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Visualizza Versione Completa : In morte di un pianeta



marcejap
06-11-05, 13:28
Mentre i bischeri si interrogano sulla validità di Kyoto, il surriscaldamento del pianeta manda in briciole tutto:


Si sbriciola la mitica cima conquistata dall'alpinista italiano
Un'erosione senza soste, l'episodio più grave il 29 giugno scorso
Frana sul monte Bianco
crolla il pilone Bonatti
di LEONARDO BIZZARO


TORINO - Se n'è andato un altro pezzo di montagna, portato via dal caldo. Succede tutti i giorni, d'estate e d'inverno, ma stavolta a sbriciolarsi è stato un frammento più famoso degli altri nella gran catena del Bianco, il Pilier Bonatti che ha visto le gesta di un italiano diventato sinonimo di alpinismo. E non solo le sue. Cinquecento metri di monolite che Walter Bonatti riuscì a vincere da solo in sei giorni di arrampicata allucinante, dal 17 al 22 agosto 1955. "Uno dei più straordinari exploit della storia dell'alpinismo", non esagera a scrivere la Guide Vallot, una bibbia per chi affronta il granito del Bianco. Oggi quel monolite è un'altra cosa. La parete, scavata sempre più profondamente dai crolli, "è diventata un'abside - sorride Bonatti dalla sua casa all'Argentario - Ma la mia via sembra sia rimasta miracolosamente intatta, mi hanno detto i francesi".

Per quanto, ancora non è dato sapere. Perché la demolizione è periodica: la prima enorme porzione se n'è andata il 17 settembre 1997 e Vertical, magazine specializzato francese, ha titolato "Pilier Bonatti, je t'aime moi non plus". I detriti dell'ultima si sono accumulati ai piedi del Dru il 29 giugno scorso. Li hanno visti in pochi, la montagna non si raggiunge in due passi dal rifugio, se n'è parlato nei forum alpinistici su internet e sulle riviste francesi. Ma ieri Joe Simpson - l'autore de La morte sospesa, da cui è tratto il film Fandango molto visto l'estate scorsa anche nei cinema italiani - ha firmato un drammatico pezzo sul britannico Independent.

Simpson sul Dru ha vissuto uno dei tanti suoi incidenti dai quali è sempre uscito vivo per miracolo: bivaccava con un compagno su quella stessa parete ovest che va scavandosi di stagione in stagione, quando è letteralmente esploso il terrazzino di pietra sul quale erano distesi. Per quindici ore i due sono rimasti appesi a un solo chiodo, rinchiusi dentro il sacco a pelo.

La colpa è della fusione del permafrost, lo strato di ghiaccio profondo che finora ha tenuto legate le rocce ma da alcuni anni sta cedendo sempre più velocemente. Dalla lunga, caldissima estate del 2003, "la prima in tempi storici - ricorda il climatologo Luca Mercalli - a mantenere alte temperature per lunghi periodi anche alle quote più elevate. I giorni di gran caldo in montagna ci sono sempre stati, ma si contavano sulle dita delle mani nel corso della stagione. Oggi sono sequenze sempre più lunghe, la roccia si scalda fino a portare alla fusione del permafrost che dovrebbe agire da collante. E si susseguono i crolli".

Il fenomeno riguarda in realtà tutte le Alpi: "Le fondamenta di edifici, strade, tunnel, funivie dipendono interamente dalla solidità del permafrost - scrive ancora Simpson sull'Independent - La sua costante fusione mette a rischio l'intera infrastruttura turistica e un gran numero di vite umane", ricorda l'alpinista, sottolineando come tutte le più famose località sciistiche europee si sono sviluppate in valli sulle quali incombono le montagne tenute insieme dal permafrost. Un rischio più grave della sparizione d'una parete pur leggendaria, a ben vedere.

"Ma è un pezzo di storia che viene a mancare - replica Bonatti - Non è una consolazione sapere che nessuno potrà più salire dove tu sei andato per primo. E quella parete per me è stata davvero importante. Mi ricordo quando, a diciannove anni, la vidi per la prima volta sulla copertina di una rivista, passando per caso davanti a un giornalaio. Divenne un chiodo fisso, prima un sogno, poi un progetto, infine il mio pilastro".

Non è un problema solo attuale, la modifica sempre più sostanziale delle montagne. Gino Buscaini, il curatore, scomparso due anni fa, delle Guide Monti del Cai - il repertorio ufficiale delle vette italiane - sosteneva la necessità di cambiare, per molte delle cime più famose delle Alpi, quella che gli alpinisti chiamano via normale, la più facile di solito, o almeno la più sicura. In un secolo, un secolo e mezzo, la morfologia si è alterata così profondamente che a leggere le descrizioni di qualche vecchia guida e alzare poi gli occhi su una parete, capita di guardare due montagne diverse.

(6 novembre 2005)

Luca_liberale
22-11-05, 17:50
In Origine Postato da marcejap
Mentre i bischeri si interrogano sulla validità di Kyoto, il surriscaldamento del pianeta manda in briciole tutto:


Si sbriciola la mitica cima conquistata dall'alpinista italiano
Un'erosione senza soste, l'episodio più grave il 29 giugno scorso
Frana sul monte Bianco
crolla il pilone Bonatti
di LEONARDO BIZZARO


TORINO - Se n'è andato un altro pezzo di montagna, portato via dal caldo. Succede tutti i giorni, d'estate e d'inverno, ma stavolta a sbriciolarsi è stato un frammento più famoso degli altri nella gran catena del Bianco, il Pilier Bonatti che ha visto le gesta di un italiano diventato sinonimo di alpinismo. E non solo le sue. Cinquecento metri di monolite che Walter Bonatti riuscì a vincere da solo in sei giorni di arrampicata allucinante, dal 17 al 22 agosto 1955. "Uno dei più straordinari exploit della storia dell'alpinismo", non esagera a scrivere la Guide Vallot, una bibbia per chi affronta il granito del Bianco. Oggi quel monolite è un'altra cosa. La parete, scavata sempre più profondamente dai crolli, "è diventata un'abside - sorride Bonatti dalla sua casa all'Argentario - Ma la mia via sembra sia rimasta miracolosamente intatta, mi hanno detto i francesi".

Per quanto, ancora non è dato sapere. Perché la demolizione è periodica: la prima enorme porzione se n'è andata il 17 settembre 1997 e Vertical, magazine specializzato francese, ha titolato "Pilier Bonatti, je t'aime moi non plus". I detriti dell'ultima si sono accumulati ai piedi del Dru il 29 giugno scorso. Li hanno visti in pochi, la montagna non si raggiunge in due passi dal rifugio, se n'è parlato nei forum alpinistici su internet e sulle riviste francesi. Ma ieri Joe Simpson - l'autore de La morte sospesa, da cui è tratto il film Fandango molto visto l'estate scorsa anche nei cinema italiani - ha firmato un drammatico pezzo sul britannico Independent.

Simpson sul Dru ha vissuto uno dei tanti suoi incidenti dai quali è sempre uscito vivo per miracolo: bivaccava con un compagno su quella stessa parete ovest che va scavandosi di stagione in stagione, quando è letteralmente esploso il terrazzino di pietra sul quale erano distesi. Per quindici ore i due sono rimasti appesi a un solo chiodo, rinchiusi dentro il sacco a pelo.

La colpa è della fusione del permafrost, lo strato di ghiaccio profondo che finora ha tenuto legate le rocce ma da alcuni anni sta cedendo sempre più velocemente. Dalla lunga, caldissima estate del 2003, "la prima in tempi storici - ricorda il climatologo Luca Mercalli - a mantenere alte temperature per lunghi periodi anche alle quote più elevate. I giorni di gran caldo in montagna ci sono sempre stati, ma si contavano sulle dita delle mani nel corso della stagione. Oggi sono sequenze sempre più lunghe, la roccia si scalda fino a portare alla fusione del permafrost che dovrebbe agire da collante. E si susseguono i crolli".

Il fenomeno riguarda in realtà tutte le Alpi: "Le fondamenta di edifici, strade, tunnel, funivie dipendono interamente dalla solidità del permafrost - scrive ancora Simpson sull'Independent - La sua costante fusione mette a rischio l'intera infrastruttura turistica e un gran numero di vite umane", ricorda l'alpinista, sottolineando come tutte le più famose località sciistiche europee si sono sviluppate in valli sulle quali incombono le montagne tenute insieme dal permafrost. Un rischio più grave della sparizione d'una parete pur leggendaria, a ben vedere.

"Ma è un pezzo di storia che viene a mancare - replica Bonatti - Non è una consolazione sapere che nessuno potrà più salire dove tu sei andato per primo. E quella parete per me è stata davvero importante. Mi ricordo quando, a diciannove anni, la vidi per la prima volta sulla copertina di una rivista, passando per caso davanti a un giornalaio. Divenne un chiodo fisso, prima un sogno, poi un progetto, infine il mio pilastro".

Non è un problema solo attuale, la modifica sempre più sostanziale delle montagne. Gino Buscaini, il curatore, scomparso due anni fa, delle Guide Monti del Cai - il repertorio ufficiale delle vette italiane - sosteneva la necessità di cambiare, per molte delle cime più famose delle Alpi, quella che gli alpinisti chiamano via normale, la più facile di solito, o almeno la più sicura. In un secolo, un secolo e mezzo, la morfologia si è alterata così profondamente che a leggere le descrizioni di qualche vecchia guida e alzare poi gli occhi su una parete, capita di guardare due montagne diverse.

(6 novembre 2005)

e la colpa sarebbe del surriscaldamento del pianeta??????

QUESTA E' LA è PIU' GROSSA CHE ABBIA MAI SENTITO.....

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