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Visualizza Versione Completa : Le leggende nere e le infamie su Pio XII



cm814
01-08-02, 11:10
http://www.floscarmeli.org/Immagini_Apologetica/PiusXIIr.jpg

Un santo, un vero Papa, che ha saputo guidare la Cristianità nel momento più difficile.... le vergognose accuse vengono ora smetite una ad una....
VIVA SAN PIO XII !!!

FLOS CARMELI (http://www.floscarmeli.org/modules.php?name=News&file=article&sid=314)

L'ANGELICO PASTORE
amico e benefattore degli Ebrei

Alcune testimoninanze

«L’elezione del cardinale Pacelli non è accettata con favore dalla Germania perché egli si è sempre opposto al nazismo»

Berliner Morgenpost(organo del movimento nazista), 3 marzo 1939.

«In una maniera mai conosciuta prima il papa ha ripudiato il Nuovo Ordine Europeo Nazionalsocialista. È vero che il papa non ha mai fatto riferimento al Nazionalsocialismo germanico per nome, ma il suo discorso è un lungo attacco ad ogni cosa che noi sosteniamo ed in cui crediamo ... Inoltre egli ha parlato chiaramente in favore degli ebrei»

Rapporto della Gestapo riportato nel servizio "Judging Pope Pius XII", Inside the Vatican, giugno 1997, p. 12.

«Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania, guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite. Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco di poche settimane.
Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità.
Io non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l’ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente».

Dichiarazione di Albert Einstein pubblicata da Time magazine, 23 dicembre 1940, p.40.

«Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra, ed esprimere il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista».

Attestato delle Comunità israelitiche italiane che si trova al Museo della Liberazione in Via Tasso a Roma.

«Il clero italiano aiutò numerosi israeliti e li nascose nei monasteri e il Papa intervenne personalmente a favore di quelli arrestati dai nazisti».

Gideon Hausner procuratore Generale israeliano nel processo contro Eichmann, il 18 ottobre 1961.

«I ripetuti interventi dei Santo Padre in favore delle comunità ebraiche in Europa evocano un profondo sentimento di apprezzamento e gratitudine da parte degli ebrei di tutto il mondo".

Rabbino Maurice Perizweig, direttore del World Jewish Congress

«Quando il terribile martirio si abbattè sul nostro popolo, la voce dei Papa si elevò per le sue vittime. La vita dei nostro tempo fu arricchita da una voce che chiaramente parlò circa le grandi verità morali. ( ... ) Piangiamo un grande servitore della pace».

Golda Meir, 8 ottobre 1958

«Il mio parere è che il pensare che Pio XII potesse esercitare un influsso su un minorato psichico qual era Hitler poggi sulla base di un malinteso. Se il Papa avesse solo aperto bocca, probabilmente Hitler avrebbe trucidato molti di più dei sei milioni di ebrei che eliminò, e forse avrebbe assassinato centinaia di milioni di cattolici, solo se si fosse convinto di aver bisogno di un tale numero di vittime. Siamo prossimi al 9 novembre, giorno in cui ricorre il venticinquesimo anniversario della Notte dei Cristalli; in tal giorno noi ricorderemo la protesta fiammeggiante che Pio XII elevò a suo tempo. Egli divenne intercessore contro gli orrori che a quel tempo commossero il mondo intero»

Dichiarazione del gran Rabbino di Danimarca, dott. Marcus Melchior, riportata da KNA (agenzia di stampa danese), dispaccio n. 214, 5 novembre 1963

cm814
01-08-02, 11:11
L'ANGELICO PASTORE
amico e benefattore degli Ebrei

F.A.Q su Pio XII
(risposte di P. Peter Gumpel S.J.)

Quando sono cominciate le calunnie su Pio XII?

"Tutto è cominciato con l’opera teatrale scritta da Rolf Hochhuth, rappresentata per la prima volta nel 1963 in Germania con il titolo der Stellvertreter, in italiano Il Vicario (Rolf HOCHHUTH, Der Stellvertreter, Hamburg 1963; traduzione italiana Il Vicario, Feltrinelli Milano 1979). Quando il dramma fu pubblicato in forma di libro, Hochhuth aggiunse una lunga appendice dove cercò di giustificare il valore del suo dramma come frutto di lunghe ricerche storiche. Tuttavia chi legge attentamente questa appendice può facilmente constatare che Hochhuth aveva invece dato via libera alla sua fantasia. Le sue affermazioni secondo cui Pio XII era un codardo, un pro-nazista che si interessava dei suoi presunti investimenti in Germania, non sono altro che gravissime calunnie. È interessante notare che, subito dopo la pubblicazione de Il Vicario, Emilio Pinchas Lapide, che in un altro libro Roma e gli ebrei non si dimostra proprio a favore della Chiesa cattolica, riconosce che sulla questione della persecuzione ebraica, “è un dovere di coscienza e di riconoscenza quello di contraddire le falsità scritte da Hochhuth”. Anche Jenö Levai, invitato come esperto al processo contro il nazista Eichmann che si svolse a Gerusalemme, difese pubblicamente in aula l’operato di Pio XII. Levay ha pubblicato a Londra nel 1967 un libro intitolato Hungarian Jewry and The Papacy, in cui prende le distanze da Hochhuth. Il prologo e l’epilogo del libro sono state scritte da Robert M. W. Kempner, già pubblico accusatore al processo di Norimberga. Anche Kempner si distanzia totalmente dalle affermazioni di Hochhuth".

Il primo accusatore di Pio XII, Rolf Hochnut, è uno storico accreditato?

Hochhuth ha scritto un altro dramma, Die Soldaten, tradotto in inglese. In questo dramma Hochhuth accusò Winston Churchill di aver fatto uccidere il generale polacco Sikorski. Effettivamente il generale morì in seguito ad un incidente aereo nei pressi di Gibilterra. Hochhuth era convinto che non ci fossero stati superstiti, ma il pilota dell’aereo, che era ancora in vita, lo smentì. La BBC ed i giornali britannici attaccarono Hochhuth per aver diffuso notizie allarmanti senza avere alcuna prova. Da allora Hochhuth non venne più preso sul serio da nessuno, eppure le sue calunnie su Pio XII sono ancora utilizzate.

Come rispondere all'accusa che Pio XII era filonazista?

Più recentemente il prof. John Weiss, ha pubblicato sulla rivista America ( 26 ottobre 1996), un articolo che culmina con l’accusa che Pio XII era filonazista. Weiss sostiene che Pio XII non è mai intervenuto per i martiri cattolici e non c’è nessuna evidenza che papa Pacelli abbia fornito aiuto ai cospiratori tedeschi contro Hitler.

"Si tratta di affermazioni false. Sia dalle nostre ricerche che dall’archivio del Foreign Office abbiamo raccolto un pacco di documenti in cui si dimostra il contrario. Prima dell’invasione di Olanda, Belgio e Lussemburgo, scatenata dai nazisti il 10 maggio 1940, un gruppo di generali tedeschi ostili ad Hitler ed alla guerra provarono a mettersi in contatto con il governo inglese attraverso i buoni uffici del Vaticano. In cambio dell’eliminazione di Hitler e del ristabilimento della libertà in tutti i paesi occupati, i cospiratori chiedevano una pace onorevole. Io ho sempre saputo che a capo di questo gruppo era il colonnello generale Ludwig Beck. Quando Hitler volle invadere la Cecoslovacchia, Beck che era Capo di Stato Maggiore Generale dell’esercito tedesco, consegnò le dimissioni per protesta. Beck conosceva Pio XII dal tempo in cui questi era stato nunzio a Berlino. Pio XII sapeva che era una persona assolutamente affidabile. Prima di accettare la trattativa gli inglesi però volevano sapere i nomi dei cospiratori anti-Hitler. Pio XII garantì che si trattava di persone serie ma non volle rivelare i nomi, perché se fossero arrivati fino ad Hitler, sarebbero stati uccisi come traditori. Così il tentativo di accordo non ebbe esito. La diffidenza degli inglesi era comprensibile perché poco tempo prima i nazisti avevano provato a catturare mister Best il capo del controspionaggio inglese in Olanda. Questo tentativo è conosciuto negli archivi storici come l’incidente di Venlo. In ogni modo le prove della corrispondenza tra Vaticano e Gran Bretagna su questa questione sono evidenti.
Come fa il prof. Weiss a dire che non c’è alcuna evidenza? Basta guardare i documenti del Foreign Office. Inoltre l’articolo è stato scritto nel 1996 e la questione era già nota nel 1958/59.

Una protesta pubblica contro Hitler avrebbe salvato gli ebrei dalla persecuzione?

Il problema è cosa avrebbe dovuto fare Pio XII. Una protesta pubblica contro Hitler avrebbe salvato gli ebrei dalla persecuzione? C’era infatti da considerare che la protesta avrebbe potuto peggiorare la situazione degli ebrei e della Chiesa cattolica in Germania ed in tutti i paesi occupati dai nazisti. La protesta pubblica avrebbe inoltre impedito alla Chiesa di svolgere il lavoro segreto di assistenza agli ebrei.
Furono diversi e dolorosi i fatti che convinsero la Santa Sede a non intervenire pubblicamente. Nel 1937 Pio XI pubblicò l’unica enciclica scritta in tedesco Mit brennender Sorge, una denuncia energica del nazionalsocialismo e del razzismo. Si può dire che è il più duro documento che la Santa Sede abbia mai promulgato contro un potere politico in tutta la sua storia. Con grande segretezza il testo di questa enciclica fu introdotto in Germania, stampato in 12 tipografie, distribuito in grandissima segretezza a tutti i sacerdoti responsabili di chiese e parrocchie e il 21 marzo 1937 venne letta da tutti i pulpiti in Germania. Quale fu il risultato? Fu rallentata la persecuzione degli ebrei? Assolutamente no. Hitler montò su tutte le furie, e le misure contro gli ebrei furono inasprite. Le dodici tipografie furono confiscate dalla Gestapo e molte persone finirono in prigione

Un altro esempio tragico che mostra in che modo i tedeschi reagivano di fronte alla proteste della Chiesa avvenne nei Paesi Bassi. L’occupazione nazista dell’Olanda nel 1940, segnò automaticamente la sorte per gli ebrei. Su tutti gli edifici risaltava la scritta: "Voor Joden Verboten" (ingresso proibito agli ebrei). Le deportazioni divennero massicce e sistematiche dal 1942. I capi delle chiese, Calvinista, Cattolica, e Luterana si misero d’accordo per leggere dai pulpiti una protesta pubblica contro la deportazione degli ebrei. Il progetto venne a conoscenza del Commissario del Reich per l’Olanda Seys-Inquart e del Commissario Generale Schmidt, i quali fecero sapere ai responsabili religiosi che se la protesta fosse andata avanti, i tedeschi avrebbero deportato non solo gli ebrei di sangue e di religione ma anche gli ebrei battezzati . Di fronte a questo ricatto tutti fecero marcia indietro tranne la Chiesa Cattolica. Domenica 26 luglio 1942 nelle chiese cattoliche d’Olanda venne letta la lettera di protesta in cui si diceva:

"Viviamo in un’epoca di grande miseria, sia nel campo spirituale che materiale. ma due fatti molto dolorosi attirano soprattutto la nostra attenzione: il triste destino degli ebrei e la sorte di quelli che sono stati addetti ai lavori forzati all’estero. Tutti debbono essere profondamente consapevoli delle penosissime condizioni e degli uni e degli altri; perciò richiamiamo l’attenzione di ognuno per mezzo di questa Pastorale comune.
Tali tristissime condizioni vanno portate a conoscenza di coloro che esercitano un potere di comando su quelle persone: a questo scopo il reverendissimo episcopato, in unione con quasi tutte le comunità delle Chiese dei Paesi Bassi, già profondamente colpite dalle misure adottate contro gli ebrei olandesi per escluderli dalla partecipazione alla normale vita civile, hanno appreso con vero raccapriccio la notizia delle nuove disposizioni che impongono ad uomini, donne, bambini, e intere famiglie la deportazione nel territorio del Reich tedesco. Le inaudite sofferenze con questo mezzo inflitte a più di diecimila persone, la consapevolezza che un modo tale di procedere ripugna profondamente al sentimento morale del popolo olandese, e soprattutto , è in contrasto assoluto con il comandamento divino di giustizia e di carità, costringono le sottoscritte comunità delle Chiese a rivolgerle la più viva preghiera di non voler mettere in esecuzione i suddetti provvedimenti".

Come conseguenza a questa presa di posizione del clero olandese, la deportazione degli ebrei di sangue e religione venne accelerata , vennero deportati anche gli ebrei battezzati, tra questi c’erano Edith Stein e sua sorella.
Ha raccontato suor Pascalina Lenhert, assistente di Pio XII, che "I giornali del mattino vennero recapitati nello studio del Santo Padre, mentre egli era sul punto di recarsi all’udienza. Lesse solo i titoli e divenne pallido come un morto. Tornato dall’udienza, prima ancora di andare nella sala da pranzo, venne in cucina con due grandi fogli scritti molto fitti e disse: «Voglio bruciare questi fogli. È la mia protesta contro la spaventosa persecuzione antiebraica. Stasera sarebbe dovuta comparire sul L’Osservatore Romano. Ma se la lettera dei Vescovi olandesi è costata l’uccisione di quarantamila vite umane, la mia protesta ne costerebbe forse duecentomila. Perciò è meglio non parlare in forma ufficiale e fare in silenzio, come ho fatto finora, tutto ciò che è umanamente possibile per questa gente» (Pascalina LEHNERT, Pio XII, il privilegio di servirlo Rusconi Editore, Milano 1984, pp. 148-149)".
A convincere il Papa ad agire in silenzio furono anche molti ebrei.
Il Vescovo di Münster, Clemens August Von Galen, noto per il suo coraggio ela sua avversione al regime nazista, prima di fare un predica contro la persecuzione antisemita, prese contatto con la comunità ebraica, che lo convinse a non fare nulla. Perché un discorso non sarebbe servito a niente e li avrebbe portati alla morte.
Centinaia di ebrei scappati da Berlino ed altre città tedesche arrivarono in Vaticano per convincere Pio XII a non fare nessuna protesta. Lo stesso consiglio arrivò dai Vescovi tedeschi.
A questo proposito Georges Dreyfus, professore alla Sorbona ha riportato sulle pagine della rivista Nef una fatto interessante. Quando Padre Pierre Chaillet e l’Abate Alexander Glasberg chiesero al Primate di Francia, il cardinale Pierre Marie Gerlier di protestare pubblicamente contro l’internamento nei campi di concentramento degli ebrei immigrati in Francia, intervenne il Presidente del Concistoro Centrale degli israeliti di Francia (il massimo rappresentate degli ebrei francesi) per dire che: «Voi avete torto, voi non comprendete che se noi solleviamo questa questione le autorità prenderanno misure analoghe contro gli “israeliti francesi”. Non è proprio il caso che il cardinale intervenga».

Io ho conosciuto personalmente il regime di Hitler. Come è emerso anche al processo di Norimberga, egli era un fanatico e la persecuzione degli ebrei era per lui un chiodo fisso. Non era possibile toccare quel tasto senza ricavarne conseguenze peggiori. Il barone Von Weizsäcker, ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, e il suo assistente Von Hassel, sconsigliarono il Papa a fare un intervento pubblico. Lo hanno affermato anche al processo di Norimberga. Inoltre il Vaticano avrebbe rischiato di essere occupato dai nazisti.


Alcuni tra i maggiori studiosi di questo argomento (P. Pierre Blet s.j., P. Peter Gumpel s.j., Eduardo Rivero, Antonio Gaspari) rispondono anche alle tue domande

cm814
01-08-02, 11:25
L'ANGELICO PASTORE
amico e benefattore degli Ebrei

F.A.Q su Pio XII
(risposte di P. Pierre Blet S.J.)

Un metodo per scoprire la verità: risalire alle fonti originarie

Quale dei due punti di vista è più vicino alla realtà? Pio XII è stato un eroe o un pavido?
Uno dei metodi per distinguere tra la calunnia e la verità è quello di andare alle fonti originarie, e cioè ricostruire attraverso i documenti autentici e le testimonianze dirette l’azione del Papa. Da qui la decisione assunta nel 1964 da Paolo VI che, come Sostituto della Segreteria di Stato, era stato uno dei più stretti collaboratori di Pio XII, di autorizzare la pubblicazione dei documenti della Santa Sede relativi alla seconda guerra mondiale. Gli archivi della Segreteria di Stato conservano in effetti i dossier dai quali è possibile ripercorrere ora per ora l’attività del Papa e della Santa Sede durante gli anni presi in esame. In particolare ci sono tutti i discorsi ed i messaggi del Papa; le lettere scambiate con i nunzi e i dignitari civili ed ecclesiastici, molte di queste lettere sono conservate anche in forma di minute con le correzioni a mano dello stesso pontefice; le note della Segreteria di Stato; la corrispondenza diplomatica intercorsa tra la Segreteria di Stato, gli ambasciatori o ministri accreditati presso la Santa Sede, i rappresentanti del Vaticano all’estero e i delegati apostolici.
Tutto questo materiale fu raccolto in 12 volumi e pubblicato negli anni 1965-1982 con il titolo di Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. A curare l’opera, ordinare i documenti e scrivere le introduzioni ai differenti volumi furono quattro padri gesuiti: Burkhart Schneider, Angelo Martini, Robert A. Graham e Pierre Blet. II contenuto dell’intera ricerca di circa 12.000 pagine è sfortunatamente sconosciuta ai più. Per questo motivo padre Pierre Blet ha appena pubblicato un agile volume Pie XII et la Seconde Guerre Mondiale d’après les archives du Vatican per fornire al grande pubblico una esposizione documentata della realtà storica di quel periodo (in Italiano: Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale, Cinisello Balsamo (MI): ed. San Paolo, 1999).
Padre Blet ha conseguito il dottorato in lettere alla Sorbona nel 1958. È entrato nella Compagnia di Gesù nel 1937 ed è stato chiamato a Roma come professore di Storia moderna alla Facoltà di Storia Ecclesiastica della Pontifica Università Gregoriana. Ha insegnato per 17 anni storia diplomatica alla Pontificia Accademia Ecclesiastica. Specialista nella storia delle relazioni tra Chiesa e Stato nel XVII secolo, è professore emerito di Storia moderna alla Facoltà di Storia Ecclesiastica della Pontifica Università Gregoriana.
La grande stampa si è accorta di lui solo quando Giovanni Paolo II, in viaggio verso la Nigeria, lo ha indicato come uno dei maggiori esperti sulla vicenda di Pio XII.
Durante una conferenza stampa organizzata sull’aereo che portava il Santo Padre nel continente africano, i giornalisti gli hanno chiesto cosa pensasse di Pio XII, e Giovanni Paolo II ha risposto: "Era un grande papa ". "Ci sono state persone che hanno accusato Pio XII di avere taciuto .... " hanno incalzato i giornalisti, e il Pontefice ha replicato: "É già stata data una risposta soddisfacente, basta leggere padre Blet..." (Marco POLITI, "Wojtyla difende Pio XII, “É stato un grande papa”", la Repubblica, 22 marzo 1998, p. 15).

Risponde l’esperto, padre Pierre Blet

Nel corso dell’inchiesta sull’attività di assistenza agli ebrei svolta dalla Chiesa, avevo già avuto la fortuna di incontrare padre Blet, e fin dall’inizio ero rimasto impressionato dalla competenza, dall’intelligenza e dalla cortesia di quest’uomo.
La sua dimestichezza con il periodo storico del terzo Reich mi ha messo nella condizione di poter approfondire gli argomenti più controversi.
Gli storici moderni passano sotto silenzio il ruolo del papato nei rapporti internazionali, soprattutto nel periodo precedente e durante la seconda guerra mondiale. Questo atteggiamento favorisce la diffusione di molte favole, sicuramente suggestive, ma molto distanti dalla realtà. Soprattutto si prende poco in considerazione quanto la Santa Sede ha fatto per impedire lo scatenarsi della guerra nel 1939 ed il ruolo svolto da Pio XII nell’aiuto alle vittime della guerra.

Quando nel marzo del 1939 Pio XII divenne Papa - racconta Blet- il mondo era in pace. Ed indubbiamente attraverso discorsi solenni, appelli ai governi, ai dirigenti politici e diplomazia segreta, egli si impegnò come nessun altro al mondo per impedire la guerra e ristabilire la pace.
Pochi ricordano che egli propose nel maggio del 1939 una conferenza a cinque tra Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Polonia per impedire il conflitto. Le risposte negative dei vari governi non scoraggiarono il papa che anche di fronte al precipitare della situazione con il patto germano-sovietico cercò di intervenire. Il 23 agosto alle ore 19.00 il Papa parlò dalla radio Vaticana ai governanti di tutto il mondo intimando che "Niente è perduto con la pace. Tutto è perduto con la guerra". Purtroppo appena pochi giorni dopo le truppe della Wehrmacht varcarono le frontiere polacche.
Pio XII tentò allora di tenere l’Italia fuori dalla guerra. Il 21 dicembre incontrò il re Vittorio Emanuele e la regina Elena. E nonostante non fosse previsto dal protocollo fu lui stesso a ricambiare la visita, proprio con l’intenzione di convincere i sovrani a stare fuori dalla contesa. Quando Joachim von Ribbentrop venne a Roma nel 1940, Pio XII avanzò domanda di udienza per esporre le ragioni della pace. Egli concertò anche un doppio intervento, una lettera sua e una del Presidente americano Franklin Delano Roosevelt al capo del governo italiano per persuaderlo a non entrare in guerra. Ma tutto fu vano.

Alcuni sostengono che Pio XII avesse simpatie filogermaniche...

Non è vero. Da un documento del Foreign Office risulta che Pio XII era in contatto con i generali tedeschi che volevano rovesciare Hitler. Pio XII trasmise a Londra la proposta dei generali tedeschi che volevano rovesciare il dittatore e che chiedevano garanzie per una pace onorevole. Ma gli inglesi non si fidarono e lasciarono cadere nel vuoto la proposta.
Risulta inoltre, da un documento che ho trovato nell’archivio dell’ambasciata di Francia a Roma, che Pio XII fece pervenire segretamente nel maggio del 1940, agli ambasciatori di Francia ed Inghilterra, la data esatta in cui l’offensiva tedesca sarebbe iniziata. Un’informazione di importanza vitale che Pio XII non ebbe esitazione a comunicare.

Si rimprovera a Pio XII di non aver fatto una denuncia pubblica del nazismo...

"Pio XII ha preso più volte in seria considerazione la possibilità di fare una denuncia pubblica del nazismo. Ma sapeva anche di mettere a rischio la vita di tante persone. Già dopo la pubblicazione della Mit Brennender Sorge aveva avuto modo di vedere che non c’era stato alcun beneficio, al contrario, la situazione si era ulteriormente aggravata. Pio XII sapeva che una dichiarazione pubblica “deve essere considerata e pesata con serietà e profondità, nell’interesse di coloro che più soffrono”.
Anche la Croce Rossa era giunta alle stesse conclusioni: “le proteste non servono ed anzi potrebbero recare danno alle persone che si intendono aiutare”.
A questo proposito l’americano Robert M.W. Kempner, pubblico accusatore al Tribunale di Norimberga contro i crimini di guerra ha scritto: "Tutti gli argomenti e gli scritti di propaganda eventualmente utilizzati dalla Chiesa cattolica contro Hitler avrebbero solo provocato un suicidio. All’esecuzione degli ebrei si sarebbe aggiunta quella dei preti cattolici".
Infatti un’eventuale dichiarazione pubblica di Pio XII avrebbe dato occasione di presentare il santo Padre come nemico della Germania. Pio XII da pastore qual era non poteva non tener conto dei cattolici tedeschi. Nello stesso tempo il Papa non si faceva illusioni sulle intenzioni del terzo Reich. La persecuzione contro la Chiesa era già iniziata prima della guerra e si è manifestata per tutta la durata del terzo Reich. Mentre il Papa rimaneva in silenzio, la Segreteria di Stato, le delegazioni apostoliche e la Chiesa tutta agiva in una diffusa azione di soccorso nei confronti degli ebrei e di tutte le vittime della guerra".

Una delle accuse rivolte a Pio XII è quella di non aver fatto abbastanza per i profughi ebrei...

"Si tratta di una calunnia. I volumi 8, 9 e 10 degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. sono zeppi di documenti in cui le comunità ebraiche, i rabbini di mezzo mondo e altri profughi ringraziano Pio XII e la Chiesa cattolica per gli aiuti e per quanto è stato fatto in loro favore. Inoltre il Padre Robert Leiber, segretario particolare di Pio XII, mi ha confermato che papa Pacelli aveva usato la sua fortuna personale proprio per soccorrere gli ebrei perseguitati dal nazismo
In Croazia, Ungheria, e Romania, i Nunzi papali su diretta sollecitazione di Pio XII sono riusciti più volte a far sospendere le deportazioni.
Nel suo messaggio natalizio del 1942 Pio XII denunciò tutte le crudeltà della guerra, la violazione del diritto internazionale che ha permesso crimini al limite dell’orrore ed evocò “le centinaia di migliaia di persone che senza alcuna colpa, solo per la loro nazionalità o la loro razza, sono destinate a morte”. Il 2 giugno del 1943 nella sua allocuzione concistoriale Pio XII ritornò ancora su questo tema parlando di coloro “che a causa della loro nazionalità, della loro razza sono destinati allo sterminio, ed avvertì che nessuno avrebbe potuto continuare a violare le leggi di Dio impunemente”.
Pio XII non si preoccupò solo degli ebrei, egli estese l’azione caritatevole della Chiesa a tutte le vittime della guerra, senza distinzioni di nazionalità, di razza, di religione o di partito. Pio XII procedette silenziosamente e discretamente a rischio di apparire passivo e indifferente, ma portò l’aiuto sicuro alle vittime della guerra".

È vero che c'era in cantiere un'enciclica contro il Nazismo e che poi non venne pubblicata?

Nel giugno del 1938, mentre in Germania e nei paesi filonazisti infuriava l’odio razziale, il gesuita americano John LaFarge, di passaggio a Roma viene convocato a sorpresa da Pio XI. Il Papa ha in mente di predisporre un’enciclica contro il razzismo. John LaFarge, non lo sa, ma Pio XI ha letto con attenzione il suo "Interracial Justice ", un libro dove il giovane gesuita aveva spiegato che la divisione del genere umano in “razze” non ha alcun fondamento scientifico, nessuna base biologica, è solo un mito, una maschera che serve al mantenimento dei privilegi delle classi sociali più agiate.
Gli storici che hanno ricostruito la storia sostengono che l’udienza ebbe luogo il 15 giugno, e che il Pio XI commissionò a LaFarge il compito di lavorare per l’enciclica "Humani generis unitas" (L’Unità del genere umano).
Anche questa vicenda, che conferma la determinazione con cui la Santa Sede condannava il razzismo, è invece diventata fonte di calunnie contro Pio XII, il quale, secondo i detrattori, avrebbe rinunciato alla pubblicazione dell’enciclica.

"Questa è una ipocrisia di chi attacca Pio XII. - afferma un pò seccato padre Blet - É vero che Pio XI ha fatto preparare un’enciclica che era però indirizzata contro il razzismo in generale. Non si faceva specifico riferimento all’antisemitismo. Pio XI chiese di scrivere la bozza dell’Enciclica al padre gesuita John LaFarge, uno specialista della questione razziale che in quel periodo si trovava a Roma. LaFarge lavorò tutta l’estate e poi consegnò il suo testo al Generale della Compagnia che la mandò per la lettura a la Civiltà Cattolica . Io ho avuto modo di leggere il testo ed è evidente che l'enciclica non era a punto. Si trattava solo di una prima bozza. C’erano molti argomenti interessanti ma non era assolutamente pubblicabile. In un punto La Farge scrisse che “è giusto rifiutare il sentimento antisemita ma questo non significa che la Chiesa non possa cautelarsi riguardo agli ebrei”.
Non oso immaginare che cosa sarebbe successo oggi se Pio XII avesse acconsentito alla pubblicazione di quel testo".

Pio XII era la corrente dei campi di sterminio?

Il rabbino David Rosen presidente della sezione israeliana dell’Anti Defamation League, ha sollevato la questione della conoscenza previa dei campi della morte. Secondo Rosen, Pio XII ne conosceva l’esistenza perché Gerhart Riegner, attuale vicepresidente del World Jewish Congress inviò una lettera ad un Nunzio nel 1942 descrivendo che cosa accadeva nei campi di sterminio. Ma nei 12 volumi pubblicati poi dalla Santa Sede è riportata solo una breve nota con la quale Riegner accusa ricevuta della risposta del Vaticano, nella quale si promette di valutare quanto egli avesse scritto. Ho chiesto a padre Blet di precisare come si svolsero esattamente i fatti.

Voci relative ai campi di sterminio -afferma Padre Blet - ne circolavano tante in quel periodo. Lo stesso ambasciatore polacco rifugiato in Vaticano sosteneva che i nazisti stavano massacrando gli ebrei. Ma era molto difficile verificare la realtà dei fatti. In ogni caso Pio XII già nel messaggio di Natale del 1942 parlò espressamente contro coloro che “per la sola ragione della loro nazionalità o razza perseguitano condannano a morte o a schiavitù progressiva” ed ha ripetuto questa denuncia nel discorso del 2 giugno 1943. In quel periodo nessuno denunciò i crimini tedeschi contro gli ebrei. Solo nel 1943 una dichiarazione congiunta degli alleati denunciò in modo generico gli abusi dei tedeschi, ma ancora non si parlava né di ebrei né di lager".
Per quanto riguarda la lettera di cui parla Rosen, Padre Blet ha precisato: "Gerhart Riegner ha inviato al cardinale Bernardini, Nunzio a Berna, un promemoria in cui si parla della situazione degli ebrei nell'Europa centrale e Orientale con particolare riferimento agli israeliti slovacchi. Nello stesso promemoria si chiedeva al Santo Padre di intervenire. Questo promemoria è stata trasmesso al cardinale Maglione il 19 marzo 1942. In seguito a ciò, e come era già avvenuto anche prima, il Santo Padre ha incaricato il Nunzio di Bratislava di intervenire a favore degli ebrei slovacchi. Tutto ciò è chiaramente scritto nel Volume VIII pag. 466 degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale. É quindi evidente che non abbiamo nascosto nulla.

Perché il Rabbino Leo Klenicki, della Anti Defamation League, ha richiesto di nuovo l’apertura degli archivi vaticani?

L’atteggiamento di sfiducia nei confronti del lavoro già svolto mi sembra assurdo. Se non si crede all’onestà della nostra pubblicazione, si potrebbe dubitare anche dell’archivista che avrebbe potuto distruggere qualsiasi documento.
Capisco che è molto suggestivo raccontare chissà quali storie sull’operato di Pio XII ma la realtà è ben diversa. Per scrivere i 12 volumi abbiamo lavorato intensamente seguendo gli stessi criteri utilizzati per la pubblicazione dei volumi relativi agli anni Quaranta del Foreign Relations of the United States e cioè: non pubblicare documenti che chiamino in causa persone ancora in vita o che, rivelati, ostacolerebbero negoziati in atto.
Inoltre bisogna considerare che trattandosi di un archivio non aperto al pubblico, non esistevano inventari sistematici finalizzati alla ricerca; i documenti non erano classificati, né in ordine strettamente cronologico, né in ordine geografico; quelli di carattere politico, quindi relativi alla guerra si trovavano talora insieme a documenti di carattere religioso, canonico o anche personale, rinchiusi in scatole abbastanza maneggevoli ma talvolta dal contenuto molto disparato. Informazioni relative alla Gran Bretagna potevano trovarsi in dossiers sulla Francia, se l’informazione era stata inviata tramite il Nunzio in Francia, e naturalmente interventi in favore di ostaggi belgi nelle scatole del nunzio a Berlino. Era necessario quindi esaminare ogni scatola e scorrerne tutto il contenuto per identificare i documenti relativi alla guerra. La ricerca era tuttavia resa più semplice grazie ad una vecchia regola della Segreteria di Stato in vigore dal tempo di Urbano VIII, la quale prescriveva ai Nunzi di trattare un solo argomento per lettera. Resta comunque ancora da fare l’inventario e la classificazione perché esso possa essere aperto agli studiosi.
Vorrei inoltre precisare che si parla dell’archivio segreto Vaticano, ma il termine “segreto” oggi ha un significato diverso da quello originale di archivio “privato” della Santa Sede. Per ragioni di coscienza è interesse della Santa Sede fare in modo che gli studiosi possano consultare questi archivi per ricercare e stabilire la verità storica. Mi sembra comunque difficile che possano emergere elementi che possano contraddire quanto è ampiamente mostrato nei documenti già pubblicati.

Nel mondo giornalistico circolano ipotesi suggestive come quella di un messaggio di papa Pacelli ad Hitler...

Conosco la fonte di queste notizie, Le Monde del 3 dicembre scorso menziona come assente nella nostra pubblicazione la corrispondenza tra Pio XII e Hitler. Come ho già scritto anche ne la Civiltà Cattolica, se non abbiamo pubblicato la corrispondenza tra Pio XII e Hitler, è perché essa esiste unicamente nella fantasia del giornalista di Le Monde. Questi sostiene che ci sono stati contatti di Pacelli, Nunzio in Germania con Hitler, ma non tiene conto delle date: Hitler giunse al potere nel 1933, e mons. Pacelli era rientrato a Roma nel 1929, e Pio XI lo aveva creato cardinale il 16 dicembre e Segretario di Stato il 16 gennaio 1930. Inoltre, se quella corrispondenza fosse esistita, le lettere del Papa sarebbero conservate negli archivi tedeschi e ve ne sarebbe traccia negli archivi del Ministero degli esteri del Reich. Le lettere di Hitler sarebbero finite in Vaticano, ma se ne troverebbe menzione nelle istruzioni agli ambasciatori di Germania incaricati di consegnarle. Visto che non esiste nessuna traccia di tutto ciò, si deve dire che la serietà della nostra pubblicazione è stata messa in dubbio senza l’ombra di una prova.

Il rabbino David Rosen sostiene che le dichiarazioni dell’Episcopato francese in merito alle responsabilità della Chiesa sono più esplicite del Documento Vaticano sulla Shoah...

Nel documento dei Vescovi francesi si accusano delle persone per non aver disapprovato le leggi di Vichy sugli ebrei, ma la responsabilità dell’olocausto è ben altra cosa.
Bisogna stare attenti a non confondere l’errore con la colpa. Mentre l’errore va deplorato la colpa nel mondo di oggi assume immediatamente il valore di condanna. C’è anche da aggiungere che in Francia ci sono stati innumerevoli casi di autentica carità ed eroismo del clero e delle comunità cattoliche per nascondere e salvare migliaia di ebrei.
Per questo motivo lo Stato di Israele ha onorato tanti sacerdoti, religiosi e attivisti cattolici con il titolo di “Giusti tra le nazioni”.

Qual è la sua valutazione del documento Vaticano sulla Shoah?

"Anche se non tocca a me esprimere giudizi penso che si tratti di un documento molto chiaro in cui si distingue giustamente tra l’antigiudiasimo, che ha diverse radici nell’universo cristiano, e l’antisemitismo, condannato fin dall’inizio dalla Chiesa. Pochi ne conoscono l’esistenza ma esiste una dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede già nel marzo 1928 in cui si condanna l’antisemitismo. Ci sono poi le condanne dei Vescovi tedeschi contro il razzismo. I Vescovi avevano deciso di rifiutare i sacramenti a chi avesse aderito al partito nazista.
É pur vero che molti cristiani hanno aderito al partito nazista ed all’antisemismo ma in quel caso tradirono la loro fede così come è successo per alcuni ebrei che hanno collaborato allo sterminio dei loro fratelli, tradendo la loro fede e il loro popolo.
La Chiesa non può sentirsi responsabile di uno che rinnega il battesimo anche se lo deplora".

cm814
01-08-02, 11:27
Rabbino di New York chiede che Pio XII venga riconosciuto come “Giusto”

«Nel Talmud è scritto: “chi salva una vita salva il mondo intero” ebbene più che ogni altro nel Ventesimo secolo Pio XII ha rispettato questa indicazione. Nessun altro Papa è stato così magnanimo con gli ebrei. L’intera generazione dei sopravvissuti all’Olocausto, testimonia che Pio XII fu autenticamente e profondamente un “giusto”». Con queste parole si conclude un lungo articolo scritto dal Rabbino David Dalin sulla rivista statunitense «The Weekly Standard». David Dalin è un personalità di spicco del mondo ebraico statunitense, uno dei suoi libri «Religion and State in the American Jewish Experience» è stato indicato come uno dei migliori lavori accademici del 1998. Rabbino a New York Dalin ha tenuto diverse conferenze sui rapporti ebraico cristiani nelle Università di Hartford Trinity College, George Washington e Queens College di New York. La rivista «The Weekly Standard» è espressione dell’élite neoconservatrice americana. Dalin sostiene che molti dei libri pubblicati recentemente rivelano una scarsa comprensione di come Pio XII fosse un oppositore del nazismo e di quanto fece per salvare gli ebrei dall’olocausto. A questo proposito il rabbino di New York cita una grande numero di fatti, documenti, dichiarazioni e libri.
«Pio XII fu uno dei personaggi più critici del nazismo - ha scritto Dalin- Su 44 discorsi che Pacelli pronunciò in Germania tra il 1917 ed il 1929, quaranta denunciano i pericoli dell’emergente ideologia nazista. Nel marzo del 1935 scrisse una lettera aperta al Vescovo di Colonia chiamando i nazisti “falsi profeti con la superbia di Lucifero”. Nello stesso anno denunciò in un discorso a Lourdes le ideologie “possedute dalla superstizione della razza e sangue”. La sua prima enciclica “Summi Pontificatus” del 1939 fu così chiaramente anti razzista che aerei alleati ne lanciarono migliaia di copie sulla Germania nel tentativo di istigare un sentimento anti nazista». In merito a coloro che si sono lamentati chiedendo che Pio XII avrebbe dovuto parlare più forte contro il nazismo, Dalin riporta le parole di Marcus Melchior il rabbino capo di Danimarca, sopravvissuto alla Shoah, il quale ha detto: «Se il papa avesse parlato Hitler avrebbe massacrato molti di più dei sei milioni di ebrei e forse 10 milioni di cattolici» E Kempner, pubblica accusa per gli Stati Uniti al Processo di Norimberga ha aggiunto: «Ogni azione di propaganda ispirata dalla Chiesa cattolica contro Hitler sarebbe stata un suicidio e avrebbe portato all’esecuzione di molti più ebrei e cristiani». Circa l’opera di assistenza agli ebrei il rabbino Dalin ha ricordato che: «Nei mesi in cui Roma fu occupata dai nazisti Pio XII istruì il clero a salvare gli ebrei con tutti i mezzi. Il cardinale Boetto di Genova da solo ne salvò almeno 800 Il Vescovo di Assisi trecento. Quando al cardinale Palazzini fu consegnata la medaglia dei Giusti per aver salvato gli ebrei nel Seminario Romano, egli affermò: “Il merito è interamente di Pio XII che ordinò di fare ogni cosa nelle nostre possibilità per salvare gli ebrei dalla persecuzione”. L’opera di assistenza di Papa Pacelli era così nota che nel 1955 quando l’Italia celebrò il decimo anniversario della Liberazione, l’Unione delle Comunità Israelitiche proclamò il 17 aprile «Giorno della gratitudine” per l’assistenza fornita dal Papa durante il periodo della guerra. Dalin conclude il suo articolo affermando che «contrariamente a quanto scritto da John Cornwell secondo cui Pio XII fu il papa di Hitler, io credo che papa Pacelli fu il più grande sostenitore degli ebrei».

Sintesi da: David G. Dalin, «Pius XII and the Jews», The Weekly Standard, 23 (26/2/2001 vol. 6).
http://www.weeklystandard.com/magazine/

Even before Pius XII died in 1958, the charge that his papacy had been friendly to the Nazis was circulating in Europe, a piece of standard Communist agitprop against the West. It sank for a few years under the flood of tributes, from Jews and gentiles alike, that followed the pope's death, only to bubble up again with the 1963 debut of The Deputy, a play by a left-wing German writer (and former member of the Hitler Youth) named Rolf Hochhuth.

The Deputy was fictional and highly polemical, claiming that Pius XII's concern for Vatican finances left him indifferent to the destruction of European Jewry. But Hochhuth's seven-hour play nonetheless received considerable notice, sparking a controversy that lasted through the 1960s. And now, more than thirty years later, that controversy has suddenly broken out again, for reasons not immediately clear.

Indeed, "broken out" doesn't describe the current torrent. In the last eighteen months, nine books that treat Pius XII have appeared: John Cornwell's Hitler's Pope, Pierre Blet's Pius XII and the Second World War, Garry Wills's Papal Sin, Margherita Marchione's Pope Pius XII, Ronald J. Rychlak's Hitler, the War and the Pope, Michael Phayer's The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1965, Susan Zuccotti's Under His Very Windows, Ralph McInerny's The Defamation of Pius XII, and, most recently, James Carroll's Constantine's Sword.

Since four of these—the ones by Blet, Marchione, Rychlak, and McInerny—are defenses of the pope (and two, the books by Wills and Carroll, take up Pius only as part of a broad attack against Catholicism), the picture may look balanced. In fact, to read all nine is to conclude that Pius's defenders have the stronger case—with Rychlak's Hitler, the War and the Pope the best and most careful of the recent works, an elegant tome of serious, critical scholarship.

Still, it is the books vilifying the pope that have received most of the attention, particularly Hitler's Pope, a widely reviewed volume marketed with the announcement that Pius XII was "the most dangerous churchman in modern history," without whom "Hitler might never have . . . been able to press forward." The "silence" of the pope is becoming more and more firmly established as settled opinion in the American media: "Pius XII's elevation of Catholic self-interest over Catholic conscience was the lowest point in modern Catholic history," the New York Times remarked, almost in passing, in a review last month of Carroll's Constantine's Sword.

Curiously, nearly everyone pressing this line today—from the ex-seminarians John Cornwell and Garry Wills to the ex-priest James Carroll—is a lapsed or angry Catholic. For Jewish leaders of a previous generation, the campaign against Pius XII would have been a source of shock. During and after the war, many well-known Jews—Albert Einstein, Golda Meir, Moshe Sharett, Rabbi Isaac Herzog, and innumerable others—publicly expressed their gratitude to Pius. In his 1967 book Three Popes and the Jews, the diplomat Pinchas Lapide (who served as Israeli consul in Milan and interviewed Italian Holocaust survivors) declared Pius XII "was instrumental in saving at least 700,000, but probably as many as 860,000 Jews from certain death at Nazi hands."

This is not to say that Eugenio Pacelli — the powerful churchman who served as nuncio in Bavaria and Germany from 1917 to 1929, then as Vatican secretary of state from 1930 to 1939, before becoming Pope Pius XII six months before World War II began — was as much a friend to the Jews as John Paul II has been. Nor is it to say that Pius was ultimately successful as a defender of Jews. Despite his desperate efforts to maintain peace, the war came, and, despite his protests against German atrocities, the slaughter of the Holocaust occurred. Even without benefit of hindsight, a careful study reveals that the Catholic Church missed opportunities to influence events, failed to credit fully the Nazis' intentions, and was infected in some of its members with a casual anti-Semitism that would countenance—and, in a few horrifying instances, affirm—the Nazi ideology.

But to make Pius XII a target of our moral outrage against the Nazis, and to count Catholicism among the institutions delegitimized by the horror of
the Holocaust, reveals a failure of historical understanding. Almost none of the recent books about Pius XII and the Holocaust is actually about Pius XII and the Holocaust. Their real topic proves to be an intra-Catholic argument about the direction of the Church today, with the Holocaust simply the biggest club available for liberal Catholics to use against traditionalists. A theological debate about the future of the papacy is obviously something in which non-Catholics should not involve themselves too deeply. But Jews, whatever their feelings about the Catholic Church, have a duty to reject any attempt to usurp the Holocaust and use it for partisan purposes in such a debate—particularly when the attempt disparages the testimony of Holocaust survivors and spreads to inappropriate figures the condemnation that belongs to Hitler and the Nazis.
The technique for recent attacks on Pius XII is simple. It requires only that favorable evidence be read in the worst light and treated to the strictest test, while unfavorable evidence is read in the best light and treated to no test.
So, for instance, when Cornwell sets out in Hitler's Pope to prove Pius an anti-Semite (an accusation even the pontiff's bitterest opponents have rarely leveled), he makes much of Pacelli's reference in a 1917 letter to the "Jewish cult"—as though for an Italian Catholic prelate born in 1876 the word "cult" had the same resonances it has in English today, and as though Cornwell himself does not casually refer to the Catholic cult of the Assumption and the cult of the Virgin Mary. (The most immediately helpful part of Hitler, the War and the Pope may be the thirty-page epilogue Rychlak devotes to demolishing this kind of argument in Hitler's Pope).
The same pattern is played out in Susan Zuccotti's Under His Very Windows. For example: There exists testimony from a Good Samaritan priest that Bishop Giuseppe Nicolini of Assisi, holding a letter in his hand, declared that the pope had written to request help for Jews during the German roundup of Italian Jews in 1943. But because the priest did not actually read the letter, Zuccotti speculates that the bishop may have been deceiving him—and thus that this testimony should be rejected.
Compare this skeptical approach to evidence with her treatment, for example, of a 1967 interview in which the German diplomat Eitel F. Mollhausen said he had sent information to the Nazis' ambassador to the Vatican, Ernst von Weizsäcker, and "assumed" that Weizsäcker passed it on to Church "officials." Zuccotti takes this as unquestionable proof that the pope had direct foreknowledge of the German roundup. (A fair reading suggests Pius had heard rumors and raised them with the Nazi occupiers. Princess Enza Pignatelli Aragona reported that when she broke in on the pope with the news of the roundup early on the morning of October 16, 1943, his first words were: "But the Germans had promised not to touch the Jews!").
With this dual standard, recent writers have little trouble arriving at two pre-ordained conclusions. The first is that the Catholic Church must shoulder the blame for the Holocaust: "Pius XII was the most guilty," as Zuccotti puts it. And the second is that Catholicism's guilt is due to aspects of the Church that John Paul II now represents.
Indeed, in the concluding chapter of Hitler's Pope and throughout Papal Sin and Constantine's Sword, the parallel comes clear: John Paul's traditionalism is of a piece with Pius's alleged anti-Semitism; the Vatican's current stand on papal authority is in a direct line with complicity in the Nazis' extermination of the Jews. Faced with such monstrous moral equivalence and misuse of the Holocaust, how can we not object?

It is true that during the controversy over The Deputy and again during the Vatican's slow hearing of the case for his canonization (ongoing since 1965), Pius had Jewish detractors. In 1964, for example, Guenter Lewy produced The Catholic Church and Nazi Germany, and, in 1966, Saul Friedländer added Pius XII and the Third Reich. Both volumes claimed that Pius's anti-communism led him to support Hitler as a bulwark against the Russians.
As accurate information on Soviet atrocities has mounted since 1989, an obsession with Stalinism seems less foolish than it may have in the mid-1960s. But, in fact, the evidence has mounted as well that Pius accurately ranked the threats. In 1942, for example, he told a visitor, "The Communist danger does exist, but at this time the Nazi danger is more serious." He intervened with the American bishops to support lend-lease for the Soviets, and he explicitly refused to bless the Nazi invasion of Russia. (The charge of overheated anti-communism is nonetheless still alive: In Constantine's Sword, James Carroll attacks the 1933 concordat Hitler signed for Germany by asking, "Is it conceivable that Pacelli would have negotiated any such agreement with the Bolsheviks in Moscow?”—apparently not realizing that in the mid-1920s, Pacelli tried exactly that.)
In any case, Pius had his Jewish defenders as well. In addition to Lapide's Three Popes and the Jews, one might list A Question of Judgment, the 1963 pamphlet from the Anti-Defamation League's Joseph Lichten, and the excoriating reviews of Friedländer by Livia Rotkirchen, the historian of Slovakian Jewry at Yad Vashem. Jeno Levai, the great Hungarian historian, was so angered by ccusations of papal silence that he rote Pius XII Was Not Silent (published in English in 1968), with a powerful ntroduction by Robert M.W. Kempner, deputy chief U.S. prosecutor at Nuremberg.
In response to the new attacks on Pius, several Jewish scholars have spoken out over the last year. Sir Martin Gilbert told an interviewer that Pius deserves
not blame but thanks. Michael Tagliacozzo, the leading authority on Roman Jews during the Holocaust, added, "I have a folder on my table in Israel entitled ‘Calumnies Against Pius XII.' . . . Without him, many of our own would not be alive." Richard Breitman (the only historian authorized to study U.S. espionage files from World War II) noted that secret documents prove the extent to which "Hitler distrusted the Holy See because it hid Jews."

Still, Lapide's 1967 book remains the most influential work by a Jew on the topic, and in the thirty-four years since he wrote, much material has become available in the Vatican's archives and elsewhere. New oral-history centers have athered an impressive body of interviews with Holocaust survivors, military chaplains, and Catholic civilians. Given the recent attacks, the time has come for a new defense of Pius—because, despite allegations to the contrary, the best historical evidence now confirms both that Pius XII was not silent and that almost no one at the time thought him so.
In January 1940, for instance, the pope issued instructions for Vatican Radio to reveal "the dreadful cruelties of uncivilized tyranny" the Nazis were
inflicting on Jewish and Catholic Poles. Reporting the broadcast the following week, the Jewish
Advocate of Boston praised it for what it was: an "outspoken denunciation of German atrocities
in Nazi Poland, declaring they affronted the moral conscience of mankind." The New York
Times editorialized: "Now the Vatican has spoken, with authority that cannot be questioned,
and has confirmed the worst intimations of terror which have come out of the Polish
darkness." In England, the Manchester Guardian hailed Vatican Radio as "tortured Poland's
most powerful advocate."

Any fair and thorough reading of the evidence demonstrates that
Pius XII was a persistent critic of Nazism. Consider just a few highlights of his
opposition before the war:
Of the forty-four speeches Pacelli gave in Germany as papal
nuncio between 1917 and 1929, forty denounced some aspect of the emerging Nazi
ideology.
In March 1935, he wrote an open letter to the bishop of
Cologne calling the Nazis "false prophets with the pride of Lucifer."
That same year, he assailed ideologies "possessed by the
superstition of race and blood" to an enormous crowd of pilgrims at Lourdes. At
Notre Dame in Paris two years later, he named Germany "that noble and powerful
nation whom bad shepherds would lead astray into an ideology of race."
The Nazis were "diabolical," he told friends privately.
Hitler "is completely obsessed," he said to his long-time secretary, Sister
Pascalina. "All that is not of use to him, he destroys; . . . this man is capable of trampling
on corpses." Meeting in 1935 with the heroic anti-Nazi Dietrich von Hildebrand, he
declared, "There can be no possible reconciliation" between Christianity and Nazi
racism; they were like "fire and water."
The year after Pacelli became secretary of state in 1930,
Vatican Radio was established, essentially under his control. The Vatican
newspaper L'Osservatore Romano had an uneven record, though it would improve as
Pacelli gradually took charge (extensively reporting Kristallnacht in 1938, for
example). But the radio station was always good—making such controversial
broadcasts as the request that listeners pray for the persecuted Jews in Germany after the
1935 Nuremberg Legislation.
It was while Pacelli was his predecessor's chief adviser
that Pius XI made the famous statement to a group of Belgian pilgrims in 1938 that
"anti-Semitism is inadmissible; spiritually we are all Semites." And it was Pacelli who
drafted Pius XI's encyclical Mit brennender Sorge, "With Burning Concern," a
condemnation of Germany among the harshest ever issued by the Holy See. Indeed,
throughout the 1930s, Pacelli was widely lampooned in the Nazi press as Pius XI's
"Jew-loving" cardinal, because of the more than fifty-five protests he sent the
Germans as the Vatican secretary of state.
To these must be added highlights of Pius XII's actions during
the war:
His first encyclical, Summi Pontificatus, rushed out in
1939 to beg for peace, was in part a declaration that the proper role of the papacy was
to plead to both warring sides rather than to blame one. But it very pointedly
quoted St. Paul—“there is neither Gentile nor Jew”—using the word "Jew" specifically
in the context of rejecting racial ideology. The New York Times greeted the
encyclical with a front-page headline on October 28, 1939: "Pope Condemns
Dictators, Treaty Violators, Racism." Allied airplanes dropped thousands of
copies on Germany in an effort to raise anti-Nazi sentiment.
In 1939 and 1940, Pius acted as a secret intermediary
between the German plotters against Hitler and the British. He would similarly risk
warning the Allies about the impending German invasions of Holland, Belgium, and France.
In March 1940, Pius granted an audience to Joachim von
Ribbentrop, the German foreign minister and the only high-ranking Nazi to bother
visiting the Vatican. The Germans' understanding of Pius's position, at least, was
clear: Ribbentrop chastised the pope for siding with the Allies. Whereupon Pius began
reading from a long list of German atrocities. "In the burning words he spoke to Herr
Ribbentrop," the New York Times reported on March 14, Pius "came to the defense
of Jews in Germany and Poland."
When French bishops issued pastoral letters in 1942
attacking deportations, Pius sent his nuncio to protest to the Vichy government against
"the inhuman arrests and deportations of Jews from the French-occupied zone to
Silesia and parts of Russia." Vatican Radio commented on the bishops' letters six days in
a row—at a time when listening to Vatican Radio was a crime in Germany and
Poland for which some were put to death. ("Pope Is Said to Plead for Jews Listed for
Removal from France," the New York Times headline read on August 6, 1942. "Vichy
Seizes Jews; Pope Pius Ignored," the Times reported three weeks later.) In
retaliation, in the fall of 1942, Goebbels's office distributed ten million copies of a
pamphlet naming Pius XII as the "pro-Jewish pope" and explicitly citing his interventions
in France.
In the summer of 1944, after the liberation of Rome but
before the war's end, Pius told a group of Roman Jews who had come to thank him for
his protection: "For centuries, Jews have been unjustly treated and despised. It
is time they were treated with justice and humanity, God wills it and the Church
wills it. St. Paul tells us that the Jews are our brothers. They should also be welcomed as
friends."
As these and hundreds of other examples are disparaged, one by
one, in recent books attacking Pius XII, the reader loses sight of the huge bulk of
them, their cumulative effect that left no one, the Nazis least of all, in doubt about the pope's
position.
A deeper examination reveals the consistent pattern. Writers like
Cornwell and Zuccotti see the pope's 1941 Christmas address, for example, as notable
primarily for its failure to use the language we would use today. But contemporary observers thought
it quite explicit. In its editorial the following day, the New York Times declared, "The
voice of Pius XII is a lonely voice in the silence and darkness enveloping Europe this
Christmas. . . . In calling for a ‘real new order' based on ‘liberty, justice, and love,' . . . the pope
put himself squarely against Hitlerism."
So, too, the pope's Christmas message the following year—in which
he expressed his concern "for those hundreds of thousands who, without any fault of their
own, sometimes only by reason of their nationality or race, are marked down for death or
progressive extinction”—was widely understood to be a public condemnation of the Nazi
extermination of the Jews. Indeed, the Germans themselves saw it as such: "His speech is one
long attack on everything we stand for. . . . He is clearly speaking on behalf of the Jews.
. . . He is virtually accusing the German people of injustice toward the Jews, and makes himself the
mouthpiece of the Jewish war criminals," an internal Nazi analysis reads.
This Nazi awareness, moreover, had potentially dire consequences.
There were ample precedents for the pope to fear an invasion: Napoleon had
besieged the Vatican in 1809, capturing Pius VII at bayonet point; Pius IX fled Rome for his
life after the assassination of his chancellor; and Leo XIII was driven into temporary exile in
the late nineteenth century.
Still, Pius XII was "ready to let himself be deported to a
concentration camp, rather than do anything against his conscience," Mussolini's foreign minister
railed. Hitler spoke openly of entering the Vatican to "pack up that whole whoring rabble," and
Pius knew of the various Nazi plans to kidnap him. Ernst von Weizsäcker has written that
he regularly warned Vatican officials against provoking Berlin. The Nazi ambassador to Italy,
Rudolf Rahn, similarly describes one of Hitler's kidnapping plots and the effort by
German diplomats to prevent it. General Carlo Wolff testified to having received orders from
Hitler in 1943 to "occupy as soon as possible the Vatican and Vatican City, secure the
archives and the art treasures, which have a unique value, and transfer the pope, together with
the Curia, for their protection, so that they cannot fall into the hands of the Allies
and exert a political influence." Early in December 1943, Wolff managed to talk Hitler out of the
plan.
In assessing what actions Pius XII might have taken, many (I
among them) wish that explicit excommunications had been announced. The Catholic-born Nazis had
already incurred automatic excommunication, for everything from failure to attend
Mass to unconfessed murder to public repudiation of Christianity. And, as his
writings and table-talk make clear, Hitler had ceased to consider himself a Catholic—indeed,
considered himself an anti-Catholic—long before he came to power. But a papal
declaration of excommunication might have done some good.

Then again, it might not. Don Luigi Sturzo, founder of the
Christian Democratic movement in wartime Italy, pointed out that the last times "a nominal
excommunication was pronounced against a head of state," neither Queen Elizabeth I nor Napoleon
had changed policy. And there is reason to believe provocation would, as Margherita
Marchione puts it, "have resulted in violent retaliation, the loss of many more Jewish lives,
especially those then under the protection of the Church, and an intensification of the
persecution of Catholics."
Holocaust survivors such as Marcus Melchior, the chief rabbi of
Denmark, argued that "if the pope had spoken out, Hitler would probably have massacred more
than six million Jews and perhaps ten times ten million Catholics, if he had the power to
do so." Robert M.W. Kempner called upon his experience at the Nuremberg trials to say
(in a letter to the editor after Commentary published an excerpt from Guenter Lewy in 1964),
"Every propaganda move of the Catholic Church against Hitler's Reich would have
been not only ‘provoking suicide,' . . . but would have hastened the execution of still
more Jews and priests."
This is hardly a speculative concern. A Dutch bishops' pastoral
letter condemning "the unmerciful and unjust treatment meted out to Jews" was read in
Holland's Catholic churches in July 1942. The well-intentioned letter—which declared that it
was inspired by Pius XII—backfired. As Pinchas Lapide notes: "The saddest and most
thought-provoking conclusion is that whilst the Catholic clergy in Holland
protested more loudly, expressly, and frequently against Jewish persecutions than the religious
hierarchy of any other Nazi-occupied country, more Jews—some 110,000 or 79 percent of
the total—were deported from Holland to death camps."
Bishop Jean Bernard of Luxembourg, an inmate of Dachau from 1941
to 1942, notified the Vatican that "whenever protests were made, treatment of prisoners
worsened immediately." Late in 1942, Archbishop Sapieha of Cracow and two other Polish
bishops, having experienced the Nazis' savage reprisals, begged Pius not to
publish his letters about conditions in Poland. Even Susan Zuccotti admits that in the case
of the Roman Jews the pope "might well have been influenced by a concern for Jews in
hiding and for their Catholic protectors."

One might ask, of course, what could have been worse than the
mass murder of six million Jews? The answer is the slaughter of hundreds of thousands more.
And it was toward saving those it could that the Vatican worked. The fate of Italian Jews
has become a major topic of Pius's critics, the failure of Catholicism at its home supposedly
demonstrating the hypocrisy of any modern papal claim to moral authority. (Notice, for
example, Zuccotti's title: Under His Very Windows.) But the fact remains that while approximately
80 percent of European Jews perished during World War II, 80 percent of Italian Jews
were saved.

In the months Rome was under German occupation, Pius XII
instructed Italy's clergy to save lives by all means. (A neglected source for Pius's actions during
this time is the 1965 memoir But for the Grace of God, by Monsignor J. Patrick Carroll-Abbing,
who worked under Pius as a rescuer.) Beginning in October 1943, Pius asked churches and
convents throughout Italy to shelter Jews. As a result—and despite the fact that Mussolini
and the Fascists yielded to Hitler's demand for deportations—many Italian Catholics defied
the German orders.

In Rome, 155 convents and monasteries sheltered some five thousand Jews. At least three thousand found refuge at the pope's summer residence at Castel Gandolfo. Sixty Jews lived for nine months at the Gregorian University, and many were sheltered in the cellar of the pontifical biblical institute. Hundreds found sanctuary within the Vatican itself. Following Pius's instructions, individual Italian priests, monks, nuns, cardinals, and bishops were instrumental in preserving thousands of Jewish lives. Cardinal Boetto of Genoa saved at least eight hundred. The bishop of Assisi hid three hundred Jews for over two years. The bishop of Campagna and two of his relatives saved 961 more in Fiume.

Cardinal Pietro Palazzini, then assistant vice rector of the Seminario Romano, hid Michael Tagliacozzo and other Italian Jews at the seminary (which was Vatican property) for several months in 1943 and 1944. In 1985, Yad Vashem, Israel's Holocaust Memorial, honored the cardinal as a righteous gentile—and, in accepting the honor, Palazzini stressed that "the merit is entirely Pius XII's, who ordered us to do whatever we could to save the Jews from persecution." Some of the laity helped as well, and, in their testimony afterwards, consistently attributed their inspiration to the pope.

Again, the most eloquent testimony is the Nazis' own. Fascist documents published in 1998 (and summarized in Marchione's Pope Pius XII) speak of a German plan, dubbed "Rabat-Fohn," to be executed in January 1944. The plan called for the eighth division of the SS cavalry, disguised as Italians, to seize St. Peter's and "massacre Pius XII with the entire Vatican”—and specifically names "the papal protest in favor of the Jews" as the cause.

A similar story can be traced across Europe. There is room to argue that more ought to have been attempted by the Catholic Church—for the unanswerable facts remain that Hitler did come to power, World War II did occur, and six million Jews did die. But the place to begin that argument is with the truth that people of the time, Nazis and Jews alike, understood the pope to be the world's most prominent opponent of the Nazi ideology.

As early as December 1940, in an article in Time magazine, Albert Einstein paid tribute to Pius: "Only the Church stood squarely across the path of Hitler's campaign for suppressing the truth. I never had any special interest in the Church before, but now I feel a great affection and admiration because the Church alone has had the courage and persistence to stand for intellectual truth and moral freedom. I am forced thus to confess that what I once despised, I now praise unreservedly."

In 1943, Chaim Weizmann, who would become Israel's first president, wrote that "the Holy See is lending its powerful help wherever it can, to mitigate the fate of my persecuted co-religionists." Moshe Sharett, Israel's second prime minister, met with Pius in the closing days of the war and "told him that my first duty was to thank him, and through him the Catholic Church, on behalf of the Jewish public for all they had done in the various countries to rescue Jews."

Rabbi Isaac Herzog, chief rabbi of Israel, sent a message in February 1944 declaring, "The people of Israel will never forget what His Holiness and his illustrious delegates, inspired by the eternal principles of religion, which form the very foundation of true civilization, are doing for our unfortunate brothers and sisters in the most tragic hour of our history, which is living proof of Divine Providence in this world."

In September 1945, Leon Kubowitzky, secretary general of the World Jewish Congress, personally thanked the pope for his interventions, and the World Jewish Congress donated $20,000 to Vatican charities "in recognition of the work of the Holy See in rescuing Jews from Fascist and Nazi persecutions."

In 1955, when Italy celebrated the tenth anniversary of its liberation, the Union of Italian Jewish Communities proclaimed April 17 a "Day of Gratitude" for the pope's wartime assistance.

On May 26, 1955, the Israeli Philharmonic Orchestra flew to Rome to give in the Vatican a special performance of Beethoven's Seventh Symphony —an expression of the State of Israel's enduring gratitude to the pope for help given the Jewish people during the Holocaust.

This last example is particularly significant. As a matter of state policy, the Israeli Philharmonic has never played the music of Richard Wagner, because of his well-known reputation as "Hitler's composer," the cultural patron saint of the Third Reich. During the 1950s especially, the Israeli public, hundreds of thousands of whom were Holocaust survivors, still viewed Wagner as a symbol of the Nazi regime. It is inconceivable that the Israeli government would have paid for the entire orchestra to travel to Rome to pay tribute to "Hitler's pope." On the contrary, the Israeli Philharmonic's unprecedented concert in the Vatican was a unique communal gesture of collective recognition for a great friend of the Jewish people.

Hundreds of other memorials could be cited. In her conclusion to Under His Very Windows, Susan Zuccotti dismisses — as wrong-headed, ill-informed, or even devious — the praise Pius XII received from Jewish leaders and scholars, as well as expressions of gratitude from the Jewish chaplains and Holocaust survivors who bore personal witness to the assistance of the pope.

That she does so is disturbing. To deny the legitimacy of their gratitude to Pius XII is tantamount to denying the credibility of their personal testimony and judgment about the Holocaust itself. "More than all others," recalled Elio Toaff, an Italian Jew who lived through the Holocaust and later became chief rabbi of Rome, "we had the opportunity of experiencing the great compassionate goodness and magnanimity of the pope during the unhappy years of the persecution and terror, when it seemed that for us there was no longer an escape."

But Zuccotti is not alone. There is a disturbing element in nearly all the current work on Pius. Except for Rychlak's Hitler, the War and the Pope, none of the recent books — from Cornwell's vicious attack in Hitler's Pope to McInerny's uncritical defense in The Defamation of Pius XII — is finally about the Holocaust. All are about using the sufferings of Jews fifty years ago to force changes upon the Catholic Church today.

It is this abuse of the Holocaust that must be rejected. A true account of Pius XII would arrive, I believe, at exactly the opposite to Cornwell's conclusion: Pius XII was not Hitler's pope, but the closest Jews had come to having a papal supporter — and at the moment when it mattered most.

Writing in Yad Vashem Studies in 1983, John S. Conway — the leading authority on the Vatican's eleven-volume Acts and Documents of the Holy See During the Second World War — concluded: "A close study of the many thousands of documents published in these volumes lends little support to the thesis that ecclesiastical self-preservation was the main motive behind the attitudes of the Vatican diplomats. Rather, the picture that emerges is one of a group of intelligent and conscientious men, seeking to pursue the paths of peace and justice, at a time when these ideals were ruthlessly being rendered irrelevant in a world of ‘total war.’” These neglected volumes (which the English reader can find summarized in Pierre Blet's Pius XII and the Second World War) "will reveal ever more clearly and convincingly"—as John Paul told a group of Jewish leaders in Miami in 1987—“how deeply Pius XII felt the tragedy of the Jewish people, and how hard and effectively he worked to assist them."

The Talmud teaches that "whosoever preserves one life, it is accounted to him by Scripture as if he had preserved a whole world." More than any other twentieth-century leader, Pius fulfilled this Talmudic dictum, when the fate of European Jewry was at stake. No other pope had been so widely praised by Jews — and they were not mistaken. Their gratitude, as well as that of the entire generation of Holocaust survivors, testifies that Pius XII was, genuinely and profoundly, a righteous gentile.

By David G. Dalin.

cm814
01-08-02, 11:32
La leggenda alla prova degli archivi
di Pierre Blet, S.I.
(da L'OSSERVATORE ROMANO 27 marzo 1998)


Quando morì il 9 ottobre 1958, Pio XII fu oggetto di omaggi unanimi di ammirazione e di gratitudine: "Il mondo - dichiarò il presidente Eisenhower - è ora più povero dopo la morte del Papa Pio XII". E Golda Meir, ministro degli Esteri dello Stato di Israele: "La vita del nostro tempo è stata arricchita da una voce che esprimeva le grandi verità morali al di sopra del tumulto dei conflitti quotidiani. Noi piangiamo un grande servitore della pace" (1). Pochi anni dopo, a partire dal 1963, egli era diventato l'eroe di una leggenda nera: durante la guerra, per calcolo politico o pusillanimità, egli sarebbe rimasto impassibile e silenzioso di fronte ai crimini contro l'umanità, che invece un suo intervento avrebbe bloccato.

Quando le accuse si fondano su documenti, è possibile discutere l'interpretazione dei testi, verificare se essi sono stati fraintesi, recepiti acriticamente, mutilati o selezionati in un certo senso.

Quando invece una leggenda viene costruita con elementi disparati e con un lavoro di immaginazione, la discussione non ha senso. L'unica cosa possibile è opporre al mito la realtà storica provata da documenti incontestabili. A tal fine sin dal 1964 il Papa Paolo VI, che, come Sostituto della Segreteria di Stato, era stato uno dei più stretti collaboratori di Pio XII, autorizzò la pubblicazione dei documenti della Santa Sede relativi alla seconda guerra mondiale.

L'impostazione di "Actes et Documents"

L'archivio della Segreteria di Stato conserva infatti i dossier nei quali è possibile seguire spesso di giorno in giorno, a volte di ora in ora, l'attività del Papa e dei suoi uffici. Vi si trovano i messaggi e i discorsi di Pio XII, le lettere scambiate tra il Papa e le autorità civili ed ecclesiastiche, note della Segreteria di Stato, note di servizio dei subalterni ai superiori per comunicare informazioni e proposte e, inoltre, note private (in particolare quelle di Mons. Tardini, che aveva l'abitudine, felicissima per gli storici, di riflettere penna alla mano), la corrispondenza della Segreteria di Stato con i rappresentanti esterni della Santa Sede (Nunzi, Internunzi e Delegati apostolici) e le note diplomatiche scambiate tra la Segreteria di Stato e gli ambasciatori o i ministri accreditati presso la Santa Sede. Questi documenti sono, per lo più, spediti con il nome e la firma del Segretario di Stato o del Segretario della prima Sezione della stessa Segreteria: ciò non toglie che essi traducano le intenzioni del Papa.

Partendo da tali documenti sarebbe stato possibile scrivere un'opera che descrivesse quali erano stati l'atteggiamento e la politica del Papa durante la seconda guerra mondiale. Oppure si sarebbe potuto comporre un libro bianco, per dimostrare l'infondatezza delle accuse contro Pio XII. Tanto più che, essendo l'addebito principale quello del silenzio, era facile, partendo dai documenti, porre in luce l'azione della Santa Sede in favore delle vittime della guerra e, in particolare, delle vittime delle persecuzioni razziali. Sembrò più conveniente intraprendere una pubblicazione completa dei documenti relativi alla guerra.

Esistevano già diverse collane di documenti diplomatici, di cui molti volumi riguardavano la seconda guerra mondiale: Documenti diplomatici italiani, Documents on British Foreign Policy: 1919-1939, Foreign Relations of the United States, Diplomatic Papers, Akten zur deutschen auswärtigen Politik 1918-1945. Di fronte a tali collane, e su tali modelli, era utile permettere agli storici di studiare sui documenti il ruolo e l'attività della Santa Sede durante la guerra. In questa prospettiva fu iniziata la pubblicazione della collana degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (2).

La difficoltà risiedeva nel fatto che per questo periodo gli archivi - sia quello del Vaticano sia quelli degli altri Stati - erano chiusi al pubblico e anche agli storici. L'interesse particolare rivolto agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, il desiderio di farne la storia partendo dai documenti, e non soltanto da racconti o testimonianze più o meno indiretti, avevano indotto gli Stati coinvolti nel conflitto a pubblicare i documenti ancora inaccessibili al pubblico. Le persone di fiducia incaricate di un tale compito sono soggette ad alcune regole: non pubblicare documenti che chiamino in causa persone ancora in vita o che, rivelati, ostacolerebbero negoziati in atto. In base a tali criteri furono pubblicati i volumi relativi agli anni Quaranta dei Foreign Relations of the United States, e gli stessi criteri furono seguiti nella pubblicazione dei documenti della Santa Sede.

Il compito di pubblicare i documenti della Santa Sede relativi alla guerra venne affidato dalla Segreteria di Stato a tre padri gesuiti: Angelo Martini, redattore di questa rivista, che aveva già avuto accesso agli archivi riservati del Vaticano, Burkhart Schneider e lo scrivente, entrambi docenti nella Facoltà di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana. Il lavoro ebbe inizio sin dai primi giorni del gennaio 1965, in un ufficio vicino al deposito dell'archivio dell'allora Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari e Prima Sezione della Segreteria di Stato; là erano normalmente custoditi i documenti relativi alla guerra.

In quelle condizioni il lavoro comportava facilitazioni e difficoltà particolari. La difficoltà era che, trattandosi di un archivio non aperto al pubblico, non esistevano inventari sistematici finalizzati alla ricerca; i documenti non erano classificati né in ordine strettamente cronologico, né in ordine strettamente geografico; quelli di carattere politico, quindi relativi alla guerra, si trovavano talora insieme a documenti di carattere religioso, canonico o anche personale, rinchiusi in scatole abbastanza maneggevoli, ma talvolta dal contenuto molto disparato. Informazioni relative alla Gran Bretagna potevano trovarsi in dossiers sulla Francia, se l'informazione era stata inviata tramite il Nunzio in Francia, e naturalmente interventi in favore di ostaggi belgi nelle scatole del Nunzio a Berlino. Era necessario quindi esaminare ogni scatola e scorrerne tutto il contenuto per identificare i documenti relativi alla guerra. La ricerca era tuttavia resa più semplice grazie a una vecchia regola della Segreteria di Stato in vigore dal tempo di Urbano VIII, la quale prescriveva ai Nunzi di trattare un solo argomento per lettera.

Di fronte a tali difficoltà, avevamo notevoli facilitazioni.

Lavorando in un ufficio della Segreteria di Stato e su commissione, non eravamo soggetti ai vincoli dei ricercatori ammessi nelle sale di consultazione dei depositi pubblici; uno di noi prendeva direttamente dagli scaffali del deposito le scatole di documenti. Altra considerevole facilitazione era che si trattava di documenti per lo più dattiloscritti e rimasti allo stato di documenti separati (i manoscritti da dattiloscrivere per la tipografia costituirono un'eccezione); cosicché, non appena riconosciuto un documento come relativo alla guerra, bastava estrarlo, fotocopiarlo e consegnare in tipografia la fotocopia correlata delle note, come esige un lavoro scientifico.

Benché nell'inverno del 1965 il lavoro procedesse abbastanza rapidamente, pensammo di chiedere l'aiuto del p. Robert Leiber, che si era ritirato nel Collegio Germanico, dopo essere stato per oltre 30 anni segretario privato di Pacelli, prima Nunzio, poi Segretario di Stato e infine Papa Pio XII. Egli aveva seguito molto da vicino gli affari della Germania e fu lui a rivelarci l'esistenza delle minute delle lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi; esse furono materia del secondo volume della collana e sono i documenti che meglio rivelano il pensiero del Papa.

I singoli volumi

Il primo volume, che ricopre i primi 17 mesi del pontificato (marzo 1939-luglio 1940) e che rivela gli sforzi di Pio XII per scongiurare la guerra, uscì nel dicembre 1965 ottenendo in genere buona accoglienza. Nel corso del 1966, mentre il p. Schneider preparava attivamente il volume delle lettere ai vescovi tedeschi, il p. Robert A. Graham, un gesuita americano della rivista America, il quale aveva già pubblicato un'opera sulla diplomazia della Santa Sede (Vatican Diplomacy), chiese informazioni sul periodo che costituiva l'oggetto del nostro lavoro. Come risposta egli fu invitato e aggregato al nostro gruppo, tanto più che già avevamo preso conoscenza dei contatti sempre più frequenti di Pio XII con Roosevelt e dei documenti in lingua inglese, nei quali ci imbattevamo piuttosto di frequente. Egli lavorò immediatamente alla preparazione del terzo volume, dedicato alla Polonia e concepito sul modello del secondo, concernente i rapporti della Santa Sede con gli episcopati. Ma gli scambi epistolari diretti con gli altri episcopati si rivelarono molto meno intensi, sicché il volume 2i e il 3i (in due tomi) rimasero gli unici nel loro genere. Così decidemmo di dividere i documenti in due sezioni: una, che continuava il primo volume, per le questioni di carattere prevalentemente diplomatico, contraddistinte dal loro titolo Le Saint-Siège et la guerre en Europe, Le Saint-Siège et la guerre mondiale: furono i volumi 4i, 5i, 7i e 11i, mentre i voll. 6i, 8i, 9i e 10i, intitolati Le Saint-Siège et les victimes de la guerre riuniscono in ordine cronologico i documenti relativi agli sforzi della Santa Sede per soccorrere tutti quelli che la guerra faceva soffrire nel corpo o nello spirito, prigionieri separati dalla famiglia ed esiliati lontano dai loro cari, popolazioni sottoposte alle devastazioni della guerra, vittime di persecuzioni razziali.

Il lavoro durò oltre 15 anni; il gruppo si divise i compiti secondo i volumi progettati e secondo il tempo che ognuno aveva a disposizione. E p. Leiber, il cui aiuto ci era stato così prezioso, ci venne tolto dalla morte il 18 febbraio 1967. E p. Schneider, pur continuando a insegnare Storia moderna alla Gregoriana, dopo aver pubblicato le lettere ai vescovi tedeschi, si era dedicato alla sezione delle vittime della guerra e preparò, con il concorso del p. Graham, i voll. 6i, 8i e 9i, terminati a Natale del 1975; ma nell'estate dello stesso anno era stato colpito dalla malattia di cui sarebbe morto nel maggio seguente. E p. Martini, che a tempo pieno si era dedicato a questo lavoro e aveva in qualche modo lavorato a tutti i volumi, non ebbe la soddisfazione di vedere l'opera interamente compiuta: poté soltanto, all'inizio dell'estate del 1981, vedere le bozze dellíultimo volume, prima di lasciarci a sua volta. Il vol. 11i (ultimo della collana) uscì verso la fine del 1981, sotto la responsabilità del p. Graham e mia.

Benché fosse il più anziano tra noi, il p. Graham aveva dunque potuto lavorare sino al compimento dell'opera e anche proseguire, in quei 15 anni, ricerche e pubblicazioni complementari, uscite per lo più come articoli su La Civiltà Cattolica, e che costituiscono anche una fonte di informazioni, che gli storici della seconda guerra mondiale potranno consultare con profitto. Egli lasciò Roma il 24 luglio 1996 per fare ritorno nella natia California, dove chiuse i suoi giorni l'11 febbraio 1997.

Sin dall'inizio del 1982 avevo da parte mia ripreso le mie ricerche sul XVII secolo francese e sulla diplomazia vaticana. Ma vedendo che, dopo 15 anni, i nostri volumi rimanevano sconosciuti anche a molti storici, dedicai gli anni 1996-97 a riprenderne l'essenziale e le conclusioni in un volume di modeste dimensioni, ma denso per quanto possibile (3). Una consultazione serena di tale documentazione fa apparire nella sua realtà concreta l'atteggiamento e la condotta del Papa Pio XII durante il confitto mondiale e, di conseguenza, l'infondatezza delle accuse rivolte contro la sua memoria. I documenti pongono in evidenza come gli sforzi della sua diplomazia per evitare la guerra, per dissuadere la Germania dall'aggredire la Polonia, per convincere l'Italia di Mussolini a dissociarsi da Hitler siano stati al limite delle sue possibilità. Non si trova nessuna traccia della pretesa parzialità filotedesca che egli avrebbe assorbito nel periodo trascorso nella nunziatura in Germania. I suoi sforzi, associati a quelli di Roosevelt, per mantenere l'Italia fuori dal conflitto, i telegrammi di solidarietà del 10 maggio 1940 ai Sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo dopo l'invasione della Wehrmacht, i suoi consigli coraggiosi a Mussolini e al re Vittorio Emanuele III per suggerire una pace separata non vanno certamente in tale direzione.

Sarebbe illusorio pensare che con le alabarde della guardia svizzera, o anche con una minaccia di scomunica, egli avrebbe fermato i carri armati della Wehrmacht.

Ma l'accusa spesso ripresa è di essere rimasto silenzioso di fronte alle persecuzioni razziali contro gli ebrei sino alle loro estreme conseguenze e di aver lasciato così libero corso alla barbarie nazista. Ora i documenti manifestano gli sforzi tenaci e continui del Papa per opporsi alle deportazioni, sull'esito delle quali il sospetto cresceva sempre più. Il silenzio apparente nascondeva un'azione segreta attraverso le nunziature e gli episcopati per evitare, o perlomeno limitare, le deportazioni, le violenze, le persecuzioni. Le ragioni di tale discrezione sono chiaramente spiegate dallo stesso Papa in diversi discorsi, nelle lettere agli episcopati tedeschi, o nelle delibere della Segreteria di Stato: le dichiarazioni pubbliche non sarebbero servite a nulla, non avrebbero fatto che aggravare la sorte delle vittime e moltiplicarne il numero.

Accuse ricorrenti

Nell'intento di offuscare tali evidenze, i detrattori di Pio XII hanno messo in dubbio la serietà della nostra pubblicazione. Molto singolare al riguardo è un articolo apparso su un quotidiano parigino della sera il 3 dicembre 1997:, "Quei quattro gesuiti hanno prodotto [!] negli Actes et Documents testi che hanno scagionato Pio XII dalle omissioni di cui egli è accusato [Ö]. Ma quegli Actes et Documents sono lontani dallíessere completi". Si voleva dare a intendere che avevamo tralasciato documenti scomodi per la memoria di Pio XII e per la Santa Sede.

In primo luogo, non si vede bene come l'omissione di alcuni documenti aiuterebbe a scagionare Pio XII dalle omissioni che gli vengono rinfacciate. D'altra parte, dire con tono perentorio che la nostra pubblicazione non sia completa equivale a fare un'affermazione che non si può provare: a tal fine bisognerebbe confrontare la nostra pubblicazione con il fondo di archivio e mostrare i documenti presenti nel fondo e mancanti nella nostra pubblicazione. Benché il fondo di archivio corrispondente sia ancora inaccessibile al pubblico, alcuni si sono spinti sino a pretendere di fornire prove di tali lacune degli Actes et Documents. Facendo questo, essi hanno dimostrato la loro scarsa visione circa l'esplorazione di fondi di archivio, di alcuni dei quali reclamano l'apertura.

Riprendendo l'identica affermazione di un quotidiano romano dell'11 settembre 1997, il citato articolo del 3 dicembre menziona come assente nella nostra pubblicazione la corrispondenza di Pio XII con Hitler. Osserviamo anzitutto che la lettera con la quale il Papa notificò la propria elezione al Capo di Stato del Reich è l'ultimo documento pubblicato nel secondo volume degli Actes et Documents. Per il resto, se non abbiamo pubblicato la corrispondenza di Pio XII con Hitler, è perché essa esiste unicamente nella fantasia del giornalista. Costui invoca i contatti di Pacelli, Nunzio in Germania, con Hitler, ma avrebbe dovuto verificare le date: Hitler giunge al potere nel 1933 e quindi avrebbe avuto occasione di incontrare il Nunzio apostolico soltanto da quella data. Ma Mons. Pacelli era rientrato a Roma nel dicembre 1929, e Pio XI lo aveva creato Cardinale il 16 dicembre e Segretario di Stato il 16 gennaio 1930. E soprattutto, se quella corrispondenza fosse esistita, le lettere del Papa sarebbero conservate negli archivi tedeschi e ve ne sarebbe normalmente traccia negli archivi del Ministero degli Esteri del Reich. Le lettere di Hitler sarebbero finite in Vaticano, ma se ne troverebbe menzione nelle istruzioni agli ambasciatori di Germania, Bergen e poi Weizsäcker, incaricati di consegnarle, e nei dispacci di quei diplomatici, che rendono conto di averle rimesse al Papa o al Segretario di Stato. Nessuna traccia di tutto ciò. In mancanza di tali riferimenti, si deve dire che la serietà della nostra pubblicazione è stata messa in dubbio senza l'ombra di una prova.

Queste osservazioni circa la presunta corrispondenza tra il Papa e il Führer valgono per gli altri documenti reali. Spessissimo i documenti del Vaticano sono attestati da altri archivi, ad esempio le note scambiate con gli ambasciatori. Si può pensare che molti telegrammi del Vaticano siano stati intercettati e decifrati dai servizi di informazione delle potenze belligeranti, e che se ne trovino copia nei loro archivi, e quindi, se avessimo tentato di nascondere alcuni documenti, sarebbe possibile conoscerne l'esistenza e avere allora un fondamento per mettere in dubbio la serietà del nostro lavoro.

Lo stesso articolo del quotidiano parigino, dopo avere immaginato relazioni tra Hitler e il nunzio Pacelli, ricorda un articolo del Sunday Telegraph del luglio 1997, che accusa la Santa Sede di avere utilizzato l'oro nazista per aiutare criminali di guerra a fuggire verso líAmerica Latina, soprattutto il croato Ante Pavelic: "Alcuni studi accreditano tale tesi (!)". È ammirevole la disinvoltura con cui i giornalisti possono accontentarsi di documentare le proprie affermazioni. Ne saranno gelosi gli storici, che spesso faticano ore per verificare i loro riferimenti. Si capisce che un giornalista si fidi di un collega soprattutto quando il titolo inglese del giornale gli dà un'apparenza di rispettabilità.

Ma ci sono ancora due affermazioni che meritano di essere esaminate separatamente, e cioè l'arrivo nelle casse del Vaticano dell'oro nazista, o più esattamente l'oro degli ebrei sottratto dai nazisti, e il suo uso per facilitare la fuga di criminali di guerra nazisti verso l'America Latina.

Alcuni quotidiani americani, infatti, avevano prodotto un documento del Dipartimento del Tesoro con il quale lo stesso Dipartimento era informato che il Vaticano avrebbe ricevuto attraverso la Croazia oro nazista di provenienza ebraica. Il "documento del Dipartimento del Tesoro" può fare impressione; ma occorre leggere ciò che si trova sotto il titolo e allora si scopre che si tratta di una nota proveniente dalla "comunicazione di un informatore romano degno di fede". Chi prendesse per oro colato simili affermazioni dovrebbe leggere quanto ha scritto il p. Graham sulle prodezze dell'informatore Scattolini, che viveva delle informazioni tratte dalla sua fantasia, che egli passava a tutte le ambasciate, compresa quella degli USA, la quale le trasmetteva fedelmente al Dipartimento di Stato (4). Nelle nostre ricerche nellíarchivio della Segreteria di Stato, non abbiamo trovato menzione del supposto arrivo nelle casse del Vaticano dell'oro sottratto agli ebrei. Spetta ovviamente a chi sostiene tali asserzioni fornire le prove documentate, ad esempio una ricevuta, che non sarebbe rimasta negli archivi del Vaticano, come le lettere di Pio XII a Hitler. Vi è invece riportato il sollecito intervento di Pio XII, quando le comunità ebraiche di Roma furono oggetto di un ricatto da parte delle SS, che esigevano da loro 50 kg di oro; allora il Gran Rabbino si rivolse al Papa per chiedergli i 15 kg mancanti, e Pio XII diede immediatamente ordine ai suoi uffici di fare il necessario (5).

Recenti verifiche non hanno trovato di più.

La notizia poi relativa alla fuga di criminali nazisti verso l'America Latina che sarebbero stati aiutati dal Vaticano non è una novità. Non possiamo ovviamente escludere l'ingenuità di un ecclesiastico romano che si serva della propria posizione per facilitare la fuga di un nazista. Le simpatie del vescovo Hudal, rettore della chiesa nazionale tedesca, per il Grande Reich, sono note; ma da qui a immaginare che il Vaticano organizzasse su vasta scala la fuga di nazisti verso l'America Latina, significa comunque attribuire agli ecclesiastici romani una carità eroica. A Roma erano noti i piani nazisti concernenti la Chiesa e la Santa Sede. Pio XII vi ha accennato nellíallocuzione concistoriale del 2 giugno 1945, ricordando come la persecuzione del regime contro la Chiesa si fosse ancora aggravata con la guerra, "quando i suoi seguaci si lusingavano ancora, appena riportata la vittoria militare, di farla finita per sempre con la Chiesa" (6). Tuttavia gli autori, cui si rifà il nostro giornalista, hanno un'idea piuttosto elevata del perdono delle ingiurie praticato nellíambiente del Papa per immaginare una quantità di nazisti accolti in Vaticano e di là condotti in Argentina, protetti dalla dittatura di Perón, e di lì in Brasile, Cile, Paraguay, per salvare ciò che poteva essere salvato del Terzo Reich: un "Quarto Reich" sarebbe nato nelle pampas.

Si tratta di notizie nelle quali è difficile distinguere tra storia e finzione. Agli appassionati di romanzi possiamo consigliare la lettura di Ladislao Farago A la recherche de Martin Bormann et des rescapés nazis d'Amérigue du sud (in inglese Aftermath. Martin Bormann and the fourth Reich). Con il titolo inglese "Il Quarto Reich" è detto tutto. L'Autore ci conduce da Roma e dal Vaticano in Argentina, Paraguay, Cile, sulla pista del Reichsleiter e degli altri capi nazisti in fuga. Con la precisione di un'Agatha Christie, descrive la posizione esatta di ogni personaggio al momento del crimine, indica il numero delle camere d'albergo occupate dai nazisti in fuga o dai cacciatori di nazisti, lanciati sulle loro tracce, fa vedere la Volkswagen verde che li trasporta.

Si rimane colpiti dalla modestia dell'Autore che presenta il proprio libro come "un'inchiesta alla francese, studio serio, ma senza pretesa di pura erudizione" (!).

Conclusione

Il lettore penserà bene che l'archivio del Vaticano non racchiuda nulla di tutto ciò, anche in quello che ci sarebbe di reale. Se il vescovo Hudal ha fatto fuggire qualche pezzo grosso nazista, non sarà certamente andato a chiedere il permesso al Papa. E se a cose fatte glielo avesse confidato, non ne sapremmo di più.

Tra le cose che l'archivio non rivelerà mai, occorre ricordare i colloqui intercorsi tra il Papa e i suoi visitatori, salvo che con gli ambasciatori che ne hanno riferito ai loro Governi o con un De Gaulle che ne parla nelle sue Memorie.

Ciò non significa che, quando gli storici seri desiderano verificare personalmente l'archivio da cui sono stati presi i documenti pubblicati, il loro desiderio non sia legittimo e lodevole: anche dopo una pubblicazione per quanto possibile accurata, la consultazione degli archivi e il contatto diretto con i documenti giovano alla comprensione storica. Altro è mettere in dubbio la serietà della nostra ricerca, altro è chiedersi se nulla ci sia sfuggito. Non abbiamo deliberatamente tralasciato nessun documento significativo, perché ci sarebbe sembrato nuocere all'immagine del Papa e alla reputazione della Santa Sede. Ma in uníimpresa del genere chi lavora è il primo a domandarsi se non abbia dimenticato nulla. Senza il p. Leiber, l'esistenza delle minute delle lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi ci sarebbe sfuggita e la collana sarebbe stata privata dei testi forse più preziosi per comprendere il pensiero del Papa (7). Tuttavia

quell'intero blocco non contraddice in nulla ciò che ci dicono le note e le corrispondenze diplomatiche. In queste lettere scorgiamo meglio la preoccupazione di Pio XII di ricorrere all'insegnamento dei vescovi per mettere i cattolici tedeschi in guardia contro le lusinghe perverse del nazionalsocialismo, più pericolose che mai in tempo di guerra. Tale corrispondenza pubblicata nel secondo volume degli Actes et Documents conferma dunque l'opposizione tenace della Chiesa al nazionalsocialismo; ma già si conoscevano le prime messe in guardia dei vescovi tedeschi, come Faulhaber e von Galen, di molti religiosi e di sacerdoti e, infine, l'enciclica Mit brennender Sorge, letta in tutte le Chiese della Germania la domenica delle Palme del 1937 a dispetto della Gestapo.

Non possiamo dunque considerare che come pura e semplice menzogna l'affermazione che la Chiesa abbia sostenuto il nazismo, come ha scritto un quotidiano milanese del 6 gennaio 1998. Inoltre i testi pubblicati nel quinto volume degli Actes et Documents smentiscono in maniera perentoria l'idea che la Santa Sede avrebbe sostenuto il Terzo Reich per timore della Russia sovietica. Quando Roosevelt chiese il concorso del Vaticano per vincere l'opposizione di cattolici americani al suo disegno di estendere alla Russia in guerra contro il Reich l'appoggio già concesso alla Gran Bretagna, egli fu ascoltato. La Segreteria di Stato incaricò il Delegato apostolico a Washington di affidare a un vescovo americano il compito di spiegare che líenciclica Divini Redemptoris - che ingiungeva ai cattolici di rifiutare la mano tesa dai partiti comunisti - non si applicava alla situazione presente e non vietava agli USA di andare in aiuto allo sforzo bellico della Russia sovietica contro il Terzo Reich. Sono, queste, conclusioni inoppugnabili.

Perciò, senza voler scoraggiare i ricercatori futuri, dubito molto che l'apertura dellíarchivio vaticano del periodo bellico modificherà la nostra conoscenza di tale periodo. In quell'archivio, come abbiamo spiegato prima, i documenti diplomatici e amministrativi stanno insieme a documenti di carattere strettamente personale; e ciò esige una proroga

maggiore che negli archivi dei Ministeri degli Affari Esteri degli Stati. Chi, senza attendere, desidera approfondire la storia di quel periodo di sconvolgimenti può già lavorare con frutto negli archivi del Foreign Office, del Quai d'Orsay, del Département d'Etat e degli altri Stati che avevano rappresentanti presso la Santa Sede. I dispacci del ministro inglese Osborne fanno rivivere, meglio delle note del Segretario di Stato vaticano, la situazione della Santa Sede, accerchiata nella Roma fascista, poi caduta sotto il controllo dell'esercito e della polizia tedesca (8).

E dedicandosi a tali ricerche, senza reclamare un'apertura prematura dellíarchivio del Vaticano, che essi mostreranno di ricercare proprio la verità.

[Questo articolo è apparso in apertura del numero 3546 - 21 marzo 1998 - de "La Civiltà Cattolica"].

Note

(1) In Oss. Rom., 9 ottobre 1958.

(2) Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, édités par P. Blet - A. Martini - R. A. Graham [dal 3i vol.] - B. Schneider, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 11 vol. in 12 tomi [due tomi per il 3i vol.], 1965-1981.

(3) Cfr P. Blet, Pie XII et la seconde guerre mondiale d'après les archives du Vatican, Paris, Perrin 1997.

(4) Cfr. R. A. Graham, "Il vaticanista falsario. L'incredibile successo di Virgilio Scattolini", in Civ. Catt. 1973 III 467-478.

(5) Cfr. Actes et Documents, vol. 9, cit., 491 e 494.

(6) Pio XII, "Allocuzione concistoriale" (2 giugno 1945), in AAS 37 (1945) 159-168.

(7) Così quando abbiamo preparato il primo volume, ci era rimasto sconosciuto il redattore dell'appello di Pio XII per la pace del 24 agosto 1939, opportunamente corretto e approvato dal Papa. Solamente ricerche ulteriori ci hanno permesso di scoprire che il redattore era stato Mons. Montini (cfr B. Schneider, "Der Friedensappel Papst Pius' XII vom 24 August 1939" in Archivum Historiae Pontificiae 6 [1968] 415424), anche se è difficile attribuire ai due autori le singole parti.

(8) Cfr. O. Chadwick, Britain and the Vatican during the Second World War, Cambridge, 1986.

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Bibliografia ragionata su Pio XII e gli Ebrei

Documenti della Santa Sede

AAS 29 (1937), pp. 145-167, «Mit brennender Sorge» (Con grandissima preoccupazione), Presa di posizione contro il nazionalsocialismo tedesco da parte di Pio XI, in data 14 marzo 1937. Per il testo integrale vedi anche «Enchiridion delle Encicliche. Pio XI (1922-1939)», Edizioni Dehoniane Bologna, 1995.

Acta Apostolicae Sedis, Commentarium Officiale, Annus XX, Volumen XX, Acta SS. Congregationum, «Suprema Sacra Congregatio S. Officii», Roma 25 marzo 1928.
(dichiarazione del Sant’Uffizio contro l’antisemitismo)

«Aperçu sur l’oeuvre du Bureau d’informations Vatican 1939-1946» Tipografia Poligrafica Vaticana, Città del Vaticano 1948.
(Un rapporto presiosissimo delle attività dell’ufficio informazioni della Santa Sede in favore dei perseguitati e dei profughi. Accluse anche le attività dell’ufficio di assistenza agli ebrei).

Padre BLET, Angelo MARTINI, Burkhart SCHNEIDER e Robert A. GRAHAM «Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde Guerre mondiale», Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1965-1981, 12 volumi. (L’opera più vasta e dttagliata delle attività della Santa Sede durnate la Seconda Guerra mondiale).

Angelo MARTINI «Il cardinale Faulhaber e l’Enciclica “Mit Brennender Sorge” in Archivum Historiae Pontificiae n.2 1964 edito dalla Pontificia Universitas Gregoriana, Facultas Historiae Ecclesiasticae Romae

Testi critici

John CORNWELL «Hitler's Pope: The Secret History of Pius XII», Viking, New York 1999.

John CORNWELL «Il papa di Hitler- la storia segreta di Pio XII», Garzanti, Milano 2000.

Saul FRIEDLANDER «Pio XII ed il Terzo Reich» Garzanti Milano 1965.

Rolf HOCHHUTH, «Der Stellvertreter» Hamburg 1963.

Rolf HOCHHUTH «Il Vicario» Feltrinelli, Milano 1964.

Rosetta LOY «La parola ebreo» Einaudi Torino 1997.

George PASSELECQ, Bernard SUCHECKY, «L’Enciclica nascosta di Pio XI», Casa Editrice Corbaccio Milano 1997.

Susan ZUCCOTTI, «Olocausto in Italia», Arnoldo Mondadori Editore Milano 1988.

Susan ZUCCOTTI«Under his very Windows» Yale University Press, New Haven e London 2000.

Testimonianze

Enrico DEAGLIO, «La banalità del bene», Universale Economica Feltrinelli, Milano 1991

Philip FRIEDMAN, «Their Brothers Keepers» Holocaust Library, New York 1978.

Antonio GASPARI «Los Judíos, Pío XII y la Leyenda Negra» Editorial Planeta Brcellona 1998.

Antonio GASPARI «Nascosti in Convento» Ancora Milano 1999.

Antonio GASPARI «Gli ebrei salvati da Pio XII» Logos, Roma 2001.

Louis GOLDMAN, «Amici per la vita», SP 44 Editore, Firenze 1993.

Fernande LEBOUCHER «Incredible Mission- The amazing story of pere Bendit, rescuer of the jews from the nazis», Doubleday & Company, Inc., Garden City, New York 1969

Mauro LANFRANCHI, «il diplomatico che sorrideva», Cooperativa “il Ponte” Arti Grafiche Varesine di Casciago (VA), luglio 1997.

Lucien LAZARE, «Le livre des Justes», Lattès Paris, 1993.

Pascalina LEHNERT, «Pio XII, il privilegio di servirlo» Rusconi Editore, Milano 1984.

Giuliana LESTINI, «S.A.S.G.» (che sta per Sezione Aerea di San Gioacchino), Cooperativa editrice Il Ventaglio, Roma 1993.

Margherita MARCHIONE «Pio XII e gli ebrei» Pan Logos Roma 1999.

Margherita MARCHIONE «Pio XII architetto di Pace» editoriale Pantheon, Roma 2000.

Michael O’CARROLL, «Pius XII Greatness Dishonoured - a documented study», Laetare Press, Blackrock, Co. Dublin. 1980.

Emanuele PACIFICI «Non ti voltare-autobiografia di un ebreo», editrice La Giuntina Firenze 1993.

Quirino PAGANUZZI «Pro papa Pio» Roma Tipografia Poliglotta Vaticana 1970

Pietro PALAZZINI, «Il clero e l’occupazione tedesca di Roma» Editrice Apes, Roma 1995.

Giorgio PERLASCA «L’impostore», il Mulino, Bologna 1997.

Claudio PONTIROLI, «O.Focherini, lettere dal carcere e dai campi di concentramento», Editoria Baraldini, Finale Emilia, marzo 1998.

Dante SALA «oltre l”olocausto», Edizioni del Movimento per la vita, Milano 1979.

Michele SARFATTI, «Il volume 1938 Le leggi contro gli ebrei e alcune considerazioni sulla normativa persecutoria», in «La legislazione antiebraica in Italia e in Europa» Atti del Convegno nel cinquantenario delle leggi razziali (Roma 17-18 ottobre 1988), pubblicato dalla Camera dei Deputati Servizio Informazione parlamentare e relazioni esterne, Roma 1989.

Père THARCISIUS, «Un capucin “Père des Juif” La Père Marie-Benoit» Paris 1990.

Elio VENIER, «Il Clero Romano durante la Resistenza», Estratto dalla “Rivista Diocesana di Roma”, tipografia Colombo, Roma 1972.

Elio VENIER, «A ritroso una vita una poesia», Belardetti Editore Roma, 1990.

Hugh Christopher BARBOUR, Juraj BATELJA «Luce lungo il sentiero della vita» Una biografia spirituale del Beato Luigi CardinaleStepinac», Postulazione del Beato Aloijzjie Stepinac Zagabria 1998.

Testi di storia

Giorgio ANGELOZZI-GARIBOLDI «Pio XII, Hitler e Mussolini. Il Vaticano fra le dittature» Mursia, Milano 1988.

Padre BLET «Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale» Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999.

Michael BURLEIGH, Wolfgang WIPPERMANN, «Lo Stato Razziale», Rizzoli libri, Milano 1992.

F. CAVALLI, «Il processo dell’Arcivescovo di Zagabria» edizioni la Civiltà Cattolica Roma 1947.

Renzo DE FELICE, «Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo», Giulio Einaudi editori, 1972.

Alessandro DUCE «Pio XII e la Polonia 1939-1945» Edizioni Studium Roma 1997.

P. DUCLOS «Le Vatican et la seconde guerre mondiale» Parigi 1955.

Enzo FORCELLA «La resistenza in convento» Einaudi, Torino 1999.

Emma FATTORINI«Germania e Santa Sede - le nunziature di Pacelli fra la Grande Guerra e la Repubblica di Weimar» Società Editrice il Mulino, Bologna 1992.

Liliana PICCIOTTO FARGION «l’Occupazione nazista e gli ebrei di Roma» Carucci, Roma 1979.

POLIAKOW-WULF «Das Dritte Reich u.die Juden, Dokumente u. Aufsaetze» Berlino 1955.

Anthony RHODES «The Vatican in the Age of Dicators» USA 1973

Michael TAGLIACOZZO «la Comunità di Roma sotto l’incubo della svastica. La Grande razzia del 16 ottobre 1043» in «Gli Ebrei in Italia durante il Fascismo» vol. III, Milano novembre 1963.

Luciano TAS, «Storia degli ebrei italiani», Newton Compton editori Roma 1987.

Altri testi consigliati

Pierre BLET, «Pie XII et la Seconde Guerre mondiale d’après les archives du Vatican», Librairie Académique Perrin, France 1997.

Rosario ESPOSITO, «Processo al Vicario» SAIE, Torino 1964.

Igino GIORDANI «Pio XII un grande papa» Società Editrice Internazionale, Torino 1961

Robert A. GRAHAM «Il Vaticano e il nazismo» Edizioni Cinque Lune Roma 1975.

Giorgio ISRAEL, Politica della razza e persecuzione antiebraica nella comunità scientifica italiana», in «La legislazione antiebraica in Italia e in Europa»

Atti del Convegno nel cinquantenario delle leggi razziali (Roma 17-18 ottobre 1988), pubblicato dalla Camera dei Deputati Servizio Informazione parlamentare e relazioni esterne, Roma 1989.

John LAFARGE, «Interracial Justice» American Press 1937. La seconda edizione del libro è stata pubblicata con il titolo «The Race Question and The Negro. A study of the Catholic Doctrine on Interracial Justice, New York Longmans, Green and Co., 1943.

Emilio Pinchas LAPIDE, «Three Popes and the jews» Souvenir Press, London 1967.

Emilio Pinchas LAPIDE «Three Popes and the Jews: Pope Pius XII did not remain silent» Hawthorn Books, New York 1967

Emilio Pinchas LAPIDE, «Roma e gli ebrei. L'azione el Vaticano a favore delle vittime del Nazismo» trad. italiana, Milano 1967.

Jenö LEVAI «Hungarian Jewry and the papacy - Pope Pius XII did not remain silent» SANDS & Co (Publishers) LTD, Londra 1968.

R. PATEE, «The case of Cardinal Aloysius Stepinac»The Bruce Publishing Company, Milwaukee 1953.

Ronald J. RYCHLAK «Hitler the war and the Pope» Genesis Press Inc. Columbus USA 2000.
(L’opera di Rychlak è la migliore in assoluto presente sul mercato, per vastità e precisione di fonti e testimonzianze).

Eugenio ZOLLI «Before the Dawn» Sheed and Ward, New York 1954.

Asteroids
10-11-02, 23:05
Il Vaticano, dal 2003, aprirà gli archivi sull'attività di Pacelli nunzio apostolico a Berlino


Il primo gennaio 2003 la Santa Sede aprirà gli archivi sull'attività di Eugenio Pacelli quando era nunzio a Berlino, durante il pontificato di Pio XI (dal 1922 al 1939) e prima di diventare Papa Pio XII. Lo ha annunciato il card. Jorge Maria Mejia, bibliotecario del Vaticano, in occasione della presentazione del nuovo sito web della Biblioteca Apostolica vaticana. Nel 2005 si apriranno poi progressivamente gli atti relativi al pontificato di Pio XI. E' una polemica lunga quarant'anni quella sui presunti 'silenzi' di Papa Pio XII sullo sterminio nazista. Tutto cominciò nel 1963 con la pubblicazione del testo teatrale ''Il Vicario'', scritto dall'autore protestante tedesco Rolf Hochhut, rappresentato in prima mondiale a Broadway. Quando il dramma ''Il vicario'' fu rappresentato a Roma suscitò un clamoroso scandalo, con conseguenze diplomatiche. Per impedire lo spettacolo teatrale interpretato dall'attore Gian Maria Volontè, intervenne direttamente la Santa Sede, richiamando il Concordato stipulato fra Vaticano e Italia. Dopo alcune rappresentazioni, ''Il Vicario'' fu vietato. Quel testo di Hochhut per primo metteva in circolazione il sospetto che Papa Eugenio Pacelli avesse taciuto volontariamente sull'Olocausto, pur essendo informato delle atrocità commesse dai nazisti nei campi di concentramento. Fino ad allora la comunità ebraica internazionale (dai rabbini di Roma a quelli di New York) avevano solo ringraziato il pontefice per l'aiuto prestato agli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale. Anche Golda Meier espresse personalmente il ringraziamento dello Stato di Israele a Papa Pacelli per la sua opera svolta durante il conflitto bellico. La gratitudine della Meier è una testimonianza allegata al processo di beatificazione del pontefice, in corso dal 1965 per volere dell'allora successore Papa Paolo VI. Da allora le accuse contro Pio XII sono andate aumentando con un fiorire continuo di una pubblicistica, che si è sviluppata in modo particolare nei Paesi di lingua inglese. Negli ultimi anni gli attacchi al ''tacito silenzio'' del Papa sono cresciuti di intensità, anche per la pubblicazione di una serie di pamphlet, tra cui quello dello scrittore inglese John Cornwell (1999). Nel suo libro ''Il Papa di Hitler'', Cornwell sostiene, sulla base di documenti, che Pacelli avrebbe sostenuto l'ascesa al potere in Germania del dittatore nazista, fin da quando era nunzio in terra tedesca. Contro questo testo il Vaticano ha preso ufficialmente posizione, accusando Cornwell di ''propalare menzogne'' e sostenendo che lo scrittore ha manomesso i documenti originali pur di dimostrare la sua ''infamante tesi''. Sempre nel 1999 lo Stato di Israele ha chiesto ufficialmente al Vaticano la sospensione del processo di beatificazione di Pio XII per almeno 50 anni. Una moratoria necessaria, secondo le autorità israeliane, per consentire agli storici di diradare le ombre che gravano sui presunti 'silenzi' di Pacelli. Nella scorsa primavera le accuse contro Papa Pacelli sono state rilanciate presso il grande pubblico dal film ''Il Vicario'' del regista Costa Gavras, pubblicizzato da una locandina dove si vedeva una croce confondersi con una svastica. Per far luce sulle accuse mosse a Pio XII, alla fine del 1999 il Vaticano e il Congresso mondiale ebraico si accordarono per dar vita ad una commissione mista di storici cattolici ed ebrei, in modo da studiare la documentazione sull'operato papale durante il controverso periodo della seconda guerra mondiale. Nell'estate del 2001 i lavori della commissione sono stati sospesi: la parte ebraica ha dichiarato fallita l'operazione lanciata in precedenza, per l'indisponibilità della Santa Sede di far accedere gli studiosi ai documenti inediti della Segreteria di Stato.

link (http://www.giornaledicalabria.it/index.php?categoria=F&id=8994&action=mostra_primopiano)

cm814
13-11-02, 14:39
Questo, pure, era stato previsto dal Signore.... c'è sempre chi guarda alla pagliuzza negli occhi degli altri, piuttosto che la trave nel proprio.

Bellarmino
13-11-02, 20:16
Dato che, come ampiamente dimostrato dagli storici revisionisti, la leggenda sull'olocausto è un cumulo di balle ben confezionata dopo il '45, di cosa avrebbe dovuto parlare SS PioXII?
Le calunnie giudaiche rivolte ad un grande papa della Chiesa sono diventate oltremodo intollerabili!
Calunniatori giudei, giù le mani dal papa!
Bellarmino

Vassilij
13-11-02, 20:23
Originally posted by Bellarmino
Dato che, come ampiamente dimostrato dagli storici revisionisti, la leggenda sull'olocausto è un cumulo di balle ben confezionata dopo il '45, di cosa avrebbe dovuto parlare SS PioXII?
Le calunnie giudaiche rivolte ad un grande papa della Chiesa sono diventate oltremodo intollerabili!
Calunniatori giudei, giù le mani dal papa!
Bellarmino



Appunto :)

cm814
14-11-02, 00:28
Senza entrare nel merito dell'Olocausto, è stata dimnostrata che è una balla colossale la presunta accondiscendenza del Papa al nazismo..... e pensare che c'è chisi è convertito, proprio per aver visto brillare la grandezza del Cattolicesimo in quel carnaio, che è stata la II giuerra mondiale..... :mad:

Bellarmino
14-11-02, 10:22
Originally posted by cm814
Senza entrare nel merito dell'Olocausto, è stata dimnostrata che è una balla colossale la presunta accondiscendenza del Papa al nazismo..... e pensare che c'è chisi è convertito, proprio per aver visto brillare la grandezza del Cattolicesimo in quel carnaio, che è stata la II giuerra mondiale..... :mad:

Il giudeame ha i denti canini contro papa Pacelli per una ragione che pochi conoscono e che cm ha ben ricordato.
Cercano di infangarne la memoria lanciando calunnie insopportabili mentre il vero motivo di tanto astio è il seguente:
il rabbino capo di Roma di allora, Israel Zolli, si convertì al cattolicesimo grazie alla frequentazione del grande papa SS Pio XII, assumendo il nome cristiano di Eugenio Zolli, per gratitudine ad Eugenio Pacelli, il papa che gli fece cadere le "croste" dagli occhi ridandogli la luce della Verità.
I giudei non perdonarono mai questo "tradimento" a Zolli, fino a minacciarlo ripetutamente di morte se non avesse fatto un atto di pubblica abiura, che fortunatamente non arrivò mai.
Quanta differenza tra un vero papa e la scimmia del papa che Sgoverna oggidì la Chiesa di Roma... allora i giudei si convertivano con la preghiera e l'esempio, oggi li si chiama con timore reverenziale: "fratelli maggiori" e ci si reca in pellegrinaggio nelle loro sinagoghe di satana per compiere riti sincretisti, blasfemi e contrari alla dottrina cattolica...
Che Iddio misericordioso ci doni presto un nuovo papa che salvi la Chiesa dalla tempesta modernista.
PIO XII, ora pro nobis et pro perfidi judei.
Bellarmino

cm814
15-11-02, 18:45
MI fa piacere vedere come una discussione prenda il largo, anche perché coinvolge le persone in ricerche e appunti.... io da tenpo sono impegnato nella stesura di una risposta, però non riesco a trovare il tempo di stenderla come vorrei. Troppi impegni per la tesi, ma presto provvederò.
Su questo thread avevo postato un solo intervento, rifacendomi a quanto avevo letto su Italo Zolli, e nulla di più.
Qui do delle precisazioni, che nella sintesi del primo ho scordato.

La conversione di Italo Zolli, ricordiamolo, avveniva all'indomani della della guerra.... mi chiedo come possa essere caduto "in errore" un uomo che, in fin dei conti, aveva pagato sulla propria pelle? E' evidente, che Zolli sapeva - e bisogna ammettere: negli anni 50 lo sapevano molti ebrei (oggi, invece, pare che i nipotini abbiano diemnticato i sentimenti dei nonni) - a chi affidava la sua stima.

Quello che, magari, sulla sua vicenda non si dice, è che:
1) Zolli invitò la comunità ebraica di Roma a fare attenzione, e addirittura a "nascondersi", quando vide entrare le SS a Roma. Di tuttaltro avviso furono le altre autorità, convinti che a loro non sarebbe successo nulla. Il che, a distanza di anni, accredita male voci: come potevano pensare di farla franca?
a) nessuno allora aveva preciso sentore del pericolo. Ma allora perché condannare il Papa e non tutto il resto del mondo?
b) Forse nessuno pensava che la meta sarebbero stata la morte, ma piuttosto quel luogo, in cui Eichemman mandò un milione di ebrei: la Palestina.
c) Forse tutti avevano presente, che le leggi razziali in Italia erano nate come funghi (visti i rapporti tra sionismo e fascismo non molto cattivi), e mostravano (al di là delle parate pubbliche) ben scarse radici.

In un modo o in un altro, nessuno temeva, tranne Zolli.... che ebbe perfettamente ragione, poverino.

2) Appena saputa della conversione, gli altri rabbini e molte comunità ebraiche nel mondo (ricordiamoci che, per gli ebrei della diaspora, la comunità di Roma rappresenta quasi la Capitale) cercarono di corrompere Zolli con la promessa di enormi somme di danaro. Che non venne mai versato..... perchè non vi fu mai una ri-conversione. Semmai, ci fu la conversione dell'intero nucleo famigliare del Zolli al Cattolicesimo.

Mi pare che la vita del rabbino capo sia indicazione chiara di qualcosa, che oggi viene negato: la Grandezza della Chiesa. Alla quale, va poco o nulla rimproverato a proposito di antisemitismo: pochi ormai lo ricordano, ma l'antisemitismo è contrario alla religione Cattolica. A dimostrarlo è proprio il caso di Zolli: ebreo, eppure cattolico. Senza contare, che nessuno ha mai avuto nulla da dire sulla santità del filosofo Edith Stein (ce la siamo dimenticati), proclamata santa proprio da Papa Giovanni Paolo II.
Semmai, la distinzione e la dialettica (dura e aspra, com,e è giusto che sia) è sempre stata col giudaismo, accusato di deicidio. La razza non viene contenplata dalla Chiesa.

Oggi si parla poco di deicidio: io, francamante, non me ne preoccupo. Accusare, infatti, un giudeo di deicidio, è come accusare uno juventino di dire male dell'Inter: è un merito, più che altro...... ;) !!!!
Al di là del banale, si tratta ciò del fatto, che non è offesa per un giudeo sentirsi accusare di deicidio, giacché non costituisce per un giudeo una colpa.

Quello che pochi ricordano, è che i "fratelli protestanti", oggi tanto amati dai cattolici, perché in loro vedono una grande fonte di purezza (Lutero e le indulgenze et cetera.... ), sono stati da sempre molto.... MOLTO DURI.... nei confronti dell'ebraismo. L'antisemitismo, ricordiamolo, ha radici profonde in Germania, e che affondano in ben altro Humus da quello cattolico. Husserl (e chi mi legge su POL sa la stima ch'io ho per questo filosofo) non amava molto la Stein, così come nel suo circolo la Santa non ebbe mai molta approvazione: allora, la conoscevanmo tutti come ebrea, la conversione era di là da venire. Wagner non mi pare brillasse per ortodossia cattolica (o per cattolicità anche blanda), eppure egli e la moglia furono forti antisemiti.

Se si potesse studiare con calma.... ma non si può. Non si può. Prendo atto del fatto, che Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio di far santo un altro papa discusso dall'ebraismo: Pio IX, ma ancora si è fatto poco su PIO XII, ed è VERGOGNOSO.
MI pare che, a dirla in breve, quel "settimo milione" già in Palestina non fece poi molto per i loro fratelli in Europa....
e chi conosce un po' di testi in materia, sa che ho citato il titolo di un libro, scritto proprio da un ebreo.
E se poi consideriamo le voci sul padre della Frank, che sembra fosse in affari con i nazisti, forse capiamo che determinati eventi (al di là della polemica sulla loro reale eistenza), non potevano essere previsti da nessuno.... NEMMENO DA CHI AVEVA TUTTI GLI ENTERESSI PER FARLO.


Ricordiamoci, che non vi è nulla di così lontano dalla religione Cattolica, che gli ISMI di questo secolo.... e i risultati sono davanti gli occhi di tutti.
In questo forum, hanno libera espressione (secondo le leggi italiane) sensibilità diverse: non sono morbido sulle gerarchie, e ormai (me nolente) che la contestazione si sta facendo molto ampia.... al di là della sua giustezza.

Bellarmino può postare quello che vuole: se non viola la legge, nè io né altri possiamo farlo. E questo vale per tutti noi. Se espressioni forti ha asato, devo riconoscergli di non averlo mai fatto su questo forum, anche perché qui, al di là delle posizioni critiche, permane una devozione anche a "questo" Papa, non solo al Pontefice.
ILa contestazione è ormai accettata dalla Chiesa di Roma nelle sue più alte gerarchie: se si contesta il magistero, chiedendo più libertà sessuale, perchè non contestarlo per chiedere maggiore rigore e decoro?
La Chiesa è, da sempre, paladina della libertà: un esempio? Qualche anno addietro si è laureata alla Gregoriana una signorina, e sapete che dimostra nella sua tesi? che la scomunicata ai tradizionalisti del 1988 è teologicamente infondata. Voto? Laureata col massimo.
Un atto chiaramente e ALTAMENTE REVISIONISTA.... provate a fare altrettanto su temi come resistenza, risorgimento et cetera in una università statale, e poi ditemi.... smepre che vi abbiano fatto laureare!

Asteroids
22-11-02, 00:57
Originally posted by Bellarmino
Dato che, come ampiamente dimostrato dagli storici revisionisti, la leggenda sull'olocausto è un cumulo di balle ben confezionata dopo il '45, di cosa avrebbe dovuto parlare SS PioXII?
Le calunnie giudaiche rivolte ad un grande papa della Chiesa sono diventate oltremodo intollerabili!
Calunniatori giudei, giù le mani dal papa!
Bellarmino




Shoa'

Una volta un imbianchino di nome Adolf Hitler, disse, in una birreria: "Se un giorno andro' al potere, la prima cosa che faro' sara' distruggere il popolo ebraico"

Alcuni anni dopo, l'imbianchino ando' al potere, e mise in moto una macchina che assassino' i nove decimi del popolo ebraico in Europa.

Questo assassinio di massa si chiama, in ebraico, Shoa'. Avvenne durante la Seconda Guerra mondiale, nello scorso millennio


http://www.italya.net/shoa/shoa.htm

Bellarmino
22-11-02, 20:10
Originally posted by Asteroids


Shoa'

Una volta un imbianchino di nome Adolf Hitler, disse, in una birreria: "Se un giorno andro' al potere, la prima cosa che faro' sara' distruggere il popolo ebraico"

Alcuni anni dopo, l'imbianchino ando' al potere, e mise in moto una macchina che assassino' i nove decimi del popolo ebraico in Europa.

Questo assassinio di massa si chiama, in ebraico, Shoa'. Avvenne durante la Seconda Guerra mondiale, nello scorso millennio


http://www.italya.net/shoa/shoa.htm

Noto con dispiacere che tu, piuttosto che difendere la memoria del grande papa Pacelli, preferisci riportare dei copia/incolla tratti da un sito ebraico che odia sia papa Pacelli sia la religione cattolica...
complimenti!
Bellarmino

cm814
22-11-02, 23:52
Originally posted by Asteroids





Shoa'

Una volta un imbianchino di nome Adolf Hitler, disse, in una birreria: "Se un giorno andro' al potere, la prima cosa che faro' sara' distruggere il popolo ebraico"

Alcuni anni dopo, l'imbianchino ando' al potere, e mise in moto una macchina che assassino' i nove decimi del popolo ebraico in Europa.

Questo assassinio di massa si chiama, in ebraico, Shoa'. Avvenne durante la Seconda Guerra mondiale, nello scorso millennio


http://www.italya.net/shoa/shoa.htm



Guarda bene nella sezione IL LIBRO DEI GIUSTI.... vedrai quanto bene fecero monaci, suore e molti cattolici. E fai attenzione a un fatto: per tutti gli anni 50 NESSUN EBREO NEGO' MAI IL BENE CHE AVEVA FATTO PIO XII.... NESSUNO. ANZI.

E ancora oggi, se togli i soliti ideologi lobbisti (che esistono in ogni popolo) che mirano a uno sacxontro di civiltà, ti accorgi che, proprio fra i sopravvissuti, c'è molta considerazione per il bene che operò Sua Santità Pio XII.
Purtroppo, non se ne sente parlare spesso, e ai microfoni poi filtrano le solito voci.... ma nella realtà le cose stanno diversamente!

theophilus
23-11-02, 00:13
E allora diciamo brevamente qualcosa sulla grande figura di S.S. Pio XII.



Papa (1939-1958), nato a Roma il 2 maggio 1876, morto a Castel Gandolfo il 9 ottobre 1958
Eugenio Pacelli nasce da una nobile famiglia tradizionalmente legata alla Chiesa e al mondo Vaticano. Conclusi gli studi liceali, matura la decisione di abbracciare il sacerdozio; frequenta i corsi di filosofia all'Università Gregoriana e di teologia e diritto presso l'Apollinare, dove ottiene la laurea in utroque iure. Nel 1899 viene ordinato sacerdote; nel 1911 diviene sottosegretario e nel 1914 segretario degli Affari straordinari di stato. Nel 1917 viene inviato da Benedetto XV in Baviera in qualità di Nunzio Apostolico, con l'incarico di presentare al Kaiser l'offerta di mediazione del Papa tra le potenze in guerra. Alla fine della 1° guerra mondiale partecipa attivamente alle trattative per il concordato con la Baviera (1925), con la Prussica (1929) e con il Baden (1932). Nel 1929 viene creato cardinale da Pio XI e dal 1920 al 1939 succede a Gasparri nella carica di segretario di Stato. Il 3 marzo del 1939, dopo un brevissimo conclave, viene eletto Papa, si preoccupa da subito di scongiurare la minaccia della guerra gravante sull'Europa, ad opera soprattutto del nazismo. Mantiene buoni rapporti con il governo italiano ma questi non valsero a distogliere il regime fascista dai propositi di guerra.

Durante il conflitto organizzò in Vaticano un ufficio d'informazioni per i prigionieri e i dispersi e si adoperò per far dichiarare Roma "città aperta" riuscendo nel suo intento e meritandosi l'appellativo di "Defensor civitatis".
Accolse in Vaticano i rappresentanti dei partiti oppositori del regime e si adoperò per salvare gli ebrei.

Pare inoltre che gli archivi del Foreing Office contengano documenti particolarmente chiari riguardanti un ruolo particolarmente attivo del Pontefice nella preparazione di un colpo di mano, poi fallito, che avrebbe dovuto rovesciare Hitler. Attendiamo che qualcuno pubblichi il tutto.

theophilus
23-11-02, 00:15
«I tedeschi rastrellarono Roma per cercare gli ebrei romani - più di settemila - e deportarli. Pochi giorni prima del rastrellamento papa Pio XII aveva personalmente ordinato al clero vaticano di aprire le porte a tutti i non ariani bisognosi di un rifugio: 477 ebrei vennero nascosti all'interno del Vaticano stesso e delle sue enclavi in Roma; inoltre 4.238 ebrei vennero nascosti in più di cento monasteri, conventi e istituzioni ecclesiastiche sparse per Roma.
La mattina del 16 ottobre, quando cominciò il rastrellamento, 5.615 ebrei romani non furono trovati. I 1.015 scoperti dai tedeschi vennero deportati». Cifre riportate da sir Martin Gilbert, eminente storico dell'Olocausto, nella sua ultima opera Never again: a history of the Holocaust.

theophilus
23-11-02, 00:26
A pro posito di quanto appena postato da Carlo Magno...


Riguardo Papa Pacelli...

Golda Meir ha detto: "Durante i dieci anni di terrore nazista, quando il nostro popolo attraversò gli orrori del martirio, il Papa levò la sua voce per condannare i persecutori ed esprimere solidarietà alle vittime. La vita del nostro tempo è stata arricchita da una voce che ha espresso le grandi verità morali".


Nahum Goldman, presidente del Congresso mondiale ebraico, scrisse: "Con particolare gratitudine ricordiamo tutto ciò che egli ha fatto per gli ebrei perseguitati durante uno dei periodi più bui della loro storia".( Come segno di riconoscenza nel 1945 il Congresso donò ventimila dollari per le opere di carità del Vaticano).

D'Arcy Osborne, ambasciatore britannico presso la Santa Sede, dichiarò: "Mai in tutta la storia un Papa si è impegnato in una cospirazione tanto delicata per rovesciare un tiranno con la forza".



Non che io ritenga necessarie le opinioni dei giudei che visseo in quel tempo per riconoscere il ruolo e l'alta figura di Sua Santità Pio XII, ma leggerle può essere indicativo.
Questa infatti, come ha ricordato cm814, è stata la loro opinione per tutti gli anni cinquanta.

Poi probabilmente qualcuno ha pensato che le sofferenze dei padri potevano meglio e più utilmente essere sfruttate diversamente.........

Asteroids
23-11-02, 00:33
Io, ebreo per Pio XII
Da Avvenire del 19/11/02

Altro che «il Papa di Hitler» o dei «silenzi» sui lager: «Qualsiasi lettura onesta e completa delle fonti dimostra che il Pontefice fu un tenace critico del nazismo» Così uno storico di fede giudaica difende Pacelli «Stranamente tutti coloro che calunniano sono ex preti o cristiani usciti dalla Chiesa. Ma
nuovi documenti provano che il Führer diffidava della Santa Sede proprio perché nascondeva i rabbini» «Quasi nessuno dei libri anti Roma riguarda l'Olocausto, il vero tema è un dibattito interno al cattolicesimo L'opera papale non merita biasimo ma ringraziamenti»


Di David G. Dalin

Negli ultimi 18 mesi sono apparsi 9 libri che riguardano Pio XII. Poiché 4 di questi libri sono in difesa del Papa e due si occupano di Pio XII solo all'interno di un ampio attacco contro il cattolicesimo, l'insieme può sembrare equilibrato. In realtà, leggendoli tutti si deve concludere che i difensori di Pio XII portano le argomentazioni più valide. Ciò nonostante, sono i libri che calunniano il Papa ad aver ricevuto la maggior attenzione, particolarmente Il Papa di Hitler, un libro ampiamente recensito e lanciato sul mercato con l'annuncio che Pio XII è stato «il più
pericoloso uomo di Chiesa della storia moderna», senza il quale «Hitler non sarebbe mai stato (...) capace di andare avanti». Il «silenzio» del Papa sta diventando una certezza sempre più fermamente radicata nei media americani: «L'innalzamento, da parte di Pio XII, degli interessi propri del cattolicesimo a l di sopra della coscienza cattolica è stato il punto più
basso nella storia del cattolicesimo moderno», ha osservato in modo quasi incidentale il New York Times, recensendo Constantine's Sword di James Carroll. Curiosamente, quasi tutti coloro che oggi si collocano su questa linea - dagli ex seminaristi John Cornwell e Garry Wills, all'ex prete James Carroll - sono cattolici o usciti dalla Chiesa o critici nei suoi confronti. Per i leader ebrei di una generazione precedente la campagna contro Pio XII
sarebbe stata causa di forte sorpresa. Durante e dopo la guerra molti ebrei famosi - Albert Einstein, Golda Meir, Moshe Sharett, il rabbino Isaac Herzog e innumerevoli altri - espressero pubblicamente la loro gratitudine a Pio XII. Nel suo libro del 1967 Three Popes and the Jews, il diplomatico Pinchas Lapide, che fu console israeliano a Milano e intervistò italiani sopravvissuti all'Olocausto, dichiarò che Pio XII «fu di valido aiuto nel salvare
almeno 700.000, ma probabilmente non meno di 860.000 ebrei da morte certa
per mano nazista». Ciò non significa dire che Eugenio Pacelli - il potente uomo di Chiesa che
operò come nunzio in Baviera e Germania dal 1917 al 1929, in seguito come segretario di Stato presso il Vaticano dal 1930 al 1939, prima di diventare Papa Pio XII sei mesi prima che iniziasse la seconda guerra mondiale - fosse amico degli ebrei così come lo è stato Giovanni Paolo II. Né significa dire che Pio XII ebbe in definitiva successo come difensore degli ebrei. Malgrado i suoi disperati sforzi per mantenere la pace, la guerra iniziò e,
nonostante le sue proteste contro le atrocità tedesche, si realizzò la carneficina dell'Olocausto. Anche se con il vantaggio di chi giudica a cose avvenute, uno studio attento rivela che la Chiesa cattolica sciupò delle occasioni per influenzare gli eventi, sbagliò nel dare pieno credito alle intenzioni naziste e fu contaminata in alcuni suoi membri da un superficiale
antisemitismo che avrebbe portato a tollerare - e, in alcuni casi raccapriccianti, a sostenere - l'ideologia nazista. Ma rendere Pio XII un bersaglio per il nostro sdegno morale contro il
nazismo ed annoverare il cattolicesimo tra le istituzioni delegittimate dall'orrore dell'Olocausto significa venir meno al compito di comprendere la storia. Quasi nessuno degli ultimi libri su Pio XII e l'Olocausto riguarda realmente Pio XII e l'Olocausto. Il vero tema risulta essere una discussione interna al cattolicesimo circa il senso della Chiesa oggi, dove l'Olocausto
diviene semplicemente il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre per usarlo come arma contro i tradizionalisti. Un dibattito teologico circa il futuro del Papato è ovviamente qualcosa in cui i non cattolici non dovrebbero coinvolgersi troppo profondamente. Ma gli ebrei, quali che siano i loro sentimenti riguardo la Chiesa cattolica, hanno il dovere morale di rifiutare ogni tentativo di strumentalizzare l'Olocausto e di utilizzarlo in modo fazioso all'interno di tale dibattito. E ciò particolarmente quando tale tentativo denigra le testimonianze dei sopravvissuti all'Olocausto ed estende alle persone sbagliate quella condanna che spetta a Hitler ed ai nazisti. In risposta ai nuovi attacchi a Pio XII, vari studiosi ebrei si sono
espressi chiaramente nel corso dell'ultimo anno. Sir Martin Gilbert ha dichiarato a un intervistatore che Pio XII merita ringraziamenti e non biasimo. Michael Tagliacozzo, la massima autorità nella comunità ebraica romana durante l'Olocausto, ha aggiunto: «Sulla mia scrivania in Israele ho una cartella dal titolo Calunnie contro Pio XII (...). Senza di lui molti
dei nostri non sarebbero vivi». Richard Breitman (il solo storico autorizzato a studiare gli archivi dello spionaggio americano durante la seconda guerra mondiale) ha osservato che documenti segreti provano in che misura «Hitler diffidasse della Santa Sede perché nascondeva gli ebrei». Ciò nonostante, il libro di Lapide del 1967 rimase il più autorevole studio di un ebreo sull'argomento e, nei 34 anni trascorsi dalla sua stesura, molto
materiale si è reso disponibile negli archivi vaticani ed altrove. Nuovi centri di storia orale hanno raccolto un'impressionante mole di interviste a sopravvissuti dell'Olocausto, cappellani militari e civili cattolici. Dati i recenti attacchi è giunto il momento per una nuova difesa di Pio XII poiché, malgrado le affermazioni contrarie, le migliori prove storiche confermano
sia che Pio XII non rimase in silenzio sia che quasi nessuno in quegli anni pensò ciò di lui.
Nel gennaio 1940, per esempio, il Papa diede istruzione alla Radio Vaticana di rivelare «le spaventose crudeltà proprie di una barbara tirannide» che i nazisti stavano infliggendo agli ebrei e ai cattolici polacchi. Riferendo della trasmissione la settimana successiva, il Jewish Advocate di Boston la elogiò perché era «un'esplicita denuncia delle atrocità tedesche nella
Polonia nazista, viste come un affronto alla coscienza morale dell'umanità». Il New York Times affermò nel suo editoriale: «Ora il Vaticano ha parlato, con un'autorità che non può essere messa in questione, e ha confermato i peggiori indizi di terrore che sono emersi dalle tenebre polacche». In Inghilterra, il Manchester Guardian proclamò la Radio Vaticana «il più energico difensore della torturata Polonia». Qualsiasi lettura onesta e completa delle fonti dimostra che Pio XII fu un tenace critico del nazismo. Un'accurata indagine su Pio XII giungerebbe, credo, a conclusioni esattamente opposte a quelle di Cornwell: Pio XII non fu il Papa di Hitler, ma il Papa che sostenne gli ebrei più da vicino e nel momento in cui ciò era veramente importante.

Vahagn
24-11-02, 01:52
Originally posted by Asteroids
«Stranamente tutti coloro che calunniano sono ex preti o cristiani usciti dalla Chiesa.

, il vero tema è un dibattito interno al cattolicesimo .


A me pare che gli attacchi a papa Pio XII siano un piano portato avanti da autori ebrei, con una chiara regia ebraica per delegittimare la Chiesa Cattolica. Poco importa se qualche goy ateo è stato coinvolto nella cosa.
Altro che "un dibattito interno al cattolicesimo"!
Come al solito i lassisti de l'Avvenire come quasi tutta la stampa modernista, pur nelle timide difese di Pio XII non accennano minimamente a denunciare l'attacco ebraico, a parte qualche coraggioso come Messori.

cm814
26-11-02, 14:39
L'editrice San Paolo ha pubblicato un testo:

BURKHART SCHNEIDER, PIO XII.

Come sottotitolo si legge: con un intervento del rabbino David Dalim in difesa del pontefice.

Qualcuno ne sa niente?

Asteroids
04-12-02, 22:44
Il punto di vista di Suor Margherita
sul "silenzio di papa Pio XII"


PAVIA. Il silenzio di Pio XII nei confronti delle atrocità della II guerra mondiale, in particolare della deportazione e dell'olocausto, continua a far parlare e soprattutto a dividere le opinioni. Da una parte i cattolici, che cercano nelle parole e negli scritti di papa pacelli segnali di condanna del nazismo e del fascismo, dall'altra gli atei, quelli di sinistra, ai quali non è andata giù la scomunica dei comunisti, soprattutto se confrontata con la mancata scomunica dei responsabili dei crimini nazisti. Questo, in sintesi, è emerso dall'incontro organizzato dal Collegio Santa Caterina per la presentazione del volume di Suor Margherita "Il silenzio di Pio XII" (Sperling e Kupfer); accanto all'autrice la professoressa Donatella Bolech della facoltà di Scienze Politiche. Se recenti pubblicazioni (soprattutto "Il papa di Hitler" di John Conwell) hanno ribadito la tesi del silenzio/assenso di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, l'autrice si è dichiarata contraria alla colpevolezza. Ha raccolto testimonianze, registrazioni, discorsi che dimostrano come «la prudenza di Pio XII derivava dal timore che un'aperta condanna potesse causare ritorsioni. Ha voluto evitare repressioni di ebrei e cattolici; e a ben pensarci, il suo silenzio non è affatto tale: ha detto molto di più dei silenziosi capi di governo degli alleati».
Suor Margherita, che con "Il silenzio di Pio XII" ha voluto ritrarre un papa «padre spirituale di tutti», che fu «il più potente protettore di tutti gli ebrei.

link (http://www.laprovinciapavese.quotidianiespresso.it/provinciapavese/arch_04/nazionale/cultura/pt206.htm)

theophilus
04-12-02, 23:17
Ricordiamo S.S. Pio XII, faro luminoso nelle tenebre dei XX° secolo.


http://www.catholic-forum.com/saints/pope0260d.jpg


http://www.catholic-forum.com/saints/pope0260c.jpg


http://web.genie.it/utenti/i/interface/images/Pio12.jpg


http://web.genie.it/utenti/i/interface/images/P12mds.jpg


http://web.genie.it/utenti/i/interface/images/P12c.jpg

theophilus
04-12-02, 23:20
http://web.genie.it/utenti/i/interface/images/Pio12b.jpg


Pio XII parla alla folla dopo il bombardamento di Roma (14 luglio 1943)

L'abbraccio di Cristo.

CESARE BECCARIA
06-12-02, 00:26
Se continuiamo a difenderlo sostenendo che ha aiutato gli ebrei va a finire che Bellarmino & co ripudiano anche Pio XII ( e perchè no anche Pio XI...)
e questa famigerata "vacatio sedis" rischierà di diventare una vacatio infinita!:D

Bellarmino
06-12-02, 00:53
Originally posted by CESARE BECCARIA
Se continuiamo a difenderlo sostenendo che ha aiutato gli ebrei va a finire che Bellarmino & co ripudiano anche Pio XII ( e perchè no anche Pio XI...)
e questa famigerata "vacatio sedis" rischierà di diventare una vacatio infinita!:D

Beh, ti dirò, Pio XII aiutò fattivamente migliaia di persone nascondendoli in Vaticano, non solo ebrei, ma anche oppositori del regime fascista.
Fece benissimo e accogliendoli si comportò da coraggioso uomo di Chiesa e degno papa della cristianità.
Ti ricordo che Hitler voleva a tutti i costi rastrellare il Vaticano e se non fosse stato per l'intercessione di Mussolini, sta tranquillo che sarebbe avvenuta una carneficina, tante erano le persone rifugiatesi.
La magnanimità che questo grande papa dimostrò, anche nei confronti dei nemici della Chiesa, fu davvero esemplare.
E' per queste ragioni che i giudei, detrattori di papa Pacelli, dovrebbero soltanto tacere e sciacquarsi la bocca quando lo nominano.
Bellarmino

cm814
06-12-02, 01:10
Originally posted by cm814
L'editrice San Paolo ha pubblicato un testo:

BURKHART SCHNEIDER, PIO XII.

Come sottotitolo si legge: con un intervento del rabbino David Dalim in difesa del pontefice.

Qualcuno ne sa niente?

Mi sono informato.
Costa €uro 10, ed è stato scritto su "incaricato" di Papa Paolo VI, sotto il cui pontificato iniziarono le vergognose accuse.
E' stato accresciuto di alcune parti negli anni seguenti.
Non so altro.

CESARE BECCARIA
06-12-02, 01:29
Originally posted by Bellarmino


Ti ricordo che Hitler voleva a tutti i costi rastrellare il Vaticano e se non fosse stato per l'intercessione di Mussolini, sta tranquillo che sarebbe avvenuta una carneficina, tante erano le persone rifugiatesi.
La magnanimità che questo grande papa dimostrò, anche nei confronti dei nemici della Chiesa, fu davvero esemplare.
E' per queste ragioni che i giudei, detrattori di papa Pacelli, dovrebbero soltanto tacere e sciacquarsi la bocca quando lo nominano.
Bellarmino

Perchè una carneficina?
Mi pare che tu, come altri illustri forumisti, abbiate sempre ritenuto l'olocausto nazista una fandonia della storiografia filo-giudaica.
E allora che pericolo c'era?:D

Bellarmino
06-12-02, 01:45
Originally posted by CESARE BECCARIA


Perchè una carneficina?
Mi pare che tu, come altri illustri forumisti, abbiate sempre ritenuto l'olocausto nazista una fandonia della storiografia filo-giudaica.
E allora che pericolo c'era?:D

Mai scritto che Hitler fosse uno stinco di santo, al contrario e mai fatta apologia di nazismo!
Il cosiddetto olocausto, sia per l'appellattivo che gli venne imposto (olocausto=sacrificio religioso) e sia, soprattutto, per lo sproporzionato numero di vittime che gli si vogliono attribuire, è una fandonia ormai sconfessata da tutti gli storici revisionisti seri; di sinistra, nota bene!
P.S.
quando a tuo comodo, toglierai quel sorrisino di contorno ai tuoi posts, che come saprai, abbonda sulla bocca degli..., la conversazione diventerà più piacevole.
Bellarmino

CESARE BECCARIA
06-12-02, 01:58
Il mio non è il sorrisino :) che "abundat in ore stultorum"
ma:D "risus sardonicus" che come ben saprai non è segno ne di gioia, ne' di stoltizia ma purtroppo di sofferenza.....

Bellarmino
06-12-02, 02:19
Originally posted by CESARE BECCARIA
Il mio non è il sorrisino :) che "abundat in ore stultorum"
ma:D "risus sardonicus" che come ben saprai non è segno ne di gioia, ne' di stoltizia ma purtroppo di sofferenza.....

Beh, in questo caso, fatti vedere da qualche tuo collega... :D:-00I

CESARE BECCARIA
06-12-02, 16:06
Originally posted by Bellarmino


Beh, in questo caso, fatti vedere da qualche tuo collega... :D:-00I

Faccio il cardiologo e per il momento pare che le mie coronarie tengono.
Mi girano spesso le pa**e: tutt'al piu' consulterò un urologo.

Bellarmino
06-12-02, 18:17
Originally posted by CESARE BECCARIA


Faccio il cardiologo e per il momento pare che le mie coronarie tengono.
Mi girano spesso le pa**e: tutt'al piu' consulterò un urologo.

Mio cognato è ematologo, mia moglie è reumatologa, ed io faccio il webmaster, purtroppo non posso aiutarti neppure in questo caso :)

cm814
21-12-02, 11:57
Il radiomessaggio del Natale 1942 fu visto come un pericolo
da parte di Hitler: un'analisi dello storico gesuita Giovanni Sale



Di Gianni Santamaria



Nel Natale di 60 anni fa Hitler tremò per quello che Papa Pio XII avrebbe detto nel messaggio radiofonico per la festa. Lo testimonia il fatto che «per evitare spiacevoli sorprese al suo Governo (o su richiesta dei suoi stessi superiori)», l'ambasciatore tedesco in Vaticano Diego von Berger mandò, alcuni giorni prima, un funzionario a chiedere alla Segreteria di Stato il testo sia di quel discorso, sia dell'altro che il Pontefice avrebbe rivolto alla Curia romana. Aveva, infatti, sentore che «pur conservando il tradizionale atteggiamento di imparzialità e senza nominare persone o situazioni particolari», Pacelli avrebbe «pronunciato parole severe nei confronti del "nuovo ordine europeo" instaurato dal nazismo».

Questo fatto, che emerge da fonti inedite, viene reso noto dallo storico gesuita padre Giovanni Sale in un articolo che appare sul numero in uscita de «La Civiltà Cattolica». In esso si fa luce su alcuni aspetti di quel famoso pronunciamento, che a tutt'oggi alcu ni storici - come Michael Marrus, membro di parte ebraica della disciolta commissione di studi sul pontificato pacelliano durante la Seconda Guerra mondiale - continuano a definire «uno dei maggiori punti oscuri» nell'operato del Papa.

Sale ricostruisce minuziosamente come, in realtà, a Berlino il messaggio fosse accolto con «aperta ostilità» dalle forze dell'Asse: considerato «sovversivo» e «contrario agli interessi della Germania», ne venne proibita la diffusione. E come esso scontentò pure gli Alleati, che ostentarono «freddezza»: Sale, infatti, dà conto delle pressioni concertate che nei mesi precedenti le diplomazie del mondo libero esercitarono sulla sede petrina, perché intervenisse contro Hitler citandolo direttamente. Infine, lo storico, a partire da dichiarazioni di più parti attestate da documenti, esprime delle considerazioni sul fatto che Pio XII «soggettivamente» sentiva di aver espresso chiaramente, nelle circostanze date, la propria condanna.

In effetti , pur se non nominato, il Führer considerò quel discorso un «attacco frontale» e le autorità tedesche reagirono con irritazione. Segno che il Papa aveva «fatto centro». Naturalmente, mentre nella stampa occidentale esso fu ricevuto con apprezzamento, quella tedesca non ne pubblicò una riga. Anzi, chi lo diffondeva era passibile di morte per attentato alla sicurezza dello Stato.

Sale cita a riprova alcuni dispacci del nunzio a Berlino, Cesare Orsenigo, e la vicenda di un radiotelegrafista protestante che aveva rischiato la pelle per il fatto di possederne una copia. Dal canto loro gli Alleati erano a loro volta scontenti, poiché Pacelli aveva citato il peccato, non il peccatore, che era però chiaramente individuabile. Inglesi e americani (e pure il Vaticano) erano informati dello sterminio perpetrato contro gli ebrei. Anzi, pur essendo le notizie frammentarie e incomplete, soprattutto per l'entità, per il gesuita «fu la conoscenza di queste allarmanti e tragiche notizie, più che la pre ssione degli alleati», che spinse il Papa a denunciare «il massacro di tanti innocenti soltanto per motivi di nazionalità e di stirpe».

Per molti storici, con un giudizio a posteriori, furono parole tiepide, non "profetiche". Altri si spingono a parlare di deliberato e complice silenzio. Sale risponde alle accuse invocando sul piano fattuale le «reali difficoltà del momento storico». E sul piano della personalità di Pacelli ribadisce che egli pensava di aver agito in modo da dire "i fatti" (e li avrebbe, poi, ripetuti in giugno parlando ai cardinali) senza esporre cristiani ed ebrei a ulteriori rappresaglie. E se il suo carisma non fu "profetico" (ma la Chiesa è fatta di uomini, ricorda Sale), egli dimostrò di aver agito con discernimento sapienziale nei tempi duri che gli toccò vivere.

AVVENIRE, 20/12/2002

Asteroids
29-12-02, 14:14
Storia e Chiesa. Il Vaticano dal 15 febbraio mette a disposizione degli studiosi carte inedite

Ecco i segreti di Pio XII




Città del Vaticano. Saranno accessibili dal prossimo 15 febbraio i documenti degli archivi vaticani relativi ai rapporti tra Vaticano e Germania, fino al 1939, quando monsignor Pacelli, il futuro Pio XII, è stato nunzio in Germania e poi segretario di Stato. Tra i fondi disponibili, anche quelli dell'archivio della Congregazione per la dottrina della fede, relativi al nazismo ed alla condanna del razzismo. Lo ha reso noto il portavoce vaticano Joaquin Navarro, che in una dichiarazione ricorda che l'accessibilità dei diversi fondi archivistici era stata annunciata il 15 febbraio di quest'anno. In tale occasione non era stato annunciato che l'apertura degli archivi sarebbe stata estesa anche a quelli della Congregazione per la dottrina della fede, nei quali si dovrebbe trovare l'atteggiamento dottrinale della Santa Sede nei confronti del nazismo e del razzismo.
I fondi che saranno disponibili, rende noto il Vaticano, saranno: Affari ecclesiastici straordinari: Baviera (1922-1939); Germania (1922-1939); Archivio segreto vaticano: archivio della nunziatura di Monaco di Baviera (1922-1934); archivio della nunziatura di Berlino (1922-1930). Quest'ultimo fondo archivistico «com'è noto subì gravi distruzioni nel 1945 a causa del bombardamento di Berlino e dell'incendio del palazzo della nunziatura. Per tale motivo, i documenti relativi agli anni 1931-1934 andarono quasi completamente distrutti o dispersi».
Quanto alle modalità per la consultazione dei documenti, si legge nella dichiarazione del portavoce vaticano, essa «avverrà unicamente nelle sale di studio dell'Archivio segreto vaticano. Anche per i nuovi fondi che si renderanno disponibili valgono le norme applicate dall'Archivio segreto vaticano per l'ammissione degli studiosi, l'orario di apertura, le varie richieste, le consultazioni e le fotoriproduzioni». La consultazione dei documenti dell'archivio della Congregazione per la dottrina della fede avverrà nella sede dello stesso dicastero, in base al suo regolamento.
Grazie a questi preziosi documenti, i ricercatori dovrebbero ora essere in grado di tracciare l'atteggiamento del Vaticano ed in particolare del futuro Pio XII verso la nascita e l'affermazione del nazismo, sia dal punto di vista diplomatico che da quello dottrinale.
L'apertura degli archivi dal '22 al '39 permetterà quindi non solo di leggere i rapporti di Pacelli nunzio sull'evolversi della situazione in Germania, ma anche le direttive di Pacelli segretario di Stato sugli atteggiamenti da tenere nei confronti del governo tedesco. Documenti, questi ultimi, particolarmente significativi, visto che da segretario di Stato il cardinale Pacelli conservò anche la direzione degli affari relativi alla Germania.
L'apertura dei fondi archivistici stabilita per il 15 febbraio, era stata annunciata nei mesi scorsi ed era stata definita «eccezionale» dal Vaticano, in quanto contrasta con la regola della Santa Sede che rende disponibili i documenti solo 70 anni dopo il verificarsi di un avvenimento, allo scopo di tutelare le persone coinvolte. Ciò è dovuto, come dichiarato in ottobre dal bibliotecario pontificio, cardinale Jorge Mejia, ad una decisione presa lo scorso 16 febbraio da Giovanni Paolo II, con il dichiarato intento di «contribuire alla fine di ingiuste e ingrate speculazioni» su Eugenio Pacelli.
È dall'inizio degli anni '60, infatti, che sulla scia del dramma «Il Vicario» di Hochnut, molta pubblicistica, soprattutto anglosassone, accusa Pio XII di «silenzi» sull'Olocausto, quando non di quasi complicità in chiave antisovietica col nazismo, ribaltando il precedente atteggiamento della comunità ebraica (dal rabbino di New York al primo ministro israeliano Golda Meier) che aveva espresso gratitudine a Pio XII per gli ebrei che aveva fatto salvare durante la guerra.
Ultima eco di tali polemiche si è avuta con la «sospensione dei lavori» decisa a settembre 2001 dai membri ebrei della commissione mista di storici, creata in accordo con il Congresso mondiale ebraico, che avrebbe dovuto esaminare i documenti vaticani sulla guerra e l'Olocausto. Motivo, l'indisponibiità della Santa Sede a concedere l'accesso ai documenti d'archivio relativi alla Seconda guerra mondiale. Che resteranno per ora indisponibili, anche se quelli resi disponibili dovrebbero chiarire il pensiero di Eugenio Pacelli.
Il Vaticano è comunque convinto che tutto quello che serve sapere sul controverso argomento è stato già pubblicato negli undici volumi di «Actes et documents du Saint-Siege relatifs a la seconde guerre mondiale», voluti da Paolo VI.
Alla messa a disposizione dei documenti relativi ai rapporti tra Santa Sede e Germania è già stato annunciato che seguirà, dal 2005 quella dell'intera documentazione sul pontificato dello stesso Pio XI. Sempre in tema di Seconda guerra mondiale, l'anno prossimo dovrebbe iniziare anche la pubblicazione di 6 cd-rom dell'Archivio vaticano sui prigionieri di guerra, relativo agli anni '40-'46.

Link (http://www.bresciaoggi.it/storico/20021229/nazionale/E.htm)

Asteroids
31-12-02, 20:38
Hitler temeva la ''scomunica''
Nel 1942 il dittatore nazista oscurò, nel territorio del Terzo Reich, il messaggio natalizio di Pio XII



Adolf Hitler temeva nel 1942 un messaggio di Pio XII sulle persecuzioni e il massacro nazista degli ebrei. Quando il dittatore tedesco, tramite i suoi infiltrati nella Curia romana, ebbe sentore che il Papa si apprestava a riservare ''qualche spiacevole sorpresa'' al Terzo Reich, Hitler incaricò un diplomatico a recarsi in Vaticano per cercare di ottenere in anticipo il testo pontificio. Ma Pio XII respinse quella richiesta insolita. E Berlino decise perciò di classificare come top secret il messaggio poi effettivamente pronunciato dal Papa, perchè ''sovversivo''. E' la vicenda inedita, ricostruita sulla base di documenti degli archivi vaticani, che emerge da un articolo del padre gesuita Giovanni Sale, storico della Compagnia di Gesù, che appare sul prossimo numero della rivista ''La Civiltà Cattolica''. L'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Diego von Berger, informò in anticipo Hitler del fatto che nel radiomessaggio natalizio del 1942 Pio XII, pur conservando il tradizionale atteggiamento di imparzialità e senza nominare persone o situazioni particolari, avrebbe pronunciato parole severe nei confronti del cosiddetto ''nuovo ordine europeo'' instaurato dal nazismo nelle nazioni sottoposte al Reich. Su richiesta di Berlino, l'ambasciatore inviò in Vaticano un funzionario della sede diplomatica italiana alcuni giorni prima della vigilia di Natale, per chiedere alla Segreteria di Stato copia dei due messaggi che il Papa avrebbe pronunciato in occasione del Natale: quello diretto a tutti i fedeli e quello diretto ai cardinali e alla Curia romana. In questo modo, pensava von Berger, ci sarebbe stato il tempo materiale di protestare presso la Santa Sede o, almeno, di prendere decisioni adeguate, nel caso in cui i discorsi papali fossero stati di tenore antinazista. La Segreteria di Stato vaticana, non senza imbarazzo di fronte a una richiesta così insolita, presentata il 23 dicembre 1942 in via diplomatica, rispose con un risoluto diniego. Le misure prese da parte del governo tedesco nei confronti del messaggio natalizio di Pio XII furono ''forti e radicali'', osserva padre Sale. Esso fu classificato top secret e considerato ''sovversivo'' e contrario agli interessi nazionali della Germania e quindi ne fu vietata la divulgazione in tutti i territori del Terzo Reich. L'eventuale divulgazione fu considerata come ''un crimine contro la sicurezza dello Stato, passibile di pena di morte''. Il nunzio apostolico a Berlino, monsignor Cesare Orsenigo, informò la Segreteria di Stato vaticana che Hitler aveva interpretato il radiomessaggio del 1942 come un attacco frontale contro il nazismo. Non era sfuggito che il Papa facesse nel suo discorso riferimento alla persecuzione e al massacro degli ebrei, nè tanto meno il fatto che, denunciando tale massacro, egli aveva apertamente ''ripudiato il nuovo ordine europeo del nazionalsocialismo'', come recita un rapporto dell'Ufficio centrale per la sicurezza del Reich del 22 gennaio 1943. Secondo la ricostruzione che di questa vicenda offre padre Giovanni Sale su ''Civiltà Cattolica'', Papa Eugenio Pacelli era convinto con quel radiomessaggio del 1942 di ''aver denunciato al mondo gli orrori della guerra, la deportazione e il massacro di popolazioni innocenti, quali erano gli ebrei e i polacchi, come gli veniva chiesto da diverse parti''. Il pontefice, insomma, era ''soggettivamente'' convinto - argomenta padre Sale - di aver denunciato al mondo ciò che accadeva ai ''non ariani'' nei territori sottoposti all'autorità tedesca, di aver parlato ''forte'' contro gli orrori della guerra e in particolare contro i crimini compiuti dai nazisti. Alcuni storici ritengono però che questa denuncia papale sia stata insufficiente, dettata più da ragioni di prudenza politico-diplomatica che di sentita “umanità”. Per lo storico gesuita invece il radiomessaggio natalizio del 1942, e la relativa vicenda inedita ora emersa, dimostra che sono infondate le accuse nei confronti del presunto 'silenzio' di Pio XII sul massacro degli ebrei.

Link (http://www.giornaledicalabria.it/index.php?categoria=F&id=10631&action=mostra_primopiano)

theophilus
13-02-03, 23:32
LA CHIESA A FIANCO DEGLI EBREI

Cornwell ha definito Pio XII “Il Papa di Hitler”. C. Gavras lo ha ritratto in silenzio. Una lettera (in esclusiva) per Tempi riporta il dibattito alla Realtà.

Tempi è in gradi di anticipare un importante documento che gli studiosi potranno visionare appena saranno aperti gli Archivi Vaticani. Si tratta di una lettera datata 4 aprile 1933, firmata dla Segretario di Stato Eugenio Pacelli e inviata per conto del Santo Padre Pio XI al Nunzio in Germania Cesare Orsenigo: “Alte notabilità israelite – è scritto nella missiva – si sono rivolte al Santo Padre per invocare il suo intervento contro il pericolo di eccessi antisemitici un Germania, e poiché è nelle nostre tradizioni della Santa Sede svolgere una universale missione di pace e di carità verso tutti gli uomini, a qualsiasi condizione sociale o religiosa appartengono, interponendo se necessario i suoi caritatevoli uffici, il Santo Padre incarica l’Eccellentissima Vostra Reverendissima di vedere se e come sia possibile interessarsi nel senso desiderato”. Il linguaggio è diplomatico, ma è chiaro l’intento della Santa Sede. Il documento è originale ed esclusivo. La lettera ha un grande valore all’interno di un dibattito in cui si sostiene che Pio XI e Eugenio Pacelli non abbiano mai parlato in favore degli ebrei e che addirittura avrebbero favorito la presa di potere del nazismo. Il riferimento alle “alte autorità ebraiche” mostra le buone relazioni e la premura con cui la Santa Sede risponde alle sollecitazioni giudaiche.

Pio XII inviò soldi per gli ebrei

Susan Zuccotti, già insegnante di Storia dell’Olocausto al Barnard College di New York, ha scritto nel suo ultimo libro “Il Vaticano e l’Olocausto in Italia” che non esistono prove dell’intervento di Pio XII a favore degli ebrei. La Zuccotti afferma che: “Pio XII non usò mai i termini ‘ebreo’ o ‘razza’. Il Papa manifestò spesso in termini generali il suo dolore per le sofferenze dei civili innocenti, ma non accennò mai esplicitamente agli ebrei”. Ma dal libro: “Giovanni Palatucci, il poliziotto che salvò migliaia di ebrei” edito dalla Polizia di Stato, sono emersi due documenti che smentiscono la tesi della Zuccotti. Si tratta di due lettere inviate da Papa Pio XII nel 1940 a monsignor Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna, un paese in provincia di Salerno dove si trovava il più grande campo di internamento del sud Italia. Il vescovo in collaborazione con suo nipote Giovanni, questore di Fiume, e con la Santa Sede, si prendeva cura degli ebrei internati a Campagna.
Nella lettera n. 28436 inviata dal Vaticano il 2 ottobre del 1940, il Pontefice elargisce la somma di tremila lire e fa scrivere che: “questo denaro è preferibilmente destinato a chi soffre per ragioni di razza, e di comunicare la Benedizione Apostolica, con tutto il cuore impartita a Vostra Eccellenza e al gregge affidato alle cure pastorali”. In una seconda lettera, la n. 31514, Papa Pacelli concede la somma di lire diecimila “da distribuirsi in sussidi agli ebrei internati”. In ricordo di quanto avvenne a Campagna in quegli anni c’è anche una lapide nel convento dove gli ebrei erano internati su cui è scritto: “Gli ebrei di Long Island City e in particolare la famiglia di Ignatz Whol riconoscenti per la benevolenza verso i loro connazionali qui ospitati durante la seconda guerra mondiale per interessamento del concittadino giudice Alessandro Del Giorno hanno contribuito alla ricostruzione dell’ex convento S. Bartolomeo per accogliervi degnamente l’infanzia di Campagna”.

theophilus
13-02-03, 23:33
L’apertura degli Archivi Segreti

Dal 15 febbraio saranno messi a disposizione degli studiosi che ne faranno richiesta i documenti riguardanti il pontificato di Pio XI, (Achille Ratti) dal 1922 al 1939, ma solo per quanto riguarda i rapporti tra Santa Sede e Germania. Gli archivi che verranno aperti sono due: l’Archivio Segreto Vaticano e l’Archivio della Segreteria di Stato. I documenti che verranno messi a disposizione degli studiosi riguardano soprattutto le istruzioni e la corrispondenza tra la Santa Sede, le Nunziature e i vescovi tedeschi. Il periodo storico considerato è di grandissimo interesse,specialmente per quanto riguarda l’inizio del regime nazista (1933) fino al 1939, poco prima che inizi la seconda guerra mondiale. Secondo alcune indiscrezioni, si troveranno moltissimi documenti che mostrano la grande resistenza che la Chiesa cattolica oppose al nazismo. Molti documenti riguardanti anche la persecuzione che la Chiesa cattolica subì dal regime nazista.

CESARE BECCARIA
14-02-03, 13:27
Qualche passo tratto da "A Dachau per amore" di Goffredo Raimo (biografia di Giovanni Palatucci) che conferma come esistesse un interessamento fattivo della Santa Sede sul problema delle persecuzioni nei confronti degli Ebrei.


Il razzismo antiebraico
I primi dei cinquemila salvataggi

E’ estremamente difficile, se non impossibile, definire il numero di quanti, perseguitati, soprattutto Ebrei non solo di Fiume, ma provenienti dalle nazioni vicine, minacciati dai nazisti, ai quali si aggiunsero gli Ustascia della Croazia - hanno avuto salva la vita e sono stati soccorsi da Giovanni Palatucci a Fiume(..)
Significativi, sono i riferimenti in « Roma e gli Ebrei -L'azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo » (Pinchas E. Lapide, Mondadori, 1967, pag. 192). Risalendo a dati forse di fonte vaticana, riferiti, con cifre, anche all'azione di solidarietà in favore degli Ebrei svolta da religiosi in Italia, come in tutta Europa, viene detto che « mons. Palatucci Vescovo di Campagna e due suoi parenti stretti, ne salvarono 961 a Fiume”.
Tale cifra doveva forse corrispondere al numero dei perseguitati rilevati dallo stesso Vescovo esclusivamente presso il campo di raccolta di Campagna (costituito da due ex conventi, e che tanti ne poteva contenere): Ebrei provenienti da Fiume, istradati dal dr. Giovanni Palatucci, che la stessa pubblicazione ricorda solo come uno dei due « parenti stretti » cooperatori del Vescovo, senza precisare che a Fiume si trovava proprio questi, e ad assolvere quelle funzioni di polizia che gli consentirono, d'intesa con lo zio Vescovo, e con l'altro zio Alfonso, responsabile di due provincie francescane, di attivare quell'opera di solidarietà per la quale finì a Dachau, Innumerevoli altri perseguitati venivano fatti fuggire dal funzionario Palatucci in altri luoghi ed anche in molti paesi esteri.
Più avanti, stessa pagina, il libro in argomento, certamente per restare aderente al tema e affermando una verità di ordine generale, dice che in una intervista rilasciata in Israele nel 1953 i due zii di Giovanni Palatucci alla domanda su « cosa li aveva determinati a rischiare la vita per altri », « invocarono le disposizioni impartite dal Vaticano nel 42 di salvare vite umane con tutti i mezzi possibili ». Tali disposizioni ci sono state, in realtà, ma i due fratelli Palatucci - come abbiamo potuto controllare nel testo riportato a loro viva voce dal nastro magnetico citato in una precedente nota (e che era stato consegnato alla famiglia Palatucci con lettera del Console d'Israele a Milano 1'8-2-1954) -non riferirono il loro operato direttamente a tali disposizioni. Il Vescovo afferma infatti che già « dal primo momento che gli Israeliti vennero a Campagna li trattai da fratelli, più che da amici e diedi direttive al mio clero e al mio popolo sicché gli Israeliti in tutto e per tutto stettero a Campagna non come in campo di concentramento, ma come se fossero stati in villeggia-tura, poiché ad essi non mancasse assolutamente nulla per vivere, se non agiatamente, certo decorosamente ».
I primi Ebrei al campo di Campagna vennero nel luglio del 1939, mentre le disposizioni pontificie a cui fa richiamo il libro, sono del 1942.
A Papa Pio XII si rivolse invece mons. Palatucci per ottenere, come ottenne, consistenti sussidi per le necessità degli Ebrei internati, che venivano personalmente assistiti dal Vescovo. Tanto è pure riportato nell'intervista, alla cui conclusione mons. Palatucci disse: « Ho fatto innanzi a Dio tutto quello che potevo e posso dire che la mia opera come l'opera di mio nipote si inquadra molto bene in quell'opera grandiosa che tutta l'Italia, tutta la Chiesa in Italia, con a capo il Santo Padre, i Vescovi, i sacerdoti e tutti i fedeli hanno svolto a favore degli Ebrei ».
L'altro sacerdote interpellato, p. Alfonso, all'intervistatore dichiarò da parte sua: « Assicuro che dall'alto ricevetti disposizioni per prestare ogni aiuto ai confratelli in Dio gli Israeliti e queste disposizioni sollecitamente le trasmisi ai miei dipendenti (ero allora ministro provinciale dei minori conventuali dell'Italia meridionale) ... che non mancarono di svolgere l'opera umanita-ria e caritativa a favore degli Ebrei ».
Di « migliaia » di Ebrei salvati dalla morte da Giovanni Palatucci parla lo zio dell'eroe, il Vescovo mons. G.M. Palatucci in « La Vita nuova », bollettino ufficiale della sua diocesi, a Campagna, precisando poi che egli « molti di loro li avviò al campo di internamento a Campagna, ove furono da me aiutati in tutto ciò che era possibile » (La Vita nuova, maggio-giugno 1953, pag. 11)(…)
Rodolfo Grani, Ebreo Fiumano molto impegnato nella pubblicistica del settore e che si rese promotore di pubblici riconoscimenti in Italia ed in Israele alla memoria di Giovanni Palatucci, che egli conobbe personalmente e della cui benemerita quanto rischiosa opera di solidarietà in favore degli Ebrei è stato diretto testimone, ricorda un primo grande salvataggio nel marzo 1939, che fu attivato dall'eroico funzionario, da lui definito « nobilissimo giovane cattolico ».
Si tratta di ben « 800 fuggiaschi ex emigrati di Aghia Zoni, vapore greco, che dovevano entro poche ore essere consegnati alla Gestapo» (Giornale Haboker 10.8.1952). Il dr. Palatucci avvisò tempestivamente Grani e gli Ebrei furono sottratti alla cattura e quindi alla deportazione. Gli ottocento profughi furono temporaneamente nascosti nella vicina località di Abbazia, accolti dall'allora Vescovo di Fiume, mons. Isidoro Sain.
(..)In una sua lettera del 25-9-1952 indirizzata a Mons. G.M. Palatucci, l'avv. Barone Niel Sachs di Gric, che conobbe il Commissario Giovanni Palatucci nell'espletare funzioni di legale di fiducia della Curia Vescovile di Fiume, sottolinea quanto il gio-vane amico sfidasse « l'ira dei suoi diretti superiori, il prefetto ed il questore di quel tempo ». Nel contempo il legale annota la «riconoscenza imperitura dei beneficati dell'ottimo mio caro amico, suo esemplare nipote », « mai abbastanza rimpianto », -e che egli aveva avuto « la fortuna » di conoscere. Parlando, un giorno, con il suo « indimenticabile » amico, il quale avrebbe « a guerra finita dovuto entrare a far parte » del suo « studio di avvocato a Fiume », ricorda che egli gli disse pieno di amarezza: « Ci vogliono dare a intendere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano ». « Queste nobili parole del nostro indimenticabile martire - aggiunge l'avvocato - risuonano dopo tanti anni ancora nelle mie orecchie e L'assicuro, Eccellenza Reverendissima, che nella lunga mia carriera non ho mai incontrato un più grande gentiluomo e galantuomo di Suo nipote ».
Nel suo servizio « L'opera di salvataggio del Vaticano per gli Ebrei », pubblicato su Haboker, 10 agosto 1952, Rodolfo E. Grani (il quale parla anche della « profonda umanità e generosità del capo della Chiesa Cattolica, di Pio XII » che « ha salvato il salvabíle », in favore degli Ebrei), si sofferma sul suo personale istradamento, avvenuto per interessamento del dr. Pa-latucci, a Campagna, «dove eravamo internati in gran massa noi Fiumani ». Il Vescovo Palatucci « si è reso indimenticabile fra migliaia e migliaia di nostra gente, aiutandoci, consolandoci con la massima generosità, facendosi fotografare con noi, disgraziati espulsi dalla vita sociale ». Riguardo all'azione del dr. Giovanni, egli testimoniava che « con permessí di soggiorno ed altri docu-enti ha reso possibile il soggiorno di molti disgraziati, i quali non trovavano più un angolo di rifugio transitorio per poter salvare la propria vita. Proprio lui potevamo ringraziare, se noi, ex Fíumani Ebrei, siamo stati internati a Campagna, dove risiedeva il suo nobilissimo zio, mons. G.M. Palatucci quale vescovo. Quest'ultimo - come ho già detto - ha dei meriti indimenticabili. Per la sua azione, il dr. Palatucci, nel frattempo promosso vice questore, fu malvisto dai tedeschi, e perciò è stato arrestato ed internato nel campo di sterminio di Dachau, dove ha trovato prematura morte » (…)
Relativa ancora al 1939 una testimonianza - una tra le innumerevoli - resa sulla stampa ebraica da Rozsi Neumann, salvata con suo marito dal dr. Palatucci («-Israel » - XXXVIII n. 39, Roma 18 giugno 1953)(…) “Questo « martire cattolico » e «nostro eroico martire », « discendente di un'autentica famiglia cattolica, non poteva appro-vare la persecuzione degli Ebrei » - scriveva Giuseppe Halmi nel 1952 su un numero di Hatikva, giornale di cui era redattore capo (Hatikva - A Magyarajku zsidosag hetilapija, stampato in Buenos Aires il 10 ottobre 1952, pag. 7). Nel servizio viene citata l'intesa che legava Palatucci a suo zio Vescovo (« per salvarli, internava gli Ebrei a Campagna, dallo zio, che divenne salvatore e protettore degli Ebrei deportati, aiutandoli in tutte le maniere, visitando personalmente il campo e prendendo parte

CESARE BECCARIA
14-02-03, 13:57
Se le "colpe" e il silenzio di Pio XII sono state ridimensionate, anzi si sta dimostrando un ruolo reale di aiuto del Vaticano nei confronti degli ebrei, va purtroppo però ricordato che non ci fu all'epoca un'azione del Vaticano di isolamento e di condanna di alcuni settori non marginali del clero, violentemente antigiudaici.

A titolo di esempio ricordiamo questa pagina indecorosa scritta da "padre" Agostino Gemelli, fondatore e rettore dell’Università cattolica del Sacro Cuore e presidente della pontificia Accademia delle Scienze, scritta in occasione del suicidio di Felice Momigliano nel 1924
"Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano è morto suicida [...]. Ma se insieme col Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero e con il Momigliano morissero tutti i giudei che continuano l’opera dei giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio?".

Purtroppo una delle Università piu' prestigiose d'Italia porta ancora il suo nome e come cattolico e medico me ne vergogno.

theophilus
03-04-03, 21:50
(In)giustamente La Repubblica...

È accaduto così che in data 20 febbraio 2003 il quotidiano italiano La Repubblica ha pubblicato un articolo a tutta pagina dal titolo “Pacelli sapeva”

È accaduto così che in data 20 febbraio 2003 il quotidiano italiano La Repubblica ha pubblicato un articolo a tutta pagina dal titolo “Pacelli sapeva” in cui il servo di Dio, Eugenio Pacelli, e la Chiesa cattolica vengono accusati di complicità con il regime nazista. A conferma di questa tesi il quotidiano romano pubblica una lettera che sarebbe stata scritta dal padre Gesuita Friedrich Muckermann in cui si denuncerebbe la debolezza della Chiesa di Roma nei confronti del regime nazista. Tale lettera sarebbe stata trovata negli Archivi Segreti Vaticani da un anonimo ricercatore. L’articolo de La Repubblica, pubblicato in Argentina dal quotidiano La Nacion, in Spagna da El Mundo, e ripreso da altre pubblicazioni in più parti del globo è inattendibile, pieno di errori e il documento attribuito al padre Gesuita Friedrich Muckermann è addirittura falsato nella traduzione. Il padre gesuita viene presentato dal servizio de La Repubblica come l’animatore di un movimento di resistenza chiamato Der deutsche Weg: tale movimento non è mai esistito; Der deutsche Weg non era nient’altro che una piccola rivista pubblicata dal Muckermann dopo che egli aveva lasciato la Germania. Secondo l’autore del servizio, Muckermann sarebbe stato raggiunto dalla Gestapo e mandato in campo di concentramento a Dachau, dove sarebbe morto. In realtà, Muckermann non fu mai arrestato, né fu mai inviato a Dachau e tanto meno morì a Dachau: egli terminò la sua vita terrena il 2 aprile 1946 a Montreux (Svizzera). È vero che in data 15 novembre 1934 fu inviata una lettera in lingua tedesca all’allora Segretario di Stato cardinale Eugenio Pacelli, ma La Repubblica ha pubblicato una versione tagliata e manipolata della lettera stessa. Il testo tedesco trasmesso alla Repubblica da un anonimo ricercatore e da essa pubblicata in traduzione italiana, consta esattamente di 552 parole. Il pro-memoria del Muckermann che si trova nell’Archivio Segreto Vaticano consta invece di 1.525 parole. In altri termini: il “conciso pro-memoria” pubblicato su La Repubblica è poco più di una terza parte del testo originale del Muckermann. Inoltre il documento classificato nell’Archivio Segreto come: AA.EE.SS., Germania, Pos. 666, fasc. 221, ff. 3-9, è stato firmato e inviato da Mons. Giovanni Panico, il quale risiedeva in qualità di Visitatore Apostolico nella regione della Saar (allora sotto amministrazione francese). Infine, da un accurato confronto tra i due testi, quello abbreviato dall’anonimo ricercatore e quello originale che si trova nell’Archivio Segreto Vaticano, si giunge a conclusioni sconcertanti. Contrariamente ad ogni metodologia scientifica, infatti, l’articolo de La Repubblica omette di indicare nel suo testo quali parti del testo originale sono state omesse. Oltre a ciò sorprende che nel testo abbreviato il senso di una frase importante riguardante il comportamento della Chiesa cattolica sia stato completamente travisato. Nella traduzione italiana pubblicata ne La Repubblica è scritto «Il rimprovero che si fa ai vescovi viene giustamente esteso a Roma», mentre nell’originale tedesco è scritto «Il rimprovero che viene fatto ai vescovi tedeschi viene spesso ingiustamente esteso a Roma». Così mentre Muckermann usava il termine “ingiustamente”, La Repubblica ha pensato bene di invertire il senso di questa parola in “giustamente”. Purtroppo ci troviamo di fronte ad un tipico caso di manipolazione delle informazioni al fine di aggredire la Chiesa cattolica. Speriamo che nel futuro prima di pubblicare notizie che sembrano sensazionali si cerchi di verificare meglio l’attendibilità di siffatte rivelazioni.


di Gaspari Antonio


Tempi
Numero: 14 - 3 Aprile 2003

franco damiani (POL)
14-04-03, 18:31
Originally posted by CESARE BECCARIA
Premetto che io non credo nell'infallibilità del Papa,
ma mi pare invece che per i Tradizionalisti l'infallibilità o la fallibilità varino invece in relazione al fatto se questo o quel pontefice rispecchi o meno le proprie convizioni ideologiche religiose e non.
Ognuno di noi, papi compresi, si è fatto un Cristo a sua immagine e somiglianza.
E questo ovviamente è assurdo.
C'è un criterio certo ed è la continuità del Magistero. "Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum sit" (San Vincenzo di Lerino). Il papa a tua immagine e somiglianza te lo sarai fatto tu.

franco damiani (POL)
14-04-03, 18:34
Originally posted by CESARE BECCARIA




Non ci fu un'azione del Vaticano di isolamento e condanna... Ragazzo mio, tu sei cattolico e non credi all'infallibilità papale? Non basta dirsi cattolici per esserlo, lo si è o non lo si è oggettivamente, e tu non lo sei. Dunque in nome di che parli? L'antigiudaismo teologico è una delle glorie del papato, del cardinalato e dell'episcopato. E leggiti il Talmud. Benedetti i Papi che hanno difeso la cristianità dal nefasto influsso del giudaismo.

CESARE BECCARIA
18-04-03, 00:25
Originally posted by franco damiani
Ragazzo mio,

R: Io la chiamo professore e Lei continua con la storia del "ragazzo" e del "ragazzino".
La ringrazio di nuovo ma Le ribadisco che non sono, purtroppo per me, un giovincello.
40 anni, sposato, con 2 figli....
Anzi Professore a questo punto mi chiami pure Dottore!
Ovviamente si scherza...


tu sei cattolico e non credi all'infallibilità papale? Non basta dirsi cattolici per esserlo, lo si è o non lo si è oggettivamente, e tu non lo sei.

R:Allora anche Lei non è cattolico.
Sono in buona compagnia!

Dunque in nome di che parli? L'antigiudaismo teologico è una delle glorie del papato, del cardinalato e dell'episcopato.

R: Milioni di cattolici, papi, cardinali e preti compresi non la pensano come Lei.
Vorrà dire che quando La eleggerano papa riinserirà nella preghierà del Venerdi' "i pefidi giudei"

E leggiti il Talmud.

R: Preferisco il Vangelo


Benedetti i Papi che hanno difeso la cristianità dal nefasto influsso del giudaismo.

R: Preferisco Giovanni XXIII

franco damiani (POL)
19-04-03, 10:23
Originally posted by CESARE BECCARIA

Domando scusa, signor dottore, per il confidenziale "tu", che peraltro mi dicono usuale in POL. Il sottoscritto crede all'infallibilità papale come a tutti gli altri dogmi di fede. Quel che "pensano" i "cattolici", "papi, cardinali e preti compresi", vale zero di fronte alla dottrina. Io non sarò mai eletto papa (anche se da piccolo volevo "farlo"), ma spero, anzi sono certo che un giorno sarà eletto un vero Papa che sconfesserà le eresie dei predecessori. Anch'io preferisco il Vangelo al Talmud, ma se si vuol parlare con cognizione di causa dell'ebraismo è giocoforza leggere quel testo, da cui si apprende tra l'altro che Cristo si troverebbe all'inferno in mezzo a escrementi in ebollizione. Nulla di strano che Lei preferisca il buonista, arrivista e massone Roncalli ai grandi Papi della Tradizione.
Buona Pasqua a Lei e ai suoi.

Franco Damiani

CESARE BECCARIA
19-04-03, 10:35
Ricambio gli auguri di Buona Pasqua .
Buona Pasqua a tutti i Forumisti.


PS:Ovviamente la storia del Tu e del Lei era una battuta. Spero si sia capito. O mi si crede cosi' imbecille?

franco damiani (POL)
19-04-03, 14:55
Originally posted by Bellarmino

Ti ricordo che Hitler voleva a tutti i costi rastrellare il Vaticano e se non fosse stato per l'intercessione di Mussolini, sta tranquillo che sarebbe avvenuta una carneficina, tante erano le persone rifugiatesi.


Caro Bellarmino, mi permetto di confutarti amichevolemnte sulla base dell'ultimo libro di Faurisson ("Le révissionnisme de Pie XII", Graphos, 2002) che alle pp. 52-53 scrive testualmente:

"Non menzionerò qui il preteso piano di rapimento di Pio XII da parte delle SS perché, come dimostra Owen Chadwick, si è tattato di una voce forgiata e lanciata dall'officina (...) di propaganda britannica chiamata "Political Warfare Executive".
In realtà, Hitler era ben più debole e Pio XII ben più forte di quanto si ammetta comunemente ai nostri giorni. Il Fuehrer non aveva affatto il mezzo di intimidire Pio XII. Alla fine dell'anno 1942, Ribbentrop diede diede a D. von Bergen, ambasciatore a Roma, l'ordine di minacciare il Papa di rappresaglia. L'ambasciatore eseguì. Pio XII rispose dapprima con il silenzio, poi, calmissimo, replicò che non si preoccupava di quel che la sorte gli riservava e che "in caso di conflitto fra la Chiesa e lo Stato, è lo Stato che ha tutto da perdere".

Affus
24-05-03, 18:39
Interessante mi è parso questo articolo
Hitler satanista e l’esorcismo del Papa

di Andrea Tornelli, 30giorni n°1-2002

Pare quasi di vederlo, nella sua cappella privata, con addosso la sua tonaca bianca, lisa e rammendata, le vecchie e comode scarpe nere "da riposo" che era solito portare fin dai tempi della nunziatura di Monaco. Pare di scorgerlo, con il rituale degli esorcismi aperto davanti agli occhi, mentre recita sommessamente preghiere e invocazioni per scacciare Satana dall'uomo che stava portando l'intera Europa verso la catastrofe. Pio XII, il Pontefice che un'odierna leggenda nera vorrebbe dipingere come filonazista se non addirittura amico di Adolf Hitier (lo ha fatto il giornalista inglese John Cornweli con un libro inequivocabile fin dal
titolo: Il Papa di Hitler), era così poco "amico" del dittatore di Berlino da tentare di esorcizzarlo a distanza perché convinto che fosse posseduto dal demonio. La circostanza è confermata da diverse testimonianze agli atti del processo di beatificazione.

Quale fosse l'opinione di Eugenio Pacelli sul Fúhrer era noto da tempo. Suor Pascalina Lehnert, la religiosa che lo accudiva, ha raccontato - sotto giuramento, in tempi non sospetti, quando le polemiche su Pio XII non erano ancora scoppiate - che già nel 1929, lasciando Berlino per Roma dove sarebbe stato creato cardinale e nominato segretario di Stato, monsignor Pacelli si dimostrava angosciato per il futuro dei tedeschi: «Un pensiero angoscioso turbava il nunzio alla sua partenza dalla Germania: il continuo progredire del nazionalsocialismo. Come era stato perspicace già allora nel giudicare Hitler e quante volte aveva messo in guardia il popolo tedesco dal tremendo pericolo che lo minacciava! Non gli volevano credere. Personalità di ogni ceto e di ogni classe gli fecero capire al momento del suo congedo ciò che essi attendevano da Hitler: l'ascesa e la grandezza della Germania. Una volta io chiesi al nunzio se non pensava che quest'uomo potesse avere in sé qualcosa di buono e... potesse, forse, aiutare il popolo tedesco. Il nunzio scosse il capo e disse: "Dovrei sbagliarmi di grosso pensando che tutto questo possa andare a finire bene. Quest'uomo è completamente invasato; tutto ciò che non gli serve, lo distrugge; tutto ciò che dice e scrive, porta il marchio del suo egocentrismo; quest'uomo è capace di calpestare i cadaveri e di eliminare tutto ciò che gli è d'ostacolo. Non riesco a comprendere come tanti in Germania, anche tra le persone migliori, non lo capiscano e non sappiano trarre insegnamento da ciò che scrive e che dice"».

Negli anni successivi, dopo l'elezione avvenuta nel marzo 1939, Pacelli aggravò questo giudizio arrivando a ritenere Hitler un vero indemoniato. Lo conferma, nelle deposizioni, anche un nipote dei Pontefice. Così, nei momenti più bui della guerra, Pio XII tentò più volte di "liberare" l'anima del Fúhrer dal diavolo, con tutte le invocazioni previste nel rito
dell'esorcismo: «Nel nome di Gesù, satana, vattene... Tu che sei stato sconfitto nel mar Rosso da Mosè, tu che venivi scacciato da Saul grazie ai salmi cantati da Davide, tu che sei stato dannato nella persona di Giuda ... ».

Certo, l'esorcismo "a distanza" non ottiene quasi mai effetto. Lo ha spiegato bene padre Gabriele Amorth, il più famoso degli esorcisti tuttora in attività a Roma: «Raramente la preghiera a distanza ha un effetto liberatorio. Di per sé è possibile tentare preghiere a distanza, ma che attecchiscano è un altro discorso. Uno dei requisiti per fare gli esorcismi è infatti che la persona sia presente, e che sia consenziente. Fare esorcismi su qualcuno che non è né presente né consenziente né cattolico presenta delle difficoltà». «Non ho dubbi però» aggiunge padre Amorth, «sul fatto che Hitler fosse satanista. Da questo punto di vista non mi stupisco che Pio XII possa aver tentato un esorcismo a distanza». Secondo il sacerdote, la possessione del Fúhrer emerge dalla sua ,perfidia umanamente inspiegabile: non si spiega una malvagità simile senza una forza superiore e al di fuori della natura umana».

La notizia degli esorcismi "a distanza" di papa Pacelli è stata confermata dal gesuita tedesco Peter Gumpel, che segue la causa di beatificazione, durante un recente dibattito sulla figura di Pio XII che si è svolto al Collegio Capranica, al quale ha partecipato il senatore Giulio Andreotti. «Queste testimonianze agli atti del processo canonico sono coperte dal segreto» spiega Gumpel a 3OGiorni. «Ce ne sono diverse che parlano dell'episodio e riferiscono che il Pontefice tentò più volte questi esorcismi. Non è un fatto da enfatizzare in sé, è soltanto un particolare. Ma è utile per comprendere che cosa davvero Pio XII pensasse di Hitler e quanto false siano quelle ricostruzioni pseudostoriche che oggi vorrebbero presentarcelo come un Papa filonazista, addirittura amico del Fuhrer». Era invece un Papa così poco filonazista e così poco "amico" di Hitler da appoggiare direttamente il tentativo di rovesciarlo messo in atto da alcuni ufficiali tedeschi alla fine del 1939. Un vero e proprio complotto, per il quale il Papa si espose moltissimo facendo personalmente da tramite fra i congiurati e il governo inglese. Ha scritto lo storico Owen Chadwick: «Il Papa mise a rischio il destino della Chiesa in Germania, Austria e Polonia, e forse rischiò anche di più. Probabilmente rischiò la distruzione dei gesuiti tedeschi... Si fece carico di questo grosso rischio unicamente perché la sua esperienza politica vide che, per quanto questo piano andasse incontro a un verosimile fallimento, era probabilmente la sola possibilità superstite per fermare l'imminente invasione dell'Olanda, della Francia e del Belgio, per impedire infiniti spargimenti di sangue, e per riportare la pace in Europa».

Del resto questi sentimenti di avversione erano ampiamente ricambiati da parte dell'invasato "padrone" del Terzo Reich. In un rapporto datato 30 settembre 1941, il nunzio apostolico in Francia, Valerio Valeri, descrive ai suoi superiori della Segreteria di Stato il contenuto di un colloquio intercorso tra Hitier e il dittatore spagnolo Francisco Franco: «Il cancelliere del Reich aveva asserito che il Santo Padre era un suo nemicopersonale».

theophilus
25-05-03, 11:35
http://web.genie.it/utenti/i/interface/images/Pio12.jpg

Augustinus
28-12-04, 20:32
PIO XII/ LUZZATTO: DOCUMENTO BIMBI EBREI E' STOP A BEATIFICAZIONE
28/12/2004 - 15:05
Agghiacciante; non voleva restituire bimbi salvati da Shoah

Città del Vaticano, 28 dic. (Apcom) - "Se il Papa deciderà di beatificare Pio XII nonostante l'agghiacciante documento rinvenuto negli archivi della Chiesa francese, non escludo che vi saranno problemi nei rapporti con gli ebrei". Il presidente delle comunità ebraiche italiane, Amos Luzzatto commenta senza troppi giri di parole "l'orrendo" testo anticipato oggi dal 'Corriere' e contenuto in un libro di prossima pubblicazione ("Anni di Francia, Agende del nunzio Roncalli 1945-1948" di Etienne Fouilloux, uno dei massimi storici francesi).

In una nota del 20 ottobre 1946, Pio XII tramite l'ex Sant'Uffizio, ordinava all'allora nunzio apostolico a Parigi, Angelo Roncalli come comportarsi di fronte ai tanti casi dei bambini ebrei francesi salvati dai campi di concentramento perché nascosti in strutture religiose cattoliche. Pacelli indicava: i bambini battezzati "non potranno essere affidati ad istituzioni" ebraiche poiché non potrebbero assicurare loro "l'educazione cristiana". Inoltre i bambini salvati, se reclamati dai loro genitori, "potranno essere restituiti ammesso che non abbiano ricevuto il battesimo".

Ai presunti 'silenzi' sulla Shoah di Pio XII ora un altro drammatico 'capitolo' si apre a suo carico: la volontà di non voler 'restituire' alla comunità ebraica i bambini ebrei salvati dall'Olocausto perché battezzati. "Noi abbiamo sempre detto che su Pio XII c'erano problemi aperti e che, malgrado i fiumi d'inchiostro, non erano mai stati superati. Stavolta, però - afferma Luzzatto in una intervista ad Apcom- la questione è un po' diversa e molto seria. In questo caso, in un documento inedito, che io definisco orribile, si parla in maniera burocratica di un codice al quale la Chiesa di Pio IX si è sempre richiamata. I bambini ebrei reclamati dai genitori possono essere restituiti ammesso che non abbiano ricevuto il sacramento del battesimo: una cosa terrificante che si commenta da sé". (segue)

copyright @ 2004 APCOM

Augustinus
28-12-04, 20:32
PIO XII/LUZZATTO : DOCUMENTO BIMBI EBREI E' STOP A BEATIFICAZIONE 2
28/12/2004 - 15:15
Testo arido e burocratico; assai più grave del caso Mortara

Città del Vaticano, 28 dic. (Apcom) - Il principio che una volta somministrato il battestimo non si poteva più recedere e che spettava alle istituzini cattoliche provvedere all'educazione dei bambini, richiama alla memoria il caso Mortara. "Peccato che Mortara era solo il caso più conosciuto - ha aggiunto Amos Luzzatto - Stavolta il caso è molto più grave".

Perché? "Perché siamo all'indomani della guerra. Il documento porta la data dell'ottobre 1946. Tutti già sapevano che cosa era successo agli ebrei d'Europa, conoscevano gli orrori dei campi di concentramento. Ma nel documento Pio XII non fa cenno alcuno a questo dramma: al perché questi bambini, in circostanze drammatiche, si sono dovuti rifugiare in conventi o istituti cattolici".

"E' un documento arido, burocratico che non ha nessuna sensibilità, mi spiace dirlo, per la Shoah - ha affermato Luzzatto - Pio XII non si chiede affatto perché questi bambini sono stati battezzati senza domandare niente a nessuno. In questo modo si è fatta violenza su dei minori che non potevano rendersi conto di quello che accadeva".

"Dal documento traspare un tergiversare e un ritardare la consegna dei bambini. E, se sono battezzati, ha in animo di non restituirli alla comunità ebraica. Io non ero a conoscenza di questo testo - ha concluso - Sono semplicemente allucinato".

Quanto alle responsabilità di Pio XII, il presidente delle Comunità ebraiche si limita a ricordare che "sull'Olocausto tacque". "Vorrei solo rammentare un episodio per tutti: tacque persino quando quel 16 ottobre i nazisti gli portarono via da sotto il naso, dal ghetto di Roma, migliaia di ebrei".

copyright @ 2004 APCOM

Augustinus
28-12-04, 20:58
I detrattori del grande Pontefice Pio XII tentano con questa notizia di stampo "scandalistico" di gettare un'onta sulla grande figura di Papa Pacelli.
E come lo fanno?
Riesumando un'antica querelle circa il battesimo impartito a bambini ebrei.
La Chiesa, da sempre, si ricorda, ha stabilito che i battezzati non debbano essere educati da genitori non cattolici.
Lo stesso Codice di diritto canonico attuale (1983), analogamente al precedente, stabilisce ancor oggi, espressamente, che "Il bambino di genitori cattolici e persino non cattolici, in pericolo di morte, è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori (etiam invitis parentibus)" (can. 868 § 2). E che "E' dovere dei pastori delle anime disporre ogni cosa (omnia disponendi) perchè tutti i fedeli possano fruire dell'educazione cattolica" (can. 794).
Di conseguenza, Pio XII, come saggio pastore della sua Chiesa, si è comportato in perfetta aderenza alla dottrina cattolica, impartendo all'allora Nunzio Mons. Roncalli corrette direttive.
Il ritorno alle "vecchie" famiglie sarebbe stata una "perversione" (così Benedetto XIV, Lettera della Santità di Nostro Signore Benedetto Papa XIV a Mons. Arcivescovo di Tarso Vicegerente Sopra il Battesimo degli Ebrei infanti o adulti, 28 febbraio 1747)!!!!
Il Battesimo, infatti, scioglie i vincoli di carne, instaurando mistericamente, ma realmente, un nuovo vincolo, di carattere superiore, spirituale, che rende veramente l'individuo figlio di Dio ed incardina nella Chiesa. Sicché, una volta battezzati, i bambini non potevano tornare presso le loro famiglie di origine. Il Divino Redentore, infatti, attesta che "Ciò che nasce dalla carne è carne, e ciò che nasce dallo spirito è spirito" (Gv 3, 6). S. Giovanni della Croce aggiungeva: "Bada che la tua carne è debole e che nessuna cosa del mondo può dare forza e conforto al tuo spirito poiché ciò che nasce dal mondo è mondo e ciò che nasce dalla carne è carne-, lo spirito buono nasce solo dallo spirito divino, il quale non si comunica né per mezzo del mondo né per mezzo della carne".
La Chiesa, dunque, in ragione di tanto, aveva acquisito il diritto sul battezzato che è di ordine superiore e prevale sul diritto paterno. Conseguentemente non devono nè dovevano restituirsi i fanciulli battezzati, ma anzi è compito dei Pastori custodirli nella Santa Religione. E tanto lo compie adempiendo pienamente alla sua Divina Missione, che certuni maliziosamente osteggiano.
E' assurdo, quindi, che nemici storici della Chiesa cerchino di minacciare la stessa, adducendo pretese rotture di relazioni ... .

Per certe "interpretazioni" ... v. QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=139503)

Augustinus
28-12-04, 21:10
INEDITO Una disposizione del Sant'Uffizio, datata ottobre 1946, rivela nuovi aspetti di una vicenda dolorosa

Pio XII a Roncalli: non restituite i bimbi ebrei
Ma il futuro Giovanni XXIII disattese gli ordini giunti da Roma

Chi augurerà buon anno a Charles de Gaulle il 1° gennaio 1945? Questa domanda, apparentemente sciocca, angoscia Pio XII nel dicembre 1944 e segna uno snodo importante per la politica vaticana di allora e dei decenni successivi. Nella Parigi liberata di quei mesi si va infatti ricostituendo il rituale civile, a partire dagli auguri che il corpo diplomatico porge al capo di Stato. Per tradizione tali voti augurali venivano letti dal nunzio, decano del corpo diplomatico in Francia. Ma per il Capodanno del 1945 il nunzio ancora non c’è. De Gaulle ha fatto cacciare monsignor Valeri, disponibile al dialogo col regime collaborazionista di Vichy. Nominare un nunzio vuol dire riconoscere il diritto di de Gaulle a epurare la Chiesa; ma non nominarlo significa cedere all’anziano ambasciatore dell’Urss il diritto di pronunciare il discorso dell’Eliseo - e per Pio XII questo sarebbe un immeritato regalo a Stalin. La questione non è protocollare.

La cartina d’Europa del Capodanno 1945 racconta di destini imminenti e fatali. Per ciascun Paese è vicina la vittoria, la vendetta, la catastrofe, la libertà, la rinascita, la divisione. E il Vaticano deve riposizionare se stesso, dopo che alcuni capisaldi prima scontati (l’indulgenza verso il confessionalismo autoritario, l’anticomunismo ideologico, il pregiudizio antisemita, la diffidenza per la democrazia liberale) si sono rivelati radici della tragedia bellica. Ma la Chiesa può accettare una politica che adotti la democrazia nella sfida al comunismo e la rottura col nazifascismo come principio da cui essa stessa non è esentata? E a rovescio: può la Chiesa rinunciare a vivere il futuro dell’Europa per limitarsi al rimpianto d’un passato inglorioso? Questo è il groviglio in cui sono impigliati gli auguri a de Gaulle del Capodanno 1945.
Pio XII taglia quel nodo con una mossa personale e audace. Piglia da Istanbul, ultima retrovia della politica estera pontificia, un diplomatico di basso rango e, contro il parere di molti suoi collaboratori, lo manda a Parigi.

Monsignor Angelo G. Roncalli, un bergamasco fino a quel momento sconosciuto ai più, ma non agli ebrei che aveva aiutato a fuggire verso la Palestina, sale così al primo posto della diplomazia vaticana. Il suo compito è arduo: il ministro degli Esteri Georges Bidault, proprio perché cattolico, è il più intransigente nel pretendere la testa di molti vescovi accusati di collaborazionismo; il ricomporsi politico della nazione coincide con una rinascita impetuosa della ricerca teologica che Roma guarda male; e mille questioni - dal processo di Norimberga alla nascita dell’Unesco, dalla conferenza di pace alla nomina di nuovi vescovi - bussano alla sua porta. Che Roncalli se la cavi con buon successo era già noto. Ma ora possiamo capire molti dettagli inediti, perché con il volume Anni di Francia. Agende del nunzio Roncalli 1945-1948 , Étienne Fouilloux, uno dei massimi storici francesi, pubblica le fitte note quotidiane di quel periodo.

Esse svelano poco dell’uomo Roncalli (che con un filo di ironia trema dei successi del Pci a Sotto il Monte, suo paese natale), ma dicono molto dei dilemmi che attraversano la politica vaticana. Il cattolicesimo francese, infatti, è stato su tutti i fronti: ha collaborato e ha resistito; chiede un ricambio e offre copertura; pensa vie nuove teologico-politiche e sporge le denunzie al Sant’Uffizio. Roncalli si muove fra questi scogli con studiata lentezza, che i testi inediti documentano ora per ora. È un nunzio fedele alla politica di Pio XII, ma ha una sua sensibilità e una sua storia.
È così per la Shoah. Roncalli, appoggio sicuro negli anni d’Istanbul per il rabbinato e per l’Agenzia ebraica, trova a Parigi un ambiente attento e attivo: nella capitale francese Jules Isaac sta promuovendo la rete di intellettuali che redigerà i «punti di Seelisberg», coi quali si chiedeva alla Chiesa di ripudiare ogni variante dell’antisemitismo; da Parigi passa il gran rabbino di Palestina Herzog, per cercare di ottenere che vengano restituiti alle organizzazioni ebraiche i bambini salvatisi nelle case e nei conventi cattolici.

Roncalli, racconta l’ Agenda, riceve il rabbino Herzog nel 1946 come un amico e, con una lettera del 19 luglio, lo autorizza «ad utilizzare della sua autorità presso le istituzioni interessate, di modo che ogni volta che gli fosse stato segnalato, questi bambini potessero ritornare al loro ambiente d’origine». Tuttavia (come rivela uno straordinario documento, parte dell’apparato del secondo tomo delle Agende di Francia , che i lettori del Corriere possono leggere in anteprima) al nunzio arrivano nello stesso 1946 istruzioni elaborate dal Sant’Uffizio e approvate da Pio XII. Al nunzio Roncalli, la cui fraternità con gli ebrei in transito dalla Turchia non era passata inosservata, si trasmettono ordini agghiaccianti: non deve dare risposte scritte alle autorità ebraiche e precisare che «la Chiesa» valuterà caso per caso; i bambini battezzati possono essere «dati» solo a istituzioni che ne garantiscano l’educazione cristiana; i bambini che «non hanno più i genitori» (proprio così!) non vanno restituiti e i genitori eventualmente sopravvissuti potranno riaverli solo nel caso che non siano stati battezzati...
Alcune delle vicende su cui queste disposizioni cadono si risolveranno felicemente, ma non tutte.

Di casi di sottrazione dei bambini ebrei - repliche del caso Mortara dei tempi di Pio IX nella Francia del dopoguerra - non c’è per ora un censimento, se non nella memoria ferita delle vittime di questa tragedia umana e spirituale. Nemmeno Roncalli ne annota in dettaglio gli sviluppi, abile com’è nel filtrare tutto in uno stile ecclesiastico apparentemente impassibile. Ma è difficile credere che questi episodi non siano alla base della sua risposta positiva a Jules Isaac, che nel 1960 gli chiede di aprire una riflessione sui punti di Seelisberg: quando nel 1955 Isaac li aveva portati a Pio XII, il Papa gli aveva detto «li appoggi su quel tavolo», quasi a marcare un abisso fisico fra due umanità; quando nel 1960 li porterà a Giovanni XXIII, questi li accoglierà e farà iscrivere il ripudio degli antisemitismi nell’agenda del Concilio Vaticano II.

Decisione capitale, perché diceva a tutti che la Chiesa non vive immacolata negli orrori della storia, ma ne è parte, nel bene e nel male; diceva che nell’Europa senza più innocenza del secondo Novecento il futuro non vive di mitologie del sé, ma di una memoria umile e sincera, radice d’indispensabile cambiamento, anima della speranza nel tempo.

Alberto Melloni

Fonte: Corriere della Sera, 28.12.2004 (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/12_Dicembre/28/papa-roncalli.shtml)

IL DOCUMENTO
«I piccoli giudei, se battezzati, devono ricevere un’educazione cristiana»

Pubblichiamo la traduzione dall’originale francese del documento, datato 20 ottobre 1946, che fu trasmesso dal Sant’Uffizio al nunzio apostolico Angelo Roncalli. L'originale si trova presso gli Archivi della Chiesa di Francia.

A proposito dei bambini giudei che, durante l’occupazione tedesca, sono stati affidati alle istituzioni e alle famiglie cattoliche e che ora sono reclamati dalle istituzioni giudaiche perché siano loro restituiti, la Congregazione del Sant’Uffizio ha preso una decisione che si può riassumere così:

1) Evitare, nella misura del possibile di rispondere per iscritto alle autorità giudaiche, ma farlo oralmente
2) Ogni volta che sarà necessario rispondere, bisognerà dire che la Chiesa deve fare le sue indagini per studiare ogni caso particolare
3) I bambini che sono stati battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l’educazione cristiana
4) I bambini che non hanno più i genitori e dei quali la Chiesa s’è fatta carico, non è conveniente che siano abbandonati dalla Chiesa stessa o affidati a persone che non hanno alcun diritto su di loro, a meno che non siano in grado di disporre di sé. Ciò evidentemente per i bambini che non fossero stati battezzati
5) Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li reclamano, potranno essere restituiti, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo.
Si noti che questa decisione della Congregazione del Sant’Uffizio è stata approvata dal Santo Padre.

Fonte: Corriere della Sera (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/12_Dicembre/28/poppapa.shtml)

Augustinus
29-12-04, 20:49
Aggiungo che il IV Concilio di Toledo (nel 633), sotto papa Onorio I, presieduto da un Dottore della Chiesa e vescovo di Siviglia, S. Isidoro, prevedeva espressamente che:

"Iudeorum filios vel filias baptizans ne parentum involvantur erroribus ab eorum consortio separari decernimus; deputandos autem monasteriis aut christianis viris, ut in moribus et fide proficiant" (can. 58).

Cioè: "Decretiamo che i figli battezzati dei giudei, perchè non vengano travolti dagli errori dei genitori, sian separati dalla vicinanza di quelli, e siano affidati ai monasteri o ai cristiani perchè ne traggano giovamento nei costumi e nella fede".

http://www.capurromrc.it/papato/atoledo2.jpg

Dunque, la condotta di Pio XII è stata pienamente coerente e conforme alla fede. Di ieri come quella di oggi.

Augustinus
31-12-04, 09:12
Un'aggiunta va fatta in favore dell'allora Nunzio Roncalli.
E' difficile supporre che il futuro Papa non abbia accettato le direttive papali. D'altro canto, se così non fosse, egli sarebbe andato contro la dottrina di sempre della Chiesa - che, come si è visto, è ribadita persino nel codice di diritto canonico "post-conciliare" del 1983 - e con l'auspicio espresso dal medesimo nel suo Giornale dell'anima (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2004, pp. 466-467, n. 779), quand'era rappresentante pontificio in Turchia, durante gli esercizi spirituali (25 nov. - 1° dic. 1940), presso la Villa delle Religiose di Nostra Signora di Sion (la congregazione fondata da Theodore e Alphonse Ratisbonne e dalla signora Stoulhen):

"Il problema della conversione del mondo empio e prevaricatore chiude uno dei misteri più preoccupanti del mio spirito. La sua soluzione però non spetta a me, ma è il segreto del Signore. A me, a tutti i sacerdoti, a tutti i cattolici incombe il gravissimo dovere di cooperare alla conversione del mondo infedele, al ritorno degli eretici e scismatici alla unità della Chiesa, all'annunzio del Cristo anche agli Ebrei che l'hanno ucciso".

Se nemmeno il Papa è in grado di togliere un sacramento, che una volta dato rimane per sempre, che succederebbe della vita spirituale di molti battezzati se abiurassero (di questo si tratta) la confessione cattolica?
Sembra poi fazioso l'articolo di Melloni, sopra riportato che pare ammettere una sorta di riedizione del caso Mortara (che, si badi, non ha costituito un ostacolo alla beatificazione di Pio IX). Innanzitutto, va notato che per ora non siamo davanti a casi concreti di "sottrazione dei bambini ebrei", ma solo davanti a un pronunciamento ufficioso del Sant'Uffizio (condiviso dal Papa Pio XII e sicuramente anche dal futuro Papa buono, ammesso che il documento sia autentico) espresso in un documento riservato, redatto in francese (il che mi porta a chiedermi se si trattasse di istruzioni dirette proprio a Roncalli, con cui la Santa Sede normalmente corrispondeva in italiano, e non invece dirette alla Curia di Francia). Può credersi che, se dal 1946, casi concreti di bimbi rifiutati a istituzioni o a famiglie ebraiche fossero accaduti, probabilmente i documenti sarebbero saltati fuori da tempo, perlomeno dagli archivi delle comunità ebraiche.
Va ricordato che, pochissimo tempo prima della redazione del documento da parte del Sant'Uffizio Roncalli, è stato a Roma, si è recato in Vaticano ed è stato ricevuto dal Papa. Nessuno gli ha parlatp oel caso dei bambini ebrei reclamati da istituzioni ebraiche o da famiglie; nessuno lo ha messo al corrente delle imminenti decisioni del Sant'Uffizio; nemmeno il Papa che di quell'organo è, in fondo, il Capo. Ma, come ho detto, nemmeno Roncalli ne parla nel volume che pubblica le agende per l'anno 1945-1948, né egli fa mostra di sentirsi "agghiacciato" dagli ordini ricevuti. Le sue agende registrano che, tornato a Parigi il 21 ottobre 1946, egli incontra ripetutamente i maggiori cardinali di Francia; della questione dei bambini ebrei non vi è traccia nelle sue annotazioni in occasione di tali colloqui. A meno che il professor Melloni non abbia elementi che sfuggono al mio giudizio ma anche al contenuto editoriale del volume appena uscito. Il che pare improbabile. Dunque, un'altra bufala costruita ad arte ed imbastita contro Pio XII, per sminuirne la figura.

Augustinus
31-12-04, 09:16
Pacelli fu coerente: ogni battezzato è figlio della Chiesa

IL PRECEDENTE Edgardo Mortara sottratto ai genitori divenne sacerdote

Messori Vittorio

«Straordinario documento», «ordini agghiaccianti», addirittura un «proprio così!». Sorprende un poco che uno studioso come Alberto Melloni, tra l' altro ottimo conoscitore di cose cattoliche, sembri abbandonare la sobrietà dello storico per adottare un linguaggio ad effetto. E, questo, dando notizia delle istruzioni della Santa Sede al nunzio in Francia, Angelo Roncalli, per affrontare il problema dei bambini ebrei affidati «alle istituzioni e alle famiglie cattoliche». Innanzitutto non andrebbe dimenticato che la semplice esistenza di un simile problema testimonia di un merito ecclesiale tra i più alti. Nei ringraziamenti commossi che sommersero Pio XII al termine della guerra e che provenivano da tutte le istituzioni e le comunità ebraiche, si faceva cenno alla generosità con cui la Chiesa accolse e nascose gli ebrei braccati e in particolare i bambini. Per citare un solo caso italiano, l' arcivescovo di Torino, cardinale Maurilio Fossati (decorato nel 1945 con una medaglia d' oro dal rabbino capo della città, assieme al segretario, monsignor Barale, che era stato arrestato dai tedeschi), si adoperò perché le suore salesiane organizzassero a Valdocco un vero e proprio asilo nido clandestino per i piccoli israeliti. Se, dunque, alla fine della guerra, la Chiesa dovette confrontarsi con un problema - che coinvolse tra l'altro non alcuni, ma molti, moltissimi ebrei - è perché, davanti al dramma, non rimase spettatrice, ma intervenne tanto attivamente quanto prudentemente, come le circostanze esigevano. Per venire ora al documento «straordinario»: precisato che una valutazione storicamente oggettiva sarà possibile solo a pubblicazione avvenuta delle Agende roncalliane, va osservato che la disposizione del Sant'Uffizio è del 20 ottobre del 1946. Da oltre due anni la Francia era stata liberata, la guerra era terminata da diciassette mesi ed è dunque ovvio presumere che, in tutto quel tempo, la maggioranza dei casi avesse trovato soluzione. Recuperare un bambino che si è dovuto nascondere è forse cosa da differire nel tempo o non prevale su ogni altra urgenza? Poiché non si ha notizia di difficoltà insorte tra Chiesa (e non solo di Francia, ma di tutta l' Europa già occupata) e comunità ebraiche, è giustificato pensare che tutto si sia risolto nella pace e nel buon senso. Sembra, dunque, che il documento dell'autunno del 1946 riguardi casi residuali, di particolare complessità. Ma, anche qui, Melloni stesso ammette che il nunzio Roncalli, pur così sensibile su questi temi, non ha lasciato nelle sue agende alcuna annotazione su problemi insorti. Non si dimentichi che il suo soggiorno a Parigi durerà ancora più di sei anni. Eppure, nessuna crisi, nessuna protesta, nessun intervento politico o diplomatico: dunque il documento «agghiacciante» non sembra avere provocato effetti constatabili, se stiamo almeno a quanto registrato dalla Nunziatura del pur vigilantissimo futuro Giovanni XXIII. Per scendere ai particolari delle disposizioni del Sant' Uffizio: ogni storico sa che tra i luoghi comuni di ogni governo (soprattutto in tempi turbolenti come quel dopoguerra francese) c' è la consegna ai propri ambasciatori di parlare, ma, per quanto possibile, di scrivere poco. Sospettare, dunque, atmosfere oscure e inconfessabili dietro quell' «oralmente» raccomandato dal Vaticano sarebbe da dilettante che ha poca dimestichezza con archivi diplomatici. Poiché lo spazio non lo consente, siamo costretti a trascurare altri punti del documento (il quarto, soprattutto) e a concentrarci sul vero centro delle disposizioni vaticane, quello che non a caso ha ispirato il titolo del giornale: «I piccoli giudei, se battezzati, devono ricevere un' educazione cristiana». Qui sta lo scandalo che, tra l'altro, mise a rumore l' Europa quando, nel 1858, Pio IX, ancora Papa-re, tolse alla famiglia Edgardo Mortara, piccolo ebreo bolognese, perché fosse allevato in un collegio cattolico, almeno sino alla maggiore età: dopo i 18 anni avrebbe potuto scegliere. In quel caso, scelse il sacerdozio (assumendo il nome «Pio» per riconoscenza verso il Papa) e morì, novantenne, in odore di santità, lasciando un diario, sinora inedito, che la Mondadori pubblicherà la prossima primavera e che sorprenderà molti. Qui è possibile solo tentare di far comprendere alcune delle ragioni che, in simili casi, rendono «prigioniera» la Chiesa. Questa, conformemente al pensiero dei Padri, proibisce da sempre che i figli minorenni di ebrei siano battezzati senza il consenso dei genitori. Ma se, per una qualunque ragione, il battesimo è validamente amministrato, questo rende «cristiani» ex opere operato, imprime il carattere indelebile di figlio della Chiesa. La quale, sentendosi Madre, non ha mai consentito né mai consentirà di abbandonare chi - nel mistero della fede - con il sacramento è entrato per tutta l' eternità nella sua famiglia. Ci rendiamo ben conto che, per comprendere un simile atteggiamento, occorre porsi in una prospettiva di fede. Al di fuori di essa, disposizioni come quelle di Pio IX e di Pio XII, in linea con la millenaria Tradizione, possono apparire (perché nasconderlo?) disumane. Se ne sono resi conto i Papi stessi, che - custodi e non padroni della Rivelazione - hanno fatto vivere, ma hanno vissuto essi stessi, autentici drammi. Ma non in nome di un arido legalismo, bensì in una dimensione misterica, pur umanamente dura, che solo la credenza nel Vangelo può rendere accettabile. Diverso il discorso sugli autori di quei battesimi. Se hanno agito su infanti senza che i genitori fossero consenzienti, hanno peccato gravemente, sono andati contro il diritto canonico e le disposizioni secolari della Chiesa. Si può comunque escludere sin da ora che i battesimi francesi (se davvero ce ne furono di illeciti) siano stati impartiti su ordine o anche solo con la connivenza delle autorità ecclesiastiche. messori@numerica.it

Le direttive dell'ottobre 1946

La decisione del Sant' Uffizio, approvata da Pio XII, sui bambini ebrei accolti da istituzioni e famiglie cattoliche in Francia durante l'occupazione nazista, porta la data del 20 ottobre 1946 ed è stata rinvenuta negli Archivi della Chiesa di Francia.
La direttiva raccomanda di non rispondere per iscritto alle comunità israelitiche che chiedono la restituzione dei minori e suggerisce di prendere tempo per esaminare ogni richiesta caso per caso Nel merito, si specifica innanzitutto che i bambini ebrei battezzati «non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l' educazione cristiana». Quanto ai non battezzati, si sconsiglia di sottrarre gli orfani alla custodia della Chiesa per affidarli a «persone che non hanno alcun diritto su di loro». Si ammette solo la restituzione dei bambini reclamati dai loro genitori, purché i piccoli «non abbiano ricevuto il battesimo» Il documento sarà incluso nel secondo tomo del quinto volume dell' edizione nazionale dei diari spirituali, dei quaderni e delle agende di lavoro di Papa Giovanni XXIII, in corso di pubblicazione da parte dell' Istituto per le scienze religiose di Bologna (www.fscire.it).
Il quinto volume dell' opera, curato da Étienne Fouilloux, raccoglie le agende private tenute da Angelo Roncalli quando si trovava in Francia come nunzio apostolico. Il primo tomo, appena uscito, riguarda gli anni dal 1945 al 1948. Il secondo, che vedrà la luce tra circa un anno, concerne il periodo 1949-53 e conterrà il documento anticipato dal Corriere, scoperto troppo tardi per poter essere pubblicato nel primo.

Fonte: Corriere della Sera, 29 dicembre 2004, pag. 37 (L'articolo è anche QUI (http://www.et-et.it/articoli2004/a04o29.htm) e QUI (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/12_Dicembre/29/pioXII_messori.shtml))

*****
Per alcune "valutazioni" critiche sull'articolo di Messori, v. QUA (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=139837).

Augustinus
03-01-05, 21:57
Antologia di articoli a favore di Pio XII: per documentarsi, cliccare QUI (http://www.orarel.com/cristianesimo/chiesa/storia/pio12/articoli1.shtml). :) :) :)

Augustinus
03-01-05, 22:05
V. anche, in generale, benchè il lingua spagnola, il sito di
Apologetica (http://apologetica.org/pioxii/pioxii-goldhagen.htm). :) :) :)

Augustinus
04-01-05, 20:04
Altra interessante intervista di Padre Gumpel riportata da Pietro di Craon (v. QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=140191)) tratto da Avvenire di oggi 4.1.2005. :) :) :)

Augustinus
05-01-05, 15:15
Ecco i frutti dell'ignoranza (culturale, storica e religiosa) e della mancanza di una prospettiva di fede (v. QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?postid=1739281#post1739281)) !!!!!
Che Dio abbia pietà di simili soggetti ... . :rolleyes: :rolleyes: :rolleyes:

Augustinus
05-01-05, 15:45
PIO XII/ LUZZATTO:COMMISSIONE SUPER PARTES INDAGHI SU BIMBI EBREI
04/01/2005 - 14:45
Si faccia luce sulle conversioni e sui bambini non restituiti

Città del Vaticano, 4 gen. (Apcom) - Una Commissione internazionale e super partes che faccia luce sui bambini ebrei scampati ai campi di concentramento grazie alla Chiesa ma, in seguito, mai riconsegnati alle famiglie d'origine o alle organizzazioni ebraiche. Il presidente delle Comunità Ebraiche italiane, Amos Luzzatto, rompe il silenzio che si era imposto sul doloroso capitolo dei bambini battezzati per incoraggiare ("ma con qualche modifica") la proposta avanzata dallo storico americano Daniel Jonah Goldhagen che sul "Corriere della Sera" ha chiesto al Vaticano di dar vita a un organismo scientifico, indipendente e di alto profilo, per stabilire quanti bambini ebrei siano stati battezzati e rapiti dalla Chiesa in Europa nel corso dei secoli.

"Penso che ci sia davvero bisogno di far luce su questo capitolo amarissimo della storia del vecchio continente" ha detto ad Apcom Luzzatto. "Tuttavia non dovrà essere di certo il Vaticano a nominare gli storici e gli esperti della commissione. Dovrà, invece, essere un organismo internazionale a farlo, come per esempio l'Unesco. Perché solo una commissione super partes, incaricata da un organismo super parte, potrebbe indagare su quanto accaduto ed accertare le responsabilità della Chiesa". (segue)

copyright @ 2005 APCOM

Augustinus
05-01-05, 15:54
Goldhagen: papa Pacelli, perché non è santo

«Fu insensibile di fronte alle sofferenze degli ebrei. La Chiesa non deve canonizzarlo». Un atto d' accusa dello storico dopo la pubblicazione sul «Corriere» della direttiva vaticana che riguardava i bambini battezzati provenienti da famiglie israelite

Goldhagen Daniel

SANTA SEDE E SHOAH Prosegue il dibattito sui bambini ebrei accolti da istituzioni cattoliche durante l' ultima guerra: in particolare, riguardo la direttiva vaticana del 1946, avallata da Pio XII, in cui si chiedeva di restituire alle famiglie i bambini ebrei battezzati. I bambini erano stati nascosti nei conventi francesi durante la guerra e, secondo il contenuto di una decisione del Sant' Uffizio, di cui il Papa era a conoscenza, non avrebbero dovuto essere restituiti ai genitori. Sull' argomento sono intervenuti tra gli altri, a partire dal 28 dicembre scorso, Alberto Melloni, Amos Luzzatto, Vittorio Messori, Giovanni Miccoli, Emma Fattorini e Renato Moro. Il documento pubblicato sul «Corriere» (e consultabile sul sito www.corriere.it) ha avviato un dibattito internazionale, del quale l' articolo dello storico Daniel Jonah Goldhagen è l' ultimo esempio Immaginiamo che una persona salvi un bambino da una macchina in fiamme in una zona rurale, esponendosi a un certo rischio. I genitori sono morti. Lo definiremmo un eroe. Ma poi decide di tenere il bambino e di educarlo secondo il suo credo. Non informa le autorità. Quando i parenti del bambino, che lo cercano disperati, vengono a bussare alla sua porta, nega di sapere dove si trovi. La buona azione iniziale si trasforma in un crimine e questa persona in un rapitore. Ora è stato pubblicato sul Corriere della Sera un documento proveniente dagli archivi della Chiesa cattolica francese che mostra che papa Pio XII si comportò in maniera simile quando parenti e genitori ebrei, cercando affannosamente i loro figli, vennero a bussare alla sua porta. Nel 1946 il Vaticano inviò un documento al nunzio apostolico in Francia, Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, noto per la sua compassione verso gli ebrei e per la dedizione mostrata nel cercare di riunire i bambini ebrei, nascosti in istituti cattolici durante l' Olocausto, ai loro genitori, parenti o alle istituzioni ebraiche. Il documento ordinava a Roncalli di trattenere quei bambini: «I bambini che sono stati battezzati non possono essere affidati a istituzioni che non assicurerebbero loro un' educazione cristiana». La ferma intenzione del Papa di non riconsegnare i figli ai loro genitori è inequivocabile: «Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai genitori ed essi li rivogliono, possono essere loro restituiti, purché non siano stati battezzati. Si fa presente che questa decisione della Congregazione del Sant' Uffizio è stata approvata dal Santo Padre». Poiché la decisione di non restituire i bambini ebrei battezzati venne annunciata come una linea di condotta pontificia di carattere generale, ci sono buone ragioni per credere che fosse divulgata e applicata in tutt' Europa. I documenti su questo argomento restano celati negli archivi del Vaticano (come la copia dell' ordine a Roncalli) e di altre chiese nazionali. Durante l' Olocausto migliaia di bambini ebrei trovarono rifugio in monasteri, conventi e scuole cattoliche, anche se per opera di Roncalli, non per ordine di quel papa antisemita. Furono messi in salvo da preti e suore eroici, che a volte battezzarono i bambini di cui si dovevano occupare. È noto che gli ebrei sopravvissuti o i loro parenti ed eredi ebbero spesso (anche se non sempre) difficoltà a riprendersi i figli. Si sospettava che la Chiesa si proponesse di rapire quei bambini ebrei in nome di Gesù. Una sopravvissuta ad Auschwitz, perseguitata perché ebrea, secondo Pio XII non doveva riavere il proprio figlio proprio perché ebrea. Ora abbiamo la prova evidente: questo documento. Esso dimostra che era intenzione del Papa e della Chiesa portar via sistematicamente i bambini ebrei. E mostra quanto Pio XII fosse insensibile alle sofferenze degli ebrei. Venne così reiterata la persecuzione che avevano subito, privando i sopravvissuti all' inferno nazista, offesi fisicamente e spiritualmente, dei loro figli. Il documento non sorprenderà chi conosce l' antisemitismo della Chiesa in quel periodo o lo sciagurato precedente di papa Pio IX, il rapimento nel 1858 di Edgardo Mortara, un bambino ebreo di sei anni, che produsse un moto di ripulsa e di protesta nei confronti della Chiesa in tutt' Europa. Ma questo documento rimuove il beneficio di cui Pio XII ha finora goduto: la possibilità, che per sessant' anni lui e la sua Chiesa hanno cercato di conservare, di negare plausibilmente molti crimini compiuti contro gli ebrei durante l' Olocausto da Pio XII, vescovi e sacerdoti. Papa Pio XII si è reso colpevole di un crimine non restituendo i bambini ai genitori, parenti o custodi legali o spirituali. E con lui tutti i vescovi, preti e suore che si sono prestati a portar via i bambini ebrei. Nessuno è al di sopra della legge. Un leader religioso o un capo di governo che facesse una cosa simile oggi sarebbe messo in prigione (l' inquisitore, un sacerdote che rapì Edgardo per ordine di Pio IX, fu arrestato e imprigionato dalle autorità italiane) In nome della religione, oggi e nel passato, si sono commessi molti delitti. Gli abiti religiosi non dovrebbero impedire che una persona venga chiamata con il suo nome. I recenti scandali su abusi sessuali commessi da preti ce l' hanno insegnato. Ci hanno anche insegnato che vi è necessità di trasparenza per questa Chiesa, tra le più reticenti, che ha abitualmente celato crimini e misfatti dei suoi esponenti. Se la Chiesa è l' istituzione morale che proclama di essere deve provvedere a rimediare ai suoi crimini. Il Vaticano dovrebbe istituire una commissione di alto profilo, indipendente, composta da esperti internazionali indipendenti di storia, di questioni ecclesiastiche e giuridiche, guidata da una persona di grande statura internazionale, per stabilire quanti bambini ebrei siano stati rapiti dalla Chiesa in Europa. La commissione dovrebbe poter accedere a tutte le istituzioni ecclesiastiche, poter esaminare liberamente documenti e parlare con il personale ecclesiastico. Papa Giovanni Paolo II, che ha lavorato molto sotto vari aspetti per migliorare l' atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei, dovrebbe ordinare pubblicamente a tutte le Chiese cattoliche europee di cooperare con i membri della commissione e compiere per proprio conto ricerche su ciò che è accaduto nelle loro parrocchie. Probabilmente la maggior parte dei documenti è facile da reperire. La Chiesa è un' istituzione che registra e conserva fedelmente soprattutto una cosa: il battesimo. Una volta identificate, le vittime ebree - o i loro parenti - dovrebbero essere ritrovate e ricevere una comunicazione ufficiale. La commissione dovrebbe anche pubblicare dei rapporti storici dettagliati sulla sua ricerca. Se la Svizzera l' ha fatto, istituendo la Commissione Bergier per indagare sul furto dei beni degli ebrei durante la guerra (sono stati pubblicati ventisei volumi sull' argomento), e se l' Australia l' ha fatto per i bambini che il suo governo ha portato via agli aborigeni in quello stesso periodo, lo può fare anche la Chiesa cattolica per il furto dei bambini ebrei. Il Vaticano dovrebbe por fine una volta per tutte a pretesti e reticenze che durano da decenni e aprire a studiosi e giornalisti gli archivi suoi e delle sue chiese nazionali relativi al periodo dell' Olocausto. Dovrebbe smettere di pretendere che l' unico suo errore sia stato non aver fatto di più per salvare gli ebrei e che il suo unico atto di pubblica contrizione possa consistere nel presentare deboli scuse. Sicuramente il documento che è venuto fuori non è la sola prova presente nei vasti archivi segreti della Chiesa. E non dovrebbe, a questo punto, la Chiesa impedire ai suoi seguaci di attaccare gli ebrei e altri che a buon diritto le chiedono di essere aperta e sincera sui suoi crimini passati e recenti? Infine, la Chiesa dovrebbe cessare di perseguire la canonizzazione Pio XII. Pio XII fu alla testa di una Chiesa che diffuse un feroce antisemitismo proprio quando gli ebrei venivano sterminati. Che usò i suoi documenti per aiutare il regime nazista a stabilire chi era ebreo in modo da poterlo perseguitare. Che legittimò e partecipò alla deportazione ad Auschwitz degli ebrei slovacchi. E che continuò per più di un decennio dopo l' Olocausto a proclamare ufficialmente che tutti gli ebrei di tutti i tempi saranno sempre colpevoli per la morte di Cristo. Pio XII, ordinando ai suoi subordinati di portar via i bambini ai loro genitori, è divenuto uno dei più grandi rapitori, o presunti rapitori, dei tempi moderni, senza contare che è stato una persona priva di qualsiasi empatia umana nei confronti dei poveri genitori ebrei in cerca dei loro figli, dopo anni di sofferenza. Il titolo del famoso libro di memorie di Primo Levi, che è anche una riflessione sulla natura umana, è Se questo è un uomo. Come possiamo non chiederci: «Se questo è un santo» e anche che genere di Chiesa è questa? (Traduzione di Maria Sepa)

*© Daniel Jonah Goldhagen 2005 of Harward University' s Center for European Studies è l' autore di «Una questione morale. La Chiesa cattolica e l' Olocausto», pubblicato in Italia nel 2003 da Mondadori

Fonte: Corriere della Sera, 4 gennaio 2005, pag. 33

Augustinus
05-01-05, 15:56
Cristiani per amore o per forza. I due volti secolari della Chiesa

Dai battesimi «non volontari» al rispetto delle famiglie e dei diritti naturali.
PERSECUZIONI I costretti a convertirsi, se tornavano alla loro fede, erano «apostati»
RELIGIONI La questione dei rapporti fra cattolici ed ebrei alla luce dell' orientamento preconciliare, ostile alla libertà di coscienza

Foa Anna

Prosegue il dibattito sul documento riguardante la sorte dei bambini ebrei accolti da istituzioni cattoliche durante la guerra. Si tratta di vicende molto dolorose, che si protrassero per diversi anni prima che il mondo prendesse coscienza della terribile natura della Shoah. Con l' intervento della storica Anna Foa ripercorriamo oggi la secolare discussione avvenuta all' interno della Chiesa riguardo alla pratica delle «conversioni forzate» La polemica suscitata dalla pubblicazione delle istruzioni del 1946 del Sant' Uffizio sul problema della restituzione dei bambini ebrei nascosti e battezzati durante la persecuzione nazista lascia aperte molte questioni che riguardano non soltanto il rapporto tra cattolici ed ebrei nel Novecento ma in genere l' atteggiamento della Chiesa di Roma e le formulazioni del diritto canonico di fronte al problema del battesimo forzato. Il battesimo dei minori contro o in assenza della volontà dei genitori (invitis parentibus) è un caso particolare, anche se estremamente delicato, del problema più generale, affrontato dalla Chiesa fin dall' età tardoantica, della liceità o meno dell' uso della forza nella somministrazione del sacramento battesimale. E le formulazioni del diritto canonico, a loro volta, non sono norme pietrificate, bensì il frutto di un lungo dibattito, di complesse vicende e di molti approfondimenti, distinzioni, trasformazioni. Nel corso dei secoli, la Chiesa romana ha saputo spesso modificare e mettere alla prova della storia le norme che regolavano in questi casi l' imposizione del battesimo, come tante altre sue norme. In alcuni casi, rendendole più duttili, in altri irrigidendole, in altri ancora tentando mutamenti e aggiustamenti che si sono infranti di fronte alle ragioni della politica, dei rapporti con gli Stati, dello spirito dei tempi. Che la somministrazione del battesimo, in quanto sacramento fondato sulla libera accettazione e sulla fede, non dovesse avvenire sotto costrizione, è principio fondante della religione cristiana. Nel caso degli ebrei, esso fu ribadito con forza in alcune lettere di papa Gregorio Magno (590-604), poi confluite nel diritto canonico, in risposta ai molti dubbi che agitavano le autorità ecclesiastiche di fronte al problema dell' «infedeltà» ebraica e alle vicende d' imposizione del battesimo con la forza che qua e là, particolarmente nel mondo bizantino ma non solo, si verificavano. Pochi decenni dopo queste norme gregoriane, i re visigoti, da poco convertiti dall' arianesimo al cattolicesimo, imponevano con la forza la conversione dei numerosi ebrei che vivevano in Spagna. La Chiesa spagnola, con il Concilio di Toledo del 694, sanciva lo stato di fatto con norme giuridiche che, pur vietando in principio la conversione forzata, avallavano, a battesimo avvenuto, la validità di tale conversione. Queste norme sarebbero confluite nel diritto canonico al momento della sua compilazione (secoli XI-XII), in un momento in cui esse, riaffermando il valore ex opere operato (cioè per il solo fatto di essere stato amministrato) del battesimo, contrastavano l' eresia patarina che lo negava. Dopo la conversione imposta dai visigoti, non si verificano nell' Occidente cristiano episodi di uso della forza, almeno non di tale portata da restare nella memoria storica e da costituire un problema per la Chiesa. Il problema rinasce con le crociate e gli attacchi alle comunità ebraiche renane da parte di bande marginali di crociati. In quella circostanza, molte furono le conversioni imposte con la forza. A violenza passata, la Chiesa tedesca accettò senza problemi il ritorno dei convertiti all' ebraismo, nonostante il battesimo. Nello stesso tempo, i giuristi affinarono le norme del diritto canonico approfondendo il concetto di forza (vis). Il battesimo non era valido in caso di «forza assoluta», si finì per stabilire, ma lo era in caso di «forza relativa». Che cosa si doveva intendere per forza relativa? All' inizio del Trecento, le formulazioni del diritto canonico erano ormai precise: la forza era assoluta quando per il battesimo qualcuno veniva legato mani e piedi e immerso nell' acqua mentre continua a protestare a voce alta il suo rifiuto. In tutti gli altri casi, anche sotto la minaccia di una spada, il battesimo, pur se riprovevole, era da considerarsi valido in quanto frutto di «forza relativa» (c' era pur sempre la possibilità di scegliere la spada). Lo imparò a sue spese, Baruch, un rabbino della Provenza convertito nel 1320 a forza da bande di «pastorelli» e poi tornato tranquillamente all' ebraismo addirittura con l' avallo del locale inquisitore. Ma l' arrivo di un altro inquisitore, Jacques Fournier, poi divenuto papa Benedetto XII (1334-1342), lo obbligò, in base alle nuove norme canoniche, a restare nel seno della Chiesa se voleva evitare il rogo come apostata, non prima di lunghe discussioni teologiche che il suo processo ci restituisce in tutta la loro complessità. Le norme del diritto canonico sull' uso della forza sarebbero rimaste da allora stabili, anche se nel Cinquecento esse furono oggetto di molte critiche all' interno della Chiesa. L' occasione fu una vicenda che ancora una volta, e in misura maggiore che durante le crociate, mise la questione della forza all' ordine del giorno nel dibattito teologico e politico: la conversione più o meno forzata degli ebrei spagnoli e quella, forzata anche secondo le restrittive norme canoniche, degli ebrei portoghesi. A Roma, si discusse molto e molto a lungo. Sembra che papa Clemente VII avrebbe voluto consentire ai conversos portoghesi il ritorno all' ebraismo e addirittura accoglierli come ebrei a Roma. Alla fine prevalse però la politica e il rapporto con l' imperatore Carlo V e con i sovrani portoghesi. Il diritto canonico non conobbe mutazioni. Iniziava la questione «marrana», per cui ebrei convertiti più o meno a forza tentavano di tornare all' ebraismo o passavano da un mondo all' altro. Per la Chiesa, erano apostati, passibili di processo inquisitoriale e, in caso di ricaduta nell' eresia, di consegna al braccio secolare (cioè, della pena capitale). Venezia consentì loro, alla fine del Cinquecento, il ritorno all' ebraismo e così la Livorno medicea. Per la Chiesa, erano una ferita aperta, la ferita che dopo le crociate i vescovi avevano previsto e invano tentato di evitare. Ma dopo il Trecento ormai la Chiesa mette in gioco molta parte della sua identità sul problema di convertire gli ebrei, come non era mai stato prima. Dentro questo contesto, in cui la spinta alla conversione diventa dominante, si può collocare e comprendere il problema del battesimo dei bambini ebrei invitis parentibus. La Chiesa accettava senza alcun problema di «potestà» il battesimo di bambini «offerti» da uno dei genitori o dai nonni, mentre per molto tempo fu assai cauta sul battesimo di bambini attuato da persone prive di qualsiasi diritto sul minore (vicini, domestiche). Solo nel Settecento, a partire soprattutto dal pontificato di Benedetto XIV (1740-1758), la Chiesa varò norme molto rigide che aprivano la strada alla sottrazione di minori alla potestà naturale dei genitori. Il caso Mortara, del 1858, ne è l' esempio più famoso. Ma proprio in occasione del caso Mortara, come in altri simili, i memoriali della comunità ebraica, redatti con l' aiuto di canonisti (cattolici), citano precedenti di norme e decisioni che consentivano il permanere nella famiglia ebraica di bambini battezzati, mettendo in accordo il diritto canonico con il diritto naturale, quello che consente ai genitori, come già affermava San Tommaso proprio in riferimento a casi del genere, la potestà sui figli minori. Il quadro che emerge è quello di un diritto canonico molto rigido, lontano dalla nostra sensibilità moderna, ma anche frutto di una storia complessa di accomodamenti e trasformazioni, legate a opzioni politiche non meno che religiose. E anche un diritto che in alcuni momenti storici, come in quello seguito al trauma del battesimo di massa degli ebrei portoghesi, la Chiesa ha tentato di rimettere in discussione. Insomma, un quadro in cui la Chiesa è in grado almeno di cogliere gli eventi, di farne oggetto di riflessione, spinte per il cambiamento. Quello che il documento del 1946 del Sant' Uffizio sembra invece non mostrare, come non mostra il caso, avvenuto ancora più tardi, nel 1953, dei due bambini ebrei contesi in Francia tra la zia naturale e l' asilo cattolico che, salvandoli, li aveva anche battezzati. Ancora pochi anni e molto sarebbe cambiato nella Chiesa, senza per questo nulla togliere al valore cristiano del battesimo. Del resto, come ha ricordato il rabbino Riccardo Di Segni, in un caso simile avvenuto in Polonia il giovane Karol Wojtyla fece di tutto per non fare battezzare e per restituire alla sua famiglia un bambino ebreo sottratto alla persecuzione. Questo vuol dire che le opzioni erano diverse, le scelte possibili diverse. Che, come nel passato, alcuni erano più sordi di altri, meno propensi a ricavare dal trauma della Shoah l' insegnamento che poi ne sarebbe stato tratto, quando il rispetto verso la fede dell' altro sarebbe stato affermato da un cattolicesimo rinnovato.

ARCHIVI Pio XII e Roncalli La direttiva del ' 46 Il dibattito sui bambini ebrei battezzati è cominciato il 28 dicembre con la pubblicazione sul «Corriere» di un articolo di Alberto Melloni che presentava un documento inedito, datato ottobre 1946, in cui Pio XII chiedeva ad Angelo Roncalli, allora nunzio apostolico a Parigi, di non restituire alle famiglie i piccoli battezzati, ma di dare loro un' educazione cristiana. Nel dibattito sono intervenuti Vittorio Messori (29 dicembre), Giovanni Miccoli (30 dicembre) ed Emma Fattorini (31 dicembre). L' autrice Anna Foa (Torino, 1944) insegna storia moderna all' Università La Sapienza di Roma. Si è occupata, tra l'altro, di storia della cultura nel Rinascimento («Ateismo e magia», ed. dell' Ateneo, 1980; «Giordano Bruno», il Mulino) e di caccia alle streghe curando la traduzione italiana della «Cautio criminalis» di Friedrich von Spee E' autrice anche di «Ebrei in Europa dalla peste nera all' emancipazione», Laterza. Recentemente ha pubblicato «Eretici, storie di streghe, ebrei e convertiti», il Mulino

Fonte: Corriere della Sera, 2 gennaio 2005, pag. 27

Augustinus
05-01-05, 15:59
Chiesa e Shoah: ecco perché la verità arrivò tardi

«E non ci sono prove di congiure contro Pio XII, nonostante le accuse di padre Blet»
Intervista allo storico Renato Moro dopo la pubblicazione sul «Corriere» della direttiva vaticana che riguardava i bambini ebrei

Carioti Antonio

Anche se precisa che «i contorni della vicenda restano tutti da chiarire», lo storico Renato Moro, autore del saggio La Chiesa e lo sterminio degli ebrei (Il Mulino), non ha dubbi sul significato da attribuire al documento del 1946, pubblicato giorni fa dal Corriere della Sera, in cui la Santa Sede raccomandava di non riconsegnare i bambini ebrei ospitati nei conventi cattolici francesi durante la guerra. «È la conferma - osserva - che nell' immediato dopoguerra la percezione del problema ebraico da parte della Chiesa, nelle sue grandi linee teologiche e culturali, non risulta modificata dall' esperienza della Shoah. Questo vale per il Sant' Uffizio, per Pio XII e in una certa misura anche per monsignor Roncalli». Pensa che dietro le attuali polemiche possano esserci manovre volte a ostacolare la canonizzazione di Pacelli, come ha sostenuto padre Pierre Blet in un' intervista uscita ieri sul quotidiano Avvenire? «Assolutamente no, non vedo come. Stiamo parlando di un documento d' archivio, che verrà presto pubblicato in una raccolta. E Melloni è uno studioso serio, al di sopra di ogni sospetto. Né credo siano ragioni di ostilità verso Pio XII a motivare il grande rilievo che questi temi ottengono sulla stampa. I mass media non fanno che amplificare la particolare sensibilità che oggi si registra nell' opinione pubblica in materia di diritti umani, specie quando si parla della Shoah. Non sono solo i comportamenti della Chiesa ad essere discussi, ma anche lo scarso impegno delle potenze alleate per salvare le vittime del genocidio. Oggi abbiamo capito quale tragedia fu lo sterminio degli ebrei e guardiamo in maniera critica a coloro che allora non ebbero una percezione piena di quanto era avvenuto». Non le pare che il comportamento del futuro Giovanni XXIII sia contrassegnato da un maggiore spirito di apertura rispetto a Pio XII? «Prima in Turchia e poi in Francia Roncalli, nei suoi incarichi diplomatici, mostra una particolare sensibilità verso le sofferenze subite dagli ebrei. E presta loro aiuto con generosità. Ma a volte affiora in lui l' impostazione tradizionale del problema. Per esempio nel 1943, con la Shoah in atto e ormai nota, esprime disagio per la prospettiva che l' emigrazione ebraica in Palestina porti a compimento il sogno messianico della rinascita d' Israele. D' altronde diversità di vedute sul problema ebraico erano emerse qualche anno prima all' interno stesso del Vaticano». Di che si tratta? «Mi riferisco alla vicenda degli Amici d' Israele, una società cattolica nata per favorire la conversione degli ebrei, ma che poi s' impegnò soprattutto per migliorare i rapporti tra le due religioni e combattere l' antisemitismo. Essa propose di modificare alcune parti della liturgia tradizionale che apparivano poco rispettose verso il mondo ebraico, suscitando a Roma, nel biennio 1927-28, un forte dissidio. La Congregazione dei riti si disse favorevole a quei cambiamenti, mentre il Sant' Uffizio si oppose. Infine il papa Pio XI condannò gli Amici d' Israele, ma anche ogni forma di antisemitismo». Insomma, le istanze poi prevalse nel Concilio venivano da lontano, ma faticavano a imporsi. «È una ricerca da approfondire per comprendere meglio l' evoluzione della Chiesa. Solo così, dinanzi a documenti come quello uscito sul Corriere, si potrà evitare la sterile dialettica tra una reazione scandalizzata e una difesa apologetica. Per questo è auspicabile che si estenda l' apertura degli archivi vaticani realizzata di recente, in modo da consentire agli storici di ricostruire il processo decisionale che portò la Santa Sede a compiere le sue scelte di fronte alla sfida epocale della Shoah, che sottopose a una prova senza precedenti la coscienza religiosa cristiana». Comunque lei sostiene che in un primo momento il genocidio non bastò a modificare l' approccio della Chiesa. «Basta pensare che gli stessi conventi in cui si erano rifugiati gli ebrei accolsero poi molti fascisti e nazisti in fuga, compresi alcuni criminali di guerra: il diritto di asilo veniva riconosciuto anche a loro». Le sembra dunque giustificata la polemica sulla possibile beatificazione di Pio XII? «È una domanda cui non posso rispondere, perché in fatto di canonizzazioni la Chiesa applica criteri propri, ben distinti da quelli del giudizio storico». Non crede che Papa Pacelli si sia dimostrato inadeguato di fronte alla tragedia di Auschwitz? «Certamente a Pio XII sfuggì la specificità dello sterminio razziale, che considerò in modo riduttivo come uno dei tanti orrori perpetrati in guerra. Lo stesso vale tuttavia anche per i governi e le opinioni pubbliche della coalizione alleata. La consapevolezza di ciò che rappresentava la Shoah si fece strada per tutti in modo graduale». Però forse il Vaticano, in base al messaggio evangelico, avrebbe dovuto mostrarsi più sensibile di quanto risulti dal documento del Sant' Uffizio. «Il fatto è che la Chiesa dell' epoca non vede la libertà di coscienza e il dialogo interreligioso come dei valori, perché ritiene prevalente la verità oggettiva e assoluta di cui è portatrice. Non possiamo guardare alla Chiesa del 1946 come a quella di oggi, perché nel frattempo c' è stato il salto storico del Concilio Vaticano II». Il pontificato di Roncalli fu decisivo per avviare il cambiamento? «Sicuramente sì». Antonio Carioti Il dibattito Prosegue il dibattito sui bambini ebrei accolti da istituzioni cattoliche durante l' ultima guerra; in particolare, sulla direttiva vaticana del 1946, avallata da Pio XII, in cui si chiedeva di non restituire alle famiglie i bambini ebrei battezzati. Ieri, in un' intervista su «Avvenire», lo storico Pierre Blet (gesuita, professore alla Gregoriana e autore di «Pio XII e la seconda guerra mondiale», San Paolo) ha parlato di un complotto con lo scopo di impedire la beatificazione di Pacelli Lo studioso Renato Moro insegna Storia contemporanea nell' Università di Roma Tre. Con il Mulino ha pubblicato «La formazione della classe dirigente cattolica. 1929-1937» e «La Chiesa e lo sterminio degli ebrei»: qui esamina le radici profonde dell' antisemitismo cristiano; la visione preconciliare della Chiesa; la storia delle tormentate ricostruzioni della verità, tra la richiesta di perdono da parte di papa Wojtyla e l'ipotesi della beatificazione di papa Pio XII.

Fonte: Corriere della Sera, 3 gennaio 2005, pag. 31

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Quando si vogliono vedere complotti dove non vi sono e non vederli quando, invece, ci sono ... :rolleyes:

Augustinus
05-01-05, 16:01
Ma Pio XII non è mai stato antisemita

CONTROCANTO

Scaraffia Lucetta

Se questo è un uomo, si domanda Goldhagen a proposito di Pio XII. Se questo è uno storico, ci si può piuttosto domandare di fronte alla sua invettiva. Goldhagen mette da parte infatti ricostruzioni storiche e documenti per manipolare i fatti. Per esempio, è un falso grossolano - e segno di ignoranza della struttura e del funzionamento della Chiesa cattolica - sostenere che gli istituti religiosi abbiano salvato gli ebrei contro la volontà del papa. Goldhagen attribuisce poi alla Chiesa di Pio XII un «feroce antisemitismo», senza dire su quali prove sia basata un' affermazione di tale gravità. Come è noto, non esistono prove di alcun tipo che il tradizionale antigiudaismo cristiano sia sfociato in un consenso e in un appoggio all' antisemitismo dei nazisti. Ma è invece proprio sulla base di questo pregiudizio che egli pretende di ricostruire e giudicare le vicende storiche di questo periodo e i loro protagonisti, rivelando in questo modo solo il suo anticattolicesimo. Nel suo furore, Goldhagen va anche contro il senso comune: se davvero la Chiesa avesse sottratto tanti bambini ebrei alle loro famiglie, come mai in tutti questi anni nessuno ha protestato? Sarebbero forse i figli meno importanti del denaro depositato presso le banche svizzere e per riottenere il quale sono state avviate tante cause e istruttorie internazionali? Goldhagen riprende la polemica diffamatoria orchestrata contro Pio XII a partire dagli anni Sessanta per cui sul Pontefice pesa la diffusa tendenza a giudicare senza tenere conto del contesto storico in cui operava. Questo non era certo antisemita - la Chiesa poi antisemita non lo è mai stata, semmai antigiudaica, cosa molto diversa che Goldhagen sembra ignorare - ma non aveva nei confronti degli ebrei la nostra stessa sensibilità. Ci siamo infatti resi conto solo lentamente, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, della mostruosità e dell' entità del crimine perpetrato dai nazisti contro gli ebrei. Subito dopo il conflitto gli ebrei non erano considerati vittime speciali - come avviene oggi - ma vittime tra le altre degli orrori della guerra. Pio XII ha agito di conseguenza, forse frenato anche dal temperamento personale e dalla sua formazione che lo portavano a preferire le tradizionali vie diplomatiche. Insomma, la spaventosa tragedia della Shoah e il modo - tardivo, ma talvolta esasperato - con cui ne abbiamo preso coscienza ci rendono difficile esprimere giudizi equilibrati e scevri da passioni. Tanto più sarebbe opportuno non cadere nella tentazione dello scoop anticipando brani di documenti che avrebbero bisogno di essere approfonditamente studiati.

Fonte: Corriere della Sera, 4 gennaio 2005, pag. 33

Augustinus
05-01-05, 16:07
L' autocritica di John Cornwell: impossibile giudicare Pacelli

L'autore del discusso saggio «Il Papa di Hitler» oggi ammette di aver sostenuto una tesi squilibrata, perché il pontefice, durante il conflitto, aveva una libertà d' azione assai ristretta

IL CASO

Carioti Antonio

Era il più severo accusatore di Pio XII. Cinque anni fa, nel libro Il Papa di Hitler (Garzanti), imputava a Eugenio Pacelli non solo il silenzio mantenuto durante la guerra sul genocidio degli ebrei, ma anche l' opera svolta in precedenza, come nunzio apostolico in Germania e poi come segretario di Stato della Santa Sede, che a suo dire avrebbe favorito l' ascesa al potere di Adolf Hitler e il consolidamento del regime nazista. Ma ora John Cornwell, che ha appena pubblicato un nuovo controverso libro - The Pope in Winter (Viking) - sul pontificato di Giovanni Paolo II, sembra aver cambiato idea. Riferisce l' Economist dello scorso 11 dicembre che lo studioso britannico prende le distanze dal suo saggio più noto, che oggi giudica squilibrato. «Adesso - ha dichiarato Cornwell - sosterrei, alla luce del dibattito e delle nuove acquisizioni che hanno seguito Il Papa di Hitler, che Pio XII aveva una libertà d' azione così limitata che è impossibile giudicare i motivi del suo silenzio durante la guerra, mentre Roma era sotto il tallone di Mussolini e più tardi occupata dai tedeschi». Non è un' autocritica completa e radicale, come si vede, ma senza dubbio denota un atteggiamento di assai maggiore prudenza rispetto alle tesi aspramente «colpevoliste» del passato. Fratello del noto scrittore John Le Carré, il cui vero nome è David Cornwell, lo studioso britannico insegna al Jesus College di Cambridge ed è di religione cattolica. Afferma di aver cominciato a occuparsi di Pio XII proprio per confutare le accuse di indifferenza verso la sorte degli ebrei rivolte al Pontefice, ma di essersi poi convinto, consultando i documenti, che le responsabilità di Pacelli erano ben maggiori di quanto i suoi critici avessero fino allora ritenuto. Certo è che Il Papa di Hitler suscitò un vespaio di polemiche, determinate non solo dall' asprezza della requisitoria rivolta contro Pio XII, ma anche da una certa disinvoltura dell' autore. Emerse infatti nel 2000, dopo la traduzione italiana del saggio (edito in Gran Bretagna nel 1999), che Cornwell aveva presentato come inediti alcuni documenti, relativi all' attività diplomatica del futuro pontefice presso la Repubblica di Weimar, che in realtà erano già stati pubblicati dalla storica italiana Emma Fattorini nel volume Germania e Santa Sede (Il Mulino), uscito nel 1992. Nel merito del contendere, tutti gli studiosi più accreditati hanno rilevato le lacune e l' impostazione sbilanciata del lavoro di Cornwell. E alcuni autori lo hanno preso di mira direttamente. Per esempio Andrea Tornielli, il cui libro Pio XII. Il Papa degli ebrei (Piemme) si è proposto di demolirne le argomentazioni. Nel frattempo sono usciti sull' argomento diversi altri saggi: Pio XII e la Seconda guerra mondiale negli archivi vaticani di Pierre Blet (San Paolo), I dilemmi e i silenzi di Pio XII di Giovanni Miccoli (Rizzoli), La Chiesa e lo sterminio degli ebrei di Renato Moro (Il Mulino). Da ultimo Hitler, la Santa Sede e gli ebrei di Giovanni Sale (Jaca Book). Evidentemente questa produzione di elevato livello scientifico ha dato modo di riflettere a Cornwell, che ora si dimostra disponibile a rivedere le proprie posizioni alla luce dei fatti. Antonio Carioti Lo storico Docente a Cambridge, John Cornwell (nella foto) è noto per il polemico saggio «Il Papa di Hitler» (Garzanti) In Italia è stato tradotto da Garzanti anche il suo libro «La fede infranta»

Fonte: Corriere della Sera, 31 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
05-01-05, 16:14
Fa discutere l' ordine del Sant' Uffizio pubblicato dal «Corriere»

Amos Luzzatto, presidente delle comunità ebraiche: «orrendo» il documento sui bimbi accolti nei conventi «Il Vaticano non può beatificare Pio XII»

Carioti Antonio

C' era da aspettarselo. Il documento del Sant' Uffizio pubblicato ieri dal Corriere della Sera ha riacceso le polemiche sulla possibile beatificazione di Pio XII. A sollevare la questione è Amos Luzzatto, presidente delle comunità ebraiche italiane, che si dichiara «allucinato» e bolla come «agghiacciante» e «orrendo» l' ordine, approvato da Papa Eugenio Pacelli, di non restituire alle famiglie i «bambini giudei» battezzati che avevano trovato rifugio presso istituzioni cattoliche francesi durante l' occupazione nazista. Se il Vaticano deciderà di beatificare comunque Pio XII, nonostante questa scoperta archivistica, Luzzatto non esclude «che vi saranno problemi nei rapporti con gli ebrei». A suo parere, siamo di fronte a una vicenda ancora più grave del famoso caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo bolognese sottratto alla famiglia, perché battezzato, all' epoca di Pio IX, prima che scomparisse lo Stato Pontificio. Il documento infatti, sottolinea Luzzatto, «porta la data dell' ottobre 1946», quando «tutti già sapevano che cosa era successo agli ebrei d' Europa, conoscevano gli orrori dei campi di concentramento». Eppure la decisione del Sant' Uffizio «non fa cenno alcuno» all' Olocausto: «È un documento arido, burocratico - insiste Luzzatto - che non ha nessuna sensibilità, mi spiace dirlo, per la Shoah». La diatriba pare destinata a inasprirsi, visto che sulla sponda opposta padre Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione riguardante Pacelli, sostiene che il documento uscito sul Corriere, «ammesso che sia autentico, non inficia affatto la santità di Pio XII». E si richiama al diritto canonico vigente all' epoca. «Secondo la dottrina prevalente del tempo - spiega Gumpel - se un bambino riceveva il battesimo aveva il diritto ad avere un' educazione cattolica ed era considerato ormai membro effettivo della Chiesa. Ciò lo poneva sotto la giurisdizione dell' autorità ecclesiastica: una vecchia legislazione che non derivava da Pio XII. Lui applicò solo le norme in vigore». Sembra insomma che la vicenda riproponga l' antico e angoscioso dilemma di Antigone: da una parte l' inflessibile dettato delle norme scritte, per giunta religiosamente ispirate; dall' altra il senso umanitario e il rispetto del legame filiale tra bambini e genitori. Ma va aggiunto che le istruzioni del Sant' Uffizio riguardavano anche gli orfani ebrei non battezzati, per i quali si suggeriva che la Chiesa continuasse a farsene carico, a dispetto delle richieste delle comunità israelitiche. Non bisogna dimenticare poi che il nunzio pontificio in Francia Angelo Roncalli (divenuto poi Papa Giovanni XXIII), con una lettera del luglio 1946, aveva appoggiato l' azione del rabbino Herzog, impegnato nella ricerca dei piccoli ebrei accolti nei conventi. Dunque nella gerarchia ecclesiastica potevano manifestarsi atteggiamenti di maggiore apertura, anche se non è chiaro come Roncalli abbia poi accolto la decisione del Sant' Uffizio, posteriore di alcuni mesi alla sua lettera. Peraltro Gumpel avanza delle riserve anche sull' autenticità del documento, chiedendosi perché sia finito in un archivio diverso da quello della Nunziatura. È evidente che la questione merita di essere approfondita in ogni suo aspetto. Antonio Carioti www.corriere.it In rete il documento del Sant' Uffizio

Fonte: Corriere della Sera, 29 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
05-01-05, 16:16
Il giovane Wojtyla agì diversamente

NEL DOPOGUERRA Giovanni Paolo II favorì la restituzione di un ragazzino

Carioti Antonio

«Quando ho letto il documento del Sant' Uffizio uscito sul Corriere, mi è venuto in mente un episodio avvenuto in Polonia nel dopoguerra, quando un giovane prete fece in modo che non fosse battezzato e fosse restituito al suo ambiente d' origine un bambino ebreo affidato a una famiglia cattolica per sottrarlo alle persecuzioni naziste. Quel sacerdote si chiamava Karol Wojtyla». Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, da tempo impegnato nel dialogo con i cattolici, ricorda quella vicenda per sottolineare che anche in epoca preconciliare nella Chiesa convivevano posizioni differenti verso il popolo ebraico. Tuttavia la direttiva del 1946 lo ha impressionato, rafforzando i suoi dubbi sulla canonizzazione di Pio XII. Un altro esponente della comunità romana, Giorgio Israel, autore del libro La questione ebraica oggi (il Mulino), richiama il contesto storico: «Quel documento esprime la tradizionale ossessione della Chiesa di convertire gli ebrei al cristianesimo. Ma dimostra anche quanto grande sia stata la rottura del Concilio Vaticano II e quanta strada sia stata percorsa da allora. La beatificazione di Pio XII sarebbe un passo indietro, ma non certo tale da compromettere le grandi novità positive acquisite a partire dal pontificato di Giovanni XXIII». Eppure lo storico cattolico Giovanni Maria Vian nota che anche Roncalli, prima della Shoah, non era immune da un certo antigiudaismo religioso, che va però tenuto ben distinto dall' antisemitismo razzista: «La decisione del Sant' Uffizio, di cui vanno approfonditi meglio la natura e lo scopo, è la testimonianza di un' epoca di faticosa transizione, in cui comunque la Chiesa di Pio XII agì per salvare dai nazisti un gran numero di ebrei. Oggi i battesimi abusivi impartiti in Francia (assai meno in Italia) ci appaiono una pratica inaccettabile, ma sta di fatto che per la dottrina cristiana un bambino battezzato non è più ebreo e il Sant' Uffizio non poteva che ribadire tale principio, pur consigliando di procedere con prudenza caso per caso». Di Segni capisce, ma non si adegua: «So che per la Chiesa il battesimo ha un decisivo valore sacramentale, ma ciò non toglie che dal nostro punto di vista la decisione del Sant' Uffizio costituisca un' offesa all' istituzione della famiglia e una grave mancanza di rispetto per l' identità ebraica. Quanto alla beatificazione di Pio XII, la Chiesa è libera di indicare ai fedeli gli esempi di virtù che ritiene più appropriati, ma è chiaro che scelte di un certo tipo non agevolano il dialogo interreligioso».

Fonte: Corriere della Sera, 30 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
05-01-05, 16:18
«Quelle parole non implicano scarsa sensibilità sulla Shoah»

INTERVISTA

Casale Anania

«Non credo proprio che il documento pubblicato dal Corriere, di per sé, dimostri una presunta scarsa sensibilità della Chiesa dell' epoca verso la tragedia della Shoah. Sarebbe così se effettivamente numerosi bambini ebrei non fossero stati restituiti alle famiglie dopo la guerra. Ma di episodi del genere non ho mai sentito parlare: se si fossero verificati, con un precedente clamoroso come il caso Mortara, sicuramente sarebbero ben noti». Andrea Tornielli, vaticanista del Giornale e autore nel 2001 del libro Pio XII. Il Papa degli ebrei (Piemme), non vuole polemizzare con Amos Luzzatto, ma invita a non esprimere giudizi affrettati sulla decisione del Sant' Uffizio. Non fa impressione il divieto di restituire i bambini ebrei battezzati ai loro genitori? «Il problema esiste, ma va considerato che il battesimo per la fede cattolica ha un valore straordinario, in quanto muta l' essere della persona che lo riceve, incorporandola nella Chiesa. Comunque il documento, fissata la cornice dottrinale della questione, invita a procedere caso per caso, perché spesso agli ebrei perseguitati e ricercati dai nazisti venivano forniti dei falsi certificati di battesimo». Ma ci sono anche gli orfani non battezzati, che il Sant' Uffizio raccomanda di non consegnare alle comunità ebraiche. «Qui usa però termini più sfumati, afferma che "non è conveniente" sottrarre quei bambini alla tutela della Chiesa. Tra l' altro vorrei sottolineare che Roncalli, nelle sue agende private, non accenna mai a questo documento, mentre parla dettagliatamente di altri temi assai meno rilevanti». Si può dunque ipotizzare che il futuro Giovanni XXIII condividesse la posizione del Sant' Uffizio? «Dico soltanto che è profondamente sbagliato dividere la Chiesa in buoni e cattivi, tracciare una specie di solco invalicabile fra Pio XII e il suo successore, per gettare su Papa Pacelli una luce sfavorevole. Roncalli stesso dichiarò che durante la guerra, a Istanbul, si era adoperato per mettere in salvo un gran numero di ebrei in base a ordini ricevuti da Pio XII».

Fonte: Corriere della Sera, 29 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
05-01-05, 16:19
La beatificazione di Pio XII e le parole di Pasermann

L' APERTURA «Non credo proprio che abbia avuto sentimenti antisemiti»

IL DIALOGO

Il caso sollevato da Alberto Melloni ha nuovamente complicato i rapporti tra la comunità israelitica e la Chiesa cattolica in merito alla beatificazione di Papa Pacelli. Rapporti che avevano conosciuto una qualche distensione dopo che Leone Pasermann, presidente della comunità ebraica romana - in un' intervista a Salvatore Mazza («Avvenire») -, in occasione dei cent' anni della sinagoga aveva dichiarato: «Io non credo che Pio XII abbia mai avuto sentimenti antisemiti, era un pontefice romano, che aveva una conoscenza diretta. Visse in un contesto storico in cui la Chiesa cattolica era ancora permeata di polemica antigiudaica, ma era una cosa comprensibile. Non fu certamente "nazista". Forse poteva esporsi di più per denunciare quello che stava succedendo in Europa, ma probabilmente sono prevalse preoccupazioni di carattere diplomatico. Ma la storia non si fa coi se, e d' altra parte va dato atto a Pio XII di aver facilitato il salvataggio di tanti ebrei, romani e non, aprendo le porte dei conventi e delle chiese. Qualcosa, credo, che ha poi facilitato i progressi successivi». Parole che oggi, probabilmente, verrebbero accompagnate da considerazioni di diverso tenore.

Fonte: Corriere della Sera, 31 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
05-01-05, 16:22
La Chiesa e i piccoli ebrei: il caso del 1953

Anche allora il Sant' Uffizio ordinò di non riconsegnare un bimbo battezzato. Prosegue il dibattito sul documento riguardante la sorte dei bambini ebrei accolti da istituzioni cattoliche durante la guerra. Si tratta di vicende molto dolorose, che si protrassero per diversi anni, prima che il mondo prendesse coscienza della terribile natura della Shoah

POLEMICHE Il documento uscito sul «Corriere» riflette l' orientamento preconciliare ostile alla libertà di coscienza

Miccoli Giovanni

Nel primo dopoguerra la questione di ritrovare i bambini ebrei scampati allo sterminio preoccupava profondamente le organizzazioni ebraiche. «Noi eravamo disperati per la perdita enorme di bambini ebrei nel corso della Shoah. Consideravamo un sacro dovere cercare coloro che si erano salvati» scrisse nelle sue memorie Gerhart Riegner, segretario del Congresso mondiale ebraico. Per ottenere un aiuto in questo senso, egli incontrò nel novembre 1945 monsignor Montini. L' incontro fu insoddisfacente. Riegner ebbe l' impressione che in Vaticano non si avesse l' esatta percezione dell' enormità e della specificità della Shoah. Il viaggio del rabbino Herzog in Francia nel 1946 si situa evidentemente in questo impegno di ricerca. Con la lettera del 19 luglio citata da Melloni, monsignor Roncalli assicurò il suo appoggio, conformemente all' atteggiamento di disponibilità da lui costantemente assunto nel corso della persecuzione. Non vi è traccia peraltro, nelle sue Agende ora pubblicate, di una visita di Herzog a lui (ricevette il figlio nell' ottobre 1948) né sappiamo come egli accolse ed eventualmente commentò le istruzioni del Sant' Uffizio dell' ottobre 1946: che peraltro non a lui sembrano dirette se, come pare, il testo è stato ritrovato in un archivio ecclesiastico francese. Si può pensare dunque che si trattasse della risposta a un quesito indirizzato a Roma da chi si trovava davanti quei problemi. Lo stesso avvenne sette anni dopo, in occasione del caso Finaly, la vicenda di due bambini ebrei che la direttrice di un asilo di Grenoble, dove erano stati accolti, rifiutava, dopo averli battezzati di sua iniziativa nel 1948, di consegnare a una zia residente in Israele. Si trattò di un vicenda che emozionò la Francia e che per un momento oppose duramente la comunità ebraica e una parte del mondo cattolico francese. Impossibile riassumere i termini di un conflitto che si trascinò per sette anni, da un processo all' altro. Ad un certo momento, dopo che la Corte di Grenoble aveva ordinato la consegna dei bambini alla zia, essi furono nascosti e infine portati in Spagna presso un' abbazia benedettina. Fu in questo contesto che il cardinale Gerlier, contattato da una suora di Sion cui la direttrice si era rivolta, consultò il 14 gennaio 1953 il Sant' Uffizio. La risposta scritta gli fu trasmessa il 23 gennaio. Riaffermava il dovere «imprescrittibile della Chiesa di difendere la libera scelta di questi bambini che per il battesimo le appartengono» e invitava a «resistere nella misura del possibile all' ordine di consegnare i bambini, adottando, per modum facti, tutti i mezzi che possono ritardare l' esecuzione di una sentenza che viola i diritti sopra richiamati». Come si vede l' istruzione non si discosta in sostanza dal documento ora pubblicato, al di là di alcuni aspetti particolari che non è qui il caso di analizzare. La vicenda si concluse comunque con la consegna dei bambini alla zia, anche per l' autorevole intervento di alcune figure di spicco della Chiesa e del cattolicesimo francesi (Congar, Rouquette, Marrou, Béguin, ecc.) alla luce del principio che, rispetto al diritto naturale dei genitori, il più fondamentale, la Chiesa deve rinunciare al suo. Grazie a un' opinione pubblica cattolica almeno in parte diversa dal passato, oltre che a circostanze profondamente mutate (la memoria della persecuzione aveva lasciato il segno e anche i primi sensi di colpa, quelli appunto che portarono alla dichiarazione del Vaticano II) non si ripeté un nuovo caso Mortara. Tre osservazioni per concludere. La vicenda dei bambini ebrei nascosti nei conventi o in collegi religiosi è in gran parte da scrivere. Per quel che se ne sa, fu segnata da percorsi umani dolorosi e complessi, da affetti contrastanti e spinte contrapposte, che coinvolsero molti protagonisti. I ricordi di Saul Friedländer, affidato bambino da suo padre a un collegio rigidamente confessionale, con l' autorizzazione di battezzarlo, incline più tardi ad avviarsi al sacerdozio e che grazie a un incontro fondamentale con un padre gesuita avverte l' esigenza di recuperare la propria ebraicità, offrono uno straordinario e lucido spaccato di esperienze in parte comuni, affidate per lo più a sofferte memorie individuali. Sono inoltre persuaso che Riegner avesse ragione: né la Santa Sede né la gran parte del mondo cattolico, secondo quanto del resta avveniva nel primo dopoguerra tra i più, avevano l' esatta percezione della specificità della Shoah. Essa restava confusa tra gli orrori generali della guerra. Pio XII, al chiudersi delle ostilità in Europa, non ne fece cenno nel discorso del 2 giugno 1945. Parlò delle persecuzioni sofferte dalla Chiesa a opera dei nazisti, ma non parlò degli ebrei. Fu la volontà di pochi che, un quindicennio dopo, impose, e non senza difficoltà, al mondo cattolico la questione. Credo inoltre che scrivendo di quegli anni non si debba dimenticare ciò che era la Chiesa preconciliare: avversa in linea di principio alla libertà religiosa e di coscienza, persuasa che solo la verità, di cui essa si affermava unica depositaria, avesse diritto a una piena libertà. Le concessioni in quest' ambito erano dettate dall' opportunità di evitare mali maggiori. Ma quando era possibile i propri diritti andavano riaffermati integralmente. Il caso del documento ora pubblicato ne è un esempio. * autore del libro «I dilemmi e i silenzi di Pio XII» (Rizzoli)

Fonte: Corriere della Sera, 30 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
05-01-05, 16:24
Battesimi forzati, il male oscuro della Chiesa

Una pratica diffusa in Francia durante la guerra. Ma in Italia andò diversamente
DIBATTITO Il documento pubblicato dal «Corriere» testimonia i ritardi clamorosi del Sant' Uffizio nei rapporti con gli ebrei

Fattorini Emma

Durante l' occupazione nazista a Roma, sulle porte dei collegi religiosi, in italiano e in tedesco, si poteva leggere: «Questo edificio serve a scopi religiosi ed è alle dipendenze dello Stato della Città del Vaticano. Sono interdette qualsiasi perquisizione e requisizione». Gli immobili ecclesiastici erano adibiti a una generale e diffusa ospitalità agli ebrei. Una vicenda di grande interesse, ora studiata anche attraverso ricerche sui singoli conventi che confermano quanto già aveva affermato a suo tempo Renzo De Felice: più di quattromila ebrei rifugiati nelle case dei religiosi. Su 10 mila israeliti iscritti alla comunità romana (non tutti, dunque, quelli presenti nell' urbe), circa 1250 furono rastrellati, 252 rilasciati, un migliaio inviati ad Auschwitz. Oltre ai dati quantitativi, il carattere straordinario di questa ospitalità fu la modalità gratuita con cui vennero accolti gli ebrei: il clima di queste improvvisate e inedite convivenze religiose. Fantasia e sentimento, secondo i migliori caratteri della natura italiana, furono l' anima vera di questa accoglienza. Gli episodi e le testimonianze superano l' immaginazione di un codice fatto di regole e di disposizioni: perché non venissero scoperti, gli ebrei spesso indossavano abiti religiosi, si insegnava loro il Padre nostro e accadde che in una ispezione tedesca alcuni furono smascherati perché, pur vestiti da preti, non riuscirono ad arrivare alla fine della preghiera. Si costruivano appositi nascondigli per loro, dove potessero continuare a celebrare il loro culto. In molte occasioni i religiosi cattolici, data l' eccezionalità e l' urgenza del momento, cambiavano le abitudini e i ritmi liturgici del proprio convento. Insomma, pur senza enfatizzare ed esagerare questi episodi, resta vero che, a differenza della Francia, l' aiuto prestato dai cattolici agli ebrei non era condizionato alla conversione o al ricatto economico. Non si è seguita in Italia, almeno non nel periodo della Seconda guerra mondiale, quella pratica di «salvare e convertire», fino alla odiosa requisizione dei bambini ebrei battezzati avvenuta in Francia, su cui sarebbe bene saperne di più. Certo la situazione non è paragonabile. La questione degli ebrei in Francia fu di ben diversa proporzione, per quantità, gravità e durata. La qual cosa rende del tutto convincenti le osservazioni di Giovanni Miccoli - a proposito del documento pubblicato su questo giornale - circa una possibile richiesta di istruzioni a Roma da parte della Chiesa francese. In Francia, probabilmente, gli istituti religiosi furono più rigidi, mentre la vicinanza al Vaticano rendeva quelli romani tradizionalmente più duttili. Del resto, anche se non ci sono a tutt' oggi prove documentarie di un avallo della Segreteria di Stato, è ben difficile continuare ancora a sostenere che Pio XII non sapesse e che l' input non venisse anzi proprio dal Vaticano. Basti pensare all' utilizzo dei palazzi del Laterano per ospitare attività clandestine. Ma le disposizioni del Sant' Uffizio sugli «ebrei convertiti» sono il retaggio di un lungo passato. I battesimi forzati hanno radici lontane, nell' idea messianica e millenaria della Chiesa di convertire gli ebrei, ma anche nel bisogno di controllo del potere politico, pensiamo al marranesimo in Spagna. La Santa Sede non si preoccupava solo di accaparrarsi più conversioni possibili, ma anche di disciplinare queste contaminazioni. È un tema, quello delle conversioni, simulate o reali, al centro di una ormai collaudata discussione storiografica, che andrebbe estesa fino a includere l' età contemporanea. Ben consapevoli che per gli storici contemporaneisti è assai più difficile tradurre categorie storiografiche come simulazione e dissimulazione, operando nel campo della libertà di coscienza e del concetto di laicità. Nella sua storia, lo Stato pontificio, in più occasioni, ha concesso protezioni economiche e sociali in cambio di conversioni. È questo un fenomeno che si incrementò in seguito alla sconfitta di Napoleone nel 1814 e al successivo ritorno del Papa a Roma. Il Sant' Uffizio non ammetteva il battesimo senza il consenso dei genitori, ma lo ammetteva e auspicava in caso di pericolo di vita per il bimbo. E così melanconici e struggenti sono questi racconti sui bimbetti gracili e malati, bocconcini prelibati di conversione. Gli uomini ebrei che si facevano «volontariamente» cristiani, finivano per «offrire» alla Chiesa mogli e figli. Interessanti i casi di resistenza femminile e la sorte di tanti bimbi. L' ordine di rientrare nel ghetto colpì soprattutto gli uomini, che ormai godevano della libertà di uscire per cercarsi un lavoro, mentre le donne e i figli dovevano e preferivano restare dentro. Sulla loro condizione, su cui ormai esistono molti studi (David Kertzer, I Papi contro gli ebrei, Rizzoli 2002; Marina Caffiero, I battesimi forzati, Viella 2004), si possono trarre i primi bilanci. Ne emerge una vita vissuta, cangiante e frastagliata, fatta di tante sfumature esistenziali, di una umanità che cercava di sopravvivere nell' anima e nel corpo spesso con identità indistinte, da cui era difficile ritrovare un' appartenenza confessionale pura, quanto piuttosto, addirittura una terza religione. Questa umanità raccontata da tanti storici modernisti - pensiamo agli studi di Anna Foa - dovrebbe essere anche al centro dell' interesse dello storico della religiosità contemporanea, concentrato troppo univocamente sulle decisioni politiche e diplomatiche delle istituzioni. Della discussione ospitata sulle pagine del Corriere vorrei accogliere il suggerimento avanzato da Giovanni Miccoli, quello di sollecitare più studi sulla sorte dei bambini ebrei, di tutti i bambini, nelle guerre. Penso al caso più noto, quello delle adozioni dei piccoli slavi biondi, resi orfani dai nazisti perché potessero essere germanizzati. Il permanere di alcune deprecabili leggi del Sant' Uffizio anche negli anni Quaranta del Novecento, più evocate che rigidamente applicate, è certamente un fatto odioso e indifendibile da ogni punto di vista, là dove «la legge della conversione» supera la legge naturale dell' amore per i genitori. Ma quanto sia davvero indicativa di una tendenza generale del silente Pio XII, ancora una volta inchiodato allo stereotipo del cattivo contrapposto al nunzio Roncalli, è difficile da dedurre, almeno da questa vicenda.

Fonte: Corriere della Sera, 31 dicembre 2004, pag. 37

Augustinus
06-01-05, 18:20
Altri articoli da Avvenire, postati QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=140483)

Serie di articoli del Corriere, v. QUI (http://www.corriere.it/speciali/2005/Cronache/PioXII/).

Botta e risposta: v. QUA (http://www.clonline.org/articoli/ita/pioXII_articoli.htm) ed ancora QUA (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=22038).
V. infine anche QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=183974)

Augustinus
07-01-05, 22:45
Lo storico interviene sui rapporti tra Pio XII e Shoah

«La direttiva vaticana sui bambini ebrei battezzati rischia di scatenare un uso giudiziario della storia» Rumi: c' è un nuovo pericolo L' inquisizione anticattolica I SOSPETTI «Non mi stupirei se si arrivasse a mettere sotto accusa anche Montini» LE ACCUSE «Goldhagen difende i valori umani, ma non li applica a papa Pacelli»

IL DIBATTITO

di Fertilio Dario

Tira una brutta aria, un' aria di tempesta, intorno all' affaire Pacelli. Ma poi, perché identificarlo soltanto con Pio XII? Le ultime rivelazioni sulla direttiva vaticana alla chiesa francese, riguardo i bambini ebrei battezzati da non restituire alle famiglie, chiamano in causa anche l' allora nunzio a Parigi, Angelo Giuseppe Roncalli. E ancora, come escludere che le polemiche si arrestino di fronte al mito del Papa Buono? La catena dei sospetti potrebbe ragionevolmente allargarsi e coinvolgere altri: persino l' allora massimo responsabile della diplomazia vaticana, Giovanni Battista Montini. Ma in ogni caso, è questa «brutta aria» che preoccupa più di tutto lo studioso cattolico Giorgio Rumi. E per «brutta aria» intende il rischio che si metta in moto una specie di «nuova Inquisizione» anticattolica, una macchina processuale volta ad ottenere comunque, in ogni caso, una qualche forma di condanna. L' articolo dello storico Daniel Jonah Goldhagen, pubblicato l' altro ieri dal Corriere della Sera, culminava in un durissimo atto d' accusa a Pacelli, nella richiesta di istituire una commissione internazionale per giudicare tutta la vicenda, e, in sostanza, nell' invito a interrompere qualsiasi processo di beatificazione in corso, almeno fino a quando non sia stata accertata la verità. Se non che, ora, la prospettiva si presenta un po' differente. Infatti, l' affaire si è messo in moto quando lo storico Alberto Melloni ha rivelato, sempre sul Corriere, l' esistenza della direttiva vaticana, avallata da Pio XII, che riguardava i bambini ebrei da confermare nella fede cattolica. Ma se noi ora scopriamo di avere a disposizione soltanto una sintesi in francese, vergata da Angelo Giuseppe Roncalli, su che si basano le accuse rivolte a Pio XII? «Questo strano caso finisce a coda di topo - sostiene Giorgio Rumi - dal momento che si reggeva principalmente sull' atto d' accusa di Goldhagen». Perché è vero, secondo Rumi, che l' innesco dell' incendio risale alla pubblicazione del documento scoperto da Melloni; però è stato Goldhagen a trasformare la scoperta del documento in una vera e propria requisitoria, con tanto di bollo d' infamia «criminale» impresso sulla memoria di Pacelli. E dunque? La lista dei «cattivi» si allunga. «Prima Pacelli, del quale si dice che avrebbe in ogni caso avallato il famoso documento, benché non ne esistano prove. Poi Roncalli, in quanto suo esecutore materiale. Domani, non ci sarebbe da stupirsi se si arrivasse a un terzo "criminale", cioè Giovanni Battista Montini, con la motivazione che, nella sua qualità di massimo responsabile della diplomazia vaticana, non avrebbe potuto non sapere quel che stava accadendo...». Un punto fermo, tuttavia, sembra esserci. Il testo, conservato negli «Archivi della Chiesa di Francia», reca l' intestazione della Nunziatura di Parigi, e dunque doveva essere stato avallato per forza da Roncalli. Ma Giorgio Rumi non intende affatto accontentarsi di questa spiegazione. E si chiede: «Che vuol dire "Carta della Nunziatura"? È firmata? È un dattiloscritto e porta una sigla? Oppure è scritta a mano, con i caratteri della sua calligrafia inconfondibile, e dunque l' autore potrebbe essere identificato senz' ombra di dubbio?». E poi ci sono altri interrogativi che Rumi considera decisivi. Ad esempio: è sicuro che i vescovi francesi abbiano ricevuto quel documento così scottante? Nell' archivio della diocesi di Parigi non dovrebbe essere difficile ritrovarlo, visto che sono passati poco più di cinquant' anni. Ma se invece non si trovasse? Vorrebbe dire che non è mai stata spedita, e di conseguenza bisognerebbe chiedersi il perché. Rumi si spinge fino a ipotizzare che possa essersi trattato di una riflessione privata, di un dubbio messo per iscritto, di un documento che si inserisce in dossier più ampio e del quale (come risulta in effetti dai primi esami) alcune parti risulterebbero mancanti. Ancora: si potrebbe avanzare l' ipotesi, benché estrema, di una manipolazione, addirittura di un falso? Su questo Rumi preferisce procedere con cautela. «Bisognerebbe prima chiarire il concetto di falso. Potrebbe trattarsi di una manipolazione avvenuta in anni lontani, con chissà quali scopi, oppure di una faccenda concepita oggi. Io ricordo ancora - aggiunge - le lettere false, attribuite a De Gasperi, con cui si chiedeva il bombardamento alleato delle città italiane. Chi le scrisse, in realtà? Non si è mai saputo di preciso, però si arrivò comunque ad accertare, in tribunale, che De Gasperi non le aveva mai scritte. Fu così che Guareschi, dopo averle pubblicate, arrivò a pentirsene amaramente». Altri elementi, in questo affaire, confortano i dubbi di Giorgio Rumi. Per esempio il fatto che la diplomazia francese del tempo, che all' ambasciata presso la Santa Sede era rappresentata da intellettuali come Maritain e d' Ormesson, non fece mai alcun riferimento a questo episodio. E non ne accennò neppure un grande politico del tempo, il ministro degli esteri Bidault. Interrogativo dopo interrogativo, l' affaire somiglia sempre più ad un giallo, ma Rumi preferisce non lasciarsi intrappolare nel gioco delle ipotesi. «Il problema centrale - afferma - è un atteggiamento sbagliato che riguarda l' uso della memoria. Uno storico non è un boia. E invece, anziché essere umile di fronte alle testimonianze del passato, spesso finisce per metterlo al servizio di un disegno oscuro». Ma bisognerà pure consentire a qualcuno, storico o no, di giudicare i crimini del passato... Su questo punto Rumi non è d' accordo. «Il passato è da comprendere, perché se lo si va a esaminare con spirito inquisitorio, si finirà sempre con lo scoprire fatti negativi: il feudalesimo, le monarchie nazionali, la guerra delle grandi potenze, l' imperialismo: tutto un museo degli orrori». E gli aspetti positivi? «Ancora più pericolosi. È sbagliatissimo andare a cercare nella notte del passato quelle lucciole, quei bagliori e anticipazioni di un presente caro a noi. Perché allora anche la difesa dei valori umani, che suppongo cara a Goldhagen (anche se non la applica a Pacelli) finisce per tramutarsi in una faccenda giudiziaria». Ecco il vero, grande timore di Rumi: che i fatti del passato vengano sottoposti al tribunale del presente, secondo una prassi giudiziaria basata su elementi fragili, mutevoli, condizionati dalla logica della corte d' assise e non della libera ricerca. «Perché una cosa sono i valori, e quelli si possono basare su un romanzo di Primo Levi, un film dedicato a Perlasca, le statistiche sui deportati nei campi di concentramento. Un' altra la commissione d' inchiesta, spesso accompagnata da un' ansia degna di una nuova Inquisizione». Qui già si nasconde, per Rumi, il maccartismo oscurantista. Tanto più, aggiunge, «che di Inquisizione ne abbiamo già avuto una, non vedo perché affidarne un' altra a Goldhagen, qualunque siano le sue intenzioni». C' è un emendamento della Costituzione americana caro a Rumi, quello che vieta di fare pressioni indebite sulle religioni altrui: andrebbe applicato anche da noi. Perché «non importa se l' Inquisitore sia buono o cattivo, duro o moderato. Che la sentenza preveda un rogo per il condannato o la semplice imposizione di un berretto, la penitenza o uno scappellotto: quel che conta è la licenza in sé che gli storici si attribuiscono di proclamare un verdetto». E se il vero scopo fosse quello di impedire la beatificazione di Pacelli? «Entrerebbe in campo James Bond», scherza Giorgio Rumi. «Però l' affaire, in sé, non cambierebbe».

Fonte: Corriere della Sera, 6.1.2005, pag. 29

Augustinus
07-01-05, 22:47
E a Parigi scatta la caccia al documento originale

IL DIBATTITO INTERNAZIONALE

PARIGI - La stampa francese e internazionale ha dato ampio spazio al documento pubblicato dal Corriere della Sera sugli ordini di Pio XII trasmessi nel 1946 dal nunzio Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Ieri, Le Figaro ha affrontato la questione riassumendo l' articolo dello storico Alberto Melloni nelle pagine di cronaca nazionale e interpellando il gesuita Peter Gumpel, incaricato di istruire il processo di beatificazione di Pio XII, e lo storico e gesuita Pierre Blet. Tra i primi ad approfondire la notizia anche il quotidiano cattolico La Croix che ha pubblicato un ampio articolo il 3 gennaio, facendo intervenire padre Jena Dujardin, ex segretario del Comitato Episcopale per le relazioni con il giudaismo, ed altri storici. Il documento è stato ripreso anche dall' agenzia France Presse, dalla Reuters e dall' Agenzia di stampa internazionale cattolica Apic, che ha sede in Svizzera, oltre che dal settimanale israeliano Haaretz, l' esclusiva del Corriere ha fatto il giro del mondo aprendo un dibatto internazionale.

Fonte: Corriere della Sera, 6.1.2005, pag. 29

Augustinus
07-01-05, 22:49
«La lettera discussa? Fu proprio lui a scriverla»

PADRE GUMPEL

di Accattoli Luigi

Chi ci dice che il documento sui bambini ebrei pubblicato dal Corriere della Sera il 28 dicembre sia stato - in quella forma - «trasmesso dal Sant' Uffizio al nunzio apostolico Angelo Roncalli»? Pone questa domanda il relatore della causa di beatificazione di Pio XII, il gesuita Peter Gumpel, affermando d' aver saputo da Parigi, nella mattinata di ieri, che l' originale francese di quel testo, conservato negli «Archivi della Chiesa di Francia», è redatto su un foglio con l' intestazione della Nunziatura di Parigi, di cui Angelo Roncalli era titolare. In attesa di poter vedere e studiare quel documento, il relatore della causa formula questa ipotesi sull' origine del testo: che si tratti di una «comunicazione abbreviata» ai vescovi francesi delle indicazioni venute da Roma; una comunicazione redatta dalla stessa Nunziatura e da mettere dunque sotto la responsabilità, quanto alla forma, dello stesso nunzio Roncalli. Il documento anticipato dal Corriere della Sera farà parte dell' apparato documentario del volume Anni di Francia. Agende del nunzio Roncalli 1949-1953, che uscirà alla fine del 2005 a cura dell' Istituto per le Scienze religiose di Bologna. Padre Gumpel afferma con sicurezza che quel testo «non è uscito in quella forma da un ufficio della Santa Sede» e nega che esso autorizzi a ipotizzare - come è stato fatto - un contrasto tra Pio XII e il nunzio Roncalli in merito alla questione dei bambini ebrei, «affidati a istituzioni e famiglie cattoliche» per proteggerli dalla persecuzione nazista e - finita la guerra - «reclamati» da istituzioni ebraiche. Forse le cose - dice Gumpel - sono andate così: i vescovi francesi chiedevano indicazioni su come comportarsi di fronte a quelle richieste di «restituzione» dei bambini; il Sant' Uffizio ha trasmesso - in una forma che non conosciamo - le sue indicazioni; il nunzio Roncalli ha provveduto a sintetizzarle, in lingua francese e a trasmetterle ai vescovi. Tale ipotesi spiegherebbe anche il fatto che l' originale del testo - pubblicato dal Corriere della Sera in traduzione italiana - sia in lingua francese. Perché tante domande sulla forma di quel documento? Esso non è già abbastanza chiaro nel suo contenuto? Non è evidente in esso un' impostazione tradizionale, ispirata all' idea della conversione degli ebrei al cattolicesimo e una conseguente resistenza alla «restituzione» dei bambini, con il rifiuto di restituire quelli che nel frattempo erano stati battezzati? Per il relatore della causa tutto questo è vero e fa parte appunto dell' atteggiamento tradizionale, che «era perfettamente condiviso dal nunzio Roncalli». Gumpel ritiene inverosimile ipotizzare che il nunzio potesse «disattendere» - come è stato affermato - le direttive venute da Roma. E non solo perché era «tenuto» ad applicarle, ma perché le «condivideva». In materia di «conversione degli ebrei» probabilmente - secondo il relatore della causa pacelliana - «il nunzio Roncalli era più tradizionalista di Pio XII». Secondo Gumpel la causa di beatificazione di papa Pacelli sta andando avanti «in maniera soddisfacente». La «positio» - cioè la proposta del riconoscimento delle «virtù eroiche» - è stata depositata l' estate scorsa, dopo quasi un ventennio di lavoro e attualmente è allo studio da parte dei «consultori storici». Dovrà poi essere esaminata dai «consultori teologi» e infine passerà - con la valutazione degli uni e degli altri - all' esame dei cardinali e dei vescovi che compongono la «congregazione» per le cause dei santi. Impossibile fare previsioni sui tempi, ma - assicura Gumpel - papa Giovanni Paolo II è favorevole a una conclusione in tempi «ragionevolmente rapidi». Una «revisione» del giudizio «stroncatorio» su Pio XII sarebbe in atto, tra gli storici, in vari Paesi, dalla Francia alla Germania, agli Usa e con «buona risonanza» anche in ambienti ebraici. Le «uscite polemiche» di chi è contrario alla beatificazione di papa Pacelli non impensieriscono il relatore, che le definisce «battaglie di retroguardia». Luigi Accattoli

Fonte: Corriere della Sera, 5.1.2005, pag. 35

Augustinus
07-01-05, 22:58
IL PAPA BUONO. Il vero volto di Roncalli al tempo della Shoah

Il dibattito sulle conversioni forzate dei bambini ebrei e le responsabilità del Vaticano coinvolge, accanto a Pio XII, anche il futuro Giovanni XXIII, all' epoca nunzio a Istanbul e Parigi. Lo storico Zunino sottolinea la sua ammirazione per Mussolini e la Germania, mentre Cavalleri mette in discussione il mito del pontefice «progressista»

IL CASO.

Fertilio Dario

E adesso vacilla il mito di Giovanni XXIII. La polemica sui battesimi forzati dei bambini ebrei, dopo aver coinvolto la figura già discussa di Pio XII, lambisce persino il Papa buono. Prima ancora che un beato, tanti fedeli vedono in lui una figura rassicurante, l'incarnazione della chiesa dal volto umano, l' immagine popolare del nonno che benedice i nipotini. E naturalmente ricordano l'autore del magistrale discorso dal balcone, quello della «magnifica luna» e della «carezza del Papa» da portare a casa e dedicare ai bambini. Come si concilia questa figura con l'altra, antecedente di vent'anni, ai tempi della nunziatura a Istanbul durante la guerra, così ossequiosa e addirittura allineata alla propaganda fascista? Come spiegare che l'uomo del Concilio e dell'apertura a sinistra, dell'amicizia con Kennedy e del dialogo con i marxisti, potesse ammirare la Germania hitleriana ancora negli anni in cui si preparavano i campi di sterminio per gli ebrei? Possibile che lo stesso personaggio, incarnazione già nei tratti fisici campagnoli della tolleranza religiosa e dell' indulgenza cattolica, avesse sintetizzato di suo pugno, in francese, la direttiva vaticana che prevedeva di non restituire alle famiglie ebree i bambini ebrei sottratti ai nazisti, e battezzati? Questo Giuseppe Roncalli uno e due, contraddittorio almeno in apparenza, dal comportamento addirittura inspiegabile, emerge da nuove testimonianze storiche che sembrano mutarne il profilo. E dunque suggeriscono una diversa lettura della sua figura: ortodossa, allineata alle direttive vaticane, diplomatica e astuta, prigioniera dei pregiudizi antigiudaici del tempo. E soprattutto vittima del mito «buonista» che, quando era ancora in vita, gli era stato costruito attorno. Ripercorriamo la vicenda. Lo storico Alberto Melloni pubblica sul «Corriere», nei giorni scorsi, il documento vaticano dell' ottobre 1946, avallato da Pio XII, dedicato ai «piccoli giudei» che «se battezzati, devono ricevere un' educazione cristiana». Immediatamente la stampa internazionale, non solo europea, scatena una polemica sulle effettive responsabilità di Papa Pacelli, quasi a rinfocolare antiche accuse sul suo «antisemitismo» connivente con il regime nazista. Storici come Goldhagen si spingono fino a chiederne la condanna, escludendolo da qualsiasi futuro processo di beatificazione; ieri, invece, lo studioso Matteo Luigi Napolitano, sul Giornale, ridimensiona la portata del documento, negando che si riferisca a singoli casi di bambini ebrei sottratti ai genitori, se mai alle organizzazioni sioniste che intendevano fare emigrare i piccoli (compresi quelli battezzati) in Israele. Nemmeno il tempo di rifiatare, ed ecco su Avvenire il padre gesuita Peter Gumpel, relatore della causa di beatificazione di Pio XII, esporre i suoi dubbi. Uno, in particolare: perché mai il documento al centro della polemica è scritto in francese, dal momento che si tratta di una comunicazione rivolta dal Sant'Uffizio romano al nunzio di Parigi, l'italiano Giuseppe Roncalli? Già, perché nel fervore della polemica è scivolato in secondo piano un particolare importante: colui che avrebbe dovuto seguire le indicazioni vaticane a proposito dei bambini ebrei altri non era se non il futuro Giovanni XXIII (all'epoca già intorno ai 65 anni), il famoso «Papa buono». Domanda pertinente, quella di Gumpel, che oggi trova risposta: probabilmente era stato proprio Roncalli a redigere quella sintesi in francese (esagerando forse nella semplificazione) per informare delle direttive vaticane la chiesa di Francia. E dunque? Come è possibile continuare a contrapporre Pio XII a Giovanni XXIII, dal momento che quest'ultimo ne era il subordinato, e fedele collaboratore? Ecco il punto, già sottolineato da Matteo Luigi Napolitano sul Giornale: come mai Roncalli non annotò, nelle agende cui affidava i suoi pensieri, nemmeno una riga sulla questione delle persecuzioni naziste, né tanto meno sulla sorte dei «piccoli giudei»? E' vero che, da Istanbul, si era adoperato per assistere praticamente molti ebrei perseguitati. Ma perché, quando osò manifestare le sue perplessità alla Santa Sede durante la Shoah, fu soltanto a proposito della emigrazione degli ebrei in Palestina e della pericolosa utopia sionista, cioè la ricostruzione del «regno d' Israele»? Domande che sembrano già aprire un nuovo capitolo «revisionistico», questa volta su papa Giovanni. Del resto gli «elementi d'accusa» non sono di oggi: ne è testimone Pier Giorgio Zunino, che insegna storia contemporanea all'università di Torino, e che più di un anno fa ne La Repubblica e il suo passato (edito dal Mulino) portò alla luce alcuni documenti sorprendenti su Giuseppe Roncalli. Sono lettere spedite ai familiari in due periodi diversi quando era nunzio in Turchia: nel 1940, e tre anni più tardi. Nel '40 il futuro Papa dichiara la sua ammirazione non solo per Mussolini, ma anche per la Germania, che ai suoi occhi ha dato prova di ammirevole compattezza nazionale al momento della fulminea vittoria sulla Francia. La società tedesca, commenta, è fatta di uomini «pronti e forti», ben meritevoli di imporsi sulla «sfibrata democrazia francese». Di più: con un incauto parallelismo evangelico paragona i tedeschi di Hitler alle «vergini sagge» che conservano l'olio della fede, mentre i francesi aggrediti gli appaiono simili alle «vergini stolte» (ma i passi più delicati verranno significativamente soppressi nella prima edizione dell' epistolario giovanneo, curato da monsignor Loris Capovilla nel '68). Tre anni più tardi, fra il luglio e l'agosto del '43, quando dunque le notizie sugli orrori della guerra e dello sterminio ebraico si sono diffusi, Roncalli raccomanda ancora ai familiari di mantenere «fiducia immutata» nel regime fascista, con l'aggiunta della esortazione: «Voi lavorare, pregare, soffrire, obbedire, e tacere tacere tacere». C'è qualcosa di cui meravigliarsi? Certamente no, secondo Pier Giorgio Zunino, convinto che «la visione religiosa di cui era imbevuto e portatore, l'età già avanzata e l'alto grado nella gerarchia ecclesiastica, la sua stessa cultura lo portavano a sposare l'idea di una Chiesa capace di acquisire il maggior numero possibile di fedeli e di anime». Ma l'appoggio al nazismo e al fascismo? «E' l'esempio di una tradizione culturale che vedeva nell' obbedienza assoluta all'autorità, qualunque fosse, un valore assoluto. Dunque, una società gerarchica, in cui tenere nettamente separati gli obblighi di chi comanda e chi deve obbedire». Per cui, afferma Zunino, il messaggio di Roncalli ai familiari durante la guerra si può sintetizzare così: non preoccupatevi delle scelte politiche italiane, c' è chi ha scelto per voi. Si profila, dunque, un Roncalli «perfettamente inserito nella cultura cattolica di maggioranza, allineato al fascismo, estimatore della Controriforma (di cui era stato uno studioso), pronto a riconoscere alla Germania il ruolo di nazione guida dell'Europa, nemico del comunismo sovietico ma anche sospettoso delle democrazie occidentali, considerate anticattoliche». E come si spiega il suo chiudere gli occhi di fronte alle persecuzioni naziste degli ebrei? «La domanda - secondo Zunino - non trova risposta sulla base dei documenti. Del resto, pochissime personalità cattoliche furono coscientemente antifasciste. Probabilmente - aggiunge - la dimensione apocalittica del nazismo per molto tempo non venne percepita». Nemmeno nel '43, quando alla nunziatura di Istanbul molte cose dovevano essere note? «Direi che in quel caso si adeguò - risponde Zunino - con un atteggiamento da alto burocrate». Resta da spiegare l'evoluzione del suo pensiero e il suo passaggio brusco da cardinale conservatore a uomo del Concilio, dell'apertura a sinistra, del dialogo. Ci fu, da parte sua, soltanto un adeguarsi, un cogliere «i segni del tempo»? Oppure, come ricorda Cesare Cavalleri, direttore di Studi cattolici, «tutti i documenti dottrinali e gli interventi di Giovanni XXIII attestano la sua stretta e rigorosa ortodossia»? Tanto è vero - ribadisce Cavalleri - che «il Concilio era stato affidato, nella fase preparatoria, al più che ortodosso cardinale Ottaviani» e nelle intenzioni del Papa tutto avrebbe dovuto concludersi «entro Natale». Poi si sa come andarono le cose: lo Spirito soffiò dove voleva, e soprattutto nacque il mito del «Papa buono», con il contorno pittoresco di piatti, scialli e statuette che riproducevano un Roncalli pacioso e gioviale mentre stringeva la mano a John Kennedy, l'uomo della nuova frontiera, o riceveva nel suo studio il direttore della sovietica Isvestija. «Mito fasullo e posteriore - secondo Cavalleri - di cui finì col restare prigioniero quando era ancora in vita. E dire che la sua abilità diplomatica, molto poco campagnola, si era già vista a Parigi, quando aveva messo in campo mondanità, diplomazia e persino alta gastronomia (aveva assunto il miglior cuoco di Parigi) per servire la causa vaticana». E il suo vero spirito, fuori dalla mitologia? «Battagliero, addirittura ascetico». E allora, a chi giovò la creazione di quel mito? «Fu contrabbandato come tale da teologi del nord, belgi olandesi e tedeschi, personaggi come Schillebeekx, Küng, Alfrink, e finì con l'intaccare l' impianto della morale tradizionale. Ebbe come conseguenza la chiusura dei seminari e la perdita delle vocazioni. E gli effetti di quella strumentalizzazione, l'immagine di un Papa dialogante e aperturista anche con i marxisti, portò a quella teologia della liberazione che ha devastato l'America Latina». Prigioniero del mito o vittima del post Concilio? «Tutt'e due le cose», per Cavalleri. Ma proprio per questo, meritevole della beatificazione. E comunque, di fronte al giudizio della storia, «non colpevole» il papa buono.

LA DIRETTIVA DEL 1946 Continua il dibattito sui bambini ebrei accolti dalle istituzioni cattoliche durante la Seconda Guerra mondiale iniziato lo scorso 28 dicembre con la pubblicazione sul Corriere della Sera della direttiva vaticana del 1946: un documento, avallato da papa Pio XII, in cui si chiedeva di non restituire alle famiglie i piccoli ebrei battezzati Durante il conflitto, i bambini provenienti da famiglie israelite erano stati nascosti nei conventi francesi e, secondo il contenuto di una decisione del Sant' Uffizio di cui il Papa era a conoscenza, non avrebbero dovuto essere restituiti ai genitori né essere affidati a istituzioni che non avrebbero assicurato loro «un' educazione cristiana» Dal 28 dicembre, sull'argomento sono intervenuti, tra gli altri, Alberto Melloni, Amos Luzzatto, Vittorio Messori, Giovanni Miccoli, Emma Fattorini, Renato Moro, Anna Foa, Daniel Jonah Goldhagen e Lucetta Scaraffia

IL PONTEFICE BERGAMASCO Angelo Giuseppe Roncalli (Sotto il Monte, Bergamo, 1881-Roma, 1963) divenne papa nel 1958 con il nome di Giovanni XXIII. Fu Nunzio apostolico a Parigi dal ' 45 al ' 53 e patriarca di Venezia dal ' 53 al ' 58 Convocò il sinodo della diocesi di Roma, avviò la riforma del codice di diritto canonico e nel 1962 indisse e avviò i lavori del concilio ecumenico Vaticano II, nel segno dell' «aggiornamento» e della libertà di dialogo all' interno della Chiesa. Motivò l' impegno sociale dei cristiani nelle encicliche Mater et magistra (1961) e Pacem in terris (1963)

Fonte: Corriere della Sera, 5.1.2005, pag. 35

Augustinus
14-01-05, 22:01
Segnalazione di lodevole articolo (v. QUI (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=141771). :) :) :))

Augustinus
15-01-05, 15:00
IL CASO
Nella testimonianza dell'ex generale delle Ss Wolff i dettagli del piano con cui il Terzo Reich intendeva ridurre al silenzio il Papa

Hitler: rapite Pio XII

Tra i capi d’accusa contro il Pontefice il suo atteggiamento «amichevole» verso gli ebrei. Dopo il blitz, il prigioniero sarebbe stato recluso in un castello tedesco

L’«Operazione Rabat» era prevista per la primavera del 1943. Ma il vero obiettivo consisteva nella cancellazione del cristianesimo Al suo posto sarebbe stata imposta la nuova «religione universale» nazista

Da Roma Salvatore Mazza

«Ricevetti da Hitler in persona l'ordine di rapire Papa Pio XII...». Così afferma Karl Friedrich Otto Wolff, Obergruppenführer di Stato Maggiore delle SS e generale delle Waffen SS, già capo della segreteria personale di Heirich Himmler e poi Hoechster SS und Polizei-Führer (ovvero capo supremo delle SS) in Italia, nella memoria scritta depositata il 24 marzo del 1972, sugli eventi che rischiarono di modificare il quadro degli ultimi anni di guerra. È una memoria che conferma la forse più delirante idea hitleriana: rapire Pio XII e "cancellare" il Vaticano. Se non il cristianesimo.
Solo un delirio? Tutt'altro. Un progetto meditato per anni, e messo a punto nei dettagli. Del quale la testimonianza di Wolff offre il tassello mancante, utile a definire un capitolo finora mai veramente chiarito della seconda guerra mondiale, che rivela una volta di più quanto profondo fosse l'odio di Hitler verso un Papa Pacelli considerato «antinazionalsocialista» e «amico degli ebrei». La testimonianza di Wolff, che si trova oggi tra le carte della Causa di beatificazione, fu raccolta a Monaco di Baviera, dove si svolse uno dei sette processi rogatoriali per la Causa di Pacelli (gli altri, accanto al processo principale di Roma, hanno ascoltato testimoni a Genova, Varsavia, Lisbona, Montevideo, Berlino e Madrid). Quando già da vari anni sulla figura di Pio XII, a dispetto della storia e dei riconoscimenti arrivatigli da ogni parte per l'azione a favore degli ebrei, si era proiettata l'ombra diffamatrice di Il Vicario, di Rolf Hochhuth (del 1963).
Wolff aveva già deposto al processo di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti su diversi aspetti del conflitto in Italia. Accennando anche al fatto che Hitler nella primavera del 1943 gli aveva ordinato di procedere con il sequestro di Papa Pacelli, ma che in quell'occasione era riuscito a distogliere il Führer dalle sue intenzioni. Stranamente però, come lamentava nel 1972 lo storico gesuita Robert Graham, a Norimberga proprio la questione del progettato sequestro del Papa non fu approfondita. Cosa che invece Wolff fece nel '72 a Monaco, rivelando - a quanto risulta - che dopo l'8 settembre l'insistenza di Hitler per eseguire il piano andò facendosi ogni giorno più parossistica.
Ai primi di maggio del 1944 Wolff, nel quartier generale di Hitler, ricevette probabilmente una sorta di ultimatum. Gli eventi, in Italia, sono precipitati, e Hitler non tollererà altri rinvii né pretesti. Rientrato a Roma, tuttavia, il comandante delle SS chiese - forse attraverso l'ambasciatore Weizsäcker, che era al corrente del progetto - di poter incontrare il Pontefice «per riferire di questioni gravi e urgentissime riguardanti la sua persona», come aveva fatto comunicare al Papa. L'udienza avvenne la sera del 10 maggio, a meno di un mese dalla fuga da Roma dei tedeschi nella notte tra il 4 e il 5 giugno successivi. Il generale, in borghese, fu accompagnato in Vaticano dal Superiore dei Salvatoriani padre Pancrazio Pfeiffer (che per tutta la guerra fu la longa manus di Pacelli nella sua opera di aiuto agli ebrei). Al cospetto di Pio XII Wolff riferì circa le intenzioni di Hitler, esortando il Pontefice a stare in guardia perché, se lui non avrebbe in nessun caso eseguito l'ordine, la situazione era comunque confusa e irta di rischi. Il Papa chiese allora a Wolff, come dimostrazione della sua sincerità, la liberazione di due condannati a morte, cosa che il generale fece il 3 giugno (uno dei due era Giuliano Vassalli).
Secondo la ricostruzione di Graham (che non era al corrente della testimonianza di Wolff a Monaco di Baviera) per rapire Pio XII si sarebbero mobilitate le SS, mentre a "mettere al sicuro" gli archivi vaticani ci avrebbero pensato i Kunsberg-Kommando, organizzazione delle stesse SS specializzata nella catalogazione di documenti. Il Papa «sarebbe stato portato al Nord e installat o nel Castello di Lichtestein, nel Württemberg» (località che le "voci" del tempo avrebbero storpiato, confondendo il Castello col Principato del Liechtenstein).
Nel romanzo semi-autobiografico Monte Cassino lo scrittore danese Sven Hassel - ex combattente del 27° battaglione di disciplina della Wehrmacht, l'esercito tedesco - racconta che l'operazione "Rabat" (questo secondo Hassel il nome in codice) sarebbe stata condotta da un battaglione di SS, che avrebbero "salvato" il Pontefice da un attacco lanciato contro il Vaticano «da una banda di partigiani guidata da ebrei e comunisti», in realtà effettivi di un battaglione di disciplina tedesco. Sempre secondo Hassel la notizia di "Rabat" aveva suscitato un tale turbamento nell'esercito che la Wehrmacht avrebbe avuto pronto un contro-piano per difendere il Papa.
Hassel, dal punto di vista storico, è oggetto di controverse considerazioni. Ma è comunque da rilevare come Monte Cassino sia stato scritto nel 1968, prima cioè che il pur scarso materiale storico sulla vicenda fosse disponibile. E la coincidenza di molti particolari della narrazione con quanto emerso poi è per lo meno singolare, forse abbastanza da far ritenere plausibili almeno i dettagli relativi allo svolgimento dell'azione. Confermano, inoltre e comunque, come nonostante le smentite ufficiali - dirette o indirette - la "voce" circa il possibile sequestro del Papa era ben viva, e di giorno in giorno più forte ovunque. Tanto che l'ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede Ildebrando Accioly, ricorda Graham, «aveva realmente preso l'iniziativa presso i diplomatici alleati residenti in Vaticano per un loro impegno a seguire il Papa in esilio, se mai si fosse arrivati a quel punto».
Del resto, ancora nella ricostruzione di Graham, le prime tracce documentate di timori circa un'intenzione nazista di intervenire contro il papato risalivano già al 1941. Infatti, il 6 maggio di qu ell'anno il segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari monsignor Domenico Tardini annotava quanto era stato riferito al Papa il 25 aprile, pochi giorni dopo l'incontro a Vienna tra i ministri degli Esteri di Germania e Italia, Joachim von Ribbentrop e Galeazzo Ciano. Secondo le informazioni ricevute, il Reich «aveva chiesto all'Italia di fare in modo che (il Papa) lasciasse Roma "perché nella nuova Europa non dovrebbe esservi posto per il papato"». E il cardinale Egidio Vagnozzi raccontò che «fin dal 1941 alcuni importanti documenti... che si riferivano ai rapporti tra il Vaticano e il Terzo Reich… erano stati microfilmati e inviati al delegato apostolico a Washington, monsignor Amleto Cicognani», e che «Pio XII aveva fatto nascondere le sue carte personali in doppi pavimenti vicino ai suoi appartamenti privati... (e) altri documenti della Segreteria di Stato vennero nascosti in angoli nascosti degli archivi storici». Perché «ovviamente si temeva il peggio».
Il Vaticano, insomma, la minaccia l'aveva sempre presa in seria considerazione. Del resto l'odio di Hitler verso Eugenio Pacelli, il raffinato diplomatico che mai aveva celato la propria avversione al nazismo fin dal suo nascere, era tristemente nota. Di certo contro il Pontefice, fin dalla sua elezione, si scatenò tutta la formidabile macchina della propaganda nazista: «L'elezione del cardinale Pacelli non è accettata con favore dalla Germania perché egli si è sempre opposto al nazismo», scriveva il Berliner Morgenpost, organo del movimento nazista, il 3 marzo 1939. E da allora gli articoli sprezzanti, le vignettacce, le caricature, lo bersagliarono quasi quotidianamente.
Ma c'era qualcosa di ancor più radicato, di malato. Che forse spiega ancor meglio la rabbiosa volontà di Hitler di rapire il Papa e «far sloggiare tutta quella masnada di p...» dal Vaticano, come, secondo Galeazzo Ciano, il capo del Terzo Reich ripeteva "ap ertamente". Nel 1941 le armate germaniche dilagavano in Europa. Il nazismo sembrava inarrestabile e la gloria del Reich a un passo. E nel mese di settembre, in una lettera al delegato apostolico a Washington monsignor Amleto Cicognani, Tardini riferiva che qualche mese prima, assistendo alla funzioni della Settimana Santa nella Cappella Sistina, un funzionario tedesco gli aveva detto: «Le cerimonie sono state interessanti. Ma è l'ultima volta. L'anno venturo non si celebreranno più». Nel gennaio successivo il cardinale Maglione lamentò un'analoga minaccia da parte del principe Otto von Bismark, ministro plenipotenziario dell'ambasciata tedesca.
Che cosa c'era dietro? Si è sempre detto che il nazismo tendeva a presentarsi come una nuova religione. Ma è interessante, in proposito, rilevare quanto raccontato nelle sue memorie, raccolte da Joseph Kessel, dal finlandese Felix Kersten, il massaggiatore "dalle mani miracolose" che per tutta la guerra fu l'ombra di Heinrich Himmler: «Nel maggio del 1940... per sfuggire a quel panorama di distruzione, Kersten cercava rifugio nella... biblioteca da campo di Himmler. Fece così una scoperta sorprendente: tutti i volumi che conteneva erano opere di religione: i Veda, l'Antico Testamento, i Vangeli, il Corano... "Ma non mi ha detto che un nazista non deve avere alcuna religione?", domandò un giorno a Himmler. "Certo", rispose quest'ultimo. "E allora?", domandò Kersten indicando i volumi...». E questa, riferita da Kersten, è la risposta data da un «sorridente» e «ispirato» Himmler: «"No, non mi sono convertito. Questi volumi sono necessari al mio lavoro. Hitler mi ha affidato l'incarico di preparare il vangelo della nuova religione nazista... Dopo la vittoria del Terzo Reich il Führer abolirà il cristianesimo e fonderà sulle sue rovine la religione germanica. Conserveremo l'idea di Dio, ma sarà un'idea vaga... Il Führer si sostituirà al Cristo come salvatore dell'umanità. Così, milioni e milioni di persone pronunzieranno soltanto il nome di Hitler nelle loro preghiere, e di qui a cent'anni non si conoscerà altro che la nuova religione... Capirà che per questo nuovo Vangelo mi occorre una documentazione"».

Fonte: Avvenire, 15.1.2005, pag. 23

Augustinus
15-01-05, 15:03
Se la Chiesa aprisse tutti gli archivi

PIO XII E GLI EBREI BATTEZZATI

(...) Tutti sanno che aprire le carte è lungo e che alcune tappe sono fissate. Ma se la Santa Sede ritrovasse il coraggio con cui Leone XIII nel 1880 squadernò l' Archivio Segreto Vaticano per rispondere al Kulturkampf tedesco, se aggiornasse lo zelo di Paolo VI, che nel 1965 iniziò gli «Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale» che traboccavano di nomi di viventi (incluso il suo), le provocazioni si spunterebbero e verrebbero alla luce gli intrecci complessi che fanno la storia. Di questo c' è sete. È la sete della coscienza collettiva di quest' Europa, che non è solo un infuso di radici, ma anche il frutto dell' orrore con cui essa s' è specchiata nel fumo dei forni crematori (...) Bilancio del dibattito che è seguito alla rivelazione della direttiva pontificia sui bambini ebrei battezzati ai tempi di Pio XII. L' articolo a pagina 29

Fonte: Corriere della Sera, 9.1.2005, pag. 1

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Il caso Pacelli e la Chiesa, aspettando il gran gesto

L' esempio di Leone XIII, che nel 1880 ordinò di aprire gli archivi vaticani per smascherare il «Kulturkampf»
Lo storico che ha rivelato l' esistenza della direttiva pontificia sui bambini ebrei battezzati traccia un bilancio del dibattito e avanza nuovi interrogativi

Melloni Alberto

Annunciando il primo volume di Anni di Francia, Agende del nunzio Roncalli, ho citato un frammento inedito di «istruzioni elaborate dal Sant' Uffizio e approvate da Pio XII» sul destino dei bambini ebrei salvati da istituzioni cattoliche francesi, emerso come tanti altri documenti nel paziente lavoro di annotazione di quel tomo, curato da Étienne Fouilloux. Non mi sono dilungato in note filologiche, per sottolineare un solo elemento: e cioè che nella Chiesa, durante e dopo la Shoah, convivono gesti commoventi di cristiana umanità e gesti di gelida burocrazia teologica, che continueranno a intrecciarsi fino al Concilio e dopo, com' è ovvio in un processo storico lungo come quello che separa la voce Antisemitismus del 1933 sul Lexicon für Theologie und Kirche dal discorso di Giovanni Paolo II in Israele nel 2000. Su quell' inedito, come ha scritto padre Giovanni Sale, s' è sviluppato un «civile e appassionato confronto»; ma non è mancata qualche sgradevole provocazione denigratoria (non solo contro i Papi). Alcuni articoli degni del Museo degli Sforzi Inutili si sono impegnati a sostenere che quelle istruzioni erano o giuste o false, o l' uno e l' altro, o che andavano imputate al nunzio Roncalli. Ciò impone alcuni ragguagli critici, a cui aggiungerò un mio punto di vista. Il dattiloscritto datato 23 ottobre 1946, giorno successivo al rientro del nunzio a Parigi dopo le vacanze, è una delle tipiche note con le quali si trasmettevano gli ordini della Suprema Congregazione del Sant' Uffizio, della Romana e Universale Inquisizione e dell' Indice dei Libri proibiti, della quale a quel tempo era prefetto il Papa. Per dare ordini il Sant' Uffizio dava sovente mandato al superiore diretto di informare il destinatario, con procedure a tutela del segreto. Talora l' informazione veniva data tacendo al destinatario finale perfino l' origine della decisione («reticito nomine»), talaltra consegnandogli una nota verbale che comunicava la «mente» di Roma. È questa nota che la nunziatura parigina prepara nel 1946. Bisogna avere disistima per la diplomazia vaticana per pensare che le nunziature non sapessero produrre una fedele nota in francese (di cui è rimasta copia al Centre National des Archives de l' Eglise de France di Issy-le-Moulineaux) ad uso dei vescovi. Come suo dovere, Roncalli non ne ha fatto cenno in altra sede. L' atteggiamento che quel documento raccomanda è diverso da quello che Roncalli aveva assunto nei mesi precedenti. Lo dice una lettera del Fondo Kaplan del Centre de Documentation Juive Contemporaine, a cui facevo cenno: a luglio 1946 il rabbinato di Francia ringraziava il nunzio per la disponibilità a intervenire assicurata al gran rabbino Herzog, di cui era amico da anni, e domandava un passo specifico per 30 bimbi. Herzog aveva scritto a Pio XII il 12 marzo 1946 per richiedere il suo avallo nella restituzione dei piccoli ebrei superstiti alla fede dei padri. Forse già in quelle settimane il Sant' Uffizio aveva elaborato un parere, coerente con la pratica in uso ai tempi del Papa-re, ma che dopo la Shoah suona, come riconosce Vittorio Messori, «disumano». Non sappiamo quando Roncalli ne venga a conoscenza. Forse dopo essere stato interpellato in agosto da due vescovi francesi sui battesimi dei piccoli ebrei, forse dopo aver consultato Roma o aver parlato a lungo col Papa il 27 settembre o dopo aver ricevuto il 17 settembre da monsignor Tardini un dispaccio. Di quest' ultimo atto ignoro il contenuto (le istruzioni e i dispacci di Roncalli del periodo parigino sono le uniche carte di cui fu negata copia sia alla Congregazione per le cause dei Santi, sia ai redattori della Positio historica della causa di Papa Giovanni di cui ebbi il privilegio di essere uno degli autori); non so se Roncalli lo ricevette a Sotto il Monte o lo lesse a Parigi la sera del 22 ottobre 1946, perché la «autorevole fonte» che, pochi giorni dopo il primo articolo del Corriere, lo ha passato al sito VaticanFiles.net (dove un gruppo eterogeneo di studiosi pubblica documenti d' archivio), non l' ha precisato. Il documento del 1946 aggiunge la forza della fonte storica a qualcosa di noto. E cioè che dopo la Liberazione (lo documenta La Chiesa cattolica e l' Olocausto, di Michael Phayer) c' era nella Chiesa già chi s' interrogava sulla Shoah e chi reagiva con schemi che non ne coglievano la portata epocale. È infatti noto che l' affaire Finaly, i due bimbi contesi in tribunale, arriva al 1953 e vede i cattolici divisi; e Jules Isaac va a Roma a cercare sostegno contro l' antisemitismo perché spera in qualcosa, anche se nel 1955 non lo trova (come spiegano le lettere apparse su «Sens», la rivista francese dell' amicizia giudeo-cristiana). Così, chi avrà la pazienza di leggere i cinque volumi della Storia del Concilio Vaticano II diretta da Giuseppe Alberigo o i dispacci dei diplomatici citati nel mio L' altra Roma constaterà che la vena del disprezzo antisemita o «antigiudaico» (come s' usa dire, quasi fosse una virtù) dura anche mentre la dichiarazione conciliare Nostra Aetate sta per tagliargli l' erba sotto i piedi, e oltre. Se questo chiarisce i dati, non spiega però gli interrogativi posti da alcune posizioni emerse in un dibattito internazionale quanto mai ampio, il cui coté italiano è stato efficacemente sintetizzato da Adriano Sofri sulla Repubblica. Perché s' è buttato di lato il gran lavoro delle Agende e si è voluto riaprire lo sterile duello fra chi trova nell' atteggiamento di Pio XII una colpa grande quanto l' intero Olocausto e chi ripete ad nauseam argomenti di cui l' intuito politico di Pacelli si sarebbe vergognato? Perché, anziché storicizzare la distanza fra la gelida burocrazia della nota del 1946 e la forza di comunione fra fedi della Chiesa di Giovanni Paolo II, s' è cercato, come ha fatto Avvenire, di trasformare il rilevamento delle differenze in una «contrapposizione» fra pontefici o si è lamentato un clamore al quale s' è dato corda cercando inutilmente un antidoto liquidatorio? Le ragioni sono molte. E molte sono causate da un fatto noto e reversibile, cioè la chiusura di gran parte degli archivi vaticani del 1922-1939 e di quasi tutti quelli del 1939-1958. Tutti sanno che aprire le carte è lungo e che alcune tappe sono fissate. Ma se la Santa Sede ritrovasse il coraggio con cui Leone XIII nel 1880 squadernò l' Archivio Segreto Vaticano per rispondere al Kulturkampf tedesco, all' anticlericalismo e al desiderio degli eruditi cattolici, se aggiornasse lo zelo di Paolo VI, che nel 1965 iniziò gli Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale che traboccavano di nomi di viventi (incluso il suo), se deponesse l' illusione di giovarsi di avvocati arruolati con odiosi privilegi d' accesso alle carte, le provocazioni si spunterebbero e verrebbero alla luce gli intrecci complessi che fanno la storia. Di questo c' è sete: non macchinazioni, micce o capricci, ma sete. È la sete della coscienza collettiva di quest' Europa, che non è solo un infuso di radici, ma anche il frutto dell' orrore con cui essa s' è specchiata nel fumo dei forni crematori, che hanno cambiato per sempre il paesaggio religioso e l' anima del continente. Un gesto «alla Leone XIII» farebbe bene a tutti. Alla Chiesa, che nel Novecento non è una comparsa, ma un grande mondo. Farebbe bene alla storia, che non dev' essere il tribunale delle requisitorie, ma non può nemmeno ridursi al confessionale dove si assolve chi pronuncia l' atto di dolore o la pagoda dove tutto ciò che è accaduto in altro «contesto» resta muto. C' è sete e bisogno di una ricerca che costruisce con lentezza conoscenze complesse e disomogenee: quasi mai fruibili come tali, ma non inutili. Altri (la stampa, la politica, l' educazione, la morale, l' agiografia) possono trasformarle in linguaggi, pruderie, retoriche, culture. La ricerca storica (sotto lo sguardo della stampa, della politica, della morale, della teologia) elabora invece visioni e revisioni sue, grazie alla disponibilità di grandi agglomerati di fonti, e con questi si confronta. Le fonti ci hanno detto da tempo che la posizione di Roncalli davanti alla Shoah non assomiglia a quella di un cospiratore, ma neppure s' esaurisce nella replica degli atteggiamenti romani (ne scrissi anni fa nel mio Fra Istanbul Atene e la guerra, così come nella Positio). La ricerca su Pio XII fatica da tempo alla ricerca del crinale che separa ciò che accade «sotto» Pio XII (I dilemmi e i silenzi di Pio XII, di Giovanni Miccoli, dedica un esemplare capitolo alla situazione in Croazia) e ciò che Pio XII «fa» accadere. E dunque ondeggia, vulnerabile all' apologia odiosa e all' odiosa provocazione. Si prenda proprio il caso degli ebrei grandi e piccini salvati nei conventi: presentarli come la briciola che riequilibra il genocidio è una bestemmia. Bravi preti, frati e suore sono una tessera in un mosaico nel quale altri cattolici sono stati perpetratori, ignavi o vittime. Una tessera che diventa interessante a Roma dove - l' ha detto Andrea Riccardi - nascondere ebrei in certe clausure femminili comportava una trasgressione dietro la quale si immaginava, possedeva o supponeva una dispensa papale. Ma per discernere i fatti e le voci serve un insieme di documenti, e non il naso dell' agiografo. Quello, a dire il vero, non è stato decisivo nemmeno nel processo di beatificazione di Pio XII, sul quale non è vietato avere opinioni né agli ebrei, né ai cattolici. Un processo non è un crimine, né un dogma, al quale dovrebbero piegarsi preventivamente gli storici, i cattolici e soprattutto gli ebrei, per non ostacolarne lo sviluppo. Quel processo è reso complesso dal segno storico-politico sotto il quale è nato. Papa Montini lo avviò nel novembre 1965 sia per bilanciare la simmetrica causa Roncalli sia per ribadire la insindacabilità dell' atteggiamento vaticano durante la Shoah. Non ci riuscì. Così il lato spirituale del pastor angelicus è rimasto quello di «uno sconosciuto»: è il titolo che «Cristianesimo nella storia» darà alla recensione di Alberigo sul recente Pio XII, diplomatico e pastore di Philippe Chenaux: un libro cauto, ma spietato nel ritrarre un Papa solitario e calcolatore, nella cui figura gli elementi politici dominano per logica interna, con tutto ciò che ne consegue. Questo ingarbugliato nodo storico-teologico Giovanni Paolo II lo ha tagliato col «mea culpa» del 2000. Riconoscendo che esistono colpe dei figli della Chiesa, Papa Wojtyla ha spiegato che un cattolicesimo disposto a riconoscere il valore «teologico» del giudizio dell' umanità sui propri errori, non è più scipito, ma più autentico. Un atto ancora gravido di futuro, che fa spazio al sapere storico e insieme richiede di riflettere proprio sulle residuali insinuazioni, sui rigurgiti di disprezzo, sulle autoindulgenze, sui complessi vittimisti che sono riemersi nel corso di questo lungo dibattito, senza esserne la parte principale. La discussione Il 28 dicembre il «Corriere» ha pubblicato un documento inedito del settembre 1946, in cui il Sant' Uffizio, con l' avallo del Papa, ordinava di non restituire alle famiglie e alle comunità israelitiche i bambini ebrei battezzati ospitati da istituzioni cattoliche francesi per sottrarli alle persecuzioni naziste La rivelazione ha riacceso la polemica contro la beatificazione di Pio XII da parte di alcuni esponenti del mondo ebraico Altri osservatori hanno sottolineato che l' atto venne riprodotto in francese e trasmesso da Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, all' epoca nunzio apostolico a Parigi. E c' è anche chi ha messo in dubbio l' autenticità del documento Gli interventi Il documento del Sant' Uffizio pubblicato dal «Corriere» il 28 dicembre ha suscitato un vasto dibattito Sulle nostre colonne sono finora intervenuti Alberto Melloni, Amos Luzzatto, Vittorio Messori, Andrea Tornielli, Peter Gumpel, Giovanni Miccoli, Riccardo Di Segni, Emma Fattorini, Anna Foa, Renato Moro, Daniel Jonah Goldhagen, Lucetta Scaraffia, Giorgio Rumi, Ernesto Galli della Loggia Della vicenda si sono occupate molte testate estere, tra cui «New York Times», «The Guardian», «La Croix», «Washington Times», «Jerusalem Post», «Independent», «Taipei Times», «Le Figaro», «Ha' aretz», «Seattle Times»

Fonte: Corriere della sera, 9.1.2005, pag. 29

Augustinus
15-01-05, 15:06
Antisemitismo, odio antico
E non soltanto nazista

«Pio XII non c' entra con la Shoah e non è paragonabile a Torquemada. Ma la Chiesa preconciliare si è sempre sforzata di convertire i giudei»

DIBATTITO Il documento vaticano pubblicato dal «Corriere» riapre la questione del rapporto tra valori etici e giudizio storico

Israel Giorgio

Il dialogo ebraico-cristiano richiede pazienza. Non è pensabile che secoli di «disprezzo, di ostilità e di persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei» - per dirla con le parole del pregevole documento della Pontificia Commissione Biblica su Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture (2001) - non lascino traccia e che i passi necessari a dissiparne le conseguenze possano essere compiuti in poco tempo. Richiede soprattutto due requisiti: che l' ombra del passato non gravi come un pregiudizio sul presente; e che le azioni presenti indichino in modo inequivocabile la volontà di superare definitivamente gli errori del passato senza disconoscerli. È legittimo chiedere a chi ha subito un torto di non farsi condizionare per sempre dal passato, purché non si avanzi l' inaccettabile pretesa che il torto non sia avvenuto. Qui equilibrio e saggezza sono doti necessarie. Nel dibattito suscitato dalla pubblicazione sul Corriere della Sera del documento sui bambini «giudei», più d' uno si è mosso con l' incedere di un elefante in una cristalleria, provocando sconquassi che si spera non abbiano conseguenze devastanti. È sconcertante che il documento sia stato accolto con un fuoco di fila di clamori, come di fronte ad una rivelazione capace di ribaltare la visione storica degli eventi e dei personaggi in gioco. In realtà, esso conferma quel che si sapeva da un pezzo. Occorre forse ricordare che, per secoli, la massima aspirazione della Chiesa cattolica è stata di estinguere la presenza ebraica, sanzionando così che il Messia era giunto, visto che il popolo «eletto» si era tutto riconosciuto in lui? Tale finalità è stata perseguita nei secoli con mezzi più o meno brutali, e quelli descritti nel documento appartengono ai secondi. Del resto, la sostanziale adesione della Santa Sede alle leggi razziali fasciste si spiega soltanto entro questa visione. Altrimenti, che senso avrebbe avuto la sua richiesta, dopo la caduta del fascismo, di mantenere parte della legislazione razziale, segnatamente quella concernente i matrimoni misti? Aveva senso, perché si sperava di dissolvere a poco a poco la presenza ebraica, imponendo a coloro che contraevano un matrimonio misto di educare i figli cristianamente. Queste sono le colpe di Pio XII, note, documentate e confermate dalla recente «scoperta». Queste e non altre. Parlare di Shoah a proposito di Pio XII significa sostituire a colpe accertate, una colpa di omissione e silenzio indiscutibile, ma temperata da ciò che indubbiamente egli e la Chiesa fecero per salvare molti ebrei. Chi scrive è qui perché suo padre fu nascosto a San Giovanni in Laterano, e non è il solo. Un conto è accusare Pio XII di aver proseguito nella sciagurata prassi di accaparrarsi in ogni modo le anime ebraiche, altro conto è equiparare Pio XII a Eichmann. L' insistenza nel riferire il comportamento della Santa Sede e del Papa alla questione della Shoah è fuorviante. Essa conduce alla tesi secondo cui le direttive contenute nel documento furono impartite perché la Santa Sede e il mondo cattolico non avevano percezione della specificità della Shoah: una tesi assurda sia sotto il profilo storico che logico. La Santa Sede aveva perfetta coscienza della diversità fra il razzismo hitleriano e quello fascista: non a caso si oppose al primo (biologistico) e accettò il secondo (spiritualistico). Perciò, anche se non avesse conosciuto la portata della Shoah, sapeva che una tragedia stava colpendo gli ebrei: altrimenti perché, da cosa e da chi avrebbe «salvato» ebrei? Ma qui pare che ci si dica che, se la Santa Sede avesse saputo che gli ebrei venivano massacrati, si sarebbe vergognata di infliggere loro ulteriori dispiaceri; mentre, poiché credeva che fossero soltanto «moderatamente» perseguitati, riteneva lecito tenersi i loro bimbi. Poiché si parla tanto del valore sacramentale del battesimo, viene da chiedersi quale sarebbe il fondamento teologico di una simile visione etica. Ecco allora che il tentativo di spiegare o giustificare il comportamento della Santa Sede nei confronti dei bambini «giudei» parlando di inconsapevolezza della Shoah finisce con l' offrire un' immagine del suo comportamento grottesca più ancora che efferata. Ma perché tanta insistenza a parlare soltanto di Shoah? Perché ormai la Shoah, vista come un evento unico e senza confronti, viene identificata con l' antisemitismo stesso. Tutte le altre forme di ostilità antiebraica sono dimenticate o derubricate a eventi minori, magari riservando loro termini diversi, come «antigiudaismo» per l' antisemitismo cristiano. Sono trucchi verbali mediocri, cui conviene opporre soltanto l' ammonimento di Marc Bloch secondo cui «se le scienze dovessero, per ciascuna delle loro conquiste, cercarsi nuovi appellativi, quanti battesimi e perdite di tempo nel regno delle accademie!». La conseguenza è che la storia del «disprezzo, dell' ostilità e della persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei» - l' «antisemitismo», ma se il termine non piace si faccia uso del simbolo «x» - anziché essere considerata come un fenomeno storico unitario, articolato in dinamiche e manifestazioni anche molto differenti e di varia gravità, viene scomposta in pezzi disgiunti, anzi in due pezzi: l' antisemitismo «vero», quello dei nazisti, e il resto, di importanza marginale. Questa distinzione ha ispirato gli interventi di Lucetta Scaraffia ed Ernesto Galli della Loggia. Secondo quest' ultimo, l' «Olocausto» «e la sua successiva concettualizzazione hanno posto l' antisemitismo su basi completamente nuove. Ne hanno fatto cioè un dato storico completamente diverso che in passato, rendendolo, anzitutto sul piano emotivo, qualcosa di ripugnante e impraticabile in ogni sua pur minima, e anche remota e solo supposta, premessa» (magari così fosse!). E prima? «Atteggiamenti di indifferenza, antipatia, repulsa storico-religiosa, diffidenza sociale», cose «riprovevoli» ma «storicamente distinte» perché appartenenti a un ordine che nulla ha a che fare con le camere a gas. Tralasciamo di parlare degli esempi cui Galli della Loggia ricorre per «dimostrare» come si rischi di considerare fatti di antisemitismo cose banalmente riprovevoli: dal rifiuto di Natalia Ginzburg di pubblicare Primo Levi - ma a chi diamine può venire in mente di considerare antisemitismo una probabile rivalità letteraria? - all' invito di Croce agli ebrei ad assimilarsi - che invece non era innocente. Gli chiederemo piuttosto cosa si debba pensare di chi scriveva: «Se insieme con il positivismo, il libero pensiero e il Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l' opera dei Giudei che hanno crocefisso Nostro Signore, non è vero che tutto il mondo starebbe meglio? Sarebbe una liberazione». Si penserà che era un indifferente? Un antipatizzante? Uno che provava repulsa storico-religiosa? (Per inciso, era Agostino Gemelli). E che dire delle prediche radiofoniche postbelliche - quando della Shoah si sapeva tutto - di padre Lombardi, «microfono di Dio», che citava l' «Olocausto» come prova del «terribile destino» di quel «popolo eletto diventato reietto»; e aggiungeva - guarda caso! - «salva sempre la libertà dei singoli di convertirsi a Gesù e uscire da quel corpo condannato»? Un altro maleducato? Il punto è che queste nefandezze erano l' ultima manifestazione di una storia secolare di antisemitismo, che ha sedimentato un armamentario di odio poi utilizzato metodicamente anche nel contesto dell' antisemitismo razziale e oggi nell' antisemitismo islamico e nell' antisionismo di certi ambienti postcomunisti: si pensi ai temi ricorrenti degli ebrei assetati di potere e di denaro, o che impastano le azzime con sangue di bambini cristiani sgozzati. Invece di emettere superficiali sentenze storiografiche, sarebbe istruttivo studiare la storia della persecuzione e dell' espulsione degli ebrei dalla Spagna medioevale, e la conseguente distruzione di una straordinaria esperienza storica; leggere i testi classici, da Amador de los Ríos a Baer, per misurare la metodicità con cui la Santa Inquisizione perseguì la distruzione dell' ebraismo di Spagna; compulsare i terribili elenchi di migliaia di bruciati sul rogo, che potrebbero servire a creare uno Yad Vashem spagnolo, e che si estendono su un arco temporale lungo soltanto per l' assenza degli strumenti teorico-pratici adatti alla pianificazione scientifica e industriale dello sterminio, che è poi l' unica vera specificità della Shoah. Come ha scritto lo storico Luis Suárez, «non vi furono gli orrori delle camere a gas, che sembrano essere i soli capaci di sconvolgerci oggi», ma vi fu «qualcosa di più terribile», cioè la sordità morale dei cristiani che, vedendo gli ebrei per le strade, nudi, scalzi e coperti di pidocchi, dicevano: «Ecco la disgrazia in cui cadono coloro che peccano d' incredulità». Ma - si dirà - Pio XII non era Torquemada. Neppure Eichmann, l' abbiamo detto. La storia va visitata con equilibrio. Non è affatto secondario il modo in cui viene imposta la conversione: come alternativa alla morte, o con mezzi più civili. Ma il contesto progettuale è il medesimo: quello dell' estinzione dell' identità ebraica. Oggi, che questa tragica storia sembra essere dietro di noi - per gli sforzi generosi di coloro che da qualche decennio lavorano per cancellare i veleni del passato -, non dovrebbe essere più facile ammetterlo? A che giova negare e minimizzare, ridurre la storia dell' antisemitismo a una vicenda germanica, se non a gettare un macigno sulla via della comprensione reciproca? Se vogliamo far avanzare la comprensione reciproca e rivalutare le famose radici «giudaico-cristiane», non bisogna lanciare fra le ruote il bastone di una visione storica unilaterale e assolutoria; accusando altri di usare la storia per far polemiche correnti e poi consentendosi la stessa libertà con intenti opposti. È sorprendente che Galli della Loggia usi l' argomento che non bisogna «giudicare il passato con il metro del presente», asserendo che il famoso documento appare «orribile» alla «sensibilità odierna», «di fronte al nostro sentimento morale odierno (insisto: odierno)». Meglio sarebbe stato non insistere. Difatti, mentre egli sacrosantamente (insisto: sacrosantamente) ogni giorno se la prende col relativismo etico, ora dice che il giudizio morale dipende dai tempi e dalle circostanze. Proprio qui era il caso di riporre nel cassetto i valori ed esprimersi come un relativista postmoderno? Difatti, egli non si limita a constatare una diversa sensibilità ma asserisce che non ci si deve rifiutare di dare un giudizio, bensì darlo a ragion veduta «tenuto conto delle circostanze e dei tempi». Relativismo etico, per l' appunto. Per concludere. Questo dibattito è apparso più che altro come uno scontro all' interno del mondo cattolico. Nulla da obbiettare, se non fosse che il tema degli ebrei e dell' antisemitismo è stato usato come una clava. Ci si permetta di ricordare: gli ebrei hanno già dato. Ci si scontri a volontà, ma, per una volta, non sulla pelle degli ebrei. Anche questo sarebbe un contributo alla valorizzazione delle radici «giudaico-cristiane» dell' Europa. La discussione sulle direttive del Sant' Uffizio Il 28 dicembre il «Corriere della Sera» ha pubblicato un documento del Sant' Uffizio, avallato da Pio XII, che nel 1946 ordinava di non restituire all' ambiente d' origine i bambini ebrei ospitati presso istituzioni e famiglie cattoliche, durante la guerra, per sottrarli alle persecuzioni naziste La rivelazione ha suscitato un dibattito molto acceso, con vasti riflessi a livello internazionale. Sono comparsi articoli su varie testate estere: da «The Guardian» a «Le Figaro», dal «New York Times» al «Jerusalem Post» CORRIERE.IT Sul sito Internet del «Corriere della Sera» uno speciale raccoglie tutti i numerosi interventi sulla questione che si sono succeduti negli ultimi giorni sulle colonne del nostro giornale.

Fonte: Corriere della sera, 11.1.2005, pag. 35

Augustinus
15-01-05, 15:08
La storia e la condanna del male

Il documento vaticano con le disposizioni sui bambini israeliti battezzati: il ruolo della morale e le responsabilità della Chiesa La storia non è un tribunale ma il male va condannato

LA CHIESA, LA SHOAH

Magris Claudio

È possibile utilizzare gli strumenti della ricerca storica per formulare un giudizio su eventi passati? Dopo le rivelazioni sulle conversioni forzate dei bambini ebrei durante le persecuzioni naziste, e la mancata restituzione alle loro famiglie d' origine, si discute sulla portata del concetto di antisemitismo nel secolo passato e sulla possibilità di valutarlo con il metro del presente. La Storia, ha scritto Giovanni Miccoli, non è giustiziera, non è un tribunale che emetta sentenze di assoluzione o di condanna. A questo principio, affermato da molti storici e anche da Croce in polemica con la storiografia che sconfina col giudizio morale o con l' inchiesta penale, si sono richiamati, in forme diverse, pure altri studiosi nella recente discussione sollevata dalle disposizioni impartite dalla Santa Sede che invitavano a non restituire alle loro famiglie i bambini ebrei nascosti e allevati da associazioni cattoliche durante la Seconda guerra mondiale per sottrarli allo sterminio nazista. Come ha rilevato lo stesso Miccoli, autore di un volume fondamentale e fondante sulla figura e l' opera di Pio XII in merito alla questione ebraica, la discussione giornalistica - che affronta il problema delle responsabilità non solo di Papa Pacelli, ma anche di personalità di solito a lui contrapposte, come i due suoi successori - è stata ed è anche pasticciona. In molti casi sono state sottolineate con enfasi cose già note e ci si è basati su documenti, molti dettagli dei quali sono ancora incerti e da verificare. Questo dibattito storiografico ha indubbiamente assunto il tono non di un accertamento di fatti e di una ricerca di fonti, bensì di arringhe d' accusa o di difesa, mosse non tanto da opinioni diverse sulla portata di un documento, quanto piuttosto da convinzioni ideologiche e aprioristiche sulla colpa o l' innocenza dei personaggi chiamati alla sbarra. Chi ha protestato contro tali posizioni - ad esempio Giorgio Rumi o Ernesto Galli della Loggia, ma non solo essi - ha ricordato che la storia non è un tribunale né penale né morale, non è un giudizio sugli uomini, bensì - come diceva uno storico veramente grande quale Franco Venturi - il tentativo di capire come e perché essi sono vissuti. Inoltre, è stato detto, non si può giudicare col senno del poi, bensì occorre calarsi nell' epoca in cui sono avvenuti i fatti che si cerca di ricostruire e comprendere, nella mentalità e nei sentimenti, valori, abitudini, convinzioni di quell' epoca. Nemmeno il giudizio morale può prescindere dal contesto storico della civiltà e del periodo in cui si sono verificati gli eventi che si valutano: la schiavitù esistente nell' antichità classica, ha scritto giustamente Galli della Loggia, non può ricevere da noi lo stesso giudizio morale che diamo e dobbiamo dare su una schiavitù praticata oggi. Quando Popper mette sullo stesso piano, quali nemici della liberale «società aperta», Platone, Marx e Freud, sorvolando sui due millenni che li separano, compie una scorrettezza concettuale. Anche l' antisemitismo, sostiene Galli della Loggia, dev' essere valutato nel suo contesto storico e, in particolare, a seconda che ci si riferisca a fatti accaduti o ad atteggiamenti assunti prima o dopo la Shoah - anzi, prima o dopo la presa radicale di coscienza, da parte del mondo, della Shoah e della sua inaudita mostruosità. Sotto un certo profilo, questo è vero: dopo la Shoah, niente è uguale a prima; anche una banale battuta antiebraica suona oggi diversa, impensabile, e quindi il diffuso pregiudizio antisemita presente prima della Shoah pure in tante brave persone, che mai avrebbero torto un capello a un ebreo, non può essere giudicato oggi come se fosse ancora condiviso. Da questo punto di vista, può darsi che Papa Pacelli abbia agito - come glielo consentivano un plurisecolare pregiudizio cattolico antisemita e gli angusti paraocchi della sua origine nobiliare papalina - senza la consapevolezza della reale portata della Shoah. Perciò non era in grado di chiedere perdono agli ebrei né di rivolgersi da cristiano a essi come a «fratelli maggiori», come ha fatto Giovanni Paolo II. La storia - e la storiografia - non devono dunque essere un giudizio morale né una sentenza giudiziaria. Già dicendo queste parole, «non devono», si proclama tuttavia un imperativo morale, si prescrive ciò che si deve o non si deve fare. Ma è veramente possibile ricostruire come e perché gli uomini hanno vissuto la loro vita e la storia senza dare, quantomeno implicitamente, un giudizio morale? Calarsi nell' epoca in cui sono avvenute infami atrocità è necessario, ma questo significa forse che quelle atrocità diventano meno infami e atroci? Pure le spaventose stragi compiute da Stalin negli anni Trenta sono successe in anni lontani da noi, diversissimi e oggi quasi inimmaginabili nelle loro passioni, nella loro mentalità, nel loro modo di essere e concepire la vita, la storia, la politica, il partito, la violenza. Anche le ecatombi staliniane vanno certo collocate nel loro contesto e non solo moralisticamente, ideologicamente o strumentalmente denunciate, per capire come e perché siano avvenute. Ma cessano per questo di essere bestiali delitti? È possibile capire la meccanica che ha portato ad Auschwitz senza dare un giudizio morale, anche morale, su quel culmine ineguagliato di orrore, bestialità e imbecille abiezione? Dire che Himmler è un porco non basta certo per capire il nazismo e la storia europea di quel periodo, ma nessuna rigorosa storiografia può eliminare il fatto che Himmler fosse un porco e che è necessario ripeterlo. Le grandi prospettive storiche generali non possono far dimenticare che tutto, ogni dettaglio individuale, sta pure, nell' eternità della sua grazia o del suo orrore, davanti a Dio. La storia non è giustiziera, ma nemmeno giustificatrice. Calarsi concretamente nell' epoca in cui sono avvenuti i fatti e i misfatti, come deve fare lo storico, significa ricostruire le concrete possibilità che, in quell' epoca e in quel contesto, si aprivano agli individui, alle forze politiche, alle Chiese. Solo così si può capire quali erano i concreti spazi di libertà di scelta, in base a cui un individuo - come un partito, una Chiesa - viene inevitabilmente giudicato nel suo agire. Non tutti, in una stessa situazione e nella stessa epoca, si comportano allo stesso modo; Farinacci e don Minzoni erano contemporanei, condizionati da tutti i pregiudizi del loro tempo, ma l' uno era un delinquente che schiacciava la libertà con la violenza e l' altro un martire che sacrificava la propria vita per la libertà. Quando padre Gemelli, nel 1924, appresa la notizia del suicidio di Felice Momigliano, si augura che tutti «i giudei» muoiano insieme a lui, egli è certo radicato in un plurisecolare tessuto antisemita trasmessogli anche inconsciamente dalla tradizione, ma non per questo la sua uscita diviene meno bestiale. Negli stessi anni, tanti altri cattolici, tanti altri sacerdoti sentivano, pensavano e si comportavano diversamente. Anche diversamente da Pio XII, a maggior gloria di Dio e della Chiesa. Pure Pio XII non avrebbe potuto comportarsi come Gandhi o come padre Kolbe e sarebbe ingiusto pretenderlo: non glielo consentivano le condizioni storiche oggettive, come avrebbero detto i vecchi marxisti, il modo storicamente condizionato col quale egli intendeva la responsabilità del suo ruolo e, non ultimo, i talenti che gli erano stati dati dall' imperscrutabile volontà di Dio e che non erano quelli dati, ben più generosamente, a Gandhi o padre Kolbe. Nel dibattito si è sottovalutato un elemento fondamentale. La Chiesa ha il merito - e il peso - di affermare valori assoluti. Per essa, la verità non è storicamente condizionata e relativa, ma immutabile; non è figlia del tempo, bensì, come dice la sua dottrina, mater temporis, madre del tempo. È dunque la stessa fede cattolica a esigere, pure nei confronti del comportamento della Chiesa, un giudizio non solo storico, bensì morale, basato sull' osservanza o meno dei Dieci Comandamenti, dati secondo essa da Dio a Mosè. Inoltre la Chiesa afferma di essere depositaria, almeno nella proclamazione ex cathedra di dottrina definita, della verità. Da essa dunque non solo si può, ma si deve, se la si prende sul serio, pretendere un comportamento diverso da quello di un governo, di un partito o anche di una confraternita di storici. L' affermazione di alcuni princìpi assoluti è un grande merito della Chiesa. Forse quei princìpi non sono fondati su nulla, forse per la storia dell' universo, tra il Big Bang e il collasso finale, la Shoah non è più rilevante dello spegnersi di una stella o della caduta di un meteorite, ma noi non potremmo comunque vivere senza stabilire una differenza sostanziale fra ciò che sentiamo come relativo e ciò che sentiamo come assoluto, fra una norma di comportamento sessuale che può variare nel tempo e il quinto comandamento o gli ancor più alti e inviolabili postulati dell' etica kantiana. Il suo meritorio richiamo ai princìpi indiscutibili accresce le responsabilità della Chiesa e il nostro diritto di chiamarla a giudizio. Non è colpa di Pio XII non essere stato un santo dinanzi alla Shoah, se non gli era dato di esserlo, ma, se non lo è stato, sarebbe mera inefficace retorica proclamarlo tale. Il Pontefice Nato a Roma nel 1876, Eugenio Pacelli (nella foto) fu a lungo nunzio apostolico in Germania e nel 1930 divenne segretario di Stato vaticano Eletto Papa nel 1939, con il nome di Pio XII, durante la guerra si comportò in modo prudente verso i nazisti. In seguito prese duramente posizione contro il comunismo. Morì nel 1958 Ad aprire le polemiche sul suo «silenzio» di fronte alla Shoah fu l' opera teatrale di Rolf Hochhuth «Il Vicario», nel 1963 Da diverso tempo è avviata la causa di beatificazione di Pio XII che suscita perplessità nel mondo ebraico.

Fonte: Corriere della sera, 10.1.2005, pagg. 1 e 25.

Augustinus
15-01-05, 15:10
Antisemitismo Non giudichiamo il passato con il metro del presente

Le conversioni forzate dei bambini ebrei durante le persecuzioni naziste e la loro restituzione alle famiglie d' origine: si discute sulla portata storica del concetto di antisemitismo, dentro e fuori la Chiesa cattolica ai tempi di Pio XII, e sulla sua applicazione oggi

IL CASO il dibattito sulle direttive vaticane degli anni 40 e i bambini ebrei

Galli Della Loggia Ernesto

Scrive nei suoi ricordi Raul Hilberg, il massimo storico della Shoah, autore della monumentale La distruzione degli ebrei d' Europa (pubblicato in Italia da Einaudi), che quando cominciò le sue ricerche alla fine degli anni 40 , inizio dei 50 , negli Usa «la discriminazione contro gli ebrei infieriva dappertutto»; era l' epoca, aggiunge, «in cui si intimava a coloro che erano torturati dai propri ricordi, come appunto i sopravvissuti allo sterminio, di dimenticare quel passato; l' epoca in cui si procedeva sì ai vari processi di Norimberga, ma più che per capire la storia della Germania, per chiudere un capitolo, al fine di permettere a quel Paese di ripartire su nuove basi nella comunità delle nazioni occidentali». Hilberg racconta poi le mille difficoltà che incontrò verso il 1960 per la pubblicazione della prima edizione del suo libro. Una casa editrice newyorchese gli scrisse, ad esempio, rifiutando il manoscritto, che molte sue osservazioni assomigliavano più a quelle «di un pubblico ministero durante un' arringa che a quelle di uno storico»; la Princeton University Press gli fece presente dal canto suo che ormai, a proposito dell' Olocausto, esistevano sul mercato opere «già sufficientemente analitiche in grado per altro di interessare solo pochi specialisti». Conclude Hilberg che «negli Stati Uniti il fenomeno conosciuto con il nome di Olocausto trovò un terreno fertile solamente dopo i travagli della guerra del Vietnam, allorché una nuova generazione di americani si pose alla ricerca di certezze morali e l' Olocausto divenne la misura del male assoluto sulla quale misurare e giudicare tutte le altre trasgressioni nel comportamento delle nazioni». Le considerazioni di Hilberg inducono a riflettere su quel fondamentale criterio che dovrebbe presiedere al giudizio storico, ma di cui mi sembra che per l' ennesima volta quasi tutti abbiano tenuto scarsissimo conto nel dibattito avviato dal «Corriere» sul documento della Chiesa circa la sorte dei bambini ebrei affidati a istituzioni o famiglie cattoliche durante la guerra. È il criterio per cui non si può giudicare moralmente e storicamente il passato, anche il più prossimo, con il metro che adottiamo per giudicare il presente. Non solo per l' ovvia ragione che il metro di giudizio cambia moltissimo con il tempo, sicché a noi, per esempio, il fenomeno della schiavitù non può che suscitare oggi sentimenti ben diversi da quelli che suscitava in un abitante dell' antica Roma, ma anche perché il passato stesso e la sua immagine sono a loro volta una costruzione storica, qualcosa che non si costituisce immediatamente una volta per tutte ma si forma e si trasforma con il tempo. Come ci ricorda Hilberg ciò è valso anche per l' Olocausto il quale, se così può dirsi, ha cominciato a esistere solo dagli anni 60 in avanti, avendo l' effetto ovvio di modificare a partire da quegli anni anche il nostro criterio per stabilire ciò che è antisemitismo e insieme di rendere assolutamente obbligatoria la sua condanna. Proprio per ciò trasporre nel passato tale criterio e scandalizzarsi per la mancata ripulsa settanta o ottanta anni fa da parte di uomini e organizzazioni di ciò che oggi definiamo antisemitismo costituisce una grave, indebita forzatura. Ciò non significa rifiutarsi di dare un giudizio: bensì darlo a ragion veduta, tenuto conto cioè delle circostanze e dei tempi. Non c' è dubbio, per esempio, che alla sensibilità odierna il documento di cui sopra appaia orribile allorché stabilisce la politica di non restituzione immediata al loro ambiente, da parte delle famiglie e della Chiesa cattolica, di bambini di origine ebraica, sia pur battezzati, in loro custodia. Di fronte al nostro sentimento morale odierno (insisto: odierno) appare assurdo in una tale circostanza disquisire di diritto canonico, di forza sacramentale del battesimo o di tradizione della Chiesa: che cosa conta tutto ciò paragonato alla disumanità della persecuzione che è all' origine della questione? Tanto più ci rafforza in tale sentire una certa qual cattiva coscienza che ci sembra scorgere negli stessi estensori del documento quando scrivono al primo punto della disposizione: «Evitare nella misura del possibile di rispondere per iscritto alle autorità giudaiche ma farlo oralmente». Perché non bisognava rispondere per iscritto? Forse per poter sempre dire di essere stati fraintesi? Per non lasciare prove e poter magari negare domani ciò che si era affermato oggi? Da qui però a considerare rei di antisemitismo Pio XII e la sua Chiesa, come molti sono tentati di fare, ce ne corre a mio parere moltissimo: e precisamente ci corre il debito conto in cui bisogna tenere le circostanze e i tempi dei fatti. Altrimenti può diventare antisemita anche una Natalia Ginzburg che per conto di Einaudi rifiuta la pubblicazione di Se questo è un uomo di Primo Levi giudicandola opera di scarso valore e interesse; diventa antisemita anche Benedetto Croce che nell' immediato dopoguerra invitava gli ebrei ad abbandonare quella loro separatezza che a suo dire aveva attirato su di loro tanti guai; diventa antisemita, e dunque complice oggettivo di Hitler, perfino, chi aveva affrontato la guerra per sconfiggere l' Asse. Mi riferisco per esempio alla Bbc, sì la mitica Radio Londra, la quale, né più né meno come il Foreign Office che non dava alcun credito alle fonti ebraiche, di Olocausto durante la guerra non parlò mai e una circolare del cui direttore generale, Robert Foot, recitava testualmente così nel 1943: «Antisemitismo - la nostra politica. Non promuoveremo né accetteremo alcuna forma di propaganda (dibattiti, interviste, servizi) con l' obiettivo di correggere l' indubbio antisemitismo largamente diffuso nel nostro Paese. Ci limiteremo a segnalare, quando si verificano, notizie di persecuzioni. Siamo convinti che questo sia nell' interesse degli ebrei. Ogni altra politica alimenterebbe i sentimenti antiebraici» (vedi la «Stampa», 23 agosto del 1993: si noti la somiglianza di un tale punto di vista con quello prevalente in Vaticano). Il punto decisivo è che quando le case editrici americane opponevano i rifiuti che opponevano, quando Natalia Ginzburg o Benedetto Croce prendevano le posizioni che prendevano, quando la Bbc ammantava di presunta neutralità il suo silenzio, quando il medesimo silenzio era adottato dall' amministrazione Roosevelt e da tutta la stampa americana così come quando Pio XII e la Chiesa si muovevano circa la persecuzione antiebraica con il freddo distacco che sappiamo, attenendosi rigidamente solo alle proprie regole, quando tutto ciò accadeva, l' Olocausto, sebbene in corso o da poco trascorso, in realtà non esisteva ancora affatto e per esistere avrebbe dovuto aspettare ancora svariati anni. Dunque non solo non ha senso ravvisare oggi in tutti i protagonisti suddetti una qualche «complicità» nello sterminio, ma è ugualmente infondato definire con il termine per noi oggi obbrobrioso di antisemitismo atteggiamenti che invece sono stati solo di indifferenza, antipatia, repulsa storico-religiosa, diffidenza sociale. Tutte cose che anche allora avranno potuto essere, anzi sicuramente erano, riprovevoli quanto si vuole ma che comunque appartengono a un ordine che non ha nulla, ma proprio nulla, a che fare con le camere a gas. E che perciò vanno tenute storicamente distinte. Bisogna insomma capire, anche quando si parla di Pio XII e della politica della Chiesa, che l' Olocausto e la sua successiva concettualizzazione, risalente a non prima degli anni 60, hanno posto l' antisemitismo, almeno qui in Occidente, su basi interamente nuove. Ne hanno fatto cioè un dato storico totalmente diverso che in passato, rendendolo, innanzitutto sul piano emotivo, qualcosa di ripugnante e impraticabile in ogni sua sia pur minima, e anche remota e solo supposta, premessa. Partire però da queste nuove basi attuali per giudicare fatti e uomini del passato è - quando non interessata speculazione ideologica, come sono convinto sia il caso di Goldhagen, vittima di un forsennato anticattolicesimo di principio - un puro moralismo privo di ogni verità. Proprio per effetto dell' Olocausto, per altro, hanno acquistato importanza centrale nella nostra cultura due elementi in particolare che ci fanno vedere oggi le cose in modo molto diverso da un tempo e tendono a essere proiettati inconsapevolmente anche all' indietro nel nostro giudizio sul passato. Due elementi che a mio giudizio sono implicati in modo massiccio e diretto nella recente polemica sul destino dei bambini ebrei affidati alla Chiesa. Il primo è quello della identità. Il genocidio antisemita, rappresentando una sorta di ineguagliato culmine simbolico della catena che ha caratterizzato il XX secolo (armeni, zingari, omosessuali e poi ancora ceceni, tibetani, abitanti dell' ex Jugoslavia e così via) ha prodotto per reazione nella nostra cultura una forte valorizzazione positiva della dimensione rappresentata dall' identità collettiva. Come è ovvio, ciò è accaduto innanzitutto per l' identità ebraica: mentre fino alla seconda guerra mondiale l' allentamento dei legami identitari e comunitari nonché l' integrazione nelle società «cristiane» erano per lo più percepiti dallo stesso ebraismo, tranne che dagli ambienti osservanti, come un fenomeno neutro o positivo, comunque in buona parte inevitabile, dopo il 1945 viceversa quei fenomeni hanno cominciato a essere considerati come profondamente negativi. Questo atteggiamento oggi si è generalizzato ed è in buona parte divenuto comune a tutto il nostro modo di pensare, portato almeno idealmente a deprecare qualunque cosa attenti alle radici, alla cultura, agli usi, alle tradizioni di ogni tipo e all' autocoscienza di una collettività. Per noi che tra l' altro viviamo in pieno la crisi dell' idea universalistica di progresso, ciò che è particolare appare migliore e più degno di tutela di ciò che è generale e che si presenta sotto il grigio aspetto dell' omologazione. È più che spiegabile allora l' emozione immediata e scandalizzata che suscita l' idea che dei bambini possano essere sottratti al loro ambiente identitario, alle loro radici e immessi, addirittura forzatamente, in un altro. Tanto più che nella vicenda in questione l' elemento dell' identità fa corpo con la seconda dimensione di cui dicevo sopra, portata anch' essa in una luce nuova e particolarmente intensa dalle vicende dell' Olocausto. Si tratta di quella centralità della figura della vittima in genere che ha preso per l' appunto le mosse dalla Shoah e che oggi tende ad affermarsi in ogni nostra riflessione non solo sui conflitti ma in generale su tutti quei fatti storico-sociali che hanno avuto o hanno per protagonisti dei gruppi sociali deboli. Il destino delle minoranze e dei marginalizzati in genere, dei perseguitati, per esempio delle popolazioni indigene nelle aree della colonizzazione, delle donne, ovvero l' attenzione per figure come quella del prigioniero, del portatore di handicap, del morente hanno conquistato uno spazio via via crescente nella nostra sensibilità e nella nostra cultura, alimentando e confluendo in quell' indirizzo genericamente umanitario che è tra i più tipici e potenti del nostro panorama attuale. Indirizzo che, come il precedente riguardante l' identità, tende a essere più o meno consapevolmente applicato anche al passato, con l' effetto di modificarne in modo significativo la nostra visione (si pensi a come oggi ci colpisce la sorte, prima neppure considerata, delle popolazioni tedesche oggetto dei bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale) ma anche con il pericolo di applicare criteri di oggi a fatti di ieri, di decontestualizzare eventi e protagonisti, di trasformare il giudizio storico in un moralismo fuori dal tempo. Così come, mi pare, accada regolarmente ogni volta che viene riaperta la pagina complessa e drammatica del rapporto della Chiesa con i totalitarismi del secolo passato. La vicenda Il dibattito è stato avviato il 28 dicembre scorso dalla pubblicazione sul «Corriere» di una direttiva vaticana del 1946 trasmessa alla Nunziatura di Parigi: vi si chiedeva di non restituire alle famiglie i piccoli ebrei battezzati. La discussione ha coinvolto le figure di Pio XII e anche di Angelo Roncalli. Quest' ultimo, il futuro Giovanni XXIII, avrebbe autorizzato la sintesi in francese della direttiva vaticana. Presto il caso è stato rilanciato dalla stampa internazionale, non solo europea. Uno scalpore particolare ha destato l' attacco a Pacelli da parte dello storico Daniel Jonah Goldhagen, sul «Corriere» del 4 gennaio scorso: dopo averlo definito «criminale», ha chiesto che si interrompa il processo di beatificazione di Pio XII. Ieri, sempre sul «Corriere», lo storico Giorgio Rumi ha denunciato la nascita di una «Inquisizione anticattolica».

Fonte: Corriere della sera, 7.1.2005, pag. 33

Augustinus
15-01-05, 15:12
«Non giudicate Pio XII era figlio del suo tempo»

Anche Salvemini fu diffidente verso gli ebrei e Isaiah Berlin vittima del pregiudizio a Londra

ANTISEMITISMO Lo storico deve evitare di comportarsi da giustiziere

Pertici Roberto

«Mayer è triestino ed ebreo: credergli sarebbe ingenuità. Egli era uno dei consiglieri intimi di Sonnino... Bergmann, ebreo arrivista, stava per i fasci... Lloyd George, strumento di finanzieri ebrei, si era accordato con Lenin». Queste annotazioni ricorrono nel diario che Gaetano Salvemini tenne fra il 1922 e il 1923, all' indomani della marcia su Roma. Lo storico dotato di «buon senso storiografico» cerca di capire: le attribuisce a un' avversione populistica verso uomini di alto censo o appartenenti a classi elevate, e sa bene che sono atteggiamenti tutt' altro che infrequenti negli ambienti democratico-socialisti fra Otto e Novecento. Ma c' è da scommettere che prima o poi un qualche storico-giustiziere, magari rilevando come anche nelle lettere e negli scritti salveminiani successivi alla Seconda guerra mondiale siano piuttosto rari i riferimenti alla persecuzione e allo stermino degli ebrei e non emerga una precisa consapevolezza del loro significato, ridimensionerà su questa base la sua figura e la sua azione di combattente per la democrazia. Nella storia degli ultimi due secoli ci imbattiamo di continuo in problemi di questo genere: come considerare la prima generazione di leader socialisti di origine ebraica (un nome per tutti, Claudio Treves), che affermò sempre che il socialismo era stato per loro anche una liberazione dalla mentalità del ghetto e dalle sue chiusure? Fino a non poco tempo fa, le si dava credito, ma oggi si tende a sottolineare piuttosto i costi di questa rinunzia identitaria. Il battesimo di Giorgio Falco, uno dei più grandi medievisti italiani del secolo scorso, avvenuto a circa un anno dall' entrata in vigore delle leggi razziali, può essere ritenuto unicamente il frutto di una «conversione coatta», come di recente si è scritto? Certo tendiamo oggi a provare un' istintiva simpatia per quegli ebrei (da Henri Bergson a Simone Weil), che, pur essendo approdati a un cristianesimo interiore, preferirono non essere battezzati, volendo - come scrisse Bergson nel suo testamento - «restare tra coloro che saranno domani perseguitati»; come sappiamo che non poche scelte analoghe furono un tentativo (peraltro illusorio) di sfuggire alla persecuzione, ma perché guardare con sospetto a ogni conversione avvenuta in quegli anni (da Edith Stein a Israel Zolli, il rabbino capo della comunità romana passato al cattolicesimo nel febbraio del 1945, assumendo significativamente il nome di Eugenio, in onore di Pio XII) e non verificare la loro portata nell' attività culturale e nella biografia di quegli uomini? Un nemico ricorrente del lavoro storiografico è l' «anacronismo storico», il ritenere cioè che valori, atteggiamenti, mentalità che sono il frutto di un determinato processo storico e la conseguenza di grandi esperienze collettive, siano invece sempre esistiti, e quindi possano diventare un criterio di giudizio della storia stessa: si esige, così, dagli uomini del passato una lucidità sugli avvenimenti dei loro tempi, una nettezza di giudizio, una risolutezza di scelte che noi spesso abbiamo acquisito proprio per le conseguenze dei loro «errori». Si pensi soltanto al giudizio corrente su figure e partiti del primo dopoguerra e l' accusa loro continuamente rivolta di non aver compresa (o di non aver voluto comprendere) la «vera natura» del fascismo emergente. In pericoli analoghi, anzi ancora più gravi dato il carattere infamante dell' accusa di antisemitismo, si incorre nelle discussioni ricorrenti sull' antisemitismo, l' Olocausto e il ruolo della Chiesa cattolica, in particolare di Pio XII: Ernesto Galli della Loggia ha ribadito come la percezione che i contemporanei ebbero dell' Olocausto fu almeno fino agli anni Sessanta assai limitata, che pregiudizi antiebraici erano presenti anche nei Paesi della coalizione antifascista (negli anni Cinquanta, un intellettuale del calibro di Isaiah Berlin - lo ricorda il suo biografo Michael Ignatieff - non fu ammesso nell' esclusivo St. James Club a causa del suo ebraismo), che la lotta contro l' antisemitismo nazista non fu uno scopo di guerra della coalizione antifascista, né un tema della sua propaganda, e che, da Primo Levi a Raul Hilberg, non furono pochi gli intellettuali ebrei o i reduci dai campi che trovarono impedimenti di vario tipo ai loro scritti sull' esperienza concentrazionaria. Perché allora queste osservazioni sembrano non bastare a contestualizzare il comportamento della Santa sede durante quei terribili anni? Dalla constatazione della limitata percezione degli avvenimenti che ebbero i vertici della Chiesa e dei ritardi della loro azione, dal rilievo che in tali limiti giocò un ruolo decisivo una secolare tradizione di antigiudaismo, si passa invece, più o meno esplicitamente, all' accusa di connivenza e di complicità, fino a emettere un verdetto di «colpevolezza storica» sull' intera vicenda dell' Olocausto. Ancora Galli della Loggia ha indicato alcuni caratteri della situazione culturale dei nostri anni che possono spiegare questa deriva: ma credo che si debba sottolineare come per non pochi degli «accusatori» più aggressivi (è esemplare l' articolo di Daniel Jonah Goldhagen comparso su queste pagine) ci sia al fondo una prevalente volontà polemica, di attacco complessivo a una tradizione storico-religiosa. Si costruisce un paradigma storiografico che fa dell' Olocausto l' elemento centrale della storia dell' umanità, rispetto al quale tutti gli altri avvenimenti prendono significato e valore; se ne delinea il retroterra secolare, in qualche modo preparatorio; si sottolinea il ruolo che vi ha svolto l' antigiudaismo cattolico, se ne vede il coagulo nella politica di Pio XII, non a caso parallela e concorde con lo sterminio hitleriano. Tutta la storia della Chiesa viene letta in questa prospettiva, che la carica di un significato prevalentemente negativo. Di altro livello è l' argomentazione di Claudio Magris, che riprende (non so quanto consapevolmente) argomentazioni di insigni scrittori cattolici dell' Ottocento, dal nostro Manzoni a Lord Acton. Dopo la predicazione di Cristo raccolta nei Vangeli, - affermavano - non è più possibile per l' uomo avere dubbi o equivocare su ciò che si deve e non si deve fare, per cui - se si comporta in maniera difforme - la responsabilità è unicamente sua, non dei tempi o delle circostanze. Così Pio XII non può trovare giustificazioni «esterne» - conclude Magris - alle sue «negligenze» e ai suoi silenzi. Confesso che ho sempre trovato piuttosto astratte posizioni di questo genere: esse hanno il merito di ribadire, di fronte ai «giustificazionismi» di varia specie, l' importanza della responsabilità umana, ma rischiano di limitare il giudizio storico a un calcolo differenziale fra il bene che si deve compiere e quello effettivamente compiuto. Tocqueville ricordava che «la Provvidenza non ha creato il genere umano interamente indipendente né del tutto schiavo. Essa traccia intorno a ogni uomo un cerchio fatale da cui egli non può uscire; ma, entro questi vasti limiti, l' uomo è potente e libero». Anche Pio XII visse nel suo «cerchio fatale» (la sua formazione, il suo retroterra culturale, la qualità del suo cattolicesimo, i suoi orientamenti politici, ma - soprattutto - la tragica situazione storica in cui guidò la Chiesa cattolica) all' interno del quale fece le sue scelte: è all' interno di questo «cerchio» che esse devono essere analizzate e giudicate. Giorgio Israel sembra, invece, ritenere sostanzialmente pretestuosa e riduttiva ogni distinzione fra «antigiudaismo» e «antisemitismo». A pochi anni dalla fine della guerra, un intellettuale di grande finezza come Antonello Gerbi, reduce dall' esilio peruviano a cui era stato costretto dalle leggi razziali, mostrava di avere idee opposte. Sul Mondo di Pannunzio, avvertiva che «la cosiddetta "questione ebraica" riceverebbe luce da una maggior precisione dei termini e dei concetti» e osservava che «antisemita è parola impropria per indicare tutte le forme di odio e persecuzione contro gli ebrei». Aggiungeva: «Io direi di riservare la parola "antisemitismo" per l' odio razziale di tipo hitleriano; e di chiamare evangelicamente "antigiudaismo" l' odio per l' avidità di denaro e per il tradimento dei maestri, benefattori e correligionari; "antisionismo" l' avversione politica al nuovo Stato di Israele; "antiebraismo" l' intolleranza degli ideali cosmopolitici e messianici dei Profeti e di certi moderni rivoluzionari; e "anti-israelitismo" l' irritazione e l' animosità contro gli atteggiamenti troppo chiusi e le angosce troppo "parrocchiali" del "popolo eletto"» (26 novembre 1949, p. 10). Anche se alcune di queste osservazioni suscitano oggi perplessità, l' esigenza di chiarezza e di distinzione concettuale che è loro sottesa mi pare degna di considerazione. Il dibattito sul «Corriere» L' AUTORE Roberto Pertici, che interviene oggi sul nostro giornale, insegna Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere dell' università di Bergamo. È autore e curatore di diverse pubblicazioni. Nel 1997 è uscito il suo saggio «Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l' itinerario politico di Delio Cantimori», edito dalla Jaca Book CORRIERE.IT Tutti gli interventi apparsi sulle pagine del nostro quotidiano sono disponibili sul sito Internet del «Corriere»

Fonte: Corriere della sera, 13.1.2005, pag. 35

Augustinus
15-01-05, 15:14
La «nota» e il «dispaccio» sui bambini salvati dai cattolici

DIFFERENZE & COINCIDENZE

Melloni Alberto

Su una nota del 23 ottobre 1946, che presenta gli ordini del Sant'Uffizio relativi ai bambini ebrei salvatisi in case cattoliche, la disputa non si placa. Un dispaccio del Sostituto della Segreteria di Stato Tardini al nunzio a Parigi datato 23 ottobre 1946 (cui alludeva un mio intervento) è stato pubblicato martedì dal Giornale. Questi due documenti - la nota e il dispaccio di ottobre, conservati entrambi a Issy - furono usati in quell' autunno e poi inviati al cardinale Gerlier il 30 aprile 1947. Andrea Tornielli è convinto che questo inoltro faccia di essi un solo atto «completo», taciuto dal Corriere della Sera perché più favorevole a Pio XII. Il dispaccio Tardini dice: 1) di non rispondere alle richieste dei rabbini o di farlo solo a voce; 2) di precisare che sono necessarie inchieste; 3) che gli orfani battezzati andranno cresciuti da istituzioni cattoliche; 4) che gli orfani non battezzati non possono essere «abbandonati o consegnati a chi non ne avesse diritto», ma che «altra cosa» sarebbe se i bambini fossero richiesti dai congiunti; 5) che «la decisione e i criteri» esposti hanno avuto l' augusta approvazione di Pio XII. Al di là di qualche sfumatura verbale, il dispaccio si nutre della stessa gelida burocrazia teologica del Sant' Uffizio che si riscontra nella nota. Anche sul punto 4, che per me non si isola dal resto. La nota dispone di ridare i bambini ai genitori «ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo». Il dispaccio afferma che sarebbe «altra cosa» se i bambini non battezzati fossero richiesti dai parenti o dai genitori sfuggiti al genocidio, anziché da coloro che si apprestavano a fondare lo Stato d' Israele. Il Sant' Uffizio di Pio XII rimase convinto di questa posizione (basta leggere la lettera che il cardinal Pizzardo manda il 23 gennaio 1953 sul caso Finaly, pubblicata da Germaine Ribière), mentre fra i vescovi si cercarono soluzioni più umane. L' atteggiamento che presiede alle decisioni romane, per arrivare al 1946, supera interrogativi angoscianti (il 10 ottobre 1942 Pio XII domanda al suo delegato apostolico ad Istanbul «se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male») e riformula una diffidenza dura verso la fede d' Israele, verso il sogno di una terra, verso l' infinito dolore della Shoah. Non è uno scoop, ma un dovere, comprendere questo atteggiamento per come è stato, anziché occultarlo con casi e distinguo così sottili da far pensare (lo mostrano tre articoli a discolpa di Pio XII sul numero appena uscito della Revue d' Histoire Ecclésiastique) alle esigenze di una beatificazione. A meno di dover credere che il mea culpa di Giovanni Paolo II sia stato pronunziato su un equivoco.

Fonte: Corriere della sera, 14.1.2005, pag. 33

Augustinus
15-01-05, 15:17
Gli ebrei e la svolta americana

Quando l' America scoprì il flagello dell' antisemitismo. Fino agli anni Sessanta gli Usa sottovalutarono le persecuzioni contro gli ebrei

ANTISEMITISMO Continua il dibattito sul processo storico che portò le società occidentali a prendere coscienza della Shoah e dell' odio antiebraico

Romano Sergio

Nel «Corriere della Sera» del 7 gennaio Ernesto Galli della Loggia ricorda che Raul Hilberg, autore di una grande opera sulla «Distruzione degli ebrei d' Europa», si scontrò alla fine della sua ricerca, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, con la diffidenza del mondo editoriale americano. Posso aggiungere qualche ricordo personale. Quando arrivai a Chicago nel 1952 gli ebrei, socialmente, erano tenuti a distanza da ipocrite e talvolta sgarbate forme di apartheid. Godevano di un forte prestigio nel mondo accademico, erano tradizionalmente presenti nel mondo finanziario e controllavano alcune fra le major di Hollywood. Ma in molti Stati americani la middle class ebraica viveva in un ghetto invisibile. Non era ammessa ai country clubs, dove i Wasp (l' acronimo che definisce i bianchi protestanti d' origine anglosassone) celebravano i riti della loro vita sociale. Ed era accolta con freddezza nei grandi alberghi dei migliori luoghi di villeggiatura. L' unico Stato dell' Est che li accettava calorosamente era la Florida; con il risultato che molti anziani ebrei di New York avevano preso l' abitudine di svernare a Miami e a Palm Beach, dove erano diventati materia di barzellette e aneddoti. Gli ebrei ne erano coscienti e avevano adottato «un basso profilo». La parola d' ordine della comunità in quegli anni era «discrezione». Parlare del genocidio e rievocare le persecuzioni sofferte era considerato imprudente. Occorreva evitare che il tradizionale patriottismo americano usasse le loro lagnanze per sostenere che gli ebrei erano un gruppo separato, difficilmente assimilabile. Vi è un episodio da cui emerge quale fosse allora lo stato d' animo dell' ebraismo americano. Nel 1947 apparve nei cinema un film di Elia Kazan. S' intitolava Gentleman' s Agreement (in italiano Barriera invisibile) e raccontava la storia di un giornalista (Gregory Peck) che si finge ebreo per scrivere una inchiesta sull' antisemitismo e scopre in tal modo i molti pregiudizi diffusi nella società americana. Quando seppero che Darryl F. Zanuck (un produttore non ebreo) si accingeva a finanziare il film, alcuni impresari cinematografici ebrei lo pregarono di rinunciare. Temevano che la denuncia avrebbe reso l' ambiente ancora più ostile. Non avevano torto. La «crociata» del senatore McCarthy contro il comunismo prese di mira Hollywood, dove gli ebrei erano numerosi, e diffuse la convinzione che l' ebraismo fosse unamerican, vale a dire estraneo ai valori americani. Non erano ebrei forse i coniugi Rosenberg, accusati di avere passato ai servizi sovietici alcuni segreti atomici? Non erano ebrei molti intellettuali attratti dal comunismo fra gli anni Trenta e Quaranta? Charlie Chaplin era nato in una famiglia protestante dell' East End di Londra, ma aveva recitato la parte del piccolo ebreo berlinese nel Grande dittatore e veniva sprezzantemente descritto come «filosemita»: sino al giorno in cui, minacciato di espulsione, se ne andò dagli Stati Uniti sbattendo la porta. Era la fine del 1952. La situazione, negli anni seguenti, non cambiò molto. Ne avemmo una prova nel 1956, quando il leader egiziano Nasser nazionalizzò il Canale di Suez. La Francia e la Gran Bretagna decisero di reagire con la forza e si accordarono con Israele. Ma il generale Eisenhower, presidente degli Stati Uniti dal 1952, li costrinse a interrompere le operazioni. La guerra ebbe per effetto l' espulsione di alcune decine di migliaia di ebrei dai Paesi arabi del Mediterraneo e del Medio Oriente. Ma neppure quel nuovo esodo commosse l' opinione pubblica europea e americana. Oggi molti ebrei vedrebbero in questo silenzio il persistente antisemitismo delle società cristiane. Allora preferirono tacere, soccorrere con discrezione i loro fratelli e lasciare che la tempesta passasse. Confrontata con quella del 1956, la guerra del 1967 presenta alcune interessanti differenze. Una sera, mentre ancora si combatteva, andai nel ghetto di Roma per assistere a una manifestazione filoisraeliana. Prese la parola Arturo Carlo Jemolo, grande giurista cattolico, ma figlio di una ebrea piemontese. La madre si era convertita, ma Jemolo conservò per tutta la sua vita una sorta di naturale affetto per l' ebraismo. Quella sera parlò a una trentina di persone. La sinistra romana aveva disertato l' incontro e non nascose più, da allora, la sua simpatia per la causa palestinese. La guerra dei sei giorni e la presa di Gerusalemme non piacquero del resto né alla sinistra europea né ai governi di allora. Quando parlò del conflitto nel corso di una conferenza stampa il 27 novembre di quell' anno, il generale de Gaulle disse che gli israeliani erano «un popolo sicuro di sé e dominatore»: una frase in cui era possibile leggere al tempo stesso un giudizio critico e una certa ammirazione. Vi furono dichiarazioni e proclami a sostegno di Israele nelle comunità ebraiche in Italia e altrove, ma nulla di comparabile allo sdegno con cui l' ebraismo militante ha accolto negli anni seguenti le critiche alla politica del governo israeliano. Il mondo cattolico fu filo-palestinese senza correre il rischio di apparire antisemita. E ancora più filopalestinesi furono i movimenti studenteschi del 1968. Ma non furono accusati di insensibilità alla memoria dell' Olocausto. Eppure qualcosa nel frattempo era cambiato, soprattutto in America. Alle riflessioni di Galli della Loggia sulle ragioni del mutamento aggiungo alcuni motivi prevalentemente politici e sociali. Il primo fu la svolta della politica americana in Medio Oriente dopo il fallimento della spedizione anglo-francese a Suez nel 1956. Dopo avere tagliato le ali alla spedizione anglo-francese, gli Stati Uniti si accorsero che lo smacco patito da Londra e Parigi lasciava nella regione un vuoto pericoloso e che esso sarebbe stato riempito dall' Urss. Con un rapido voltafaccia, quindi, l' America cominciò a occuparsi di affari mediorientali nello stile delle vecchie potenze coloniali europee. Quando il nazionalismo di Nasser, nel 1958, contaminò il Libano, gli americani capirono che il Medio Oriente stava per sfuggire al loro controllo. E quando il 14 luglio una fazione nazionalista massacrò la famiglia reale a Bagdad, Eisenhower dette ordine alla VI flotta di sbarcare i marines sulla costa del Libano. Cambiò progressivamente in quel periodo il rapporto dell' America con Israele. Preoccupati dal nazionalismo nasseriano e dalla crescente influenza sovietica nella regione, gli Stati Uniti videro nello Stato ebraico l' unico amico su cui potessero fare affidamento, una roccia nell' instabile paesaggio politico mediorientale. Questa svolta modificò l' atteggiamento dell' ebraismo americano. Era finita l' era del riserbo e della prudenza, cominciava la fase in cui la comunità ebraica negli Stati Uniti (la più grande nel mondo dopo quella sovietica) sarebbe stata sempre meno impacciata dalle sue antiche paure e sempre più libera di sostenere Israele, ricordare il passato, denunciare vecchi e nuovi pregiudizi. Questo passaggio dalla difesa all' attacco fu favorito dall' arrivo di una nuova generazione. I padri avevano visto gli orrori della guerra, sapevano che altri gruppi sociali e nazionali erano stati duramente colpiti, non dimenticavano i gesti di amicizia offerti nel momento del pericolo, temevano di attizzare nuove manifestazioni di ostilità. I figli invece erano sicuri di sé, consapevoli dei loro diritti, orgogliosi dei successi di Israele, cresciuti in una società democratica dove ogni gruppo nazionale era libero di celebrare le proprie feste e i propri lutti. Tre episodi fornirono a questa generazione un terreno su cui addestrarsi a dare battaglia: il caso Eichmann, il caso Hochhuth, il caso Waldheim. Nel grande cantiere del genocidio ebraico Karl Adolf Eichmann fu il direttore dei lavori, regista e organizzatore dei massacri. Sfuggito agli Alleati, riparò in Siria e successivamente in Argentina dove gli israeliani lo scoprirono e lo rapirono. Fu processato, condannato a morte e impiccato nella prigione di Ramleh a Tel Aviv il 31 maggio del 1962. Il processo ebbe due effetti. In primo luogo dimostrò che Israele aveva conti in sospeso e non avrebbe esitato a regolarli: un atteggiamento assai diverso da quello schivo e riservato di cui il mondo ebraico aveva dato prova negli anni precedenti. In secondo luogo proiettò su uno schermo gigantesco, durante i mesi del processo, la tragedia del genocidio e lo rese familiare anche a chi ne aveva sottovalutato le dimensioni. Rolf Hochhuth è uno scrittore tedesco, epigono della cultura teatrale della Repubblica di Weimar, quando il teatro era strumento di denuncia, propaganda, azione politica. Nel 1963 rappresentò a Berlino, con la regia di Erwin Piscator, un dramma intitolato Der Stellvertreter, il Vicario, in cui Pio XII è accusato di avere assecondato, con i suoi silenzi e la sua indifferenza, la politica sterminatrice di Hitler. Non fu la sua sola provocazione. Tre anni dopo rappresentò un nuovo dramma, Die Soldaten, in cui Churchill appare responsabile degli inumani bombardamenti inglesi in Germania. In altre circostanze Hochhuth sarebbe stato accusato di nazionalismo, revanscismo, forse addirittura giustificazionismo filonazista. Ma il suo libello drammatico contro Pio XII suscitò l' interesse degli ambienti ebraici e più generalmente di quelli anticattolici o anticlericali. Di questo revisionismo, incidentalmente, fece le spese anche l' Italia. Fino agli anni Sessanta era universalmente lodata per i sentimenti umani di cui le sue autorità e le sue truppe avevano dato prova, soprattutto durante la guerra. Da allora è spesso sul banco degli accusati. Il caso Waldheim risale al 1986. Kurt Waldheim era stato per due mandati, dal primo gennaio 1972, segretario generale dell' Onu ed era divenuto, nel 1986, presidente della Repubblica austriaca. Lo scandalo scoppiò poco prima delle elezioni. Alcuni giornali cominciarono a evocare una fase della sua vita su cui i curricula ufficiali erano generalmente avari. Era stato tenente della Wehrmacht in Jugoslava durante la guerra e aveva partecipato, apparentemente, ad alcune razzie di ebrei e partigiani. Il World Jewish Congress sostenne la campagna. Fu pubblicata una fotografia, scattata in Montenegro, in cui Waldheim appariva fra un generale tedesco e un generale italiano: non precisamente una prova giudiziaria, ma la dimostrazione, secondo alcuni, che il giovane tenente si muoveva fra gli alti gradi delle forze d' occupazione e «non poteva non sapere». Non basta. I suoi critici sostennero che Waldheim, quando era segretario generale dell' Onu, aveva favorito gli interessi dell' Urss nell' organizzazione, ed ebbero così il sostegno di una larga parte della pubblica opinione. Waldheim finì nella «Watch List»: una specie di lista nera dove erano elencate tutte le persone sgradite alle autorità americane. Come il processo Eichmann e quello contro la memoria di Pio XII, anche il caso Waldheim dimostrò che era ormai tramontata l' epoca in cui le comunità ebraiche preferivano evitare il pubblico ricordo delle loro sciagure e sofferenze. Credo anch' io, come Galli della Loggia, che l' importanza assunta dal genocidio dopo gli anni Sessanta sia dovuta alla riscoperta della identità ebraica e al più vasto fenomeno, diffuso ormai da qualche anno, della rinascita delle identità comunitarie. Ma credo che tutto ciò cominci ad accadere nel momento in cui l' ebraismo americano scopre di poter conciliare, senza troppi rischi, due lealtà, quella per Israele e quella per gli Stati Uniti, che potevano apparire, in altri momenti, potenzialmente contraddittorie. Papa Pacelli e la causa di beatificazione LA CAUSA Le polemiche suscitate dalla scoperta della direttiva con cui Pio XII ordinava che i bambini ebrei battezzati durante il nazismo non fossero restituiti alle famiglie ha riaperto la questione della beatificazione di papa Pacelli. E' stata infatti fissata per la prossima primavera la prima discussione davanti alla Congregazione per le cause dei santi presieduta dal cardinale Josè Saraiva Martins. I DOCUMENTI «È assolutamente falso sostenere che la Santa Sede abbia bloccato la causa di beatificazione» ha detto padre Gumpel, il gesuita tedesco che ricopre la carica di postulatore nel processo canonico. «Tutto il materiale è stato raccolto e stampato ed è già nella disponibilità della Congregazione». CORRIERE.IT Tutti gli interventi apparsi sul «Corriere della Sera» intorno al caso dei bambini ebrei battezzati e papa Pacelli sono disponibili sul nostro sito www.Corriere.it

Fonte: Corriere della sera, 14.1.2005, pagg. 1 e 33

Augustinus
15-01-05, 15:19
Ma l'Italia scoprì l'Olocausto solo dopo gli anni del silenzio

La Shoah in poche righe, le leggi razziali taciute: così nel dopoguerra i libri di storia presentavano l' antisemitismo e lo sterminio degli ebrei,

L' AUTOCRITICA La Chiesa riconosce che anche i suoi ministri sono umili peccatori

Due sono i criteri da considerare nel giudizio storico: l' obbligo di tener conto del contesto e la necessità di distinguere tra fenomeni simili, assegnando a ciascuno la sua specificità. Per questo bisogna separare nettamente il razzismo genocida di Hitler dalle altre forme di ostilità antiebraica che si sono manifestate in Europa

Belardelli Giovanni

Nel 1960 il manuale di storia per le superiori scritto da Raffaello Morghen sceglieva di trattare dello sterminio degli ebrei in un modo che oggi neppure il peggior «negazionista» oserebbe fare: non ne parlava e basta. Alla stessa data un altro manuale allora molto diffuso, quello di Francesco Moroni, dedicava alla questione non più di quattro o cinque righe che definire riduttive è poco, poiché vi si ricordava l' eliminazione di «centinaia di migliaia» di ebrei e di appartenenti all' élite polacca. Ecco, credo che poche cose come il contenuto dei manuali scolastici possano confermare con altrettanta immediatezza la verità di quel che ha osservato su questo giornale Ernesto Galli della Loggia, e cioè che nell' Italia e nell' Europa del dopoguerra l' Olocausto semplicemente non esisteva. Non che non si conoscessero ormai la contabilità terribile e i caratteri diabolici del genocidio perpetrato da Hitler, ma una tale opera di sterminio veniva fatta generalmente rientrare nel complesso degli orrori e delle morti, a diecine di milioni del resto, verificatisi durante il conflitto. I manuali appena citati avevano un orientamento che potremmo definire genericamente come di destra; ma anche il testo di un autore certamente di sinistra, Armando Saitta, si sbarazzava della questione in poche striminzite righe, senza fare alcun preciso riferimento alle dimensioni quantitative assunte dallo sterminio degli ebrei. E questo, si noti, nel momento in cui pure dedicava una trattazione accurata, Paese per Paese, alla Resistenza europea. Ma appunto, tra fine anni Cinquanta e inizio Sessanta, per gli autori di manuali scolastici - di destra o di sinistra che fossero - l' Olocausto, inteso come uno degli eventi centrali del secolo qual è per noi oggi, non esisteva. Anzi, ancora al principio degli anni Settanta poteva accadere che il manifesto di una sezione romana del Partito comunista commemorasse il rastrellamento degli ebrei della capitale compiuto dai tedeschi il 16 ottobre 1943, cioè l' episodio certamente più grave nel «capitolo italiano» della Shoah, limitandosi a parlare di «cittadini romani» deportati e dunque senza usare la parola ebrei. Nei giorni scorsi qualche commentatore ha manifestato sconcerto per l' invito di Galli della Loggia a non giudicare il passato con i criteri del presente: ma, senza il rispetto di questa elementare regola dell' indagine storica, l' Italia repubblicana ci apparirebbe popolata (e sarebbe evidentemente una grave distorsione) dai peggiori negazionisti, invece che da persone che seguivano - spesso troppo pigramente, certo - orientamenti largamente diffusi. Davvero significativo, poi, fu quel che a lungo i suddetti manuali di storia scrissero (o, più spesso, non scrissero) sulle leggi razziali di Mussolini, cioè su un evento che oggi (appunto: oggi) è diventato assolutamente centrale nel rapporto che l' Italia ha con il suo passato, fino al punto di rendere impossibile pensare a quel passato prescindendo da esse. A dimostrazione di come nei primi anni e decenni del dopoguerra anche le leggi razziali «non esistessero», di come non facessero parte cioè della nostra rappresentazione del passato, cito per tutti il manuale di Rosario Villari, comparso nel 1969 e destinato a un ampio e duraturo successo. Ebbene, anche Villari si limitava a richiamare «il lancio in grande scala della campagna anti-ebraica (cui si associò Mussolini emanando un decreto razzista, 14 luglio 1938)». Tutto qui: l' introduzione di leggi antisemite da parte del regime era evocata in modo puramente incidentale, per giunta con una imprecisione (il 14 luglio fu in realtà la data di pubblicazione del «Manifesto» degli scienziati razzisti) che denotava l' interesse marginale che all' epoca poteva riservare alla questione anche uno storico di sinistra e di sicure convinzioni antifasciste come appunto Villari. Ma ancor più sorprendente è che gli ebrei italiani non protestassero per il fatto che nel loro Paese circolavano libri scolastici in cui si sottovalutava, come abbiamo appena visto, la portata dello sterminio antisemita. Anzi, erano per primi gli ebrei a evitare che si parlasse «troppo» dello sterminio e che si ricordassero «troppo» quelle leggi del 1938 che li avevano espulsi dalla comunità nazionale. La spinta a dimenticare aveva varie motivazioni, ma dipendeva anzitutto dal desiderio di essere riammessi a pieno titolo nella vita dell' Italia democratica, laddove ricordare la persecuzione subita avrebbe significato sottolineare una propria diversità. Del resto, a confermare quanto la nostra conoscenza del passato sia essa stessa storicamente determinata dalle idee e dai contesti politici del momento sta il fatto che in Israele il genocidio degli ebrei assunse il carattere di evento fondatore del nuovo Stato soltanto alcuni anni dopo la sua nascita, soprattutto dopo il processo Eichmann celebrato a Gerusalemme nel 1961. Insomma, questi e i molti altri esempi che si potrebbero addurre mostrano come non sia esatto ciò che ha scritto Mario Pirani (su Repubblica dell' altroieri), sostenendo che no, non sarebbe vero che nei primi anni del dopoguerra l' Olocausto, inteso come una rappresentazione-interpretazione dell' evento analoga a quella odierna, non esisteva ancora. Già nel 1945, secondo Pirani, quando si liberarono gli ultimi sopravvissuti dei campi di sterminio l' «orrore percorse il mondo civile». Ma in realtà si trattava di reazioni diverse da quelle odierne, poiché quel sentimento di orrore non attribuiva al genocidio antiebraico la peculiare e duratura epocalità che noi oggi gli riconosciamo facendo così, di quei sei milioni di ebrei morti, appunto l' Olocausto. Si trattò anche per questo di un sentimento di orrore che poté presto lasciare il campo alla disattenzione o all' indifferenza. Assai diversa l' obiezione mossa invece da Claudio Magris (sul Corriere della Sera del 10 gennaio) non alla necessità in sé di «calarsi nell' epoca in cui sono avvenuti i fatti», che appunto egli condivide in pieno, ma alla possibilità che una tale regola, valida in generale, possa applicarsi anche alla Chiesa. Per la Chiesa - scrive infatti - «la verità non è storicamente condizionata e relativa, ma immutabile». Proprio la sua pretesa di non essere figlia del tempo richiederebbe insomma che dai mali e dai crimini del tempo in cui opera essa si mantenesse immune, pena «il nostro diritto di chiamarla in giudizio». Ma mi permetto di dubitare circa la fondatezza della premessa di Magris riguardo a ciò che la Chiesa afferma di essere. Cinque anni fa, nel corso del Giubileo, la richiesta papale di perdono si basava proprio sulla convinzione che anche la Chiesa, che trascende la storia ma insieme vive nella storia, avesse e non potesse non avere delle colpe. Se Cristo non conobbe il peccato, si argomentava nel documento vaticano Memoria e riconciliazione del marzo 2000, è vero invece che «tutti i membri della Chiesa, compresi i suoi ministri, devono riconoscersi peccatori». E il primo atto, o la premessa, del percorso di perdono e riconciliazione lì delineato consisteva, non a caso, nel «corretto giudizio storico», elaborato secondo regole e metodi analoghi a quelli in uso presso gli storici di professione. Regole e metodi tra i quali dovrebbe anche esserci, mi pare, l' attenzione a distinguere tra i fenomeni storici, riconoscendo la specificità di ciascuno di essi. Eppure, piuttosto sorprendentemente, Giorgio Israel (sul Corriere di ieri), ha sollecitato invece a non separare l' antisemitismo nazionalsocialista dalle altre forme di ostilità e discriminazione antiebraica che coinvolsero vari settori della civiltà europea, in particolare in relazione al mondo cattolico e al suo antigiudaismo di matrice religiosa. Israel afferma che, certo, non si può considerare Pio XII alla stessa stregua di Eichmann. Ma in realtà, se accettassimo davvero - come egli ci invita a fare - di non scomporre in «pezzi disgiunti» l' antisemitismo, considerandolo dunque come un «fenomeno storico unitario», la conseguenza sarebbe proprio che Eichmann e Pio XII finirebbero col trovarsi dalla stessa parte, dalla parte dei responsabili - sia pure con ruoli diversi - dell' Olocausto. Il che appare evidentemente assurdo. A non convincere, in un discorso del genere, è la stessa premessa che postula, al di là di ogni differenza, una identità sostanziale tra tutte le forme di antigiudaismo e antisemitismo. Ma quando si sia sottolineata la persistenza nella Chiesa di Pio XII (e, per la verità, più in certe Chiese nazionali che in Vaticano) di pregiudizi antiebraici, resta il fatto che le forme di discriminazione che a volte a quei pregiudizi si accompagnavano rappresentano comunque un dato radicalmente diverso rispetto alla politica di sterminio progettata e attuata dal regime nazista. Il dibattito sul «Corriere» Il 28 dicembre il «Corriere della Sera» ha pubblicato un documento del Sant' Uffizio che ordinava di non restituire i bambini ebrei ospitati presso istituzioni cattoliche durante la guerra La rivelazione ha suscitato un dibattito internazionale, con articoli su varie testate: da «The Guardian» a «Le Figaro», dal «New York Times» al «Jerusalem Post» CORRIERE.IT Sul sito Internet del «Corriere» uno speciale raccoglie tutti gli interventi sulla questione comparsi negli ultimi giorni sul nostro quotidiano

Fonte: Corriere della sera, 12.1.2005, pag. 35

Augustinus
15-01-05, 15:23
Il battesimo di un rabbino nella Roma del 1945

LETTERE AL CORRIERE risponde SERGIO ROMANO

Romano Sergio

Perché nessuno, nella discussione sul battesimo dei bambini ebrei, cita la figura del Rabbino capo di Roma, Zolli, che guidò la comunità nel periodo più difficile? Sarebbe interessante sapere perché si convertì al cristianesimo e perché si fece chiamare proprio Eugenio. Su Eugenio, solo il silenzio Camillo Fornasieri Milano Caro Fornasieri, cercherò di dare una risposta alla sua curiosità, ma le confesso subito che la personalità di Israel Zoller (era questo il suo nome prima d' essere italianizzato) mi è sempre parsa enigmatica, amletica e quindi naturalmente controversa. Non si aspetti quindi un giudizio. Mi limiterò al racconto dei fatti più importanti della sua vita. Nacque nel 1881 in Galizia, allora provincia austro-ungarica, da una famiglia che aveva una lunga tradizione rabbinica. Nel 1920 era a Trieste, rabbino di quella comunità. In un libro pubblicato recentemente da Laterza («Ritrovare se stessi. Gli ebrei nell' Italia postfascista»), Guri Schwarz scrive che Zolli aveva sentimenti antisionisti ed era vicino agli ambienti «dell' ebraismo nazionalista e fascista, rappresentato negli anni Trenta dalla rivista La Nostra Bandiera». Ma nel 1937 la sua firma apparve, con quella di altri 29 colleghi, in calce a un messaggio intitolato «I rabbini d' Italia ai loro fratelli». Il documento, scritto mentre aumentava il numero degli ebrei tedeschi che cercavano rifugio in Italia, venne considerato sionista e suscitò le feroci polemiche di un giornale fascista, Il Tevere, molto attivo nelle campagne antisemite che precedettero le leggi razziali. Privato della cittadinanza italiana dopo l' adozione delle leggi, Zolli rimase tuttavia nel Paese e divenne rabbino di Roma. Nel 1943, dopo l' 8 settembre, ebbe un acceso contrasto con il presidente della Comunità ebraica, Ugo Foà. Mentre il rabbino, preoccupato dalla piega delle cose, suggeriva di chiudere il tempio, disperdere gli impiegati, bruciare gli elenchi, allertare gli ebrei del ghetto e aiutarli finanziariamente a nascondersi, Ugo Foà credette che quei consigli fossero animati da uno spirito disfattista. Fu allora che Zolli decise di rifugiarsi presso una famiglia amica di cattolici italiani. Quella scelta gli valse la riprovazione del Consiglio della Comunità e, dopo l' arrivo degli Alleati, la sollevazione dall' incarico. Ma il colonnello Charles Poletti, governatore americano di Roma, volle che ritornasse alle sue funzioni. Fu rabbino per poco più di sei mesi. Nell' agosto del 1944 incontrò un gesuita, padre Paolo Dezza, e chiese «l' acqua del battesimo». Un mese dopo celebrò nella grande sinagoga di Roma la cerimonia liturgica per la festa dell' espiazione (Yom Kippur) e raccontò più tardi di avere avuto una visione. Gesù, vestito di bianco, gli disse: «Tu sei qui per l' ultima volta». Poco tempo dopo si dimise e il 13 febbraio 1945, nella cappella di Santa Maria degli Angeli, fu battezzato dal vicegerente di Roma, Monsignor Luigi Traglia. In segno di omaggio e gratitudine al Papa, volle chiamarsi Eugenio. Nel suo libro su «Pio XII, il Papa degli ebrei», pubblicato da Piemme, Andrea Tornielli racconta che anche la moglie e la figlia, un anno dopo, si convertirono. Nella comunità ebraica la decisione di Zolli fu interpretata da molti come l' inizio di una aggressiva campagna della Chiesa per le conversioni. Nella sua Storia degli ebrei italiani, pubblicata da Einaudi, Attilio Milano fu molto duro: «Gli ebrei di tutta Italia, sorpresi e sdegnati, considerarono questo abbandono come una desacralizzazione del lutto in cui erano ancora immersi». Ma gli ambienti cattolici, soprattutto dopo le polemiche contro Pio XII, non rinunciano a valorizzare il gesto del rabbino Zolli. Nel 2002 è apparso presso le edizioni San Paolo il libro di Judith Cabaud, «Il Rabbino che si arrese a Cristo», e più recentemente presso lo stesso editore, l' autobiografia (Prima dell' Alba). Quello che maggiormente mi colpisce in questa vicenda, come in quella del battesimo dei bambini ebrei, è la tenacia con cui la Chiesa cattolica e l' ebraismo si contendono le loro anime: un segno di antichi odi, ma anche, paradossalmente, di segreti e inconfessati amori.

Fonte: Corriere della sera, 11.1.2005, pag. 41

Augustinus
15-01-05, 15:28
Il teologo del Papa: su Pio XII “una polemica artificiale” e “sgradevole”

Dichiarazioni del cardinal Georges Cottier

ROMA, giovedì, 13 gennaio 2005 (ZENIT.org).- Il cardinal Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia, ha definito “polemica artificiale” e “sgradevole” il dibattito nato dopo la manipolazione di un documento storico che attribuiva a Pio XII presunti atteggiamenti antisemiti.

La polemica è nata quando il quotidiano “Il Corriere della Sera” ha pubblicato, il 28 dicembre scorso, un documento dell’ottobre 1946 attribuito al Sant’Uffizio che intimava ai vescovi e ai sacerdoti di non restituire alle famiglie ebree i bambini ai quali la Chiesa avesse salvato la vita durante l’Olocausto e che fossero stati battezzati.

Dopo la pubblicazione da parte del quotidiano “Il Giornale” dei documenti originali si è potuto constatare che “Il Corriere della Sera” ha sbagliato sull’autore del documento (si trattava della Nunziatura Apostolica in Francia), sulla data e sul contenuto, poiché viene affermato esattamente il contrario (cfr. “La vera storia del documento vaticano sui bambini ebrei salvati dall’Olocausto”, ZENIT, 11 gennaio 2004).

Il cardinal Cottier, in alcune dichiarazioni concesse all’agenzia “AdnKronos”, ha definito il dibattito suscitato dalla stampa italiana “una vicenda sgradevole, che ha dato luogo solo ad una polemica artificiale”.

“L’accertamento della verità storica non si fa alimentando polemiche e sospetti”, ha aggiunto.

Il caso che ha coinvolto la figura di Papa Pio XII, per il quale è aperta una causa di beatificazione dal 1965, è stato definito dal cardinale Cottier “una vicenda da giudicare in modo severo”.

“E’ una calunnia avanzare il sospetto che Pio XII possa aver agito, in piena seconda guerra mondiale, spinto da sentimenti antisemiti”, ha detto il teologo della Casa Pontificia, stretto collaboratore di Giovanni Paolo II e già segretario della Commissione storica-teologica del Grande Giubileo del 2000.

“Accusare Papa Pio XII di antisemitismo è ingiusto ed eccessivo. E le accuse che da tempo vengono mosse contro la persona di Pacelli travalicano il campo della storiografia per sconfinare nella sterile polemica”, ha aggiunto.

Accusare Pio XII di aver taciuto sull'Olocausto e di aver commesso “forzature antigiudaiche” è il frutto di “una polemica passionale, anacronistica e contraria alla verità storiografica”, ha concluso il teologo della Casa Pontificia.

ZI05011306

Augustinus
08-02-05, 21:32
Originally posted by percy
posso permettermi di esprimere un dubbio sull'intenzione di hitler di rapire Pio XII? cosa c'è di concreto? solo illazioni e "memoriali"...

Cara/o percy,
è vero, ci sono memoriali dei protagonisti, in quanto era un piano segreto che doveva essere eseguito in segreto. Quindi, le prove testimoniali sono quelle più attendibili. Poi esistono i documenti delle intelligences che paventavano questo rischio e, se non ricordo male, qualche cosa anche dello stesso Pio XII (ma non ricordo bene).

Augustinus
08-02-05, 23:20
Originally posted by percy
fermi restando i complimenti ad augustinus per questa splendida serie di messaggi su PIO XII mi permetto di sottoporre all'attenzione del medesimo il seguente passaggio:

"Wolff aveva già deposto al processo di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti su diversi aspetti del conflitto in Italia. Accennando anche al fatto che Hitler nella primavera del 1943 gli aveva ordinato di procedere con il sequestro di Papa Pacelli, ma che in quell'occasione era riuscito a distogliere il Führer dalle sue intenzioni. Stranamente però, come lamentava nel 1972 lo storico gesuita Robert Graham, a Norimberga proprio la questione del progettato sequestro del Papa non fu approfondita.
Cosa che invece Wolff fece nel '72 a Monaco, rivelando - a quanto risulta - che dopo l'8 settembre l'insistenza di Hitler per eseguire il piano andò facendosi ogni giorno più parossistica."

se veramente hitler fosse arrivato a dare un ordine in tal senso mi sembra
quanto meno improbabile che abbia fatto poi marcia indietro grazie alle pressioni di wolff. stiamo parlando del fuhrer, non di berlusconi. il fatto poi che wolff abbia deposto a norimberga come testimone d'accusa ne invalida pesantemente la credibilità. è chiaro che puòaver detto qualsiasi cosa per salvarsi la pelle. tutti quelli conoscono un minimo come sono andate le cose a norimberga sannodi cosa sto parlando..

Non conosciamo le ragioni che indussero Hitler ad accantonare il progetto di rapimento. Sta di fatto che, durante l'occupazione tedesca di Roma, il Papa stesso ci credeva, tanto è vero che aveva dato facoltà al Collegio dei Cardinali di riunirsi in conclave fuori Roma per eleggere un nuovo Pontefice qualora fosse stato rapito. Non dimentichiamo che gli indizi non mancavano: la linea bianca posta all'ingresso della Piazza era prossima ad essere superata da Hitler. Se non ricodo male, anche Himler pensava all'invasione ed aveva dato mandato ai suoi scagnozzi di depredare i Musei vaticani, avendo cura di procurargli alcuni rari testi scritti nella lingua runica.
Il semplice motivo che Wolff abbia deposto al processo di Norimberga non è ragione per inficiarne la credibilità, nè si vede per quale ragione, atteso che l'aspetto del rapimento, come riporti tu stesso/a, non fu approfondito in sede giudiziaria.
Comunque grazie per i complimenti. ;)

uva bianca
20-03-05, 16:46
ma a dire il vero la cosa non mi sembra così improbabile

Augustinus
21-03-05, 23:47
Originally posted by percy
i fatti dicono che hitler NON ha rapito il Papa (a differenza di napoleone, che ne ha rapiti ben due). tutto il resto è costituito da illazioni...

ma non dicono neppure che egli NON voleva rapirlo ;)

Augustinus
22-03-05, 15:05
Originally posted by percy
che ragionamento è? il solito processo alle intenzioni?

No. Non è il solito ragionamento, nè il solito processo alle intenzioni. E' piuttosto un altro il punto. E cioè qui comunque ci fu un piano. Che poi questo non fosse stato portato a termine è un altro conto.
per quanto riguarda i giudizi storici da te citati, vorrei solo far notare che essi sono comunque datati (risalendo agli anni '70), che non tengono conto delle prove storiografiche acquiste più di recente con l'apertura degli archivi segreti britannici, ecc.
Così come è risaputo che Himmler spingesse per l'invasione del Vaticano per impossessarsi di alcuni codici in caratteri runici

Augustinus
22-03-05, 21:04
Originally posted by percy
e allora citami i documenti TEDESCHI che comprovino il piano di rapimento...

Ti rinvio a questa FONTE (http://www.italynews.it/notizia.php?codice=3327). Comunque considera che all'inizio del 2005 il quotidiano "Avvenire" (v. QUI (http://www.pioxii.150m.com/articoli.htm) e QUI (http://www.quitalia.it/article.aspx?id=24723) ed ancora QUA (http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2005_01_15/articolo_507506.html)) ha affermato esplicitamente, sulla base della testimonianza del generale delle SS, Karl Friedrich Otto Wolff, che del piano di Hitler, "meditato per anni e messo a punto nei dettagli", che organizzava il rapimento di Pio XII, perchè "antinazionalsocialista e amico degli ebrei", con l'obiettivo di cancellare il cristianesimo e sostituirgli la "nuova religione nazista": la documentazione che prova il fatto, verrà presa in considerazione per la beatificazione

Augustinus
22-03-05, 21:10
Per incidens: a seguito di queste nuove testimonianze e scoperte, anche Padre Graham, un tempo scettico, ritiene plausibile il piano hitleriano di rapire il Papa.

Augustinus
22-03-05, 21:43
Originally posted by percy
veramente padre graham è morto otto anni fa...

http://pubweb.acns.nwu.edu/~abutz/di/vatican/graham.html

E' vero: P. Graham è morto, ma non ignorava il piano hilteriano di "mettere al sicuro" il Papa in Germania.
Dunque, la testimonianza è sì emersa recentemente, non si sapeva con certezza del piano, ma lo stesso P. Graham - come ricorda Avvenire - riteneva che "per rapire Pio XII si sarebbero mobilitate le SS, mentre a "mettere al sicuro" gli archivi vaticani ci avrebbero pensato i Kunsberg-Kommando, organizzazione delle stesse SS specializzata nella catalogazione di documenti. Il Papa «sarebbe stato portato al Nord e installato nel Castello di Lichtestein, nel Württemberg» (località che le "voci" del tempo avrebbero storpiato, confondendo il Castello col Principato del Liechtenstein)". Sempre Avvenire attesta che "Del resto, ancora nella ricostruzione di Graham, le prime tracce documentate di timori circa un'intenzione nazista di intervenire contro il papato risalivano già al 1941. Infatti, il 6 maggio di quell'anno il segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari monsignor Domenico Tardini annotava quanto era stato riferito al Papa il 25 aprile, pochi giorni dopo l'incontro a Vienna tra i ministri degli Esteri di Germania e Italia, Joachim von Ribbentrop e Galeazzo Ciano. Secondo le informazioni ricevute, il Reich «aveva chiesto all'Italia di fare in modo che (il Papa) lasciasse Roma "perché nella nuova Europa non dovrebbe esservi posto per il papato"». E il cardinale Egidio Vagnozzi raccontò che «fin dal 1941 alcuni importanti documenti... che si riferivano ai rapporti tra il Vaticano e il Terzo Reich… erano stati microfilmati e inviati al delegato apostolico a Washington, monsignor Amleto Cicognani», e che «Pio XII aveva fatto nascondere le sue carte personali in doppi pavimenti vicino ai suoi appartamenti privati... (e) altri documenti della Segreteria di Stato vennero nascosti in angoli nascosti degli archivi storici». Perché «ovviamente si temeva il peggio»".

Augustinus
02-07-05, 19:59
La leggenda nera di Pio XII l’ha inventata un cattolico: Mounier

E con lui un altro grande cattolico, Mauriac. La propaganda comunista non fu la sola a creare l’immagine di papa Pacelli filo-nazista. Due saggi su due autorevoli riviste gettano nuova luce su come è nata

di Sandro Magister

ROMA, 20 giugno 2005 – Sull’ultimo numero di “La Civiltà Cattolica” lo storico gesuita Giovanni Sale ricostruisce con documenti anche inediti la nascita della “leggenda nera” di un Pio XII filo-hitleriano.

“La Civiltà Cattolica” è la rivista dei gesuiti di Roma i cui articoli sono previamente letti e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana.

Stando alla ricostruzione di p. Sale, a generare la leggenda nera fu, sul finire della seconda guerra mondiale, la stampa comunista internazionale guidata da Mosca.

Negli stessi giorni, però, sull’ultimo numero di "Archivum Historiae Pontificiae" – la rivista annuale della facoltà di storia ecclesiastica della Pontificia Università Gregoriana, anch’essa affidata ai gesuiti – è uscito un articolo dello storico Giovanni Maria Vian che sulle origini della leggenda nera di Pio XII dà una ricostruzione differente.

Secondo Vian, a dar vita all’accusa contro i “silenzi” di Pio XII, oltre che la propaganda sovietica, furono dei cattolici francesi e polacchi, e in particolare due intellettuali di spicco, Emmanuel Mounier e François Mauriac.

* * *
P. Sale richiama l’attenzione sul primo discorso importante pronunciato da Pio XII dopo la fine della seconda guerra mondiale: il messaggio ai cardinali pronunciato il 2 giugno 1945.

In esso papa Eugenio Pacelli condannò con parole molto forti “le rovinose e inesorabili applicazioni della dottrina nazinalsocialista, che giungevano fin a valersi dei più raffinati metodi scientifici per torturare e sopprimere persone spesso innocenti”.

Queste parole del papa riprendevano quasi alla lettera un suggerimento a lui fatto pochi giorni prima dall’allora ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, il filosofo cattolico Jacques Maritain. Sia nel suggerimento di Maritain sia nel discorso del papa gli ebrei non erano nominati esplicitamente, ma p. Sale vi vede una trasparente “allusione alla soluzione finale posta in esecuzione dai gerarchi nazisti contro gli ebrei”.

Subito dopo, nel suo discorso, Pio XII ricordò l’uccisione di migliaia di sacerdoti cattolici nei campi di concentramento nazisti, con “in prima linea per il numero e per la durezza del trattamento i sacerdoti polacchi”.

Quel discorso di Pio XII ebbe una vasta eco nel mondo. Riportando i commenti della stampa internazionale, p. Sale fa notare che “la parola del papa fu interpretata secondo gli orientamenti ideologici e politici che nei vari paesi si andavano prefigurando, agli esordi della guerra fredda”.

A dettare la linea alla stampa comunista di tutto il mondo fu un commento di Radio Mosca del 7 giugno 1945, nel quale p. Sale vede “già sviluppati alcuni motivi che diventeranno centrali nei decenni successivi nella polemica antipacelliana”.

Radio Mosca accusò Pio XII di farsi vanto tardivamente e a torto della sua opposizione al nazismo, perché invece “aveva taciuto quando operavano le macchine tedesche della morte, quando fumavano i camini dei forni crematori”. Nemmeno da Radio Mosca, in questo commento, gli ebrei furono chiamati per nome. In ogni modo – scrive p. Sale – da lì “iniziò la leggenda nera, la quale in qualche misura è arrivata fino ai giorni nostri, di un Pio XII amico e alleato dei nazisti”.

Nella conclusione del suo saggio, p. Sale ricorda che cinque mesi dopo quel discorso Pio XII “ebbe modo di rilevare tutto l’orrore per le atrocità naziste quando, il 29 novembre 1945, ricevette una delegazione di profughi ebrei venuti a ringraziarlo per l’opera della Chiesa cattolica in loro favore durante la seconda guerra mondiale”. E aggiunge:

“In ogni caso non c’era ancora in quel periodo la percezione esatta (sia psicologica, sia culturale, sia storico-conoscitiva) di ciò che nel cuore dell’Europa era accaduto agli ebrei negli ultimi anni della guerra. [...] Lo stesso concetto di Olocausto e di unicità della Shoah non era ancora stato elaborato neppure in ambiente ebraico”.

* * *
Su "Archivum Historiae Pontificiae" Vian non contraddice la ricostruzione di p. Sale. La integra però gettando luce su accuse contro i “silenzi” papali provenienti in quegli stessi anni anche da cattolici francesi e polacchi. Accuse di cui Pio XII mostrò di essere al corrente nei passaggi sopra citati del suo discorso del 2 giugno 1945.

Ecco qui di seguito l’articolo di Vian apparso su "Archivum Historiae Pontificiae", n. 42, 2004, pp. 223-229. L’articolo (qui senza le note) ricostruisce la genesi e lo sviluppo della leggenda nera di Pio XII dal 1939 fino agli inizi del pontificato di Paolo VI. L’autore è docente di filologia patristica all’università di Roma La Sapienza e membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

Il silenzio di Pio XII: alle origini della leggenda nera

di Giovanni Maria Vian

La polemica sul silenzio di Pio XII durante la seconda guerra mondiale – di fronte soprattutto all’orrendo tentativo genocida dei nazisti di sterminare gli ebrei in Europa, una delle maggiori tragedie del Novecento – fa parte ormai della storia. Su questo argomento molto si è scritto e si continua a scrivere, per la sua indubbia rilevanza, per l’interesse sempre vivissimo suscitato anche oltre le cerchie ristrette degli specialisti e per il suo innegabile uso strumentale, che s’intreccia anche con l’introduzione della causa di canonizzazione del pontefice.

Soprattutto questa strumentalizzazione ha finito per creare una vera e propria leggenda nera, al di là delle diverse possibili valutazioni dell’atteggiamento del papa negli anni tragici del conflitto. Ricordare le origini, spesso trascurate, delle accuse al pontefice – formulate dapprima da ambienti cattolici e poi amplificate, già durante gli anni di guerra, dalla propaganda sovietica e poi comunista – è lo scopo di questa nota.

A interrogarsi sui “silenzi di Pio XII” fu per primo Emmanuel Mounier, addirittura poche settimane dopo l’elezione a papa del cardinale segretario di stato Eugenio Pacelli, il 2 marzo 1939. E lo fece a proposito dell’aggressione dell’Italia all’Albania, avvenuta agli inizi di aprile di quell’anno, e dell’assenza di reazioni di condanna da parte del nuovo pontefice.

In un articolo scritto immediatamente dopo, l’intellettuale cattolico francese, pur premettendo di avvertire “il ridicolo che vi sarebbe per un fedele nel sostituirsi alla coscienza pontificale”, sottolineava “che lo scandalo, a causa di questo silenzio” era entrato “in migliaia di cuori”. E aggiungeva: “Non sono in grado di giudicare se questo non era che l’inevitabile tributo di una diplomazia riuscita […]. Io non ho chiesto che alcune parole. Perché capita anche che la Parola vivifichi” .

Il problema delle parole non pronunciate, e già allora invocate da Mounier, avrebbe tormentato la coscienza del pontefice durante i lunghissimi e tremendi sei anni della guerra, scatenata soltanto pochi mesi più tardi dall’aggressione alla Polonia da parte della Germania nazionalsocialista alleata con la Russia sovietica. In questo contesto, ha scritto lo storico gesuita Burkhart Schneider, “il papa venne accusato per il suo apparente silenzio che sembrava indifferenza di fronte ad indicibili sofferenze”. E queste accuse vennero soprattutto da “ambienti dei polacchi in esilio”, dunque di nuovo da parte cattolica.

La linea politica e diplomatica della Santa Sede nei decenni precedenti e soprattutto durante la spaventosa guerra del 1914-1918 aveva cercato di perseguire, senza troppi consensi nemmeno tra i cattolici, una sorta di neutrale imparzialità tra le parti in conflitto. Questa linea aveva incluso la condanna, da parte di Benedetto XV, dell’“inutile strage” e una vera e propria “diplomazia dell’assistenza”, di cui in Germania era stato protagonista lo stesso Pacelli, allora nunzio a Monaco.

Nella nuova tragedia bellica – provocata dai totalitarismi nazista e sovietico che la Santa Sede aveva condannato nel 1937 con le encicliche “Mit Brennender Sorge” e “Divini Redemptoris” – Pio XII intese seguire la stessa linea, anche se invece nei fatti il pontefice compì scelte che non è possibile classificare come neutrali.

Così il papa, con una decisione senza precedenti, appoggiò tra l’autunno del 1939 e la primavera del 1940, già nei primi mesi del conflitto, il tentativo – presto abortito – di rovesciare il regime hitleriano da parte di alcuni circoli militari tedeschi in contatto con i britannici, mentre dopo l’attacco della Germania all’Unione Sovietica a metà del 1941 Pio XII dapprima si rifiutò di schierare la Santa Sede con quella che era presentata come una crociata contro il comunismo e poi si adoperò per smussare l’opposizione di moltissimi cattolici statunitensi all’alleanza degli Stati Uniti con la Russia staliniana.

Certamente, non per questo cambiò il giudizio del papa e dei suoi più stretti collaboratori sul comunismo, giudizio che restò sempre radicalmente negativo, accentuandosi dal 1943 e culminando nel decreto di condanna emanato nel 1949 dal Sant’Uffizio. L’immagine di un Pio XII “al soldo degli Americani” – diffusa e sempre sostenuta dai sovietici a causa dell’indubbio anticomunismo del papa – è però dal punto di vista storico insostenibile.

Proprio in questa polemica – frutto della propaganda sovietica e più in generale comunista, ripresa presto anche da esponenti della Chiesa ortodossa russa – trovarono posto, fin dal 1944, le accuse a papa Pacelli e al Vaticano, che s’innestavano così sugli interrogativi espressi da Mounier e che si ritrovano nei diplomatici accreditati presso la Santa Sede, ma questa volta a proposito della politica nazista di sterminio degli ebrei.

Nel quadro del progressivo distanziamento e irrigidimento dei due blocchi vittoriosi che avrebbe portato negli anni del dopoguerra all’imposizione dell’egemonia sovietica in quasi tutti i paesi dell’Europa orientale e centrale e quindi alla guerra fredda, a Pio XII fu imputato di avere sostenuto la Germania nazista e il fascismo, di averli perdonati, di avere nascosto criminali di guerra tedeschi, di non aver condannato la barbarie hitleriana, di avere taciuto e di essersi schierato con l’Occidente capitalista.

Già durante la guerra, il 13 giugno 1943, il pontefice replicò alle accuse “che il papa ha voluto la guerra, che il papa mantiene la guerra e fornisce il denaro per continuarla, che il papa non fa nulla per la pace. Mai forse fu lanciata una calunnia più mostruosa e assurda di questa”.

Dopo la guerra, il 24 dicembre 1946, Pio XII alluse esplicitamente alla propaganda contro la Santa Sede: “Noi ben sappiamo che tutte le nostre parole, le nostre intenzioni rischiano di essere male interpretate e svisate a scopo di propaganda politica”.

E nel 1951 l’interrogativo che Mounier aveva sollevato una dozzina d’anni prima a proposito dell’aggressione italiana all’Albania diveniva, nelle parole di un altro intellettuale cattolico francese – François Mauriac, che l’anno dopo sarebbe stato insignito del premio Nobel per la letteratura – un duro rimprovero a Pio XII per non aver condannato la mostruosa persecuzione degli ebrei.

Nella prefazione al “Bréviaire de la haine. Le IIIe Reich et les Juifs” di Léon Poliakov, dopo aver sottolineato che il libro era in primo luogo diretto ai tedeschi, Mauriac scriveva:

“Questo breviario è stato scritto anche per noi francesi, il cui tradizionale antisemitismo è sopravvissuto a quegli eccessi di orrore nei quali Vichy ha avuto la sua timida e ignobile parte; per noi cattolici francesi, soprattutto, che, se abbiamo salvato l’onore, senza dubbio ne andiano debitori all’eroismo e alla carità di molti vescovi, preti e religiosi verso gli ebrei braccati, ma che non abbiamo avuto il conforto di sentire il successore del Galileo, Simone Pietro, condannare con parola netta e chiara, e non con allusioni diplomatiche la crocifissione di questi innumerevoli ‘fratelli del Signore’. Al tempo dell’occupazione, chiesi un giorno al venerando cardinale Suhard, che d’altra parte tanto aveva fatto, nell’ombra, a favore dei perseguitati: ‘Eminenza, comandateci di pregare per gli ebrei’, ed egli per tutta risposta levò le braccia al cielo. Certamente, la potenza occupante aveva mezzi di pressione cui non si poteva resistere, e il silenzio del papa e della gerarchia altro non era che un repugnante dovere; si trattava di evitare sciagure peggiori. Ciò non toglie che un crimine di tanta ampiezza ricada in parte non indifferente su tutti i testimoni che hanno taciuto, quali siano state le ragioni del loro silenzio”.

Meno severi invece erano gli accenti dell’ebreo Poliakov che – a proposito della tradizione antiebraica e dell’atteggiamento di Pio XII, e appena prima di alcuni acuti cenni sull’“essenza anticristiana dell’antisemitismo” – esprimeva un giudizio ben più sfumato:

“Non spetta a uno scrittore israelita pronunciarsi in merito a dogmi secolari di un’altra religione; ma, di fronte all’immensità delle conseguenze, non si può non essere profondamente turbati. Che il senso del nostro turbamento non vada frainteso. Noi non ammettiamo che vi sia stato anche soltanto una traccia di antisemitismo nel pensiero del papa. Se, contrariamente a tanti vescovi francesi, egli non fece sentire la sua voce, ciò fu dovuto senza dubbio al fatto che la sua giurisdizione si estendeva all’Europa tutta intera e che egli doveva tener conto non soltanto delle gravi minacce sospese sulla Chiesa, ma anche della condizione di spirito dei suoi fedeli di tutti i paesi”, che erano influenzati dalla tradizione antiebraica del cristianesimo.

In questo contesto si colloca la svolta nella questione del silenzio di Pio XII, quando il pontefice era morto (il 9 ottobre 1958) da più di quattro anni.

Questa svolta fu avviata dal dramma teatrale “Der Stellvertreter” di Rolf Hochhuth, che venne rappresentato per la prima volta a Berlino il 20 febbraio 1963 e che, per le sue tesi estreme avverse a papa Pacelli e per le forti polemiche da subito suscitate, ha da allora esercitato un influsso enorme sulla formazione dell’immagine di Pio XII e della Santa Sede nell’opinione pubblica e nello stesso dibattito storiografico.

Particolarmente significativa, nel divampare immediato della polemica, fu quasi subito la difesa del pontefice da parte di uno dei suoi più stretti collaboratori, Giovanni Battista Montini, che dalla fine del 1954 era arcivescovo di Milano e nel 1958 era stato creato cardinale da Giovanni XXIII.

Occasione dell’intervento di Montini fu un articolo in difesa di Pio XII – pubblicato dalla rivista cattolica inglese “The Tablet” nel numero dell’11 maggio 1963 – che tra l’altro sottolineava la vicinanza del lavoro teatrale di Hochhuth a una “pubblicazione comunista” sul Vaticano e la seconda guerra mondiale.

Il cardinale di Milano – in una lettera giunta a “The Tablet” lo stesso giorno della sua elezione al pontificato, il 21 giugno 1963, quando assunse il nome di Paolo VI – difendeva il comportamento di Pio XII di fronte alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti, crimini di cui il papa sarebbe stato corresponsabile per non averli condannati, secondo la tesi di Hochhuth.

“Un atteggiamento di condanna e di protesta, quale costui rimprovera al papa di non avere adottato, sarebbe stato, oltre che inutile, dannoso; questo è tutto”, scriveva tra l’altro l’antico collaboratore di papa Pacelli, e concludeva:

“Non si gioca con questi argomenti e con i personaggi storici che conosciamo con la fantasia creatrice di artisti di teatro, non abbastanza dotati di discernimento storico e, Dio non voglia, di onestà umana. Perché altrimenti, nel caso presente, il dramma vero sarebbe un altro: quello di colui che tenta di scaricare sopra un papa, estremamente coscienzioso del proprio dovere e della realtà storica, e per di più d’un amico, imparziale, sì, ma fedelissimo del popolo germanico, gli orribili crimini del nazismo tedesco. Pio XII avrà egualmente il merito d’essere stato un ‘Vicario’ di Cristo, che ha cercato di compiere coraggiosamente e integralmente, come poteva, la sua missione; ma si potrà ascrivere a merito della cultura e dell’arte una simile ingiustizia teatrale?”.

Gli stessi accenti e spunti critici contro la tesi propagandistica del drammaturgo tedesco si ritrovano quasi due anni più tardi in un articolo dello storico liberale Giovanni Spadolini, pubblicato il 18 febbraio 1965 dopo le prime rappresentazioni del testo teatrale di Hochhuth a Roma, che furono subito proibite e seguite da aspre polemiche.

L’articolo dell’autorevole intellettuale e uomo politico laico esordiva con un attacco diretto alla posizione assunta dai partiti di sinistra e soprattutto dai comunisti: “Il partito che propugna il dialogo coi cattolici ha bandito una specie di crociata per la libertà di pensiero sulla base di questo libello di diffamazione anticlericale e di autodifesa nazionalista”.

E ricordando la difesa di Pio XII da parte di Montini – nel 1963 appena prima di essere eletto papa e poi durante lo storico viaggio del pontefice in Terra Santa nel gennaio del 1964 – Spadolini insisteva sugli elementi di propaganda politica presenti nel dramma appena rappresentato a Roma: così l’allora cardinale di Milano “era insorto, con la lealtà del collaboratore e del discepolo che non dimentica, contro le assurde e inique requisitorie di una propaganda politica appena ammantata di moralismo”, mentre quando “Paolo VI pose piede in terra israeliana, in quella che fu la tappa più significativa e rivoluzionaria della sua missione palestinese, tutti avvertirono che il pontefice intendeva rispondere, dallo stesso cuore del focolare nazionale ebraico, ai sistematici attacchi del mondo comunista che non mancavano di trovare qualche complicità o qualche condiscendenza anche nei cuori cattolici – o almeno in certi cattolici non ignoti neppure all’Italia”.

Nell’articolo di Spadolini chiarissima risulta dunque la percezione dell’origine delle accuse a papa Pacelli: dapprima, tra il 1939 e il 1951, in due intellettuali cattolici francesi come Mounier e Mauriac, e poi soprattutto nella propaganda sovietica degli anni di guerra e più in generale in quella comunista durante il dopoguerra e la guerra fredda.

Accentuatasi dopo la morte di Pio XII e durante il pontificato così diverso di Giovanni XXIII, la polemica esplose definitivamente al tempo di Paolo VI e s’intrecciò con la contrapposizione dei pontificati pacelliano e roncalliano che, tra l’altro, indusse nel 1965 papa Montini a introdurre simultaneamente le cause dei due predecessori:

“Sarà così assecondato il desiderio, che per l’uno e per l’altro è stato in tal senso espresso da innumerevoli voci; sarà così assicurato alla storia il patrimonio della loro eredità spirituale; sarà evitato che alcun altro motivo, che non sia il culto della vera santità e cioè la gloria di Dio e l’edificazione della sua Chiesa, ricomponga le loro autentiche e care figure per la nostra venerazione e per quella dei secoli futuri”.

Con il trascorrere del tempo la questione del silenzio di Pio XII si è molto complicata perché le reiterate accuse a papa Pacelli si sono trasformate in una leggenda nera. Questa non facilita certo i nuovi positivi rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo, mentre si sono dimenticate le origini delle accuse, nate in ambienti cattolici e amplificate soprattutto dalla propaganda sovietica e comunista e dai suoi nostalgici, che non perdonano a Pio XII il suo anticomunismo.

FONTE (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=34104)

Thomas Aquinas
02-07-05, 20:09
Grande Mounier, consiglio a tutti il suo libro: La Persona

Augustinus
02-07-05, 20:14
Originally posted by Thomas Aquinas
Grande Mounier, consiglio a tutti il suo libro: La Persona

Consiglio non accetto visto che si tratta di un diffamatore. ;)

uva bianca
02-07-05, 20:16
bè, ma avrà fatto anche dell'altro oltre a "diffamare";)

Augustinus
02-07-05, 20:19
Originally posted by uva bianca
bè, ma avrà fatto anche dell'altro oltre a "diffamare";)

Se avrà fatto qualcosa di buono, quel bene è cancellato dall'infamia che ha ordito, come emerge da quanto sopra, contro un Santo Pontefice. ;)

Augustinus
02-07-05, 20:26
L'accusa ordita da Mounier è riportata anche da Avvenire (http://www.db.avvenire.it/pls/avvenire/ne_cn_avvenire.c_leggi_articolo?id=554070&id_pubblicazione=2).

Augustinus
02-07-05, 20:29
Per un giudizio sulle teorie di Mounier, rinvio a Il progressismo cristiano: errori e deviazioni (http://www.paginecattoliche.it/Progressismo03.htm) di Padre Julio MEINVIELLE, di cui ai forumisti è consigliata una buona lettura. ;) :cool:

Thomas Aquinas
02-07-05, 20:32
Originally posted by Augustinus
Consiglio non accetto visto che si tratta di un diffamatore. ;)

Leggere e conoscere prima di giudicare è buona cosa.
Qualsiasi cosa di vero viene detta viene dallo Spirito Santo.

Augustinus
02-07-05, 20:34
Originally posted by Thomas Aquinas
Leggere e conoscere prima di giudicare è buona cosa.
Qualsiasi cosa di vero viene detta viene dallo Spirito Santo.

Ed allora leggi prima quanto suggerisco nel post precedente. ;) ;)

uva bianca
02-07-05, 20:34
Originally posted by Augustinus
Per un giudizio sulle teorie di Mounier, rinvio a Il progressismo cristiano: errori e deviazioni (http://www.paginecattoliche.it/Progressismo03.htm) di Padre Julio MEINVIELLE, di cui ai forumisti è consigliata una buona lettura.

attenzione....!!!!
Padre Julio Meinvieille è citato anche dai sedevacantisti(vedi QUI (http://www.sodalitium.it/Default.aspx?PageContentID=35&tabid=69)) , come osi!!!

:cool: :D;)

Thomas Aquinas
02-07-05, 20:36
Originally posted by Augustinus
Ed allora leggi prima quanto suggerisco nel post precedente. ;) ;)

e tu leggi il libro consigliato..

Augustinus
02-07-05, 20:44
Originally posted by uva bianca
attenzione....!!!!
Padre Julio Meinvieille è citato anche dai sedevacantisti(vedi QUI (http://www.sodalitium.it/Default.aspx?PageContentID=35&tabid=69)) , come osi!!!

:cool: :D;)

Il fatto che sia citato da altri ... non ne inficia l'autorevolezza. ;)

Augustinus
02-07-05, 20:57
Originally posted by Thomas Aquinas
e tu leggi il libro consigliato..

Qualcosa di Mounier l'ho bazzicata ai tempi dell'Università. Di lui ne trassi un'impressione non molto positiva, poichè centrava tutto sulla persona e sulla dignità, obliterando l'origine di quella dignità. A me è sembrato proporre una religione cristiana quasi elitaria e puramente intimistica, che non travalicasse la sfera della coscienza. E quindi una volontà di non opporsi veramente all'ingiustizia. Insomma, mancando il fondamento, quello vero, è venuto meno tutto. Questa fu ed è tuttora la mia impressione. Poi potrei anche sbagliarmi, ove mi si dimostri l'errore e me lo si confuti documentalmente. ;)

uva bianca
02-07-05, 20:58
Originally posted by Augustinus
Il fatto che sia citato da altri ... non ne inficia l'autorevolezza. ;)

massì, io ero ironico! (come si evince anche dalle faccine che ho usato)

Augustinus
02-07-05, 23:32
Originally posted by uva bianca
massì, io ero ironico! (come si evince anche dalle faccine che ho usato)

Ho capito che eri ironico ... :D :D :D

Imperium
05-07-05, 15:25
Non sapete per caso se il processo di beatificazione per Pio XII sta continuando? O tutto si è fermato a causa della storia dei bambini da non restituire alle famiglie ebree?
Io credo che uno stop alla beatificazione di Pio XII, che a mio parere è stato una Santo Papa, sarebbe un errore imperdonabile.
Inoltre credo che l’intromissione di Luzzatto in simili faccende è inaccettabile, così come è stato inaccettabile, ma chiaro, il suo invito ad andare a votare al referendum del 12-13 giugno scorso.
Certa gente perde il pelo ma non il vizio, o meglio cambiano i tempi ma la sostanza di certe persone è la stessa...

Augustinus
05-07-05, 17:06
Originally posted by Imperium
Non sapete per caso se il processo di beatificazione per Pio XII sta continuando? O tutto si è fermato a causa della storia dei bambini da non restituire alle famiglie ebree?
Io credo che uno stop alla beatificazione di Pio XII, che a mio parere è stato una Santo Papa, sarebbe un errore imperdonabile.
Inoltre credo che l’intromissione di Luzzatto in simili faccende è inaccettabile, così come è stato inaccettabile, ma chiaro, il suo invito ad andare a votare al referendum del 12-13 giugno scorso.
Certa gente perde il pelo ma non il vizio, o meglio cambiano i tempi ma la sostanza di certe persone è la stessa...

Caro Imperium,
non ho notizie di prima mano. Ma penso che il processo, tra arresti e momenti di stasi, e riavvii, proceda.
Quanto al resto, hai proprio ragione. Certe intromissioni sono inaccettabili.
Ma io spero sempre per il bene.
Cordialmente

Augustinus

uva bianca
05-07-05, 17:08
Originally posted by Imperium
credo che l’intromissione di Luzzatto in simili faccende è inaccettabile, così come è stato inaccettabile, ma chiaro, il suo invito ad andare a votare al referendum del 12-13 giugno scorso.
Certa gente perde il pelo ma non il vizio, o meglio cambiano i tempi ma la sostanza di certe persone è la stessa...

sono due cose molto diverse, un conto è esprimere pubblicamnete una propria scelta e indicarla al movimento che si presiede, un'altra è intromettersi in faccende proprie della Chiesa Cattolica.

uva bianca
09-07-05, 12:04
ho trovato un altro articolo secondo cui l'origine della "leggenda nera" di Pio dodicesimo risalirebbe direttamente alla propaganda sovietica

COMUNISMO: la "leggenda nera" contro Papa Pio XII fu lanciata da Radio Mosca

La "leggenda nera" contro Papa Pio XII fu lanciata da Radio Mosca al termine della Seconda Guerra Mondiale, ha concluso un'inchiesta pubblicata sull'ultimo numero della rivista "La Civiltà cattolica". Pio XII, che alla morte ricevette l'omaggio dei Capi degli Stati democratici e dei più alti rappresentanti ebraici, è stato presentato nei decenni successivi da alcune pubblicazioni come alleato dei regimi totalitari, venendo in particolare accusato di "silenzio" di fronte ai crimini del nazismo. L'articolo della rivista quindicinale, firmato da Giovanni Sale S.I., analizza la reazione della radio comunista all'allocuzione ponteficia del 2 giugno 1945, giorno di sant'Eugenio. Il 7 giugno 1945, l'emittente emise un programma che "assunse un valore, per così dire, paradigmatico, nel senso che sintetizzava bene il punto di vista della sinistra radicale sull'attività della Santa Sede nel tempo della guerra".

"Chi ha udito il discorso del Papa in occasione della festa di sant'Eugenio - disse Radio Mosca - è rimasto oltremodo meravigliato nell'apprendere che il Vaticano, durante i trascorsi anni del predominio di Hitler in Europa, ha agito con coraggio e audacia contro i delinquenti nazisti. I fatti invece operati veramente dal Vaticano dicono il contrario. (…) Del resto, se il Vaticano ha agito in questo modo, lo ha fatto per continuare la vigile politica di protezione di Hitler e di Mussolini", aggiungeva l'emittente comunista. "Nessuna atrocità compiuta dagli hitleriani ha suscitato lo sdegno e l'indignazione del Vaticano. Esso ha taciuto quando operavano le macchine tedesche della morte, quando fumavano i camini dei forni crematori, quando sulla pacifica popolazione di Londra venivano lanciate centinaia di proiettili volanti, quando la dottrina hitleriana di eliminazione o di sterminio di nazioni e popoli si trasformava in una dura realtà (…). Ora invece - continuava - il Papa riempiva il suo discorso di allusioni contro l'Unione Sovietica e il comunismo internazionale per provocare divergenze e seminare la sfiducia tra gli alleati".
L'autore ha constatato che "la stampa comunista internazionale, e non soltanto essa, si allineò supinamente alle direttive di Mosca su tale materia (…). In tal modo iniziò la leggenda nera, la quale in qualche misura è arrivata fino ai nostri giorni, di un Pio XII amico e alleato dei nazisti".


tratto da Viewsfromrome.org (http://www.viewsfromrome.org/view_art.php?ref=858)

Augustinus
27-08-05, 09:25
Per approfondimenti sul punto rinvio ai posts iniziali :)

uva bianca
29-11-05, 21:12
visto che l'argomento è ritornato in auge, posto altri 2 link a siti che si occupano dell'annosa questione di un presunto appoggio ai regimi nazi-fascisti:

http://www.storiain.net/arret/num52/artic1.htm

http://www.tracce.it/apr2001/pio.htm

uva bianca
29-11-05, 21:15
e invece qui una pagina in cui si parla di tutte le azioni compiute dal pontefice in difesa della città di Roma e dei suioi abitanti durante la seconda guerra mondiale:

http://www.pioxii.150m.com/

uva bianca
13-01-06, 21:32
nell'edizione del quotidiano AVVENIRE, di giovedì 12 gennaio (http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2006_01_12/articolo_610403.html)sono riportate altre notizie e opinioni che smentiscono ancora una volta queste accuse di collaborazionismo di Pio XII con la persecuzione degli ebrei

Giovedi 12 gennaio 2006
IL DIBATTITO
Recenti studi di storici ebrei americani smentiscono la «leggenda nera» antisemita divulgata dai connazionali Cornwell e Goldhagen e «riabilitano» la figura di Papa Pacelli

Pio XII dagli Usa alla riscossa

Il giurista Rychlak parla di mezzo milione di salvati, mentre il rabbino Dalin propone il Pontefice come «Giusto tra le Nazioni»
Di Antonio Gaspari

Stanno succedendo cose interessantissime nel campo degli studi storici su Pio XII e la sua relazione con il mondo ebraico. Dopo anni in cui autori diversi l'hanno criticato, accusandolo di silenzi e ambiguità nei confronti della Shoah e addirittura complicità con il regime nazista, è in atto un riconoscimento dei meriti di Papa Pacelli da parte di autori ebrei e studiosi del mondo anglosassone.
A questo proposito negli Stati Uniti sono stati pubblicati due libri importanti. Il primo, scritto dal rabbino e professore di scienze storiche e politiche David Dalin, ha per titolo The Myth of Hitler's Pope («Il mito del Papa di Hitler», Regnery Publishing) e dimostra come falsi i presunti legami di Pio XII col regime nazista, raccontando come al contrario Pacelli abbia salvato gli ebrei dal nazismo. Per le sue opere in favore degli ebrei, Dalin propone di fare Pio XII un «Giusto tra le nazioni». Del suo libro, l'edizione online del Jerusalem Post ha scritto una recensione molto positiva.
L'altro libro che sta facendo scalpore è stato scritto da Ronald J. Rychlak, giurista, già consigliere della delegazione vaticana alle Nazioni Unite. Il suo lavoro s'intitola Righteous Gentiles. How Pius XII and the Catholic Church saved half million Jews from the Nazis («Il Giusto delle nazioni. Come Pio XII e la Chiesa salvarono mezzo milione di ebrei dai nazisti», Spence Publishing). Anche questo libro, con una prefazione di Michael Novak, è una puntuale e argomentata risposta a tutte le obiezioni sollevate dai critici sul comportamento di Pio XII nei riguardi degli ebrei.
Così - a fronte di autori contemporanei come John Cornwell e Daniel Jonah Goldhagen, che hanno cercato di demonizzare la figura di Papa Pacelli - Dalin riporta gli studi autorevoli di autori ebrei come Pinchas Lapide (Roma e gli ebrei) e Pio XII e gli ebrei, scritto nel 1963 dal membro dell'Anti-Defamation League Joseph Lichten, e poi Jenö Levai, lo storico ungherese che davanti alle accuse di silenzio rivolte al Papa scrisse Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did not remain silent («Gli ebrei ungheresi e il papato. Pio XII non è stato in silenzio»), pubblicato nel 1968 con una puntuale introduzione di Robert M. W. Kempner, sostituto procuratore capo statunitense a Norimberga.
Tra le opere uscite di recente il rabbino statunitense Dalin sottolinea in particolare i lavori di sir Martin Gilbert, tra i più autorevoli storici ebrei viventi, biografo ufficiale di Winston Churchill e autore di oltre 70 libri sulla Seconda Guerra mondiale e sulla Shoah. Gilbert ha raccontato quanto la Chiesa cattolica ha fatto in difesa degli ebrei opponendosi al razzismo e al nazismo, e in particolare ha affermato che «Pio XII dovrebbe essere elogiato e non biasimato».
Molto interessante anche il capitolo in cui Dalin analizza il comportamento dei vari Pontefici rispetto al rapporto con gli ebrei. La tradizione dei Papi che ebbero grande considerazione e stima degli ebrei inizia, a giudizio del rabbino americano, con Gregorio I (meglio conosciuto come Gregorio Magno, 590-604) che emise lo storico decreto Sicut Judaeis in difesa degli ebrei. In seguito papa Callisto II garantì la sua protezione ai giudei e Gregorio X (1271-1276) ribadì il Sicut Judaeis. Nel XIV secolo poi, quando gli ebrei furono biasimati per l'epidemia di peste detta «la morte nera», papa Clemente VI (1342-1352) venne in loro soccorso, e fu l'unico leader europeo a farlo. Bonifacio IX (1389-1403) allargò la protezione papale agli ebrei, riconoscendone la cittadinanza romana nel 1402, e fu il primo Papa ad impiegare ebrei in Vaticano.
I papi Martino V (1417-1431) e Eugenio IV (1431-1437) ebbero come medico personale l'ebreo Elijah ben Shabbetai Be'er, il quale grazie all'aiuto dei pontefici divenne il primo ebreo a insegnare in una facoltà universitaria europea, quella di Pavia. Alessandro Borgia, Pontefice con il nome di Sisto IV (1471-1484), fu il primo ad impiegare copisti ebraici nella Biblioteca Vaticana e creò la prima cattedra di Ebraico all'università di Roma; durante il suo pontificato la popolazione ebraica raddoppiò in numero. Dalin racconta anche di Nicola V, Giulio II, Leone X, Clemente VII, Paolo III, Benedetto XIV, Clemente XIII, Clemente XIV, Leone XIII e Pio IX, tutti intervenuti in difesa degli ebrei.
Del XX secolo, infine, il rabbino ricorda Benedetto XV - che pubblicò una condanna dell'antisemitismo preparata dal giovane Pacelli. Pio XI, il cui insegnante di ebraico era un rabbino, è noto anche per aver affermato che «spiritualmente noi siamo tutti semiti». Pio XII viene citato per l'opera gigantesca in difesa degli ebrei perseguitati, mentre Giovanni XXIII e Paolo VI furono stretti collaboratori di Pacelli nell'opera di salvataggio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Per concludere con Giovanni Paolo II, che per primo visitò la Sinagoga di Roma e che pregò di fronte al Muro del pianto a Gerusalemme, e con Benedetto XVI e la sua storica visita nella sinagoga di Colonia.
L'ultima parte del libro di Dalin è dedicata in particolare alla storia e alle vicende del gran Muftì di Gerusalemme Hajj Amin al Husseini, che durante la seconda guerra mondiale incontrò Adolf Hitler in numerose occasioni; amico di Adolf Heichmann, visitò i lager di Auschwitz, intervenne alla radio tedesca dichiarandosi d'accordo sull'eliminazione degli ebrei europei al fine di evitare la nascita di uno Stato ebraico. E oggi, di fronte al rinascente antisemitismo, Dalin propone di ristabilire la verità storica, studiare le condanne del razzismo della Chiesa cattolica e fare di Pio XII un «Giusto tra le Nazioni».

Augustinus
11-09-06, 14:34
GLI EBREI NASCOSTI NEI MONASTERI

Il Santo Padre ordina...

Pubblichiamo il memoriale inedito del monastero dei Santi Quattro Coronati, relativo agli anni dell’occupazione nazista di Roma: l’ordine di Pio XII di aprire il monastero ai perseguitati, i nomi degli ebrei nascosti, la vita nel convento durante quegli anni terribili

di Pina Baglioni

«La nostra vuole essere solo una piccola testimonianza su papa Pio XII. Senza nessuna pretesa, per carità. Certo, la mole di scritti sulla presunta indifferenza del Pontefice e sui suoi “silenzi” nei confronti degli ebrei negli anni del nazifascismo, ci addolorano profondamente. E allora c’è sembrato utile far conoscere quanto accadde qui da noi oltre sessant’anni fa».
“Qui da noi” è il monastero di clausura delle agostiniane annesso alla millenaria Basilica dei Santi Quattro Coronati, sulle pendici del Celio a Roma. A prendere la parola è suor Rita Mancini, la madre superiora alla guida della comunità monastica agostiniana dal 1977.
Sollecitate e incoraggiate dal convegno internazionale “Pio XII. Testimonianze, studi e nuove acquisizioni”, organizzato da 30Giorni il 27 aprile scorso presso la Pontificia Università Lateranense, le claustrali dei Santi Quattro si sono messe in contatto col nostro giornale per offrire il loro contributo: alcune preziosissime pagine del Memoriale delle religiose agostiniane del venerabile monastero dei Santi Quattro Coronati. Vale a dire una parte del diario ufficiale della comunità che raccoglie dal 1548 – anno in cui le agostiniane si insediarono ai Santi Quattro – le cronache della vita monastica.
Grazie alle agostiniane dei Santi Quattro c’è la possibilità di aprire una finestra su quel microcosmo separato dal mondo e improvvisamente chiamato da papa Pio XII ad aprire le porte, alzare le grate e lasciarsi coinvolgere, rischiando gravi conseguenze, dai destini di tanta gente in pericolo di vita.
«Quando arrivai qui, nel 1977, conobbi suor Emilia Umeblo» racconta la madre superiora dei Santi Quattro. «Ai tempi dell’occupazione lei era la suora “esterna”, cioè la persona autorizzata, per motivi pratici, a uscire dalla clausura. Mi parlò a lungo di quei mesi e degli aspetti logistico-organizzativi per facilitare l’ospitalità ai rifugiati ebrei e a molti altri antifascisti. Tra l’altro suor Emilia era in contatto costante con Antonello Trombadori, dirigente del Partito comunista e capo dei Gruppi armati partigiani di Roma, e con tanti altri oppositori al nazifascismo. Ho pregato suor Emilia più volte di scrivere tutto quello che mi andava raccontando. Purtroppo non l’ha mai voluto fare. Non c’è più e i suoi ricordi se li è portati via con sé».
Per fortuna restano le pagine che suor Rita Mancini ha messo a disposizione di 30Giorni. Esse riguardano un lasso di tempo che va dalla fine del 1942 al 6 giugno 1944 e che comprende quindi il periodo dell’occupazione nazista a Roma fino alla liberazione della città avvenuta il 4 giugno del ’44.
«Arrivate in questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto inaspettata» scrive l’anonima cronista alla fine del 1943. «Il Santo Padre vuol salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che nei monasteri si dia ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice». Scorrono i nomi degli ospiti segnalati dall’elenco del memoriale: Viterbo, Sermoneta, Ravenna, De Benedetti, Caracciolo, Talarico… «A tutte le persone su elencate, oltre l’alloggio, si dava anche il vitto facendo miracoli per il momento che si traversava»; leggiamo che «tutto era tesserato. La Provvidenza è sempre intervenuta… Per la Quaresima anche gli ebrei venivano ad ascoltare le prediche, e il signor Alberto Sermoneta aiutava in Chiesa. La madre priora gli faceva fare tante cose all’altare del Santissimo preparato per il Giovedì Santo».
E nel bel mezzo della tempesta, mentre il chiostro del XIII secolo si riempie di paglia e fieno dove far riposare tutta quella povera gente, nulla si interrompe: lavoro e celebrazioni liturgiche procedono, sotto la paterna vigilanza di monsignor Carlo Respighi, l’allora rettore della Basilica dei Santi Quattro e prefetto delle cerimonie apostoliche, morto nel 1957. In un grande locale adiacente all’orto le monache nascondono nientemeno che undici automobili, compresa quella del maresciallo Pietro Badoglio, il capo del governo militare italiano, scappato da Roma all’indomani dell’8 settembre. E poi sette cavalle, quattro mucche…
Ma da quel che veniamo a sapere dal memoriale, anche dopo la liberazione ai Santi Quattro l’ospitalità proseguì: «Dalla Segreteria di Stato ci è ordinato di ospitare con la più scrupolosa precauzione il generale Carloni che era cercato per essere condannato a morte». Si trattava di Mario Carloni, generale dei bersaglieri che era stato a capo della IV divisione alpina Monte Rosa della Repubblica di Salò.
Che il monastero romano facesse parte del fitto reticolato degli istituti cattolici che ospitarono ebrei e perseguitati politici durante l’occupazione fascista, era cosa nota: è inserito nell’Elenco delle case religiose in Roma che ospitarono ebrei pubblicato nella sezione dei documenti della Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Felice, uscita in prima edizione nel 1961 (Einaudi, Torino 21993, pp. 628-632), dove si legge che le «suore agostiniane dei Santi Quattro Incoronati» avevano ospitato 17 ebrei. L’elenco, che riprende un articolo della Civiltà Cattolica del 1961 firmato da padre Robert Leiber, rimane ancora oggi uno dei documenti-chiave per tutte le indagini successive. Fino alle più recenti. Come quella, avviata nel 2003 dal Coordinamento storici religiosi, sugli ebrei ospitati presso le strutture cattoliche a Roma tra l’autunno del 1943 e il 4 giugno del 1944. Suor Grazia Loparco, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà Auxilium e membro del Coordinamento, nel gennaio del 2005 ha reso noti all’agenzia internazionale Zenit i primi risultati dell’indagine: gli ebrei salvati a Roma all’interno degli istituti religiosi furono, secondo una stima per difetto, almeno 4.300.
Altre testimonianze inedite fornite da persone salvate grazie all’accoglienza negli istituti religiosi sono state rese note nei volumi di Antonio Gaspari, Nascosti in convento (Ancora, Milano 1999), e di Alessia Falifigli, Salvàti dai conventi. L’aiuto della Chiesa agli ebrei di Roma durante l’occupazione nazista (San Paolo, Cinisello Balsamo 2005). Sia in questi ultimi studi che in tutti quelli che da almeno quarant’anni indagano sul ruolo giocato dai cattolici nella salvezza degli ebrei dalle persecuzioni nazifasciste, è presente l’interrogativo se quell’accoglienza ebbe solo carattere spontaneo, o ci furono ordini provenienti dai vertici della Chiesa. La risposta è stata sempre sostanzialmente la stessa. E cioè che la natura dell’ospitalità data dalla Chiesa romana ai perseguitati, soprattutto ebrei, è stata spontanea, non decisa preventivamente dai vertici della Chiesa, ma da essa assecondata e sostenuta moralmente e materialmente. E nella presentazione al volume della Falifigli, Andrea Riccardi, storico del cristianesimo presso la Terza Università di Roma e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, chiarisce: «Per superare i divieti della clausura, quella stretta dei monasteri ma anche quella più blanda dei conventi, ci voleva una direttiva superiore». E aggiunge: «Ma tutti, unanimemente, hanno sorriso all’idea che potesse esserci un qualche documento vaticano in proposito. Chi avrebbe fabbricato una prova contro sé stesso per un’attività proibita e clandestina? Eppure tutti i responsabili erano convinti che fosse la volontà del Papa, quella di aprire le porte delle loro case agli ebrei e ai perseguitati». Giudizio già espresso dallo scrittore e giornalista di origine ebrea Enzo Forcella in un volume del 1999: «L’assenso all’asilo era stato dato solo verbalmente, s’intende. Per tutta la durata dell’occupazione le autorità religiose si atterranno alla loro antica regola: è sempre meglio far capire che dire, se qualcosa deve essere detta è bene evitare di lasciarne traccia scritta e, in ogni caso, alle eventuali contestazioni bisognerà rispondere che si era trattato di iniziative personali dei singoli sacerdoti prese all’insaputa delle autorità superiori» (La Resistenza in convento, Einaudi, Torino 1999, p. 61).
Cosa aggiungono allora le pagine del memoriale agostiniano che 30Giorni pubblica? «Basta leggerle, non c’è molto altro da dire: le nostre consorelle non ricevettero un vago invito della Santa Sede ad aprire il convento a chi ne avesse bisogno. Ma un ordine» ribadisce suor Rita Mancini. «L’ordine perentorio del Pontefice di ospitare ebrei e chiunque altro stesse rischiando la vita a causa delle persecuzioni dei nazifascisti. Condividendo con loro tutto, facendoli sentire a casa propria. Con gioia, nonostante il pericolo. Se questa è indifferenza…».
Il memoriale è redatto in uno stile asciutto, sobrio, eppure emozionante, capace di restituire il clima di quei mesi vissuti pericolosamente all’interno delle sacre e invalicabili mura del monastero, dove giunge l’eco di una Roma terrorizzata e sofferente. Che in rapida successione aveva dovuto subire: il bombardamento dal quartiere San Lorenzo il 19 luglio del ’43, con 1.400 morti, 7.000 mila feriti e la distruzione dell’antica Basilica di San Lorenzo; sei giorni dopo, l’arresto di Mussolini per ordine di Vittorio Emanuele III di Savoia e la nomina del maresciallo Pietro Badoglio a capo del governo militare; un secondo bombardamento degli Alleati «ancora più disastroso del primo», scrissero i giornali romani, il 13 agosto: ad essere presi di mira furono allora i quartieri Tiburtino, Appio e Tuscolano; la successiva acquisizione dello status di “città aperta”, cioè zona smilitarizzata; poi l’armistizio dell’8 settembre tra il governo italiano e le Forze alleate; la fuga di Badoglio e dei Savoia verso Brindisi; il disorientamento dei soldati italiani lasciati allo sbaraglio; l’attesa degli angloamericani, sbarcati in Sicilia già dal 10 luglio, e l’arrivo invece dei carri armati tedeschi, che occuparono il cuore della città, dopo aver sopraffatto, presso Porta San Paolo, l’ultima postazione di civili e soldati italiani a difesa di Roma. E poi c’era stato quel sabato del 16 ottobre al Ghetto, quando, alle 5 di mattina, i nazisti avevano strappato 1.023 ebrei dalle loro case con destinazione il campo di sterminio di Auschwitz.
Ma «anche durante il periodo dell’occupazione tedesca, la Chiesa splende su Roma», dirà un grande laico, lo storico Federico Chabod, agli studenti della Sorbona. Splende, continua Chabod, «in modo non molto diverso da come era accaduto nel V secolo. La città si trova, da un giorno all’altro, senza governo; la monarchia è fuggita, il governo pure, e la popolazione volge il suo sguardo a San Pietro. Viene meno un’autorità ma a Roma – città unica sotto questo aspetto – ne esiste un’altra: e quale autorità! Ciò significa che, benché a Roma vi sia il comitato e l’organizzazione militare del Cln, per la popolazione è di gran lunga più importante e acquista un rilievo ogni giorno maggiore l’azione del papato» (Federico Chabod, L’Italia contemporanea 1918-1948, Einaudi, Torino 1993, pp. 125-126).
Pubblichiamo qui di seguito il memoriale relativo al periodo dell’occupazione nazifascista a Roma. Esso comprende anche un brano di un articolo apparso sull’Osservatore Romano.

FONTE: 30 giorni, luglio-agosto 2006 (http://www.30giorni.it/it/articolo_stampa.asp?id=10973)

Augustinus
11-09-06, 14:40
Il memoriale inedito delle monache agostiniane del monastero dei Santi Quattro Coronati in Roma

VENERABILE MONASTERO
DEI SANTI QUATTRO CORONATI
Roma

[Ultime nove righe dell’anno 1942]

Durante l’anno nessuna novità di rilievo. Si va avanti colle ansietà procurateci dalla grande guerra. Spaventi continui per allarmi notturni. Privazioni di cose necessarie. Pane, pasta, olio ecc.
Si celebra lo stesso con la consueta solennità la stazione quaresimale. Le funzioni della Settimana Santa per mezzo degli studenti irlandesi. Così la solennità del santo padre Agostino, poi dei Santi Quattro e si giunge a chiudere l’anno benedicendo il Signore che ci ha salvato da tanti pericoli, per l’immane guerra, per le privazioni e preoccupazioni di ogni genere. Il Te Deum fu cantato ringraziando Dio che ci ha protette.

Anno Domini 1943

Con la consueta funzioncina della processione col Santo Bambino, pia pratica che per noi ci assicura le benedizioni divine, si inizia questo anno fra gli orrori della guerra, fra le privazioni di ogni genere, e l’incertezza dell’esito della guerra stessa.
La Provvidenza ci assiste, e ci è dato di far fronte a tutte le difficoltà, mediante il lavoro di parati sacri, e il lavaggio di biancheria di chiesa della Pontificia Università Gregoriana, del Pontificio Istituto Biblico, del Collegio Borromeo, e altre chiese. Monsignor Respighi si adopera come al solito perché la liturgia della stazione quaresimale riesca solenne come sempre. La comunità può fare gli esercizi spirituali, e avere le due prediche ogni settimana durante la Quaresima. Intanto ci avviciniamo alla Settimana Santa, e si svolgono le funzioni del Triduo. Il Santo Sepolcro è visitato da molti fedeli. Si procede col medesimo ritmo fino alla solennità di sant’Agostino che viene celebrata con intenso fervore. Ci avviciniamo alla festa titolare dei Santi Quattro che è celebrata coi vespri pontificali e la messa pontificale la mattina del giorno 8, in cui sono celebrate parecchie sante messe lette.
Arrivate a questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto inaspettata. Il santo padre Pio XII, dal cuore paterno, sente in sé tutte le sofferenze del momento. Purtroppo con l’entrata dei tedeschi in Roma, avvenuta nel mese di settembre, si inizia una guerra spietata contro gli ebrei che si vogliono sterminare mediante atrocità suggerite dalla più nera barbarie. Si rastrellano i giovani italiani, gli uomini politici, per torturarli e farli finire tra tremendi supplizi. In queste dolorose situazioni il Santo Padre vuol salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che nei monasteri si dia ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice, e, col giorno 4 novembre, noi ospitiamo fino al 6 giugno successivo le persone qui elencate:
dal 4 novembre al 14, la signora Bambas moglie di una personalità politica. Il marito era nascosto in altra casa religiosa, e lo volle raggiungere.
Dal 1° dicembre al 27, tutta la famiglia Scazzocchio di 9 persone.
Dal 1° dicembre a tutto il febbraio successivo, la mamma del dottor Scazzocchio. Queste persone furono sistemate nella sala del Capitolo, con l’annessa stanzetta, e l’adiacente corridoio. I pasti li consumano in refettorio.
Dal 7 dicembre al 23 gennaio, il Ravenna ebreo (rabbino) dai paliotti.
Dal 15 dicembre al 18 gennaio, il signor Viterbo col suocero, ebrei, solo dormire.

Anno Domini 1944

Dal 1° gennaio al 21, la signora Dora ebrea – cameretta del salone.
Dal 5 gennaio al 9 maggio il signor Alfredo Sermoneta (ebreo) dai paliotti.
Dal 2 febbraio al 7 maggio, il signor Salvatore Mastrofrancesco (politico) nipote di suor Maria Veronica Del Signore.
Dal 2 febbraio al 5 giugno, il signor Eugenio Sermoneta (ebreo) dai paliotti.
Dal 2 febbraio al 5 giugno, il signor Fernando Pisoli (politico) dai paliotti.
Dal 2 febbraio al 9 maggio, il signor Fernando Talarico (di leva).
Dal 13 dicembre al 6 giugno, il giovane Francesco Caracciolo.
Dal 15 dicembre al 6 giugno, suo fratello Alberto, figli del generale Caracciolo.
Dall’8 marzo al 7 maggio, Piero De Benedetti (patriota).
Nel mese di marzo, per otto giorni, Franco Talarico.
Nel medesimo tempo abbiamo nascosto in refettorio cento tonnellate di carta di Fabriano e abbiamo sostenuto per questo delle rappresaglie dai parenti del proprietario.
In un grande locale adiacente all’orto, abbiamo nascosto undici automobili, compresa quella del generale Badoglio, e del generale Tessari, due camion portati qui da militari subito dopo l’8 settembre ’43.
Un autotreno, una motocicletta del capitano di Trapani, un triciclo, dieci biciclette.
Dell’azienda Gianni abbiamo nascosto sette cavalle, quattro mucche, quattro buoi, tutte le macchine agricole, e mezzi di trasporto. Il chiostro, chiuso ai visitatori per far passeggiare i rifugiati, era pieno di paglia e fieno. Il mobilio e biancheria di varie famiglie sfollate, oggetti di valore e titoli bancari.
6 giugno. Finalmente si aprirono le porte a questi poveri rifugiati, e restammo di nuovo nella nostra libertà, ma per poco tempo, poiché il giorno 4 ottobre successivo ci fu ordinato di ospitare con la più scrupolosa precauzione il generale Carloni che era cercato per essere condannato a morte. Dalla Segreteria di Stato del Vaticano ci è ordinato di ospitarlo, imponendoci solenne segreto. E fu accomodato alla meglio nella piccola stanza sotto il salone, ma però era costretto a passare nel centro della comunità. Con lui fu ospitata la signorina direttrice di casa sua perché, malato di fegato, aveva bisogni di riguardi per il vitto. Detta signorina cucinava nella nostra cucina. Di questo i superiori erano al corrente. Si sperava che anche questo ospite in pochi mesi si sarebbe liberato. Purtroppo nel mese di marzo successivo fu scoperto che era presso di noi, e con tutta fretta monsignor Respighi con monsignor Centori lo condussero in auto in Vaticano presso le sacre Congregazioni in casa di monsignor Carinci e ivi si trattenne fino al 15 settembre, che dovemmo riceverlo di nuovo. E per ben cinque anni fu nostro ospite.
A tutte le persone su elencate, oltre l’alloggio, si dava anche il vitto facendo dei miracoli per il momento che si traversava, che tutto era tesserato. La Provvidenza è sempre intervenuta. Negli ultimi mesi ci davano L. 40... In tal modo proseguimmo l’anno. Per la Quaresima anche gli ebrei venivano ad ascoltare le prediche, e il signor Alfredo Sermoneta aiutava in chiesa. La madre priora, suor Maria Benedetta Rossi, gli faceva fare tante cose all’altare del Santissimo preparato per il Giovedì Santo, sperava che quell’anima ne restasse impressionata. Ma purtroppo non ci fu data questa santa soddisfazione. Abbiamo avuto anche degli spaventi, specialmente un giorno che si presentarono due agenti delle SS, Servizio speciale per rintracciare ebrei e giovani. Uno dei due era italiano e fu maggiore la dolorosa impressione ricevuta. Però non ci lasciammo vincere né dalle minacce né dalle persuasioni, e se ne andarono.
A guerra finita, si parlava della bontà del Santo Padre che aveva aiutato, e fatti salvare tanti, sia ebrei che giovani e intere famiglie. La stampa riempiva le colonne e in un giornale cattolico, L’Osservatore Romano, leggemmo questo articolo del professor Tescari che conosceva bene quanto si era fatto nei monasteri di clausura per la salvezza di tanti perseguitati.
Partigiani pacifici
«Chi scriverà la storia della più recente oppressione tedesco-fascista in Roma dovrà dedicare un capitolo speciale all’opera generosa, vasta, multiforme, spiegata in pro dei perseguitati dai religiosi. Uffici parrocchiali trasformati in veri e propri uffici di collocamento-rifugio (ne frequentavo uno dove, nei pochi minuti in cui mi trattenevo, vedevo affluire una moltitudine di uomini e donne di ogni classe, di ogni età, e il parroco ascoltare, prendere nota, indirizzare, promettere, elargire con generosità), case di sacerdoti diventate alberghi di fuggitivi (odo ancora la governante di uno di questi brontolare che in casa non vi era più niente ecc.): lamenti insolitamente popolati di facce atteggiate a confusione nuova e strana, ma coloro che in cotesto campo della carità si dimostrarono vere eroine, furono le suore che travestirono da consorelle donne ebree (di null’altro colpevoli di essere sangue di Gesù e di Maria), che violarono la secolare clausura per dare ricetto a uomini per ragioni di razza o politica perseguitati, che accolsero bimbi di fuggitivi, che si prestarono a falsificazioni di documenti personali procurando esse stesse o agevolandone il conseguimento: l’opera grandiosa e pericolosa compiendo con semplicità e coraggio e disinteresse indicibile. Il persecutore ne era informato, ma non osò violare i sacri recinti oltre un certo limite: l’ombra grande proiettata da San Pietro salvaguardava anche gli asili più remoti e solitari. O sorelle buone e care, siate benedette insieme con gli altri, da Dio, il Quale del premio destinatovi, vi ha dato anche quaggiù un prezioso saggio, consentendovi di assistere a tante mirabili conversioni di persone da voi beneficate, le quali dopo aver sperimentato che la sostanza della religione nostra è amore, amore senza distinzione, amore senza limiti, non hanno resistito al dolce invito della grazia e sono ridivenuti, o divenuti, anche per fede fratelli nostri»(Onorato Tescari).
Restate di nuovo nella nostra pace, si continua la vita di comunità. Preghiera e lavoro. Già dal 1925 si lavora per la ditta Gammarelli di parati sacri, più tardi, nel medesimo anno anche la ditta Romanini domanda che si confezionino i parati sacri. Già dalla venuta delle consorelle agostiniane di Santa Prisca che lavavano la biancheria personale dei padri della Compagnia di Gesù, nella Pontificia Università Gregoriana, si proseguì per alcuni mesi, poi la biancheria personale la lasciammo e cedemmo alle Suore delle sordomute, proseguendo a occuparci della biancheria di sagrestia tanto della Pontificia Università, che dell’Istituto Pontificio Biblico, in seguito del Collegio Borromeo e Sant’Andrea al Quirinale. Per la chiesa della Vittoria, si attendeva già da più di cinquant’anni e così dei padri Trappisti.
Si seguita nella vita ordinaria, si celebra la solennità di padre Agostino con le consuete funzioni. Senza novità, giungiamo alla solennità dei Santi Quattro che monsignor Respighi celebra sempre in maniera grandiosa. Quindi chiudiamo anche quest’anno, così speciale di avvenimenti, ringraziando il Signore di tutte le grazie concesse.

http://www.30giorni.it/foto/1157016530083.jpg Il particolare della pagina del memoriale delle religiose agostiniane del monastero dei Santi Quattro Coronati, relativo alle cronache del 1943

http://www.30giorni.it/foto/1157016530130.jpg Uno scorcio del monastero dei Santi Quattro Coronati ed alcune pagine del memoriale delle religiose

FONTE: 30 giorni, luglio-agosto 2006 (http://www.30giorni.it/it/articolo_stampa.asp?id=10943)

Augustinus
21-04-07, 11:03
Innumerevoli le testimonianze: Pio XII ordinò di aprire i conventi per proteggere gli ebrei

ROMA, venerdì, 20 aprile 2007 (ZENIT.org).- Ha suscitato molto clamore la dichiarazione rilasciata martedì dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, secondo cui il Pontefice Pio XII, il 25 ottobre 1943, firmò una circolare in cui chiedeva a tutti gli istituti religiosi di aprire le porte per accogliere gli ebrei perseguitati.

Questo documento smentisce in maniera definitiva la teoria di alcuni commentatori critici, i quali sostengono che i Vescovi, le religiose, i religiosi e i tantissimi cattolici che a rischio della propria vita salvarono gli ebrei dallo sterminio, lo fecero senza che l'allora Pontefice ne fosse minimamente a conoscenza.

In realtà, ancor prima di questa rivelazione, sono emerse innumerevoli prove di come l’intera opera di assistenza orchestrata dalla Chiesa cattolica nel tentativo di porre in salvo gli ebrei perseguitati fu decisa e ordinata dal Papa Pio XII in persona.

Il canonico di Assisi, monsignor Aldo Brunacci, ha raccontato e scritto in interviste e libri che “il terzo giovedì del settembre 1943, dopo la consueta riunione mensile del clero che aveva luogo nel Seminario Diocesano, il Vescovo mi chiamò in disparte nel vano antistante la cappella e mostrandomi una lettera della Segreteria di Stato mi disse: ‘Dobbiamo organizzarci per prestare aiuto ai perseguitati e soprattutto agli ebrei, questo è il volere del Santo Padre Pio XII. Il tutto va fatto con la massima riservatezza e prudenza. Nessuno, neppure tra i sacerdoti deve sapere la cosa”.

Brunacci, che insieme al Vescovo di Assisi, monsignor Giuseppe Placido Nicolini, è stato riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, ha sostenuto di aver visto la lettera inviata dalla Segreteria di Stato vaticana.

A conferma di ciò vi è anche la testimonianza che il professor Emilio Viterbi, docente dell’Università di Padova, un rifugiato ebreo ad Assisi, rilasciò il 6 gennaio del 1947, in occasione del settantesimo compleanno di monsignor Nicolini.

“Degli innumerevoli episodi che si potrebbero citare per illuminare sull’indefessa e santamente umanitaria azione che il Clero di Assisi ha compiuto a favore degli ebrei perseguitati sotto l’alta guida del suo Vescovo mons. Placido Nicolini che col più grande amore ed altissimo zelo ha così seguita la filantropica volontà del Santo Padre”, disse in quell'occasione.

Il professor Viterbi raccontò che: “Durante l’ultimo periodo dell’occupazione tedesca il suo Vescovado era diventato asilo di un’infinità di profughi e perseguitati, ciò nonostante quando mi recai da lui per chiedergli se, in estreme eventualità, avesse potuto ospitarmi assieme alla mia famiglia, egli con la sua grande semplicità e col suo sorriso bonario mi rispose: ‘Non ho di libere che la mia stanza da letto e lo studio, ma posso benissimo arrangiarmi a dormire in quest’ultimo. La stanza da letto è a vostra disposizione'”.

Una storia simile la raccontò anche suor Ferdinanda dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe di Chambéry, a Roma. La religiosa rivelò che “fu il Pontefice Pio XII che ci ordinò di aprire le porte a tutti i perseguitati. Se non ci fosse stato l’ordine del Papa sarebbe stato impossibile mettere in salvo tanta gente”.

Il 17 marzo 1998 suor Ferdinanda ricevette dall’Ambasciata israeliana a Roma la medaglia di “Giusto tra le Nazioni” per aver contribuito alla salvezza di tanti ebrei durante l’occupazione nazista di Roma.

In quell’occasione per confermare le intenzioni di Pio XII, suor Ferdinanda mostrò una lettera del Cardinale Segretario di Stato Luigi Maglione inviata alla reverenda Madre Superiora il 17 gennaio 1944, in piena occupazione nazista.

Nella lettera il Segretario di Stato, a nome del Pontefice Pio XII e in riferimento ai tanti ebrei nascosti nell’Istituto, scrisse: “La Santità Sua paternamente grata, implora perciò su cotesti così diletti figli le ineffabili ricompense della divina Misericordia, affinché, abbreviati i giorni di tanto dolore, conceda ad essi il Signore un sereno, tranquillo e prospero avvenire”.

“Intanto, in segno di particolare benevolenza, la Santità Sua, riconoscente verso codeste dilette Suore di San Giuseppe di Chambéry per l’opera di misericordia che esercitano con tanto cristiana comprensione, invia ad esse e ai cari rifugiati la confortatrice Benedizione Apostolica”, continuava la missiva.

Di come la Segreteria di Stato vaticana fosse in diretto contato con i conventi che nascondevano gli ebrei, ha raccontato suor Maria Piromalli, dell’Istituto Pio X che si trova a Roma, in Piazza S. Pancrazio 44.

Nell’Istituto, fondato da don Guanella e gestito dalle Figlie di Santa Maria della Provvidenza, furono nascosti 44 ebrei tra uomini e donne.

Suor Maria Piromalli ricordò che Pio XII “ha lanciato un appello a tutti gli istituti religiosi di Roma per soccorrere gli ebrei” e aggiunse che ad avvertire il suo Istituto fu don Emilio Rossi.

Nell’opera dell’Archivio Segreto Vaticano, pubblicata nel 2004 con il titolo “Inter Arma Caritas. L’Ufficio Informazioni Vaticano istituito da Pio XII (1939-1947)”, risulta che don Emilio Rossi fosse il Segretario dell'Ufficio Informazioni per i prigionieri di guerra, della Segreteria di Stato, ovvero l'ufficio che si occupava dell’assistenza agli ebrei.

[Moltissime testimonianze dell’opera di assistenza agli ebrei si trovano nel libro di Antonio Gaspari pubblicato da Editorial Planeta in Spagna nel 1999 con il titolo “Los Judíos, Pío XII y la Leyenda Negra”, e distribuito in Italia dalla Editrice Ancora, lo stesso anno, con il titolo “Nascosti in convento”]

Fonte: ZENIT (http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=11397)

Augustinus
21-04-07, 11:08
Pio XII diede l’indicazione di accogliere ebrei perseguitati, rivela il Cardinal Bertone

Con una circolare inviata agli istituti religiosi il 25 ottobre 1943

ROMA, mercoledì, 18 aprile 2007 (ZENIT.org).- Il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha rivelato questo martedì che il 25 ottobre 1943 Pio XII firmò una lettera in cui chiedeva a tutti gli istituti religiosi di aprire le porte per accogliere gli ebrei perseguitati.

Papa Eugenio Pacelli siglò “una circolare della Segreteria di Stato, con la quale si forniva l’orientamento di ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, di aprire gli istituti e anche le catacombe”, ha spiegato.

Le parole del porporato salesiano commentano la crisi sorta la settimana scorsa a causa di un pannello su Pio XII allo Yad Vashem, il Mausoleo dell’Olocausto di Gerusalemme, in cui appare una didascalia che indica Papa Pacelli come responsabile del “silenzio” e “dell’assenza di linee guida” per denunciare la Shoah.

Il Presidente dello Yad Vashem, Avner Shalev, ha promesso di riconsiderare il modo in cui Papa Pio XII è presentato.

Partecipando alla presentazione del libro di Maria Franca Mellano “L’opera salesiana Pio XI all’Appio Tuscolano di Roma”, presso l’Istituto romano Pio XI, nel quale appunto si ricordano le centinaia di ebrei che si sono rifugiati lì durante la II Guerra Mondiale, il Cardinal Bertone ha definito quel momento “una storia luminosa di generosità e attenzione”.

“Ma quest’opera è stata resa possibile, non solo qui ma ovunque, da una circolare della Segreteria di Stato con la sigla di Pio XII”, ha aggiunto. “È impossibile che Pio XII, che firmò quella circolare, non abbia approvato questa decisione”.

FONTE: ZENIT (http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=11372)

Augustinus
21-04-07, 11:08
Errore di data nella circolare di Pio XII per salvare gli ebrei

ROMA, giovedì, 19 aprile 2007 (ZENIT.org).- La circolare citata dal Cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, firmata da Pio XII per salvare gli ebrei perseguitati dai nazisti è del 25 ottobre 1943 e non 1945, come avevamo scritto per un errore di trascrizione.

Pubblichiamo la notizia corretta. Grazie per la vostra comprensione.

Pio XII diede l’indicazione di accogliere ebrei perseguitati, rivela il Cardinal Bertone

In una circolare del 25 ottobre 1943

ROMA, mercoledì, 18 aprile 2007 (ZENIT.org).- Il Cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha rivelato questo martedì che il 25 ottobre 1943 Pio XII firmò una lettera in cui chiedeva a tutti gli istituti religiosi di aprire le porte per accogliere gli ebrei perseguitati.

Papa Eugenio Pacelli siglò “una circolare della Segreteria di Stato, con la quale si forniva l’orientamento di ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, di aprire gli istituti e anche le catacombe”, ha spiegato.

Le parole del porporato salesiano commentano la crisi sorta la settimana scorsa a causa di un pannello su Pio XII allo Yad Vashem, il Mausoleo dell’Olocausto di Gerusalemme, in cui appare una didascalia che indica Papa Pacelli come responsabile del “silenzio” e “dell’assenza di linee guida” per denunciare la Shoah.

Il presidente dello Yad Vashem, Avner Shalev, ha promesso di riconsiderare il modo in cui Papa Pio XII è presentato.

Partecipando alla presentazione del libro di Maria Franca Mellano “L’opera salesiana Pio XI all’Appio Tuscolano di Roma”, presso l’Istituto romano Pio XI, nel quale appunto si ricordano le centinaia di ebrei rifugiati lì durante la II Guerra Mondiale, il Cardinal Bertone ha definito quel momento “una storia luminosa di generosità e attenzione”.

“Ma quest’opera è stata resa possibile, non solo qui ma ovunque, da una circolare della Segreteria di Stato con la sigla di Pio XII”, ha aggiunto. “È impossibile che Pio XII, che firmò quella circolare, non abbia approvato questa decisione”.

FONTE: ZENIT (http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=11378)

Augustinus
22-05-07, 08:41
Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro

Intervista al vaticanista Andrea Tornielli

ROMA, lunedì, 21 maggio 2007 (ZENIT.org).- Da martedì 22 maggio sarà in libreria l’ultimo libro di Andrea Tornielli dal titolo “Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro” (Mondadori Editore, pp. 661, Euro 24).

Si tratta di una biografia del Pontefice romano, basata su molti documenti inediti, tratti dall’archivio privato della famiglia Pacelli, e sulle testimonianze non ancora pubbliche agli atti della causa di beatificazione.

Seppure di Papa Pio XII, si parli soltanto come “il Papa dei silenzi” in merito alla persecuzione ebraica dei nazisti, dal libro di Tornielli emerge la personalità ben più complessa e articolata dell’uomo chiamato a vestire i panni di Pietro in anni tragici per la storia dell’umanità.

Eugenio Pacelli ha conosciuto da vicino i grandi mali del ventesimo secolo, è stato ostaggio dei rivoluzionari bolscevichi, ha visto nascere il nazismo. È stato il fedele collaboratore di Pio XI, condividendone l’avversione per le ideologie totalitarie ma anche il tentativo di trovare un modus vivendi con gli Stati più ostili che garantisse un minimo di libertà per i cristiani

È diventato Papa alla vigilia di una guerra che avrebbe contato oltre cinquanta milioni di morti, culminata nell’abisso della Shoah, il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti. È stato esaltato e amato mentre era in vita, è stato proclamato defensor civitatis, protagonista di una grande opera di carità in favore di tutti i perseguitati.

Dal libro di Tornielli, emerge il ritratto di una persona che per amore della Chiesa e dell’umanità ha finito per annientare se stesso nell’incarnare l’istituzione del papato.

Per approfondire un tema di così grande interesse, ZENIT ha intervistato Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale”, giornalista e scrittore di diversi libri e saggi sul tema.

Del Pontefice Pio XII i mezzi di comunicazione parlano solo in relazione alla Shoah, mentre da questo volume emerge un Papa lungimirante, profetico, straordinariamente avanti sui tempi. Può dirci qualcosa in proposito?

Tornielli: E' una riduzione arbitraria che viene effettuata continuamente sulla sua figura, completamente schiacciata sul tema dell'Olocausto e sui "silenzi". In realtà Pio XII è stato il primo Papa moderno della storia della Chiesa, il suo magistero è ricchissimo e abbraccia tutto. Qualche esempio: è stato il precursore e il preparatore della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, aprendo tra l'altro al canto moderno; ha aperto al metodo storico-critico per lo studio della Sacra Scrittura; ha aperto ai cosiddetti metodi naturali (contro il parere del Sant'Uffizio di allora); si è detto possibilista sull'evoluzionismo; ha beatificato e canonizzato - in percentuale rispetto alle cerimonie - il maggior numero di donne rispetto a tutti i suoi predecessori e successori. Importantissimi, poi, sono stati i suoi pronunciamenti su temi legati alla ricerca scientifica. Ha applicato al comunismo la distinzione tra errore ed erranti, comunemente attribuita a Giovanni XXIII. E' stato profetico anche per quanto riguarda il futuro politico dell'Europa e del mondo, occupandosi nei famosi radiomessaggi dell'assetto delle società quando ancora era in corso la guerra, facendo una scelta di campo in favore della democrazia.

Per scrivere questo libro ha consultato tanti documenti inediti, ce ne è qualcuno che secondo lei rappresenta un elemento di novità in merito alla ricerca storica sulla vita e sul pontificato di Papa Pacelli?

Tornielli: Una delle fonti principali del mio lavoro sono stati i carteggi inediti con i familiari, in particolare con il fratello Francesco, che mentre Pacelli era Nunzio in Germania, collaborò con Papa Pio XI per arrivare ai Patti Lateranensi. Da queste carte mai viste prima emerge, ad esempio, la preoccupazione del futuro Pio XII per la nascita del nazismo e per il suo nazionalismo fortemente anticristiano. Ma emergono anche altri aspetti, molto più personali, come ad esempio la volontà di non diventare cardinale per potersi dedicare a tempo pieno al ministero pastorale. Ecco, Pacelli, da Nunzio, da Cardinale e poi da Papa è sempre stato innanzitutto e soprattutto un prete, un vero sacerdote.

Nell'immaginario popolare, tra coloro che non lo hanno conosciuto, né visto, né sentito, Pio XII viene presentato come un conservatore, espressione della Chiesa preconciliare, contrario ad ogni cambiamento, mentre nel libro appare molto più moderno e innovatore. A conclusione del suo studio che idea si è fatto dell'uomo, del sacerdote, e del Papa Pio XII?

Tornielli: Era certamente un uomo del suo tempo, che aveva avuto un certa formazione e aveva vissuto certe esperienze. Ma è del tutto da contestare l'idea di un conservatore retrogrado. C'è un'ideologia dietro questa immagine, che tende a considerare il Concilio Vaticano II e il passaggio tra Pio XII e il beato Giovanni XXIII come una frattura. In realtà la storia della Chiesa non procede per fratture e ciò che è avvenuto con il Concilio Vaticano II era stato preparato dal magistero di Papa Pacelli, che non a caso è il più citato nei testi conciliari.

Si presenta spesso Pio XII come un uomo solo, che viveva in una torre d'avorio. In realtà incontrava tantissime persone e si consultava moltissimo. Al suo fianco, nel più totale anonimato che si addice ai collaboratori di un Papa, lavorava una squadra di gesuiti ferratissimi in tutte le materie, che tenevano costantemente aggiornato il Pontefice. Dai documenti e dalle testimonianze che ho potuto consultare - comprese quelle della causa di beatificazione, anche queste inedite - emerge poi la grande umanità di questo Papa, la sua capacità di ascoltare e condividere i drammi delle persone, la sua immediata disponibilità ad aiutarle.

Da almeno quattro decenni è stata orchestrata una campagna di dura e caparbia ostilità contro il Papa Pio XII. Quali sono secondo lei le ragioni? Eugenio Pacelli è il Papa dei silenzi o un Papa beato?

Tornielli: Poco a poco sta emergendo la verità su queste accuse. La campagna contro Pio XII nasce in Unione Sovietica e viene però spalleggiata da ambienti cattolici. Lo stesso Vicario di Hochhuth si basa su materiale passato dalla polizia politica della Germania dell'Est. Chiaramente a Pio XII non si perdonava l'anticomunismo. Credo che ci saranno presto delle sorprese, anche se sono pessimista: la leggenda nera su Pio XII è così consolidata che sembra diventata più reale della storia. Non ho dubbi sulla santità di Pio XII, anche se per scelta nella mia biografia questo argomento non viene nemmeno sfiorato: la figura di Papa Pacelli, il suo magistero, i suoi atti, la sua carità, sono già sotto gli occhi di tutti. O meglio, sotto gli occhi di chi vuol vedere e non giudica la realtà con le lenti distorte dell'ideologia o del pregiudizio.

[Il libro “Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro” sarà presentato alla stampa ed al pubblico martedì 5 giugno, alle ore 17, a Roma, nella Sala della Protomoteca in Piazza del Campidoglio. Dopo il saluto del Vicesindaco di Roma, Maria Pia Garavaglia, interverranno i professori Matteo Luigi Napolitano, Francesco Margiotta Broglio, Andrea Riccardi e il senatore a vita Giulio Andreotti. Le conclusioni sono affidate al Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. L’incontro sarà coordinato e moderato da Bruno Vespa]

Fonte: Zenit, 21.5.2007 (http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=11742)

Diaconus
31-05-07, 12:43
Ho trovato molto interessante su "I silenzi di Pio XII" quanto scritto su questo SITO:

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pioxii.htm

Augustinus
31-05-07, 13:22
Ho trovato molto interessante su "I silenzi di Pio XII" quanto scritto su questo SITO:

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pioxii.htm

Ti ringrazio della segnalazione, sebbene bisogna stare attenti giacché il sito ha talora posizioni ambigue. :-01#44

Augustinus
16-11-07, 08:49
E Pio XII arruolò l’ebreo per salvarlo dai nazisti

di Andrea Tornielli

«Non sono credente, non frequento la Chiesa, ma se mi trovassi davanti a Pio XII mi metterei in ginocchio, perché se io e i miei figli esistiamo, lo dobbiamo a lui». È commosso Silvio Ascoli, romano, classe 1945, mentre racconta la storia del padre Bruno, «di razza ebraica» secondo le norme delle infami leggi razziali, che il Vaticano salvò dalla deportazione arruolandolo tra le sue guardie. Lo aveva detto lo scorso giugno il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone: «Nell’ottobre 1943, oltre alla gendarmeria e alla guardia svizzera, c’era anche la guardia palatina. Per proteggere il Vaticano e gli stabili extraterritoriali c’erano già 575 guardie palatine. Ebbene, la Segreteria di Stato chiese alla potenza occupante l’Italia di poter assumere altre 1.425 persone da inserire nell’organico della Guardia Palatina. Il ghetto ebraico era a due passi...». Ora una nuova testimonianza conferma quell’aiuto.

«Mio padre era nato nel 1910, la famiglia di mio nonno apparteneva alla comunità ebraica di Ancona, e sua sorella insieme al marito saranno deportati e uccisi ad Auschwitz». Bruno, scomparso nel 1970, era figlio di un matrimonio misto e non frequenta la comunità degli ebrei romani. Il 28 ottobre 1938, subito dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, l’uomo aveva chiesto e ottenuto il battesimo.

Ma è troppo tardi per sfuggire alla morsa del regime che si stringe attorno agli ebrei. Il parroco cerca di aiutarlo, scrivendo che Ascoli frequentava la catechesi fin dall’agosto di quell’anno, ma non serve a nulla.

«I miei famigliari provarono a rivolgersi al Ministero dell’Interno, attestando di non essere iscritti alla comunità ebraica. Ma il responso fu che chiunque avesse un genitore ebreo e non potesse comprovare di appartenere a un’altra religione da prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali, era considerato ebreo. Mio padre si era battezzato troppo tardi. Per i miei fu una mazzata terribile».

Così gli Ascoli sono costretti a dichiarare presso il Governatorato di Roma la loro appartenenza alla «razza ebraica». Due anni dopo, nel 1940, Bruno si sposa in chiesa con la cattolica Maria Bianchi, anche se il matrimonio non può avere effetti civili. «Mia madre lo sposò sapendo a che cosa andava incontro». La coppia si stabilisce in via Famagosta, al quartiere Trionfale.

Nell’ottobre 1943, dopo l’arrivo dei tedeschi nella capitale, Bruno Ascoli diventa un ricercato. «Un giorno si presentarono a casa dei fascisti e dei nazisti, che chiedevano di mio padre. Lui per fortuna era fuori. I miei riuscirono ad avvisarlo di non tornare». Bruno scappa e trova momentaneamente alloggio in un soppalco, nell’autorimessa di un gommista. «Ci rimase per due settimane, mia madre andava a portargli di nascosto da mangiare. Ma a fine ottobre, il gommista lo fece sloggiare perché era diventato troppo pericoloso tenerlo lì. Fu allora che, grazie all’interessamento di uno zio che lavorava ai musei vaticani come usciere, mio padre venne arruolato nelle guardie palatine». Bruno Ascoli diventa un ausiliare delle guardie d’onore del Papa, può risiedere Oltretevere.

«Gli salvarono la pelle! Rimase lì per alcuni mesi. Ci sono le foto che lo ritraggono vestito da guardia palatina dentro le mura vaticane. E nel dicembre 1943 riceve il prezioso salvacondotto della Santa Sede che attesta la sua appartenenza al corpo d’onore del Papa». Il figlio Silvio spiega che esisteva una sorta di rotazione, nel tentativo di salvare più perseguitati possibile. «Nei primi mesi del 1944, la Santa Sede indicò a mio padre un altro nascondiglio, in via Mocenigo, vicino alle mura vaticane, presso un deposito di legname. E questo attesta che c’era una rete organizzata di assistenza e di aiuto. L’ho detto anche ai miei figli: se il Vaticano non avesse aiutato mio padre, io adesso non sarei qui. Credo che Papa Pacelli abbia scelto bene: non denunce pubbliche che avrebbero provocato rappresaglie – non oso pensare che cosa sarebbe successo se le SS fossero entrate Oltretevere – ma aiuto concreto ai perseguitati».

Fonte: Il Giornale, 15.11.2007 (http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=220674)

Augustinus
19-02-08, 12:36
Cardinale Saraiva Martins: Pio XII non rimase in silenzio sul nazismo

La sua causa di beatificazione non è accantonata

di Marta Lago

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 18 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Non risponde alla verità storica parlare di un silenzio di Pio XII nei confronti del nazismo, avverte il Prefetto della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi.

Nel contesto della presentazione dell'Istruzione “Sanctorum Mater” (sulla fase diocesana delle cause di beatificazione e canonizzazione), il Cardinale José Saraiva Martins ha parlato dell'andamento di alcune cause, tra cui quella di Pio XII.

La causa di Papa Eugenio Pacelli “non è stata dilazionata né tanto meno accantonata”, ha confermato il porporato questo lunedì ai media internazionali nella Sala Stampa della Santa Sede.

Quest'anno ricorre il cinquantesimo della morte di Papa Pacelli, un'“occasione d'oro” per “promuovere certe iniziative che portino a una conoscenza sempre più perfetta del Papa Pio XII”, ha spiegato.

Tra queste, ha menzionato un convegno – “che approfondisca bene la figura, la spiritualità” – e un'esposizione sul suo pontificato; c'è poi “una commissione che sta studiando e approfondendo sempre meglio certi punti relativi al pontificato di questo Papa”.

Per rispondere a chi afferma, come presunto ostacolo alla causa, la presunta mancata condanna di Pio XII contro il nazismo, il Cardinale Saraiva Martins ha dichiarato che “questo non è vero storicamente. Io, piuttosto che di silenzio, parlerei di 'prudenza'”.

“Vorrei confermare questa mia affermazione. Io tradurrei silenzio per prudenza. Il silenzio non c'è stato. Quando è stata pubblicata l'Enclicica Summi pontificatus, Goebbels, numero due del nazismo, ha scritto nel suo diario: 'E' uscita questa Enciclica e il Papa è stato molto duro contro di noi'. Era un silenzio poco silenzioso, a quanto pare”, ha sottolineato il Prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi.

Il Cardinale portoghese ha citato lo stesso Pio XII, che il 2 giugno 1943, in occasione della festa di Sant'Eugenio, disse pubblicamente che ogni parola che rivolgeva – per alleviare la sofferenza del popolo ebraico, migliorare le sue condizioni morali e giuridiche, ecc. – “alle competenti autorità e ogni nostro pubblico accenno dovevano essere da noi seriamente ponderati e misurati, negli interessi dei sofferenti stessi [degli ebrei], per non rendere pur senza volerlo più grave e insopportabile le loro situazione”.

“Con una testimonianza al di sopra di ogni sospetto”, il Cardinale Saraiva Martins ha voluto confermare quanto ha detto citando le parole di Robert Kempner, magistrato ebreo e pubblico ministero al processo di Norimberga.

Infatti, ha ricordato il porporato, “ha scritto, nel gennaio del 1964, dopo l'uscita de 'Il Vicario' di Hochhuth [che diffonde l'equivoco di Pio XII come figura passiva, codarda e antisemita, ndt.]: 'Qualsiasi presa di posizione propagandistica della Chiesa contro il governo di Hitler sarebbe stata non solamente un suicidio premeditato, ma avrebbe accelerato l'assassinio di un numero ben maggiore di ebrei e sacerdoti'".

Il Cardinale portoghese ha lamentato l'atteggiamento critico nei confronti di Pio XII “sorto dopo la pubblicazione del romanzo 'Il Vicario'”.

Quando finì la guerra, ha concluso, “sono molti gli ebrei che sono venuti in Vaticano per ringraziare Papa Pacelli per quello che aveva fatto per gli ebrei. Questa è la storia”.

Fonte: Zenit, 18.2.2008 (http://www.zenit.org/article-13537?l=italian)

emv
31-10-22, 15:52
Tutte le Leggende nere sulla Chiesa:

TUTTE LE LEGGENDE NERE SULLA CHIESA - Raccolta Completa (https://forum.termometropolitico.it/839605-leggende-nere-chiesa-raccolta-completa.html)