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Visualizza Versione Completa : Capitalismo e foreste,l'ennesimo abbaglio dei Verdi



Silvioleo
11-09-05, 15:12
Uno dei temi più ricorrenti, quasi ossessionanti, della propaganda dei movimenti ecologisti è quello della deforestazione. Con la loro mentalità sinistrorsa, questi ambientalisti hanno generato il consueto groviglio di isterici allarmismi e di ostilità verso il mercato e la libera impresa, accusando le grandi società multinazionali, simbolo di un capitalismo vorace e disumano, di distruggere le foreste tropicali, tagliando alberi centenari, abbattendo parti rilevanti di foreste e attentando in particolare a quello che si suole chiamare il «polmone verde» del pianeta, la foresta amazzonica.

Il carattere pretestuosamente anticapitalistico di questa propaganda appare evidente solo che si ponga attenzione al fatto che, come fa notare l'economista Pascal Salin, «queste grandi società non sono proprietarie della foresta, ma...beneficiano soltanto di una concessione accordata dal vero proprietario, lo Stato. Da lì viene il male. Infatti, un regime di concessione non accorda al beneficiario che due attributi di proprietà, l'usus e il fructus, ma non certamente l'elemento essenziale, l'abusus, che resta nelle mani dello Stato».

Se, invece, le imprese private fossero integralmente titolari di diritti di proprietà sulle foreste tropicali, sarebbero incentivate a ricostituire e anche a sviluppare le piantagioni, dal momento che il valore dei terreni dipenderebbe dal valore degli alberi che possono essere tagliati in futuro. Un proprietario nel vero senso del termine (ossia il titolare di un abusus) è consapevole del fatto che il valore dei suoi terreni fra, poniamo, trent'anni, è determinato non soltanto dal valore degli alberi che a quell'epoca potranno essere tagliati, ma anche da quelli che potranno essere tagliati, ad esempio, sessant'anni dopo. «Anche se si programma - spiega Salin - di vendere in trent'anni un terreno del quale oggi sono stati tagliati gli alberi e nel quale i nuovi alberi impiegheranno cento anni a crescere, il valore futuro di questo terreno sarà tanto più grande quanti più alberi sono stati piantati oggi e quanto più si avvicinerà la data in cui la foresta potrà essere sfruttata». Il punto essenziale è che il pieno godimento del diritto di proprietà permette di capitalizzare le azioni future, di trasportare i valori nel tempo.

Al contrario, nel regime attuale, il concessionario si trova ad agire per forza di cose in un orizzonte temporale estremamente limitato, che lo incentiva a sfruttare al massimo la risorsa ma non a ricostituirla, dal momento che non sarà lui a godere dei sacrifici effettuati oggi. Per giunta, lo Stato, avvalendosi del monopolio legale della coercizione, si è appropriato delle foreste (e invece di venderle, ne attribuisce i diritti di concessione), calpestando in questo modo gli ancestrali «diritti di primi occupanti» (prior appropriator) degli indigeni. Ancora: in una situazione di assenza di autentica proprietà privata, è verosimile che i potenziali concessionari tendano a comportarsi non da imprenditori mossi da spirito di innovazione, ma a servirsi della corruzione per beneficiare delle concessioni. Risulta evidente, allora, che ci si trova completamente agli antipodi di quel capitalismo che rappresenta la bestia nera degli ecologisti di sinistra, e che solo un regime di proprietà privata - un vero capitalismo - consentirebbe, allo stesso tempo, di restituire agli indiani d'Amazzonia i diritti di cui sono stati indebitamente spogliati e di rinnovare le aree forestali.

Non è dunque nel capitalismo che va cercata la vera causa dei disastri ambientali denunciati: con buona pace dei verdi, essa è da ricercare semmai nella sua assenza. Per averne la controprova, è opportuno osservare l'evoluzione delle foreste sulla superficie terrestre nel corso degli ultimi decenni: la loro superficie è aumentata in maniera significativa in alcune zone del mondo ed è fortemente diminuita in altre. «La maggior parte del legno - ci informano Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli - viene prodotta e utilizzata nei Paesi industriali (circa il 75% del totale) dove le foreste stanno crescendo significativamente. Gli Stati Uniti sono il principale produttore di legno, e coprono il 25% del mercato mondiale, eppure le foreste americane continuano ad espandersi. In Gran Bretagna ci sono più foreste oggi che ai tempi di Robin Hood». In Germania, nell'ultimo decennio, le aree boschive sono cresciute di 1.000 km2, e in Italia, secondo un rapporto pubblicato dall'ANARF (Associazione Nazionale Aziende Regionali Forestali), tra il 1950 e il 1980 la superficie forestale è aumentata di circa il 31%. Ciò che qui preme sottolineare, al di là dei dati relativi ai singoli Paesi, è che la superficie boschiva aumenta laddove le foreste sono prevalentemente private (Europa, Stati Uniti), e diminuisce laddove è di proprietà statale, dunque, in particolare, in Africa e Asia.

Giorgio Bianco

Rick Hunter
11-09-05, 15:57
Già, tipica tesi classica, già contraddetta da decenni di disastri ambientali ed economici. Come il mercato che si regola da solo, e si è visto che 29 come si regola da solo.

Pensare agli imprenditori come interessati a progetti a lunghissimo termine, come la crescita degli alberi è semplicemente assurdo. Solo un'istituzione stabile come lo stato può farlo, l'imprenditore, come è ovvio, punta al profitto nel tempo più breve possibile, non certo al ritorno che potrebbe avere dopo 50 anni (se basta), in cui se è sopravissuto a tutti gli accidenti della vita, sarà vecchio ed incartapecorito.

No, l'imprenditore punta invece a guadagnare il più possibile e il più presto possibile, si chiama ottimizzazione dei costi-benefici, e se il capitalismo porta i soldi è per quello. Quindi ogni progetto economico che vada oltre il lungo periodo massimo decennale perde di qualunque significato, e può essere intrapreso solo dallo stato.

Silvioleo
11-09-05, 17:43
il bello è che dici che questa tesi è contraddetta dalla realtà dei fatti...:D :K

Rick Hunter
11-09-05, 18:32
In Origine postato da Silvioleo
il bello è che dici che questa tesi è contraddetta dalla realtà dei fatti...:D :K

Infatti la tua tesi è contraddetta, bevi di meno e leggi meglio...

vlad84
18-09-05, 09:57
In Origine postato da Silvioleo
Uno dei temi più ricorrenti, quasi ossessionanti, della propaganda dei movimenti ecologisti è quello della deforestazione. Con la loro mentalità sinistrorsa, questi ambientalisti hanno generato il consueto groviglio di isterici allarmismi e di ostilità verso il mercato e la libera impresa, accusando le grandi società multinazionali, simbolo di un capitalismo vorace e disumano, di distruggere le foreste tropicali, tagliando alberi centenari, abbattendo parti rilevanti di foreste e attentando in particolare a quello che si suole chiamare il «polmone verde» del pianeta, la foresta amazzonica.

Il carattere pretestuosamente anticapitalistico di questa propaganda appare evidente solo che si ponga attenzione al fatto che, come fa notare l'economista Pascal Salin, «queste grandi società non sono proprietarie della foresta, ma...beneficiano soltanto di una concessione accordata dal vero proprietario, lo Stato. Da lì viene il male. Infatti, un regime di concessione non accorda al beneficiario che due attributi di proprietà, l'usus e il fructus, ma non certamente l'elemento essenziale, l'abusus, che resta nelle mani dello Stato».

Se, invece, le imprese private fossero integralmente titolari di diritti di proprietà sulle foreste tropicali, sarebbero incentivate a ricostituire e anche a sviluppare le piantagioni, dal momento che il valore dei terreni dipenderebbe dal valore degli alberi che possono essere tagliati in futuro. Un proprietario nel vero senso del termine (ossia il titolare di un abusus) è consapevole del fatto che il valore dei suoi terreni fra, poniamo, trent'anni, è determinato non soltanto dal valore degli alberi che a quell'epoca potranno essere tagliati, ma anche da quelli che potranno essere tagliati, ad esempio, sessant'anni dopo. «Anche se si programma - spiega Salin - di vendere in trent'anni un terreno del quale oggi sono stati tagliati gli alberi e nel quale i nuovi alberi impiegheranno cento anni a crescere, il valore futuro di questo terreno sarà tanto più grande quanti più alberi sono stati piantati oggi e quanto più si avvicinerà la data in cui la foresta potrà essere sfruttata». Il punto essenziale è che il pieno godimento del diritto di proprietà permette di capitalizzare le azioni future, di trasportare i valori nel tempo.

Al contrario, nel regime attuale, il concessionario si trova ad agire per forza di cose in un orizzonte temporale estremamente limitato, che lo incentiva a sfruttare al massimo la risorsa ma non a ricostituirla, dal momento che non sarà lui a godere dei sacrifici effettuati oggi. Per giunta, lo Stato, avvalendosi del monopolio legale della coercizione, si è appropriato delle foreste (e invece di venderle, ne attribuisce i diritti di concessione), calpestando in questo modo gli ancestrali «diritti di primi occupanti» (prior appropriator) degli indigeni. Ancora: in una situazione di assenza di autentica proprietà privata, è verosimile che i potenziali concessionari tendano a comportarsi non da imprenditori mossi da spirito di innovazione, ma a servirsi della corruzione per beneficiare delle concessioni. Risulta evidente, allora, che ci si trova completamente agli antipodi di quel capitalismo che rappresenta la bestia nera degli ecologisti di sinistra, e che solo un regime di proprietà privata - un vero capitalismo - consentirebbe, allo stesso tempo, di restituire agli indiani d'Amazzonia i diritti di cui sono stati indebitamente spogliati e di rinnovare le aree forestali.

Non è dunque nel capitalismo che va cercata la vera causa dei disastri ambientali denunciati: con buona pace dei verdi, essa è da ricercare semmai nella sua assenza. Per averne la controprova, è opportuno osservare l'evoluzione delle foreste sulla superficie terrestre nel corso degli ultimi decenni: la loro superficie è aumentata in maniera significativa in alcune zone del mondo ed è fortemente diminuita in altre. «La maggior parte del legno - ci informano Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli - viene prodotta e utilizzata nei Paesi industriali (circa il 75% del totale) dove le foreste stanno crescendo significativamente. Gli Stati Uniti sono il principale produttore di legno, e coprono il 25% del mercato mondiale, eppure le foreste americane continuano ad espandersi. In Gran Bretagna ci sono più foreste oggi che ai tempi di Robin Hood». In Germania, nell'ultimo decennio, le aree boschive sono cresciute di 1.000 km2, e in Italia, secondo un rapporto pubblicato dall'ANARF (Associazione Nazionale Aziende Regionali Forestali), tra il 1950 e il 1980 la superficie forestale è aumentata di circa il 31%. Ciò che qui preme sottolineare, al di là dei dati relativi ai singoli Paesi, è che la superficie boschiva aumenta laddove le foreste sono prevalentemente private (Europa, Stati Uniti), e diminuisce laddove è di proprietà statale, dunque, in particolare, in Africa e Asia.

Giorgio Bianco

:lol :lol :lol

Silvioleo
18-09-05, 09:58
In Origine postato da vlad84
:lol :lol :lol profondo,un c'è che dire.

marcejap
18-09-05, 22:25
In Origine postato da Silvioleo
«La maggior parte del legno - ci informano Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli - viene prodotta e utilizzata nei Paesi industriali (circa il 75% del totale) dove le foreste stanno crescendo significativamente. Gli Stati Uniti sono il principale produttore di legno, e coprono il 25% del mercato mondiale, eppure le foreste americane continuano ad espandersi. In Gran Bretagna ci sono più foreste oggi che ai tempi di Robin Hood». In Germania, nell'ultimo decennio, le aree boschive sono cresciute di 1.000 km2, e in Italia, secondo un rapporto pubblicato dall'ANARF (Associazione Nazionale Aziende Regionali Forestali), tra il 1950 e il 1980 la superficie forestale è aumentata di circa il 31%. Ciò che qui preme sottolineare, al di là dei dati relativi ai singoli Paesi, è che la superficie boschiva aumenta laddove le foreste sono prevalentemente private (Europa, Stati Uniti), e diminuisce laddove è di proprietà statale, dunque, in particolare, in Africa e Asia.



L'autre dell'articolo dmentica di dire che ci sono leggi statali che impongono che il privato possessore di un terreno boschivo non possa tagliare tutto quel che gli pare solo perchè quegli alberi sono suoi, ma una determinata quantità di legna all'anno, a seconda del terreno e del tipo di albero che vi cresce.

Mio padre ha dei terreni boscosi in montagna, e va a fare legna per il camino, ma non può tagliarne quanta ne vuole.

In Africa, Asia, Sud America è lo stesso, solo che i governi di quei paesi non fanno rispettare questi limiti (per debolezza, o corruzione) e i concessionari dei terreni non si fanno scrupoli a tagliare tutto il tagliabile.

Lizard
20-09-05, 16:47
In Origine postato da marcejap
L'autre dell'articolo dmentica di dire che ci sono leggi statali che impongono che il privato possessore di un terreno boschivo non possa tagliare tutto quel che gli pare solo perchè quegli alberi sono suoi, ma una determinata quantità di legna all'anno, a seconda del terreno e del tipo di albero che vi cresce.

Mio padre ha dei terreni boscosi in montagna, e va a fare legna per il camino, ma non può tagliarne quanta ne vuole.

In Africa, Asia, Sud America è lo stesso, solo che i governi di quei paesi non fanno rispettare questi limiti (per debolezza, o corruzione) e i concessionari dei terreni non si fanno scrupoli a tagliare tutto il tagliabile.

Bello questo forum...

In risposta a Marcejap posso dirti che non esistano leggi che tengano... ti sembra giusto che qualcuno non possa fare ciò che vuole della sua terra?

In più è da notare come si assista ad una sostanziale correlazione negativa tra foreste e zone agricole: più si abbandona l'agricoltura a favore di altre attività produttive, più si riformano spontaneamente foreste (come sta avvenendo in Italia).

Questa correlazione negativa mostra come nella realtà le zone agricole siano del tutto 'innaturali' (nel senso che richiedono un massiccio intervento umano).

La differenza con gli altri paesi, specie quelli più poveri, è che noi in nome di un ambientalismo più o meno preconcetto gli impediamo di creare zone agricole in quanto riteniamo dannoso il disboscamento.

Se poi guardiamo alla nostra storia, vediamo che abbiamo raso al suolo mezza Europa per coltivare. (Le cose che mangiamo noi, degli altri che ci frega?)

marcejap
21-09-05, 14:50
In Origine postato da Lizard
In risposta a Marcejap posso dirti che non esistano leggi che tengano... ti sembra giusto che qualcuno non possa fare ciò che vuole della sua terra?

Ok, te hai un tereno boschivo. Tagli tutto e fai la legna. Poi viene una bella acquata e viene giù tutto perchè non ci sono gli alberi a frenare la forza dell'H2O. Così si hanno smottamenti e dissesti idrogeologici che intaccano anche tutto il resto dei terreni boschivi intorno. Questo danneggia gli altri proprietari (e magari il fango butta giù anche qualche casa).
Per questi si pongono dei limiti. Te nel tuo terreno fai quel che vuoi... entro i limiti, ovviamente.


La differenza con gli altri paesi, specie quelli più poveri, è che noi in nome di un ambientalismo più o meno preconcetto gli impediamo di creare zone agricole in quanto riteniamo dannoso il disboscamento.

Nei paesi poveri gli agricoltori danno fuoco ai terreni boschivi per renderli fertili e coltivarli, ma abbandonano quell che avevano in precedenza perchè non più produttivi. da noi non avviene perchè abbiamo la rotazione delle colture, migliori sostante da dare ai terreni per rinvigorirli, ecc. tutte cose che il contadino indonesiano non può permettersi. Dà fuoco alla foresta (ed il fumo poi copre tutta la Malesia) ma il terreno che aveva precedentemente resta spoglio di piante, e quando piove l'acqua si porta via tutto.

Lizard
21-09-05, 15:15
In Origine postato da marcejap
Ok, te hai un tereno boschivo. Tagli tutto e fai la legna. Poi viene una bella acquata e viene giù tutto perchè non ci sono gli alberi a frenare la forza dell'H2O. Così si hanno smottamenti e dissesti idrogeologici che intaccano anche tutto il resto dei terreni boschivi intorno. Questo danneggia gli altri proprietari (e magari il fango butta giù anche qualche casa).
Per questi si pongono dei limiti. Te nel tuo terreno fai quel che vuoi... entro i limiti, ovviamente.


Nel caso da te citato si crean un'esternalità negativa, esattamente come per l'inquinamento. In tal caso i proprietari danneggiati potrebbero richiedere remunerazione del danno subito. Inoltre, molto spesso, sono proprio le stesse comunità che tendono ad organizzarsi in un certo modo. Senza bisogno di leggi e leggine.



Nei paesi poveri gli agricoltori danno fuoco ai terreni boschivi per renderli fertili e coltivarli, ma abbandonano quell che avevano in precedenza perchè non più produttivi. da noi non avviene perchè abbiamo la rotazione delle colture, migliori sostante da dare ai terreni per rinvigorirli, ecc. tutte cose che il contadino indonesiano non può permettersi. Dà fuoco alla foresta (ed il fumo poi copre tutta la Malesia) ma il terreno che aveva precedentemente resta spoglio di piante, e quando piove l'acqua si porta via tutto.

E allora noi dovremmo pretendere di intervenire per dirgli che cosa è meglio?

Dal punto di vista tecnologico la nostra agricoltura si è evoluta tantissimo ed ha richiesto parecchio tempo. In più non mi sembra che qualcuno sia venuto ad imporci come coltivare o cosa fare della nostra terra.

Questo discorso è il solito che gli Occcidentali fanno, affermando implicitamente la propria superiorità. Inoltre è un discorso molto simile a quello degli economisti classici che vedevano il progressivo ricorso a terre meno produttive: nei fatti questa tesi è stata smentita. E ancora in questo caso la tecnologia non è prerequisito allo sviluppo economico, ma è proprio la scarsità che ha portato allo sviluppo tecnologico e produttivo.

Pretendere di imporre, ed in maniera rapida, tutto ciò ai paesi poveri significa condannarli ancora di più alla povertà.

marcejap
21-09-05, 18:47
In Origine postato da Lizard
Nel caso da te citato si crean un'esternalità negativa, esattamente come per l'inquinamento. In tal caso i proprietari danneggiati potrebbero richiedere remunerazione del danno subito. Inoltre, molto spesso, sono proprio le stesse comunità che tendono ad organizzarsi in un certo modo. Senza bisogno di leggi e leggine.

Se non si mettono leggi o leggine, a che possono appigliarsi i proprietari danneggiati?
Non esistendo leggi e regolamentazioni, non esiste neanche il danno.
E comunque organizzarsi significa porre una regolamentazione. Ed anche lo Stato in fondo è una comunità.


E allora noi dovremmo pretendere di intervenire per dirgli che cosa è meglio?

Dal punto di vista tecnologico la nostra agricoltura si è evoluta tantissimo ed ha richiesto parecchio tempo. In più non mi sembra che qualcuno sia venuto ad imporci come coltivare o cosa fare della nostra terra.

Questo discorso è il solito che gli Occcidentali fanno, affermando implicitamente la propria superiorità. Inoltre è un discorso molto simile a quello degli economisti classici che vedevano il progressivo ricorso a terre meno produttive: nei fatti questa tesi è stata smentita. E ancora in questo caso la tecnologia non è prerequisito allo sviluppo economico, ma è proprio la scarsità che ha portato allo sviluppo tecnologico e produttivo.

Pretendere di imporre, ed in maniera rapida, tutto ciò ai paesi poveri significa condannarli ancora di più alla povertà.

A parte che il fumo degli incendi indonesiani va a coprire la Malesia e Singaopre (finendo quindi per danneggiare questi stati che hanno ben donde a protestare e chiedere che l'Indonesia la smetta), se lasciamo che i paesi poveri continuino a bruciare foreste per creare campi coltivabili e danneggiare l'ecosistema, alla fine si ritroveranno con un deserto, e saranno ancora più poveri.

Essendo noi stati più bravi a far produrre le nostre terre senza bisogno di distruggere i boschi, è anche giusto che si diano indicazioni su come fare agli altri. certo, se gli dessimo anche la tecnologia senza farcela pagare uno sproposito, sarebbe ancora meglio, ma questo allora diventa un altro discorso.

Lizard
21-09-05, 19:01
In Origine postato da marcejap
Se non si mettono leggi o leggine, a che possono appigliarsi i proprietari danneggiati?
Non esistendo leggi e regolamentazioni, non esiste neanche il danno.
E comunque organizzarsi significa porre una regolamentazione. Ed anche lo Stato in fondo è una comunità.

Lo stato è una comunità coercitiva che si autoimpone. Infatti, ma questo è un discorso molto più ampio, una società senza stato non è nè una società senza regole nè una società senza diritto.

Il danno esiste nel momento in cui viene subito, non nel momento in cui viene deciso da un tribunale. Le esternalità negative in società senza stato (o con poco stato) si pagano eccome: il prblema sta nella creazione delle regole, non nella loro esistenza.




A parte che il fumo degli incendi indonesiani va a coprire la Malesia e Singaopre (finendo quindi per danneggiare questi stati che hanno ben donde a protestare e chiedere che l'Indonesia la smetta), se lasciamo che i paesi poveri continuino a bruciare foreste per creare campi coltivabili e danneggiare l'ecosistema, alla fine si ritroveranno con un deserto, e saranno ancora più poveri.

Sì, ma noi che diritto abbiamo di dirgli cosa devono fare? E soprattutto quali mezzi non coercitivi potremmo utlizare? L'unico sistema è il mercato dele informazioni, in modo che si possa valutare quale sia il sistema migliore a livello produttivo.
Ed infatti....



Essendo noi stati più bravi a far produrre le nostre terre senza bisogno di distruggere i boschi, è anche giusto che si diano indicazioni su come fare agli altri. certo, se gli dessimo anche la tecnologia senza farcela pagare uno sproposito, sarebbe ancora meglio, ma questo allora diventa un altro discorso.

... noi i boschi gli abbiamo distrutti eccome. Come pensi che fosse l'Europa con un solo milione di abitanti? Abbiamo disboscato mezza Europa per mangiare ed adesso vorremmo impedirlo ad altri... mi sembra lievemente illogico.

Quanto alla tecnologia. Noi l'abbiamo sviluppata e noi decidiamo cosa farne. Un conto è se si ha spirito umanitario, un conto è se si vuole che gli sforzi siano premiati.

Io, ogni giorno che mi sveglio, è come se ringrazziassi i miei avi per essersi fatti un mazzo tanto e permettere a me di non dovere zappare e mantenermi utilizzando la mia testa, una biro e dei fogli di carta.

La mia critica è molto semplice: non si può volere in qualche lustro lo stesso salto che abbiamo fatto noi in millenni. Questo sarebbe davvero utopistico.

Nel frattempo la gente crepa di fame...

marcejap
22-09-05, 03:42
In Origine postato da Lizard
Lo stato è una comunità coercitiva che si autoimpone. Infatti, ma questo è un discorso molto più ampio, una società senza stato non è nè una società senza regole nè una società senza diritto.

Il danno esiste nel momento in cui viene subito, non nel momento in cui viene deciso da un tribunale. Le esternalità negative in società senza stato (o con poco stato) si pagano eccome: il prblema sta nella creazione delle regole, non nella loro esistenza.

Ma qualcuno lo dovrà pur creare queste regole no? E si tratterà giocoforza di un qualcosa (stato o comunità + o - grande che sia) che le redige e le fa applicare.


Sì, ma noi che diritto abbiamo di dirgli cosa devono fare? E soprattutto quali mezzi non coercitivi potremmo utlizare? L'unico sistema è il mercato dele informazioni, in modo che si possa valutare quale sia il sistema migliore a livello produttivo.
Ed infatti....

Sono sicuro che il contadino indonesiano sappia (anche se analfabeta) qual'è il sistema migliore per aumentare la produttività dei suoi campi. Ma dato che non dispone di soldi per comprare trattori o concimi, fa la cosa più semplice: brucia la foresta.


... noi i boschi gli abbiamo distrutti eccome. Come pensi che fosse l'Europa con un solo milione di abitanti? Abbiamo disboscato mezza Europa per mangiare ed adesso vorremmo impedirlo ad altri... mi sembra lievemente illogico.

Noi Europei abbiamo cominciato a disboscare il continente alla fine del medioevo, e proseguendo nel Rinascimento e rivoluzione industriale. Poi abbiamo cominciato a renderci conto che senza boschi la situzione sarebbe crollata in poco tempo.
Uno dei fautori più accaniti della preservazione forestale fu Hiter, ad esempio.


Quanto alla tecnologia. Noi l'abbiamo sviluppata e noi decidiamo cosa farne. Un conto è se si ha spirito umanitario, un conto è se si vuole che gli sforzi siano premiati.

Se tu vivessi a Singapore a respirare le nubi degli incendi indonesiani, forse penseresti che sarebbe meglio dargli un pò di tecnologia, purchè la smettano.


Io, ogni giorno che mi sveglio, è come se ringrazziassi i miei avi per essersi fatti un mazzo tanto e permettere a me di non dovere zappare e mantenermi utilizzando la mia testa, una biro e dei fogli di carta.

Non ho mica detto che bisogna tornare all'età della pietra, suvvia...


La mia critica è molto semplice: non si può volere in qualche lustro lo stesso salto che abbiamo fatto noi in millenni. Questo sarebbe davvero utopistico.

Nel frattempo la gente crepa di fame...

Non crepa di fame, cerca solo il modo più rapido e comodo di fare le cose. Solo che non sempre questo metodo è anche il più salutare.

Lizard
22-09-05, 16:00
In Origine postato da marcejap
Ma qualcuno lo dovrà pur creare queste regole no? E si tratterà giocoforza di un qualcosa (stato o comunità + o - grande che sia) che le redige e le fa applicare.

Il problema è proprio questo (su un altro 3d Fuori_schema mi ha dato addosso proprio per la coincidenza stato-multinazionale) è che le regole stuali sono coercitive ed imposte. Finchè non si capirà che non si formano regole condivise ed utili con parlamenti, giunte e parlamentini vari, non potremo mai avere una situazione in cui il diritto diventi vera fonte di (auto) regolamentazione.

Avremmo solo aumento della discrezionalità, e dal punto di vista empirico questa tendenza è sotto gli occhi di tutti.




Sono sicuro che il contadino indonesiano sappia (anche se analfabeta) qual'è il sistema migliore per aumentare la produttività dei suoi campi. Ma dato che non dispone di soldi per comprare trattori o concimi, fa la cosa più semplice: brucia la foresta.


Ovvero quello che facevamo in Italia quando non potevamo permetterci le tecnologie. Marx lo aveva capito benissimo quando introdusse i concetto di 'accumulazione' del capitale. Noi vogliamo che i paesi poveri diventino come noi senza dargli quelle condizioni che ci hanno messo in condizione di arricchirci.

Lo sai che quando a Londra giravano i cavalli c'era molto più inquinamento che non adesso con le macchine? Come possiamo imporre certi passaggi che a noi hanno richiesto decenni, se non secoli?



Noi Europei abbiamo cominciato a disboscare il continente alla fine del medioevo, e proseguendo nel Rinascimento e rivoluzione industriale. Poi abbiamo cominciato a renderci conto che senza boschi la situzione sarebbe crollata in poco tempo.
Uno dei fautori più accaniti della preservazione forestale fu Hiter, ad esempio.


No, abbiamo iniziato molto prima, ma non cambia il senso del discorso. Lo dici tu stesso che noi 'ci siamo accorti'. E quai standard di vita avevamo quando ci siamo concessi questo lusso?
Con quale faccia impediamo agli agricoltori di sfamarsi solo perchè a noi ci piace vedere le foreste rigogliose???




Se tu vivessi a Singapore a respirare le nubi degli incendi indonesiani, forse penseresti che sarebbe meglio dargli un pò di tecnologia, purchè la smettano.


A Singapore sono fessi se non gliela danno. Potrebbero chiedere i danni, oppure semplicemente trarne profitto comune dalla commercializzazione delle tecnologie.

Agricoltura più produttiva, se ancora ce ne fosse bisogno di conferme di questo tipo, è più remunerativa (per tutti) e meno inquinante.



Non ho mica detto che bisogna tornare all'età della pietra, suvvia...




Non crepa di fame, cerca solo il modo più rapido e comodo di fare le cose. Solo che non sempre questo metodo è anche il più salutare.

Lo stessa valeva quando eravamo noi ad avere fame. Però nessuno ci diceva cosa dovevamo fare di salutare per difenderci.

marcejap
25-09-05, 17:50
In Origine postato da Lizard
Il problema è proprio questo (su un altro 3d Fuori_schema mi ha dato addosso proprio per la coincidenza stato-multinazionale) è che le regole stuali sono coercitive ed imposte. Finchè non si capirà che non si formano regole condivise ed utili con parlamenti, giunte e parlamentini vari, non potremo mai avere una situazione in cui il diritto diventi vera fonte di (auto) regolamentazione.

Avremmo solo aumento della discrezionalità, e dal punto di vista empirico questa tendenza è sotto gli occhi di tutti.


E chi le dovrebbe fare queste regole? :confused:

Se non ci sono regole, io al mio pezzo di bosco posso farci cosa voglio: tagliare tutto, seppellirci rifiuti vari, ecc.


Ovvero quello che facevamo in Italia quando non potevamo permetterci le tecnologie. Marx lo aveva capito benissimo quando introdusse i concetto di 'accumulazione' del capitale. Noi vogliamo che i paesi poveri diventino come noi senza dargli quelle condizioni che ci hanno messo in condizione di arricchirci.

Lo sai che quando a Londra giravano i cavalli c'era molto più inquinamento che non adesso con le macchine? Come possiamo imporre certi passaggi che a noi hanno richiesto decenni, se non secoli?

Si, ma a quell'epoca l'inquinamento non lo facevano i cavalli, ma le industrie che potevano inquinare perchè non c'erano regole sullo smaltimento dei rifiuti e depuratori, c'erano le fogne a cielo aperto, ecc.

E' vero che è pco etico chiedere ai paesi poveri di non devastare l'ambiente nella ricerca della ricchezza, ma le loro devastazioni influiscono su tutto il pianeta, noi compresi.

Comunque attendiamo che venga un Katrina o Rita pure qui...

Lizard
26-09-05, 09:57
In Origine postato da marcejap
E chi le dovrebbe fare queste regole? :confused:

Se non ci sono regole, io al mio pezzo di bosco posso farci cosa voglio: tagliare tutto, seppellirci rifiuti vari, ecc.


Ed è nei tuoi diritti finchè non limiti la libertà altrui. Ma non può essere lo stato ad andare sopra le volonta bilaterali o plurilaterali dei singoli individui.

Cosa che fa puntualmente con la solita spocchia impositrice.



Si, ma a quell'epoca l'inquinamento non lo facevano i cavalli, ma le industrie che potevano inquinare perchè non c'erano regole sullo smaltimento dei rifiuti e depuratori, c'erano le fogne a cielo aperto, ecc.


Ti stupirà ma a Londra l'inquinamento lo facevano proprio i cavali (non è così difficile capire poi il perchè).

Quanto al resto, ribadisco il mio solito assunto: le regole si creano e non si impongono. Noi abbiamo potuto pensare al nostro benessere di lungo periodo dopo aver soddisfatto quello di breve.

E allora abbiamo sviluppato tecnologie tali da ridurre inquinamento e solo poi le abbiamo regolamentate.

Pretendere di imporre regole ai paesi poveri significa imporre l'acquisto di tecnologie nostre ai nostri prezzi.

In tal caso saremmo dei veri stronzi, come siamo davvero.




E' vero che è pco etico chiedere ai paesi poveri di non devastare l'ambiente nella ricerca della ricchezza, ma le loro devastazioni influiscono su tutto il pianeta, noi compresi.

Quando lo facevamo noi però non c'era nessuno a romperci le scatole.

Ora, siccome siamo ricchi e ce lo possiamo permettere, facciamo i virtuosi e vorremmo obbligare gli altri paesi a non fare quello che noi facevamo bellamente fino a cinquant'anni fa. Bella roba...



Comunque attendiamo che venga un Katrina o Rita pure qui...

:confused: