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Visualizza Versione Completa : Ai confini della realtà, agli antipodi della verità - (antisemitismo??!?)



Combat
23-04-09, 10:10
Ai confini della realtà, agli antipodi della verità

di Simone Boscali

dall'ultimo numero di www.oppostadirezione.altervista.org

Uno degli strumenti principali con cui il Sistema dei governi e degli interessi oligarchici che li reggono impone il proprio dominio è la diffusione di falsi nemici e falsi problemi su cui dirottare l'attenzione della gente. E' un metodo che ha permesso per decenni, a partire da tutto il '900, di deviare anche gli sforzi dei più attenti osservatori e intellettuali della politica contro donchichottiani mulini a vento mentre i mali che realmente mettevano in ginocchio l'umanità passavano inosservati sotto i loro nasi come i marinai di Ulisse dalla grotta di un Polifemo reso cieco. Politica e oligarchie economiche hanno portato questa tecnica a una tale raffinatezza ed efficacia che sempre più arrivano all'azzardo di non limitarsi a diffondere falsi bersagli, ma addirittura arrivano a ribaltare come un guanto la realtà proponendo di essa una versione diametralmente opposta. E così mentre l'arroganza sionista ritorna a prendere corpo in risposta a un risveglio della resistenza araba e musulmana e la censura intorno a chi critica le politiche israeliane si è fatta totalitaria, il circo mediatico e diplomatico ci vende il messaggio secondo cui il problema è proprio l'opposto, ossia che nel mondo sta riprendendo vigore un antisemitismo permeato nel caso mediorientale di fanatismo islamico e in Europa di neonazismo, e che la critica all'esistenza di Israele è inaccettabile. Ma i nostri nemici non sono così intelligenti come la massa li fa apparire di riflesso alla propria ingenuità. Basta scavare poco in profondità per smascherare l'inganno e capire che quella del circo mediatico altro non è che una banale esibizione per far intrattenere il popolino. Mentre su internet i blog e i siti anche minimamente antisionisti (diverso quindi da antisemiti) sono pochissimi, difficilmente rintracciabili e presto bloccati dalla Polizia Postale, i siti e blog di segno opposto spuntano come funghi, sono sempre in testa ai motori di ricerca, e lavorano spesso di concerto, come è possibile verificare attraverso i vari blog sionisti ospitati dalla piattaforma “ilcannocchiale.it” (Liberali per Israele, Il Blog di Barbara, Israele Diversa, etc.). Blog gestiti da persone molto permalose, facili alla censura dei commenti, e spesso residenti in Israele che però, chissà perché, vengono a vendere le loro notizie su portali italiani e in lingua italiana, come a voler fare propaganda. Un clima simile lo si respira nella cinematografia. Mentre il mondo viene stritolato dall'usura delle banche, dal produttivismo e da politiche estere che sono solo un gioco a scacchi dei potenti in cui chi crepa è sempre il pedone, Hollywood e dintorni vorrebbero farci credere che il nemico da cui guardarci ancora oggi sono redivivi nazisti contro cui è bene organizzare la resistenza nelle foreste e arditi attentati dinamitardi (The Defiance, Operazione Valchiria), oppure si inneggia alla presa di coscienza pacifista di Israele che balla un Valzer con Bachir mentre gli israeliani stessi eleggono al governo la destra più oltranzista e aggressiva. L'informazione di servizio dei giornali e dei tg fa ovviamente la sua ignobile parte. Tutta l'attenzione, anche quando gli israeliani attaccano e fanno strage, è focalizzata sul diritto di Israele ad esistere... cosa che di fatto nessuno mette in discussione anche se a sentire i giornalisti ogni critica alla politica di Tel Aviv è interpretata come un invito al ripristino dei treni per Auschwitz. Quindi, mentre la corrente tira a valle, la gente si lascia stupidamente convincere a remare verso monte... restando inevitabilmente ferma mentre gli inganni e le manipolazioni se la filano indisturbate alle loro spalle.

Anton Hanga
23-04-09, 14:03
Ottimo.

Unghern Kahn
18-07-09, 16:53
Questo articolo fondamentale di Claudio Mutti taglia la testa al toro su qualunque polemica su semitismo e antisemitismo:


L'equivoco del semitismo e dell'antisemitismo


"In una capra dal viso semita"
(Umberto Saba, Ho parlato a una capra)

Pare sia stato lo storico tedesco August Ludwig von Schlözer (1735-1809) a coniare per la prima volta, nel 1781, l'aggettivo semitisch, per indicare il gruppo delle lingue (siriaco, aramaico, arabo, ebraico, fenicio) parlate da quelle popolazioni che un passo biblico (Gen. 10, 21-31) fa discendere da Sem figlio di Noè. Il neologismo venne accolto dalla comunità dei linguisti, tant'è vero che lo troviamo nel 1890 nelle Lectures on the comparative Grammar of the Semitic Languages di W. Wright (1830-1889), nel 1898 nella Vergleichende Grammatik der semitischen Sprachen di Heinrich Zimmern (1862-1931), fra il 1908 e il 1913 nel Grundriss der vergleichenden Grammatik der semitischen Sprachen di Carl Brockelmann (1868-1956).
L'aggettivo "semitico" si riferisce perciò propriamente ai Semiti, ossia ad una famiglia di popoli che si è diffusa nella zona compresa fra il Mediterraneo, i monti d'Armenia, il Tigri e l'Arabia meridionale, per poi estendersi anche all'Etiopia ed al Nordafrica; come aggettivo sostantivato ("il semitico"), esso indica il gruppo linguistico corrispondente, il quale si articola in tre sottogruppi: quello orientale o accadico (che nel II millennio si divise a sua volta in babilonese e assiro), quello nordoccidentale (cananeo, fenicio, ebraico, aramaico biblico, siriaco) e quello sudoccidentale (arabo ed etiopico).
Del tutto improprio è dunque l'uso dei termini "semita" e "semitico" come sinonimi di "ebreo" e di "ebraico", esattamente come sarebbe improprio dire "ariano" o "indoeuropeo" in luogo di "italiano", "tedesco", "russo" o "persiano".
Ne consegue che altrettanto errato è l'uso di "antisemita", allorché con tale termine si vuole designare chi è "reo di antisemitismo" (1), cioè di quel "reato" che un autorevole vocabolario definisce nei termini seguenti: "avversione nei confronti del popolo ebraico, maturatasi di volta in volta in forme di persecuzione o addirittura di mania collettiva di sterminio, da una base essenzialmente propagandistica, dovuta a degenerazione di pseudoconcetti storico-religiosi, o a ricerca di un capro espiatorio da parte di politici e classi politiche impotenti" (2). Se usato correttamente, infatti, il vocabolo "antisemitismo" - coniato nel 1879 dal giornalista viennese Wilhelm Marr (3) - dovrebbe indicare l'ostilità nei confronti dell'intera famiglia semitica, la quale ha oggi la sua componente più numerosa nelle popolazioni di lingua araba, sicché la qualifica di "antisemita" risulterebbe più adatta a designare chi nutre avversione nei confronti degli Arabi, piuttosto che i "rei" di ostilità antiebraica.
Ma l'inconsistenza della suddetta sinonimia ("semita" = "ebreo") risulta ancora più evidente qualora si rifletta sul fatto che gli Ebrei odierni non possono essere qualificati come "semiti", e ancor meno come "popolo semitico". Infatti, se l'appartenenza di un gruppo umano ad una più vasta famiglia deve essere stabilita in base alla lingua parlata dal gruppo in questione, allora un popolo potrà essere considerato semitico soltanto nel caso in cui esso parli una delle lingue semitiche enumerate più sopra, col risultato che oggi avranno il diritto di essere definiti semiti a pieno titolo gli Arabi e gli Etiopi, ma non gli Ebrei.
È vero che dal 1948 l'ebraico (il neoebraico) è diventato lingua ufficiale della colonia sionista insediatasi in Palestina ed è compreso dalla maggior parte degli Ebrei che attualmente vi risiedono, ma si tratta di una lingua che era morta da oltre venti secoli e che solo nel Novecento è stata artificiosamente richiamata in vita. Gli Ebrei della diaspora, oggi come in passato, parlano le lingue dei popoli in mezzo ai quali si trovano a vivere, lingue che sono per lo più indoeuropee (inglese, spagnolo, francese, italiano, russo, farsi ecc.). Lo stesso yiddish, che si formò nel XIII secolo nei paesi dell'Europa centrale sulla base di un dialetto medio-tedesco e diventò una sorta di lingua internazionale in seguito alle migrazioni ebraiche, era pur sempre un idioma tedesco (4), anche se, oltre ad un vocabolario di base tedesco e slavo, conteneva un tasso elevato di elementi lessicali ebraici e veniva scritto in caratteri ebraici.
È dunque evidente che gli Ebrei non costituiscono affatto un gruppo che, sulla base dell'appartenenza linguistica, possa esser definito come semitico.
Possiamo allora considerarli semiti sotto il profilo etnico? Per rispondere affermativamente, bisognerebbe essere in grado di ricostruire la genealogia degli Ebrei e di ricondurla fino a Sem figlio di Noè. Cosa praticamente impossibile.
Un fatto è certo: all'etnogenesi ebraica hanno contribuito elementi razziali di varia provenienza, acquisiti attraverso il proselitismo e quei matrimoni misti ("i matrimoni con le figlie di un dio straniero") contro i quali tuonavano inutilmente i profeti d'Israele. "A partire dalle testimonianze e dalle tradizioni bibliche, - scrive uno studioso ebreo - si deduce che perfino agli esordi della formazione delle tribù d'Israele queste erano già composte di elementi razziali diversi (...). A quell'epoca troviamo in Asia Minore, in Siria e in Palestina molte razze: gli Amorrei, che erano biondi, dolicocefali e di alta statura; gli Ittiti, una razza di carnagione scura, probabilmente di tipo mongoloide; i Cusciti, una razza negroide; e parecchie altre ancora. Gli antichi Ebrei contrassero matrimoni con tutte queste stirpi, come si vede bene in molti passi della Bibbia" (5).
Secondo un autorevole geografo ed etnologo italiano, Renato Biasutti (1878-1965), "la questione della posizione antropologica o composizione razziale degli Ebrei non è infatti meno complessa e oscura" (6) di tante altre. "Una delle cause di ciò - egli spiega - sta nella difficoltà di raccogliere informazioni adeguate sui caratteri somatici di un gruppo etnico tanto disperso" (7). Occorre poi distinguere tra i gruppi ebraici dell'Asia e quelli dell'Europa e dell'Africa e, in particolare, tra i Sefarditi (il ramo meridionale della diaspora) e gli Aschenaziti (il ramo orientale). Se i Sefarditi si sono diffusi dal Nordafrica e dall'Europa mediterranea fino all'Olanda e all'Inghilterra, gli Aschenaziti hanno popolato vaste aree della Russia meridionale, della Polonia, della Germania e dei Balcani ed hanno fornito il contingente più numeroso al movimento colonialistico che ha dato nascita all'entità politico-militare sionista.
Se per gran parte dei Sefarditi si può ipotizzare un'origine parzialmente semitica, benché non necessariamente ebraica (8), per quanto riguarda gli Ebrei aschenaziti, che rappresentano i nove decimi dell'ebraismo mondiale, le cose stanno in tutt'altra maniera, poiché la maggioranza di coloro che in età medioevale professavano il giudaismo erano cazari e "gran parte di questa maggioranza emigrò in Polonia, Lituania, Ungheria e nei Balcani, dove fondò quella comunità ebraica orientale che a sua volta divenne la maggioranza predominante dell'ebraismo mondiale" (9).
L'affermazione di questa verità storica ha conseguenze devastanti sul mito sionista del "ritorno" ebraico in Palestina. È evidente infatti che, se la maggioranza degli Ebrei attuali trae origine dai Cazari, la pretesa sionista viene destituita del suo fondamento, poiché i discendenti slavizzati di un popolo turcico originario dell'Asia centrale non possono certamente vantare alcun "diritto storico" su una regione del Vicino Oriente.







1. Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Vocabolario illustrato della lingua italiana, Selezione dal Reader's Digest, Milano 1967, vol. I, p. 146. E' interessante notare che, mentre l'antisemita è "reo", ossia "colpevole di un reato", secondo lo stesso Devoto-Oli non sono affatto rei coloro che nutrono avversione nei confronti di altri gruppi umani. "Anticristiano" infatti significa semplicemente "ostile ai cristiani o alle loro dottrine" (op. cit., vol. I, p. 142); "antitedesco", chi è "storicamente o politicamente avverso ai tedeschi" (op. cit., vol. I, p. 147); perfino "antidemocratico" è agg. e s. m. che designa, senza esprimere giudizio di condanna, ogni "persona, atteggiamento o movimento che ostacola la democrazia, i suoi principi sociali e politici" (op. cit., vol. I, p. 142).
2. G. Devoto - G. C. Oli, op. cit., p. 146.
3. P. G. J. Pulzer, The rise of political anti-Semitism in Germany and Austria, Wiley, New York 1964, pp. 49-52.
4. Va detto però che alcuni studiosi contestano la matrice tedesca dello yiddish, ipotizzandone l'origine dalla rilessificazione di un dialetto sorabo parlato dai discendenti di nuclei balcanici (e probabilmente anche caucasici e slavo-avari) che si erano convertiti al giudaismo. "I do not accept - dichiara uno di loro - the common view that Yiddish is a form of German. I believe that Yiddish arose approximately between the 9th and 12th centuries when Jews in the mixed Germano-(Upper) Sorbian lands of present-day Germany 'relexified' their native Sorbian, a West slavic language" (Paul Wexler, Yiddish evidence for the Khazar component in the Ashkenazic ethnogenesis, in: The World of the Khazars. New Perspectives. Selected Papers from the Jerusalem 1999 International Khazar Colloquium hosted by the Ben Zvi Institute, edited by Peter B. Golden, Haggai Ben-Shammai and Andras Rona-Tas, Brill, Leiden-Boston, 2007, p. 388). A parere di Wexler, lo yiddish costituirebbe un'ulteriore conferma della presenza di una fondamentale componente cazara nell'etnogenesi aschenazita. Cfr. P. Wexler, The Ashkenazic Jews. A Slavo-Turkic people in search of a Jewish identity, Columbus, Ohio, 1993; Idem, Two-tiered relexification in Yiddish: the Jews, the Sorbs, the Khazars and the Kiev-Polessian dialect, Berlin-New York, 2002.
5. M. Fishberg, The Jews: A Study of Race and Environment, The Walter Scott Publ. Co., London-New York, 1911, p. 181.
6. Renato Biasutti, Le razze e i popoli della terra, vol. II (Europa - Asia), UTET, Torino, 1967, p. 563.
7. Ibidem.
8. Paul Wexler, The non-Jewish origins of the Sephardic Jews, Albany, 1996.
9. Arthur Koestler, La tredicesima tribù, UTET, Torino 2003, p. 119. Circa il contributo determinante dato dall’elemento cazaro all’etnogenesi del “popolo ebraico”, cfr. C. Mutti, Chi sono gli antenati degli Ebrei?, “Eurasia. Rivista di Studi Geopolitica”, a. VI, n. 2, maggio-agosto 2009.



dal sito dell'autore Claudio Mutti (http://www.claudiomutti.com)

Spetaktor
18-07-09, 18:26
sui blog "sionisti":


ARTICOLO TRATTO DA L'ESPRESSO -

PROPAGANDA BELLICA A FAVORE DI ISRAELE



Israele arruola i blogger per la guerra –Partita in tutto l’occidente la campagna israeliana per l’arruolamento dei blogger a sostegno della della politica Israeliana-Marrani ,cripto giudei,apolidi,spie con doppia cittadinanza,doppia nazionalità e passaporto sono i blogger ricercati dal governo israeliano da arruolare in un esercito che combatta sul web per sostenere le politiche israeliane.
L'attivtà di controinformazione politica a favore di uno stato estero da parte di cittadini è stata sempre una attività destinata ai servizi di contro spionaggio e perseguita duramente dalle leggi a difesa della sovranità nazionale come ad esempio gli articoli Art. 241
- Attentati contro la integrità, l'indipendenza o l'unità dello Stato -
Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza dello Stato è punito con la morte (1).
Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto a disciogliere l'unità dello Stato, o a distaccare dalla madre Patria una colonia o un altro territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità.
(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo.

Strapaesano
18-07-09, 19:48
Articoli interessantissimi.

Ma secondo voi,perchè i nazisti uccisero migliaia di ebrei,mentre lasciarono sfuggire i capi sionisti,i grassi banchieri giudei ecc?
E' questo che non riesco a spiegarmi. Sapreste darmi delle lucidazioni in merito?

José Frasquelo
18-07-09, 20:44
Articoli interessantissimi.

Ma secondo voi,perchè i nazisti uccisero migliaia di ebrei,mentre lasciarono sfuggire i capi sionisti,i grassi banchieri giudei ecc?
E' questo che non riesco a spiegarmi. Sapreste darmi delle lucidazioni in merito?

L'obiettivo di Hitler era che gli ebrei emigrassero via dalla Germania, aiutò i sionisti perché il loro progetto avrebbe aiutato, consentendo questo scopo.

Unghern Kahn
18-07-09, 20:50
Articoli interessantissimi.

Ma secondo voi,perchè i nazisti uccisero migliaia di ebrei,mentre lasciarono sfuggire i capi sionisti,i grassi banchieri giudei ecc?
E' questo che non riesco a spiegarmi. Sapreste darmi delle lucidazioni in merito?


Cosa sarebbero "delle lucidazioni" ? Mica faccio il calzolaio! :D:D:D

Strapaesano
18-07-09, 20:52
L'obiettivo di Hitler era che gli ebrei emigrassero via dalla Germania, aiutò i sionisti perché il loro progetto avrebbe aiutato, consentendo questo scopo.

Si, ma lui nel Mein Kampf non si scagliava contro il potere dei banchieri ebrei , ritenendolo uno dei maggiori problemi della Germania?
E come ha potuto poi scendere a patti con gli ebrei o con i sionisti o chi per loro? E poi perchè uccidere alcuni di loro, a che pro?

Strapaesano
18-07-09, 20:53
Cosa sarebbero "delle lucidazioni" ? Mica faccio il calzolaio! :D:D:D

Aahahah pardon delle delucidazioni:D

Unghern Kahn
18-07-09, 20:57
Aahahah pardon delle delucidazioni:D

Avevo capito comunque, si faceva per ridere un pò. Ora rispondo seriamente: mi pare di aver letto da qualche parte che furono firmati protocolli d'intesa tra alcune organizzazioni ebraiche e sioniste e la Germania all'epoca proprio per favorire l'emigrazione degli ebrei dal paese. E credo che queste intese prevedessero anche un'indennizzo monetario alla Germania per ogni ebreo che lasciava il paese.

Unghern Kahn
18-07-09, 20:59
Si, ma lui nel Mein Kampf non si scagliava contro il potere dei banchieri ebrei , ritenendolo uno dei maggiori problemi della Germania?
E come ha potuto poi scendere a patti con gli ebrei o con i sionisti o chi per loro?

Appunto per favorire l'emigrazione ebraica al di fuori della Germania. Altrimenti che problema avrebbero rappresentato?

Anton Hanga
18-07-09, 21:35
Si, ma lui nel Mein Kampf non si scagliava contro il potere dei banchieri ebrei , ritenendolo uno dei maggiori problemi della Germania?
E come ha potuto poi scendere a patti con gli ebrei o con i sionisti o chi per loro? E poi perchè uccidere alcuni di loro, a che pro?


Se la prendeva con il potere dei banchieri ebrei ma quello non era la causa ma bensi' l'effetto di un certo tipo di mentalita' presente in tutti o quasi gli ebrei. Per questo voleva deportare tutti gli ebrei dalla Germania, non solo quelli ricchi o importanti.

Il problema e' all'interno del nazionalsocialismo non c'era per niente unita' e chiarezza su cosa si intendesse per ebreo sia quale soluzione dare alla "questione ebraica". Da qui si hanno gli accordi con il sionismo (che comunque durarono solo per un periodo limitato e non ebbero effetti eclatanti) sia i continui cambi di idea sulla destinazione finale e sulle modalita' del trasferimento, in tutto questo purtroppo ci furono anche diverse stragi gratuite di ebrei (ma non certamente nei modi e dimensioni della propaganda olocaustica), soprattutto nei territori occupati dell'est.

Spetaktor
19-07-09, 11:29
Se la prendeva con il potere dei banchieri ebrei ma quello non era la causa ma bensi' l'effetto di un certo tipo di mentalita' presente in tutti o quasi gli ebrei. Per questo voleva deportare tutti gli ebrei dalla Germania, non solo quelli ricchi o importanti.

Il problema e' all'interno del nazionalsocialismo non c'era per niente unita' e chiarezza su cosa si intendesse per ebreo sia quale soluzione dare alla "questione ebraica". Da qui si hanno gli accordi con il sionismo (che comunque durarono solo per un periodo limitato e non ebbero effetti eclatanti) sia i continui cambi di idea sulla destinazione finale e sulle modalita' del trasferimento, in tutto questo purtroppo ci furono anche diverse stragi gratuite di ebrei (ma non certamente nei modi e dimensioni della propaganda olocaustica), soprattutto nei territori occupati dell'est.

ammiccamenti verso il sionismo si ebbero da diverse parti: oltre ai già citati del nazionalsocialismo, non dimentichiamo gli incontri tra Zabotinsky e il Duce e l'appoggio alla nascita di Israele di Stalin.
Ma daltronde liberarsi di qualche milionata di ebrei non lasciava nessuno indifferente (senza dimenticare la necessità di strappare l'asse arabo-inglese nel Vicino Oriente dopo la distruzione del Califfato).

Unghern Kahn
19-07-09, 19:36
ammiccamenti verso il sionismo si ebbero da diverse parti: oltre ai già citati del nazionalsocialismo, non dimentichiamo gli incontri tra Zabotinsky e il Duce e l'appoggio alla nascita di Israele di Stalin.
Ma daltronde liberarsi di qualche milionata di ebrei non lasciava nessuno indifferente (senza dimenticare la necessità di strappare l'asse arabo-inglese nel Vicino Oriente dopo la distruzione del Califfato).

Verissimo! Fu proprio il duce a creare una sezione di allievi sionisti alla scuola di marina militare di Civitavecchia nei primi Trenta.

Ierocle
15-08-09, 11:40
Leonid Mlecin, Perché Stalin creò Israele, Sandro Teti, Roma 2008

rec. di Claudio Mutti

Il 26 novembre 1947 il delegato sovietico all'ONU votava a favore della Risoluzione 181 dell'Assemblea Generale, che stabiliva la creazione di un'entità politica ebraica sul territorio palestinese, realizzando così il contenuto della Dichiarazione Balfour. Assieme all'URSS espressero voto favorevole i delegati di Ucraina, Bielorussia, Polonia e Cecoslovacchia. Se i delegati di questi cinque paesi avessero votato contro o si fossero astenuti, il risultato sarebbe stato di ventotto contro ventotto e la Risoluzione 181 sarebbe stata respinta.
Il debito dell'entità sionista nei confronti del "campo socialista" fu ufficialmente riconosciuto da Ben Gurion, che dichiarò all'ambasciatore sovietico: "Il popolo di Israele è riconoscente all'Unione Sovietica per il sostegno morale che gli ha prestato all'ONU. (...) L'esercito ha ricevuto dalla Cecoslovacchia e dalla Jugoslavia una grande quantità di armi, inclusa l'artiglieria di cui eravamo del tutto privi all'inizio della guerra" (pp. 137-138). Anche Golda Meyerson, alias Golda Meir, rievocando la guerra del 1948, riconoscerà il peso determinante del sostegno sovietico: "Non sappiamo se avremmo potuto resistere senza le armi e le munizioni comprate in Cecoslovacchia e trasportate attraverso la Jugoslavia e i Balcani, in quel terribile inizio della guerra, prima che la situazione mutasse nel giugno del '48. Durante le prime sei settimane potemmo contare sulle mitragliatrici e le munizioni che l'Haganah era riuscita a comprare nell'Europa dell'Est, mentre perfino l'America aveva messo l'embargo sull'invio di armi in Medio Oriente. Nonostante in seguito l'URSS ci abbia duramente avversato, il riconoscimento di Israele da parte sovietica fu allora importantissimo per noi. Per la prima volta, dopo la Seconda guerra mondiale, le due maggiori potenze sostennero lo Stato ebraico di comune accordo" (p. 123). Ancora nel dicembre 1948, l'appoggio fornito dall'URSS era totale: "I russi - riferì a Tel Aviv il ministro degli Esteri sionista Shertok - al Consiglio di Sicurezza si comportano non solo come nostri alleati, ma addirittura come nostri emissari. Si assumono qualsiasi compito" (p. 145).
Perché Stalin volle la nascita di un'entità politico-militare ebraica sul suolo della Palestina? Perché la diplomazia sovietica operò a sostegno dei sionisti? Perché fu proprio un paese soggetto a Mosca, la Cecoslovacchia, a rifornire di armi i sionisti, ad incaricarsi dell'addestramento dei loro piloti e ad agevolare i terroristi coinvolti nell'assassinio del mediatore dell'ONU?
Secondo Leonid Mlecin, ex vicedirettore del quotidiano "Izvestija", l'intenzione dei dirigenti sovietici era di "usare lo Stato ebraico in funzione antioccidentale" (p. 101), impedendo che l'Inghilterra consegnasse la Palestina alla Transgiordania e vi installasse poi le proprie basi militari. Lo spiegò subito a Truman il teorico statunitense della dottrina del containment, George Kennan, non appena fu chiaro che Stalin cercava di sfruttare le esitazioni statunitensi al fine di creare un contrasto fra il movimento sionista e il suo naturale alleato americano. "Se il piano di spartizione dovrà essere applicato con la forza - scriveva Kennan nel gennaio 1948 - l'URSS avrà tutto da guadagnare, perché troverà, in tale situazione, il pretesto per poter partecipare al 'mantenimento dell'ordine' in Palestina. E se le truppe sovietiche entreranno in Palestina per consentire l'attuazione della spartizione, gli agenti comunisti troveranno una base eccellente per estendere le loro attività sovversive, svolgere la loro propaganda, tentare di abbattere gli attuali governi arabi e installare anche lì delle 'democrazie popolari'. Forze sovietiche in Palestina sarebbero una minaccia diretta per le nostre posizioni in Grecia, Turchia, Iran, una minaccia a lungo termine per tutto il Mediterraneo" (p. 11).
Il cambiamento di rotta ebbe luogo nel novembre del 1948, quando Stalin firmò una risoluzione segreta della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ordinava lo scioglimento immediato del Comitato Antifascista Ebraico costituito nel 1941, il sequestro dei suoi documenti e la chiusura dei suoi organi di stampa. Già nel mese di marzo un rapporto del generale Viktor Abakumov, ministro della Sicurezza Statale, aveva denunciato la posizione filoamericana del Comitato: "Tra i nazionalisti ebrei arrestati di recente, il Ministero della Sicurezza Statale ha individuato molte spie americane e inglesi, ostili al regime sovietico e dedite ad attività sovversive" (p. 146). Il processo contro il Comitato Antifascista Ebraico si concluderà nel 1952 con la fucilazione degl'imputati.
Il 7 febbraio del 1949 l'entità sionista ricevette la prima comunicazione formale del mutato orientamento del governo sovietico. Il viceministro Valerian Zorin ammonì ufficialmente Golda Meir protestando per le attività illegali della missione israeliana a Mosca, "del tutto incompatibili con un atteggiamento leale nei confronti dell'Unione Sovietica" (p. 149). I rapporti continuarono a peggiorare, finché nel 1953, in seguito all'affare dei medici avvelenatori ebrei e all'attentato terroristico ai danni della rappresentanza sovietica a Tel Aviv, l'URSS ruppe finalmente le relazioni diplomatiche con l'entità sionista.
In che cosa quest'ultima aveva deluso le aspettative dell'URSS? Secondo Mlecin, "Stalin permise l'esodo degli ebrei dai paesi dell'Europa orientale verso Israele e li rifornì di armi, perché sperava che quegli esuli, provenienti da paesi diversi e che parlavano lingue diverse, si sarebbero uniti in nuove brigate internazionali e avrebbero ascoltato la voce di Mosca" (pp. 191-192). Ma la Palestina non era la Spagna, e non tanto per la risibile ragione dei "principi democratici sui quali lo Stato ebraico era stato edificato" (p. 192), quanto per il fatto che i sionisti la consideravano come un paese da espropriare e da colonizzare "in proprio".
In ogni caso, Mlecin può dire che Stalin "in un certo senso avesse ottenuto ciò che voleva: l'Inghilterra, abbandonando la Palestina, aveva compromesso la propria posizione in Medio Oriente" (p. 191). Non solo, ma gli Stati Uniti non le erano subentrati nel controllo della regione, sicché all'URSS si presentavano nuove opportunità nel vuoto di potere che si era venuto a creare. Fu così che cominciò la manovra di avvicinamento dell'URSS ai paesi arabi.
Oggi, dopo sessant'anni di occupazione del territorio palestinese, con tutto quello che ciò ha comportato in termini di ingiustizia, di oppressione, di terrorismo, di crimini, di ricatti, di minaccia perenne alla pace del Vicino Oriente e del mondo, il sostegno dato da Stalin alla nascita dell'entità sionista si rivela come la mossa peggiore di tutta la sua carriera. Anzi, se proprio si vuol continuare a parlare dei "crimini di Stalin", bisogna necessariamente concludere che questo è stato di gran lunga il peggiore di tutti.


Claudio Mutti (http://www.claudiomutti.com/index.php?url=6&imag=4&id_news=171)

msdfli
15-08-09, 14:32
Ci chiediamo come mai se metto nel blog boycott israel arriva il commissario rocca e se metto morte a saddam mi danno la medaglia?

Ierocle
16-08-09, 17:59
Verissimo! Fu proprio il duce a creare una sezione di allievi sionisti alla scuola di marina militare di Civitavecchia nei primi Trenta.



IL DIBATTITO SULLA “SOLUZIONE” SIONISTA NEGLI AMBIENTI NAZIONALISTI EUROPEI DEGLI ANNI TRENTA


di Claudio Mutti



La corrispondenza intercorsa tra il Welt-Dienst di Erfurt e Ion Motza (cognato di Corneliu Codreanu) (1) ci presenta uno spaccato significativo del dibattito che nella prima metà degli anni Trenta si svolse negli ambienti nazionalisti, fascisti e filofascisti europei intorno alla questione ebraica e alle possibili soluzioni di essa. In particolare, le lettere che Ion Motza e il suo corrispondente tedesco si scambiarono dopo il congresso di Montreux (16-17 dicembre 1934), al quale il militante romeno aveva partecipato in qualità di esponente del Movimento legionario (la Legione Arcangelo Michele ovvero Guardia di Ferro), ci mostrano quale divergenza di vedute regnasse tra i congressisti che erano convenuti nella cittadina svizzera in rappresentanza delle rispettive formazioni politiche.

In una lettera del 5 febbraio 1935, Ion Motza cita i nomi dei congressisti Hoornaert e Mercouris, “che avevano delle concezioni deplorevoli, forse anche di origine sospetta” (2), nonché di Somville e di Meyer, “che erano interamente sionisti, al 100%, e buoni conoscitori del problema” (3). Paul Hoornaert, della Légion Nazionale Belge, aveva distinto gli ebrei “integrati”, assimilati e leali, dagli ebrei “internazionali”, agenti della massoneria internazionale; solo questi ultimi, a suo parere, dovevano essere denunciati e combattuti. Georgios Mercouris (4), ex ministro e capo di un movimento social-nazionalista greco, esprimendo una posizione condivisa dai delegati di Italia, Portogallo e Austria, si era opposto a “qualsiasi tentativo di fare una dichiarazione generale sugli ebrei, sostenendo che si trattava di una questione puramente interna, differente da paese a paese, e perciò, secondo lo spirito del congresso, si doveva lasciare che ogni nazione risolvesse il problema come voleva” (5). Quanto al belga Somville, esponente della Ligue Corporative du Travail, egli aveva appoggiato la richiesta fatta da Ion Motza, ossia che il congresso formulasse una dichiarazione generale sulla questione ebraica; ma aveva anche aggiunto che, secondo lui, la soluzione del problema “poteva consistere nel dare agli ebrei una loro patria; di conseguenza, prospettò la possibilità di concedere agli ebrei la Palestina in modo che potessero ‘esprimere la loro civiltà’” (6). Arnold Meyer, infine, capo del Fronte Nero olandese, doveva essere davvero il rappresentante di un’organizzazione “insignificante e oscura” (come si legge in un rapporto inviato a Ciano nel 1935), se al corrispondente tedesco di Ion Motza risultava sconosciuto.

Fatto sta che “l’ammirevole sig. de Somville” (7) e Arnold Mayer erano “interamente sionisti, al 100%”, nel senso che, secondo loro, la questione ebraica poteva essere risolta mediante il trasferimento degli ebrei dai paesi europei alla Palestina. D’altronde si trattava della medesima soluzione che sembravano proporre quei nazionalisti romeni che dicevano: “La Romania ai Romeni, per gli ebrei c’è la Palestina!” Bisogna però dire che il Movimento legionario non assunse mai una posizione conforme a tale parola d’ordine. Al contrario, fin dall’inizio degli anni Trenta la stampa legionaria salutò con entusiasmo “la lotta degli arabi contro la creazione di uno stato ebraico in Palestina. Anzi, venne fondato un apposito Comitato per la propaganda a favore della lotta degli arabi” (8).

D’altra parte, un mese prima del congresso di Montreux si era dichiarato “sionista” nientemeno che Benito Mussolini, il quale non aveva ancora imboccato la strada di una politica mediterranea coerente e non aveva ancora optato per la scelta inequivocabilmente filoaraba (9). Nel corso di un colloquio con Nahoum Goldmann, il Duce si era allora espresso in questi termini: “Ma voi dovete creare uno Stato Ebraico. Io sono sionista, io. L’ho già detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vero Stato [un véritable État] e non il ridicolo Focolare Nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Io vi aiuterò a creare uno Stato Ebraico” (10).

Sia gli incontri di Mussolini con Weizmann e Goldmann sia i rapporti più stretti con Jabotinsky e i sionisti revisionisti vengono spiegati da Renzo De Felice in questo modo: “il prosionismo di Mussolini del 1933-34 e in qualche misura ancora dei primi mesi del 1935, molto più che a porsi come mediatore tra ebrei e arabi e sostituire la propria egemonia a quella inglese in Palestina (ereditando tutte le difficoltà e gli oneri connessi), mirava – oltre che a guadagnarsi simpatie in Europa e in America, presentandosi come protettore degli ebrei (ma senza esporsi troppo per non pregiudicarsi quelle degli arabi) – ad accrescere la tensione in Palestina e, quindi, a creare – lo ripetiamo – ulteriori difficoltà all’Inghilterra in uno dei punti più nevralgici del suo impero” (11).

Nel 1935, anche Reinhardt Heydrich distingueva gli ebrei in due categorie, i sionisti e i fautori dell’assimilazione, esprimendo la sua preferenza per i primi, perché “professano una concezione strettamente razziale e con l’emigrazione contribuiscono a edificare il loro proprio Stato ebraico (…) I nostri auguri e la nostra benevolenza ufficiale sono con loro” (12). E Alfred Rosenberg: “Il sionismo deve essere vigorosamente sostenuto, affinché ogni anno un contingente di Ebrei tedeschi venga trasferito in Palestina” (13).

Verso la metà degli anni Trenta, dunque, la creazione di un’entità statale ebraica in Palestina veniva auspicata sia da coloro che giudicavano nociva per i propri paesi la presenza di massicce comunità ebraiche e miravano alla “pulizia etnica”, sia da chi, volendo combattere l’egemonia britannica, riteneva possibile praticare una politica mediterranea contemporaneamente filoebraica e filoaraba. Nel primo caso si trattava evidentemente di una posizione nata dall’esasperazione; nel secondo, di un calcolo che voleva essere machiavellico, mentre era semplicemente sbagliato. Un errore simile a quello di Mussolini, d’altronde, lo commetterà Stalin, allorché favorirà la nascita dell’entità sionista in Palestina, nell’illusione di poterne fare una base filosovietica nel Mediterraneo e un alleato nella “guerra fredda”.

In Romania, un’autorevole riserva circa la possibilità della “soluzione” sionista era stata espressa, nel 1934, dal maestro di Mircea Eliade, il filosofo Nae Ionescu, quello stesso al quale Ion Motza affiderà il proprio testamento spirituale prima di partire per il fronte spagnolo. Nella sua Prefazione al libro di Mihail Sebastian intitolato De doua mii de ani… [Da duemila anni…], Nae Ionescu aveva scritto: “Esiste tuttavia un’azione con cui gli ebrei hanno cercato di strapparsi al loro destino. È il sionismo. Il tentativo però mi sembra del tutto confuso. (…) E adesso, che cosa ha voluto fare Theodor Herzl, che cosa vuole il sionismo? Togliere a Gerusalemme il suo nimbo mistico, il carattere di mito che essa ha avuto finora e trasformare questa città nella capitale di uno Stato, coi suoi ministri e la sua polizia? Lo si può fare. Però si realizzerebbe soltanto un’opera effimera, come lo sono sempre stati gl’insediamenti politici ebraici; d’altra parte, se Gerusalemme diventasse qualcosa di concreto, agli ebrei della diaspora verrebbe tolto quell’unico centro unificante che ha reso loro possibile la vita fino ad oggi. Il sionismo, senza dubbio, è un tentativo di infrangere il circolo di sofferenza della fatalità giudaica, ma è un tentativo che al massimo può produrre un risultato: la perdizione degli ebrei come popolo, a causa dello sgretolarsi del mito di Gerusalemme. Il sionismo? Un suicidio! E questa doveva essere una soluzione!” (14).

Quanto a Ion Motza, dal suo carteggio con il Welt-Dienst si potrebbe forse ricavare l’impressione che egli condividesse la posizione dei “sionisti” Somville e Meyer; ma sicuramente non era una posizione filosionista quella che egli aveva espressa, in termini inequivocabili, una decina d’anni prima. Infatti, pubblicando in romeno i Protocolli dei Savi di Sion, “Ion I. Motza, studente” aveva commentato l’Introduzione di Roger Lambelin con una nota a pié di pagina del seguente tenore: “Prima della guerra gli Ebrei erano divisi in sionisti e non sionisti. I primi perseguivano l’instaurazione dell’egemonia ebraica sul mondo tramite la rinascita dell’antico regno giudaico di Gerusalemme. Gli altri volevano la stessa cosa, senza però resuscitare il regno di Palestina, ma restando dispersi tra i popoli della terra, così come sono oggi. Adesso, dopo la guerra, quasi tutti i giudei sono ‘sionisti’” (15). Liquidando l’opzione sionista come una delle due tattiche dell’ebraismo mondiale, lo studente Ion Motza si era tenuto lontano dal tranello che, in tempi diversi, minaccerà statisti e capi rivoluzionari.



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A questo dibattito partecipò anche il prof. Herman de Vries de Heekelingen (1880-1941), titolare della cattedra di Paleografia e Diplomatica all’Università di Nimega (Olanda) e presidente della Commissione Cattolica di Cooperazione Intellettuale. Fondatore di un Centro di studi sul fascismo, scrisse Il Fascismo e i suoi risultati (Alpes, Milano 1927); poi si occupò del nazionalsocialismo tedesco e pubblicò Die nationalsozialistische Weltanschauung: ein Wegweiser durch die nationalsozialistische Literatur: 500 markante Zitate (Pan-Verlagsgesellschaft, Berlin-Charlottenburg 1932). Vries de Heekelingen intervenne al Congresso internazionale del Welt-Dienst che si tenne a Erfurt dal 1 al 4 settembre 1938 e vide la partecipazione di delegati provenienti da vari paesi, tra cui il Giappone e il Sudafrica (16).

Nel 1937 apparve a Parigi, presso l’editore Perrin, un libro di Vries de Heekelingen intitolato Israël, son passé, son avenir; poco dopo ne venne pubblicata una traduzione italiana presso Tumminelli & C. Editori. Della questione ebraica, lo studioso olandese si sarebbe ulteriormente occupato con The Jewish Question in Italy (senza indicazione di luogo e di data), con L’orgueil juif (Revue Internationale des Sociétés Secrètes, Paris 1938) (17), con Juifs et catholiques (Grasset, Paris 1939) e con Le Talmud et le non-juif. Une expertise préparée pour le tribunal d’Oron siégeant à Lausanne les 15, 16 et 17 janvier 1940 (Éditions Victor Attinger, Neuchâtel 1940) (18).

Secondo il prof. Vries de Heekelingen la realizzazione integrale del progetto sionista, con la creazione di uno Stato ebraico in Palestina e il trasferimento della popolazione ebraica mondiale (o della maggior parte di essa) sul suo territorio, avrebbe consentito agli altri Stati di considerare stranieri gli ebrei della Diaspora. Fu facile obiettare allo studioso olandese che un tale progetto sarebbe stato impossibile ad attuarsi, per vari motivi. Tra coloro che lo fecero, vi furono i padri gesuiti, che intervennero in due riprese sul tema della “soluzione” proposta da Vries de Heekelingen (19). E lo fecero con argomentazioni che vale la pena di riferire.

“L’attuazione integrale del sionismo – si poteva leggere su “La Civiltà Cattolica” del 2 aprile 1938 – appare materialmente e moralmente impossibile, sia per la ristrettezza del territorio palestinese, sia per la invincibile opposizione degli Arabi, e sia perché la massima parte dei giudei non si indurranno mai ad andare in Palestina, abbandonando le residenze dove stanno bene. La costituzione di uno Stato giudaico, senza la effettiva comprensione dei giudei nel detto Stato, aggraverebbe, anziché scioglierla, la quaestio giudaica, in quanto all'equivoco della doppia nazionalità si aggiungerebbe un nuovo equivoco: quello di uno Stato la cui massima parte di cittadini ne vivono fuori. Ma vi è di più: uno Stato giudaico in Palestina sarà sempre un fomite di disordine e di perpetua guerra tra i giudei e gli arabi, come si vede al presente” (20).

Quale rimedio potrà dunque riportare l'ordine e la pace in Palestina? “Nessun altro che la partenza degli Ebrei, o almeno la cessazione dei loro progressi e della loro immigrazione, in una parola, il totale abbandono dell'idea di uno Stato ebraico in Palestina” (21).

Anche negli anni successivi la Santa Sede manifesterà la propria contrarietà alla nascita di una Jewish Home in Terrasanta, ma questa posizione si ammorbidirà gradualmente, finché, il 30 dicembre 1993, il Vaticano l’entità politico-militare sionista firmeranno a Gerusalemme un “accordo fondamentale” cui farà seguito il reciproco riconoscimento diplomatico. Per i padri gesuiti, d’altronde, il “fomite di disordine e di perpetua guerra” era già diventato da un pezzo “il piccolo Stato d’Israele, deciso a mantenere la propria identità di nazione” (22). L’episodio che coronerà degnamente l’evoluzione dei rapporti tra il Vaticano e l’entità sionista sarà il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II, il papa “orfano di un’ebrea” (23), al Muro del Pianto.

Il professor de Heekelingen non poteva certo immaginare che i rapporti tra cattolici ed ebrei sarebbero approdati a questo traguardo. Né, essendo morto nel 1941, ebbe modo di vedere quale “soluzione” abbia rappresentato il sionismo per la questione ebraica.



Claudio Mutti



(1) Cfr. Ion Motza, Corrispondenza col Welt-Dienst (1934-1936), Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1996. “’Servizio Mondiale’, Welt-Dienst, è il nome dell’organismo fondato nel 1933 da Ulrich Fleischhauer. (…) Nel 1933 Fleischhauer prese contatti in vari paesi (…) ai fini della creazione di un ‘ufficio di assistenza tecnica’ specializzato nella raccolta di notizie sulle attività dell’ebraismo, nella controinformazione e nella propaganda. Il Welt-Dienst poté usufruire dei finanziamenti del Ministero della Propaganda e, a partire dal 1937, dell’ufficio di politica estera diretto da Rosenberg” (C. Mutti, Prefazione a I. Motza, op. cit., pp. 5-6).
(2) Ion Motza, op. cit., p. 44.
(3) Ibidem.
(4) “Padre della famigerata Melina” (Michele Rallo, I fascismi della Mitteleuropa, Edizioni Europa, Roma, s.d., p. 65.
(5) Michael A. Ledeen, L’internazionale fascista, Laterza, Bari 1973, p. 158.
(6) Ibidem.
(7) Ion Motza, op. cit., p. 44.
(8) Dragos Zamfirescu, Legiunea Arhanghelul Mihail de la mit la realitate [La Legione Arcangelo Michele dal mito alla realtà], Editura Enciclopedica, Bucuresti 1997, p. 113.
(9) Cfr. Enrico Galoppini, Il Fascismo e l’Islam, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2001.
(10) Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Comunità, Milano 1982, p. 84.
(11) Renzo De Felice, Il fascismo e l’Oriente, Il Mulino, Bologna 1988, p. 310.
(12) Émmanuel Ratier, Les guerriers d’Israël, Facta, Paris 1995, p. 78.
(13) Ibidem.
(14) Nae Ionescu, Prefata [Prefazione], in: Mihail Sebastian, De doua mii de ani…, Humanitas, Bucuresti 1990, pp. 22-24.
(15) ”Protocoalele” înteleptilor Sionului, traduse direct din rubeste în frantuzeste si precedate de o întroducere de Roger Lambelin, în româneste de Ion I. Mota, student [I “Protocolli” dei Savi di Sion, tradotti direttamente dal russo in francese e preceduti da un’introduzione di Roger Lambelin, versione romena di Ion I. Motza, studente], Libertatea, Orastie 1923, p. 14, nota 2.
(16) Cfr. Claudio Mutti, A oriente di Roma e di Berlino, Effepi, Genova 2003, p. 20.
(17) Una recensione de L’orgueil juif scritta da René Guénon nel 1938 per “Études traditionnelles” si trova in: R. Guénon, Recensioni, edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1981, pp. 26-27.
(18) Oltre a Israele, il suo passato, il suo avvenire (Tumminelli, Roma 1937), Vries de Heekelingen pubblicò in Italia alcuni articoli: Fascismo ed Ebraismo (“L’Idea di Roma”, dicembre 1938), L’eterna questione ebraica e la sua soluzione (“Difesa della Razza”, 5 novembre 1939), Il cristiano di fronte al problema ebraico (“L’Idea di Roma”, aprile-maggio 1940) e il saggio intitolato L’atteggiamento del Talmud di fronte al non-ebreo (“La Vita Italiana”, giugno 1940). Questo saggio (un adattamento dell’expertise presentata al Tribunale di Losanna) è stato più volte ripubblicato nel dopoguerra: in appendice a Claudio Mutti, Ebraicità ed ebraismo. I Protocolli dei Savi di Sion (Edizioni di Ar, Padova 1976), nell’opuscolo Il Talmud e i non ebrei (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1991), nel primo ed unico numero della rivista “La questione ebraica”, 1, agosto 1998, pp. 57-68. La traduzione italiana dell’expertise (Il talmud e il non ebreo) si trova in: Johannes Pohl – Karl Georg Kuhn – H. Vries de Heekelingen, Studi sul Talmud (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1992).
(19) La prima volta fu con l’articolo La questione giudaica “La Civiltà Cattolica”, 1937, II, p. 418; 497; III, p. 27
(20) “La Civiltà Cattolica”, 2 aprile 1938, a. 89, vol. II, quad. 2107, pp. 77-78. L’articolo è riprodotto in: Chiesa, giudaismo, antisemitismo. Gli articoli de “La Civiltà Cattolica” dal 1938 al 1940, Effepi, Genova, 2002.
(21) Ibidem.
(22) “La Civiltà Cattolica”, 5 settembre 1981, a. 132, vol. III, quad. 3149, p. 430.
(23) Yoram Kaniuk, L’era che il Papa apre sulla terra degli ebrei, “La Repubblica”, 22 marzo 2000, p. 15.











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