca frase che riesuma un principio dello Statuto albertino che rimarrà saldo anche dopo la caduta del fascismo e il varo della Costituzione del`48. È infatti solo il 18 febbraio 1984 che l`allora presidente del Consiglio Bettino Craxi sigla il nuovo concordato con il Vaticano, abrogando quello dell`Italia fascista e con esso lo sciagurato comma. Una firma che secondo il deputato radicale del Partito democratico Maurizio Turco arrivò con 36 anni di ritardo: «In pratica. - spiega Turco a left - il carattere di laicità dello Stato stabilito al l`articolo 8 della Carta risulterà violato fino al nuovo Concordato».
Onorevole Turco, Craxi che abroga i Patti lateranensi merita un giudizio positivo?
Non direi. Il Concordato dell`84 ha cambiato ben poco poiché persiste il problema costituzionale rappresentato dall`articolo 7, che consente a una confessione religiosa, quella cattolica, di essere trattata in maniera diversa dalle altre.
Tutto questo in che termini lo pagano gli italiani?
Diritti civili a parte, lo pagano anzitutto in denaro contante. La questione economica preme alla Santa sede al pari di quella religiosa, visto che l`obiettivo è creare un impero. Con a capo un monarca assoluto dotato di poteri come nessun dittatore al mondo: solo il papa in qualsiasi momento può interrompere un processo e stabilire lui la sentenza. E con un`organizzazione - che per il potere che va acquisendo sempre più sembra oggi essere Comunione e liberazione - che si occupa della gestione del denaro e delle altre ricchezze.
Di che cifre stiamo parlando?
Impossibile saperlo con precisione. Oltre agli introiti dell`otto per mille, tutto ruota intorno allo lor, l`Istituto perle opere di religione, che è rigorosamente protetto dall`articolo 11 del Concordato laddove dice che «gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano».
Ma lo Ior è una banca. Non dovrebbe essere vincolato a specifiche leggi internazionali?
Si, certo, è una banca. Ma, nel corso del processo a Marcinkus per lo scandalo del Banco ambrosiano, il Vaticano dichiarò che la sua attività è strumentale per il persegui- mento dei fini religiosi.
Significa che non ci dobbiamo impicciare?
Esattamente. Le faccio un esempio per capire fino a che punto non dobbiamo sapere. Durante il processo "Gea", quello ai procuratori dei calciatori, a un certo punto è emerso un conto allo lor. Ma non si è potuto approfondire né l`entità, né la provenienza del denaro perché quando c`è lo Ior di mezzo ormai i magistrati non chiedono più nemmeno le rogatorie.
Come mai?
Perché è inutile: sanno già quale sarà la risposta e la motivazione del rifiuto.
Per via dell`articolo 11?
Appunto. Ma, se possibile, c`è un fatto ancora più grave che riguarda questo comma.
Ci spieghi meglio...
L`Italia ha ricevuto dall`Unione europea il mandato di trattare le questioni finanziarie col Vaticano a nome di Bruxelles. Questo significa che in base al Concordato noi consentiamo a questo Stato di essere "indirettamente" nel sistema finanziario europeo dei pagamenti intracomunitari, senza che però il suo principale istituto bancario sia soggetto ad alcun controllo. Inoltre, il Vaticano fa parte di tutte le organizzazioni internazionali che si battono contro il riciclaggio e per la trasparenza bancaria. Dunque questi sanno tutto ciò che fanno gli altri, senza alcun obbligo di dichiarare cosa fanno loro.
Da quello che dice, lo Ior non dovrebbe aver problemi di concorrenza...
Il vincolo dell`articolo 11 ce lo lascia solo immaginare. Anche se ogni tanto qualcosa trapela. Clamorosa fu la nostra casuale scoperta di tre anni fa (vedi left n. 3233/2008, ndr) quando nel bilancio dei medici cattolici giapponesi pubblicato online trovammo riferimenti a una convenzione con lo lor per un conto corrente che dava il 12 per cento di interessi. Se fosse un prestito potremmo chiamarla usura, trattandosi di un tasso attivo, come possiamo definirla: corruzione?

anticlericale
23-04-09, 02:40
"La Stampa", 07 Febbraio 2009, pag. 14

BERTONE IN VISITA PRIVATA A MADRID, DUE ORE A COLLOQUIO CON ZAPATERO


Spagna-Chiesa, la lite è finita


GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO


«E’ scoppiata la pace con la Cattolicissima», si compiacciono in Vaticano. Dopo le tempeste che negli ultimi anni hanno segnato le relazioni fra Santa Sede e vescovi spagnoli da un lato, potere socialista dall’altro, ora la Spagna «è meno lontana». Il numero due vaticano Tarcisio Bertone, in missione a Madrid, ha avuto mercoledì con Zapatero un lungo colloquio a quattr’occhi, senza interpreti, durato oltre un’ora, in un clima «molto cordiale e improntato a un dialogo costruttivo». Zapatero ha trasmesso a Bertone un invito a Benedetto XVI a partecipare nel 2010 alle celebrazioni per l’Anno Santo di Santiago de Compostela. Nel 2011, poi, il Papa presiederà a Madrid la Giornata mondiale della Gioventù, la cui preparazione è stata discussa dal premier spagnolo e dal segretario di Stato vaticano.
Dunque, «rispetto reciproco» fra Chiesa e Stato: simbolicamente è nel paese-avanguardia del laicismo che il cardinale Bertone ha delineato il quadro dei rapporti fra istituzioni civili e religiose. Dopo la visita di due giorni a Madrid, le relazioni fra Vaticano e la Spagna socialista sono uscite dalla fase di tensione. Benché in teoria in visita privata, Bertone ha incontrato tutti i massimi dirigenti del paese da re Juan Carlos a Zapatero, al capo dell’opposizione Mariano Rajoy. Una serie di colloqui basati sulla diplomazia del sorriso, ben lontani dalle crisi aperte e dalle accuse reciproche fra Chiesa e governo (su matrimoni gay, educazione alla cittadinanza, divorzio rapido) della prima legislatura Zapatero. Il governo di Madrid, commenta il quotidiano «El Pais», vicino al Psoe del premier, ora «procede con piedi di piombo e guanti di seta nelle relazioni con il Vaticano».
Un nuovo tono di rispetto reciproco, malgrado le divergenze che rimangono, è apparso durante i colloqui. La vicepremier Teresa de la Vega ha difeso la nuova legge sull’aborto che Madrid sta preparando, ma Zapatero ha rassicurato Bertone che non ci saranno cambiamenti nel concordato con il Vaticano. Il premier ha rinviato «sine die» l’esame di una norma sull’eutanasia e di misure «laiciste» chieste dalla sinistra sull’apostasia e sui simboli religiosi. «La Chiesa si mostra rispettosa di fronte alla giusta autonomia delle realtà temporali, ma chiede lo stesso atteggiamento nei confronti della sua missione nel mondo, e delle sue diverse manifestazioni individuali e collettive - commenta Bertone - Lo stato non può rivendicare competenze sulle convinzioni intime delle persone e neppure imporre o impedire la pratica pubblica della religione». Insomma, «rispetto reciproco non significa abdicare alle proprie convinzioni».
www.lastampa.it/galeazzi

anticlericale
23-04-09, 02:41
Le paure della Chiesa
• da La Repubblica del 9 febbraio 2009, pag. 31

di Edmondo Berselli

Basta leggere le primissime pagine del nuovo libro di Marco Politi, La Chiesa del no (Mondadori, pagg. XII-366, euro 19, prefazione di Emma Bonino), per registrare quanto sia ampia la rassegna dei problemi aperti, fra lo Stato italiano e il Vaticano, e quanto siano aspri gli attriti: «A ottant`anni dal Concordato il bilancio è opprimente». Segue l`elenco, che comincia con gli ostacoli sollevati per impedire l’approvazione del divorzio breve, prosegue con «l`invasione di campo» all`epoca del referendum sulla legge relativa alla fecondazione assistita, e tocca tutti gli altri punti caldi (anzi caldissimi, in questi giorni di dibattito angoscioso sul caso Englaro): opposizione al testamento biologico, contrarietà alle regolamentazione delle coppie di fatto, demonizzazione delle unioni gay, sostegno all`obiezione di coscienza sulla pillola del giorno dopo, campagna contro la pillola abortiva Ru-486.
Qualche pagina più in là, l`autore concluderà che con papa Ratzinger si è osservata in Italia una «sistematica invasione della sfera politica». Basterebbero questi argomenti per concludere, come in effetti fa Politi: «Gli italiani chiedono testimonianza, non comandi dal pulpito. Si prova disagio quando il vertice ecclesiastico pretende di dire l`ultima parola su tutto, arrogandosi una triplice corona quale rappresentante di Dio, interprete della Ragione e al tempo stesso della Natura». Tuttavia Politi è un giornalista, e anzi uno studioso, troppo fine per accontentarsi delle recriminazioni. Poche righe oltre, ecco esplicitato il cuore del suo libro: «La verità è che la Chiesa ha paura di una società in cui è esplosa la soggettività di massa, una società in cui si sono andati affermando il gusto, l`abitudine, il diritto di impostare la propria esistenza secondo la propria coscienza e le proprie convinzioni». Su questo immutabile sfondo morale, l`aborto è sempre un crimine, tanto da indurre Wojtyla a paragonarlo all`Olocausto, suscitando proteste nelle comunità ebraiche, mentre l`omosessualità e gli omosessuali in quanto tali non esistono (sì danno soltanto «radicate tendenze omosessuali», che evidentemente si potrebbero sradicare).
E’ proprio questo il punto centrale del lungo reportage di Politi, che affronta la cronaca attraverso testimonianze per- sonali e coinvolgenti racconti diretti. Infatti risulta cruciale il resoconto dell`intervista del 2004 all`allora cardinale Joseph Ratzinger, il quale ammette nella conversazione che «il cristianesimo ha difficoltà a farsi capire nel mondo odierno, specialmente in quello occidentale, americano ed europeo. Sul piano intellettuale, il sistema concettuale del cristianesimo appare molto lontano dal linguaggio e dal modo di veder moderno». Era questo, per la verità, il tema di fondo su cui si era esercitata, fra grandi speranze e grandi frustrazioni, la riflessione del Concilio. A quasi mezzo secolo di distanza dal Vaticano II, ciò che appare ancora in gioco è il rapporto fra il cattolicesimo, con la sua pretesa di universalità, e la modernità in tutte le su espressioni. Oggi, dice Ratzinger, la Chiesa cattolica, dopo aver attraversato «le onde delle ideologie», dal marxismo al liberalismo, «fino al libertinismo», deve fare i conti con «una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie». La risposta della Chiesa, sulla scia di Ratzinger, è la dottrina dei «principi non negoziabili», che comporta una totale intransigenza di fronte al mutamento culturale e sociale.
In sostanza, di fronte a un passaggio d`epoca, l`antropologia cristiana rifiuta qualsiasi evoluzione. Il matrimonio considerato intoccabile, il celibato sacerdotale, il rifiuto dell`eutanasia (e il ripristino di misure post mortem come il rifiuto della sepoltura cristiana nel caso Welby) hanno comportato fra l`altro una stridente competizione con il governo del «cattolico adulto» Prodi, accusato dal quotidiano della Cei Avvenire di avere lavorato, con i Dico, a favore di nuovi «format sociali». Ma nelle partecipate, coinvolgenti-e giornalisticamente obiettive - cronache di Politi, più che il dilemma politico di una Chiesa orientata a sostenere chi opportunisticamente la sostiene, si avverte spesso il senso quasi di una disperazione nel cattolicesimo di base, come se fra la chiesa di vertice e l`ecclesia dei fedeli che si interrogano, dei preti sposati, di chi vive in prossimità con la sofferenza, ci fosse ormai un`incomunicabilità che trova scampo soltanto in rari momenti di comprensione umana, e talvolta di superiore carità, fra gerarchie e poveri sacerdoti di periferia, a contatto con il dolore, la mutevolezza dei rapporti sociali e il "peccato". Fino a concludere, con le parole di Enzo Bianchi, che «oggi ci sono più laici che chiedono il confronto con noi cattolici che cattolici che chiedono il confronto con i laici». C`è amarezza in questo finale, ed è l`amarezza di chi dice a se stesso: «Noi cristiani non possiamo non ascoltare il mondo, non ascoltare l`umanità e non rispondere loro».

anticlericale
23-04-09, 02:41
Michele Ainis

Chiesa padrona
Un falso giuridico dai Patti Lateranensi a oggi

Garzanti libri



Collana: Le Forme

Euro 13,00

Il libro

«Il Vaticano, nei confronti della Repubblica italiana, non sta certo con le mani in mano. Le usa entrambe: una per chiedere quattrini, l’altra per suonar ceffoni in faccia alla politica. Questo doppio registro si consuma all’ombra del diritto, anzi: l’alibi perfetto è la legge più alta, quella scolpita sulle tavole della Costituzione.

Conviene allora dirlo con chiarezza: tutta questa ricostruzione è un falso giuridico... Non è vero che le ingerenze vaticane siano protette dalla libertà di parola o dalla libertà di religione; non è vero che il Concordato sia protetto dalla Costituzione.»



La Chiesa cattolica attinge abbondantemente alle risorse pubbliche dello Stato italiano: ogni anno milioni di euro vengono dirottati dal governo centrale e dagli enti locali, che si sono fatti di recente ancor più solerti. Questo tuttavia non impedisce al Vaticano pesanti incursioni nella vita pubblica del nostro paese: è pressoché impossibile che un provvedimento legislativo venga approvato senza il suo benestare; e quando accade, le resistenze della Chiesa cercano di impedirne l’applicazione.

È una situazione abnorme, che trova il suo fondamento nel Concordato siglato l’11 febbraio 1929 da Pio IX con Benito Mussolini, che lo stesso pontefice aveva definito «l’uomo della Provvidenza». Quel patto venne accolto dalla Costituzione repubblicana attraverso l’articolo 7. Infine nel 1984 il Concordato fu rinnovato dall’accordo tra Craxi e Giovanni Paolo II.

Oggi il trattamento privilegiato di cui gode il Vaticano non ha più alcun fondamento giuridico, argomenta Michele Ainis: l’articolo 7 era una norma provvisoria, e oggi è un farmaco scaduto. Oltretutto quelle dei vertici della Chiesa si configurano come vere e proprie ingerenze di uno stato straniero nei nostri affari interni. Infine, in una società sempre più complessa, i privilegi concordatari creano inevitabilmente una disparità di trattamento rispetto a cittadini italiani che seguono altre fedi (e soprattutto a quelli che non si sentono affiliati ad alcuna chiesa).

Attento alla logica giuridica e alla storia, Chiesa padrona propone un nuovo fondamento al patto tra lo Stato italiano e il Vaticano. Un rapporto più limpido e corretto tutelerà in maniera più efficace la libertà e la dignità dei cittadini italiani; e aiuterà chi vuole davvero occuparsi della cura delle anime a farlo senza impastoiarsi nelle polemiche politiche.



L’autore

Michele Ainis insegna Istituzioni di diritto pubblico all’università di Roma Tre. Collabora alle principali riviste giuridiche italiane ed è editorialista della «Stampa». Fra i suoi libri, La legge oscura (Laterza, 1997); Se 50.000 leggi vi sembran poche (con i disegni di Vincino, Mondadori, 1999); Le libertà negate (Rizzoli, 2004); Vita e morte di una Costituzione (Laterza, 2006). Con Garzanti ha pubblicato anche Stato matto (2007).
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Lun, 09/02/2009 - 15:37
#114
g.manfredi
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Il concordato invisibile tra Stato e Chiesa
• da La Repubblica del 9 febbraio 2009, pag. 1

di Filippo Ceccarelli

Gli anniversari ballano, gli anniversari scherzano e quindi a volte finiscono precisamente per cadere, certi anniversari, nel momento della verità. Dopodomani 11 febbraio il Concordato compie dunque 80 anni. Ma non è mai apparso così malridotto. Nulla probabilmente cambierà nella rappresentazione della ricorrenza: dicasteri vaticani imbandierati, soporifere cerimonie e dotte articolesse commemorative, bisbigli, tartine e cordiale ipocrisia al ricevimento nella Palazzina Borromeo, sede dell`ambasciata italiana presso la Santa Sede, là dove ogni anno porpore e grisaglie si ritrovano a celebrare, insieme all`antica sapienza del potere, le risorse dello stile diplomatico che vela e camuffagli eventi, le fatiche, le magagne, le inimicizie. Ma chi abbia un filo di onestà non può stavolta, nei giorni di Eluana, far finta che tra Cesare e Dio, o per lo meno fra i loro pretesi rappresentanti, le cose filino proprio lisce. Mai come oggi il Vaticano è parte in causa, perciò si scopre, attacca, ripiega, cerca alleati; mai come adesso l`Italia sembra così compiutamente immersa in una turbinosa realtà post-lateranense. Ma quali stati "indipendenti e autonomi"! Non solo sbiadiscono le istantanee di Mussolini e Craxi, la firma antica del 1929 e quella ormai pure remota del 1984, ma di colpo suonano vuote anche espressioni come "laicismo" o "interferenze". L`altro giorno il giornale dei " " vescovi parlava di assassinio e davanti alla chiesa di Gesù operaio hanno fatto scoppiare una bomba carta: cosa si vuole di più per riflettere sulle condizioni del Concordato? Sconcordato, piuttosto: un patto rotto, un accordo in evidente stato di confusione, un attrezzo inservibile, nel migliore dei casi un simulacro. Non lo si dice qui per polemica, al modo dei radicali. Sono i fatti degli ultimi anni che parlano da soli, e danno la misura dello strappo, degli strappi: fecondazione assistita, istruzione privata, astensionismi, vittimismi, aborto, unioni civili, pressioni, anatemi. Il contenzioso si allarga mese dopo mese, c`è sempre chi ci marcia e lo estende all`Ici, alle moschee, o all`immigrazione e a persino a una sorta di franchigia ecclesiale nella legge sulle intercettazioni telefoniche. Le sacre immagini sugli stendardi e i torpedoni al Family day, il Pontefice impedito di entrare all`università, i politici in preghiera e in passerella a piazza San Pietro, l`evocazione di "diavoloni frocioni" a piazza Navona...E baci berlusconiani all`anello pontificio, genuflessioni, commistioni di ruoli: l`altro giorno nella cappella Sistina, per un concerto in onore del fratello del Papa, c`era Gianni Letta - e vai a sapere se stava lì, e poi pure in foto sull`Osservatore romano, come sottosegretario alla presidenza o come Gentiluomo di Sua Santità. Si sono smarriti i confini, ma questo complica le cose. Il sindaco di Roma invoca la benedizione papale sugli atti del Comune; il Cardinale Segretario di Stato celebra all`interno della Camera una messa "d`inizio legislatura"; la Binetti arruola il Signore nei risultati d`aula. E allora dal balcone di Montecitorio si sventola per polemica la bandiera vaticana; al concertine del primo maggio si prende di mira il Papa; al Gay Pride si oltraggiano i sacramenti. Così va, ritorsione dopo ritorsione. E allora ecco Ratzinger nel video di Storace, poi sulle bandiere di Borghezio, "saremo le guardie svizzere del Pd" promettono i teo-dem, e "Il Vaticano tifa Pera" recita, testualmente, un titolo de Il Tempo, giornale tutt`altro che laicista. No, davvero non si invidiano i potenti italiani e i dignitari pontifici che nel bel mezzo della storia angosciosissima di Eluana e dell`aspro conflitto che ne deriva s`incontreranno sotto la loggia del Sansovino per poi sedersi sulle poltroncine di raso rosso e spalliera dorata, come se nulla fosse. Come se davvero al giorno d`oggi bastasse un Concordato inserito a sorpresa da Togliatti nella Costituzione e trionfalisticamente revisionato 25 anni orsono da una partitocrazia già ansimante, per rimettere a posto le cose: là dove il vuoto ideologico sembra già colmato da un pieno di generici e sospetti "Valori" che ognuno, oltretutto, si tira spudoratamente dalla propria parte. Eh no, stavolta è diverso, stavolta non mancano spunti per una quantità e varietà di conflitti. Codice da Vinci, crocifisso nelle aule, presepi identitari e creativi, ora di religione, scritte sui muri, filmati sui preti pedofili, commemorazione degli zuavi, rane crocifisse. Non c`è vicenda che non implichi un disagio, una frizione, un cortocircuito fra Stato e Chiesa. In provincia hanno ricominciato a litigare sulle ore in cui sciogliere le campane; la Littizzetto disturba oltre il Portone di bronzo; le nomine Rai debbono tenere presente i gusti dei tele-prelati; si torna a parlare dei peccati e pure del diavolo; sembra uno scherzo onomastico, una trovata felliniana per far colpo sugli stranieri, ma adesso c`è perfino il segretario della Cei che di cognome fa Crociata: monsignor Crociata, sul serio. Serve a nulla rimpiangere la Dc, che per quasi mezzo secolo ha fatto da cuscinetto alle richieste vaticane. Al corto di idee e di progetti il centrodestra indossa i paramenti, si attacca alla mantella del Papa; mentre fin troppe volte il centrosinistra è paralizzato, subalterno, confuso. Tanti anni fa, per indicare un`auspicabile distanza, Giovanni Spadolini lanciò l`immagine del "Tevere più largo". Oggi non è nemmeno più stretto. Sembra un fiume in piena, grigio, gonfio e anche un po` pauroso come quello che s`è visto a Roma nel novembre scorso.

anticlericale
23-04-09, 02:41
"La Stampa", 10 Febbraio 2009, pag. 10

Intervista a Richard Williamson

“Camere a gas? Dimostratemi che sono esistite per davvero”
“Non andrò mai ad Auschwitz ma ho cercato sempre la verità”


P. WENSIERSKI E S. WINTER




Con la sua negazione dell’Olocausto il vescovo Richard Williamson ha causato un grave danno alla Chiesa cattolica. Ma insiste, e dice di voler condurre una ricognizione «delle prove storiche» e di voler soltanto «cercare la verità».
Il Vaticano le chiede di ritrattare le sue affermazioni sulla Shoah e minaccia di non consentirle di riprendere la sua attività di vescovo. Come risponde?
«Ho sempre cercato la verità. È per questo che mi sono convertito al cattolicesimo e sono diventato prete. Posso soltanto dire una cosa, la verità della quale sono convinto. Poiché ci sono molte persone oneste e intelligenti che la pensano diversamente, devo riguardare le prove storiche un’altra volta. Se troverò questa prova, mi correggerò. Ma ci vuole tempo».
Come può un uomo colto, cattolico, negare l’Olocausto?
«Ho cominciato a studiare il tema negli Anni Ottanta. Ho letto vari scritti. Ho citato il Rapporto Leuchter (una teoria oggi smontata, emersa negli Anni Ottanta, che sosteneva erroneamente che le camere a gas naziste non potevano funzionare, ndr) in una intervista, mi sembrava plausibile. Ora mi dicono che è stata confutata a livello scientifico. Ho in programma di ritornarci».
Potrebbe andare ad Auschwitz di persona.
«No. Non andrò ad Auschwitz. Ho ordinato il libro di Jean-Claude Pressac “Auschwitz. Tecniche e operazioni delle camere a gas”. Me lo stanno spedendo. Lo leggerò e studierò».
Che cosa ha significato il ritiro della scomunica da parte di Benedetto XVI?
«Volevamo essere cattolici, niente di più. Non abbiamo sviluppato una nostra dottrina, ma soltanto conservato le cose che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato. Negli Anni Sessanta e Settanta tutto è stato cambiato nel nome di questo Concilio (il Vaticano II, ndr). Siamo stati costretti a ritirarci ai margini della Chiesa, mentre ora le chiese vuote e un clero invecchiato dimostrano che i cambiamenti sono stati un fallimento».
Ma il Concilio Vaticano II è considerato uno dei grandi risultati della Chiesa cattolica. Perché non lo riconoscete pienamente?
«Che cosa dovremmo riconoscere? Un importante documento, “Gaudium et spes” magnifica il turismo di massa. Ma è difficile immaginare come una società conservatrice possa abbracciare i pacchetti viaggio. Si parla della minaccia di una guerra nucleare tra le superpotenze. Minaccia superata. Questi documenti del Concilio sono sempre ambigui. E ciò ha causato il caos teologico in cui stiamo vivendo».
E le sue posizioni antisemite?
«San Paolo ha scritto: “Gli ebrei sono amati in nome di nostro Padre, ma nostri nemici in nome dei Vangeli”».
Intende seriamente usare la tradizione cattolica per giustificare il suo antisemitismo?
«Antisemitismo significa tante cose oggi, per esempio, uno è antisemita se critica le azioni di Israele a Gaza. La Chiesa condanna il rifiuto degli ebrei sulla base delle loro radici ebraiche. È ovvio, in una religione i cui fondatori e tutti gli importanti esponenti del primo periodo erano ebrei. Ma è anche chiaro, per il gran numero di ebrei cristiani agli albori del cristianesimo, che tutti gli uomini hanno bisogno di Cristo per la loro salvezza. Tutti, compresi gli ebrei».
Il Papa presto farà un viaggio in Israele e visiterà il Memoriale della Shoah, lo Yad Vashem. Lei è contrario?
«Fare un pellegrinaggio in Terra Santa è una grande gioia per i cristiani. Auguro al Santo Padre tutto il bene possibile durante quel viaggio. Quello che mi turba nello Yad Vashem è che Papa Pio XII viene attaccato in quel luogo, benché nessun altro ha salvato più ebrei durante il periodo nazista. Per esempio, concedeva certificati di battesimo a ebrei perseguitati per proteggerli dall’arresto. Questi fatti sono stati distorti in senso esattamente opposto. D’altra parte, spero che il Papa abbia anche a cuore le donne e i bambini feriti nella Striscia di Gaza, e che parli in favore della popolazione cristiana a Betlemme, che ora vive praticamente rinchiusa».
Ma perché non si scusa con il mondo ebraico per le sue dichiarazioni sull’Olocausto?
«Se mi rendessi conto di aver commesso un errore, chiederò scusa. Chiedo a ogni essere umano di credermi quando dico che non ho mai detto qualcosa di falso deliberatamente. Ripeto: ero convinto che i miei commenti fossero scrupolosi, basati sulle ricerche degli anni Ottanta».
Almeno riconosce i diritti umani?
«Quando i diritti umani vennero dichiarati in Francia, centinaia di migliaia di persone venivano massacrate nella stessa Francia. Quando i diritti umani vengono considerati un ordine obbiettivo che lo Stato deve raggiungere e migliorare, sono costantemente anti-cristiani. Quando servono a garantire la libertà di coscienza dell’individuo contro lo Stato democratico, allora svolgono un’importante funzione».


Copyright Der Spiegel

anticlericale
23-04-09, 02:42
"La Stampa", 10 Febbraio 2009, pag. 10

E ora anche i lefebvriani gli tolgono tutte le cariche


GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO


Nuovo scontro all’interno della Fraternità San Pio X. Richard Williamson, il vescovo negazionista a cui il Papa ha revocato la scomunica, è stato rimosso dalla direzione del seminario a La Reja, vicino Buenos Aires, che dirigeva dal 2003. «Le affermazioni di Williamson - spiega la Fraternità San Pio X - non riflettono il alcun modo la posizione della nostra congregazione». Il vescovo non ha dunque lasciato l’incarico spontaneamente, ma è stato necessario un atto di autorità del superiore generale dei lefebvriani, Bernard Fellay. Senza l’abiura delle tesi negazioniste e il pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II (soprattutto del documento «Nostra Aetate» sull’ebraismo), il vescovo Richard Williamson resta «scomunicato e scismatico». Per il momento però, non sembra che Williamson sia stato espulso dalla confraternita lefebvriana mentre in Vaticano, alla Congregazione della Fede, si stanno valutando le misure da prendere nei suoi confronti, dopo che la Santa Sede gli ha esplicitamente chiesto di ritrattare le posizioni negazioniste, se vuole essere riammesso come vescovo all’interno della Chiesa cattolica. Le misure possibili su cui sta riflettendo l’ex Sant’Uffizio, sono l’ordine di ritrattare, la riduzione al silenzio o, più grave, una nuova scomunica.
Le posizioni di Williamson sull’Olocausto sono incompatibili con la riammissione nella Chiesa cattolica e la ritrattazione, spiegano nei Sacri Palazzi, è «condizione indispensabile» per l’effettiva rimozione della scomunica «latae sententiae» in cui il vescovo (insieme a tre confratelli) è incorso il 30 giugno 1988 a causa dell’ordinazione illegittima da parte dell’ultratradizionalista Marcel Lefebvre. Per una ammissione «a funzioni episcopali nella Chiesa», monsignor Williamson deve «prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue dichiarazioni riguardanti la Shoah». Quindi, resterà valida per lui la «gravissima pena canonica» se il vescovo negazionista non abiurerà le sue tesi. Una eventualità che appare in Vaticano molto concreta vista la volontà di Williamson di «non ritrattare nulla finché non gli verranno fornite le prove dell’uccisione degli ebrei nelle camere a gas naziste». E aggiunge: «Ci vorrà molto tempo, serviranno anni». Un’attesa che la Santa Sede non è disposta a tollerare.

anticlericale
23-04-09, 02:42
Con i patti lateranensi nacque la società civile
• da Il Riformista del 11 febbraio 2009, pag. 8

di Benedetto Ippolito

Sono passati ottant`anni dalla stipula dei Patti Lateranensi, avvenuta l` l1 febbraio del 1929. I firmatari del Trattato, che stabilisce giuridicamente le relazioni tra la Santa Sede e lo Stato Italiano, furono il card. Segretario di Stato Pietro Gasparri e Benito Mussolini. L`accordo, anche visto con gli occhi di oggi, segna una tappa decisiva nei rapporti tra la religione e l`Italia. La lungimiranza dei Patti Lateranensi è dimostrata dal loro resistere all`erosione del tempo. Anche se alcuni aspetti originari hanno necessitato una verifica e alcune emendazioni, come, ad esempio, i cambiamenti apportati da Craxi nel 1984. Una cosa fondamentale da ricordare è che lo stesso Pio XI, pontefice in carica al momento della stipula, dopo aver riconosciuto il significato provvidenziale del negoziato, ammise, qualche giorno dopo all`Università Cattolica di Milano in un famoso discorso pubblico, che non si trattava di un`intesa perfetta e definitiva, ma di un patto funzionale ed efficace. Ora, a distanza di quasi un secolo dal primitivo accordo, è di grande interesse dire qualcosa sul rilievo che i Patti Lateranensi hanno avuto allora e sul valore che continuano ad avere oggi. Un primo dato considerevole, per altro abbastanza noto, è che con i Patti lateranensi nacque la società civile l`atto pubblico del `29 non soltanto chiudeva la questione romana, avviata con la nascita del Regno d`Italia e con l`estinzione dello Stato della Chiesa, ma garantiva il superamento della non partecipazione dei cattolici alla vita politica del Paese: il famigerato non expedit. Pio IX, infatti, alla fine dell`Ottocento, per reazione al carattere risorgimentale dell`unificazione italiana, aveva vietato ai cattolici la partecipazione attiva alla politica. Anche se da allora molti passi in avanti erano stati fatti per garantire un riavvicinamento dei credenti all`ambito pubblico, la chiusura definitiva della ferita richiedeva un atto ufficiale. I Patti Lateranensi permisero, quindi, il riequilibrio formale e giuridico delle relazioni diplomatiche. Dopo il 1929, in effetti, ci si avviò nella giusta direzione. Da un lato, lo Stato ammetteva l`autorità spirituale del Papa, nonché la sua sovranità territoriale nel piccolo Stato del Vaticano. Dall`altro, il Papa convalidava le prerogative del Re e di Mussolini, rinunciando ai territori in precedenza annessi allo Sta- to della Chiesa in cambio di prestazioni finanziarie corrispondenti. Benché il tutto appaia molto calato nella situazione contingente dell`epoca, il vero senso dell`evento riposa nel lungo processo storico che lo ha determinato e, tutto sommato, legittimato. La specificità dell`Occidente è stata da sempre quella di pensare non una sola autorità politica o una sola autorità spirituale, ma una coesistenza pacifica di entrambe. Dall`affermazione evangelica della distinzione tra le prerogative di Cesare e quelle di Dio deriva il modello europeo di bilanciamento tra i poteri, teorizzato in modo chiarissimo da papa Gelasio I, alla fine del V secolo, e contrapposto al cesarismo imperiale, pagano o religioso che sia. Certo, né durante i secoli medievali né durante la prima modernità è stato facile giungere ad un accordo specifico tra gli Stati e la Chiesa. Il punto massimo di avvicinamento all`ideale di convivenza è stato il Concordato di Worms, con cui nel 1122 l`imperatore Enrico V e papa Callisto II si riconobbero reciprocamente, mettendo fine ai conflitti secolari tra le due istituzioni. La pace di allora, però, non durò granché. Al contrario di ogni pessimistica aspettativa, invece, i Patti Lateranensi del `29 non soltanto hanno garantito un`armonia duratura tra le istanze civili e quelle religiose, ma hanno evitato di esaurire il rapporto politico nell`ambito esclusivo delle due istituzioni. Oltre la Chiesa e oltre lo Stato, adesso poteva nascere un terzo spazio fondamentale, cioè la società civile, capace di unire nel pubblico laicità e religione. Ma la società civile sarebbe divenuta realmente protagonista della politica solo con la partecipazione libera dei cittadini ai diversi partiti politici, dopo la caduta del fascismo. E questo è sicuramente il risultato più importante del Concordato del `29, ovvero aver anticipato uno schema istituzionale che, al di là dello Stato e della Chiesa, potesse far emergere l`autonoma organizzazione democratica della società. Per arrivare ad una conclusione felice, dunque, si è dovuto attendere l`entrata in vigore della Costituzione del `48, la quale non soltanto ha escluso radicalmente ogni ipotesi totalitaria, ma ha stabilito legalmente la base democratica per una vera attuazione del tradizionale dualismo gelasiano, sancito una volta per sempre dai Patti Lateranensi.

anticlericale
23-04-09, 02:42
"L'8 per mille? Usiamolo per la cassa integrazione"
• da Corriere della Sera del 11 febbraio 2009, pag. 33

di Enrico Marro

Destinare l`8 per mille anche agli ammortizzatori sociali. È la proposta secca che il leader della Funzione pubblica-Cgil, Carlo Podda, lancia in vista dello sciopero generale proclamato insieme con la Fiom-Cgil (metalmeccanici) di Gianni Rinaldíni per venerdi prossimo. Podda la ripeterà anche nel comizio di piazza San Giovanni che precederà quello finale dei segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, al termine della manifestazione naziona- le a Roma. Una sfida al governo che il leader sindacale accusa di inerzia, ma anche alla Chiesa, che è di gran lunga la maggior beneficiaria dell`otto per mille. «Ma io - assicura Podda - non voglio togliere soldi alla Chiesa. Tra l`altro sono pure cattolico. Semmai sarebbero i cittadini a farlo. Vorrei solo che fosse data loro questa possibilità in più rispetto a quelle finora previste, almeno per il 2oo9». Attualmente il contribuente, quando fa la dichiarazione dei redditi, può indicare come destinatario dell`8 per mille di quanto versa di lrpef la Chiesa cattolica, lo Stato o un numero limitato di altre confessioni religiose. Se il contribuente non indica un destinatario, il suo otto per mille vie- ne ripartito sulla base delle indicazioni di chi ha scelto. Nel 2008 il gettito complessivo dell`8 per mille è stato di poco superiore a un miliardo di euro. Non molto in riferimento a un eventuale finanziamento della cassa integrazione e dell`indennità di disoccupazione, visto che lo stesso governo sta ragionando di stanziare per il 2oog-2010 almeno 8 miliardi in più tra risorse proprie e di provenienza Ue. Ma la proposta-provocazione sull`otto per mille è solo una delle tante mosse dell`offensiva che Podda, insieme con Rinaldini, sta lanciando sul piano sindacale e politico. L`alleanza Fp-Fiom, che di fatto condiziona la linea della Cgil, mira anche a costruire la base dell`opposizione sociale al governo. Ieri Podda e Rinaldini hanno partecipato al convegno del Movimento per la sinistra organizzato da Fausto Bertinotti e Alfonso Gianni su «Sinistra e conflitto sociale». Ospite d`eccezione Pier Luigi Bersani, che aspira alla guida del Pd al posto di Walter Veltroni e che ha confermato la sua presenza in piazza venerdì. Oggi annunceranno la loro partecipazione alla giornata di protesta anche decine di senatori e di deputati del partito, che resta diviso tra chi appunto si schiera apertamente a favore della Cgil e chi invece (soprattutto nella componente ex Margherita) ritiene che Epifani abbia sbagliato a rompere con Cisl e Uil e a scegliere la linea dello scontro.

anticlericale
23-04-09, 02:43
Che cosa sta rischiando la Chiesa in trincea
• da Europa del 12 febbraio 2009, pag. 6

di Francesco Saverio Garofani

Attorno alla tragedia di Eluana e della sua famiglia si è svolta una danza macabra che ha travolto sentimenti, rispetto, senso di umanità. Il cinismo irresponsabile di Silvio Berlusconi ha innescato un cortocircuito che ha esteso le sue conseguenze ben oltre la delicatissima "questione istituzionale". Quella scelta, infatti, ha prodotto la definitiva degenerazione di un confronto già difficile come quello in atto sul fine vita. Così rapidamente ci siamo ritrovati schiacciati e costretti in uno schema inaccettabile: da una parte il partito della vita, dall`altra quello della morte. Tutto ciò ha provocato una reazione a catena che ci ha collocato sulla pericolosa frontiera di quel bipolarismo etico che, a parole, tutti negano ma in pratica molti finiscono per frequentare. E in questo modo tornano vecchie parole d`ordine, antichi impulsi, riflessi istintivi mai dimenticati. Si affrontano nell`arena clericali e anticlericali, armati di ragioni vecchie e nuove, conservatori-reazionari e radicallibertari, laici e laicisti, ognuno blindato nel suo armamentario di incrollabili convinzioni.
Il campo è diviso, e anche senza voler banalizzare, a me pare che in questa incomunicabilità non guadagni nessuno: da una parte vedo un`etica senza diritto (o contro il diritto e le sue istituzioni), dall`altro diritti senza uri etica. In ogni caso resta lontano l`orizzonte di uno sforzo comune per avvicinare le posizioni di fronte a problemi che pure toccano le persone e le loro esì- stenze, a prescindere dalle convinzioni morali, religiose, culturali, politiche. Ci si chiede, davanti alle scene violente, anche nei linguaggi, che nei giorni abbiamo vissuto: è davvero possibile un`etica condivisa? Credo che questa sia un obiettivo irrinunciabile, che vada perseguito ognuno per la sua responsabilità e il suo ruolo, in una ricerca che si gioca su un terreno che viene prima della politica e che, anzi, costituisce il presupposto affinché la politica possa esercitare la sua iniziativa, riconoscendo, nel contempo, il suo limite. A me pare che, in questo senso, dal mondo cattolico - e in particolare da quello cattolico democratico - siano giunti segnali di vivacità e vitalità importanti, anche per quanto riguarda lo stile di questa ricerca.
Si è cercato di leggere in profondità la modernità indagando le incognite che essa reca con se, lasciandolo spazio necessario al dubbio, valorizzando la libertà, non solo quella di coscienza, evocata troppo spesso come una sorta di alibi per coprire un irrilevanza. Nel dibattito di queste settimane che hanno accompagnato la drammatica vicenda di Eluana si sono fatte ascoltare voci autorevoli, riflessioni impegnate, originali sul rapporto tra persona, scienza, tecnica. Su come il progresso scientifico e tecnologico incidano in modo del tutto nuovo sulla vita e sulla morte. Su come il diritto possa o debba intervenire nel regolare questioni che riguardano la libertà e la dignità delle persone. Sul dovere della politica e del legislatore di trovare punti di convergenza di fronte a istanze etiche diverse, sapendo che nessuna legge, in una società aperta e culturalmente complessa, può prescindere dai necessari compromessi. Penso alle cose che hanno detto e scritto, ad esempio, Francesco Paolo Casavola, Vittorio Possenti, Giovanni Reale, Roberta De Monticelli, solo per fare alcuni nomi. Ma penso anche al lavoro faticoso - e meno appariscente e apprezzato svolto a livello parlamentare da molti esponenti di quel cattolicesimo democratico del quale alcuni preconizzavano il possibile tramonto. Delle conseguenze politiche di questo impegno e delle sue potenzialità per il Pd ha scritto bene Chiara Geloni. C`è, tuttavia, un punto di domanda che richiede un supplemento di analisi.
Ed è questo: perché questo apporto che sul piano culturale e politico vi è stato appare sostanzialmente estraneo, comunque separato, da quella che in questa vicenda è stata la posizione dominante nella Chiesa? Perché, in altri termini, ancora una volta la voce di molti laici, che pure riconoscono il valore della dottrina e a essa si ispirano, è sembrata dissonante da quella di una larga parte della gerarchia? Non c`è qui solo il tema, tutto politico, della laicità dello stato, dell`autonomia della politica, del rapporto tra mediazione e principi non negoziabili. In questo caso a me sembra che eri sia stata una diversa lettura dell`impatto che la cultura dominante della modernità ha sulla cosiddetta questione antropologica. Non voglio entrare nel merito del cosiddetto "caso Englaro", rispetto al quale conservo i miei dubbi. Tuttavia a me sembra che anche in questa occasione, così come accadde per Welby, il tema della morte - un tema profondamente cristiano - sia rimasto nascosto dietro a quello della tecnica. Contro il rischio di una deriva eutanasica, legittimamente temuta, la Chiesa ha alzato una trincea che ha usato tutti i mezzi a disposizione, a cominciare dal potere politico. Ma c`è il rischio che quella trincea si riveli fragile e persino inutile se, come penso che sia possibile, l`attacco più insidioso alla dignità della vita umana dovesse presto venire non dalla discussione sulla morte, ma dalla sua sostanziale rimozione. In fondo è già così.
L`aspirazione al prolungamento indefinito della propria esistenza è il paradigma psicologico del progressivo allungamento biologico della vita. Il sogno dell`immortalità da realizzare attraverso una scienza onnipotente può essere, per qualcuno, più vicino di un racconto di fantascienza. Vent`anni fa chi pensava alla donazione? E non è forse vero che questa generazione vive e si comporta senza pensare al futuro, o meglio: come se il futuro le appartenesse di diritto? Pensiamo agli stili di vita, allo sfruttamento delle risorse, dell`ambiente, alla decrescente propensione alla genitorialità, almeno nelle società ricche dell`Occidente. Tutto questo non ha forse a che fare con l`idea di una cultura che, puntando tutte le sue carte sulla tecnica, non si riconosce limiti? La morte è il limite. La morte è parte della vita. Penso alle recenti testimonianze di due persone che ci hanno insegnato a vivere e a morire: Pietro Scoppola e Paolo Giuntella. Penso alla speranza dei cristiani. Alla umanità che ci unisce, credenti e non credenti. Al rispetto che è dovuto a ogni vita. Sempre. Penso a quanto sarebbe importante e bello discutere, con la necessaria libertà dentro la Chiesa di tutto questo. E mi vergogno a pensare che possa essere stato un cristiano - magari in nome della vita - a scrivere su un muro "Peppino boia". Peppino, il papà di Eluana Englaro.

anticlericale
23-04-09, 02:43
Le Monde: «Il Vaticano invade l'Italia»
di Elysa Fazzino
www.sole24ore.com

12 FEBBRAIO 2009



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«Il Vaticano invade l'Italia»: in occasione degli ottant'anni dei Patti Lateranensi, Le Monde analizza l'influenza del Vaticano nella vita politica italiana. Il caso Eluana offre all'inchiesta del corrispondente Philippe Ridet l'incipit di tragica attualità:«La Chiesa non demorde. "Eluana Englaro è stata uccisa" scrive l'Avvenire», «"Eluana non è morta di morte naturale, è stata assassinata", ha dichiarato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi».

«Raramente – osserva Le Monde - la Chiesa e lo Stato italiano hanno dato fino a questo punto l'impressione di marciare di conserva». «Strumentalizzata», ridotta a «una querelle tra i "partigiani della vita", il campo cattolico, e i «partigiani della morte», il campo laico», la controversia su Eluana «ha permesso alla Chiesa italiana e al Vaticano di fare prova della loro potenza». Ridet ricorda che l'arcivescovo di Torino ha teorizzato che la legge di Dio è superiore a quella degli uomini, «senza che nessuno al governo si scomponesse».
«Ottant'anni dopo il concordato, l'Italia resta sotto l'influenza costante dello Stato più piccolo del mondo?». Le Monde raccoglie pareri di cattolici e laici e conclude: «la Chiesa fa girare il dibattito intorno alle sue posizioni e lo Stato…le concede una forza che non ha altrove».
Marco Impagliazzo, uno dei responsabili della Comunità di Sant'Egidio, spiega che la Chiesa si sente forte in Italia. Ha perso delle battaglie, come quella del divorzio e dell'aborto, ma ne ha vinte altre: «La pillola del giorno dopo – nota Le Monde - è introvabile, i "pacs" ("patti civili di solidarietà", i «dico» francesi, ndr) non hanno visto la luce, la legge sul testamento biologico si fa attendere da anni, il risultato del referendum del 2005 sulla procreazione assistita non è stato valido per mancanza di un numero sufficiente di votanti, dopo che la Chiesa e il Vaticano hanno fatto appello all'astensione».

Specificità italiana
Il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, parla di «specificità» dell'influenza della Chiesain Italia, per motivi di storia e di geografia: «Il Vaticano si trova in Italia e non ci si può far niente». Una specificità, continua Le Monde, «illustrata anche dal fatto che lo Stato si fa carico dei salari dei preti» e che altri chiamano «intrusione permanente». Ogni settimana il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Curia romana, incontra ministri e dignitari dello Stato italiano. «Tentativi di intimidazione?», chiede Ridet. «Piuttosto – spiega Vian - una preoccupazione per l'aria del tempo, le opinioni veicolate da gruppi di pressione, la rivendicazione di nuovi diritti».
Eppure, osserva Ridet, dopo la caduta della Democrazia cristiana si poteva pensare che la Chiesa avrebbe perso un po' della sua influenza. Ma «la Penisola resta il "giardino" del Vaticano, il Paese dove ha stabilito la sua linea di difesa». Dopo «Mani Pulite», ricorda Le Monde, l'elettorato cattolico si è distribuito tra centrodestra e centrosinistra. Secondo Marco Politi, vaticanista di La Repubblica, «i partiti sopravvalutano il peso di quest'elettorato», ma nell'attuale sistema bipolare, dove la maggioranza si può giocare su 20mila voti, «nessuno si arrischia a metterseli contro, anche se secondo i sondaggi, la maggioranza degli italiani desidera l'indipendenza dal processo legislativo».

«Subappaltando alle parrocchie e alle associazioni caritative cattoliche una buona parte della politica sociale – si legge ancora su Le Monde - lo Stato ha fatto della Chiesa un potente protagonista della vita pubblica». Ma è falso immaginare, secondo Ridet, che si esprima solo a favore di una forma di reazione di destra. «Su molti punti, immigrazione, razzismo, sicurezza, si allinea su posizioni di sinistra». Ma secondo l'Unione degli atei e agnostici razionalisti (Uaar) molti italiani ne hanno abbastanza dell'influenza del cattolicesimo. Per il 2009 aveva previsto di fare circolare a Genova «bus atei», come a Londra e a Barcellona. Dopo le reazioni e gli attacchi, ha dovuto bloccare la campagna, (che ora dovrebbe partire con slogan più "soft"). L'Uaar si prepara ad aprire una sede a Roma, «al cuore del cattolicesimo». «Ma – conclude Le Monde - il Comune, che prende in carico una parte delle spese delle associazioni della città, non ha trovato un euro per venire in aiuto di questa qui».

In un altro articolo di le Monde, intitolato «I patti Lateranensi hanno 80 anni», Stephanie Le Bars ricorda che, dopo la revisione del concordato attuata con il governo socialista di Bettino Craxi, «il cattolicesimo non è più la religione ufficiale», «la revisione instaura il principio della separazione tra Chiesa e Stato». «L'insegnamento religioso è sempre previsto nelle scuole pubbliche, ma è facoltativo. In compenso, gli atti dello stato civile religioso come il matrimonio continuano ad avere un effetto civile».

anticlericale
23-04-09, 02:43
"La Stampa", 14 Febbraio 2009, pag. 35

CRISTIANI E EBREI NELLA STORIA

Gianni Baget Bozzo


La negazione del tentativo nazista di distruggere il popolo ebraico è ora considerata dalla Chiesa come incompatibile con il fatto della comunione con essa. E il nazismo fu un effetto drammatico di una negazione della civiltà cristiana che aveva radici nel moderno. Fu un aspetto della volontà di costruire una società interamente indipendente da Dio e fondata sulla vita biologica, sulla razza perfetta e dominatrice. Per questo le dichiarazioni del Papa vengono dal cuore della tradizione cattolica. Non a caso anche la comunità di Econe ha riconosciuto gli errori della negazione della Shoah e dell’antisemitismo citando le parole di Pio XI: «Siamo spiritualmente dei semiti». Appare evidente che la volontà del Papa di chiudere lo scisma del gruppo di Econe tende a rafforzare l’unità della Chiesa mostrando come la novità del Concilio consista nel sottolineare temi presenti nella tradizione cristiana che il tempo mette in nuova luce.
Il Papato è l’istituzione che consente al cattolicesimo di mantenere l’unità della Chiesa non solo nello spazio ma anche nel tempo, non conosce rotture ma sviluppi. E la forza della Chiesa cattolica unita nella sua tradizione rafforza la civiltà cristiana, quella in cui Israele può trovare un riferimento anche di fronte ai sentimenti etnici che l’ebraismo può suscitare in quanto legato nel suo significato a un popolo particolare. Sia come cardinale sia come Papa, Joseph Ratzinger ha mostrato di comprendere il Papato nella sua capacità di unire «cose nuove» e «cose vecchie», di reinterpretare senza contraddire; l’essenza della Chiesa cattolica romana è quella di mantenere l’unità nel tempo nella coscienza cristiana.
La permanenza di Israele nel tempo cristiano, insegnata da San Paolo nella Lettera ai Romani, è ora intesa dalla Chiesa come avente un significato per la stessa identità cristiana, come espressione della sua differenza dalle religioni umane. La Chiesa nasce dalle radici ebraiche e non può che rispettarle nel suo fondamento, anche se questo non può limitare il suo diritto e il suo dovere di annunciare a tutti la novità cristiana della salvezza. Ma la Chiesa sa che la resistenza degli ebrei alla conversione corrisponde a un disegno divino e prepara un messianismo definitivo di carattere escatologico. Israele carnale è per i cristiani il segno dell’escatologia attesa, anche se le immagini escatologiche differiscono e nel cristianesimo assumono la forma di nuovi cieli e nuova terra.
Non sta alla Chiesa definire i tempi dell’Israele carnale, le sue scelte, i suoi moventi. La «necessità» della sua esistenza come testimone escatologico implica la fiducia che Israele non sarà distrutto, che la sua funzione storica non potrà non essere riconosciuta. Israele è un testimone del Dio creatore, della sua presenza nel tempo e nella storia, è una realtà che il neopaganesimo di oggi tende a negare in nome dell’autosufficienza della ragione, che ha in sé potenzialità totalitarie, di fronte alle quali la Chiesa difende l’idea dell’uomo nel suo stesso corpo come immagine di Dio. Israele nella storia è un segno della Provvidenza, che ha permesso a un popolo di rimanere identico a se stesso confidando nell’aiuto di un Dio che l’aveva scelto anche quando esso veniva oppresso e rifiutato dagli uomini, dagli stessi cristiani. Ciò non significa che la Chiesa faccia propri i gesti dell’Israele carnale quando essi divergono dai precetti della legge divina e contraddicono l’amore di Dio e del prossimo che il Nuovo Testamento riprende dall’Antico.
Vi è un nesso tra la Shoah e lo Stato d’Israele. È per questo che Israele ottiene la solidarietà delle nazioni cristiane e dello stesso Papato. Un cristiano può vedere anche un segno escatologico nel ritorno di Israele nella sua terra, che indica la perennità della donazione ad Abramo della terra di Canaan. Ma la Chiesa non può accettare tutti gli atti dello Stato d’Israele come atti leciti, anche se comprende bene che Israele come Stato legittimo abbia i diritti di tutti gli Stati di difendere il suo territorio con la forza militare. Per questo il Papa ha trovato «inaudita» la violenza esercitata da Tsahal nella Striscia di Gaza, anche se compiuta con il potere legittimo di uno Stato che difende il suo territorio dagli attacchi.
Una cosa è l’Israele carnale come popolo di Dio, altra cosa è lo Stato d’Israele come Stato. La Chiesa non fa che applicare a esso le regole che applica a tutti gli Stati. Ma Israele deve comprendere che la Chiesa ha la sua realtà legittima, che non può essere giudicata solo in base ai rapporti con l’Israele come popolo di Dio e con l’Israele come Stato. Se la Chiesa deve comprendere Israele come popolo e come Stato, Israele deve comprendere la Chiesa nella sua realtà spirituale e istituzionale e nella sua realtà di popolo, anche se non la riconosce come popolo di Dio.
L’unilateralità di Israele nel giudicare la Chiesa solo in riferimento all’ebraismo è apparsa nella questione di Pio XII e della sua beatificazione e nella critica al ritiro della scomunica ai vescovi scismatici. La Chiesa ha mutato la sua logica rispetto a Israele in ragione della Shoah. Israele deve comprendere la Chiesa come popolo e come istituzione in riferimento a se stessa e non solamente a Israele. La logica della reciprocità è una buona logica ed è quella che renderà possibile il viaggio del Papa in Israele come amico del popolo ebraico ma diverso da esso.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

anticlericale
23-04-09, 02:44
"La Repubblica", DOMENICA, 15 FEBBRAIO 2009
Pagina 30 - Cultura

L´armata del Vaticano alla battaglia dell´etica
Fede e potere

Come può un potentato religioso che condiziona solo tra il tre e il cinque per cento dei voti detenere la golden share del governo di centrodestra? Dalla vittoria nel referendum sulla procreazione assistita al caso Eluana, ecco quanto conta la politica della Chiesa cattolica
Dopo l´implosione della Dc, i credenti si sono divisi
La nuova strategia è sorta negli anni Novanta con Ruini

MARCO POLITI

ROMA

enigma e paradosso sono il marchio del potere della Chiesa in Italia. Un potere a volte pesante, a volte impalpabile, alternativamente gridato e silenzioso, evidente e nascosto. Capace di mobilitare e al tempo stesso privo di consenso maggioritario. Ma quel che conta: un potere che c´è.
L´ultima vittoria elettorale di Santa Romana Chiesa si registrò alle elezioni regionali del Lazio nel 2000, quando il presidente della Cei cardinale Camillo Ruini volle punire la giunta ulivista di Piero Badaloni per aver tentato di regolamentare le coppie di fatto. Vinse, con l´appoggio di congregazioni e parrocchie, il post-missino Francesco Storace.
Otto anni dopo, la rivelazione clamorosa dell´impotenza ecclesiastica nell´orientare larghe masse alle elezioni politiche del 2008: l´Udc prese poco più del cinque per cento. Eppure, auspice sempre il cardinale Ruini, il direttore dell´Avvenire Dino Boffo si era speso a favore del partito di Casini, indicandolo come «presenza che fa esplicito riferimento alla dottrina sociale della Chiesa». In mezzo (anno 2005) si colloca il trionfo nel referendum sulla procreazione assistita, che ha visto la Chiesa esibire dalla sua parte il vessillo del settantaquattro per cento di non votanti.
Dove sta il potere politico della Chiesa e dove il suo tallone d´Achille? In che consiste la sua capacità di pesare sul ceto politico italiano? Sono tramontati i tempi quando la gerarchia ecclesiastica, agendo sull´associazionismo cattolico, i gruppi professionali e sindacali bianchi, le parrocchie e le congregazioni religiose, riusciva a convogliare una parte notevole del voto sulla Democrazia cristiana. Dopo Tangentopoli e l´implosione della Dc i credenti si sono divisi e frammentati e si è profilato sempre più chiaramente quello che Alessandro Castegnaro, direttore dell´Osservatorio Religioso Triveneto, chiama il «doppio registro» dei cattolici: «Da un lato c´è il riconoscimento dell´utilità che la Chiesa formi le coscienze, dia indicazioni, inviti alla riflessione sui valori; e dall´altro, di fronte alle scelte di vita, la stragrande maggioranza della popolazione sostiene che riguardano la propria coscienza. Fatta eccezione per una minoranza di fedeli». In varie inchieste dove la domanda era "chi decide cosa è male?", il novanta per cento ha risposto: la coscienza individuale. Altri, la legge di Dio. Ultimi quelli per cui la Chiesa "può" dare l´indicazione decisiva. Nei giovani, sintetizza, la distinzione tra sfera etica e dimensione religiosa è visibilissima.
E tuttavia nell´ultimo quindicennio la gerarchia ecclesiastica ha sempre detto l´ultima parola sulle leggi riguardanti i rapporti di vita. Ha impedito l´introduzione del divorzio breve, ha voluto una legge sulla fecondazione assistita che prevede il divieto di scartare gli embrioni malati, ha bloccato una legge sulle coppie di fatto e infine - sul caso Eluana - è riuscita a trascinare Berlusconi, inizialmente riluttante, a sfiorare la crisi istituzionale pur di impedire l´esecuzione della sentenza, che autorizzava l´interruzione del suo calvario.
Una delle risposte sta nella fragilità della classe politica. La Chiesa non muove molti voti, forse qualcosa tra il tre e il cinque per cento. Però in un bipolarismo, in cui il cambio di governo può dipendere da ventiquattromila voti (come nel 2006), i partiti sono ossessionati dalla paura di avere contro la gerarchia ecclesiastica. «La parola d´ordine sotterranea è che non conviene litigare con i preti», riassume ironicamente il sociologo Arnaldo Nesti, che punta l´attenzione sulla rete discreta di personaggi ex democristiani o provenienti dall´associazionismo cattolico, piazzati in provincia in posizioni anche economicamente importanti. Si muovono in autonomia e al tempo stesso hanno come riferimento ultimo il vescovo: specie nelle battaglie sulle «leggi eticamente sensibili», in cui schierarsi diventa mostrare bandiera pro o contro il verbo della Chiesa. Tanto, aggiunge Nesti, c´è la riserva mentale che «ognuno nel privato fa ciò che vuole». Di pari passo, conclude, si manifesta l´atteggiamento rinunciatario della cultura laica.
Castegnaro rovescia il discorso. Nell´indubbia debolezza del sistema politico, spiega, risalta la debolezza delle culture secolari post-novecentesche. La Chiesa non trova più competitori come un tempo: ad esempio, la sub-cultura del Pci. E allora essa appare come l´istanza che «offre più informazioni, più opzioni, più indicazioni di valore». I laici parlano solo di libertà individuale e tende a mancare nel loro discorso l´orizzonte dell´edificazione di un tessuto solidale.
La strategia dell´istituzione ecclesiastica è stata costruita negli anni Novanta dal cardinale Ruini, allora presidente della Cei. Si basa su due assi. La pretesa di rappresentare la visione antropologica «vera», consona alla tradizione cristiana dell´Italia, e al tempo stessa «retta» interprete della ragione e della natura, è il primo. Ne deriva la spinta a presentarsi come il referente autentico per la legislazione sui temi etici: dall´embrione alla famiglia, dalla pillola del giorno dopo alla ricerca sulle staminali, al testamento biologico. Indispensabile a questo disegno è l´assoluto centralismo della Cei, il cui vertice riverbera il volere del Papa, unito al silenziamento del dibattito tra i vescovi e nel mondo cattolico. Risultato raggiunto. Negli ambienti del laicato cattolico l´afasia è acuita dalla scomparsa di figure prestigiose come lo storico Pietro Scoppola, il sociologo Roberto Ardigò, lo studioso di storia della Chiesa Giuseppe Alberigo.
Il secondo elemento strategico è la compatta utilizzazione dei media ecclesiastici per occupare la scena pubblica: l´Osservatore Romano, l´Avvenire, il Sir, i settimanali e le radio diocesane, i comunicati della Cei. Non è un caso che Dino Boffo sia contemporaneamente direttore di Avvenire, della Tv dei vescovi Sat2000 e del circuito radio della Cei. A questa rete, che nei momenti cruciali martella ossessivamente l´opinione pubblica e la classe politica - si tratti del no ai Dico, del referendum sulla procreazione assistita o del testamento biologico o di Eluana - si aggiunge come alleato esterno, di area laica, il Foglio che nel nome dell´ideologia occidentalista teocon rilancia aggressivamente i comandamenti del magistero ecclesiastico. Sul piano sociale agiscono in primo piano i gruppi più integralisti: l´Associazione Scienza e Vita, il Movimento per la Vita, i Centri di aiuto alla vita, il Forum delle famiglie. Insieme a due movimenti che occhieggiano alle manifestazioni anti-Zapatero in Spagna: i neo-pentecostali di Rinnovamento dello Spirito e i Neo-Catecumenali. Sul piano parlamentare si muovono Cl e l´Opus Dei.
Alle associazioni tradizionali, conoscendone il pluralismo interno di fatto, i vertici ecclesiastici chiedono solo il pubblico allineamento nelle grandi occasioni. Dal Family Day al referendum sulla procreazione artificiale, al contrasto delle sentenze della magistratura favorevoli a Beppino Englaro. Ai deputati cattolici, infine, la dottrina Ratzinger impone ubbidienza nella legislazione sui valori «non negoziabili».
Su questa base la gerarchia ecclesiastica si presenta sulla scena come portavoce (presunto) della cattolicità e preme incessantemente sul fragile sistema politico, approfittando del fatto che nel centrodestra l´area liberal-socialista si è completamente allineata alle posizioni della Chiesa e che nel centrosinistra i teodem si ergono insistentemente come unica «voce cattolica». Con una carta in più: la Chiesa interviene a tutto campo, ma se si levano voci di critica, allora reagisce con vittimismo aggressivo lamentando il tentativo di imbavagliarla.
Eppure da anni nei sondaggi la grande maggioranza della popolazione ribadisce che la Chiesa non deve interferire nella legislazione. Nell´ultima indagine Swg dell´estate scorsa, l´ottantadue per cento. Per questo al referendum del 2005 la presidenza della Cei, incerta sulla consistenza dei fedeli a proprio favore, giocò la carta dell´astensione. Teorema dimostrato dall´audience televisiva la notte della morte di Eluana. Se otto milioni guardano il Grande Fratello e solo quattro milioni Porta a Porta (mostrandosi nelle mail spaccati sul sì o sul no alla decisione di Englaro), cos´è più conveniente se non arruolare alla propria strategia gli otto milioni che non vogliono porsi problemi?
Perché la comunità dei credenti è estremamente variegata. Sotto la cappa della linea ufficiale si possono incontrare suore che sbuffano perché «Santa Madre Chiesa non si sta un po´ zitta», responsabili diocesani che esprimono «fatica per le posizioni attuali» e persino cardinali che confessano: «Non parlo, perché sarei eretico». La maggioranza dei fedeli non ha nascosto in queste settimane di stare dalla parte di Eluana. Lo dicevano anche tanti pellegrini la domenica in piazza San Pietro. E dopo la sua morte (sondaggio di Nando Pagnoncelli) il settantaquattro per cento sostiene ancora che sul testamento biologico debba decidere il soggetto o, in caso di coma, la sua famiglia.
Riassume Angelo Bertani, direttore dell´agenzia Adista e già direttore di Segno (Azione cattolica) e caporedattore di Avvenire: «In Italia assistiamo all´incontro di due debolezze. La Chiesa ha bisogno di mezzi esterni� dello Stato� delle leggi, perché non possiede il linguaggio per convincere. E la politica di centrodestra, incapace di unire il Paese, cerca una legittimazione morale e un mantello sacrale».

anticlericale
23-04-09, 02:44
"La Repubblica", DOMENICA, 15 FEBBRAIO 2009
Pagina 31 - Cultura

Il vuoto dei partiti riempito dalla dottrina

ILVO DIAMANTI
qualcuno si sorprende dell´influenza della Chiesa nel dibattito pubblico in Italia. Dell´attenzione riservata, negli ambienti politici, alle sue posizioni su questioni sociali e morali. Nonostante il sensibile declino della pratica religiosa e delle adesioni all´associazionismo confessionale. I cattolici praticanti sono, infatti, meno del trenta per cento, concentrati nelle periferie e molto ridotti nei centri (urbani). Le iscrizioni alle associazioni cattoliche più importanti sono diminuite ormai da molti anni.
Inoltre, dal punto di vista elettorale, è finita l´epoca dell´unità politica dei cattolici. Insieme alla Dc e alla fine del comunismo. Alle elezioni politiche del 2008 il voto dei cattolici praticanti si è distribuito in modo proporzionale fra i partiti più importanti. Come mostrano i dati di un´indagine (LaPolis-Università di Urbino) condotta nelle settimane successive al voto su un campione nazionale di oltre 3300 casi. Il trenta per cento di chi frequenta assiduamente la messa domenicale ha, infatti, votato per il Pd; il quarantuno per cento Pdl. Rispettivamente, tre punti percentuali in meno e in più rispetto al risultato ottenuto fra gli elettori nel complesso. Il che significa, calcolato in termini di voti validi, l´uno per cento. L´Udc - l´ultimo partito a esibire l´identità cattolica come bandiera - ha intercettato il dieci per cento degli elettori cattolici (praticanti). Sul totale dei voti validi: meno del quattro per cento.
Peraltro, larga parte dei cattolici praticanti e (a maggior ragione) non praticanti, pensa che la Chiesa si debba esprimere sui più importanti aspetti dell´etica personale e pubblica. Anche se alla fine si affida alla propria coscienza. E ritiene che i parlamentari debbano fare lo stesso. Da ciò i dubbi, le perplessità circa l´influenza della Chiesa sulla politica italiana. In particolare, sulle scelte dei partiti, non solo di centrodestra, anche di centrosinistra, come si è potuto verificare nella recente vicenda di Eluana. E come avverrà in occasione del ddl sul testamento biologico.
Tuttavia, l´influenza della Chiesa sulla società e sulla politica italiane non è misurabile in termini di "controllo elettorale". Né attraverso la quota dei "cattolici praticanti". D´altra parte, quasi nove italiani su dieci si dicono cattolici. Gran parte di essi intende questa professione di fede come l´adesione a una comunità e a un sistema di valori. Una sorta di "religione pagana", aggiungono alcuni. Ma si tratta comunque di un sentimento di appartenenza, che conta in una società afflitta da un profondo deficit di identità. Tanto che quasi otto su dieci tra i non praticanti considera importante dare ai figli un´educazione cattolica (Demos-Eurisko, febbraio 2007). Non va trascurato che una larghissima maggioranza delle famiglie destina l´otto per mille del proprio reddito alla Chiesa cattolica e accetta che i figli a scuola frequentino l´ora di religione.
Peraltro, circa il sessanta per cento degli italiani dice di provare fiducia nella Chiesa, e una quota di poco superiore nelle parrocchie. Il che richiama un´altra importante ragione dell´influenza della Chiesa. Il suo radicamento nella società e sul territorio. Attraverso la sua struttura, la sua offerta di servizi, la sua rete associativa, il volontariato. Che operano in molti e diversi campi. Dall´educazione al tempo libero, fino all´accoglienza agli immigrati e all´assistenza caritativa ai più poveri.
Senza dimenticare i media cattolici. Dai giornali - locali e nazionali - alle emittenti radiofoniche (che hanno una copertura ampia e capillare) alle antenne satellitari. Alla comunicazione via internet. Naturalmente la Chiesa esprime anche valori e "contenuti". Da qualche tempo, aggredisce le questioni critiche dell´etica pubblica e privata in modo aperto e diretto. Offre risposte magari discutibili e discusse, non importa. Contestate da sinistra, sui temi della bioetica. Ma anche da destra, sui temi della pace e dell´immigrazione. Tuttavia, esprime "certezze". E ciò rassicura il suo popolo, anche il più tiepido e indifferente. Che ha bisogno di riferimenti e valori. Anche se, poi, ciascuno agisce secondo coscienza. Cioè: fa a modo suo.
Occorre aggiungere, infine, che il cardinal Ruini, per oltre quindici anni presidente della Cei, ha accentrato la guida - e il controllo - della gerarchia su questo mondo largo e complesso, che oggi si mobilita, come un movimento o un gruppo di pressione, attraverso campagne tematiche. A cui i partiti italiani, poveri di idee e lontani dalla società, spesso si adeguano. Magari senza troppa convinzione. Fra molte polemiche. Ma, al tempo stesso, senza troppa discussione.

anticlericale
23-04-09, 02:44
"Welby, Eluana e mia madre. Così la fede è entrata in crisi"
Intervista a Carlo Verdone

• da Il Riformista del 17 febbraio 2009, pag. 19

di Michele Anselmi

E’ Domenica sera, ospite della trasmissione Tatami insieme al fratello Luca, Carlo Verdone ha fatto una dichiarazione importante. «Sono credente, ma devo riconoscere che alcuni fatti recenti stanno mettendo in crisi il mio rapporto con la Chiesa». Si riferiva alla vicenda di Eluana Englaro, allo scontro mediatico e politico da essa originato. Ma forse c`era qualcos`altro in ballo. Curiosi, noi del Riformista siamo andati a sfruculiarlo sul tema. Preso tra una riunione con gli sceneggiatori Francesca Marciano e Pasquale Plastino, i provini a Cinecittà per il nuovo film e un appuntamento dal dentista, ecco quanto ci ha detto il 58enne attore-regista romano.
Davvero, alla voce religione, qualcosa s`è rotto dentro di lei?
Ho semplicemente risposto a una domanda. Ma è vero, sono attraversato da un forte dubbio, il caso di quella povera ragazza ha aperto una discussione profonda, in me come in tante persone che conosco. Sento amici che stanno riflettendo sul testamento biologico. Ho cominciato a pensare al mio, sempre che facciano una legge decente. Capisco bene Peppino Englaro. In famiglia abbiamo vissuto una situazione simile, sia pure molto più breve nel tempo, ma egualmente tragica. Mia madre è rimasta per cinque-sei mesi in quella condizione. Nel suo caso era una malattia degenerativa cerebrale. Quando, dopo quattro anni di sofferenze, ha perso la lucidità, sprofondando nell`incoscienza, la famiglia è come implosa. Ci siamo sentiti inerti e inermi, un allarme ogni 15 secondi, un tormento continuo, sapendo che non c`era niente da fare.
La Chiesa cosa c`entra?
Mi dispiace che un tema così delicato, cruciale, intimo, sia stato trattato dalla politica alla stregua di uno spot elettorale, come un modo per acquisire elettori cattolici e farlo proprio. Non ho ascoltato nulla di profondamente umano e misericordioso. Solo proclami. E ho sentito una Chiesa che parlava per dogmi. Credo di vivere la mia fede in modo serio e consapevole. Non sarò un praticante perfetto, ma dentro di me, tra mille errori, penso di fare del mio meglio. Sono un cattolico, un cattolico laico, trovo le risposte più convincenti nella mia religione. Ma sento di dover prestare attenzione a tutte le religioni che rispettano la vita umana, la dignità, l`armonia. Le dirò di più: se mio figlio volesse abbracciare la religione musulmana non porrei dei problemi, sempre che lo faccia con coscienza, senza fanatismo.
Strano sentirlo dire da lei: in fondo ha studiato al collegio "Nazareno", forte impronta cattolica.
Se è per questo, ho studiato Storia delle religioni all`università di Roma. Non avessi fatto l`attore, sarei finito all`istituto storico e religioso della Sapienza. Le ripeto: mi ritengo un buon cattolico. Ci sono domeniche in cui vado a messa, giorni in cui mi scopro a pregare, segretamente, dentro di me. Ho meditato a lungo sulla storia di Eluana. Certi pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche mi sono parsi stridenti. Per non dire delle uscite di Berlusconi. Ma come si fa a parlare di "mestruazioni regolari", di potenziale capacità procreativa? Per procreare cosa? Una donna non può essere ridotta a un utero. Eluana non era più la ragazza sorridente e attiva di quelle foto giovanili. Berlusconi e Napolitano avrebbero dovuto rispondere all`invito di papà Englaro, guardare in faccia alla realtà. Io ho visto mia madre ridursi a pesare 28 chili, con l`encefalogramma piatto, le sonde nella pancia, nel naso. Una mummia dentro un sarcofago egizio. Come altro chiamarlo se non il martirio di un corpo? Dovremmo avere più rispetto per il corpo di una persona che muore. Mi costa confessarlo, ma io non riuscivo più a entrare nella stanza di mia madre. Per questo non accetto che qualcuno, dagli alti scanni della politica, accusi la famiglia Englaro di essersi voluta liberare di una "scomodità". Pazzesco.
Non ha risposto sulla Chiesa.
Noi Verdone veniamo da un`educazione cattolica. Siamo devoti, rispettosi. E tuttavia la Chiesa rischia di stare sempre due o tre passi indietro alla società. Lo so, è la sua forza, ma anche la sua debolezza. Vorrà dire o no qualcosa il fatto che le chiese si stiano svuotando? Rimangono i vecchi che sentono arrivare la morte, anche non credenti. Ma i giovani? I trenta-quarantenni? Non dico che il Vaticano debba cambiare opinione su temi delicati sul piano etico, ma vorrei che portasse le ragioni del suo magistero in un modo più confidenziale. Invece arrivano `sti dogmi affilati come spade! Se pontifichi sempre su tutto, alla fine viene meno la possibilità di replica. Per questo mi sembra interessante quanto ha scritto il cardinal Martini: un uomo che pone dilemmi cruciali con toni diversi, spesso con buon senso, al di là delle sovrastrutture. In lui ho percepito l`invito a vivere la fede in modo più semplice, quasi seguendo un`impronta francescana.
C`è voluta la morte di Eluana Englaro perché lei fosse toccato dal dubbio?
In verità, i primi dubbi arrivarono con la questione Welby. Lui fece bene a trasformare il proprio corpo in testimonianza, a battersi in prima persona per rivendicare un legittimo diritto. Anche lì il Vaticano sbagliò a non permettere i funerali in chiesa. Il bandito della Magliana sì, perché t`ha dato i soldi, Welby no. Due pesi e due misure. Non dimentichiamo la parabola del povero Galilei. Solo l`altro ieri la Chiesa gli ha dedicato una messa di risarcimento, celebrata da monsignor Ravasi. Bene, ma sono arrivati un po` tardi, no? Allora mi chiedo: dove sta la pietas? Non c`è. Poi, certo: serve una legge rigorosa e scrupolosa. Ma quando c`è una morte cerebrale che dura così tanto, diciassette anni, hai voglia ad attendere il miracolo.
Dica la verità: è anche per questo che nel prossimo film, starring Laura Chiatti, ha scelto di far la parte di un prete?
No, l`idea nasce prima. Nei miei film mi sono spesso divertito a incarnare dei sacerdoti, ma erano macchiette, sketch. Qui è diverso. In Io, loro e Lara, che inizio a girare ad aprile tra Roma e l`Africa, sarò un prete molto particolare: con dei problemi, visto e raccontato come un uomo normale esposto ai cedimenti. Accade al novanta per cento dei preti. Ma non pensi alla storia d`amore con la bella bionda. Sarebbe troppo banale. Ero stufo di interpretare personaggi borghesi, volevo misurarmi con qualcosa di diverso, una commedia quasi di impianto teatrale. Sarà un Verdone nuovo, niente accenti dialettali. E il box office che ci frega. Ma se non provi a fare qualcosa di diverso, sia pure nel solco della commedia, alla fine passa la voglia di continuare.
E la politica? Si sente ancora vicino al Pd?
Fatico ad avere riferimento politici. Non mi ritrovo negli schieramenti in campo. Siamo partiti dalla vicenda Englaro: e allora le dico che non m`è piaciuto nessuno. Si respirava un`aria da riunione condominiale. Sento in giro una non-cultura che porta dritta alla cultura dell`intolleranza. Ma con un`avvertenza: se alcuni romeni vengono qui a delinquere, un motivo c`è. Il carcere non è mai una certezza in Italia. Vale per gli stupratori. E pure per chi fa bancarotta fraudolenta. Siamo in Italia: l`indulgenza plenaria non si nega a nessuno.

anticlericale
23-04-09, 02:45
"La Repubblica", MARTEDÌ, 17 FEBBRAIO 2009
Pagina 14 - Esteri

Austria, dai vescovi sfida al Papa: "Serve più scrupolo nelle nomine"
Lettera dopo la scelta dell´omofobo Wagner: "Imparare dagli errori"

MARCO POLITI
CITTÀ DEL VATICANO - Esplode nella Chiesa austriaca il malumore verso il Vaticano e (dietro lo schermo di parole calibrate) contro lo stile di governo di papa Ratzinger. Il vertice dei vescovi, convocato dal cardinale Schoenborn dopo la decisione papale di nominare vescovo ausiliare di Linz il parroco reazionario Gerhard Maria Wagner, si è concluso con una lettera ai cattolici d´Austria, in cui si chiede al Vaticano di imparare dagli errori del passato e rispettare le procedure nelle nomine vescovili. Ma soprattutto i vescovi chiedono un atteggiamento di «scrupolo e massima sensibilità».
Gerhard Maria Wagner si è già dimesso domenica, quando ha sentito l´ondata di ostilità nei suoi confronti. Irritazione diffusa tra vescovi, preti e semplici fedeli per un uomo che scorge il fantasma del «satanismo» nei romanzi di Harry Potter, considera malati (benché curabili) gli omosessuali, immorale la città di New Orleans e quindi giustamente punita dall´uragano Katrina.
I vescovi hanno denunciato «l´insufficienza dei processi di comunicazione anche in Vaticano», augurandosi che il «servizio universale del Papa non venga oscurato da ombre». Modo elegante per dire che la linea di governo ratzingeriana suscita perplessità. «E´ necessario che la Chiesa cattolica sia "purificata" per essere ridotta a una setta, nella quale resterebbe solo un pugno di membri fedeli alla linea ufficiale?», si è chiesto alla vigilia l´arcivescovo di Salisburgo monsignor Alois Kothgasser.
Per l´episcopato d´Austria il Vaticano deve rispettare le regole. «E´ fuori discussione che spetti al Papa la libera nomina dei vescovi», ha detto il cardinale Schoenborn, aggiungendo che «il metodo previsto è buono, se viene effettivamente rispettato».
Prima stoccata al governo ratzingeriano. Infatti la nomina di un vescovo viene preceduta da consultazioni tra vescovi, preti e cattolici eminenti da parte del nunzio, che poi manda a Roma una terna di nomi. Nella terna - tutta l´Austria lo dice - il nome di Wagner non c´era. Insomma, papa Ratzinger ancora una volta non ha tenuto conto di pareri e consigli, ma è andato avanti da monarca assoluto.
Ricordando le «controversie» esplose in Austria negli anni Ottanta (quando Giovanni Paolo II impose alla diocesi di Vienna il cardinale conservatore Hans Hermann Groer, poi costretto alle dimissioni per precedenti rapporti omosessuali con seminaristi), la dichiarazione dei vescovi sottolinea che «prima che il Papa prenda la decisione definitiva, devono esserci fondamenti affidabili e completamente provati che possano sostenere la sua scelta».
Critiche implicite anche sulla revoca della scomunica ai quattro presuli lefebrviani. E´ una mano tesa - affermano i vescovi austriaci - però i lefebvriani devono aderire «incondizionatamente» al concilio Vaticano II. Esattamente ciò che Ratzinger non ha preteso prima di riabilitarli. E i nodi vengono al pettine. Il leader lefebvriano Fellay afferma che il vescovo negazionista Williamson «sta studiando la Shoah» e che sul Concilio il Vaticano deve dare «chiarimenti».

anticlericale
23-04-09, 02:45
(ANSA)

La decisione della Sesta sezione penale della Cassazione


Annullata la condanna al giudice che non voleva il crocifisso in aula

Luigi Tosti era stato condannato a 7 mesi di reclusione ma per i giudici «il fatto non sussiste»



ROMA - La Sesta sezione penale della Cassazione «ha annullato senza rinvio perché il fatto non sussiste» la condanna per il giudice del Tribunale di Camerino, Luigi Tosti a sette mesi di reclusione per interruzione di pubblico servizio e omissione di atti d'ufficio inflitta dalla Corte d'Appello dell'Aquila nel maggio 2007 perché il magistrato si era rifiutato di svolgere le sue funzioni nell'aula giudiziaria a causa della presenza di un crocifisso.
IL FATTO NON SUSSISTE - All'inizio dell'udienza la difesa del giudice Tosti aveva rinnovato la richiesta di rimuovere, non solo in Cassazione ma in tutte le aule di giustizia, i crocifissi ed ogni simbolo appartenente alla religione cattolica. Ma la Sesta sezione penale ha respinto l'istanza e portato avanti il processo vista l'assenza di simboli religiosi nell'aula. Il sostituto pg della Cassazione, Vincenzo Geraci, aveva chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza di condanna di Tosti ritenendo che occorreva riformulare il reato a carico del magistrato. Secondo Geraci, infatti, poiché le udienze dopo il rifiuto del magistrato si erano tenute lo stesso, attraverso la nomina di un sostituto, non si sarebbe configurata un' omissione di atti d'ufficio, piuttosto un turbamento dell'attività giudiziaria. I giudici della Sesta sezione penale, presieduta da Giorgio Lattanzi, hanno invece deciso per l'annullamento della sentenza senza però rinvio, ritenendo che «il fatto non sussiste» e quindi non ci sarebbe stata omissione d'ufficio da parte di Tosti.
O ME O I CROCIFISSI - «La sentenza della Corte di Cassazione è un passo importante, ora abbiamo eliminato l'aspetto penalistico, aspettiamo quindi il procedimento disciplinare in corso su di me e se tornerò in aula a fare il giudice è ovvio che continuerò la mia battaglia "o me o i crocifissi in aula"». Questo è il commento del giudice Luigi Tosti alla notizia dell'annullamento della sua condanna. Il giudice Tosti ha comunque sottolineato che continuerà la sua battaglia per far togliere in tutte le aule dei tribunali d'Italia il crocifisso e che il rispetto alla sua coerenza, se mai tornerà al lavoro, dopo la sospensione della sua attività che dura ormai da tre anni da parte del Csm, si rifiuterà di tenere udienza ogni qualvolta si troverà di fronte un simbolo della religione cattolica. «La mia battaglia - ha detto Tosti - è per il rispetto del principio di laicità che in Italia è violato soltanto dalla religione cattolica, mentre tutte le altre religioni lo rispettano. Infatti gli unici simboli che ricorrono sono quelli della religione cattolica, non abbiamo mai visto, ad esempio, simboli islamici o buddisti».


17 febbraio 2009

anticlericale
23-04-09, 02:45
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 18 FEBBRAIO 2009
Pagina 17 - Cronaca

Il caso
No al crocifisso in aula, la Cassazione dà ragione al giudice
La Suprema Cassazione ribalta la sentenza che aveva condannato in appello Luigi Tosti

GIUSEPPE CAPORALE
ANCONA - «Il fatto - per la Cassazione - non sussiste». Il giudice Luigi Tosti, nel rifiutare di celebrare udienze in un´aula dove era presente il crocifisso, non ha commesso alcun reato. Così, ieri, la Sesta sezione penale della Suprema Corte ha ribaltato la sentenza della Corte d´Appello dell´Aquila che - quasi due anni fa - aveva condannato Tosti a sette mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici, con l´accusa di interruzione di pubblico servizio e omissione di atti d´ufficio. La battaglia del magistrato che, in nome della laicità dello Stato, vuole che il crocifisso sia rimosso da tutti gli uffici pubblici (a cominciare dalle aule giudiziarie) dura ormai da sei anni. Ovvero da quando il giudice, in servizio al tribunale di Camerino, sollevò per la prima volta il caso, con perentorie prese di posizione: dallo sciopero delle udienze alla restituzione del certificato elettorale, sino al conflitto di attribuzioni contro il ministro della Giustizia davanti alla Consulta. Una vicenda che gli è costata anche un procedimento disciplinare con tanto di sospensione da parte del Csm. Ora, anche se Tosti ha ottenuto un´importante vittoria, non tornerà subito nelle sue funzioni, dato che il procedimento del Consiglio Superiore della Magistratura è ancora in corso.
«La sentenza della Cassazione è un passo importante - ha spiegato Tosti - eliminato l´aspetto penale ora attendo serenamente le risultanze del procedimento disciplinare. Ma un dato è certo: se tornerò in aula a fare il giudice, è ovvio che continuerò la mia battaglia: "o me o i crocifissi in aula". La mia presa di posizione - ha continuato il magistrato - é per il rispetto del principio di laicità, che in Italia è violato soltanto dalla religione cattolica, mentre tutte le altre lo rispettano. Infatti l´unico simbolo che ricorre negli uffici pubblici è il crocifisso. Non abbiamo mai visto, ad esempio, simboli islamici o buddisti».
Invece per i giudici della Corte d´Appello dell´Aquila che lo avevano condannato «la presenza o meno del crocifisso in un´aula di giustizia è irrilevante ai fini dello svolgimento di un processo e non crea alcuna condizione di illegittimità». Tosti, invece, dopo la sentenza del tribunale abruzzese si è sempre considerato «vittima della discriminazione religiosa». Ora la Cassazione lo ha assolto.

anticlericale
23-04-09, 02:45
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2009
Pagina 8 - Interni

"Con il Vaticano totale identità di vedute"
Berlusconi a tu per tu con Bagnasco. E Fini ricuce dopo le scontro sugli ebrei

MARCO POLITI
ROMA - Non è un anniversario, è un party per festeggiare il "caro estinto" dell´opposizione. Al ricevimento nell´ambasciata d´Italia presso la Santa Sede per commemorare gli 80 anni del Concordato, un Silvio Berlusconi radioso si ferma molto più del presidente Napolitano, mentre i cardinali Bertone e Bagnasco nascondono la gioia tenendo le bocche rigorosamente chiuse davanti ai giornalisti. Pier Ferdinando Casini va incontro calorosamente al premier. Sembrano i generali Wellington e Bluecher dopo la vittoria di Waterloo.
Governo e Vaticano esibiscono un feeling, esaltato dalla battaglia comune sul caso Eluana. Il premier conferma il filo diretto con le gerarchie vaticane nei momenti cruciali della vicenda: «Non ho parlato direttamente con il Papa, ma abbiamo intrattenuto rapporti con i cardinali Bertone e Bagnasco. E poi c´era il dottor Letta�».
Le relazioni tra Vaticano e il leader del centro-destra sono al massimo. «Assoluta identità di vedute - dichiara Berlusconi - da parte di tutti i rappresentanti della Santa Sede c´è un riconoscimento entusiasta che mai si era verificato un clima come quello attuale, con la soluzione di praticamente tutti i problemi. Tranne piccole questioni». Monsignor Mariano Crociata, segretario della Cei, conferma: «Un clima sereno». «Ottimo», chiosa il presidente del Senato Schifani.
Colpisce tra la folla degli invitati l´eclisse totale del Pd. Fassino non si fa vedere, Rutelli è a Bruxelles. Vagano tra prelati, ambasciatori, calici di champagne e stuzzichini, il deputato Pd Ivano Strizzolo, il teodem Enzo Carra, Maria Pia Garavaglia e Paola Binetti. A sorpresa appare un tranquillo Ignazio Marino.
Per il vertici vaticani e della Cei l´implosione dei Democratici è il frutto di un martellamento di quindici anni per scongiurare l´alleanza organica tra la cultura cattolica progressista e la cultura di un socialismo riformista nell´ambito di un partito di stampo europeo. Via via sono stati pestati psicologicamente i cattolici non ossequienti alla Santa Sede. Prodi, poi la Bindi, Marino stesso. L´Avvenire ha ricordato martedì all´ex popolare Franco Marini che non ci si può «contrapporre ai vescovi su argomenti da sempre appannaggio delle religioni». Una singolare «riserva legislativa» per il Vaticano nell´80. dei Patti Lateranensi.
Mentre Napolitano era a colloquio con il Segretario di Stato Bertone, il premier ha passato in rassegna con il cardinale Bagnasco l´agenda bilaterale. Per la Chiesa sono importanti una legge sul testamento biologico, che escluda l´autodeterminazione del paziente, il finanziamento delle scuole private, il sostegno alle famiglie, una gestione equilibrata del problema immigrazione. Berlusconi garantisce un´"attenzione puntuale" ai problemi della scuola cattolica, assicura di aver fatto molto per le famiglie, sottolinea la «visione comune» con la Chiesa sul tema del testamento biologico, respinge ogni ipotesi di legge sulle coppie di fatto: «Il progetto Rotondi-Brunetta? E´ un progetto loro che non ha niente a che fare con il governo».
Se l´incontro tra Bertone e Napolitano riconferma la stima vaticana per il presidente della Repubblica, un altro colloquio tra il Segretario di Stato, il presidente della Camera e Bagnasco ha smussato gli screzi suscitati dalle critiche di Fini sul rapporto tra Chiesa e ebrei negli anni del fascismo. Un disgelo tra il presidente della Camera e le gerarchie vaticane preparato già in mattinata: in un convegno, Fini aveva lodato «l´azione di coesione svolta dalla Chiesa nella società italiana». Il capo dello Stato, uscendo dall´ambasciata, ribadisce che il concordato riformato ha tante «potenzialità da sviluppare» e, come già in un suo messaggio ufficiale, esorta ad intensificare il «fruttuso dialogo» tra Stato e Chiesa.

anticlericale
23-04-09, 02:46
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

La lettera
L´Italia, la Chiesa e una laicità positiva

GIANFRANCO FINI

Caro direttore, una singolare casualità della storia ha voluto che la ricorrenza degli ottant´anni del Concordato cada proprio a venticinque anni dalla stipula della revisione del Concordato stesso. Ma, soprattutto, tali ricorrenze cadono in una fase in cui più viva che mai è la questione del rapporto fra il pensiero della Chiesa cattolica e l´azione politica, ed in cui riemergono periodici conflitti tra laici e cattolici impegnati in politica.
Per tentare di fare il punto su tale questione, mi sia consentito trarre ispirazione da un concetto pronunciato dal Santo Padre, Giovanni Paolo II, in un momento di alto valore storico e simbolico quale il discorso tenuto nell´Aula di Montecitorio il 14 novembre di sette anni fa.




In quel discorso colpirono, soprattutto, la sottolineatura del rispetto dovuto dalla politica alla centralità della persona umana, accompagnata dall´invito rivolto al nostro Paese ad «incrementare la sua solidarietà e coesione interna per poter meglio esprimere le sue doti caratteristiche e valorizzare la sua ineguagliabile ricchezza e varietà di culture».
Si tratta di una bussola, fatta di entrambi i concetti, che ci deve guidare proprio in questa fase in cui fenomeni epocali quali la globalizzazione, accoppiati al mutamento della struttura stessa delle nostre società, possono mettere in dubbio quelli che debbono essere i valori fondamentali di riferimento per una società. Una società che richiede una nuova e forte "dimensione etica", oggi offuscata dalla labilità con cui spesso vengono percepiti i valori fondamentali.
In questo quadro si colloca anche il forte incremento della presenza nella società italiana di nuovi movimenti religiosi di diversa origine culturale e geografica, resa più complessa dal fatto che manca a tutt´oggi una legge di carattere generale che garantisca la libertà religiosa, pur nel quadro del multiculturalismo e del pluralismo religioso indubbiamente in atto. Una tendenza destinata inevitabilmente a crescere, e rispetto alla quale la società italiana, per fortuna, non ha vissuto tensioni interetniche, avendo manifestato una accoglienza nei fatti positiva per le minoranze religiose, ben più di quanto abbiano saputo fare altri grandi paesi europei.
Un fenomeno al quale la stipulazione di Intese con culti non cattolici potrebbe recare un utile contributo, sempre ovviamente nel rispetto fondamentale delle garanzie dei diritti umani di libertà e di uguaglianza.
Mi ha colpito molto che il Presidente della laicissima Francia, Nicolas Sarkozy, nel suo discorso pronunciato a San Giovanni in Laterano nel 2007, abbia introdotto il concetto di "laicità positiva", volendo così evidenziare la fine della sostanziale indifferenza dello Stato francese nei confronti del fenomeno religioso, vissuto, oltralpe, nell´ambito di una dimensione tutta personale e privata, completamente separata da quella pubblica.
Ebbene, quel concetto di "laicità positiva" era già ben presente nell´Accordo Craxi-Casaroli del 1984 di modifica del Concordato, con conseguente abbandono di quell´atteggiamento di "difesa" nei confronti dello Stato tipico dei Concordati tradizionali.
Un nuovo "Concordato-quadro" a maglie larghe, che rimandava la disciplina concreta dei singoli settori a successivi accordi, o a intese attuative tra il Governo e la Conferenza episcopale italiana, sulla base della "reciproca collaborazione per la promozione dell´uomo e per il bene del Paese" (articolo 1 dell´Accordo).
Un concetto del resto ripreso dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando in occasione della visita di Papa Benedetto XVI al Quirinale, ha sottolineato, tra l´altro, «conosciamo e apprezziamo la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso».
È in questo quadro che si colloca quel riconoscimento dell´importanza delle radici ebraico-cristiane dell´identità culturale europea, in cui si sono riconosciuti sia il Governo precedente che quello attualmente in carica, indipendentemente dalle concezioni religiose ed ideali di ognuno, così come si riconoscono nell´importanza dell´azione di coesione e di sostegno svolta dalla Chiesa nella società italiana.
Tutto questo non stride con il progressivo disvelamento di quel principio di "laicità dello Stato", sostanzialmente racchiuso, anche se non formulato con queste parole, nella Carta costituzionale.
Una laicità non certo aggressiva nei confronti della religione, aliena da degenerazioni laiciste ed anticlericali, aperta al riconoscimento del ruolo attivo e positivo della Chiesa nella società italiana. Una laicità dello Stato che deve però tenere conto che viviamo in un Paese la cui storia è inestricabilmente intrecciata alla vicenda del Cristianesimo e della Chiesa romana, perché si possa minimamente immaginare un reciproco disinteresse.

L´autore è presidente della Camera

anticlericale
23-04-09, 02:46
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2009
Pagina 18 - Cronaca

Terni, non voleva insegnare sotto un simbolo religioso. Rischia un mese di allontanamento
Prof toglie il crocifisso dalla classe; gli studenti lo denunciano: sospeso.

SALVO INTRAVAIA
TERNI - Staccare il crocifisso dal muro durante la lezione può costare un mese di sospensione dal servizio. È questa la sanzione disciplinare cui potrebbe andare incontro Franco Coppoli, insegnante di Italiano e Storia all´istituto superiore Casagrande di Terni. La vicenda inizia lo scorso mese di settembre, quando Coppoli si trasferisce da Bologna a Terni.
Il docente, «rivendicando la libertà di non fare lezione sotto un simbolo di una specifica confessione religiosa appeso dietro la cattedra, invocando la libertà di insegnamento, la libertà religiosa e la laicità dello Stato e della scuola pubblica previste dagli articoli costituzionali», decide di staccare il crocifisso dalla parete durante le sue lezioni.
All´inizio la cosa non sembra creare problemi, ma dopo qualche settimana gli studenti si riuniscono in assemblea e "a maggioranza", ci tiene a sottolineare Coppoli, decidono che nelle classi il simbolo religioso va alla parete e denunciano l´episodio.
Ma il professore non si arrende e, durante le lezioni di Italiano, continua a staccare dal muro il crocifisso per riappenderlo prima di uscire dalla classe. A questo punto interviene il preside, Giuseppe Metastasio, che intima al professore di non rimuovere il crocifisso. E di fronte all´ennesimo rifiuto lo denuncia al Consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi), che lo ha ascoltato lo scorso 11 febbraio, proponendo la sospensione dal servizio, e dallo stipendio per un mese.
La patata bollente passa ora nelle mani del direttore dell´Ufficio scolastico regionale dell´Umbria, Nicola Rossi, che dovrà irrogare l´eventuale sanzione. «È un fatto gravissimo – commenta Piero Bernocchi, dei Cobas della scuola che hanno difeso il docente – Il Cnpi – continua Bernocchi – si è dimostrato più reazionario della magistratura che ha recentemente assolto il giudice che si rifiutò di fare udienza col crocifisso in aula».

anticlericale
23-04-09, 02:46
Ora don Gelmini accusa il Vaticano; certi cardinali sembrano dei cuculi
• da Italia Oggi del 20 febbraio 2009, pag. 6

di Andrea Bevilacqua

In Vaticano la grana don Pierino Gelmini non è stata ancora disinnescata. L`ultima, infatti, viene proprio da Amelia dove don Gelimini risiede. Dalla sua abitazione don Gelmini ha accusato pesantemente il Vaticano in questo modo: «Il Vaticano - ha detto testuale - ha perso la fede, segue regole rigide di potere». E ancora: Al cristianesimo è la religione del sì, non del divieto. Certi cardinali facciano un passo indietro, sembrano dei cuculi». E la prima volta che don Gelmini parla dopo che è stato ridotto allo stato laicale a seguito dello scandalo dei presunti abusi sessuali su ospiti delle sue comunità di recupero. Sul sito religioso Pontifex, il «J`accuse» contro la Santa Sede è durissimo. La Santa Sede, dice, «non sa perdonare». E ancora: «In Vaticano non hanno più la fede e trasformano il cristianesimo in una cosa burocratica. Troppi documenti confusi e poche idee». Don Gelmini ha raccontato anche le sue giornate ad Amelia: «Quando la sera mi addormento - dice - benedico il Nord, il Sud, l`Est e l`Ovest pensando ai miei figli che soffrono». E poi il racconto dei compleanni festeggiati in convention via satellite con leader politici e cardinali, una fiction Mediaset in lavorazione sull`«eroica epopea del prete anti-droga», il Mulino Silla trasformato da rudere nella campagna di Amelia in sfavillante «città della speranza», casa madre di una multinazionale della speranza che nei cinque continenti assiste emarginati e accumula crediti nei palazzi del potere civile ed ecclesiastico, il seggio all`Onu come ong. «Abbiamo trovato dice - una casa distrutta e da qui abbiamo iniziato. Eravamo talmente poveri che mangiavamo pane, mortadella e una mela». Tra i mille impegni, don Pierino, «prete non per caso», si è pure conquistato i galloni di cappellano e guida spirituale della Casa della libertà. Del resto chiama tutti «figli»: Silvio Berlusconi che gli dona pubblicamente 5 milioni di euro, i profughi del Sud-est asiatico soccorsi per lo tsunami e Alfredo il primo ragazzo incontrato per caso a piazza Navona nel 1963 e strappato alla droga: «Non voleva soldi, ma una prospettiva». Da allora don Pierino ha rinunciato «alla carriera in Vaticano per imbarcarmi in una corriera piena di balordi». Adesso ad ogni festa della comunità si affollano decine di ministri e parlamentari, arcivescovi, personaggi dello spettacolo, vip di curia come il vicario papale Angelo Comastri e il cardinale Jorge Mejia. «Grazie Gianfranco per la legge anti-droga! Affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani», disse a Fini alla conferenza programmatica, davanti alla platea di partito in piedi ad applaudirlo. «Sono con voi - spiegò -, non potevo essere altrove. Credo negli ideali che difendete». Poi lanciò la crociata contro le unioni di fatto: «Esiste un solo matrimonio, sacro ed inviolabile. Difendetelo!». Quando due anni fa il premier Berlusconi, accompagnato dai ministri Buttiglione, Lunardi e Gasparri, varcò la soglia dell`auditorium Incontro, don Pierino lo fece accogliere da un sacrale «Alleluja» cantato a tremila voci. Eppure, in pieno Giubileo, aveva bacchettato i «ragazzi» per l`accordo diabolico tra il Polo e l`antiproibizionista Pannella: «Casini, Buttiglione, guardatemi in faccia: ci tradite per un piatto di lenticchie?», tuonò don Pierino. Ci fu bisogno di un «vis-à-vis» chiarificatore con «il buon cristiano Silvio» per esorcizzare l`avvicinamento. Questo è don Gelmini, prete anti-droga che su Pontifex ha voluto condurre la sua ultima battaglia, quella contro il Vaticano.

anticlericale
23-04-09, 02:47
"La Stampa", 23 Febbraio 2009, pag. 10

Il Papa: “Pregate per me, non lasciatemi solo”

Un crescendo di critiche, anche nella Chiesa
il caso


GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO


Benedetto XVI denuncia «smarrimento e tempeste» all’interno della Chiesa, riafferma il primato del Papa (il cui ruolo «è stato ribadito dal Concilio») e invita i fedeli a pregare per lui. Un accorato richiamo all’ordine proprio nel giorno in cui, dopo il quotidiano britannico «Financial Times», anche il conservatore «Sunday Times» spara sul Palazzo Apostolico. Le scelte prese troppo «in solitudine» e lo stile «regale e distaccato» di un Pontefice quasi «invisibile» starebbero irritando anche chi dovrebbe essergli più vicino e in particolare alcuni cardinali. In prima pagina la corrispondenza dalla Città del Vaticano descrive una Curia allo sbando (sotto assedio per le critiche dagli episcopati francese, austriaco, tedesco, svedese, svizzero, inglese) e registra forti malumori tra i porporati, incluso il ministro dei Vescovi, Giovanni Battista Re, «costretto ad una decisione affrettata» sulla revoca della scomunica ai lefebvriani». La routine giornaliera del Papa viene messa sotto accusa «per una serie di passi falsi che hanno provocato una rara manifestazione di dissenso da parte di cardinali esasperati». Insomma un’impietosa raffigurazione di «un Pontefice che sta guidando la Chiesa e i suoi 1,2 miliardi di fedeli come un monarca, separato dal mondo che sta fuori dalla finestre del suo palazzo, aiutato solo da consiglieri leali ma inetti». Perciò, «la gente si sente disorientata e la sensazione condivisa da tradizionalisti e riformisti è che al timone non ci sia nessuno».
E mentre la Santa Sede apre un’indagine sugli stili di vita delle 59 mila suore americane («quelle impegnate nell’apostolato, non le religiose di clausura») e una delegazione pontificia visiterà oltre 400 conventi, Benedetto XVI è tornato sull’attuale situazione ecclesiale. Appena tre giorni fa il Papa si era lamentato delle «polemiche distruttive e l’arroganza intellettuale» che affliggono la Chiesa, e ieri, all’Angelus, ha riaffermato con forza il «primato di Pietro» invitando i fedeli a non cedere ai «turbamenti e alle tempeste», e a mantenersi «fedeli all’unità», «nell’amore reciproco». Da piazza San Pietro è partito un richiamo per l’intera Chiesa cattolica affinché «ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva». E vegliare perché ciò avvenga tocca al Papa. Un «alto compito» nel quale Joseph Ratzinger chiede di essere «accompagnato» dalle preghiere dei fedeli.
Lo «schiaffo» del «Sunday Times» è l’ultimo di una lunga serie di attacchi. Il caso Williamson, il vescovo negazionista graziato dal Pontefice, ha scatenato una bufera internazionale, con le proteste del Gran rabbinato di Gerusalemme e del governo israeliano, la richiesta di chiarimenti (senza precedenti) del cancelliere tedesco Angela Merkel, l’appello al Pontefice di 50 membri cattolici del Congresso Usa, le critiche del presidente francese Sarkozy («E’ inammissibile, increscioso e choccante che nel XXI secolo si possa negare la Shoah»). Fino alla nota della Segreteria di Stato che ha imposto a Williamson di ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste sulla Shoah «per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa». Due settimane fa anche il «Financial Times» ha preso di mira Benedetto XVI definendolo «un rottweiler di Dio maltrattato» e descrivendolo come «un Papa timido e isolato, sepolto dalle sue letture e scritture, vulnerabile alle manipolazioni». Un Papa che «potenzialmente può essere intimorito» e che «per sua stessa ammissione, non presta mai attenzione alle critiche». Intanto la sollevazione della Conferenza episcopale austriaca ha costretto il Vaticano a rimangiarsi la nomina a Linz dell’ultraconservatore Wagner, secondo cui i gay «vanno guariti», l’uragano Katrina è stato il «castigo di Dio per le cliniche abortiste di New Orleans» e i libri di Harry Potter sono «satanisti e occultisti».
Un quadro allarmante dovuto alla «percezione generale» di questo pontificato più che alle singole decisioni di Benedetto XVI, secondo Francesco Margiotta Broglio, studioso di relazioni tra Stato e Chiesa. «L’odierno governo della Chiesa difetta nel far comprendere il proprio operato all’esterno dei sacri palazzi», osserva Margiotta Broglio. E per risalire a un pontificato così sotto scacco, occorre risalire «alle durissime campagne giornalistiche del ’49 contro Pio XII per la scomunica dei comunisti, i comitati civici e le reazioni alle difficili scelte politiche del Papa durante la guerra fredda». I mass media anglosassoni, aggiunge Margiotta Broglio, «sono tradizionalmente severi con il capo della Chiesa cattolica» e «neppure Paolo VI aveva doti comunicative». Karol Wojtyla, invece, «era un grande comunicatore e curargli l’ufficio stampa era un gioco da ragazzi» perché «anche quando diceva cose discutibili lo faceva sempre nel modo giusto e otteneva unanime consenso». Però «la preparazione e il livello di Ratzinger sono indiscutibili».

www.lastampa.it/galeazzi

anticlericale
23-04-09, 02:47
"La Stampa", 23 Febbraio 2009, pag. 29

BENEDETTO, LA PREGHIERA E L’OBBEDIENZA
Filippo Di Giacomo

Il Papa ha paura? Ieri all’Angelus, spiegando il significato teologico della festa della cattedra di san Pietro, Benedetto XVI ha ricordato il peso supplementare che tale incarico comporta. Dalla sua cattedra, ha detto il Pontefice citando il Concilio, il successore del principe degli apostoli «presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva». Nella sua breve catechesi, Benedetto XVI ha armonizzato i temi della domenica e della festa della cattedra con quelli dell’imminente quaresima che, come da tradizione, il vescovo di Roma aprirà con la cerimonia delle ceneri a Santa Sabina mercoledì prossimo. Nel cristianesimo, la quaresima permette al cristiano di disporsi, attraverso un cammino di conversione e di purificazione, a vivere in pienezza il mistero della risurrezione di Cristo nella Pasqua. In tale spirito, prima della preghiera domenicale, Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli un’esortazione molto cara all’ascesi cristiana, soprattutto durante i tempi forti dell’anno liturgico: «Questa festa mi offre l’occasione per chiedervi di accompagnarmi con le vostre preghiere».
Un cristiano che invita a pregare per lui, non è un vile. Se poi fa il papa è un battezzato da annoverare tra i miti e gli umili di cuore. Tutti ricordiamo la domanda con la quale Hannah Arendt si chiese, ai tempi di Giovanni XXIII, come fosse possibile che un conclave scegliesse come papa un cristiano. Se ricordassimo la sua risposta, sapremmo anche come e perché l’evento si sia ripetuto a ogni sede vacante. Paolo VI, il mercoledì delle ceneri del 1978, sempre a Santa Sabina, interruppe la sua omelia e improvvisando disse: «Ve lo chiedo per favore, vogliate bene al papa, pregate per lui». L’episodio viene ricordato solo da chi vuole vederlo come quel papa-Amleto che Montini invece non fu. Allora, se contestualizzati nel loro humus socio-religioso, i tentennamenti che in questi giorni vengono attribuiti a Benedetto XVI riguardano solo casi irrisolti, vecchi di decenni, sui quali il pontefice tenta di ottenere obbedienza con paziente educazione.
Le nomine vescovili del Nord-Europa, soprattutto quelle in Svizzera, Germania e Austria, sono state rette per secoli da norme dettate da antichi concordati, tutti rivisti alla luce del codice di diritto canonico in vigore ormai da 26 anni. Non è certo un problema del Papa se i governi ne hanno già preso atto mentre i capitoli delle cattedrali di lingua tedesca e francese non riescono ad abbandonare quel complesso antiromano che innervosiva persino un teologo progressista come Yves Congar. La visita canonica che Benedetto XVI ha fatto espletare nei seminari americani, per problemi che alla stampa cattolica anglosassone di questi giorni non piace ricordare, esistevano da decenni e a questo papa si deve la responsabilità di aver voltato una pagina che in tanti, e a lungo, non hanno neanche voluto toccare.
Nella discrezione più assoluta di simili fatti, per chi osserva bene, la Chiesa di oggi ne ha compiuti tanti. ll Papa a maggio andrà in Israele, un paese dove per giovani israeliani in vena di youtubizzare, lo sputo in faccia all’ecclesiastico di ogni rito è uno dei passatempi preferiti. «La visita del Papa è un atto di coraggio», si è limitato a commentare, da Gerusalemme, il nunzio apostolico dopo che il premier Olmert ne aveva dato l’annuncio ufficiale. Anche a Istanbul e a New York, a Sidney e a Parigi, erano in molti a pensare che un papa dialogante fosse necessariamente un papa debole. E così, invece, non è stato. Sabato scorso, Benedetto XVI ha improvvisato un altro discorso nella cappella del seminario romano. Commentava la lettera di Paolo ai Galati, il passo dove l’apostolo «accenna così alle polemiche che nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di essere migliori degli altri». Forse anche in Italia, per togliere tra i fedeli e i loro pastori, Papa e vescovi compresi, l’inutile intralcio degli intellettualismi che affligge coloro che soffrono e che stentano a ritrovare l’abbraccio della Chiesa, basterebbe qualcuno che avesse il coraggio di dire loro: «Fratelli, la ricreazione è finita».

anticlericale
23-04-09, 02:47
La Chiesa. O no?
• da Il Foglio del 25 febbraio 2009, pag. 2

di Maurizio Crippa

Il film già visto, sequenza per sequenza, inquadratura per inquadratura, di come il giornalista collettivo, più ancora che il pensiero corrente, vede e racconta la chiesa: coupe de théàtre, dialoghi strappalacrime e trucchetti (un po` vili) di regia inclusi. Trecentosessanta e passa pagine, se si vuole scrivere un pamphlet polemico e preconcetto (Marco Politi, "La Chiesa del no", Mondadori, 365 pp.,19 euro), sono davvero un po` troppe: rischiano di risultare indigeste anche per i più volenterosi. Soprattutto se non ci si imbatte mai nella sorpresa di un contraddittorio, di un punto di vista diverso da quello del narratore e della blindatissima lista di testimoni. Dal vaticanista di Repubblica, un po’ di laicissimo gusto in più per il dibattito si poteva sperarlo. Marco Politi però non si spaventa davanti a niente. Fa un libro che ha per sottotitolo "Indagine sugli italiani e la libertà di coscienza". Buon tema, poteva essere un`inchiesta stimolante. Invece l`autorevole vaticanista, che ben conosce la materia e i protagonisti e potrebbe cavarne il succo di un dibattito reale e sottile, enuncia pigramente la sua tesi già nell`introduzione balneare, datata da Creta: "Gli italiani chiedono testimonianza, non comandi dal pulpito... la verità è che la chiesa ha paura di una società in cui è esplosa la soggettività di massa" e parte per un percorso che a suo modo si pretende edificante, epperò falsato. L`aborto? Raccontato attraverso la minacciosa epopea della moratoria e la demonizzazione delle posizioni pro fife. La deriva eugenetica, le politiche abortiste mondiali? Un dibattito nemmeno preso in considerazione. Le coppie gay? L`autorevole punto di vista è affidato a una chiacchierata con Lino Banfi, promosso sul campo a cattolico del dissenso per aver interpretato un telefilm che non era piaciuto alla Cei. Eutanasia, testamento biologico? La parola è al caso Welby, a Ignazio Marino (fra i più citati). Fede e omosessualità? Li spiega il sacerdote di Pinerolo che le coppie omosessuali le sposa in chiesa. Inseminazione artificiale? Ecco pronto il caso limite, la storia drammatica cui ovviamente fanno da contraltare i dettami di una chiesa sorda e dura. Col contorno di bravi cattolici che però "non vado in chiesa perché i dogmi e i riti mi dicono poco. Però rifletto molto sugli eventi". Un canovaccio troppo facile, senza contraddittorio, in cui spuntano pure reperti archeologici come Giovanni Franzoni, ma non una voce felice di concordare con i suoi pastori. Il gioco continua anche quando Politi passa ad affrontare tematiche più generali, come l`atteggiamento dell`episcopato italiano verso la politica o la sua stessa organizzazione interna. La voce guida, in questo caso, diventa quella di monsignor Alessandro Plotti, arcivescovo emerito di Pisa e a lungo vicepresidente della Cei, ma anche uomo di chiesa che evangelicamente a Politi confessa che "mi fa veramente rivoltare lo stomaco" il fatto che sul caso della Sapienza ci siano stati dei laici scesi in campo per difendere il Papa: "Non mi fido e ho la sensazione che sia dietro un disegno di potere". Ossessione neocon e omissione Montini Il "disegno di potere", il "cristianesimo come religione civile dell`occidente", è ovviamente quello dei "teocon" e degli "atei devoti", in combutta con le forze più oscure di una chiesa impaurita. Una vera ossessione per Politi, che invece avrebbe potuto affrontare con qualche sfaccettatura e qualche laico dubbio in più il gran tema del rapporto tra la fede e la ragione secolare. Ma invece che un problema culturale, "i teocon" sono per Politi quasi un tic linguistico, al pari di altri tic del linguaggio giornalistico corrivo, per cui è tutto una chiesa che "cannoneggia" "attacca", "bolla", pronuncia diktat. Poteva discutere di parecchi argomenti che pure sono presenti e spinosi nel travagliato momento della chiesa italiana (di quella, in realtà, ci si limita a parlare: ed è già questo un limite prospettico). Ad esempi del "grande freddo" (Garelli) che ha gelato il laicato in era ruiniana. O della dialettica tra continuità e cambiamento presente nel passaggio tra l`attuale pontificato e il precedente. Invece Politi si limita a riproiettare la fiction del "blocco conservatore" che ha eletto Benedetto XVI e della progressiva involuzione del teologo sottile in arcigno pastore tedesco. E` bizzarro che, in un libro intitolato alla coscienza e per due terzi dedicato a temi bioetici, Paolo VI sia citato solo per fargli dire che "dobbiamo avere una grande simpatia per il mondo", ma che l"`Humanae Vitae" non compaia mai se non nell`appendice, in cui Politi riporta la sua lunga conversazione con il cardinal Ratzinger del 2004. E in cui è proprio il Custode della fede a spiegare a Politi la centralità di quell`enciclica rispetto alla "rivoluzione antropologica di grandissime dimensioni" avvenuta attorno alla pillola contraccettiva, e quanto Papa Montini avesse "indicato un problema di grandissima attualità". Presa da dove la inizia Ratzinger - ma a pagina 333 del libro - tutta l`indagine sul presunto irrigidimento e arretramento della chiesa sul tema della libertà di coscienza sarebbe stata molto, molto più interessante.

anticlericale
23-04-09, 02:48
"La Stampa", 25 Febbraio 2009, pag. 11

Intervista ad Hans Küng
“Questa Chiesa diventerà una setta”


Il teologo tedesco attacca il Papa: “Ha tradito lo spirito del Concilio”

N. BOURCIER, S. LE BARS
TUBINGA



Alto e magro, con il volto glabro e il ciuffo ribelle, Hans Küng, considerato il massimo teologo cattolico dissidente vivente, riceve nel suo studio di Tubinga dai muri tappezzati di libri, dove i suoi - tradotti in tutte le lingue - occupano il posto d’onore.
Professore, come giudica la decisione del Papa di togliere la scomunica ai quattro vescovi integralisti di monsignor Lefebvre, uno dei quali, Richard Williamson, è un negazionista?
«Non ne sono rimasto sorpreso. Già nel 1977, in una intervista a un giornale italiano, Monsignor Lefebvre diceva che “alcuni cardinali sostengono il mio corso” e che “il nuovo cardinal Ratzinger ha promesso si intervenire presso il Papa per trovare una soluzione”. Questo dimostra che la questione non è né un problema nuovo né una sorpresa. Benedetto XVI ha sempre parlato molto con queste persone. Oggi toglie loro la scomunica, perché ritiene che sia il momento giusto per farlo. Ha pensato di poter trovare una formula per reintegrare gli scismatici i quali, pur conservando le loro convinzioni personali, avrebbero potuto dare l’impressione di essere d’accordo con il concilio Vaticano II. Si è proprio sbagliato».
Come spiega il fatto che il Papa non abbia misurato la dimensione della protesta che la sua decisione avrebbe suscitato, anche al di là dei discorsi negazionisti di Richard Williamson?
«La revoca delle scomuniche non è stato un errore di comunicazione o di tattica, ma un errore del governo del Vaticano. Anche se il Papa non era a conoscenza dei discorsi negazionisti di monsignor Williamson e lui personalmente non è antisemita, tutti sanno che quei quattro vescovi lo sono. In questa faccenda il problema fondamentale è l’opposizione al Vaticano II, in particolare il rifiuto di un rapporto nuovo con l’ebraismo. Un Papa tedesco avrebbe dovuto considerare centrale questo punto e mostrarsi senza ambiguità nei confronti dell’Olocausto. Invece non ha valutato bene il pericolo. Contrariamente alla cancelliera Merkel, che ha prontamente reagito.
Benedetto XVI è sempre vissuto in un ambiente ecclesiastico. Ha viaggiato molto poco. E’ sempre rimasto chiuso in Vaticano - che è assai simile al Cremlino d’un tempo -, dove è al riparo dalle critiche. All’improvviso, non è stato capace di capire l’impatto nel mondo di una decisione del genere. Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che potrebbe essere un contropotere, era un suo subordinato alla Congregazione per la dottrina della fede; è un uomo di dottrina, completamente sottomesso a Benedetto XVI. Ci troviamo di fronte a un problema di struttura. Non c’è nessun elemento democratico in questo sistema, nessuna correzione. Il Papa è stato eletto dai conservatori e oggi è lui che nomina i conservatori».
In che misura si può dire che il Papa è ancora fedele agli insegnamenti del Vaticano II?
«A modo suo è fedele al Concilio. Insiste sempre, come Giovanni Paolo II, sulla continuità con la “tradizione”. Per lui questa tradizione risale al periodo medioevale ed ellenistico. Soprattutto non vuole ammettere che il Vaticano II ha provocato una rottura, ad esempio sul riconoscimento della libertà religiosa, combattuta da tutti i papi vissuti prima del Concilio». L’idea di fondo di Benedetto XVI è che il Concilio vada accolto, ma anche interpretato: forse non al modo dei lefebvriani, ma in ogni caso nel rispetto della tradizione e in modo restrittivo. Per esempio è sempre stato critico sulla liturgia. E ha una posizione ambigua sui testi del Concilio, perché non si trova a suo agio con la modernità e la riforma, mentre il Vaticano II ha rappresentato l’integrazione nella Chiesa cattolica del paradigma della riforma e della modernità. Monsignor Lefebvre non l’ha mai accettato, e nemmeno i suoi amici in Curia. Sotto questo aspetto Benedetto XVI ha una certa simpatia per monsignor Lefebvre. D’altra parte trovo scandaloso che, per i 50 anni dal lancio del Concilio da parte di Giovanni XXIV, nel gennaio 1959, il Papa non abbia fatto l’elogio del suo predecessore, ma abbia scelto di togliere la scomunica a persone che si erano opposte a questo concilio».
Che Chiesa lascerà questo Papa ai suoi successori?
«Penso che difenda l’idea del “piccolo gregge”. È un po’ la linea degli integralisti: pochi fedeli e una Chiesa elitaria, formata da “veri” cattolici. È un’illusione pensare che si possa continuare così, senza preti né vocazioni. Questa evoluzione è chiaramente una restaurazione, che si manifesta nella liturgia, ma anche in atti e gesti, come dire ai protestanti che la Chiesa cattolica è l’unica vera Chiesa».
La Chiesa cattolica è in pericolo?
«La Chiesa rischia di diventare una setta. Molti cattolici non si aspettano più niente da questo Papa. È molto doloroso».
Lei ha scritto: «Com’è possibile che un teorico dotato, amabile e aperto come Joseph Ratzinger abbia potuto cambiare fino a questo punto e diventare il Grande Inquisitore romano?». Allora, com’è possibile?
«Penso che lo choc dei movimenti di protesta del 1968 abbia resuscitato il suo passato. Ratzinger era un conservatore. Durante il Concilio si è aperto, anche se era già scettico. Con il ‘68, è tornato a posizioni molto conservatrici, che ha mantenuto fino a oggi».
Lei pensa che possa ancora correggere questa evoluzione?
«Quando mi ha ricevuto, nel 2005, ha fatto un atto coraggioso e io ho veramente creduto che avrebbe trovato la via per le riforme, anche se lente. In quattro anni, invece, ha dimostrato il contrario. Oggi mi chiedo se sia capace di fare qualcosa di coraggioso. Tanto per cominciare, dovrebbe riconoscere che la Chiesa cattolica attraversa una crisi profonda. Poi potrebbe fare un gesto verso i divorziati e dire che, a certe condizioni, possono essere ammessi alla comunione. Potrebbe correggere l’enciclica Humanae vitae, che nel 1968 ha condannato tutte le forme di contraccezione, dicendo che in certi casi l’uso della pillola è possibile. Potrebbe correggere la sua teologia, che data dal Concilio di Nizza (325). Potrebbe dire: “Abolisco la legge del celibato”. È molto più potente del Presidente degli Stati Uniti! Non deve rendere conto a una Corte Suprema! Potrebbe anche convocare un nuovo Concilio».
Un Vaticano III?
«Permetterebbe di regolare alcune questioni rimaste in sospeso, come il celibato dei preti e la limitazione delle nascite. Si dovrebbe prevedere un modo nuovo per eleggere i vescovi, che contempli il coinvolgimento anche del popolo. L’attuale crisi ha suscitato un movimento di resistenza. Molti fedeli si rifiutano di tornare al vecchio sistema. Anche alcuni vescovi sono stati costretti a criticare la politica del Vaticano. La gerarchia non può ignorarlo».
La sua riabilitazione potrebbe far parte di questi gesti forti?
«In ogni caso sarebbe un gesto ben più facile del reintegro degli scismatici! Ma non credo che lo farà, perché Benedetto XVI si sente più vicino agli integralisti che alle persone come me, che hanno lavorato al Concilio e l’hanno accettato».


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anticlericale
23-04-09, 02:48
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 25 FEBBRAIO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

Le idee
Cattolici, pensiamo a un Concilio Vaticano III

VITO MANCUSO

Sono passati cinquant´anni dal primo annuncio del Vaticano II da parte di papa Giovanni e nella Chiesa si discute ancora sul significato di quell´evento. Io ritengo che il problema oggi in realtà non sia tanto il Vaticano II quanto piuttosto il Vaticano III, e per illustrare la mia tesi inizio con un riferimento alla politica italiana. In essa una serie di circostanze ha fatto sì che coloro che amano definirsi progressisti si ritrovino ad avere come principale bandiera la difesa del passato, nella fattispecie la Costituzione del 1947.
Io sono fermamente convinto della necessità di essere fedeli ai valori della Costituzione e ho qualche sospetto su certe dichiarazioni in suo sfavore (poi quasi sempre ritrattate), ma non posso fare a meno di notare che il messaggio complessivo dei progressisti che giunge al paese sia per lo più rivolto al passato, mentre quello dei non progressisti sia paradossalmente più carico di progresso, di desiderio di innovare e di cambiare (che, vista la diffusa insoddisfazione rispetto al presente, è quanto tutti desiderano). Per evitare che la stessa cosa avvenga nella Chiesa trasformando i progressisti in antiquati lodatori di un tempo che fu e in risentiti critici del presente (pericolo più che concreto), a mio avviso è necessario iniziare a coltivare nella mente l´idea di un Vaticano III, applicando lo spirito del Vaticano II a ciò che di più urgente c´è nel nostro tempo, cioè la comprensione della natura e della vita umana in essa. La svolta positiva che il Vaticano II ha introdotto nel rapporto tra cattolici e storia, deve essere estesa al rapporto con la natura.




Una volta fatto ciò, avverrà che, come oggi i cattolici sono tra i più equilibrati nell´interpretare le questioni economiche e sociali, e tra i pochi ad avere una coscienza profetica di fronte alla forza militare, lo stesso equilibrio apparirà sulle questioni bioetiche. Si tratta solo di estendere alla natura il medesimo principio di laicità applicato alla storia dal Vaticano II. Il criterio è quello indicato dal Concilio nel punto 7 della dichiarazione Dignitatis humanae: «Nella società va rispettata la consuetudine di una completa libertà, secondo la quale all´uomo va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e non deve essere limitata se non quando e in quanto è necessario». Se questa libertà, come insegna il Concilio, deve essere garantita agli uomini nel rapporto con Dio (che è il bene più prezioso che c´è), è evidente che una sana teologia non può non estenderla anche alla deliberazione degli uomini sulla propria vita naturale mediante il principio di autodeterminazione. È questo passaggio che la dottrina della Chiesa, in fedeltà a se stessa, è chiamata a esplicitare.
Tra gli storici cattolici (eminenti prelati compresi) fervono in verità le discussioni sul Vaticano II, se abbia costituito davvero una svolta rispetto al magistero precedente (un po´ come la Costituzione repubblicana rispetto allo Statuto albertino) oppure se sia stato una semplice e naturale opera di riforma come altre. C´è più discontinuità, o c´è più continuità tra il Vaticano II e i pontefici preconciliari? A mio avviso non ci possono essere dubbi che il Vaticano II abbia costituito una svolta, anche abbastanza radicale, rispetto al magistero precedente. Riporto due episodi emblematici. Nel 1832 Gregorio XVI scomunica Lamennais per aver sostenuto la libertà di coscienza in materia religiosa, definita dal pontefice "delirio"; nel 1965 il Vaticano II approva quel delirio con la dichiarazione Dignitatis humanae. Nel 1950 Pio XII condanna la theologie nouvelle allontanandone dalla cattedra i principali esponenti tra cui il gesuita Henri de Lubac, il quale, una volta eletto papa Giovanni, torna in cattedra, partecipa al Vaticano II, riceve lettere autografe da Paolo VI e nel 1983 viene nominato cardinale da Giovanni Paolo II. Se già da questi due fatti è difficile negare in buona fede che qualcosa sia radicalmente mutato ante e post Vaticano II, la discontinuità appare in tutta la sua limpida chiarezza quando si passa ai seguenti elementi contenutistici: 1) la lettura della Bibbia, prima scoraggiata, viene promossa a tutti i livelli, e scompare ogni diffidenza nell´utilizzo del metodo storico-critico negli studi biblici; 2) in liturgia si passa dal latino alle lingue nazionali, si sposta l´altare verso l´assemblea, si restaura l´anno liturgico; 3) da una concezione clericale della Chiesa si passa a una valorizzazione del sacerdozio universale dei fedeli; 4) i cristiani delle confessioni non cattoliche passano da scismatici ed eretici a "fratelli separati", mentre Paolo VI e Atenagora patriarca di Costantinopoli si tolgono le reciproche scomuniche; 5) si rivede il rapporto con gli ebrei, togliendo il "perfidi giudei" dalle preghiere del venerdì santo e non considerandoli più popolo "deicida"; 6) le altre religioni non sono più pensate come idolatrie, ma come vie di avvicinamento al mistero divino e portatrici di salvezza; 7) il mondo moderno non viene più condannato in blocco per ciò che di nuovo produce, in particolare le libertà democratiche, ma si passa a un atteggiamento di ascolto e cordialità.
Per quest´ultimo punto è sufficiente mettere a confronto anche solo due righe del celebre Syllabus di Pio IX del 1864 con il documento conclusivo del Vaticano II Gaudium et spes per rendersi conto che c´è una differenza molto maggiore dei 101 anni che li separano nel tempo. Pio IX parla di «scellerate trame degli empi, che, come flutti di mare tempestoso, spumano le proprie turpitudini», il Vaticano II invece di «scrutare i segni dei tempi per conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo». A che cosa è dovuta la notevole differenza? Al mondo, alla diversa idea del rapporto tra cristiani e mondo. Col Vaticano II il mondo, da avversario con cui lottare, è entrato a far parte della coscienza che il cristiano ha di sé e della propria fede. Il che ha comportato che alcuni concetti, prima condannati, siano poi diventati positivo insegnamento dei papi. Oltre alla libertà religiosa si possono ricordare le libertà democratiche, la salvezza universale, la separazione Chiesa-Stato, la libertà di stampa. Con il Vaticano II finisce l´epoca della Controriforma, cioè della Chiesa che è contro: contro le altre chiese cristiane, contro le altre religioni, contro il mondo civile. In questo senso io concordo pienamente con coloro che colgono la principale novità del Vaticano II non tanto in un insegnamento positivo quanto in un atteggiamento spirituale e parlano di "spirito del Vaticano II". Tale spirito consiste in un rinnovato rapporto della Chiesa col mondo, nel senso che nel leggere la storia del mondo è subentrata la categoria di laicità, giungendo così a riconoscere l´autonomia della storia, della politica, della ricerca scientifica, della società civile. La mano di Dio non è più pensata come direttamente coinvolta nella storia, la quale ha una sua autonomia e deve essere lasciata libera di autodeterminarsi: è da questa nuova teologia che è scaturita una relazione più serena e più amichevole col mondo.
Se ai nostri giorni la Chiesa sembra talora tornata quella della Contro-riforma (non a torto Marco Politi intitola il suo nuovo libro La Chiesa del no), questo lo si deve in gran parte a un´antiquata teologia della natura che ancora governa la dottrina, incapace di assumere il principio di laicità introdotto dal Vaticano II a proposito della storia. Come il Syllabus di Pio IX non coglieva la necessità di una nuova teologia della storia, così i documenti del magistero odierno non colgono la necessità di una nuova teologia della natura, e conseguentemente della vita e della morte degli uomini. Questo sarà il compito del Vaticano III, che ogni cattolico responsabile deve iniziare a preparare dentro di sé, nella preghiera e nell´esercizio vigile dell´intelligenza. Lo Spirito è sempre al lavoro.

anticlericale
23-04-09, 02:49
Sulla "Chiesa del no" un pamphlet che innalza steccati
• da Avvenire del 26 febbraio 2009, pag. 28

di Umberto Folena

E’ possibile chiamarla «indagine»? E’ possibile, se una buona metà dei riferimenti bibliografici rimanda ad articoli di un solo quotidiano, Repubblica? E’ possibile se ti scegli (con un`unica mezza eccezione) sempre e soltanto chi ti asseconda? E’ possibile, se l`indagine non è a 360 gradi? E allora chiamiamolo con il suo vero nome: pamphlet, genere letterario peraltro nobilissimo. Ma quando la tesi è una sola, reiterata, ribadita; quando l`oggetto dell`indagine è in realtà un bersaglio; allora «indagine» pare un termine improprio.
Nel suo libro La Chiesa del no. Indagine sugli italiani e la libertà di coscienza (Mondadori, pp. 365, euro 19), con il «no» stampato in rosso, Marco Politi non aggiunge nessuna significativa novità a quanto da anni va scrivendo su Repubblica. Né nasconde i suoi intenti - una ben precisa lettura politica della Chiesa - affidando la prefazione a Emma Bonino, scelta tutt`altro che casuale e che la dice tutta sugli intenti del volume del vaticanista di uno tra i più importanti quotidiani italiani. La scelta di campo è chiara. E la tesi è la solita: la Chiesa non sa dialogare con la società, è sempre più distante dai fedeli, è arroccata attorno a dogmi intoccabili, manca di misericordia, il suo laicato è afono. Per avvalorare questa tesi, secondo un malcostume frequente in politica, è necessario screditare l`avversario demonizzandolo, a tal punto che poi uno si domanda perché mai dovrebbe desiderare il dialogo con chi è tanto ottuso e sgradevole. Il discredito comincia dal lessico, ostinatamente riconducibile all`area semantica bellica. Una Chiesa aggressiva e violenta «martella sistematicamente» e «straripa», le parrocchie sono «militarizzate», e nei confronti di Romano Prodi e Rosy Bindi gli attacchi di Avvenire (!) sono stati «virulenti, dal tono violentissimo». E questa è Emma Bonino, per la quale la Chiesa è «un tormento».
Per Politi la Chiesa ha «paura» del mondo: «paura di una società in cui è esplosa la soggettività di massa», «paura dell`auto-realizzazione della società in quegli spazi che ha sempre considerato suo dominio: la nascita, la morte, la famiglia, la sessualità, la natura». Si parla di mobilitazione e di baluardi, di una Chiesa che quando parla non propone mai, ma impone sempre. Laici miti e dialoganti di qua, Chiesa intollerante e sorda di là. Politi, per sostenere il ripetitivo schema caricaturale, si sceglie gli interlocutori che considera più congeniali: da don Franco Barbero a Gustavo Zagrebelsky, da Mina Welby a Rosy Bindi, dal fisico e storico della scienza Enrico Bellone a Vito Mancuso, da Giulio Giorello a Enzo Bianchi, che peraltro gli tien testa. Sgradevole la demonizzazione di Giuliano Ferrara, il quale peraltro riderà di gusto della pittoresca definizione del suo giornale, «un Foglio di poche migliaia di lettori consumato in dosi di ecstasy quotidiana nei palazzi dei mandarini politici, economici, ecclesiastici».
Brutale e sprezzante il modo di sbarazzarsi di Paola Binetti: «Liberi tutti. Ma l`autotortura con il cilicio è anche segno di un`idea di religione intimamente repressiva e colpevolizzante. Che idea di società possono avere un uomo o una donna che credono in una divinità amante della sofferenza?». Sono le frasi di chi premette, e promette: «Questo libro si mette in ascolto della società». Al di là delle intemperanze, che indagine è un`indagine che seleziona i materiali che avvalorano la tesi iniziale e scarta quelli che la smentirebbero, rifiutando ogni confronto con la complessità? Ad esempio, è singolare che sui temi della vita vengano ignorati tutti i messaggi dei vescovi, che non si fermano all`aborto ma lo inquadrano nel più vasto clima culturale del tempo, invitando a una riflessione profonda. Certo, smentirebbe l`immagine di una Chiesa ottusa e impaurita.
Quanto al dialogo, la migliore predica è l`esempio. E dal quotidiano di Politi giungono tante prediche ed esempi contrari. Sulla vita, ad esempio, negli ultimi 4 anni Avvenire ha proposto ogni giovedì più di 200 inserti di 4 pagine ciascuno, ricche di documenti, inchieste, interviste, e di quanto anche gli altri pensano e scrivono, compresa Repubblica; Politi non ne fa cenno, forse perché non aderente al cliché di una Chiesa che non vuole né sa dialogare. Una Chiesa che, se davvero fosse così, il suo libro lo ignorerebbe.

anticlericale
23-04-09, 02:49
"La Chiesa contro l´idolatria del denaro"
Ratzinger prepara un´enciclica sull´ingiustizia dei sistemi economici
Si chiamerà "Caritas in veritate" e sarà pubblicata in primavera


"La Repubblica", VENERDÌ, 27 FEBBRAIO 2009
Pagina 4 - Esteri

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - La Chiesa «baluardo» contro l´idolatria del danaro, l´avarizia, lo scandalo della povertà, l´oppressione dei poveri, la disoccupazione, le ingiustizie sociali, gli ingiusti sistemi economici. Ecco i probabili capisaldi che daranno corpo, senso e forma alla nuova enciclica sociale su cui papa Benedetto XVI sta lavorando da mesi e che dovrebbe essere pubblicata la primavera prossima.
E´ stato lo stesso Pontefice a parlarne ieri, in Vaticano, nell´udienza a porte chiuse concessa ai sacerdoti romani guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Si chiamerà Caritas in veritate e sarà la terza enciclica dell´era ratzingeriana, dopo Deus Caritas Est, del 25-12-2005, incentrata sul significato della carità divina; e Spe Salvi del 30-11-2007, sulla speranza della salvezza contenuta nella fede cristiana. Nella terza, Benedetto XVI affronterà le più scottanti problematiche sociali, sulla scia delle analoghe tematiche sollevate da alcuni tra i più importanti papi del secolo scorso. Come, ad esempio, Leone XIII con la Rerum Novarum del 1891, la prima enciclica sociale della Chiesa cattolica; Giovanni XXIII che con la Pacem in Terris del 1963 condannò ogni forma di violenza ed oppressione, ed esortò le superpotenze Usa e Urss a fuggire dalle tentazioni della guerra; Paolo VI, autore della Populorum Progressio del 1967 che sollevò i drammi della fame e delle oppressioni dei popoli del Terzo Mondo; ma anche Giovanni Paolo II, predecessore di Ratzinger, autore di ben tre encicliche dedicate a questioni sociali e mondo del lavoro, trattati come valori irrinunciabili della dignità dell´uomo.
Stando a quel che lo stesso Benedetto XVI ha fatto capire ieri, sollecitato anche dalle domande di alcuni parroci che vivono a contatto con le problematiche della più profonda periferia romana, la sua nuova lettera richiamerà alle loro responsabilità istituzioni, governanti, credenti, non credenti e uomini di buona volontà. Una precisa scelta di campo, perché - ha anticipato il Papa ai parroci della sua diocesi romana - la Chiesa «ha il dovere di denunciare» i problemi economici e sociali che sono causa di «ingiustizie». Per questo «da molto tempo preparo un´enciclica su questi temi», definiti dal Pontefice «molto difficili» perché «da un lato bisogna parlare con competenza» e «dall´altro con consapevolezza e etica creata dalla coscienza formata dal Vangelo». Ratzinger non si limiterà ad enunciazioni di principio, ma toccherà anche le più drammatiche vicende che hanno messo in crisi negli ultimi anni i grandi sistemi economici, come emerge, ha spiegato, dal «crollo delle grandi banche americane che mostra quello che è l´errore di fondo: l´avarizia e l´idolatria del denaro che oscurano il vero Dio; ed è sempre la falsificazione di Dio in Mammona che ritorna». Per il Pontefice, in definitiva «la Chiesa deve sempre avere il compito di essere vigilante e, comprendendo le ragioni del mondo economico, è chiamata ad illuminare questo ragionamento con la fede che ci libera dal peccato. Per questo deve farsi sentire ai diversi livelli per aiutare a correggere tanti interessi personali e di gruppi, nazionali e sopranzionali, che si oppongono alle correzioni alla radice dei problemi».

anticlericale
23-04-09, 02:49
"La Repubblica", VENERDÌ, 27 FEBBRAIO 2009
Pagina 4 - Esteri

Torino, il cardinale Poletto attacca: "Un errore l´intervista a Küng"
Il teologo tedesco aveva criticato il Papa per la riammissione dei lefebvriani

VERA SCHIAVAZZI
TORINO - Una lunga intervista al teologo svizzero Hans Küng, assai critica come già nel passato verso Benedetto XVI, pubblicata dal quotidiano La Stampa. E l´immediata protesta dell´arcivescovo di Torino, cardinal Severino Poletto, e di tutti i vescovi piemontesi, «amareggiati» per la scelta del giornale «proprio mentre la Chiesa torinese è impegnata nella preparazione di una nuova Ostensione della Sindone nel 2010, e si prepara in quell´occasione a accogliere con entusiasmo il Santo Padre». La polemica, non l´unica che in questi giorni ha visto impegnato l´arcivescovo (in precedenza aveva dichiarato di «pregare» affinché la presidente della Regione Mercedes Bresso cambiasse idea sul caso Englaro), è esplosa ieri pomeriggio con due note diffuse dagli uffici della Curia. Non senza scalpore per quello che un autorevole collaboratore della Stampa come Gianni Vattimo ha già definito «il tentativo di censura di chi si sente ormai in minoranza».
L´intervista a Küng, il principale teologo cattolico del dissenso, tra i primi a contestare proprio l´infallibilità papale, era stata pubblicata il giorno prima da Le Monde e titolata in modo analogo («La chiesa cattolica rischia di diventare una setta»), senza che per altro né le gerarchie cattoliche francesi né altri protestassero per l´iniziativa del quotidiano di Parigi. Punto centrale del colloquio, la revoca delle scomuniche, e la successiva correzione di rotta, verso il vescovo lefebvriano negazionista Richard Williamson: «Anche se il Papa non era a conoscenza dei discorsi negazionisti e lui personalmente non è antisemita, tutti sanno che quei quattro vescovi lo sono - ha dichiarato Küng -. Il problema fondamentale è l´opposizione al Concilio Vaticano II e il rifiuto di un nuovo rapporto con l´ebraismo: un Papa tedesco avrebbe dovuto valutare meglio la questione e mostrarsi privo di ambiguità sull´Olocausto, come ha prontamente fatto la cancelliera Angela Merkel».
Parole più che sufficienti, una volta che l´intervista è stata ripubblicata sul quotidiano torinese, per spingere Poletto a manifestare «sconcerto e amarezza» e a invitare i fedeli «in questo tempo di Quaresima a pregare affinché il Signore doni al Santo Padre il suo conforto e gli faccia sentire tutta la nostra vicinanza e totale sintonia col suo Magistero». «Auspico - ha aggiunto il cardinale - un atteggiamento maggiormente attento verso la chiesa cattolica (�). Torino ama il Papa e lo attende con affetto». Parole analoghe sono arrivate dalla Conferenza episcopale piemontese: «Un attacco infondato che alimenta la disinformazione. Ci meraviglia che un giornale come la Stampa non sappia valutare posizioni che vorrebbero presentarsi come aperte e innovatrici e risultano invece ripetitive, provinciali e scontate».
Pronta e netta la replica di Giulio Anselmi, direttore del quotidiano del Gruppo Fiat: «Hans Küng è un grande teologo e intellettuale che ha avuto con questo Papa rapporti alterni e non sempre negativi. Ha detto cose interessanti e le abbiamo pubblicate, mi dispiace che il cardinal Poletto se ne irriti. Ma è giusto che ognuno esprima il suo punto di vista: il cardinale, figura autorevolissima che del resto dispone di un suo giornale, come chiunque altro. Abbiamo lettori di vario tipo, non possiamo che avere un atteggiamento laico». Per il filosofo Gianni Vattimo, «siamo di fronte alla censura, alla decapitazione di ogni possibile dibattito. Il tipico delirio di onnipotenza di chi sta perdendo ogni autorevolezza». Mentre il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky osserva: «In democrazia, alle critiche si dovrebbe rispondere con degli argomenti, non dichiarandosi offesi. Il rispetto al Papa, come a tutti, è doveroso, ma è normale che la società civile si interessi a ciò che avviene nella chiesa cattolica, proprio come accade al contrario. Si direbbe che è la chiesa a non esservi ancora abituata».

anticlericale
23-04-09, 02:49
"La Repubblica", MARTEDÌ, 03 MARZO 2009
Pagina 15 - Esteri

Wagner era stato nominato a Linz. Ieri la "dispensa papale" dopo la rivolta del mondo cattolico
Austria, il Papa accoglie le proteste: "No al vescovo ultraconservatore"
Quando New Orleans fu sommersa disse: "È una punizione divina"
Nel mirino del parroco anche la saga di Harry Potter: "Questo è satanismo"

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - Il parroco ultraconservatore austriaco Gerhard Maria Wagner non sarà vescovo ausiliare di Linz. Papa Ratzinger ieri ne ha accetto le dimissioni presentate due settimane fa sull´onda delle dure proteste con cui in Austria vescovi e semplici fedeli avevano accolto l´annuncio della sua nomina pubblicata dal Vaticano il 31 gennaio scorso. La notizia è stata diffusa dal Bollettino Ufficiale pontificio in una breve nota, una riga e mezza, dove vi si legge solo che «il Santo Padre ha dispensato monsignor Gerhard Wagner dall´accettare l´ufficio di vescovo ausiliare di Linz, in Austria». Pochissime parole con cui Benedetto XVI spera di sedare la tempesta esplosa tra i cattolici austriaci contrari alla nomina vescovile di una figura controversa come Wagner.
Cinquantaquattro anni, parroco della chiesa di Windschgarsten, il mancato vescovo negli ultimi tempi era stato più volte al centro di severe critiche per i suoi interventi pubblici in materia di morale sessuale e aborto. Ad esempio, nel 2005 quando New Orleans fu sommersa dall´uragano Katrina sostenne che si era trattato di una sorta di punizione divina perché erano stati distrutti «non solo i night club e i bordelli, ma anche le 5 cliniche cittadine dove si pratica l´aborto». Sull´omosessualità è solito sostenere e predicare dal pulpito che è «una malattia che va guarita». Nel mirino di Wagner anche la saga di Harry Potter, accusata di avere «elementi di occultismo e satanismo», libri quindi «meritevoli» solo di essere mandati al rogo. Non meno tenere anche le sue tesi teologiche: «L´accertamento della verità di fede - ha più volte sostenuto Wagner - non può essere fatta dal basso», ma va «perseguita» in obbedienza alle gerarchie, irritando quindi i movimenti cattolici liberal, i laici e le organizzazioni per i diritti delle donne nella Chiesa austriaca.
Tra i primi a schierarsi contro la nomina, i vescovi della Conferenza episcopale austriaca convocati in assemblea dal presidente, il cardinale di Vienna Christoph Schoenborn, il 16 febbraio scorso proprio per analizzare il caso-Wagner. Lo stesso Schoenborn e il vescovo titolare di Linz, Ludwig Schwarz (che non ha mai nascosto di essere apertamente contrario alla nomina) nei giorni scorsi sono stati in Vaticano, per parlare col Papa e col prefetto della Congregazione dei vescovi, il cardinale Giovanni Battista Re. Colloqui riservati, mai resi noti dalle fonti ufficiali pontificie, ma che alla fine hanno portato Ratzinger ad accettare le dimissioni del vescovo eletto.
Crisi dunque risolta nella tormentata Chiesa austriaca? Schoenborn sembra pronto a giurarci perché, come egli stesso ha spiegato all´agenzia cattolica Kathpress, «è in gioco il futuro della Chiesa in Austria e i cattolici hanno diritto a pretendere che noi facciamo del nostro meglio per superare la crisi». Anche il vescovo di Linz, Schwarz, si dice disposto a rimboccarsi le maniche: «Con la conferma ufficiale dell´accettazione delle dimissioni - afferma in una nota - questo periodo turbolento per la nostra diocesi e per la Chiesa austriaca si chiude ufficialmente. Adesso si tratta di unire gli sforzi per realizzare il comune obiettivo dell´unità».

anticlericale
23-04-09, 02:50
Int. a Emma Bonino: Lezioni di staminali? Non prendiamole dal Vaticano
• da La Repubblica - il Venerdì del 6 marzo 2009, pag. 27

di Riccardo Staglianò

Obama, tra le sue prime misure, apre alle staminali. L`Italia del 2009 va sulle barricate per Eluana. Si parla anche di questo a Bruxelles, da ieri sino a domani, nel Congresso mondiale perla libertà di ricerca scientifica organizzato dall`Associazione Luca Coscioni, di cui Emma Bonino è vicepresidente.
Noi italiani non solo fermi, ma tendenti all`indietro?
«Proprio così. In politica vince un approccio ascientifico, per non dire oscurantista, che va di pari passo con posizioni altrettanto reazionarie della Chiesa cattolica. All`interno della quale però cresce lo scontento, a giudicare dalle critiche del teologo Hans Kung che chiede, se capisco bene, una sorta di Concilio Vaticano III».
C`è più coraggio nella teologia che nella politica, sembrerebbe...
«Quando parla di pillola e celibato dei preti, Kung si interessa di un mondo che vive, non come coloro che fanno dell`embrione un feticcio e poi non si occupano dei diritti delle persone in carne e ossa. È come se le gerarchie trovassero nella politica italiana l`ultimo baluardo, cui aggrapparsi. E non si citi, quanto ad affrancamento, solo la Spagna di Zapatero. Il Belgio ha approvato, senza tanti drammi, una legge sull`eutanasia».
La libertà di ricerca scientifica è in pericolo perché il Vaticano è troppo forte o perché la classe politica è troppo debole?
«È la politica che non pone argini. C`è voluta Angela Merkel per dire a Ratzinger: "Proprio il cardinale negazionista dovevi prendere?". I nostri politici sono così poco convinti dei propri valori che li mutuano dalle gerarchie. Al punto che il (cattolico Ignazio Marino viene additato come miscredente perché dice parole di scienza sul testamento biologico».

anticlericale
23-04-09, 02:50
"La Stampa", 07 Marzo 2009, pag. 14

Il Vaticano andrà a Durban II: “Correggeremo la bozza”

GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO


Il Vaticano non segue l’Italia e gli Stati Uniti sul boicottaggio di «Durban II», pur impegnandosi per una modifica del documento programmatico che contiene «affermazioni inaccettabili». La Santa Sede ha confermato ieri di voler partecipare alla seconda conferenza dell’Onu su razzismo e xenofobia che si terrà a fine aprile a Ginevra. Una decisione in controtendenza con Italia, Usa e Canada ma in piena sintonia con la Francia, la «figlia prediletta della Chiesa», che ha anche invocato una posizione comune dell’Unione europea.
Giovedì era stato il ministro degli Esteri Franco Frattini ad annunciare da Bruxelles il ritiro della delegazione italiana dai lavori preparatori a causa delle «frasi aggressive di tipo antisemita» contro lo stato di Israele contenute nella bozza di dichiarazione finale. Il Vaticano, invece, preferisce esserci e cercherà di modificare dall’interno i lavori preparatori, coordinati dalla Libia con la partecipazione di Iran e Cuba. «Bisognerà vedere quale sarà il testo definitivo - spiega l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore alle Nazioni Unite di Ginevra. Si sta lavorando ad una nuova bozza più breve e con modifiche. Bisogna andare avanti con cautela, vedendo se certe obiezioni saranno accolte».
I negoziati procedono, anche se appare piuttosto difficile, almeno al momento, trovare una mediazione rispetto ad una bozza che per adesso accusa Israele di «crimini contro l’umanità», «discriminazioni razziali» contro i palestinesi e di «minacciare la pace internazionale e la sicurezza». Già otto anni fa, in Sudafrica, alcuni Stati tentarono di far entrare nella dichiarazione finale della riunione promossa dall’Onu l’equiparazione «sionismo uguale razzismo».
La presenza di rappresentanti della Santa Sede alle conferenze internazionali promosse dall’Onu «è un fatto assolutamente normale e non implica un giudizio sui documenti in preparazione», precisa il portavoce vaticano padre Federico Lombardi gettando acqua sul fuoco delle polemiche suscitate appunto dalle posizioni emerse nelle sessioni preparatorie riguardo alla questione israelo-palestinese. In merito, padre Lombardi evita ogni commento, rinviando «le valutazioni al documento nella forma in cui sarà poi approvato». La conferenza viene chiamata «Durban II» in riferimento alla precedente conferenza che si svolse nell’omonima città sudafricana e il Vaticano aveva già partecipato al primo summit sul razzismo che era stato accompagnato da analoghe contrapposizioni.
E mentre il Regno Unito ha condizionato la sua partecipazione a un radicale cambiamento della dichiarazione finale, nella Segreteria di Stato vaticana si evidenzia l’importanza di far parte del processo di preparazione della conferenza. Un contributo a stemperare le tensioni, a partire dalla rimozione dal testo-base della definizione di Israele come «entità straniera occupante». Per poi arrivare alle «parti inaccettabili» e alle «tesi aggressive e antisemite» stigmatizzate nuovamente ieri dalla Farnesina.

anticlericale
23-04-09, 02:50
La Chiesa e la bioetica: non c'è fede senza libertà
• da La Repubblica del 9 marzo 2009, pag. 1

di Vito Mancuso

Le gerarchie cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi bioetica sono condotti sulla base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono un`ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive per esempio il recente documento Dignitas persone che la sua affermazione a proposito dello statuto dell`embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento giuridico». Allo stesso modo molti politici cattolici rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all`insegna della razionalità. Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio 111,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica sono perfettamente criticabili da ogni credente. L`esercizio della ragione è per definizione laico, non ha a che fare con l`obbedienza della fede e il principio di autorità. Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento, per esempio gli atei devoti.
Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle gerarchie in materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base dell`argomentazione magistrale è la ragione) che la posizione critica di alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima. Se la gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e privi di autorevolezza. Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la razionalità valga solo "fuori" dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo l`autorità, istituendo una specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come io credo non sia). In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché l`obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale fondamentale. Per questo io penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesai pro e i contro, e per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero. Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell`inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico. La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto della storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l`evoluzione sociale e politica dell`occidente, finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di stampa, libertà dì coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con una serie di intransigenti no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche. Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale. Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più di 3 milioni di bambini, di cui centomila in ltalia) sia contraria al volere di Dio? Siamo sicuri che l`uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrici, sia contrario al volere di Dio? E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando "boia" e "assassino" il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so con quale dignità, di pregare per lui? Mi chiedo se tra cento anni (espero anche prima) i papi difenderanno il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita biologica, così come oggi difendono il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita di fede (la quale peraltro perla dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione? Non ci possono essere dubbi a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del singolo con la sua biologia. I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola "relativismo cristiano" dovrebbero estendere l`accusa al Vaticano II il quale afferma che «l`uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà. È del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma all`adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma e il cuore del giudizio morale.

anticlericale
23-04-09, 02:51
Int. a Elio Sgreccia: Così si calpesta la vita
• da Il Mattino del 10 marzo 2009, pag. 3

di Gino Cavallo

C`è persino un piccolo giallo giornalistico tra le reazioni suscitate in Vaticano dalla decisione del presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, di concedere nuovamente i fondi federali alla ricerca sulle staminali embrionali. Le agenzie rilanciano l`anticipazione di un articolo dell`Osservatore Romano a firma del bioeticista Adriano Pessina in cui si ribadisce che «l`embrione è un soggetto nel suo significato ontologico». E, scrive ancora Pessina, Al riconoscimento della dignità personale deve essere esteso a tutte le fasi dell` esistenza», perché è «su questa maturità del pensiero che si fonda una reale democrazia». A stretto giro, sempre sulle agenzie, arriva una precisazione del quotidiano pontificio: l`articolo sull`embrione sarà pubblicato solo nell`edizione di oggi del giornale anche se «per un disguido tecnico è stato inserito ieri nei testi integrali del quotidiano inviati alle agenzie di stampa e ai vaticanisti. Disavventure giornalistiche a parte, monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia accademia per la vita, non rinvia di`certó il suo giudizio (una sonora bocciatura) sulla scelta di Barack Obama. Per Sgreccia è un errore grave e, soprattutto, non è una scelta di libertà quanto piuttosto un passo indietro, sia dal punto di vista morale che da quello scientifico.
Eppure il nuovo inquilino della Casa Bianca motiva la sua decisione proprio con la necessità di «proteggere la libertà della ricerca scientifica».
«Pur apprezzando tante altre iniziative della nuova amministrazione americana, quella sulle staminali è una inversione di rotta che stupisce, amareggia. Di più, per un cattolico offende. Intanto moralmente, perché testimonia, e non sto parlando di religione, il mancato recepimento dei principio che l`embrione è un essere umano. E, di conseguenza, usarlo per la sperimentazione come un qualsiasi materiale biologico contraddice un percorso condiviso dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica. Non esiste alcuna giustificazione etica per comportamenti di questo genere».
Questo vale per i cattolici?
«Vale per tutti, per gli ebrei come peri mussulmani. Per chiunque creda nella creazione. Per tutti loro le notizie che arrivano dagli Usa suonano come un`offesa».
Veniamo alle motivazioni scientifiche: perché la decisione di Obama le appare sbagliata anche da questa prospettiva?
«Da più di un anno autorevoli ricerche scientifiche hanno dimostrato la possibilità non solo di utilizzare le staminali adulte, quelle che si trovano nel cordone ombelicale, ma anche quella di riprogrammarle. Insomma, di ricondurle indietro fino allo stato embrionale. Ed è alla luce di tutto questo che appare inspiegabile la decisione del presidente americano. Se non con la volontà di calpestare questi esseri umani, senza chiedersi nulla sui loro diritti. Di fronte a tutto questo la Chiesa non può che riaffermare il suo no, sollecitare le coscienze ad esser vigili. Senza beninteso invitare a ribellioni di sorta».
Non c`è il rischio che quella cattolica venga percepita come la Chiesa dei no?
«Intanto questi no sono altrettanti sì alla vita, ai diritti di chi non ha voce per sostenerli. E poi, come diceva Giovanni Paolo Il, "la verità è verità, quando è tutta la verità", non solo la parte che ci conviene».

anticlericale
23-04-09, 02:51
Dissenso cattolico
• da Il Foglio del 11 marzo 2009

di Marco Burini

Tra cattolici "pensare diversamente non significa pensare male", come recitava il titolo della tavola rotonda organizzata dalla fondazione Nova Spes, e quasi quasi è un peccato se è vero che a pensar male ci si azzecca Bandite dietrologie e tatticismi, quello di ieri è stato però un confronto vivace e leale che rimbombava nella sala semideserta di Palazzo Mattei. Che si è colorato di qualche suggestione in più dopo che questo giornale, il 25 febbraio, ha pubblicato un appello al cardinale Bagnasco promosso da due filosofi, Carmelo Vigna e Stefano Semplici, che manifestavano al presidente della Cei il "disagio" di alcuni intellettuali cattolici per le "dolorose divisioni" nella chiesa sul testamento biologico, rivendicando una "capacità di inclusione più ampia". Ieri Semplici, docente di Etica sociale all`Università di Roma Tor Vergata, ha parlato di una "fedeltà dialettica" come garanzia della discussione ecclesiale secondo ragione. Per Semplici la chiesa postconciliare non può raccogliere la sfida del pluralismo interno con un "razionalismo dall`alto, cioè il magistero come giudice ultimo del rapporto fede-ragione", ma deve rileggere "Dignitatis Humanae" e "Lumen Gentium" perché ormai siamo di fronte a "nuove esigenze" e dunque "la fede ha necessità di accasarsi nella coscienza e non nell`ossequio esteriore". Sergio Belardinelli, sociologo dell`Università di Bologna, trova "curioso" che si possa dubitare di un dialogo tra cattolici ma osserva che "è diverso parlare di Trinità o di opportunità delle ronde. Però quand`ero giovane era scontato che mettessi in discussione la Trinità e non che dovessi votare Dc. Alla lunga, questi sono errori che si pagano". "I nostri amici atei devoti hanno avuto il merito di tirarci fuori dalle sacrestie e di insistere sull`identità - ha continuato Belardinelli - e questo non deve spaventarci". Inoltre "la coscienza è la norma suprema, ma è altrettanto vero che non tutto ciò che viene fatto secondo coscienza è buono". Anche Roberto Mordacci, docente di Filosofia morale al San Raffaele di Milano, ha citato san Tommaso e il Vaticano II per sostenere il dissenso come segno di "partecipazione e dialogo fraterno". "Si deve dissentire a quanto autorevolmente insegnato perché l`obbedienza è rivolta allo spirito ecclesiale e a nessun cristiano è richiesto il servilismo". Per Mordacci il principio dell`assoluta indisponibilità della vita fisica, formulato di recente dal Papa, "nella tradizione della chiesa non c`è" e l`insistenza con cui viene ribadito "rischia di portare al biologismo più che alla dignità della persona", inoltre "è un principio che pretende di avere valore di legge anche per i non credenti". "Qui non è in gioco un principio etico ma lo statuto della medicina, bisogna mettere dei paletti", ha ribattuto Francesco D`Agostino, filosofo del diritto a Tor Vergata. Quanto al pluralismo, "non c`è mai stata un`epoca meno pluralista della nostra, la tavola dei diritti umani è condivisa ovunque" e anche sui punti controversi, relazioni familiari e bioetica, "non siamo condannati a restare stranieri morali, dobbiamo pensare insieme con l`altro un orizzonte comune". Nella chiesa è legittimo pensare diversamente "ma se il mio pensiero lacera la comunione devo riflettere bene, non come Ignazio Marino che rivendica il suo essere cattolico e poi fa discorsi libertari. Non bisogna sempre assecondare il proprio narcisismo". Perciò D`Agostino prefrisce parlare di ubbidienza: "Non voglio fedeltà dialettica con i lefebvriani, non voglio fedeltà dialettica con i razzisti a destra e con gli eutanasici a sinistra, E se la divergenza di opinioni è insuperabile, preferirei il principio laicissimo di precauzione". "Proprio perché l`ubbidienza è preziosa che considero la situazione attuale così grave - ha replicato Semplici - Il messaggio dei pastori arriva forse al mondo laico, certo non alle parrocchie". Semplici ha insistito sul magistero della coscienza ("Non sottoscrivo la frase: preferisco sbagliare con la chiesa che avere ragione da solo") e criticato il "restringimento" su certi temi a scapito di altri: "Attendo con ansia l`enciclica sulle questioni sociali, di cui si parla poco". Critico con D`Agostino anche Mordacci: "Definire chi è cattolico o no sulla base di opinioni morali è una deriva che limita la crescita della comunità. Chi manifesta dissenso viene messo alla berlina, mentre su Avvenire qualcuno ha dato del boia a Beppino Englaro. Se manifesto dissenso sono fuori dalla comunione ecclesiale? Me lo deve dire la gerarchia". "Io è da anni che mi prendo del talebano dai cattolici progressisti - ha ribattuto D`Agostino Avvenire non citava il papà di Eluana ma paventava le conseguenze della vicenda, cioè che i cittadini potessero diventare dei boia. Io scrivo una volta alla settimana su Avvenire e nessuno mi risponde nel merito. Non appena compare la parola boia diventa comodissimo fare una polemica radical chic. Non sono i cattolici che la pensano diversamente a rischiare qualcosa, ma è la cultura cattolica che deve temere l`attacco di una cultura laicista e massonica che domina i giornali italiani. Si usa un termine mitico come autodeterminazione e Beppino Englaro è trattato come un eroe della società civile, mentre la chiesa parla a difesa della vita e sta facendo una campagna solitaria a favore di Ippocrate, non di Gesù Cristo. Sedo capissimo, tante polemiche interne sparirebbero".

anticlericale
23-04-09, 02:51
L'Osservatore: no ai test prenatali
• da La Stampa del 11 marzo 2009, pag. 13

di Giacomo Galeazzi


Benedetto XVI camminerà sulle orme di Maometto, nel fazzoletto di terra più sacro e conteso dai tre monoteismi: la Spianata delle moschee a Gerusalemme Est, punto di deflagrazione dell’Intifada palestinese. «Durante il viaggio a maggio in Terrasanta, il Papa visiterà la moschea al-Aqsa, il Muro del pianto e il memoriale dello Yad Vashem - annuncia il nunzio in Israele, l’arcivescovo Antonio Franco -. Il Pontefice non viene a firmare accordi e il suo viaggio sarà un pellegrinaggio religioso e non una missione politica. Comunque sarà un evento che rafforzerà le relazioni tra Israele e Vaticano». Desta interesse, in particolare, la decisione papale di attraversare il «terreno minato», il luogo religioso più aspramente conteso al mondo. La Spianata è chiamata dai musulmani «Nobile Santuario» in onore dell’impronta lasciata dal Profeta prima di salire in cielo. Per la tradizione ebraica questo è il più sacro dei luoghi, cioè il «Monte del tempio» che sorge sopra i resti del biblico edificio distrutto dall’imperatore Tito. Ed è lo stesso sito dove i cristiani commemorano le visite di Gesù nel Tempio e le sue dispute con i sacerdoti.
Benedetto XVI, dunque, percorrerà la Spianata, un rettangolo di terra (500 per 300 metri) sovrastato dalla moschea di al-Aqsa, terzo luogo più sacro dell’Islam dopo la Mecca e Medina, oggetto di secolari tensioni religiose. Una parte dei muri che la circondano appartiene al Muro Occidentale venerato dagli ebrei quale parte della cinta del Tempio biblico. Frange ultranazionaliste e religiose ebraiche aspirano alla ricostruzione del Tempio biblico al posto della moschea che il Papa visiterà e i musulmani minacciano una guerra santa in difesa della Spianata. In questo clima di esasperate passioni religiose, ogni incidente tra musulmani e ebrei rischia di degenerare in scontri sanguinosi, come nella controversa visita compiuta da Ariel Sharon nella Spianata nove anni fa per affermare la volontà di Israele di non rinunciare mai a Gerusalemme. Una «passeggiata» che, secondo molti, provocò la seconda Intifada palestinese. Proprio qui, nella Cupola della Roccia (il più antico edificio islamico esistente), tra due mesi il Papa entrerà accompagnato dal Gran Muftì. E’ la roccia da cui Maometto sarebbe salito in cielo e sulla quale Abramo sarebbe stato sul punto di sacrificare il figlio Isacco prima di essere fermato da Dio. Una visita coraggiosa, fortemente simbolica che è principalmente un segno di pace tra le religioni mentre in Curia affiora preoccupazione «perché nel mondo musulmano c’è chi oggi vorrebbe recuperare all’Islam le nostre terre, per esempio la Spagna». \
È stata proprio una «passeggiata» del falco Ariel Sharon nella Spianata delle Moschee (avvenuta 9 anni fa) a dare il via alla rivolta dei Territori che finora ha causato centinaia di morti. Con quella passeggiata Sharon voleva ribadire la volontà di Israele di non rinunciare a Gerusalemme Est.Altolà vaticano alla fabbrica dei figli perfetti. I test prenatali, consigliati ormai a livello di massa alle donne in gravidanza, rischiano di aprire la strada alla selezione dei feti, perciò L’Osservatore Romano condanna l’aborto di bambini affetti soprattutto da sindrome di Down. «Nessuno pensa di negare il diritto a conoscere, ma perché far diventare automatico “accertare” la normalità come condizione per “accettare” il figlio?», si chiede il giornale del Papa. «Semplicemente - avverte ancora - si vorrebbe che non diventasse automatico accertare la normalità come preambolo all’accettare il figlio, mentre è proprio questo il rischio che si corre». Un monito che riguarda soprattutto i Paesi occidentali e, in particolare, l’Italia che si è guadagnata il primato della natalità più tardiva, con una media di quasi cinque bambini ogni cento, partoriti da donne sempre più avanti negli anni. Qui l’amniocentesi è diventata quasi la norma. «La diagnosi prenatale - evidenzia il quotidiano vaticano - può servire a curare gravi patologie della madre e del bambino e in questo è un grande successo». Ma oggi al suo interno «si fa largo la tendenza a uno screening di massa con ecografie mirate e analisi del sangue per le malattie genetiche fetali, verso le quali al momento non esiste terapia».
Questo, rimarca L’Osservatore, «desta molte perplessità, sia per le conseguenze eugenetiche che se ne possono trarre, sia perché vari studiosi si domandano se l’accesso a questo esame genetico a tappeto sia realmente libero o frutto di un certo clima culturale». E, incalza la voce della Santa Sede, «bisogna allora domandarsi nella coscienza che non si tratta di un banale esame, ma di un delicato test genetico con implicazioni psicologiche e affettive profonde». Un quesito che si estende alla società: «L’esame a tappeto delle caratteristiche genetiche del figlio è davvero una consapevole richiesta delle donne?». Paolo Ramonda e Enrico Masini dell’Associazione Papa Giovanni XXIII puntano l’indice anche conto l’orientamento a rendere gratuiti i test diagnostici prenatali anche prima dei 35 anni di età della mamma gestante. «Stiamo scivolando sempre di più verso l’eugenetica- ammoniscono -. Si tratta di test con l’unico scopo di valutare la normalità del figlio che sta crescendo in grembo, con la prospettiva di poterlo uccidere con l’aborto qualora risulti malato o disabile».
I due responsabili dell’associazione fondata da don Oreste Benzi ricordano che l’Italia è «in cima alla lista di chi fa più indagini prenatali in tutto il globo» e aggiungono: «I genitori, convinti inizialmente di agire per il bene del loro figlio, saranno sempre più spinti a fare questi esami costosi per chi li compie e molto remunerativi per chi li esegue». Così, «ogni volta in cui si evidenziano anormalità cromosomiche, già oggi vengono sottoposti a un vero terrorismo proponendo loro l’aborto». Ramonda e Masini chiedono pertanto di impiegare «i soldi pubblici» per «garantire più cure ai malati e più diritti ai disabili, e non la loro morte». L’Istituto scientifico internazionale (Isi) dell’Università Cattolica di Roma rilancia l’allerta per i test genetici prenatali, che dovrebbero rientrare nell’«area generale della medicina predittiva», ma in realtà diventano spesso strumenti di «selezione» dell’embrione, magari per motivi di «pianificazione familiare» che nascondono vere e proprie «pratiche di eugenetica».
La Chiesa punta l’indice contro l’«enfasi» attribuita oggi allo screening prenatale, mentre i test «cercano soltanto di determinare quali embrioni hanno già difetti genetici indesiderabili, ma non si chiedono come prevenire tali difetti». Spesso tali test servono alla «pianificazione familiare» che non è diretta a prevenire né difetti né malattie, ma è spinta solo dal desiderio di avere un bambino o una bambina, quindi tende a individuare la presenza o no del cromosoma «y».

Cuordy
23-04-09, 12:43
Che dire... un 3d molto laico. :D

anticlericale
24-04-09, 20:58
"La Stampa", 12 Marzo 2009, pag. 12

“Nella Chiesa odio contro di me”



il caso


Il Papa ai vescovi: sui lefebvriani commessi degli errori, ma ci vuole più tolleranza

MARCO TOSATTI
CITTÀ DEL VATICANO
Il Papa scrive ai vescovi di tutto il mondo per fare il punto finale sulla vicenda delle scomuniche tolte ai quattro vescovi lefebvriani. La lettera verrà resa nota oggi a mezzogiorno dalla Sala Stampa vaticana; ma il Foglio la pubblicava già ieri in prima pagina, segno evidente che ancora una volta la blindatura dell’appartamento pontificio ha qualche crepa. Benedetto XVI riconosce alcuni errori, in realtà più dei collaboratori che suoi, ma rivendica l’opportunità di un gesto che non significa il ritorno nella Chiesa della Fraternità di San Pio X. E coglie l’occasione per denunciare lo stato della Chiesa, dove anche oggi «ci si morde e ci si divora a vicenda, come espressione di una libertà male intesa».
Il Papa cita una lettera di San Paolo ai Galati, in cui si dice «se vi mordete e divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri». «Sono stato sorpreso come questo parli dell'ora presente». Il Papa inizia ricordando che il caso «ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa cattolica una discussione di tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata». Parla della «valanga di proteste» e dell'accusa a lui rivolta di voler tornare indietro rispetto al Concilio. «Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una cosa totalmente diversa: come una smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa».
E’ un’accusa che lo ha ferito, perché la riconciliazione tra cristiani ed ebrei «fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico». Benedetto XVI ammette che la Santa Sede ha mancato nel «monitorare» le dichiarazioni di Williamson e aggiunge: «Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia». Secondo errore: il fatto che la stessa revoca della scomunica, «la portata e i limiti del provvedimento» non siano stati «illustrati in modo sufficientemente chiaro». Precisa ora che la scomunica colpisce persone, e i ministri della Fraternità anche se «sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica, non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa».
La Commissione Ecclesia Dei, che finora si è occupata dei lefebvriani, verrà affiancata dalla Congregazione per la dottrina della fede, nelle trattative. E a proposito del Concilio dice: «Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità». Cerca l’unità: nel momento in cui Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini, bisogna «avere a cuore l'unità dei credenti», perché la loro discordia e contrapposizione «mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio», e anche «riconciliazioni piccole e medie» fanno parte del suo mandato. Ma il «sommesso gesto di una mano tesa» ha invece dato origine a un grande chiasso, trasformandosi così «nel contrario di una riconciliazione». Dalla Fraternità sono venute «molte cose stonate». Ma anche nell'ambiente ecclesiale sono emerse note negative: «A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo».

anticlericale
24-04-09, 20:58
Che dire... un 3d molto laico. :D

:D

anticlericale
24-04-09, 20:59
"La Stampa", 12 Marzo 2009, pag. 29

DALLE SUORE A LEZIONE DI POLITICA

Filippo Di Giacomo


Nelle scorse settimane il dicastero della Santa Sede delegato alla vita consacrata ha ordinato un’inchiesta sociologica «sullo stile di vita delle comunità religiose femminili». In breve, Roma intende guardare nei conventi per capire di cosa vogliono occuparsi le suore della nostra epoca. La notizia è passata quasi inosservata e i pochi ad accorgersene l’hanno interpretata in chiave antiamericana. Dagli Anni Sessanta-Settanta infatti gli aggiornamenti delle congregazioni femminili a stelle e strisce hanno portato verso un’attività politica espressa con una forte e temuta attività di lobbing in favore dei diritti civili delle minoranze, degli emarginati, dei discriminati e delle vittime del monetarismo. I critici ritengono sia stato a causa delle suore se, da allora, il compatto cattolicesimo statunitense si sia frantumato in mille rivoli teorici, spesso al limite del folclore.
Osservare monache di clausura partecipare a cortei in favore del riconoscimento dei diritti del movimento transgender potrebbe apparire, più che una scelta morale, una sorta di mimetizzazione ideologica più consona a un salotto di signore bene che a un’istituzione contemplativa. Ma, se la politica deve riaccendere la speranza di tutto un popolo, ognuno è libero di esprimere i propri valori. A febbraio, in un’intervista a un quotidiano italiano monsignor Betori, che all’epoca delle primarie del Partito democratico era ancora segretario generale della Cei, ha reiterato il suo «dispiacere» nell’aver visto tanti religiosi (erano soprattutto suore) il 14 ottobre 2007 partecipare alla nascita della nuova formazione politica. Una presenza che, nelle riunioni programmatiche seguite alla prima mobilitazione, è continuata almeno fino al patto che ha legato Veltroni ai radicali.
I preti non possono, anzi non devono fare politica né guidare associazioni sindacali; due attività vietate dal canone 287 paragrafo 2 del codice di diritto canonico ai soli chierici. Le suore non sono chierici, dunque... Il sospetto che l’inchiesta vaticana sulle nuove opzioni esistenziali e pastorali delle suore faccia finta di parlare americano, ma continui a pensare in italiano nasce da ciò che le nostre religiose dicono e fanno sin dagli inizi degli Anni Novanta. All’epoca, la presidente dell’Unione Superiore Maggiori Italiane aveva annunciato l’ingresso delle suore nella vita pubblica con progetti precisi, che consistevano nel collaborare alla formazione «delle giovani donne chiamate a fare politica e a svolgere funzioni pubbliche. E questo, a prescindere dagli schieramenti, per aiutarle a promuovere una cultura che coniughi la politica con l’etica».
Nell’epoca di «mani pulite», l’allora presidente delle superiore italiane, madre Lilia Capretti, aggiunse una precisazione importante: «Ci siamo accorte che le donne in politica sono state le persone che hanno reso meglio. Inoltre, rispetto agli uomini, sono state meno coinvolte in situazioni di corruzione. Purtroppo il loro numero è esiguo perché con la mentalità maschilista che ha trionfato fino a oggi non sono state prese tanto in considerazione. Eppure nella donna ci sono capacità peculiari tipiche della natura femminile che potrebbero davvero aiutare a rigenerare la vita politica. Inoltre, non è amante del potere per il potere, come invece lo è l’uomo. Per le donne, fare politica è soprattutto un servizio». Si sarebbe quasi tentati di aggiungere un «amen!», ma sarebbe ingeneroso. Perché mentre per tre lustri la rappresentazione dei cattolici impegnati in politica è stata quella - divisa e contorta - che i giornali ci hanno raccontato, nella pancia del Paese, tra quei sette-dodici milioni che ogni domenica vanno a messa, qualcosa è avvenuto. Nel corpaccione del cattolicesimo popolare la fisiologia del maggioritario sembra funzionare meglio che nelle platee ancora legate ad appartenenze e collateralismi. E sovrapponendo le parrocchie a quel segmento di meccanismo istituzionale italiano che funziona meglio, andare dalle suore a studiare il rapporto tra elezioni comunali e vita ecclesiale locale potrebbe solo far bene, anche a chi crede che per vedere l’Italia basti affacciarsi dall’ufficio di via del Nazareno.

anticlericale
24-04-09, 20:59
"La Stampa", 12 Marzo 2009, cronaca di Torino

PROGETTO I CONTRIBUTI IN VISTA DELL’OSTENSIONE DELLA SINDONE DEL 2010


Arrivano fondi alle chiese per scoprire luoghi di fede



ANTONIO GIAIMO


Il Piemonte punta al turismo religioso e per raggiungere questo obiettivo finanzia una serie di progetti che serviranno a valorizzare percorsi e luoghi di culto. Dei quattordici finanziari in questi gironi, sette sono in provincia di Torino. Ed ecco le cifre. Duecento mila euro andranno alla Confederazione delle figlie di Maria Ausiliatrice a Castelnuovo Nigra, per adeguare sotto un profilo alberghiero la struttura Maria Luisa Vaschetti. Stessa somma per Casa Anna Teppa a Cantoira, una vecchia residenza estiva destinata alle suore del Cottolengo che l’amministrazione comunale ha acquistato una decina di anni fa. «Vogliamo riadattare i grandi stanzoni e trasformarli in camere per ospitare i giovani - spiega il sindaco Celestina Olivetti - nell’altra ala della struttura è invece stato ricavato lo spazio per la scuola materna». Ancora 200.000 euro per l’asilo Casa ferie di Nomaglio e per la casa ferie dei Frati Minori di San Francesco d’Assisi a Bardonecchia, una struttura ricettiva nata per le Olimpiadi grazie ad un recupero edilizio interamente finanziato da privati. «Con questo contributo della Regione contiamo ora di ultimare la casa migliorandone i servizi e dotandola di un ascensore per disabili e anziani» spiega padre Mauro Zella, responsabile della struttura dell’Ordine dei Frati Minori. All’ostello di Santa Maria Maddalena a Tavagnasco andranno 105.440 euro anche qui per migliorarlo sotto il profilo dell’accoglienza. E ancora 152.354 euro sono stati destinati per il percorso di San Giovanni Bosco a Trofarello, dove sarà sistemata una segnaletica integrata con bacheche. Infine 129.159 euro andranno alla parrocchia di San Nicolao a Borgiallo per recuperare la casa parrocchiale, sistemando dei locali ad uso ricettivo.
“L’obiettivo dei finanziamenti – dice l’assessore regionale al turismo Giuliana Manica- è quello di pronti per la prossima primavera, quando con l’ostensione della Sindone si prevede l’arrivo di due milioni di pellegrini».
Va ricordato tra l’eltro che la val di Susa ha beneficiato in una precedente trance di un finanziamento che è servito per stampare e pubblicare delle guide sui percorsi turistici e religiosi. Dice don Gianluca Popolla, parroco di Susa «La val Susa è pronta per proporre le sue bellezze ma bisogna anche essere imprenditori. è per questo che siamo andati al Bit di Milano, dove c’era uno stand sul turismo religioso, per presentare quei pacchetti sulla val Susa».

anticlericale
24-04-09, 20:59
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 12 MARZO 2009
Pagina 17 - Esteri

"Nella Chiesa ci si divora a vicenda"
Papa, lettera sul caso-Williamson. "Ma su Internet potevamo controllare le sue tesi"

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - Lettera-confessione del Papa sul caso-Williamson, il vescovo negazionista «assolto» dalla scomunica con gli altri 3 presuli consacrati illecitamente da monsignor Lefebvre il 30 giugno1988. Nel testo - che sarà pubblicato oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede e destinato ai vescovi di tutto il mondo - Benedetto XVI, secondo alcune anticipazioni, vi esprime «dispiacere e disappunto» per quanto accaduto. E´ quasi una richiesta di perdono, uno sfogo a tutto campo in prima persona, senza tener conto di chi - nella curia vaticana - ha tentato fino all´ultimo di dissuaderlo. Sembra che persino il segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Tarcisio Bertone, non gli abbia nascosto le sue perplessità. Ma senza successo. Ratzinger, col chiaro intento di assicurare i tanti vescovi che hanno mal digerito la revoca delle 4 scomuniche, ribadisce che si è trattato di un suo «gesto di paterna misericordia» per risanare una dolorosa ferita «nel corpo della Chiesa». Ma è solo un «inizio» perché sia i 4 vescovi che l´intera Fraternità di S. Pio X - «da dove sono arrivate molte cose stonate tipo superbia, saccenteria, unilateralismi» - non sono ancora membri effettivi della comunità ecclesiale, perché prima dovranno compiere un lungo cammino di ricerca, ubbidienza e accettazione dottrinale, a partire dalla «piena acquisizione del Concilio Vaticano II».
Quanto alle critiche, il Papa si dice «rattristato» e bacchetta «quei cattolici» che lo hanno «attaccato» sul caso-Williamson. Anche oggi nella Chiesa, scrive il Pontefice, «ci si morde e ci si divora a vicenda, come espressione di una libertà male intesa». A sorpresa, ringrazia «i tanti amici ebrei che si sono mostrati comprensivi e hanno contribuito a fare chiarezza». Un passaggio forse non casuale in vista dell´udienza che oggi Benedetto XVI concederà a una delegazione del Gran Rabbinato di Israele, guidata da David Rosen e Oded Wiener. Il Papa lamenta ancora che tutta la vicenda è stata travisata per «difetto di comunicazione» e pertanto annuncia che la commissione Ecclesia Dei, responsabile dei rapporti con i lefebvriani, sarà sottomessa alla Congregazione per la dottrina della Fede e ai dicasteri della liturgia e del clero. Una decisione che suona come un vero e proprio declassamento dell´Ecclesia Dei, anche se il segretario dello stesso organismo, monsignor Camille Perl, parla di «speculazioni giornalistiche gratuite ed eccessive fatte senza nemmeno aver letto la lettera ufficiale del Santo Padre che sarà distribuita oggi». Ma nella lettera il Papa sembra criticare proprio l´Ecclesia Dei perché richiama quegli «uffici» e quei «collaboratori» che, prima della revoca della scomunica, avrebbero potuto facilmente rintracciare almeno su internet le tesi negazioniste sostenute da Williamson. Da qui l´ammissione-sfogo: la crisi esplosa alla revoca della scomunica è stata «una disavventura per me imprevedibile» anche per «il fatto - ammette Ratzinger - che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della stessa scomunica».

anticlericale
24-04-09, 21:00
"La Repubblica", VENERDÌ, 13 MARZO 2009
Pagina 29 - R2
LA GUERRA DEL VATICANO
Dopo lo scontro sui lefebvriani Ratzinger scrive di "ostilità pronte all´attacco". E alza il velo su una crisi cruciale all´interno della Curia

MARCO POLITI
CITTA DEL VATICANO

città del vaticano

Una Curia allo sbando, un Papa chiuso nel suo palazzo e costretto a fronteggiare una bufera che l´Osservatore Romano definisce senza esempi in tempi recenti. E fughe di notizie che l´organo vaticano bolla come «miserande». Quattro anni dopo la sua elezione Benedetto XVI sperimenta una crisi cruciale del suo pontificato. Ferito e solo, ha scritto parole amare ed aspre ai vescovi di tutto il mondo, lamentando che - per la vicenda della scomunica condonata ai quattro vescovi lefebvriani e specie per il caso Williamson - proprio ambienti cattolici gli abbiano mostrato un´«ostilità pronta all´attacco». Persino arrivando a trattarlo, lui dice, con «odio senza timore e riserbo».
C´è qualcosa che traballa nella gestione della Curia. Se ne avevano segnali da tempo, ma la rivolta di alcuni grandi episcopati - in Germania, Austria, Francia e Svizzera - contro la decisione papale di graziare i vescovi lefebvriani scomunicati senza ottenere preventivamente una loro leale adesione al concilio Vaticano II, ha messo in luce una disfunzione più generale. Per due volte decisioni papali, che attendevano di essere rese note attraverso la sala stampa, sono state fatte filtrare all´esterno in anticipo causando clamore e polemiche. È successo con il decreto di revoca delle scomuniche, è capitato di nuovo con le indiscrezioni sulla lettera papale ai vescovi. Giovanni Maria Vian, direttore dell´Osservatore, fustiga in un corsivo le «manipolazioni e strumentalizzazioni» anche all´interno della Curia romana, ammonendo che la Curia è «organismo storicamente collegiale e che nella Chiesa ha un dovere di esemplarità».


Sferzata inedita e dura a chi nel palazzo apostolico non si è attenuto alla linea del riserbo e dell´obbedienza. Ma l´impaccio e le disfunzioni della macchina curiale vanno al di là della vicenda lefebvriana.
Benedetto XVI è solo. Ma non perché ci sia un partito che gli rema contro. Bensì per il suo di governo solitario, che non fa leva sulla consultazione e non presta attenzione ai segnali che vengono dall´esterno. Meno che mai quando provengono dal mondo dei media, considerato a priori con sospetto. «Benchè sia stato più di un ventennio in Vaticano al tempo in cui era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede - spiega off record un monsignore - Ratzinger non conosce affatto la Curia. Era chiuso ieri nella sua stanza nell´ex Sant´Uffizio ed è chiuso oggi nel suo studio da papa. Lui è un teologo, non è un uomo di governo. Passa metà della giornata a occuparsi dei problemi della Chiesa e l´altra metà concentrato sui suoi scritti: sul secondo volume dedicato a Gesù». Monsignore si ferma e soggiunge: «Non è detto che un grande teologo abbia con precisione il polso della realtà così come è».
Certo, esiste in Curia un pugno di fedelissimi. Il cardinale Bertone in primis. O il suo successore alla Congregazione per la Dottrina della fede, Levada. O il nuovo responsabile del dicastero del Culto divino, lo spagnolo Canizares. Parlano il suo stesso linguaggio i cardinali Grocholewski, responsabile del dicastero dell´Educazione cattolica, o Rodè, titolare della Congregazione dei religiosi. E fra i presidenti delle conferenze episcopali è in prima a linea a solidarizzare con il pontefice il cardinale Bagnasco, che prontamente ieri ha espresso «gratitudine» per le chiarificazioni del Papa. Ma la fedeltà non basta. «Ciò che si avverte - spiega un altro frequentatore dei sacri palazzi - è l´assenza di una guida lineare della macchina curiale». Macchina complessa, che va condotta con mano ferma dal Papa, dai suoi segretari di Stato e qualche volta da alcuni segretari particolari molto attivi dietro le quinte: come Capovilla per Giovanni XXIII, Macchi per Paolo VI, Dziwisz per Giovanni Paolo II.
Mons. Gaenswein, ed è un suo pregio caratteriale, non ama giocare a fare il braccio destro (occulto) del Papa. Ma contemporaneamente pesa il fatto che larga parte della macchina curiale non riconosce il Segretario di Stato Bertone come «uno dei suoi». Bertone non viene dalla diplomazia pontificia. Non ha fatto la trafila dei monsignori che hanno cominciato da minutanti in un ufficio della Curia e poi sono saliti crescendo nella rete di contatti, passando magari attraverso l´esperienza di un paio di nunziature all´estero. Bertone è un outsider. Scelto da Ratzinger perché suo primo collaboratore al Sant´Uffizio e perché di provata sintonia e fedeltà. Ma alla fin fine il mondo curiale non si sente sulla stessa lunghezza d´onda con il «salesiano».
Non è una posizione facile la sua. Da un lato finisce per essere in qualche modo separato dalla macchina curiale, dall´altro non può influire sulla direzione di marcia che di volta in volta Benedetto XVI intraprende. Abile nel controllare e riparare i danni, quando si verificano, il Segretario di Stato può tuttavia intervenire soltanto dopo. Perché in ultima analisi Ratzinger si esercita in uno stile di monarca solitario. Nella lettera ai vescovi il Papa riconosce che portata e limiti del suo decreto sui vescovi lefebvriani non siano stati «illustrati in modo sufficientemente chiaro» al momento della pubblicazione. Adesso finalmente la commissione Ecclesia Dei, guidata dal cardinale Castrillon Hoyos (fino a ieri titolare esclusivo dei negoziati con la Fraternità Pio X), verrà inquadrata nel lavoro della Congregazione per la Dottrina della fede e in tal modo - garantisce il Papa - nelle decisioni da prendere sulle trattative con i lefebvriani verranno coinvolti i cardinali capi-dicastero vaticani e i rappresentanti dell´episcopato mondiale partecipanti alle riunioni plenarie dell´ex Sant´Uffizio.
Il rimedio adottato ora rappresenta la confessione che Benedetto XVI nella vicenda non ha coinvolto nessuno, non ha informato nessuno e ha lasciato mano libera al cardinale Castrillon Hoyos, che non lo ha nemmeno informato esaurientemente sui trascorsi negazionisti di Williams, noti da più di un anno per la loro impudenza. I filo-lefebvriani di Curia in questa partita hanno giocato spregiudicatamente la carta delle indiscrezioni per dare per scontato un riavvicinamento ancora tutto da costruire. «Papa Ratzinger - confida un vescovo che ben conosce il sacro palazzo - è stato in fondo generoso nell´assumersi ogni responsabilità senza dare la colpa a nessun collaboratore. Ma nel suo modo di governare c´è un problema: parte sempre dall´assunto che quando è stabilita la verità di una linea, allora si deve andare avanti e basta. Non mette in conto le conseguenze esterne del suo ruolino di marcia e nella sua psicologia non crede nemmeno che gli uomini di Curia siano all´altezza di dargli veri consigli».
Non è casuale allora che siano stati i grandi episcopati d´Europa e del Canada a ribellarsi all´idea che con l´improvvisa mano tesa ai lefebvriani apparisse annacquata l´indispensabile fedeltà della Chiesa contemporanea ai principi del Vaticano II. Persino un intimo di Ratzinger come il cardinale di Vienna Schoenborn è stato costretto a denunciare le «insufficienti procedure di comunicazione nel Vaticano». Un modo elegante per evitare di criticare direttamente il Papa. Ma proprio in Austria si è giocato un altro evento senza precedenti nella storia dei pontificati moderni. Un vescovo ausiliare scelto dal pontefice è stato respinto dall´episcopato intero di una nazione, costringendo Benedetto XVI a un´ennesima marcia indietro.
Questo gli uomini di Curia non l´avevano mai visto.

anticlericale
24-04-09, 21:00
http://www.corriere.it/cronache/09_marzo_14/bimba_stuprata_brasile_fisichella_e02ac9b6-10bb-11de-a338-00144f02aabc.shtml
il caso della minorenne che ha abortito 2 gemelli concepiti in seguito a una violenza
Aborto su bimba brasiliana stuprata
Il Vaticano: scomunica inopportuna
Monsignor Fisichella: «Era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente»



CITTÀ DEL VATICANO - Prima di pensare alla scomunica di medici e familiari della bambina brasiliana che ha abortito due gemelli concepiti in seguito allo stupro da parte del patrigno, «era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente». Monsignor Rino Fisichella esprime così perplessità sulla decisione dei vescovi brasiliani. Dalle colonne dell'Osservatore romano, il presidente della Pontificia accademia per la Vita accusa il vescovo di Recife, sostenitore della scomunica, di avere espresso sulla vicenda «un giudizio che pesa come una mannaia».

«GIUDIZIO COME MANNAIA» - Una storia di «quotidiana violenza», quella della bambina ripetutamente violentata, che - sottolinea Fisichella - ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l'arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l'hanno aiutata a interrompere la gravidanza e che «sarebbe passata inosservata se non fosse stato per lo scalpore e le reazioni suscitate dall'intervento del vescovo». La bambina - scrive il presidente dell'Accademia per la vita, il cui intervento segue quello della conferenza episcopale brasiliana che nega la stessa efficacia della scomunica - «doveva essere in primo luogo difesa» e «prima di pensare alla scomunica - ha aggiunto l'esponente vaticano - era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri». «Così non è stato - ha proseguito il prelato - e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia. Vero - ammette poi - Carmen portava dentro di sè altre vite innocenti come la sua, anche se frutto della violenza, e sono state soppresse; ciò, tuttavia - conclude Fisichella - non basta per dare un giudizio che pesa come una mannaia».


14 marzo 2009

anticlericale
24-04-09, 21:01
Aids, De Lucia: Ratzinger conferma una linea cinicamente antiscientifica, irresponsabile, dolosa. La "cultura della morte" è quella del Vaticano


17 marzo 2009



• Dichiarazione di Michele De Lucia, Tesoriere di Radicali italiani
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Alla partenza del suo viaggio in Africa, Papa Benedetto XVI ha dichiarato, testualmente, che l’epidemia di Aids «non si può superare con la distribuzione dei preservativi che, anzi aumentano i problemi». Il Papa ha poi indicato come unica strada efficace quella di un «rinnovo spirituale e umano nella sessualità».

È la conferma di una linea cinicamente antiscientifica, irresponsabile e dolosa, foriera di ulteriori incalcolabili lutti e sofferenze. È un calcio a tutti coloro che, spesso a prezzo di grandi sacrifici, sono impegnati nella lotta alla diffusione del virus, difficilissima soprattutto in Africa. Qualcuno ricordi a Ratzinger che, secondo i dati dell’UNAIDS 2005 (il programma delle Nazioni Unite sull’hiv), i due terzi delle persone colpite dal virus si trovano nell’Africa Subsahariana. Qualcuno gli ricordi che lo strumento più efficace contro la diffusione dell’aids è proprio l’uso del preservativo.

Chi ha ancora il fegato di sostenere che Ratzinger è alfiere di una “cultura della vita”? Di tutta evidenza, il Vaticano ed il suo sovrano assoluto sono loro – con il loro proibizionismo sul preservativo, sull’aborto, sulle staminali, sulla ricerca, sulla fecondazione assistita: sulla libertà e la felicità dell’individuo tout-court – portatori di una cultura di morte.

anticlericale
24-04-09, 21:01
Maxi-schermi: piazza san Pietro come lo stadio
• da La Stampa del 17 marzo 2009, pag. 11

di Giacomo Galeazzi


Il Grande Fratello a San Pietro per effetto di quattro maxischermi sul colonnato del Bernini. Da tempo nella piazza più famosa del mondo, in occasione dell’Angelus della domenica e delle udienze del mercoledì, vengono installati grandi pannelli luminosi che trasmettono immagini per i fedeli raccolti nel luogo-simbolo della cattolicità. Da alcune settimane, però le postazioni hi-tech vengono mantenute fissi anche nel resto della settimana. «Prima i totem luminosi venivano messi in piazza per rendere visibili a tutti i pellegrini le uscite pubbliche del Papa e poi rimossi- protestano i Radicali-.Da un mese e mezzo, invece, vengono lasciati lì ventiquattr'ore al giorno». Cioè, rimangono anche dopo le cerimonie, le funzioni religiose, le udienze. «E’ uno scempio assurdo che deturpa la piazza- protesta Giorgio Muratore, storico dell’architettura dell’università “La Sapienza” di Roma. Siamo davanti ad uno spettacolo osceno, un’intrusione di smaccata modernità in un capolavoro senza tempo. Adesso San Pietro sembra un ippodromo, uno stadio da baseball». Dal Vaticano fanno sapere che per il momento non è stata presa una decisione definitiva sul mantenimento o la rimozione dei maxischermi dalla piazza che può contenere 50mila persone ed è l’emblema della Santa Sede. I Radicali, supportati da un dossier raccolto dall’associazione Italia Nostra, stanno preparando un’interrogazione al ministro dei beni culturali, Sandro Bondi richiamando anche la violazione del Trattato lateranense del 1929 che per gli immobili richiama il Vaticano, nell’articolo 16, alle «nobili tradizioni artistiche che vanta la Chiesa Cattolica» e, nell’articolo 18, specifica che «i tesori d’arte e di scienza esistenti nella Città del Vaticano e nel Palazzo Lateranense rimarranno visibili agli studiosi ed ai visitatori, pur essendo riservata alla Santa Sede piena libertà di regolare l’accesso del pubblico». I quattro maxischermi installati in piazza, invece, compromettono la completa fruizione del Colonnato e ne compromettono il meraviglioso colpo d’occhio. «Giulio II o Alessandro VII si rivolteranno nella tomba. Questa gerarchia vaticana sembra aver perso le "nobili tradizioni artistiche della Chiesa cattolica”- lamenta Mario Staderini, della Direzione nazionale di Radicali Italiani- In una situazione analoga Antonio Cederna affermò che "per il paesaggio urbano non può valere l’assoluta sovranità della Chiesa sui beni culturali all’interno del Vaticano"». E aggiunge: «Non è solo questione di gusto, ma anche di rispetto del Trattato lateranense, il Vaticano è infatti obbligato, ai sensi dell'articolo 18 del Trattato, a rendere fruibili tesori d'arte come il colonnato del Bernini, senza nasconderlo con megaschermi da stadio». Ma non è la prima volta. «Pochi mesi fa, c’è stata un inaudita sopraelevazione sul palazzo del Vicariato, a pochi metri dal Pantheon- spiega Staderini-. Allora rifiutarono l’accesso ai vigili urbani per le verifiche urbanistiche ed il ministro Bondi ancora non risponde all'interrogazione fatta dal deputato Radicale Maurizio Turco. I privilegi dei Patti Lateranensi hanno dei limiti: e se decidessero di costruire un grattacielo accanto al Pantheon o in piazza San Pietro? Mi aspetto che l’ambasciatore vaticano in Italia chiarisca, e che il governo dica almeno una parola». Non esiste al mondo un complesso di edifici che uguagli il Vaticano per interesse ed importanza storica e artistica. «Abbiamo una sorpresa orrenda- lamenta Andrea Costa del direttivo di Italia Nostra di Roma. In questo modo il senso estetico viene calpestato dalla Chiesa che è stata maestra di stile da secoli per l’arte. Adesso, invece, dà il cattivo esempio con la trasformazione di una piazza-gioiello in un arengo. I quattro in maxischermi in “surround” incidono sui significati architettonici e simbolici. San Pietro diventa uno spazio per eventi, che tradisce la sua vocazione primigenia e sacra di contemplazione». Ora «lo sguardo viene convogliato su strutture tecniche, la dimensione mediatica entra nel luogo sacro per eccellenza e lo snatura», evidenzia Costa. «Il governo deve chiarire l’ambito di applicazione degli articoli 16 e 18 del Trattato Lateranense, non è pensabile che il Vaticano possa fare di tutto- aggiunge Staderini-.Il riconoscimento della sovranità dello Stato Città del Vaticano è condizionato al rispetto del patrimonio storico ed artistico che lo Stato italiano gli ha affidato. A dire il vero non mi sorprendo: posizioni integraliste portano sovente ad ignorare l’arte, la storia. Non dimentico che i talebani in Afghanistan presero a cannonate gli antichi Buddha scolpiti nella roccia».

anticlericale
24-04-09, 21:02
"La Repubblica", MARTEDÌ, 17 MARZO 2009
Pagina 4 - Esteri

"Nessun giudizio sul documento; il Vaticano partecipa al summit"

MARCO POLITI
CITTÀ DEL VATICANO - Non cambia la posizione della Santa Sede. La diplomazia vaticana parteciperà alla conferenza sul razzismo "Durban2", in programma a Ginevra.
«Saremo presenti», conferma il nunzio presso le Nazioni Unite mons. Celestino Migliore. La linea della Santa Sede, spiega, rimane quella espressa dieci giorni fa dal portavoce papale padre Lombardi, che il 6 marzo aveva dichiarato: «La presenza di rappresentanti della Santa Sede alle conferenze internazionali promosse dall´Onu è un fatto assolutamente normale e non implica un giudizio sui documenti in preparazione». Naturalmente, soggiunge il nunzio Migliore, è giusto che vengano sollevate preoccupazioni su eventuali espressioni antisemite e la decisione vaticana di partecipare non significa non condividere le ragioni di quegli Stati, che alla fine decidesse di ritirarsi. «Soltanto che in linea generale la Santa Sede preferisce affrontare i problemi occupando la sua sedia e non lasciandola vuota».
La conferenza sarà seguita dal nunzio mons. Silvano Maria Tomasi (incaricato di seguire le Nazioni Unite a Ginevra), che proprio giorni fa aveva ricordato che l´elaborazione del documento preparatorio è ancora in corso e dunque «si deve andare avanti con cautela, vedendo se certe obiezioni saranno accolte». In Vaticano si sottolinea, comunque, che i lavori preparatori si trovano in una «situazione non ancora definita» e dunque la Santa Sede continuerà ad osservare l´andamento con attenzione.
La settimana scorsa il rabbino capo di Haifa, Shear Yashuv Cohen, ricevuto oggi in udienza con una delegazione del Gran Rabbinato di Israele, aveva chiesto espressamente al Papa che la Santa Sede agisse per contrastare alla conferenza di Ginevra gli attacchi allo Stato di Israele. D´altronde lo stesso governo israeliano non sembra aspettarsi che il Vaticano si ritiri. Piuttosto, come ha spiegato l´ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Mordechai Lewy, c´è «attesa» che la diplomazia vaticana contrasti in sede di conferenza ogni tipo di antisemitismo. Lo stesso giorno del discorso del rabbino Cohen a Benedetto XVI il ministro della Cultura vaticano, mons. Ravasi, mandava già un segnale alla delegazione ebraica: «Aspettiamo la versione definitiva del documento preparatorio. Certamente l´auspicio del Vaticano è che durante la conferenza venga superata qualsiasi forma di razzismo e discriminazione».
D´altronde la Santa Sede ha partecipato anche alla conferenza Durban1 del 2001, abbandonata con clamore da Israele e Stati Uniti in presenza di una bozza di risoluzione che lanciava duri attacchi a Israele e paragonava il sionismo al razzismo. La conferenza ha peraltro un´agenda assai più vasta. All´ordine del giorno c´è anche la questione delle discriminazioni agli omosessuali. Il Vaticano ha già fatto blocco con i paesi africani e le nazioni islamiche per bloccare la formulazione di un testo che condanni «tutte le forme di discriminazione e tutte le forme di violazione dei diritti fondate sull´orientamento sessuale».

anticlericale
24-04-09, 21:03
"La Stampa", 17 Marzo 2009, pag. 11

“Faccia un passo indietro chi sbagliò sui lefebvriani”

Retroscena
L’Osservatore Romano spiega la lettera di Benedetto XVI

CITTA’ DEL VATICANO

Chi ha responsabilità faccia un passo indietro», ammonisce l’Osservatore Romano che già nei giorni scorsi, in piena bufera per il «caso Williamson», aveva richiamato la Curia romana al suo «dovere di esemplarità». Una «lettura coscienziosa» della lettera del Papa ai vescovi sulla revoca della scomunica ai quattro presuli lefebvriani (tra cui Williamson che nega le camere a gas naziste) «chiede a quanti nella Chiesa abbiano qualche responsabilità di fare un passo indietro». Parole che sembrano ipotizzare l’imminente collocamento a riposo (caldeggiato dagli episcopati dell’Europa centro-settentrionale) dell’80enne cardinale Dario Castrillon Hoyos, il presidente della commissione «Ecclesia Dei» che ha negoziato coi lefebvriani. Già ora, di fatto, il suo ruolo è stato ridimensionato: la trattativa gli è stata sottratta e assegnata all’ex Sant’Uffizio. Un passo indietro, spiega il giornale vaticano, «non per fermarsi nell’immobilismo ma per ripartire con il piede giusto prima che i guasti siano irreparabili». E L’Osservatore aggiunge: «Anche l’ipocrisia è dannosa nella Chiesa. Dipingere un Papa Benedetto perduto dietro le note di Mozart, arroccato nelle sue stanze, isolato dal mondo rasenta il comico». Nello stesso momento in cui «gli si alzano intorno tali cortine fumose, gli si riconosce una statura intellettuale, ma un vero intellettuale non sta fuori dal mondo, pensa e propone un mondo migliore del presente. E il Papa finora l’ha fatto magistralmente», sottolinea il quotidiano della Santa Sede.
Intanto i vescovi tedeschi (che, peraltro, in un documento pubblicato ieri da «MicroMega» imbarazzano la Curia per la loro apertura all’eutanasia) valutano positivamente la decisione di Benedetto XVI di incaricare l’ex Sant’Uffizio di condurre le trattative con i lefebvriani. «In questo modo - commentano - si vedrà chi della Fraternità San Pio X è disponibile a proseguire il cammino con la Chiesa Cattolica e il Papa, o chi si separerà definitivamente da noi».
Davanti al tentativo di «rappresentare la Chiesa, il Papa e la Curia romana secondo stereotipi tanto polemici quanto abusati, o addirittura attraverso immagini del tutto false, e dunque fuorvianti», per l’Osservatore Romano gli atti di questi giorni dimostrano il contrario. «Il viaggio africano di Benedetto XVI, l’introduzione del cinese nel sito già plurilingue della Santa Sede e l’annuncio di un prossimo anno sacerdotale confermano la caratteristica più evidente della Chiesa di Roma, e cioè il suo sguardo cattolico, che significa universale. Non serve un Papa divo».

anticlericale
24-04-09, 21:03
"La Stampa", 17 Marzo 2009, pag. 17

Analisi
Perché è cruciale il viaggio del Papa in Camerun e Angola

La Chiesa bianca cerca linfa in Africa
FILIPPO DI GIACOMO


Benedetto XVI parte per l'Africa, uno dei «continenti della speranza» per un cattolicesimo ormai avanzato nell'esodo dall'Occidente verso le Terre Promesse dell'emisfero Sud. La carovana mediatica che seguirà il pontefice ci mostrerà immagini di ragazzini neri bisognosi d'aiuto, qualche carezza papale loro destinata e la solita overdose di commenti dei pauperisti di professione, coloro che a forza di «dare voce a chi non ha voce» annoiano tutti con i loro ideologismi. Invece, domenica all'Angelus, lui stesso ha definito la «mission» di questo viaggio, molto impegnativa: Benedetto XVI infatti, si reca in Africa con l'intenzione di far passare ai cattolici ogni forma di afro-pessimismo.
Non per nulla, Camerun e Angola, Yaounde e Luanda, le due tappe del viaggio, hanno un forte significato simbolico. Nella prima, in Camerun, l'evangelizzazione è fiorita dopo i primi tre decenni del 1900, quando Pio XI dichiarò terminata l'evangelizzazione con la quale l'Occidente aveva cercato di correggere gli abusi del colonialismo. Ed è giunta a maturazione con il Concilio Vaticano II: il primo arcivescovo di Yaounde, il compianto monsignor Jean Zoa, è stato il primo vescovo autoctono, come si diceva allora, dell'intera Africa nera contemporanea. Egli fu indicato a Giovanni XXIII come «degno per l'episcopato» dal suo superiore ecclesiastico e cioè da quel monsignor Lefebvre che, come delegato apostolico per tutte le colonie africane sottoposte alla Francia, dalla sua sede di Dakar in Senegal è stato uno dei propugnatori dell'africanizzazione della gerarchia cattolica africana.
Per ironia della sorte, tra gli africani scelti dal fondatore dei tradizionalisti cattolici come capi delle loro Chiese, nessuno ha seguito la via di Ecône. Anzi, il Camerun è una delle patrie della teologia della liberazione, termine assai sbrigativo con il quale ancora raggruppiamo un' enorme pluralità di teologie inculturate che solo in piccola parte parlano in spagnolo. In questo caso parla «etòn», la lingua degli «ewondo», etnia originaria della regione di Yaounde, parla la teologia di Engelberg Mveng, Jean Marc Ela, Fabien Eboussi-Boulaga, Baba Simon e di tanti altri uomini di Chiesa esemplari per impegno e dottrina.
Engelbert Mveng, un gesuita che inculturava il cristianesimo oltre che con la teologia anche con la pittura e la poesia, è stato ucciso dieci anni fa, probabilmente a causa dei suoi scritti contro la corruzione politica. Qualche anno prima, Baba Simon, un fior d'intellettuale anticolonialista che aveva scelto il sacerdozio, è morto di sfinimento apostolico: andava per i villaggi a piedi scalzi, portando con sé, evangelicamente, solo una tunica, un bastone e il Vangelo.
L'Angola, invece, ha dovuto attendere la metà degli anni Settanta per liberarsi dal dominio portoghese che permetteva alle autorità di Lisbona la nomina dei vescovi nei territori coloniali, scegliendoli tra i sacerdoti che vivevano in Patria e che inviava in Angola, funzionari coloniali come gli altri. Eppure, nella sacrestia di Santa Maria Maggiore a Roma una tomba testimonia come già nel Cinquecento il Regno del Congo, l'area geografica dell'odierna Angola, aveva dato alla Chiesa un vescovo, figlio di quel re Joao II che aveva l'abitudine di scrivere ai suoi omologhi di tutta Europa chiamandoli «cari cugini».
Cinquant'anni di libertà conciliare, hanno permesso alla Chiesa del Camerun di assumere identità e progetti. Cinquecento anni di religione omologata al potere stanno ancora infliggendo alla Chiesa angolana un deficit di presenza e di credibilità quasi insormontabili. Ad ulteriore riprova che Benedetto XVI non andrà in Africa a vendere acqua santa, è sufficiente ricordare che tra il novembre e il dicembre del 1989, quando le folle scesero in piazza a Berlino e a Timisoara, in Romania, chiedendo ed ottenendo libertà e democrazia, folle molto simili chiedevano altrettanto in Benin, Costa d'Avorio, Senegal, Congo-Zaïre, Gabon e Niger. Politicamente, le folle africane non valevano nulla perché, come spiegava su Le Monde un esperto francese chiamato Jacques Chirac, «Economicamente parlando, se l'intero continente nero, con la sola eccezione del Sud Africa, dovesse inabissarsi nell'Oceano, le conseguenze del cataclisma sull'economia mondiale sarebbero praticamente nulle».
E nulla dunque ottennero, le folle di Abidjan, Libreville, Dakar, Kinshasa, Niamey nel fatidico 1989. Cinque anni dopo, nel 1994, il Continente Nero il diritto politico e morale alla fine del regime razzista del Sud Africa se l'è guadagnato con il genocidio in Ruanda, ormai chiaramente attribuibile alle intromissioni francesi nelle vicende africane. La battaglia antisegregazionista contro i governanti di Johannesburg è stata a lungo una lotta che gli africani hanno condotto in solitudine, con il solo aiuto del Consiglio Ecumenico delle Chiese. In campo cattolico, dalla prima riunione del 1969, su impulso di Paolo VI, il Simposio delle Conferenze Episcopali d'Africa e Madagascar ha pubblicato quattro documenti dedicati alla giustizia, alla pace, alla promozione dei diritti umani in Sud Africa e negli altri Paesi del Continente.
E anche intorno a questo magistero, nel 1994, l'anno del «fallimento morale del cattolicesimo in Africa» come furono definiti dal cardinale Etchegaray i fatti del Ruanda, nazione africana con il più alto tasso di cattolici, che Giovanni Paolo II riunì a Roma il primo sinodo dei vescovi dell'Africa. Il primo risultato, è stato l'accettazione dell'ecclesiologia africana che vede la Chiesa come una Famiglia ed ora Benedetto XVI andrà in Camerun a consegnare ai suoi confratelli lo schema del prossimo sinodo convocato in autunno a Roma.
Spulciare su internet l'enorme massa di risorse culturali che il cattolicesimo africano riesce ad introdurre nella vita reale della Chiesa è impressionante. Da un punto di vista ecclesiale l'Africa non è la periferia di niente e di nessuno. E fare finta di non accorgersene, errore che la Chiesa ha a lungo commesso con l'America Latina, è un lusso che il cattolicesimo non può più permettersi. Se non altro, proprio per una questione di giustizia.

anticlericale
24-04-09, 21:04
"La Stampa", 17 Marzo 2009, pag. 39

SE QUESTO È UN PAPA DEBOLE
Gianni Baget Bozzo



Un Papa che ammonisce una vasta corrente episcopale accusandola di essere motivata dall’odio non è un Papa debole. Esercita in pienezza il carisma petrino e ricorda le parole sulla «sporcizia» della Chiesa, che da cardinale indicò nella cerimonia penitenziale romana negli ultimi giorni di Giovanni Paolo II. Ora accusa dei vescovi d’«avere bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza, contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio». Significa che una parte dell’episcopato ha visto la comunità di Econe un capro espiatorio contro cui affermare la propria identità. E Benedetto ha visto se stesso oggetto di quest’odio. Se qualcuno osa avvicinarsi a Econe, anche se è il Papa, «perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo». Non si può chiamare debole un Papa che rivolge l’accusa di avere l’odio come mezzo d’identità a grandi correnti episcopali e teologiche, a una cultura cattolica dominante. Non lo si può descrivere con l’immagine di un teologo raccolto nei libri e inteso a scrivere la vita di Gesù. Benedetto non è un Papa teologo, è un Papa spirituale che usa radicalmente il carisma di Papa come potere profetico rivolto alla Chiesa universale.
Ma la cosa più grave che il Papa ha detto è d’aver avuto soccorso dagli amici ebrei che l’«hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e fiducia» verso una persona il cui lavoro teologico era stato rivolto fin dall’inizio con un ruolo di protagonista a promuovere «tutti i passi di riconciliazione per cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio». Un aiuto che non è giunto al Papa dall’Israele spirituale, la Chiesa, gli è giunto dall’Israele carnale, le autorità dell’ebraismo e dello Stato d’Israele. È singolare questa congiunzione che si è posta tra il mondo ebraico e l’autorità spirituale del Papa romano. Ciò dà un quadro nuovo al lungo pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, in cui i temi del rapporto tra Israele e la Chiesa saranno posti in piena luce. Ma la forza di papa Benedetto verso coloro che vedono il Vaticano II una rivoluzione nella Chiesa tesa a recepire il moderno come rifondazione dell’esistenza storica del cattolicesimo sino ad annullare il concetto stesso di cattolicesimo, sta nel fatto che la congiuntura intesa come il «segno dei tempi» da Giovanni XXIII è crollata nei fondamenti ed è rimossa dalla realtà. La grande abdicazione della Chiesa di fronte alla modernità ha situato la corrente progressista modernista fuori dai nuovi segni dei tempi: l’avvento della tecnica, la via del razionalismo, l’eclissi della filosofia moderna, la società mondiale, l’emersione dell’Islam e delle potenze dell’Asia.
Il Vaticano II si muoveva nella società eurocentrica nel secondo millennio, il terzo millennio vede altri tempi. Se la Chiesa d’oggi s’inginocchiasse dinanzi al mondo non troverebbe alcun mondo disposto a raccogliere l’omaggio. Il riallacciamento della Chiesa postconciliare con la Chiesa dei millenni è la condizione per cui la Chiesa può fondarsi in Dio e non sull’egemonia delle opinioni. Non è finita la storia, ma la storia del ‘900 è sicuramente finita. Per questo il Papa pone a tutta la Chiesa, e anche a Econe, di fare un gesto di fiducia in lui, che ha espresso da teologo, da cardinale e da Papa, la continua fondazione della Chiesa nella Tradizione e nella sua fedeltà al Cristo vivente in essa. I colloqui tra Roma ed Econe continueranno e il Papa spera di coglierne il frutto. Se questo è presentato come un Papa debole, vorremmo sapere cosa dovrebbe fare un Papa forte. Se forte vuol dire essere veramente Papa.


bagetbozzo@ragionpolitica.it

anticlericale
24-04-09, 21:06
No, il digitale ultraterreno no. Togliete i maxischermi da piazza San Pietro
• da Il Foglio del 18 marzo 2009, pag. 2

di Stefano Di Michele

Stando in cielo, in terra e in ogni luogo, non è che fosse così indispensabile che stesse pure sul maxischermo. O almeno che il maxischermo restasse in pianta stabile ché pure a Nostro Signore, come alla turista canadese, certo fa più piacere vedere il colonnato del Bernini, magnificenza costruita, diciamo così, a Sua maggior elevazione, piuttosto che il manufatto hi-tech, piazzato a maggior diffusione. La meraviglia di piazza San Pietro - con quelle installazioni che fanno un po` Oscar della musica al Colosseo (reale e dimenticabile esibizione da quelle parti svolta) e un po` attesa di semifinale dei campionato del mondo - certo ne risente. Dice: sarà una cosa pratica, piuttosto che il leva e metti a ogni Angelus del Santo Padre, magari si risparmierà, visto mai, sulla mano d`opera, non ci mettiamo a montare e smontare la domenica, giorno del riposo. Ma se ormai pure la benedizione deve fare i conti con la ragioneria, troppo bene non siamo messi. Secondo la Stampa, per il momento il Vaticano non sa ancora cosa fare (e speriamo che la faccenda venga affidata a una bottega di elettricista, che se finisce in mano ai teologi facile che per venirne a capo ci vogliono una ventina d`anni), e questo non è consolante: se le dinamiche del digitale terrestre si fanno più indefinite di quelle divine, è questione che dà, e mica poco. da pensare. Colpa di questa faccenda che ormai uno deve vedere tutto da vicino, pure il Papa, che onestamente su tale fronte il fedele dovrebbe un po` più lavorare sulla fiducia, e quelli in Vaticano rimettersi un po` di più alla fede. Dove sta il Papa? Lassù, vedi la finestrella? Dove c`è il piccione che vola via... Non lo vedi, il piccione? Fa niente, ci stanno fidati lo stesso, sia il piccione che il Papa... E siccome tutto è meraviglia e tutto è frutto del disegno divino - ma nel caso dei maxischermi magari pure di qualche designer giapponese - a quello conviene affidarsi, senza mettersi troppo nelle mani dell`elettronica - casomai, al più, un energico impianto di amplificazione, che infatti si dice sempre "la Parola", mica si parla mai di inquadratura. Quei quattro maxischermi - decisamente in anticipo sulla piaga prossima ventura dell`Estate romana (sarà un`iniziativa della Quaresima vaticana?) - tolgono bellezza a un luogo che è un concentrato di bellezza artistica e di suggestione spirituale. Vabbè la mania che ha preso da parecchi anni, di andare a dir messa per stadi e piazzali aeroportuali - e più la cosa si fa gigantesca e più c`è bisogno d`ingigantire - ma così diventa difficile dar torto a chi punta l`indice sui manufatti posizionati accanto ad autentiche vere meraviglie. Poi, siccome sono Radicali (come partito) o radicali (come vocazione) un po` esagerano, pure parecchio, e uno nientemeno ha evocato gli antichi Buddha presi a cannonate dai talebani in Afghanistan, manco il cardinal segretario di stato volesse fare il tiro a segno sulle capocce delle statue degli apostoli piazzate lassù. Però hanno ragione quando citano le "nobili tradizioni artistiche della chiesa", che infatti di meravigliose opere ha disseminato l`intera città, e più ancora a San Pietro, e a ragione di tale vertiginosa grandezza, quei maxischermi niente aggiungono e molto tolgono. Come sosteneva giorni fa Galli della Loggia sul Corriere, la figura del Papa è stata trasformata negli ultimi cinquant`anni da due eventi: il Concilio Vaticano II e la televisione. Il primo (a parte i rosari riparatori dei lefebvriani) la chiesa l`ha voluto, la seconda l`ha subita. "vincolo che non ha sostanzialmente alcuna natura religiosa (neppure spirituale, forse)". Ora, averci a che fare sarà forse cosa buona, e se non buona almeno utile, ma lasciarla razzolare a piede libero e in maniera indeterminata quasi fin dentro la ratzingeriana "vigna del Signore" ecco, pare eccessiva distrazione: manco per sbaglio bisogna confondere i consigli pastorali con gli strumenti dei consigli per gli acquisti.

anticlericale
24-04-09, 21:06
Don Diana ucciso dai boss spaventati dalle sue parole
• da La Repubblica del 18 marzo 2009, pag. 1

di Roberto Saviano


La mattina del 19 marzo del 1994 don Peppino era nella chiesa di San Nicola, a Casal di Principe. Era il suo onomastico. Non si era ancora vestito con gli abiti talari, stava nella sala riunioni vicino allo studio. Entrarono in chiesa, senza far rimbombare i passi nella navata, non vedendo un uomo vestito da prete, titubarono.
Chi è Don Peppino?
Sono io
Poi gli puntarono la pistola semiautomatica in faccia. Cinque colpi: due lo colpirono al volto, gli altri bucarono la testa, il collo e la mano. Don Peppino Diana aveva 36 anni. Io ne avevo 15 e la morte di quel prete mi sembrava riguardare il mondo degli adulti. Mi ferì ma come qualcosa che con me non aveva relazione. Oggi mi ritrovo ad essere quasi un suo coetaneo. Per la prima volta vedo don Peppino come un uomo che aveva deciso di rimanere fermo dinanzi a quel che vedeva, che voleva resistere e opporsi, perché non sarebbe stato in grado di fare un´altra scelta.
Dopo la sua morte si tentò in ogni modo di infangarlo. Accuse inverosimili, risibili, per non farne un martire, non diffondere i suoi scritti, non mostrarlo come vittima della camorra ma come un soldato dei clan. Appena muori in terra di camorra, l´innocenza è un´ipotesi lontana, l´ultima possibile. Sei colpevole sino a prova contraria. Persino quando ti ammazzano, basta un sospetto, una voce diffamatoria, che le agenzie di stampa non battono neanche la notizia dell´esecuzione. Così distruggere l´immagine di don Peppino Diana è stata una strategia fondamentale. Don Diana era un camorrista titolò il Corriere di Caserta. Pochi giorni dopo un altro titolo diffamatorio: Don Diana a letto con due donne.
Il messaggio era chiaro: nessuno è veramente schierato contro il sistema. Chi lo fa ha sempre un interesse personale, una bega, una questione privata avvolta nello stesso lerciume. Don Peppino fu difeso da pochi cronisti coraggiosi, da Raffaele Sardo a Conchita Sannino, da Rosaria Capacchione, Gigi Di Fiore, Enzo Palmesano e pochi altri. Ricordarlo oggi - a 15 anni dalla morte - significa quindi aver sconfitto una coltre di persone e gruppi che pretendevano di avere il monopolio sulle informazioni di camorra, in modo da poterle controllare. Ricordarlo è la dimostrazione che anche questa terra può essere raccontata in modo diverso da come è successo per lungo tempo. Come dice Renato Natale, ex sindaco di Casal di Principe e amico di don Peppe, «è sempre complicato accettare l´eroismo di chi ci sta vicino, perché questo sottolineerebbe la nostra ignavia». Don Peppino fu ucciso nel momento in cui Francesco Schiavone Sandokan era latitante, mentre i grandi gruppi dei Casalesi erano in guerra e i grandi affari del cemento e dei rifiuti divenivano le nuove frontiere dei loro imperi. Don Peppino non voleva fare il prete che accompagna le bare dei ragazzi soldato massacrati dicendo «fatevi coraggio» alle madri in nero. A condannarlo fu ciò che aveva scritto e predicato. In chiesa, la domenica, tra le persone, in piazza, tra gli scout, durante i matrimoni. E soprattutto il documento scritto assieme ad altri sacerdoti: «Per amore del mio popolo non tacerò». Distribuì quel documento il giorno di Natale del 1991. Bisognava riformare le anime della terra in cui gli era toccato nascere, cercare di aprire una strada trasversale ai poteri, l´unica in grado di mettere in crisi l´autorità economica e criminale delle famiglie di camorra.
«Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della Camorra. - scriveva - La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone con violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l´imprenditore più temerario, traffici illeciti per l´acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti... ».
La cosa incredibile è che quel prete ucciso, malgrado tutto, continuò a far paura anche da morto. Le fazioni in lotta di Sandokan e di Nunzio di Falco cominciarono a rinfacciarsi reciprocamente la colpa del suo sangue, proponendo di testimoniare la loro estraneità a modo loro: impegnandosi a fare a pezzi i presunti esecutori della banda avversaria. Oltre a cercare di diffamare Don Peppino, dovevano cercare di lanciarsi dei messaggi scritti con la carne, per togliersi di dosso il peso dell´uccisione di quell´uomo. Così come era stato difficile trovare i killer disposti a farlo fuori. Uno si ritirò dicendo che a Casale lo conoscevano in troppi, un altro accettò ma a condizione partecipasse pure un suo amico, come un bambino che non ha il coraggio di fare da solo una bravata. Nel corso della notte prima dell´agguato, uno dei killer tormentati riuscì a convincere un altro a rimpiazzarlo, ma il sostituto, l´unico che non sembrava volersi tirare indietro, era l´esecutore meno adatto. Soffriva di epilessia e dopo aver sparato rischiava cadere a terra in convulsioni, crisi, bava alla bocca. Con questi uomini, con questi mezzi, con queste armi fu ucciso Don Peppino, un uomo che aveva lottato solo con la sua parola e che rivoluzionò il metodo della missione pastorale. Girava per il paese in jeans, non orecchiava le beghe delle famiglie, non disciplinava le scappatelle dei maschi né andava confortando donne tradite. Aveva compreso che non poteva che interessarsi delle dinamiche di potere. Non voleva solo confortare gli afflitti, ma soprattutto affliggere i confortati. Voleva fare chiarezza sulle parole, sui significati, sui perimetri dei valori.
Scrisse: «La camorra chiama "famiglia" un clan organizzato per scopi delittuosi, in cui è legge la fedeltà assoluta, è esclusa qualunque espressione di autonomia, è considerata tradimento, degno di morte, non solo la defezione, ma anche la conversione all´onestà; la camorra usa tutti i mezzi per estendere e consolidare tale tipo di «famiglia», strumentalizzando persino i sacramenti. Per il cristiano, formato alla scuola della Parola di Dio, per "famiglia" si intende soltanto un insieme di persone unite tra loro da una comunione di amore, in cui l´amore è servizio disinteressato e premuroso, in cui il servizio esalta chi lo offre e chi lo riceve. La camorra pretende di avere una sua religiosità, riuscendo, a volte, ad ingannare, oltre che i fedeli, anche sprovveduti o ingenui pastori di anime (...) Non permettere che la funzione di "padrino", nei sacramenti che lo richiedono, sia esercitata da persone di cui non sia notoria l´onestà della vita privata e pubblica e la maturità cristiana. Non ammettere ai sacramenti chiunque tenti di esercitare indebite pressioni in carenza della necessaria iniziazione sacramentale».
Questo è il lascito di Don Peppino Diana, un lascito che ancora oggi resta difficile accogliere e onorare. La speranza è nelle nuove generazioni di figli di immigrati, e nuovi figli di questo meridione, persone che torneranno dalla diaspora dell´emigrazione, emorragia inarrestabile. Il pensiero e il ricordo di Don Peppino sarà per loro quello di un giovane uomo che ha voluto far bene le cose. E si è comportato semplicemente come chi non ha paura e dà battaglia con le armi di cui dispone, di cui possono disporre tutti. E riconosceranno quanto fosse davvero incredibilmente nuova e potente la volontà di porre la parola al centro di una lotta contro i meccanismi di potere. Parole davanti a betoniere e fucili. Realmente, non come metafore. Una parola che è sentinella, testimone, così vera e aderente e lucida che puoi cercare di eliminarla solo ammazzando. E che malgrado tutto è riuscita a sopravvivere. E io a Don Peppino vorrei dedicare quasi una preghiera, una preghiera laica rivolta a qualunque cosa aiuti me e altri a trovare la forza per andare avanti, per non tradire il suo esempio, offrendogli le parole di un rap napoletano. «Dio, non so bene se tu ci sei, né se mai mi aiuterai, so da quale parte stai».

anticlericale
24-04-09, 21:07
Il tabù del pontefice
• da La Repubblica del 18 marzo 2009, pag. 1

di Adriano Prosperi

Basta una parola e l´interesse si accende. Quella parola del papa: preservativo. È la prima volta. E tutto il resto passa in secondo piano. Quella parola riassume la realtà di un intero continente in una immagine che salda rapporti sessuali e malattia. Ma è la consistenza tutta materiale dell´oggetto che colpisce: è come se all´improvviso si incrinasse l´aura di meditazione di quello studio papale dal quale siamo abituati a veder uscire libri e discorsi su temi delicati e materie spirituali. Ma nessuno sull´uso del preservativo.
Si vorrebbe evitare di cadere nella trappola che quella parola mette sul sentiero di una delle rare occasioni che si hanno in Italia di parlare delle realtà e dei problemi dell´Africa. L´Africa, infatti, ci è vicina non solo fisicamente. Il viaggio papale potrebbe richiamare l´attenzione sulla realtà e sui problemi di un continente sulle cui speranze di crescita economica e civile la crisi attuale fa gravare di nuovo lo spettro di barriere protezionistiche negli scambi commerciali e di restrizioni perfino nell´offerta di lavoro nero e più o meno apertamente schiavistico.
Ma la parola che si è affacciata sulla bocca del papa ci ricorda che quel continente ha per gli italiani il volto delle prostitute delle nostre periferie urbane, cioè quello della minaccia dell´Aids. E di associazione in associazione vengono in mente tante cose: i tentativi di qualche ministra di cancellare la vista di quelle donne a suon di circolari, accettando e nascondendo così la realtà della schiavitù femminile fatta di corpi a buon prezzo - perché intanto la prostituzione resta l´unica carta di ingresso valida per le donne, specialmente per quelle africane.
Ma la frase del papa non è certo casuale. Essa anticipa il senso di questo viaggio e gela in partenza ogni speranza di mutamento nelle posizioni ufficiali della Chiesa. Si ribadisce così una condanna ecclesiastica dei contraccettivi che dura da decenni, che ha sollevato dubbi e critiche anche all´interno del mondo cattolico e che continua a indirizzare l´azione dei missionari cattolici opponendoli all´opera di quelle organizzazioni sanitarie internazionali che insistono sulla necessità di combattere l´Aids anche con i preservativi: anche, non solo.
Perché sicuramente il papa ha ragione quando dice che l´epidemia «non si può superare con la distribuzione dei preservativi» e quando chiede cure gratis per i malati di Aids. Ma quell´aggiunta - «anzi, i preservativi aumentano i problemi» - sembra piuttosto discutibile. Non è forse vero che quella barriera meccanica tutela le donne e può impedire la trasmissione del virus dell´Hiv? E dunque perché ostinarsi a proibirne l´uso? Perché non avviare un´educazione sanitaria alla sessualità che, nelle mani delle potenti reti missionarie della Chiesa, inciderebbe rapidamente e profondamente nella realtà di quel mondo?
Abbiamo conosciuto nelle nostre università generazioni di medici cattolici che hanno dato un contributo generoso di lavoro volontario negli ospedali delle missioni, specialmente in Africa. A persone come loro è diretto l´invito papale alla condivisione fraterna, a "soffrire con i sofferenti". Ma che cosa accadrà a chi usa il preservativo?
La durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina brasiliana e i medici che ne hanno salvato la vita facendola abortire non è stata un bell´esempio di condivisione delle sofferenze. Perfino in Vaticano qualcuno ha avuto l´impressione che si sia esagerato: ma forse solo perché la reazione delle coscienze offese è stata immediata e unanime. Di fatto non risulta che quella scomunica sia stata cancellata. Il corpo della donna resta ancora per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile, un condotto di nascite obbligatorie, segnato dal marchio biblico della maternità come sofferenza. L´anima di una bambina brasiliana o di una donna camerunense è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista.

anticlericale
24-04-09, 21:07
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 18 MARZO 2009
Pagina 11 - Esteri

Economia senza etica
La Chiesa e la malattia
In viaggio con papa Ratzinger: "Circondato da amici, altro che solo"
La nostra posizione sulla malattia del secolo non è realistica? No, la Chiesa è la realtà più efficiente in questa lotta
Non annunciamo miracoli, come fanno le sette in Africa, ma la sobrietà e il realismo della fede cristiana

DAL NOSTRO INVIATO
YAOUNDÉ - «Mi fa un po´ ridere il mito della mia solitudine. Sono circondato da amici». Rilassato e sicuro, Benedetto XVI si presenta dinanzi al seguito dei reporter non appena l´aereo ha lasciato Roma in direzione del Camerun e si capisce subito che è pronto ad affrontare il tema, che ha tenuto banco sulla stampa di tutto il mondo. Accanto a lui sta il segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone. Ratzinger respinge decisamente l´immagine di un pontefice isolato nel suo palazzo con una curia che va per conto suo.
Santità, dopo la sua lettera ai vescovi, tutti i media hanno parlato della solitudine del Papa. Davvero si sente solo?
«Non mi sento solo in nessun modo. Per dire la verità mi fa un po´ ridere questo mito. Ogni giorno ricevo i miei collaboratori più stretti, a cominciare dal Segretario di Stato, per gli incontri in agenda. Vedo regolarmente tutti i capi dicastero, e i vescovi per le visite ad limina. Ultimamente ho incontrato tutti i vescovi della Nigeria e poi dell´Algeria. Ci sono state in questi giorni due riunioni plenarie della Congregazione per il Culto e della Congregazione del Clero. Ho anche colloqui con amici, una rete di amicizie, sono venuti dalla Germania anche i miei compagni della prima messa per farci una chiacchierata».
Allora?
«Solitudine niente. Sono realmente circondato da amici, da una stretta collaborazione di vescovi e laici. E sono grato per questo».
Con che sentimenti arriva in Africa?
«Con grande gioia. Ho tanti amici africani fin dai tempi di quando ero professore. Amo la fede gioiosa che si trova in Africa e sono sicuro che ne tornerò contagiato».
Arriva nel pieno di una crisi economica mondiale, che ha riflessi pesanti sui Paesi poveri.
«Non vengo con un programma politico ed economico, per il quale mi mancano le competenze. Vado con un programma religioso, di fede e di morale. Ma penso sia un contributo essenziale ai problemi in atto, perché sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è proprio il deficit di etica nelle strutture economiche. E allora, parlando di Dio e dei grandi valori spirituali che costituiscono la vita cristiana, cerco di dare un contributo per superare la crisi e rinnovare il sistema economico dal di dentro. Naturalmente farò appello anche alla solidarietà internazionale. Anzitutto alla solidarietà cattolica e poi a quella di tutti coloro che avvertono la comune responsabilità per la situazione umana odierna».
Quando lei si rivolge all´Europa, parla spesso di un orizzonte da cui Dio tende a scomparire. In Africa non è così, ma vi è una presenza aggressiva delle sette. Che messaggio intende portare?
«In Africa il problema dell´ateismo classico non esiste. Perché la realtà di Dio è così presente nel cuore degli africani che non credere in Dio o vivere senza Dio non si presenta come una tentazione. E´ vero che ci sono i problemi delle sette, ma noi non annunciamo - come fanno loro - un Vangelo di prosperità. Non annunciamo miracoli come fanno alcuni di loro, ma la sobrietà e il realismo della vita cristiana. Ma questo realismo che annuncia un Dio che si è fatto uomo, che soffre anche con noi e dà senso alla nostra sofferenza, offre un orizzonte più vasto, che ha più futuro. Le sette sono molto instabili, in un primo momento si diffonde l´annuncio della prosperità e delle guarigioni miracolose, ma dopo un po´ di tempo si vede che la vita è difficile e un Dio, che soffre con noi, è più promettente, più vero e rappresenta un aiuto maggiore».
Tra i molti mali che affliggono l´Africa, c´è l´Aids. La posizione della Chiesa cattolica nella lotta contro la malattia spesso viene considerata non realistica e non efficace. Affronterà la questione?
«Io direi il contrario perché la realtà più presente e più efficiente nella lotta contro l´Aids è proprio la Chiesa cattolica. Non si può superare il problema solo con i soldi, che pure sono necessari, ma serve l´anima per utilizzarli. E non si può superare l´Aids con la distribuzione di preservativi: al contrario aumentano il problema».
La soluzione?
«Può essere solo duplice. In primo luogo l´umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovamento spirituale dell´uomo che implichi un nuovo modo di comportarsi nei confronti del proprio corpo e di relazionarsi l´uno verso l´altro. In secondo luogo è necessaria una vera amicizia e disponibilità a fare sacrifici e rinunce personali per stare accanto ai sofferenti. Questi sono i fattori che producono veri progressi. Ed è la giusta risposta della Chiesa, che così offre un contributo grandissimo e importante».
(m. pol.)

anticlericale
24-04-09, 21:07
Abusi sessuali, Turco: il trasferimento del Vescovo di Verona era dovuto visto come ha governato la denuncia sugli abusi sessuali nell'istituto per sordomuti Provolo

Roma, 18 marzo 2009


• Dichiarazione di Maurizio Turco, deputato radicale eletto nelle liste del PD, presidente di anticlericale.net

L'Arena nell'edizione odierna ha dato notizia che Monsignor Zenti, Vescovo di Verona, sarà trasferito ad Udine.

La decisione non sarà sicuramente stata presa perché lo abbiamo chiesto noi né perché il Vescovo è stato denunciato per diffamazione per le parole che ha scagliato contro chi ha reso pubbliche notizie relative ad abusi, anche sessuali, consumate da sacerdoti nei confronti di sordomuti minorenni ospiti dell'Istituto Provolo.

Come abbiamo già avuto modo di dire il trasferimento del Vescovo era necessario perché non è stato in grado di reagire e governare alla notizia degli abusi sessuali.

Chi lo sostituirà, se lo vorrà, avrà tutta la collaborazione necessaria.

anticlericale
24-04-09, 21:07
L'ombra della Chiesa
• da La Repubblica del 19 marzo 2009, pag. 1

di Adriano Sofri

Già dall`alto dei cieli, sull`aereo che lo sta portando al prediletto continente africano, il Papa proclama che l`Aids non si risolve distribuendo preservativi, i quali anzi aggravano il problema. Si può rassegnarsi a che la Chiesa ripeta le sue posizioni assolutiste, in nome della fedeltà ai principi, ma c`è una gamma di sfumature possibili. Di occasioni, di toni. Invece no. Invece vince l`oltranza. E la posizione di sempre della Chiesa, si obietta, è stata del suo predecessore. (L`innovazione, annotano i filologi, sta nel fatto che questa volta il Papa ha pronunciato proprio la parola: preservativo). Ma c`è un di più, una troppa grazia, nell`inaugurare così il pellegrinaggio africano. E non limitandosi a dire che i preservativi non bastano ad affrontare il flagello - certo che non bastano ma che lo aggravano. Dunque additando il peccato e la colpa di chi i preservativi in Africa cerca di distribuirli, e passa così per untore. C`è un`impressione di pazzia che ricorre attorno a queste scelte, e non si capisce come la Chiesa voglia ignorarla, quando non si compiaccia di fomentarla. Di dare scandalo. Erano passati dieci giorni dallo scandalo per la bambina brasiliana. Quale persona ragionevole e di cuore, cattolica o no, credente o no, può voler costringere una bambina di nove anni e di trenta chili a partorire due gemelli, frutto della lunga violenza esercitata su lei da un patrigno che l`aveva in balia? Otto giorni dopo la notizia che la madre della bambina e i medici che l`avevano soccorsa-questo è il verbo: soccorsa - erano stati scomunicati dall`arcivescovo di Recife, e che il Vaticano ne aveva approvato l`operato, otto giorni dopo, un prelato romano ha ritenuto di correggere quel gesto scandaloso. E come l`ha fatto? Dicendo (cito il titolo, testuale, dell`Avvenire): «Scomunica sì, ma serviva misericordia». Una scomunica misericordiosa, questo serviva? «Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la vita innocente della bimba...». Non «prima di pensare alla scomunica», ma «invece di pensare alla scomunica», era urgente. Tuttavia la mezza marcia indietro può essere il modo della Chiesa di fare una marcia indietro intera, e va almeno apprezzata l`insistenza sulla necessità di trattare i singoli casi, perché nella casistica, e in una casistica magari ipocrita ma intelligente, sta l`eventualità che la Chiesa di oggi riapra l`occhio della misericordia. Resta il fatto che il tentativo di restituire alla Chiesa un`aura di sensibilità ha impiegato otto giorni, e nel frattempo si erano sguinzagliati i cani arrabbiati, e non è poi facile richiamarli a cuccia. La dottoressa Fatima Maia è la direttrice del Centro sanitario in cui la bambina brasiliana ha potuto abortire, è cattolica, e ha avuto anche lei il tempo di riflettere, e poi ha dichiarato: «Grazie a Dio, mi trovo fra quelli che sono stati scomunicati». Lo ripeto, senza nessun compiacimento: un`impressione di non leggera follia. C`è un`esasperazione attorno a questo Papa e alla sua Chiesa. E non si tratta solo delle persone, di quelli che sanno immaginare di essere il padre o la madre della bambina di Recife, e di quelli così bravi e infelici da saper immaginare di essere quella bambina. E di essere un bambino o una bambina, una donna o un uomo della prediletta Africa. Ieri sono piovute le proteste secche di una serie di cancellerie. Non della pregiudicata Spagna di Zapatero, ma della Germania di Ulla Schmidt e di Angela Merkel e della Francia di Kouchner e Sarkozy, e della stessa Unione Europea. L`Unione Europea, gli impettiti e maturi rappresentanti di un continente fortunato costretti a ribadire che la diffusione del preservativo serve a salvare vite umane, in Africa e dovunque. Questo non succedeva con "l`altro Papa", benché anche lui, papa Wojtyla, fosse così rigido in ciò che tocca la sessualità. Non c`entra solo la diversa personalità dei due uomini. C`entra il tramonto di quella che si può chiamare l’eccezione cattolica": una specie di accordo, metà rassegnato metà cortese, sulla bizzarria per la quale la Chiesa cattolica si riserva delle licenze paradossali per tutto ciò che riguarda il sesso, e di lì in poi si può averci a che fare. È questo che tanti uomini di Chiesa (compreso quell`arcivescovo di Recife) chiamano il primato della legge di Dio sulla legge degli uomini. Legge di Dio è quello che attiene alla sessualità. Attenzione: alla sessualità, e non alla "vita". Non si spiegherebbe seno la tiepidezza con la quale la Chiesa ha maneggiato la questione della pena di morte. Ma la sessualità non è più, ammesso che lo sia stata mai - come pretendeva un`epoca in cui i panni sporchi si lavavano in famiglia, e all`orecchio del confessore - un terreno riservato e appartato. Il Papa può proclamare, sempre dall`alto di quel cielo, che la soluzione stia nell`”umanizzare la sessualità, cioè innovare il modo di comportarsi verso il proprio corpo": ma questo vuol dire ignorare il problema presente e urgente, e sabotarne i rimedi parziali ma essenziali, com`è l`educazione all` uso del preservativo e la sua distribuzione. Specialisti papisti dichiarano che l`uso del preservativo è dannoso perché induce a una fallace sicurezza, e che dietro la sua promozione stanno le ingorde multinazionali produttrici. Balle: al complottismo dell`affarismo profilattico si risponda piuttosto rivendicando la gratuità, e il rischio residuo dell`uso del preservativo è incomparabile con il disastro dei rapporti non protetti, salvo che si finga di credere che davvero la gente smetta i rapporti sessuali, e lo faccia per giunta in misura e tempo utili a fronteggiare l`epidemia. Con una simile logica, se finalmente esistesse un vaccino anti hiv, bisognerebbe vietarne la diffusione. Che sensazione di non lieve follia. Il Papa ha lodato la gratuità delle cure, e ci mancherebbe altro. Ma a condizione che si affronti la riproduzione allargata di malati da curare, gratis o no. Le impazienti reazioni di governi e istituzioni internazionali, che vedono offesa la ragionevolezza e sabotata la fatica di tanti professionisti e volontari, restituiscono il Vaticano alla sua misura terrena e alla sua responsabilità diplomatica, senza eccezione. Una stupidaggine è tale, anche se venga pronunciata da un Papa, e in nome di un Dio. Oltretutto in questa circostanza il Papa ha a che fare solo con se stesso: non con una Curia intrigante, non con una qualche solitudine, non con «un difetto - anche lui! - di comunicazione». E l`Italia? Il suo ministro degli Esteri ha spiegato che lui non commenta le parole del Papa. L`Italia è extraterritoriale. Per l`Italia, di gran parte del centrodestra e di una mortificante parte del centrosinistra, l`eccezione cattolica resta in pieno vigore. C`è una divisione del lavoro: alla Chiesa competono la nascita e la morte, più alcune cerimonie dell`intermezzo - i matrimoni, essenzialmente - alla maggioranza politica l`intermezzo vero e proprio, la vita, cioè, se non dolce, ottimista. La pietà dei credenti viene stirata tormentosamente. Muore Piergiorgio Welby e gli viene rifiutato il funerale. Quando si tratta di Eluana, i rifiutatori proclamano che «Welby era un`altra cosa». Lo vedemmo, che altra cosa era. Quando si tratta di Eluana, si grida all`omicidio. Per vendicarsene, una maggioranza pagana e sanfedista cambia il nome delle cose e confisca i corpi dei sudditi. Lasciando libertà di coscienza: graziosa espressione, che vuol dire chela coscienza è revocabile, e che la sua libertà è una cosa da "lasciare". Coscienze in deposito, oggetti smarriti. Può darsi chela gerarchia cattolica italiana sia contenta così: contenta di galvanizzare le sue schiere militanti, e di mettere a tacere i suoi fedeli dissidenti e amareggiati. Che addirittura questa faziosità le sembri una bella ed evangelica intransigenza. Non è escluso, dato che anche dalla parte opposta, di quella che si prende per sinistra, ci sono campionari simili. Ma che futuro verrà da un tal presente? L`eccezione cattolica accompagna come un`ombra la storia italiana, e in certe ore si allunga fino a inghiottirla. Ogni volta di nuovo i cittadini laici-credenti o no, davvero non è il discrimine-si chiedono se il saldo fra il dare e l`avere della presenza cattolica nella società italiana sia in fondo positivo o negativo. Se bisogni augurarsi di ridurla allo stremo, quella presenza, per diventare un paese un po` più normale, a costo di perdere tanta carità e solidarietà e premura per la vita indifesa, o se si ritenga ancora che quella presenza faccia argine al peggio, al razzismo, al cinismo, all`esclusione. Finora, la gran parte dei laici ha creduto, o almeno confidato e scommesso, sul secondo corno del dilemma. Anche i mangiapreti. Marco Pannella e i suoi andavano a piazza San Pietro per dare forza alla battaglia contro la fame nel mondo, o contro la violenza delle carceri. Oggi molte persone laiche - non saprei dire quante, ma molte - credenti o no, sono offese e respinte da una durezza della Chiesa che a volte sembra ottusità, a volte cattiveria, e ci vedono una malattia inguaribile della società italiana. A chi può far piacere?

anticlericale
24-04-09, 21:08
La Chiesa immobile
• da La Stampa del 19 marzo 2009, pag. 1

di Franco Garelli


C’era da aspettarselo che il viaggio del Papa in Africa incontrasse la mina vagante degli strumenti con cui far fronte al flagello dell’Aids. Le parole di Benedetto XVI che l’Aids non si risolve con la pubblicità e la distribuzione dei preservativi, e che al contrario questi aggravano il problema, hanno innescato una polemica internazionale senza precedenti. Con i governi di Francia e di Germania che guidano l’indignazione.
Da Parigi, il ministero degli Esteri ha espresso grandissima preoccupazione per le conseguenze che le parole del Papa possono avere sulla lotta contro l’Aids; mentre da Berlino, il ministro che si occupa di salute, cooperazione e sviluppo osserva caustico che «i preservativi salvano la vita, tanto in Europa come in altri continenti». Poco ci manca che i due governi convochino i rispettivi nunzi apostolici della Santa Sede per avanzare formale protesta!
A ben guardare, la posizione del Papa sulla questione ha le sue buone ragioni, quando ricorda a tutto il mondo che il condom non è la soluzione del problema dell’Aids. La Chiesa prende le distanze da quanti pensano che la diffusione dei preservativi sia la via migliore per far fronte a questo dramma umano e sociale. Si tratta di una soluzione tecnica o meccanica di un problema che ha radici ben più profonde, che si contrasta dunque soprattutto con l’educazione a una sessualità responsabile, con politiche di sostegno della famiglia e del matrimonio, con la ricerca di cure efficaci accessibili al maggior numero di persone e con l’assistenza umana e spirituale dei malati. Non si tratta solo di richiami ideali, ma di direttive che ispirano il modo in cui la Chiesa lotta (non soltanto nel continente nero) contro un’epidemia come l’Aids.
Oltre a ciò, il pensiero dell’entourage del Papa sul tema sembra almeno implicitamente accennare a un altro aspetto critico. Il fatto cioè che quello del profilattico è un metodo molto occidentale per evitare di contrarre l’Hiv, che può quindi non essere adeguato a società e contesti che per cultura o tradizione non ne comprendono o ne ostacolano l’uso. Si tratta di una riserva avanzata anche da vari ricercatori (sia di matrice cattolica che laica), che quindi almeno indirettamente condividono l’idea di Benedetto XVI che il preservativo non serve a prevenire l’Aids in Africa.
Non stupisce dunque che il Pontefice ribadisca ancora una volta il pensiero che da sempre la Chiesa coltiva in tema di sessualità, con le sue chiusure sull’uso del condom, con i suoi richiami ai principi etici fondamentali. In questo caso si tratta di posizioni ancora riconducibili all’enciclica Humanae Vitae, emanata 40 anni fa da Paolo VI e in tempi più recenti ribadite da Giovanni Paolo II. Il pensiero di Ratzinger quindi si colloca nel solco di una tradizione consolidata, che egli condivide con i suoi predecessori. Tuttavia, ciò che sorprende da un lato è questa immobilità di pensiero della Chiesa che si trascina nel tempo, e dall’altro il fatto che essa sia stata riproposta in modo esplicito nel momento stesso in cui il Pontefice ha iniziato il suo viaggio in Africa.
La morale cristiana richiede certamente una forte fedeltà ai principi, ai valori «irrinunciabili». Tuttavia prevede anche che il richiamo ai valori ultimi sia mediato in rapporto alle situazioni concrete di vita, anche orientandosi in determinate circostanze a scegliere il male minore, soprattutto quando si è di fronte a fenomeni (come quello dell’Aids) carichi di conseguenze molto gravi non soltanto per chi ha contratto la malattia, ma anche per i figli e le generazioni future che non hanno responsabilità alcuna. Oltre a ciò, l’azione preventiva (fatta di educazione, politiche per la famiglia, ecc.) che la Chiesa propone per combattere l’Aids è senza dubbio fondamentale, ma ha tempi così lunghi di attuazione e incontra difficoltà tali da lasciare irrisolti molti problemi sul tappeto.
Resta da chiedersi come mai alcuni stati europei (e da ultimo anche l’Unione Europea) abbiano reagito con tale veemenza a queste prime parole del Papa in terra d’Africa. Da tempo c’è un clima di fibrillazione nei rapporti tra la Santa Sede e alcune nazioni d’Europa, per la discordante valutazione di fatti e eventi che hanno implicazioni globali. Il no di Benedetto XVI ai preservativi non è stato contestato dal «laicista» Zapatero, ma da due governi che - pur di matrici diverse - sono attenti al ruolo del Papa nel mondo; uno quello francese che ha ormai sposato l’idea della laicità positiva, l’altro, quello tedesco, che riflette una nazione impregnata di valori cristiani. Entrambi sembrano chiedere al Pontefice di essere più attento alle implicazioni politiche delle sue prese di posizione, per evitare che si interrompano processi che - pur limitati - contribuiscono ad attenuare i mali del mondo. In questo contesto, è curioso rilevare la totale assenza di reazione del governo e dei leader politici italiani, forse per eccesso di furbizia o di equilibrio.

anticlericale
24-04-09, 21:08
Le relazioni pericolose di Ratzinger
• da Il Manifesto del 20 marzo 2009, pag. 176

di Filippo Gentiloni

Che cosa sta succedendo nel cattolicesimo? Ce lo chiediamo da qualche tempo, ma l`interrogativo si è riproposto con forza in questi giorni, dopo le dichiarazioni pontificie sul preservativo. Un coro di critiche molto dure. Proprio quel tipo di critiche che i palazzi vaticani facevano di tutto per evitare. E ci riuscivano, fino a ieri. Oggi non più. Che cosa è successo? I fatti sono sotto gli occhi di tutti. Una rigidità che si è manifestata già nel caso Englaro e poi in una serie di polemiche prese di posizione. Il testamento biologico, ancora l`aborto, i lefebvriani anche se negazionisti, l`aids e il preservativo. I palazzi si irrigidiscono, non curanti sia delle reazioni esterne sia di quelle interne tutt`altro che irrilevanti o insignificanti. Come mai? Sembra che in Vaticano si stia voltando pagina. La pagina da chiudere sembra essere quella del Concilio Vaticano II. Anche se non lo si dice, il tempo del Concilio sembra finito. Era stato il tempo delle aperture. Aperture alla società moderna e insieme alla storia e alle altre forme di cristianesimo e alle altre religioni. Era apparso a molti - o a pochi - un tempo felice. Oggi nei vertici cattolici prevale l`impressione di un pericolo, la necessità di tornare indietro, all`epoca di alcune sicurezze e garanzie. Due gli aspetti del rischio, intrecciati insieme. Li possiamo rintracciare con relativa facilità negli interventi dello stesso pontefice. Il rischio - la paura del privato e del relativo. Il grande spauracchio di un cattolicesimo ridotto, come si suol dire, alla sacrestia e alla camera da letto. Una religione vissuta non nel pubblico, nella società, ma soltanto in un`etica privata e in chiesa. E contro questo pericolo che combatte il cattolicesimo di Ratzinger; è con questo spirito che si possono applaudire tutte le prime pagine, anche se critiche. Se non se ne parla in pubblico, la religione non esiste, muore. La religione ha bisogno di farsi conoscere se vuole, appunto, «salvare». Salvare dalle immoralità ma anche dalle incertezze, dal vuoto, da quell`ombra nella quale «tutte le famose vacche sono grigie». Contro il privato e il relativo la chiesa di Ratzinger combatte la sua battaglia: la presenza in prima pagina la rende vittoriosa, anche se impopolare. E anche se questa battaglia contro il privato e il relativo trova la chiesa cattolica - meglio, i suoi vertici - alleata di una certa parte della società e della cultura. Una parte soltanto, quella che siamo soliti chiamare di destra. Sicurezza, ordine, disciplina, statu quo. Ieri Berlusconi si è schierato contro Germania, Francia e Unione europea e dalla parte del papa, che aveva dichiarato durante il suo viaggio africano di considerare il preservativo inefficace nella lotta all`Aids. «Ciascuno svolge la sua missione ha detto il presidente del consiglio - ed è coerente con il suo ruolo». E questo mentre anche d`oltreoceano arrivavano dure critiche: «Appare irresponsabile darla colpa ai preservativi di far peggiorare l`epidemia», è il giudizio` del New York Times. Ne risulta così una chiesa rigidamente alleata del potere politico che la applaude, la difende, spesso la rifornisce di mezzi. Anche se «il regno di Dio» è altra cosa.

anticlericale
24-04-09, 21:09
"La Stampa", 22 Marzo 2009, pag. 1

Barbara Spinelli


IL SILENZIO CHE MANCA IN VATICANO

C’è forse una parte di verità in quello che si dice delle ultime parole e azioni di Benedetto XVI: comunicare quel che pensa gli è particolarmente difficile. Sempre s’impantana, mal aiutato da chi lo circonda. Sempre è in agguato il passo falso, precipitoso, mal capito. Il pontefice stesso, nella lettera scritta ai vescovi dopo aver revocato la scomunica ai lefebvriani, enumera gli errori di gestione sfociati in disavventura imprevedibile. Confessa di non aver saputo nulla delle opinioni del vescovo Williamson sulla Shoah («Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l'Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema»). Ammette che portata e limiti della riconciliazione con gli scismatici «non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro». Poi tuttavia sono venuti altri gesti, e l’errore di gestione non basta più a spiegare. È venuta la scomunica ai medici che hanno fatto abortire una bambina in Brasile, stuprata e minacciata mortalmente perché gravida a 9 anni. La scomunica, che colpisce anche la madre, è stata pronunciata da Don Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife: il Vaticano l’ha approvata. Infine è venuta la frase del Papa sui profilattici, detta sull’aereo che lo portava in Africa: profilattici giudicati non solo insufficienti a proteggere dall’Aids - una verità evidente - ma perfino nocivi.

C’è chi comincia a vedere patologie. Una quasi follia, dicono alcuni. L’ex premier francese Juppé parla di autismo.
Sono spiegazioni che non aiutano a capire. C’è del metodo in questa follia. C’è il riaffiorare possente di un conservatorismo che ha seguaci e non è autistico. Sono più vicini al vero coloro che stanno tentando di resuscitare il Concilio Vaticano II, nel cinquantesimo anniversario del suo annuncio, e vedono nella disavventura papale qualcosa di più profondo: l’associazione Il Nostro 58, sorretta da Luigi Pedrazzi a Bologna, considera ad esempio la presente tempesta una prova spirituale. Una prova per il Papa, per i cattolici, per la pòlis laica: l’occasione che riesumerà lo spirito conciliare o lo seppellirà. Non si è mai parlato tanto di Concilio come in queste settimane che sembrano svuotarlo. Le figure di Giovanni XXIII e Paolo VI risaltano più che mai. Chi legga l’ultimo libro di Alberto Melloni sul Papa buono capirà più profondamente quel che successe allora, che succede oggi. Capirà che quello straordinario Concilio è appena cominciato, e avversato oggi come allora. Quando Papa Roncalli lo annunciò, il 25 gennaio ’58 nella basilica di San Paolo, solo 24 cardinali su 74 aderirono (7 nella curia). Inutile invocare un Concilio Vaticano III se il secondo è ai primordi.
Eppure son tante le parole papali che contraddicono errori, avventatezze. Il filosofo Giovanni Reale sul Corriere della Sera ne ricorda una: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Enciclica sull'Amore). Se in principio non c’è un dogma ideologico diventa inspiegabile la durezza vaticana sul fine vita, conclude Reale. Diventa inspiegabile anche la chiusura su profilattici e controllo delle nascite in Africa, dove Aids e sovrappopolazione sono flagelli.
In realtà il Papa sostiene, nella lettera ai vescovi, che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento». È un annuncio singolare, perché chi certifica la catastrofe? E il certificatore non tenderà a un potere fine a se stesso? Se Dio davvero scompare, tanto più indispensabile è l’autorità del suo vicario: una tentazione non del Papa forse - che nell’orizzonte nuovo pareva credere - ma di parte della Chiesa. L’auctoritas diventa più importante dell’incontro con Gesù: urge affermarla a ogni costo. Così come più importante diventa la gerarchia, rigida, astratta, dei valori. In un orizzonte vuoto non restano che astrazione e potere. L’arcivescovo brasiliano afferma il monopolio sui valori, innanzitutto: «La legge di Dio è superiore a quella degli uomini»; «L’aborto è molto più grave dello stupro. In un caso la vittima è adulta, nell’altro un innocente indifeso». E si è felicitato degli elogi del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Né Sobrinho né Re vedono l’uomo: né l’uno né l’altro vedono che la bambina ingravidata non è adulta.
Non vedono l’essere umano, il legno storto di cui è fatto: proprio quello che invece vide Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio. Melloni ricorda l’ultima pagina del Giornale dell’Anima di Roncalli, scritta il 24 maggio ’63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (...) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Comprenderlo meglio era «riconoscere i segni dei tempi». O come dice Melloni: indagare l’oggi. Vedere nell’uomo in quanto tale il vangelo che parla alla Chiesa, e «non semplicemente il destinatario del messaggio, o il protagonista di un rifiuto, ovvero - peggio ancora - il mendicante ferito di un “senso” di cui la Chiesa sarebbe custode indenne e necessariamente arrogante» (Papa Giovanni, Einaudi, 2009).
Questi mesi erranti e maldestri sono una prova perché gran parte della Chiesa non pensa come il Papa: dà il primato alla libertà, alla coscienza, sul dogma. Indaga l’oggi, specie dove l’uomo è pericolante come in Africa o nelle periferie occidentali. Ricordiamo Suor Emmanuelle, che a 63 anni decise di vivere con gli straccivendoli nei suburbi del Cairo, e un giorno scrisse una lettera a Giovanni Paolo II in cui illustrò la necessità delle pillole per bambine continuamente ingravidate. Lo narra in un libro scritto prima di morire (J'ai 100 ans et je voudrais vous dire, Plon). Distribuiva profilattici senza teorizzare su di essi.
Giovanni Paolo II non rispose alla lettera. La sintonia con Ratzinger era forte. Ma il silenzio ha un pregio inestimabile, è un’apertura infinita all’umano. Suor Emmanuelle gli fu grata: disse che il suo silenzio era un balsamo. È il silenzio che oggi manca in Vaticano. Il silenzio che pensa, ha sete di sapienza, ascolta. Che non vede orizzonti vuoti. Il Vangelo è sempre lì, va solo compreso meglio. Contiene una verità che sempre riaffiora, quella detta da Gesù a Nicodemo: «Lo spirito soffia dove vuole. Ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Giovanni 3,8). Soffia come il fato delle tragedie greche: innalzando gli impotenti, spezzando l’illusione della forza. Chi fa silenzio o è solitario lo lascia soffiare, afferrato dal mistero. In Africa, il Papa ha accennato al «mito» della sua solitudine, dicendo che «gli viene da ridere», visto che ha tanti amici. Perché questo ridere? Come capire il dolore umano, senza solitudine? Cosa resta, se non l’ammirazione della forza (la forza numerica dei lefebvriani, evocata nella lettera del 12 marzo) e l’oblio di chi, impotente, incorre nell’anatema come il padre di Eluana, la madre della bambina brasiliana, i malati che si difendono come possono dall’Aids?
Per questo quel che vive il Papa è prova e occasione. Prova per chi tuttora paventa gli aggiornamenti giovannei, e sembra voler affrettare la fine della Chiesa per rifarne una più pura. Prova per chi difende il Concilio come rottura e riscoperta di antichissima tradizione. La tradizione del rinascere dall’alto, dello spirito che soffia dove vuole: vicino a chi crede nei modi più diversi.

anticlericale
24-04-09, 21:10
"La Repubbllica", MARTEDÌ, 24 MARZO 2009
Pagina 10 - Interni

"Il Papa è stato deriso e offeso": vescovi al contrattacco sull´Aids
"Subito la legge sul biotestamento, basta tentennare"

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - Una legge sul testamento biologico che - «senza lungaggini o strumentali tentennamenti» - eviti «almeno» il ripetersi di nuovi casi Englaro. Ma, soprattutto, una ampia ed appassionata difesa del Papa dagli «attacchi pretestuosi, discutibili e insolenti» di quanti - nei media e persino in ambito ecclesiale - lo hanno «irriso» per aver sostenuto che il preservativo è «inutile» per la lotta all´Aids e per aver tolto la scomunica al vescovo negazionista Williamson.
Difesa a tutto campo del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, per papa Ratzinger e per le opzioni morali cattoliche, aprendo - ieri pomeriggio - il Consiglio permanente Cei, il «governo» vescovile della Chiesa italiana. Il porporato parla, brevemente, anche dell´attuale recessione economica per la quale invita «le istituzioni» a varare provvedimenti in difesa dei soggetti più deboli, «in particolare le famiglie in difficoltà, i disoccupati, i giovani». Vero e proprio «allarme sociale» contro il quale chiede che le diocesi italiane varino «fondi di garanzia per aiutare i nuclei familiari bisognosi». Una proposta subito definita «importantissima» dal segretario del Pd Enrico Franceschini, che parla di «segno di concretezza e di grande consapevolezza della crisi da parte della Chiesa».
Durissimo il riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, che il cardinale inquadra in una sorta di lotta tra «chi ha nella vita il bene più grande di Dio» e chi, invece, pensa che l´esistenza sia solo frutto di «casuale» evoluzionismo. «Benchè quella povera ragazza non fosse attaccata ad alcuna macchina, s´è voluto decretare - accusa Bagnasco - che a certe condizioni poteva morire... contraddicendo una intera civiltà basata sul rispetto incondizionato della vita umana e smentendo un lungo processo storico che ci aveva portato ad affermare l´indisponibilità di qualunque esistenza, non solo a fronte di soprusi o violenze, ma anche di fronte a condanne penali quali la pena di morte». Si è messo, così, in moto «una operazione tesa ad affermare un �diritto´ di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire, cioè a darsi la morte in talune situazioni da definire». Nell´invitare a pregare per l´anima di Eluana e per «il dolore dei parenti», il cardinale si augura che «almeno ora la politica sappia fare la sua parte, varando un inequivoco dispositivo di legge che, in seguito al pronunciamento della Cassazione, preservi il Paese da altre analoghe avventure, favorendo le cure palliative per i malati e l´aiuto alle famiglie attraverso le Regioni».
Altrettanto severo il richiamo al caso Williamson, una vicenda che, lamenta il porporato, «si è prolungata oltre ogni buon senso», a causa di «un lavorìo di critica dall´Italia e soprattutto dall´estero nei riguardi del nostro amatissimo Papa». Con la stessa determinazione Bagnasco respinge gli attacchi a cui è stato sottoposto Benedetto XVI all´inizio del viaggio africano - concluso proprio ieri dopo la visita in Angola - , un pellegrinaggio che «fin dall´inizio è stato sovrastato nell´attenzione degli occidentali da una polemica, sui preservativi, che francamente non aveva ragione d´essere. Non a caso sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse... ».

anticlericale
24-04-09, 21:10
Sit-in radicale davanti a San Pietro: condom pro life
• da L'Unità del 24 marzo 2009, pag. 16

Ceri rossi accesi sui lastroni di pietra di piazza Pio XII, proprio di fronte a San Pietro, al limite fra i due Stati, tanti fotografi e tante televisioni italiane e straniere, per un gruppo piccolo di radicali e di associazioni laiche. Venuti a testimoniare, alcuni sulla sedia a rotelle, come Sergio Stanzani, l`amore e il rispetto della vita da parte di chi usa il condom. «Pro Life? Condom» dice uno dei cartelli del sit in indetto per ricordare i milioni di morti di Aids e per protestare contro le parole del Papa contro l`uso del preservativo. Aidos, l`associazione donne per lo sviluppo, ricorda che il preservativo evita anche l`aborto. 79.000 sono le morti provocate da aborti clandestini e in condizioni non sicure ogni anno (dati Unfpa). Il 97% dei quali avviene nei paesi in via di sviluppo.

anticlericale
24-04-09, 21:10
La Rai "laicista" che turba i sonni dei cardinali
• da La Stampa del 25 marzo 2009, pag. 11

di Giacomo Galeazzi

Malcontento della Santa Sede per la Rai affidata al ticket laico Garimberti-Masi che ieri ha ricevuto il «via libera» del premier Berlusconi (oggi è prevista l’investitura formale all’assemblea dei soci e giovedì quella della commissione di Vigilanza). Dopo le rassicurazioni di Palazzo Chigi su una presidenza e una direzione generale «attente alla sensibilità cattolica», la fumata bianca a viale Mazzini ha provocato stupore e insoddisfazione in Curia, dove si era puntato tutto su una «figura di garanzia» come Lorenza Lei, ex responsabile di Rai Giubileo da tempo in lizza per la direzione o la vice con deleghe «pesanti». Secondo quanto si apprende in Vaticano, nei contatti intercorsi fino a pochi giorni fa il governo aveva garantito nei Sacri Palazzi che dal confronto con l’opposizione sarebbero usciti candidati (come Enzo Cheli, Pier Luigi Celli, Marcello Sorgi) verso i quali non erano stati mossi da Oltretevere rilievi critici. Se ne sarebbe parlato anche due settimane fa, in via riservata e fuori dall’ufficialità del protocollo, in una cena a Villa Giorgina Levi, sede della nunziatura apostolica in Italia. In quella e in altre occasioni, alla sollecitudine manifestata da esponenti vaticani di primo piano per una televisione centrata sui «valori non negoziabili» hanno fatto riscontro le garanzie dell’esecutivo riguardo «un gruppo dirigente della Rai vicino alle istanze del mondo cattolico». Poi lunedì, a poche ore dalla conclusione del viaggio papale in Africa e mentre il presidente della Cei Angelo Bagnasco lamentava l’attacco dei mass media al Pontefice «irriso e offeso», è arrivata la sgradita sorpresa sulla Rai. Da tempo nei Sacri Palazzi la «piega laicista» del servizio pubblico veniva paventata e tenuta d’occhio nel momento di transizione delle nomine e si caldeggiava velatamente che la scelta cadesse su figure di segno diverso da quelle poi effettivamente emerse. In Vaticano, per valorizzazione della funzione formativa della tv pubblica si intendono nomi diversi da quelli - viene fatto notare - che ieri sono stati lungamente lodati nelle trasmissioni di Radio Radicale. E non è sfuggito Oltretevere il recente affondo anti-Vaticano del laicissimo editorialista Paolo Garimberti, di antiche simpatie repubblicane, nella sua rubrica sul «Venerdì di Repubblica».
Il presidente «in pectore» della Rai, il 20 febbraio, ha stigmatizzato «la mancata diretta sui canali generalisti di tutta la cerimonia del giuramento di Obama». Con una domanda che ora suona quasi come un proclama di battaglia e una sterzata laica all’azienda di viale Mazzini: «Perché per i funerali di Giovanni Paolo II si fa la diretta e per il giuramento di Obama no? Forse perché il Vaticano fa i palinsesti della nostra tv pubblica (e della sua informazione) e la Casa Bianca no?». Diversamente, invece, la pensa il presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli che loda il lavoro fatto da Letta e Franceschini, sostenendo che «la politica esce rinfrancata nei suoi doveri e nella qualità».
Di fatto, però, il Vaticano non ci sta ritenendo la salvaguardia dei principi cattolici nella comunicazione una priorità per la Santa Sede, e specialmente in un momento così delicato («alla distorsione delle parole del porporato si accompagnano le strumentalizzazioni fatte delle parole del Papa», condanna il giornale vaticano) la funzione della Rai diventa centrale per la Chiesa. Contemporaneamente all’altolà dell’Osservatore, al Sir, il cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato Cei per il progetto culturale, lancia l’allarme per l’«emergenza educativa» di fronte alla quale la Chiesa deve «modificare il clima culturale», ma «senza lasciare ad altri la bandiera, e soprattutto la sostanza, della libertà». In tutto ciò l’importanza della Rai è fondamentale. «La televisione di Stato ha un ruolo particolare nella tutela del patrimonio di valori cristiani dell’Italia e non è indifferente se a guidarla siano personalità esterne a questa sensibilità», evidenzia don Franco Lever, decano della Facoltà di scienze della comunicazione sociale della Pontificia Università Salesiana. Rincara la dose il teologo Gianni Gennari, rubrichista storico di «Avvenire», il quotidiano della Cei: «In Italia la principale centrale culturale è controllata dai partiti e quindi la Chiesa non riesce a difendere nomi ad essa vicina. Ora c’è da temere l’estensione sul resto dei palinsesti di programmi a senso unico come quelli di Fazio e Augias. In Rai il presidente è come il leone della “Fattoria degli animali” di Orwell. Regna ma non governa. Il problema è la direzione generale, lì è il potere vero».
Voci? Chissà, ma di certo in questi giorni di trattative sulla Rai, anche un filo d’aria può somigliare ad un tifone. E così, nella «sfida» tra tv anche Sky si fa avanti in cerca di pezzi pregiati. E tra questi ce ne sono almeno due: Giovanni Minoli, direttore di Raieducazione, «papà» di Mixer ed ideatore della “Storia siamo noi”, e Carlo Freccero, direttore di Raisat e, soprattutto, specialista e sperimentatori di format televisivi nuovi, capaci di attrarre pubblico, e perché no, anche abbonati. Insomma, Sky si fa avanti e dopo numerosi artisti assoldati: da Fiorello a Panariello, passando per Lorella Cuccarini ora mette gli occhi sui gioielli della tv pubblica per qualificare ancor più e meglio il prodotto della tv generalista. Certo, per ora, assicurano, non sembra ci sia nulla di definito ma è chiaro che la televisione di Rupert Murdoch, da qualche mese a questa parte, non poche attenzioni sta destando tra artisti, producer ma anche tra i più noti e qualificati autori italiani. Da casa Minoli, ovviamente, non trapela nulla così come da parte di Sky che tra i corridoi di via salaria fa solo osservare, però, che con Carlo Freccero i rapporti ci sono ma riguardano meramente i programmi di Raisat che vanno in esclusiva proprio sulla piattaforma di Sky.

anticlericale
24-04-09, 21:11
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 25 MARZO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

Biotestamento e preservativo: gli italiani bocciano il Papa

ILVO DIAMANTI
Da tempo le posizioni della Chiesa e del Pontefice non provocavano tanto dibattito. Divisioni profonde. Al di là delle stesse intenzioni del Vaticano. Lo prova la reazione del cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Cei, alle polemiche sollevate dall´affermazione del Papa, durante la visita in Africa, circa l´inutilità del preservativo nella lotta contro l´Aids. Il risentimento del cardinale, peraltro, sembra rivolgersi soprattutto verso la Francia, il cui governo ha ribadito ieri le proprie critiche. Marc Lazar, d´altra parte, sulla Repubblica, ha posto l´accento sulla timidezza, quasi l´imbarazzo dei commenti politici in Italia su questi argomenti. Non solo nel centrodestra, anche nel centrosinistra. Peraltro, in Italia, più che in Francia e negli altri paesi europei, il rapporto con la Chiesa e con l´identità cattolica è importante. Ma anche ambivalente.

In ambito politico ma prima ancora nella società, come emerge dagli orientamenti verso le questioni etiche e bioetiche più discusse. A partire dalla più recente: l´affermazione del Papa sull´uso del preservativo. Trova d´accordo una minoranza ridotta di persone, in Italia. Circa 2 su 10, secondo un sondaggio di Demos, condotto nei giorni scorsi. Che salgono a 3 fra i cattolici praticanti più assidui. La posizione politica non modifica questa opinione in modo sostanziale. Il disaccordo con il Papa, in questo caso, resta largo, da sinistra a destra. D´altra parte, lo stesso orientamento emerge su altri argomenti "eticamente sensibili". Circa 8 italiani su 10 ritengono giusto riconoscere alle persone il diritto di scrivere il proprio "testamento biologico", altrettanti si dicono favorevoli alla fecondazione assistita, 6 su 10 sono contrari a rivedere in senso restrittivo l´attuale legge sull´aborto. Pochi meno, infine, sono d´accordo a riconoscere alle coppie di fatto gli stessi diritti di quelle sposate. Con la parziale eccezione delle coppie di fatto, le posizioni dei cattolici praticanti, anche in questi casi, non divergono da quelle prevalenti nella società. Mentre le opinioni dei praticanti saltuari, la grande maggioranza della popolazione, coincidono con la "media sociale". Ciò potrebbe rafforzare il dubbio sulle ragioni che ispirano la timidezza delle forze politiche in Italia, visto che gran parte dei cittadini, compresi i cattolici, mostrano distacco e perfino dissenso verso le indicazioni della Chiesa. Tuttavia, occorre considerare un altro aspetto, altrettanto significativo e in apparenza contrastante. In Italia, nonostante tutto, la grande maggioranza dei cittadini - quasi il 60% - continua ad esprimere fiducia nella Chiesa. Non solo: il giudizio su Papa Benedetto XVI non è cambiato, in questa fase. Il 55% delle persone mostra fiducia nei suoi confronti. Qualcosa di più rispetto a un anno fa. Il che ripropone il contrappunto emerso in altre occasioni. Gli italiani, cioè, continuano a fidarsi della Chiesa, dei sacerdoti, delle gerarchie vaticane. Ne ascoltano le indicazioni e i messaggi. Anche se poi pensano e agiscono di testa propria. In modo diverso e spesso divergente. Si è parlato, al proposito, di una religiosità prêtàporter. Di un "dio relativo". Interpretato e usato su misura. Ma si tratta di un giudizio riduttivo. Il fatto è che la Chiesa, il Papa intervengono sui temi sensibili dell´etica pubblica e privata in modo aperto e diretto. Offrono risposte magari discutibili e spesso discusse. Contestate da sinistra, sui temi della bioetica. Ma, in altri casi, come sulla pace e sull´immigrazione, anche da destra. Tuttavia, offrono "certezze" a una società insicura. Alla ricerca di riferimenti e di valori. Per questo quasi 8 italiani su 10, tra i non praticanti, considerano importante dare ai figli un´educazione cattolica (Demos-Eurisko, febbraio 2007). Mentre una larghissima maggioranza delle famiglie destina l´8 per mille del proprio reddito alla Chiesa cattolica.
Sorprende, semmai, che, su alcuni temi etici, le posizioni politiche facciano emergere differenze maggiori rispetto alla pratica religiosa. Le opinioni degli elettori della Lega, sulle coppie di fatto, quelle degli elettori del PdL, sull´aborto, appaiono più restrittive rispetto a quelle dei cattolici praticanti. Il che ripropone una questione mai del tutto risolta. In che misura sia la Chiesa a condizionare le scelte politiche e non viceversa: la politica a usare le questioni etiche per produrre e allargare le divisioni fra gli elettori. Caricando posizioni politiche di significato religioso.
Peraltro, questi orientamenti ripropongono un´altra questione, che riguarda direttamente il messaggio della Chiesa. Che gli italiani considerano una bussola importante per orientarsi, in tempi tanto difficili. Tuttavia, quando una bussola dà indicazioni così lontane e diverse dal senso comune, dalle pratiche della vita quotidiana. E puntualmente disattese. Dai non credenti, ma anche dai credenti e dagli stessi fedeli. Allora può darsi che la bussola possa avere qualche problema di regolazione.

anticlericale
24-04-09, 21:11
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 25 MARZO 2009
Pagina 24 - Commenti

LA CHIESA TEDESCA CHE "LASCIA MORIRE"

CORRADO AUGIAS

Caro Augias, ha avuto poca eco sui giornali la notizia, importante, apparsa su Micromega relativa ad un testo sulla eutanasia approvato dalle chiese tedesche: cattolica e protestante. Il documento, che vieta per i credenti l'eutanasia attiva, ammette però la liceità morale dell'eutanasia passiva, che punta, nel caso di malati inguaribili o terminali che lo chiedano «a un dignitoso lasciar morire, non proseguendo o non iniziando un trattamento volto al prolungamento della vita, come l'alimentazione artificiale o la respirazione artificiale, la dialisi o la somministrazione di antibiotici». Si introduce, per ammetterne anche in questo caso la liceità, la nuova fattispecie della «eutanasia indiretta», che «viene prestata quando al morente vengono prescritti dal medico farmaci sedativi del dolore che come effetto secondario involontario possono accelerare il subentrare della morte». Le due chiese hanno predisposto un modello di testamento biologico il "Christliche Patientenverfugung" che prevede il ricorso a queste due forme di eutanasia, già sottoscritto da 9 milioni di tedeschi.



Carlo Troilo troilo.carlo@tiscali.it





Ricordo, per dovere di cronaca, che la prima notizia su questo modello di testamento biologico comune a cattolici e protestanti (Cardinal Karl Lehmann presidente della Conferenza episcopale tedesca, cattolico, e Manfred Kock presidente del Consiglio della Chiese Evangeliche in Germania, protestante) è comparsa su Repubblica il 6 febbraio scorso. Lo segnalò a questa rubrica la storica Emma Fattorini (La Sapienza, Roma) che lo aveva visto distribuire nel duomo di Muenster. Dopo di questa, abbiamo pubblicato la notizia relativa a una studentessa italiana in una scuola cattolica tedesca alla quale, al termine di una lezione su Igiene e Salute, è stato dato - come a tutti i suoi compagni maschi e femmine - un preservativo con corredo di opportune istruzioni. Dunque, nella stessa Chiesa e con lo stesso papa (tedesco!) le norme sulla fine della vita e sui preservativi sono difformi. Al di sotto delle Alpi, il cardinale Bagnasco può permettersi di giudicare l'elementare diritto di disporre del proprio corpo «inedito quanto raccapricciante», valutazione che si guarderebbe bene dal dare in un paese come la Germania. Il cardinale è tra l'altro incorso in una svista grave quando ha ribadito «l'indisponibilità di qualunque esistenza anche di fronte a condanne quali la pena di morte». Ha dimenticato che il principio della pena di morte è tuttora contemplato dal catechismo della sua Chiesa (canone 2267). Capisco che l'organismo vaticano debba adattare il suo insegnamento alle circostanze nelle quali opera, è giusto che sia così. Ma allora si ponga un freno alle insistenti tirate sulla "condanna del relativismo" e sugli sbandierati "principi non negoziabili".

anticlericale
24-04-09, 21:11
"La Stampa", 25 Marzo 2009, pag. 39

SEGNALI DI SCISMA SILENZIOSO
Gian Enrico Rusconi

C’è uno scisma latente nel cattolicesimo europeo? Certo non nel nostro Paese, zittito dalle gerarchie e dai suoi apparati giornalistici e mediatici. Con la complicità di chi, fedeli credenti o agnostici «compiacenti verso la Chiesa» (parole di Berlusconi), considera «una moda di giornalisti e intellettuali» il dissenso verso alcune affermazioni del Pontefice. Gli agnostici compiacenti, che si proclamano laici «positivi», sono numerosi soprattutto nell’area del centro-destra. Non sanno né vogliono sapere nulla del Concilio Vaticano II. Lo considerano una specie di Sessantotto della Chiesa. Questo basta per diffamarlo. Ma proprio il Concilio - o meglio la sua interpretazione e attuazione - sta diventando il motivo dello «scisma» silenzioso interno alla Chiesa. Con una differenza decisiva tra la condizione italiana e quella delle altre nazioni europee.
Le Chiese tedesca e austriaca sono state protagoniste - con le massime autorità ecclesiali - nel denunciare e nel far rettificare l’atteggiamento del Papa sulla questione del vescovo negazionista. Qualcosa di più di un incidente. Dietro l’incredibile errore di valutazione del Pontefice c’è l’interrogativo sul senso dell’apertura verso i lefebvriani. Presentata come un paterno segno di accoglienza di fratelli che avrebbero frainteso il Concilio, è interpretata invece da molti esponenti della Chiesa in lingua tedesca come implicito rinnegamento degli aspetti più innovativi del Concilio stesso. Lo dicono apertamente. Tutto l’opposto delle reticenze e dei distinguo verbali delle gerarchie ecclesiastiche italiane. Che forse non hanno neppure capito la posta in gioco. Preoccupate di difendere sempre e comunque il Papa e di attaccare sempre e comunque «i laicisti», lasciano i laici credenti in gravi difficoltà. Dopo il viaggio del Papa in Africa, la Cei accusa la stampa d’aver ridotto tutto il suo messaggio di fede e d’amore alla distorta questione dei preservativi. Per certi aspetti ha ragione, anche se il problema dell’Aids in quella terra disgraziata è di una gravità immensa. Ma il vero punto critico è: come mai, nonostante l’imponenza della macchina comunicativa della Chiesa, nell’opinione pubblica(ta) è «passato» solo il dibattito sui preservativi? Per malizia occidentale? O non è emerso invece ancora il difetto di comunicazione della Chiesa, incapace di collegare in modo convincente i contenuti religiosi e teologici del suo messaggio con le sue indicazioni morali?
Questo difetto è sistematico. Da anni si discute di biotecnologie, di testamento biologico, di «famiglia naturale» mescolando in modo confuso e arbitrario argomenti che si pretendono razionali e scientifici, «puramente umani», con assunti di fede. Il punto culminante è l’idea di vita (anzi di Vita) potente veicolo di una visione religiosa che diventa intransigente rifiuto di altre visioni della vita umana intesa nella sua concreta storicità. La teologia diventa sacra biologia, bioteologia. Con quel che segue per i rapporti procreativi, sessuali, familiari, giù giù sino alla contraccezione. L’ossessione del bios e del suo controllo ha sostituito i contenuti del discorso sul logos. I grandi temi della grazia, della salvezza, della redenzione sono diventati incomprensibili e incomunicabili alla maggioranza delle persone. Al loro posto c’è un’astratta proclamazione della dottrina morale, ignorando che questa si è costruita attraverso complesse operazioni di assestamento di durata secolare. La fedeltà ai principi diventa nemica della ragionevolezza, dal testamento biologico sino alla contraccezione.
Barbara Spinelli ha parlato su questo giornale con passione e forza argomentativa del «silenzio che manca al Vaticano». Vorrei aggiungere che alla Chiesa vaticana manca soprattutto la ragionevolezza, l’altra faccia della razionalità che sta tanto a cuore a papa Ratzinger. Riprendendo l’interrogativo iniziale sulla latenza di uno «scisma» nella Chiesa europea, ritengo che non si verificherà nella realtà. Tanto meno nel nostro Paese. Non è più il tempo delle grandi dispute teologiche, neppure delle grandi eresie, teologicamente robuste. È il tempo dei silenziosi abbandoni. Soltanto una laicità matura nelle persone e nelle istituzioni consentirà a tutti la piena e serena espressione della loro fede e dei loro stili morali di vita. A dispetto dei clericali vocianti e dei loro agnostici compiacenti fiancheggiatori.

anticlericale
24-04-09, 21:12
Questa chiesa è troppo materialista
• da Il Riformista del 27 marzo 2009, pag. 8

di Rina Gagliardi


Nella sua sortita a difesa del Papa, il cardinale Bagnasco ha riproposto la "lotta epocale" tra due opposte concezioni dell`uomo: quella religiosa, spirituale, non egoistica che sarebbe propri a del cristianesimo (e del cattolicesimo), e la laica, ciecamente materialistica e volgare che apparterrebbe, appunto, ai laici. Non per caso, il capo della Cei ha rivolto i suoi strali sulla Francia, sede storica e simbolo della laicità più "scristianizzata". L`apparenza è quella di un ritorno a una (postmoderna?) "guerra di religione", anzi di civiltà. Ma siamo sicuri che sia così? Siamo certi che i valori della spiritualità e dell`etica siano oggi rappresentati dalle posizioni (ufficiali) assunte dalla Chiesa? La mia tesi, che può forse sembrare audace, è che, quasi all`opposto, la Chiesa stessa sia in preda a una sorta di "metafisica" di tipo materialistico, quasi positivistico, che si esercita su tutte le questioni "eticamente sensibili". Non è una novità che la Chiesa condanni l`aborto, l`eutanasia, la libertà sessuale. Nuovi sono gli accenti usati, l`assolutezza, la "radicalità". Nuova è la riduzione del concetto di persona alla sua dimensione corporea. Nel corso della dolorosa vicenda di Eluana Englaro, una tale ossessione del corpo ha letteralmente fatto scomparire, nella mobilitazione del mondo cattolico, l`anima di Eluana stessa: scomparsa, inghiottita da un furore dei principi che aveva come unica posta in palio la conservazione a ogni costo del suo povero corpo terreno, alimentato e idratato a forza da 17 anni. Anche sull`embrione - e di conseguenza sull`aborto - la posizione di condanna "assoluta" ha la stessa radice: è persona tutto ciò che si configura come ammasso di cellule, di potenzialità biologiche future o passate, di materia organica. La coscienza non è inclusa, anzi è espunta dalla definizione stessa dell`essere umano - e con essa quell`insieme di capacità cognitive, progettuali, comunicative, sociali, spirituali che lo caratterizzano e anzi lo rendono unico nella specie animale. La Natura, in sé viene assunta come la vera Divinità alla quale piegarsi - ed è una catena di eventi buoni in sé medesimi, sui quali non è lecito intervento umano. Perciò, in coerenza, la Chiesa si oppone a ogni metodo contraccettivo, preservativi compresi, a ogni tecnica di fecondazione assistita, a ogni intervento umano che modifichi i processi "naturali". Qui la dimensione religiosa non c`entra più niente. Al suo posto c`è una metafisica materialistica, vitalistica, naturistica che molti filosofi miscredenti hanno sottoscritto tante volte nella storia. Va da sé che, così, la Chiesa va incontro ad aporie evidenti: ammette il ricorso ai portati più sofisticati del progresso tecnicoscientifico, come nel caso di Eluana, li vieta quando si tratta di vincere la battaglia della sterilità. Ma queste sono incongruenze "tattiche". L`incongruenza vera è un`altra: non è vero che per la Chiesa la vita umana è sacra. Nel Catechismo ancora in vigore non c`è la condanna "absoluta" né della pena di morte, né delle guerre, né della violenza di Stato. Così come non era affatto sacra la vita della madre, quando essa si poneva in alternativa a quella del nascituro (scelta drammatica che, almeno in occidente, per fortuna non si pone quasi più). La sacralità appartiene tutta e soltanto al processo vitale, di cui il singolo la persona, è solo un tassello, e un tassello inconsapevole e subalterno - come la donna è ridotta, alla fine, a un utero, a un mero contenitore corporeo di una futura creatura. Perfino lo stupro può concorrere positivamente alla produzione della vita, così intesa: come si è visto nella incredibile vicenda del vescovo brasiliano. Il fatto è che la vita materiale, non quella spirituale, come per altro ribadisce sempre Benedetto XVI, è comunque un "dono" di Dio, e l`uomo non può disporne, in nessuna circostanza. Come si accorda questa dottrina con quella del libero arbitrio, che è un fondamento del cattolicesimo? Ma se l`uomo può decidere, addirittura, se salvarsi o precipitare all`inferno, come può non disporre mai del bene supremo della vita? E di quale natura è un "dono" che continua ad appartenere, per l`eternità, al donatore invece che al donato? E Dio? Sembra cancellato, o ridotto, cartesianamente, a un propulsore iniziale dell`universo, che poi si ritira in buon ordine. Sembra privo di amore e di pietà. Non è il Dio cristiano che è stato capace di farsi uomo, ma un`astrazione, un sinonimo di legge naturale. E la libertà? E la scelta? Toccherà a noi laici dover portare sulle spalle anche il peso della lotta per una concezione un po` più spirituale e un po` meno positivistica dell`esistenza umana?

anticlericale
24-04-09, 21:12
I fedeli distanti dalla chiesa
• da La Repubblica del 27 marzo 2009, pag. 39

di Giancarlo Bosetti


Quale fede e quali fedeli ha in mente il Papa? C´è una serissima vignetta inglese. Due lettori e un giornale con gran titolo sul discorso politico di un vescovo. I due commentano: «Ma tu credi in Dio?». «Sì», risponde l´altro. «E credi in un Dio che può cambiare il corso degli eventi sulla terra?». «No, solo in uno normale.»
Solo normale, ovviamente. Just ordinary, non un Dio che entra nei dettagli della vita politica. La vignetta è stata proposta da Grace Davie, in apertura di uno dei suoi studi sullo stato della religione in Europa e illustra la sfida che tutte le chiese si trovano di fronte in questa strana fase della loro storia: la fede tra la gente non diminuisce, al contrario, ma si allontana dall´ortodossia. I credenti non sentono più lo stesso bisogno di un tempo di partecipare con regolarità alle funzioni. Credono, ma in un modo più vago di quel che prescrivono le autorità ecclesiastiche. La Davie ha coniato la formula del «credere senza appartenere», che vediamo confermata nelle analisi di Ilvo Diamanti sui cattolici italiani: si fidano della Chiesa, versano l´8 per mille, ascoltano con rispetto i messaggi dei vescovi, ma decidono con la propria testa che cosa pensare dei preservativi e del testamento biologico, in tutt´altra direzione.
La sfida della fede che non vuole «appartenere» sta davanti alla Chiesa di Roma. E una delle domande interessanti del nostro tempo è: in che direzione risponderà alla sfida? rinforzando vincoli e divieti, per i fedeli, o accettando compromessi con tendenze e abitudini della società? Incoraggiando o no l´afflusso dei non ortodossi? Chiudendo o aprendo al dialogo con le altre religioni?
Da molti segnali si può immaginare (e temere) una risposta nella prima direzione, ma non se ne può essere sicuri fino in fondo perché, nonostante tutto, è rimasto in sospeso un giudizio conclusivo sugli atti del Pontefice, se si sia trattato di errore, leggerezza e sottovalutazione delle conseguenze o se di un vero segnale deliberato e irreversibile. L´ultimo caso, la revoca della scomunica ai lefebvriani, ha avuto l´impatto drammatico che sappiamo a causa della confessata ignoranza del negazionismo del vescovo Williamson. Il gesto era dunque di sicuro di orientamento tradizionalista, ma, senza lo scandalo di Auschwitz, sarebbe stato meno indigesto al mondo; del discorso di Regensburg con la citazione di Manuele II Paleologo sui musulmani «cattivi e disumani» si può anche dubitare che l´intenzione fosse proporzionata alle parole; quanto al Messale con il sacerdote che volge le spalle ai fedeli, alla preghiera del Venerdì santo con il reinserimento dei «perfidi ebrei», o alla beatificazione di Pio XII, non sono certo atti casuali, ma a giudicare dalle precisazioni e mosse diplomatiche successive, non contengono una risposta definitiva a quella domanda.
Rimane un caso stupefacente che, tra le risposte di Benedetto XVI a questi mutamenti di qualità della fede, si affacci anche un attrazione per il rovescio del «credere senza appartenere», e cioè per l´«appartenere senza credere» degli atei devoti, dei non credenti che innalzano la identità cristiana come vessillo politico dell´occidente liberale. Marcello Pera ne guida le file, e proprio al suo libro (Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori, 2008) il Papa ha consegnato la lettera in cui giudica «impossibile in senso stretto» il dialogo interreligioso, altre volte invece proposto come utile e giusto (perché se no, con i musulmani alla Moschea blu di Istanbul?). Ma neanche questo caso contraddittorio è risolutivo.
Una risposta definitiva sulla direzione del pontificato non c´è ancora neanche per gli ambienti conciliari del cattolicesimo, dove non si è aperto un visibile fronte di opposizione. Si insiste a catalogare quanto sopra tra gli «incidenti». Altri, di diversa ispirazione, come Vittorio Messori, rifiutano decisamente l´idea dell´«errore» e attribuiscono questa linea di condotta alla scelta del un capo della Chiesa di dare priorità assoluta alla tutela della fede, che, come Benedetto XVI ha scritto nella lettera ai vescovi, oggi «in vaste zone della terra è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento» perchè «in questo nostro momento della storia Dio sparisce dall´orizzonte degli uomini». Parole forti, drammatiche, da cittadella assediata.
Se dovesse prevalere la linea della «minoranza creativa», più volte evocata dallo stesso pontefice, saremmo di fronte alla singolare situazione di una Chiesa che, come succede a movimenti politici in una fase di declino, si irrigidiscono nella dottrina aggravando le perdite di consenso che vorrebbero invece difendere. Tanto più singolare mentre i segnali di una vitalità della fede contraddicono il tramonto del sacro sull´orizzonte contemporaneo e ne annunciano il ritorno. Come accordare per esempio quelle previsioni funeste con un inizio di secolo che di fatto appare come «l´epoca d´oro» dei pellegrinaggi cristiani? Mai in nessuna epoca tanti pellegrini hanno raggiunto i santuari mariani: 10 milioni all´anno a Guadalupe in Messico, 6 milioni a Nostra Signora di Aparecida in Brasile. Anche in Europa il boom è evidente: Lourdes aveva un milione di visitatori negli anni Cinquanta, ora sono 6 milioni, poco meno a Jasna Gòra–Czestochowa, 4 milioni a Fatima. Altre cifre impressionanti in tutta Europa, da Lisieux ad Assisi, da Altötting a Medjugorje. Quest´ultima dal 1981 ha attratto 30 milioni di visitatori. Tutta la documentazione è in Philip Jenkins, The God´s Continent, (Oxford University Press, 2007) un autore sulla stessa lunghezza d´onda del «credere senza appartenere». L´eclisse della religione in Europa non esiste. Il fatto è che i credenti trovano in queste esperienze qualche cosa che non trovano (più) nella vita della parrocchia o nel ciclo dei riti ordinari.
Se nella Chiesa prevalesse l´idea che la fede si sta estinguendo, i cattolici si troverebbero di fronte a una situazione imbarazzante come ritrovarsi davanti dei leader politici, che, sconfitti alle elezioni, proclamino la fine della politica, anziché la propria. Più realistica sarebbe una riflessione, per i politici sui voti persi o sulle astensioni, e per i religiosi su quello che Vito Mancuso chiama lo «scisma sommerso», vale a dire quei milioni di credenti che allo stato dei fatti trovano le porte di ingresso troppo strette per imbarcarsi o reimbarcarsi nella Chiesa. Ma il tema della persistenza della religione in questa fase di «assenza di orientamento», come la chiama Hans Küng, è di grande importanza anche fuori delle chiese, per i laici e per la politica democratica. Interpretare queste domande di senso, e di un genere nuovo che sembra sfuggire al controllo e alla cultura dei vertici vaticani, non è solo un compito per chierici.

anticlericale
24-04-09, 21:13
"La Repubblica", SABATO, 28 MARZO 2009
Pagina 52 - Cultura
GLI SCIENZIATI DI "LANCET" SFIDANO IL PAPA
La rivista inglese attacca Benedetto XVI per le parole contro il preservativo nella lotta all´Aids
Rilievi alla posizione di Ratzinger anche da parte del primate cattolico del Belgio
"Chi pronuncia una falsa affermazione scientifica ha l´obbligo di ritrattarla"

CITTA DEL VATICANO

città del vaticano
Papa Ratzinger ancora nel mirino di scienziati, politici e, persino, di qualche cardinale per le sue critiche all´uso del preservativo per fermare l´Aids. Contro la posizione del pontefice si è espressa una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, l´inglese Lancet, che chiede a Ratzinger di «rettificare» quanto sostenuto, perché «ha pubblicamente distorto le prove scientifiche per promuovere la dottrina cattolica sul tema».
«Non è chiaro», scrive la rivista, «se l´errore del Papa sia dovuto a ignoranza o se sia un deliberato tentativo di manipolare la scienza per appoggiare l´ideologia cattolica». Di certo il pontefice «ha detto ai giornalisti che la lotta contro la malattia è un problema che non può essere superato con la distribuzione dei preservativi. I condom, al contrario, possono peggiorare la situazione». Con quest´ultima affermazione, sostiene la rivista, «il papa ha distorto l´evidenza scientifica». È noto infatti che il preservativo «è l´unico e il più efficace fra gli strumenti disponibili per ridurre la trasmissione per via sessuale dell´Hiv».
Nel mezzo della bufera scatenata da queste affermazioni, prosegue Lancet, «il Vaticano ha tentato di moderare le parole del papa, che sul sito web della Santa Sede sono diventate "c´è il rischio che il condom possa esacerbare il problema". Ma quando un personaggio influente fa una falsa affermazione scientifica che potrebbe avere conseguenze devastanti per la salute di milioni di persone, questi dovrebbe ritrattare o correggere la linea».
In difesa delle parole del pontefice si schiera l´associazione cattolica "Scienza e Vita": «Anche con l´editoriale di Lancet ancora una volta ci troviamo di fronte ad una palese forma di disinformazione», controbatte il portavoce Domenico Delle Foglie, «perché non si è voluto capire che il Papa in realtà ha detto che l´Aids non si combatte solo con il condom, ma prima di tutto con la formazione e l´educazione, come è successo in Uganda, che ha ottenuto importanti successi contro l´Aids promuovendo castità, monogamia e, in ultimo, anche il condom. Il Papa non è uno scienziato, è il pastore cattolico che parla ai cattolici».
In difesa di Ratzinger anche il vescovo di Orleans, monsignor Andrè Fort, secondo il quale «tutti gli scienziati sanno che il virus dell´Aids è infinitamente più piccolo di uno spermatozoo. Questo significa che il preservativo non garantisce al 100 per cento». Contro questa tesi è intervenuto il direttore dell´Agenzia nazionale di ricerca sull´Aids, Jean-Francois Delfraissy, che si è detto «scandalizzato da questa presa di posizione completamente falsa». Non meno dure le critiche che arrivano dal Belgio, dove sei deputati hanno proposto al governo il richiamo dell´ambasciatore belga presso la Santa Sede. E una sorprendente critica giunge anche dal primate cattolico del Belgio, il cardinale Godfried Danneels, a parere del quale il Papa sull´uso del preservativo e Aids «non è stato diplomatico». Il porporato ha dichiarato di essere «convinto che con i preservativi non risolve il problema dell´Aids. Ma il Papa avrebbe fatto meglio a non dirlo perché ci sono occasioni in cui l´uso del condom è l´unico modo per salvare una vita».



Pagina 53 - Cultura

Gilberto Corbellini, storico della medicina
"La Chiesa manipola la scienza ma in Italia si fa finta di niente"

«La denuncia di Lancet? Totalmente condivisibile. Solo in Italia nessuno ha il coraggio di dire questa elementare verità», sostiene Gilberto Corbellini, professore di Storia della medicina e Bioetica all´Università La Sapienza di Roma.
Condivide l´accusa sulla manipolazione?
«È dall´evo segnato da Camillo Ruini che le gerarchie ecclesiastiche manipolano sistematicamente la scienza. Il disprezzo per le prove scientifiche era già evidente nel dibattito intorno alla legge 40 sulla fecondazione artificiale. Anche le recenti posizioni espresse sul "fine vita" tradiscono una manifesta volontà di piegare la medicina alla dottrina cattolica. Ma in Italia anche le tesi più antiscientifiche riescono a passare. Nel nostro paese, culturalmente arretrato e affetto da un congenito analfabetismo scientifico, non ci sono più argini».
La colpisce l´attacco di Lancet?
«Non è la prima volta che una rivista scientifica di peso critichi la Chiesa. Anche Science contestò il pontefice a proposito della dottrina degli embrioni. Ora l´accusa di Lancet assume toni molto severi, a ragione: la manipolazione scientifica sull´Aids può avere gravissime conseguenze».

anticlericale
30-04-09, 02:50
"La Stampa", 30 Marzo 2009, pag. 33

IL PAPA IN AFRICA HA RITROVATO IL SENSO DI DIO

Gianni Baget Bozzo




Papa Ratzinger ha trovato in Africa quel consenso di Chiesa e di popolo la cui mancanza ha denunciato nella lettera ai vescovi cattolici. Ha trovato un continente in cui la Chiesa si trova di fronte alla religione tradizionale africana e alla marcia dell’Islam. Si confronta con un mondo ancora religioso, in cui Dio non è divenuto quel concetto impopolare che sta divenendo in Occidente.
L’impegno del Papa è quello di ridare al mondo cristiano e postcristiano il senso di Dio. Egli ha celebrato in Africa una liturgia tradizionale che ha consentito una presenza del modo africano di esprimere la gioia e la partecipazione al culto con il canto e la danza, ma che è rimasta nel quadro del mistero cristiano celebrato secondo la tradizione della Chiesa cattolica. Si avverte sempre nelle sue parole il linguaggio dei Padri della Chiesa del primo millennio, in cui la vita divina comunicata dal Cristo nel mistero trinitario dà all’esperienza ecclesiale il senso del mistero e della mistica, il sapore dell’eternità nel tempo. La teologia contemporanea ha tolto al linguaggio cristiano le ricchezze della sua escatologia. L’anima cristiana non ha più parole e l’escatologia finale della resurrezione non ha più linguaggio. Rimane l’esperienza del mistero della Chiesa nel tempo. È attraverso il culto che il sapore dell’eternità entra nella vita cristiana e fa dell’evento cattolico non solo una partecipazione sociale ma l’esperienza del mistero divino della Trinità.
La centralità della liturgia spiega la volontà del Papa di riportare la liturgia tradizionale nel cuore della Chiesa, perché tutta la ricchezza del mistero che essa conservava si riversasse sulla vita della Chiesa, ritrovando il linguaggio del sacro, che non è la negazione, ma l’accesso al mistero e alla mistica. Una lettura comunitaria, umana e puramente sociale aveva pesato sulla nuova liturgia, intesa come una forma di socializzazione conviviale, con la fine del linguaggio del sacro che esprimeva la diversità del tempo e dello spazio in forma comunitaria. Il primo disegno di riforma conciliare era quello di riportare il mistero e la mistica alla dimensione comunitaria, senza negare la ricchezza della mistica personale che aveva arricchito la Chiesa nel secondo millennio cristiano.
La Chiesa ha conosciuto un periodo di secolarizzazione legato alla storia del ’900 e alla modernità. Ma si trova ora di fronte a un altro periodo, quello in cui la scienza e la tecnica costituiscono un nuovo universo, in cui la dimensione del Dio creatore sembra non avere alcuna parte e in cui l’uomo appare un frutto di una evoluzione puramente immanente. La negazione comunista di Dio, l’ateismo di Stato, costituiva una testimonianza indiretta al Dio negato e rendeva possibile un’esperienza religiosa motivata proprio dalla negazione di essa. Oggi non basta più la dimensione sociale del Cristianesimo, la sua capacità di parlare dei poveri e degli emarginati, la potenza della sua compassione, a motivare la realtà della fede. Per questo papa Ratzinger mette così l’accento sul problema di Dio di cui la Chiesa rimane nel tempo dell’Occidente la testimonianza e il segno. Il linguaggio su Dio, e non quello sulla vita, è il tema principale che la potenza cosmica della conoscenza umana, l’invadenza della sua tecnica, l’incertezza delle conseguenze sociali del suo processo pongono alla Chiesa.
È il pericolo di una nuova totalità che esclude l’eccedenza dello spirito e della libertà, quindi della persona, nella vita sociale, una riforma più radicale dell’uomo nella dimensione di un corpo plasmabile dall’intervento dei tecnici del settore. Anche in Africa il Papa ha trovato questo mondo. Ma ha incontrato altresì il senso religioso dei popoli e ha potuto dare parole al linguaggio della giustizia rivolto, in nome dell’Africa, verso il mondo sviluppato, senza incorrere nei rischi della teologia della liberazione dell’America Latina. Il popolo africano è troppo diviso e oppresso per poter rigenerare ideologie ormai estinte.
In Africa il Papa ritrova il linguaggio su Dio nel modo della religione, della sua presenza e del suo significato che dà senso alla realtà. Nel momento in cui l’opinione pubblica e la politica occidentale lo pensano solo e fuori del proprio tempo, le Chiese africane lo accolgono come espressione del loro tempo, che è anch’esso un tempo del mondo. Ed è quindi motivato dai popoli tribali a parlare il linguaggio della libertà e della giustizia di fronte al potere della nuova totalità della scienza e della tecnica.


bagetbozzo@ragionpolitica.it

anticlericale
30-04-09, 02:50
"La Repubblica", LUNEDÌ, 30 MARZO 2009
Pagina 18 - Cronaca

Eluana, prete attacca Betori: no a questa Chiesa
Firenze, cittadinanza a Englaro: don Santoro contro il veto dell´arcivescovo
Oggi a Beppino il consiglio comunale consegnerà il riconoscimento onorario

SIMONA POLI
FIRENZE - «Lo dico davanti a te Beppino, lo dico da prete. In questa Chiesa io non mi riconosco più, nel mio vescovo non ho visto quell´amore verso la vita di cui parla il Vangelo. Credo che come il figliol prodigo della parabola dovremmo chiederti perdono per questo baccanale osceno di persone che hanno ostentato preghiere, rosari e parole senza senso per la salvezza di Eluana». Durissime parole quelle del sacerdote Alessandro Santoro, simbolo di una Firenze di frontiera, quella del quartiere delle Piagge stretto tra la piana industriale e l´aeroporto, una delle comunità che ieri hanno accolto con partecipazione ed affetto Beppe Englaro, a cui oggi il consiglio comunale consegnerà la cittadinanza onoraria proposta dal socialista Alessandro Falciani e approvata con il voto contrario del centrodestra e di cinque consiglieri del Pd. Una decisione che l´arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori definì "un´offesa alla città", scatenando la reazione del presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini che si presentò in Curia con una lettera in cui chiedeva «rispetto per le istituzioni». Don Santoro non dimentica quella frase: «Sono profondamente disturbato da questa ostentata onniscienza della Chiesa. Di quel cristianesimo non so che farmene. E se la Chiesa è quella che in questo tempo hanno fatto i vertici ecclesiastici non riesco a starci», dice di fronte alla sua comunità e ad Englaro. Non è il primo grande scontro che lo oppone ai suoi superiori gerarchici. Poco tempo fa Santoro aveva dato la sua benedizione all´unione di Sandra Alvino, ex transessuale, ora donna a tutti gli effetti per la legge italiana, che vuole sposarsi con il proprio compagno e non trova consensi nella chiesa. La pubblica confessione del disagio di Santoro di certo non passerà inosservata.
Il padre di Eluana ha incontrato ieri anche un altro ex sacerdote "scomodo" di Firenze, Enzo Mazzi della comunità dell´Isolotto che ha invitato Beppino a partecipare alla messa laica della domenica che da anni viene celebrata nel quartiere con il pane fatto in casa al posto dell´ostia, le chitarre e le preghiere spontanee della gente come libro di testo. Englaro è stato poi ricevuto dal sindaco Leonardo Domenici con cui ha parlato privatamente per un´ora: «La vicenda di Eluana», ripete Beppino, «non è contro nessuno. La mia battaglia per il riconoscimento di principi fondamentali è stata pubblica perché sono convinto che la vera libertà sia dentro la società».

anticlericale
30-04-09, 02:50
L'Osservatore: è nato un partito cattolico
• da La Stampa del 31 marzo 2009, pag. 12

di Giacomo Galeazzi

Un partito forte, unito sui temi etici e che attrae i cattolici. L’Osservatore romano «benedice» il Pdl uscito dal congresso fondativo: «E’ già più forte del Pd non solo in termini percentuali, ma è maggiormente in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria». Nel Pdl, rileva il quotidiano vaticano, «si è affermata, in linea di principio, la libertà di coscienza sui temi etici più sensibili, però al momento di assumere iniziative concrete il partito si è trovato unito». A suscitare l’approvazione della Santa Sede è soprattutto il sì del Senato al ddl Calabrò con cui «il governo e la maggioranza hanno meritoriamente mantenuto la promessa di evitare altre morti come quella di Eluana Englaro». La legge sul testamento biologico, evidenzia l’arcivescovo Rino Fisichella, ministro vaticano della Bioetica, «garantisce l’uguaglianza di ogni persona nelle situazioni in cui è più debole ed è il risultato di un profondo equilibrio tra le due posizioni fortemente presenti nella società, cioè il diritto alla vita e la libertà di determinarsi». E ora la Santa Sede si aspetta «un più ampio consenso al testo nel passaggio alla Camera», spiega Fisichella. E Radio Vaticana esulta: «Fallito il tentativo d’introdurre l’eutanasia in Italia».
Proprio per le sue critiche al ddl Calabrò, Gianfranco Fini ha suscitato le ire di «Avvenire», secondo cui l’attacco al biotestamento «è stato un assolo». Il quotidiano della Cei rimprovera all’inquilino di Montecitorio il «cipiglio laicista» e lo richiama alle responsabilità istituzionali («è tenuto, da presidente della Camera, ad assicurare l’iter sereno del disegno di legge»). Secondo il giornale dei vescovi, Fini ha «platealmente forzato i termini di un provvedimento legislativo delicatissimo e reso urgente dalle sentenze creative e pervasive di alcuni magistrati». Senza chiedersi «a quale gradazione dello Stato di diritto si attestavano quelle stesse sentenze», Fini «ha preso di nuovo e pubblicamente di mira un ddl al quale sarà presto tenuto, in ragione del suo alto ufficio, a garantire un iter lineare e sereno, nonostante le strumentalizzazioni che sono già state massicciamente messe in campo e vengono ancora annunciate». Quindi, «l’ex leader di An, a suon di citazioni, ha mostrato di navigare disinvoltamente nella vasta semantica della laicità».
E dalla fecondazione assistita, alle unioni di fatto, alle critiche al Vaticano per il silenzio sulle leggi razziali, non è la prima volta che il «giscardiano» Fini entra in rotta di collisione con la Chiesa. Prova a difenderlo «Famiglia Cristiana» che plaude al suo tentativo di «trovare nuovi percorsi per dare cittadinanza agli immigrati». Ma anche l’«Osservatore romano» registra il «diverso approccio tra Berlusconi e Fini sulle riforme e il dialogo con l’opposizione». L’obiettivo di Berlusconi è «dotare il presidente del Consiglio di maggiori poteri», tra questi «la nomina e la revoca dei ministri e lo scioglimento delle Camere». Invece Fini «non solo continua a insistere sulla necessità di riforme condivise» ma «è più volte intervenuto a difesa delle prerogative del Parlamento, opponendosi a qualsiasi eventualità di mutamenti della costituzione materiale; senza passare cioè per una revisione formale della Costituzione».

anticlericale
30-04-09, 02:51
"La Repubblica", MARTEDÌ, 31 MARZO 2009
Pagina 10 - Interni

L´Osservatore Romano dedica un editoriale al nuovo soggetto: è nato un partito forte, unito sui temi etici
Il Vaticano benedice il Popolo della Libertà: "Esprime i valori degli italiani e dei cattolici"
"Il Pdl ha davanti a sé le sfide su giovani, scuola, donne e aiuti alle famiglie naturali"

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - Il nuovo Pdl è il partito «maggiormente in grado di esprimere i valori comuni italiani, tra i quali quelli cattolici sono una parte non secondaria». Più che una nota politica, ha tutta l´aria di essere una autorevole «benedizione» vaticana, quasi un placet d´Oltretevere, l´editoriale sulla nascita del Partito della libertà pubblicato dall´Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede oggi in edicola.
Nel testo, non una parola di critica, nessun appunto. Nemmeno all´intervento più laico sentito al congresso, quello di Gianfranco Fini, l´unico leader a toccare corde notoriamente sgradite alle gerarchie cattoliche, quando ha invocato più «laicità» e - rivolgendosi prima di tutto al Pdl - chiesto di cambiare la legge sul fine vita approvata dal Senato, norma che ha nell´imposizione dell´alimentazione forzata quel cardine irrinunciabile che piace tanto al centrodestra, a qualche frangia cattolica del Pd, ma, soprattutto, al Vaticano. Fin dall´attacco, l´editoriale prende atto che «con l´elezione per acclamazione di Berlusconi alla presidenza del Pdl», è nato un «grande» partito chiamato ad affrontare le sfide future del Paese. Sfide che hanno i tratti più caratterizzanti ne «i giovani, la scuola e università, il ruolo delle donne, gli aiuti alle famiglie naturali...», stando a quanto preannunciato da «Berlusconi nell´illustrare l´agenda dell´esecutivo» dei prossimi anni.
Più che lusinghieri i giudizi sul rapporto che il nuovo partito avrà coi cattolici: il congresso fondativo del Pdl ha fatto emergere «l´immagine di una formazione forte, già più forte dello stesso Pd, il primo nato con l´ambizione di unire differenti culture politiche». Il Pdl - per l´Osservatore - è «più forte non solo in termini percentuali» perché «stando ai più recenti risultati elettorali appare, alla prova dei fatti, maggiormente in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria». Il quotidiano nota, inoltre, che «nel partito si è affermata, in linea di principio, la libertà di coscienza sui temi etici più sensibili», ma «al momento di assumere iniziative concrete il Pdl si è trovato unito». Puntualizzazione non casuale alla luce del recente voto sul testamento biologico approvato malgrado i distinguo di Fini. L´Osservatore avanza solo alcuni «interrogativi» sulla «futura capacità» del nuovo partito di «gestire una fase evolutiva della sua esistenza, nella quale conciliare le differenti culture e sensibilità». Poca cosa rispetto agli applausi.

anticlericale
30-04-09, 03:03
Biotestamento, prove d'intesa Pd-Pdl; la Cei a Fini: "lo Stato etico è un'altra cosa"
• da La Repubblica del 1 aprile 2009, pag. 13

di Giovanna Casadio

Non ci stanno. I vescovi bacchettano Gianfranco Fini sul biotestamento. Al congresso del Pdl, smarcandosi da Berlusconi e dalla maggioranza, il presidente della Camera aveva parlato di una legge - quella appena approvata al Senato - «da Stato etico», augurandosi perciò che alla Camera, dove le norme sul fine-vita stanno per arrivare, si cambi registro e lo Stato laico batta un colpo. Ma la Cei dà l´alt: «Lo Stato etico è decisamente un´altra cosa e la Chiesa cattolica non l´ha mai avuto in simpatia. Lo Stato etico c´è quando ci sono delle costrizioni e non mi sembra che ci si trovi in queste condizioni», biasima il segretario della Conferenza episcopale, monsignor Mariano Crociata. Per i vescovi la legge va definitivamente approvata, e in fretta. Benché sia inutile, dal momento che la volontà del malato espressa nel biotestamento, non è più vincolante e spetterà al medico l´ultima parola.
I laici del centrodestra hanno fatto già sapere che queste norme finiranno in cantina e ci resteranno per un bel po´. Insomma, prima delle elezioni europee è escluso che il biotestamento approdi nell´aula di Montecitorio. Slittamento in vista fino all´autunno? «Non lo so, e non credo. Però posso dire al cento per cento che ci saranno modifiche», ammette Italo Bocchino, vice capogruppo Pdl, amico personale di Fini. Alcuni deputati del Pdl hanno intanto firmato tre emendamenti preparati dai parlamentari Pd, Eugenio Mazzarella, Sandra Zampa e Paolo Corsini. Una proposta bipartisan e ragionevole, la definiscono, sull´alimentazione e l´idratazione artificiale, che è poi il punto più controverso e che ha scosso l´opinione pubblica nel caso di Eluana Englaro. Mazzarella, che è un filosofo, ne spiega l´obiettivo, di tradurre cioè «il diritto mite in buonsenso», di puntare a «un´etica della situazione». In concreto, resta il principio che idratazione e nutrizione artificiale sono sostegno vitale. Inoltre, il rifiuto espresso nel biotestamento resta vincolante per il fiduciario, una sorta di continuità della sua libertà. Però il fiduciario dovrà concordare le decisioni con il medico curante e con i familiari e qui si riconosce che il testamento non sia obbligante, se si valuti che ci sia un beneficio terapeutico per il paziente. Tra i primi firmatari del centrodestra ci sono Fabio Granata, Stefano Caldoro e Francesco Pionati.
Un emendamento che anche Fini ha avuto occasione di leggere. Del resto, ricalca quello che a Palazzo Madama aveva presentato la cattolica Albertina Soliani e che la radicale Emma Bonino aveva votato giudicandolo una mediazione intelligente. Di modifiche possibili parla anche Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl. «È indispensabile cambiare la legge uscita dal Senato che è inutile e anzi dannosa», rassicura il capogruppo del Pd, Antonello Soro. E Livia Turco rincara: «La Camera non ratifica un bel nulla, si ricomincia daccapo».

anticlericale
30-04-09, 03:03
Vescovi e gente
• da La Stampa del 1 aprile 2009, pag. 37

di Filippo Di Giacomo

L’equità sociale secondo i vescovi? Usare la stessa ricetta di un medico del secolo scorso, San Giuseppe Moscati, che non chiedeva ai pazienti un onorario ma indicava loro un cesto sul quale si leggeva: chi ha, dia; chi non ha, prenda. Proiettato nel sociale, questo resta forse l’unico programma di sinistra che ancora circola nel Paese. Il primo ad accorgersene è stato l’ex seminarista Dario Fo. Quando il cardinale Tettamanzi, iniziando dai suoi risparmi, aprì a Milano il primo fondo sociale diocesano in favore delle famiglie e dei disoccupati, il premio Nobel fu uno dei pochi a non ironizzare. Anzi, il 20 gennaio, su Liberazione, avvertì: «Al di là delle etichette, con i suoi discorsi il cardinale si sta mettendo fuori da una logica oggi imperante a Milano: la logica del potere che alimenta gli affari e gli intrallazzi. Delle banche, della speculazione edilizia, e non solo in vista dell’Expo. Stiamo assistendo al grande assalto degli interessi organizzati, a cui non sono estranee organizzazioni di matrice cristiana, e a pagarne il prezzo sono sempre i soliti, i più poveri. Tettamanzi, mi sembra abbia scelto da che parte stare».
Il 23 marzo, nella prolusione al consiglio permanente della Cei, il presidente dei vescovi italiani poteva già attestare il «fiorire in tantissime diocesi di iniziative di solidarietà concreta, cui si unisce l’importante impegno ai vari livelli della Caritas come degli Istituti di vita consacrata». Nel giro di dieci settimane l’opzione Tettamanzi ha fatto scuola in tutte le realtà ecclesiali del Paese. Tanto che, sempre due lunedì fa, il presidente dei vescovi italiani poteva affermare: «La nostra gente sappia che i vescovi le sono vicini e che la nostra Chiesa non ha altra ambizione se non interpretare in prima persona e senza risparmio, nella situazione data, la parabola del buon Samaritano». L’errore da non compiere, ora che il fondo di garanzia famiglia-lavoro dei cattolici italiani sarà strutturato, è quello di vedervi l’ennesima proiezione di quel sistema di potere parallelo che, grazie all’8 per mille, il cattolicesimo italiano sarebbe in grado di detenere. Così come a Milano, anche il fondo nazionale coinvolgerà risorse private e collettive in un progetto di condivisione che avrà, necessariamente, una ricaduta politica. Perché se funzionerà, come tutto lascia credere, sarà una formidabile occasione per immettere nel circuito delle comunità locali un metodo oggettivo capace di guardare ai problemi dell’equa distribuzione delle risorse nel nostro Paese come a una «sottrazione di umanità», a un problema di etica globale destinato a prolungarsi oltre le contingenze in cui le agenzie del consenso politico cercano di confinarlo.
Forse non a caso, dagli inizi del pontificato di Benedetto XVI, Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, chiama spesso anche l’ebreo socialista polacco Zygmunt Barman a commentare i documenti del magistero sociale della Chiesa. Con il teorico della società liquida, il pensiero cattolico non fa alcuna fatica, anzi ringrazia per la collaborazione nello svelare i trucchi con cui i teorici del liberalismo economico sono riusciti a rendere gradevole la diffusa ingiustizia sociale. Un’ingiustizia che accomuna l’80% di questa nostra umanità da cercare in presunte economie «in via di sviluppo» o in «momentanea difficoltà». Nella Cei le parole non vengono mai usate a caso. Per monsignor Crociata sono 20-30 mila le famiglie che avranno accesso al credito, e che per motivare il bisogno di questo intervento avranno solo l’obbligo di rivolgersi al parroco perché, come ha precisato il segretario generale della Cei, «non ci saranno persone dedicate a questo servizio». Le famiglie «dovranno essere coppie sposate, anche se solo civilmente», precisazione che lascia intendere molto sulla presenza e il ruolo dei divorziati risposati nelle parrocchie. Per le pratiche burocratiche, le Acli e la Caritas secondo i protocolli stabiliti con le Banche coinvolte, in 10-20 giorni renderanno possibile il prestito. La realpolitik della Chiesa italiana nasce da ogni possibile racconto sociale, accettato solo se conforme alla realtà. Se fosse questa la laicità di cui abbiamo bisogno?

anticlericale
30-04-09, 03:03
"La Stampa", 02 Aprile 2009, pag. 17


Vita segreta dei legionari di Cristo

Retroscena
Il Vaticano ha aperto un’ispezione

G. GALEAZZI, G. A. ORIGHI


Padre Marcial Maciel Degollado, il defunto fondatore dei Legionari di Cristo? Un tombeur des femmes che spremeva le sue amanti, latino-americane, spagnole e anche italiane. E forse con altri figli oltre alla madrilena di 30 anni che, come sostiene «El Mundo», starebbe ricattando per l’eredità l’Ordine insieme alla madre, una donna sposata e ricchissima. Non solo: persino la figlia di una sua ex fiamma, la messicana Flora Garza, ha confessato al settimanale «Proceso»: «Maciel, dopo aver ricevuto 50 milioni di dollari e un rapporto durato 20 anni, abbandonò mia madre».
Agli ospiti danno ancora da baciare la sua immaginetta, ma ora nella preghiera che i conservatori Legionari di Cristo recitano ogni sera la devozione al fondatore è attenuata. La Santa Sede ha disposto un’ispezione sull’ordine religioso in più forte crescita nel mondo per accertare gli scandali su «relazioni con donne» divampati dopo la conferma che padre Maciel Degollado, morto lo scorso anno a 87 anni e accusato di pedofilia, aveva un’amante fissa e una figlia.
Come richiesto anche dal cardinale George Pell, gli ispettori (vescovi ed ecclesiastici indicati dal Papa) dovranno far chiarezza sui Legionari e sul ramo laico «Regnum Christi» per presentare poi un rapporto al segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
A rivelare le sacrileghe love story del Rasputin azteco, nel libro «El Ilusionista», è il suo nipote (ed ex legionario) Alejandro Spinosa. La lista delle amanti è lunga e composta da signore che nuotavano tutte nell’oro. Talita Retes, la prima «dama benefactora» negli Anni 40. Poi Pachita Gandarillas, Edmé de Galas, Guillermina Dikins, la paperona Josefita Pérez, figlia di una stirpe di petrolieri che gli donò persino una villa a Cannes, Consuelo Fernández, sposa di un diplomatico di Madrid. Infine la ancor misteriosa amante spagnola. «El Mundo» sostiene che la figlia ha frequentato l’università Francisco de Vitoria (Madrid), dell’Ordine. «Io sono stato testimone di alcune delle sue conquiste, di cui si vantava», assicura Spinosa.
I Legionari sono un movimento tradizionalista, retto da un ordine ferreo al suo interno, con sedi in 40 paesi del mondo, 650 sacerdoti e 2.500 seminaristi. A Roma gestiscono l’ateneo pontificio «Regina Apostolorum» e il collegio «Maria Mater Ecclesiae». Un ordine religioso che dal Messico è sbarcato in Spagna e in Irlanda prima di arrivare in Italia e che, alla generalizzata crisi delle vocazioni, oppone una clamorosa crescita nel numero di sacerdoti e chierici che si preparano nei suoi 25 seminari e noviziati sparsi nei cinque continenti.
Nei loro ranghi figurano personaggi quali l’imprenditrice spagnola Alicia Koplowitz, una delle donne più facoltose del mondo. Nelle università occidentali come nelle comunità parrocchiali delle zone rurali e indigene dell’America Latina, i Legionari predicano un’etica dell’economia ispirata più al liberismo cattolico statunitense che al terzomondismo dei teologi progressisti. Entrare nella Congregazione richiede 14 anni di studio e apostolato, tanto che la rivista americana «Time» ha equiparato i Legionari ai Gesuiti per la disciplina e la complessità del percorso formativo.
Dall’antologia di scritti del loro discusso fondatore emerge la convinzione che i laici siano investiti di una missione assimilabile a quella sacerdotale. Il loro grande «sponsor» Karol Wojtyla li ha esortati a testimoniare nella società la loro solidarietà, ben sapendo che, a partire da un territorio missionario grande quanto la Svizzera assegnato da Paolo VI nella penisola messicano dello Yucatán, i Legionari sono riusciti a fondare centinaia di istituti superiori e università in tutto il mondo.
Ogni dieci anni raddoppiano le vocazioni e migliaia tra i 70 mila membri del «Regnum Christi» lavorano a tempo pieno come assistenti spirituali al servizio delle parrocchie. Come già accaduto per Opus Dei e Comunione e Liberazione, la crescita tumultuosa dei Legionari è stata accompagnata da diffidenze e ostilità, come quella del capo del Sant’Uffizio, Ottaviani, bilanciata però dal favore di vescovi sudamericani e potenti cardinali.
Pio XII li ricevette, col loro fondatore Marcial Marciel, con le parole: «Siate come un esercito schierato».

anticlericale
30-04-09, 03:03
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 02 APRILE 2009
Pagina 28 - Commenti

NOI SEMPLICI SACERDOTI E I PROCLAMI VATICANI

CORRADO AUGIAS

Caro Augias, ho, inutilmente, sperato che di fronte alle critiche intra ed extraecclesiali i vescovi si interrogassero sui problemi veri degli uomini e delle donne; invece li vedo arroccati nella stanca ma altèra ripetizione di vecchi proclami, più preoccupati di difendere se stessi che di servire quella comunità "per la quale" sono stati costituiti. La loro, ormai, è una contro-testimonianza. La Chiesa che emergeva dal Vaticano II era più attenta a lavare i piedi dell'umanità che non preoccupata di curare le vesti che indossava. La Chiesa che loro sognano è "un popolo di colli storti", per dirla con le parole di Bernanos nel suo Diario di un curato di campagna . Ho l'impressione che tocchi a noi, semplici sacerdoti e semplici fedeli, rievangelizzarli, ricordando loro che «Il precetto del Magistero non è che comando umano: ma la coscienza è voce di Dio», come già affermava San Tommaso. Tocca a noi ricordare quanto, ai tempi del Concilio, lo stesso Joseph Ratzinger scriveva: «Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dell'autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell'autorità ecclesiastica».

Don Aldo Antonelli (parroco di Antrosano) ednran@tele2.it



M i hanno colpito, nel libro La questua di Curzio Maltese (Feltrinelli ed.), le considerazioni che vengono esposte sull'obbedienza silenziosa della Conferenza episcopale italiana (Cei). Questa assemblea è stata profondamente riformata dal cardinale Camillo Ruini che ne è stato Segretario generale dal 1986, poi presidente dal 1991, confermato per ben sedici anni. Tralascio la sua linea politica, che pure ha avuto un rilievo sicuramente storico, per dire della sua riforma economica. Quando Ruini ne ha preso le redini, la Cei aveva un'organizzazione modesta come modesti erano i suoi mezzi e la sua influenza. Dopo i sedici anni del suo governo, si è trasformata in un vero centro di potere, tra i più influenti. Soprattutto è diventata un organismo dotato di fondi abbondanti che può distribuire a suo giudizio insindacabile. Che c'entra questa vicenda con la lettera di don Antonelli? C'entra perché la remissività dei vescovi italiani, la loro obbedienza, la passività, il silenzio, si deve per la gran parte proprio alla riforma ruiniana. Con quale animo il vescovo che ha bisogno di far riparare il tetto della canonica o di comprare le merendine per i ragazzi dell'oratorio può osare di mettersi contro l'alta gerarchia della sua organizzazione? È un bene o un male per la Chiesa il deserto della discussione? Non sta a noi estranei rispondere. Possiamo solo far rilevare il nostro sconcerto.

anticlericale
30-04-09, 03:04
http://www.corriere.it/politica/09_aprile_02/fini_procreazione_giustizia_0957cce8-1f90-11de-956a-00144f02aabc.shtml

Il presidente della Camera apre un nuovo fronte di discussione sulla laicità


Fini: Consulta rende giustizia alle donne
Casini: Stato etico solo durante fascismo
«Quando una legge si basa su dogmi di tipo etico-religioso è suscettibile di censure di costituzionalità»



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Fecondazione, cosa prevede la legge 40 (1 apr. 2009)
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Reazioni - Bonino: «Sonoro no». Roccella: ora nuove linee guida (1 apr. 2009)

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ROMA - La sentenza della Consulta sulla legge 40 rende giustizia alle donne italiane, specie in relazione alla legislazione di tanti paesi europei. Gianfranco Fini, presidente della Camera, con queste parole apre un nuovo inevitabile fronte di discussione all'interno della maggioranza.

CASINI: «RISPETTI PARLAMENTO» - Non perde tempo Pier Ferdinando Casini, che replica chiedendo a Fini di rispettare il voto espresso dal Parlamento. «Il Parlamento nella 14esima legislatura, con un voto ampiamente trasversale che dovrebbe essere rispettato anche dall'attuale presidente della Camera, ha legiferato laicamente su un tema eticamente sensibile - ricorda il leader dell’Udc -. Il referendum che ne seguì, con un'astensione di circa il 75%, ha dimostrato come il popolo italiano si ritrovasse pienamente nell'operato del Parlamento. Rispetto la Corte Costituzionale, aspetto di leggere le motivazioni della sentenza. Respingo al mittente l'idea che la laicità dello Stato si debba difendere con slogan contro lo Stato etico, che in Italia ha avuto l'unica pratica applicazione durante il fascismo».

ISTITUZIONI LAICHE - La laicità delle istituzioni è infatti al centro del nuovo intervento di Fini: «Mi sembra evidente che quando una legge si basa su dogmi di tipo etico-religioso, è sempre suscettibile di censure di costituzionalità, in ragione della laicità delle nostre istituzioni». Fini ha già in passato appoggiato il referendum abrogativo della legge 40 e, più di recente, ha detto che alla Camera sarebbe opportuno rivedere la legge sul testamento biologico, approvata dalla maggioranza al Senato con il plauso della chiesa e fortemente criticata dal centrosinistra.

LA SENTENZA - Mercoledì la Consulta ha dichiarato incostituzionali due passaggi della legge 40 sulla fecondazione assistita, quello che dispone che gli embrioni prodotti in provetta, non superiori a tre, debbano essere tutti impiantati contemporaneamente nell'utero della donna e quello che dice che il trasferimento nel corpo della donna deve avvenire non appena possibile, perché non si menziona che ciò sia fatto «senza pregiudizio per la salute della donna».






02 aprile 2009

anticlericale
30-04-09, 03:04
La forza per risorgere
• da Il Giornale del 9 aprile 2009, pag. 1

di Gianni Baget Bozzo

«Dio mio, non dovevi farmi questo». Sono le parole di un uomo che ha perso sotto le macerie de L’Aquila due sue figlie. È l’interrogativo che ogni credente ha dinanzi al male che lo coglie e non riesce ad afferrare la provvidenza di un Dio onnipotente nella vita che gli è tolta, sia essa la propria e, ancor più, quella delle persone care. E questa domanda sale da tutto un popolo cristiano come è il popolo abruzzese. Nelle litanie dei santi che erano un elemento portante della liturgia tradizionale, i cristiani invocavano da Dio la liberazione del flagello del terremoto, messo allora alla pari della fame, della guerra e della peste. La domanda sale anche più forte perché colpisce in terra aquilana la distruzione delle chiese, novanta secondo la tradizione. Ed è colpita la basilica di Colle Maggio, la gloria di Celestino V, colui che pensò che essere monaco era più importante che essere Papa.
L’Aquila mostra i suoi campanili dimezzati, anche quello di San Bernardino, sembra che il terremoto si sia scagliato contro i simboli cattolici con una energia e una potenza di distruzione ancora maggiore di quella che devastò l’Umbria nel 1997 e colpì ad Assisi il San Francesco di Giotto.
Non è stata notata la coincidenza del terremoto abruzzese con la liturgia della settimana santa, il suo sovrapporsi nella realtà della morte e della distruzione ai simboli liturgici della passione di Cristo. E la liturgia legge nella domenica delle palme il vangelo di Marco. È il vangelo che dà della passione di Cristo la versione più drammatica, perché pone sulle labbra di Gesù le parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato». Gli altri vangeli, specie quello di Giovanni, nascondono queste parole che, pur essendo testimonianza di una perfetta fedeltà verbale perché citano l’inizio del salmo 21, mantengono però la loro radicale crudezza. Eppure in quel vangelo avviene il singolare fatto che un centurione romano, vedendo la morte di Gesù, esclama: «questo è veramente il figlio di Dio». Il popolo abruzzese è stato formato dalla liturgia cattolica e ha sofferto nella sua storia numerosi terremoti, è diventato un popolo che conosce il soffrire e vede in questo un rapporto con il figlio di Dio che manifestò umanamente il volto di Dio nel mistero dell’uomo.
La coscienza umana sopporta la necessità del morire e in questo ha visto la vita divina sorreggere il sentimento del contrasto tra lo spirito che si sente immortale e un corpo che sa di morire. Per questo il popolo abruzzese reagisce alla sofferenza affermando la continuità della vita, rimotivandosi a vivere. Il terremoto rappresenta sempre un sentimento di una impotenza umana, la piccolezza dell’uomo di fronte a una terra che non è amica e su cui egli costruisce la sua tela di civiltà, le sue umili case, le sue splendenti Chiese che vivono nella precarietà di una terra che può scuotere l’uomo come questi scuote le formiche. Questi sentimenti cristiani sono nel fondo della coscienza popolare e spiegano la solidarietà universale che unisce coloro che non hanno avuto la prova del terremoto a rischiare le loro vite per salvare ciò che rimane nascosto sotto le macerie. È la vita che rifluisce e vi è un impegno umano ad appropriarsi e portare su di sé la disperazione che può invadere il cuore di chi è stato privato dai suoi affetti più cari. Quasi a consolare nella tragedia umana coloro che di questa condizione dell’uomo sono rimasti vittime. L’Italia intera si è sentita ferita nello strazio senza nome che ha colpito una terra così intrisa di simboli cristiani, così ricca di tutta la storia e di tutta la bellezza che ha nidificato nel nostro Paese e che in Abruzzo risplendono pur nelle loro ferite e nei campanili mozzi nelle strade distrutte. Quando la terra non è amica, l’uomo è portato a mostrarsi più amico dell’uomo, anche se il bene e il male si mescolano sempre assieme e lo sciacallaggio si nasconde nelle parole di soccorso.
Questa solidarietà italiana e umana è come l’attesa della resurrezione dell’Abruzzo nella sua Pasqua di Resurrezione.

anticlericale
30-04-09, 03:04
L'affondo di Blair: "il Vaticano sbaglia sugli omosessuali"
• da La Repubblica del 9 aprile 2009, pag. 37

Ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali: è la raccomandazione che l´ex premier britannico Tony Blair - convertitosi al cattolicesimo poco dopo aver abbandonato Downing Street - ha dato ai vertici del Vaticano. Che restano a suo avviso in molti casi «trincerati» nelle loro vecchie posizioni mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve. «A mio modo di vedere - ha detto in un´intervista al settimanale gay Attitude - ripensare è un´attitudine positiva: quindi continuiamo a ripensare le cose». Quando a Blair è stato poi chiesto un commento sulla definizione di omosessualità elaborata da papa Benedetto XVI nel 1986 - «una tendenza intrinseca al male morale» - ha risposto «su questo punto c´è un´enorme differenza generazionale».
«Probabilmente - ha proseguito - c´è il timore tra i leader religiosi che concedendo terreno su un argomento del genere, si potrebbe arrivare al punto in cui bisogna ripensare tante cose. Ma io al contrario credo che si debba avere una mentalità secondo la quale il concetto di evoluzione delle disposizioni individuali e di ripensamento diventi parte dell´esperienza di avvicinamento alla fede religiosa». Quando poi il giornalista gli ha chiesto se poteva prevedere in futuro la presenza di un papa pro-gay, Blair ha risposto così: «Sinceramente non lo so. Ma io ritengo interessante che se si va in una qualunque chiesa la domenica e si fa un sondaggio, si resterà sorpresi nel vedere quante persone mostrano una mentalità liberale».
L'affondo di Blair: "il Vaticano sbaglia sugli omosessuali"
• da La Repubblica del 9 aprile 2009, pag. 37

Ripensare la propria posizione nei confronti degli omosessuali: è la raccomandazione che l´ex premier britannico Tony Blair - convertitosi al cattolicesimo poco dopo aver abbandonato Downing Street - ha dato ai vertici del Vaticano. Che restano a suo avviso in molti casi «trincerati» nelle loro vecchie posizioni mentre il mondo - e con esso i fedeli stessi - si evolve. «A mio modo di vedere - ha detto in un´intervista al settimanale gay Attitude - ripensare è un´attitudine positiva: quindi continuiamo a ripensare le cose». Quando a Blair è stato poi chiesto un commento sulla definizione di omosessualità elaborata da papa Benedetto XVI nel 1986 - «una tendenza intrinseca al male morale» - ha risposto «su questo punto c´è un´enorme differenza generazionale».
«Probabilmente - ha proseguito - c´è il timore tra i leader religiosi che concedendo terreno su un argomento del genere, si potrebbe arrivare al punto in cui bisogna ripensare tante cose. Ma io al contrario credo che si debba avere una mentalità secondo la quale il concetto di evoluzione delle disposizioni individuali e di ripensamento diventi parte dell´esperienza di avvicinamento alla fede religiosa». Quando poi il giornalista gli ha chiesto se poteva prevedere in futuro la presenza di un papa pro-gay, Blair ha risposto così: «Sinceramente non lo so. Ma io ritengo interessante che se si va in una qualunque chiesa la domenica e si fa un sondaggio, si resterà sorpresi nel vedere quante persone mostrano una mentalità liberale».

anticlericale
30-04-09, 03:04
"La Stampa", 09 Aprile 2009, pag. 31

CINA, LA PORTA IN FACCIA AL PAPA
Gianni Baget Bozzo




Con la lettera ai cattolici cinesi Papa Benedetto aveva cercato di superare la divisione dei cattolici cinesi in due chiese: l’una clandestina in comunione con la sede romana, l’altra legittimata dal governo di Pechino come chiesa nazionale. La lettera voleva evitare che la clandestinità apparisse come una scelta della Chiesa, come se essa non riconoscesse la legittimità del governo di Pechino. Voleva evitare che la Chiesa apparisse come estranea alla grande crescita della società cinese che il regime capitalista comunista aveva pur determinato.
Con il documento papale la Chiesa accettava il controllo dello Stato cinese nella nomina dei vescovi, che però rimanevano in comunione con Roma. Il comunismo cinese non è come quello sovietico radicato in una lettura marxista della storia occidentale. È un regime di fatto che pretende soggezione ma non esercita un fascino ideale tra i credenti come accadde in Occidente. Per questo Roma accettava il fatto del controllo del governo di Pechino sulla nomina dei vescovi cattolici. La commissione per la Cina, riunitasi in Vaticano per esaminare la situazione creata dalla lettera del Papa, ha dovuto constatare che nulla era cambiato, continuava la persecuzione contro la Chiesa clandestina e quella ufficiale non dava segni di riconoscimento della giurisdizione romana.
Lo sviluppo economico può dar vita a una domanda di tipo religioso, a compensazione delle energie spirituali liberatE dalla soggezione al bisogno materiale. Le autorità cinesi temono il superamento di quella massificazione nell’essere generico del comunismo cinese e pensano che il rifiorire di esigenze religiose sia la prima forma che prende la domanda umana di libertà. La memoria di Tienanmen, quando il liberalizzatore economico della Cina, Deng Siao Pin, si mostrò inflessibile contro la libertà politica e intellettuale rivendicata dagli studenti, è ancora nella memoria del governo cinese. Il timore che la domanda religiosa, soprattutto la domanda religiosa cristiana, sia un prodromo della libertà occidentale fa sì che anche una Chiesa cattolica che accetta la nomina dei vescovi da parte del regime cinese sia egualmente un pericolo per la cultura massificata che costituisce l’orizzonte senza orizzonte della società cinese.
Il nesso tra Cristianesimo e libertà politica che in Occidente viene negato con la rimozione delle radici cristiane della civiltà occidentale, appare così confermato dal timore che il regime cinese, fondato nella massificazione ideale del popolo e delle persone in un marxismo pietrificato, ha dell’emergenza spirituale del fatto religioso. E, in particolare, del fatto religioso cristiano e cattolico.
Il comunismo cinese ha mostrato che una massificazione dell’uomo è compatibile con il regime capitalista e consente una nuova singolare edizione dell’economia di mercato. Ma il passaggio dall’economia di mercato a una società liberale non avviene, il nesso tra capitalismo e liberalismo viene negato dal più grande successo che l’economia di mercato abbia avuto in Asia.
La libertà non è un fatto che la condizione umana porti in se stessa, è il fatto cristiano che fa la differenza perché veicola il tema della divinità della persona nella figura di Cristo. Per questo il tentativo di papa Benedetto di accettare la perdita del controllo romano sulla nomina dei vescovi cinesi non ha avuto seguito.
Dove non ci sono le radici cristiane, la libertà spirituale, da cui conseguono la libertà civile e la libertà politica, non alligna. La libertà occidentale è un frutto della storia, non nasce dalle costrizioni della condizione umana. Per questo il regime comunista cinese ha vinto a Tienanmen, ha fatto della negazione della libertà politica la condizione del successo economico capitalistico del regime nato dal comunismo utopico di Mao Tze Tung. Forse proprio il maoismo nella sua idea di cambiare gli istinti profondi della natura umana è stato la maggiore influenza della cultura cristiano occidentale sulla cultura cinese.


bagetbozzo@ragionpolitica.it

anticlericale
30-04-09, 03:05
"La Stampa", 10 Aprile 2009, pag. 21

ANCHE LA PROCURA FA MARCIA INDIETRO

Curia di Siena, cadono tutte le accuse Non ci fu truffa, l’economo assolto. Nessuna indagine sull’arcivescovo.




SIENA

Si è conclusa con una piena assoluzione la vicenda processuale che ha toccato da vicino gli ambienti della Curia Metropolitana di Siena.
Il tutto era incominciato nel 2006, quando gli inquirenti si sono interessati a una compravendita intercorsa tra la Curia stessa e un noto imprenditore. Dando seguito a «voci confidenziali», era stato accusato don Giuseppe Acampa, economo della Curia, di truffa ai danni della stessa Diocesi e dell’Arciconfraternita di Misericordia, le due comproprietarie dell’immobile ricevuto in eredità qualche anno addietro. Secondo le ipotesi accusatorie, don Acampa avrebbe convinto l’Arcivescovo e la Misericordia a vendere l’immobile per un prezzo inferiore al valore reale, ottenendo dall’acquirente una macchina nuova in dono.
Il vaglio dell’istruttoria dibattimentale ha invece ribaltato completamente l’ipotesi accusatoria. Attraverso la produzione di perizie tecniche è stato infatti confermato il giusto valore attribuito all’immobile nella compravendita; mentre con le numerose testimonianze, comprese quelle dei presunti raggirati, è stata provata l’estraneità dell’economo nella trattativa e riaffermato con forza la volontà delle parti di concludere in tal modo l’affare. Persino la pubblica accusa è dovuta tornare sui propri passi e chiedere l’assoluzione dell’imputato e il 14 gennaio scorso il giudice del tribunale di Siena, accogliendo le tesi difensive dei legali di don Acampa, Enrico De Martino e Giuseppe Mussari, lo ha finalmente assolto per l’insussistenza del fatto.
Una notizia che ha riportato la serenità nella Curia senese, sotto pressione non solo per tali problemi giudiziari, ma anche e soprattutto per la contemporanea tempesta mediatica che si era scatenata e che ha avuto come apice la diffusione della notizia di presunte indagini a carico dell’Arcivescovo Antonio Buoncristiani per estorsione e l’incredibile accostamento di don Acampa alla concomitante vicenda del sacerdote fiorentino accusato di pedofilia, entrambe smentite prontamente dal sostituto procuratore della Repubblica di Siena.
Come detto, le illazioni sul sacerdote senese si sono rivelate del tutto infondate e la sentenza del 14 gennaio ha finalmente ridato dignità all’economo della Curia di Siena, del quale era stata messa in dubbio a tal punto la propria correttezza e moralità da ritrovarsi in una situazione non facile per lo stesso svolgimento del ministero sacerdotale. \

anticlericale
30-04-09, 03:05
Poretti: un miliardo per il terremoto, no, meglio per la Chiesa Cattolica. Cittadini italiani o vaticani?

Roma, 14 aprile 2009


• Intervento della senatrice Donatella Poretti parlamentare Radicali - Partito Democratico, segretaria della Commissione Sanita'

Arriva dal presidente della Cei la lezione di stile a Tremonti: l'otto per mille ha tra le sue destinazioni le calamita' e le emergenze nazionali, e per questo arriveranno fondi per l'Abruzzo. Ma, attenzione, non stiamo parlando della quota dello Stato dell'otto per mille, ma della quota della Chiesa Cattolica. Grande gesto di generosita' da Santa romana Chiesa? Peccato che quei soldi siano sottratti annualmente dal bilancio dello Stato con un meccanismo diabolico.
Basti pensare che il 60% degli italiani non mette alcuna preferenza nella denuncia dei redditi, circa 37% scrive Chiesa Cattolica, che finisce con il prendersi cosi' il 90% dell'ammontare complessivo. Un miliardo circa di euro.
Soldi che potrebbero essere facilmente utilizzati per la ricostruzione dell'Abruzzo, basterebbe che il Governo si prendesse tale impegno pubblicamente e chiedesse agli italiani di fargli fiducia nella denuncia dei redditi con una firma. Per questo con i senatori Emma Bonino e Marco Perduca abbiamo da subito presentato una interrogazioni parlamentare per sollecitare questa possibilita' (1).
Invece il Governo e' ancora alle prese con l'idea del cinque per mille. Ma otto per mille o cinque per mille per le casse statali non sono la stessa cosa. Nel primo caso sono soldi che comunque escono dal gettito fiscale, nel secondo solo se si esprime una preferenza. Se quindi si aggiungesse una onlus -a gestione statale? Con quali costi di gestione e a carico di chi?- sarebbe non solo in concorrenza con altre associazioni di volontariato, ma anche con le casse statali per la quota di chi non esprimeva fino ad oggi la preferenza e li lasciava al gettito fiscale.
Diverso e' il funzionamento dell'otto per mille. Che i contribuenti scelgano la Chiesa, i valdesi o lo Stato, o peggio ancora non scelgano, l'ammontare complessivo dell'otto per mille -ridistribuito con il perverso e diabolico meccanico delle scelte non espresse- non rientra comunque nelle casse statali.
Se a questo si aggiunge che con recenti finanziarie sono stati sottratti 85 milioni alla quota statale, verrebbe da pensare che il meccanismo e' solo una foglia di fico per nascondere il contributo diretto al Vaticano! Solo uno Stato laico e' garanzia per i credenti e per la liberta' di praticare e di esprimere una fede religiosa.

(1) http://blog.donatellaporetti.it/?p=583

anticlericale
30-04-09, 03:05
Terremoto 8 o 5 per mille, Poretti: la disinformazione degli zuavi delle gerarchie vaticane. Un esempio dall'Udc.

Roma, 14 aprile 2009


• Intervento della senatrice Donatella Poretti parlamentare Radicali - Partito Democratico, segretaria della Commissione Sanita'

Il leader dell'Udc Pierferdinando Casini nel dire che l'otto per mille deve andare alla Chiesa, semplifica il dibattito e traghetta il suo partito verso lidi esplicitamente clericali. Ma visto che e' stato presidente della Camera e attualmente e' parlamentare dello Stato italiano -ancora laico- potrebbe rileggersi la legge e vedra' che l'8 per mille puo' essere destinato non solo ad altre confessioni religiose, ma perfino allo Stato e scoprira' che la quota statale prevede come destinazione anche quella delle calamita' naturali.
Ma purtroppo in Italia dobbiamo arrivare al paradosso di dare i soldi alla Chiesa Cattolica attraverso l'otto per mille per poi ringraziare il presidente della Cei che dopo aver pagato gli stipendi al clero ci restituisce qualche briciola per i terremotati.
Fare confusione tra 8 e 5 per mille e mettere tutto nello stesso calderone, come fa l'on. Casini, fa inoltre parte della tattica di mantenere inalterata la situazione.
I due meccanismi sono molto diversi, infatti con il 5 per mille solo chi sceglie una ong destina la sua quota, con l'8 per mille chi non sceglie (il 60 per cento) vede la sua quota ripartita in base alle preferenze espresse. E' grazie a questo diabolico meccanismo che la Chiesa Cattolica (espressa solo dal 37 per cento dei contribuenti) si accaparra il 90 per cento del totale, pari ad un miliardo circa.
Una ragione in più perche' il Governo risponda alle interrogazioni che ho depositato con i senatori Emma Bonino e Marco Perduca.

Qui l'interrogazione: http://blog.donatellaporetti.it/?p=583

anticlericale
30-04-09, 03:05
Lettera - Marco Perduca
• da Il Foglio del 15 aprile 2009, pag. 4

di Marco Perduca


Al direttore - Nelle brevi di ieri sul Foglio si legge che "tre senatori radicali, fra cui Emma Bonino, hanno presentato un`interrogazione: "Lo stato rinunci nel 2009 all`8x1000 per la ricostruzione delle zone terremotate". Per l`appunto abbiamo chiesto il contrario, cioè che il governo si avvalga pienamente di quel gettito con una massiccia campagna informativa chiedendo a tutti i contribuenti di optare per lo stato come destinatario unico. Secondo infatti l`ulteriore meccanismo illiberale della redistribuzione, l`ammontare totale dell`8 x 100 viene diviso in base alle preferenze effettivamente espresse, che negli anni non hanno mai superato il 40 per cento dei contribuenti, e non finisce direttamente all`esattore. Occorre quindi fare informazione affinché si scelga lo stato come destinatario della, percentuale, anche perché tra le finalità della misura in questione vi sono le calamità naturali e la tutela del patrimonio culturale. Son sicuro che le varie denominazioni religiose che verrebbero private dei danari concorderanno con la nobiltà di tale scelta degli italiani.
Marco Perduca, senatore radicale nel Pd
La cosa irritante degli anticlericali è che sono dei furbastri.

anticlericale
30-04-09, 03:06
Bagnasco fa due conti e dice che la Chiesa fa e farà la sua parte
• da Il Riformista del 15 aprile 2009, pag. 3

di Paolo Rodari

Oltre che per portare diretto conforto alla popolazione abruzzese, l`arrivo ieri all`Aquila del presidente della conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, è servito anche per "aggiornare" la cifra dello stanziamento che la Chiesa ha deciso di "girare" ai terremotati (da tre milioni di euro si è passati a cinque) e, quindi, per prevenire l`evolversi di polemiche peraltro già vive attorno al cinque per mille. Polemiche montate anche a causa di dichiarazioni in merito pervenute dal mondo politico, soprattutto da parte dei radicali italiani secondo i quali l`otto per mille potrebbe essere devoluto in toto all`Abruzzo. Seppure non direttamente in risposta a queste ipotesi, l`arrivo e soprattutto le parole di Bagnasco di ieri hanno manifestato due cose: la Chiesa vuole dare ma, nello stesso tempo, non intende farsi dettare da terzi la misura del proprio impegno. Secondo i radicali l`otto per mille, che «ammonta a un miliardo circa di euro», può essere utilizzato benissimo per la ricostruzione dell`Abruzzo. In sostanza, se all`obolo che una parte di contribuenti italiani destina alla Chiesa cattolica tramite l`otto per mille si somma anche quella parte di contributi che, non assegnata, viene equamente distribuita fra gli aventi diritto dello stesso otto per mille (tra questi, dunque, anche la Chiesa cattolica), viene fuori un gruzzolo notevole che, dicono diversi esponenti politici, da solo potrebbe risolverebbe svariati problemi ai terremotati. Di per sé, dunque, è vero: il bottino di un anno di otto per mille non è cosa da poco. Ma è anche vero che, stando a quanto ha detto ieri Bagnasco, il contributo che la Chiesa già dà all`Abruzzo è ragguardevole. La Cei ha promosso l`istituzione di un fondo nazionale per potere permettere interventi di sostegno e di accompagnamento oltre l`emergenza immediata. E a un primo stanziamento di tre milioni di euro, erogato tramite Caritas Italiana e annunciato già nei giorni scorsi, se ne è aggiunto un secondo di altri due milioni di euro. Quest`ultimo servirà per la realizzazione di un centro di prima accoglienza e per la Caritas aquilana, la cui sede è andata completamente distrutta. Quindi, in totale, il contributo della Chiesa ammonta a cinque milioni di euro. Ma, come ha detto sempre ieri lo stesso presidente della Cei, ulteriori contributi potranno venire proprio dall`otto per mille: esiste già da tempo - ha detto Bagnasco - «un capitolo specifico relativo alle calamità naturali in Italia e, dunque, è evidente e prevedibile che ci saranno altri sostegni derivanti dall`otto per mille destinati all`Abruzzo». Certo, Bagnasco ha parlato di «altri sostegni derivanti dall`otto per mille» ma non certo di tutta la somma che, grazie allo stesso otto per mille, la Chiesa raccoglierà dopo la presentazione delle dichiarazioni dei redditi relative al 2008. Altra iniziativa della Chiesa italiana è la colletta nazionale: nell`immediato arriveranno soldi anche da una raccolta che la Cei ha voluto programmare per domenica prossima all`interno di tutte le parrocchie italiane. Il ricavato verrà devoluto subito e interamente alle popolazioni terremotate. L`annuncio di Bagnasco dei due milioni di euro in più offerti all`Abruzzo è stato ripreso anche nell`edizione odierna dell`Osservatore Romano, a indicare anche da parte vaticana la volontà d`insistere, al di là delle polemiche, su quanto la Chiesa italiana sta già facendo. Qualcosa, tra l`altro, ha già fatto anche Benedetto XVI: in attesa di un suo arrivo in Abruzzo, papa Ratzinger ha fatto giungere all`arcivescovo dell`Aquila monsignor Giuseppe Molinari un`offerta in danaro per sostenere le prime necessità del dopo-sisma. Sempre ieri, altre parole relative ai soldi offerti dalla Chiesa sono arrivate anche dallo stesso bollettino dei vescovi italiani, il Sir. Anche qui si sottolinea l`intervento della Chiesa: «E una solidarietà viva, spontanea, profonda, radicata, che percorre tutto il tessuto sociale. L`Italia tutta ne sta facendo la prova e la Chiesa ancora una volta se ne è fatta interprete».

anticlericale
30-04-09, 03:06
La trappola del 5 per mille
• da La Repubblica del 16 aprile 2009, pag. 1

di Chiara Saraceno

E’ davvero curioso che il ministro del Tesoro abbia proposto di destinare alla ricostruzione in Abruzzo i fondi del 5 per mille, ovvero fondi che per legge sono destinati ad altri soggetti: alle associazioni di volontariato, culturali e di ricerca (incluse le università) prescelte dai cittadini. Giustamente si sono arrabbiate le diverse associazioni e istituzioni che sperano di ottenerne una parte e che già si lamentano dell´incredibile ritardo (di anni, non di mesi) con cui lo stato gira loro i denari a ciò destinati dai cittadini. Ma la proposta del ministro è tanto più impropria in quanto lo stato ha a disposizione i proventi dell´8 per mille per la quota destinata dai cittadini, appunto, allo stato. Questi fondi hanno i vincoli di destinazione precisi, anche se troppo spesso sono invece utilizzati in modo non trasparente e per finalità improprie. Tra le destinazioni esplicitamente ammesse vi è anche il fronteggiamento delle calamità naturali. Perciò ci si sarebbe aspettati dal ministro del Tesoro che promettesse solennemente che i proventi dell´8 per mille di quest´anno e/o dell´anno scorso, o anche solo una loro parte, saranno destinati alle zone terremotate dell´Abruzzo. Forse ciò avrebbe invogliato molti cittadini - la stragrande maggioranza - che solitamente non indicano la destinazione dell´8 per mille a farlo per questa volta, indicando appunto lo Stato come beneficiario.
Come mai allora il ministro non ha preso subito questo impegno, così ovvio e così efficace? Per capirlo occorre ricordare come funziona il meccanismo dell´8 per mille. I cittadini indicano a chi vogliono destinare la loro quota, tra lo Stato e le diverse chiese ammesse. L´intero ammontare dell´8 per mille - non solo la parte corrispondente all´insieme delle opzioni - viene poi ripartito in base alla distribuzione delle scelte. Avviene così che se sceglie, come avviene, solo il 40% dei contribuenti, ma il 90% di questi indica la Chiesa cattolica - il 90% di tutto l´8 per mille verrà destinato alla Chiesa cattolica, anche se si è pronunciato in questo senso solo il 35% di tutti i contribuenti. È un meccanismo molto diverso da quello del 5 per mille, ove, invece, non solo vi è un tetto massimo, ma l´ammontare finale è definito sulla base delle sole indicazioni esplicite. I fondi che la Chiesa cattolica ha, apprezzabilmente, deciso di stanziare a favore dell´Abruzzo (come quelli, qualche settimana fa, per le famiglie povere) non provengono dalle donazioni dei credenti, ma in larga misura dalle tasche di tutti i cittadini, che lo abbiano deciso loro o meno.
Vi è quindi una forte convenienza da parte del maggior destinatario di indicazioni esplicite - la Chiesa Cattolica - a che continui il comportamento di non scelta. Se appena lo Stato presentasse un piano credibile e di grande impatto per l´uso della sua quota, "rischierebbe" di attirare più scelte di quanto non sia stato implicitamente concordato come accettabile nel patto che ha fatto con la Chiesa Cattolica quando nel 1985 ha sostituito la vecchia congrua a sostegno del clero appunto con l´8 per mille. Fa parte di questo "patto" non solo la rinuncia dello Stato a qualsiasi forma di campagna perché i cittadini destinino a programmi pubblici di solidarietà la propria quota. Anche se questa potrebbe essere una scelta dignitosa e di civiltà, dato che la solidarietà pubblica dovrebbe essere data per scontata e parte dei diritti e doveri di cittadinanza. Fa parte di quel patto soprattutto la sistematica mancanza di informazioni sul meccanismo di raccolta e distribuzione dell´8 per mille. A oltre vent´anni dalla prima applicazione di questo istituto, molti contribuenti sono ancora convinti che, se non scelgono, il loro 8 per mille rimane nel monte complessivo dell´introito fiscale, senza essere redistribuito tra le chiese e lo Stato. E forse ritengono giustamente che sia ridondante indicare lo stato, dato che questi è per definizione il destinatario delle imposte. È bene che sappiano che non è così. E che chiedano che lo Stato, invece di dirottare scelte di destinazione effettive, eviti di imporre scelte a chi non le ha fatte. E soprattutto, che per una volta usi in modo appropriato, per gli scopi di legge, ovvero per la ricostruzione in Abruzzo, i fondi che, nonostante tutto, gli vengono destinati (l´8% circa delle scelte). Avrebbe sicuramente il consenso dei contribuenti. Sembra che, dopo le proteste, il ministro ci stia pensando. Speriamo prenda la decisione giusta.

anticlericale
30-04-09, 03:06
Terremoto, Perduca: si usi 8 per mille, da Cei solo briciole

Roma, 15 aprile 2009


• Intervista all’Agenzia Radiofonica Econews di Marco Perduca, senatore radicale eletto nelle liste del PD

Tra le finalità dell’8 per mille c’è anche la tutela dei beni culturali ed eventuali spese extra per calamità naturali. Secondo noi, cogliendo l’occasione di questa disgrazia, lo Stato dovrebbe avvalersi di questo extragettito, che supera abbondantemente il miliardo.” [si prega di citare la fonte]. “Riteniamo che sia stato sempre e comunque grave il fatto che non si sia mai fatto sapere agli italiani che non solo si possono dare i soldi allo stato ma che laddove non vengano espresse preferenze comunque i resti vengono ridistribuiti in base a chi ha manifestato la propria scelta, e dunque il 40% degli italiani decide l’ammontare totale delle distribuzione. Ma in questo caso, anziché prendere i soldi alle ONG col 5 per mille, bisognerebbe far sapere che c’è l’8 per mille che dà molti più soldi, che possono essere utilizzati per la ricostruzione dell’Abruzzo.”

Noi chiediamo”, prosegue Perduca, “che lo Stato, e il Governo in particolare, rispetti la propria legge. Non si capisce perché non si voglia far sapere che tutto ciò esiste. La Cei ha già promesso 4-5 milioni: si sappia che la Cei annualmente gode dell’8 per mille che si aggira attorno al miliardo. 4 milioni di fronte a un miliardo non sono neanche considerabili briciole.”

Infine, Perduca annuncia: “Appena riaprirà il Parlamento la settimana prossima chiederemo un ulteriore accesso agli atti, perché non si sa come vengano usati i soldi dell’8 per mille, né si riesce a capire perché non sia mai stata presa in considerazione la possibilità di valutarne l’effettivo ammontare, perché la legge prevede che qualora non si ritenga sufficiente si possa addirittura aumentare la percentuale di donazione. Ancora una volta siamo al di fuori delle regole.

anticlericale
30-04-09, 03:06
www.corriere.it

LA POLEMICA
Aids, il Vaticano contro il Belgio
La Santa Sede dopo la critica ufficiale del Parlamento.
«Intimidazioni contro il Papa per le frasi sui condom»



ROMA - Dopo le critiche arrivate da mezza Europa sulla questione dell'utilizzo dei profilattici per contrastare la diffusione dell'Aids arriva la risposta ufficiale del Vaticano. Rivolta in particolare al Belgio, l'unico Paese tra quelli critici nei confronti della posizione manifestata dalla Santa Sede ad aver espresso attraverso una risoluzione parlamentare un atto concreto di risposta alle posizioni in materia esposte dal Pontefice. Le frasi pronunciate dal Papa sull'aereo che lo portava in Africa, sull'uso del preservativo contro l'Aids, sono state «troncate e isolate dal contesto» e usate «da alcuni gruppi con un chiaro intento intimidatorio». Lo afferma un comunicato della Segreteria di Stato vaticana, dopo un incontro tra l'ambasciatore del Belgio e il ministro degli Esteri vaticano, in seguito proprio alla risoluzione di critica al Papa votata dalla Camera dei rappresentanti del Belgio. Nella nota il Vaticano «prende atto con rammarico» della risoluzione con cui i parlamentari del Belgio hanno condannato le dichiarazioni fatte dal papa sul preservativo, durante il volo che lo portava in Africa, e definisce tale passo «inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno del Belgio».

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LA REPLICA AL BELGIO - In «alcuni Paesi d'Europa» si è scatenata una «campagna mediatica senza precedenti» a favore dell'uso del preservativo, ma solo alcuni hanno «capito e apprezzato le considerazioni di ordine morale sviluppate dal Papa» e tra questi ultimi ci sono «gli africani e i veri amici dell'Africa» spiega ancora la Segreteria di Stato vaticana. «Il Santo Padre - ricostruisce il comunicato diffuso oggi - rispondendo ad una domanda circa l'efficacia e il carattere realista delle posizioni della Chiesa in materia di lotta all'Aids, ha dichiarato che la soluzione è da ricercare in due direzioni: da una parte nell'umanizzazione della sessualità e, dall'altra, in una autentica amicizia e disponibilità nei confronti delle persone sofferenti, sottolineando anche l'impegno della Chiesa in ambedue gli ambiti. Senza tale dimensione morale ed educativa la battaglia contro l'Aids non sarà vinta». «Mentre, in alcuni Paesi d'Europa, si scatenava una campagna mediatica senza precedenti sul valore preponderante, per non dire esclusivo, del profilattico nella lotta contro l'Aids, è confortante - rileva la nota della Segreteria di Stato - costatare che le considerazioni di ordine morale sviluppate dal Santo Padre sono state capite e apprezzate, in particolare dagli africani e dai veri amici dell'Africa, nonchè da alcuni membri della comunità scientifica. Come si può leggere in una recente dichiarazione della Conferenza Episcopale Regionale dell'Africa dell'Ovest: «Siamo grati per il messaggio di speranza che il Santo Padre è venuto ad affidarci in Camerun e in Angola. È venuto ad incoraggiarci a vivere uniti, riconciliati nella giustizia e la pace, affinchè la Chiesa in Africa sia lei stessa una fiamma ardente di speranza per la vita di tutto il continente. E lo ringraziamo per aver riproposto a tutti, con sfumatura, chiarezza e acume, l'insegnamento comune della Chiesa in materia di pastorale dei malati di Aids».


17 aprile 2009

anticlericale
30-04-09, 03:07
"la Repubblica", VENERDÌ, 17 APRILE 2009
Pagina 19 - Esteri

Parigi, tutte le case del Vaticano; anche Kouchner tra gli inquilini
Affitti bassi per molti politici. E scoppia la polemica
Imbarazzo per il ministro degli Esteri. Che replica: "Contratto vecchio di 35 anni"

ANAIS GINORI

DAL NOSTRO INVIATO

PARIGI - In un lussuoso appartamento di rue Guynemer, nel cuore di Parigi, abitano Bernard Kouchner e sua moglie, la giornalista Christine Ockrent. Il palazzo ottocentesco ha una splendida vista sui giardini del Luxembourg. «Non vedo dove sia il problema» ha commentato ieri il ministro degli Esteri.
L´indirizzo del titolare della diplomazia non avrebbe in sé nessun interesse se non fosse per il padrone di casa che ogni mese riscuote l´affitto. Kouchner è infatti uno dei tanti inquilini eccellenti del Vaticano. Certo è in buona compagnia. Un tempo, nello stesso immobile di Kouchner, viveva François Mitterrand. E a pochi passi, in un altro palazzo della Santa Sede, in boulevard Montparnasse, ha abitato l´attuale ministro della Cultura, Christine Albanel.
"Le ricchezze nascoste della Chiesa", titolava ieri in prima pagina Le Parisien con una documentata inchiesta. Nella capitale francese, ha rivelato il giornale, il Vaticano gestisce una decina di immobili di grande valore attraverso una sua controllata, la Sopridex. Albanel ha confermato la notizia, precisando però che ha lasciato l´appartamento nel 2006: 85 metri quadrati a 1.700 euro al mese. «Un prezzo di mercato» ha commentato il ministro della Cultura. Kouchner non ha voluto invece rivelare dettagli sulla casa né dire quanto paga. Il suo portavoce ha fatto sapere che il contratto è vecchio di 35 anni, quando era solo un «french doctor», semplice militante di organizzazioni umanitarie. Il nuovo incarico di governo rischia però di creare qualche imbarazzo. Il Quai d´Orsay è interlocutore costante della Santa Sede. Negli ultimi tempi non sono mancati i punti di disaccordo: Kouchner ha duramente criticato le frasi di Papa Benedetto XVI sui preservativi.
Ci sarebbero, secondo Le Parisien, altri politici e personalità importanti che abitano in case del Vaticano. Ma il quotidiano non è stato in grado di fornirne i nomi. Ancora più ricco sarebbe il patrimonio immobiliare della Chiesa francese. Secondo Jean-Michel Coulot, vice segretario generale alla Conferenza episcopale, gli affitti a Parigi equivalgono a un reddito variabile fra i 10 e i 20 milioni di euro. «Smettiamola con queste polemiche - ha replicato Coulot - La Chiesa è povera, abbiamo più spese che entrate». I redditi immobiliari, ha spiegato ancora il responsabile, sono infatti destinati alla manutenzione di scuole e chiese, che secondo la legge del 1905 sono beni dello Stato. Eppure la Chiesa francese ha comprato due anni fa, nell´elegante settimo arrondissement, altri 5.000 metri quadri sulla avenue de Breteuil, per 36 milioni di euro. Le «Piccole suore dei poveri» hanno invece venduto il loro ospizio e i terreni adiacenti in boulevard Murat, nel sedicesimo arrondissement, alla società Cogedim. Prezzo della transazione: 37 milioni di euro. Qui sorgeranno 180 appartamenti, 80 alloggi popolari, una casa di riposo e un giardino pubblico. Sarà il più grande cantiere immobiliare dentro Parigi dei prossimi anni. Con il ricavato, hanno detto le suore, finanzieranno le loro missioni nel mondo.

anticlericale
30-04-09, 03:07
"La Repubblica", SABATO, 18 APRILE 2009
Pagina 6 - Esteri

"Campagna mediatica contro il Papa": il Vaticano condanna il Belgio
Polemiche sul preservativo, accuse al parlamento di Bruxelles
I deputati belgi avevano votato una risoluzione di condanna delle parole di Ratzinger

MARCO POLITI
CITTA´ DEL VATICANO - La "guerra del preservativo", scatenata dalle parole di papa Ratzinger in volo per Yaoundè nel marzo scorso, provoca uno scontro al massimo livello tra Vaticano e Belgio. Mercoledì scorso, subito dopo le feste pasquali, l´ambasciatore belga si è presentato dal ministro degli Esteri vaticano mons. Mamberti per trasmettergli una risoluzione del parlamento di Bruxelles con la richiesta di «condannare le dichiarazioni inaccettabili del Papa in occasione del suo viaggio in Africa e di protestare ufficialmente presso la Santa Sede». Aspra e offesa la reazione del Palazzo apostolico: «La Segreteria di Stato prende atto con rammarico di tale passo, inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno del Belgio». Di più, il Vaticano deplora ufficialmente che un´«assemblea parlamentare abbia creduto opportuno di criticare il Santo Padre, sulla base di un estratto d´intervista troncato e isolato dal contesto».
«Il problema dell´Aids - aveva dichiarato il pontefice ai giornalisti in aereo, suggerendo costumi sessuali improntati alla responsabilità e alla spiritualità - non si può superare con la distribuzione di preservativi. Al contrario, aumentano il problema». La frase aveva subito provocato indignate reazioni da parte dei governi di Francia, Germania, Spagna e dell´Unione Europea nonché delle organizzazioni non governative impegnate nel contrasto dell´epidemia. Forte era stato anche l´imbarazzo di preti, suore e missionari impegnati in Africa e che non condividono affatto la demonizzazione dei profilattici, e anzi spesso li distribuiscono direttamente. Paradossalmente, nei giorni in cui l´Osservatore Romano in prima pagina svalutava l´utilizzo dei profilattici, si poteva leggere nelle pagine interne dello stesso giornale vaticano l´intervento di un missionario che - oltre a sostenere l´importanza della fedeltà coniugale, dell´astinenza e del rifiuto di rapporti promiscui - sosteneva l´utilità dei condom in caso di situazioni epidemiche e in presenza di «gruppi a rischio», tra cui prostitute, omosessuali e drogati.
Ma in Belgio non hanno voluto fermarsi alle proteste estemporanee. Il 3 aprile la Camera dei deputati ha votato una risoluzione di protesta ufficiale, definendo «inaccettabili» le espressioni di Benedetto XVI. Hanno votato a favore quasi tutti i gruppi parlamentari: dai cristiano-democratici fiamminghi (a cui appartiene il premier Van Rompuy) ai centristi francofoni, ai socialisti e ai liberali. Contro solo i partiti dell´estrema destra e i nazionalisti. 95 voti a favore, 18 contrari, 7 astensioni. Significativo è stato l´intervento del premier democristiano Van Rompuy, secondo cui «non spetta al Papa mettere in dubbio le politiche della sanità pubblica, che godono di unanime sostegno e ogni giorno salvano delle vite».
E proprio questo brucia al Vaticano: il disconoscimento che il romano pontefice venga considerato automaticamente suprema autorità internazionale di ciò che è bene e male in ogni campo. La Nota vaticana accusa che in alcuni paesi d´Europa si sia scatenata una «campagna mediatica senza precedenti sul valore preponderante, per non dire esclusivo, del profilattico nella lotta contro l´Aids». E poi denuncia certi gruppi mobilitati con «chiaro intento intimidatorio» nei confronti del Papa per dissuaderlo dall´esprimersi in merito a temi di grande rilevanza morale e impedirgli di «insegnare la dottrina della Chiesa». Contro la campagna mediatica anti-Ratzinger si schiera anche l´Osservatore Romano.

anticlericale
30-04-09, 03:07
"La Repubblica", SABATO, 18 APRILE 2009
Pagina 6 - Esteri

Il diplomatico che doveva presentare al Papa il documento del Parlamento ha atteso due settimane
L´anticamera dell´ambasciatore costretto a una "Canossa belga"
Parla il direttore dell´Osservatore Romano: "I veri problemi sono altri, l´Africa l´ha capito"

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - Una Canossa vaticana per l´ambasciatore belga. Ma con una variante peggiorativa. Se l´imperatore Enrico IV nel gennaio del 1077 per farsi ricevere da papa Gregorio VII fu costretto ad attendere davanti al castello di Canossa 3 giorni e 3 notti, al rappresentante del Belgio è andata peggio: per essere ricevuto dal «ministro» degli Esteri della Santa Sede (e non dal Papa) ha dovuto aspettare 2 settimane. Per presentare la nota di protesta votata dal suo Parlamento il 2 aprile scorso, il diplomatico ha dovuto attendere, infatti, fino a mercoledì 15. «Non è stato un ritardo casuale», si apprende Oltretevere, dove non si nasconde che «l´attesa è stata voluta e ponderata per meglio accentuare il disappunto della Santa Sede per il passo inconsueto, deplorevole e intollerante» fatto dai governanti belgi contro papa Ratzinger.
Canossa torna, dunque, a fare scuola in Vaticano? «E´ paragone azzardato, ma la tempistica di questa vicenda si può tranquillamente evincere dal comunicato della Segreteria di Stato», risponde il direttore dell´Osservatore Romano, lo storico Giovanni Maria Vian, secondo il quale «i veri problemi sono altri, e gli africani, contrariamente ai paesi occidentali, lo hanno capito benissimo». Il direttore addita, in particolare, «quel clima neocolonialistico che gli africani, proprio durante la visita del Papa, hanno notato negli atteggiamenti dell´Occidente sull´aids». Un atteggiamento provocato, a suo dire, «dal cortocircuito mediatico esploso intorno a una parola, preservativo, decontestualizzata dalla risposta data a una domanda di un giornalista, che ha oscurato tutto quanto Benedetto XVI ha detto in difesa dell´Africa». Quasi un black out ideologico, azzarda il direttore, il quale assicura pure che la Santa Sede non è contro l´Onu in materia di morale, ma solo contro «alcune agenzie che promuovono l´aborto come metodo contraccettivo e il condom come il solo mezzo per combattere il l´aids, come le grandi industrie vorrebbero fare in Africa». «Questo continente ha invece bisogno di ben altro», come ha detto il Papa durante la visita, chiedendo medicine gratis, aiuti, lotta a povertà, abbandono e sfruttamento; la fine delle guerre e degli armamenti. Quanto all´aids - ricorda ancora Vian - «il Papa ha parlato di sessualità responsabile, rispetto della donna, educazione, difesa dei più deboli. Ma di tutto questo niente è stato detto in Occidente per le polemiche sollevate artatamente intorno al preservativo. L´Africa non ha bisogno di essere invasa da condom». Ma il Papa sull´aids non è isolato? «Assolutamente no - conclude Vian - la sua posizione è condivisa da tanti studiosi, anche non credenti, ed ora anche da giornali come il Washington Post, il Guardian e Le Monde. Ma soprattutto dall´Africa. Non è quindi solo. Basta ascoltarlo».

anticlericale
30-04-09, 03:07
"La Repubblica", SABATO, 18 APRILE 2009
Pagina 7 - Esteri

Parla Padre Enzo Bianchi: a volte l´intransigenza cattolica può alimentare l´anticlericalismo
"Un conflitto con uno Stato sovrano è un colpo al dialogo con i laici"
Spesso noi credenti fatichiamo a spiegarci sui temi dell´etica. Ma qui vedo una sordità precostituita

MICHELE SMARGIASSI
«I "giorni cattivi" del dialogo diventano più cattivi�». Non è il momento giusto per parlare con padre Enzo Bianchi del suo ultimo libro, Per un´etica condivisa, lamento sull´agonia del dialogo tra credenti e non, ma anche profezia della sua rinascita. «Quando il conflitto si istituzionalizza a questi livelli, tra Vaticano e stati sovrani, rischia di non chiudersi più», sospira deluso il priore della comunità di Bose. «Spesso noi cattolici fatichiamo a spiegarci. Ma qui vedo una sordità precostituita. Il discorso del papa sull´Aids era colmo di intenzioni umanizzanti. Ma ormai quando la Chiesa parla di etica le orecchie si chiudono automaticamente».
Per la verità il suo libro sembra un monito ai credenti più che ai laici.
«Essendo cattolico, sento la responsabilità di rendere un servizio di verità ai cattolici. Del resto tendere la mano per primi, senza garanzia di ricambio, a noi è dato come un dovere».
Però lei sembra attribuire ai cattolici la responsabilità prima dei litigi, ai laici soprattutto "falli di reazione".
«Nei due ultimi decenni molti cattolici con forte senso di militanza - non la Chiesa in sé � hanno cercato di imporre le proprie opzioni attraverso l´occupazione dello spazio pubblico. La reazione è stata un´onda di anticlericalismo che, confermo, è sempre una reazione a un clericalismo percepito come intransigente e irrispettoso. A sua volta, l´anticlericalismo alimenta le intransigenze cattoliche, e il circolo vizioso finisce in chiasso e barbarie».
Eppure la Chiesa italiana dialoga volentieri con la classe politica al governo.
«E´ seducente l´offerta del potere: un patto fondato sulla "religione civile" da imporre con le leggi. Il Cristianesimo nacque eversivo, poi spesso accettò il patto. Oggi però questa scelta è pericolosa per la sopravvivenza stessa del Cristianesimo: negli Usa, dove la religione civile è in pieno vigore, non si sa a chi si riferiscono i politici quando invocano Dio. Per fortuna, da noi questa prospettiva è ormai perdente».
Ne è sicuro? Nel caso Englaro la Chiesa ha invocato leggi per imporre la propria visione dell´uomo.
«Conoscendo cosa si muove nelle chiese locali, nelle comunità, so che le aspettative dei credenti sono diverse: che la Chiesa non si appiattisca più sul neo-liberismo, prenda le distanze da chi la usa come strumento, si cali nella storia con lo spirito dello "straniero pellegrino", cosciente di essere una fertile minoranza».
Non sembra che le gerarchie abbiano elaborato il lutto da egemonia perduta.
«Accettare di essere minoranza è necessario come elaborare un lutto. Dopo, puoi raggiungere persone che non appartengono alla tua tradizione, e averle con te in un percorso di umanizzazione sociale».
Ma quanta strada possono fare assieme credenti e non? Don Milani avvertì l´amico ateo: non ti fidare di me, un giorno io ti tradirò�
«Non non è detto che accada, o che il tradimento sia così drammatico. Certo, parlando di Cristo, resurrezione e vita eterna, è ovvio che io e l´ateo ci divideremo, ma non significa distruggere il cammino fatto assieme».
I "valori non negoziabili" non sono il limite dell´"etica condivisa"?
«Ogni dialogo ha limiti, ma se parliamo di diritti umani, siamo ben lontani dall´averli raggiunti. Ora dobbiamo tutti accettare i metodi che possiede la democrazia per giungere alle decisioni. Possono uscirne scelte non condivise, ma accettabili. Per quelle non accettabili, il cristiano sa da sempre che può invocare il diritto di dire non possumus».
L´obiezione di coscienza non è un grimaldello per scardinare decisioni democratiche?
«No, se chi la invoca mette in conto di pagare per la sua "eversione", per il diritto di dire di no alla polis in certi particolari casi. Accettandone le conseguenze, dimostrerà di non avere altri interessi oltre la coscienza e la verità».
Vale anche quando la Chiesa invita a boicottare un referendum? Capitò con la legge 40, può accadere di nuovo sul testamento biologico.
«L´iniziativa fu di alcune componenti ecclesiali, più che della Chiesa come tale. In ogni caso, queste battaglie devono farle i credenti come cittadini, non i vescovi. Le figure rappresentative della Chiesa devono fermarsi sulla soglia del pre-politico».
Ai cattolici lei chiede di abbandonare il vittimismo. Agli "ateologi autodidatti", cosa chiede?
«Di abbandonare una lettura vecchia e comoda della Chiesa, in cui il male è la fede e non il suo uso nella storia. E di smettere il tentativo di renderci ridicoli. E´ un obiettivo poco onesto: si abbassa arbitrariamente il bersaglio per colpirlo meglio. Chi deforma non ascolta, chi non ascolta non capisce che c´è già una Chiesa che sa declinare l´insegnamento di Cristo nell´arena della polis».
Cosa succede se l´etica non si condivide? Tra i due litiganti, chi gode?
«Il potere, è ovvio. Ad ogni potere fa piacere veder sperperare una profezia di speranza. Ogni potere cerca di evitare sinergie tra buone volontà. Se continuiamo a non ascoltarci, il potere ce ne sarà grato».

anticlericale
30-04-09, 03:07
"La Stampa", 18 Aprile 2009, pag. 12

RISPOSTA ALLE CRITICHE DEL PARLAMENTO DI BRUXELLES SU AIDS E PROFILATTICI


Il Vaticano accusa: “Intimidazioni del Belgio al Papa”



GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO


Una crisi senza precedenti provocata dalle critiche ufficiali del Parlamento belga al Papa. La Santa Sede stigmatizza le «intimidazioni» contro il Pontefice che un mese fa nel suo viaggio africano aveva definito il preservativo «inutile e dannoso» per combattere l’Aids. «Rammarico» perché il parlamento di un paese ha formalmente condannato le parole del Papa sulla base di «un estratto di intervista troncato e isolato dal contesto» e biasimo per i «gruppi» che «con chiaro intento intimidatorio» volevano impedire al Papa di esprimersi «su alcuni temi di evidente rilevanza morale». La Segreteria di Stato interviene per rigettare con forza la risoluzione del Parlamento del Belgio che definisce «inaccettabili» le dichiarazioni del Papa. Quasi tutti i partiti che compongono il Parlamento belga hanno aderito alla risoluzione, compresi i cristiano-democratici fiamminghi che esprimono il premier Herman Van Rompuy e i centristi francofoni. Il testo ha ricevuto l’appoggio di socialisti e liberali, solo i gruppi dell’estrema destra e i nazionalisti si sono opposti. La Santa Sede evidenzia che, mentre una «campagna mediatica senza precedenti» ha sponsorizzato l’uso «esclusivo» del preservativo nella lotta all’Aids, «gli africani e i veri amici dell’Africa» hanno «capito e apprezzato» le parole di Benedetto XVI.
La controversia tra Santa Sede e Belgio è assolutamente inedita nelle relazioni bilaterali. La Camera belga il 3 aprile aveva approvato una risoluzione per chiedere al governo di condannare le «dichiarazioni inaccettabili del Papa», e due giorni dopo l’ambasciatore belga presso la Santa Sede l’ha dovuta illustrare al ministro degli Esteri vaticano Mamberti. Un passo, rimarca la Segreteria di Stato, «inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno del Belgio». Adesso il governo belga non replicherà alle critiche del Vaticano, assicura il ministero degli Esteri, poiché «ha già chiarito la sua posizione nella risoluzione che ha votato la Camera».
Oltre alla deplorazione per le critiche superficiali rivolte da un Parlamento al Papa, il Vaticano denuncia come «in alcuni Paesi d’Europa» si sia scatenata «una campagna mediatica senza precedenti» tesa a sostenere il «valore esclusivo» del profilattico nella lotta all’Aids. Intanto l’Osservatore romano elogia le «poche voci fuori dal coro nella polemica sollevata dai mass media soprattutto occidentali» e riferisce la «forte denuncia di questa operazione» formulata dai vescovi africani, convinti che dietro alle critiche al Papa ci sia lo zampino delle case farmaceutiche che traggono molti profitti dalle politiche di prevenzione dell’Aids basate solo sui profilattici. Inoltre, «operatori dei media attingono senza scrupoli alla ricchezza sporca di quanti hanno spogliato i loro popoli» e «si arrogano il diritto di deformare la verità per presentarsi come benefattori responsabili di fronte alla condizione drammatica dei malati di Aids e per trasformare invece il Santo Padre in un personaggio irresponsabile e sprovvisto di umanità». Il pronunciamento del Papa sull’Aids è stato «preso a pretesto per inscenare una gazzarra mediatica». E questo anche da «alcuni governi europei: uno spettacolo indegno», rincara la dose il cardinale Francis Arinze.
Nel frattempo comincia a sgretolarsi il muro che per quattro settimane ha isolato la Santa Sede nel dibattito pubblico in Europa. Segni di cedimento si vedono in Francia, dove la polemica è stata inizialmente più forte: della posizione del Papa sull’Aids è stata data una «presentazione eccessivamente semplicistica e affrettata», ammette il ministro degli Interni di Sarkozy, Michèle Alliot-Marie in una lettera al presidente dei vescovi francesi. E anche «Le Monde», il «Washington Post» e il britannico «The Guardian», secondo l’Osservatore romano, «si chiedono se in definitiva il Papa non abbia ragione».


www.lastampa.it/galeazzi

anticlericale
30-04-09, 03:08
La missione di carità che fa bene alla Chiesa
• da Corriere della Sera del 21 aprile 2009, pag. 1

di Michele Salvati

Legate alla tragedia del terremoto, vorrei avanzare due modeste proposte. Una riguarda lo Stato e l`altra la Chiesa. Il nostro Paese ha un`amministrazione pubblica e un intreccio tra politica e pubblica amministrazione - in breve, uno Stato - che funzionano peggio di quelli con i quali siamo soliti confrontarci. Il controllo del territorio - dunque anche il compito di fare leggi in grado di attenuare i danni di eventi sismici, e soprattutto di imporne il rispetto - e funzione essenziale e non delegabile dello Stato. Il modo in cui questa funzione è ripartita tra diverse amministrazioni dev`essere dunque tale da consentirne lo svolgimento con la massima efficacia. Poiché interessi privati, connivenza politica e incapacità amministrativa (o peggio) cospirano a rendere lasco il controllo - a coprire di abitazioni le falde del Vesuvio o a usare tecniche costruttive inadeguate le valutazioni amministrative e giudiziali cui quella funzione dev`essere sottoposta, ex ante ed ex post, devono essere continue e severe. Così non è avvenuto e si teme non avverrà neppure in futuro. Ma non tutto lo Stato funziona male: funziona peggio in alcune zone, meglio in altre; peggio per alcune amministrazioni, meglio per altre. La Protezione civile sembra essere un`amministrazione che funziona, bene - per le capacità di Bertolaso, le risorse di cui dispone, la sua relativa autonomia - ma essa interviene dopo che il disastro è avvenuto, oppure quando è possibile allertare le popolazioni di un disastro prevedibile e imminente. Di qui una modesta proposta, un suggerimento ingenuo in tempi di federalismo: non sarebbe possibile creare strutture nazionali altrettanto agili ed efficienti che coordinino il lavoro di prevenzione dei disastri? Che abbiano potere d`indagine e di supervisione su tutte le amministrazioni - ma soprattutto sulle amministrazioni locali, dove si prendono le decisioni più importanti ed è maggiore l`esposizione agli interessi - circa il rispetto delle leggi che impongono standard di costruzione adeguati al rischio sismico? Che impediscano, ad esempio, misure di declassamento del rischio, come pare sia avvenuto in Abruzzo? Anche nel caso di eventi imprevedibili, lo Stato non deve limitarsi ad interventi ex post. Ed è illusorio, come bene ha argomentato Franco Debenedetti sul Sole24ore del 16 aprile, pensare che assicurazioni private possano sollevare i poteri pubblici dai loro compiti di intervento ex ante. La seconda «modesta proposta» è ancor più ingenua, perché riguarda una istituzione le cui logiche di condotta non sono in grado, come non credente, di comprendere a fondo. Si è percepito in modo palpabile il consenso che hanno suscitato iniziative di sostegno nei confronti dei poveri e dei disoccupati come quella promossa dal cardinal Tettamanzi a Milano, o iniziative di aiuto nei confronti dei terremotati come quelle annunciate dal presidente della Cei, il cardinal Bagnasco. Perché la Chiesa non accentua questa sua missione di carità più di quanto, o almeno quanto, essa sottolinea la sua intransigenza in materie di procreazione assistita o di testamento biologico? Mi rendo conto che, come portatrice di Verità, la Chiesa non è sensibile al consenso immediato nello stesso modo in cui lo è un politico. Di fatto, però, la Cei si è comportata in Italia come un soggetto politico, per contrastare il passaggio di provvedimenti che a suo giudizio sono in conflitto con i principi da essa difesi. Comportamento legittimo, naturalmente. Ma come soggetto politico essa subisce le logiche, e le oscillazioni, del consenso. Può subire sconfitte e forse compromettere la stessa immagine della Chiesa. In materia di testamento biologico, per esempio, la Cei ha sinora trovato orecchie attente ai suoi principi intransigenti, alcune per convinzione sincera, altre per calcolo di opportunità. Quanto potrà durare, trattandosi di principi che buona parte degli italiani giudicano troppo estremi? Passerà alla Camera una legge come quella che è passata al Senato? Non converrebbe alla Cei concentrarsi maggiormente su un terreno, quello della carità, in cui la Chiesa di sconfitte non ne può subire? Questo argomento ci porterebbe però troppo lontano e concludo con un consiglio di lettura. Si tratta del terzo capitolo di un libro di un grande aquilano, di un grande italiano, Ignazio Silone: Uscita di sicurezza, disponibile negli Oscar Mondadori. In esso Silone racconta il suo incontro con don Orione, che aveva intravisto quando, durante il terremoto della Marsica del 1915, quel piccolo prete aveva costretto il re a cedergli una delle macchine del seguito per portare in salvo alcuni bambini i cui famigliari erano morti. Di don Orione, di grandi eroi della carità, ne nascono pochi. Ma di piccoli don Orione il sentimento religioso del nostro Paese, il volontariato cattolico, ne producono molti. Perché la Chiesa non sfrutta meglio questo suo straordinario vantaggio comparato?

anticlericale
30-04-09, 03:08
Realpolitik vaticana
• da Il Foglio del 21 aprile 2009, pag. 1

di Carlo Panella

Ieri il rappresentante della Santa Sede non ha abbandonato assieme a tutti i rappresentanti dell`Unione europea la sala della Conferenza dell`Onu di Ginevra sul razzismo, per protestare contro il discorso antisemita di Mahmoud Ahmadinejad. Una scelta che aumenterà le tensioni con Israele e con le comunità ebraiche, come aveva previsto il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che ha definito "incendiarie" le parole con cui il Papa domenica scorsa aveva salutato con entusiasmo e senza cenni di critica la Conferenza, sostenendo che così, al di là delle intenzioni, "si giustifica l`antisemitismo". Di antisemitismo ha dato ampia e terribile testimonianza Mahmoud Ahmaditejad e nessuno può dire di essere sorpreso dal suo intervento che ha accusato gli ebrei di essere causa fondamentale della crisi economica mondiale così come dell`intossicazione dei media (un perfetto cliché nazista). Pure, la diplomazia vaticana ha deciso di non tenere in conto questo annunciato attacco iraniano a Israele e agli ebrei e ha addirittura spinto Benedetto XVI a salutare con parole di entusiasmo l`evento, senza introdurre nessuna pur cauta presa di distanza dai problemi che - con tutta evidenza - l`appuntamento ginevrino avrebbe creato. L`arcivescovo Silvano Tornasi, rappresentante della Santa Sede alla Conferenza, nelle sue dichiarazioni ha fatto finta che il problema della Conferenza fosse tutto e solo limitato alla definizione di un testo ufficiale, ha ignorato il precedente di Durban I - là dove il palco della Conferenza era stato usato, come ieri ha fatto Ahmadinejad, per dare risonanza mondiale al linciaggio di Israele - e ha per di più ridotto a pura "prassi normale", di cui “non si poteva fare a meno”, il riferimento alle conclusioni razziste e antisemite del vertice di Durban I. Naturalmente Rupert Colville, portavoce dell`Alto commissario dell`Onu, Navi Pillay, ha "deplorato profondamente il linguaggio adoperato dal presidente iraniano" e così anche farà il rappresentante vaticano. Ma la ambiguità della posizione della Santa Sede è agli atti e anche la vacuità delle conquiste lessicali che l`arcivescovo Tomasi vantava come acquisite. Infatti: nell`aprire la conferenza, il segretario dell`Onu Ban Ki Moon si è "dimenticato" di citare il pericolo di una devastante "cristianofobia", anche se è denunciata nel documento concordato. Dimenticanza non casuale, dato che le centinaia di morti cristiani ogni anno sono in maggioranza prodotte dalla cristianofobia del fondamentalismo islamico in Nigeria. Indonesia e Sudan. Stupisce soprattutto, in questo quadro, l`inadeguatezza della posizione dell`arcivescovo Tomasi, che si è trincerato dentro una cinquantennale prassi diplomatica della Santa Sede e non ha saputo - o voluto - comprendere la novità che Ahmadinejad ha introdotto nel contesto diplomatico mondiale. In sede Onu è infatti prassi abituale che il Vaticano e i paesi islamici si trovino spesso a votare omogeneamente, o comunque con una certa sintonia, ogni volta che vengono affrontati temi eticamente sensibili. Così è stato negli ultimi anni sulla omosessualità, sui diritti dei disabili, sull`eutanasia, sull`Aids e su tanti altri temi. Una sintonia tanto vistosa che il 3 dicembre 2008 monsignor Elio Sgreccia ha contestato che la chiesa "sia alleata con gli islamici". Sono peraltro noti e storici i dissidi tra il Vaticano e Israele circa la questione palestinese, lo status giuridico dei Luoghi sacri (che il Vaticano ha sempre auspicato fossero sottoposti a un`autorità internazionale) e anche sul contenzioso giuridico sui beni cristiani in Terra Santa. Ma quanto accaduto ieri a Ginevra e lo stesso approccio di Benedetto XVI all`appuntamento sono stati prodotti da qualcosa di ben più profondo di un`inerziale e abitudinaria prassi diplomatica. L`arcivescovo Tornasi e chi ha coadiuvato il Papa nello scrivere il suo augurio alla Conferenza non hanno infatti colto né l`essenza dell`appuntamento e neanche il successo che Ahmadinejad ha riscosso sul piano internazionale da quando ha auspicato la distruzione di Israele. Il suo discorso antisemita di ieri ha infatti per contorno una serie di forti legami e alleanze - proprio in sede Onu -che l`Iran ha consolidato coni 57 paesi musulmani dell`Organizzazione del consiglio islamico, e anche con i Non allineati (Cuba e Venezuela in testa). L`Ahmadinejad che ha seminato odio antisemita ieri a Ginevra è tutt`altro che isolato, ma ha costruito l`appuntamento con cura e gode di uno straordinario riscontro tra una componente enorme dei partecipanti alla Conferenza. Ma la diplomazia vaticana non ha saputo o voluto prenderne atto.

anticlericale
30-04-09, 03:08
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 22 APRILE 2009
Pagina 4 - Esteri

Il nunzio: aperte nuove prospettive per i diritti umani
Approvata in tutta fretta la Dichiarazione finale; il Vaticano: "Passi avanti"

GINEVRA - Grazie anche al discorso di Ahmadinejad, il vertice Onu di Ginevra sul razzismo ieri ha accelerato i suoi lavori: i delegati hanno approvato la Dichiarazione Finale, che era stata scritta e negoziata da giorni. Il testo è quello ampiamente anticipato: non contiene riferimenti espliciti ad Israele, ma si richiama alla «Durban 1», la conferenza sul razzismo del 2001 che invece indicò Israele - unico Stato fra tutti i membri dell´Onu - come autore di politiche razziste nei confronti dei palestinesi.
Da registrare la poca sintonia che ancora una volta hanno espresso diverse fonti vaticane su una questione che riguarda Israele. Ieri mattina padre Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, con una lunga dichiarazione aveva rafforzato le critiche all´intervento di lunedì di Ahmadinejad. Anche l´Osservatore Romano aveva indurito la linea di commento contro Ahmadinejad, arrivando a scrivere che la conferenza «rischia di veder vanificati i suoi scopi, dopo il nuovo inaccettabile attacco a Israele».
Per il nunzio vaticano a Ginevra, Silvano Tomasi, invece «il documento non è perfetto, però rispetta i punti sostanziali dei diritti umani, apre la strada a continuare a negoziare in futuro su alcuni temi che, per la prima volta, sono stati accettati universalmente». Il capo della delegazione vaticana all´Onu, che non ha abbandonato i lavori dopo l´attacco di Ahmadinejad, sostiene che «si possono migliorare certamente le condizioni per continuare a combattere contro ogni forma e manifestazione di razzismo».

anticlericale
30-04-09, 03:08
"La Repubblica", DOMENICA, 26 APRILE 2009
Pagina 13 - Cronaca

La polemica
Stato etico, l´Osservatore contro Fini: "Immagine fuori luogo, contano i valori"

CITTÀ DEL VATICANO - «Non esiste lo Stato perfetto» eticamente. Perché, allora, evocarne «l´ombra cupa quando ci si confronta su leggi come quelle sull´inizio e la fine della vita o sulla famiglia?». Pur senza citarlo, l´Osservatore Romano, il giornale vaticano oggi in edicola, risponde così al presidente della Camera Gianfranco Fini il quale, il mese scorso, al congresso del Pdl, definì il testamento biologico approvato dal Senato «una legge più da Stato etico che da Stato laico».
«I conflitti sulla bioetica e sul biodiritto - controbatte l´Osservatore - sono laceranti e non si risolvono con il lessico tutto polemico degli zelanti persecutori del fondamentalismo o, viceversa, del nichilismo». Ed ancora: «Il congedo dallo Stato etico» è «irreversibile» nelle moderne società e «pochi sono ormai i nostalgici dei modelli teocratici che trasformano quel che per una religione è peccato in reato». Ma «uno Stato non etico non è senza valori». (o. l. r.)

anticlericale
30-04-09, 03:08
"La Repubblica", DOMENICA, 26 APRILE 2009
Pagina 13 - Cronaca

Il messaggio
"Ora di religione esempio di sana laicità". Il Papa: è parte integrante della scuola

CITTÀ DEL VATICANO - Per papa Ratzinger l´insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica non è «un´interferenza o una limitazione della libertà», ma - al contrario - è un esempio «di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva» in Italia e in tutti i paesi dove è istituito. Benedetto XVI ne ha parlato ieri ai circa 8000 insegnanti di religione che hanno preso parte alla tre giorni di Meeting sull´Irc voluto dalla Cei, aperto giovedì scorso dal ministro dell´Istruzione Maria Stella Gelmini. «L´insegnamento della religione cattolica - secondo il Papa - è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l´insegnante di religione è una figura molto importante nel collegio dei docenti. È significativo che con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi». Presente all´udienza anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei.
(o. l. r.)

anticlericale
30-04-09, 03:09
"La Repubblica", LUNEDÌ, 27 APRILE 2009
Pagina 14 - Esteri

Berlino, schiaffo alla Merkel bocciata l´ora di religione
Bocciato il referendum per l´introduzione dell´insegnamento nelle scuole

ANDREA TARQUINI

dal nostro corrispondente

BERLINO - La laica capitale tedesca ha detto no alla pari dignità dell´ora di religione. Il risultato del referendum tenutosi ieri, secondo i dati non ancora ufficiali ma già quasi definitivi, suona anche come una chiara sconfitta per la Cancelliera Angela Merkel, che pochi giorni fa si era schierata di persona a favore del sì. Gli stessi promotori della consultazione popolare ieri sera hanno ammesso la sconfitta.
Il referendum, indetto dopo una raccolta di firme di "Pro Reli", organizzazione sostenuta dalle chiese e dalla Cdu (il partito della cancelliera) chiedeva ai berlinesi se volevano ripristinare la pari dignità dell´ora di religione con la lezione di etica. Attualmente a Berlino - capitale, ma anche città-Stato, uno dei sedici Bundeslaender - diversamente da altrove in Germania, l´etica è materia obbligatoria mentre la religione è disciplina facoltativa: chi la sceglie deve fare un´ora in più.
La partecipazione al voto è stata bassissima, del 28,2% circa. E già questo indicava fin dal primo pomeriggio un consenso insufficiente all´iniziativa del movimento pro-religione. Poco dopo le 20, in base al conto del 96% dei voti espressi, il no alla pari dignità dell´ora di religione raggiungeva il 51,3, contro il 48,5 dei sì. Sono andati a votare appena 710 mila sui circa 2,4 milioni di aventi diritto al voto a Berlino. Questo vuol dire che, rispetto al totale del corpo elettorale nella città, i sì all´ora di religione sono soltanto il 13,7% . Molto meno del 25% dei sì che la legge avrebbe richiesto per una loro vittoria, anche se i sì fossero stati in vantaggio. Il risultato del referendum di ieri è importante per almeno due motivi, nella Germania e nell´Europa di oggi. Primo, perché Berlino riunificata conferma la vocazione di città più laica e più decisa alla separazione tra Fede e pubblici poteri in tutta la Repubblica federale. Secondo ma non ultimo, perché a pochi mesi dalle elezioni politiche federali, previste per fine settembre, la CduCsu , pur essendo in schiacciante vantaggio nei sondaggi rispetto alla socialdemocrazia, Spd, sua alleata nella Grande Coalizione ma rivale alle legislative, appare su alcuni temi specifici non imbattibile e non invulnerabile.

anticlericale
20-05-09, 00:55
L'otto per mille, il maligno e la Chiesa cattolica
• da Il Manifesto del 28 aprile 2009, pag. 12

di Nicola Fiorita

Ai tanti piccoli misteri della nostra vita occorrerà aggiungere quello dell`otto per mille, oggetto di grandi entusiasmi sin dalla sua nascita e ancora oggi presentato come un sistema efficace, buono e giusto, quando invece si è rivelato discriminatorio, inadeguato e del tutto irragionevole. Basterà ricordare che questo sistema avrebbe potuto garantire un eguale trattamento delle confessioni religiose e invece esclude tutti i gruppi (dall`Islam alle organizzazioni ateistiche) che non hanno un`intesa con lo Stato; che esso doveva fondarsi sulla volontarietà dei contribuenti mentre, al contrario, il gettito viene ripartito anche in assenza di ogni indicazione da parte del cittadino e, infine, che la maggior parte dei contribuenti preferisce non esprimere alcuna scelta, dimostrando così di rifiutare, o di non conoscere, il sistema. Ma c`è di più: la possibilità per ogni cittadino di destinare allo Stato l`otto per mille è vanificata dal disinteresse che l`apparato pubblico ha dimostrato verso queste somme, dall`opacità del loro impiego, dall`incredibile circostanza, che,esse vengano a volte utilizzate per finalità religiose. L`incrocio di questi dati produce un risultato davvero perverso. La progressiva diminuzione di coloro che, barrano la casella dell`otto per mille ha prodotto un vorticoso aumento dei soldi ricevuti dalla Chiesa cattolica, che riesce a capitalizzare al massimo (anche in questo settore) l`astensione dei cittadini. In virtù della ripartizione delle scelte non espresse in proporzione a quelle espresse, la Chiesa con il 34% di indicazioni in suo favore raccoglie quasi l`87% del gettito complessivo. Se guardiamo al vangelo («il vostro parlare sia si si, no no, ciò che è in più viene dal maligno») dobbiamo concludere che dal maligno provengono circa 500 milioni di euro all`anno, ovvero la differenza che corre tra quel che riceve in concreto la Chiesa e quel che riceverebbe se il silenzio del contribuente lasciasse i soldi nelle disponibilità del suo proprietario (il cittadino prima di pagare l`Irpef, lo Stato dopo). La Chiesa cattolica riceve circa un miliardo di euro all`anno da parte dello Stato con incrementi astronomici (più del 100%) rispetto ai primi anni di funzionamento del sistema; un aumento che non trova riscontro in nessun`altra voce del bilancio statale e che non è giustificabile in un`epoca di sacrifici pubblici e privati. A fronte di questa abnorme situazione provo ad indicare tre rimedi. 1. È opportuno che la Commissione paritetica, istituzionalmente incaricata di monitorare il funzionamento di questo sistema, provveda a ridurre la quota dell`Irpef destinata a sostenere i gruppi religiosi, riportando il sostegno dello Stato a cifre ragionevoli. 2. Poiché le somme ricevute da tutte le confessioni sono largamente superiori alle loro necessità sarebbe possibile ipotizzare una moratoria dell`otto per mille, destinando quest`anno il gettito corrispondente (circa un miliardo e 400 milioni di euro) alle popolazioni abruzzesi. 3. Laddove non fosse possibile acquisire il consenso delle altre parti, lo Stato potrebbe comunque impegnarsi a destinare la propria quota di otto per mille al medesimo fine, indicando ai cittadini la possibilità di indirizzare, attraverso l`apparato pubblico, una parte delle loro tasse ad uno scopo così meritorio. Il recupero di risorse consistenti, l`impulso verso una sana concorrenza che intacchi il monopolio cattolico e la riduzione degli ingenti contributi economici che le gerarchie ecclesiastiche hanno utilizzato in questi anni per imbrigliare la vitalità del mondo cattolico e costruire una nuova egemonia sociale sono gli obiettivi che queste, pur minime, proposte permetterebbero di realizzare senza dover attendere l`improbabile superamento del sistema vigente.

anticlericale
20-05-09, 00:55
"La Stampa", 04 Maggio 2009, pag. 34

“Il Vaticano contro Angeli & Demoni”
Ron Howard: ci ha ostacolati, eppure è uno spot per la città
«Il clero si è rifiutato di vedere il film. Come può criticarlo?»

«Un film che parla così di Roma non si vedeva dai tempi di Fellini»

FULVIA CAPRARA
ROMA

//alert(cont); if(cont==1){ immagine('20090504/foto/H10_582.jpg'); } L’anello del Pescatore frantumato dal Camerlengo subito dopo la morte del Pontefice, un piccolo contenitore di antimateria che sta per diventare arma di distruzione totale, l’avvio del Conclave con i cardinali pronti a eleggere il nuovo Santo Padre, la folla che attende il verdetto in Piazza San Pietro. Parte da qui, senza perdere il ritmo neanche per un attimo, il film che Ron Howard ha tratto dal romanzo di Dan Brown Angeli e demoni, seguito del Codice da Vinci che ha incassato nel mondo 758 milioni di dollari. Ancora una volta l’esperto di religioni Robert Langdon, interpretato da Tom Hanks, guida l’azione con la forza delle sue convinzioni scientifiche: «La fede è un dono - dice in una battuta del film - io non l’ho ancora ricevuto». La Chiesa e la Scienza si fronteggiano di nuovo, ma stavolta a rendere più serrato lo scontro c’è la minaccia degli Illuminati, la confraternita decisa a vendicarsi di antiche persecuzioni cattoliche. Sui 138 minuti di pellicola (dal 13 nella sale in 800 copie con il marchio Sony) aleggia il discredito del Vaticano che ha negato ai produttori l’autorizzazione per girare all’interno di varie chiese capitoline: «Anche per l’altro film ci furono controversie - ha chiarito il regista, a Roma con tutto il cast per l’anteprima mondiale di stasera -, non ci aspettavamo la collaborazione della Chiesa e infatti non l’abbiamo avuta, pochi giorni prima dell’avvio delle riprese ci hanno fatto sapere che non potevamo girare in certi luoghi. Non mi sono meravigliato, ma ho anche appreso che il Vaticano avrebbe influenzato altri organismi della città affinché i permessi ci fossero negati. Abbiamo chiesto a vari rappresentanti del clero se volevano vedere il film, l’invito è stato declinato, però non si sono opposti alla scelta di organizzare qui il lancio. Quello che veramente non capisco sono le proteste da parte di chi non ha ancora visto nemmeno un fotogramma».
Da Castel Sant’Angelo al Colosseo, dal Pantheon a Piazza Navona, dalle strade alle fontane, dalla luce dorata che illumina il Tevere all’oscurità minacciosa delle catacombe. Era da tempo che la città eterna non riceveva un tributo cinematografico così appassionato, il tour con tappe obbligate nei luoghi del film potrebbe essere l’asso nella manica del turismo locale nei prossimi mesi. Ma anche in questo caso bisognerà vedere se sarà possibile sfruttare l’occasione. Le avvisaglie non sono buone. L’altra sera il cocktail riservato alla stampa avrebbe dovuto svolgersi sulla terrazza della «Residenza Paolo VI», affacciata sul Vaticano, ma pochi giorni prima dell’evento è arrivato il no e e l’appuntamento è stato spostato in un albergo del centro. «Il senso di frustrazione è inevitabile - dice Ron Howard -, mi aspettavo le polemiche, certo, ma sicuramente non ho girato pensando a questo, e non so se la reazione della Chiesa sia per il film un bene o un male, non mi occupo di marketing, anche se immagino che le critiche facciano comunque pubblicità. Voglio però ricordare che se qualcuno giudica i contenuti della storia offensivi o scioccanti può sempre decidere di non andare a vedere Angeli e demoni. Non l’ho fatto per sconvolgere le persone».
Pierfrancesco Favino, sullo schermo l’ispettore Ernesto Olivetti, l’uomo che chiede l’aiuto di Langdon pur conoscendo i suoi forti contrasti con il Vaticano, è bersagliato dalle domande sulle possibili reazioni del pubblico italiano: «Durante le riprese non ho avvertito nessun atteggiamento di rifiuto da parte della gente, i romani sono molto scettici, abituati a tutto». Ewan McGregor fa un volo pindarico e paragona il ruolo del Camerlengo a quello di Obi-Wan Kenobi nel prequel della trilogia di Guerre stellari. Sarà un caso, ma è proprio lui a librarsi nel firmamento, appeso al paracadute, in una delle sequenze più acrobatiche della pellicola: «Tutti e due i personaggi hanno una gran fiducia in se stessi e in quello in cui credono». L’attrice israeliana Ayelet Zurer, sullo schermo Victoria Vetra, la scienziata che affianca Langdon nell’avventura romana, dice che il personaggio l’ha interessata perché «rappresenta una generazione di donne con un’istruzione importante, destinate a svolgere il proprio lavoro in campi generalmente dominati dagli uomini». Gambe lunghe, sguardo intenso, look severo, Zurer è stata preferita a molte colleghe italiane: «Perché? Non so, mi hanno chiesto una recitazione assolutamente realistica, forse mi hanno scelta per i colori, perché muovo molto le mani e parlo ad alta voce come voi. Però, prometto, non lo faccio più».

anticlericale
20-05-09, 00:56
"La Repubblica", LUNEDÌ, 04 MAGGIO 2009
Pagina 34 - Spettacoli

Il regista: "Dal Vaticano quanti ostacoli per i nostri set"
Anteprima mondiale del nuovo thriller tratto dal romanzo di Dan Brown che uscirà il 13 maggio
Già presentato un esposto contro il film. Ma Ron Howard e Tom Hanks lo difendono

MARIA PIA FUSCO
ROMA
Chiunque tema di sentirsi offeso da Angeli e demoni non vada a vederlo. Anche per me ci sono film offensivi, non vedo le storie di tortura come la serie "Saw"». È la reazione di Tom Hanks alle proteste di personalità cattoliche, tra le quali il vescovo di Potenza Antonio Rosario Mennone, anni 103, contro il film di Ron Howard dal bestseller di Dan Brown, presentato ieri a Roma in prima mondiale alla stampa internazionale. La Sony, che distribuisce Angeli e demoni - in Italia dal 13 maggio in 800 copie e nel resto del mondo dal 15 - ha scelto Roma per l´evento perché il film è stato girato qui. Almeno in parte, visto che, ricorda Ron Howard, «dopo i primi giorni di riprese ci hanno negato molte location. Non mi aspettavo una collaborazione né di girare nelle chiese o nella Cappella Sistina, ma non credevo che l´influenza del Vaticano fosse così forte da impedirci di girare anche in luoghi esterni. Abbiamo risolto altrimenti, la frustrazione è che volevamo mostrare il film ad alcuni prelati, ma non hanno accettato. Lo criticano senza averlo visto».
Del resto, secondo il regista, «Angeli e demoni non è anticattolico, è solo un thriller pieno d´azione e di tensione. È la prima volta che faccio un sequel, ma non potevo rifiutare un film in cui si intreccia l´antimateria con l´elezione di un Papa. Il Codice da Vinci era più fedele al libro, aveva un ritmo più pacato e il tema era più provocatorio nei confronti della Chiesa. Però quando parlo con i preti off records tutti ammettono che né il libro né il film hanno influito sulla fede dei credenti».
Se pure San Pietro e quasi tutti gli interni sono stati ricostruiti a Hollywood, Roma in Angeli e demoni c´è, anzi il film è un grandioso spot per la città, dove il professor Robert Langdon (Hanks) è chiamato ad interpretare i segni dell´antica setta degli Illuminati, che hanno rapito i quattro cardinali papabili e minacciano la distruzione della città con l´antimateria rubata al Cern in Svizzera. Nel cast internazionale ci sono l´israeliana Ayelet Zurer (un scienziata), l´inglese Ewan McGregor (il Camerlengo), lo svedese Stellan Skarsgaard (capo della guardia svizzera), il tedesco Armin Mueller-Stahl (cardinale). Per l´Italia, oltre al prelato interpretato da Cosimo Fusco, c´è Pierfrancesco Favino, l´ispettore Olivetti che accompagna Langdon nella frenetica ricerca di risolvere il mistero dei segni.
Tom Hanks conosceva Roma da turista, «ma stavolta ci sono rimasto quattro mesi e, girando tra chiese e monumenti, ho capito il potere del Vaticano, che non è solo una città di governo, ma una corporazione multinazionale con tanto di business, una specie di Toshiba». L´attore capisce «il fascino del mistero della Chiesa, della ritualità del Concilio, dei costumi dei cardinali. Ogni categoria ha i suoi costumi, a Washington i politici si vestono tutti nello stesso modo. E quando lavoravo come bell-boy dovevo portare la giacca uguale a quella degli altri ragazzi».
Figlio di «genitori che hanno divorziato più volte, ho vissuto in famiglie di varie religioni, tutte con la certezza assoluta della verità: per questo non riesco ad affidarmi a nessuna. Ma rispetto chi crede, mia moglie è greco-ortodossa e i miei due figli sono battezzati», dice l´attore. Che è anche regista e produttore. «Non volevo stare alla mercè del telefono in attesa di un ruolo e ho cominciato a scrivere storie e sviluppare progetti. Adesso non sono più un uomo da affittare, ho una mia attività creativa».
Attore da Oscar, Tom Hanks è anche una persona simpatica, ironica, generosa, lodato oltre che da Howard - «Con lui c´è un legame di complicità, da compagni di stanza al college» - da tutti quelli del cast. Senza difetti? «Da bambino rubavo la marmellata, finché mi hanno scoperto. A parte gli scherzi, non sono perfetto, è solo che evito di dire verità sgradevoli. E mi diverto a rispettare le regole: nel lavoro e nella vita». Le regole sono quelle di un democratico, convinto sostenitore di Obama. «I suoi cento giorni di governo sono niente rispetto ai problemi da risolvere. I presidenti in genere arrivano alla Casa Bianca e cominciano a realizzare il loro programma, nessuno si è trovato come Obama, costretto ad occuparsi di tante crisi dolorose e difficili. Per giudicare Obama e il suo programma dobbiamo aspettare».

anticlericale
20-05-09, 00:56
Egr. Direttore,

Gradirei controbattere alla lettera di risposta alla mia, inviata dal consigliere Ferraris in merito al crocifisso nell’ aula del consiglio comunale. Il simbolo del Comune di Asti è uno scudo crociato, come negarlo, ma quel simbolo sembra risalire alle crociate del 1200; vuole forse il consigliere tornare a quei tempi nel nome delle tradizioni da lui evocate? Lo stemma della città oggi è, ad ogni modo, un simbolo istituzionale che niente ha a che vedere con il crocifisso, il quale probabilmente, come lui afferma, non è solo un simbolo religioso ma resta il fatto, innegabile, che è soprattutto il simbolo della religione cristiana. Trovo inesatto inoltre affermare che la nostra civiltà si sia sviluppata attraverso la cultura cristiana, direi piuttosto che la nostra città si è sviluppata anche attraverso la cultura cristiana ed, allo stesso modo, è spesso regredita a causa della stessa cultura cristiana. Il consigliere poi afferma che non sarebbe intelligente negare le proprie origini culturali e cancellare simboli della nostra società ma io non desidero negare proprio nulla semplicemente ritengo che la religiosità sia una fatto di natura privata e che i simboli religiosi debbano rimanere nella dimensione privata e non pubblica, per rispetto di tutti i cittadini astigiani. Allo stesso modo nessuno intende propagandare l’idea di abbandono delle tradizioni e se è vero, come dice il consigliere, che la nostra cultura ritirandosi ha lasciato molti vuoti non è detto che i valori che debbano riempire quei vuoti siano necessariamente valori della religione cristiana e, comunque, non è compito di un ente pubblico tentare di prescrivere valori alla società, perché questo succede negli stati etici o confessionali, che, come noto, non hanno un buon rapporto con le regole democratiche. Non voglio togliere al consigliere Ferraris la libertà di essere quello che è, come lui afferma, infatti non andrò mai a sindacare la scelta di appendere un crocifisso in casa propria ma allo stesso modo lui rispetti tutti gli astigiani non cristiani ed eviti di prendere decisioni prepotenti ed intolleranti come quella far deliberare il consiglio comunale sotto il crocifisso. Egli afferma infine che “non si può indietreggiare sempre” ma se oggi c’è qualcosa che è in pericolo quella è la laicità dello stato e non le vostre, presunte, tradizioni.



Salvatore Grizzanti

coordinatore provinciale di Asti

Associazione Radicale Adelaide Aglietta

anticlericale
20-05-09, 00:56
I vescovi: il Premier sia più sobrio, i valori per un leader sono importanti
• da Il Messaggero del 6 maggio 2009, pag. 2

di Franca Giansoldati


E` al quarto giorno che l`Avvenire sbotta convinto. L`Italia avrebbe bisogno di avere sotto gli occhi modelli più sobri. Mai prima d`ora sul giornale dei vescovi un editoriale si era spinto tanto in là nel criticare le scelte etiche di un presidente del Consiglio. «Sappiamo che un uomo di governo va giudicato perciò che realizza, per i suoi programmi e la qualità delle leggi che contribuisce a varare. Ma la stoffa umana di un leader, il suo stile e i valori di cui riempie concretamente la sua vita non sono indifferenti. Non possono esserlo. Per questo noi continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio, il meno deforme, all`anima del Paese». Questa è la vera questione, il nocciolo: una nazione che non si ritrova nelle candidature delle vallette, «nell`abbraccio mortifero» tra politica e spettacolo, nel «clima di scambio di lavorini veri, falsi o presunti tra amici e amiche». Al centro della severa riflessione - affidata non a caso a Rossana Sisti, l`ideatrice di Popotus, il foglio di Avvenire pensato per educare alla lettura i bambini - c`è la questione etica. «Questa volta scrive Sisti - abbiamo vissuto con autentica tristezza il valzer delle candidature: se ci fossero davvero in lista d`attesa veline o attricette non lo sapremo mai, ma anche solo l`ipotesi di un uso delle ragazze come esca elettorale è suonata sconfortante». Per un curioso paradosso l`Avvenire - in questo frangente - si ritrova in sintonia con Emma Bonino (quando dice: «sono arrivata alla conclusione che Berlusconi disprezza le donne») denunciando sic et simpliciter la scarsa considerazione che emerge dell`universo femminile. E` «inaccettabile», infatti, una «concezione della donna meramente strumentale: la candidata deve essere bella, giovane e piacente, possibilmente disponibile. Magari così solo allo sguardo degli estranei, ma si sa che le apparenze contano. E queste rivelano un ricorso talora spregiudicato al potere». In serata il cardinale Bagnasco, riprendendo le parole del giornale, ha fatto sapere che «il richiamo alla sobrietà ed alla responsabilità per tutti è sempre molto positivo». Secondo il giornale cattolico la politica «buona è sereno rigore, consapevolezza della tenace significanza di un impegnativo discrimine etico». Tuttavia lo spettacolo descritto e desolante, da una parte c`è chi parteggia per «d`uomo potente, il cesare allegrotto, piantato in asso da una donna ingrata», dall`altro chi sta con «la moglie trascurata e oltraggiata all`onor del mondo», dimenticandosi dei valori veri, e dei figli «orinai grandi, ma assai meno grandi della tempesta che gli si è scatenate nel cuore e nella testa». In questa storia serve rispetto. E` per questo, annota l`Avvenire, che ha suscitato tanto «stupore» la decisione della Lario di criticare pubblicamente le scelte «discutibilissime» del marito-premier, mentre lui, di contro, gridava al complotto, «riscoprendo il baso profilo e la privacy pur avendo scelto la guasconeria come arte del consenso». Alla teoria del complotto non crede nemmeno Casini («fa scappare da ridere») che ha invitato il presidente del Consiglio ad introdurre il quoziente familiare, mantenendo la promessa fatta in campagna elettorale. «Se farà questa riforma rivoluzionaria noi saremo con lui. Altrimenti saremo costretti ogni giorno a ricordalo ai cittadini».

anticlericale
20-05-09, 00:56
A Palazzo Chigi allarme rosso sul voto cattolico
• da La Repubblica del 6 maggio 2009, pag. 4

di Francesco Bei


«Adesso basta, bisogna reagire». Silvio Berlusconi, diviso tra quanti (le colombe Gianni Letta e Paolo Bonaiuti) gli consigliavano di abbassare i toni e altri che puntavano al contrattacco, alla fine ha preso la sua decisione seguendo l´istinto: «Andiamo da Vespa, adesso parlo io, avvertitelo». Decisivo un ultimo consulto a colazione con l´uomo che in questi giorni ha confermato il suo ruolo chiave nell´inner circle del Cavaliere: l´avvocato-consigliere Nicolò Ghedini, (la cui sorella Ippolita seguirà la causa di divorzio).
La "strategia del giunco", che si piega finché non sia passata la piena, non aveva sortito alcun effetto. Com´era prevedibile quel primo comunicato di domenica, in cui Berlusconi quasi scongiurava di far rimanere un «fatto privato» il divorzio, non era stato tenuto in nessun conto. Anzi. Nel mondo la notizia continua a montare, mandando in fumo un lungo lavoro di promozione dell´immagine di Berlusconi all´estero affidato agli ambasciatori. Ma soprattutto i primi focus group organizzati dalla solita sondaggista di fiducia rivelavano il baratro di un impatto molto negativo della vicenda Lario. Anzitutto sugli elettori cattolici praticanti.
Non basta. A funestare la giornata anche il quotidiano dei vescovi Avvenire, per la prima volta critico nei confronti del premier. Osservazioni avallate per di più dal presidente della Cei Angelo Bagnasco. L´allarme rosso a palazzo Grazioli scatta immediatamente e vengono decise alcune, importanti, contromisure. Si tratta di offrire subito una versione alternativa a quella di Veronica, smentire la storia delle «minorenni», delle «vergini che si offrono al drago», prima che si fissi nell´opinione pubblica. Così Berlusconi chiede a Vespa di organizzargli una puntata ad hoc per spiegarsi, per far girare le foto ufficiali di quella maledetta festa napoletana, già fatte pubblicare al settimanale di famiglia "Chi". Vista l´emergenza Lario e la puntata di Porta a Porta da registrare alle diciotto, Berlusconi decide di rischiare l´incidente diplomatico con il Quirinale. E fa annullare da Gianni Letta l´appuntamento già fissato alla stessa ora al Colle con il capo dello Stato per discutere della promozione a ministro della Brambilla.
Contemporaneamente al sottosegretario Paolo Bonaiuti viene affidata la missione più delicata e segreta. Un pranzo con i direttori dell´Osservatore Romano, di Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti, e di Avvenire, per cercare di limitare i danni. Incontro già fissato da tempo, si dice. Ma che ieri, inevitabilmente, è stato piegato agli eventi, per cercare di smussare, ridimensionare, cercare di bloccare sul nascere altri sgraditi editoriali sulla «sobrietà» del presidente del Consiglio.
Nel frattempo, nella cerchia del Cavaliere, si comincia a ragionare con calma sui possibili «mandanti» e organizzatori di quello che viene considerato «un complotto politico-mediatico». Va bene i giornali «di sinistra». Ma alcuni indizi avrebbero portato a individuare, tra gli ispiratori di Veronica, alcuni tasselli di una filiera che va dai radicali fino a Gianfranco Fini. Le tracce. L´avvocato a cui la moglie di Berlusconi si è affidata per la causa di separazione è la stessa professionista che aiutò Beppino Englaro a incardinare la battaglia per Eluana. «Una simpatizzante radicale», secondo gli uomini del Pdl. Altro elemento. Sofia Ventura, la docente che diede l´altolà alle «veline in politica» sulla rivista Ffwebmagazine (quella di Fini, appunto), è la stessa che figura tra i promotori di "Libertiamo", un´associazione vicina al Pdl ma di cultura e radici nel mondo radicale. E sempre da quell´area viene Diego Sabatinelli, segretario della Lega Italiana per il Divorzio Breve, il primo a invitare Veronica a trasformare la sua vicenda in una «battaglia civile e politica». «Una grandissima cavolata», ribatte il deputato radicale Matteo Mecacci, «forse cercano in noi un capro espiatorio per giustificare con i vescovi quello che è accaduto». Eppure i sospetti dei berlusconiani restano forti. Ritengono che una manina possa aver suggerito a Veronica di uscire allo scoperto. «Possibile - si chiedeva ieri pomeriggio in Transatlantico un esponente di primissimo piano del Pdl - che una prudente come la Bonino arrivi a esporsi in questo modo? Sembra quasi che ci abbia messo la firma». Il riferimento è a una dichiarazione molto severa di Emma Bonino - «Berlusconi è uno che le donne le disprezza - che ha colpito molto e irritato il Cavaliere.

anticlericale
20-05-09, 00:57
La difficile impresa di B-XVI
• da Il Foglio del 6 maggio 2009, pag. I

di Sandro Magister



La domenica prima di partire per la Terra Santa, in una piazza San Pietro gremita di fedeli, Benedetto XVI ha detto in poche parole quale sarà l'obiettivo del suo viaggio: "Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà. Quale successore dell’apostolo Pietro, farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa. Inoltre, mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere a una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e interreligiosa. Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi".
Da queste parole – ribadite nell'udienza generale di mercoledì 6 maggio – si ricava che per promuovere la pace e il dialogo in Terra Santa, tra i popoli e le religioni, il papa si affida in primo luogo ai cristiani che vivono là.
Una scommessa audace. Non solo, infatti, in quella regione i cristiani sono ridotti a un'esile minoranza, inferiore al 2 per cento della popolazione ebrea ed araba. Va anche tenuto conto che proprio i cristiani del luogo sono stati i più scettici, nel reagire all'annuncio del viaggio del papa. Molti di loro, anche sacerdoti e vescovi, si sono espressi contro l'opportunità della sua visita.
Si è dovuto faticare molto per smussare questo fronte del rifiuto. Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, l'ha confermato in un'intervista: le ragioni degli oppositori sono state esposte anche a Benedetto XVI in persona.
Il timore principale degli oppositori era che il viaggio del papa – anche per le sue posizioni molto avanzate nel dialogo religioso con l'ebraismo – si risolvesse in un vantaggio politico per Israele.
Benedetto XVI ha resistito con fermezza. Da parte sua, la diplomazia vaticana ha fatto di tutto per tranquillizzare gli oppositori.
Questo spiega, ad esempio, la benevolenza mostrata dal Vaticano nei confronti dell'arcinemico di Israele, l'Iran, durante e dopo la controversa conferenza di Ginevra sul razzismo: una benevolenza giudicata da molti osservatori fuori misura.
E questo spiega, forse, anche il silenzio delle autorità vaticane e dello stesso papa sulla proditoria impiccagione a Teheran della giovane iraniana Delara Dalabi. In casi del genere, di risonanza mondiale, quasi sempre la Santa Sede alza la voce in difesa delle vittime delle violazioni dei diritti umani: ma questa volta ha deciso di tacere.
Va detto che l'Iran, a sua volta, tratta la Santa Sede con inusuale benevolenza. Ricevendo, l'anno scorso in aprile, l'arcivescovo Jean-Paul Gobel, nuovo nunzio apostolico a Teheran, il presidente Ahmadinejad definì il Vaticano una forza positiva per la giustizia e la pace nel mondo.
E poco dopo inviò a Roma una delegazione di alto profilo capeggiata da Mahdi Mostafavi, discendente diretto del profeta Maometto, presidente dell'Islamic Culture and Relations Organization di Teheran e già viceministro degli esteri: un suo uomo di fiducia e "consigliere spirituale", con il quale si incontra "almeno due volte a settimana". La delegazione iraniana intrattenne con un'autorevole delegazione vaticana un colloquio a porte chiuse di tre giorni, dal 28 al 30 aprile, sul tema "Fede e ragione nel cristianesimo e nell'islam", concluso con un incontro con Benedetto XVI.
In Iran vive una piccolissima comunità cattolica, sottoposta ad asfissiante controllo. Anche questo spiega il "realismo" di cui dà prova la diplomazia vaticana, in questo e in altri paesi musulmani. Per salvare il salvabile, il riserbo è ritenuto più efficace dell’aperta denuncia.
Una sola volta, ad esempio, e in forma velata, il Vaticano ha stigmatizzato i ripetuti anatemi di Ahmadinejad contro l'esistenza di Israele. L'ha fatto con un comunicato della sala stampa del lontano 28 ottobre 2005. Dopo di allora, silenzio.
Ma il "realismo" diplomatico non spiega tutto. A una parte consistente dei cristiani arabi che vivono in Terra Santa gli anatemi antiebraici di Ahmadinejad suonano familiari. Anche per costoro è l'esistenza stessa di Israele la causa di tutti mali.
Va tenuto presente che simili pensieri corrono non soltanto tra i cristiani arabi, ma anche tra esponenti di rilievo della Chiesa cattolica che vivono fuori della Terra Santa e a Roma.
Uno di questi, ad esempio, è il gesuita Samir Khalil Samir, egiziano di nascita, libanese d'adozione, esperto tra i più ascoltati in Vaticano, che in un suo "decalogo" di due anni fa per la pace in Medio Oriente ha scritto: "La radice del problema israelo-palestinese non è religiosa né etnica; è puramente politica. Il problema risale alla creazione dello stato d’Israele e alla spartizione della Palestina nel 1948 – a seguito della persecuzione organizzata sistematicamente contro gli ebrei – decisa dalle grandi potenze senza tener conto delle popolazioni presenti in Terra Santa. È questa la causa reale di tutte le guerre che ne sono seguite. Per porre rimedio a una grave ingiustizia commessa in Europa contro un terzo della popolazione ebrea mondiale, la stessa Europa, appoggiata dalle altre nazioni più potenti, ha deciso e ha commesso una nuova ingiustizia contro la popolazione palestinese, innocente rispetto al martirio degli ebrei".
Detto questo, padre Samir sostiene comunque che l'esistenza di Israele è oggi un dato di fatto che non può essere rifiutato, indipendentemente dal suo peccato d'origine. Ed è questa anche la posizione ufficiale della Santa Sede, da tempo favorevole ai due stati israeliano e palestinese.
Non solo. Per padre Samir i cristiani arabi che vivono in Terra Santa, pur pochi di numero, sono "gli unici che possono promuovere la pace nella regione, perché non vogliono affrontare la questione religiosamente ma secondo giustizia e legalità".
Secondo padre Samir, infatti, il conflitto arabo-israeliano non cesserà fino a che continuerà ad essere una guerra religiosa tra ebraismo ed islam. Solo se ricondotto ai suoi connotati politici e "laici" potrà trovar pace. E i cristiani sono i più attrezzati allo scopo.
Alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, padre Samir ha sviluppato queste sue idee sul ruolo dei cristiani nella regione in un'intervista al settimanale italiano "Tempi".
Ha detto tra l'altro: "Già la Nahdah, il rinascimento arabo che si è verificato tra l’Ottocento e la prima parte del Novecento, fu essenzialmente frutto dei cristiani. Di nuovo, oggi, un secolo dopo, sta succedendo lo stesso, sebbene i cristiani siano in minoranza nei paesi arabi. Oggi il 'nuovo' nel pensiero arabo arriva dal Libano, dove l’interazione tra cristiani e musulmani è più viva. Qui ci sono cinque università cattoliche, oltre a quelle islamiche e quelle statali. Funzionano radio, televisioni, giornali e riviste di matrice cristiana, sulle quali scrivono tutti, musulmani, laici, cristiani. Oggi l’impatto culturale dei cristiani in Medio Oriente avviene tramite i mezzi di comunicazione: il Libano è diventato il primo centro di pubblicazione di libri di tutto il mondo arabo, ove vengono stampati libri sauditi, marocchini… Anche i musulmani capiscono che i cristiani sono i gruppi più attivi e gli elementi culturalmente più dinamici, come spesso avviene per le minoranze. I cristiani libanesi o degli altri paesi mediorientali hanno poi legami e contatti con l’Occidente, e per questo il loro ruolo culturale è fondamentale. Molti musulmani, anche autorevoli leader, sia in Libano che in Giordania, ma anche in Arabia Saudita, lo hanno dichiarato pubblicamente: non vogliamo che i cristiani se ne vadano via dai nostri paesi perché sono una parte essenziale delle nostre società".
A questa visione ottimista, padre Samir accompagna naturalmente l'avvertenza che nei paesi musulmani i cristiani sono quasi ovunque sotto minaccia. A cominciare dall'Arabia Saudita, un altro stato con il quale la Santa Sede intrattiene una politica spregiudicatamente "realista", culminata il 6 novembre 2007 nell'accoglienza con tutti gli onori in Vaticano del suo re, tenendo in ombra le sistematiche violazioni dei diritti umani in quel paese.
Più pessimista, tornando al quadrante israelo-palestinese, è il giudizio che dà del ruolo dei cristiani un altro profondo conoscitore della regione, il Custode della Terra Santa, il francescano Pierbattista Pizzaballa. A suo parere, nel conflitto israelo-palestinese oggi "i cristiani non contano più nulla, politicamente".
E per giunta sono i più freddi nell'accogliere la visita del papa, nonostante egli li abbia messi al primo posto nelle finalità del suo viaggio.
Difficile impresa, quella di Benedetto XVI in Terra Santa. Più che gli israeliani che l'hanno invitato, più che la monarchia di Giordania che gli ha spalancato le porte, dovrà anzitutto conquistare i cristiani del posto.

anticlericale
20-05-09, 00:57
Il Comune non si costituisce parte civile
• da L'Opinione del 7 maggio 2009, pag. 8

di Dimitri Buffa

Quando il pedofilo o lo stupratore è un prete il Comune di Roma si dimentica di costituirsi parte civile nei processi. La storia penale di don Ruggero Conti inizia con il suo clamoroso arresto che arriva alla vigilia di un viaggio che stava organizzando per la propria comunità per partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù, svoltasi a Sidney dal 12 al 21 luglio 2008. Una brutta storia di pedofilia "pretesta" e di opportunismo politico "pilatesco" da parte del Comune di Roma. Che a parole celebra le giornate contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, e nei fatti si rifiuta di costituirsi parte civile quando l`imputato porta la tonaca. Una pessima tradizione che è iniziata già all`epoca di Veltroni ed è proseguita anche nell`era di Alemanno. Tanto che il consigliere comunale Mario Staderini della lista Bonino-Pannella, candidato anche alle prossime europee, ha deciso di costituirsi lui al posto e in vece del comune come parte civile, così come consente da qualche anno a questa parte il testo unico sugli enti locali. Qualunque cittadino può fare questa sorta di class action e costituirsi in vece del sindaco parte civile a proprie spese e poi il Comune in seguito dovrà approvare o meno questa supplenza. Ovvero far finta di niente, come sta accadendo in questo ultimo imbarazzante (per Alemanno) caso denunciato da Staderini. Infatti proprio il 16 giugno prossimo si celebrerà per direttissima il processo contro don Ruggiero Conti, ex parroco della parrocchia Natività dì Maria Santissima e soprattutto ex garante per le politiche a favore della famiglia dell`attuale sindaco Alemanno quando ancora c`era la campagna elettorale per le elezioni comunali di Roma. Don Ruggero fu arrestato lo scorso 30 giugno e ottenne subito i domiciliari. Ma ora ci sarà il processo e con la nuova legge anti stupri, che non vale solo per i romeni, potrebbe trovarsi a mal partito. Secondo il capo d`imputazione don Ruggero approfittò dei minori in occasione di alcuni campi scuola, durante le vacanze estive e quelle di Pasqua e di Natale. Le dinamiche descritte raccontano di una serie di giovani che frequentavano i locali della parrocchia e che furono attirati in altre stanze e costretti a soddisfare i desideri del sacerdote. In cambio alcuni ricevettero dai 10 ai 30 euro, o in taluni casi dei capi d`abbigliamento. In un caso, era stata proprio la madre della giovane vittima a rivolgersi a Don Ruggero "affinché si prendesse cura del figlio e lo aiutasse a superare i problemi dovuti alla perdita del padre". Il tutto "in un momento di difficoltà economiche anche in conseguenza del decesso del familiare". In base alla ricostruzione dell`accusa, il ragazzino, "in ripetute occasioni (quantificabili in circa trenta/quaranta volte) e in cambio di denaro (dai 10 ai 30 euro in media per ogni singola prestazione) o altra utilità (in genere capi di abbigliamento), avrebbe compiuto atti sessuali." Crimini orrendi se provati, ma il Comune , di Roma, forse anche per l`imbarazzo di Alemanno a riconoscere la cantonata nel nominare il prete accusato di pedofilia come garante delle proprie politiche familiari, non ha ritenuto dì costituirsi parte civile. E adesso il consigliere Staderini si chiede perché ci sia questa prassi, ereditata da Veltroni, in cui il Comune di Roma si volta dall`altra parte quando in questi reati c`è di mezzo un sacerdote

anticlericale
20-05-09, 00:57
Otto per mille, Poretti e Perduca: Funziona bene o no? Interrogazione


7 maggio 2009



• Dichiarazione dei senatori Donatella Poretti e Marco Perduca, parlamentari Radicali - Partito Democratico
-->Visto l'approssimarsi della scadenza per la denuncia dei redditi e quindi della destinazione della quota dell'otto per mille dell'Irpef alle confessioni religiose, è necessario sapere come la legge che l'ha istituita ha funzionato. Questa legge (22/1985) ha previsto che ogni contribuente, indipendentemente dalla propria volonta', deve destinare il proprio otto per mille ad una confessione religiosa o allo Stato (per interventi straordinari per fame nel mondo, calamita' naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali). Nel contempo la legge ha previsto una commissione paritetica per monitorarne ogni tre anni l'applicazione e proporre eventuali modifiche. Monitoraggio di cui non siamo riusciti a trovare nulla.
Il meccanismo dell'otto per mille lascia perplessi: a fronte di meno del 50% dei contribuenti che indica la propria scelta, i fondi vengono elargiti in considerazione del 100% dei versamenti, cioe' chi sceglie lo fa anche per chi non fornisce nessuna indicazione. Una perplessita' che e' tale in virtu' dei dettami costituzionali su liberta' religiosa e di pensiero.
Nell'ottica della trasparenza, dell'accesso agli atti pubblici e dell'informazione, abbiamo depositato una interrogazione parlamentare alla Presidenza del Consiglio in cui chiediamo di sapere se c'e' intenzione di:
- rendere pubblica, anche attraverso il sito Internet del Governo, nello specifico settore dedicato all'otto per mille, la composizione della Commissione paritetica;
- rendere pubbliche le relazioni prodotte dalla Commissione dal 1989 ad oggi;
- rendere pubbliche le valutazioni della Commissione e gli esiti a cui la Commissione è giunta;
- rendere pubbliche eventuali proposte di modifiche della Commissione.

Qui il testo integrale dell'interrogazione: Otto per mille. Che fine ha fatto la commissione di verifica? | SEN. DONATELLA PORETTI (http://blog.donatellaporetti.it/?p=615)

anticlericale
20-05-09, 00:57
TORINO/RADICALI:VIETARE AL GAY-PRIDE VIA ARCIVESCOVADO PER NON DISTURBARE LA CURIA NON E’ ACCETTABILE.



Igor Boni, candidato per il PD nel collegio 17 Oltre Po alle elezioni provinciali e segretario dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta e Andrea Trigolo, giunta segreteria Associazione Aglietta, intervengono a seguito del provvedimento di divieto emanato dalla Questura che impedisce al corteo del Gay Pride di passare da via Arcivescovado, sede della Curia:



Pochi mesi fa di fronte all’Arcivescovado abbiamo preso parte ad una pacifica manifestazione che chiedeva diritti e pari dignità per gay e lesbiche: tutto si è svolto senza problemi e senza slogan offensivi.

Oggi, la stessa via Arcivescovado viene negata al corteo del Pride con una scusa risibile: la strettezza della via. Ma lo stesso criterio, per esempio, non è utilizzato per via Alfieri.

Se ci sono motivi di ordine pubblico i divieti e le limitazioni sono comprensibili. Ma questo divieto pare fatto apposta per non “disturbare il Vaticano”.Se la Chiesa vuole partecipare al dibattito politico italiano come fosse un partito (perchè di questo si tratta!) semplicemente deve accettare di essere trattata come una forza politica. Ben vengano quindi confronti e contestazioni civili e nonviolente.

Poiché il Vaticano rivendica il diritto di intervenire su tutto, senza essere disturbato e conservando i privilegi concordatari e dell’8 per mille, allora la questione cambia.

Chiediamo alla Questura di rivedere la propria scelta e di incontrare immediatamente il comitato promotore. Annunciamo sin d’ora la nostra partecipazione al corteo

anticlericale
20-05-09, 00:58
"La Stampa", 07 Maggio 2009, pag. 12

Gianni Letta al lavoro per distendere i rapporti con Oltretevere

Il Vaticano rassicura Berlusconi
Dopo le prese di posizione di alcuni vescovi la Santa Sede non si allinea alle critiche




UGO MAGRI
ROMA


Sul pubblico di Vespa, Berlusconi ha fatto colpo. Sostengono i suoi sondaggi (Euromedia Research) che 70 spettatori su 100 hanno gradito lo show contro Veronica, ammaliate in particolare le signore sopra una certa età. L’Ipr, altro istituto, registra una fiducia nel premier stabile ai soliti livelli stratosferici (66 per cento, 75 secondo Euromedia). Se nelle prossime ore non matura qualche nuova sorpresa, il Cavaliere può pensare di averla scapolata. Difatti già comincia a scherzarci su, con battute sulla Finlandia e sulle finlandesi: le ama molto, precisa ammiccante, «purché abbiano più di 18 anni». Porta con sé le tre candidate donna a una cena di imprenditori, onde dimostrare che non sono «veline». E’ sicuro di avere reagito alle accuse della moglie «con una certa classe». E visto che l’autodifesa pare funzioni in patria, si confessa pure con l’emittente France 2.
Però la notizia più gradita non gli giunge d’Oltralpe, bensì da Oltretevere. Tramite i soliti canali riservati che fanno perno su Letta, Gentiluomo del Papa, la Curia vaticana manda al capo del governo messaggi rassicuranti. Il contatto risale a ieri mattina. Bertone, cardinale e segretario di Stato, si limita a suggerire prudenza, come peraltro già aveva fatto l’«Avvenire» (organo della Cei), meglio sospendere i ping-pong polemici con la signora Lario che generano imbarazzo. Viceversa, sul secondo divorzio del premier la Santa Sede non ha nulla da ridire. Anzi. Dal punto di vista religioso, la lite coniugale sana una condizione di peccato grave, quasi di scandalo (per il diritto canonico Berlusconi è ancora sposato con Carla Dall’Oglio). Insomma: il paradosso è che, rompendo l’unione con Veronica da cui ha avuto tre figli, il premier verrà riammesso ai sacramenti, come da tempo anelava. Chi immagina contraccolpi negativi sul voto cattolico in vista delle Europee, consideri l’impatto visivo di Berlusconi che fa la comunione, proprio come un vecchio leader democristiano. Anche di questo pare si sia parlato espressamente, in una giornata che registra colloqui riservati tra Bonaiuti (portavoce del premier) e alcuni giornalisti di prima fila del pianeta cattolico.
Certo, non tutte le voci ecclesiastiche sono in riga. Proprio su «La Stampa» di ieri, l’autorevole cardinale Kasper aveva lamentato con toni forti la «caduta di stile e il cattivo esempio». Padre Sorge, gesuita, prova a mettersi nei panni di San Pietro e scommette che sarà in imbarazzo anche lui, «quando dovrà giudicare Berlusconi». Però la Chiesa sa benissimo, obietta il capogruppo Pdl Cicchitto, che «noi siamo un soggetto politico serio, dunque teniamo conto delle sue posizioni». Un modo per rammentare il decreto su Eluana, lo stop ai Didore, il no alla revisione della legge sull’aborto. Sorride sornione Cossiga, presidente emerito della Repubblica, reduce da un colloquio col premier per portargli la propria solidarietà: «Alla Chiesa molto importa dei comportamenti privati. Ma tra un devoto monogamo che contesta certe sue direttive», avverte Cossiga, «e uno sciupafemmine che invece dà una mano concreta, la Chiesa dice bravo allo sciupafemmine». Cita a tal proposito Sant’Ambrogio: «Ecclesia casta et meretrix».

anticlericale
20-05-09, 00:58
L'Ue boccia la censura al Papa
• da Avvenire del 8 maggio 2009, pag. 13

di Maria Laura Franciosi


Il Parlamento europeo ha respinto ieri un emendamento di condanna a Benedetto XVI per le sue dichiarazioni contro l`uso dei preservativi in occasione di una recente visita in Africa. Con 253 voti contrari, 199 favorevoli e 61 astenuti, l`aula di Strasburgo ha detto no a questo emendamento al rapporto annuale 2008 sui diritti umani che era stato presentato da due deputati dell`Alde (liberaldemocratici europei), Marco Cappato (partito radicale internazionale) e Sophie in`t Veld (liberali olandesi). Un altro emendamento allo stesso rapporto, di cui era relatore l`eurodeputato spagnolo del Partito socialista europeo, Raimon Obiols i Germà, è stato invece approvato con 458 voti favorevoli, 48 contrari e 10 astensioni. In questo emendamento il Parlamento europeo ha accolto la dichiarazione sostenuta da 66 Paesi tra cui tutti gli Stati membri dell`Ue, presentata all`Assemblea generale dell`Onu il 18 dicembre 2008 in cui si conferma che «la protezione internazionale dei diritti umani include l`orientamento sessuale e l`identità di genere» e si riafferma il principio di non discriminazione che richiede che i diritti umani si applichino allo stesso modo a ogni essere umano quale che sia il suo orientamento sessuale o identità di genere. Dell`argomento si era già ampiamente discusso a Strasburgo prima che il rapporto venisse depositato all`Onu. Il primo emendamento, quello di condanna delle dichiarazioni del Pontefice, è stato invece respinto con i popolari europei (Ppe) che avevano tenuto a dissociarsi. Si è dissociata sin dall`inizio anche la delegazione del Partito democratico italiano (Pd) nel gruppo dei liberaldemocratici che ha annunciato il voto contrario. L`Europa - si legge in una nota diramata dal gruppo - è una democrazia che si fonda sui principi laici di libertà religiosa e di espressione. Principi che devono valere per tutti, anche per il Papa. Nelle dichiarazioni di voto il tedesco Nassauer (Ppe) ha provato a far dichiarare l`emendamento di condanna al Papa non ammissibile - «è incredibile e inaccettabile» ha detto - dal momento che le dichiarazioni di Benedetto XVI erano di quest`anno e il rapporto da votare si riferiva alla difesa dei diritti umani nel 2008. L eccezione non ha però trovato appoggi. E interessante comunque notare che a favore dell`emendamento Cappato-in`tVeld non ha votato nemmeno Cappato: era assente. Del gruppo dei comunisti (Gue) hanno votato a favore Agnoletto e Aita, mentre nel Pse il «sì» è arrivato da Napoletano e Sacconi mentre nel Ppe non c`è stato alcun voto italiano a favore. Tra i Verdi europei invece il «sì» di Monica Frassoni. Tra i «no» italiani quelli dei liberali Costa, Ciani e Ferrari (Alde), mentre nel Ppe gli italiani contrari sono stati Albertini, Braghetto, Ebner, Mauro e Sanzarello. Del gruppo Uen (Lega e An) hanno votato contro Basile, Robusti e Speroni. Tra i "Non iscritti" (Destra) no di Fiore e Romagnoli. Tra gli astenuti del Pse gli italiani Battilocchio, Pagano e il Verde Kusstatscher, il deputato che in assoluto ha il maggior numero di presenze in tutto il Parlamento europeo in questa legislatura. Il secondo emendamento sull`orientamento sessuale e di genere ha avuto il voto contrario degli italiani Ciani, Costa e Ferrari del gruppo dei liberali (Alde), e dei "Non iscritti" Fiore e Romagnoli. Tra gli astenuti figurano i leghisti Boso, Speroni e Robusti, mentre il Ppe ha votato in blocco a favore, compreso il vicepresidente Mario Mauro insieme ad Albertini, Braghetto e Sanzarello. Hanno votato a favore anche Agnoletto (Gue), Napoletano e Sacconi (Pse), Basile (Uen) e Frassoni e Kusstatcher dei Verdi.

anticlericale
20-05-09, 00:58
"La Stampa". 08 Maggio 2009, pag. 41

IL PAPA CHE PIACE AGLI EBREI D’ISRAELE
Filippo Di Giacomo

Il Papa, come tutti i pastori, non è obbligato a essere sempre ottimista con il suo gregge. Mercoledì, invece, all’udienza generale Benedetto XVI ha salutato le popolazioni della Terra Santa che incontrerà durante la visita apostolica che inizia oggi dicendosi fiducioso che il futuro riserverà a palestinesi e israeliani «molti frutti per la vita spirituale e civile di tutti quelli che abitano in Terra Santa». Ha anche alluso, guadagnandosi gl’insulti della radio dei coloni in Cisgiordania, ai possibili sviluppi del dialogo interreligioso musulmani-ebrei, osservando che lui, come tutti i capi religiosi della regione «siamo determinati nel nostro desiderio e negli sforzi per la pace» e per «l’unità». C’è un tempo per ogni cosa, dice la Bibbia. E forse, a Gerusalemme è giunto il tempo di parlare di cose concrete. Anche il ministro degli Esteri israeliano, in Italia qualche giorno fa, ha definito di «grandissima, infinita importanza» il viaggio di Benedetto XVI in Giordania, Palestina e Israele. Un viaggio, secondo il ministro Liebermann, di «duplice importanza» per i rapporti tra Israele e arabi moderati; un dialogo tra cristianesimo ed ebraismo che potrebbe funzionare «da stimolo per un confronto tra islam ed ebraismo».
Quando nel marzo 2000 Giovanni Paolo II riuscì a portare le parole con la richiesta di perdono negli interstizi del Muro del Pianto, per l’opinione pubblica della Terra Santa i cattolici erano poco più che degli sconosciuti. Fu padre David Jaeger, francescano d’origine ebraica, a lamentare che a quasi 50 anni di distanza dalla fondazione dello Stato d’Israele i cattolici continuavano a non voler avere voci autorevoli che s’inserissero nel vivace dialogo sociale e politico della democrazia israeliana. Per settimane dopo la visita papale, nelle librerie israeliane andarono a ruba più di 60 titoli sul cattolicesimo e il suo Papa. Da allora gli israeliani sanno che tutti i documenti contro l’antisemitismo d’ogni colore, dalla conciliare Nostra Aetate in poi, portano la firma del teologo Ratzinger. Tale consapevolezza, può essere dedotta anche da una recente ricerca che l’inglese Smith Institut, società indipendente di studi socio-politici, ha condotto in Israele per valutare la percezione che i cittadini hanno del cattolicesimo.
I risultati, pubblicati da Yediot Ahronot a fine febbraio, appaiono sorprendenti perché l’inchiesta è stata condotta tra le due querelles che hanno infiammato il mondo cattolico-ebraico d’inizio 2009: quella seguita alle affermazioni negazioniste del vescovo Williamson e l’altra causata dalle battute sacrileghe anticristiane d’un comico ebreo sulla tv commerciale Canale 2. I dati, come d’abitudine per le cose israeliane, tengono conto di coloro che abitano Israele da laici e di quelli che vi risiedono come «osservanti». Una distinzione assai particolare che, fuori d’Israele, rischia di avere poco senso: se l’ortodossia è determinata dal grado di aderenza alle leggi e alle pratiche religiose ebraiche, solo il 20% degli ebrei israeliani adempie a tutti i precetti religiosi, il 60% segue una forma di combinazione di leggi secondo scelte personali e tradizioni etniche, e il 20% è non osservante.
Benedetto XVI si reca in un Paese dove il 54% dei cittadini che si definiscono laici considera il cristianesimo vicino all’ebraismo e molto più amichevole dell’islam; la quasi totalità ritiene gli arabi israeliani di fede cristiana ottimi cittadini; il 91% non è in alcun modo disturbato dai simboli cristiani; l’80% non ha difficoltà a visitare le chiese cristiane; il 71% riconosce ai cristiani il diritto al proselitismo anche in Israele; il 68% vorrebbe che il cristianesimo fosse studiato nelle scuole (e il 52% estende tale desiderio ai Vangeli) e oltre il 50% sarebbe d’accordo se le chiese cristiane fossero finanziate dallo Stato come le sinagoghe. Queste percentuali sono invece quasi simmetricamente rovesciate tra il 20% degli ebrei osservanti come il ministro Liebermann che, nonostante tutto, ieri si è mostrato aperto a un’opinione pubblica espressa nel suo Paese da correnti politiche diverse dalla sua. Che l’attuale ministro degli Esteri veda nei rapporti cattolico-ebraici un paradigma da sviluppare anche tra ebraismo e islam sembra perciò un nuovo presagio di quella provocazione culturale che, sin dalla nascita, la democrazia d’Israele rappresenta per tutto il Medio Oriente: un invito a svuotare se stessi, a liberarsi da legami contingenti, da sentimenti, desideri, progetti, per aprirsi all’Altro. Magari anche con l’aiuto delle parole del Papa di Roma.

anticlericale
20-05-09, 00:58
"La Stampa", 09 Maggio 2009, pag. 12

IMPROVVISA MORTE, A 84 ANNI, DI «DON GIANNI»

Addio Baget Bozzo, prete socialista e berlusconiano



ANTONELLA RAMPINO
ROMA


Forse è morto come ognuno vorrebbe, nel proprio letto e nel sonno dei suoi ottantaquattro anni, di certo ha vissuto come ha voluto, don Gianni Baget Bozzo che da democristiano tendenza Tambroni (e poi Sbardella) riattivò contro il nascente primo centrosinistra i terribili Comitati Civici di Luigi Gedda. Che fu sospeso a divinis dal suo Maestro, il cardinal Giuseppe Siri, uomo autoritario, di alto stile e sempre consapevole dell’oggettiva verità delle cose, perché quello che don Gianni voleva fare era essere un militante craxiano, farsi anche eleggere a Bruxelles - come fece - e continuare a dir messa. Cosa che gli fu puntualmente consentita, nonostante la sospensione, sia pure da solo, alle sei del mattino, in una chiesetta ai margini della «sua» Genova. Perché si diceva e si sentiva genovese, Baget Bozzo, pur ammettendo di esser nato a Savona, un po’ come Montanelli, qualche volta, si definiva «un fiorentino di Fucecchio».
Le cronache, come ha ricordato ieri lo stesso Silvio Berlusconi, lo seguivano negli ultimi anni soprattutto per esser stato uno degli «ideologi» della «scesa in campo», «ci mancherà il nostro amatissimo don Gianni, l’amico di grande tempra intellettuale e spirituale che ha accompagnato, sin dai primi passi, la nostra avventura di popolo». Berlusconi, in realtà, aveva ereditato don Gianni da Bettino Craxi. E a Bettino Craxi don Gianni era arrivato anche meditando, giusto alla metà degli Anni Ottanta, sulla politica italiana dalle pagine della «Repubblica» di Eugenio Scalfari. Era una sorta di «Bloc notes» alla François Mauriac, ma a furia di fustigare il compromesso storico e Berlinguer, e seguire il crinale discendente della Dc, don Gianni si trovò a considerare che l’unica soluzione per l’Italia fosse proprio quella che a «Repubblica» era a dir poco invisa: Craxi, appunto. Perché don Gianni, spiega Giorgio Rebuffa, genovese, costituzionalista e soprattutto suo collega tra i consigliori alla corte del primo Berlusconi, «considerava finita la Dc, e necessaria invece una riscrittura del sistema politico sull’ipotesi che ne fece Craxi prima, e Berlusconi poi». E a questo, al ribadire la funzione catartica dei cattolici nel Pdl è dedicato anche l’ultimo corsivo che ha lasciato, per «Il Secolo XIX».
Non si sa che cosa avrebbe pensato del Cavaliere di oggi, perso nella girandola delle sue soubrettine, ma certo frastagliato e sinuoso è stato il percorso politico di don Gianni, e non da meno quello umano e teologale. Al «Foglio», col quale pure collaborava, un giorno, ed erano i giorni del Gay Pride del Giubileo, diede un’intervista sul desiderio e sui sentimenti omoerotici, confessando di averli castamente vissuti. La notizia fece il giro di tutti i quotidiani italiani, alla «Stampa» spiegò che «c’è un amore che trae origine dalla ragione e dal sentimento insieme, e che accade quando, persuasi di amare qualcuno a ragione delle sue virtù, ci sentiamo ancor più attratti verso di lui per la dolcezza di una più ricca vitalità. Così l’amore è reso casto dalla ragione, e dolce dal sentimento». Amore, certo, quell’amore che muove il mondo e le altre stelle, e che vale anche per l’omosessualità, «se è casta, non è incompatibile con la santità». Don Gianni era essenzialmente un teologo. E di quelli capaci di visioni. Come quella volta, una delle sue ultime in tivvù, che raccontò dell’apparizione dello Spirito Santo, e gli aveva detto che Berlusconi era il Messia d’Italia. Era poco prima delle elezioni europee del 2004, però. E, quella volta, a Berlusconi non andò benissimo.

anticlericale
20-05-09, 00:59
"La Stampa", 09 Maggio 2009, pag. 12

Intervista a Giuliano Ferrara

“Voleva sempre esserci, a costo di sbagliare”


Il direttore del Foglio: “Amava le grandi avventure politiche”

«Un dissidio vivente, da laico diede dignità intellettuale al craxismo»


UGO MAGRI

ROMA


Giuliano Ferrara fece una volta, si dice così?, da chierichetto a don Gianni. Erano gli anni della sospensione «a divinis», la Chiesa non mandava giù che un sacerdote si fosse candidato coi socialisti (garofano rosso sull’abito talare) al Parlamento europeo. Poteva ancora dir messa, Baget Bozzo. Però solo a certe suorine di una chiesetta genovese, oppure in privato, massimo due persone. «E fu allora», ricorda il direttore del Foglio, «che mi chiese il favore di assisterlo».
Ma dove, proprio lì a Strasburgo?
«Sì, nel suo loculo da europarlamentare. Moquette orrenda, divanetto da ufficio, ambientazione assurda, un po’ fantozziana. Gli chiesi: dal punto di vista liturgico quello che stai facendo è regolare?».
E lui?
«Regolarissimo. Aprì una valigetta, tirò fuori un kit da messa, dentro c’era tutto. L’ostia, naturalmente, la prese solo don Gianni».
E lei, Ferrara?
«Con grande rispetto mi alzavo quando era necessario. Così lo ascoltai dire messa».
Un prete-prete...
«Sacerdote fino alla cima dei capelli. Vocazione molto tardiva, quando aveva passato i 40 anni (al seminario minore non era andato perché la mamma non voleva). Però pure profondamente laico, e libero».
Contraddittorio?
«Un dissidio vivente. Gli piaceva l’uomo immerso nella storia. Amava partecipare, militare, magari sbagliare, comunque esserci. Anche per via di un ego fortissimo».
Era il suo difetto peggiore?
«Un uomo così candido, così bisognoso di guida e così intelligente, per me non ha difetti. Condonati all’origine».
A proposito di candore. Proprio al suo giornale qualche anno fa rilasciò un’intervista-scandalo...
«Sull’omoerotismo casto. Molto simpaticamente, ammise di avere questo genere di pensieri».
Personaggio scomodo?
«Al contrario, utilissimo».
Per cosa?
«Per i progetti in cui volta a volta credette».
Partì da sinistra...
«Era un dossettiano. Poi ci fu la svolta pro-Siri».
Il cardinale di Genova, un bel reazionarione.
«Rispetto alla direzione di marcia dell’Italia Anni Settanta, certo».
Altra tappa: caso Moro e innamoramento con Craxi, durato fino alla fine.
«Per poco non arrivammo a litigare. Dopo il crollo del Muro, secondo me Bettino avrebbe dovuto cavalcare l’onda referendaria, seguire fino in fondo la strategia delle mani libere che era stata all’origine della sua grandezza. Don Gianni, invece, gli consigliò il contrario: chiuditi nel fortino del pentapartito, con Andreotti, con Forlani...».
Craxi gli diede retta?
«Scelse effettivamente quella linea, che lo rese impreparato a quanto successivamente accadde».
Beh, allora come suggeritore Baget Bozzo non fu granché...
«Più che dare consigli, lui illustrava il carattere provvidenziale delle leadership. Era il cantore delle grandi avventure politiche. Con molto rigore, diede dignità intellettuale prima al craxismo e quindi al berlusconismo. Sapeva raggiungere vette ineguagliate di lirismo».
Come quando disse che Bettino aveva per sé l’eterno?
«Nel suo ultimo articolo, l’altro giorno, scriveva che Veronica non ha amato Silvio abbastanza... Si considerava il prevosto di casa Berlusconi. Del resto, per lui la politica è stata sempre una questione spirituale. Religiosa. Sacrale. Non faceva parte degli avventizi, di quelli che negoziano posti e poi magari se ne vanno».
Lei che l’ha conosciuto meglio di tanti: quand’è che don Gianni «scoprì» Berlusconi?
«Sul finire della sua avventura europea. Era nella fase terzomondista, scriveva articoli su “Repubblica”, divorava “Le Monde diplomatique” e io lo prendevo in giro. Devi leggere l’”Economist”, lo stuzzicavo. Quando mi diede retta, si trovò nel mezzo dell’avventura di Forza Italia e di Berlusconi».
Adesso che è morto?
«Verrà studiato, ricordato, amato. Da me in particolare, che ho avuto con lui amicizia e, se posso dire, un percorso quasi gemello».

anticlericale
20-05-09, 00:59
"La Repubblica", SABATO, 09 MAGGIO 2009
Pagina 16 - Interni

Don Gianni, da Dossetti a Craxi; inventò il berlusconismo spirituale
Morto Baget Bozzo. Polemista e teologo in odore di eresia
Ordinato sacerdote nel ´67, il suo rapporto con le gerarchie fu assai tormentato

FILIPPO CECCARELLI
A 84 anni se n´è andato don Gianni Baget Bozzo che nella sua lunga vita, e intensa di incontri, avventure intellettuali e ardenti messianismi della storia e dello spirito, è stato davvero tante cose: giovanissimo partigiano, promessa della politica, infaticabile fondatore di giornali e riviste, prete tardivo e problematico, dotto teologo anti-conciliare, mistico in odore di eresia progressista, eurodeputato craxiano, anima del berlusconismo trascendentale.
Negli ultimi anni il grande pubblico lo riconosceva quale personaggio da talk-show, smagliante maschera televisiva. Come tutte le persone molto intelligenti, don Gianni aveva la tendenza a spararle grosse, bucando lo schermo con il suo imperterrito farfugliare; e come tutti i puri di cuore ogni volta finiva per sorprendersi della sua stessa rutilante, fantasmagorica ingenuità: «Me le vado a cercare».
Eccentrico, distratto, torrenziale: una tipica figura da cartone animato, però di immensa cultura e altrettanto onnivora curiosità. Nel corso della sua esistenza ha sempre impetuosamente cercato qualcuno o qualcosa cui attaccarsi. Un padre, un´autorità, una verità assoluta, ma terrena. A parte quell´altra Verità soprannaturale, Dio, che dal 1956 - come raccontato nel bellissimo Vocazione (Rizzoli, 1982) - lo ispirava in forma di Voce interiore.
Quel qualcuno molto mondano cui abbandonarsi, dopo tante peripezie, lo trovò infine in Berlusconi. Fino all´ultimo, fino a martedì scorso, l´ha lodato e difeso: «La signora Veronica mi sembra che non l´abbia amato abbastanza». Ieri il presidente del consiglio ha ricordato quella specie di cappellano ad honorem del Pdl: «Mi mancherà molto».
Baget Bozzo si era convinto che il Cavaliere era un dono che Nostro Signore aveva infallibilmente recato alla presente vicenda italiana. Poche discussioni: era un miracolo, la Provvidenza; per i non credenti un dato storico preterintenzionale, per gli agnostici un concetto teologico secolarizzato. I nemici di Lui (magistrati, comunisti, borghesoni snob, islamici, etc) erano i suoi nemici. Sono cose che a Berlusconi ispirano gratitudine e buon umore. Don Gianni cambiò addirittura le parole a «Fratelli d´Italia» adattandole a Silvio. Questi lo riveriva, lo consultava: al decennale di Forza Italia lo chiamò sul palco per farlo applaudire dalla folla, e come in una scena di Fellini accompagnò l´ascesa: «Faccia attenzione a non perdere i pantaloni... Sapete, è tutta testa». Vero. Don Gianni era tutta testa, ma anche tutto cuore, e fantasia, e dottrina, e ricordi unici per un intellettuale. Anche per questo oggi sarebbe ingiusto dimenticare che prima di approdare con estrema libertà al berlusconismo, non c´è versante della società politica italiana su cui Baget Bozzo non si sia affacciato.
E quindi, già alunno del futuro cardinale Siri e con una incerta e contrastata vocazione, ha fatto in tempo a combattere i tedeschi a Genova e a ritrovarsi nella covata dei «professorini», Dossetti, Fanfani, La Pira, Lazzati, inquilino-mascotte della «Comunità del Porcellino» alla Chiesa Nuova. Dopo il primo ritiro dossettiano si rifugia nella dimensione culturale con reduci della sinistra cristiana, cattolici comunisti come Balbo, Sebregondi, Scassellati. Poi, sempre ondeggiando tra politica e spiritualità, il lavoro a Terza Generazione e la maturazione di crescente estraneità verso la Dc; fino a vagheggiare nuovi partiti d´ordine fedeli alle gerarchie, bordeggiando fra Tambroni e pacciardiani e fondando riviste e sodalizi intitolati allo «Spirito Santo e a Maria regina del mondo».
Laurea in teologia e ordinazione sacerdotale nel 1967, celebra Siri, presenti in Chiesa don Dossetti, il sindaco santo La Pira e il trionfatore del 18 aprile Luigi Gedda. Nei primi anni 70 scrive la prima storia della Dc, «Il partito cristiano al potere» (Vallecchi, 1973). E di lì a poco incontra i fermenti post-conciliari, i movimenti per la pace e le suggestioni della Pro Civitate di Assisi. Collabora intanto con la neonata Repubblica, incrocia il dialogo con il Pci di Berlinguer, ma arriva a confrontarsi con Marco Pannella. Nel giugno del 1980, come scrivono Claudio Leonardi e Giovanni Tassani nel profilo biografico che chiude un´intervista intitolata «I tempi e l´eterno» (Marietti, 1988), un monitio della Curia di Genova gli vieta ogni attività pubblica. L´anno dopo, per il rifiuto a contrastare l´aborto, viene interdetto dal dire messa e a predicare, se non in un convento di suore. «Un santo mancato» lo definisce De Mita in un congresso. Nel 1985, quando ha scoperto Craxi (durante il caso Moro) ed è stato eletto a Strasburgo per il Psi, viene sospeso a divinis.
E´ perdonato e riaccolto ai sacramenti nel 1994: ma per indole, coraggio e gusto della libertà continua a scrivere e a parlare viaggiando sul filo del rasoio. Sereno, eppure sempre intimamente meravigliato dalla vita e dai suoi provvisori abitanti. Luce del sacro, enigma del profano.

anticlericale
20-05-09, 00:59
Un dialogo senza ambiguità
• da Corriere della Sera del 11 maggio 2009, pag. 1

di Angelo Panebianco

Benedetto XVI è giunto oggi a Tel Aviv dopo la sua prima tappa in Giordania. Questo lungo viaggio in Terra santa del Papa avrà certamente ancora molti momenti salienti ma un primo bilancio è reso possibile dall`accoglienza che gli è stata fin qui riservata e dalle parole, forti e inequivocabili, che egli ha già pronunciato sui rapporti fra il cristianesimo, l`ebraismo e l`islam. Il viaggio del Papa è di estrema delicatezza. Non solo perché si svolge nei luoghi che sono, oggi coree mille anni fa, il terreno di incontro /scontro fra le tre religioni monoteiste. E non solo perché è proprio lì, in Medio Oriente, che si addensano, si sovrappongono e si intrecciano i più gravi elementi di conflitto che minaccino oggi la stabilità mondiale. E` di estrema delicatezza anche perché il Papa vi è giunto preceduto da una lunga scia di polemiche e incomprensioni che hanno fin qui segnato i suoi rapporti sia con l`ebraismo che con l`islam. Sul Monte Nebo, in Giordania, Benedetto XVI ha colto l`occasione per ribadire con solennità quanto ha peraltro già detto e scritto in molte occasioni. Ha affermato con enfasi quanto speciale sia il rapporto fra cristianesimo e ebraismo, quanto «inseparabile» sia il vincolo che li unisce. Forse non tutte le incomprensioni spariranno di colpo ma sono state poste le basi per un loro superamento. Benedetto XVI ha parlato così agli ebrei ma anche, contestualmente, ai cristiani. Ha voluto dire agli uni e agli altri che anche gli ultimi detriti sopravvissuti dell`antico antigiudaismo cristiano devono essere spazzati via senza indugio dalle coscienze. Inoltre, la sua presenza in Israele oggi, nella condizione presente, vale più di mille riconoscimenti diplomatici. E` un`implicita affermazione del diritto all`esistenza dello Stato di Israele contro coloro che vorrebbero cancellarlo. Altrettanto delicato, e forse anche più delicato, è il rapporto con l`islam. E non solo a causa degli eventi che seguirono il discorso di Ratisbona. E` più delicato anche perché il Papa è impegnato in una assai difficile e complessa operazione che investe, al tempo stesso, la sfera religiosa e quella mondana. Una operazione complessa che nasce dal riconoscimento, più volte ribadito da Benedetto XVI, che il rapporto fra il cristianesimo e l`islam è di natura diversa da quello che lega il cristianesimo e l`ebraismo. Quella relazione speciale che c`è, e va riconosciuta, fra cristianesimo ed ebraismo, non c`è, non ci può essere, fra cristianesimo e islam. Ciò che il Papa sta cercando di fare (un aspetto che era rimasto non chiarito, irrisolto, all`epoca del pontificato di Giovanni Paolo II, e anche in occasione del viaggio che quel Papa fece in Terra santa) è di togliere ogni ambiguità al dialogo con il mondo musulmano, in modo da renderlo davvero proficuo sgombrando il campo dai malintesi. Ciò che il Papa vuol fare è di chiarire che fra cristianesimo e islam non ci può essere dialogo religioso (le due fedi sono, su questo terreno, inconciliabili) ma ci deve essere invece, fra cristiani e musulmani, un incontro inter-culturale e civile (un dialogo che potremmo anche definire laico). Anche per ribadire questo il Pontefice è rimasto in meditazione ma non ha pregato durante la sua visita alla moschea Hussein. E` un modo, l`unico modo, per spazzare via equivoci e ipocrisie rendendo possibile il rispetto reciproco e un dialogo forse foriero di buone conseguenze per le persone, cristiani e musulmani, coinvolte. In Giordania, per lo meno, il senso della presenza del Papa sembra essere stato compreso dagli islamici che lo hanno accolto. Così come sono state comprese le parole che il Papa ha dedicato alla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi. Benedetto XVI, naturalmente, è stato attento a non mettere a carico del solo mondo islamico (oltre a tutto, ciò non sarebbe stato nemmeno veritiero) la tentazione e la pratica della violenza. Ma è certo che le sue parole sulla violenza (così come quelle rivolte ai cristiani del Medio Oriente sul ruolo delle donne) rappresentano una sponda che il capo della cristianità ha offerto a quella parte del mondo islamico che patisce la violenza dei fondamentalisti ancor più di quanto la patiscano gli occidentali. La presenza del Papa, e i suoi atti e le sue parole, sono assai dispiaciute ai fondamentalisti, nonché a quei personaggi ambigui, di confine (il più celebre dei quali è Tariq Ramadan), che circolano e predicano in Occidente. Ed è un bene che sia così. Il viaggio del Papa può aiutare l`azione degli uomini, musulmani, ebrei o cristiani, alla ricerca di una pacifica convivenza proprio perché ricorda a tutti quanta mistificazione ci sia nell`uso a scopi politici della religione e nella violenza che quell`uso porta sempre con sé.

anticlericale
20-05-09, 00:59
Perchè dobbiamo dire grazie allo straniero che è tra noi
• da La Repubblica del 11 maggio 2009, pag. 1

di Dionigi Tettamanzi

Mi verrebbe d´iniziare con l´antica citazione biblica: «Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d´Egitto» (Deuteronomio 10,19). Come a dire, che il fenomeno migratorio, sia pure in modalità e intensità diverse, accompagna sempre la storia dei popoli. E che esso deve suscitare, come prima e più immediata forma di solidarietà, la condivisione obiettiva di una medesima situazione.
(...) Ma qual è la situazione da noi oggi, nelle nostre città e nei nostri paesi? Potrei rispondere in termini quanto mai sintetici dicendo, anzitutto, che troppe volte e con troppa insistenza negli ultimi tempi si è pensato agli stranieri soltanto come a una minaccia per la nostra sicurezza, per il nostro benessere. Con l´immediata conseguenza che il peso dei pregiudizi e degli stereotipi hanno impedito un dialogo autentico con queste persone, finendo per causare spesso il loro isolamento, relegandole così in condizioni che hanno provocato e provocano illegalità e fenomeni di delinquenza. Ma la realtà presenta anche un´altra faccia: noncuranti delle tante e, troppe, eccessive polemiche, molte persone – in modo silenzioso e nel nome della propria fede e di un alto senso umanitario – hanno operato e continuano ad operare per assistere questi "nuovi venuti " nei loro bisogni elementari: il cibo, un riparo o, degli indumenti, la cura dei più piccoli. In concreto, penso alla Caritas e alle sue molteplici emanazioni, alla "Casa della Carità " in Milano, a quegli interventi delle amministrazioni locali che hanno saputo distinguersi per intelligenza, umanità e creatività. Penso al "buon cuore" anche di tanti semplici cittadini e ai loro piccoli ma sinceri gesti di aiuto. Siamo così di fronte a una solidarietà in atto, che si fa "dialogo" concreto: un dialogo forse ancora troppo flebile – e per questo da incoraggiare e da sostenere – ma che dice il riconoscimento della comune condizione umana cui tutti, italiani e stranieri di qualsiasi etnia, apparteniamo. Cade qui una riflessione elementare, la cui forza razionale invincibile conduce all´adesione, anche se poi la prassi, purtroppo, può divenirne una smentita. Ci sono così tante "etnie" e "popoli" diversi, ma tutte le etnie hanno la loro radice e il loro sviluppo nell´unica etnia umana, così come tutti i popoli si ritrovano all´interno del tessuto vivo e unitario dell´unica famiglia umana.
(...) Troviamo qui l´approccio culturale nuovo che deve caratterizzare la nostra valutazione e il nostro comportamento – certo nel segno della solidarietà ora affermata – nei riguardi dei migranti. Lo indicavo così nel Discorso alla Città per la Vigilia di sant´Ambrogio 2008: «Occorre, con una visione complessiva del fenomeno, guardare agli immigrati non solo come individui, più o meno bisognosi, o come categorie oggetto di giudizi negativi inappellabili, ma innanzitutto come persone, e dunque portatori di diritti e doveri: diritti che esigono il nostro rispetto e doveri verso la nuova comunità da loro scelta che devono essere responsabilmente da essi assunti. La coniugazione dei diritti e dei doveri farà sì che essi non restino ai margini, non si chiudano nei ghetti, ma – positivamente – portino il loro contributo al futuro della città secondo le loro forze e con l´originalità della propria identità».
Riprendendo ora la riflessione generale, vorrei riproporre qualche spunto nel segno di una concretezza quotidiana e con un riferimento più specifico alle due realtà della famiglia del lavoro. Il primo passo da compiere dovrebbe condurci a superare una paura: quella che ci impedisce di riconoscere in pienezza l´uguale dignità sul lavoro degli immigrati. In realtà, per non pochi di noi essi sono visti come una minaccia, non solo perché considerati come uomini e donne che disturbano la tranquillità del nostro quieto vivere e del nostro paese, ma anche perché a noi "rubano" il lavoro. E se invece vengono accolti, rischiano di essere trattati come una forza lavoro a buon mercato, in particolare per quelle attività che noi ci rifiutiamo di compiere perché ritenute troppo faticose o poco dignitose. Ma, anche in mezzo a difficoltà e incomprensioni, diverse forze sociali danno prova di solidarietà attiva con i migranti, creando nuove forme di accoglienza e di inclusione sociale, a cominciare dal lavoro. Si tratta di una testimonianza cristiana e civile forte in un contesto di fin troppo facile contrapposizione. Una testimonianza non astratta e fuori della storia, ma in grado di avviare una integrazione all´insegna della solidarietà e della legalità, che diventa dono per tutti e risposta non secondaria alla domanda di sicurezza legittimamente posta da città spaventate e non poco preoccupate, anche per i segnali sconfortanti che vengono dalla cronaca quotidiana. Una testimonianza che deve interpellare tutti e ciascuno.
(....) Non è spontaneo per nessuno in queste occasioni rifarsi e ispirarsi allo spirito più radicale del Vangelo e c´è per tutti il rischio di chiudersi in una eccessiva preoccupazione di se stessi, che ci fa scoprire sovente la nostra più grande miseria morale. È importante allora acquisire innanzitutto una reale conoscenza della situazione e delle persone, nelle loro qualità positive, nei loro limiti e nelle loro differenze. Solo così riscopriremo gli aspetti positivi della loro nuova presenza, le risorse culturali e religiose di cui sono portatori, la loro capacità di essere protagonisti in diversi ambiti, non appena offriamo loro l´opportunità di farlo.
(..) È onesto – ed è bello – riconoscere l´apporto che tanti immigrati danno alla vita delle nostre città e, in termini certo più ristretti ma quanto mai concreti ed efficaci, alla vita delle nostre famiglie. Tanti – in assoluta prevalenza donne – appena giunti in Italia da paesi stranieri si fanno carico – nelle case degli italiani d´origine – dei servizi della casa, della cura dei bambini, dell´assistenza agli anziani e malati. Ed è con spirito di ammirazione e di gratitudine che dobbiamo riconoscere che queste stesse donne – le chiamiamo "badanti" – con i loro figli sono le prime persone che pagano il costo di una separazione forzata, dell´esclusione dai diritti, della privazione per se stesse e per i propri familiari. Di conseguenza, come non chiedere che – insieme ai vantaggi che vengono a noi dalla loro presenza e attività – si giunga presto a riconoscere i loro giusti diritti e a migliorare le loro condizioni di lavoro?

anticlericale
20-05-09, 00:59
La mediazione di Benedetto
• da La Stampa del 11 maggio 2009, pag. 1

di Abraham B. Yehoshua

E’ la terza volta che un Pontefice visita Israele. Questa visita però non potrà assomigliare a quella di dieci anni fa di Giovanni Paolo II, un Papa amato da tutti, anche nello Stato ebraico, per le sue vicende personali durante la Seconda guerra mondiale, per il contributo spirituale al movimento polacco Solidarnosc e per la sua personalità che irradiava umanità. Papa Benedetto XVI irradia altro. In primo luogo incarna la figura di un teologo, di un intellettuale che talvolta, molto poco politicamente, palesa coraggio e onestà ma talaltra cade in malintesi storico-politici come nel caso della revoca della scomunica al vescovo negazionista.
Non sono ovviamente un esperto dei meandri della politica vaticana, ma se mi venisse chiesto quale messaggio mi aspetti dalla visita di Benedetto XVI in Israele, al di là delle esternazioni generiche che ogni leader fa in merito alle speranze di pace, alla condanna della violenza e alla solidarietà verso i poveri e i sofferenti, elencherei almeno tre punti.
Primo. Da un Papa di origini tedesche mi aspetterei che durante la visita al memoriale della Shoah «Yad Vashem» a Gerusalemme si esprimesse in maniera ferma e significativa sulla debolezza morale e il tradimento teologico della Chiesa cattolica e dei cristiani in genere di fronte al fenomeno del nazismo e del fascismo in Europa, e non solo in relazione al genocidio degli ebrei. Anche se non si fossero accaniti contro gli ebrei, Hitler e il nazismo, nel pensiero e nell’azione, erano una sorta di incarnazione dell’Anticristo e i cristiani, ovunque nel mondo, e di certo la Chiesa cattolica in tutti i suoi substrati e sotto la guida del Pontefice, avrebbero dovuto combatterli con tutte le loro forze. Non ho dubbi che se Gesù fosse vissuto nella Germania degli Anni 30 sarebbe stato il più strenuo oppositore del nazismo. E il fatto che i cristiani tedeschi e del mondo intero non abbiano preso una netta posizione contro questo fenomeno è in primo luogo un segno di debolezza e di fallimento teologico, non solo morale. A mio parere sono passati abbastanza anni da allora e la Chiesa è sufficientemente sicura di sé perché un Papa «teologico» quale Ratzinger si esprima su questo argomento nel luogo più appropriato per farlo, il memoriale Yad Vashem di Gerusalemme.
Secondo. Vorrei che la visita del Papa rafforzasse non solo su un piano umano ma anche teologico la posizione in Terra Santa degli arabi cristiani, i quali, indipendentemente dalla comunità o etnia di appartenenza, si ritrovano negli ultimi anni schiacciati tra l’integralismo musulmano e quello ebraico e scelgono purtroppo spesso di emigrare verso le nazioni europee o gli Stati Uniti. I palestinesi cristiani non si sono mostrati meno patrioti dei loro fratelli musulmani. Per anni sono stati a capo del movimento nazionale palestinese e lo hanno rappresentato anche al parlamento israeliano con fedeltà e saggio pragmatismo. I cristiani vivevano in Terra Santa già molti anni prima della conquista araba musulmana ed è dunque molto importante, anche per gli israeliani, che lo status di questa comunità venga riaffermato, sia in Israele sia nei territori dell’Autorità palestinese. I palestinesi di fede cristiana rappresentano in genere il settore più progredito e liberale di questo popolo, e non possiamo permettere, né a musulmani né a ebrei estremisti, di limitare la loro libertà d’azione. Non è possibile comprendere l’essenza dell’ebraismo senza capire anche il principio teologico alla base del distacco del cristianesimo da esso. Ebraismo e cristianesimo sono religioni sorelle che, benché per secoli antagoniste, hanno esercitato una profonda influenza l’una sull’altra. La presenza di cristiani all’interno dello Stato ebraico è dunque importante, a mio vedere, non solo per il cristianesimo ma anche per l’ebraismo stesso.
Terzo. L’ultimo punto attiene ai luoghi sacri di Gerusalemme. Non vi sarà pace tra israeliani e palestinesi senza che questa città torni a essere divisa, eppure la città vecchia, racchiusa entro le mura e con un’alta concentrazione di luoghi sacri all’ebraismo, all’Islam e alla cristianità, non potrà mai essere ripartita in zone sovrane. I luoghi sacri sono infatti contigui gli uni agli altri e l’imposizione di confini politici trasformerebbe quest’area di nemmeno un chilometro quadrato in un conglomerato di check point e di posti di blocco. L’unica soluzione sarebbe dunque una «vaticanizzazione» della città vecchia, ovvero l’abrogazione di ogni governo nazionale e la costituzione di un’autorità comune alle tre religioni. I cristiani dovrebbero mostrarsi più attivi e partecipi nel pretendere una soluzione in questo senso, impedendo a palestinesi e israeliani di accapigliarsi vanamente per ogni pietra e vicolo. Su questo punto il Papa potrebbe non solo esprimersi con chiarezza ma anche proporre l’esperienza e il modello vaticano al fine di convincere le due parti (soprattutto quella israeliana) a muoversi in questa direzione. È vero che il Papa è il rappresentante soltanto dei cattolici, ma in merito a questo problema potrebbe parlare a nome di tutti i cristiani del mondo.
Questo è ciò che mi attendo dalla visita di Benedetto XVI, perché rimanga impressa nella coscienza collettiva e non venga dimenticata a breve come quella di molti altri leader che vanno e vengono in questa regione in un incessante viavai.

anticlericale
20-05-09, 01:00
"La Stampa", 11 Maggio 2009, pag. 11

5 domande a Barbara Serra, vaticanista di Al Jazeera

«Ma per gli arabi è filo-israeliano»

Barbara Serra, conduttrice e vaticanista del canale internazionale di Al Jazeera, come viene giudicata la visita papale dal mondo islamico?
«I paesi musulmani sono più religiosi di quelli europei, quindi attribuiscono al Papa un’influenza superiore a quella che effettivamente ha. Da queste parti politica e religione sono indivisibili, perciò non hanno molto effetto i tentativi del Vaticano di presentare il viaggio in Terra Santa esclusivamente come un pellegrinaggio spirituale. Per questo i toni sfumati dei discorsi finora pronunciati dal Pontefice suscitano forti perplessità. E l’assenza di riferimenti all’occupazione dei Territori palestinesi è considerata un sostegno a Israele».
Perché?
«Il Papa è identificato con quell’Occidente dal quale l’Islam si sente attaccato. Sabato il Patriarca cattolico greco Melkita ha fatto un esplicito riferimento all’ingiustizia dell’occupazione. I Paesi musulmani si aspettano che anche Benedetto XVI menzioni espressamente la questione. Più che dai riferimenti alle comuni radici di fede, come ha fatto per gli ebrei sul Monte Nebo, agli occhi dell’Islam il successo o meno della visita papale dipende da una parola chiara sui 1300 morti a Gaza e sulla situazione in cui si trovano i palestinesi».
Quanto pesa il discorso anti-Maometto di Ratisbona?
«L’opinione pubblica islamica si è rassegnata a non avere una dichiarazione di scuse da parte del Pontefice, ma non si capacita del perché. Attende però almeno che sul piano geo-politico la sua presenza qui non si risolva in un aiuto per Israele». \

anticlericale
20-05-09, 01:00
La sana religione
• da La Stampa del 12 maggio 2009, pag. 1

di Vittorio Emanuele Parsi

La prima parte del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terrasanta, quella più specificamente incentrata sui rapporti con l’islam, si è conclusa come meglio non sarebbe stato possibile. Accolto da un re, Abdallah di Giordania, che ha legato il destino politico suo personale, quello della dinastia e quello del Paese alla scommessa che sia possibile sconfiggere dall’interno le derive radicali così insistenti nel mondo arabo, il Papa si è mosso con prudenza e sagacia, smentendo sia quelli che lo avrebbero voluto protagonista di un viaggio più politico (si veda l’intervista concessa dal solito ambiguo Tarik Ramadan alla Stampa domenica), sia chi lo aveva dipinto come una sorta di «augusto gaffeur», interrogandosi su quante «nuove Ratisbona» avrebbero potuto sorgere dai 32 discorsi previsti per il Papa (così l’Herald Tribune di venerdì scorso, in un articolo forse un po’ troppo disincantato). Tutto bene, quindi, almeno per ora.
Al di là dei suoi inevitabili significati anche politici, nel senso nobile del termine, quello del pontefice romano è innanzitutto il viaggio di un illustre pellegrino nei luoghi che, secondo la tradizione cristiana, furono testimoni di gran parte dell’avventura terrena di Gesù. Non bisognerebbe mai dimenticarlo.

E Benedetto XVI, lo ha voluto ribadire, ancora sull’aereo che lo conduceva ad Amman, ricordando che si muoveva nella sua veste di «leader spirituale di una grande religione e non in quella di capo politico». Il concetto è a dir poco cristallino e, condivisibile non solo dai fedeli cattolici o dai credenti in generale, ma anche da chi, laicamente, rispetta il ruolo che le religioni possono liberamente svolgere proprio grazie alla netta separazione tra religione e politica che ha forgiato la modernità.
Ciò che immediatamente salta all’occhio, tanto più sullo sfondo del tormentato Levante, è il destino peculiare (e positivo) che il cristianesimo, anche nella sua versione cattolica, ha avuto in Occidente. È grazie al secolare processo di laicizzazione e secolarizzazione che la società occidentale ha prodotto e conosciuto, e che ha consentito anche la trasformazione dei credo religiosi storicamente più diffusi in Occidente, che, oggi, la massima autorità spirituale del cattolicesimo può essere accolta come amica in un Levante dove l’Islam è di gran lunga dominante. Inutile sottolineare come l’incandescente situazione del Medio Oriente veda uno scenario nel quale, invece, le speranze che laicizzazione e secolarizzazione progrediscano sono ormai pie illusioni. Dal Libano all’Iran, dall’Iraq all’Egitto e, sia pure in forme molto diverse, allo stesso Israele e alla Turchia, la politicizzazione della religione e la deriva religiosa del discorso politico sembrano semmai essere la nuova tendenza. Al punto che suonano tutt’altro che convenzionali le parole pronunciate sabato da Ratzinger di fronte alle autorità religiose e culturali del regno ascemita: è «la manipolazione ideologica della religione per scopi politici il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e anche delle violenze nella società».
Il corollario di queste affermazioni è che quando la religione è impropriamente utilizzata come strumento di lotta politica essa si trasforma: il suo messaggio intimamente pacifico viene sostituito da un simulacro dal valore spirituale molto più basso, ma dal potenziale devastante. La potremmo definire la «legge di Gresham applicata alla religione»: così come, dove circolano due mezzi di pagamento di valore intrinseco diverso (oro e argento), la moneta cattiva (cioè quella di bassa lega) scaccia quella buona, altrettanto si potrebbe dire accada dove circolano due proposte religiose dal valore intrinseco differente (una capace di non prestarsi a un uso improprio e l’altra politicizzata). Alla fine, il rischio è che la religione piegata ad uso politico prevalga su quella autenticamente intesa. Ovvero che il cattivo uso scacci il buon uso poiché, detto più semplicemente, quando «la si butta in politica», la «cattiva» religione scaccia quella «buona».
Nel Levante ciò appare particolarmente evidente. E non riguarda questa o quella fede, per i propri contenuti specifici. Ma piuttosto investe tutte le religioni in quelle società dove i processi di laicizzazione e di secolarizzazione sono falliti, si sono interrotti o non hanno mai davvero preso piede. Anche in Occidente del resto, in secoli bui, il cristianesimo rischiò di «snaturarsi» e «corrompersi», perché alcuni tentarono di porlo al «servizio della politica». Ma quel rischio venne progressivamente rintuzzato e tanto la religione quanto la società furono poste al sicuro da ciò che altrimenti avrebbe minacciato la libertà di entrambe.
Un’ultima notazione. In un mondo in cui è diffuso l’impiego della religione come strumento di mobilitazione politica, i moderati e illuminati come re Abdallah rischiano di avere vita difficile. Per dirla con Schumpeter, i radicali e gli estremisti sembrano infatti essere imprenditori politici più «appropriati», una volta che si consenta un uso politico della religione.

anticlericale
20-05-09, 01:00
NOVARA/CROCIFISSO IN AULA CONSILIARE/ PISANO (LISTA BONINO/PANNELLA) E SAVINO:

Dopo l’ approvazione della mozione, proposta dalla Lega e votata da tutto il centro destra, che obbliga all’esposizione del crocefisso nell’aula consiliare del Municipio di Novara, Nathalie Pisano (candidata alle Europee nella lista Bonino-Pannella ) e Michele Savino (coordinatore provinciale Associazione Radicale Adelaide Aglietta e direzione regionale Giovani Democratici) hanno dichiarato:

“La mozione approvata ieri dal Consiglio Comunale di Novara non è solo il solito attacco alla laicità delle istituzioni ma l’ennesima, bieca strumentalizzazione di un simbolo religioso a favore di uno sfrontato marketing elettorale. Dopo gli attacchi del sindaco Giordano alla Caritas , imputata di favorire l’immigrazione clandestina per aver aiutato qualche decina di extracomunitari irregolari, il centrodestra cerca di recuperare il voto cattolico.

Ci stupisce altresì l’atteggiamento dei consiglieri del centro sinistra che hanno deciso di non partecipare alla votazione. Pare evidente che questa continua politica del “non prendere posizione” risulti non solo poco coraggiosa ma impedisca la realizzazione delle riforme necessarie per lo sviluppo laico del Paese.

Ogni giorno dobbiamo prender atto dei colpi inflitti alla laicità dello Stato, ormai messa in serio pericolo dalla politica condotta dal centro destra. Serve un immediato cambio di rotta per divenire lo Stato progressista e riformatore che tutti ci auguriamo.”

Novara, 12 Maggio 2009

“LA MOZIONE DELLA LEGA È L’ ENNESIMA STRUMENTALIZZAZIONE DI UN SIMBOLO RELIGIOSO PER FINI ELETTORALI.”

anticlericale
20-05-09, 01:00
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 14 MAGGIO 2009
Pagina 43 - Cronaca

Roma, un "conclave" per discutere di solidarietà e di vocazioni ma anche di soldi I religiosi vogliono gestire direttamente i 200 milioni che ricevono dai fedeli
Offerte, lasciti e donazioni: le missioni si ribellano al Vaticano
I lavori a porte chiuse. Sabato la decisione. E potrebbero esserci sorprese.
Dal 2005, per scelta di papa Wojtyla, è Roma che decide la destinazione dei fondi

ORAZIO LA ROCCA

città del vaticano

Missionari in «conclave» da lunedì scorso a Roma per discutere di solidarietà, vocazioni, spiritualità, ma soprattutto di soldi. Un incontro riservatissimo e delicato -, durante il quale, tra i 150 delegati che intervengono ai lavori, un nutrito gruppo di religiosi tenterà di far approvare dall´assemblea una norma con cui svincolare dal diretto controllo del Vaticano gli aiuti (offerte, lasciti, donazioni) che i fedeli destinano alle missioni. I lavori si tengono a porte chiuse in una Casa di esercizi spirituali dei Salesiani alla periferia romana, oltre il Raccordo Anulare. E dureranno fino a sabato prossimo, giorno della votazione finale. All´ordine del giorno, il Rapporto 2007 sulle offerte ed i sussidi della Pontificia Opere Missionarie (Pom), l´organismo della Congregazione vaticana per l´Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide) che gestisce i proventi delle offerte della Giornata delle missioni che si celebra ogni anno a metà ottobre. Un fiume di soldi che - stando al Rapporto 2007 - ha superato oltre 200 milioni di dollari Usa. «A questa cifra vanno aggiunti anche i proventi non contabilizzati ufficialmente perché legati ai lasciti riservati e alle donazioni anonime», puntualizza un delegato missionario aderente al cartello dei religiosi riformisti. Quasi un «partito» anti Curia e anti Ior - l´Istituto per le opere di Religione, la banca vaticana nelle cui casse transitano i 200 milioni di dollari Usa - che tenterà di «liberarsi» dalla supervisione della Santa Sede nella distribuzione delle offerte secondo quanto ha stabilito la riforma dello Statuto delle Pontificie Opere Missionarie varato nel 2005, pochi mesi prima della morte di Giovanni Paolo II.
Ma non sarà facile. Non a caso il vescovo Piergiuseppe Vacchelli, presidente delle Pontificie Opere Missionarie, nella presentazione del Rapporto si limita a ricordare come gli aiuti dei fedeli servano a sostenere «quella vasta gamma delle attività di evangelizzazione legata alla predicazione del Vangelo, alla formazione di preti, seminaristi, religiosi, laici, e alla difesa e alla promozione umana dei più deboli». Una «cooperazione finanziaria fatta dalle Chiese locali di tutto il mondo, anche le più povere, in comunione tra loro» e in sintonia con la Santa Sede e le direttive papali. Sabato, però, potrebbero esserci delle sorprese. Nel mirino di una parte dei delegati la norma inserita nella riforma dello Statuto del 2005 che all´articolo 35 prevede che tutti i bilanci ed i programmi delle Pom siano sottoposti all´approvazione del cardinale prefetto di Propaganda Fide. Quello attuale è l´indiano Ivan Dias. Una norma che ha, di fatto, investito il prefetto di Propaganda di un potere finanziario enorme in grado di poter influenzare le attività di tutto il movimento missionario (753.400 religiose e 55.107 religiosi), ma anche degli 80 mila seminaristi distribuiti in circa 1000 seminari e migliaia di progetti di solidarietà per assistere circa 20 milioni di bambini (tra cui 6000 anche in Italia) dei Paesi più poveri curati dalla Pontificia Opera dell´Infanzia Missionaria.

anticlericale
20-05-09, 01:01
"La Repubblica", DOMENICA, 17 MAGGIO 2009
Pagina 12 - Cronaca

L´Aquila, il sindaco attacca: ci hanno espropriato la ricostruzione
Berlusconi: il summit in Abruzzo per ribadire le nostre radici cristiane

ROMA - L´Abruzzo «è una terra bellissima» dove il passato «ha lasciato il segno» e infatti «il nostro filosofo Croce ha detto che in Italia non possiamo non dirci cristiani. Nei 49 comuni toccati dal sisma ci sono più di 500 chiese, ogni duecento o trecento metri si vede un segno che testimonia la nostra civiltà cristiana». Ecco uno dei tanti motivi, ha spiegato Berlusconi, durante una conferenza stampa a Mosca, per cui il governo ha deciso di spostare la sede del G8 dalla Maddalena a L´Aquila. Tenere il G8 in un luogo come l´Abruzzo, è un modo per dare un «riconoscimento chiaro delle nostre origini e della nostra comune civiltà cristiana», in un momento in cui «ci sono dei rapporti, che noi dobbiamo cercare di migliorare, fra il mondo cristiano e quello musulmano». Intanto è polemica sulla ricostruzione a L´Aquila. «Sono molto colpito, ed amareggiato, da un Parlamento che vota compatto il federalismo e poi affida ad un commissario la ricostruzione dell´Aquila», ha detto il sindaco Massimo Cialente commentando anche la levata di scudi contro gli espropri: «Sono scelte non fatte da noi, come Comune abbiamo potuto dare solo delle indicazioni: rispettare la fisionomia della città. C´è un decreto ed è già operativo».

anticlericale
20-05-09, 01:01
Ma il Papa cerca il dialogo
• da La Stampa del 18 maggio 2009, pag. 1

di Giacomo Galeazzi

Mentre a Notre Dame i cattolici contestano in piazza l’«abortista» Barack Obama, a Roma il Vaticano detta la linea del silenzio. E intanto tesse la tela del rinnovato dialogo con la Casa Bianca.
E’ il Papa in persona a calibrare la strategia: collaboriamo con il presidente americano in politica estera, prendiamo le distanze dal finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, sull’obiezione di coscienza dei medici per l’eutanasia e la legislazione abortista. Benedetto XVI, ricevendo nelle ultime settimane i superiori della Segreteria di Stato, ha espresso interesse verso l’operato del nuovo presidente Usa e il desiderio di conoscerlo personalmente.
L’«ostpolitik» pontificia verso l’Amministrazione Usa non cancella i rilievi critici sulla bioetica, ma «punta su ciò che unisce più che su ciò che divide», evidenzia il cardinale Achille Silvestrini, ex ministro degli Esteri: «Per ora su Medio Oriente e distensione con l’Islam, il Papa e Obama fanno parallelamente discorsi analoghi. Il punto di contatto potrà avvenire sulle soluzioni concrete». Ai suoi interlocutori il Pontefice spiega che «pensa di poter collaborare bene con Obama» e nei Sacri Palazzi si sa che Benedetto XVI è interessato alla visita di luglio in Italia del presidente Usa per il G8, perché ritiene che ci sia la possibilità di una piattaforma di contatto a partire dalla mano tesa al mondo arabo e all’Iran. «La sua politica estera, l’idea di pacificazione e disarmo corrispondono a quanto pensiamo noi, quindi possiamo trovare punti di contatto su molti temi», ha argomentato nei giorni del viaggio in Medio Oriente il Papa coi suoi collaboratori.
«In politica estera ci sono importanti consonanze, come la proposta dei due Stati per palestinesi e israeliani nella comune speranza di passi avanti verso la pace - precisa il portavoce papale, padre Federico Lombardi -. Sulle posizioni etiche interne, come testimoniato dall’episcopato Usa, restano divergenze. La possibilità di un incontro a luglio esiste, ma non c’è ancora un’agenda fissata». Per arrivare a un’udienza sono in corso trattative tra le diplomazie. Ora «soprattutto per la Terra Santa è più agevole una convergenza con la Santa Sede, perché Obama è meno sbilanciato a favore di Israele rispetto a Bush, responsabile del fallimento in Iraq - sottolinea il teologo Gianni Gennari -. A parte qualche attacco grossolano di singoli vescovi, toni, personalità, immagine nell’opinione pubblica mondiale favoriscono una prospettiva geopolitica nuova della Santa Sede verso la Casa Bianca».
Non a caso all’università Notre Dame è stata frenata, nelle proteste anti-Obama, la «teocon» Mary Ann Glendon, ex ambasciatrice di Bush in Vaticano e presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali. Intanto alla Comunità di Sant’Egidio il governatore del New Mexico, Bill Richardson, ha appena proclamato che «le relazioni con il Vaticano saranno migliori dell’era Bush, perché ora gli Usa riconoscono l’esistenza di una comunità internazionale, vogliono aiutare il Terzo mondo, combattere la povertà, far cessare i conflitti. Proprio come il Papa».
Anche sulla bioetica la Curia ha apprezzato il fatto che Obama abbia imposto paletti alla ricerca con fondi federali, limitandola agli embrioni in esubero delle cliniche della fertilità donati da genitori che non intendono usarli per avere figli e ha bloccato metodi sperimentali come la tecnica della partenogenesi, in cui gli embrioni si ricavano dagli ovuli. Da settimane l’«Osservatore romano» elogia Obama con continue citazioni («è dai valori che dipende la nostra possibilità di successo») e riconoscimenti («sulla bioetica non è così radicale ed è meglio delle attese, le nuove linee-guida non consentono di creare nuovi embrioni a scopi di ricerca o terapeutici per la clonazione o a fini riproduttivi e fondi federali potranno essere usati solo per la sperimentazione con embrioni in esubero»).
Dieci giorni fa, a lodare Obama è stata, attraverso il Nobel Joseph Stiglitz, pure l’Accademia pontificia delle Sociali: «Per risolvere la crisi economica sta compiendo scelte giuste dal punto di vista della giustizia sociale». Sfumature mutate radicalmente da quando, a metà novembre, il cardinale James Stafford, capo della Penitenzieria apostolica e uno dei tre vescovi Usa che guidano un dicastero vaticano, lo condannava come «aggressivo, distruttivo e apocalittico», accusandolo di appoggiare «una piattaforma estremista contro la vita» e paragonando l’America dei prossimi anni al «giardino del Getsemani».
Meno duri nel descrivere quasi come un «Anticristo» quello che adesso sta diventando il principale alleato del Papa sullo scacchiere planetario sono stati i vescovi americani che a marzo, attraverso il cardinale di Filadelfia, Justin Rigali, hanno bollato il sì della Casa Bianca alla ricerca sulle staminali come «una triste, tragica vittoria della politica sulla scienza e l’etica» e «un’azione moralmente sbagliata, perché incoraggia la distruzione di vite umane innocenti, trattando essere umani vulnerabili come meri prodotti da coltivare».

anticlericale
20-05-09, 01:01
Un Papa, un Rabbino e un Imam
• da La Stampa del 18 maggio 2009, pag. 37

di Enzo Bianchi

Sono rare e preziose le circostanze in cui è dato di cogliere quasi fisicamente il significato di certe parole. Il viaggio di Benedetto XVI in Israele e Giordania ci ha dato la possibilità di cogliere in pienezza la portata di uno dei titoli attribuiti al papa: «Pontefice», ideatore e costruttore di ponti. Compito non facile perché, restando nella metafora, bisogna conoscere bene il terreno sulle due sponde che si vogliono congiungere, i materiali da usare, le persone da impiegare; bisogna saper attendere e osare, costruire sostegni provvisori e rimediare a difficoltà impreviste. Tutti problemi che possono solo aumentare quando, come in Medioriente, le sponde non sono solo due ma tre e quando sono da secoli, se non in conflitto, almeno in costante attrito.
È stata proprio questa missione di «pontefice» a innervare le giornate, gli incontri, le parole e i gesti di Benedetto XVI in Terrasanta. Conoscenza dei problemi, ascolto attento delle realtà concrete, consapevolezza della difficoltà della missione uniti a una sapiente fermezza hanno fatto sì che il Papa non abbia ceduto a nessuna pressione politica e si sia mostrato in ogni momento autentico fautore di pace: l’agenda degli appuntamenti e le parole dei discorsi non erano dettate da pressioni esterne, anche perché il successore di Pietro non dimentica che, qualora alcune sue parole dispiacessero a qualcuno, restano sempre di consolazione le parole di Gesù: «Beati voi quando diranno male di voi!». Anche stavolta non sono mancate critiche e rimproveri nei suoi confronti, ma paiono debitrici soprattutto di un clima ormai instauratosi di incomprensioni e diffidenze che impedisce a molti di riconoscere la sincera volontà di pacificazione e riconciliazione che anima il Papa.
In realtà, parole forti del Papa sui dolorosi problemi che affliggono quella regione della Terra non erano certo mancate in questi anni, ma anche le parole hanno un peso diverso a seconda del luogo e del tempo in cui vengono pronunciate. Così, il «senso tragico» di un muro lo si coglie in pienezza quando ce lo si trova di fronte, costruzione che si erge plasticamente antitetica a qualsiasi ponte, a qualsiasi strada che mette in comunicazione un uomo con il proprio fratello in umanità. E se davanti al Muro occidentale il silenzio del Papa si è fatto preghiera in solidarietà con l’Israele orante di tutti i tempi, davanti al muro eretto da mani d’uomo contro altri uomini le sue parole sono state un grido di dolore.
Anche la memoria della Shoah si scolpisce indelebilmente nelle menti e nei cuori quando - come nel museo Yad Vashem - è accompagnata dalla presenza dei «nomi» che evocano le persone: «Concederò nella mia casa e dentro le mie mura - dice il Signore - un memoriale e un nome (yad vashem)... darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato» (Isaia 56,5). Lì, con un discorso di altro tono rispetto a quello del suo predecessore Giovanni Paolo II, ma con altrettanta chiarezza e parresia ha fatto memoria di un’immane tragedia inclusiva ricordando, assieme ai «sei milioni di ebrei brutalmente sterminati», tutte le vittime della storia, «da Abele il giusto» fino all’ultimo anonimo essere umano perseguitato, torturato e ucciso. Per tutti ha fatto risuonare la consolante parola della Scrittura: «Le misericordie di Dio non sono finite, né esaurite».
Ma la terra cara ai tre monoteismi è custode di una cultura millenaria che non scinde mai le parole dai gesti, dalla concretezza di un vissuto che può a sua volta essere narrato, raccontato, spiegato da una parola nuova, rivisitata e inverata dall’agire. E anche di questi gesti è stato intessuto il viaggio di Benedetto XVI, come la salita al Monte Nebo per contemplare come Mosè una terra «altra», sempre promessa e mai pienamente posseduta; o come il raccoglimento nella moschea di Amman, rispettoso di uno spazio di preghiera che non è possibile condividere ma che si può accogliere nel cuore. Anche la sosta di raccoglimento e di preghiera di fronte al Muro occidentale e a Yad Vashem sono gesti forti, ormai assunti dalla Chiesa cattolica come «luoghi» di un dialogo nella carità.
Ma il gesto che forse resterà come pietra angolare del ponte gettato in questo pellegrinaggio viene ancora una volta dall’inatteso, dalla capacità di cogliere i segni di un tempo propizio e di trasformarlo in evento che si imprime negli occhi e nel cuore. Il Papa, un rabbino e un imam che si alzano in piedi, si prendono per mano e uniscono le loro voci nell’invocazione che sale a Dio da tutta l’assemblea - «Pax, Shalom, Salam!» - dice ben di più dei confronti intellettuali sui temi religiosi, dei giusti distinguo sui pericoli del sincretismo, di ogni ragionamento sul permanere di alterità inconciliabili... Ormai «la Chiesa cattolica è impegnata in modo irreversibile sul cammino scelto dal Vaticano II per una riconciliazione autentica e duratura tra cristiani ed ebrei», così come è auspicabile che si creino «luoghi, oasi di pace e di meditazione in cui la voce di Dio possa nuovamente essere ascoltata, in cui la verità possa essere scoperta al cuore della ragione universale». Anche la necessità del dialogo interreligioso è stata riaffermata in quel tenersi per mano al canto di invocazione della pace: «Cristiani e musulmani - ha affermato il Papa - devono proclamare insieme che Dio esiste, che si può conoscerlo, che la Terra è la sua creazione». Un dialogo convinto che si spinge fino a ricercare una dimensione «trilaterale», coinvolgendo ebrei, cristiani e musulmani e che diviene decisivo per perseguire la pace e permettere a ogni persona di vivere la propria fede e a ogni comunità di credenti di testimoniare la pertinenza della fede in un mondo indifferente alla presenza di un Dio creatore e salvatore: così si impedirà anche che le differenze religiose siano strumentalizzate da integralismi sempre possibili.
Conversando con i giornalisti nel volo di ritorno, Benedetto XVI ha ribadito «l’impressione che in tutti gli ambienti - ebrei, cristiani e musulmani - ci sia una decisa volontà di dialogo interreligioso: non una collaborazione per motivi politici, ma dettata dalla fede. Credere che questo Dio ci vuole famiglia implica questo incontro del dialogo e della collaborazione come esigenza della fede stessa». Sì, il viaggio è apparso davvero come pellegrinaggio di fede incarnata nell’oggi della storia e la costruzione di ponti, il dialogo ne rimane la chiave interpretativa più feconda.

anticlericale
20-05-09, 01:02
"La Stampa", 18 Maggio 2009, pag. 2

Intervista a John Allen
“Dai tempi di Bush il rapporto si è rovesciato”

GLAUCO MAGGI
NEW YORK

Prudente, bilanciato, pronto a cogliere tutto il buono che la nuova amministrazione democratica può produrre per l’intera agenda politica del Papa. Ma attento a che l’ala radicale del fronte di Obama non passi il segno e non costringa Roma allo scontro indesiderato. E’ l’attuale atteggiamento del Papa verso Obama secondo John L. Allen, corrispondente dall’Italia per National Catholic Reporter e principale analista del Vaticano per la Cnn, il giornalista americano più addentro ai segreti d’Oltretevere.
Che giudizio è maturato in Vaticano su Obama dopo i primi cento giorni?
«Stanno cercando una linea equilibrata. Da un lato ci sono i problemi sulla vita - aborto, cellule staminali - che non possono essere nascosti. Ma gli altri temi - Medio Oriente e immigrazione, povertà e riscaldamento globale, ossia il resto della dottrina sociale della Chiesa -, sono terreni su cui ci sono possono essere convergenze con Obama e il Vaticano punta a perseguirle».
Sono anche ipotizzabili contatti diretti per strategie comuni?
«Il Vaticano è molto delicato nel dare giudizi proprio perché il prossimo G8 in Italia potrà essere l’occasione per un incontro utile tra Papa Ratzinger e Barack Obama».
Visto dall’America, il rapporto tra i cattolici di qui e il governo Usa è però molto meno amichevole: il presidente della Conferenza episcopale americana, cardinale Francis George, ha condannato l’invito a Obama di Notre Dame.
«E’ vero. E ciò rispecchia la differenza tra la cultura cattolica negli Usa, dove la questione dell’aborto è un nodo assoluto, e la sensibilità che c’è in Europa, dove la sacralità della vita non è così drammaticamente centrale come negli Usa».
Neanche in Vaticano?
«A Roma i temi della vita ovviamente pesano molto, ma rientrano in un giudizio complessivo. Certo, se Obama sarà radicale nel trattarli, il Vaticano si opporrà frontalmente. Ma se seguirà una linea più moderata e, contemporaneamente, farà bene su povertà, immigrazione e gli altri aspetti sociali che stanno a cuore al Vaticano, mi aspetto un approccio aperto verso Washington».
Il clima tra Tevere e Potomac, insomma, è disteso e positivo malgrado Notre Dame?
«Lo è. Una prova è che quando era girata voce che il Vaticano avesse posto il veto a Caroline Kennedy quale ambasciatore Usa presso la Santa Sede, il portavoce del Papa aveva negato che ci fosse alcun no. Tale è la cura nel non guastare un rapporto ritenuto interessante».
Migliore o peggiore di quello che c’era con Bush?
«L’inverso esatto. Con Bush e i repubblicani conservatori sui temi della vita c’era identità di toni e spirito, mentre su altre questioni, immigrazione povertà e guerra per esempio, le cose non andavano bene. Con Obama è il contrario. E’ la natura della politica americana: il destino del Vaticano è di avere sempre a che fare, a Washington, con partner perfetti... a metà. Con un paradosso: i progressisti cattolici americani, che sono sempre stati i più accesi critici del Vaticano romano, oggi sono più vicini al Papa che apre a Obama».

anticlericale
20-05-09, 01:02
Fini: «No a leggi orientate dalla fede» - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/politica/09_maggio_18/fini_laicita_3d382e5e-43c1-11de-bc99-00144f02aabc.shtml)

E sulla Riforma della costituzione: si può fare, ma serve equilibrio tra i poteri


Fini: «No a leggi orientate dalla fede»
Richiamo alla laicità. L'Udc: «Indegno discriminare i credenti».
Sgreccia: difesa dei valori, non dei precetti



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Fini: «Non siano tolti diritti ai migranti». Scontro tra governo e Onu (18 maggio 2009)

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ROMA - «Il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso». Lo ha detto, a Monopoli, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dialogando con gli studenti sui temi della Costituzione. Il dibattito su bioetica e testamento biologico è stato evocato durante il dibattito in cui gli studenti delle scuole della cittadina pugliese hanno posto al presidente una domanda sull’articolo 33 della Costituzione che parla di libertà per arte e scienza. Fini afferma che su certi temi in lui «il dubbio prevale sulle certezze»: «Ma è un dibattito aperto, oggi, nella nostra società e auspico che venga affrontato senza gli eccessi propagandistici di questi ultimi mesi». Nel corso della sua trasferta pugliese Fini ha anche affrontato il tema dell'immigrazione, rivendicando diritti per i migranti e spiegando che la xenofobia si sconfigge solo con l'integrazione, a partire da quella scolastica.

L'EQUILIBRIO DEI POTERI - Sempre in tema di assetto costituzionale, Fini ha parlato della possibilità di modificare la Carta nelle parti relative all'equilibrio tra i diversi poteri dello Stato. «La seconda parte della Costituzione - ha sottolineato - si può cambiare e serve un nuovo equilibrio tra esecutivo e legislativo. Il governo ha ragione quando dice che i tempi della decisione devono essere celeri; tuttavia il Parlamento, con la sua maggioranza e la sua opposizione, è l'espressione della coralità del Paese e non può essere sacrificato ma oggi le democrazie funzionano se sono rappresentative e governanti». Secondo il presidente della Camera, il punto di equilibrio si raggiunge con «un Parlamento rappresentativo e una democrazia governante». Per Fini al Parlamento spetta «l'indirizzo generale e il controllo dell'operato dell'azione di governo. La democrazia è tale se il palazzo è una casa di vetro ed è trasparente».

«ATTACCO INDEGNO» - Il riferimento alla laicità dello Stato non è però piaciuto a Luca Volontè, dell'Udc, secondo cui «Fini oggi compie il peggiore attacco laicista della storia repubblicana; la fede cristiana non dovrebbe informare il comportamento e le idee dei deputati? Siamo alla vergognosa e inaccettabile discriminazione dei credenti, come ai tempi dei totalitarismi neri del '900». «Il presidente della Camera - ha aggiunto l'esponente centrista - passa dal politically correct alla discriminazione religiosa. Fini vorrebbe favorire il dibattito e le leggi solo nel caso in cui i credenti non abbiano dato il loro contributo. È un attacco alla libertà e alla dignità della Chiesa. Un attacco indegno e insopportabile in una parola, antidemocratico». Anche il leader del partito, Pier Ferdinando Casini, è intervenuto sull'argomento: «Il Parlamento italiano non ha mai fatto leggi tenendo conto dei precetti religiosi ed il presidente Fini ha detto una cosa ovvia ma nel Parlamento c' è chi fa delle battaglie sui valori e sui principi. Per fortuna che in Parlamento c' è ancora qualcuno che fa battaglie su valori e principi che ormai non hanno diritto di cittadinanza in politica».

«PAROLE CHE STUPISCONO» - Delle parole di Fini si dice stupito Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl alla Camera e esponente dell'area cattolica del partito: «Non capisco la sua preoccupazione. La nostra Carta Costituzionale è il frutto dell'incontro delle grandi tradizioni che hanno fatto la storia del Paese. E so che tra queste, la tradizione cristiana, ispirata alla dottrina sociale della Chiesa ha giocato un ruolo di primo piano. Se Fini pensa che certi valori rappresentino dei "preconcetti religiosi" sbaglia e si pone su un piano di scontro ideologico molto lontano dalla laicità positiva da lui stesso evocata». «Non ho mai visto un uomo fare politica - ha detto ancora Lupi - se non partendo da una base valoriale. E credo che ognuno di noi, rispettando chi la pensa diversamente, abbia il diritto e il dovere di difendere ciò in cui crede. Sempre».

SOSTEGNO A FINI - Un apprezzamento alle parole di Fini («le condividiamo») arriva invece dall'Italia dei valori. «Peccato che sia una posizione isolata nel Pdl, un partito non solo autoritario, ma ormai anche confessionale - ha commentato il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi -. Sui temi etici una parte del centrodestra ha combattuto una battaglia tanto ideologica quanto irrazionale, bloccando norme che avrebbero aiutato molte persone a ridurre la propria sofferenza e la ricerca di nuove cure per le malattie genetiche. Non è la religione a condizionare il parlamento, ma l'atteggiamento di alcuni che si sentono più "crociati" che rappresentanti del popolo». E «pieno sostegno» a Fini, dall'interno della coalizione di centrodestra, arriva dal segretario del Pri Francesco Nucara: «Ancora una volta - ha detto Nucara - Gianfranco Fini difende al meglio i principi dello Stato laico e della Costituzione repubblicana».

LA REPLICA DEL VATICANO - Ma la reazione alle parole di Fini arriva anche dal Vaticano: «I temi sui quali il mondo cattolico intende portare il suo contributo sono temi non definibili come precetti religiosi; sono temi che riguardano i diritti fondamentali dell’uomo, come il diritto alla vita, il rispetto della vita, i diritti che riguardano l’unità del matrimonio e della famiglia. Non sono precetti religiosi, ma sono iscritti nella natura umana, difendibili con la ragione e iscritti anche nella Costituzione» ha precisato monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita. «I cattolici - ha aggiunto monsignor Sgreccia - non hanno mai preteso che si facessero leggi basate unicamente sui precetti religiosi, come andare a messa. Quello su cui si discute sono tutti qualificabili come diritti fondamentali della persone. Vorremmo anzi che il fatto che siano i cattolici a difenderli non facesse pensasse che per questo sono meno carichi di valore umano e che la difesa fatta dai cattolici sia di una razionalità minore. A noi la fede ci conforta nell’argomentazione razionale, non sostituisce mai la ragione umana». Per Sgreccia non vanno inoltre messe in secondo piano le questioni relative alla bioetica, quelle su cui il fronte cattolico è maggiormente impegnato: « Non vanno alzati steccati perchè i cattolici hanno tutte le carte in regole nel lanciare appelli su famiglia, contro l’eutanasia, contro la gravità dell'aborto».


18 maggio 2009

anticlericale
26-05-09, 11:46
Otto per mille, Poretti: soldi al terremoto? No, priorita' alle casse vaticane. Rivedere il diabolico meccanismo.

Roma, 20 maggio 2009


• Dichiarazione della senatrice Donatella Poretti, parlamentare Radicali - PD

Sulla scia di una iniziativa lanciata nelle scorse settimane avevamo trasformato in ordine del giorno, e quindi in atto di formale di impegno per il Governo, la volonta' di destinare la quota statale dell'otto per mille alla ricostruzione dell'Abruzzo, come gia’ previsto dalla legge.
Cio' che si chiedeva era "solo" che il Governo lo facesse sapere ai contribuenti affinche' apponessero la loro firma sulla dichiarazione dei redditi. Considerato che neppure il 40% esprime una scelta tra Stato e confessioni religiose, e che solo il 10 sceglie lo Stato, fare una campagna di informazione avrebbe permesso allo Stato di rivolgersi a quel 60% dei contribuenti. Visto che comunque l'otto per mille dell'Irpef viene sottratto interamente al gettito fiscale (1 miliardo per il 2008) e ripartito in base alle scelte espresse, una campagna per la quota statale da destinare alla ricostruzione dell'Abruzzo e al recupero dei beni culturali avrebbe consentito di recuperare un bel po' di soldi. Ma l'ironia ha voluto che il relatore e il Governo si siano espressi contro con la motivazione piu' incredibile: operazione troppo onerosa ed estranea alla materia!
False entrambe, ma le parole tradivano la vera preoccupazione: operazione onerosa, non per le casse italiane ma per le casse dello Stato vaticano e estranea alla materia dell'otto per mille, dove la quota statale e' una foglia di fico per coprire lo scandalo di uno Stato che usa i soldi dei contribuenti, anche di quelli che non vogliono, per pagare una confessione religiosa.
L'occasione e' buona per ribadire la necessita’ di rivedere complessivamente la materia. Alla Camera e' gia' depositata una pdl costituzionale di Maurizio Turco di revisione complessiva, al Senato ne depositeremo un'altra nello spirito di ridurre il danno, quindi per modificare il meccanismo diabolico delle scelte non espresse: solo chi sceglie si vedra' sottratto il suo otto per mille al gettito fiscale.

Di seguito l'odg G12 e lo stenografico della seduta di ieri 19 maggio:

Considerato che:

- il necessario e urgente sforzo economico che il Governo sta mettendo in atto per il soccorso, l’assistenza e la ricostruzione delle zone colpite dal sisma in Abruzzo;
- che la ricostruzione avverrà in tempi brevi e direttamente sotto la responsabilità della Presidenza del Consiglio;
- che tra le misure proposte per il finanziamento della ricostruzione delle zone terremotate si ipotizzano la proroga dei termini per le scadenze fiscali per il pagamento di tasse e tributi locali e nazionali, nonché la sospensione, per un certo periodo di tempo, del pagamento delle rate dei mutui, così come dei contributi previdenziali locali;

considerato inoltre
- che il gettito dell’8permille relativo al 2008 ha superato complessivamente il miliardo di euro. Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8permille del gettito IRPEF tra sette opzioni: Stato, Chiesa cattolica, Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. La scelta si compie mettendo la propria firma sul modello in corrispondenza dell’istituzione prescelta. Se non si appone alcuna firma la ripartizione avviene seguendo la percentuale delle scelte espresse;
- tra le finalità dell’utilizzo dei fondi dell'8permille della quota statale vi sono, tra le altre cose, le calamità naturali e la conservazione dei beni culturali;
- secondo gli ultimi dati ufficiali completi sulle preferenze degli italiani sono quelli relativi ai fondi incassati dallo Stato e dalle confessioni religiose nel 2004, relativi ai redditi del 2000, denunciati nel 2001, e che secondo tali dati solo il 10,28% dei contribuenti ha scelto lo Stato come destinatario dell’8permille, ma solo il 39,6% ha scelto una destinazione della propria quota dell’8per mille;
- con la legge finanziaria del 2004 si è stabilito che dalla quota devoluta allo Stato vadano sottratti 80 milioni di euro, che vengono trasferiti nelle spese ordinarie.

Impegna il Governo:

a lanciare una campagna informativa relativa alla possibilità di destinare l’8permille allo Stato per far fronte alle spese necessarie per la calamità naturale abruzzese e per la conservazione di tutti i suoi beni culturali.

Poretti, Bonino, Perduca

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PRESIDENTE. Essendo stato accolto dal Governo, l'ordine del giorno G10 non verrà posto in votazione.

Sull'ordine del giorno G12 c'è un invito al ritiro. Senatrice Poretti, lo accoglie?

PORETTI (PD). Signora Presidente, il relatore poc'anzi mi ha invitato a ritirarlo perché troppo oneroso. Mi chiedo dove sia l'onere e lo chiedo al relatore, perché se è il caso potrei anche cambiare idea. In realtà, l'ordine del giorno prefigurava come avere soldi a disposizione. Infatti, l'8 per mille dell'IRPEF - come lei mi insegna - viene comunque sottratto al gettito fiscale. Non capisco quindi la motivazione, se il relatore mi convince posso anche ritirare l'ordine del giorno.

D'ALI', relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ALI', relatore. La motivazione dell'invito al ritiro era duplice. La prima si riferiva all'onerosità, perché la campagna informativa, che farebbe contenti alcuni mezzi di comunicazione, se svolta a livello nazionale potrebbe essere estremamente onerosa. L'altra motivazione nasceva dalla convinzione che l'ordine del giorno fosse estraneo alla materia. Durante l'espressione del parere ho precisato che la collocazione della materia è più da 5 per mille che da 8 per mille. Il mio giudizio resta quindi confermato per cui permane l'invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario.

PRESIDENTE. Senatrice Poretti, insiste per la votazione dell'ordine del giorno G12?

PORETTI (PD). Signora Presidente, ringrazio il relatore per avermi dato almeno una risposta, anche se chiaramente non mi ha convinto, ma credo non abbia convinto neppure se stesso.
Lei sa benissimo, infatti, senatore D'Alì, che l'8 per mille prevede esattamente tra le destinazioni della quota statale le calamità naturali e, visto che stiamo parlando di terremoto e di conservazione dei beni culturali, mi chiedo davvero se in questo luogo le parole abbiano un senso.
Colgo comunque l'occasione per fare una dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo e per dire che, almeno io, voterò a favore di quest'ordine del giorno, cioè della possibilità per lo Stato di fare pubblicità per sollecitare quel 60 per cento degli italiani che non sceglie la destinazione del proprio 8 per mille, affinché quest'anno invece lo faccia, ricordando che tra le destinazioni dell'8 per mille della quota statale c'è, appunto, anche quella relativa alle calamità naturali.
Concludendo, mi appello al Governo affinché riveda la sua posizione ed accolga l'ordine del giorno in esame, perché temo che l'onerosità sia invece quella delle casse della Chiesa cattolica. Infatti, se non ci si vuol mettere a fare una campagna di informazione in questo senso, evidentemente è perché si decide di non mettersi in concorrenza con chi invece fa pubblicità e, soprattutto, prende la quota e la fetta più grossa, approfittando anche del meccanismo diabolico dell'8 per mille, che permette di sottrarre tale quota anche a chi non sceglie, ripartendola poi in base alle scelte di chi si è invece espresso. In questo caso, quindi, evidentemente il parere più che venire dal Governo dello Stato italiano proveniva da quello dello Stato Vaticano.
Insisto dunque per la votazione dell'ordine del giorno G12.

anticlericale
26-05-09, 11:47
La Cei: "respinti verso la fame e la morte"
• da Il Manifesto del 21 maggio 2009, pag. 6

I vescovi italiani tornano ad attaccare il governo per la politica dei respingimenti in mare adottata nei confronti dei clandestini. A farlo è stata ieri la Sir, l`agenzia di stampa della conferenza episcopale, che in un intervento a firma del presidente della Commissione Cci per i problemi sociali e il lavoro, monsignor Arrigo Miglio, ha parlato degli immigrati riportati in Libia come di persone costrette a «tornare su strade di fame e di morte che già conoscevano». Uomini, donne e bambini che, al contrario di quanto affermato nei giorni scorsi dal premier Silvio Berlusconi, sarebbero tutt`altro che criminali: «Non tutti erano bisognosi di asilo - ha proseguito monsignor Miglio - non tutti santi, ma poveri lo sono di certo»: Dalla Sir arriva poi anche una dura critica alla proposta, avanzata nelle scorse settimane dal capogruppo della Lega al consiglio comunale di Milano, Matteo Salvini, di riservare alcuni vagoni della metropolitana ai milanesi. Proposta liquidata come «un inedito apartheid da sperimentare a Milano». Male critiche non arrivano solo dal presidente della Commissione Cei per i problemi sociali. Sull`argomento interviene infatti anche io vescovo di Milano, monsignor Dionigi Tettamanzi. L`occasione è la puntata di Che tempo che fa andata in onda ieri sera. Rispondendo alle domande di Fabio Fazio, monsignor Dionigi Tettamanzi ha infatti ricordato come anche gli italiani in passato siano stati dalla parte di chi emigrava. Proprio per questo, ha aggiunto, la politica non può farsi prendere dalla paura dell`immigrazione. «Dobbiamo onorare la memoria del passato - ha detto monsignor Tettamanzi - non per essere nostalgici, ma per essere più coraggiosi nell`affrontare il futuro che ciò vedrà, penso, molto più impegnati in un confronto multi-etnico, inter-culturale, inter-religioso». Certo, ha poi proseguito Tettamanzi, quello dell`immigrazione è un fenomeno che va governato ma «sempre nel rispetto dell`inviolabile dignità di ogni persona». Intanto proprio la decisione di respingere i barconi di immigrati ha fruttato al ministro degli Interni Roberto Maroni al prima denuncia. A presentarla sono stati i parlamentari Radicali eletti nelle liste del Pd Rita Bernardini, Elisabetta Zamparutti, Donatella Poretti e Marco Perduca, che assieme agli avvocati Alessandro Gerardi e Giuseppe Rossodivita, membri dirigenti di Radicali italiani, hanno depositato un esposto presso la procura della Repubblica di Roma contro il governo italiano per il respingimento dei 227 migranti salvati in acque internazionali due settimane fa. L`esposto, hanno spiegato, «è volto a verificare la legittimità giuridica del respingimento in Libia dei profughi soccorsi in acque non territoriali, atteso che alcuni di loro erano in possesso dei requisiti per avanzare richiesta di asilo politico una volta giunti in Italia, come certificato anche dall`Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati». «Si tratta - sottolineano i radicali - di migranti che vivono in condizioni fisiche e psicologiche tremende e che il Governo italiano `riammette` in Libia sapendo il rischio che queste persone corrono una volta consegnate alle autorità libiche, ciò in aperto ed evidente contrasto con il principio di `non respingimento` previsto da numerosi trattati e convenzioni internazionali»

anticlericale
26-05-09, 11:47
"La Stampa", 22 Maggio 2009, pag. 10

il caso
Benedetto XVI si affaccia sulla piazza virtuale

Ratzinger si pente e va su Facebook
Dietrofront dopo la bocciatura di Cei e Osservatore
Il Pontefice per ora non scriverà personalmente i suoi messaggi

CITTA’ DEL VATICANO

Benedetto XVI apre la web-finestra e si affaccia sulla piazza virtuale. Il Pontefice, smarcandosi dagli altolà vaticani ai «social networks», ha lanciato ieri il suo profilo su «Facebook», la comunità telematica che raduna in una rete planetaria 200 milioni di persone. L’approdo di papa Ratzinger nel cyberspazio è l’esito di «Pope2You» (Pope to you), il piano del dicastero vaticano delle Comunicazioni sociali per avvicinare la Chiesa al linguaggio dei giovani grazie ai «new media». Un progetto «di frontiera» che apre il pontificato, oltreché a «Facebook», ad altri mondi digitali come I-phone (è stata creata una specifica applicazione per vedere il Papa sulla piattaforma iPhone e iPod touch), YouTube e Wikipedia.
«Da qui la Chiesa porterà la parola di Cristo ai giovani di tutto il pianeta, comunicando in amicizia con loro - spiega l’arcivescovo Claudio Maria Celli, ministro vaticano della Comunicazione -.Saranno disponibili notizie in tempo reale, in cinque lingue, sull’attività di Benedetto XVI, da leggere anche sul telefonino». Ed è proprio attraverso il portale «Pope2You» che da ieri si può accedere al profilo di Joseph Ratzinger su «Facebook» e sono già migliaia le richieste di amicizia. «Per ora il Pontefice non scriverà personalmente i suoi messaggi - puntualizzano in Curia -.Il suo profilo è da considerarsi piuttosto una piazza virtuale in cui trovare foto e parole del Papa e da cui inviare cartoline. Insomma un nuovo luogo, finora inesplorato per il Pontefice, dove incontrarsi, dialogare e sentirsi più vicini al suo pensiero».
Eppure le resistenze allo sbarco su «Facebook» non sono mancate. Pochi mesi fa «Second life» e i social networks furono duramente criticati sull’«Osservatore romano» dal cardinale Ennio Antonelli, ministro vaticano della Famiglia, che alla «crescita vertiginosa delle realtà in cui si propone una vita virtuale in un ambiente» attribuisce la «mercificazione delle relazioni familiari». Mette in guardia anche la Cei secondo cui la «questione dell’amicizia si gioca intorno al rapporto tra connettività e riconoscimento dell’identità». E i social network «non producono amicizia in automatico, offrono semplicemente occasioni, ma il rischio è che l’essenziale del volto venga eliminato o ridotto a inoffensivo spettacolo». Di qui il monito dei vescovi italiani a «guardarsi dalle facili scorciatoie delle false intimità esasperate nelle relazioni virtuali, e a rispettare i tempi e le forme reali dell’amicizia».
Il sì di Benedetto XVI a «Facebook» fuga ogni timore ed è stato preceduto dall’Accordo fra il Vaticano e il motore di ricerca Google. Il Papa su Youtube ha un canale personalizzato: discorsi, immagini, filmati di Benedetto XVI direttamente su Internet «affinché tutti possano averne conoscenza e fruirne senza mediazioni». Si tratta di un canale con immagini e notizie a getto continuo a cura del Centro televisivo vaticano (Ctv) e della Radio vaticana e si può reperire direttamente su Google tutti i testi dei discorsi e i documenti. Così parole, immagini e news sul Papa giungono da fonte diretta per «rispondere all’esigenza di molti fedeli di seguire «non stop» l’attività del Pontefice e della Santa Sede».
L’interesse per le potenzialità del web accomuna Joseph Ratzinger al predecessore Wojtyla, al quale si deve la prima trasmissione esclusivamente via Internet di un documento pontificio, cioè, nel 2001, l’invio nell’etere della Esortazione postsinodale «Ecclesia in Oceania». «Questo portale è l primo tentativo valido di un sito che cerca di avere un dialogo propositivo tra il Papa e i giovani», precisa Celli.

anticlericale
26-05-09, 11:47
"La Repubblica", VENERDÌ, 22 MAGGIO 2009
Pagina 41 - R2
IL PRETE PECCATORE
I casi di pedofilia in Irlanda sono l´ultima fermata della via crucis. E in Italia? Cronaca dall´ultima frontiera della Chiesa

MARIA NOVELLA DE LUCA

Raccontano di stanze buie, di violenze nelle camerate, di molestie nel confessionale. Ricordano nel dettaglio botte, sevizie, ricatti, attenzioni morbose, paura e vergogna. Anche se sono passati venti, trenta, quarant´anni. Loro, gli ex bambini, non dimenticano. Erano piccoli, adolescenti, disabili, orfani. La Chiesa apre il suo archivio più sconvolgente, per la prima volta in tutto il mondo le vittime parlano e vengono ascoltate, e si scopre che i casi di pedofilia sono migliaia e migliaia. La Chiesa americana, quella australiana, e ieri, dopo nove anni di inchiesta, la chiesa irlandese: negli enti per minori gestiti da religiosi generazioni di bambini hanno subito stupri e soprusi. Per colpa di "preti traditori", così li aveva chiamati un anno fa papa Ratzinger a Sydney, affermando che chi si macchia di queste colpe «è una vergogna per la Chiesa» e deve essere processato. Il risultato è che le storie vengono alla luce, è di pochi mesi fa la denuncia degli ex allievi dell´Istituto "Antonio Provolo" di Verona, bambine e bambini sordomuti oggi adulti di mezza età, che in sessanta hanno raccontato di essere stati «violentati e bastonati per anni», dai religiosi che li avrebbero dovuti accudire e proteggere, e che oggi nonostante le accuse sono ancora lì, in quello stesso istituto. Dal 2000 ad oggi sono almeno 60 i casi di preti condannati o in attesa di giudizio perché colpevoli di abusi sessuali. Una presa d´atto durissima per chi nella Chiesa lavora e alla dedizione agli altri ha consacrato la propria vita. Come don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele di Torino, presidente di Libera, che dice: «Ci vuole trasparenza, quanti silenzi complici ci sono stati, bisogna ripensare la formazione nei seminari, il cammino verso il sacerdozio».




Con un dolore tremendo però. «Come si fa a non sentirsi sconvolti leggendo che cosa è successo in Irlanda, è giusto cercare la verità, punire chi ha coperto gli abusi. Ma ci vuole attenzione, questa è una pagina oscura che non deve infangare la parte sana della Chiesa, anche se è necessario fermarsi, riflettere. Difendendo le vittime, ma accogliendo anche chi ha sbagliato». E don Ciotti racconta di aver seguito più di un prete accusato di pedofilia, e di averlo "accompagnato" verso il processo. Cercando di guardare quel lato oscuro, malato, che poi diventa crimine.
La Chiesa si apre e svela il lato buio. A scorrere le cronache giudiziarie i casi italiani sono decine e decine. Alcuni più noti, e a lungo coperti dalle gerarchie ecclesiastiche, come quello di don Lelio Cantini, sacerdote fiorentino ritenuto colpevole di «abusi sessuali pluriaggravati e continuati su minori», ma restato al suo posto di parroco fino al 2005, quando ormai ottantenne è stato "punito" dal Papa con la riduzione allo stato laicale. Per 10 anni, dal 1975 al 1985 aveva imposto rituali sessuali di ogni tipo a ragazzi e ragazze adolescenti che soltanto anni dopo avrebbero trovato il coraggio di denunciare.
Perché spesso accade così. Gli ex bambini devono diventare adulti per riuscire a descrivere ciò che hanno subito. A volte perché l´orrore è tale che si cerca di dimenticare, più spesso però perché non vengono creduti. C´è da osservare infatti il contesto in cui questi fatti accadono, collegi, comunità, scuole, oratori. Contesti fragili, di storie difficili. Come la Comunità Incontro di don Pierino Gelmini ad Amelia, famosa e iper-sponsonsorizzata comunità di recupero per tossicodipendenti. Nell´agosto del 2007 due ex pazienti della comunità accusano don Gelmini di averli ripetutamente molestati e abusati trai il 1999 e il 2004, quando erano ancora minorenni. «Ci portava nella stanza del camino e ci faceva quelle carezze». Gli inquirenti ritengono le accuse fondate, decine di politici si mobilitano in difesa del sacerdote, che viene però rinviato a giudizio.
La Chiesa svela il suo lato oscuro. Don Antonio Mazzi, fondatore della Comunità Exodus, parla con il dolore nella voce e con veemenza. «Leggendo il resoconto delle sevizie fatte sui bambini negli istituti gestiti da religiosi ho capito che la crisi è totale, senza ritorno, che questa Chiesa pensa soltanto ad esibire ricchezza e potere, dimenticando le scritture, profezia. Non sono pochi casi, è un orrore che va dall´America all´Australia, dall´Irlanda all´Italia: noi dobbiamo guardarci dentro, ci vuole un nuovo concilio - incalza don Mazzi - com´è possibile che centinaia di preti abbiano distrutto le vite di bambini innocenti, approfittando dei più fragili, gli organi, i disabili, che avrebbero invece dovuto proteggere. Come a Verona, nell´istituto per piccoli sordomuti...Davvero è accaduto tutto questo? E il Vaticano che fa, dov´è?». La malattia è estesa, aggredisce più lati, avanza. Ma la Chiesa ne parla, apre gli archivi, condanna. Proprio sull´Avvenire, il quotidiano della Cei, lo psichiatra Vittorino Andreoli, in una serie di riflessioni dedicate alla vita del prete, spezza il tabù, e parla dei sacerdoti pedofili. «Il sacerdote, che è uomo della sacralità, si rivolge ai bambini ma come oggetto di piacere sessuale. Il che produce l´immagine peggiore che possa venire da un prete e dà il senso proprio della degenerazione...Per questo credo che nel caso dei preti pedofili sia fondamentale poter intervenire presto, se ciò è dato; e che in ogni caso la pena sia applicata con severità. E, assieme gli sia accordata la cura...».
Certo, la reticenza c´è, ed è ancora forte, soprattutto ad uscire dalle pieghe delle istituzioni vaticane, dei propri tribunali e consegnare i preti pedofili ai tribunali dello Stato. E di questo cupo castello ancora presente di omertà e resistenze, dà conto un piccolo ma dettagliato libro dal titolo provocatorio «Lasciate che i pargoli vengano a me. Storie di preti pedofili in Italia» di Paolo Pedote. Un viaggio attraverso quindici casi di religiosi condannati per violenza sessuali. Nomi a volte poco noti, o dimenticati, se non ci fossero le vittime, piccole, spesso inascoltate, a volte addirittura messe al bando, a ricordare il lato oscuro della Chiesa. Ecco allora don Marco Gamba, giovane parroco di Chiusa San Michele (Torino), condannato a 4 anni (con un notevole sconto) per il possesso di materiale pedopornografico e per violenza sessuale aggravata su due giovani chierichetti. O don Giorgio Mazzoccato, parroco della borgata di Arpinova, a due passi da Foggia, condannato a sei anni di reclusione per aver molestato e abusato di 10 bambine e bambini dai 7 ai 12 anni, attirandoli in casa sua, dentro il confessionale, durante le gite della parrocchia. E poi don Giuseppe Rassello, don Luciano Michelotti, don Giorgio Carli, don Bruno Puleo, don Romano Dany, don Mauro Stefanoni, don Paolo Pellegrini, don Marco Cerullo. Centinai di preti, centinaia di piccole vittime. Un catalogo lungo, dettagliato, triste.

anticlericale
26-05-09, 11:47
"La Stampa", 25 Maggio 2009, pag. 7

“Va in pezzi la credibilità di un leader”

Intervista ad Alessandro Plotti

GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO

Vicende che chiamano così pesantemente in causa la vita privata di un capo di governo non possono non lederne la credibilità personale». E’ «sinceramente preoccupato» l’arcivescovo Alessandro Plotti, ex vicepresidente Cei e voce autorevole dell’episcopato nazionale che oggi si riunisce a Roma per l’annuale assemblea generale, mentre, prima di cresimare alcuni ragazzi, accetta nella sua abitazione in Vaticano di commentare la «vicenda di Casoria» e il «pericolo di una ribalta mediatica che trasformi disvalori e scelte immorali in segni di successo, esempi di un potere che può permettersi tutto, condotte alla moda».
Arcivescovo Plotti, le nuove rivelazioni sul «caso Noemi» infiammano il dibattito pubblico. Tutto questo clamore può rappresentare un problema anche per la Chiesa che finora ha trovato nel premier Berlusconi il principale alleato nelle battaglie bioetiche contro l’eutanasia e il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto?
«Ormai la vicenda che coinvolge il presidente del Consiglio è esplosa e si è complicata. Non so quanto ci sia di costruito, ma è allarmante lo stillicidio di dettagli e indiscrezioni che si aggiungono al quadro complessivo. Chi ha responsabilità e riveste un ruolo pubblico al massimo livello non può ignorare come la sua azione e il suo modo di relazionarsi agli altri abbia inevitabilmente un valore esemplare sull’opinione pubblica. Simili scandali nella vita personale inficiano la credibilità personale di un leader politico e destano allarme se, come in questo caso, l’interessato occupa un incarico istituzionale decisivo per le sorti del Paese».
Cosa la preoccupa maggiormente?
«Questo scandalo dimostra quanto si sia drammaticamente abbassato il livello di moralità pubblica. Si è clamorosamente perso il senso delle proporzioni. E’ come se la gente si fosse impermeabilizzata a derive etiche che dovrebbero innescare una reazione morale, un sussulto etico. E così finisce per diventare normale ciò che normale non è. Anzi diventa un merito agli occhi dei più mostrare furbizia e disinteresse per i valori».
Avvenire ha già criticato Berlusconi per l’assenza di sobrietà e, a quanto pare, Famiglia Cristiana si appresta a fare lo stesso. Perché anche lei lo giudica un esempio contrario al Vangelo?
«Il modello cristiano è opposto ai fatti che emergono in questo scandalo. Quello evangelico è un paradigma diversissimo, un esempio di austerità, sobrietà e vita improntata al controllo di sé, al rispetto degli altri, al messaggio che si trasmette con il proprio modo di agire. Altrimenti la religione diventa solo un’etichetta, un “instrumentum regni”, una maschera civile, un paravento pubblico utile per nascondere opportunisticamente le proprie miserie e mancanze private. E così anche le giuste battaglie sui temi della vita e della salvaguardia della famiglia rischiano di essere svilite e addirittura ribaltate».
Con quali effetti sui temi difesi dalla Chiesa?
«Molto negativi. L’effetto è che viene svilito tutto. Lo stigmatizza spesso il Papa quando descrive gli effetti pubblici del relativismo morale che mina la società attuale. Leggendo e guardando in tv queste storie poco edificanti, la gente crede che si può decidere tutto ciò che si vuole e si può fare di tutto prescindendo dai valori oggettivi. E persino le scelte personali più impresentabili vengono ribaltate e trovano ingiustificata cittadinanza presso l’opinione pubblica. Perciò chi è più furbo e privo di valori non deve più nascondersi, ma anzi assume i connotati del vincente, diventa un modello positivo per i più esposti, ossia i giovani, ai cui occhi inesperti questo complessivo scadimento morale si configura come un boomerang».
E se fosse tutta una montatura contro il presidente del Consiglio?
«Io francamente me lo auguro, perché se dai leader politici arrivano simili modelli negativi si travisano completamente le beatitudini del Vangelo. Non più quindi la mitezza, l’umiltà, la purezza del cuore, cioè le beatitudini del cielo, bensì quelle negative e fuorvianti del mondo. E così i disvalori diventano gli unici che i giovani si vedono proposti su larga scala. Una distorsione che produce risultati terribili dei quali ancora non ci rendiamo tutti conto davvero».

anticlericale
09-07-09, 01:11
La Chiesa torna in fabbrica


• da La Stampa del 26 maggio 2009, pag. 1

-->

di Franco Garelli
-->Non si vive solo di ordine pubblico o di respingimenti, in un’epoca in cui molti stranieri bussano al nostro Paese per cercare un’ancora di salvezza. Oltre a ciò, la Chiesa deve trovare nuove forme di presenza nel mondo del lavoro, per essere vicina a quanti vivono sulla propria pelle una crisi economica senza precedenti. Non è detto che si ritorni alla formula dei «preti operai», che avevano scelto di condividere il lavoro e la vita della gente comune negli anni ruggenti. Tuttavia, i preti e le parrocchie devono inventarsi qualcosa di nuovo, per stare dalla parte di chi oggi soffre maggiormente la crisi occupazionale.
Sono questi i due più importanti e inattesi messaggi contenuti nella prolusione con cui ieri il presidente della Cei ha aperto i lavori della 59ª Assemblea dei vescovi italiani. Entrambi i segnali sembrano indicare che è in atto una svolta nella presenza pubblica della Chiesa in Italia.

Che da alcuni anni a questa parte si è molto impegnata per difendere i valori «cari ai cattolici», con le battaglie sui temi della vita, della famiglia, della bioetica, delle limitazioni alla scienza, della difesa dell’antropologia cristiana. Oggi, con il discorso del cardinale Bagnasco, il vertice ecclesiale pare rimettere la questione sociale al centro dell’impegno dei cattolici, riabilitando quel cattolicesimo sociale che ha vissuto un po’ ai margini la recente svolta identitaria e culturale della Chiesa italiana.
Come accade in queste occasioni, il presidente della Cei opera un’analisi a tutto campo della situazione, atta a focalizzare i nodi cruciali del periodo, le sfide che più interpellano la Chiesa. In questo quadro, non è mancata la difesa convinta di Benedetto XVI per gli attacchi internazionali subiti in occasione della sua recente visita in Africa, quando il Papa ha dichiarato che il condom non risolve i problemi dell’Aids, anzi li incrementa. Così come non poteva non esserci un accenno all’impegno della Chiesa nel campo della bioetica, pur oggetto di molte resistenze pubbliche. La Chiesa ha antenne sensibili ed è ben consapevole che molti (anche tra i credenti) la vorrebbero più concentrata sul «terreno smaltato» della carità (che offre maggior consenso), che su quello «opaco» dei principi della vita e della verità sull’uomo. Ma - a detta del cardinale Bagnasco - la Chiesa non fa selezione tra le diverse stazioni della «via crucis» che l’uomo d’oggi incontra nel suo cammino, per cui sia l’impegno caritativo che quello sui temi della vita rientrano in un unico disegno di fedeltà ai principi irrinunciabili. Un altro accenno è stato riservato dal presidente della Cei al recente dramma che ha colpito l’Abruzzo, rilevando che è sotto i colpi della tragedia che sovente emerge il vero volto del Paese, il suo deposito di valori; auspicando che i politici (cui ha riconosciuto di essersi ben mossi nell’emergenza) sappiano adeguatamente affrontare la fase della ricostruzione fisica e civile del territorio; ricordando anche i tremila monumenti da recuperare, tra cui le croci e le chiese sommerse dai calcinacci, simbolo di una fede ferita ma non piegata.
Ma al di là di questi richiami di contorno, il messaggio più forte che monsignor Bagnasco ha voluto consegnare agli ambienti ecclesiali e a tutto il Paese è stato l’invito a riscoprire i nuovi termini della questione sociale, l’urgenza di un impegno che ha sempre fatto parte della sua storia e che è oggi sollecitato da nuove sfide.
La prima emergenza è individuata nelle conseguenze della crisi economica che si sta vivendo, i cui costi più pesanti sono pagati dall’anello più debole della popolazione, con l’aumento dei licenziamenti, l’inquietudine della cassa integrazione, la fine del lavoro anche per i molti precari di cui sin qui si sono servite molte aziende. Non poche imprese, osserva il cardinale, azionano sbrigativamente la leva occupazionale per far fronte alla crisi in atto, come se si trattasse di «alleggerire la nave di una futile zavorra». Di qui l’invito non soltanto ai responsabili pubblici perché individuino valide soluzioni alla crisi, ma anche alle parrocchie e ai preti di farsi più prossimi a chi vive nel mondo del lavoro, accostando le persone là dove esse lavorano, ascoltandole, dando loro sostegno concreto. E ciò attraverso modi diversi, dalla creazione di sussidi economici all’aiuto nel pagamento dei mutui e delle utenze, dal potenziamento di esperienze di micro-credito all’istituzione di fondi di solidarietà e di garanzia per le famiglie in difficoltà.
La seconda emergenza riguarda la questione migratoria e il disegno legge sulla sicurezza, temi su cui il vertice Cei continua a manifestare la sua contrarietà per le soluzioni che si stanno delineando. Perché impedire - entro certi limiti - a chi è in cerca di sopravvivenza la libertà di emigrare? Che cosa fanno l’Italia e l’Europa per prevenire il fenomeno, per evitare che i figli dei Paesi poveri non siano costretti ad affrontare rischi mortali pur di coltivare una speranza di vita? Qual è il nostro impegno nella cooperazione internazionale? Perché discriminare gli immigrati che possiamo accogliere, invece di favorire una loro adeguata integrazione nelle nostre città?
L’anima più sociale della Chiesa pare dunque riattivarsi in questo momento storico, anche esponendosi con coraggio su questioni che dividono il Paese

anticlericale
09-07-09, 01:11
"La Stampa", 26 Maggio 2009, pag. 9

Intervista a Vittorio Messori
“La Chiesa non s’aspetta nulla da un peccatore”
“Oltretutto le inclinazioni del premier sono pubbliche e manifeste”

GIACOMO GALEAZZI

ROMA

<<Da uno che, anche secondo il nuovo codice canonico, è pur sempre un “peccatore manifesto e impenitente”, la Chiesa non può e non deve attendersi un comportamento edificante». Lo scrittore Vittorio Messori, cattolico ortodosso e unico autore al mondo ad aver pubblicato libri con gli ultimi due pontefici, non si tira indietro dal valutare gli «effetti ecclesiali» del caso Noemi.
Il decreto su Eluana, lo stop alle coppie di fatto (Didore) e alla revisione della legge sull’aborto. Secondo Cossiga, Berlusconi ha fatto molto per la Chiesa che “preferisce uno sciupafemmine collaborativo ad un devoto monogamo contestatore”. Quindi, “Ecclesia casta et meretrix”, come diceva Sant’Ambrogio?
«Guardi che quell’ossimoro è un falso, compare una sola volta in tutta la patristica e il cardinale Biffi, grande studioso di Sant’Ambrogio, si imbufalisce quando gli si attribuisce il senso che dà Cossiga. Il problema non si può liquidare così. I peccati di un politico riguardano il suo confessore. La Chiesa è dispensatrice di sacramenti ma è anche un’istituzione che deve confrontarsi con una realtà che non è composta da stinchi di santo».
E quindi?
«In quanto rappresentanti dell’istituzione ecclesiale, il segretario di Stato e il presidente Cei non hanno ruolo di direzione spirituale. Secondo il codice di diritto canonico, Berlusconi è un divorziato risposato, perciò un peccatore manifesto. La Chiesa non può chiedere virtù particolari ad una persona che già di per sé non è in regola con la prospettiva cattolica. E non c’entra che i rapporti Chiesa-governo siano tra i migliori del dopoguerra».
Oltre all’imbarazzo delle gerarchie ecclesiastiche, lo scandalo inciderà sul voto cattolico?
«Non più di tanto. C’è una dicotomia, un’ipocrisia. Berlusconi non è pentito, non vive certamente come fratello e sorella con la seconda moglie, dunque si è posto fuori dalle regole della Chiesa, però Bertone e Bagnasco non hanno facoltà di giudizio sulle vicende private di un governante con cui trattano. La Chiesa ha firmato concordati con Napoleone, Hitler, Mussolini, non proprio cristiani esemplari».
Nel Vangelo è scritto che “è necessario che gli scandali avvvengano, ma guai ai responsabili”...
«Se la Chiesa giudicasse i vizi privati non potrebbe collaborare come fa con politici dalla vita privata censurabile e condannabile. Il problema è se Berlusconi poi va dal Papa e dice di rappresentare i cattolici. Atteggiamenti di questo genere riguardano la sua privata ipocrisia. Esiste una questione di misura nelle cose. Se Berlusconi bussa alla porta del confessore, il suo caso è esaminato e la Chiesa dà a Dio quel che è di Dio. Come istituzione la Chiesa può chiedere una maggiore coerenza discretamente, in via riservata ad una forza politica che dice di rappresentare i valori cattolici. Però non pubblicamente, altrimenti crea reazioni politiche a catena e incorre nel clericalismo.
Era diverso nella Prima Repubblica?
«Gronchi era tra i fondatori della Dc con De Gasperi eppure non aveva per virtù il ferreo rispetto della fedeltà coniugale e almeno due influenti ministri democristiani furono gay praticanti. Con quel mangiapreti di Craxi la Chiesa ha firmato una revisione del Concordato a proprio favore, eppure attorno a lui non mancavano di certo le veline. Cosa avrebbe dovuto fare? Bloccare la trattativa perché l’interlocutore istituzionale nella vita privata faceva il puttaniere? E si può risalire fino al giovane socialista anarchico Mussolini che addirittura sul palco di un comizio sfidò Dio dandogli cinque minuti per dimostrare la sua esistenza fulminandolo. Eppure nel ‘29 è stato il firmatario dei patti Lateranensi, uno degli eventi decisivi per la Chiesa dei nostri tempi».

anticlericale
09-07-09, 01:12
"La Stampa", 26 Maggio 2009, pag. 24

il caso
La Curia di Bologna contro l’ultimo spot della Renault

Pubblicità nel mirino
Il marito seriale della tv fa infuriare il vescovo

Carlo Caffarra: "E’ una cosa inammissibile in un Paese che riconosce la monogamia come un valore. Quel filmato deve essere sospeso"

Andrea Baracco: "Le immagini mostrano un uomo che ha divorziato più volte: le famiglie allargate sono una realtà di questo Paese"



ELISABETTA PAGANI
BOLOGNA

//alert(cont); if(cont==1){ immagine('20090526/foto/H10_427.jpg'); } Una dolce mamma bionda ripresa con garbo mentre partorisce. Una mamma mora che accoglie i suoi tre bimbi nella villetta. E una terza madre di un bell’adolescente che rimane anonima. A tenere insieme i fili un uomo, che sfoggia con orgoglio i cinque figli avuti da tre donne diverse. Cinque figli che - nell’ultimo spot Renault - scorrazza su una spaziosa New Scenic. Sul sedile posteriore c’è Daniele, cuffie in testa e sguardo curioso, che è «nato dallo strepitoso matrimonio con la mia prima moglie Elena». Ma scena dopo scena eccone apparire altri tre, Marco, Luca e Sofia, «gli altri miei figli, cioè di mia moglie, la mia nuova moglie», specifica il supergenitore. Macchinata al completo se non fosse per Mattia, «che ho appena saputo che è mio figlio», che spunta sul sedile anteriore. I cinque sgambettano giù dalla Scenic e, nello specchietto appare Arturo, che però, assicura l’uomo, «è il figlio del vicino».
Dopo lo spot della Coca-Cola, che ha fatto tutto o quasi l’Adriatico, ora tocca alla Renault scatenare polemiche. Una parte dei cattolici insorge contro l’immagine scanzonata della famiglia allargata e la riprovazione esplode sul sito Fattisentire.org («In famiglia non c’è posto per Renault»). A suggello della condanna arriva anche l’anatema dell’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, che accusa: «Esalta la poligamia». La scomunica sta nelle colonne di Avvenire e del supplemento «Bologna Sette», che riportano le parole dell’arcivescovo. «Ci sono già anche in Italia i presupposti culturali perché venga legittimata la poligamia. E’ una questione di tempo. E il primo passo sarà consentire a chi nella propria cultura la legittima di poterla praticare». Quindi l’accusa alla pubblicità: «Mi è capitato di vedere uno spot - esemplifica Caffarra - che per promuovere la capacità di un’auto esalta la poligamia. Un’auto che consente all’uomo di raccogliere tutti i bambini avuti dalle mogli. Cose inammissibili in un Paese che riconosce la monogamia come un valore indiscutibile». In realtà nel filmato - che si chiude con lo slogan «Facciamo posto a tutte le famiglie» - più che di poligamia si parla di divorzio. «L’accusa di poligamia è inconsistente - attacca infatti uno dei 13 candidati a sindaco di Bologna, il movimentista Valerio Monteventi -. L’obiettivo del cardinale è la legge sul divorzio». «Fuori da ogni bigottismo - si legge invece nei commenti su youtube - questo è uno spot che offende il valore della famiglia in cui per fortuna molti italiani credono». Dall’offesa la campagna di Fattisentire.org «Via lo spot divorzista dalla tv», che invita a protestare scrivendo alla Renault.
La Renault sottolinea l’assenza di proteste negli altri Paesi: «Siamo spiacenti di aver urtato la sensibilità dell’arcivescovo che non ha forse interpretato lo spirito di uno spot che fotografa la realtà, quella di famiglie allargate e genitori separati - scrive Andrea Baracco, responsabile della Comunicazione -. Lo spot è stato oggetto di accurati pre-test di gradimento e non sono ma emersi commenti di tipo etico». Ma la New Scenic non è la prima auto ad aggiudicarsi il titolo di «divorzista». Sedici anni fa toccò alla Renault 19: nello spot un distinto signore che si sposava quattro volte e sempre con la stessa auto. Allora ad arrabbiarsi fu monsignor Fihey, vescovo di Coutances e d’Avranches in Normandia. Che, ironia della sorte, viaggiava proprio su una Renault 19.
Ad aprire la battaglia contro gli spot «molesti» sono stati commercianti e istituzioni dell’Adriatico che si sono scagliati contro Giulia della Coca-Cola, che non vuole frequentare i resort o andare a mangiare nei ristoranti. La multinazionale ci sta provocando «un danno economico enorme» hanno tuonato i commercianti veneti.

anticlericale
09-07-09, 01:13
"La Stampa", 26 Maggio 2009, pag. 59
cronaca di Torino

La valutazione di Margiotta Broglio
“La Sindone appartiene allo Stato italiano”
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO




1983
Umberto II la dona al Papa
Umberto II di Savoia, ultimo Re d'Italia, lascia la Sindone in eredità al Papa, che la affida all'Arcivescovo di Torino.

1997
Il rogo della Cappella di Guarini
Nella notte fra l’11 e il 12 aprile le fiamme seminano distruzione, ma la reliquia viene salvata dai vigili del fuoco.

1998
Giovanni Paolo II all’Ostensione
Il Pontefice si raccoglie commosso dinanzi alla Sindone, nel corso dell’Ostensione che verrà poi rinnovata nel 2000.

1578
L’arrivo a Torino
La Sindone, acquistata dai Savoia nel 1453, viene trasferita da Chambéry, in Savoia, a Torino, nuova capitale sabauda.



<<L’atto di donazione di Umberto di Savoia al Papa è giuridicamente nullo. La Sacra Sindone appartiene ancora allo Stato Italiano». Al termine di perizie e studi approfonditi il professor Francesco Margiotta Broglia, tra i padri della revisione del Concordato del 1984 e massimo studioso dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, nega validità alla cessione della più celebre icona mondiale al Vaticano. «In base al terzo comma della tredicesima disposizione transitoria, i beni esistenti nel territorio nazionale degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi sono avocati allo Stato - spiega Margiotta Broglio -. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946 sono nulli. Ed è appunto il caso di quello che molti considerano il lenzuolo funerario di Cristo». Secondo la versione corrente, invece, Il Papa è il proprietario della Sindone avendola ricevuta in dono dai Savoia per espresso desiderio testamentario dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, morto nel 1983. Per tradizione i Savoia consideravano la Sindone il «palladio» della loro casata, segno tangibile del favore di Dio, dell’origine divina di ogni potere temporale e in occasione delle ricorrenze religiose o di famiglia spesso veniva esposta in modo che tutti la potessero vedere. Perfino Pio VII approfittò di una di queste ostensioni pubbliche per rivederla. L'ultima ostensione concessa dai Savoia in occasione di feste di famiglia avvenne nel 1931, (matrimonio tra Umberto e Maria José), la prima Ostensione televisiva fu quella del 1973. Poi il dono, disposto da Umberto, della reliquia al Papa.
Le prime testimonianze documentarie relative alla Sindone di Torino risalgono alla metà del XIV secolo, quando Geoffroy de Charny, generale francese, depose il Lenzuolo nella chiesa da lui fondata nel 1353 nel suo feudo di Lirey nello Champagne. Nella prima metà del ‘400, nel pieno della guerra dei Cento anni, Marguerite de Charny ritirò la Sindone dalla chiesa di Lirey (1418) e la condusse con sé nel suo peregrinare attraverso l’Europa. Trovò accoglienza alla corte dei duchi di Savoia, perciò nel 1453 avvenne il trasferimento della Sindone ai Savoia, attraverso una serie di atti giuridici intercorsi tra il duca Ludovico e Marguerite. A partire dal 1471, Amedeo IX il Beato, figlio di Ludovico, incominciò ad abbellire ed ingrandire la cappella del castello di Chambéry, capitale del Ducato, in previsione di una futura sistemazione della Sindone. Dopo una iniziale collocazione nella chiesa dei francescani, la Sindone venne definitivamente riposta nella «Sainte-Chapelle du Saint-Suaire». In questo contesto i Savoia richiesero ed ottennero nel 1502 dal Papa il riconoscimento di una festa liturgica particolare per la quale fu scelto il 4 maggio. Il 4 dicembre 1532, un incendio devastò la «Sainte-Chapelle» e causò al sacro lenzuolo gravi danni che saranno riparati nel 1534 dalle Clarisse della città. Emanuele Filiberto trasferì definitivamente la Sindone a Torino il 14 settembre 1578. Il Lenzuolo giunse in città il 14 settembre 1578 tra le salve dei cannoni, in un’atmosfera di grande solennità. La Sindone restò, da quel momento, definitivamente a Torino dove, nei secoli seguenti, fu oggetto di numerose ostensioni pubbliche o private. «Divenuta l’Italia una Repubblica, dal 2 giugno 1946 ogni passaggio dai Savoia ad altri soggetti non ha valore giuridico, quindi la Sindone resta dello Stato italiano», sostiene Margiotta Broglio.

anticlericale
09-07-09, 01:13
SINDONE PROPRIETA’ DELLO STATO/VIALE (LISTA BONINO/PANNELLA): “FARE STUDI COMPLETI SULL’ORIGINE DEL LENZUOLO. INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DELLA LISTA BONINO-PANNELLA””



Dopo che il prof. Margiotta Broglio ha ricordato che la Sindone è di proprietà dello Stato Italiano – ai sensi del terzo comma della tredicesima disposizione transitoria della Costituzione – Silvio Viale (capolista della Lista Bonino/Pannella nella Circoscrizione Nord Ovest per le Elezioni Europee) e Giulio Manfredi (vicepresidente del Comitato Nazionale di Radicali Italiani) osservano che ora si potranno fare studi completi sull’origine del lenzuolo:



Silvio Viale ha dichiarato:



“Bene ha fatto il Prof Margiotta a ricordare la XIII norma transitoria e visto che si parla dei Savoia, il cui ultimo rampollo è mio concorrente alle Elezioni Europee, è bene ricordare anche la XIV disposizione transitoria: “i titoli nobiliari non sono riconosciuti”.

La riaffermazione della proprietà dello Stato sulla Sindone può e deve significare soprattutto la possibilità di nuovi studi scientifici indipendenti, non condizionati, sulle origini del lenzuolo, che la Chiesa sembra volere ostacolare.

Per quanto mi riguarda, non si tratta affatto di uno spunto per l’ennesima querelle “laici contro clericali”, ma della legittima curiosità su un lenzuolo, che è sì considerata una reliquia da molti credenti, ma che è comunque circondato da un mistero secolare che, da torinese, mi ha affascinato sin da quando facevo il chierichetto. Proprio chi ha fede non dovrebbe avere nulla in contrario ad approfondire le verità che la scienza, nell’incertezza del momento vissuto, può offrirci.

Chiederò ai parlamentari radicali di interrogare formalmente il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, sui passi che il governo intende compiere, alla luce del parere di Margiotta Broglio, per riaffermare la proprietà dello Stato sulla Sindone, senza per questo negare in alcun modo a credenti e fedeli la possibilità di accesso, di conservazione, di venerazione e di ostensione della reliquia da parte dell’Episcopato torinese.”



Torino, 26 maggio 2009

anticlericale
09-07-09, 01:14
"La Stampa", 27 Maggio 2009
cronaca di Torino

Intervista al cardinale Severino Poletto
“La Sindone è un simbolo non un bene di proprietà”
GIACOMO GALEAZZI


<<Della Sindone non sono il proprietario ma il custode pontificio e non mi risulta che siano mai arrivate in Vaticano rivendicazioni. Lo Stato italiano non ha mai contestato il lascito di Umberto II di Savoia a papa Wojtyla». Nell’atrio dell’Aula del Sinodo, in una pausa dell’Assemblea generale della Cei, l’arcivescovo di Torino Severino Poletto valuta la contestazione tecnica del professor Francesco Margiotta Broglio secondo cui «l’atto di donazione di Umberto al Papa del 1983 non è giuridicamente valido perché il terzo comma della tredicesima disposizione transitoria avoca allo Stato i beni di casa Savoia, quindi i trasferimenti successivi al 2 giugno ‘46 sono nulli». Appena rientrato a Torino, il cardinale ne discuterà con il canonista Rinaldo Bertolino, ex rettore dell’università di Torino e tra i massimi esperti del diritto costituzionale della Chiesa. Intanto ieri mattina si è a lungo confrontato sulla proprietà della Sindone (e le argomentazioni di Margiotta Broglia che attribuiscono la proprietà allo Stato italiano) con il cardinale e giurista Attilio Nicora, il presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica che proprio con l’incaricato italiano Margiotta Broglio ha negoziato e concluso la revisione del Concordato nel 1984.
Cardinale Poletto, a chi appartiene la Sindone?
«Trovo significativo che in 25 anni nessuno, per conto dello Stato italiano, abbia rivendicato la proprietà della Sindone. Questo dato di fatto dimostra come fin dall’apertura del testamento di Umberto fosse chiaro a tutti che la Sindone andava considerato non una proprietà dell’ex casa regnante, bensì un bene privato dei Savoia. Inoltre, va considerata la particolarità di ciò che non è assimilabile ad un bene materiale. La Sindone è un’immagine, un segno. Non l’ho mai chiamata “oggetto”, quindi non mi sembra corretto trattare come altre proprietà il telo che ripresenta in maniera impressionante tutti i segni della Passione di Cristo, esattamente corrispondenti a ciò che dice il Vangelo».
Dunque i Savoia hanno lasciato al Papa non un bene materiale ma un simbolo di fede?
«La Sindone non è un fondamento della fede come lo è il Vangelo, però aiuta la fede e la preghiera. Il possesso della Sindone da parte dei Savoia era personale, una testimonianza di culto, quindi è come se avessero regalato a Giovanni Paolo II un altare, qualcosa di sacro, non un bene materiale. Non credo sussistessero ragioni di diritto civile che impedissero ad Umberto di lasciare in eredità al Papa la Sindone. Ho verificato con il cardinale Nicora e mi è stato garantito che non se ne è parlato nei negoziati per la revisione del Concordato. Ritengo che la Sindone appartenesse ai Savoia come patrimonio privato e che non potesse essere incamerato dallo Stato al momento del passaggio dalla monarchia alla repubblica. E, infatti, nessun governo ha mai messo in discussione il lascito a Giovanni Paolo II».
Perché finora nessuno ha sollevato la questione?
«Perché Umberto fece testamento e nessuno da parte dello Stato italiano fece obiezioni alla donazione al Vaticano di quella che non si può definire reliquia perché non abbiamo la certezza assoluta della sua autenticità. La Sindone non è mai stata materia pattizia e non credo sia il caso di alimentare troppo il dibattito su una questione così delicata. Quant’era dotazione pubblica di casa Savoia è stato avocato allo Stato nel 1946, ma ritengo che non riguardi la Sindone anche qualora non si possa ribattere che è una proprietà religiosa perché anche gli edifici sacri lo sono e sono stati ugualmente incamerati. La distinzione semmai è un’altra».
Quale?
«Va distinto ciò che apparteneva ai Savoia in quanto casa reale e che è passato all’Italia repubblicana dalla dotazione privata che invece è rimasta anche dopo l’esito del referendum. Non credo si possa far rientrare tra i beni pubblici degli ex sovrani il lenzuolo nel quale, secondo la tradizione, è stato avvolto il corpo di Cristo dopo la deposizione dalla croce. Avvicinarsi alla Sindone è un’esperienza penitenziale e di conversione e per il credente acquista significato in relazione alla figura di Gesù. Colpisce molto questo volto di uomo sofferente e anche se la scienza non ha ancora dimostrato che quello sia il suo vero volto, questa immagine mi rimanda alla persona del Cristo. Quindi, non riesco proprio a considerarlo un oggetto da contendere o rivendicare».

anticlericale
09-07-09, 01:14
"La Stampa", 27 Maggio 2009
cronaca di Torino

Emanuele Filiberto: “Nessuno si metta in testa di trasferirla”
«Come si può pensare di reclamare e trasferire la Sindone? Non è quello il suo posto?». Nella mattina di sole Emanuele Filiberto in camicia azzurra firma autografi da successo tv al mercato di piazza Europa a Chieri. Di fronte agli studi del professor Francesco Margiotta Broglio, cita anche la «tredicesima norma transitoria (terzo comma) della Costituzione» sui «beni da avocare», poi nonno Umberto e le tre sorelle, «alle quali nulla fu avocato»: consegnarono le «loro parti» al fratello proprio perché consegnasse la Sindone alla Chiesa: «Nessuno ha più contestato quella scelta, nemmeno quando mia madre è andata in Vaticano. Lo Stato ha taciuto». E provoca: «Qualcuno vuole portare via il lenzuolo? Lo proponga prima delle elezioni». E’ forse uno dei pochi riferimenti al voto nella giornata. Dai suoi collaboratori viene la battuta al sangue: «Magari qualcuno in vena di grandezza può pensarla come tovaglia a un pranzo del G8». Il lenzuolo torna al silenzio e scatta la mattinata del passeggio fotografico.
«Io l’ho votata quando ballava». C’è il pubblico non della politica bensì della televisione. Madri che estraggono il neonato riluttante o ingrugnito dalla carrozzella per «fare la foto con il principe». Tanto che lui stesso commenta: «Non c’è niente di monarchico, è un titolo affettuoso». L’Italia dei rotocalchi pieni di monarchie, l’Italia dei sogni, l’Italia del successo in tv. Se ci fosse Giletti sarebbe ancora più trionfo. Con i cartelloni e le bandiere di altre quattro liste intorno, è un lago di cellulari per avvertire che «sono col principe», cellulari che scattano foto. L’ambulante genio lo chiama: «Principe, venga qui». E mentre lui firma: «Guardate che maglie, signore, tre euro». Un principe più di Tv che di Savoia, testimonial gratuito.

anticlericale
09-07-09, 01:15
SINDONE PROPRIETA’ DELLO STATO/INTERROGAZIONE DEI SENATORI RADICALI/PD AL MINISTRO BONDI.
VIALE E PERDUCA: ARCIVESCOVO POLETTO SI ARRAMPICA SUGLI SPECCHI; SOLO LO STATO PUO’ CONDURRE RICERCHE NON DI PARTE SULLE ORIGINI DEL LENZUOLO.

Come annunciato ieri, i senatori radicali/PD Marco Perduca e Donatella Poretti hanno presentato un’interrogazione al ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, per sapere “quali passi intenda compiere, alla luce del parere autorevolmente espresso dal prof. Margiotta Broglio, per riaffermare e ribadire la proprietà dello Stato Italiano sulla Sindone, senza per questo negare in alcun modo sia a credenti e fedeli la possibilità di accesso e di venerazione sia all’Episcopato torinese la possibilità di conservazione e di ostensione della reliquia”.

Marco Perduca e Silvio Viale (presidente Associazione Radicale Adelaide Aglietta, capolista alle Europee nella Circoscrizione Nord Ovest della Lista Bonino/Pannella) hanno dichiarato:

“In un’intervista alla stampa, l’Arcivescovo di Torino Severino Poletto si arrampica sugli specchi, inutilmente: afferma che la Sindone è un simbolo ma dimentica che si tratta anche di un oggetto, un lenzuolo, un bene che certo non può essere trattato come un telo qualsiasi ma che rimane sempre tangibile e concreto. Poletto dichiara, poi, che trattasi di “bene privato dei Savoia”, non di proprietà della casa regnante, sottoponibile ad avocazione allo Stato ai sensi della XIIII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Ma così Poletto si contraddice: proprio per la natura particolare della Sindone, ribadita dal prelato, essa non può essere confusa con i beni privati di Casa Savoia, ma deve essere attribuita senza dubbio alla sfera pubblica del casato; tutta la sua storia avvalora tale interpretazione.

In materia costituzionale non esiste l’istituto dell’usucapione; anche 26 anni dopo il passaggio del lenzuolo dai Savoia al Papa, lo Stato Italiano ha tutti i diritti per ribadire la proprietà della Sindone e per intraprendere studi scientifici obiettivi sulle sue origini. Tutto questo senza privare la Curia torinese e i fedeli della custodia e della venerazione di quella che ci siamo permessi di definire “reliquia” mentre Poletto precisa che reliquia non è, o non è ancora, visti i dubbi ancora persistenti sulla sua autenticità”.

Roma, 27 maggio 2009

anticlericale
09-07-09, 01:15
"la Repubblica", 27 maggio 2009, pag. 40
RADIO VATICANA: LA VOCE DEL PAPA APRE ALLA PUBBLICITA'

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO

Crolla uno degli ultimi baluardi pontifici, lo storico ostracismo della pubblicità alla Radio Vaticana. L´emittente del Papa è pronta a trasmette anche spot, ma scelti tra aziende «moralmente ineccepibili, serie e che non commercializzino alcolici, tabacchi, moda e prodotti finanziari», giura Egidio Maggioni, presidente di Mab. p, l´agenzia delegata alla raccolta di pubblicità. Un passo definito «storico» dal direttore dell´emittente e portavoce papale, padre Federico Lombardi, presentando ieri l´iniziativa in Vaticano. In realtà, una sorta di «capitolazione» già operata con l´Osservatore Romano, con cui il Vaticano ha tentato - col ricorso ad una selezionata clientela pubblicitaria - di fermare un drammatico deficit che stava minando le fondamenta del giornale del Papa.
Più o meno gli stessi motivi - sopravvivenza della radio, realizzata 80 anni fa da Guglielmo Marconi, ma che solo nel 2007 ha accusato 24,3 milioni di euro di deficit, un «buco» destinato a salire in futuro - della svolta pubblicitaria dell´emittente, che dal 6 luglio inizierà a infarcire di spot la rete One-O-Five Live, il canale internazionale in Fm della Radio Vaticana. Lo spot d´esordio sarà l´Enel, l´azienda energetica italiana, primo grande cliente dell´emittente pontificia, quasi un titolo onorifico per il presidente Piero Gnudi che ha confessato che la sua azienda è «orgogliosa di essere la prima inserzionista della radio più diffusa e autorevole». Un mezzo, quindi, privilegiato - a detta di Gnudi - per «far conoscere le proposte Enel in tutto il mondo». Ma anche una scelta «di crescita che guarda al futuro con la quale si spera di rendere meno pesante il bilancio della radio», hanno auspicato sia padre Lombardi che il vescovo Renato Boccardo, segretario generale del Governatorato.
Cifre ufficiali non sono state rese note. È stato solo accennato ad «un investimento di qualche migliaia di euro per un primo contratto sperimentale di tre mesi». Per un intero anno le entrare legate all´Enel - ma altri inserzionisti sono già pronti a firmare - «saranno dell´ordine di qualche centinaia di migliaia di euro che - si è augurato padre Lombardi - contribuiranno ad alleviare il deficit dell´emittente». Anche con la pubblicità, per Boccardo, «la radio sarà sempre il principale strumento di evangelizzazione del Papa e non subirà stravolgimenti, come già avvenuto con gli altri nuovi media adottati dalla Santa Sede». E vale a dire, l´uso di Internet col sito www. vatican. va, uno dei siti più visitati al mondo inaugurato da Giovanni Paolo II; la diffusione delle preghiere papali attraverso i cellulari e, persino, l´esordio di papa Ratzinger su Youtube e il sito Popetoyoy su Facebook dedicato ai giovani.

anticlericale
09-07-09, 01:16
Tagli alla scuola, Poretti: come risparmiare soldi comportandosi da Stato laico: tagliare l'ora di religione all'asilo!

Roma, 28 maggio 2009


• Intervento della senatrice Donatella Poretti, Radicali - Pd, segretaria commissione Igiene e Sanita', componente Commissione bicamerale Infanzia

Gia' a partire dall'asilo, la scuola pubblica prevede due ore settimanali di insegnamento di religione cattolica, facoltative. Forse sarebbe bene rivedere la materia alla radice, che' uno Stato laico e multiculturale dovrebbe immaginare che nella scuola pubblica non si insegni una religione, non si preveda una o piu' ore di catechismo, ma casomai storia delle religioni.
Nel frattempo si potrebbe evitare il catechismo di Stato a bambini di 3 e 4 anni per due ore alla settimana.
Mentre riparte il dibattito sulla scuola al collasso a causa dei tagli inferti dal Governo, dove si paventa l'assenza di soldi per supplenti (fondi ridotti del 40 %), per visite fiscali obbligatorie, dove da settembre non saranno piu' garantiti i servizi previsti per legge, come la copertura dell'ora alternativa alla religione. Cosi' hanno denunciato circa 300 presidi del Lazio aderenti all'Asal (Associazione scuole autonome del Lazio), a cui il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, suggerisce di cambiare mestiere.
Per parte nostra invece suggeriamo che i fondi potrebbero essere reperiti tagliando l'ora di religione, recuperando cosi' anche il costo dell'ora alternativa!
Qualche numero:
I circa venticinquemila insegnanti di religione, al pari degli altri insegnanti, sono retribuiti dallo Stato Italiano. Nel 2001, ultimo dato disponibile, il costo annuo a carico dello Stato per la loro retribuzione e' stato pari a circa 620 milioni di euro, pari a circa l'1,8% della spesa complessiva statale per il personale scolastico (ammontante a 34.197 milioni di euro).
L'intesa concordataria del 1985 con la Cei, modificata poi nel 1990, prevede due ore settimanali alle materne e alle elementari, una alle medie ed alle superiori.
I dati del ministero, risalenti ormai al 2005, parlano di una media nazionale del 93% che sceglie di seguire l'ora di religione cattolica, i dati della Cei per l'anno 2006/2007 fanno una stima del 91,1%, cosi' ripartiti:
- scuole dell'infanzia 91,1% (non adesioni 8,9%);
- primarie 94,1% (non adesioni 5,9%);
- secondarie 1° 94,6% (non IRC 5,4%);
- secondarie 2° 84,5% (non IRC 15,5%).
Questo e' il programma previsto dall'Intesa del 2003, sottoscritto dall'allora ministro all'Istruzione Letizia Moratti per la scuola materna:
- Osservare il mondo che viene riconosciuto dai cristiani e da tanti uomini religiosi dono di Dio Creatore.
- Scoprire la persona di Gesù di Nazaret come viene presentata dai Vangeli e come viene celebrata nelle feste cristiane.
- Individuare i luoghi di incontro della comunita' cristiana e le espressioni del comandamento evangelico dell'amore testimoniato dalla Chiesa.

anticlericale
09-07-09, 01:16
In breve - Radicali: la sindone è dello Stato
• da Secolo d'Italia del 28 maggio 2009, pag. 12




Come annunciato, i senatori radicali eletti nel Pd Marco Perduca e Donatella Poretti, hanno presentato un`interrogazione al ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, per sapere, si legge in una nota, «quali passi intenda compiere per riaffermare e ribadire la proprietà dello Stato italiano sulla Sindone, senza per questo negare in alcun modo sia a credenti e fedeli la possibilità di accesso e di venerazione, sia all`Episcopato torinese la possibilità di conservazione e di ostensione della reliquia».

anticlericale
09-07-09, 01:17
Sindone, il caso della proprietà finisce in Parlamento


• da La Stampa del 28 maggio 2009, pag. 46

-->

di Giacomo Galeazzi
-->«La Sindone è proprietà dello Stato». I senatori Radicali eletti nel Partito Democratico, Marco Perduca e Donatella Poretti, hanno presentato ieri un’interrogazione al ministro per i Beni e le Attività culturali, Sandro Bondi, per sapere, «quali passi intenda compiere, alla luce del parere autorevolmente espresso dal professor Margiotta Broglio, per riaffermare e ribadire la proprietà dello Stato italiano sulla Sindone». Senza per questo «negare in alcun modo sia a credenti e fedeli la possibilità di accesso e di venerazione, sia all’episcopato torinese la possibilità di conservazione e di ostensione della reliquia». I Radicali evidenziano che «in materia costituzionale non esiste l’istituto dell’usucapione; anche 26 anni dopo il passaggio del lenzuolo dai Savoia al Papa, lo Stato Italiano ha tutti i diritti per ribadire la proprietà della Sindone e per intraprendere studi scientifici obiettivi sulle sue origini». Tutto questo «senza privare la Curia torinese e i fedeli della custodia e della venerazione della reliquia». A far esplodere il caso è stato martedì sulla «Stampa» Broglia.

Tra i padri della revisione del Concordato del 1984 e massimo studioso dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, negando validità alla cessione della più celebre icona mondiale al Vaticano («l’atto di donazione di Umberto di Savoia al Papa è giuridicamente nullo. La Sacra Sindone appartiene ancora allo Stato Italiano»). In base al terzo comma della tredicesima disposizione transitoria, «i beni esistenti nel territorio nazionale degli ex re di casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi sono avocati allo Stato», spiega Margiotta Broglio. Quindi i «trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946 sono nulli. Ed è appunto il caso di quello che molti considerano il lenzuolo funerario di Cristo». Secondo la versione corrente e mai contestata da nessuno (come ribatte l’arcivescovo di Torino, Severino Poletto), il Papa è il proprietario della Sindone avendola ricevuta in dono dai Savoia per espresso desiderio testamentario dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, morto nel 1983. L'ultima ostensione concessa dai Savoia in occasione di feste di famiglia avvenne nel 1931, (matrimonio tra Umberto e Maria José), la prima Ostensione televisiva fu quella del 1973. Poi il dono, disposto da Umberto, della reliquia al Papa. «Divenuta l’Italia una Repubblica, dal 2 giugno 1946 ogni passaggio dai Savoia ad altri soggetti non ha valore giuridico, quindi la Sindone resta dello Stato italiano», sostiene Margiotta Broglio. I Savoia richiesero ed ottennero nel 1502 dal Papa il riconoscimento di una festa liturgica particolare per la quale fu scelto il 4 maggio. Il 4 dicembre 1532, un incendio devastò la «Sainte-Chapelle» e causò al sacro lenzuolo gravi danni. Emanuele Filiberto trasferì definitivamente la Sindone a Torino il 14 settembre 1578. La Sindone restò, da quel momento, definitivamente a Torino. Ora la parola passa al ministro Bondi. -->

anticlericale
09-07-09, 01:17
Gay Pride Roma, Rovasio: diniego piazza San Giovanni e’ una scusa.
Il custode dei frati minori smentisce la Questura.
Grave forma di omofobia delle istituzioni. Certi Diritti a San Giovanni il 13 giugno.
Interrogazione parlamentare dei deputati radicali del Pd.

1 giugno 2009


• Dichiarazione di Sergio Rovasio, Segretario Associazione Radicale Certi Diritti, candidato della Lista Bonino-Pannella nella Circoscrizione Centro

“Per il secondo anno consecutivo, a pochi giorni dallo svolgimento della manifestazione del gay pride di Roma, si impedisce agli organizzatori di raggiungere la Piazza San Giovanni adducendo come motivazione il contestuale svolgimento di una manifestazione religiosa, la processione di Sant’Antonio promossa dai Frati Minori. Lo stesso Custode dei Frati Minori, organizzatore della processione di Sant’Antonio ha smentito che ci possa essere incompatibilità tra le due iniziative, sia per i luoghi diversi siaper gli orari. Verrebbe da pensare che qui c’è qualcuno più realista del Re. Effettivamente trovandoci in un paese che ha una classe politica totalmente genuflessa ai voleri del Vaticano non ci si può più stupire di nulla. Annunciamo sin da ora che il 13 giugno, dopo lo svolgimento del gay pride, l’Associazione radicale Certi Diritti-Roma, insieme ai radicali, manifesterà con un sit-in in Piazza San Giovanni come fece lo scorso anno”.

Sulla vicenda i deputati radicali nel Pd, hanno oggi depositato la seguente interrogazione parlamentare, primo firmatario l’on. Maurizio Turco.

Interrogazione urgente al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Interni:
Premesso che:
- Il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di Roma, a nome di tutte le associazioni componenti il comitato promotore della manifestazione Romapride 2009, che si svolgerà il 13 giugno 2009, ha avuto in queste settimane diversi incontri con la Questura Centrale di Roma per concordare il percorso della manifestazione;
- Il percorso proposto dall’Associaizone Mario Mieli prevedeva la partenza da Piazza della Repubblica e l’arrivo a Piazza San Giovanni, luogo solitamente dedicato a grandi manifestazioni come lo è quella del Romapride 2009;
- La Questura di Roma già lo scorso aprile ha opposto il suo diniego all’uso di Piazza San Giovanni perché vi sarebbe in quello stesso giorno una manifestazione religiosa: la processione di Sant’Antonio promossa dai Frati Minori della Chiesa di Via Merulana – Roma;
- L’Associazione Mario Mieli si era anche proposta di cambiare la data della manifestazione ma di tutta risposta è stato loro comunicato che la cerimonia religiosa sarebbe durata tutto il mese di giugno;
- Come riportato dal quotidiano il Corriere della Sera mercoledì 20 maggio 2009, il Presdiente dell’Arcigay di Roma, Fabrizio Marrazzo ha avuto un colloquio con Frate Fernando Campagna che è il ‘padre guardiano’ della comunità dei Frati Minori, il quale, riguardo possibili contrasti con la manifestazione Romapride 2009 ha dichiarato: “noi con la processione non entriamo nella piazza San Giovanni, neanche entriamo lì. La processione partirà alle 19, da Via Merulana poi via Machiavelli, Piazza Dante, Via Tasso, Via Fontana e poi ancora Via Merulana. Se la loro manifestazione non entra nelle nostre strade, nessun problema”.
- Secondo alcune recenti informazioni la Questura di Roma ha comunicato ai rappresentanti del Circolo Mario Mieli la proposta di un percorso che limita ai partecipanti le varie forme di espressione, anche con automezzi; in queste ultime ore è stato addirittura proposto un percorso di poche centinaia di metri da Piazza Bocca della Verità a Piazza Navona.
- Già lo scorso anno la Questura di Roma oppose un diniego allo svolgimento del Romapride 2008 in Piazza San Giovanni a causa di un’altra concomitante “cerimonia religiosa”. Quando i parlamentari e dirigenti radicali, insieme ad alcune associazioni lgbt, si recarono la sera di sabato 7 giugno in Piazza San Giovanni per un sit-in contro l’assurdo diniego, furono testimoni oculari che la ‘cerimonia religiosa’ consisteva in un ricevimento nella parte opposta alla Basilica di San Giovanni che nulla aveva a che fare con la Piazza richiesta per la manifestazione e in un orario successivo di almeno tre ore rispetto alla conclusione del Romapride2008;

Per sapere:
- quali sono le vere ragioni del diniego all’utilizzo di Piazza San Giovanni che viene opposto per il secondo anno consecutivo agli organizzatori del Romapride;
- se non ritenga il Ministro che le dichiarazioni del ‘Padre guardiano’ dei Frati minori della Chiesa di Via Merulana, smentiscano in modo inequivocabile quanto motivato dalla Questura di Roma riguardo il diniego all’utilizzo di Piazza San Giovanni come punto d’arrivo del Romapride2009;
- se non ritenga il Ministro che tale impedimento vìoli i più elementari diritti costituzionali riguardanti la libertà di espressione dei cittadini e in particolare gli Articoli. 17 e 21. Lo stesso articolo 17 della Costituzione precisa che le autorità possono vietare riunioni in luogo pubblico soltanto per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”:
- se non ritenga che con questi atteggiamenti delle istituzioni si alimentino ancora di più quelle forme di omofobia che in molti strati della società si manifestano, a volte anche con la violenza, verso le persone lesbiche, gay e transgender;
- se non ritenga il Ministro che tale comportamento ostativo nei confronti della comunità lgbt di Roma non sia in netto contrasto con la Risoluzione approvata dal Parlamento Europeo il 15 giugno 2006 sulla recrudescenza e le violenze razziste ed omofobe in Europa e quella del 26 aprile 2007 contro l’omofobia in Europa;
- se non ritenga infine il Ministro che questo atteggiamento violi apertamente l’orientamento espresso a più riprese dal Parlamento europeo e dalla Commissione Europea in particolare la direttiva anti-discriminazione del luglio 2008.

On. Maurizio Turco, On. Elisabetta Zamparutti, On. Marco Beltrandi, On. Rita Bernardini, On. Maria Antonietta Farina Coscioni, On. Matteo Mecacci

anticlericale
09-07-09, 01:18
La Repubblica", MARTEDÌ, 02 GIUGNO 2009
Pagina 40 - Cultura

I retroscena dei rapporti tra Berlusconi e Ratzinger nel nuovo libro di Pinotti e Gümpel
Quel patto segreto tra la destra e la chiesa
Si chiama "L´unto del Signore" E rivela i legami tra il Governo e il Vaticano. Sanciti alla presenza di Letta e Bertone in un incontro del 5 giugno 2008

ALBERTO STATERA
L'unto del Signore, come si autodefinì una volta, non è mai stato l´idealtipo del buon cattolico praticante. Ma quel 5 giugno 2008, con la regia del gentiluomo di Sua Santità Gianni Letta e del segretario di Stato Tarcisio Bertone, Silvio Berlusconi e Joseph Alois Ratzinger siglarono un patto d´acciaio tra il governo italiano in carica da un mese e il papato. Passato un anno, quel patto difensivo-offensivo ha già dato risultati straordinari per i contraenti, tanto da indurre il presidente della Camera Gianfranco Fini a tentare di smarcarsi dal berlusconismo anche in nome della laicità dello Stato.
Non c´è divorzio che possa incrinare quella sorta di nuovo Concordato de facto, nonostante le critiche della Chiesa del Vangelo alla «partnership» delle alte gerarchie con il politico amorale per eccellenza. Quella partnership consolidata recentemente con il Papa, in realtà viene da lontano, come documenta con dovizia di prove un libro-inchiesta di Ferruccio Pinotti e Udo Gümpel, intitolato per l´appunto L´unto del Signore in uscita per la Bur il 3 di giugno (pagg. 299 , euro 12,50) . Viene talmente da lontano da essere ormai indissolubile. Ne è convinto, anche il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga: «Alla Chiesa cattolica - ha detto intervistato dagli autori - che uno vada in chiesa o meno non importa molto: se devo fare un contratto, una società, come amico mi scelgo uno che abbia le mie stesse idee religiose, ma se questo cristiano non capisce nulla di finanza e dall´altra parte c´è un massone che capisce di finanza, con chi crede che faccia la società? La Chiesa guarda al concreto». Berlusconi è cristiano e pure massone (tessera 1816 della P2).
Il giovane Silvio, studi al liceo Sant´Ambrogio dei Salesiani e frequentazione di Torrescalla, residenza universitaria milanese dell´Opus Dei, dove conobbe Marcello dell´Utri, fa i primi passi di imprenditore edile con l´aiuto della Banca Rasini. Investendo una parte dei primi guadagni, fonda la squadra di calcio Torrescalla-Edilnord targata Opus Dei: lui presidente, l´amico palermitano allenatore e il fratello Paolo centravanti.
Alla Rasini il padre Luigi da semplice impiegato è diventato direttore.
Questa banca, con un solo sportello a Milano in piazza dei Mercanti, era alternativamente definita «Vatican bank», «Sportello della mafia» o « Banca di Andreotti». E´ stata in realtà tutte queste cose prima di finire nel 1992 dentro la Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani, l´uomo che sussurrava ad Antonio Fazio, pio governatore della Banca d´Italia e legionario di Cristo.
Dagli anni Sessanta e fino al blitz antimafia del 14 febbraio 1983 che portò all´arresto del direttore Antonio Vecchione, succeduto a Berlusconi senior, e di un gruppo di imprenditori legati ai clan Fidanzati, Bono e Gaeta, era in quello sportello a due passi dal Duomo il crocevia degli interessi di Cosa Nostra e del Vaticano. La maggioranza azionaria era passata dai Rasini a Giuseppe Azzaretto, nato e Misilmeri nei pressi di Palermo, cavaliere di Malta e commendatore del Santo Sepolcro, che aveva nominato presidente Carlo Nasalli Rocca, anche lui cavaliere di Malta e fratello del cardinale Mario Nasalli Rocca.
Ma si diceva che l´effettivo controllo fosse di Giulio Andreotti, come conferma Ezio Cartotto, ex dirigente democristiano che con Dell´Utri partecipò alla fondazione di Forza Italia. Interpellato da Pinotti e Gümpel, Dario Azzaretto racconta: «Andreotti è stato per la mia famiglia un grande amico e lo è tuttora», tanto che per anni ha trascorso le vacanze nella loro villa in Costa Azzurra.
Ma i misteri della Rasini, passata negli anni Ottanta anche per le mani dell´imprenditore andreottiano Nino Rovelli, non sono finiti qui. Dietro c´erano tre fiduciarie basate in Liechtenstein e amministrate dal gentiluomo di Sua Santità e gran croce dell´Ordine papale di San Gregorio Herbert Batliner, re dell´offshore, gnomo degli gnomi plurinquisito, che nel 2006 regalò un organo del valore di 730 mila euro a papa Ratzinger.
C´era anche Berlusconi in quelle tre fiduciarie? «Non mi pare - risponde Dario Azzaretto - che Berlusconi o parenti di Berlusconi o persone vicine a Berlusconi avessero partecipazioni in società che si potevano riferire alla banca». Le sue operazioni con la Rasini - aggiunge - avvenivano tramite Armando Minna, membro del collegio dei sindaci e amministratore di alcune holding berlusconiane registrate come saloni di bellezza e parrucchieri.
Ufficialmente è nel 1975, quando i primi inquilini già abitano a Milano 2, che nasce la Fininvest. Ma la ricerca certosina degli autori dell´Unto del signore la retrodata di almeno un anno, quando una Fininvest Ltd-Grand Cayman compare tra le società partecipate da Capitalfin, controllata a sua volta dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e dall´Istituto per le Opere di Religione.
Ciò che coincide con quanto dichiarato dal figlio del banchiere piduista trovato morto a Londra nel 1982 sui soldi misteriosi con cui venne costituita la Fininvest. Carlo Calvi racconta tra l´altro che il padre, in una riunione del dicembre 1976 alle Bahamas cui era presente anche il cardinal Marcinkus, lo prese sottobraccio e gli sussurrò: «Finanzieremo le attività televisive di Silvio Berlusconi».
Storia antica, ma significativa del vero miracolo compiuto da Berlusconi: quello di avere sempre con sé il Vaticano, nonostante la sua storia personale. Al punto, diventato presidente del Consiglio, da dividere l´Italia tra due sovranità che si contendono il paese: quella della Chiesa e quella del declinante Stato laico.
Racconta ancora Cartotto: «Dell´Utri mi invitò a una convention di Publitalia a Montecarlo. Arrivammo nel principato con l´aereo aziendale. Su quell´aereo c´eravamo io, il professor Torno e monsignor Gianfranco Ravasi. Sono convinto che Berlusconi abbia cominciato a pensare all´ipotesi di scendere in campo nell´autunno del 1992, proprio in occasione di quella convention. Silvio fece un discorso nel quale rilevava che il clima politico si stava facendo pesante. Disse che gli amici perdevano potere, che i nemici ne conquistavano e l´azienda doveva attendersi momenti difficili».
Decisa infine la «discesa in campo», i rapporti col Vaticano divennero quasi un´ossessione: «Posso dire di aver avuto un piccolo ruolo anche io», vanta Cartotto: «Organizzai un incontro tra Bertone e Aldo Brancher, un ex sacerdote che ora è uno degli uomini più importanti di Forza Italia, quando il cardinale non conosceva ancora il gruppo berlusconiano. Poi Brancher lasciò il passo a Letta soprattutto nel momento in cui Bertone divenne segretario di Stato». Il cardinale Silvio Oddi, per trent´anni prefetto della Congregazione per il clero, assolse prontamente il Berlusconi politico dal peccato del primo divorzio. Il cardinale Camillo Ruini avallò.
Il 30 giugno 2008, tre settimane dopo l´incontro Ratzinger - Berlusconi, il governo confeziona il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche che prevede una disciplina ad hoc per gli ecclesiastici. Se si intercetta un prete bisognerà avvertire il suo vescovo, se si intercetta il vescovo il segretario di Stato vaticano. E se si intercetta il papa? Opzione non prevista.

anticlericale
09-07-09, 01:22
Vaticano, pedofilia. Turco: gerarchie sono colpevoli di avere sottratto alla giustizia i responsabili

Roma, 2 giugno 2009


• Dichiarazione di Maurizio Turco, deputato radicale, Presidente di anticlericale.net:

Mi impongo di simulare che le parole del cardinale Hummes siano vere, sincere. E' quindi inevitabile chiedere al Cardinale perché quelli che lui definisce "pochi casi" di preti "che si sono macchiati di abusi gravissimi nei confronto dei minori" vengono occultati con il segreto pontificio?
Altro che gogna mediatica: il Vaticano deve rimuovere quelle prescrizioni che sono chiaramente ed esplicitamente volte a sottrarre all'amministrazione della giustizia i presunti responsabili di gravi delitti. Forse è per questo che i preti onesti soffrono. Altro che calo dell'autostima per una presunta gogna mediatica.

anticlericale
09-07-09, 01:22
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 03 GIUGNO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

Il caso
Le Sentinelle del Mattino: commandos cattolici con la missione di risvegliare la fede a tavola
Happy hour e cena per scoprire Gesù

VERONA

Hanno inventato la messa in autogrill, le confessioni in spiaggia, la chiesa gonfiabile e anche "Mission possible con un drink" che sarebbe un´evangelizzazione fashion. Come potevano restare indifferenti alla proposta di un "annuncio cristiano in dieci cene"?


Buon cibo, «come in un ristorante a costo medio alto» e tutto gratis. Alla fine della prima cena, la domanda: «Conosci Gesù? Lo sai che ti sta aspettando?». Sono i commandos della nuova Chiesa, sono le duemila Sentinelle del Mattino (così le chiamò Giovanni Paolo II). Con l´obiettivo di conquistare non tanto atei o agnostici ma «i giovani che dormono nelle nostre parrocchie», ragazzi che con un paradosso vengono chiamati «praticanti non credenti». «Sono cristiani per tradizione - dice don Andrea Brugnoli, il fondatore delle Sentinelle - e pensano che Cristo sia morto e risorto duemila anni fa. Non sanno che è vivo e chiede a ogni giovane cristiano di diventare evangelizzatore».
In una Chiesa dove quelli che vanno a messa tutte le domeniche, anche qui in Veneto, sono appena il 15% della popolazione battezzata, le Sentinelle organizzano un convegno chiamando da tutto il mondo chi ha inventato metodi nuovi per annunciare Cristo. «Già questa estate - dice don Brugnoli - cominceremo queste cene di evangelizzazione che si chiamano Alpha». Josè Alberto Barrera Marchessi, capo di Alpha in Spagna, spiega che queste cene sono ispirate dal Vangelo, «perché Cristo ha evangelizzato anche a tavola». «Noi abbiamo iniziato sei anni fa e il successo è arrivato presto. Il corsi sono stati inventati da un pastore anglicano, il reverendo Nicky Gumbel, nella parrocchia londinese di Holy Trinity Brompton. Il reverendo vedeva che tanti passavano davanti alla chiesa senza entrare e allora lui li invitò a cena. Oltremanica i risultati sono stupendi: l´anno scorso nella Holy Trinity Brompton hanno cenato 800 persone e il 40% si sono convertite. In Spagna i risultati sono minori ma solo perché Madrid è meno agnostica di Londra. Dobbiamo lavorare soprattutto per fare riscoprire la fede a chi già si sente cattolico. Le soddisfazioni però non mancano: quasi tutti, dopo la prima cena, continuano il corso. Li trattiamo bene, anche dal punto di vista culinario. Se possibile, usiamo dei veri chef». Alla seconda cena appare la cassetta per le offerte. «E noi avviamo il confronto. Le serate hanno temi precisi: chi è Gesù? Come posso essere sicuro della mia fede? Perché e come pregare? L´incontro si svolge una volta la settimana e dopo la sesta cena c´è un intero weekend che noi chiamiamo di incontro con lo Spirito Santo. Dopo la decima cena si ricomincia, ma i partecipanti debbono invitare i loro amici. I corsi Alpha hanno un successo enorme. Un padre anglicano li sta svolgendo in Iraq, per i soldati. Le cene si preparano sul tavolo che fu di Saddam, nel suo palazzo. Alpha funziona e crea polemiche. Abbiamo fatto spot nei cinema, con uno slogan semplice: "C´è più di questo, nella vita". Ma contro di noi è partita una contro-campagna, quella dell´autobus degli atei. Questo significa che stiamo lavorando bene».
Le Sentinelle studiano anche il metodo della Scuola di Sant´Andrea, inventato dal messicano Josè Prado Flores. «È un modo tutto nuovo - dice il capo delle Sentinelle - di fare catechismo. Si fa esperienza di Dio con tutti i cinque sensi. Si legge, ad esempio, che la parola di Dio è una spada ed ecco una spada che taglia un cocomero. Si dice che la parola divina è dolce come il miele ed ecco un barattolo di miele, per un assaggio. Racconta il Vangelo che Gesù, per guarire un cieco, sputò per terra, impastò la polvere e la mise sugli occhi di quell´uomo. Disse: "Ora vai alla piscina di Siloe a lavarti". Chi partecipa al catechismo viene bendato e va alla ricerca di una fontana di cui sente lo scroscio. Un catechismo così si ricorda per sempre».
Al convegno delle Sentinelle partecipa anche don Piergiorgio Perini, il milanese che a Sant´Eustorgio ha inventato le "cellule parrocchiali". «Essere nella cellula vuol dire convertirsi e convertire la moglie o il marito, gli amici, i compagni di lavoro. Con queste cellule le parrocchie morte sono diventate parrocchie in fiamme, per l´ardore di una fede che va alla testa». Tanti progetti sulla riga di partenza. Come l´ultima invenzione delle Sentinelle: l´Happy Hour. «Festa in un locale alla moda per annunciare Gesù a chi non entrerebbe mai in chiesa. Alcolici e musica cristiana d´ambiente. È come una grande rete gettata al largo». Almeno sono sinceri.

anticlericale
09-07-09, 01:26
Docente di Cesena sospeso perché promuove sondaggio tra studenti sull’ora di religione.
Depositata oggi un’interrogazione dei deputati radicali, primo firmatario Maurizio Turco.


4 giugno 2009


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Interrogazione urgente a risposta scritta Al Ministro della pubblica istruzione:







Per sapere – premesso che:



- Il 4 giugno 2009 alcuni mezzi di informazione (La Repubblica, Tg3) hanno dato notizia della sospensione da parte dell’ufficio scolastico provinciale di Cesena di Roberto Marani, docente di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico ‘Righi’ della città;

- la motivazione relativa alla sospensione per due mesi riguarda il fatto che il docente ha distribuito tra i suoi studenti un questionario sull’ora di religione che aveva come obiettivo quello di condurre un'indagine nelle proprie classi per rilevare quale insegnamento lo studente avrebbe scelto fra Religione cattolica, Storia delle religioni e Diritti umani;

- il risultato del questionario ha fatto emergere che l’11% degli studenti sceglierebbe la religione cattolica e lo stesso Collegio dei docenti, a seguito di questo risultato, ha deliberato sulla necessità di offrire agli studenti una materia alternativa;

- secondo le informazioni raccolte nell’Istituto scolastico lo stesso insegnante di religione interessato è membro del Collegio dei 130 docenti dell’Istituto che nulla aveva avuto da ridire sul questionario quando fu loro proposto nel novembre 2008; due mesi dopo, nel gennaio 2009, si è saputo che don Pasolini aveva protestato presso l’Ufficio scolastico regionale senza che nessuno dei docenti ne fosse a conoscenza;

- Il provvedimento di sospensione prevede per la sua durata il dimezzamento dello stipendio;



Per sapere:



- se non ritenga il Ministro che il provvedimento disciplinare sia ingiustificato e lesivo della dignità professionale;

- se non ritenga il Ministro che tale provvedimento vada applicato a tutto il Collegio dei 130 docenti che avevano insieme deciso di trovare una soluzione alternativa alla luce del sondaggio proposto dal docente di matematica e fisica;

- se non ritenga che questa azione disciplinare si inquadri in una logica volta a intimidire i docenti nell’ambito della loro discrezionalità educativa;

- se non ritenga di dover intervenire affinché al docente di matematica e fisica venga immediatamente reintegrato lo stipendio;

- infine, se non ritenga il Ministro che tale azione disciplinare sia finalizzata alla promozione di politiche clericali volte all’eliminazione di comportamenti più razionali e laici nella scuola pubblica italiana.



I deputati

Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci, Elisabetta Zamparutti.

anticlericale
09-07-09, 01:27
«Milano città africana», Gesuiti contro il premier





5 giugno 2009





Mossa elettorale o dichiarazione programmatica? Il direttore della rivista dei gesuiti Popoli, ad ogni modo, non ha gradito le affermazioni del presidente del Consiglio su Milano città «africana» e le necessarie azioni di «respingimento». «Comunque lo si valuti - scrive Stefano Femminis nell'editoriale del prossimo numero in edicola - il secco no di Silvio Berlusconi all'Italia multietnica, ripetuto anche ieri a Milano, è tre volte sbagliato, perché anacronistico, elusivo e miope».



Anacronistico perché «il nostro è un Paese in cui il 9,7% del Pil è prodotto da stranieri, 7 imprese su 100 sono gestite da extracomunitari e i lavoratori immigrati versano 5,5 miliardi di euro all'Inps (a fronte, per il momento, di pochissime pensioni percepite)». Elusivo perché «da noi si sceglie di non scegliere, perpetuando un approccio "emergenziale" in cui si vuol far credere all'opinione pubblica che quando si parla di immigrati (quasi 4 milioni di persone) si parla di sbarchi, lavavetri e microcriminalità». Miope, infine, perché «non investire sull'integrazione, concentrandosi solo sul totem della sicurezza, rischia di generare un effetto perverso», ossia la nascita di «italiani di serie B, incattiviti poiché a lungo esclusi, indifferenti al destino del proprio Paese di adozione poiché abituati a percepirsi come diversi».

anticlericale
09-07-09, 01:28
"La Stampa", 06 Giugno 2009, pag. 18


NUOVE NORME PER FRONTEGGIARE GLI SCANDALI

“Preti concubini”/Il Papa sceglie la linea più dura



Ma le nuove regole non saranno applicate ai casi di pedofilia e di abusi sessuali



GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO


«Preti celibi o fuori». Per impedire «scandali che confondono i fedeli», la linea dura di Benedetto XVI introduce punizioni severe, fino alla riduzione allo stato laicale. Le nuove regole non saranno applicate ai casi di pedofilia o di abuso sessuale, che continueranno ad essere soggette a speciali procedure affidate all’ex Sant’Uffizio. Diventa più semplice «spretarsi» per i sacerdoti che vivono con una donna o hanno abbandonato il ministero da più di cinque anni o si sono macchiati di comportamenti «gravemente scandalosi».
La Curia vaticana, al contempo, ottiene dal Papa più poteri per punire i preti che «peccano contro la purezza», violando il voto di castità in vario modo (anche con rapporti omosessuali) o sposandosi civilmente, senza lasciare l’abito talare. Insomma, la Chiesa non intende più tollerare zone grigie nel sacerdozio: preti che convivono, si sposano, hanno figli o lasciano per qualunque altro motivo il loro ministero senza chiedere la riduzione allo stato laicale. Benedetto XVI ha approvato una modifica al diritto canonico che dà più potere ai vescovi, invitati a richiamare all’ordine e, se necessario, ridurre unilateralmente allo stato laicale chi non lo faccia di sua spontanea volontà. Un tempo, i preti che decidevano di convivere o sposarsi civilmente informavano il loro vescovo e chiedevano una dispensa dall’obbligo del celibato. Da qualche anno, invece, molti sacerdoti dismettono la veste, si sposano civilmente, hanno figli ma non avvertono l’esigenza di chiedere la dispensa.
«Per il bene della Chiesa e del sacerdote che abbandona il suo ministero - spiega il ministro vaticano del Clero, Claudio Hummes - è bene invece che la dispensa possa comunque avvenire, per riportare la persona interessata in una situazione corretta, specialmente se ci sono figli, che hanno diritto di avere un padre in una situazione corretta agli occhi di Dio e della propria coscienza». Dunque, Benedetto XVI fronteggia il fenomeno, in evidente crescita, dei sacerdoti che infrangono il sesto comandamento, unendosi in unioni sessuali illecite, senza però trarne le dovute conseguenze ed informare i loro superiori al fine di essere esentati dai doveri del sacerdozio.
Con le nuove norme, ai vescovi rimane il compito di controllo e di decisione per l’amministrazione ordinaria ma in casi di scandali eccezionali e prolungati nel tempo, il Vaticano potrà intervenire direttamente. Nel 2000 erano in tutto il mondo circa 100 mila i preti cattolici ufficialmente sposati e che avevano lasciato il loro ministero. Tuttavia, negli ultimi anni, è avanzata una zona grigia, in cui preti concubini, o anche sposati civilmente e magari con figli, o talvolta impegnati in unioni omosessuali, hanno continuato la loro attività sacerdotale senza chiedere alcuna dispensa e creando situazioni di grave imbarazzo per i fedeli.
Per ciascun caso dovrà essere istruito «un legittimo procedimento amministrativo, con la garanzia del diritto di difesa». Potranno essere avviate inchieste, comminate ammonizioni, e l’interessato potrà dire la sua. Non sarà più necessario avviare un processo giudiziario come avveniva prima, ma alla fine la scelta dovrà essere chiara. Il «giro di vite» non deve essere inteso, precisa Hummes, come «una punizione, ma come un aiuto» a chiarire la posizione dei preti concubini e dei propri congiunti.

anticlericale
09-07-09, 01:28
"La Repubblica", SABATO, 06 GIUGNO 2009
Pagina 43 - Cultura

SE DIO RINASCE

Parla il filosofo cattolico charles taylor di cui esce "l´età secolare"
perché la religione non minaccia il mondo laico
Se Dio rinasce grazie al profano
Gli effetti della modernità sotto una luce nuova e sorprendente

ROBERTO FESTA
Barack Obama ha intessuto il suo discorso del Cairo di riferimenti al Corano, al Talmud, alla Bibbia. Fatto apparentemente insolito, per il presidente di un paese i cui Padri Fondatori guardavano la religione con sospetto e molta preoccupazione. «I preti temono il progresso della scienza come le streghe l´avanzare della luce», scrisse Thomas Jefferson, l´autore della Dichiarazione di Indipendenza. Ma «la religione, apparentemente sconfitta dalla storia, è oggi ovunque», spiega Charles Taylor, che per illustrare il concetto ha scritto le 1070 pagine di L´età secolare (Feltrinelli, euro 60). Taylor, professore emerito alla McGill University di Montréal, è autore di almeno un paio di libri fondamentali per la filosofia contemporanea (Hegel, Radici dell´Io). Il suo ultimo lavoro, L´età secolare appunto, spazia dalla storia alla sociologia, dalla teologia all´arte, dalla filosofia all´antropologia, per descrivere la vittoria di un mondo senza Dio, ma al contempo l´emergere di una spiritualità divisa, diffusa, irriducibile.
«È vero, non c´è più un Dio unico, granitico, indiscutibile», racconta Taylor da Berlino, dove si trova per un periodo di studio. Nel giro di pochi secoli, è la sua tesi, l´Occidente è passato da un mondo in cui era praticamente impossibile non credere in Dio, a un sistema aperto, plurale, che ammette, e in molti casi incoraggia, l´incredulità. «Ma questo non significa assenza della religione, o tramonto delle esigenze spirituali dell´uomo», spiega Taylor, «tutt´altro. La modernità moltiplica le opzioni, religiose e non, sviluppa nuovi impulsi spirituali, molto più frazionati, rispetto al passato, rintracciabili nell´arte, nella musica, negli aspetti più quotidiani della vita". È insomma un mondo spezzato, in cui i singoli, e le comunità, annaspano per cercare un senso alle proprie esistenze, una forma alle proprie aspirazioni. Il passaggio, secondo Taylor, rende la vita più interessante e meno semplice. «La crisi, tratto distintivo della modernità, non deriva soltanto dal tramonto di una versione indiscutibile di trascendenza. Nasce dalla religione stessa, che nelle versioni attuali incoraggia l´analisi di noi stessi, le domande su chi siamo, su dove siamo diretti. È insomma la religione del dubbio, tipica di un´età di crisi».
Non è una visione pacificata, dell´uomo e della vita, quella offerta da questo filosofo canadese, cattolico praticante, un passato di impegno politico (nel socialdemocratico "New Democratic Party"), la capacità di risultare gradito a comunitaristi e post-moderni, due tra i gruppi egemoni della filosofia anglosassone contemporanea. Ai primi, Taylor ha offerto una visione che bilancia i diritti dei singoli e quelli della più larga società, in cui gli individui-cittadini sono plasmati da culture e valori delle loro comunità. L´appello al pensiero post-moderno è invece venuto con l´idea di una filosofia che non crede nella verità ma nel potere del linguaggio, che vede le azioni umane guidate da forze esterne, incontrollabili, più che dal sé, dalla ragione, dall´adesione a una religione consapevole. «Non possiamo esimerci dal guardare sopra le nostre spalle, di tanto in tanto - scrive in L´età secolare - lanciando occhiate oblique, vivendo anche la nostra fede in una condizione di dubbio e di incertezza».
Anche questa incertezza, del resto, è stata una conquista faticosa, un processo per nulla lineare, in cui vecchie versioni del sacro si sono dissolte e nuovi inizi hanno continuamente mutato fede e pratiche religiose degli uomini. In L´età secolare, Taylor contrasta l´idea di una modernità che si sviluppa attraverso la crescita di scienza e razionalità, e la progressiva rimozione della religione dalla sfera pubblica. «La secolarizzazione nasce all´interno dell´Occidente cristiano - racconta - soprattutto con la Riforma, che afferma una concezione antropocentrica della religione, una visione avversa al magico e attenta ai diritti individuali. È quello il terreno fertile per l´emergere del mondo secolarizzato». Credere a un processo ordinato, dalla fede all´incredulità, significa per Taylor trascurare la complessità degli uomini. «Non c´è stata la semplice rimozione dell´ostacolo religioso, da parte di un uomo sempre uguale a se stesso. Ci sono stati secoli di invenzioni, di pratiche di vita, di nuovi modi di concepire se stessi, il rapporto con gli altri e con il mondo esterno». La versione attuale della secolarizzazione, secondo il filosofo, si sarebbe comunque cristallizzata nell´Ottocento, in età vittoriana: «L´Illuminismo aveva un´idea ancora molto forte di provvidenza, di creatore benevolo che regola i rapporti tra gli uomini e con la Natura». Nell´Ottocento invece, emergerebbe un´altra concezione dell´ordine naturale, «per nulla provvidenziale, ma piena di sangue, di tensione alla sopravvivenza e all´evoluzione. È il quadro concettuale che definisce i campi opposti della scienza e della religione, e che resta vivo ancora oggi».
Alcuni recensori laici di L´età secolare (per esempio Andrew Koppelman su Dissent) hanno scritto che Taylor è «un cattolico che cerca di affermare il suo, personale, teismo». In realtà, mentre la conversazione procede, il filosofo concede tranquillamente che «ci sono molti modi per fondare una teoria dei diritti umani, e quella religiosa non è migliore, più sicura, rispetto ai tentativi dei laici». Da cattolico praticante, poi, non pensa che i pontificati interventisti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI costituiscano una minaccia alla laicità dell´Occidente: «Le idee del Vaticano non sono necessariamente quelle della maggioranza dei cattolici - spiega. In certi casi coincidono, in altri no. È evidente per esempio che nel mondo cattolico esistono posizioni molto diverse sulla questione del controllo delle nascite, o su quella dei diritti gay. E sono posizioni che per la gran parte non coincidono con quelle ufficiali del Vaticano». Anche i recenti episodi di scontro e intolleranza religiosa negli Stati Uniti non vanno, secondo Taylor, enfatizzati: «Quanto successo a George Tiller, il medico assassinato dagli anti-abortisti in Kansas, è sicuramente terribile, ma non ha un vero seguito nella società americana. Non è l´inizio di un trend, può essere facilmente isolato».
Il mondo laico non ha insomma, per Charles Taylor, di che temere. La religione non costituisce una minaccia alla società liberale: «Il ruolo dei regimi laici non è quello di contenere la religione. C´è una sorta di assolutismo esagerato, in queste posizioni». Nel mondo mobile, disperso, spezzato di Taylor non esiste del resto possibilità di ritorno a una visione unitaria. Il pluralismo è un dato di fatto, la secolarizzazione una via senza ritorno, l´incertezza un dato costante della vita. Nell´età secolare non ci sono vincitori e sconfitti, non c´è un Dio che scompare e l´incredulità che trionfa, ma solo un orizzonte frammentato di identità, aspirazioni, opzioni. «Il senso più profondo ella secolarizzazione è proprio questo - conclude Taylor. Nessuno ha vinto. Nessuno può vincere».

anticlericale
09-07-09, 01:30
"La Repubblica", SABATO, 06 GIUGNO 2009
Pagina 19 - Cronaca

Giro di vite contro i preti sposati: "Via dal clero chi non è casto"
Anche i gay nel mirino. Abusi, i vescovi irlandesi dal Papa

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - Giro di vite di papa Ratzinger per quei preti che vìolano il voto di castità, anche con rapporti omosessuali, o che si sposano civilmente senza lasciare l´abito talare. Vera e propria tolleranza zero nei confronti di chi - semplici sacerdoti, ma anche esponenti della gerarchia cattolica - non rispetta uno dei capisaldi della Chiesa latina, il celibato sacerdotale, o si macchia di crimini orrendi come la pedofilia. Ne ha parlato, ieri alla Radio Vaticana, il vescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il clero, spiegando le nuove disposizioni varate da Benedetto XVI per punire preti concubini, sacerdoti gay che cadono in tentazione o ecclesiastici che commettono abusi sessuali. Norme rese note nei giorni scorsi in una lettera inviata agli oltre 400 mila parroci distribuiti nei 5 continenti.
Ma ieri in Vaticano c´è stato anche un delicato summit tra Ratzinger ed i vertici della Chiesa cattolica d´Irlanda per discutere come fronteggiare - anche dal punto di vista di risarcimenti economici per le vittime - lo scandalo delle violenze sessuali su minori commesse negli anni passati da preti e suore. Una delle pagine più nere dei cattolici irlandesi messe a punto dopo una inchiesta svolta da un organismo governativo, la Child Abuse Commission, che ha scoperto che dal 1940 al 1980 in Irlanda ci sono stati circa 2500 casi di violenze sessuali commesse sui piccoli ospiti di istituti religiosi. Al Papa hanno relazionato il primate irlandese, il cardinale Sean Baptiste Brady, e l´arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, il quale ha - tra l´altro - preannunciato che «purtroppo tra poco uscirà un altro rapporto su altre violenze sessuali compiute negli anni passati anche nella mia diocesi». Nulla è trapelato sull´incontro, anche se è certo che Martin ha confermato al Papa quanto ha detto in una recentissima intervista dove ha sostenuto «l´importanza di fare in modo che tutta la verità venga a galla» e che «le vittime vanno aiutate, pur essendo consapevoli che le sofferenze inflitte ai bambini non potranno mai essere cancellate».
Ampia, invece, la spiegazione sul nuovo giro di vite voluto dal Papa illustrata da monsignor Piacenza alla Radio Vaticana. Alla Congregazione del clero, ha assicurato il presule, sono stati dai più poteri di intervento. «Innanzitutto la facoltà di trattare i casi di dimissione dallo stato clericale in poena (come punizione, ndr), con relativa dispensa da tutti gli obblighi decorrenti dall´ordinazione, di chierici che abbiano attentato al matrimonio anche solo civilmente e che ammoniti non si ravvedano e continuino nella condotta di vita irregolare e scandalosa; e di chierici colpevoli di gravi peccati esterni contro il sesto Comandamento», quello che vieta di «commettere adulterio». Una norma che secondo il catechismo della Chiesa cattolica riguarda - ha specificato Piacenza - «l´insieme della sessualità umana» e «le offese contro la castità, compresa l´omosessualità». «Naturalmente, ogni eventuale caso - ha puntualizzato il vescovo - dovrà essere istruito per mezzo di un legittimo procedimento amministrativo» perché «il diritto di difesa deve essere sempre garantito».

anticlericale
09-07-09, 01:31
"La Stampa", 08 Giugno 2009, pag. 15

Un tema che divide la Chiesa

Cremazione/È scontro tra i vescovi
Un prelato scrive ai parroci: niente funerale religioso a chi porta l’urna fuori dal cimitero


GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO


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Scoppia la «guerra delle ceneri». In alcune province, come Modena e Reggio Emilia, le cremazioni hanno raggiunto le tumulazioni e crescono ad un ritmo tale da suscitare le proteste di chi abita vicino agli impianti crematori e teme che le esalazioni siano nocive per la salute. Un fenomeno che allarma e divide i vescovi. «Spargere le ceneri di un defunto o conservare l’urna in un luogo diverso dal cimitero è una scelta contrarie alla fede cristiana e pertanto comporta la privazione delle esequie ecclesiastiche», fa esplodere il caso, Mario Meini, vescovo di Pitigliano, Sovana e Orbetello in una lettera inviata ai parroci della diocesi del Grossetano per negare i funerali religiosi a chi sparge le ceneri.
La raccomandazione
Il vescovo toscano raccomanda ai parroci di essere vigili: «La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti». Ma non tutte le diocesi si regolano in questo modo. Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì e commissario Cei per la Dottrina della fede, nega che dopo la cremazione sia proibito disperdere le ceneri. «Dio come configura un corpo collaborando con i genitori, così non ha difficoltà a recuperare gli elementi comunque si siano volatilizzati - spiega Pacomio -. E dalle ceneri, Dio può ripristinare ugualmente la configurazione del corpo. Non ha senso vietare il funerale a una persona che voglia disperdere le ceneri e che intenda farlo non in una forma ostile, “ostracista”, di disprezzo del corpo ma perché ritiene che sia le formula migliore». Negare il funerale religioso, aggiunge, «è il riflesso di una vecchia mentalità».
Le Sacre Scritture
Certo, evidenzia Pacomio, «se uno ritiene che dopo la morte non ci sia niente e quindi tanto vale annullarsi totalmente, sottovaluta la corporeità come condizione specifica dell’uomo nella storia e nel cosmo. Ma se le motivazioni non sono un segno di disprezzo, non si infrange nulla di ciò che la Chiesa ha legiferato». Tanto più, osserva Pacomio, che secondo le Sacre Scritture «nel giorno del giudizio, la resurrezione avverrà in anima e corpo, nella totalità della persona. La comprensione dell’io spirituale va oltre la durata del tempo e della condizione di corporeità. Il corpo sono io stesso, non è un’altra cosa rispetto a me»
Il boom delle cremazioni ha spinto la Conferenza episcopale a inviare alle diocesi un sussidio pastorale per i «funerali in caso di cremazione» nel quale si prende atto che «la cultura del cimitero e della tomba è mutata e pratiche un tempo atee vanno diffondendosi anche tra i credenti».


Il dolore
La legislazione civile lo consente ma la Chiesa ritiene che «spargere le ceneri impedisca di esprimere in un luogo preciso il dolore personale e comunitario, estinguendo anzitempo il ricordo dei morti per effetto di mentalità panteistiche o naturalistiche». In Italia le cremazioni corrispondono al 10% dei decessi (53mila su 558mila decessi annui) e sono in funzione 45 crematori (altri 6 entro giugno): 31 al Nord, 9 al Centro e 5 al Sud. Ciò significa che la cremazione arriva al 15,7% al Nord, al 9,6% al Centro e allo 0,35% nel Mezzogiorno. Gli impianti più grandi sono a Milano, Torino, Roma, Genova e Bologna. «Nell’ultimo decennio si è passati dallo 0,7% a quasi il 10% nazionale - afferma Alessandro Bosi, segretario della Federazione Imprese Onoranze Funebri -. E’ un trend supportato dal proliferare di leggi regionali, mentre a livello nazionale si sconta l’assenza di una normativa ad hoc».

anticlericale
09-07-09, 01:31
"La Stampa", 09 Giugno 2009, pag. 4


Effetto Veronica-Noemi: l’esodo dei cattolici

Retroscena
Una buona quota diserta le urne o sceglie l’Udc

GIACOMO GALEAZZI
CITTA’DEL VATICANO


Nei Sacri Palazzi, insegnava Amintore Fanfani, è custodito il barometro degli umori politici dei cattolici. Non sorprende in Vaticano, quindi, che una quota dei «voti di Dio» abbia disertato le urne o sia passata dal Pdl a partiti come l’Udc che hanno travasato nelle liste gli organigrammi dell’associazionismo ecclesiale (Movimento per la vita, Rinnovamento nello spirito, neocatecumenali, Unitalsi, Medici cattolici). Il «caso Noemi» ha suscitato Oltretevere malumori e apprensioni, testimoniate dalle aperte critiche a Silvio Berlusconi di «Avvenire» e «Famiglia Cristiana», di ministri vaticani come il cardinale Walter Kasper e dell’ex vicepresidente Cei, Alessandro Plotti. All’Assemblea di fine maggio dei vescovi italiani, ogni giorno è arrivata una pubblica stilettata al premier richiamato a «sobrietà e senso di responsabilità». «Chi come lui incarna le istituzioni deve rispondere dei propri comportamenti», chiede l’ordinario di Montecassino, Pietro Vittorelli. Di fronte allo scandalo il numero due della Cei, Mariano Crociata osserva: «Ognuno ha la propria coscienza e la propria capacità di giudizio». Poi è il vescovo Diego Coletti, ministro dell’Istruzione, a stigmatizzare che «la bellezza diventi l’unico criterio della vita politica». Infine interviene il capo della Chiesa italiana per ricordare che «l’integrità morale richiede coerenza di comportamenti».
Adesso, dunque, non stupisce più di tanto le gerarchie ecclesiastiche che, secondo alcune indagini sui flussi elettorali, il 20% dei praticanti abbia voltato le spalle al Pdl. «Serve una seria riflessione sull’aumento dell’astensionismo e dell’euroscetticismo», allargava ieri il discorso il Sir, l’agenzia della Cei che mette comunque Berlusconi tra i leader «almeno non bocciati» dagli elettori. Se molti italiani hanno disertato le urne, argomenta l’Osservatore Romano, «di certo vi hanno contribuito le polemiche aspre delle ultime settimane».
Inoltre, evidenzia il quotidiano vaticano, la Lega «ha incassato l’effetto dei provvedimenti governativi, in materia di immigrazione, sicurezza e federalismo fiscale, dei quali è stato uno dei principali ispiratori» e ora «sembra poter giocare un ruolo ancora più determinante nel corso della presente legislatura». Per il giornale della Santa Sede «l’affermazione della Lega potrebbe avere effetti anche sulle dinamiche interne del Pdl, dove le posizioni della componente che proviene da Alleanza nazionale tendono a distinguersi».
Insomma, per la maggioranza alla quale venivano attribuite in Curia «le migliori relazioni con il Vaticano dal dopoguerra ad oggi», il barometro dei Sacri Palazzi sembra segnare fitte nubi all’orizzonte. La preoccupazione per «l’affermazione di posizioni xenofobe e contrarie all’accoglienza degli extracomunitari» si fa ben presente anche su «Radio Vaticana», dove l’Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, monsignor Aldo Giordano registra come, in controtendenza, l’orientamento del voto cattolico sia andato in due direzioni, quello della vita e dell’attenzione alla famiglia e quello della solidarietà. Una grande parte dei cattolici è sensibile a votare persone che garantiscano un’attenzione a questi temi che noi riteniamo decisivi per il futuro stesso dell’umanità e fondamentali per la società». Al tempo stesso, «il bisogno di sicurezza penalizza la sinistra», in quanto «non si sa come controllare la paura davanti a fenomeni, che sembrano sconvolgere le tradizioni e i volti dei Paesi, come le ondate migratorie, l’incontro fra popoli e culture, la crisi della finanza mondiale e globale».

anticlericale
09-07-09, 01:32
"La Stampa", 09 Giugno 2009, pag. 4


Effetto Veronica-Noemi: l’esodo dei cattolici

Retroscena
Una buona quota diserta le urne o sceglie l’Udc

GIACOMO GALEAZZI
CITTA’DEL VATICANO


Nei Sacri Palazzi, insegnava Amintore Fanfani, è custodito il barometro degli umori politici dei cattolici. Non sorprende in Vaticano, quindi, che una quota dei «voti di Dio» abbia disertato le urne o sia passata dal Pdl a partiti come l’Udc che hanno travasato nelle liste gli organigrammi dell’associazionismo ecclesiale (Movimento per la vita, Rinnovamento nello spirito, neocatecumenali, Unitalsi, Medici cattolici). Il «caso Noemi» ha suscitato Oltretevere malumori e apprensioni, testimoniate dalle aperte critiche a Silvio Berlusconi di «Avvenire» e «Famiglia Cristiana», di ministri vaticani come il cardinale Walter Kasper e dell’ex vicepresidente Cei, Alessandro Plotti. All’Assemblea di fine maggio dei vescovi italiani, ogni giorno è arrivata una pubblica stilettata al premier richiamato a «sobrietà e senso di responsabilità». «Chi come lui incarna le istituzioni deve rispondere dei propri comportamenti», chiede l’ordinario di Montecassino, Pietro Vittorelli. Di fronte allo scandalo il numero due della Cei, Mariano Crociata osserva: «Ognuno ha la propria coscienza e la propria capacità di giudizio». Poi è il vescovo Diego Coletti, ministro dell’Istruzione, a stigmatizzare che «la bellezza diventi l’unico criterio della vita politica». Infine interviene il capo della Chiesa italiana per ricordare che «l’integrità morale richiede coerenza di comportamenti».
Adesso, dunque, non stupisce più di tanto le gerarchie ecclesiastiche che, secondo alcune indagini sui flussi elettorali, il 20% dei praticanti abbia voltato le spalle al Pdl. «Serve una seria riflessione sull’aumento dell’astensionismo e dell’euroscetticismo», allargava ieri il discorso il Sir, l’agenzia della Cei che mette comunque Berlusconi tra i leader «almeno non bocciati» dagli elettori. Se molti italiani hanno disertato le urne, argomenta l’Osservatore Romano, «di certo vi hanno contribuito le polemiche aspre delle ultime settimane».
Inoltre, evidenzia il quotidiano vaticano, la Lega «ha incassato l’effetto dei provvedimenti governativi, in materia di immigrazione, sicurezza e federalismo fiscale, dei quali è stato uno dei principali ispiratori» e ora «sembra poter giocare un ruolo ancora più determinante nel corso della presente legislatura». Per il giornale della Santa Sede «l’affermazione della Lega potrebbe avere effetti anche sulle dinamiche interne del Pdl, dove le posizioni della componente che proviene da Alleanza nazionale tendono a distinguersi».
Insomma, per la maggioranza alla quale venivano attribuite in Curia «le migliori relazioni con il Vaticano dal dopoguerra ad oggi», il barometro dei Sacri Palazzi sembra segnare fitte nubi all’orizzonte. La preoccupazione per «l’affermazione di posizioni xenofobe e contrarie all’accoglienza degli extracomunitari» si fa ben presente anche su «Radio Vaticana», dove l’Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, monsignor Aldo Giordano registra come, in controtendenza, l’orientamento del voto cattolico sia andato in due direzioni, quello della vita e dell’attenzione alla famiglia e quello della solidarietà. Una grande parte dei cattolici è sensibile a votare persone che garantiscano un’attenzione a questi temi che noi riteniamo decisivi per il futuro stesso dell’umanità e fondamentali per la società». Al tempo stesso, «il bisogno di sicurezza penalizza la sinistra», in quanto «non si sa come controllare la paura davanti a fenomeni, che sembrano sconvolgere le tradizioni e i volti dei Paesi, come le ondate migratorie, l’incontro fra popoli e culture, la crisi della finanza mondiale e globale».

anticlericale
09-07-09, 01:33
Otto per mille alla Cei: calo di 4 punti
• da Il Sole 24 Ore del 16 giugno 2009, pag. 18

di Carlo Marroni

Si conferma la tendenza: calano le entrate della Chiesa italiana, ed è allarme tra i vescovi, che hanno varato un programma di tagli alla spesa del 20% delle spese correnti per gli uffici e ai fondi per la catechesi. Dall’ultima assemblea annuale della Conferenza Episcopale emerge -grazie alle anticipazioni dell’agenzia cattolica Adista, sempre molto informata sulle faccende interne alla Chiesa che sono calate di quasi quattro punti, dall’89,8% del 2008 all’86,o2% di quest’anno, i fondi assegnati dallo Stato alla Cei in base alla ripartizione dell’8 per mille. Dai 1.002 milioni di curo del 2008 (che facevano riferimento alle dichiarazioni del 2005 relative quindi ai redditi del 2004) si è passati a 967,5 milioni: esattamente la Cei ha percepito 913 milioni versati come anticipo e 54,3 come conguaglio. La relazione sui conti è stata effettuata dal segretario generale, monsignor Mariano Crociata, che guida la "macchina" della Conferenza. E le sue parole sono state molto dure e chiare: il 2009, che già rappresenta il punto «minimo di entrate nell’ultimo triennio», è aggravato dalla crisi finanziaria, il che comporta che la Cei potrà attingere dall’avanzo di gestione del 2008 le sole risorse necessarie perla carità del Papa e gli aiuti alle chiese dell’Europa orientale (11 milioni), mentre l’anno precedente era stato possibile integrare la ripartizione con 21 milioni di curo. Insomma, la Cei nel 2008 aveva chiuso in attivo e a fine anno aveva potuto integrare alcuni capitoli di bilancio con fondi aggiuntivi, mentre quest’anno tutto è più difficile. E per il futuro? «Da tutto questo - spiegala relazione Cei - deriva che potremo aspettarci aumenti significativi dei flussi dell’8 per mille solo in presenza di incrementi del gettito fiscale e dal contestuale mantenimento della percentuale delle firme a favore della Chiesa cattolica». Fatto che appare tutt’altro che scontato, visto che le "firme" a favore dello Stato stanno progressivamente aumentando (quest’anno hanno pesato perla Chiesa una flessione di introiti per ben 15 milioni): ma alla Cei si è ottimisti, e si stima una risalita delle adesioni all’87% per le dichiarazioni di quest’anno e all’88% per il prossimo. In ogni casi le cifre emerse nel corso dell’assemblea annuale presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco erano già in buona parte conosciute dai vescovi, che lo scorso settembre avevano deciso di intensificare le campagne pubblicitarie, come del resto si è visto in tv e sui giornali negli ultimi mesi.

anticlericale
09-07-09, 01:38
Otto per mille alla Cei: calo di 4 punti
• da Il Sole 24 Ore del 16 giugno 2009, pag. 18

di Carlo Marroni

Si conferma la tendenza: calano le entrate della Chiesa italiana, ed è allarme tra i vescovi, che hanno varato un programma di tagli alla spesa del 20% delle spese correnti per gli uffici e ai fondi per la catechesi. Dall’ultima assemblea annuale della Conferenza Episcopale emerge -grazie alle anticipazioni dell’agenzia cattolica Adista, sempre molto informata sulle faccende interne alla Chiesa che sono calate di quasi quattro punti, dall’89,8% del 2008 all’86,o2% di quest’anno, i fondi assegnati dallo Stato alla Cei in base alla ripartizione dell’8 per mille. Dai 1.002 milioni di curo del 2008 (che facevano riferimento alle dichiarazioni del 2005 relative quindi ai redditi del 2004) si è passati a 967,5 milioni: esattamente la Cei ha percepito 913 milioni versati come anticipo e 54,3 come conguaglio. La relazione sui conti è stata effettuata dal segretario generale, monsignor Mariano Crociata, che guida la "macchina" della Conferenza. E le sue parole sono state molto dure e chiare: il 2009, che già rappresenta il punto «minimo di entrate nell’ultimo triennio», è aggravato dalla crisi finanziaria, il che comporta che la Cei potrà attingere dall’avanzo di gestione del 2008 le sole risorse necessarie perla carità del Papa e gli aiuti alle chiese dell’Europa orientale (11 milioni), mentre l’anno precedente era stato possibile integrare la ripartizione con 21 milioni di curo. Insomma, la Cei nel 2008 aveva chiuso in attivo e a fine anno aveva potuto integrare alcuni capitoli di bilancio con fondi aggiuntivi, mentre quest’anno tutto è più difficile. E per il futuro? «Da tutto questo - spiegala relazione Cei - deriva che potremo aspettarci aumenti significativi dei flussi dell’8 per mille solo in presenza di incrementi del gettito fiscale e dal contestuale mantenimento della percentuale delle firme a favore della Chiesa cattolica». Fatto che appare tutt’altro che scontato, visto che le "firme" a favore dello Stato stanno progressivamente aumentando (quest’anno hanno pesato perla Chiesa una flessione di introiti per ben 15 milioni): ma alla Cei si è ottimisti, e si stima una risalita delle adesioni all’87% per le dichiarazioni di quest’anno e all’88% per il prossimo. In ogni casi le cifre emerse nel corso dell’assemblea annuale presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco erano già in buona parte conosciute dai vescovi, che lo scorso settembre avevano deciso di intensificare le campagne pubblicitarie, come del resto si è visto in tv e sui giornali negli ultimi mesi.

anticlericale
09-07-09, 01:38
Abusi in parrocchia, il Comune di Roma in aula contro l'imputato sacerdote.
Il radicale Staderini si è costituito parte civile a nome del Campidoglio nel processo per pedofilia contro don Conti.

• da Corriere della Sera on line del 15 giugno 2009

di Claudia Voltattorni

Parte civile per la prima volta in un processo di pedofilia che vede coinvolto un sacerdote. Il Comune di Roma contro don Ruggero Conti, accusato di violenza sessuale su minori e prostituzione minorile. Martedì 16 giugno, presso la VI sezione del Tribunale penale di Roma, si terrà l'udienza di giudizio immediato (come chiesto dal difensore del sacerdote, l'avvocato Patrizio Spinelli) che vede imputato don Conti, ex parroco della chiesa Natività di Maria Santissima, in via di Selva Candida. L'uomo, 56 anni, è accusato dal pm Francesco Scavo di abusi sessuali avvenuti tra il 1998 e il 2008 su almeno 7 minorenni, alcuni dei quali di età inferiore ai 14 anni.
PARTE CIVILE - Nell'aula del tribunale ci sarà anche il Comune di Roma che si è costituito parte civile. Farà le sue veci il radicale Mario Staderini: «Assistito dall'avv. Elisabetta Valeri, ho esercitato l'azione popolare prevista dall'art. 9 dello Statuto comunale, costituendomi parte civile nel processo a nome del Comune di Roma». Il Campidoglio è sempre parte civile in tutti i casi di violenza sessuale contro le donne. Una decisione presa da Walter Veltroni durante il suo mandato e ripresa e portata avanti dal sindaco di oggi Gianni Alemanno. Ma, spiega Staderini, «il Comune non fa lo stesso nei casi di violenza contro i bambini, forse ha paura di dare fastidio a qualcuno?».
L'EX GARANTE - La mossa del radicale è una novità nel panorama italiano. Nel caso di processi di pedofilia in cui sono coinvolti religiosi, finora nessun Comune si era mai costituito parte civile. «È un vero peccato che ciò avvenga senza l'adesione dell'amministrazione capitolina», aggiunge Staderini. Infatti formalmente il Comune di Roma non ha fatto la prima mossa. Anzi, al momento «subisce» la decisione di Staderini che dice: «Alemanno non ha ancora mai risposto alla mia richiesta di fare sua (del Comune di Roma, ndr) la mia decisione». Forse, ipotizza ancora Staderini, c'entra il fatto che don Conti aveva partecipato alla campagna elettorale a sindaco di Alemanno in qualità di «garante delle politiche della famiglia: «Il sindaco ha purtroppo scelto di non stare dalla parte delle vittime».
L'ARRESTO NEL 2008 - È pur vero che, il 30 giugno 2008, giorno dell'arresto di don Conti, lo stesso Alemanno disse: «È stato un grande dolore. Chiedo ai magistrati e agli inquirenti di fare tutta la chiarezza possibile e non fare sconti a nessuno: quando si parla di pedofilia bisogna essere estremamente rigorosi e netti, perché questo è un male che va combattuto in tutti i modi».

anticlericale
09-07-09, 01:41
"La Stampa", 16 Giugno 2009, pag. 25

LA CEI TAGLIA LE SPESE


Chiesa cattolica: in calo del 4% le quote dell’8 per mille


GIACOMO GALEAZZI
CITTA’DEL VATICANO


Calano del 4% gli introiti dell’otto per mille e la Cei è costretta a tagliare del 20% le spese correnti. Scendono, dall’89,82% del 2008 all’86,02% del 2009, i fondi assegnati alla Chiesa da parte dello Stato in base alle firme dei contribuenti. Dai 1002,5 milioni di euro del 2008 si passa ai 967,5 milioni di euro del 2009. Ad aggravare ulteriormente un 2009 che per la Conferenza episcopale «rappresenta il punto minimo delle entrare dell’ultimo triennio» è, spiega il segretario generale Crociata, il fatto che «quest’anno, in conseguenza della crisi dei mercati finanziari la Cei potrà attingere dall’avanzo di gestione dell’esercizio 2008 le sole risorse necessarie a sostenere la carità del Papa e gli aiuti alle Chiese dell’Europa orientale (11 milioni di euro)».
Nel 2008, invece, «era stato possibile integrare la ripartizione con 21 milioni di euro». Quindi, lo scorso anno la Cei aveva chiuso in attivo e, a fine anno, aveva anche potuto «rimpolpare» alcuni capitoli di bilancio con fondi aggiuntivi. Il calo delle firme a favore della Chiesa preoccupa, dunque, le gerarchie ecclesiastiche, visto che proprio a partire dal 2005 i vescovi sono stati coinvolti in vicende pubbliche che hanno suscitato dibattiti importanti ma spesso aspri (dalla fecondazione assistita ai Pacs). Ora si va verso un taglio del 20% alle spese correnti degli uffici della Cei e al «Fondo per la catechesi e l’educazione cristiana».
Invariati, invece, i fondi destinati alla carità.

anticlericale
09-07-09, 01:42
"La Stampa", 16 Giugno 2009, pag. 25

LA CEI TAGLIA LE SPESE


Chiesa cattolica: in calo del 4% le quote dell’8 per mille


GIACOMO GALEAZZI
CITTA’DEL VATICANO


Calano del 4% gli introiti dell’otto per mille e la Cei è costretta a tagliare del 20% le spese correnti. Scendono, dall’89,82% del 2008 all’86,02% del 2009, i fondi assegnati alla Chiesa da parte dello Stato in base alle firme dei contribuenti. Dai 1002,5 milioni di euro del 2008 si passa ai 967,5 milioni di euro del 2009. Ad aggravare ulteriormente un 2009 che per la Conferenza episcopale «rappresenta il punto minimo delle entrare dell’ultimo triennio» è, spiega il segretario generale Crociata, il fatto che «quest’anno, in conseguenza della crisi dei mercati finanziari la Cei potrà attingere dall’avanzo di gestione dell’esercizio 2008 le sole risorse necessarie a sostenere la carità del Papa e gli aiuti alle Chiese dell’Europa orientale (11 milioni di euro)».
Nel 2008, invece, «era stato possibile integrare la ripartizione con 21 milioni di euro». Quindi, lo scorso anno la Cei aveva chiuso in attivo e, a fine anno, aveva anche potuto «rimpolpare» alcuni capitoli di bilancio con fondi aggiuntivi. Il calo delle firme a favore della Chiesa preoccupa, dunque, le gerarchie ecclesiastiche, visto che proprio a partire dal 2005 i vescovi sono stati coinvolti in vicende pubbliche che hanno suscitato dibattiti importanti ma spesso aspri (dalla fecondazione assistita ai Pacs). Ora si va verso un taglio del 20% alle spese correnti degli uffici della Cei e al «Fondo per la catechesi e l’educazione cristiana».
Invariati, invece, i fondi destinati alla carità.

anticlericale
09-07-09, 01:42
Il prete pedofilo che imbarazza la Giunta Alemanno


• da La Stampa del 17 giugno 2009, pag. 20

-->

di Giacomo Galeazzi
-->Bufera sulla decisione del Campidoglio di non costituirsi parte civile nel processo a carico di don Ruggero Conti, 56 anni, il parroco accusato di prostituzione minorile e atti sessuali su minori.
Pedofilo, secondo il capo d’imputazione, ma con «background» di garante per la famiglia e collaboratore del sindaco Gianni Alemanno per la Notte bianca della solidarietà. «E’ vergognoso che si protegga un grande elettore accusato di un reato infamante - attacca Francesco Storace, capogruppo de “La Destra” -. Il tribunale ha dato notizia di una lettera in cui il sindaco rinuncia a costituirsi parte civile». Poco dopo Alemanno corre ai ripari, rimuovendo dall’incarico Rita Camilli, il dirigente che ha applicato in maniera letterale il regolamento comunale che obbliga il Comune a costituirsi parte civile nelle violenze alle donne, ma non automaticamente in quelle sui minori. Il sindaco, in campagna elettorale, aveva inserito in una commissione di «saggi» don Ruggero, il sacerdote che avrebbe abusato per 10 anni di numerosi giovani affidati alle sue cure nell’oratorio o nei campeggi estivi. Un anno fa era stato arrestato nella parrocchia della Natività.
Le vicende contestate sarebbero avvenute tra il 1998 e il 2008 e vedono coinvolti minori maschi. In alcuni casi, secondo il pm, i ragazzi sarebbero stati indotti a «compiere o subire atti sessuali in cambio di denaro e di altra utilità, in genere capi d’abbigliamento». L’indagato avrebbe approfittato delle situazioni di disagio in cui si trovavano i minorenni, incluso il bambino affidato al prete dalla madre in pesanti difficoltà economiche. Il parroco avrebbe dovuto aiutarlo a studiare e, invece, avrebbe abusato del minore per una quarantina di volte in cambio di abiti o denaro, dai 10 ai 30 euro ogni volta. Stesso copione con un altro minorenne, con il quale avrebbe avuto quattro o cinque rapporti al mese. Avrebbe anche approfittato di un’altra vittima, dopo averla convinta a seguirlo nella sua abitazione.
Poi ci sono gli episodi avvenuti durante i campi estivi organizzati a Santa Caterina Valfurva o in Trentino. «Le accuse appaiono gravissime, perché riferiscono di un numero impressionante di abusi sessuali», si legge nelle motivazioni del Tribunale del Riesame. Nel processo, rinviato al 7 luglio, Mario Staderini dei Radicali ha utilizzato una norma dello statuto comunale che consente a qualsiasi cittadino di poter chiedere la costituzione di parte civile. Il presidente della sesta sezione penale Luciano Pugliese ha accolto la richiesta. Sarà la prima volta a Roma in un processo per abusi su minori.
«Suppliamo ad una precisa scelta dell’amministrazione comunale che ha deciso di non essere rappresentata - commenta Staderini -. Don Conti risulta essersi speso in campagna elettorale per Alemanno». Nessuno spazio per il dubbio tra chi lo dipinge come un dottor Jekyll e Mister Hyde, accusandolo di terribili nefandezze come l’aver abusato sessualmente di almeno sette giovani, e chi invece ne ha fatto «un martire.
Ieri all’udienza sono arrivati in centinaia dalla borgata Selva Candida, con tanto di t-shirt e scritte «Don Ruggero ti vogliamo bene». Hanno affollato l’aula del Tribunale guardando minacciosamente due delle presunte vittime. In aula c’era anche lui, don Conti. Nel pomeriggio, poi, Alemanno ha annunciato che ovvierà all’«errore burocratico», chiedendo alla corte la costituzione di parte civile.
Marinella Colombo, la madre milanese di due bimbi riportati in Germania, «è disperata e preannuncia lo sciopero della fame». Lo anticipa l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell’Ami (Associazione Matrimonialisti Italiani). Ai primi di maggio le Forze dell’ordine hanno prelevato a scuola i figli della signora Colombo, Leonardo e Nicolò (11 e 9 anni), per riportarli dal padre tedesco ai quali sono stati affidati dal giudice. Da allora la donna non ha più avuto contatti o notizie dei due bambini.

anticlericale
09-07-09, 01:43
SENATO, RADICALI A BONDI: SINDONE VADA ALLO STATO

(9Colonne) Roma, 18 giu - La Sindone è di proprietà dello Stato italiano, poiché la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione che avoca i beni degli ex re di Casa Savoia ala Repubblica, rende giuridicamente nullo l'atto di donazione della reliquia al Papa, compiuto dai Savoia, a seguito di un lascito testamentario, alla morte dell'ultimo re d'Italia, Umberto II, nel 1983. Lo sostengono i senatori radicali Marco Perduca e Poretti citando peraltro il recente parere analogo di Francesco Margiotta Broglio, uno dei massimi studiosi dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia, a cui si deve la revisione del Concordato del 1984. Alla luce di queste affermazioni i senatori chiedono in una interrogazione al ministro dei Beni culturali quali iniziative intenda prendere, "alla luce del parere autorevolmente espresso dal professor Margiotta Broglio, per riaffermare e ribadire la proprietà dello Stato italiano sulla Sindone, senza per questo negare in alcun modo sia a credenti e fedeli la possibilità di accesso e di venerazione, sia all'Episcopato torinese la possibilità di conservazione e di ostensione della reliquia". Aggiungono inoltre che la riaffermazione della proprietà dello Stato sulla Sindone, "può e deve significare soprattutto la possibilità di nuovi studi scientifici indipendenti, non condizionati, sulle origini del lenzuolo".

(Grm)

anticlericale
09-07-09, 01:43
CERTI DIRITTI: "NO A MARIO MAURO PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO, MEGLIO ALTRI PULPITI".

Dichiarazione di Sergio Rovasio, Segretario di Certi Diritti:

"Nonostante le promesse ed i proclami di Berlusconi, di Frattini, di Alfano, non sembra che l'Italia riuscirà a piazzare il candidato del PDL Mario Mauro alla Presidenza del Parlamento europeo. Come riportano i giornali internazionali, a Mario Mauro il suo stesso gruppo politico, il PPE, preferisce il candidato polacco, protestante, ex-Primo Ministro Buzek per il prestigioso posto. Le stesse fonti riferiscono che Mauro é visto come "troppo pio". In realtà é visto come troppo vicino alle posizioni della destra cattolica fondamentalista. Anche se il PPE decidesse di candidare Mauro, il PSE o il gruppo ALDE dovrebbero poi votare per lui, cosa poco probabile.

Mario Mauro sarà persona corretta e lavoratrice, in particolare rispetto agli altri deputati italiani del centro-destra, che spiccano per le loro assenze nel corso dei lavori del PE. Ma le sue posizioni politiche sono considerate troppo integraliste dal gruppo PPE e dal PE. Mario Mauro si é pronunciato con opinioni controverse ed in un modo molto chiaro: dalla bandiera europea simbolo cristiano della Vergine Maria, al continuo richiamo all'Europa nata cristiana e per la difesa dell'identità e delle radici cristiane - altrimenti l'Europa "non é", alla "dittatura laica" totalitaria al "supermercato dei diritti" voluto dalla comunità internazionale sui diritti umani, ai "nuovi diritti" come cavallo di Troia per distruggere la tradizione alla "cristianofobia" esistente nell'UE, dalla proposta di un concordato tra UE e chiesa cattolica sul modello italiano alla risoluzione sull'omofobia approvata dal PE definita come un "manifesto inneggiante alla distruzione dei valori", dalle idee sulla famiglia "deformate e devianti" alla ricerca sulle cellule staminali ed al richiamo a Mendele, dalla sua vicinanza a CL ed ai Legionari di Cristo alle sue difese di Berlusconi e delle sue veline e perfino dell'operato del governo sui rom.

Ci auguriamo vivamente che non si sia costretti a vivere un dejà vu, ovvero un Buttiglione 2, e che Mauro possa portare avanti le sue idee e battaglie, che rispettiamo profondamente, da un altro pulpito - politico o di altro tipo e forse più consono alle tematiche ed opinioni da lui sollevate ed espresse - piuttosto che da quello della Presidenza del Parlamento europeo".

Il dossier su Mario Mauro é disponibile al sito di Certi Diritti www.certidiritti.it

anticlericale
09-07-09, 01:44
"La Stampa", 19 Giugno 2009, pag. 22

Il monito di Benedetto XVI
Allarme del Papa: non si ferma la fuga dei fedeli

Appello ai preti «Non dovete mai rassegnarvi: imitate il curato d’Ars
che ci stava 16 ore al giorno»

Ai parrocchiani: «Dovete riscoprire il significato e la bellezza della penitenza e del perdono»

Il grande deserto dei confessionali

GIACOMO GALEAZZI
CITTA’DEL VATICANO

//alert(cont); if(cont==1){ immagine('20090619/foto/H10_379.jpg'); } Benedetto XVI lancia l’allarme per la confessione in grave crisi. «I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli verso il sacramento». Il Pontefice fotografa l’attuale situazione della confessione caduta in disuso e con i confessionali desolatamente vuoti da entrambi i lati. «Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a lui», sollecita i sacerdoti di tutto il mondo nella lettera per l’apertura dell’anno a loro dedicato.
Il Pontefice è convinto che la «fuga» dei fedeli dipenda anche da una precedente diserzione dei sacerdoti, perciò indica ai preti il modello del curato d’Ars, patrono dei parroci, che un secolo e mezzo fa trascorreva in confessionale 16 ore al giorno. Inoltre chiede ai sacerdoti di «mettere al centro delle preoccupazioni pastorali» la confessione e di imparare «un’inesauribile fiducia nel sacramento della penitenza e il metodo del dialogo di salvezza che in esso si deve svolgere». E’ il sacramento più difficile e dimenticato, ma Benedetto XVI vuole cambiare rotta ricreando il legame fiduciario tra fedeli e pastori d’anime.
Le «infedeltà» dei preti non saranno «mai abbastanza deplorate»: la Chiesa ne «soffre» e il mondo ne «trae motivo di scandalo e rifiuto». Il Pontefice ricorda i tanti preti fedeli e i martiri ed evidenzia che non «è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri che può giovare alla Chiesa». Intanto sull’«Osservatore romano» l’arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il clero denuncia un «attacco mediatico contro il sacerdozio cattolico, ben concertato, senza precedenti e che va ben oltre il diritto di cronaca».
Joseph Ratzinger traccia l’identikit del parroco e della sua missione dopo che nelle scorse settimane ha tenuto due importanti vertici in Vaticano, con la Chiesa irlandese e con quella austriaca, in cui sono state affrontate alcune «infedeltà» dei sacerdoti, in particolare la pedofilia per l’Irlanda e i preti concubini per l’Austria. La preoccupazione della Chiesa per la disaffezione alla confessione è massima, come dimostra l’allerta lanciata anche dal reggente della Penitenzieria apostolica, il vescovo Gianfranco Girotti sul fatto che il 30% dei fedeli ritenga inutile il prete in confessionale, il 10% lo consideri un «impedimento per il dialogo diretto con il Signore» e un 20% riferisca difficoltà a «parlare con un’altra persona dei propri peccati».
Ai confessori il Papa dà consigli operativi, invitandoli ad atteggiamenti diversi secondo il tipo di penitente che si trovano di fronte, se sia convinto di riceve il perdono o se si «accusa in maniera tiepida, quasi indifferente». E incoraggia i sacerdoti a «far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale». Secondo gli studi del ministero vaticano delle confessioni il rapporto con il sacerdote si è anche laicizzato: il fedele si rivolge al confessore non più come giudice dei propri peccati bensì come risolutore di piccoli problemi quotidiani, difficoltà sentimentali, soprattutto nel dialogo tra le mura domestiche. Una quota consistente (15%) rimane delusa dal dialogo con il sacerdote. Il 32% degli italiani fra i 18 e i 30 anni, poi, non si confessa mai, mentre il 28% lo fa solo a intervalli di anni. Appena il 2% si rivolge al confessore più di una volta al mese.
Dal 1998 ad oggi, sempre meno fedeli riconoscono i motivi teologici e il valore della penitenza, ma chi evade le tasse o ruba cerca in misura crescente il perdono di Dio, benché non si sia curato della riprovazione sociale. E così, mentre la confessione vive una «preoccupante crisi», i peccati sociali (dall’evasione fiscale alle scorrettezze per far carriera al furto di informazioni o materiali nei posti di lavoro) turbano le coscienze dei cattolici più di quelli sessuali. La principale causa del calo della confessioni sta nella «perdita del senso del peccato». Perciò il sacerdote è tenuto ad accertare la «libertà» del fedele: la confessione deve essere spontanea. Se il confessore intravede che il penitente vorrebbe dire di più ma non riesce, lo può aiutare con domande, ma «con tatto e nel rispetto della privacy».
Le penitenze devono «essere pertinenti al peccato e valutare la situazione del fedele»: mai metterlo in difficoltà. La penitenza per chi ruba o evade tasse deve «bilanciare l’esigenza di restituire in qualche modo ai singoli o alla società ciò che si è sottratto, con quella di non mettere il penitente in condizione di essere individuato».

anticlericale
09-07-09, 01:45
"La Stampa", 19 Giugno 2009, pag. 23

INTERVISTA A GIULIO ANDREOTTI:
“Io dietro la grata ci andavo da ragazzino”
//alert(cont); if(cont==1){ immagine('20090619/foto/H10_379.jpg'); } Senatore Giulio Andreotti, lei si confessa?
«Lo facevo quando ero ragazzino. Da piccolo certamente mi confessavo con una certa regolarità, come facevamo un po’ tutti quanti in ambiente cattolico».
Questo significa che da grande non lo fa più?
«Lasciamo perdere».
È un no?
«Diciamo che ognuno si deve fare i fatti suoi su questo».
A parte le sue scelte personali, condivide l’allarme che ha lanciato ieri il Papa per i confessionali deserti, praticamente senza fedeli?
«In effetti è questa l’impressione che uno ha andando in chiesa. Però è anche vero che la gente si può confessare pure in sagrestia o può andare in ore diverse da quelle in cui vado io. E non necessariamente ci si deve confessare quando gli entrano in chiesa per la celebrazione della messa. Quindi non mi sento di assolutizzare».
Però i dati della Santa Sede parlano chiaro: in Italia c’è una una crisi profondissima del sacramento della penitenza...
«Probabilmente oggi la crisi affiora più che in passato, ma non ho elementi statistici per confermare le sensazioni che pure io avverto. E, per quanto mi riguarda, in queste cose preferisco lasciare perdere le impressioni, perché qui si tratta di questioni di coscienza, di pratica religiosa. Non a caso si chiama sacramento della penitenza, ma anche della riconciliazione. Ci sono di mezzo la grazia del perdono, il decalogo e l’esame di coscienza, la distinzione fra i peccati gravi e quelli veniali. Insomma, cose essenziali per la fede».
Il teologo Johann-Baptist Metz è giunto a dichiarare la confessione «un sacramento clinicamente morto». E' d'accordo?
«Francamente mi sembra un'esagerazione, io penso che non sia il caso di generalizzare. La situazione mi sembra differenziata nelle varie zone del mondo. Certo che un tempo ci si metteva in fila davanti al confessionale e ora non è che si veda una grande ressa nelle chiese, almeno dove vado io. Magari anche i sacerdoti dovrebbero prendere qualche esempio lodevole».
Quale?
«Ci sono figure di religiosi come san Giovanni Maria Vianney, san Leopoldo Mandic e Padre Pio che si sono votati al ministero della riconciliazione sacramentale. Forse più presenza in confessionale gioverebbe anche oggi».

anticlericale
09-07-09, 01:45
"La Repubblica", VENERDÌ, 19 GIUGNO 2009
Pagina 43 - Cronaca

L´intervista
Parla monsignor Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria Apostolica
"È il dialogo diretto con Dio il pericolo che contagia i fedeli"

ORAZIO LA ROCCA
CITTA DEL VATICANO
città del vaticano
«Se la confessione è in crisi la colpa è anche di quei sacerdoti che, troppe volte, non si mostrano eccessivamente disponibili all´ascolto nel confessionale perché presi da altre questioni».
È un mea culpa autorevolissimo quello che arriva dal vescovo Gianfranco Girotti, prelato reggente della Penitenzieria Apostolica, il dicastero vaticano preposto alla supervisione del sacramento della confessione nella Chiesa. Apparentemente, il vescovo non sembra sorpreso dalla lettera scritta dal Papa per l´Anno sacerdotale, nella quale Ratzinger invoca - tra l´altro - un mea culpa ancora più severo per la pedofilia tra i preti, «crimine abominevole mai abbastanza deplorato».
Monsignor Girotti, ma quali sono le vere cause che stanno alla base della grande fuga dai confessionali?
«Credo che anche questo sacramento paghi lo scotto dei mutamenti in corso nella società e all´affermarsi di una nuova forma di mentalità che ha inevitabilmente portato all´appannamento della pratica della confessione».
Eppure, durante le messe, le comunioni vengono ugualmente distribuite in abbondanza. Come lo spiega?
«Penso che tra la gente si stia insinuando un nuovo modo di concepire il peccato che, eliminando la mediazione del sacerdote, porta a momenti di autoassoluzione con presunte forme di dialoghi diretti con Dio, "scorciatoie" mistiche che non fanno bene a nessuno. Circa il 34 per cento dei fedeli ragiona così e rifiuta la mediazione sacerdotale nella confessione. È un fenomeno nuovo che stiamo monitorando da tempo, anche se parlare di statistiche esatte è ancora prematuro».
È cambiato il modo di concepire il peccato?
«Dirò di più: si è indebolito il senso del peccato e della colpa. Al confessore non vengono denunciate le mancanze, i casi specifici, ma solo il senso di afflizione dell´anima, lo smarrimento generico, senza entrare nel merito delle colpe commesse. Si chiede solo aiuto».
Di chi è la maggiore responsabilità di questa situazione?
«Si deve prima di tutto al cambiamento di mentalità, ma anche alla poca disponibilità che gran parte dei sacerdoti mostrano verso la confessione. Per cui fa benissimo Benedetto XVI a riportare al centro dell´interesse dell´Anno sacerdotale anche questo sacramento. Giovanni Paolo II spesso diceva che il sacerdote quando in confessionale assolve commette l´atto più grande dopo la celebrazione dell´Eucarestia. È bene non dimenticarlo. Il Santo Padre, quindi, ha fatto benissimo a sollevare un tema così delicato come è la scarsa pratica del sacramento della Riconciliazione, cioè la confessione. E´ un problema che anche io ho sollevato in più occasioni».
Quali sono i peccati che vengono maggiormente confessati?
«Non è mai lecito rivelare quel che si dice in confessionale. In linea di massima, però, si può dire che accanto ai classici peccati mortali - non uccidere, non rubare, non commettere atti impuri... - ci sono altri nuovi peccati legati alla droga, alla bioetica, all´Aids, all´ecologia, alla cattiva amministrazione. Ma, al di là delle colpe vecchie e nuove, l´importante è tornare ad avere fiducia nella confessione».

anticlericale
09-07-09, 01:46
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1338861



Tutti i denari di Pietro. Vizi e virtù della banca del Vaticano

Duecento milioni di dollari per la "carità del papa". Da dove arrivano? A chi vanno? Nuove rivelazioni sulle malefatte dell'Istituto per le Opere di Religione. E sugli ostacoli opposti al suo risanamento

di Sandro Magister






ROMA, 15 giugno 2009 – Ai primi di luglio il Vaticano renderà pubblici i propri bilanci del 2008, come fa ogni anno, in due capitoli più un'appendice.

Il primo capitolo elencherà le entrate e le uscite dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, APSA, che si occupa dei beni mobili e immobili di sua proprietà, della curia, dell'apparato diplomatico, dell'editoria, della radio, della tv.

Il secondo capitolo elencherà le entrate e le uscite del governatorato dello Stato della Città del Vaticano: territorio, servizi, musei, francobolli, monete.

L'appendice darà l'ammontare dell'Obolo di San Pietro, cioè della colletta che si fa ogni anno in tutto il mondo per il papa il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, più le offerte direttamente fatte al papa nel corso dell'anno.

Nel 2007, ad esempio, la colletta e le offerte sono ammontate a 94,1 milioni di dollari, di cui 14,3 sono arrivati da un solo donatore che ha voluto restare anonimo.

Fin qui ciò che viene reso noto ogni anno.

Nient'altro. Non una riga sulle altre entrate, oltre all'Obolo, che alimentano la "carità del papa". E non una riga su come questa somma viene impiegata.

In segreteria di Stato c'è un ufficio che si occupa precisamente di questo. L'ha diretto per molti anni monsignor Gianfranco Piovano e da pochi mesi ha preso il suo posto monsignor Alberto Perlasca, l'uno e l'altro diplomatici di carriera. Affluiscono in questa cassa, oltre all'Obolo, i contributi che le diocesi di tutto il mondo sono tenute a versare al successore di Pietro, a norma del canone 1271 del codice di diritto canonico. Inviano somme anche le congregazioni religiose e le fondazioni. Nel 2007, stando a un rapporto riservato trasmesso dal Vaticano alle diocesi, questi contributi sono ammontati a 29,5 milioni di dollari, che sommati all'Obolo fanno 123,6 milioni di dollari.

Questi denari hanno come finalità, appunto, la "carità del papa". In una lezione a diplomatici di vari paesi del Medio Oriente e del Nordafrica, tenuta a Roma alla Pontificia Università Gregoriana nel maggio del 2007, il banchiere Angelo Caloia, presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, IOR, la "banca del Vaticano", descrisse così l'utilizzo di tali denari:

"Sono diretti soprattutto ai bisogni materiali di diocesi povere, a istituti religiosi e comunità di fedeli in gravi difficoltà: poveri, bambini, vecchi, emarginati, vittime di guerre e disastri naturali, rifugiati, eccetera".

In quella stessa lezione, inoltre, Caloia fece cenno a un ulteriore cespite della "carità del papa": i profitti dello IOR. Nel marzo di ogni anno, infatti, lo IOR mette a completa disposizione del papa la differenza fra le proprie entrate ed uscite dell'anno precedente. L'ammontare di questa somma è segreto. Si ritiene però che sia vicino a quello dell'Obolo di San Pietro. Così almeno avvenne nei quattro anni di cui sono trapelate le cifre: il 1992 con 60,7 miliardi di lire italiane dell'epoca, il 1993 con 72,5 miliardi, il 1994 con 75 miliardi e il 1995 con 78,3 miliardi. In quegli stessi anni, l'Obolo di San Pietro era di poco superiore a queste somme.

Stando così le cose, il 2007 avrebbe fruttato a Benedetto XVI, per la sua "carità", una somma complessiva vicina ai duecento milioni di dollari.

Mentre nello stesso anno i bilanci registravano per l'APSA un passivo di 9,1 milioni di euro e per il governatorato un attivo di 6,7 milioni di euro. Briciole, al confronto.

***

Sullo IOR, nella sua lezione ai diplomatici Caloia disse poche cose. Sottolineò che esso "non ha una relazione funzionale" con la Santa Sede. E affermò che sono autorizzati a depositarvi delle somme esclusivamente "individui o persone giuridiche dotate di legittimità canonica: cardinali, vescovi, sacerdoti, suore, frati, congregazioni religiose, diocesi, capitoli, parrocchie, fondazioni, eccetera".

Non sempre, però, la realtà corrisponde a questo profilo. Quando nel 1990 Caloia assunse la presidenza della banca vaticana, questa era da poco uscita da un terribile dissesto, legato al nome del suo predecessore, l'arcivescovo Paul Marcinkus, e alle spericolate operazioni da lui compiute con i finanzieri Michele Sindona e Roberto Calvi, entrambi poi periti di morte violenta, in circostanze misteriose.

Il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato dell'epoca, aveva sanato il contenzioso ordinando di versare ai creditori 242 milioni di dollari a titolo di "contributo volontario". A investigare sull'operato della banca vaticana, d'intesa col governo italiano, Casaroli aveva delegato due specialisti in finanza e diritto amministrativo, Pellegrino Capaldo e Agostino Gambino, e un prelato curiale di sua assoluta fiducia, monsignor Renato Dardozzi, nato nel 1922, divenuto sacerdote a 51 anni, laureato in ingegneria, matematica, filosofia e teologia, una carriera di manager in telecomunicazioni, infine direttore e cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze.

Da allora e fino a pochi anni prima della morte, nel 2003, Dardozzi ha continuato a svolgere un ruolo di vigilanza sull'operato dello IOR, per conto della segreteria di Stato vaticana, con Casaroli e con il successore, il cardinale Angelo Sodano.

Del suo lavoro di vigilanza, Dardozzi ha tenuto documentazione. E questa documentazione è ora divenuta pubblica in un libro uscito da poco in Italia, scritto da Gianluigi Nuzzi ed edito da Chiarelettere.

I documenti citati e riprodotti nel libro sono assolutamente attendibili. Essi mostrano che l'allontanamento di Marcinkus e la sua sostituzione con Caloia nel 1990 non fu sufficiente per ripulire subito lo IOR dal malaffare.

Nel ruolo chiave di "prelato" della banca vaticana restò infatti al suo posto fino al 1993 monsignor Donato De Bonis. E questi continuò a mantenere in opera, in quegli anni, una specie di banca occulta parallela, sotto il suo esclusivo comando, che di nuovo rischiò di travolgere lo IOR nel dissesto.

A Caloia, il sospetto che vi fossero delle irregolarità sorse nella primavera del 1992. Ordinò un'indagine interna e appurò che in effetti facevano capo a De Bonis dei conti intestati a fondazioni fittizie, che mascheravano operazioni finanziarie illegali, per decine di miliardi di lire dell'epoca.

In agosto, un dettagliato rapporto su questi conti fittizi arrivò sul tavolo del segretario di Giovanni Paolo II, monsignor Stanislaw Dziwisz.

Nel marzo del 1993, De Bonis fu estromesso dallo IOR. Nessuno prese il suo posto nella carica di "prelato" della banca, che rimase vacante. E lui, consacrato vescovo, fu nominato cappellano del Sovrano Militare Ordine di Malta, ruolo che gode delle protezioni diplomatiche.

Ma ancora dopo la sua uscita dallo IOR De Bonis continuò ad operare, grazie a funzionari a lui legati. Allarmato, a fine luglio Caloia scrisse al segretario di Stato cardinale Sodano:

"... Appaiono sempre più chiari i contorni di netta e criminosa attività consapevolmente condotta da chi per scelta di vita e ruolo ricoperto doveva al contrario costituire severa coscienza critica. Risulta sempre più incomprensibile il permanere di una situazione tale per cui il nominato [De Bonis] continua, da ubicazione non meno privilegiata, a gestire indirettamente l'attività dello IOR...".

Il rischio era tanto più grave in quanto, proprio in quei mesi, la magistratura italiana stava indagando su una colossale "tangente" illegalmente pagata dalla società Enimont ai politici che l'avevano favorita. E le indagini portavano anche allo IOR, come tramite occulto di questi pagamenti, attraverso i conti fittizi manovrati da De Bonis.

Nell'autunno del 1993 i magistrati di Milano chiesero al Vaticano, per rogatoria, di fornire i dati delle operazioni contestate. Il Vaticano se la cavò fornendo il minimo indispensabile, meno di quanto avesse accertato con indagini proprie. Alcuni funzionari furono sostituiti, i conti fittizi furono bloccati e De Bonis non ricuperò neppure una lira delle somme ivi depositate.

Con De Bonis uscì di scena anche il cardinale che in Vaticano più l'aveva appoggiato, José Rosalio Castillo Lara, presidente sia dell'APSA che del governatorato.

Caloia fu riconfermato nel 1995 presidente dello IOR per un altro quinquennio. E così nel 2000. E così ancora nel 2006, dopo un anno di proroga "ad interim" con voci insistenti di una sua imminente sostituzione. Nell'estate del 2006, prima di lasciare la segreteria di Stato al suo successore Tarcisio Bertone, il cardinale Sodano ripristinò tuttavia la carica di "prelato" dello IOR, assegnandovi un proprio segretario, monsignor Piero Pioppo.

Anche oggi di tanto in tanto ritornano le voci di un cambio, alla presidenza dello IOR. Ma Caloia, 69 anni, moglie inglese e quattro figli, ha in mano una nomina che vale fino al 14 marzo del 2011.

Di certo, grazie a lui lo IOR oggi si avvicina di più – come mai era accaduto in passato – all'immagine di banca virtuosa descritta in quella lezione di due anni fa ai diplomatici del Medio Oriente e del Nordafrica.

__________


La relazione sulle finanze vaticane tenuta dal presidente dello IOR alla scuola per diplomatici della Pontificia Università Gregoriana nel 2007 è nel volume degli atti:

Angelo Caloia, "The financial structures of the Holy See", in Franco Imoda, Roberto Papini (eds.), "The Catholic Church and the International Policy of the Holy See / L'Eglise Catholique et la Politique Internationale du Saint-Siège", Nagard, Milano, 2008, pp. 148-151.

__________


Il libro con i documenti conservati da monsignor Renato Dardozzi:

Gianluigi Nuzzi, "Vaticano SpA", Chiarelettere, Milano, 2009, pp. 282, euro 15,00.

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In www.chiesa, un recente servizio sui bilanci del Vaticano e l'ammontare dell'Obolo di San Pietro negli ultimi cinque anni:

> Per i denari di Pietro è quiete nella tempesta (30.1.2009)

E ancora in www.chiesa, sullo IOR e la presidenza di Angelo Caloia:

> Il banchiere del papa racconta: "Ecco come ho risanato lo IOR" (18.6.2004)

anticlericale
09-07-09, 01:48
La morale ideologica di Famiglia Cristiana
• da Il Giornale del 24 giugno 2009, pag. 42

di Eugenia Roccella

Con Dio non si può stabilire un lodo, ha scritto ieri don Sciortino, il direttore di Famiglia Cristiana, puntando il dito accusatorio contro il Presidente del Consiglio. Giusto: il potere terreno non può garantire l’immunità dell’anima. Nessuno, però, può sostituirsi a Dio nel giudicare, e un sacerdote non dovrebbe farlo sulla base degli articoli di qualche quotidiano: è nell’intimità della coscienza, nel dialogo silenzioso con il Padre, che ognuno deve fare i conti con i propri errori, ed è nel sacramento della confessione che l’essere umano, per definizione peccatore, può sciogliere i peccati e ottenere l’assoluzione. Don Sciortino, che non è il confessore di Berlusconi, sceglie di giudicare non il peccato, ma il peccatore, e ne stabilisce la pubblica indegnità. Per l’Islam tra peccato e reato c’è identità, ma il cristianesimo si fonda sulla laica distinzione tra Cesare e Dio; e nel mondo cristiano, sono i protestanti a dare immediata valenza pubblica e sociale al peccato, che condiziona l’appartenenza alla comunità. Non c’è, nella dottrina cattolica, la gogna pubblica per chi sbaglia, e la condanna sulla terra è lasciata, laicamente, a chi ha il compito di giudicare il reato. Non ho mai amato i moralisti e non li amo tuttora, perché quasi sempre chi tuona e accusa guarda il fuscello nell’occhio dell’altro e non la trave nel proprio, e scaglia la prima pietra senza neanche fare un piccolo esame di coscienza. Chi sono oggi, gli inflessibili guardiani della morale pubblica? Gli stessi che da anni accusano la Chiesa di essere troppo attenta ai peccati del sesso e troppo poco a quelli del potere, e che difendono a spada tratta la trasgressione, soprattutto privata e sessuale, come liberazione da regole asfittiche, da sensi di colpa inutili e devastanti. Basta con la monogamia, lasciamo lo spazio per relazioni intrecciate e labili, riconosciamo che l’amore è fluttuante e passeggero, teorizza Jacques Attali dalle prime pagine dei grandi quotidiani nazionali; e a leggere la posta del cuore di amabili opinioniste, il tradimento coniugale è il sale della vita, va vissuto con leggerezza e giocosità. Ma quando si tratta di Berlusconi, il metro di giudizio cambia, le convinzioni morali si rovesciano, da Attali si passa a Savonarola. L’anticlericalismo cambia di segno, e dall’accusa mossa alla Chiesa di essere troppo concentrata sui peccati sessuali si passa a quella di esserlo troppo poco. Logorati da un quindicennio di battaglie antiberlusconiane perse sul fronte giudiziario, alcuni giornali hanno scoperto il nuovo fronte privato, e chiedono che la Chiesa condanni severamente e pubblicamente il peccatore, senza scampo, senza perdono, e senza nemmeno le prove. Chiediamo a don Sciortino di non schierare il suo settimanale accanto a questi moralisti a senso unico. La morale cattolica non ha niente a che fare con questa volontà cupa di distruzione dell’altro, e l’invito alla coerenza deve valere per tutti: anche per quei politici che magari sfoggiano famiglie esemplari e poi promuovono leggi che minacciano la sopravvivenza della famiglia così come la riconosce la nostra Costituzione, o non tutelano la vita umana.

anticlericale
09-07-09, 01:49
La morale ideologica di Famiglia Cristiana
• da Il Giornale del 24 giugno 2009, pag. 42

di Eugenia Roccella

Con Dio non si può stabilire un lodo, ha scritto ieri don Sciortino, il direttore di Famiglia Cristiana, puntando il dito accusatorio contro il Presidente del Consiglio. Giusto: il potere terreno non può garantire l’immunità dell’anima. Nessuno, però, può sostituirsi a Dio nel giudicare, e un sacerdote non dovrebbe farlo sulla base degli articoli di qualche quotidiano: è nell’intimità della coscienza, nel dialogo silenzioso con il Padre, che ognuno deve fare i conti con i propri errori, ed è nel sacramento della confessione che l’essere umano, per definizione peccatore, può sciogliere i peccati e ottenere l’assoluzione. Don Sciortino, che non è il confessore di Berlusconi, sceglie di giudicare non il peccato, ma il peccatore, e ne stabilisce la pubblica indegnità. Per l’Islam tra peccato e reato c’è identità, ma il cristianesimo si fonda sulla laica distinzione tra Cesare e Dio; e nel mondo cristiano, sono i protestanti a dare immediata valenza pubblica e sociale al peccato, che condiziona l’appartenenza alla comunità. Non c’è, nella dottrina cattolica, la gogna pubblica per chi sbaglia, e la condanna sulla terra è lasciata, laicamente, a chi ha il compito di giudicare il reato. Non ho mai amato i moralisti e non li amo tuttora, perché quasi sempre chi tuona e accusa guarda il fuscello nell’occhio dell’altro e non la trave nel proprio, e scaglia la prima pietra senza neanche fare un piccolo esame di coscienza. Chi sono oggi, gli inflessibili guardiani della morale pubblica? Gli stessi che da anni accusano la Chiesa di essere troppo attenta ai peccati del sesso e troppo poco a quelli del potere, e che difendono a spada tratta la trasgressione, soprattutto privata e sessuale, come liberazione da regole asfittiche, da sensi di colpa inutili e devastanti. Basta con la monogamia, lasciamo lo spazio per relazioni intrecciate e labili, riconosciamo che l’amore è fluttuante e passeggero, teorizza Jacques Attali dalle prime pagine dei grandi quotidiani nazionali; e a leggere la posta del cuore di amabili opinioniste, il tradimento coniugale è il sale della vita, va vissuto con leggerezza e giocosità. Ma quando si tratta di Berlusconi, il metro di giudizio cambia, le convinzioni morali si rovesciano, da Attali si passa a Savonarola. L’anticlericalismo cambia di segno, e dall’accusa mossa alla Chiesa di essere troppo concentrata sui peccati sessuali si passa a quella di esserlo troppo poco. Logorati da un quindicennio di battaglie antiberlusconiane perse sul fronte giudiziario, alcuni giornali hanno scoperto il nuovo fronte privato, e chiedono che la Chiesa condanni severamente e pubblicamente il peccatore, senza scampo, senza perdono, e senza nemmeno le prove. Chiediamo a don Sciortino di non schierare il suo settimanale accanto a questi moralisti a senso unico. La morale cattolica non ha niente a che fare con questa volontà cupa di distruzione dell’altro, e l’invito alla coerenza deve valere per tutti: anche per quei politici che magari sfoggiano famiglie esemplari e poi promuovono leggi che minacciano la sopravvivenza della famiglia così come la riconosce la nostra Costituzione, o non tutelano la vita umana.

anticlericale
09-07-09, 01:49
Capovolgete Bordin a Radio Radicale e avrete padre Livio a Radio Maria
• da Il Foglio del 24 giugno 2009, pag. 2

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Lungi dal voler essere irriverenti, se si definisce "programma di culto" una trasmissione condotta da un sacerdote, lo si fa solo per rendere omaggio alla realtà in linguaggio corrente. Perché non si può dire nulla più obiettivo a proposito del "Commento alla stampa" di padre Livio Fanzaga, in onda tutti i giorni su Radio Maria alle 8.45. Se il maturo professionista ferma la macchina e manda subito qualche decina di sms per avvisare che padre Livio le ha cantate come bisognava cantarle, se la casalinga le suona verbalmente secondo i canoni di padre Livio al marito laicizzato, se il camionista radioamatore catechizza i fratelli di onde corte con le ultime di padre Livio sulla bioetica, allora siamo al cospetto dì un "programma di culto". Se poi il clero progressista butta fanghiglia sul "Commento" di padre Livio e mostra disprezzo verso i cristiani-infanti che lo ascoltano tutte le mattine, allora siamo al cospetto di un "programma di culto" e pure cattolico. Chi non avesse ancora un’idea di che cosa siano padre Livio e il "Commento alla stampa" di Radio Maria, deve andare su Radio Radicale, prendere Massimo Bordin e il suo "Stampa e regime" e poi capovolgere con decisione. Padre Livio sta al Papa come Bordin sta, o forse stava, a Pannella. Lo si può verificare nel giro di tre quarti d’ora: appena terminato il "Commento" su Radio Maria, ci si sintonizza su Radio radicale, dove sta andando in onda la trentesima replica di "Stampa e regime", e se ne avrà la prova. Classe, professionalità e, dedizione da vendere in entrambi i casi, una spanna sopra tutte le altre rassegne. Poi, però, bisogna scegliere e ci spiace per Bordin, ma noi scegliamo senza indugio il direttore di Radio Maria. Il "Commento" di padre Livio è qualche cosa di veramente unico nelle frequenze radiofoniche in quota a parrocchie, diocesi e associazionismo cattolico, dove, quando va bene, si moraleggia o si spiritualeggia. Il motivo di questa differenza è presto detto. Intanto, perché Radio Maria non appartiene a nessuna diocesi, a nessun movimento religioso, a nessuna conferenza episcopale. A tenerla in piedi sono gli ascoltatori, che la sostengono versando il loro libero contributo. Padre Livio aggiungerebbe che la radio vive se piace alla Madonna. E poi, questa emittente è unica perché in una radio cattolica difficilmente si trova qualcuno che legga veramente i giornali e non solo Avvenire, e quando questo pure avvenga, si finisce sempre per parlare di ecologia, di sociologia, di psicologia, per dare in testa al consumismo e, naturalmente, a Berlusconi. A meno che non si sia scelto di ritrarsi dal mondo, che è così brutto perché si stanno sciogliendo i ghiacciai, si estinguono le foche monache, è invaso dai centri commerciali e, naturalmente, è governato da Berlusconi. Così si è formato un popolo Da una ventina d’anni, padre Livio ha scelto un’altra strada, quella che il cattolico aveva fruttuosamente percorso prima di praticare la cosiddetta opzione spirituale: giudicare la storia, la politica e la cronaca alla luce del Vangelo e del Magistero della chiesa, E, quando è necessario, dare anche un buon cazzotto in testa a chiunque se lo meriti, fosse anche Berlusconi, ma non per .partito preso. Padre Livio è un prete che non ha alcun pregiudizio clericale contro il centrodestra. E questa, scusate se è poco, è già una notizia. Il direttore di Radio Maria non ha paura di sistemare sulla graticola le derive laiciste del cattoprogressismo e di quanti lo rappresentano nel mondo politico. Peccato gravissimo, secondo lo svirilizzato mondo cattolico contemporaneo che non osa nemmeno chiamare omicidio l’aborto e si appresta a benedire un compromesso legislativo sul testamento biologico che porterà diritto filato all’eutanasia. Peccato gravissimo per uno svirilizzato mondo cattolico abituato, quando è tosto, a giudicare il mondo secondo l’ultima circolare della Conferenza episcopale invece che secondo i Dieci comandamenti. Eppure, questa lettura, diciamo pure brutale secondo i canoni correnti, ma diremmo franca secondo quelli perenni, dà frutto. Con gli anni, attorno a Radio Maria e al suo "Commento alla stampa" si è formato un popolo cattolico che ha preso gusto a ragionare cattolicamente e a farlo in pubblico. Se in un luogo di lavoro uno si alza a difendere la chiesa o il Papa durante una discussione, otto volte su dieci è un ascoltatore di Radio Maria. Oppure appartiene a un movimento apertamente cattolico, certo: ma le due cose spesso si sovrappongono. Padre Livio fa, via onde medie, quello che facevano i parroci fino a qualche decennio fa con omelie, catechismo e conferenzine. Forma il laicato che, una volta uscito di chiesa, ha il compito di testimoniare la sua fede nel mondo argomentando e resistendo. E lo fa con un di più perché, attraverso Radio Maria, si formano anche tanti sacerdoti usciti un po’ stortignaccoli da seminari che, magari, hanno le piscine per attirare i giovanotti, ma scarseggiano di dottrina quando li devono mandare a nuotare in mare aperto. Un operato come quello di padre Livio, lo svirilizzato mondo cattolico d’oggi lo chiama clericalismo e non capisce che è il suo esatto contrario. Non si troverà mai in castagna il direttore di Radio Maria su argomenti opinabili. Sui tassi d’interesse, il pii, il ponte sullo Stretto di Messina, le beghe per la composizione delle liste elettorali, padre Livio sa di poter dire solo ciò che pensa in proprio. E siccome sa anche che questo, con tutto il rispetto, interessa sì e no i suoi ascoltatori, di solito se ne astiene. Coloro che gli danno del clericale, invece, quando intervengono nel mondo da cattolici, lo fanno proprio sull’opinabile, massimamente sulla composizione delle liste elettorali. E misurano il loro successo sui punti percentuali di cattolicità di una legge fatta approvare dal politico sponsorizzato fin dentro le aule di catechismo. Clericali che vivono e si alimentano di "male minore" e di "maggior bene possibile", mentre la rassegna stampa di Radio Maria tiene la rotta guidata da una sola stella polare: il bene. Il bene e basta, senza aggettivi e senza sconti comitiva. E’ difficile immaginare padre Livio computare i punti percentuali di cattolicità davanti a una legge strombazzata dalla stampa laica come una nuova conquista di civiltà, Basta ascoltarlo quando le polemica entra nel vivo. Un vero e proprio spettacolo che rinfranca tanti sani cattolici dopo anni trascorsi con rassegnazione sulle panche a sorbirsi omelie che, in nome del dialogo col mondo, non dicevano più nulla di cattolico. In questi casi, il direttore di Radio Maria dà il meglio di sé perché usa volentieri uno strumento caro a Gioppino, la maschera della sua terra bergamasca: il randello. Mettetegli sotto il naso un editoriale di "Repubblica" o dei "Corriere" sulla famiglia o sul testamento biologico e ne sentirete delle belle. Perché l’uomo è così, ha uno spirito rustico, che magari non farà ridere i salotti radical e clerical-chic, ma lascia il segno. Detto questo, non bisogna pensare che padre Livio ritenga, come sosteneva Hegel, che la preghiera del mattino dell’uomo moderno sia la lettura del giornale. No: padre Livio Fanzaga prega in cappella, celebra la Messa e dopo, solo dopo, legge i giornali. Forse, proprio per questo non moraleggia e non spiritualeggia. Legge i giornali alla luce del Vangelo e non il Vangelo alla luce dei giornali. In due parole, è cattolico.

anticlericale
09-07-09, 01:50
Capovolgete Bordin a Radio Radicale e avrete padre Livio a Radio Maria
• da Il Foglio del 24 giugno 2009, pag. 2

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Lungi dal voler essere irriverenti, se si definisce "programma di culto" una trasmissione condotta da un sacerdote, lo si fa solo per rendere omaggio alla realtà in linguaggio corrente. Perché non si può dire nulla più obiettivo a proposito del "Commento alla stampa" di padre Livio Fanzaga, in onda tutti i giorni su Radio Maria alle 8.45. Se il maturo professionista ferma la macchina e manda subito qualche decina di sms per avvisare che padre Livio le ha cantate come bisognava cantarle, se la casalinga le suona verbalmente secondo i canoni di padre Livio al marito laicizzato, se il camionista radioamatore catechizza i fratelli di onde corte con le ultime di padre Livio sulla bioetica, allora siamo al cospetto dì un "programma di culto". Se poi il clero progressista butta fanghiglia sul "Commento" di padre Livio e mostra disprezzo verso i cristiani-infanti che lo ascoltano tutte le mattine, allora siamo al cospetto di un "programma di culto" e pure cattolico. Chi non avesse ancora un’idea di che cosa siano padre Livio e il "Commento alla stampa" di Radio Maria, deve andare su Radio Radicale, prendere Massimo Bordin e il suo "Stampa e regime" e poi capovolgere con decisione. Padre Livio sta al Papa come Bordin sta, o forse stava, a Pannella. Lo si può verificare nel giro di tre quarti d’ora: appena terminato il "Commento" su Radio Maria, ci si sintonizza su Radio radicale, dove sta andando in onda la trentesima replica di "Stampa e regime", e se ne avrà la prova. Classe, professionalità e, dedizione da vendere in entrambi i casi, una spanna sopra tutte le altre rassegne. Poi, però, bisogna scegliere e ci spiace per Bordin, ma noi scegliamo senza indugio il direttore di Radio Maria. Il "Commento" di padre Livio è qualche cosa di veramente unico nelle frequenze radiofoniche in quota a parrocchie, diocesi e associazionismo cattolico, dove, quando va bene, si moraleggia o si spiritualeggia. Il motivo di questa differenza è presto detto. Intanto, perché Radio Maria non appartiene a nessuna diocesi, a nessun movimento religioso, a nessuna conferenza episcopale. A tenerla in piedi sono gli ascoltatori, che la sostengono versando il loro libero contributo. Padre Livio aggiungerebbe che la radio vive se piace alla Madonna. E poi, questa emittente è unica perché in una radio cattolica difficilmente si trova qualcuno che legga veramente i giornali e non solo Avvenire, e quando questo pure avvenga, si finisce sempre per parlare di ecologia, di sociologia, di psicologia, per dare in testa al consumismo e, naturalmente, a Berlusconi. A meno che non si sia scelto di ritrarsi dal mondo, che è così brutto perché si stanno sciogliendo i ghiacciai, si estinguono le foche monache, è invaso dai centri commerciali e, naturalmente, è governato da Berlusconi. Così si è formato un popolo Da una ventina d’anni, padre Livio ha scelto un’altra strada, quella che il cattolico aveva fruttuosamente percorso prima di praticare la cosiddetta opzione spirituale: giudicare la storia, la politica e la cronaca alla luce del Vangelo e del Magistero della chiesa, E, quando è necessario, dare anche un buon cazzotto in testa a chiunque se lo meriti, fosse anche Berlusconi, ma non per .partito preso. Padre Livio è un prete che non ha alcun pregiudizio clericale contro il centrodestra. E questa, scusate se è poco, è già una notizia. Il direttore di Radio Maria non ha paura di sistemare sulla graticola le derive laiciste del cattoprogressismo e di quanti lo rappresentano nel mondo politico. Peccato gravissimo, secondo lo svirilizzato mondo cattolico contemporaneo che non osa nemmeno chiamare omicidio l’aborto e si appresta a benedire un compromesso legislativo sul testamento biologico che porterà diritto filato all’eutanasia. Peccato gravissimo per uno svirilizzato mondo cattolico abituato, quando è tosto, a giudicare il mondo secondo l’ultima circolare della Conferenza episcopale invece che secondo i Dieci comandamenti. Eppure, questa lettura, diciamo pure brutale secondo i canoni correnti, ma diremmo franca secondo quelli perenni, dà frutto. Con gli anni, attorno a Radio Maria e al suo "Commento alla stampa" si è formato un popolo cattolico che ha preso gusto a ragionare cattolicamente e a farlo in pubblico. Se in un luogo di lavoro uno si alza a difendere la chiesa o il Papa durante una discussione, otto volte su dieci è un ascoltatore di Radio Maria. Oppure appartiene a un movimento apertamente cattolico, certo: ma le due cose spesso si sovrappongono. Padre Livio fa, via onde medie, quello che facevano i parroci fino a qualche decennio fa con omelie, catechismo e conferenzine. Forma il laicato che, una volta uscito di chiesa, ha il compito di testimoniare la sua fede nel mondo argomentando e resistendo. E lo fa con un di più perché, attraverso Radio Maria, si formano anche tanti sacerdoti usciti un po’ stortignaccoli da seminari che, magari, hanno le piscine per attirare i giovanotti, ma scarseggiano di dottrina quando li devono mandare a nuotare in mare aperto. Un operato come quello di padre Livio, lo svirilizzato mondo cattolico d’oggi lo chiama clericalismo e non capisce che è il suo esatto contrario. Non si troverà mai in castagna il direttore di Radio Maria su argomenti opinabili. Sui tassi d’interesse, il pii, il ponte sullo Stretto di Messina, le beghe per la composizione delle liste elettorali, padre Livio sa di poter dire solo ciò che pensa in proprio. E siccome sa anche che questo, con tutto il rispetto, interessa sì e no i suoi ascoltatori, di solito se ne astiene. Coloro che gli danno del clericale, invece, quando intervengono nel mondo da cattolici, lo fanno proprio sull’opinabile, massimamente sulla composizione delle liste elettorali. E misurano il loro successo sui punti percentuali di cattolicità di una legge fatta approvare dal politico sponsorizzato fin dentro le aule di catechismo. Clericali che vivono e si alimentano di "male minore" e di "maggior bene possibile", mentre la rassegna stampa di Radio Maria tiene la rotta guidata da una sola stella polare: il bene. Il bene e basta, senza aggettivi e senza sconti comitiva. E’ difficile immaginare padre Livio computare i punti percentuali di cattolicità davanti a una legge strombazzata dalla stampa laica come una nuova conquista di civiltà, Basta ascoltarlo quando le polemica entra nel vivo. Un vero e proprio spettacolo che rinfranca tanti sani cattolici dopo anni trascorsi con rassegnazione sulle panche a sorbirsi omelie che, in nome del dialogo col mondo, non dicevano più nulla di cattolico. In questi casi, il direttore di Radio Maria dà il meglio di sé perché usa volentieri uno strumento caro a Gioppino, la maschera della sua terra bergamasca: il randello. Mettetegli sotto il naso un editoriale di "Repubblica" o dei "Corriere" sulla famiglia o sul testamento biologico e ne sentirete delle belle. Perché l’uomo è così, ha uno spirito rustico, che magari non farà ridere i salotti radical e clerical-chic, ma lascia il segno. Detto questo, non bisogna pensare che padre Livio ritenga, come sosteneva Hegel, che la preghiera del mattino dell’uomo moderno sia la lettura del giornale. No: padre Livio Fanzaga prega in cappella, celebra la Messa e dopo, solo dopo, legge i giornali. Forse, proprio per questo non moraleggia e non spiritualeggia. Legge i giornali alla luce del Vangelo e non il Vangelo alla luce dei giornali. In due parole, è cattolico.

anticlericale
09-07-09, 01:51
I peccati del potere e l'imbarazzo della Chiesa
• da La Repubblica del 25 giugno 2009, pag. 1

di Vito Mancuso

Che fine sono destinate a fare le severe parole del direttore di Famiglia Cristiana riportate ieri con ampio risalto da tutta la stampa? In seguito alle notizie sulla vita privata dell’attuale capo del governo, don Antonio Sciortino ha parlato di cristiani «frastornati e amareggiati», ha detto che essi «attendono dalla Chiesa una valutazione etica meno disincantata», ha aggiunto che «la Chiesa non può abdicare alla sua missione e ignorare l’emergenza morale nella vita pubblica del Paese». E ha concluso: «A tutto c’è un limite. Quel limite di decenza è stato superato. Qualcuno ne tragga le debite conseguenze».
È evidente che questo «qualcuno» che deve trarre le conseguenze cui si rivolge il direttore di Famiglia Cristiana sono i vertici della Chiesa italiana, non solo nella persona del presidente della Conferenza episcopale ma in ognuno dei singoli vescovi. È a loro, in quanto successori degli apostoli, che il direttore di Famiglia Cristiana rivolge l’appello di trarre le debite conseguenze, intendendo chiaramente con ciò una netta e pubblica condanna dei comportamenti dell’attuale capo del governo per il disprezzo della morale cattolica che essi rivelano. Se Gesù infatti ha detto di non giudicare l’interiorità della persona, ha insegnato altresì che è dovere dei cristiani esprimere un preciso giudizio sul tempo che stanno vivendo. Ecco le sue parole al riguardo: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, ma come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Luca 12,56-57). Non si tratta di giudicare l’attuale capo del governo in quanto uomo, compito che per fortuna, come per ogni altro essere umano, spetta solo a Dio. Si tratta piuttosto di valutare l’incidenza delle sue azioni su questo tempo storico che stiamo vivendo alla luce del grado di giustizia che esse esprimono.
Occorre chiedersi però, dicevo, che fine farà la richiesta del direttore di Famiglia Cristiana ai vertici della Chiesa di «giudicare ciò che è giusto». La risposta dipende da quale anima prevarrà nella Chiesa, se quella politica o quella profetica. Non ci possono essere dubbi infatti che, politicamente parlando, alla Chiesa italiana non conviene per nulla prendere le distanze dall’attuale capo del governo. Secondo la realpolitik che ha governato la Chiesa italiana negli ultimi vent’anni, l’attuale capo del governo va considerato un fedele alleato nella battaglia sui cosiddetti valori non negoziabili, soprattutto le questioni bioetiche, ma anche i finanziamenti alle scuole cattoliche, il controllo sugli insegnanti di religione, la salvaguardia della famiglia tradizionale (a sostegno della quale egli non mancò di sfilare durante il rinomato Family Day).
Perché mai la Chiesa dovrebbe rinunciare a un amico così potente e così disponibile? Forse per ritrovarsi con il relativismo etico del centrosinistra giudicato una minaccia per la famiglia tradizionale? Sarebbe un vero e proprio suicidio politico nonché una grandiosa ingenuità, tipica di chi si rifiuta di prendere atto di come va il mondo e di come sono fatti gli uomini per seguire solo astratti idealismi moralistici. Disincanto e freddezza, piuttosto: ecco la ricetta dell’anima politica della Chiesa. Anzi, quanto più l’attuale capo del governo è in difficoltà sul piano morale, tanto più ha bisogno del sostegno della Chiesa: non è evidente? Ne viene che questa è una situazione dalla quale la Chiesa può trarre indubbi vantaggi: non le capisce queste cose quell’ingenuo del direttore di Famiglia Cristiana?
Nella millenaria storia della Chiesa ci sono sempre stati personaggi che hanno ragionato così, che hanno valutato non, come vuole Gesù, «ciò che è giusto», ma solo ciò che è conveniente. L’alleanza tra trono e altare ebbe inizio con l’imperatore Teodosio alla fine del IV secolo e non si è mai interrotta, né penso che si interromperà ai nostri giorni, quando sia il trono sia l’altare hanno una grande convenienza all’appoggio reciproco. Quindi lo scenario più probabile è che l’appello di don Sciortino perché la Chiesa si faccia carico dei molti cristiani «frastornati e amareggiati» cada semplicemente nel vuoto. Nessuno prenderà pubblicamente la parola per «giudicare ciò che è giusto».
Nella Chiesa però, oltre all’anima politica, esiste anche l’anima profetica. Come insegna l’etimologia, il profeta si contraddistingue per parlare al cospetto di Dio, ovvero, traducendo praticamente il concetto, per non curare i propri interessi. Il profeta ha a cuore qualcosa di più grande di sé, ha a cuore la gloria di Dio, il bene comune, la perfetta giustizia. L’apostolo Paolo a proposito degli uomini scrive che «tutti cercano i propri interessi» (Filippesi 2,21), ma se la Chiesa e il cristianesimo hanno un senso è proprio quello di non cercare come tutti i propri interessi, ma solo la gloria di Dio e il bene degli uomini. Il vero amore infatti, insegna sempre san Paolo, «non cerca il proprio interesse» (1 Corinzi 13,5), cioè non ragiona politicamente, ma conosce la più alta razionalità della profezia. Chi entra in questa prospettiva intende solo servire la verità, la giustizia, il bene comune, e per questo è nelle condizioni di «giudicare ciò che è giusto», richiamando senza timore i potenti (di destra, di centro o di sinistra, non ha nessuna importanza) che con i loro comportamenti costituiscano esempi negativi per la popolazione, soprattutto per i più giovani. In un mondo nel quale tutti cercano i propri interessi, il compito della Chiesa è mostrare profeticamente la possibilità di un’azione diversa, e la profezia, come insegnano i profeti biblici, non ha timore quando occorre a contrastare i potenti e le loro voglie.
C’è stata una stagione nella quale l’anima profetica della Chiesa in Italia era attiva e vivace, vi erano profeti come Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Carlo Carretto, Zeno Saltini, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Nazareno Fabbretti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Pietro Scoppola. La tradizione cattolica ha rappresentato qualcosa di grande per questo Paese. Può tornare a rappresentarlo? Forse, ma solo a condizione che i valori cattolici non vengano resi merce di scambio da parte dei vertici della Chiesa e che nella Chiesa si torni a pensare e ad agire profeticamente.
Quale linea vincerà, quella politica o quella profetica? Come avviene da molti anni, è molto probabile che, a parte qualche singola voce che ha iniziato a manifestarsi, anche questa volta vincerà l’anima politica con la sua linea accomodante. Nessuno trarrà le conseguenze e l’attuale capo del governo continuerà a contare come sempre sull’appoggio discreto e robusto delle gerarchie ecclesiastiche, alle quali egli non mancherà di corrispondere la debita ricompensa.
Una cosa però deve essere chiara: è che le parole della Chiesa, quando in futuro essa pretenderà di parlare in difesa della famiglia, risulteranno a questo punto molto meno credibili, perché se c’è una realtà che esce male dalle rivelazioni sulla vita privata dell’attuale capo del governo è proprio la famiglia nell’accezione cristiana del termine.

anticlericale
09-07-09, 01:51
I peccati del potere e l'imbarazzo della Chiesa
• da La Repubblica del 25 giugno 2009, pag. 1

di Vito Mancuso

Che fine sono destinate a fare le severe parole del direttore di Famiglia Cristiana riportate ieri con ampio risalto da tutta la stampa? In seguito alle notizie sulla vita privata dell’attuale capo del governo, don Antonio Sciortino ha parlato di cristiani «frastornati e amareggiati», ha detto che essi «attendono dalla Chiesa una valutazione etica meno disincantata», ha aggiunto che «la Chiesa non può abdicare alla sua missione e ignorare l’emergenza morale nella vita pubblica del Paese». E ha concluso: «A tutto c’è un limite. Quel limite di decenza è stato superato. Qualcuno ne tragga le debite conseguenze».
È evidente che questo «qualcuno» che deve trarre le conseguenze cui si rivolge il direttore di Famiglia Cristiana sono i vertici della Chiesa italiana, non solo nella persona del presidente della Conferenza episcopale ma in ognuno dei singoli vescovi. È a loro, in quanto successori degli apostoli, che il direttore di Famiglia Cristiana rivolge l’appello di trarre le debite conseguenze, intendendo chiaramente con ciò una netta e pubblica condanna dei comportamenti dell’attuale capo del governo per il disprezzo della morale cattolica che essi rivelano. Se Gesù infatti ha detto di non giudicare l’interiorità della persona, ha insegnato altresì che è dovere dei cristiani esprimere un preciso giudizio sul tempo che stanno vivendo. Ecco le sue parole al riguardo: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, ma come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Luca 12,56-57). Non si tratta di giudicare l’attuale capo del governo in quanto uomo, compito che per fortuna, come per ogni altro essere umano, spetta solo a Dio. Si tratta piuttosto di valutare l’incidenza delle sue azioni su questo tempo storico che stiamo vivendo alla luce del grado di giustizia che esse esprimono.
Occorre chiedersi però, dicevo, che fine farà la richiesta del direttore di Famiglia Cristiana ai vertici della Chiesa di «giudicare ciò che è giusto». La risposta dipende da quale anima prevarrà nella Chiesa, se quella politica o quella profetica. Non ci possono essere dubbi infatti che, politicamente parlando, alla Chiesa italiana non conviene per nulla prendere le distanze dall’attuale capo del governo. Secondo la realpolitik che ha governato la Chiesa italiana negli ultimi vent’anni, l’attuale capo del governo va considerato un fedele alleato nella battaglia sui cosiddetti valori non negoziabili, soprattutto le questioni bioetiche, ma anche i finanziamenti alle scuole cattoliche, il controllo sugli insegnanti di religione, la salvaguardia della famiglia tradizionale (a sostegno della quale egli non mancò di sfilare durante il rinomato Family Day).
Perché mai la Chiesa dovrebbe rinunciare a un amico così potente e così disponibile? Forse per ritrovarsi con il relativismo etico del centrosinistra giudicato una minaccia per la famiglia tradizionale? Sarebbe un vero e proprio suicidio politico nonché una grandiosa ingenuità, tipica di chi si rifiuta di prendere atto di come va il mondo e di come sono fatti gli uomini per seguire solo astratti idealismi moralistici. Disincanto e freddezza, piuttosto: ecco la ricetta dell’anima politica della Chiesa. Anzi, quanto più l’attuale capo del governo è in difficoltà sul piano morale, tanto più ha bisogno del sostegno della Chiesa: non è evidente? Ne viene che questa è una situazione dalla quale la Chiesa può trarre indubbi vantaggi: non le capisce queste cose quell’ingenuo del direttore di Famiglia Cristiana?
Nella millenaria storia della Chiesa ci sono sempre stati personaggi che hanno ragionato così, che hanno valutato non, come vuole Gesù, «ciò che è giusto», ma solo ciò che è conveniente. L’alleanza tra trono e altare ebbe inizio con l’imperatore Teodosio alla fine del IV secolo e non si è mai interrotta, né penso che si interromperà ai nostri giorni, quando sia il trono sia l’altare hanno una grande convenienza all’appoggio reciproco. Quindi lo scenario più probabile è che l’appello di don Sciortino perché la Chiesa si faccia carico dei molti cristiani «frastornati e amareggiati» cada semplicemente nel vuoto. Nessuno prenderà pubblicamente la parola per «giudicare ciò che è giusto».
Nella Chiesa però, oltre all’anima politica, esiste anche l’anima profetica. Come insegna l’etimologia, il profeta si contraddistingue per parlare al cospetto di Dio, ovvero, traducendo praticamente il concetto, per non curare i propri interessi. Il profeta ha a cuore qualcosa di più grande di sé, ha a cuore la gloria di Dio, il bene comune, la perfetta giustizia. L’apostolo Paolo a proposito degli uomini scrive che «tutti cercano i propri interessi» (Filippesi 2,21), ma se la Chiesa e il cristianesimo hanno un senso è proprio quello di non cercare come tutti i propri interessi, ma solo la gloria di Dio e il bene degli uomini. Il vero amore infatti, insegna sempre san Paolo, «non cerca il proprio interesse» (1 Corinzi 13,5), cioè non ragiona politicamente, ma conosce la più alta razionalità della profezia. Chi entra in questa prospettiva intende solo servire la verità, la giustizia, il bene comune, e per questo è nelle condizioni di «giudicare ciò che è giusto», richiamando senza timore i potenti (di destra, di centro o di sinistra, non ha nessuna importanza) che con i loro comportamenti costituiscano esempi negativi per la popolazione, soprattutto per i più giovani. In un mondo nel quale tutti cercano i propri interessi, il compito della Chiesa è mostrare profeticamente la possibilità di un’azione diversa, e la profezia, come insegnano i profeti biblici, non ha timore quando occorre a contrastare i potenti e le loro voglie.
C’è stata una stagione nella quale l’anima profetica della Chiesa in Italia era attiva e vivace, vi erano profeti come Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Carlo Carretto, Zeno Saltini, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Nazareno Fabbretti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Pietro Scoppola. La tradizione cattolica ha rappresentato qualcosa di grande per questo Paese. Può tornare a rappresentarlo? Forse, ma solo a condizione che i valori cattolici non vengano resi merce di scambio da parte dei vertici della Chiesa e che nella Chiesa si torni a pensare e ad agire profeticamente.
Quale linea vincerà, quella politica o quella profetica? Come avviene da molti anni, è molto probabile che, a parte qualche singola voce che ha iniziato a manifestarsi, anche questa volta vincerà l’anima politica con la sua linea accomodante. Nessuno trarrà le conseguenze e l’attuale capo del governo continuerà a contare come sempre sull’appoggio discreto e robusto delle gerarchie ecclesiastiche, alle quali egli non mancherà di corrispondere la debita ricompensa.
Una cosa però deve essere chiara: è che le parole della Chiesa, quando in futuro essa pretenderà di parlare in difesa della famiglia, risulteranno a questo punto molto meno credibili, perché se c’è una realtà che esce male dalle rivelazioni sulla vita privata dell’attuale capo del governo è proprio la famiglia nell’accezione cristiana del termine.

anticlericale
09-07-09, 01:52
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 25 GIUGNO 2009
Pagina 9 - Interni

Bagnasco: attenti all´illusione di onnipotenza. Martins: tenere comportamenti irreprensibili
I cardinali richiamano il premier: "Mai ridurre la donna a oggetto"

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - «I valori morali non vanno mai distorti», avverte il cardinale Angelo Bagnasco, in riferimento al caso Berlusconi. E, come lui, anche altri porporati ricordano a cattolici, a uomini di buona volontà e a politici che etica e morale vanno sempre rispettati «con coerenza». Segno evidente che le alte gerarchie ecclesiali sulle vicende del premier ormai non possono più far finta di niente. Spinti, forse, dal precipitare degli eventi e da iniziative spontanee come gli appelli «a fare chiarezza» rivolti alla Chiesa dei lettori di Famiglia Cristiana.
Ieri hanno, infatti, rotto prudentemente il silenzio, oltre a Bagnasco, altri importanti porporati come Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei santi, e Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. «Attenti all´uomo che, ebbro della sua smania di grandezza, rasenta l´illusione di onnipotenza, distorce i valori morali e diventa distributore di ingiustizia», ammonisce Bagnasco, presidente dei vescovi italiani e arcivescovo di Genova, nell´omelia pronunciata ieri per la festa di San Giovanni. Un richiamo forte, inequivocabile, riferito alla difesa dei valori cristiani, che secondo il suo addetto stampa, il porporato ha pronunciato pensando anche alle inchieste sulle feste con ragazze a pagamento nelle residenze del premier Berlusconi, a Palazzo Grazioli a Roma e a Villa Certosa in Sardegna. Episodi che il cardinale ha stigmatizzato quando ha parlato proprio di «uomo ebbro» che «nell´illusione di farsi Dio di sé stesso può distorce i valori morali, manipolare le sorgenti della vita diventando distributore di ingiustizia e signore della morte».
Non meno severo il cardinale Saraiva Martins, secondo il quale «i valori morali ed etici non vanno mai disattesi, specialmente - puntualizza - quando si coprono cariche istituzionali, perché tutti - indipendentemente dai ruoli, dal sesso o dal colore politico - devono tenere con coerenza comportamenti irreprensibili, nel rispetto dell´altro, specialmente della donna che non va mai usata e, tantomeno, ridotta a oggetto». Il cardinale condivide gli appelli di Famiglia Cristiana, specialmente i richiami «agli aspetti etici e morali» sui quali «non ci devono mai essere dubbi». Per cui, conclude, «la Chiesa è giusto che parli, proclami i suoi valori e richiami chi non rispetta valori morali ed etici, e magari si fa vanto di usare in maniera degradante la figura della donna». Il cardinale Tettamanzi, intervistato dall´Osservatore Romano, parla a sua volta «dell´inscindibilità del dovere di solidarietà, sobrietà e giustizia», ricordando che «non si è solidali senza essere sobri, altrimenti si condividerebbe solo quello che eccede alle personali necessità». Analoghi richiami anche dai titolari delle diocesi periferiche, come Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo («La Chiesa è a disagio e i fedeli sono smarriti perché un uomo politico deve essere sempre al di sopra di ogni sospetto anche nella sua sfera privata»). Ma anche da sacerdoti impegnati sul fronte della solidarietà e dell´antimafia. Tra i primi don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, che definisce il caso Berlusconi «una questione pubblica» e lamenta che «sono troppi quelli che nella loro coscienza depenalizzano i reati».

anticlericale
09-07-09, 01:53
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2009/06/29/primopiano/006tiara.html

"La Repubblica", 29 giugno 2009 (supplemento "Affari e Finanza")

PRIMO PIANO pag. 6

Un Conclave segreto per lo Ior: la contesa è tra Bertone e Sodano.


CITTA DEL VATICANO

Rinnovare subito il vertice dello Ior (Istituto per le Opere di religione), anticipando di quasi 2 anni il pensionamento dell’attuale presidente Angelo Caloia. Oppure, lasciare ancora in attività l’attuale assetto bancario pontificio, malgrado i venti di crisi che stanno soffiando sulle finanze vaticane. Venti misti a sospetti e accuse sulla scia delle rivelazioni sui conti segreti delle passate gestioni dello Ior emerse recentemente nel libro Vaticano S.p.a. (edito da Chiarelettere) di Gianluigi Nuzzi. Polemiche vecchie e nuove, che non possono non riportare alla mente il clamoroso coinvolgimento negli anni Ottanta dello Ior dell’era Marcinkus nel crack del vecchio Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Ma rinverdite successivamente da altre vicende non meno clamorose, come gli ulteriori coinvolgimenti della banca vaticana nelle inchieste sulla mega tangente Enimont o nell’ipotesi investigativa della magistratura romana che, nell’ambito delle vicende di Calciopoli , adombrò qualche anno fa un possibile collegamento tra lo Ior e i presunti fondi neri dell’agenzia dei procuratori di calciatori e allenatori finita nel mirino dell’autorità giudiziaria nel 2005.
È questa la partita che in questi giorni si sta giocando, riservatamente, nelle stanze del Palazzo Apostolico del Vaticano, tra le diverse "scuole di pensiero" che operano all’ombra di papa Ratzinger riconducibili, sostanzialmente, a due principali cordate presiedute rispettivamente dall’attuale segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Tarcisio Bertone, tra i più "tentati" dalla voglia di cambiamento, e dal suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, ma – soprattutto – legatissimo all’attuale prelato della Ior, monsignor Piero Pioppo, per anni suo fido segretario e dallo stesso Sodano nominato poco prima di lasciare la carica di segretario al vertice della banca, pochi mesi dopo l’ascesa al soglio di Pietro di Benedetto XVI del 19 aprile 2005. Una mossa non casuale, perché con i gradi di prelato, monsignor Pioppo svolge il delicato ruolo di "raccordo" tra la commissione cardinalizia presieduta dal Segretario Stato e il consiglio di sovrintendenza della banca, un organismo internazionale presieduto da circa 20 anni da Angelo Caloia, e composto dal vice presidente Virgil C. Dechant, e dai consiglieri Ronaldo Hermann Schmitz, Manuel Soto Serrano e Robert Studer.
Se arriveranno i preventivati cambiamenti, oltre al presidente e agli altri componenti del Consiglio di Sovrintendenza, potrebbe saltare anche la poltrona del prelato. La nomina di monsignor Pioppo in verità, non ebbe la diretta «benedizione» papale di Ratzinger, il quale stando a quanto si è appreso in Vaticano tra le prime mosse fatte qualche giorno dopo l’elezione, fece quella di inviare il suo segretario, monsignor George Ganswein, nella sede dello Ior per verificare chi era il nuovo prelato della banca e con «quali titoli» era stato nominato. Conto alla rovescia, quindi, anche per la nomina del successore di monsignor Pioppo nell’importante ufficiochiave di prelato dello Ior?
Di più si saprà durante il mese di luglio, quando in Vaticano si riunirà la Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior per discutere proprio del rinnovamento delle cariche della banca. Sotto la presidenza del cardinalesegretario di Stato Bertone si sederanno intorno a un tavolo nella cinquecentesca torre di Niccolo V – storica sede della banca – gli altri 4 cardinalicommissari, il francese JeanLouis Tauran, presidente del Pontiticio consiglio del dialogo interreligioso, l’indiano Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi, il brasiliano Odilio Pedro Scherer, arcivescvovo di San Paolo, e l’italiano Attilio Nicora, presidente dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) e "padre" per parte vaticana del nuovo Concordato firmato nel 1984 dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, e il cardinale Agostino Casaroli, predecessore di Sodano e Bertone alla Segreteria di Stato vaticana. Dall’esito di questa riunione – secondo a insistenti voci circolate Oltretevere, ma senza il crisma dell’ufficialità – dovrebbe emergere il nuovo volto dello Ior per i prossimi 5 anni, a tanto ammonta la durata del mandato che, di volta in volta, la commissione cardinalizia affida su delega papale al Consiglio di sovrintendenza e al suo presidente. Caloia, secondo quanto lui stesso negli ultimi tempi ha confidato, si sente tranquillo. "Non vedo perché è solito ripetere dovrei essere sostituito con quasi due anni di anticipo, quando la lettera con cui la Segreteria di Stato ha rinnovato il mio mandato indica la scadenza della mia presidenza al 14 marzo 2011". Comunque, se ci dovesse essere un cambiamento di rotta, "non ne farei un dramma, ma mi dovrebbero almeno spiegare perché".
Altre fonti vaticane – vicine ad ambienti dell’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede diretto dallo storico Giovanni Battista Vian – si mostrano meno sicuri di Caloia e sembrano pronti a scommettere che "il nome del nuovo presidente e del nuovo consiglio di Sovrintendenza dello Ior sarà reso noto entro la prima metà di luglio, certamente prima delle ferie estive". Quanto alla data di scadenza del mandato di Caloia prevista per il 14 marzo del 2011, dagli stessi ambienti prelatizi d’Oltretevere si fa notare che "è facoltà della Commissione cardinalizia, e quindi del cardinale segretario di Stato Bertone, provvedere diversamente e, se lo ritiene opportuno, puntare a ridare una nuova guida alla banca". Magari con nomi nuovi, di alto profilo professionale e che non siano stati sfiorati da inchieste o da voci sospette. E proprio per delineare un profilo simile, sul tavolo della Commissione cardinalizia di vigilanza i porporati convocati da Bertone per luglio troveranno sei curriculum di possibili candidati alla presidenza dello Ior che al momento sono sul tavolo della super commissione di consulenti esterni del Governatorato composta dai 4 banchieri di chiara fama: Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano e di Impregilo, Pellegrino Capaldo, già presidente della cassa di Risparmio di Roma e poi della Banca di Roma, docente all’Università La Sapienza, Carlo Fratta Pasini, presidente del Banco Popolare, e Ettore Gotti Tedeschi, rappresentante in Italia del Banco Santander Central Hispano (Spagna) ed autorevole editorialista dell’Osservatore Romano. Sui profili, ovviamente, finora nulla è trapelato ma stando alle inevitabili fughe di notizie intercettate Oltretevere alla corsa alla presidenza Ior si sarebbero preparati nomi come Hans Tietmeyer, ex presidente della tedesca Bundesbank, Giuseppe Profiti, direttore amministrativo dell'ospedale Bambino Gesù (molto caldeggiato dal segretario di Stato Bertone). Qualcuno parla anche dell’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, amico personale del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione vaticana dei vescovi, ma penalizzato dalle sue recenti vicende giudiziarie. Chi invece potrebbe avere serie chance di successo potrebbe essere Ettore Gotti Tedeschi.

anticlericale
09-07-09, 01:53
"La Repubblica", VENERDÌ, 03 LUGLIO 2009
Pagina 31 - Cronaca

Staminali, spiraglio dal Vaticano: "Non sbagliamo come con Galileo"

ROMA - Un tempo era Galileo, oggi sono le cellule staminali. La Santa Sede guarda al passato e si ripropone di non ripetere gli errori di allora. «Il caso Galileo insegna alla Chiesa ad accostarsi ai problemi scientifici con molta umiltà e circospezione, fossero anche quelli legati alla più moderna ricerca sulle cellule staminali» afferma monsignor Sergio Pagano presentando nuovi documenti sul processo contro lo scienziato pisano.
Al segnale di apertura nei confronti di un settore della ricerca controverso per l´uso che può fare degli embrioni, il capo dell´Archivio segreto vaticano fa seguire un contrappeso: «Il caso Galileo insegna anche alla scienza a non presumere di far da maestra in materia di fede e Sacra Scrittura». Ma il gesto di distensione nei confronti di una ricerca che promette di curare molte malattie è chiaro. Le condanne contro la ricerca sulle staminali potrebbero essere «frutto degli stessi preconcetti con cui si condannava ai tempi di Galileo la teoria copernicana» dice Pagano rispondendo alla domanda su quali insegnamenti si possano trarre dalle vicende del padre dell´astronomia.
Ma di fronte all´apertura della Chiesa, il governo italiano chiude i rubinetti al finanziamento della ricerca sulle staminali embrionali. Pur essendo questi studi legali (purché la distruzione degli embrioni non avvenga in Italia e le cellule siano importate dall´estero), solo i progetti in cui si usano staminali adulte hanno ricevuto i finanziamenti del ministero della Salute. «È stata una scelta politica» si lamenta Elisabetta Cerbai sulle colonne della rivista scientifica Nature. La ricercatrice dell´università di Firenze, insieme alle colleghe Elena Cattaneo e Silvia Garagna degli atenei di Milano e Pavia, ha presentato ricorso al Tar contro il governo denunciando la "violazione del principio costituzionale di libertà della ricerca".
Sempre ieri è partita la campagna informazione dell´associazione donatori di cellule staminali e della federazione nazionali ostetriche per spingere i genitori a donare il sangue del cordone ombelicale alle banche pubbliche. Ricco di cellule staminali, il sangue del cordone può essere trapiantato per curare le leucemie.
(e.d.)

anticlericale
09-07-09, 01:54
Verona, ore 18: marcia in fila indiana di Anticlericale.net, "Verità per le vittime di violenze sessuali da parte di religiosi dell'Istituto Provolo", con Pontesilli, De Lucia, Turco, Farina Coscioni.


3 luglio 2009


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VERITÀ PER LE VITTIME DI VIOLENZE SESSUALI DA PARTE DI RELIGIOSI DELL’ISTITUTO PROVOLO Marcia in fila indiana di anticlericale.net da Stradone Provolo a Piazza Duomo
percorso:
ORE 18 - Stradone Provolo, Castelvecchio, via Roma, piazza Brà, via Mazzini, piazza Erbe, corso Santa Anastasia, via Garibaldi, piazza Duomo.
Hanno sinora assicurato la partecipazione il segretario di anticlericale.net Carlo Pontesilli, il tesoriere Michele De Lucia, i deputati Maurizio Turco e Maria Antonietta Farina Coscioni.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/io-fratel-pedofilo/2082940&ref=hpsp
Io fratel pedofilo
di Paolo Tessadri

Gli abusi sui bimbi. Le violenze durate anni. E la consegna del silenzio dopo la denuncia de 'L'espresso'. Parla un religioso del caso Provolo


Sì, sono stato un pedofilo: lo sono stato anche all'istituto Provolo di Verona... Il religioso parla di quello che ha fatto e di quello che ha visto: "Non ce la faccio più a tenermi tutto dentro e mi vergogno dei preti che stanno zitti o rinnegano, c'è ipocrisia e omertà".

Decenni di abusi sessuali da parte di sacerdoti e fratelli laici, questo hanno denunciato 67 sordomuti che da bambini hanno frequentato gli istituti Provolo di Verona e Chievo. Dopo l'articolo in cui, nello scorso gennaio 'L'espresso' ha raccontato la vicenda, il Vaticano ha convocato il vescovo Giuseppe Zenti e, alcuni giorni fa, anche tre sacerdoti.

Ma ora un religioso ha scelto di parlare pubblicamente. Si presenta con nome e cognome, chiedendo che non venga pubblicato. Ma la sua identità è nota ai magistrati che si occupano della vicenda: "Se al Provolo sapessero che vi parlo", spiega nel chiedere l'anonimato, "sarei subito cacciato e non so dove andare. Ho l'incubo di rimanere senza casa".

L'uomo appare a lunghi tratti freddo, distaccato, poi d'improvviso cede e si lascia andare a un pianto soffocato: "Sì, sono uno di quelli accusati dai sordomuti che vivevano nell'istituto Provolo di Verona e quelle cose le ho fatte. Non c'è più nulla da nascondere. Io almeno ho il coraggio di dirlo, gli altri tacciono e se ne stanno in silenzio".

Poi racconta di avere cominciato ad abusare dei ragazzini a inizio anni Sessanta: "Il primo aveva 7-8 anni, non ricordo esattamente. Sono andato con una quindicina di piccoli sordomuti, con cinque o sei ho avuto rapporti più frequenti". Poi precisa che erano 13, ma "forse un paio in più".

Quante volte ha abusato di loro?
"Una o due volte al mese, a volte passava più tempo".

E quanto sono durate le violenze?
"Moltissimi anni. Non ricordo esattamente, ma molti, molti anni. Ho cominciato da giovane e non mi rendevo conto, allora ero un semplice assistente. Lo facevano quasi tutti, anche in altri istituti. Era normale. Questo era l'andazzo".







Lei ha visto altri abusare dei ragazzini al Provolo?

Scandisce sì e fa due nomi di sacerdoti e quello di un altro religioso: "Si vedevano gli atteggiamenti, si vedeva. Pochi di noi si sono salvati dalla pedofilia".



Qualcuno è mai stato cacciato dal Provolo per pedofilia?

"Sì, fratello.". Fatto confermato da don Danilo Corradi, il superiore dell'istituto Provolo, in una intervista registrata.



Perché lui sì e gli altri no, visto che sotto accusa sono finiti in 25?

"Era un violento, il più cattivo, faceva male ai ragazzini ed è stato mandato via".



Quando è successo?

"Se non sbaglio, nei primi anni Settanta".



Sono continuate le violenze sessuali, anche dopo quell'episodio?

"Sì".



Può dire se sono terminate a metà degli anni '80, epoca a cui risale l'ultimo caso documentato da 'L'espresso'?

"Non so, non potrei dirlo. Non ne sono sicuro. Non posso escluderlo".



I responsabili dell'Istituto sapevano?

"Sì, lo sapevano. Per forza che lo sapevano".



Altri ne erano a conoscenza?

"È probabile".



Ha confessato la pedofilia ad altri preti?

"No, mi mettevo in ginocchio, confessavo davanti a Dio e pregavo. E chiedevo scusa al Signore. La pedofilia mi ha sfalsato la vita. Ma trovavo nei ragazzini una certa bellezza, una certa attrazione".



Fra voi avete parlato dell'accusa di pedofilia dopo l'inchiesta de 'L'espresso'?

"Sì, la reazione è stata brutta, scioccante, ma la maggior parte è rimasta in silenzio, perché sapeva. È venuta fuori una catena di odio fra i sacerdoti. È difficile condividere la macchia della pedofilia e ognuno ha tenuto per sé i suoi pensieri. Poi l'avvocato ci ha detto di non parlare con nessuno. Qualcuno però ha parlato e ha fatto bene, anche qualche prete lo ha detto e la pensa così. Anch'io ora mi sento sollevato. Sono fatto così, in modo troppo semplicistico, ho sbagliato io. Sto male, chiedo perdono".


(19 maggio 2009)

anticlericale
09-07-09, 01:55
"La Repubblica", LUNEDÌ, 06 LUGLIO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

Le idee
Il cattolico adulto che il Papa non vuole

VITO MANCUSO

Nell´omelia di chiusura dell´Anno paolino Benedetto XVI ha dedicato la sua attenzione al concetto di "fede adulta". Si tratta di un´espressione con esplicite radici bibliche, cara a un filone importante della teologia del ´900 (così il teologo martire antinazista Dietrich Bonhoeffer: «Il mondo adulto è senza Dio più del mondo non adulto, e proprio perciò forse più vicino a lui»), divenuta famosa nella vita politica italiana per l´uso che ne fece l´allora premier Romano Prodi rifiutando l´allineamento sull´astensione voluto dalla Conferenza episcopale in ordine al referendum sulle tematiche bioetiche.
Il ragionamento di Benedetto XVI si può riassumere così: 1) È necessaria una fede adulta: «Con Cristo dobbiamo raggiungere l´età adulta, un´umanità matura… Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una fede adulta». 2) La fede adulta passa per il rinnovamento del pensiero: «La nostra ragione deve diventare nuova… Il nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo fondamento». 3) C´è un modo giusto e un modo sbagliato di rinnovare il pensiero in vista di una fede adulta, e il modo sbagliato è il seguente: «Fede adulta negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s´intende spesso nel senso dell´atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede fai da te, quindi» (corsivi di Benedetto XVI).




Come una pubblicità di qualche anno addietro ironizzava sui turisti fai da te che finivano inevitabilmente nei guai, così il papa descrive quei credenti che per la loro visione del mondo scelgono di vagliare autonomamente quanto ospitare, o non ospitare, nella mente. La critica papale diviene a sua volta ironica ("battuta impagabile", commenta un editoriale di Avvenire) col dire che tale discernimento autonomo «lo si presenta come coraggio di esprimersi contro il Magistero della Chiesa, mentre in realtà non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso» (corsivo di Benedetto XVI). Qual è invece per il papa il modo giusto di vivere una fede adulta? Lo si ricava facilmente volgendo al contrario le sue critiche: non scegliere autonomamente quanto ospitare nella propria mente, ma ascoltare la Chiesa e i suoi Pastori, laddove il verbo ascoltare va inteso nel senso forte di obbedire. La maturità della fede si misura quindi sul livello di obbedienza alla gerarchia ecclesiastica. Il che vale anche per il coraggio, per nulla necessario quando si tratta di criticare la Chiesa (perché anzi si ricevono gli applausi del mondo) ma indispensabile nel caso contrario: «Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo schema del mondo contemporaneo». In sintesi il perfetto cattolico per Benedetto XVI è chi vive la fede come obbedienza a quanto stabilito dalla gerarchia ecclesiastica, senza temere di contrastare il mondo e i suoi falsi applausi.
Ma perché il papa insiste così tanto sull´obbedienza alla Chiesa? Non certo perché vuole trasformare i cattolici in un esercito di soldatini senza razionalità, ma perché è convinto che solo aderendo in toto alla dottrina della Chiesa si aderisce alla pienezza della verità e della razionalità. La ragione infatti gioca da sempre un ruolo essenziale nella teologia di Ratzinger: «La fede cristiana è oggi come ieri l´opzione per la priorità della ragione e del razionale», scriveva da cardinale, aggiungendo che «con la sua opzione a favore del primato della ragione, il cristianesimo resta ancora oggi razionalità». Nel celebre discorso di Ratisbona del settembre 2006 il termine ragione coi suoi derivati ricorre per ben 43 volte. A questo punto appaiono chiari i due pilastri su cui si regge l´impostazione papale: da un lato l´autorità della Chiesa, dall´altro l´autorità della ragione. Lo specifico dell´architettura ratzingeriana sta nel mostrare che in realtà i due pilastri sono uno solo, perché tra la dottrina della Chiesa e la razionalità c´è, per il papa, perfetta identità. Per questo egli sostiene che il cristiano veramente adulto è colui che obbedisce alla Chiesa e ai suoi Pastori senza vagliare autonomamente i contenuti da credere, e con questa obbedienza compie perfettamente l´esigenza di razionalità intrinseca in ogni uomo giungendo alla pienezza della verità. L´equazione è cristallina: «Dottrina ecclesiastica = razionalità = verità».
Ma è proprio così? Io temo di no. Senza entrare in complesse argomentazioni teoretiche che ci condurrebbero alla teologia apofatica, è sufficiente un´occhiata alla storia per rendersi conto che non è sempre così e che qualche volta la Chiesa con la sua dottrina stava da una parte e la verità e la razionalità dall´altra. Tralascio lo scontato riferimento alle verità scientifiche e faccio riferimento alla libertà religiosa, oggi tanto spesso difesa dal papa ma fino al Vaticano II osteggiata dal magistero cattolico. Benedetto XVI sa benissimo che se oggi lui sostiene la libertà religiosa in tutte le sedi istituzionali del pianeta lo deve anche a un cattolico adulto quale Felicité de Lamennais che la promosse senza temere di contraddire il magistero della Chiesa del tempo. E quindi chi era più vicino alla verità, Lamennais, cattolico dalla fede adulta non sempre allineato alla Chiesa e ai suoi Pastori, oppure papa Gregorio XVI che per la difesa della libertà religiosa lo scomunicò? Lo stesso vale per una materia ancora più importante per il cristianesimo, cioè la Bibbia. Benedetto XVI sa benissimo che se oggi la Chiesa cattolica promuove intensamente la lettura della Bibbia lo deve prima ai protestanti e poi ai quei cattolici adulti non sempre allineati (un esempio tra tutti, Pasquier Quesnel) che nel passato lottarono contro il magistero che ai laici ne proibiva la lettura. E quindi, chi era più vicino alla verità, Quesnel, cattolico dalla fede adulta non sempre allineato alla Chiesa e ai suoi Pastori, oppure papa Clemente XI che per la promozione della lettura della Bibbia lo condannò? È impossibile negare che oggi di fatto la Chiesa insegna alcune idee promosse da cattolici adulti del passato, oggetto, quando le manifestarono, di esplicite condanne ecclesiastiche. Una significativa controprova è rappresentata dai lefebvriani, perfetta fotografia di come sarebbe oggi la Chiesa cattolica se non avesse dato ascolto a quei cattolici dalla fede adulta grazie ai quali si è attuato il rinnovamento conciliare. Nella ricerca della verità e della giustizia non bisogna mai interrompere l´ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, senza cercare l´applauso del mondo, ma neppure senza temere le condanne della gerarchia.

anticlericale
09-07-09, 01:55
"La Repubblica", MARTEDÌ, 07 LUGLIO 2009
Pagina 12 - Interni

Cei, affondo contro il libertinaggio: "È grave, non è un fatto privato"
Monsignor Crociata: la presenza di minori grida vendetta

Parole pronunciate in ricordo di Santa Maria Goretti.

L´Osservatore: no al degrado morale

ORAZIO LA ROCCA
CITTÀ DEL VATICANO - «Libertinaggio gaio e irresponsabile. Sfarzo narcisista e lussurioso. Uso della moralità, criticata e dileggiata con parole e fatti per scopi di tipo politico, economico o di altro genere». E poi «atti moralmente discutibili che coinvolgono minorenni». É lungo l´elenco dei mali che stanno mettendo a dura prova (con «situazioni e problemi di pressante attualità») gli equilibri socio-educativi della nostra società. Ne parla - con accenti che, pur senza fare nomi espliciti, richiamano anche le note vicende extrapolitiche del premier Silvio Berlusconi - il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, in pratica il numero due dei capi delle diocesi.
L´occasione è la festa di Santa Maria Goretti celebrata ieri a Le Ferriere (Latina), sulla tomba della santa che fu martirizzata per essersi rifiutata di subire le violenze sessuali del suo aggressore. Un modello tuttora attualissimo perché «fa sempre affiorare alle nostre labbra parole desuete come purezza, castità, verginità che facciamo fatica a pronunziare e che ci fanno forse arrossire», argomenta Crociata nell´omelia pubblicata anche dall´Osservatore Romano, il quotidiano vaticano oggi in edicola, con un titolo non casuale: "La Chiesa dice no al degrado morale". Grazie all´esempio della santa di Latina, «nessuno deve pensare - è il monito di Crociata - che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti - esorta il vescovo - sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall´aver tolto l´innocenza a intere nuove generazioni».
Parole severissime che - confermano ambienti vicino ai vertici della Cei - non possono «non fare riferimento» anche al premier e che, inevitabilmente, vanno a rafforzare le critiche antiberlusconiane portate avanti da settimane da molti organismi cattolici. Un vero e proprio crescendo di richiami avviati con fermezza dal settimanale Famiglia Cristiana, il cui direttore don Antonio Sciortino, oltre a pubblicare una lunga serie di lettere di protesta contro il «comportamento» del Presidente del Consiglio, si è spinto a chiederne «le dimissioni, perché ormai la misura è colma». Critiche fatte proprie da quasi tutta la galassia cattolica di base come le Acli, l´Azione cattolica italiana, gli universitari della Fuci, la Comunità di S. Egidio, religiosi (salesiani e francescani in testa). Voci che hanno fatto breccia anche nel quotidiano dei vescovi Avvenire nella rubrica delle lettere e in due editoriali con i quali Berlusconi è stato invitato «a fare chiarezza» e a «rispondere a tutti gli interrogativi» riguardanti le sue vicende personali. Anche il cardinale-presidente della Cei Angelo Bagnasco ha fatto, nei giorni scorsi, un paio di interventi pubblici su etica e moralità, invitando i politici ad osservare «comportamenti coerenti» e ad indicare «ai giovani ideali alti e nobili». Dello stesso tenore l´intervento di un altro alto prelato, Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, assistente dell´Azione cattolica italiana e segretario della commissione Cei sulle migrazioni, che alla Radio Vaticana ha parlato di «emergenza educativa» anche alla luce della «sfrontatezza» di comportamenti che negano valore alla sessualità così come denunciato da Crociata alla celebrazione di Santa Maria Goretti.

anticlericale
09-07-09, 01:56
"La Repubblica", MARTEDÌ, 07 LUGLIO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

I vescovi e il sovrano

GAD LERNER

La presa di distanze della Chiesa dal premier lussurioso e libertino incrina l´egemonia di Berlusconi sull´Italia moderata e dunque cambia lo scenario politico della legislatura. Perché il sovrano, nella tradizione cattolica, è un interlocutore sulla cui moralità si può anche chiudere un occhio, ma solo fin tanto che la sua contrapposizione al modello di comportamento predicato dalla dottrina viene sottaciuta, non conclamata di fronte al popolo.
I vescovi non potevano rischiare ancora nell´attesa della prossima fotografia imbarazzante, o di un´altra testimonianza di donne pagate per soddisfare le voglie del capo.


Soprattutto quando i festini non si svolgono in un´alcova riparata, ma in sedi para-istituzionali ostentate come luoghi del nuovo potere. La denuncia di monsignor Crociata si sofferma inevitabilmente sul dileggio di una moralità brandita cinicamente in materia di prostituzione e di codici familiari. Per intenderci, oggi Berlusconi non potrebbe più mettere piede nella piazza del Family Day. Ma è venuto al pettine, più in generale, il nodo di una cultura berlusconiana che propone l´ascesa sociale e la felicità come raggiungibili solo attraverso la mercificazione di sé, finora tollerata dai vescovi perché badava a non invadere lo spazio di un potere clericale delegato alla gerarchia, in spregio all´autentica spiritualità.
La corda, tesa come in nessun´altra nazione, infine si è spezzata. Imponendo all´Italia la condizione femminile come questione politica primaria, dirompente al di là delle aspettative di un´opposizione che su questo terreno è rimasta muta perché vittima anch´essa della medesima arretratezza culturale.
La Chiesa è bacchettona, Berlusconi è vittima di una pulsione totalitaria che interferisce con la sua legittima libertà nella sfera dei comportamenti sessuali? Non dubito che ce lo sentiremo dire. Perché il paese in cui capita che siano gli stessi genitori a promuovere la trasformazione delle figlie in veline per arricchirsi, è senza dubbio malato. E ancora (prevedo non a lungo) capita di percepire ammirazione per le gesta di don Rodrigo con la sua scorta di bravi.
Ma qui non è in gioco la libertà sessuale, che la Chiesa di certo vorrebbe delimitare nei vincoli anacronistici della procreatività matrimoniale, in coerenza a una dottrina che s´illude di codificare l´amore. Neppure è in gioco la liceità della mercificazione del corpo, fenomeno degenerativo esteso ben al di là dei confini nazionali.
Certo, il governo deve rinviare in fretta e furia il dibattito in aula sulla proibizionista legge Carfagna in materia di prostituzione. Altrimenti sarebbe sommerso dal ridicolo. Ma ora che ridicolo appare di fronte alle donne italiane l´anziano presidente-seduttore, la prima falsità a cadere – come ricordava ieri il segretario della Cei – è che si tratti di affari privati. Berlusconi ha trasferito nei suoi palazzi – oltrepassando in casa propria un´allusione già fin troppo esplicita e volgare – gli spettacolini della televisione da lui forgiata a sua immagine e somiglianza. Sessista fino al parossismo. Senza paragoni possibili per sistematicità e pervasività con quella delle altre nazioni civili.
È di questi giorni la notizia che il Tg5 sorpassa il Tg1 non certo perché fornisca un´informazione più completa, ma perché il programma che lo precede indugia con riprese dettagliate sul posteriore di una soubrette.
A dispetto delle proteste della Cei, la condanna dei comportamenti e della concezione del mondo esibita (fino a ieri vantandosene) dal premier, non implica un rigurgito bacchettone. Semmai è giunto il momento di constatare come la riduzione umiliante del corpo femminile a un modello unico monotono, sottomesso e plastificato, distorce, fino a provocare una diffusa caduta del desiderio, lo stesso fascino dell´eros.
L´importante è che oggi da più parti, con la spinta di un protagonismo femminile che tarda a trovare voci incisive, e non solo grazie alla fine della benevolenza ecclesiale nei confronti di Berlusconi, la questione sia posta nei suoi giusti termini di dignità nazionale.

anticlericale
09-07-09, 01:56
"La Repubblica", MARTEDÌ, 07 LUGLIO 2009
Pagina 1 - Prima Pagina

I vescovi e il sovrano

GAD LERNER

La presa di distanze della Chiesa dal premier lussurioso e libertino incrina l´egemonia di Berlusconi sull´Italia moderata e dunque cambia lo scenario politico della legislatura. Perché il sovrano, nella tradizione cattolica, è un interlocutore sulla cui moralità si può anche chiudere un occhio, ma solo fin tanto che la sua contrapposizione al modello di comportamento predicato dalla dottrina viene sottaciuta, non conclamata di fronte al popolo.
I vescovi non potevano rischiare ancora nell´attesa della prossima fotografia imbarazzante, o di un´altra testimonianza di donne pagate per soddisfare le voglie del capo.


Soprattutto quando i festini non si svolgono in un´alcova riparata, ma in sedi para-istituzionali ostentate come luoghi del nuovo potere. La denuncia di monsignor Crociata si sofferma inevitabilmente sul dileggio di una moralità brandita cinicamente in materia di prostituzione e di codici familiari. Per intenderci, oggi Berlusconi non potrebbe più mettere piede nella piazza del Family Day. Ma è venuto al pettine, più in generale, il nodo di una cultura berlusconiana che propone l´ascesa sociale e la felicità come raggiungibili solo attraverso la mercificazione di sé, finora tollerata dai vescovi perché badava a non invadere lo spazio di un potere clericale delegato alla gerarchia, in spregio all´autentica spiritualità.
La corda, tesa come in nessun´altra nazione, infine si è spezzata. Imponendo all´Italia la condizione femminile come questione politica primaria, dirompente al di là delle aspettative di un´opposizione che su questo terreno è rimasta muta perché vittima anch´essa della medesima arretratezza culturale.
La Chiesa è bacchettona, Berlusconi è vittima di una pulsione totalitaria che interferisce con la sua legittima libertà nella sfera dei comportamenti sessuali? Non dubito che ce lo sentiremo dire. Perché il paese in cui capita che siano gli stessi genitori a promuovere la trasformazione delle figlie in veline per arricchirsi, è senza dubbio malato. E ancora (prevedo non a lungo) capita di percepire ammirazione per le gesta di don Rodrigo con la sua scorta di bravi.
Ma qui non è in gioco la libertà sessuale, che la Chiesa di certo vorrebbe delimitare nei vincoli anacronistici della procreatività matrimoniale, in coerenza a una dottrina che s´illude di codificare l´amore. Neppure è in gioco la liceità della mercificazione del corpo, fenomeno degenerativo esteso ben al di là dei confini nazionali.
Certo, il governo deve rinviare in fretta e furia il dibattito in aula sulla proibizionista legge Carfagna in materia di prostituzione. Altrimenti sarebbe sommerso dal ridicolo. Ma ora che ridicolo appare di fronte alle donne italiane l´anziano presidente-seduttore, la prima falsità a cadere – come ricordava ieri il segretario della Cei – è che si tratti di affari privati. Berlusconi ha trasferito nei suoi palazzi – oltrepassando in casa propria un´allusione già fin troppo esplicita e volgare – gli spettacolini della televisione da lui forgiata a sua immagine e somiglianza. Sessista fino al parossismo. Senza paragoni possibili per sistematicità e pervasività con quella delle altre nazioni civili.
È di questi giorni la notizia che il Tg5 sorpassa il Tg1 non certo perché fornisca un´informazione più completa, ma perché il programma che lo precede indugia con riprese dettagliate sul posteriore di una soubrette.
A dispetto delle proteste della Cei, la condanna dei comportamenti e della concezione del mondo esibita (fino a ieri vantandosene) dal premier, non implica un rigurgito bacchettone. Semmai è giunto il momento di constatare come la riduzione umiliante del corpo femminile a un modello unico monotono, sottomesso e plastificato, distorce, fino a provocare una diffusa caduta del desiderio, lo stesso fascino dell´eros.
L´importante è che oggi da più parti, con la spinta di un protagonismo femminile che tarda a trovare voci incisive, e non solo grazie alla fine della benevolenza ecclesiale nei confronti di Berlusconi, la questione sia posta nei suoi giusti termini di dignità nazionale.

anticlericale
09-07-09, 01:57
La Chiesa condanna ma preferisce i peccatori
• da Libero del 7 luglio 2009, pag. 1

di Vincenzo Vitale

Molto e gustosamente in questi ultimi giorni vari commentatori si son dilettati a censurare l’immagine pubblica di Berlusconi. La Cei, dal canto suo, ha fatto benissimo a censurare il politico che si macchi di comportamenti poco raccomandabili e ciascuno può leggere, se lo voglia, in queste parole un riferimento al capo del governo: ma non solo a lui, perchè nessuno è senza peccato. Non poteva certo mancare in tale contesto l’intervento di due osservatori quali Corrado Augias e Vito Mancuso, i quali dalle colonne di un quotidiano a tiratura nazionale hanno pensato bene di impartire addirittura una lezione di etica sociale alla Chiesa. Infatti, essi criticano duramente la Chiesa in quanto preda di un eccessivo interesse per la dimensione politica della realtà, mentre darebbe poca importanza a quella che viene definita -ricorrendo ad un vocabolario inaugurato a suo tempo dalla teologia della liberazione dimensione profetica. In questa luce, Augias e Mancuso si chiedono stupiti come possa la Chiesa accettare buone relazioni con Berlusconi -reo di avere due famiglie, di condotte spregiudicate, al centro di scandali di varia natura -anziché con un esponente cattolico come Prodi -uomo pio, devoto alla sua unica famiglia, riservato: la Chiesa dunque sarebbe più interessata al potere politico ed alla sua gestione che alla salvezza delle anime. Si vede subito che i due critici non hanno le idee sufficientemente chiare circa la missione della Chiesa nel mondo, per intendere la quale occorre avanzare due considerazioni: una di carattere personale, l’altra di carattere ecclesiale. Dal primo punto di vista (quello personale), la Chiesa ha da ricercare in via privilegiata il rapporto con i peccatori, andando alla ricerca di questi, e non delle persone pie, tanto che non si sbaglia affermando che di grandi peccatori - convertiti - è fatta la Chiesa: si pensi a Maria Maddalena, a S. Matteo, al centurione romano; inoltre, giudicato col metro di oggi, S. Paolo, dal momento che girava per la Palestina insieme a numerosi compagni alla cerca di cristiani allo scopo di lapidarli (prova ne sia che mentre Stefano, il primo dei martiri, veniva lapidato, egli custodiva il mantello dei lapidatori), sarebbe accusato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di omicidi e linciaggi. Eppure, egli -insieme a S. Pietro -è una delle due colonne su cui si regge la Chiesa universale. Né può immaginarsi che la Chiesa possa pubblicamente attribuire ai personaggi politici una sorta di votazione o pagellina, a seconda della loro moralità personale: ciò sarebbe assurdo in senso ecclesiale e grottesco in senso morale. Dal secondo punto di vista (quello ecclesiale), non si rifletterà mai abbastanza su come dimensione politica della Chiesa e dimensione profetica non siano per nulla agli antipodi, ma, al contrario, l’una sia l’espressione dell’altra. Infatti, la profezia - e soltanto la profezia quale carisma donato dallo Spirito -consente alla Chiesa di intridere la dimensione, in se profana, della politica, attraverso il proprio magistero, nell’ambito dei campi essenziali perché l’uomo sia davvero uomo. Mai è tanto profetica la Chiesa come quando mette sull’avviso l’umanità dai pericoli di un potere cieco come quello della tecnica esercitato senza scrupoli sul corpo umano adoperato come terreno privilegiato per nuove ingegnerie genetiche; da quelli di una famiglia disconosciuta come luogo naturale di accoglienza per il nascituro, che ha comunque diritto ad un padre maschio e ad una madre femmina; da quelli di una tradizione di civiltà religiosa e culturale occidentale, rinnegata in nome di un irenismo tanto facile quanto illusorio verso diverse civiltà; mai, insomma, è tanto profetica come quando interviene col suo magistero nell’agone politico e sociale. Perché meravigliarsi allora se la Chiesa mantiene buoni rapporti col governo in carica? Al contrario del pericoloso moralismo di matrice calvinista, tipico di alcune società (per es. la Svizzera di Zwíngli) dove si bruciarono sul rogo più "streghe" di qualunque altro Paese cattolico, la Chiesa sa bene che un governo va accettato per ciò che concretamente sa fare e non per il tasso di moralità dei suoi esponenti, il quale è certo importante ma da solo non vuol dire nulla. Il Papa non censurò mai pubblicamente Enrico VIII per le numerose concubine di cui si circondava , ma lo scomunicò quando pretese il riconoscimento ecclesiastico -vale a dire pubblico - del divorzio. Del resto, Prodi ha più volte ripetuto di essere un cattolico "adulto", cioè non bisognoso del magistero, in quanto capace di orientarsi da solo: perfetto esempio di palese neoluteranesimo, capace, per esempio, di stare insieme a Rifondazione o a Pannella. Perché allora meravigliarsi se la Chiesa preferisce (ammesso e non concesso che sia davvero così) una politica cattolica messa in opera da un peccatore (come tutti noi) ad una neoluterana messa in opera da un moralista?

anticlericale
09-07-09, 01:58
Don Conti, il Comune arriva tardi
• da Corriere della Sera - ed. Roma del 8 luglio 2009, pag. 5

di Lavinia Di Gianvito

Non ci sarà il sindaco Gianni Alemanno al processo contro don Ruggero Conti, l’ex parroco della Natività di Maria Santissima, a Selva Candida, accusato di abusi sessuali nei confronti di sette minori. Il tribunale ha dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile del Comune: inammissibile perchè tardiva. A rappresentare il Campidoglio contro il sacerdote, 55 anni, garante di Alemanno «per la famiglia e le periferie» durante la campagna elettorale, resta Mario Staderini, del partito radicale, il primo in Italia a utilizzare la norma che permette a «ciascun elettore» di «far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al Comune». «Se non avessi esercitato l’azione popolare sottolinea Staderini, assistito dall’avvocato Elisabetta Valeri - oggi le probabili vittime si troverebbero sole in un processo che, come spesso accade per i reati sessuali, le costringerà a difendersi per non aver scelto il silenzio». Nel pomeriggio Alemanno annuncia che il Campidoglio impugnerà la decisione del tribunale. «L’interpretazione restrittiva della norma è incomprensibile - sostiene il sindaco -. Ringraziamo la disponibilità di Mario Staderini, ma riteniamo che in questa vicenda debba essere assolutamente ribaditala presenza del Comune». Eppure ormai non c’è più nulla da fare. le ordinanze si possono impugnare solo con le sentenze e dunque il sindaco dovrà aspettare la fine del processo. Peraltro, la costituzione di parte civile del Campidoglio è stata ritenuta fuori termine non solo dal presidente della sesta sezione, Luciano Pugliese, ma anche dal pm Francesco Scavo e dagli avvocati. L’udienza di ieri si è aperta proprio con la questione della partecipazione del Comune. Una «coda» che chiude la bufera suscitata, l’altra volta, dall’annuncio che il Campidoglio non sarebbe intervenuto contro don Ruggero. L’avvocato capitolino Nicola Sabato aveva depositato una lettera firmata da Alemanno il 4 giugno: «Il sottoscritto dichiara di non costituire l’amministrazione comunale nel processo sopra indicato». Poi la tempesta nel mondo politico (per primo Francesco Storace, capogruppo de La Destra in Campidoglio: «Una figura barbina per proteggere un grande elettore») aveva fatto cambiare idea al sindaco. Troppo tardi però, visto che il processo ha le sue regole e i suoi tempi. Anche ieri, come il 16 giugno, i fedeli di don Ruggero sono accorsi in massa in tribunale per salutare il loro amatissimo ex parroco. Giovani, adulti, famiglie intere. Durante l’inchiesta nel quatiere sono state raccolte 648 firme a sostegno del sacerdote e i parrocchiani hanno scritto due lettere, al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al vescovo, monsignor Gino Reali. «Da quasi un anno - si legge nella lettera a Napolitano - viviamo nel dolore e nella costernazione. Pensiamo che ci sia un abuso inumano nella carcerazione preventiva a cui don Ruggero è sottoposto, così come pensiamo che la campagna di stampa contro di lui sia stata diabolicamente orchestrata per marchiare la sua persona di una colpa atroce e senza appello».

anticlericale
09-07-09, 01:58
De Lucia: la Cei sfrutta la debolezza del premier

Roma, 7 luglio 2009


• Da una nota di agenzia letta a Radio Radicale

"La Conferenza episcopale italiana, così come ha tentato finora di utilizzare a proprio vantaggio, e a svantaggio per i diritti di libertà dei cittadini italiani, la posizione di forza di Berlusconi, allo stesso modo ora tenta di sfruttare la posizione di debolezza del premier". Lo ha detto Michele De Lucia, tesoriere di Radicali italiani, nel corso di un'intervista all'Agenzia radiofonica Econews, sulle critiche della Cei a Silvio Berlusconi. "Si tratta di bordate non perché interessi loro qualcosa di tutto questo, ma perché c'e' da portare a casa, dal loro punto di vista, ad esempio il ddl sul testamento biologico, che e' quanto di più liberticida, antiliberale, violento, antiumano che ci si possa immaginare.

Il discorso e' quello di sempre: a seconda della convenienza del momento si cerca di piegare, e in Italia ci si riesce benissimo, le istituzioni che dovrebbero essere laiche, a obiettivi, quelli della Cei, che da una parte sono quelli di garantirsi sempre più prebende e privilegi - si pensi all'otto per mille, si pensi alle esenzioni Ici, per cui ci sono macchine da soldi che figurano come luoghi destinati al culto e poi sono ostelli o ristoranti -, e quindi niente di nuovo sotto il sole, e dall'altra limitare e preferibilmente cancellare la libertà di scelta individuale delle persone".

anticlericale
09-07-09, 01:59
Il Papa fa l'enciclica "sociale" mentre i suoi esperti contabili ritoccano (o il verbo giusto è "taroccano"?) i bilanci.


"La Stampa", 07 Luglio 2009, pag. 30

INDISCRETO
Il Governatorato ha un passivo di 35 milioni e non i 15 dichiarati dal Consiglio cardinalizio

Il Vaticano “ritocca” le perdite del 2008
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GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO


Profondo rosso «mascherato» per il Governatorato vaticano. È di 35 milioni e non di 15 come dichiarato nel comunicato ufficiale il vero «passivo» del bilancio 2008 licenziato venerdì dal Consiglio cardinalizio per i problemi economici. Con un intervento «cosmetico» sui conti già collaudato all’epoca del crac Sindona, si è deciso di non calcolare nell’esercizio 2008 la perdita di valore delle azioni affidate negli Usa alle agenzie travolte dalla crisi finanziaria. Siccome il valore di queste azioni e obbligazioni di assicurazioni e banche è crollato, si è deciso di «sospenderle», in pratica di non far figurare in bilancio le minusvalenze, altrimenti il rosso del 2008 sarebbe ben più pesante di come appare ora.
Il precedente governatore vaticano, il cardinale americano Edmund Szoka per investire sui mercati Usa ha venduto gran parte dell’oro vaticano, spiegano nei dicasteri finanziari della Santa Sede. Ciò ha provocato un «notevole» danno alle casse d’Oltretevere perché in tempi di crisi dei mercati la riserva aurea avrebbe consentito di bilanciare in parte le perdite azionarie. Inoltre, il Governatorato ha sofferto più delle altre amministrazioni vaticane la crisi perché era stato dotato da Szoka di un cospicuo deposito di dollari. E calato il dollaro quel «tesoretto» ha perso valore. Il nuovo corso sta aspettando il momento buono per disfarsi delle azioni, crollate a un valore nominale prossimo a zero.
I consulenti Usa della passata gestione sono stati messi alla porta e ora il Governatorato si sta muovendo per liberarsi della sovrabbondanza di pacchetti azionari svalutati. Ma tra un paio d’anni la polvere nascosta sotto il tappeto potrebbe riemergere con risultato allarmanti sulle finanze del Governatorato, che provvede al territorio, a istituzioni, strutture e attività di supporto della Santa Sede e la cui attività è indipendente da contributi provenienti dalla Santa Sede o da altre istituzioni ecclesiastiche e civili.
Al Governatorato lavorano 1894 persone, di cui 31 religiosi, 28 religiose, 1558 laici e 277 laiche e quest’anno ha sostenuto costi sostenuti costi «rilevanti» per la sicurezza all’interno del Vaticano e infrastruttura di comunicazione. Nel 2007 c’era stato invece un risultato positivo di 6,7 milioni di euro, in diminuzione rispetto al 2006 che si era concluso con un avanzo di oltre 21 milioni di euro.