Silvioleo
07-10-05, 12:56
Gli ambientalisti e i loro danni ideologici
di Giorgio Bianco
La propaganda a favore del riciclaggio ha raggiunto dimensioni tali, soprattutto sotto forma di ossessivo indottrinamento dei bambini nelle scuole, che provando a immaginare uno scenario distopico alla 1984, oppure, senza neppure servirsi della fantasia ma solo della memoria storica, ripensando a ciò che accadeva in alcuni regimi comunisti, non è difficile immaginare una società in cui i figli, privati di ogni scrupolo morale nei confronti della delazione da qualche forma di pseudo-religione “civile”, denunciano alle autorità i genitori che si sottraggono al sacrosanto dovere del riciclaggio. Molti hanno creduto, e in tutto o in parte continuano a credere, nelle tre “r”, reducing, reusing e recycling (ridurre, riutilizzare e riciclare). Ma mentre le prime due non hanno perso attualità e validità, la terza si è dimostrata uno spreco di tempo, di denaro e persino di risorse, tanto che già dieci anni fa John Tierney scriveva sul New York Times che “il riciclaggio si può considerare l’attività più dissipatrice nell’America moderna”. Riduzione e riutilizzo rappresentano senza dubbio attività di mercato vantaggiose in termini di tempo e di lavoro: “qualunque imprenditore lungimirante – scrive Jim Fedako – comprende il beneficio della conservazione dei fattori di produzione. Le case, oggi, sono costruite con molto, molto meno legno rispetto ad appena 20 anni fa; e sono comunque, per la maggior parte, più robuste. La decisione di ridurre la quantità di legno nella costruzione delle case non è stata sollecitata da un amore ecologista per gli alberi; è stata una reazione al crescente costo dei prodotti di legno”. Usare meno legno è sensato dal punto di vista finanziario, e qualunque imprenditore edile vedrà aumentare il suo profitto utilizzando meno legno modificando i progetti delle abitazioni o sostituendolo con materiali meno costosi. Nel caso del riciclaggio, invece, la semplice evidenza empirica dimostra che si tratta di un’attività non redditizia, i cui costi eccedono i benefici. Molto semplicemente, il riciclaggio non restituisce un profitto economico. Non paga, e dal momento che non paga, rappresenta un uso inefficiente di tempo, denaro e risorse. Come avrebbe detto Ludwig von Mises, lasciate che i prezzi siano la vostra guida. I prezzi sono infatti l’elemento essenziale per valutare ex post le azioni, ed è evidente che se il bilancio rivela un passivo, l’attività costituiva una perdita sia per l’imprenditore sia per le risorse – per definizione scarse – della società. Ci viene fatto credere che dobbiamo investire risorse nel ripulire e raccogliere in maniera “differenziata” ogni sorta di materiale riciclabile, senza contropartita. “E questo – si domanda Fedako – è considerato economicamente efficiente? In alcune comunità locali, molte delle quali hanno programmi di riciclaggio, i residenti sono costretti a pagare un extra in modo che le aziende riciclino carta, plastica e vetro. I contenitori per il riciclaggio sono diventati una tassa mensile”. Dal momento che non vi è mercato sufficiente per i materiali riciclabili, almeno non abbastanza da ripagare il tempo e la fatica che richiedono, e il costo dei contenitori, il minimo che si possa dire è che del riciclaggio non vi è alcun bisogno. Le risorse finanziarie destinate alle attività di riciclaggio sarebbero utilizzate molto meglio se fossero destinate a nuovi modi di produzione, in grado, per esempio, di ridurre l’utilizzo dei materiali – risorse scarse – nei processi produttivi. L’azione umana, ci insegna Mises, indirizza le risorse verso le attività che rispondono alle necessità più urgenti. Questo movimento di risorse implica che quelle attività che non rispondono a necessità urgenti sono relativamente costose, perché tale movimento si traduce in un incremento dell’offerta delle risorse stesse verso le attività che soddisfano bisogni più pressanti. Il costo dei fattori di produzione, per le attività poco vantaggiose, lieviterà fino a condurle alla rovina. Discariche ed inceneritori Una menzione a parte merita il dibattito sulle discariche e i gli inceneritori, o termovalorizzatori, che in Italia è particolarmente acceso, dal momento che il nostro Paese, pur non disponendo di molto spazio ed essendo ricchissimo di tesori artistici e naturali, è quello con la più alta percentuale di rifiuti che finiscono in discarica – circa l’80% - con costi enormi, non solo economici, ma anche ambientali, dal momento che tutti si rifiutano di vivere vicino a posti simili. Un numero sempre maggiore di esperti mette in dubbio l’efficacia del riciclaggio proprio per i suoi costi esorbitanti rispetto ai benefici che ne derivano. Nel 2003, un rapporto firmato da cinque esperti svedesi, tra cui l’ex direttore dell’agenzia Governativa per la Protezione dell’Ambiente, Valfrid Paulsson, ha appurato che il riciclaggio è del tutto antieconomico per carta, plastica, vetro e scarti alimentari. Secondo gli studiosi svedesi i costi di riciclaggio sono doppi rispetto a quelli delle materie prime: “La tutela dell’ambiente – si legge nel rapporto – può anche richiedere un sacrificio economico, ma perché una politica ambientalista abbia un senso, al sacrificio deve corrispondere un chiaro vantaggio per il territorio”. Vantaggio che nella fattispecie, secondo un numero crescente di esperti, può venire solo dai termovalorizzatori, che hanno ormai raggiunto livelli tecnologici tali da garantire sicurezza e pulizia per i cittadini. L’immancabile opposizione degli ecologisti “pecorari” ha però generato un tale panico nell’opinione pubblica, da far sì che comitati cittadini blocchino la costruzione di termovalorizzatori, per esempio in Campania, con la conseguenza che tonnellate di rifiuti partono verso il Nord Italia o l’Austria. “Con un risvolto – osservano Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli – curioso, per non dire drammatico. Quando nel passato i rifiuti erano solo un ingombro tendevano a viaggiare da Nord verso le discariche del Sud, oggi che rappresentano una risorsa fanno il percorso inverso. In pratica, gli ambientalisti – oltre a impedire il miglioramento delle condizioni ambientali – stanno dando il loro piccolo contributo alla crescita del divario tra Nord e Sud del paese”.
da www.libertari.org
di Giorgio Bianco
La propaganda a favore del riciclaggio ha raggiunto dimensioni tali, soprattutto sotto forma di ossessivo indottrinamento dei bambini nelle scuole, che provando a immaginare uno scenario distopico alla 1984, oppure, senza neppure servirsi della fantasia ma solo della memoria storica, ripensando a ciò che accadeva in alcuni regimi comunisti, non è difficile immaginare una società in cui i figli, privati di ogni scrupolo morale nei confronti della delazione da qualche forma di pseudo-religione “civile”, denunciano alle autorità i genitori che si sottraggono al sacrosanto dovere del riciclaggio. Molti hanno creduto, e in tutto o in parte continuano a credere, nelle tre “r”, reducing, reusing e recycling (ridurre, riutilizzare e riciclare). Ma mentre le prime due non hanno perso attualità e validità, la terza si è dimostrata uno spreco di tempo, di denaro e persino di risorse, tanto che già dieci anni fa John Tierney scriveva sul New York Times che “il riciclaggio si può considerare l’attività più dissipatrice nell’America moderna”. Riduzione e riutilizzo rappresentano senza dubbio attività di mercato vantaggiose in termini di tempo e di lavoro: “qualunque imprenditore lungimirante – scrive Jim Fedako – comprende il beneficio della conservazione dei fattori di produzione. Le case, oggi, sono costruite con molto, molto meno legno rispetto ad appena 20 anni fa; e sono comunque, per la maggior parte, più robuste. La decisione di ridurre la quantità di legno nella costruzione delle case non è stata sollecitata da un amore ecologista per gli alberi; è stata una reazione al crescente costo dei prodotti di legno”. Usare meno legno è sensato dal punto di vista finanziario, e qualunque imprenditore edile vedrà aumentare il suo profitto utilizzando meno legno modificando i progetti delle abitazioni o sostituendolo con materiali meno costosi. Nel caso del riciclaggio, invece, la semplice evidenza empirica dimostra che si tratta di un’attività non redditizia, i cui costi eccedono i benefici. Molto semplicemente, il riciclaggio non restituisce un profitto economico. Non paga, e dal momento che non paga, rappresenta un uso inefficiente di tempo, denaro e risorse. Come avrebbe detto Ludwig von Mises, lasciate che i prezzi siano la vostra guida. I prezzi sono infatti l’elemento essenziale per valutare ex post le azioni, ed è evidente che se il bilancio rivela un passivo, l’attività costituiva una perdita sia per l’imprenditore sia per le risorse – per definizione scarse – della società. Ci viene fatto credere che dobbiamo investire risorse nel ripulire e raccogliere in maniera “differenziata” ogni sorta di materiale riciclabile, senza contropartita. “E questo – si domanda Fedako – è considerato economicamente efficiente? In alcune comunità locali, molte delle quali hanno programmi di riciclaggio, i residenti sono costretti a pagare un extra in modo che le aziende riciclino carta, plastica e vetro. I contenitori per il riciclaggio sono diventati una tassa mensile”. Dal momento che non vi è mercato sufficiente per i materiali riciclabili, almeno non abbastanza da ripagare il tempo e la fatica che richiedono, e il costo dei contenitori, il minimo che si possa dire è che del riciclaggio non vi è alcun bisogno. Le risorse finanziarie destinate alle attività di riciclaggio sarebbero utilizzate molto meglio se fossero destinate a nuovi modi di produzione, in grado, per esempio, di ridurre l’utilizzo dei materiali – risorse scarse – nei processi produttivi. L’azione umana, ci insegna Mises, indirizza le risorse verso le attività che rispondono alle necessità più urgenti. Questo movimento di risorse implica che quelle attività che non rispondono a necessità urgenti sono relativamente costose, perché tale movimento si traduce in un incremento dell’offerta delle risorse stesse verso le attività che soddisfano bisogni più pressanti. Il costo dei fattori di produzione, per le attività poco vantaggiose, lieviterà fino a condurle alla rovina. Discariche ed inceneritori Una menzione a parte merita il dibattito sulle discariche e i gli inceneritori, o termovalorizzatori, che in Italia è particolarmente acceso, dal momento che il nostro Paese, pur non disponendo di molto spazio ed essendo ricchissimo di tesori artistici e naturali, è quello con la più alta percentuale di rifiuti che finiscono in discarica – circa l’80% - con costi enormi, non solo economici, ma anche ambientali, dal momento che tutti si rifiutano di vivere vicino a posti simili. Un numero sempre maggiore di esperti mette in dubbio l’efficacia del riciclaggio proprio per i suoi costi esorbitanti rispetto ai benefici che ne derivano. Nel 2003, un rapporto firmato da cinque esperti svedesi, tra cui l’ex direttore dell’agenzia Governativa per la Protezione dell’Ambiente, Valfrid Paulsson, ha appurato che il riciclaggio è del tutto antieconomico per carta, plastica, vetro e scarti alimentari. Secondo gli studiosi svedesi i costi di riciclaggio sono doppi rispetto a quelli delle materie prime: “La tutela dell’ambiente – si legge nel rapporto – può anche richiedere un sacrificio economico, ma perché una politica ambientalista abbia un senso, al sacrificio deve corrispondere un chiaro vantaggio per il territorio”. Vantaggio che nella fattispecie, secondo un numero crescente di esperti, può venire solo dai termovalorizzatori, che hanno ormai raggiunto livelli tecnologici tali da garantire sicurezza e pulizia per i cittadini. L’immancabile opposizione degli ecologisti “pecorari” ha però generato un tale panico nell’opinione pubblica, da far sì che comitati cittadini blocchino la costruzione di termovalorizzatori, per esempio in Campania, con la conseguenza che tonnellate di rifiuti partono verso il Nord Italia o l’Austria. “Con un risvolto – osservano Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli – curioso, per non dire drammatico. Quando nel passato i rifiuti erano solo un ingombro tendevano a viaggiare da Nord verso le discariche del Sud, oggi che rappresentano una risorsa fanno il percorso inverso. In pratica, gli ambientalisti – oltre a impedire il miglioramento delle condizioni ambientali – stanno dando il loro piccolo contributo alla crescita del divario tra Nord e Sud del paese”.
da www.libertari.org