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Visualizza Versione Completa : 8 novembre - Beato Giovanni Duns Scoto



Augustinus
08-12-03, 13:32
Una figura che vorrei ricordare è il Beato Giovanni Duns, detto Scoto (perchè nato in Scozia) e soprannominato Doctor Subtilis, per la sua abilità nel formulare tutte le distinzioni e alternative possibili.
Egli fu lo strenuo difensore dell'immacolato concepimento di Maria. Non a caso era francescano. Si opponeva decisamente, in un'epoca in cui il dogma dell'immacolata non era stato ancora formulato, alla corrente teologica dei c.d. maculatisti, cioè di coloro che, invece, ritenevano che Maria non fosse stata concepita immune dalla colpa originale. I maculatisti, del resto, annoveravano grandi figure di Santi e dottori, come S. Agostino di Ippona, S. Bernardo di Chiaravalle e S. Tommaso d'Aquino e tutta la scuola tomistica. I francescani, invece, erano annoverati tra gli immaculatisti, che poi riuscirono a far prevalere il loro punto di vista, con la proclamazione del dogma.

Augustinus
08-11-05, 14:53
Dal sito SANTI E BEATI (http://www.santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=76460):

Beato Giovanni Duns Scoto

8 novembre

1265 - 1308

Giovanni Duns Scoto nacque a Duns tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266. Si può dire che egli sia stato uno dei più importanti, difensori del dogma dell'Immacolata Concezione di Maria. E infatti il 20 marzo 1993 Giovanni Paolo II confermava il culto liturgico del francescano scozzese Duns Scoto «cantore del Verbo Incarnato e difensore dell'immacolato concepimento di Maria», proclamandolo beato. Intorno al 1300 fu professore ad Oxford. Nel 1305, lasciata l'università inglese è docente alla Sorbona di Parigi. Muore all'età di 43 anni a Colonia l'8 novembre 1308. (Avv.)

Nacque tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266, in Scozia da cui il soprannome «Scoto». La città natale, Duns portava lo stesso nome della sua famiglia. Sin da bambino entrò in contatto con i francescani, di cui tredicenne iniziò a frequentare gli studi conventuali di Haddington, nella contea di Berwich. Terminati gli studi in teologia si dedicò all'insegnamento prima a Oxford, poi a Parigi e Colonia. Qui, su incarico del generale della sua Congregazione doveva fronteggiare le dottrine eretiche, ma riuscì a dedicarsi per breve tempo all'impresa. Morì infatti pochi mesi dopo il suo arrivo, l'8 novembre 1308. Giovanni Duns è considerato uno dei più grandi maestri della teologia cristiana, nonché precursore della dottrina dell'Immacolata Concezione. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 20 marzo 1993 definendolo «cantore del Verbo incarnato e difensore dell'Immacolato concepimento di Maria». Le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dei frati minori di Colonia. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Colonia in Lotaringia, ora in Germania, beato Giovanni Duns Scoto, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, di origine scozzese, maestro insigne per sottigliezza di ingegno e mirabile pietà, insegnò filosofia e teologia nelle scuole di Canterbury, Oxford, Parigi e Colonia.

Il 20 marzo 1993 Giovanni Paolo II confermava il culto liturgico del francescano scozzese Duns Scoto "cantore del Verbo Incarnato e difensore dell'immacolato concepimento di Maria". Forse in molti, pur conoscendo la definizione dogmatica di Pio IX sull'Immacolata Concezione della Vergine come dottrina rivelata (1854), come anche le apparizioni dell'Immacolata a Lourdes (1858), si chiederanno in che senso Duns Scoto debba dirsi "difensore" del singolare privilegio di Maria. La risposta va cercata nel lontano contesto cristologico dei secoli XIII-XIV. Professore a Oxford (intorno al 1300), Scoto si chiede se Maria sia stata concepita nel peccato originale. Cita, a favore, le celebri frasi di sant'Agostino e di sant'Anselmo: "Se si tratta di peccati, allora io vorrei che Maria non entri in alcun modo in questione". "Era conveniente che la Vergine splendesse in quella purezza, accanto alla quale non ne può essere pensata una maggiore all'infuori di Dio".
Lasciata Oxford nel 1305, Duns Scoto è all'Università della Sorbona. Qui egli difende vigorosamente il privilegio dell'immacolato concepimento della Madre di Dio dalle molte obiezioni accampate dai professori di Parigi. Certo da buon francescano, Duns Scoto nutriva un "indicibile amore" per Colei che il Poverello aveva salutato "Sposa dello Spirito Santo... Signora santa, regina santissima... eletta dal santissimo Padre celeste e da lui, col santissimo figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito, consacrata".
Poiché la vera devozione deve sempre scaturire dalla fede vera, bisogna dire che il grande merito di Duns Scoto fu quello di formulare dottrinalmente il singolare privilegio della Vergine Madre. In effetti, confutando l'obiezione di quanti teologi, allora, vedevano intaccato l'universale primato di Cristo, Redentore dell'umanità, nel caso dell'esenzione di Maria dal peccato originale, Duns Scoto affermò che quel privilegio mariano, anziché derogare all'unica mediazione di Cristo, costituisce invece un atto perfettissimo di mediazione del perfettissimo Mediatore.
Egli formulava così, con felice intuito il nucleo della futura definizione dogmatica di Pio IX: "Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la B.V. Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, e in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia di colpa, è dottrina rivelata da Dio". In tal modo il dogma dell'immacolato concepimento di Maria viene inserito nel cuore del mistero di Cristo, e la pietà mariana assume quella doverosa nota trinitaria e cristologica che le è intrinseca ed essenziale, e che la liturgia fa propria: "In lei hai segnato l'inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza" (Prefazio). Lo si ricorda il 7 novembre.

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Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico:

La Scozia è la patria del francescano Giovanni Duns, soprannominato Scoto (dalla nazione Scozia come l’Università di Parigi suddivideva gli studenti per nazioni). Paese affascinante che armonizza nella sua natura tutti i contrasti più selvaggi e i suoi paesaggi più ameni. In uno di questi luoghi, Duns, tra la fine del 1265 e l'inizio del 1266, nasceva un bimbo nella casa di Niniano Duns - omonomia tra luogo e cognome - a cui venne dato il nome di Giovanni.
A ricordo di questo evento, un ceppo marmoreo ne ricorda il posto dal 17 marzo 1966, mentre un busto di bronzo nei giardini pubblici ne conserva il ricordo ai posteri.
Dopo le iniviali occupazioni di sorvegliante del gregge minuto, che lo videro sempre più immerso nella bellezza variopinta della natura, Giovanni riceve la necessaria formazione scolastica all’ombra delle due vicine abbazie circestensi di Melrose e di Dryburg, che gli accesero l’amore per la Madonna e per la liturgia.
A 13 anni, Giovanni frequenta gli studi conventuali della vicino Haddington, principale centro della conte di Berwich, in cui da poco si erano insediati i Francescani, che nella famiglia dei Duns trovarono dei grandi benefattori. E proprio in quell’anno, 1278, viene eletto Vicario della Scozia francescana, un uomo pio dotto e stimato da tutti, padre Elia Duns, zio paterno di Giovanni. Quando padre Elia ritornò nel suo convento di Dumfriers; condusse con sé anche il nipote per ammetterlo all’Ordine, facendo da garante per la sua costituzione sia fisica che spirituale, dal momento che Giovanni aveva appena 15 anni e che per diritto canonico occorrevano almeno 18 anni per entrare nel noviziato.
Il silenzio della storia, in quest'anno di prova religiosa, è sovrano e solenne. Tutto sembra presagire che il giovane novizio si sia lasciato inebriare e affogare dall'amore di Dio, rivelato in Cristo Gesù, mediante la Vergine Madre. È un anno di grazia speciale e di esperienza mistica, secondo lo spirito giovanile ed entusiastico dell’ideale francescano, che proneveva - bonaventurianamente - anche l’amore per lo studio come preghiera e lavoro. È nella notte del Natale 1281, quando Giovanni si preparava alla professione religiosa, che bisogna collocare l'episodio della dolce apparizione del Bambino Gesù tra le sue braccia, come segno del profondo suo amore verso la Vergine Madre.
Profetico auspicio o logica deduzione?
Tutti e due insieme. Poesia e teologia, mistica e metafisica si baciano in questo presagio di ineffabile grazia. La sua dottrina sul primato di Cristo e sull'immacolata Concezione ne fa fede.
Terminati gli studi istituzionali che consentono di accedere al sacerdozio, il 17 marzo 1291, nella chiesa di S. Andrea a Northampton, Giovanni Duns Scoto riceve dal vescovo di Lincoln, Oliverio Sutton, l'ordine sacro. Aveva 25 anni compiti, secondo le conclusioni tratte dal Registrum Episcopale del vescovo.
Per le sue ottime qualità intellettive e spirituali viene designato dai Superiori a frequentare il corso dottorale nella celebre Università di Parigi, ritenuta da tutti la "culla" e la "metropoli" della filosofia e della teologia in Occidente. Avrebbe dovuto conseguire il titolo accademico di Magister regens, nel 1303, ma la triste controversia tra il re di Francia, Filippo il Bello, e il papa Bonifacio VIII, ne ritarda il conseguimento nella primavera del 1305, quando le acque si erano momentaneamente calmate.
La politica egemonica di Filippo il Bello aveva orientato verso di sé la quasi totalità dell'opinione pubblica francese. Ne è segno tangibile la spaccatura che si registra nello Studium generale francescano di Parigi: gli "appellanti" (68 firmatari) erano favorevoli al Re; mentre i "non-appellanti" (87 firmatari), al Papa. Nella lista dei "non-appellanti", il nome di Johannes Scotus figura al 19° posto.
La posta in gioco era molta alta. Ai "non-appellanti" veniva aperta la via dell'esilio con la confisca dei beni e la cessazione di ogni attività accademica. E Giovanni Duns Scoto, fedele alla Regola di Francesco d'Assisi, che raccomanda amore rispetto e riverenza al "Signor Papa", il 25 giugno del 1303 prende la via dell'esilio, dimostrando profonda fede e grande coraggio.
Nel novembre 1304, quando le acque si calmarono per la morte di Bonifacio VIII, il Ministro Generale dei Frati Minori, fr. Gonsalvo di Spagna, raccomanda, al superiore dello Studium di Parigi, Giovanni Duns Scoto per il Dottorato, con queste parole:
«Affido alla vostra benevolenza il diletto padre Giovanni Scoto, della cui lodevole vita, della sua scienza eccellente e del suo ingegno sottilissimo, come delle altre virtù, sono pienamente informato sia per la lunga esperienza sia per la fama che dappertutto egli gode». E’ il primo e solenne “panegirico”
Così il 26 marzo del 1305, Giovanni Duns Scoto riceve l'ambìto titolo di magister regens che gli permetteva di insegnare ubique e rilasciare titoli accademici. Ha goduto del titolo solo tre anni: due a Parigi e uno a Colonia.
Dell'insegnamento parigino merita segnalare la storica disputa sostenuta nell'Aula Magna dell'Università (di Parigi), nei primi mesi del 1307, sulla Immacolata Concezione.
I pochi mesi trascorsi a Colonia, invece, sono molto intensi e ricchi di attività: riorganizza lo Studium generale e combatte l'eresia dei Beguardi e delle Beghine (che negavano ogni autorità alla Chiesa, ogni valore ai Sacramenti, alla preghiera e alle opere di penitenza) e si ricorda anche l’estasi pubblica avvenuta durante una sua predica nella chiesa.
L'intensa attività di lavoro, insieme alle conseguenze del viaggio da Parigi, mina la robusta costituzione e l'8 novembre 1308, Giovanni Duns Scoto entra nella pace del Signore, all'età di 43 anni.
Attualmente l'urna delle ossa del Beato Giovanni Duns Scoto è situata al centro della navata sinistra (guardando dall'ingresso) della chiesa francescana di Colonia nell'elegante e semplice sarcofago, costruito con pietra calcare di conchiglia di colore grigio, opera dello scultore Josef Hontgesberg. Tra i tanti motivi decorativi, è riprodotta l'antica iscrizione:
Scotia me genuit
Anglia me suscèpit
Gallia me docuit
Colonia me tenet
La primitiva iscrizione tombale così recitava:
«È chiuso questo ruscello, considerato fonte viva della Chiesa;
Maestro di giustizia, fiore degli studi e arca della sapienza.
Di ingegno sottile, della Scrittura i misteri svela,
In giovane età fu [rapito al cielo], ricordati dunque, di Giovanni.
Lui, o Dio, ornato [di virtù] fa che sia beato in cielo.
Per un [così gran] Padre involato inneggiamo con cuore grato al Signore.
Fu [Duns Scoto] del clero guida, del chiostro luce e della verità [apostolo] intrepido».
La sua tomba a Colonia è mèta di continui pellegrinaggi. Anche Giovanni Paolo II sostò in preghiera il 15 ottobre 1980, chiamandolo "torre spirituale della fede".Dopo la pubblicazione del Decreto di Canonizzazione nel 6 luglio 1991, il Santo Padre ne confermò solennemente il culto il 20 marzo 1993. La memoria liturgica è l’8 novembre.

Autore: Lauriola Giovanni ofm

http://santiebeati.it/immagini/Original/76460/76460.JPG

Augustinus
08-11-05, 14:57
Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149653)

Introduzione al pensiero del beato Duns Scoto (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=&threadid=145571)

Links esterni:

Centro studi personalistici Duns Scoto (http://www.centrodunsscoto.it/)

Augustinus
11-11-05, 20:31
DUNS SCOTO CANTORE DELL’IMMACOLATA

PREMESSA

Il secolare e lento processo - più di 12 secoli - che ha condotto alla definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine bisogna situarlo nel contesto della fede ecclesiale, maturantesi nella comprensione delle realtà rivelate sotto l'influsso dello Spirito Santo e mediante l'esercizio di alcuni carismi speciali.
In questa progressiva maturazione, un posto di eccezionale importanza spetta all'intuizione del francescano Giovanni Duns Scoto (1265-1308) che ha letto il privilegio mariano in chiave cristologica. Due aspetti di un'unica tesi formano la presentazione più semplice e più profonda della geniale visione: nel primato di Cristo è inclusa anche la redenzione preventiva di Maria Vergine.
E un prestigio di prima autorità e di grande interesse che fa di Duns Scoto il cantore per eccellenza dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine. L'abbondanza della dottrina e la profondità del pensiero sono da lui sempre accompagnate da una carità diafana e da un'espressione originale.

Un cenno storico al periodo che precede l'ingresso sulla scena culturale di Duns Scoto è certamente molto utile e di grande interesse per cogliere - pur nelle linee generali - l'eccezionalità della sua tesi, che nella storia non ha precedenti . Viene favorito da una riflessione sul testo conciliare della Dei Verbum, quando descrive lo sviluppo della verità , e dalla stessa Scrittura quando parla del sensus fidei come discernimento della verità dalla menzogna e come approfondimento della verità medesima .
Pur non trascurando gli altri fattori concorrenti alla comprensione della lunga gestazione del privilegio mariano, si predilige l'elemento della "riflessione" e dello "studio", come più rispondente al presente argomento, che, pertanto, viene articolato in tre momenti: influsso della fede popolare; influsso della liturgia e della teologia; e posizione di Duns Scoto.

1. INFLUSSO DELLA FEDE POPOLARE

Dalla storia del dogma dell'Immacolata Concezione si evince a tutto tondo che il senso cristiano della fede è stato compatto e determinante nel proclamare la santità originaria di Maria Vergine, a differenza della riflessione teologica che si è manifestata a lungo ondeggiante.
La prima testimonianza storica si trova nel Protovangelo di Giacomo, un apocrifo del II secolo, che ha molto influito nella liturgia. Sembra che abbia dato origine a tre feste mariane: la "Concezione" (l’8 dicembre), la "Natività" (l’8 settembre) e la "Presentazione di Maria al tempio" (il 21 novembre) .
Secondo il testo apocrifo, il concepimento di Maria e l'inizio della sua vita costituiscono un evento eccezionale e straordinario, perchè sbocciato da un "albero sterile". Molte volte nella Scrittura, il fenomeno della sterilità acquista valore di simbolo, per esprimere con evidenza e forza la potenza di Dio che dona vita e prosperità dove l'uomo non vede che morte e infamia .
Oltre che miracoloso, il concepimento di Maria è stato anche verginale, secondo il parallelismo stabilito tra Anna-Maria e Maria-Cristo?
Il testo descrive la figura di Gioacchino tutto desolato che si ritira nella solitudine del deserto per implorare dal Signore la grazia di un figlio. Un angelo gli appare e gli dà il lieto annuncio:

«Gioacchino, Gioacchino! Il Signore ha esaudito la tua insistente preghiera. Scendi dal deserto. Ecco, infatti, che Anna, tua moglie, concepirà nel suo ventre».

Al di là di ogni considerazione tecnica, il racconto - pur nella sua veste popolare - contiene certamente delle istanze teologiche in ordine alla santità di Maria Vergine, e rappresenta in modo intuitivo e mitico anche la sua stessa concezione verginale.
Poiché la diffusione della letteratura apocrifa si estende principalmente nel culto e nella parte dell'Oriente cristiano, qui - già nel VII secolo - si celebra liturgicamente la festa della "Concezione di Maria", che eserciterà un ruolo positivo nello sviluppo della sua dottrina. La devozione culturale di per sé aiuta molto a far penetrare sempre di più nel popolo cristiano l'idea che qualcosa di eccezionale e di straordinario sia avvenuto nella concezione di Maria.
All'idea della "concezione verginale" si sarebbe potuto aggiungere quella della "concezione immacolata", dal momento che la trasmissione del peccato originale era legata - nella dottrina dell'epoca - al fatto della generazione copulare ordinaria. Il nesso, però, non è stato mai effettuato.
Attraverso i primi sei secoli della tradizione cristiana, pur non trovando esplicita affermazione del privilegio mariano, si profila però un orientamento che fornirà gli elementi fondamentali da cui si svilupperà la dottrina dell"'immacolata concezione di Maria Vergine".
Per quanto riguarda l'influsso del Protovangelo di Giacomo è da notare che, già nel IV secolo, Epifanio respinge la credenza della concezione verginale da parte di Anna. E fino al concilio di Efeso (431), non si registrano particolari affermazioni dei Padri circa l'assenza di peccato ab initio in Maria, ma abbondano elogi e titoli che esaltano la sua santità. Benché il concilio riguardasse il problema cristologico delle due nature - la divina e l'umana, perfette e diverse - tuttavia presenta la Vergine Maria come Theotòkos, ossia Genitrice di Dio.
Nella polemica pelagiana - V secolo - la perfezione negativa di Maria costituisce il presupposto su cui Pelagio e il suo discepolo, Giuliano di Eclano, puntano le loro posizioni. Anche Agostino afferma l'assenza di peccati personali in Maria. Questa perfezione negativa è dovuta a un puro dono della grazia, a un privilegio eccezionale che le è stato conferito in considerazione della sua maternità divina.
Una delle conseguenze della polemica pelagiana è quella di aver sganciata l'idea dell'immacolata concezione da ogni contesto di "privilegio" e da ogni "dipendenza" da Cristo, presentandola come unico frutto delle personali forze di Maria. Questo spostamento è dovuto al diverso modo di concepire il peccato originale, i cui effetti si faranno sentire fino al concilio di Trento, che ne ristabilirà l'esatta natura.
Se a questa situazione di spostamento di interesse, si aggiunge la cattiva fama che godevano in Occidente gli scritti apocrifi, si comprende meglio il deciso rallentamento dello sviluppo della dottrina circa la Concezione Immacolata di Maria. L'introduzione della festa liturgica in Occidente - XI secolo - contribuirà a bilanciare la situazione.

2. INFLUSSO DELLA LITURGIA E DELLA TEOLOGIA

a) Influsso storico-liturgico

Nella storia liturgica della festa in onore dell'Immacolata Concezione di Maria bisogna distinguere due fasi, quella orientale e quella occidentale. L'una si svolge nell'ambito delle chiese greco-italiche e l'altra in quelle d'occidente con un carattere teologico-liturgico ben distinti .

1). Fase orientale

Nei monasteri palestinesi si trova sin dal principio del VIII secolo una festa intitolata Conceptio b. Annae, fissata al 9 dicembre (in dipendenza senza dubbio dell'8 settembre, data della natività). Ne danno notizia Andrea di Creta (ca 740) e Giovanni vescovo di Eubea (ca 740).
Ben presto la festa si diffonde in diversi paesi. Nel IX secolo si trova ammessa nel Nomocanon di Fozio (833) e nel calendario monumentale della chiesa di Napoli, che all'epoca era soggetta all'influsso bizantino; mentre nel X secolo viene estesa a tutto l'impero bizantino da Leone VI (896-903).
Teologicamente la festa è alquanto povera. Non aveva per oggetto la celebrazione del privilegio che esentò Maria dalla macchia del peccato originale, ma commemorava l’avvenimento miracoloso della sua nascita secondo gli aprocrifi del Nuovo Testamento . Difatti antichi menologi greci indicano questa festa col nome di "Conceptio b. Annae", come ancora viene designata.

2). Fase occidentale

Per quanto riguarda l'occidente, le prime testimonianze intorno alla festa della Conceptio Mariae risalgono al XI secolo, e principalmente in Inghilterra con la data all'8 dicembre, prima dell'invasione normanna. Soppressa dai Normanni, la festa viene prontamente ristabilita da Elsin, abate di Ramsay (1080-1087). E nel XII secolo trovò in Anselmo junior (ca 1125), nipote del famoso Anselmo d'Aosta, un grande e zelante propagatore. Nel concilio londinese (1127-1129), Gilberto vescovo della città, difende il culto dell'Immacolata Concezione di Maria, contro i vescovi di Salisbury e di S. David. Specialmente Eadmero di Canterbury (1124-1141) prende le difese della nuova festa nel Tractatus de Conceptione S. Mariae, in cui si esalta Maria esente fin dai primi istanti della sua creazione da ogni corruzione di peccato. La sua dimostrazione si basa sulla distinzione tra concezione attiva (nel peccato) e concezione passiva (senza peccato). Porta come esempio il celebre episodio della castagna che esce indenne dall'involucro spinoso:
«Non poteva forse Dio conferire a un corpo umano ... di restare libero da ogni puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? E' chiaro che lo poteva e voleva; se lo ha voluto l'ha fatto: ("potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit'')» .
In una lettera ad Anselmo junior, Osberto di Clara (1120), grande innamorato della Madonna, scrive:
«E' da credere che nella stessa concezione ci fosse la medesima santità... Così che crediamo che non fosse impossibile a Dio santificare la beata vergine Maria dalla massa di prevaricazione di Adamo, senza avere alcun contatto di peccato. L'Altissimo, dunque, ha santificato il suo tabernacolo nello stesso inizio della creazione della concezione nell'utero della madre» .
Dall'Inghilterra la festa liturgica dell'Immacolata si estende in tutto il continente, specialmente in Normandia. E' tale l'entusiasmo che gli studenti normanni all'Università di Parigi la scelgono come festa patronale, onde l'appellativo anche di "festa dei normanni".
Anche i canonici della cattedrale di Lione adottarono verso il 1139-40 la nuova festa mariana nella liturgia, suscitando una indignata protesta in Bernardo che nella lettera 174 loro indirizzata così scrive:
«...E' principalmente in materia liturgica che non si vide mai la chiesa di Lione cedere all'allettarnento della novità e che essa piena di giudizio non si è mai disonerata con una leggerezza puerile. Così non posso abbastanza meravigliarmi che ai nostri giorni, si siano trovati tra noi dei canonici che vogliono oscurarne lo splendore con l'introduzione di una festa che la Chiesa ignora, che la ragione disapprova, che la tradizione non raccomanda»
Dal prosiego della lettera si evince che Bernardo, seguendo ad litteram la dottrina agostiniana circa la trasmissione del peccato originale, confondeva la concezione attiva -inseparabile dal fomite della concupiscenza- con la concezione passiva. La lettera suscitò un vespaio di controversie abbastanza vivaci, creando due fronti: i "macolisti" da una parte e gli "immacolisti" dall'altra.
La festa liturgica della Concezione di Maria Vergine si diffonde rapidamente oltr'Alpe, e verso la metà del XII secolo penetra anche in Italia. Qui, riceve un nuovo e magnifico impulso ad opera dei francescani, che, soltanto nel capitolo generale del 1263, tenutosi a Pisa, decidono di celebrarla per l'intero Ordine , benchè la chiesa romana non ancora esprimesse il suo parere, come testimonia Tommaso d'Aquino:
«La chiesa romana benché non celebri la Concezione della beata Vergine Maria, tuttavia tollera la consuetudine di quelle chiese che celebrano tale festa» .
Il silenzio di Roma non doveva durare a lungo. Ai primi del XIV secolo, infatti, prende esplicita posizione -come si vedrà- nella celebre disputa all'Università di Parigi, sostenuta con ardore e audacia dal francescano Giovanni Duns Scoto; e nel 1325, il papa Giovanni XXII celebra ad Avignone, dove si trovava in esilio, con grande solennità la festa della Concezione della Vergine Maria.

b) Influsso teologico

Prima di esporre, nel suo contesto storico, la tesi di Duns Scoto circa la questione teologica della Concezione della Vergine Maria, torna estremamente utile accennare allo stato della questione. Poiché non si registrano novità di rilievo fino alla fine del XIII secolo, se non una maggiore propensione a favore della "pia sentenza" da parte dell'ambiente accademico di Oxford -a differenza di quello di Parigi, che anzi è decisamente contrario- nell'esposizione si predilige seguire la chiara e precisa puntualizzazione di Bonaventura da Bagnoregio nel commento al III libro delle Sentenze di Pietro Lombardo .
Storicamente Bonaventura fissa i termini della questione in due opinioni: l"'immacolista" e la "macolista". Dopo attenta valutazione degli argomenti "pro et contra" dell'una e dell'altra, egli proprende per la seconda opinione, giudicandola "più comune, più razionale e più sicura".
La prima opinione -quella immacolista- poggia meno su argomenti scritturistici che di convenienza. L'idea di fondo che la vivifica è semplice: l'onore della madre si ripercuote sul Figlio. In questo modo prende corpo la "possibilità" che in Maria Vergine coisistesse da sempre la grazia. Tra gli argomenti più significativi meritano di essere segnalati: quello della mediazione di Maria tra Cristo e gli uomini, (in analogia alla mediazione di Cristo tra Dio e gli uomini); e quello della santità di Maria che eccelle su quella di tutti i santi insieme.
Una menzione a parte merita l'argomento liturgico, interessante sia per la storia del dogma, sia per la delicata sensibilità spirituale di Bonaventura. Ecco le sue parole:
«Alcuni per speciale devozione celebrano la concezione della beata Vergine. Di essi né sento che bisogna lodare né biasimare. Che tale esempio non sia del tutto da approvare, lo ricavo dal fatto che i Padri, mentre per altre solennità della Vergine stabilirono di celebrarle, per quelle dell'immacolata concezione non decretarono di solennizzarla. Anzi, il beato Bernardo, esimio amatore della Vergine e zelatore del suo onore, rimprovera aspramente tale introduzione liturgica. Da parte mia, io non sento che bisogna riprendere coloro che celebrano al festa dell'immacolata concezione di Maria, perché -come dicono alcuni- essa cominciò a celebrarsi non per umana invenzione, ma per divina rivelazione. Se ciò è vero, non c'è dubbio che è un bene solennizzare tale festa. Poiché tale affermazione non è autentica, non si è tenuti a credere; e poiché (la festa) non è contraria alla retta fede, non si è tenuti neppure a negarla...
Tuttavia credo e confido nella gloriosa Vergine che, se qualcuno celebra tale solennità non per amore di novità ma per vero spirito di devozione e in buona fede, la benedetta Vergine accetta la sua devozione; se inveve qualcuno fosse da rimproverare, spero che la Vergine si degni di scusarlo presso il giusto Giudice».
La tesi degli "immacolisti" -secondo Bonaventura- riposa sull'idea di mediazione e di santificazione di Maria Vergine. L'abbondanza della santità di Maria non è solo questione di quantità ma anche di qualità, nel senso che supera la stessa dimensione del tempo: da sempre Maria è stata ricolma di grazia e santità per svolgere adeguatamente la sua azione di Mediatrice.
La consistenza dell'altra opinione -quella macolista- poggia invece su due brani rivelati ai Romani di S. Paolo: "tutti peccarono e tutti attendono la gloria di Dio" e "tutti peccarono in Adamo'' ; e su alcune testimonianze patristiche: "nessuno è liberato dalla massa del peccato se non nella fede del Redentore" e "il nostro Salvatore, come è venuto per liberare tutti, così nessuno ha trovato libero dal reato" .
Lo scoglio insuperabile è costituito, perciò, dall'interpretazione dei testi paolini sul peccato originale e sulla redenzione universale di Cristo. Dal momento che non si trova alcun passo rivelato dove è possibile appoggiare l'immunità dal peccato originale di Maria, bisogna concludere che la sua santificazione sia avvenuta dopo la contrazione dello stesso peccato. Così è salva la tesi della universale redenzione di Cristo.

3. LA TESI DI DUNS SCOTO

Dal bonaventuriano quadro storico-teologico si evince con molta chiarezza e con solidità di argomenti che la tesi "macolista" gravita attorno a due poli: all'universalità della redenzione di Cristo e all'universalità del peccato di Adamo. Problemi strettamente connessi, ma storicamente incarbugliatesi per la riduttiva interpretazione del peccato originale, causata dalla polemica antipelagiana, rendendo oggettivamente insuperabile l'ostacolo verso la "pia sentenza" del concepimento immacolato di Maria.
La storica posizione di Duns Scoto non consiste certamente nella soluzione esegetica del peccato originale, anche se da lui intuita, che del resto troverà giusta risposta soltanto nel Concilio Tridentino, bensì nella felice e originale intuizione, teologicamente fondata, del primato assoluto di Cristo, intorno al quale fa gravitare, come corollario, la redenzione preventiva della Vergine Maria.
Il grande suo merito, perciò, consiste nell'aver considerato il privilegio mariano non come realtà o verità a se stante (fenomeno già avvenuto con Pelagio), ma come parte o effetto della tesi cristologica principale, ossia come primo "frutto" della universale redenzione di Cristo. Concezione provvidenziale! Apre un'altra via alla definizione dogmatica. La storia gli riconosce unanime tale merito.
Poiché in una visione sintetica non è possibile, né torna utile seguire passo passo la non facile esposizione di Duns Scoto, si preferisce dapprima ricostruire l'ambiente storico in cui avviene la famosa disputa intorno alla redenzione preventiva di Maria, per poi esporre in forma sistematica i tre momenti fondamentali di essa.

a) Ambiente storico

E' universalmente riconosciuto che Duns Scoto (nel 1307) sostenne una celebre disputa all'università di Parigi per difendere la tesi sull'Immacolata Concezione della Vergine Maria. Con tutta probabilità dovette svolgersi nel primo semestre del 1307, quando Duns Scoto "leggeva" il III libro delle Sentenze di Pietro Lombardo a Parigi .
La geniale intuizione di Duns Scoto maturò certamente nell'ambiente di Oxford, favorevole alla "pia sentenza" non solo liturgicamente ma anche teologicamente .
Parigi invece respirava un'aria completamente diversa e contraria, tanto da essere considerata la "roccaforte dei macolisti" .

La non facile e movimentata attività accademica di Duns Scoto non riuscì a incrinare il limpido e profondo suo pensiero. Anzi l'esplicito e chiaro insegnamento suscitò ben presto reazioni e prese di posizioni in tutto il corpo accademico della Sorbona, culla e centro della cultura.
Di solito quando accadeva un caso simile, cioè che un "magister" prendeva posizione contro la comune opinione del corpo accademico, la competente autorità universitaria "invitava" il Maestro innovatore a giustificare pubblicamente la sua tesi in una solenne disputa.
I rischi erano gravi e grandi. Chi non riusciva a giustificare scientificamente la sua posizione, veniva bandito dalla cattedra e, a seconda dei casi, soffriva anche l'esilio, quando non si arrivava all'accusa formale di eresia, con tutte le conseguenze connesse.
La posta in gioco, perciò, era molto alta. E Duns Scoto ha voluto correre questo rischio.
Le decisioni dell'Università non si fecero attendere. Tutta la questione fu deferita al papa Clemente V, che, in quel periodo, si trovava a Poitiers. Questi ordinò ai legati pontifici Berengario di Fredal e Stefano di Suisi, che si trovavano a Parigi per l'affare dei Templari, di organizzare la solenne disputa e costringere Duns Scoto a giustificare teologicamente la sua tesi sulI'Immacolato Concepimento di Maria.
Così, alla data stabilita, di fronte ai due legati pontefici, al vescovo di Parigi -Simone Matifas-, al cancelliere dell'Università -Simone di Guiberville-, al corpo accademico al completo, alle personalità di corte, ai superiori maggiori dei vari ordini religiosi, ai numerosi invitati, alla calca degli studenti e dei curiosi... Duns Scoto si presentò nell'aula magna della Sorbona per difendere la sua tesi sul privilegio mariano.
Si racconta che, prima di entrare nella grande assise, passando davanti alla cappella del Palazzo Reale, sul cui frontespizio inferiore c'era una statua di Maria scolpita in pietra, Duns Scoto si fermò in preghiera mormorando le parole:"Dignare me laudare te, Virgo sacrata": ("Degnati, o Vergine benedetta, che io possa degnamente di lodarti"). La statua illuminata dai riflessi dei raggi del sole piegò la testa in segno di approvazione e così rimase
Sottoposto a un fuoco incrociato di domande capziose, I'umile francescano rispose con pensiero rigoroso e linguaggio sicuro e pacato. Finalmente espose la sua teoria con argomenti convincenti e saudenti, fondati sulla Scrittura e organizzati da una potente struttura logica. Alla sua esposizione, chiara e carica di tanto amore, nessuno osò più prendere la parola. Si elevò, invece, osannante un applauso trionfante in onore della Vergine Maria.
Informato dell'andamento della disputa, il pontefice Clemente V approva il titolo di "Doctor Subtilis" proposto dall'autorità accademica; il popolo, invece, acclama Duns Scoto con il famoso e bel titolo di "Dottore dell'Immacolata".
Le conseguenze non si fanno attendere. Viene subito abrogato dall'Autorità Accademica il decreto del 1163; ed emanato un altro che ne prescrive annualmente la celebrazione, con l'obbligo che un francescano doveva tenere il discorso ufficiale.
Tra le molteplici testimonianze che si possono addurre a conferma della storica disputa, piace riportare quella di un discepolo e uditore di Duns Scoto, Landolfo Caracciolo, eletto poi arcivescovo di Amalfi nel 1326, che nel trattato De Conceptione Virginis scrive:
«Gesù Cristo destinò Duns Scoto, dottore esimio dell'ordine dei minori, a Parigi, dove fu indetta per ordine papale una pubblica disputa sulla Concezione della Vergine. Duns Scoto confutò le ragioni e gli argomenti degli avversari, e difese talmente la santità della concezione della vergine, che gli avversari stupefatti vennero meno nel far obiezioni. Per questo motivo, Duns Scoto venne chiamato “Doctor Subtilis”» .
Importante è anche la notizia circa il giuramento che i professori universitari dovevano emettere a Parigi. Lo stesso Caracciolo così riporta il suo:
«Io Landolfo, volendo seguire le norme del Papa e quella dell'Accademia, e avendo giurato nell'Università della Sorbona e desiderando osservare gli Statuti di essa, amo celebrare devotamente la festività della santa Concezione e voglio che venga da tutti solennizzata» .
Una conferma storica inoppugnabile proviene dal Chartularium Universitatis Parisiensis, che al 13 novembre 1318 attesta il pubblico giuramento emesso alla Sorbona di voler celebrare la festa delI'Immacolato Concepimento di Maria da parte del francescano Pietro Aureolo, del cistercense Giovanni di Dunis e dell'agostiniano Giovanni di Paignole . Importantissima è anche la testimonianza del calendario delle lezioni all'Università parigina che il Denifle riporta nello stesso volume: "8 dicembre, Concezione della Santa Vergine. Non si legge in nessuna facoltà" .
Di pari valore risulta anche la parola diretta di Pietro Aureolo quando scrive:
«E' cosa certa che il signor Papa, i Cardinali e la chiesa romana erano consapevoli da tempo, e conoscevano che la chiesa anglicana, quella di Normandia, I'Università di Parigi e molte altre chiese -sottoposte all'obbedienza del Pontefice- celebravano la festa della Concezione, e che molti Dottori hanno predicato annualmente a Parigi e in Inghilterra, lasciandone memoria nei loro scritti, come fece il grande Giovanni Duns Scoto .
Dal 1325 in poi, da quando cioè il papa Giovanni XXII volle far celebrare "~on insolita pompa" non solo nella sua cappella privata, ma in tutta la città di Avignone la liturgia in onore della Vergine Immacolata, grande incremento e larga diffusione guadagnò la tesi "immacolista" . Certo, occorreranno altri secoli -lunghi travagliati difficile e ricchi di controversie- prima che la fede del popolo cristiano vedrà proclamare solennemente e infallibilmente la tanta attesa definizione dogmatica, che Pio IX pronunciò l'8 dicembre del 1854. E la stessa Vergine quattro anni dopo confermerà con l'autodefinizione: "Io sono l'Immacolata Concezione".
Dopo queste semplici indicazioni storiche, senza alcuna pretesa di compiutezza, si fermerà l'attenzione sul reale e oggettivo contributo dato da Duns Scoto allo sviluppo della verità dogmatica, che, nel suo lunghissimo processo di esplicitazione, ha subìto il travaglio più lento e tormentato della storia della chiesa.

b) La posizione di Duns Scoto

Può suonar strano ma la potente personalità speculativa e teologica di Duns Scoto affonda le radici nelle profondità delle intuizioni semplici di Francesco d'Assisi, che ha saputo cogliere il legame strettissimo tra Cristo e Maria non solo in chiave storica ma anche teologica, specialmente quando identifica la Vergine Madre con la Chiesa: la "Vergine diventata Chiesa'' .
L'attenzione di Duns Scoto, infatti, è rivolta principalmente a considerare la stretta dipendenza della tesi mariana con quella cristologica, anzi è la considerazione della "predestinazione assoluta" o "primato" di Cristo che fa scaturire logicamente -come corollario- il privilegio dell'Immacolato Concepimento di Maria Vergine. L'originalità del suo pensiero riguarda non tanto la sostanza della verità teologica, quanto le argomentazioni proposte per comprenderla, nel rispetto più assoluto della Scrittura.
La stretta connessione delle due tesi impedisce un'esposizione autonoma e indipendente, che farebbe fondare sul vuoto il privilegio mariano. Sembra utile, pertanto, premettere un riferimento sostanziale alla tesi cristologica della "predestinazione" o "primato" di Cristo. Come base dell'esposizione dottrinale si tiene presente principalmente lo scritto dell'Ordinatio, che gode della più alta autorità tra studiosi e critici, perché composta con grande accuratezza e nella maturità dell'Autore.

1). Fondamento cristologico dell'Immacolata

Come ogni riferimento mariano non avrebbe senso senza Cristo, così quello cristologico senza Dio. Non solo la storia della salvezza ma anche la metafisica in Duns Scoto è contrassegnata dalla visione di Dio come "amore per essenza" o "formalmente amore e formalmente carità e non soltanto efficiente" , in cui il "vero infinito" e il "buono infinito" coincidono. Identità che contrassegna la concezione scotiana di Dio.
In quanto formalmente carità, Dio comunica nella pienezza della libertà i raggi della sua bontà e del suo amore alle creature, che chiama all'esistenza perché entrino in comunione-con-lui. Benché il suo atto di amore sia semplicissimo, tuttavia -afferma Duns Scoto- esso tende in diversi modi verso gli oggetti ordinati o creati. E questo perché Dio vuole e ama in maniera perfettissima e nel modo più ragionevole possibile , distinguendo cioè nel suo unico atto di amore fini diversi.
Nella gerarchia dell'essere e dei valori, al primo posto nella linea discendente si trova Cristo, poi l'angelo, l'uomo e infine il mondo. La "primità" di Cristo non solo è di essere ma anche di amore, nel senso che può amare e glorificare Dio piú di tutti gli altri esseri insieme. Di conseguenza, I'Incarnazione o -come la chiama Duns Scotoil Summum Opus Dei: il Capolavoro di Dio, essendo l'opera più grande che sovrasta ogni ordine di essere creato, non può essere in nessun modo occasionata né tanto meno voluta per caso.
L'acume intuitivo e speculativo di Duns Scoto si proietta con estrema arditezza al cuore stesso dell'essere di Dio e vi coglie la più ardita logica del piano divino, esclusivamente fondato sulla libertà ordinatissima dell'amore.
«Chi vuole ordinatamente, vuole prima il fine, poi ciò che immediatamente raggiunge in fine, e il terzo luogo tutto ciò che è ordinato remotamente al raggiungimento del fine.
Così anche Dio, che è ordinatissimo, vuole prima il fine e poi ciò che è ordinato immediatamente al fine; in secondo luogo vuole altri amanti attorno a sé; in terzo luogo vuole anche ciò che è necessario per raggiungere questo fine, ossia i beni della grazia; e in quarto luogo infine vuole altri beni più remoti come mezzi per raggiungere i primi (beni della grazia)» .
In quest'ardita disposizione divina in cui predomina la caratteristica fondamentale dell'essenza di Dio che si ama e vuole essere riamato infinitamente, perché "tutto ha fatto per un fine" , ossia per se stesso, e ha voluto circondarsi di "condiligentes" che lo amino, Duns Scoto afferma che l'Incarnazione occupa il posto centrale, costituisce la "corona" di tutto, e indipendente da tutto e tutto dipende da essa come causa esemplare e finale. Il Summum Opus Dei, quindi, ha il primato su tutti e rende il più perfetto amore a Dio. Per questo Dio ama e vuole l'esistenza di Cristo in sé e per sé:
«Dio ama in primo luogo se stesso. In secondo luogo ama se stesso negli altri. In terzo luogo vuole essere amato da colui che può amarlo in sommo grado parlo di un amore estrinseco a lui o creato. In quarto luogo prevede l'unione ipostatica di quella natura che deve amarlo infinitamente, anche se nessuno fosse caduto» .
Nella visione teologica di Duns Scoto, perciò, Cristo occupa il primo posto in modo assoluto e incondizionato, e la gloria che egli rende a Dio è maggiore intensivamente di quella di tutti i beati. Di conseguenza, conclude il Dottor Sottile:
«La causa della predestinazione di Cristo è la gloria di Dio e non la caduta dell'uomo; anzi se non fosse caduto né l'angelo né l'uomo... Cristo sarebbe stato predestinato ugualmente. Non è ragionevole che la più grande opera di Dio -il Summum Opus Dei- sia voluta occasionaliter, perché la sua gloria a Dio supera intensivamente quella di tutti i santi insieme .

2). Redenzione preventiva di Maria Vergine

Alla luce della predestinazione assoluta di Cristo prende corpo anche la predestinazione di Maria. Bisogna notare che Duns Scoto nella sua trattazione non menziona mai esplicitamente tale connessione di dipendenza. Saranno i suoi primi discepoli ad applicare a Maria i vari principi che Duns Scoto aveva elaborato per Cristo. Deduzione logica ed evidente. Se ogni predestinazione alla gloria, infatti, precede naturalmente la prescienza del peccato, ciò si dovrà dire maggiormente della predestinazione di Maria che, in quanto Madre di Dio, fu destinata alla gloria più alta.
Per il principio "omnis rdtionabiliter volens, primo vult finem, et secundo immediate illud quod attingit finem", e per la constatazione che Dio vuole e ama "ordinatissime" e "perfectissime", si può concludere che la massima comunicazione ad extra di Dio si realizza nell'unione ipostatica con l'umanità, ricevuta dalla Vergine Madre, per opera dello Spirito Santo. In forza di tale unione, i predicati propri della natura creata e quelli della natura divina possono essere attribuiti realmente alla stessa persona divina del Verbo.
Poiché nella visione teologica di Duns Scoto, Cristo tiene il primato assoluto nell'universo, e subito dopo viene Maria, si deve concludere che Cristo è stato voluto per primo e, nell'unico e medesimo decreto, anche sua Madre. Per dimostrare questa tesi che implica essenzialmente la redenzione preventiva ái Maria, Duns Scoto dedica un'intera questione dal titolo «Utrum beata Virgo fuerit concepta in peccato originali» , la cui traduzione integrale viene offerta in Appendice.
In questo momento più che seguire passo passo l'ordine della questione, si preferisce invece offrire un'esposizione più sistematica, così da cogliere meglio la dottrina fondamentale intorno alla redenzione preventiva di Maria Vergine. In base al metodo scientifico del tempo, Duns Scoto divide la trattazione in quattro parti.
Nella prima parte -quod sic- elenca i dieci argomenti d'autorità comprovanti la tesi in forma positiva, ossia che Maria è stato concepita nel peccato originale; I'ultimo è di Bernardo . Nella seconda parte -contra- riporta le due argomentazioni favorevoli alla pia sentenza, l'una di Agostino e l'altra di Anselmo . Nella terza parte -ad quaestionem- esamina il corpo della discussione in due momenti: nell'uno critica l'opinione "macolista", prendendo posizione a favore della tesi "immacolista"; nell'altro invece presenta una stringata valutazione filosofico-teologica di ambedue le tesi, dandò la propria adesione a quella in favore del privilegio mariano. Nella quarta parte, infine, -ad auctoritates- riprende una per una tutte e dieci le autorità del "quod sic" e le critica.
La presente analisi, più che seguire lo schema della trattazione scotista, si sviluppa in un'esposizione più succinta e sistematica, imperniata sempre intorno ai tre argomenti fondamentali del "corpo" della questione e cioé: possibilità di poter santificare nel primo istante; valore dell'universalità redentrice di Cristo, fino alla preservazione della Madre sua.
Primo argomento: la santificazione di Maria nel primo istante della sua concezione.
Dei tre argomenti, questo è il più esplicito e anche il più nevralgico, perché dischiude la possibilità all'intera questione. Rispondendo a delle obiezioni e specialmente a quella di Enrico di Gand, Duns Scoto precisa che la santificazione può avvenire "post aliquod tempus in peccato", nell"'unum istans temporis" e nel "numquam temporis". Escludendo le prime due, accetta la terza, ossia che in Maria Vergine il primo istante del peccato originale coincide con il primo istante della santificazione nella grazia.
In questo modo Duns Scoto si assicura la possibilità in Dio di poter conferire la grazia anche nel primo istante e non solo dopo, perché come si può conferire la grazia dopo il primo istante, così la si può conferire anche prima, e scrive:
«Dio nel primo istante della creazione di Maria potè darle tanta grazia quanta ne dà a chiunque riceve la circoncisione o il battesimo».
Dall'insieme dell'argomentazione, alquanto laboriosa ed alaborata, il Dottor Sottile enuclea e applica alla Vergine Maria il concetto della redenzione preventiva. Ecco le sue parole:
«Maria più che mai ha avuto bisogno di Cristo redentore. A causa della propagazione comune, infatti, anche Maria avrebbe contratto il peccato originale, se non fosse stata prevenuta dalla grazia del Mediatore. Come gli altri ebbero bisogno di Cristo, affinché per suo merito venisse rimesso a loro il peccato già contratto, così Maria ebbe maggiormente bisogno del Mediatore per non contrarre il peccato».
La possibilità teologica del privilegio mariano riposa direttamente non in Maria ex se, ma in Cristo -ex merito alterius- che la sceglie quale Madre sua. Una simile affermazione così chiara nel pensiero e così esplicita nella forma ha una importanza notevole nella storia del dogma mariano, che -come si vedrà nel terzo argomento- è di natura esclusivamente cristocentrica.
Secondo argomento: l'universalità del peccato originale.
Assicurandosi la possibilità della santificazione nel primo istante della concezione, Duns Scoto si trova di fronte alla reale difficoltà del testo paolino sopra citati:
«tutti hanno peccato in Adamo e tutti quelli che derivano da Adamo -per naturale generazione- sono peccatori».
Come superarla? Tutta la disamina del Dottor Sottile verte non tanto nel tentativo di risolverla criticamente e direttamente, quanto nell'aggirarla e convogliare tutte le forze verso il concetto del Redentore "perfettissimo", e quindi solo indirettamente supera la concretezza della difficoltà del testo paolino.
Perché tanta circospezione?
Due sembrano i motivi: primo, in base alla dottrina comune dell'epoca, la trasmissione del peccato originale veniva spiegata fisiologicamente con l'atto della copulazione; secondo, su tutta la questione pesava potentemente la polemica pelagiana, che ha travisato il testo ai Romani, rendendo impossibile la soluzione testuale diretta .
Lo stesso Duns Scoto, trovandosi nella difficoltà oggettiva di poter sciogliere il nodo del testo paolino, tenta di aggirare l'ostacolo attraverso delle felici intuizioni, che solo indirettamente colgono il nucleo dell'insegnamento di Paolo, mediante la teoria della "redenzione universale". Oltre a riconoscere il valore estensivo della redenzione, essa introduce anche il valore estensivo: con il primo si intende tutto il genere umano e le singole persone; con il secondo, invece, s'includono tutti i gradi possibili della redenzione, anche il grado della "preservazione".
In questo modo Duns Scoto riprende in forma indiretta il senso genuino e autentico dell'insegnamento paolino specialmente quello espresso dai testi:
«tutti hanno peccato in Adamo e la grazia di Cristo ha maggiormente abbondata sul peccato di Adamo».
In tal modo la concezione della Vergine coincide con la grazia divina che neutralizza completamente l'azione del peccato originale. Contemporaneità che equivale a una "redenzione preservativa". L'affermazione di Duns Scoto è categorica:
«La beata Vergine Madre di Dio non fu mai in atto nemica di Dio né in ragione del peccato attuale né in ragione di quello originale».
Discutendo le molteplici obiezioni sollevate, da diversi argomenti "d'autorità" intorno al rapporto tra la Vergine Maria e il peccato originale, il cui nucleo può essere racchiuso nella frase:
«la Madre di Dio fu naturalmente figlia di Adamo prima di ricevere la grazia, perché fu prima persona che grazia», Duns Scoto con riferimenti di alta metafisica risponde distinguendo una "priorità di natura positiva" e una "priorità di natura privativa". La risposta del Dottor Sottile tende a neutralizzare la necessarietà della conseguenza. Il fatto che Maria sia naturaliter figlia di Adamo non comporta di necessità la mancanza di grazia ex se.
L'introduzione del concetto di "priorità di natura privativa" consente a Duns Scoto di introdurre il concetto della grazia "ex merito alterius", ossia come redenzione preventiva di Cristo e come preservazione dalla effettiva privazione della grazia, in cui per "priorità di natura positiva" ne sarebbe rimasta priva in quanto figlia di Adamo.
Sovrabbondanza che si è riversata in ante prima e principalmente su Maria Vergine, preservandola dalla colpa originale e confermandola nella grazia divina da sempre e per sempre. Di per sé, quindi, tutti e singoli gli uomini hanno contratto il peccato originale, mentre per merito di Cristo "qualcuno" può essere preservato, perché la grazia di Cristo sovrabbondi sul peccato di Adamo.
In altre parole, Duns Scoto illustra il privilegio mariano con il concetto del Redentore perfettissimo, presentandolo come la parte migliore e il primo frutto della redenzione. E su tale via recupera intuitivamente il senso autentico del testo paolino.
Terzo argomento: I'universalità della redenzione.
Nello sforzo di unire la potenza del cuore e la potenza dell'intelletto in una felice e sublime unità, Duns Scoto rivela il meglio di se stesso: riesce a penetrare con il massimo delle potenzialità umane il mistero arcano di Dio e a raccogliervi quella "briciola" possibile a uomo. Meraviglioso tentativo e sublime sforzo che nobilitano l'uomo a conoscere e ad amare quel che di Dio è possibile conoscere e amare.
In questo terzo argomento, Duns Scoto offre un gioiello di argomentazione, da cui fa spuntare fin dall'origine della storia umana il "fiore" biblico delle convalli, la Vergine Maria, da sempre amata da Dio.
L'argomentazione si muove e si sviluppa intrinsecamente allo stesso argomento dal quale gli avversari "macolisti" traevano la conclusione opposta. Nella sua brevità essenziale, I'argomento dei "macolisti" si impernia su tre proposizioni, di cui le prime due formano come le premesse di un sillogismo: Cristo è il redentore del genere umano; Maria appartiene al genere umano in quanto persona; la terza proposizione, invece, funge da conclusione: Maria, dunque, ha contratto il peccato originale, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di redenzione, contraddicendo alle esplicite affermazioni di Paolo ai Romani.
Con una espertissima mossa dialettica e con una felicissimo intuito metafisico, Duns Scoto riprende il concetto di redentore universale, I'approfondisce teologicamente e lo ritorce contro gli avversari, affermando testualmente:
«Proprio dall'universalità della redenzione di Cristo si argomenta che Maria non ha contratto il peccato originale, perché preservata» .
Questa inaspettata affermazione si snoda in tre momenti, a seconda che il termine di riferimento sia Dio con il quale avviene la riconciliazione dell'uomo, il male dal quale l'uomo viene liberato da Cristo, e l'obbligo della persona riconciliata verso Cristo. Riguardo al primo modo scrive:
«Nessuno placa o riconcilia perfettamente una persona da un'offesa che può ricevere, se non può prevenire che quella persona sia offesa. Se la riconciliazione awiene dopo l'offesa, mediante l'amore di misericordial essa non è perfettissima, perché non ha prevenuto l'offesa. La redenzione di Cristo, pertanto, non sarebbe perfettissima o universalissima, se non avesse prevenuto che qualcuno offendesse Dio, nel suo mistero trinitario; e di conseguenza se qualcuno non avesse contratto la colpa d'origine. E ciò è possibile» .
Dalla possibilità ontologica, approfondita nella tesi della santificazione nel primo e medesimo istante, Duns Scoto penetra nel profondo del concetto del "redentore universale" ed esplicitamente afferma:
«Nel (concetto di) Redentore universale e perfettissimo è inclusa la potenza di allontanare ogni pena dalla persona che riconcilia. La colpa originale è una pena più grande della stessa privazione della visione beatifica, perché il peccato, fra tutte le pene della natura umana, è la più grande. Se Cristo è il mediatore universale -come viene affermato da tutti- egli deve aver meritato che qualche persona sia stata preservata dalla colpa d'origine. E tale persona non può che essere che la Madre di Lui, la vergine Maria» .
Nel terzo modo di argomentare, Duns Scoto enuncia il famoso principio che l'innocenza perfetta è un bene maggiore della remissione della colpa, e conclude:
La persona riconciliata non è obbligata in modo perfetto al suo mediatore, se da lui non riceve il massimo bene che può darle. Dell'azione mediatrice di Cristo si può ottenere l'innocenza, cioè la preservazione della colpa d'origine o già contratto o da contrarsi. Nessuno, pertanto, sarebbe tenuto a Cristo in modo perfetto, se egli non avesse preservato qualcuno dalla colpa d'origine... E' un beneficio maggiore preservare qualcuno dal male, che permettere che egli incorra nel male e poi venga liberato. Se è bene maggiore l'innocenza perfetta che la remissione della colpa, allora a Maria Vergine viene conferito un bene maggiore preservandola dalla colpa originale, che riconciarla dopo averla contratta» .

CONCLUSIONE

Al termine di questa breve presentazione di una questione così delicata, piace mettere brevemente in risalto il ruolo e l'influsso che Duns Scoto ha avuto nell'aprire una nuova "via" alla tesi immacolista, da meritarsi il titolo di "Cantore dell'Immacolata" .
E a tutti noto che la tesi "immacolista" prima di Duns Scoto non ha storia, anzi, eccetto la celebrazione liturgica che non aveva valore teologico, il sostenerla comportava l'accusa di eresia, perché l'opinione comune dei teologi scolastici negava esplicitamente tale possibilità. Almeno questo bisogna riconoscere: con Duns Scoto inizia la storia del dogma.
In mancanza di un intervento del Magistero; Duns Scoto applica a Maria un principio teologico molto significativo: una verità se non contrasta positivamente con l'autorità della Scrittura e della chiesa può attribuirsi alla Vergine. Questo principio innestato sul primato assoluto di Cristo permette l'approfondimento della verità dell'Immacolata Concezione di Maria, fino alla solenne dichiarazione dogmatica di Pio IX nel 1854.
Dopo la succinta ricostruzione della questione, riportata per intero in Appendice, non c'è alcun dubbio che Duns Scoto si colloca storicamente solo contro tutti in un ambiente, quello parigino, dove si affermava comunemente che Maria fosse concepita con il peccato originale.
Così Duns Scoto sintentizza la questione:
«Dicitur communiter quod sic, propter auctoritates et propter rationes... Sed contra dico, quod Deus potuit facere, ut Maria numquam fuisset in peccato originali...»: (La comune opinione dei teologi è a favore della tesi macolista, fondata su argomenti d'autorità e su argomenti di ragione... Io al contrario affermo che Dio potè fare che Maria non fosse mai nel peccato originale...).
Al di là della simpatia o dell'antipatia non si può non prendere atto di una situazione storica: contro la dottrina comune, Duns Scoto prende posizione. La sua tesi, piú favorevole alla Vergine Maria sfocerà, poi, nel dogma. Per questo viene considerato anche come il "vero iniziatore" della storia del dogma dell'Immacolata, permettendo alla teologia di compiere l'approfondimento necessario, su cui il Magistero ha detto l'ultima parola.

FONTE (http://www.centrodunsscoto.it/articoli/Duns%20Scoto%20Cantore%20dell%27Immacolata.pdf)

Augustinus
11-11-05, 20:36
LA MARIOLOGIA ESSENZIALE DI DUNS SCOTO

Premessa

Parlare della Madonna è la cosa più bella e più cara per un cristiano e in particolar per un francescano. Al semplice nominarla il cuore si apre alla gioia e alla speranza, alla vita e alla beatitudine. Sentimenti che si accrescono a dismisura quando al nome della Madonna si accoppia quello di Duns Scoto, vero cavaliere e cantore della Vergine Maria.
Al momento della gioia spirituale, però, non è disgiunto il momento della difficoltà e complessità, quando si scende nell’analisi dell’argomento. Sentimento che si può comprendere con l’affermazione di Isaia «se non crederete, non comprenderete» , e con l’osservazione di Agostino: “prima di credere, ero in grado di parlare di Dio, ora che credo, ho perduto tale possibilità”.
Che vuol significare tutto questo? Quale la natura della difficoltà?
Il discorso intorno alla Madonna non può essere un discorso autonomo. Deve passare attraverso il discorso di Cristo. Ciò comporta che nei destinatari del messaggio mariano si esige una fede autentica e matura in Cristo Gesù. Solo Cristo rivela il mistero di Dio: egli è l’immagine autentica del Dio invisibile. E solo Cristo svela l’arcano segreto della Madre-Vergine.
La fede in Cristo apre la via al discorso sulla Madonna, la cui maternità verginale è presentata come segno della divinità del Figlio. Il Figlio della Madre-Vergine è veramente Figlio di Dio. Lo stretto legame di Madre-Figlio li rende uniti inseparabilmente sia nella storia che nella preistoria. L’unione non distrugge, però, la differenza sostanziale: Cristo è Dio e Maria una creatura. Maria rimanda sempre a Cristo, mentre Cristo solo a Dio.
Se a queste semplici indicazioni di carattere generale, si accompagnano le intuizioni e le riflessioni di Duns Scoto, il discorso sulla Madonna si riveste di scientificità e di sistematicità, di originalità e di attualità, ed entra a pieno titolo in teologia e, precisamente in cristologia. Difatti, in Duns Scoto il “principio mariologico fondamentale” è dato dalla vicinanza o relazione a Cristo, con tutte le conseguenze ecclesiali possibili, dal momento che la Chiesa viene da lui concepita e interpretata come continuatio Christi nella storia.
E come il suo pensiero teologico è dominato dalla viva preoccupazione di tradurre in comportamenti di vita pratica le verità rivelate, così dalla corretta conoscenza del mistero della Madonna, così individua due importanti veicoli di vissuto esistenziale: un cammino di fede più maturo verso il Cristo e un cammino di carità più autentico verso gli uomini. E spiritualmente su questo binario “cristico” intende viaggiare la presente relazione sul pensiero mariano essenziale di Duns Scoto.
Ammessa la sua”via per conoscere Maria” , nella mariologia scotiana si distinguono per comodità delle tesi comuni e delle tesi originali. L’originalità, però, non riguarda la sostanza del contenuto, che appartiene sempre alla Rivelazione esplicita o implicita, ma la formulazione delle argomentazioni teologiche con cui vengono proposte e giustificate, cioè la così detta via veritatis. Tra le tesi originali si ricordano quelle della Predestinazione, della Maternità e dell’Immacolata Concezione; mentre tutte le altre tesi mariane come quelle in ordine alla sua mediazione della grazia, alla sua verginità perpetua, al suo culto, ecc... appartengono alla dottrina comune, anche se viste nella luce cristocentrica acquistano una particolare fisionomia, specie quella dell’Assunzione.
Pertanto, il discorso mariologico essenziale di Duns Scoto, pur non essendo un mondo autonomo, in quanto è sempre in riferimento a quello di Cristo come documenta il principio cristocentrico fondamentale “nell’esaltare Cristo preferisco cadere per eccesso nella lode a lui dovuta anziché in difetto, se per ignoranza non è possibile evitarli” , ha sempre una sua esposizione logica interna ispirata alla sua norma ermeneutica mariana “se non contraddice all’autorità della Chiesa e all’autorità della Scrittura, è bene attribuire a Maria tutto ciò che è più eccelso” . Nell’analisi, vengono esposte prima le tesi originali e poi le tesi comuni.

I - TESI ORIGINALI

Il termine “originalità”, applicato alle tesi di Duns Scoto, non comporta minimamente il “contenuto” delle verità, che, come si sa, dipende esplicitamente o implicitamente sempre dalla Scrittura e dalla Chiesa, ma le argomentazioni con cui vengono giustificate teologicamente. Difatti, Duns Scoto, con il suo principio mariologico fondamentale, insieme alla sua forte carica speculativa, fa la differenza nel leggere il disegno di Dio la personalità e la funzione della Vergine Madre.
Prima di procedere nell’analisi, una domanda di curiosità serpeggia nella mente del lettore: poiché il nome di Duns Scoto è stato tramandato, anche se a torto, come un autore speculativo per eccellenza, come ha vissuto la devozione alla Madonna?
Penso di poter rispondere semplicemente così. Come orientamento generale bisogna dire: primo, il non ritrovamento ancora dei suoi scritti liturgici e scritturistici, cioè le lezioni del suo tirocinio universitario, non permette di conoscere con sicurezza e direttamente le linee della dimensione esistenziale della sua spiritualità e devozione in genere, e in particolare verso la Madonna; secondo, un principio di ermeneutica medievale, fortemente presente negli scritti di Duns Scoto, vuole che il “testo sacro” sia non solo oggetto di “studio” ma anche oggetto “pregato”; terzo, si comprende bene allora come in lui spiritualità e devozione convolano a unità, come emerge dal suo trattato De primo principio, in cui la dimostrazione procede secondo il “pregare pensando” e il “pensare pregando”, da me tradotto nel motto “Ora et Cogita, Cogita et Ora”. Ecco qualche esempio:

«O Signore,
Creatore del mondo!
Concedimi
di credere
comprendere
e glorificare
la tua maestà,
ed eleva
il mio spirito
alla contemplazione di te.

O Signore, Dio mio,
quando il tuo servo Mosè
ti chiese il nome
da proporre ai figli d’Israele
-sapendo quello che di te
la mente umana può conoscere-
rispondesti
rivelando il tuo santo nome
Io sono colui che sono.

Tu, o Signore, sei l’Essere vero!
Tu, o Signore, sei l’Essere totale!
Questo credo fermamente.
Questo, se possibile,
desidero conoscere.

O Signore,
aiutami a scoprire
il vero Essere
che sei tu.
O Signore,
aiutami
a comprendere
ciò che credo...» .

I pensieri d’amore divino infuocati di Duns Scoto si traducono, nell’ultimo capitolo del trattato in invocazioni di profonda e sublima preghiera contemplativa, una specie di Te Deum. Eccone qualche invocazione:
«Tu sei il Dio vivente della più nobile vita, perché sei intelligente e perché vuoi.
Tu sei felice essenzialmente.
Tu sei tutta la beatitudine perché possiedi la comprensione di te stesso.
Tu solo, o Signore, sei incomprensibile e infinito.
Tu solo, o Signore, sei perfettamente semplice: l’angelo non è perfetto e i corpi lo sono meno.
E’ davvero perfetto solo colui che di nulla è manchevole e bisognoso, e che può esistere in tutti gli esseri possibili.
Tu sei buono senza misura e con liberalità comunichi il tuo amore.
Tutti gli esseri anelano verso di Te, che sei l’Essere sommamente amabile, come il loro ultimo fine...
Ciò che ho detto [e pregato] di Te, o Signore, anche i Filosofi lo sanno spiegare; ma meglio i cattolici Ti proclamano con maggior precisione, quale onnipotente, immenso, giusto, misericordioso, benefico verso tutte le creature, provvidenziale soprattutto verso gli esseri pensanti» .
Queste e simili invocazioni d’amore infuocate costituiscono il fondamento e l’apice non solo della spiritualità ma anche del misticismo genuino di Duns Scoto, che ama sovente inabbissarsi nel “pelago” immenso del divino Amore, in cui trova appagamento e riposo il suo spirito sitibondo di amore e di sapere. Il suo cuore infiammato d’amore e immerso nell’Amore infinito prende il posto della pienezza e del rigoglio dei pensieri e si rasserena unicamente in Dio, suo centro e fine, contemplandolo con dolcezza e tenerezza estatica, come «il citarrista perfetto -per usare un suo esempio- che non riflette più né pensa nel pizzicare soavemente le corde» .
In questa visione contemplativa di Dio prende corpo il mistero dell’Incarnazione del Verbo, che concretizza e attualizza l’estrinsecazione della Volontà dell’Essere-Amore, assicurando così la condizione ontologica della stessa creazione, e “inventando” nello stesso tempo le condizioni indispensabili e necessarie all’uomo per entrare in comunione-unione con Dio e contemplare la sua Bellezza e Deità. Cristo è veramente il Mediatore tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e la natura e tra l’uomo e Dio. Senza di Cristo, ontologicamente parlando, non si può entrare in comunione con Dio. Cristo è il Rivelatore di Dio e il mezzo di comunione con Dio. Cristo è l’unico “ponte” tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio attraverso l’unico linguaggio della preghiera .

1. Prima tesi: la predestinazione di Maria

Per quanto riguarda la prima tesi, quella sulla predestinazione di Maria, sono da notare due cose: prima di tutto, Duns Scoto, nel precisare il posto di Cristo nei decreti divini, non menziona mai esplicitamente la collocazione di Maria, ma sono stati i suoi diretti discepoli e i primi commentatori ad applicare per estensione anche a Maria i principi, che il Maestro aveva precisato per la predestinazione di Cristo, e così assegnarle lo stesso “posto” accanto al Figlio; secondo, come la predestinazione di Cristo e di tutti i beati, così anche quella di Maria, appartiene a quell’unica predestinazione assoluta e simultanea che formalmente è un atto della divina volontà.
Il contenuto di questa tesi, come corollario della predestinazione di Cristo, vero capolavoro teologico, costituisce fondamentalmente la novità dottrinale assoluta nella mariologia di Duns Scoto, che è entrato anche nella formula dell’Ineffabilis Deus “uno eodemque decreto”, ossia nell’unico e medesimo decreto di predestinazione Dio prevede e vuole Cristo e Maria, prima della creazione del mondo, cioè indipendentemente da qualsiasi merito o demerito. In altre parole, Duns Scoto vuol dire che né Cristo è stato previsto dopo il peccato, e né Maria è stata prevista prima del peccato, ma sia Cristo che Maria sono stati previsti con un unico e medesimo decreto prima della creazione e, quindi, indipendentemente dal peccato .
In base al principio scotista che Dio vuole in modo “più ragionevole possibile”, ne segue che vuole anche per primo ciò che è più vicino al fine . Il concetto di “mezzo”, che permette di raggiungere il fine, può essere considerato sotto due aspetti diversi: nei beati è costituito dalla grazia proveniente dai meriti estrinseci di Cristo; e in Cristo, dall’unione ipostatica, che, in quanto principio del merito, non può dipendere da nessuno. Nell’ordine della predestinazione, perciò, Duns Scoto distingue una varietà di gradi: dal massimo al minimo. Il primo posto in modo assoluto è certamente quello di Cristo e di Maria: Cristo riceve tutto dall’Amore del Padre, Maria riceve tutto dall’Amore di Cristo. Perciò, nella lettura del piano di Dio, secondo l’ermeneutica di Duns Scoto, si può ugualmente affermare con le sue stesse parole: Cristo è il “Sommo Bene di Dio” e Maria è il “Sommo Bene di Cristo” .

2. Seconda tesi: la maternità di Maria

Il primo frutto della doppia predestinazione alla gloria di Cristo e di Maria, nell’unico e medesimo decreto divino, è certamente uno scambio reciproco d’amore: Cristo dona a Maria la Grazia della maternità, rendendola “piena di grazia”; e Maria dona a Cristo la “natura umana”, per la quale diviene “vero Uomo”. In questo gioco d’amore, le azioni di Cristo e di Maria sono contemporaneamente attive e passive insieme: Cristo è attivo in quanto dona la “grazia” ed è passivo in quanto riceve la “natura umana”; Maria ugualmente è attiva in quanto dona la “natura umana” ed è passiva in quanto riceve la “grazia”.
Nasce così tra Cristo e Maria un duplice vincolo: naturale l’uno, per l’unione ipostatica, cui prende parte attiva anche Maria; morale l’atro, per la trasfusione della grazia dal Figlio alla Madre. La precedenza tra i due vincoli spetta sicuramente a quello “naturale”. Alla stessa maniera che in Cristo, l’unione ipostatica è una esigenza alla grazia e alla gloria, così in Maria la Maternità esige la grazia. Il vincolo naturale tra Cristo e Maria, ossia la Maternità di Maria, costituisce il fondamento di tutti i privilegi mariani e di tutta la mariologia, come vuole il principio mariologico fondamentale di Duns Scoto.
La tesi della “fecondità naturale” di Maria, insieme a quella dell’Immacolata Concezione e della sua Predestinazione, costituisce una delle più suggestive e specifiche caratteristiche mariane del pensiero Duns Scoto, che supera l’usura del tempo. Difatti, i Teologi medievali, rifacendosi all’autorità di Aristotele , sostenevano che nella procreazione della prole, solo il padre (o maschio) è principio attivo; mentre la madre (o femmina) è semplice passività, avente il compito di far sviluppare in sé il seme vitale dell’uomo (o maschio). Principio che esteso anche alla Madonna comporta la conseguenza che Maria non ha operato nulla di attivo nella concezione e nello sviluppo embrionale del Figlio Gesù, ritenuto totalmente opera dello Spirito Santo.
Duns Scoto, invece, rifacendosi alla sua teoria della concausalità dei principi nel processo conoscitivo e alla teoria sessuologica del medico Galeno , ripreso da Avicenna , insegna categoricamente che sia il padre che la madre sono entrambi principi attivi nella procreazione della prole . E con squisita sensibilità aggiunge che, in argomenti di tale delicatezza, è meglio affidarsi a un medico che a un filosofo. E applicando tale principio anche alla Madonna si pone contro la comune opinione dell’epoca: «Io dico che la beata Vergine Maria ebbe una vera funzione di principio attivo nella formazione del corpo di Cristo» .
Affermato il principio generale dell’attività della donna nel processo della maternità, Duns Scoto fa la dovuta applicazione alla Madonna. Mentre per la donna il principio attivo è dato dall’uomo, per Maria invece dallo Spirito Santo. Precisare il tipo specifico di collaborazione tra Maria e Spirito Santo è così difficile e arduo, da entrare nel mistero della fede. Tuttavia si tenterà di precisare ciò che è precisabile, senza alcuna velleità di risolvere il problema, che sostanzialmente appartiene all’ambito della fede.

a) Maria è concausa con lo Spirito Santo

Al tempo di Duns Scoto, la concausalità di Maria era comunemente negata, in quanto si attribuiva la sua maternità all’opera unica ed esclusiva dello Spirito Santo o della SS. Trinità. Duns Scoto discute la questione in ordine al mistero dell’Incarnazione, che, come si sa, da lui viene spiegata in chiave di predestinazione assoluta con tutte le conseguenze già note.
L’unione ipostatica, secondo Duns Scoto, può considerarsi sotto un duplice aspetto: in facto, in ordine all’effetto; oppure in fieri, in ordine alla causa. Certamente, Maria non può essere concausa nel primo significato, in quanto l’unione ipostatica si realizza nel suo “termine”, cioè nella persona del Verbo, essendo lui solo il sussistente della natura umana. Allora la concausalità di Maria si realizza nel secondo significato, quello della causa efficiente dell’unione ipostatica. La causalità di Maria non deve essere intesa in senso morale come concorso volontario all’accettazione dell’Incarnazione e neppure come condiscendenza a fornire la materia (o carne) alla formazione del corpo di Cristo, ma in senso naturale reale e fisico di causa efficiente della stessa unione ipostatica, anche se secondaria e strumentale alla causa principale dell’azione dello Spirito Santo o della SS. Trinità, perché il termine “Spirito Santo” nell’Annunciazione intende tutta la SS. Trinità.
Sempre secondo Duns Scoto, perciò, Maria è realmente e fisicamente collaboratrice della SS. Trinità, come causa essenziale secondaria in ordine alla realizzazione dell’unione ipostatica. Nella teoria scotiana delle cause ordinate essenzialmente, la secondaria agisce sempre in subordinazione e in dipendenza della causa principale. Di conseguenza, alla formazione del ‘corpo’ di Cristo concorrono due cause essenziali, Dio come causa principale e Maria come causa secondaria. Il risultato Cristo: vero Dio e vero Uomo. Da questa singolare e ardita concezione, scaturiscono almeno due importantissime conseguenze, che gettano nuova luce su due verità credute ma non adeguatamente spiegate: Maria è vera Madre di Gesù, e Gesù è vero Figlio di Maria.
Nell’opinione di Duns Scoto che ritiene madre e padre concause attive della procreazione dela prole, Maria è vera Madre, perché compie tutto ciò che naturalmente compete alla donna-madre. Nel modo come si è realizzata, la maternità di Maria è insieme soprannaturale e miracolosa, perché si è compiuta per opera dello Spirito Santo, cioè senza padre naturale, e conservando intatta la sua Verginità.
Come sono due le cause dell’unione ipostatica, così due sono pure le generazioni e le filiazioni: eterna l’una, dal Padre; e temporale l’altra, dalla Madre.
Sono entrambe reali?
La risposta dipende sempre dal diverso concetto che si ha della predestinazione e, quindi, della “filiazione”: chi la fa consistere nella “persona’, e chi nella “natura”. Per gli uni, la risposta non può che essere negativa, perché in Cristo c’è una sola Persona; per gli altri, invece, la risposta è positiva, perché in Cristo ci sono due Nature. Duns Scoto appartiene a questa seconda ipotesi che ammette due filiazioni reali in Cristo, quella dal Padre e quella dalla Madre.

b) Maria piena di grazia

Nella trattazione sulla predestinazione, Duns Scoto a volte la considera in ordine alla grazia e alla gloria insieme e altre volte solo in ordine alla gloria. Nel primo caso, la predestinazione si dice completa, perché abbraccia sia il mezzo che il fine; nel secondo caso, incompleta, perché riguarda principalmente il fine. Dall’insieme si evince che grazia e gloria sono così intimamente connesse, che una completa l’altra: la gloria non si può conseguire senza la grazia, e la grazia esige la gloria. Nell’ordine ontologico o delle intenzioni, la gloria precede sempre la grazia; nell’ordine storico o dell’esecuzione, la grazia precede sempre la gloria.
La grazia, in quanto mezzo immediato per raggiungere il fine della gloria, è necessaria a tutti i beati o eletti, ed è qualitativamente identica per tutti. La diversità di gradi nella grazia proviene dall’applicazione dei meriti dell’unione ipostatica, cioè dalla più o meno vicinanza a Cristo. Solo la gloria di Cristo è indipendente da qualsiasi merito sia proprio che altrui, mentre tutti gli altri eletti, Maria compresa, dipendono dai meriti di Cristo. Come a dire: nessuno entra nella gloria senza la grazia ricevuta da Cristo. E il massimo merito di Cristo è quello di conferire la sua grazia senza aspettare le disposizioni di chi la riceve.
Allorquando si parla della grazia di Maria -o di qualsiasi altro eletto- non si intende parlare né dell’origine né della natura né del fine, ma unicamente della sua “quantità”, ossia del grado di grazia che può ricevere o sopportare. E poiché l’unica opera ad extra di Dio, l’Incarnazione del Verbo, è del tutto gratuita, si deduce che da essa dipendono tutti i vari gradi di grazia, secondo il principo della vicinanza o lontananza da Cristo. Ora, Maria, in virtù della sua Maternità, è più vicino a Cristo di chiunque altro beato; pertanto dopo il grado sommo di grazia di Cristo, viene subito e immediatamente il sommo grado di grazia di Maria. Ogni grazia deriva a Maria dalla sua Maternità divina, perché la rende intimamente unita a Cristo, fonte della grazia.
Duns Scoto contempla il privilegio della pienezza di grazia in Maria non a sé stante, che non avrebbe senso, ma come scaturente dalla Maternità divina. Perché Madre, Maria dev’essere piena di grazia: maternità e pienezza di grazia sono due titoli-doni che vanno considerati sempre insieme e in rapporto a Cristo.
E’ da notare che la dottrina di Duns Scoto in ordine alla grazia di Maria si sviluppa in rapporto alla sua Maternità, mentre quella dei Padri segue la via del saluto dell’angelo, ugualmente presupposta dal Dottor Sottile. Per il Maestro francescano, il privilegio della pienezza di grazia in Maria deriva da Cristo Salvatore.

3. Terza tesi: l’Immacolata Concezione

Il secolare e lento processo - più di 12 secoli - che ha condotto alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione bisogna situarlo nel contesto storico-devozionale e di fede in cui si è sviluppato. In questo processo storico-teologico un posto di eccezionale importanza spetta a Duns Scoto che ha letto per la prima volta il privilegio mariano in chiave cristocentrica, legandolo indissolubilmente al primato di Cristo. La novità della lettura mariana insieme alla profondità forza speculativa, che sono sempre accompagnate da una carità diafana e da un’espressione originale, consiste nell’aver esteso la potenza della redenzione di Cristo anche nella forma intensiva, oltre a quella estensiva.
Il paragrafo viene articolato in tre momenti: influsso della fede popolare; influsso della liturgia e della teologia; e posizione di Duns Scoto. Il dopo Duns Scoto appartiene al patrimonio culturale comune della storia del dogma e, per questo, non viene toccato dal mio riferimento.

1. Influsso della fede popolare

Dalle origini della storia del dogma dell’Immacolata Concezione si evince a tutto tondo che il senso cristiano della fede è stato compatto e determinante nel proclamare la santità originaria di Maria Vergine, a differenza della riflessione teologica che si è manifestata a lungo ondeggiante. La prima testimonianza storica si trova nel Protovangelo di Giacomo, un apocrifo del II secolo, che ha molto influito nella liturgia, dando origine a tre feste mariane: la “Concezione” (l’8 dicembre), la “Natività” (l’8 settembre) e la “Presentazione di Maria al tempio” (il 21 novembre).
Al di là di ogni considerazione tecnica, il racconto - pur nella sua veste popolare - contiene certamente delle istanze teologiche in ordine alla santità di Maria Vergine, e rappresenta in modo intuitivo e mitico anche la sua stessa concezione verginale. La diffusione della letteratura apocrifa si fa sentire principalmente nel culto orientale, dove - già nel VII secolo - si celebra liturgicamente la festa della “Concezione di Maria”.
Per quanto riguarda l’influsso del Protovangelo di Giacomo è da notare che, già nel IV secolo, Epifanio respinge la credenza della concezione verginale da parte di Anna. E fino al concilio di Efeso (431), non si registrano particolari affermazioni dei Padri circa l’assenza di peccato ab initio in Maria, ma abbondano elogi e titoli che esaltano la sua santità. Benché il concilio riguardasse il problema cristologico delle due nature - la divina e l’umana, perfette e diverse - tuttavia presenta la Vergine Maria come Theotòkos, ossia Genitrice di Dio.
Nella polemica pelagiana - V secolo - la perfezione negativa di Maria costituisce il presupposto su cui Pelagio e il suo discepolo, Giuliano di Eclano, puntano le loro posizioni. Anche Agostino afferma l’assenza di peccati personali in Maria. Questa perfezione negativa è dovuta a un puro dono della grazia, a un privilegio eccezionale che le è stato conferito in considerazione della sua maternità divina.
Una delle conseguenze della polemica è stata quella di aver sganciata l’idea dell’immacolata concezione da ogni contesto di “privilegio” e da ogni “dipendenza” da Cristo, presentandola come unico frutto delle personali forze di Maria. Questo spostamento è dovuto al diverso modo di concepire il peccato originale, i cui effetti si faranno sentire fino al concilio di Trento, che ne ristabilirà l’esatta natura nella classica distinzione: colpa, reato e macchia. Il privilegio mariano riguarda, com’è ovvio, solo la macchia del peccato originale.
Se a questa situazione di spostamento di interesse, si aggiunge la cattiva fama che godevano in Occidente gli scritti apocrifi, si comprende meglio il deciso rallentamento dello sviluppo della dottrina circa la Concezione Immacolata di Maria. L’introduzione della festa liturgica in Occidente - XI secolo - contribuirà a bilanciare la situazione.

2. Influsso della liturgia e della teologia

a) Influsso storico-liturgico

Verso la fine del VII secolo o agli inizi dell'VIII secolo cominciò a venir celebrata, in Oriente, la festa della Concezione di Maria, come risulta da Andrea di Creta. La prima omelia che si conosca sulla Concezione è quella di Giovanni d'Eubea, contemporaneo del Damasceno. All'oggetto primitivo della festa, che era l'annunzio della miracolosa Concezione di Maria fatta dall'angelo ai genitori (idea che risale al Protovangelo di Giacomo), non aveva tardato ad aggiungersi quello odierno, ossia quello della Concezione passiva della Madre di Dio, dichiarata, non di rado, santa e immacolata. Così Giovanni d'Eubea asserisce un intervento della Santissima Trinità nella formazione di Maria tale da crearla nello stato di giustizia originale. Nel IX secolo la festa diviene universale nella Chiesa greca.
La festa della «Concezione», istituita dai Greci, restò per lungo tempo ignorata dai Latini. Importata da qualche monaco, venuto dall'Oriente, essa appare in Inghilterra verso il 1060 circa, ma scompare quasi subito, al tempo della conquista normanna (1066), senza lasciare altre tracce all'infuori di un ricordo, unito però a dei rimpianti. È così che essa può rinascere con slancio, grazie alla devozione popolare, verso il 1127-1128, su basi più solide, e passa in Normandia, poi, di là, in tutta l'Europa, nonostante la decisa opposizione di S. Bernardo. L'oggetto della festa, abbastanza indeterminato all'origine, si precisa a poco a poco, non senza un sofferto travaglio. Infatti molti sostenitori della festa non affermavano in senso stretto l'Immacolata Concezione, ma alcuni celebravano semplicemente le primizie della futura Madre di Dio, altri la sua santificazione nel grembo materno. Altri ancora sostenevano la santità originale di Maria, ma con significati molto diversi. Alcuni facevano partire la sua santità dal momento della concezione, altri dal momento della concezione spirituale, cioè dall'infusione dell'anima, che segna l'inizio dell'esistenza personale di Maria.
Per quanto riguarda l’occidente, le prime testimonianze intorno alla festa della Conceptio Mariae risalgono al XI secolo, e principalmente in Inghilterra con la data all’8 dicembre, prima dell’invasione normanna. Soppressa dai Normanni, la festa viene prontamente ristabilita da Elsin, abate di Ramsay (1080-1087). E nel XII secolo trovò in Anselmo junior (ca 1125), nipote del famoso Anselmo d’Aosta, un grande e zelante propagatore. Nel concilio londinese (1127-29), Gilberto vescovo della città, difende il culto dell’Immacolata Concezione di Maria, contro i vescovi di Salisbury e di S. David. Specialmente Eadmero di Canterbury (1124-1141) prende le difese della nuova festa nel Tractatus de Conceptione Mariae, in cui si esalta Maria esente fin dai primi istanti della sua creazione da ogni corruzione di peccato. La sua dimostrazione si basa sulla distinzione tra concezione attiva (nel peccato) e concezione passiva (senza peccato). Porta come esempio il celebre episodio della castagna che esce indenne dall’involucro spinoso: «Non poteva forse Dio conferire a un corpo umano ... di restare libero da ogni puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? E’ chiaro che lo poteva e voleva; se lo ha voluto l’ha fatto: (“potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit’’)».
In una lettera ad Anselmo junior, Osberto di Clara (1120), grande innamorato della Madonna, scrive: «E’ da credere che nella stessa concezione ci fosse la medesima santità... Così che crediamo che non fosse impossibile a Dio santificare la beata vergine Maria dalla massa di prevaricazione di Adamo, senza avere alcun contatto di peccato. L’Altissimo, dunque, ha santificato il suo tabernacolo nello stesso inizio della creazione della concezione nell’utero della madre».
Dall’Inghilterra la festa liturgica si estende in tutto il continente, specialmente in Normandia. E l’entusiasmo è tale che gli studenti normanni all’Università di Parigi la scelgono come festa patronale, onde l’appellativo anche di “festa dei normanni”.
Anche i canonici della cattedrale di Lione adottarono verso il 1139-40 la nuova festa mariana nella liturgia, suscitando una indignata protesta in Bernardo che nella lettera 174 loro indirizzata così scrive:«... E’ principalmente in materia liturgica che non si vide mai la chiesa di Lione cedere all’allettarnento della novità e che essa piena di giudizio non si è mai disonerata con una leggerezza puerile. Così non posso abbastanza meravigliarmi che ai nostri giorni, si siano trovati tra noi dei canonici che vogliono oscurarne lo splendore con l’introduzione di una festa che la Chiesa ignora, che la ragione disapprova, che la tradizione non raccomanda».
La festa liturgica della Concezione di Maria Vergine si diffonde rapidamente oltr’Alpe, e verso la metà del XII secolo penetra anche in Italia. Qui, riceve un nuovo e magnifico impulso ad opera dei francescani, che, nel capitolo generale del 1263, tenutosi a Pisa, decidono di celebrarla per l’intero Ordine, benché la chiesa romana non ancora esprimesse il suo parere, come testimonia Tommaso d’Aquino: «La chiesa romana benché non celebri la Concezione della beata Vergine Maria, tuttavia tollera la consuetudine di quelle chiese che celebrano tale festa».
Il silenzio di Roma non doveva durare a lungo. Dopo la celebre disputa all’Università di Parigi, sostenuta con ardore e audacia da Duns Scoto nel 1307, papa Giovanni XXII celebra ad Avignone con grande solennità la festa della Concezione della Vergine Maria nel 1325.

b) Influsso teologico

Poiché non si registrano novità di rilievo fino alla fine del XIII secolo, se non una maggiore propensione a favore della “pia sentenza” da parte dell’ambiente accademico di Oxford - a differenza di quello di Parigi, che anzi è decisamente contrario - torna utile fare il punto della situazione secondo la chiara e precisa puntualizzazione di Bonaventura da Bagnoregio nel commento al III libro delle Sentenze di Pietro Lombardo.
Storicamente Bonaventura fissa i termini della questione in due opinioni: l”’immacolista” e la “macolista”. Dopo attenta valutazione degli argomenti “pro et contra” dell’una e dell’altra, egli proprende per la seconda opinione, giudicandola “più comune, più razionale e più sicura”.
La prima opinione -quella immacolista- poggia meno su argomenti scritturistici che di convenienza. L’idea di fondo che la vivifica è semplice: l’onore della madre si ripercuote sul Figlio. In questo modo prende corpo la “possibilità” che in Maria Vergine coisistesse da sempre la grazia. Tra gli argomenti più significativi meritano di essere segnalati: quello della mediazione di Maria tra Cristo e gli uomini, (in analogia alla mediazione di Cristo tra Dio e gli uomini); e quello della santità di Maria che eccelle su quella di tutti i santi insieme.
Una menzione a parte merita l’argomento liturgico, interessante sia per la storia del dogma, sia per la delicata sensibilità spirituale di Bonaventura. Ecco le sue parole: «Alcuni per speciale devozione celebrano la concezione della beata Vergine. Di essi né sento che bisogna lodare né biasimare. Che tale esempio non sia del tutto da approvare, lo ricavo dal fatto che i Padri, mentre per altre solennità della Vergine stabilirono di celebrarle, per quelle dell’immacolata concezione non decretarono di solennizzarla. Anzi, il beato Bernardo, esimio amatore della Vergine e zelatore del suo onore, rimprovera aspramente tale introduzione liturgica. Da parte mia, io non sento che bisogna riprendere coloro che celebrano la festa dell’immacolata concezione di Maria, perché - come dicono alcuni - essa cominciò a celebrarsi non per umana invenzione, ma per divina rivelazione. Se ciò è vero, non c’è dubbio che è un bene solennizzare tale festa. Poiché tale affermazione non è autentica, non si è tenuti a credere; e poiché (la festa) non è contraria alla retta fede, non si è tenuti neppure a negarla... Tuttavia credo e confido nella gloriosa Vergine che, se qualcuno celebra tale solennità non per amore di novità ma per vero spirito di devozione e in buona fede, la benedetta Vergine accetta la sua devozione; se inveve qualcuno fosse da rimproverare, spero che la Vergine si degni di scusarlo presso il giusto Giudice».
La tesi degli “immacolisti” - secondo Bonaventura - riposa sull’idea di mediazione e di santificazione di Maria Vergine. L’abbondanza della santità di Maria non è solo questione di quantità ma anche di qualità, nel senso che supera la stessa dimensione del tempo: da sempre Maria è stata ricolma di grazia e santità per svolgere adeguatamente la sua azione di Mediatrice.
La consistenza dell’altra opinione -quella macolista- poggia invece su due brani rivelati ai Romani di S. Paolo: “tutti peccarono e tutti attendono la gloria di Dio”’ e “tutti peccarono in Adamo’’; e su alcune testimonianze patristiche: “nessuno è liberato dalla massa del peccato se non nella fede del Redentore” e “il nostro Salvatore, come è venuto per liberare tutti, così nessuno ha trovato libero dal reato”.
Lo scoglio insuperabile è costituito, perciò, dall’interpretazione dei testi paolini sul peccato originale e sulla redenzione universale di Cristo. Dal momento che non si trova alcun passo rivelato dove è possibile appoggiare l’immunità dal peccato originale di Maria, bisogna concludere che la sua santificazione sia avvenuta dopo la contrazione dello stesso peccato. Così è salva la tesi della universale redenzione di Cristo.

3. La tesi di Duns Scoto

Dal bonaventuriano quadro storico-teologico si evince con molta chiarezza e con solidità di argomenti che la tesi “macolista” gravita attorno a due poli: l’universalità della redenzione di Cristo e l’universalità del peccato di Adamo. Problemi strettamente connessi, ma storicamente incarbugliatesi per la riduttiva interpretazione del peccato originale, causata dalla polemica antipelagiana, rendendo oggettivamente insuperabile l’ostacolo verso la “pia sentenza” del concepimento immacolato di Maria.
La storica posizione di Duns Scoto non consiste certamente nella soluzione esegetica del peccato originale, anche se da lui intuita, che del resto troverà giusta risposta soltanto nel Concilio Tridentino, bensì nella felice e originale intuizione, teologicamente fondata, del primato assoluto di Cristo, intorno al quale fa gravitare, come corollario, la redenzione preventiva della Vergine Maria.
Il suo grande merito, perciò, consiste nell’aver considerato il privilegio mariano non come realtà o verità a se stante, ma come parte o effetto della tesi cristocentrica principale, ossia come primo “frutto” della redenzione universale di Cristo. Concezione provvidenziale! Apre un’altra via alla definizione dogmatica. La storia gli riconosce unanime questo merito.

a) Ambiente storico

E’ storicamente provato che Duns Scoto sostenne una celebre disputa all’università di Parigi per difendere la tesi sull’Immacolata Concezione della Vergine Maria nel primo semestre del 1307, quando “leggeva” il 3° libro delle Sentenze di Pietro Lombardo. La geniale intuizione di Duns Scoto maturò certamente nell’ambiente di Oxford, favorevole alla “pia sentenza” non solo liturgicamente ma anche teologicamente. Parigi invece respirava un’aria completamente diversa e contraria, tanto da essere considerata la “roccaforte dei macolisti”.
La non facile e movimentata attività accademica di Duns Scoto non riuscì a incrinare il limpido e profondo suo pensiero. Anzi l’esplicito e chiaro insegnamento suscitò ben presto reazioni e prese di posizioni in tutto il corpo accademico della Sorbona, culla e centro della cultura. Di solito quando accadeva un caso simile, cioè che un “magister” prendeva posizione contro la comune opinione del corpo accademico, la competente autorità universitaria “invitava” (cioè costringeva) il Maestro innovatore a giustificare pubblicamente la sua tesi in una solenne disputa.
I rischi erano gravi e grandi. Chi non riusciva a giustificare scientificamente la sua posizione, veniva bandito dalla cattedra e, a seconda dei casi, soffriva anche l’esilio, quando non si arrivava all’accusa formale di eresia, con tutte le conseguenze connesse. La posta in gioco, perciò, era molto alta. E Duns Scoto ha voluto correre questo rischio.
Le decisioni dell’Università non si fecero attendere. Tutta la questione fu deferita al papa Clemente V, che, in quel periodo, si trovava a Poitiers. Questi ordinò ai legati pontifici Berengario di Fredal e Stefano di Suisi, che si trovavano a Parigi per l’affare dei Templari, di organizzare la solenne disputa e costringere Duns Scoto a giustificare teologicamente la sua tesi sulI’Immacolato Concepimento di Maria.
Così, alla data stabilita, di fronte ai due legati pontefici, al vescovo di Parigi - Simone Matifas -, al cancelliere dell’Università - Simone di Guiberville -, al corpo accademico al completo, alle personalità di corte, ai superiori maggiori dei vari ordini religiosi, ai numerosi invitati, alla calca degli studenti e dei curiosi..., il Maestro Francescano si presentò nell’aula magna della Sorbona per difendere la sua tesi mariana.
Si racconta che, prima di entrare nella grande assise, passando davanti alla cappella del Palazzo Reale, sul cui frontespizio inferiore c’era una statua di Maria scolpita in pietra, Duns Scoto si fermò in preghiera mormorando le parole:Dignare me laudare te, Virgo sacrata (Degnati, o Vergine benedetta, che io possa lodarti). La statua illuminata dai riflessi dei raggi del sole piegò la testa in segno di approvazione e così rimase fino ai giorni nostri, onde viene salutata la “Madonna del saluto”.
L’esposizione della tesi cristocentrica sul “perfettissimo Redentore”, in cui Duns Scoto impianta la “perla preziosa” della redenzione “preventiva” di Maria Vergine, si sviluppa con argomenti convincenti e saudenti, fondati sulla Scrittura e organizzati da una potente struttura logica. Alla fine, si elevò osannante un applauso trionfante in onore della Vergine Maria e del suo Dottore. Informato dell’andamento della disputa, il pontefice Clemente V approva il titolo di “Doctor Subtilis”, proposto dall’autorità accademica; e quello di “Doctor Marianus”, proposto per acclamazione popolare.
Le conseguenze non si fanno attendere. Viene subito abrogato dall’Autorità Accademica il decreto episcopale del 1163, che vietava la stessa liturgia della Concezione Immacolata; ed emanato un altro che ne prescrive annualmente la celebrazione, con l’obbligo che un francescano dovesse tenere il discorso ufficiale.
Tra le testimonianze storiche che si possono addurre a conferma della disputa, piace riportare quella del discepolo e uditore di Duns Scoto, Landolfo Caracciolo, eletto poi arcivescovo di Amalfi nel 1326, che nel trattato De Conceptione Virginis scrive: «Gesù Cristo destinò Duns Scoto, dottore esimio dell’ordine dei minori, a Parigi, dove fu indetta per ordine papale una pubblica disputa sulla Concezione della Vergine. Duns Scoto confutò le ragioni e gli argomenti degli avversari, e difese talmente la santità della concezione della vergine, che gli avversari stupefatti vennero meno nel far obiezioni. Per questo motivo, Duns Scoto venne chiamato “Doctor Subtilis”» . Importante è anche la notizia circa il giuramento che i professori universitari dovevano emettere a Parigi. Lo stesso Caracciolo così riporta il suo: «Io Landolfo, volendo seguire le norme del Papa e quella dell’Accademia, e avendo giurato nell’Università della Sorbona e desiderando osservare gli Statuti di essa, amo celebrare devotamente la festività della santa Concezione e voglio che venga da tutti solennizzata» .
Una conferma inoppugnabile proviene dal Chartularium Universitatis Parisiensis, che al 13 novembre 1318 attesta il pubblico giuramento emesso alla Sorbona di voler celebrare la festa dell’Immacolato Concepimento di Maria da parte del francescano Pietro Aureolo, del cistercense Giovanni di Dunis e dell’agostiniano Giovanni di Paignole. Importantissima è anche la testimonianza del calendario delle lezioni all’Università parigina che il Denifle riporta nello stesso volume: “8 dicembre, Concezione della Santa Vergine. Non si legge in nessuna facoltà”.
Di pari valore risulta anche la parola diretta di Pietro Aureolo quando scrive: «E’ cosa certa che il signor Papa, i Cardinali e la chiesa romana erano consapevoli da tempo, e conoscevano che la chiesa anglicana, quella di Normandia, l’Università di Parigi e molte altre chiese - sottoposte all’obbedienza del Pontefice - celebravano la festa della Concezione, e che molti Dottori hanno predicato annualmente a Parigi e in Inghilterra, lasciandone memoria nei loro scritti, come fece il grande Giovanni Duns Scoto» .
Dal 1325 in poi, da quando cioè il papa Giovanni XXII volle far celebrare “con insolita pompa” non solo nella sua cappella privata, ma in tutta la città di Avignone la liturgia in onore della Vergine Immacolata, grande incremento e larga diffusione guadagnò la tesi “immacolista”. Certo, occorreranno altri secoli - lunghi travagliati difficili e ricchi di controversie - prima che la fede del popolo cristiano vedrà proclamare solennemente e infallibilmente la tanta attesa definizione dogmatica, che Pio IX pronunciò 1’8 dicembre del 1854. E la stessa Vergine quattro anni dopo confermerà con l’autodefinizione: “Io sono l’Immacolata Concezione”.

b) La posizione di Duns Scoto

Può suonar strano ma la potente personalità teologico-speculativa di Duns Scoto affonda le radici nella profondità delle intuizioni semplici di Francesco d’Assisi, che ha saputo cogliere il legame strettissimo tra Cristo e Maria, specialmente quando identifica la Vergine Madre con la Chiesa: la “Vergine diventata Chiesa’’. L’attenzione di Duns Scoto, infatti, è rivolta principalmente a considerare la stretta dipendenza della tesi mariana con quella cristocentrica, anzi è la considerazione della “predestinazione assoluta” di Cristo che fa scaturire logicamente -come corollario- il privilegio dell’Immacolato Concepimento di Maria Vergine. La stretta connessione delle due tesi impedisce un’esposizione autonoma e indipendente, che farebbe fondare sul vuoto il privilegio mariano. Sembra utile, pertanto, premettere un breve riferimento sostanziale alla tesi cristocentrica.

1) Fondamento cristologico dell’Immacolata

Come ogni riferimento mariano non avrebbe senso senza Cristo, così quello cristologico senza Dio. Non solo la storia della salvezza ma anche la metafisica in Duns Scoto è contrassegnata dalla visione di Dio come “amore per essenza” o “formalmente amore e formalmente carità e non soltanto efficiente”, in cui il “vero infinito” e il “buono infinito” coincidono. Identità che contrassegna la concezione scotiana di Dio.
In quanto formalmente carità, Dio comunica nella pienezza della libertà i raggi della sua bontà e del suo amore alle creature, che chiama all’esistenza perché entrino in comunione-con-lui. Benché il suo atto di amore sia semplicissimo, tuttavia -afferma Duns Scoto- esso tende in diversi modi verso gli oggetti ordinati. E questo perché Dio vuole e ama in maniera perfettissima e nel modo più ragionevole possibile, distinguendo cioè nel suo unico atto di amore fini diversi.
Nella gerarchia dell’essere, al primo posto nella linea discendente fuori di Dio, si trova Cristo, poi l’angelo, l’uomo e infine il mondo. La “primità” di Cristo non solo è di essere ma anche di amore, nel senso che può amare e glorificare Dio piú di tutti gli altri esseri insieme. Di conseguenza, l’Incarnazione o, come la chiama Duns Scoto, il Summum Opus Dei, essendo l’opera più grande fatta da Dio e che sovrasta infinitamente ogni ordine di essere creato, non può essere in nessun modo occasionata né tanto meno voluta per caso.
L’acume intuitivo e speculativo di Duns Scoto si proietta con estrema arditezza al cuore stesso dell’essere di Dio e vi coglie la più ardita logica del piano divino, esclusivamente fondato sulla libertà ordinatissima dell’amore. E scrive: «Chi vuole ordinatamente, vuole prima il fine, poi ciò che immediatamente raggiunge in fine, e il terzo luogo tutto ciò che è ordinato remotamente al raggiungimento del fine. Così anche Dio, che è ordinatissimo, vuole prima il fine e poi ciò che è ordinato immediatamente al fine; in secondo luogo vuole altri amanti attorno a sé; in terzo luogo vuole anche ciò che è necessario per raggiungere questo fine, ossia i beni della grazia; e in quarto luogo infine vuole altri beni più remoti come mezzi per raggiungere i primi (beni della grazia)» .
In quest’ardito piano divino, in cui predomina la caratteristica fondamentale dell’essenza di Dio che si ama e vuole essere riamato infinitamente, perché “tutto ha fatto per se stesso”, e ha voluto circondarsi di “condiligentes” che lo amino, Duns Scoto afferma che l’Incarnazione non solo occupa il “primo” posto, ma costituisce anche il “centro” assoluto di tutto e indipendente da tutto, nel senso che tutto dipende da essa come causa efficiente esemplare e finale. Il Summum Opus Dei, quindi, ha il primato universale e assoluto su tutti e rende il più perfetto amore a Dio. Per questo Dio ama e vuole l’esistenza di Cristo in sé e per sé. Difatti scrive: «Dio ama in primo luogo se stesso. In secondo luogo ama se stesso negli altri. In terzo luogo vuole essere amato da colui che può amarlo in sommo grado parlo di un amore estrinseco a lui o creato. In quarto luogo prevede l’unione ipostatica di quella natura che deve amarlo infinitamente, anche se nessuno fosse caduto» .
Nella visione teologica di Duns Scoto, perciò, Cristo occupa il primo posto in modo assoluto e incondizionato, e la gloria che egli rende a Dio è maggiore intensivamente di quella di tutti i beati. Di conseguenza, conclude: «La causa della predestinazione di Cristo è la gloria di Dio e non la caduta dell’uomo; anzi se non fosse caduto né l’angelo né l’uomo... Cristo sarebbe stato predestinato ugualmente. Non è ragionevole che la più grande opera di Dio sia voluta occasionaliter, perché la sua gloria a Dio supera intensivamente quella di tutti i santi insieme» .

2) Redenzione preventiva di Maria Vergine

Alla luce della predestinazione assoluta di Cristo prende corpo anche la predestinazione di Maria. Bisogna notare che Duns Scoto nella sua trattazione non menziona mai esplicitamente tale connessione di dipendenza, ma la lascia facilmente supporre ma saranno i suoi primi discepoli a renderla esplicita. Deduzione logica ed evidente. Se ogni predestinazione alla gloria, infatti, precede naturalmente la prescienza del peccato, ciò si dovrà dire maggiormente della predestinazione di Maria che, in quanto Madre di Dio, fu destinata alla gloria più alta.
Per il principio “omnis rationabiliter volens, primo vult finem, et secundo immediate illud quod attingit finem”, e per la constatazione che Dio vuole e ama “ordinatissime” e “perfectissime”, si può concludere che la massima comunicazione ad extra di Dio si realizza nell’unione ipostatica con l’umanità, ricevuta dalla Vergine Madre, per opera dello Spirito Santo. In forza di tale unione, i predicati propri della natura creata e quelli della natura divina possono essere attribuiti realmente alla stessa persona divina del Verbo. Per questo, Cristo e Maria entrano a pieno titolo nell’unico e medesimo decreto di predestinazione, come Duns Scoto dimostra, nella specifica questione dal titolo “Utrum beata Virgo fuerit concepta in peccato originali”.
Più che seguire da vicino l’ordine della questione, si preferisce offrire un’esposizione più sistematica, così da cogliere con più immediatezza la dottrina fondamentale intorno alla redenzione preventiva di Maria Vergine. La questione si divide in quattro parti.
Nella prima parte - quod sic - elenca i dieci argomenti d’autorità a favore della tesi di Maria concepita nel peccato originale, l’ultimo è quello di Bernardo; nella seconda parte - contra - riporta le due argomentazioni favorevoli alla pia sentenza, l’una di Agostino e l’altra di Anselmo; nella terza parte - ad quaestionem - esamina il corpo della discussione in due momenti: nell’uno critica l’opinione “macolista”, prendendo posizione a favore della tesi “immacolista”; nell’altro invece presenta una stringata valutazione filosofico-teologica di ambedue le tesi, dandò la propria adesione a quella in favore del privilegio mariano; nella quarta parte, infine, - ad auctoritates - riprende una per una a tutte e dieci le autorità del “quod sic” e le critica.
La questione può essere sintetizzata intorno a tre argomenti: possibilità di poter santificare nel primo istante; valore dell’universalità redentrice di Cristo, fino alla preservazione della Madre sua.
Primo argomento: la santificazione di Maria nel primo istante della sua concezione.
Dei tre argomenti proposti, questo è il più esplicito e il più nevralgico, perché dischiude la possibilità all’intera questione. Rispondendo all’obiezione di Enrico di Gand, Duns Scoto precisa che la santificazione può avvenire post aliquod tempus in peccato, nell’unum istans temporis e nel numquam temporis. Escludendo le prime due, ne accetta la terza, ossia che in Maria Vergine la santificazione coincide con il primo istante del peccato originale. In questo modo, Duns Scoto si assicura la possibilità in Dio di poter conferire la grazia anche nel primo istante e non solo dopo, perché come si può conferire la grazia dopo il primo istante, così la si può conferire anche prima, e scrive: «Dio nel primo istante della creazione di Maria potè darle tanta grazia quanta ne dà a chiunque riceve la circoncisione o il battesimo» .
Dall’insieme dell’argomentazione, alquanto laboriosa, il Dottor Sottile enuclea e applica alla Vergine Maria il concetto della redenzione “preventiva”: «Maria più che mai ha avuto bisogno di Cristo redentore. A causa della propagazione comune, infatti, anche Maria avrebbe contratto il peccato originale, se non fosse stata prevenuta dalla grazia del Mediatore. Come gli altri ebbero bisogno di Cristo, affinché per suo merito venisse rimesso a loro il peccato già contratto, così Maria ebbe maggiormente bisogno del Mediatore per non contrarre il peccato» .
La possibilità teologica del privilegio mariano riposa direttamente non in Maria ex se, ma in Cristo -ex merito alterius- che la sceglie quale Madre sua. Una simile affermazione così chiara nel pensiero e così esplicita nella forma ha una importanza notevole nella storia del dogma mariano, che -come si vedrà nel terzo argomento- è di natura esclusivamente cristocentrica.
Secondo argomento: l’universalità del peccato originale.
Assicurantosi la possibilità della santificazione nel primo istante della concezione, Duns Scoto si trova di fronte alla reale difficoltà del testo paolino: «tutti hanno peccato in Adamo e tutti quelli che derivano da Adamo -per naturale generazione- sono peccatori» .
Come superarla? Tutta la disamina del Dottor Sottile verte non tanto nel tentativo di risolverla criticamente e direttamente, quanto nell’aggirarla e convogliare tutte le forze verso il concetto del Redentore “perfettissimo”, e quindi solo indirettamente supera la concretezza della difficoltà del testo paolino.
Perché tanta circospezione?
Due sembrano i motivi: primo, in base alla dottrina comune dell’epoca, la trasmissione del peccato originale veniva spiegata fisiologicamente con l’atto della copulazione; secondo, su tutta la questione pesava potentemente la polemica pelagiana, che ha travisato il testo ai Romani, rendendo impossibile la soluzione testuale diretta.
Lo stesso Duns Scoto, trovandosi nella difficoltà oggettiva di poter sciogliere il nodo del testo paolino, tenta di aggirare l’ostacolo attraverso delle felici intuizioni, che solo indirettamente colgono il nucleo dell’insegnamento di Paolo, mediante la teoria della “redenzione universale”, divisibile in estensiva e in intensiva: con il primo si intende tutto il genere umano e le singole persone; con il secondo, invece, s’includono tutti i gradi possibili della redenzione, anche il grado della “preservazione”. In questo modo, Duns Scoto riprende in forma indiretta il senso genuino e autentico dell’insegnamento paolino specialmente quello espresso dai testi: «tutti hanno peccato in Adamo e la grazia di Cristo ha maggiormente abbondata sul peccato di Adamo».
In tal modo la concezione della Vergine coincide con la grazia divina che neutralizza completamente l’azione del peccato originale. Contemporaneità che equivale a una “redenzione preservativa”. L’affermazione di Duns Scoto è categorica: «La beata Vergine Madre di Dio non fu mai in atto nemica di Dio né in ragione del peccato attuale né in ragione di quello originale» .
Discutendo le molteplici obiezioni, il cui nucleo può essere racchiuso nella frase: «la Madre di Dio fu naturalmente figlia di Adamo prima di ricevere la grazia, perché fu prima persona che grazia» , Duns Scoto con riferimenti di alta metafisica risponde distinguendo una “priorità di natura positiva” e una “priorità di natura privativa”, per neutralizzare la necessarietà della conseguenza. Il fatto che Maria sia naturaliter figlia di Adamo non comporta di necessità la mancanza di grazia ex se. La “priorità di natura privativa” gli consente di introdurre il concetto della grazia ex merito alterius, ossia come redenzione preventiva di Cristo e come preservazione dalla effettiva privazione della grazia, in cui per “priorità di natura positiva” ne sarebbe rimasta priva in quanto figlia di Adamo.
Sovrabbondanza che si è riversata in ante prima e principalmente su Maria Vergine, preservandola dalla colpa originale e confermandola nella grazia divina da sempre e per sempre. Di per sé, quindi, tutti e singoli gli uomini hanno contratto il peccato originale, mentre per merito di Cristo “qualcuno” può essere preservato, perché la grazia di Cristo sovrabbondi sul peccato di Adamo. In altre parole, Duns Scoto illustra il privilegio mariano con il concetto del Redentore perfettissimo, presentandolo come la parte migliore e il primo frutto della redenzione, e recuperando intuitivamente il senso autentico del testo paolino.
Terzo argomento: l’universalità della redenzione.
Nello sforzo di unire la potenza del cuore e la potenza dell’intelletto in una felice e sublime unità, Duns Scoto rivela il meglio di se stesso: riesce a penetrare con il massimo delle potenzialità umane il mistero arcano di Dio e a raccogliervi quella “briciola” possibile a uomo naturalmente.
L’argomentazione si muove e si sviluppa intrinsecamente allo stesso argomento dal quale gli avversari “macolisti” traevano la conclusione opposta. Nella sua brevità essenziale, l’argomento dei “macolisti” si impernia su tre proposizioni: Cristo è il redentore del genere umano; Maria appartiene al genere umano in quanto persona; Maria, dunque, ha contratto il peccato originale, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di redenzione, contraddicendo alle esplicite affermazioni di Paolo ai Romani.
Con una espertissima mossa dialettica e con un felicissimo intuito metafisico, Duns Scoto riprende il concetto di redentore universale, l’approfondisce teologicamente e lo ritorce contro gli avversari, affermando testualmente: «Proprio dall’universalità della redenzione di Cristo si argomenta che Maria non ha contratto il peccato originale, perché preservata» .
Questa inaspettata affermazione si snoda in tre momenti, a seconda che il termine di riferimento sia “Dio” con il quale avviene la riconciliazione dell’uomo, il “male” dal quale l’uomo viene liberato da Cristo, e l’”obbligo” della persona riconciliata verso Cristo. Riguardo al primo momento scrive: «Nessuno placa o riconcilia perfettamente una persona da un’offesa che può ricevere, se non può prevenire che quella persona sia offesa. Se la riconciliazione awiene dopo l’offesa, mediante l’amore di misericordial essa non è perfettissima, perché non ha prevenuto l’offesa. La redenzione di Cristo, pertanto, non sarebbe perfettissima o universalissima, se non avesse prevenuto che qualcuno offendesse Dio, nel suo mistero trinitario; e di conseguenza se qualcuno non avesse contratto la colpa d’origine. E ciò è possibile» .
Dalla possibilità ontologica, approfondita nella tesi della santificazione nel primo e medesimo istante, Duns Scoto penetra nel profondo del concetto del “redentore universale” ed esplicitamente afferma: «Nel [concetto di] Redentore universale e perfettissimo è inclusa la potenza di allontanare ogni pena dalla persona che riconcilia. La colpa originale è una pena più grande della stessa privazione della visione beatifica, perché il peccato, fra tutte le pene della natura umana, è la più grande. Se Cristo è il mediatore universale -come viene affermato da tutti- egli deve aver meritato che qualche persona sia stata preservata dalla colpa d’origine. E tale persona non può che essere che la Madre di Lui, la vergine Maria» .
Nel terzo momento, Duns Scoto enuncia il famoso principio che l’innocenza perfetta è un bene maggiore della remissione della colpa, e conclude: «La persona riconciliata non è obbligata in modo perfetto al suo mediatore, se da lui non riceve il massimo bene che può darle. Dell’azione mediatrice di Cristo si può ottenere l’innocenza, cioè la preservazione della colpa d’origine o già contratto o da contrarsi. Nessuno, pertanto, sarebbe tenuto a Cristo in modo perfetto, se egli non avesse preservato qualcuno dalla colpa d’origine... E’ beneficio maggiore preservare qualcuno dal male, che permettere che egli incorra nel male e poi venga liberato. Se è bene maggiore l’innocenza perfetta che la remissione della colpa, allora a Maria Vergine viene conferito un bene maggiore preservandola dalla colpa originale, che riconciarla dopo averla contratta» .
Al termine di questa breve presentazione di una questione così delicata, piace mettere in risalto il ruolo e l’influsso che Duns Scoto ha avuto nell’aprire una nuova “via” alla tesi immacolista, da meritarsi il titolo di “Cantore dell’Immacolata” . E’ a tutti noto che la tesi “immacolista” prima di Duns Scoto non ha storia, anzi, eccetto la celebrazione liturgica che non aveva valore teologico, il sostenerla comportava l’accusa di eresia, perché l’opinione comune dei teologi scolastici negava esplicitamente tale possibilità.
In sintensi la questione: Dicitur communiter quod sic, propter auctoritates et propter rationes... Sed contra dico, quod Deus potuit facere, ut Maria numquam fuisset in peccato originali... La comune opinione dei teologi è a favore della tesi macolista, fondata su argomenti d’autorità e su argomenti di ragione... Io al contrario affermo che Dio potè fare che Maria non fosse mai nel peccato originale...
Al di là della simpatia o dell’antipatia non si può non prendere atto della situazione storica: Duns Scoto prende posizione contro la dottrina comune. Per questo viene considerato anche come il “vero iniziatore” della storia del dogma dell’Immacolata, permettendo alla teologia di compiere l’approfondimento necessario, su cui il Magistero dirà l’ultima parola. Il privilegio mariano si presenta nella prospettiva scotista doppiamente cristocentrica: da un lato, dimostra che nessuno è salvo se non in Cristo; dall’altro, dimostra che la redenzione “preventiva” di Maria è totalmente il dono meraviglioso che Cristo fa alla sua madre.

II - TESI COMUNI

Dopo le tesi specifiche proposte da Duns Scoto, sembra utile spendere anche due parole su alcune tesi mariane come quelle in ordine all’assunzione, alla verginità perpetua, alla collaborazione e distribuzione della grazia, al culto, ecc., che, pur appartendo alla cosiddetta dottrina comune, acquistano una particolare fisionomia se considerate nella luce del cristocentrismo e delle precedenti tesi. Il termine “comune” non vuol indicare né valutazione né identità di vedute interpretative, ma semplicemente indica il nucleo di quelle verità di fede che Duns Scoto non le ha trattato specificatamente, perché appartenenti al patrimonio della Chiesa. Quando Duns Scoto accenna a queste tesi, sottende tutta intera la Scuola francescana e vi apporta il suo contributo originale, che fa sempre la differenza con le altre interpretazioni, non sviluppantesi attorno al nucleo del principio cristocentrico fondamentale e a quello mariologico essenziale. Come la breve analisi documenta.

1. Prima tesi: Maria assunta in cielo

a) Il significato del dogma

Il dogma dell’Assunzione di Maria Santissima al cielo, definito dal Papa Pio XII il 1º novembre 1950, al termine di un anno santo che concludeva un periodo, durato circa un secolo, di straordinario fervore devozionale verso la Vergine Maria, anche a motivo delle apparizioni di Lourdes e di Fatima, nella parte specifica suona così: «l’Immacolata sempre Vergine Maria, Madre di Dio, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo» .
La verità definita riguarda soltanto lo stato glorioso della Vergine, e non dice nulla circa il modo in cui Maria vi giunse, se passando attraverso la morte e la risurrezione, oppure no. La gloria celeste di cui si parla è lo stato di beatitudine nel quale si trova attualmente l’umanità santissima di Gesù Cristo, e al quale giungeranno tutti gli eletti alla fine del mondo. Coloro che muoiono dopo il battesimo e prima dell’uso di ragione e i giusti perfettamente purificati da ogni reliquia di peccato partecipano di questa beatitudine quanto all’anima già prima del giudizio finale, ma non quanto al corpo. Il privilegio dell’Assunzione concesso a Maria consiste quindi nel dono dell’anticipata glorificazione integrale del suo essere, anima e corpo, a somiglianza del suo Figlio.
L’espressione «Assunta alla gloria celeste» non designa di per sé una traslazione locale del corpo della Vergine dalla terra al cielo, ma il passaggio dalla condizione dell’esistenza terrena alla condizione dell’esistenza propria della beatitudine celeste. I teologi però ammettono comunemente che il «cielo» non significhi soltanto uno stato, ma anche un «luogo»: il luogo dove si trova appunto Cristo risorto e glorioso, in anima e corpo, e dove si trova Maria accanto a Lui. Precisare ulteriormente dove si trovi, e in quale ordine di rapporti con il nostro universo visibile è assolutamente impossibile. Quanto alle condizioni di esistenza della Vergine Assunta e del suo corpo glorioso, si possono applicare tutti i concetti che la teologia, fondandosi principalmente su S. Paolo , ha elaborato per illustrare le condizioni di esistenza sia di Cristo risorto che dei beati dopo la risurrezione finale. Si noti che si parla di “assunzione” di Maria e non di risurrezione, per far capire la differenza che vi è tra Gesù e Maria: Gesù-Dio è risorto per forza propria; Maria-creatura è risorta per opera di Dio onnipotente.

b) La questione della morte di Maria

Pio XII, nella definizione dogmatica dell’Assunzione, ha deliberatamente evitato di pronunciarsi sulla questione se Maria sia prima morta, per poi risorgere, oppure sia stata assunta immediatamente senza passare attraverso la morte, proprio per non schierarsi né derimere la questione. La questione della morte o non morte di Maria rimane dunque lasciata alla libera ricerca dei teologi, anche se bisogna riconoscere che l’opinione dei «mortalisti», per chiamarli così, è di gran lunga più diffusa di quella degli «immortalisti». Anche il Papa Giovanni Paolo II, nella sua catechesi del 25 giugno 1997, pur senza l’intenzione di chiudere il dibattito, ha parlato della morte, o dormizione, di Maria, come di un fatto comunemente ammesso.
Duns Scoto, in sintonia con il mistero globale di Cristo, instaura una forma di perfetta analogia con Maria. Come Cristo è morto ed è risorto, così Maria è morta ed stata assunta in cielo. Il fondamento della sua posizione è dato dal commento al passo del Genesi : «sei polvere e in polvere ritornerai». Il valore dell’espressione è così generale che non ammette eccezione, neppure Cristo e Maria. Scrive: «L’espressione “sei polvere e in polvere ritornerai” è talmente universale che da essa non sono stati esclusi né Cristo e né la beata Maria, che, veramente innocenti e senza peccato, avrebbero dovuto fruire in sommo grado di quel privilegio [dell’esenzione della morte], e se non l’ottennero loro, a maggior ragione non l’otterranno gli altri beati» .
Per comprendere il pensiero del Dottor Sottile bisogna tenere presente la distinzione tra “legge naturale” e “legge morale”, sottesa ai testi citati sopra. La morte appartiene alla “legge naturale”, che non ammette eccezioni di sorta; il peccato originale, alla “legge morale”, che sopporta l’eccezione, come di fatto è avvenuto nella storia della salvezza. In questo modo si comprende anche la differenza dell’universalità del peccato con l’universalità della morte. Di per sé, la morte è una conseguenza del peccato, cioè per demerito; in Cristo e Maria, invece, la morte risponde alla legge naturale e non alla legge morale, dal momento che essi erano esenti dal peccato d’origine e attuale, e quindi per privazione della gloria di per sé nel corpo.
Questo pensiero di Duns Scoto è da completarlo con il commento al testo paolino della risurrezione immediata alla fine dei tempi, quando scrive:«E’ probabile che, alla fine dei tempi, gli ultimi uomini subiranno la morte come quella di Cristo e di sua Madre, e poi subito risorgeranno» . La morte di Cristo e di Maria non viene mai vista come conseguenza del peccato, ma sempre come legge naturale, cui è soggetta metafisicamente la materialità del corpo. In breve se il Redentore ha preservato Maria dalla colpa originale, che è la pena maggiore del castigo divino, non l’ha liberata dalle pene minori, come sete, fame, dolore, passione e morte; e questo perché Maria potesse maggiormente meritare per sé e gli altri.
Anche in questo mistero Duns Scoto va contro corrente, difatti gli autori della scolastica e tanti teologi, basandosi sul testo di Paolo ai Romani : «la morte è entrata nel mondo per il peccato»; di conseguenza prima del peccato originale c’era l’immortalità. Il Maestro francescano, con la distinzione tra morte con valore naturale e morte come pena del peccato, è del parere che sia Cristo che Maria dovevano morire per legge naturale della materialità del proprio corpo. Difatti scrive, commentando il suddetto testo paolino , che la morte è entrata sì nel mondo per il peccato, ma è stata preceduta dalla «potenza di morire» .
E nell’ipotesi assurda che Adamo avesse conservato lo stato di innocenza, la morte non sarebbe entrata nel mondo, ma con questo non sarebbe ipso facto immortale, perché la morte non appartiene allo stato di grazia, ma allo stato di natura, al massimo la morte sarebbe stata diversa, cioè non come punizione, ma come semplice passaggio alla vita eterna senza l’attuale senso punitivo. La morte perciò secondo Duns Scoto più che al peccato, anche se con esso è punizione, appartiene alla legge di natura del corpo che intrinsecamente e metafisicamente è mortale. Allora anche Maria è passata attraveso il dolce sonno della morte alla beata assunzione in cielo, come suo Figlio, anche se con modalità differenti, proprio in forza dei meriti de condigno che hanno acquistato per gli altri.
E’ da notare che la Munificentissimus Deus, pur affermando il nesso strettissimo fra la verità dell’Assunzione e quella dell’Immacolata Concezione, nella documentazione teologica addotta cita tanti autori che, benché favorevoli all’Assunzione, negano l’Immacolata Concezione, ma dell’unico teologo favorevole a tutte e due le verità , cioè Duns Scoto, non se ne fa parola. Regna sovrano il silenzio!

2. Seconda tesi: la verginità di Maria

a) Significato di verginità

Che cos’è esattamente indica il concetto e il significato del termine verginità? Nella prospettiva cristiana esso comporta la consegna totale della persona, anima e corpo, mente e cuore, a Gesù Cristo. Questa donazione completa della persona comporta due aspetti: la verginità del corpo, cioè l’integrità corporea, che, secondo il linguaggio filosofico-teologico, ne costituisce l’elemento materiale, e come tale entra nell’essenza stessa della verginità, e non va considerata come un elemento accessorio e secondario: è invece un elemento essenziale e imprescindibile; la verginità dell’anima, cioè la decisione cosciente e libera di appartenere esclusivamente a Dio secondo le esigenze della castità perfetta, che presuppone non solo la totale integrità fisica della donna, come pura realtà biologica, ma anche la volontà di conservare sempre tale integrità, e questo consegnarsi a Dio con cuore indiviso costituisce l’elemento formale e intenzionale della verginità.
Intensa in questo modo la verginità si può capire il senso di ciò che la Chiesa insegna, a partire almeno dal IV secolo, quando dice che Maria Santissima fu vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto. Questa fede fu espressa solennemente, nei tempi recenti, dal Papa Paolo VI, quando nel “Credo del Popolo di Dio” (29-6-1968) proclamò solennemente: «Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre vergine, del Verbo Incarnato, il nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo».
Quindi la Chiesa insegna sulla verginità di Maria le seguenti verità rivelate: a) l’assoluta e perpetua integrità corporale della Vergine; b) la verginità della sua anima, cioè la piena ed esclusiva unione sponsale della sua anima con il Signore. E, da parte sua, il dogma della fede cattolica suppone: a) che Maria concepì miracolosamente e verginalmente per l’onnipotenza divina, per cui Gesù non ebbe un padre umano; b) che diede alla luce il Figlio senza lesione della sua integrità corporale; c) che dopo la nascita di Gesù Maria rimase vergine durante tutta la sua vita terrena.

b) Verità molto complessa

Alla luce delle tesi specifiche della Predestinazione, della Maternità e dell’Immacolata Concezione, Duns Scoto, sulla scia dei Padri, afferma che la Verginità costituisce per Maria come la disposizione immediata alla grazia e come il segno della divinità del Cristo, per questo sostiene l’ipotesi del voto assoluto di verginità e interpreta lo sposalizio con Giuseppe come vero matrimonio.
La complessità della verità è data non solo dai tre momenti dell’ante partum, in partu e post partum, ma anche dalle situazioni esistenziali in cui Maria si è venuta a trovare specialmente in ordine al voto di verginità e al suo matrimonio con Giuseppe. Di fronte a questa complessità, Duns Scoto non entra in merito ex professo, ma accetta la verità nel suo insieme, perché una “verità rivelata esplicitamente dalla Scrittura e proclamata dalla Chiesa appartiene alla sostanza della fede” , e cerca di spiegarla espressamente alla luce dei suoi principi ermeneutici, specialmente in difesa del “voto” e del “matrimonio” della Vergine Maria.

c) Il voto di verginità di Maria

Il voto di verginità di Maria entra nel terzo momento della verità dogmatica, cioè nel post partum, come sua volontà a voler conservare l’integralità totale della sua persona. Nell’interpretare l’episodio dell’annunciazione “Concepirai e dari alla luce un Figlio” .“Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”, Duns Scoto afferma chiaramente che Maria ha voluto esprimere il suo “voto assoluto” di restare vergine per sempre, perché l’espressione “non conosco uomo” implica chiaramente la volontà di non conoscerlo neppure in futuro, altrimenti non era il caso di chiedere spiegazione. La domanda fu posta perché aveva fermamente deciso di far voto e di mai voler conoscere uomo; onde la risposta dell’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te...” .
Il succo dell’episodio della verginità totale, comprensiva del voto assoluto di Maria, viene indirettamente convalidato anche dall’interpretazione del primo Dottore della scuola francescana, Antonio da Padova, che, nel secondo sermone mariano dell’Annunciazione, identifica il “picchetto”, con il quale si chiude l’ingresso della tenda, con “la verginità di Maria”, secondo il testo sacro: “Questa porta rimarrà chiusa: non verrà aperta, nessun uomo la passerà, perché c’è passato il Signore” . Simpatica interpretazione allegorica!

d) Il matrimonio con Giuseppe

Anche a questo delicato problema del matrimonio tra Maria e Giuseppe, Duns Scoto offre la sua geniale interpretazione tendente a salvare sia il voto di verginità di Maria e sia la validità dello stesso matrimonio. E’ una questione sia teologica che giuridica: l’una perché implica l’azione dello Spirito Santo che pone Maria in una condizione privilegiata di verginità assoluta; e l’altra perché comporta dei chiarimenti circa un matrimonio valido, rato ma non consumato. Il problema sostanzialmente si pone in questi termini: è valido un matrimonio con un voto di castità assoluto di uno dei coniugi?
Con la sua proverbiale sottigliezza, è bene ascoltare direttamente Duns Scoto: “Nel contratto matrimoniale il mutuo dono dei corpi per la copula è sottoposto a una implicita condizione, cioè se venga richiesto. Perciò contranggono realmente matrimonio coloro che lo contraggono col proposito di fare immediatamente dopo il voto di castità. Questa condizione non pregiudica il voto di castità anche dopo il contratto matrimoniale, se quella condizione non viene posta in opera. Quindi, se vi è la semplice certezza che essa non verrà esercitata, il contratto matrimoniale non pregiudica in nessun modo il voto di castità. Nel nostro caso vi fu tale certezza”.
“Onde l’informazione a Giuseppe in Matteo ‘Non temere di prendere Maria in moglie tua’. A maggior ragione e con grande certezza, si deve ammettere che anche Maria, prima di promettersi a Giuseppe, fu resa sicura non temere di prendere Giuseppe uomo giusto come tuo marito. Ecco che lo Spirito Santo te lo darà come custode e testimone della tua verginità, perché come te è impegnato con voto alla continenza e ti aiuterà in molti modi idonei alla custodia della verginità. Non c’è da meravigliarsi per questa supposizione, poiché quanto accade a Giuseppe con l’apparizione dell’angelo aveva la sua motivazione in Maria, che concepì immediatamente in modo misterioso e miracoloso l’Unigenito Figlio di Dio” .
Mentre l’acume di Duns Scoto cerca in tutti i modi di conciliare le due tesi, e ci riesce abbastanza bene, le interpretazioni degli altri invece non assicurano tale possibilità. Alcuni autori, infatti, sono favorevoli alla validità del matrimonio, ma interpretano il voto in modo “condizionato” se piace a Dio; altri accettano il voto assoluto, ma attenuano il consenso matrimoniale, interpretandolo vagamente come relazione amicale .

3. Terza tesi: la mediazione di Maria

a) Il significato di mediazione

Come non mai il principio marialogico fondamentale di Duns Scoto produce i suoi frutti abbondanti e ubertosi come nell’interpretare la “mediazione” di Maria. E’ il primato assoluto di Cristo che fonda l’origine del concetto di mediazione, nel senso che può collegare i due estremi dell’esistenza, quella infinita e quella finita. La funzione di mediatore è svolta da Cristo proprio in quanto Cristo, cioè Dio e Uomo, e non in quanto solo Dio o in quanto solo Uomo. La mediazione di Cristo, perciò, nasce e si sviluppa soltanto in forza della sua unione ipostatica, che lo rende perfetto Mediatore tra Dio e uomo, perché egli stesso congiunge in sé Dio e Uomo.
Benché riconosciuta da tutti, la mediazione non viene né può essere spiegata allo stesso modo. La risposta dipende come è ovvio dal modo come viene intesa la predestinazione di Cristo e quindi il suo primato, se in senso relativo o in senso assoluto. In ordine a Dio, il concetto di Mediatore è sempre relativo, perché l’Incarnazione dipende da un decreto libero di Dio. Il problema nasce quando viene considerata in ordine alle creature. E cioè: la necessità della mediazione di Cristo nasce con la stessa esistenza delle creature oppure è susseguente alla loro esistenza? La necessità della mediazione in altri termini è connaturale con le creature oppure è posteriore, per porre rimedio a un disordine morale? E’ assoluta o relativa?
Le risposte sono due. Dipendono dal modo come si interpreta il concetto della predestinazione di Cristo. L’una, sostiene la necessità della mediazione di Cristo soltanto in modo relativo, perché considera l’esistenza di Cristo dipendente dal peccato di Adamo. La risposta scotista, invece, afferma la necessità assoluta della mediazione di Cristo, perché considera l’Incarnazione indipendente dal peccato.
Soltanto in un passo biblico, quello della prima lettera a Timoteo, Cristo viene esplicitamente dichiarati di essere “l’unico mediatore tra Dio e gli umini”: «Uno solo, infatti, è Dio e uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» . Questo testo sembra faccia da cerniera tra Romani 3, 30 e Efesini 4, 6, che fondano l’universalità della salvezza nell’unità di Dio, e tra Galati 3, 12-19 e 2 Corinzi 5, 14, che la fondano invece nell’unico uomo Cristo Gesù.
In Duns Scoto i termini “mediator” e “redemptor” sono usati non solo come sinonimi ma anche come endiadi e rafforzativo. Afferma categoricamente che l’unico e vero Mediator tra Dio e gli uomini è solo Cristo o il suo vicario il Sacerdote , aprendo ed estendendo così la partecipazione della stessa funzione mediatrice agli altri. La mediazione di Cristo, perciò, possiede due caratteristiche fondamentali: una, di ordine naturale perché è Dio; e l’altra, di ordine morale perché possiede il sommo della grazia, e come tale è fonte unica di grazia, e, come capo della Chiesa, può liberamente partecipare ai suoi membri . In quanto partecipata, ogni forma diversa di mediazione è e sarà sempre imperfetta, perché fondata unicamente sulla grazia santificante ricevuta dalla mediazione unica e perfetta di Cristo , che per suo beneplacito vi associa altri.
La lunghezza d’onda scotista della mediazione di Cristo trova conferma ufficiale nei decreti del concilio Vaticano II, senza citare il nome di Duns Scoto! Si offre qualche esempio esemplificativo.
«Cristo, unico Mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde su tutti la verità e la grazia...Per una non debole analogia, quindi, [la Chiesa] è paragonata al mistero del Verbo incarnato...» . Il riferimento alla lettera di Paolo a Timoteo è esplicito, come esplicito è anche il concetto di Duns Scoto che considera la Chiesa come la “continuazione dell’Incarnazione”.
«I presbiteri, ... partecipi, nel loro grado di ministero, dell’ufficio dell’unico Mediatore Cristo, annunziano a tutti la divina parola. Ma soprattutto esercitano il loro sacro ministero nel culto eucaristico...» . La mediazione assoluta di Cristo si estende all’ordine episcopale sacerdotale e del popolo di Dio: tutto il sacerdozio della Chiesa è una partecipazionedell’unica mediazione dell’eterno Sacerdote, Cristo.

b) La mediazione mariana

In base al principio scotista della predestinazione delle creature alla gloria, si ricava anche il principio che quanto più la creatura è vicina alla fonte della grazia, tanto più aumenta il suo grado di mediazione. E chi più di Maria è vicina a Cristo? Proprio per questo Maria è la “piena di grazia”.
Mentre gli altri teologi, spiegando la “pienezza” di grazia come frutto di “purificazione” nel seno materno e conseguenza della “concezione” del Cristo, che, assicurano a Maria l’esenzione dal peccato attuale e la volontà di non peccare, le riconoscono la funzione di mediatrice; Duns Scoto, invece, in forza del primato di Cristo e del relativo corollario mariano, fonda la mediazione di Maria direttamente sul privilegio dell’Immacolata e, quindi, della sua Maternità verginale, che costituisce il massimo della grazia di benevolenza che una creatura può ottenere e sopportare. Difatti, scrive Duns Scoto: “nella concezione del Figlio suo, Maria ebbe quella pienezza di grazia, che Dio dispose che a lei arrivasse” . Onde è logico pensare che Cristo ha voluto scegliere la Madre a sua collaboratrice, come si evince storicamente dal suo “consenso” che attualizza il piano divino, l’abilitandola definitivamente anche all’ufficio di “Mediatrice”.
Dottrina che trova vasta eco nel capitolo III della Lumen Gentium dedicato alla Beata Vergine Maria Così, per es., si può leggere: «Uno solo è il nostro Mediatore secondo le parole dell’Apostolo: “Non vi è che un solo Dio, uno solo anche è il Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che per tutti ha dato se stesso quale riscatto” . La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia... Poiché ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini, non nasce da una necessità, ma dal beneplacito di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di Lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia...» . Si è certi, quindi, che ogni mediazione, anche quella di Maria Vergine, si riduce, in definitiva, alla mediazione dell’unico vero mediatore, Cristo Gesù.

4. Quarta tesi: il culto a Maria

a) Significato di culto

Per “culto”, in genere, si intende quella forma di riverenza che si presta a un essere superiore sia per la sua intrinseca dignità sia per i benefici che lo stesso elargisce a colui che lo venera. Tradizionalmente la differenziazione del culto religioso secondo le esigenze della gerarchia dei valori che esso concerne è stata espressa con la triplice distinzione di: a) latria, o vera adorazione, dovuta a Dio solo; b) dulia, o semplice venerazione, dovuta ai Santi che vengono riveriti, amati e invocati in riferimento a Dio; c) iperdulia, o venerazione speciale, dovuta a Maria per la sua singolarità di Madre Immacolata del Verbo incarnato.
La manifestazione della forma di culto si compie con atti interni e con atti esterni. Ora, “tra gli esseri, -scrive Duns Scoto - solo Dio è il supremo Signore, mentre qualsiasi altra creatura è dipendente nel suo essere e come tale deve prestare il suo massimo riconoscimento e ossequio al datore del suo essere, cioè a Dio” . E subito dopo afferma che “è giusto e razionale che la creatura intelligente senta l’obbligo morale non solo a riconoscere il suo Signore ma anche a riverirlo [con il culto di latria]” .
La massima espressione di culto di latria può essere di due forme: “assoluto superlativo” ed è riservato unicamente a Dio, Uno e Trino, che solo Cristo può offrire a Dio; e “assoluto relativo” ed è il culto attribuito a Cristo. In Cristo, infatti, non si adora né l’umanità sola né la divinità sola, ma tutto il Cristo: vero Dio e vero Uomo. L’adorazione a Cristo, benché parta dall’umanità - quid relativum - tuttavia termina sempre nella sua divinità - quid absolutum. E così è salva la vera “ragione” del culto di latria che riguarda sempre la divinità e non nella umanità di Cristo; tuttavia l’umanità di Cristo non può essere esclusa dallo stesso culto di latria, a causa della sua unione ipostatica con Verbo.

b) Il culto alla Vergine Maria

Quando la dignità o eccellenza è soltanto partecipata alla persona del culto, allora la forma di culto è del tutto relativa e si chiama di dulia, e viene tributato ai santi. In questa forma di culto si inserisce la questione del culto da attribuire alla Vergine Maria, che Duns Scoto afferma esplicitamente essere di iperdulia: “Si deve onorare Maria con culto di iperdulia”. La comprensione di tale affermazione richiede alcune precisazioni intorno allo stesso concetto del culto: 1) il culto cresce in proporzione alla dignità della persona cui viene prestato o tributato; 2) la dignità della stessa persona dipende dal grado di grazia che riceve per partecipazione e per il quale si avvicina all’essere divino, l’unico depositario della dignità per eccellenza.
In virtù della sua maternità divina, Maria Vergine si trova al sommo grado di grazia, subito dopo quello di Cristo e al di sopra di quello di qualsiasi altra creatura, angelo compreso. Per tale posizione di grazia, anche la forma di culto si distingue da quella di Cristo come da quella degli altri beati. Difatti, in rapporto al culto di latria, dovuto solo a Dio e a Cristo, esso è specificatamente diverso; in rapporto al culto di dulia, dovuto alla semplice creatura, è solo di grado superiore. Lo stesso termine di iperdulia, con cui viene chiamato il culto riservato alla Madonna, non fa che indicare da un lato la superiorità verso quello di dulia, e dall’altro l’inferiorità verso quello di latria. Per cui Duns Scoto definisce il culto di iperdulia come l’estrema riverenza e il “sommo ossequio prestato a una creatura” .
In ogni forma di culto si possono distinguere due motivi di venerazione: l’uno riguardante la dignità intrinseca della persona; e l’altro i benefici che provengono all’adorante. Per quanto riguarda il culto di “iperdulia”, il Dottore Sottile ha precisato sia l’aspetto intrinseco, fondato sulla grazia, e sia l’aspetto estrinseco, dovuto ai benefici. La forma del culto di iperdulia deve la sua “eccellenza” al titolo e alla verità dell’Immacolata, che dà tono a tutto il culto in onore della Madonna.
Da una simile dottrina, è facile il passaggio alla determinazione della vera natura del culto mariano, che è di “iperdulia”, ossia superiore al culto di qualsiasi altro beato, singolarmente o collettivamente preso, ed inferiore solo al culto dovuto a Cristo e a Dio; ed è agevole estendere il “supremo ossequio” a tutti gli istanti dell’esistenza di Maria Vergine, anche al ”primo istante” della sua concezione. E’ questo il momento che segna il fastigio dell’eccellenza di Maria Vergine. Al primo istante, infatti, si abbinano i due fattori che danno vita al culto: l’uno negativo, consistente nella speciale redenzione dalla macchia del peccato originale e sia dalla mancanza della potenza di peccare; e l’altro positivo, consistente nell’infusione della massima grazia. Giustamente, quindi, il titolo della verità dell’Immacolata costituisce il punto fisso del culto a Maria Vergine nella Chiesa.
L’altro elemento, che accentua la natura del culto di iperdulia, è estrinseco alla persona cui il culto è diretto, e consiste nei benefici che ne provengono. Quanto più questi sono grandi, tanto più gli obblighi verso la persona venerata crescono. Ora, quali e quanti siano questi benefici, basti pensare al contenuto della dottrina della “mediazione di Maria”, secondo il principio scotiano che Cristo ha trasmesso alla Madre tutta la sua grazia, da cui deriva all’uomo ogni dono, ogni bene e la totalità della salute spirituale. In altre parole: se Cristo ha dato il diritto di chiamare sua Madre, nostra Madre e di tenerla come tale, ha imposto anche il “dovere” di amarla e venerarla come lui stesso l’ha amata e onorata. In questa prospettiva scotiana, il culto di iperdulia acquista veramente la caratteristica di “somma riverenza a una semplice creatura”.

CONCLUSIONE

Al termine di questa veloce presentazione dei tratti più caratteristici della mariologia di Duns Scoto, che portano a naturale perfezionamento tutta la tadizione precedente francescana, al di là del giudizio che possa venir fatto del suo genio teologico, piace concludere con Pohle quando scrive: «Anche se il Dottor sottile e la sua scuola non avesse guadagnato nessu’altro merito nelle cose di fede, se non quello della prospera e fortunata difesa e documentazione del dogma dell’Immacolata Concezione, solo questo fatto glorioso sarebbe sufficiente per riconoscergli nella storia e nel consiglio della divina Provvidenza un posto imperituro», cioè nella santità e nel dottorato.

Giovanni Lauriola ofm

FONTE (http://www.centrodunsscoto.it/articoli/DScoto%20Madon.pdf)

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Augustinus
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CHI E' GIOVANNI DUNS SCOTO

1 - L'ideale di Francesco d'Assisi e Duns Scoto

È un francescano che ha seguito e sistemato scientificamente l'ideale di Francesco d'Assisi.

Francesco d'Assisi è tutto un programma di vita. Il suo ideale emana un fascino così particolare che viene percepito e colto soltanto da persone squisitamente sensibili e d'animo generoso. L'origine di tale fascino affonda le radici nell'esperienza concreta di vivere le esigenze più profonde e genuine della Parola di Dio, cioè Cristo.

La novità della spiritualità di Francesco d'Assisi consiste proprio nell'aver scelto e preso Cristo come fratello e amico, presente in ogni persona, amandolo di amore appassionato e libero. Il suo amore per Cristo è stato così fertile da fecondare non solo la stessa persona di Francesco con il dono delle stimmate, sulla Verna, ma la stessa storia umana. Francesco, infatti, è diventato per la Chiesa e per il mondo un alter Christus che porta libertà e speranza al cuore dell'uomo, assetato di pace, serenità, giustizia e amore, contribuendo così al crescere della società.

Qual è il segreto del successo di Francesco?

La risposta non può essere che Cristo. Cristo diventa la vera chiave di volta dell'esperienza di Francesco, del suo ideale e del suo successo. La storia di ogni giorno, dopo otto secoli, porta segnata l'impronta della vita del Poverello di Assisi.

Il fascino dell'ideale di Francesco d'Assisi, ancor vivendo lui, si diffonde subito e facilmente non solo attraverso le regioni italiche, ma anche in quelle europee, l Francia, la Germania, la Spagna, il Portogallo, l'Inghilterra ecc., dando vita a una delle più popolari forme di evangelizzazione e di presenza cristiana nella storia.

In Inghilterra, per esempio, la presenza dei francescani risale - secondo la Cronaca di Tommaso da Eccleston - al 1224, cioè a un anno dopo l'approvazione della Regola da parte di Onorio III a due anni prima della morte del Serafico Padre.

Religiosamente la provincia francescana dell'Inghilterra abbracciava anche la Scozia, dove i Frati Minori trovarono una positiva e una facile espansione.

2 - Schizzo biografico di Giovanni Duns Scoto

La Scozia è la patria del francescano Giovanni Duns, soprannominato Scoto. Paese affascinante che armonizza nella sua natura tutti i contrasti più selvaggi e i suoi paesaggi più ameni.

In uno di questi luoghi, Duns , tra la fine del 1265 e l'inizio del 1266, nasceva un bimbo nella casa di Niniano Duns -omonimia tra luogo e cognome - a cui venne dato il nome di Giovanni.

A ricordo di questo evento, un ceppo marmoreo ne ricorda il posto dal 17 marzo 1966, mentre un busto di bronzo nei giardini pubblici ne conserva il ricordo ai posteri.

A soli 15 anni, veste il saio francescano e sperimenta personalmente l'ideale di Francesco d'Assisi, abbracciandolo con grande entusiasmo e con profonda convinzione.

Il silenzio della storia, in quest'anno di prova religiosa, è sovrano e solenne. Tutto sembra presagire che il giovane novizio si sia lasciato inebriare e affogare dall'amore di Dio, rivelato in Cristo Gesù, mediante la Vergine Madre. È un anno di grazia speciale e di esperienza mistica.

È nella notte del Natale 1281, quando Giovanni si preparava alla professione religiosa, che bisogna collocare l'episodio della dolce apparizione del Bambino Gesù tra le sue braccia, come segno del profondo suo amore verso la Vergine Madre.

Profetico auspicio o logica deduzione?

Tutti e due insieme. Poesia e teologia, mistica e metafisica si baciano in questo presagio di ineffabile grazia. La sua dottrina sul primato di Cristo e sull'immacolata Concezione ne fa fede.

Terminati gli studi istituzionali che consentono di accedere al sacerdozio, il 17 marzo 1291, nella chiesa di S. Andrea a Northampton, Giovanni Duns Scoto riceve dal vescovo di Lincoln, Oliverio Sutton, l'ordine sacro. Aveva 25 anni compiti.

Per le sue ottime qualità intellettive e spirituali viene designato dai Superiori a frequentare il corso dottorale nella celebre Università di Parigi, ritenuta da tutti la "culla" e la "metropoli" della filosofia e della teologia in Occidente.

Avrebbe dovuto conseguire il titolo accademico di Magister regens, nel 1303, ma la triste controversia tra il re di Francia, Filippo il Bello, e il papa Bonifacio VIII, ne ritarda il conseguimento nella primavera del 1305, quando le acque si erano momentaneamente calmate.

La politica egemonica di Filippo il Bello aveva orientato verso di sé la quasi totalità dell'opinione pubblica francese. Ne è segno tangibile la spaccatura che si registra nello Studium generale francescano di Parigi: gli "appellanti" (84 firmatari) erano favorevoli al Re; mentre i "non-appellanti" (87 firmatari), al Papa. Nella lista dei "non-appellanti", il nome di Giovanni Duns Scoto figura la tredicesimo posto.

La posta in gioco era molta alta. Ai "non-appellanti" veniva aperta la via dell'esilio con la confisca dei beni e la cessazione di ogni attività accademica. E Giovanni Duns Scoto, fedele alla Regola di Francesco d'Assisi, che raccomanda amore rispetto e riverenza al "Signor Papa", il 25 giugno del 1303 prende la via dell'esilio, dimostrando profonda fede e grande coraggio.

Nel novembre 1304, il Ministro Generale dei Frati Minori, fr. Gonsalvo di Spagna, raccomanda, al superiore dello Studium di Parigi, Giovanni Duns Scoto per il Dottorato, con queste parole:

«Affido alla vostra benevolenza il diletto padre Giovanni Scoto, della cui lodevole vita, della sua scienza eccellente e del suo ingegno sottilissimo, come delle altre virtù, sono pienamente informato sia per la lunga esperienza sia per la fama che dappertutto egli gode».

Così il 26 marzo del 1305, Giovanni Duns Scoto riceve l'ambìto titolo di magister regens che gli permetteva di insegnare ubique e rilasciare titoli accademici. Ha goduto del titolo solo tre anni: due a Parigi e uno a Colonia.

Dell'insegnamento parigino merita segnalare la storica disputa sostenuta nell'Aula Magna dell'Università (di Parigi), nei primi mesi del 1307, sulla Immacolata Concezione.

I pochi mesi trascorsi a Colonia, invece, sono molto intensi e ricchi di attività: riorganizza lo Studium generale e combatte l'eresia dei Beguardi e delle Beghine (che negavano ogni autorità alla Chiesa, ogni valore ai Sacramenti, alla preghiera e alle opere di penitenza).

L'intensa attività di lavoro, insieme alle conseguenze del viaggio da Parigi, mina la robusta costituzione e l'8 novembre 1308, Giovanni Duns Scoto entra nella pace del Signore, all'età di 43 anni.

Attualmente l'urna delle ossa del Beato Giovanni Duns Scoto è situata al centro della navata sinistra (guardando dall'ingresso) nell'elegante e semplice sarcofago di marmo grigio della chiesa francescana di Colonia. Tra i tanti motivi decorativi, è riprodotta l'antica iscrizione:

Scotia me genuit

Anglia me suscèpit

Gallia me docuit

Colonia me tenet

La primitiva iscrizione tombale così recitava:

«È chiuso questo ruscello, considerato fonte viva della Chiesa;

Maestro di giustizia, fiore degli studi e arca della sapienza.

Di ingegno sottile, della Scrittura i misteri svela,

In giovane età fu [rapito al cielo], ricordati dunque, di Giovanni.

Lui, o Dio, ornato [di virtù] fa che sia beato in cielo.

Per un [così gran] Padre involato inneggiamo con cuore grato al Signore.

Fu [Duns Scoto] del clero guida, del chiostro luce e della verità [apostolo] intrepido».

La sua tomba a Colonia è mèta di continui pellegrinaggi. Anche l'attuale Pontefice ha sostato in preghiera il 15 ottobre 1980, chiamandolo "torre spirituale della fede".

Dopo la pubblicazione del Decreto di Canonizzazione del servo di Dio Giovanni Duns Scoto, sacerdote dei Frati Minori (6 luglio 1991), il Santo Padre Giovanni Paolo II ne Conferma il Culto il 20 marzo 1993, nella Basilica di S.Pietro.

3 - BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SU DUNS SCOTO

Pur nella brevità di vita e nella molteplicità dei viaggi, Giovanni Duns Scoto ha consegnato alla storia una produzione scientifica abbastanza consistente, sia per quantità che per qualità.

Ha scritto numerose opere di filosofia e di teologia. Tra quelle filosofiche spiccano le Quaestiones super Metaphysicam Aristotelis e il trattato De primo rerum omniumPrincipio, che è un vero gioiello di ricerca e di contemplazione della verità assoluta o Dio.

Viene utilizzato con evidenza, in questo trattato, la metodologia dello "studiare pregando" e del "pregare studiando", tradotto del Centro Personalista Giovanni Duns Scoto di Castellana Grotte (Bari) nel motto "Cogita et ora" e "Ora et cogita".

Le opere teologiche sono designate in tre modi diversi: la Lectura indica il primo nucleo di lezioni da sviluppare durante l'insegnamento; la Reportatio riguarda gli scritti composti dai discepoli, il cui contenuto è desunto dal vivo insegnamento del Maestro e da lui rivisti; l'Ordinatio contiene il testo scritto personalmente da Duns Scoto e preparato per la pubblicazione. L'Ordinatio è il capolavoro di Duns Scoto.

La prima edizione completa delle opere di Giovani Duns Scoto risale al 1639, ad opera del famoso storico francescano Luca Wadding, in 12 volumi in quarto, e ristampata a Lione. La ristampa è stata curata da Ludovico Vivès, in 26 volumi in ottavo, e stampata a Parigi dal 1891 al 1895; edizione ristampata anastaticamente dall'editore Olms, a Hildeschein nel 1986.

Dal 1950, finalmente, è a disposizione degli studiosi l'edizione critica, edita dalla Città del Vaticano a cura di P. Carlo Balic. Fino ad oggi sono usciti soltanto 11 volumi, un terzo dell'intera opera.

Il Centro "Duns Scoto", diretto da Lauriola Giovanni, in occasione del giubileo del 2000, ha ideato una editio minor dell'Opera Omnia in 3 volumi in 5 tomi.

A - OPERE AUTENTICHE DI GIOVANNI DUNS SCOTO

I - Scritti filosofici

1. Super universalia Porphyrii

2. In librum Praedicamentorum quaestiones

3. Quaestiones in I e II librum Perihemeneias Aristotelis

4. In duos libros Perihermeneias.

5. In libros Elenchorum Aristotelis quaestiones

6. Quaestiones super libros Aristotelis De anima

7. Quaestiones subtilissimae super libros Metaphysicorum Aristotelis

II - Scritti teologici

1- Quaestiones in I librum Sententiarum. [Si conoscono 8 forme: Ordinatio, Lectura, Additiones Magnae; le Reportatio A, B, C, D, E (inedite)].

2- Quaestiones in II librum Sententiarum . [Si conoscono 4 forme: Ordinatio, Lectura, Reportatio; le Additiones ( inedite)].

3- Quaestiones in III librum Sententiarum . [Si hanno 6 forme: Ordinatio, Lectura (inedita), Reportatio A, e Reportatio B, C, D (inedite).

4). Quaestiones in IV librum Sententiarum.[Si conoscono 3 forme: Ordinatio, Reportatio A, Reportatio B].

III - Scritti di vario contenuto

1. Quaestiones quodlibetales

2. Collationes

3. Tractatus de primo principio

4. Theoremata.

B - OPERE NON AUTENTICHE O RITENUTE TALI DI DUNS SCOTO

1. De grammatica speculativa [Thomas Erfordiensis].

2. In librum I et II Priorum Analyticorum Aristotelis.

3. In librum I et II Posteriorum Analyticorum Aristotelis [Iohannes de Cornubia].

4. In VIII libros Physicorum [Marsilio de Inghen].

5. Quaestiones Meteorologicae, libri IV.

6. De rerum principio quaestiones [Vitale del Forno].

7. Tractatus de cognitione Dei.

8. Quaestiones miscellaneae de formalitatibus.

9. Expositiones in Metaphysicam Aristotelis [Antonio di Andrea].

10. Conclusiones utilissimae Metaphysicae [Gonsalvo di Spagna].

11. De perfectione statum.

C - EDIZIONI DELL'OPERA OMNIA DI GIOVANNI DUNS SCOTO

I - Opera Omnia, studio et cura Commissionis Scotisticae ad fidem codicum edita, Civitas Vaticana 1950 et seqq. In 4°. [Edizione critica. Volumi editi]:

1. De ordinatione Ioannis Duns Scoti disquisitio historico-critica.

Prologus totius operis, 1950, pp. XVI-330*-302.

2. Ordinatio, liber I, distinctiones 1-2, 1950, pp. XIV-468.

3. Ordinatio, liber I, distinctio 3, 1954, pp. XIV-428.

4. Ordinatio, liber I, distinctiones 4-10, 1956, pp. XII-48*-442.

5. Ordinatio, liber I, distinctiones 11-25, 1959, pp. XVIII-476.

6. Ordinatio, liber I, distinctiones 26-48, 1963, pp. XII-30*-556.

7. Ordinatio, liber II, distinctiones 1-3, 1973, pp. 10*-652.

[Volumi 8-15 in preparazione].

16. Lectura in librum I Sententiarum. Prologus et Distictiones 1-7, 1960, pp. XIV-554.

17. Lectura in librum I Sententiarum. Distictiones 8-45, 1966, pp. XIV-20*-640.

18. Lectura in librum II Sententiarum. Distictiones 1-6, 1982, pp. XVIII-424.

19. Lectura in librum II Sententiarum. Distictiones 7-44, 1993, pp. XXII-78*-460.

[Volumi 20-30 in preparazione].

II - Opera Omnia, edizione a cura di Luca Wadding, Lugduni 1639, in 12 volumi in folio, ristampata da Ludovicus Vivés, Paris 1891-1895, in 26 volumi, in 16°.

1. Tractatus de modis significandis, sive Grammatica speculativa (pp.1-50). ( 51-435) Super universalia Porphyrii quaestiones acutissimae (pp. 51-435). (pp. 437-538). In librum Praedicamentorum quaestiones (pp. 437-538). I et II Perihermenias quaestiones (pp. 539-579).In duos libros Perihermenias (pp. 581-601).

2. In libros Elenchorum Aristotelis quaestiones (pp. 1-50). In librum I et II Priorum analyticorum Aristotelis quaestiones (pp. 81-197). In libros I et II Posteriorum Analyticorum quaestiones (pp. 199-347).

3. In VIII libros Physicorum Aristotelis quaestiones (1-470). Quaestiones super libros Aristotelis De anima (pp. 471-642). Supplementum in libro De anima (pp. 643-777).

4. Metereologicorum libri quatuor (pp. 1-263). Quaestiones disputatae De rerum principio (pp. 264-717). De primo rerum omnium principio tractatus (pp. 719-799).

5. Theoremata subtilissima ad omnes scientias speculativas, physicam e theologiam maxime necessarria (pp. 1- 128). Collationes (129-317). De cognitione Dei. Tractatus imperfectus (pp. 318-337). Quaestiones miscellaneae de formalitatibus (pp. 338-432).

6. In XII libros Metaphysicorum Aristotelis espositio (pp. 1-600). Conclusiones utilissimae ex XII libros Metaphysicorum Aristotelis (pp. 601-667).

7. Quaestiones subtilissimae super libros Metaphysicorum Aristotelis (pp. 1-712).

8-10. Quaestiones in I librum Sententiarum.

11-13. Quaestiones in II librum Sententiarum.

14-15. Quaestiones in III librum Sententiarum.

16-21. Quaestiones in IV librum Sententiarum.

22-24. Reportata Parisiensia libros I-IV.

25-26. Quaestiones quodlibetales.

III - Opera Omnia, di Luca Wadding, Lugduni 1639, ristampa anastatica a cura di George Olms, Hildesheim (Germania) 1968-1969, in 12 volumi e 16 tomi, in 16°.

1. Vita di Duns Scoto di Luca Wadding.Testimonianze di uomini illustri sugli scritti di Scoto. Grammatica speculativa. In universam Logicam quaestiones. Maurizio a Portu expositio super quaestiones Scoti in Porphyrium, pp. XII-20*-644.

2. Commentaria in octo libros Physicorum. Quaestiones in libros de Anima, pp. 12*-704.

3. Tractatus de rerum principio.Tractatus de primo principio. Tractatus Theorematum. Collationes viginti tres. Collationes quatuor noviter additae. Tractatus de cognitionis Dei. Quaestiones Miscellaneae. Meteorologicorum libri quatuor, pp. XVII-504-VI-130.

4. Expositio in Metaphysicam. Conclusiones Metaphysicae. Quaestiones in Metaphysicam, pp. XIV-884.

5/1. Libri primi Sententiarum distinctiones 1-7, pp. XIV-704.

5/2. Libri primi Sententiarum distinctiones 8-42, pp. IV-705-1424.

6/1. Libri secundi Sententiarum distinctiones 1-6, pp. X-548.

6/2. Libri secundi Sententiarum distinctiones 7-44, pp. IV-553-1106.

7/1. Libri terzii Sententiarum distinctiones 1-25, pp. XII-622.

7/2. Libri terzii Sententiarum distinctiones 26-40, pp. IV-623-1086.

8. Libri quarti Sententiarum distinctiones 1-13, pp. XXIV-892.

9. Libri quarti Sententiarum distinctiones 14-42, pp. XVIII-874.

10. Libri quarti Sententiarum distinctiones 43-50, pp. XVI-692.

11/1. Reportata Parisiensia libri tres,[I, dd.1-43; II, dd.1-44; III, dd.1-35], pp. XVIII-554.

11/2. Reportata Parisiensia liber quartus, [IV, dd. 49], pp. IV-557-984.

12. Quaestiones Quodlibetales, pp. VIII-638.

IV - Opera Omnia in editio minor (a cura di Giovanni Lauriola), AGA - Alberobello (BA), 1998-2000, in 3 volumi e 5 tomi:

1. Opera Philosophica (Quaestiones In Metaphysicam - Quaestiones super libros De anima - Quaestiones super Praedicamenta - Quaestiones super Porphyrium - Quaestiones super I et II Perihermeneias - Quaestiones super Perihermeneias - Quaestiones super librum Elenchorum - Tractatus De primo principio - Teoremata )

2/1. Opera Theologica (Lectura I-II, Collationes, Quaestiones Quodlibetales)

2/2. Opera Theologica ( Reportata Parisiensia I-IV)

3/1. Opera Theologica (Ordinatio I-II)

3/2. Opera Theologica (Ordinatio III-IV)

D - PRINCIPALI REPERTORI BIBLIOGRAFICI SU DUNS SCOTO

1. Simonis S., De vita et operibus B. Jonnis Duns Scoti iuxta litteraturam ultimi decennii, in Antonianum 3 (1928) 451-484.

2. Smeets U., Lineamenta bibliographiae scotisticae, Romae 1942 (pro ms).

3. Bettoni E., Vent'anni di studi scotistici (1920-1940), Milano 1943.

4. Gieben S., Bibliographia scotistica recenrior (1953-1965), in Laurentianum 6 (1965) 492-522.

6. Schäfer O., Bibliographia de vita operibus et doctrina I. Duns Scoti Doctoris Subtilis et Mariani saec. XIX-XX, Romae 1955.

7. Schäfer O., Conspectus brevis bibliographiae scotisticae recentioris (1954-1966), in Acta Ordini Minorum 85 (1966) 531-550.

8. Bibliografia francescana, in Collectanea Franciscana 13 (1964-1973) 454-508; 14 (1974- 1980) 311-325.

E - PRINCIPALI TRADUZIONI IN ITALIANO DI DUNS SCOTO

1. Scaramuzzi D., Duns Scoto. Summula, Firenze 1932 (testo bilinque, dal 1992 edizione anastatica).

2. Bonafede G., Antologia del pensiero francescano, Palermo 1961, pp. 311-348.

3. Rossi P., (a cura di), La filosofia medievale, Bari 1963, pp. 348-371.

4. Balic C., in Grande Antologia Filosofica, Milano 1966, IV, pp. 1355-1409.

5. Di Marino, G. Duns Scoto. Antologia filosofica, Napoli 1966.

6. Coccia A., G. Duns Scoto. L'uomo di fronte all'Infinito, Palermo-Roma 1969.

7. Scapin P., Il primo principio degli esseri, Roma 1968.

8. Scapin P., Il primo principio degli esseri, Padova 1973 (testo bilingue).

9. Todisco O., La ragione nella fede secondo Duns Scoto, Roma 1978, pp.133-210.

10.Todisco O., G. Duns Scoto filosofo della libertà, Padova 1996 (testo bilingue).

11. Lauriola G., Duns Scoto. Antologia, Alberobello 1996, (testo bilingue).

F - ATTI DEI CONGRESSI SCOTISTICI INTERNAZIONALI

De doctrina Joannis Duns Scoti. Acta Congressus Scotistici Internationalis, Oxonii et Edimburgi 11-17 septempris 1966 celebrati. Cura Commissionis Scotisticae, Romae 1968:

1. Vol. I. Documenta et studia in Duns Scotum introductoria, pp. XX-438.

2. Vol. II. Problemata philosophica, pp. VIII-747.

3. Vol. III. Problemata theologica, pp. X- 806.

4. Vol. IV. Scotismus decursus saeculorum, pp. X-844.

5. Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta terzii Cong. Scot. Int., Vindebonae 28 spt.- 2 oct. 1970, cura C. Bérubé, Romae 1972, pp. VIII-776.

Regnum hominis et regnum Dei. Acta quarti Cong. Scot. Int., Paduae 24-29 spt. 1976, cura C. Bérubé, Romae 1978:

6. Vol. I. Sectio generalis, pp. IV-658 [esaurito].

7. Vol. II. Sectio specialis. La tradizione scotistica veneto-padovana, pp. 397.

8. Homo et mundus. Acta quinti Cong. Scot. Int., Salamanticae 21-26 sept. 1981, cura C. Bérubé, Romae 1984, pp. 578.

9-10. Via Scoti. Methodologica ad mentem I. Duns Scoti. Acta [sesti] Cong. Scot. Int., Roma 9-11 marzo 1993, a cura di L. Sileo, Roma 1995, vol. I. X-570; vol. II. 650.

G - PUBBLICAZIONI DEL CENTRO STUDI PERSONALISTI "G. DUNS SCOTO"

(diretto da Giovanni Lauriola)

1. Il cantore dell'lmmacolata. G. Duns Scoto, Putignano 1990, pp. 95. [Esaurito].

2. Profilo di Duns Scoto, Putignano 1990, pp. 120. [Esaurito].

3. Giovanni Duns Scoto. Biografia, Putignano 1991, pp. 96. [Esaurito].

4. Giovanni Duns Scoto: recenti documenti, Monopoli-Roma 1992, pp. 108.

5. Giovanni Duns Scoto, Bari 1992, pp. 300. (Atti del I Convegno Scotistico Internazionale , Sepino 28-31 luglio 1991).

6. Scienza Filosofia e Teologia, Bari 1993, pp. 320. (Atti del II Convegno Scotistico Internazionale, Sepino 28-31 luglio 1992)

7. Antpopologia ed Etica politica, Bari 1994, pp. 300. (Atti del III Convegno Scotistico Internazionale, Sepino 27-30 luglio 1993).

8. La pace come impegno, Bari 1994, pp. 300. (Atti del IV ConvegnoScotistico Internazionale, Gerusalemme 10-13 maggio 1994).

9. Scienza e filosofia della persona. (Atti del V Convegno Scotistico Internazionale, Castellana Grotte 23-26 novembre 1995), in preparazione.

10. Introduzione al pensiero di G. Duns Scoto, Bari 1995, di A.G. Manno.

11. Duns Scoto. Antologia, Alberobello 1995, pp. 560, (testo bilingue)

12. "Cristo ieri, oggi e sempre". Verso il Giubileo del 2000 nella luce di Duns Scoto e del Vaticano II, Alberobello 1997, pp. 150.

13. Storia e filosofia in Fr. Meinecke: dallo stato di potenza all'unità europea, Alberobello 1997 (imminente), di A. G. Manno.

14. Linguaggio umano e silenzio di Dio. (Atti del VI Convegno Scotistico Internazionale, Taurano 5-7 dicembre 1996, Alberobello 1997.

15. Scienza e Filosofia della persona in duns Scoto, (Atti del V Convegno Scotistico Internazionale, 23-26 novembre 1995)

H - PRINCIPALI STUDI NELLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO

1. Gilson E., J. Duns Scot. Introduction à ses positions fondamentales, Paris 1952.

2. Harris C.S.R., Duns Scot, London 1960.

3. Bettoni E., Duns Scoto filosofo, Milano 1966.

4. Veuthey L., Jean Duns Scoto. Pensée theologique, Paris 1967.

5. Damiata M., I e II tavola. L'etica di G. Duns Scoto, Firenze 1973.

6. Todisco O., Lo spirito cristiano della filosofia di G. Duns Scoto, Roma 1975.

7. Hoeres W., La volontà come perfezione pura, Padova 1976.

8. Todisco O., G. Duns Scoto e G. d'Occam, Cassino 1989.

9. Bonansea B., L'uomo e Dio nel pensiero di Duns Scoto, Milano 1991.

10. Zavalloni R., G. Duns Scoto. Maestro di vita e pensiero, Bologna 1992.

11. Pangallo M., La libertà di Dio in S. Tommaso e in Duns Scoto, Roma, 1992.

12. Pannenberg W., La dottrina della predestinazione di Duns Scoto, Milano 1994.

13. AA. VV., Etica e persona. Duns Scoto e suggestioni del moderno, Bologna 1994, (Atti del Convegno di Studi, Bologna 18-20 febbraio 1993, a cura di S. Casamenti).

14. AA. VV., Il B G. Duns Scoto (1308) interpreta S. Francesco, Palermo 1994, (Atti del II Corso di Formazione Giovani francescani, Carini 5-11 settembre 1993, a cura di F. Costa).

15. Veuthey L., G. Duns Scoto tra aristotelismo e agostinismo, Roma 1996, (a cura di O. Todisco).

16. Todisco O., Giovanni Duns Scoto, filosofo della libertà, ed Messaggero, Padova 1996.

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Per Ordinazioni e Informazioni rivolgersi a:

Giovanni Lauriola ofm - Convento "Madonna della Vetrana"

70013 Castellana Grotte (BA-I)

tel. 080/4965071

fax 080/4965189, 080/4961846

scoto@freemail.it

FONTE (http://www.centrodunsscoto.it/chi_e.htm)

bottero
08-11-06, 21:23
duns scoto è sicuramente un pensatore poco noto, e poco trattato anche negli studi filosofici, ma se non ricordo male a livello FILOSOFICO (parlo solo di filosofia) ebbe dei contrasti anche abbastanza accesi con il tomismo portato avanti dai domenicani o no? in fin dei conti la contrapposizione tra scuola domenicana e scuola francescana è un dato di fatto. San Bonaventura e San Tommaso d'Aquino non dicono sempre la stessa cosa, né a livello filosofico, né a livello teologico.

Augustinus
09-11-06, 15:20
duns scoto è sicuramente un pensatore poco noto, e poco trattato anche negli studi filosofici, ma se non ricordo male a livello FILOSOFICO (parlo solo di filosofia) ebbe dei contrasti anche abbastanza accesi con il tomismo portato avanti dai domenicani o no? in fin dei conti la contrapposizione tra scuola domenicana e scuola francescana è un dato di fatto. San Bonaventura e San Tommaso d'Aquino non dicono sempre la stessa cosa, né a livello filosofico, né a livello teologico.

E con ciò? :-00w09d

bottero
09-11-06, 21:05
se si parla di duns scoto come santo, è interessante anche notare che è santo MALGRADO abbia avuto problemi con la gerarchia a motivo delle sue tesi FILOSOFICHE. tutto qui.

Eugenius
09-11-06, 22:47
Mi pare che Scoto sia Beato, non Santo. E' ricordato per aver contribuito a formulare la dottrina, che è dogma di Fede contenuta nella Sacra Scrittura e Sacra Tradizione, dell'Immacolata.
Io sapevo solo che la sua filosofia non è stata mai proposta dalla Chiesa come via da seguire nei Seminari e nella scuole. Ci sono teorie assai dubbie nel suo pensiero.
E' il tomismo la filosofia fatta propria appieno dalla Chiesa. Esso è il pensiero piò coerente, convincente e completo.
Comunque è interessante il rapporto tra tomismo e scotismo. Di solito nei manuali scolastici Duns Scoto è quasi alla fine della scolastica, l'ultimo è il pensiero inaccettabile di Ockham.

CIAO :)

Augustinus
09-11-06, 23:20
se si parla di duns scoto come santo, è interessante anche notare che è santo MALGRADO abbia avuto problemi con la gerarchia a motivo delle sue tesi FILOSOFICHE. tutto qui.

Ha avuto problemi per le sue tesi filosofiche? :confused: Quando e come? :confused: Certo, alcune sue teorie filosofiche non sono in linea col tomismo. Ma con ciò?
Ad ogni buon conto, egli rimase sempre degno figlio della Chiesa e di S. Francesco :-01#44 Rimase sempre cattolico. :-01#44

bottero
10-11-06, 00:14
sto dicendo che non è un bravo figlio della chiesa?

dico solo che così a memoria (sono anni che non leggo nulla di suo) mi pareva di ricordare che a livello solo FILOSOFICO le sue tesi non fossero proprio proprio passate senza alcun problema. infatti, come ha ricordato eugenius, la sua filosofia non è mai stata utilizzata nei seminari. un motivo ci sarà.

eppure è stato fatto beato. la cosa è interessante, per me

Aganto
10-11-06, 02:27
A te, che, evidentemente, conosci la Chiesa molto superficialmente, appare un fatto "particolare".

Augustinus
10-11-06, 22:44
sto dicendo che non è un bravo figlio della chiesa?

dico solo che così a memoria (sono anni che non leggo nulla di suo) mi pareva di ricordare che a livello solo FILOSOFICO le sue tesi non fossero proprio proprio passate senza alcun problema. infatti, come ha ricordato eugenius, la sua filosofia non è mai stata utilizzata nei seminari. un motivo ci sarà.

eppure è stato fatto beato. la cosa è interessante, per me

la cosa davvero fondamentale è che sia cattolico. I suoi scritti filosofici non intaccano le verità fondamentali.
Il fatto che S. Tommaso sia studiato nei seminari ciò deriva dalla sua sistematicità. Ma comunque S. Tommaso, anche se un grande, non è il Magistero. E lo stesso dicasi per tutti i dottori della Chiesa ed anche i pensatori cattolici come il Beato Duns Scoto. :-01#44

Augustinus
07-11-07, 17:07
Bl. John Duns Scotus

Surnamed DOCTOR SUBTILIS, died 8 November, 1308; he was the founder and leader of the famous Scotist School, which had its chief representatives among the Franciscans. Of his antecedents and life very little is definitely known, as the contemporary sources are silent about him. It is certain that he died rather young, according to earlier traditions at the age of thirty-four years (cf. Wadding, Vita Scoti, in vol. I of his works); but it would seem that he was somewhat older than this and that he was born in 1270. The birthplace of Scotus has been the subject of much discussion and so far no conclusive argument in favour of any locality has been advanced. The surname Scotus by no means decides the question, for it was given to Scotchmen, Irishmen, and even to natives of northern England. The other name, Duns, to which the Irish attach so much importance, settles nothing; there was a Duns also in Scotland (Berwick). Moreover, it is impossible to determine whether Duns was a family name or the name of a place. Appeal to supposedly ancient local traditions in behalf of Ireland's claim is of no avail, since we cannot ascertain just how old they are; and their age is the pivotal point.

This discussion has been strongly tinged with national sentiment, especially since the beginning of the sixteenth century after prominent Irish Franciscans like Mauritius de Portu (O'Fihely), Hugh MacCaghwell, and Luke Wadding rendered great service by editing Scotus's works. On the other hand, the English have some right to claim Scotus; as a professor for several years at Oxford, he belonged at any rate to the English province; and neither during his lifetime nor for some time after his death was any other view as to his nationality proposed. It should not, however, be forgotten that in those days the Franciscan cloisters in Scotland were affiliated to the English province, i.e. to the custodia of Newcastle. It would not therefore be amiss to regard Scotus as a native of Scotland or as a member of a Scottish cloister. In any case it is high time to eliminate from this discussion the famous entry in the Merton College manuscript (no. 39) which would make it appear that Scotus was a member of that college and therefore a native of Northern England. The statutes of the college excluded monks; and as Scotus became a Franciscan when he was quite younger he could not have belonged to the college previous to joining the order. Besides, the entry in the college register is under the date of 1455, and consequently too late to serve as an argument.

The case is somewhat better with the entry in the catalogue of the library of St. Francis at Assisi, under date of 1381, which designates Duns Scotus's commentary on the "Sentences" of Peter Lombard as "magistri fratris Johannis Scoti de Ordine Minorum, qui et Doctor Subtilis nuncupatur, de provincia Hiberniæ" (the work of master John Scotus of the Franciscan Order known as the subtle doctor, from the province of Ireland). This, though it furnishes the strongest evidence in Ireland's favour, cannot be regarded as decisive. Since Scotus laboured during several years in England, he cannot, simply on the strength of this evidence, be assigned to the Irish province. The library entry, moreover, cannot possibly be accepted as contemporary with Scotus. Add to this the geographical distance and it becomes plain that the discussion cannot be settled by an entry made in far-off Italy seventy-three years after Scotus's death, at a time too when geographical knowledge was by no means perfect. Finally, no decisive evidence is offered by the epitaphs of Scotus; they are too late and too poetical. The question, then, of Scotus's native land must still be considered an open one. When he took the habit of St. Francis is unknown; probably about 1290. It is a fact that he lived and taught at Oxford; for on 26 July, 1300, the provincial of the English province of Franciscans asked the Bishop of Lincoln to confer upon twenty-two of his subjects jurisdiction to hear confessions. The bishop gave the permission only to eight; among those who were refused was "Ioannes Douns". It is quite certain, too, that he went to Paris about 1304 and that there he was at first merely a Bachelor of Arts, for the general of the Franciscans, Gonsalvus de Vallebona, wrote (18 November, 1304) to the guardian of the college of the Franciscans at Paris to present John Scotus at the university for the doctor's degree. The general's letter mentions that John Scotus had distinguished himself for some time past by his learning ingenioque subtilissimo. He did not teach very long in Paris; in 1307 or 1308 he was sent to Cologne, probably as a professor at the university. There he died, and was buried in the monastery of the Minorities. At the present time (1908) the process of his beatification is being agitated in Rome on the ground of a cultus immemorabilis.

Duns Scotus's writings are very numerous and they have often been printed; some, in fact, at a very early date. But a complete edition, in 12 folio volumes, was published only in 1639 by Wadding at Lyons; this, however, included the commentaries of the Scotists, Lychetus, Poncius, Cavellus, and Hiquæus. A reprint of Wadding's edition, with the treatise "De perfectione statuum" added to it, appeared 1891-95 at Paris (Vives) in 26 vols. 4to. Whether all the writings contained in these editions are by Duns Scotus himself is doubtful; it is certain, however, that many changes and additions were made by later Scotists. A critical edition is still wanting. Besides these printed works, some others are attributed to Scotus, especially commentaries on several books of Scripture. The printed writings deal with grammatical and scientific, but chiefly with philosophical and theological subjects. Of a purely philosophical nature are his commentaries and quæstiones on various works of Aristotle. These, with some other treatises, are contained in the first seven volumes of the Paris edition. The principal work of Scotus, however, is the so-called "Opus Oxoniense", i.e. the great commentary on the "Sentences" of Peter Lombard, written in Oxford (vols. VIII-XXI). It is primarily a theological work, but it contains many treatises, or at least digressions, on logical, metaphysical, grammatical, and scientific topics, so that nearly his whole system of philosophy can be derived from this work. Volumes XXII-XXIV contain the "Reportata Parisiensia", i.e., a smaller commentary, for the most part theological; on the "Sentences". The "Quæstiones Quodlibetales", chiefly on theological subjects, one of his most important works, and the above-mentioned essay, "De perfectione statuum", fill the last two volumes. As to the time when these works were composed, we know nothing for certain. The commentaries on Aristotle were probably his first work, then followed the."Opus Oxoniense" and some minor essays, last the "Quæstiones Quodlibetales", his dissertation for the doctor's degree. The "Reportata" may be notes written out after his lectures, but this is merely a surmise.

Scotus seems to have changed his doctrine in the course of time, or at least not to have been uniformly precise in expressing his thought; now he follows rather the sententia communis as in the "Quæstiones Quodlibetales"; then again he goes his own way. Many of his essays are unfinished. He did not write a summa philosophica or theologica, as did Alexander of Hales and St. Thomas Aquinas, or even a compendium of his doctrine. He wrote only commentaries or treatises on disputed questions; but even these commentaries are not continuous explanations of Aristotle or Peter Lombard. Usually he cites first the text or presupposes it as already known, then he takes up various points which in that day were live issues and discusses them from all sides, at the same time presenting the opinions of others. He is sharp in his criticism, and with relentless logic he refutes; the opinions, or at least the argument, of his opponents. In his fervour he sometimes forgets to set down his own view, or he simply states the reasons for various tenable opinions, and puts them forward as more or less probable; this he does especially in the "Collationes". Hence it is said that he is no systematizer, that he is better at tearing down than at building up. It is true that none of his writings plainly reveals a system; while several of them, owing no doubt to his early death, betray lack of finish. His real teaching is not always fully stated where one would naturally look for it; often enough one finds instead the discussion of some special point, or a long excursus in which the author follows his critical bent. His own opinion is to be sought elsewhere, in various incidental remarks, or in the presuppositions which serve as a basis for his treatment of other problems; and it can be discovered only after a lengthy search. Besides, in the heat of controversy he often uses expressions which seem to go to extremes and even to contain heresy. His language is frequently obscure; a maze of terms, definitions, distinctions, and objections through which it is by no means easy to thread one's way. For these reasons the study of Scotus's works was difficult; when undertaken at all, it was not carried on with the requisite thoroughness. It was hard to find a unified system in them. Not a few unsatisfactory one-sided or even wrong opinions about him were circulated and passed on unchallenged from mouth to mouth and from book to book, growing more erroneous as they went. Nevertheless, there is in Scotus's teaching a rounded-out system, to be found especially in his principal work, a system worked out in minutest details. For the present purpose, only his leading ideas and his departures from St. Thomas and the sententia communis need be indicated.

SYSTEM OF PHILOSOPHY

The fundamental principles of his philosophical and theological teaching are his distinctio formalis and his idea of being. The distinctio formalis is intermediate between the distinctio rationis tantum, or the distinction made by the intellect alone, and the distinctio realis or that which exists in reality. The former occurs, e.g., between the definition and the thing defined, the latter, within the realm of created reality, between things that can exist separately or at least can be made to exist separately by Divine omnipotence, as, e.g., between the different parts of a body or between substance and accident. A thing is "formally distinct" when it is such in essence and in concept that it can be thought of by itself, when it is not another thing, though with that other it may be so closely united that not even omnipotence can separate it, e.g. the soul and its faculties and these faculties among themselves. The soul forms with its faculties only one thing (res), but conceptually it is not identical with the intellect or the will, nor are intellect and will the same. Thus we have various realities, entities, or formalities of one and the same thing. So far as the thing itself exists, these entities have their own being; for each entity has its own being or its own existence. But existence is not identical with subsistence. The accident e.g., has its own being, its own existence, which is different from the existence of the substance in which it inheres, just because the accident is not identical with the substance. But it has no subsistence of its own, since it is not a thing existing by itself, but inheres in the substance as its subject and support; it is not an independent being. Moreover, only actually existing; things have real being: in other words, being is identical with existence. In the state of mere ideality or possibility, before their realization, things have an essence, an ideal conceivable being, but not an actual one; else they could not be created or annihilated, since they would have had an existence before their creation. And since being is eo ipso also true and good, only those things are really good and true which actually exist. If God, therefore, by an act of His free will gives existence to the essences, He makes them by this very act also true and good. In this sense, it is quite correct to say that according to Scotus things are true and good because God so wills. By this assertion, however, he does not deny that things are good and true in themselves. They have an objective being, and thence also objective truth and goodness, because they are in the likeness of God, Whose being, Goodness, and truth they imitate. At the same time, in their ideal being they are necessary; the ideas of them are not produced by the Divine free will, but by the Divine intellect, which, without the co-operation of God's will, recognizes His own infinite essence as imitable by finite things and thus of necessity conceives the ideas. In this ideal state God necessarily wills the things, since they cannot but be pleasing to Him as images of His own essence. But from this it does not follow that He must will them with an effective will, i.e. that He must realize them. God is entirely free in determining what things shall come into existence.

God alone is absolutely immaterial, since He alone is absolute and perfect actuality, without any potentiality for becoming other than what He is. All creatures, angels and human souls included, are material, because they are changeable and may become the subject of accidents. But from this it does not follow that souls and angels are corporeal; on the contrary they are spiritual, physically simple, though material in the sense just explained. Since all created things, corporeal and spiritual, are composed of potentiality and actuality, the same materia prima is the foundation of all, and therefore all things have a common substratum, a common material basis. This materia, in itself quite indeterminate, may be determined to any sort of thing by a form--a spiritual form determines it to a spirit, a corporeal form to a material body. Scotus, however, does not teach an extreme Realism; he does not attribute to the universals or abstract essences, e.g. genus and species an existence of their own, independent of the individual beings in which they are realized. It is true, he holds that materia prima, as the indeterminate principle, can be separated from the forma, or the determining principle, at least by Divine omnipotence, and that it can then exist by itself. Conceptually, the materia is altogether different from the forma; moreover, the same materia a can be determined by entirely different forms and the same form can be united with different materiæ, as is evident from the processes of generation and corruption. For this reason God at least can separate the one from the other, just as in the Holy Eucharist He keeps the accidents of bread and wine in existence, without a substance in which they inhere. It is no less certain that Scotus teaches a plurality of forms in the same thing. The human body, e.g., taken by itself, without the soul, has its own form; the forma corporeitatis. It is transmitted to the child by its parents and is different from the rational soul, which is infused by God himself. The forma corporeitatis gives the body a sort of human form, though quite imperfect, and remains after the rational soul has departed from the body in death until decomposition takes place. Nevertheless, it is the rational soul which is the essential form of the body or of man; this constitutes with the body one being, one substance, one person, one man. With all its faculties, vegetative sensitive and intellectual, it is the immediate work of God, Who infuses it into the child. There is only one soul in man, but we can distinguish in it several forms; for conceptually the intellectual is not the same as the sensitive, nor is this identical with the vegetative, nor the vegetative with that which gives the body, as such, its form; yet all these belong formally, by their concept and essence, to the one indivisible soul. Scotus also maintains a formal distinction between the universal nature of each thing and its individuality, e.g. in Plato between his human nature and that which makes him just Plato--his Platoneity. For the one is not the other; the individuality is added to the human nature and with it constitutes the human individual. In this sense the property or difference, or the hæccitas, is the principium individuationis. Hence it is clear that there are many points of resemblance between matter and form on the one hand and universal natures and their individualization on the other. But Scotus is far from teaching extreme Realism. According to his view, matter can exist without form, but not the universal essence without individuation; nor can the different forms of the same thing exist by themselves. He does not maintain that the uniform matter underlying all created things is the absolute being which exists by itself, independent of the individuals, and is then determined by added forms, first to genera, then to species, and lastly to individuals. On the contrary, materia prima, which according to him can exist without a form, is already something individual and numerically determined. In reality there is no materia without form, and vice versa. The materia which God created had already a certain form, the imperfect form of chaos. God could create matter by itself and form by itself, but both would then be something individual, numerically, though not specifically, different from other matter and other forms of the same kind. This matter, numerically different from other matter, could then be united with a form, also numerically different from other forms of the same kind; and the result would be a compound individual, numerically different from other individuals of the same kind. From such individualized matter, form, and compound we get by abstraction the idea of a universal matter, a universal form, a universal compound, e.g. of a universal man. But by themselves universal matter and universal form cannot exist. The universal as such is a mere conception of the mind; it cannot exist by itself, it receives its existence in and with the individual; in and with the individual it is multiplied, in and with the individual it loses again its existence. Even God cannot separate in man the universal nature from the individuality, or in the human soul the intellectual from the sensitive part, without destroying the whole. In reality there are only individuals, in which, however, we can by abstraction formally separate both the abstract human nature from the individuality and the several faculties from one another. But the separation and distinction and formation of genera and species are mere processes of thought, the work of the contemplating mind.

The psychology of Scotus is in its essentials the same as that of St. Thomas. The starting-point of all knowledge is the sensory or outer experience, to which must be added the inner experience, which he designates as the ultimate criterion of certitude. He lays stress on induction as the basis of all natural sciences. He denies that sense perception, and a fortiori intellectual knowledge, is merely a passive process; moreover, he asserts that not only the universal but also the individual is perceived directly. The adequate object of intellectual knowledge is not the spiritual in the material, but being in its universality. In the whole realm of the soul the will has the primacy since it can determine itself, while it controls more or less completely the other faculties. The freedom of the will, taken as freedom of choice, is emphasized and vigorously defended. In presence of any good, even in the contemplation of God, the will is not necessitated, but determines itself freely. This doctrine does not imply that the will can decide what is true and what is false, what is right and what is wrong, nor that its choice is blind and arbitrary. Objects, motives, habits, passions, etc. exert a great influence upon the will, and incline it to choose one thing rather than another. Yet the final decision remains with the will, and in so far the will is the one complete cause of its act, else it would not be free. With regard to memory, sensation, and association we find in Scotus many modern views.

SYSTEM OF THEOLOGY

It has been asserted that according to Scotus the essence of God consists in His will; but the assertion is unfounded. God, he holds, is the ens infinitum. It is true that according to him God's love for Himself and the spiration of the Holy Ghost by Father and Son are not based upon a natural instinct, so to say, but upon God's own free choice. Every will is free, and therefore God's will also. But His will is so perfect and His essence so infinitely good, that His free will cannot but love it. This love, therefore, is at once free and necessary. Also with regard to created things Scotus emphasizes the freedom of God, without, however, falling into the error of merely arbitrary, unmotived indeterminism. It has been asserted, too, that according to Scotus, being can be attributed univocally to God and creatures; but this again is false. Scotus maintains that God is the ens per essentiam, creatures are entia per participationem--they have being only in an analogical sense. But from the being of God and the being of creatures, a universal idea of being can be abstracted and predicated univocally of both the finite and the infinite; otherwise we could not infer from the existence of finite things the existence of God, we should have no proof of God's existence, as every syllogism would contain a quaternio terminorum. Between God's essence and His attributes, between the attributes themselves, and then between God's essence and the Divine Persons, there is a formal distinction along with real identity. For conceptually Divinity is not the same as wisdom, intellect not the same as will; Divinity is not identical with paternity, since Divinity neither begets, as does the Father, nor is begotten, as is the Son. But all these realities are formally in God and their distinction is not annulled by His infinity; on the other hand it remains true that God is only one res. The process constituting the Blessed Trinity takes Place without regard to the external world. Only after its completion the three Divine Persons, as one principle, produce by their act of cognition the ideas of things. But quite apart from this process, God is independent of the world in His knowledge and volition, for the obvious reason that dependence of any sort wood imply imperfection.

The cognition, volition, and activity of the angels is more akin to ours. The angels can of themselves know things; they do not need an infused species though in fact they receive such from God. The devil is not necessarily compelled, as a result of his sin always to will what is evil; with his splendid natural endowments he can do what in itself is good; he can even love God above all things, though in fact he does not do so. Sin is only in so far an infinite offense of God as it leads away from Him; in itself its malice is no greater than is the goodness of the opposite virtue.

In his Christology, Scotus insists strongly on the reality of Christ's Humanity. Though it has no personality and no subsistence of its own, it has its own existence. The unio hypostatica and the communicatio idiomatum are explained in accordance with the doctrine of the Church, with no leaning to either Nestorianism or Adoptionism. It is true that Scotus explains the influence of the hypostatic union upon the human nature of Christ and upon His work differently from St. Thomas. Since this union in no way changes the human nature of Christ, it does not of itself impart to the Humanity the beatific vision or impeccability. These prerogatives were given to Christ with the fullness of grace which He received in consequence of that union. God would have become man even if Adam had not sinned, since He willed that in Christ humanity and the world should be united with Himself by the closest possible bond. Scotus also defends energetically the Immaculate Conception of the Blessed Virgin. All objections founded on original sin and the universal need of redemption are solved. The merits of Christ are infinite only in a broader sense, but of themselves they are entirely sufficient to give adequate satisfaction to the Divine justice; there is no deficiency to be supplied by God's mercy. But there is needed a merciful acceptation of the work of Christ, since in the sight of God there is no real merit in the strictest sense of the word.

Grace is something entirely supernatural and can be given only by God, and, what is more, only by a creative act; hence the sacraments are not, properly speaking, the physical or instrumental cause of grace, because God alone can create. Sanctifying grace is identical with the infused virtue of charity, and has its seat in the will; it is therefore conceived rather from the ethical standpoint. The sacraments give grace of themselves, or ex opere operato, if man places no obstacle in the way. The real essence of the Sacrament of Penance consists in the absolution; but this is of no avail unless the sinner repent with a sorrow that springs from love of God; his doctrine of attrition is by no means lax. As to his eschatology it must suffice to state that he makes the essence of beatitude consist in activity, i.e. in the love of God, not in the Beatific Vision; this latter is only the necessary condition.

In ethics Scotus declares emphatically that the morality of an act requires an object which is good in its nature, its end, and its circumstances, and according to the dictate of right reason. It is not true that he makes God's free will decide arbitrarily what is good and what is bad; he only asserts that the Commandments. Of the second table of the Decalogue are not in such strict sense laws of nature as are those of the first table; because God cannot grant a dispensation from the laws of the first, whereas He can dispense from those of the second; as in fact He did when He commanded Abraham to sacrifice his son. But the precepts of the second table also are far more binding than the other positive laws of God. In the present order of things God cannot permit manslaughter universally, taking the property of others, and the like. There are also indifferent actions in individuo. Absolutely speaking, man should direct all his actions towards God; but God does not require this, because He does not wish to burden man with so heavy a yoke. He obliges man only to observe the Decalogue; the rest is free. Social and legal questions are not treated by Scotus ex professo; his works, however, contain sound observations on these subjects.

RELATION BETWEEN PHILOSOPHY AND THEOLOGY

Scotus does not, as is often asserted, maintain that science and faith can contradict each other, or that a proposition may be true in philosophy and false in theology and vice versa. Incorrect, also, is the statement that he attaches little importance to showing the harmony between scientific knowledge and faith and that he has no regard for speculative theology. Quite the contrary, he proves the dogmas of faith not only from authority but, as far as possible, from reason also. Theology presupposes philosophy as its basis. Facts which have God for their author and yet can be known by our natural powers especially miracles and prophecies, are criteria of the truth of Revelation, religion, and the Church. Scotus strives to gain as thorough an insight as possible into the truths of faith, to disclose them to the human mind, to establish truth upon truth, and from dogma to prove or to reject many a philosophical proposition. There is just as little warrant for the statement that his chief concern is humble subjection to the authority of God and of the Church, or that his tendency a priori is to depreciate scientific knowledge and to resolve speculative theology into doubts. Scotus simply believes that many philosophical and theological proofs of other scholars are not conclusive; in their stead he adduces other arguments. He also thinks that many philosophical and theological propositions can be proved which other Scholastics consider incapable of demonstration. He indeed lays great stress on the authority of Scripture, the Fathers, and the Church but he also attaches much importance to natural knowledge and the intellectual capacity of the mind of angels and of men, both in this world and in the other. He is inclined to widen rather than narrow the range of attainable knowledge. He sets great value upon mathematics and the natural sciences and especially upon metaphysics. He rejects every unnecessary recourse to Divine or angelic intervention or to miracles, and demands that the supernatural and miraculous be limited as far as possible even in matters of faith. Dogmas he holds are to be explained in a somewhat softened and more easily intelligible sense, so far as this may be done without diminution of their substantial meaning, dignity, and depth. In Scripture the literal sense is to be taken, and freedom of opinion is to be granted so far as it is not opposed to Christian Faith or the authority of the Church. Scotus was much given to the study of mathematics, and for this reason he insists on demonstrative proofs in philosophy and theology; but he is no real sceptic. He grants that our senses, our internal and external experience, and authority together with reason, can furnish us with absolute certainty and evidence. The difficulty which many truths present lies not so much in ourselves as in the objects. In itself everything knowable is the object of our knowledge. Reason can of its own powers recognize the existence of God and many of His attributes, the creation of the world out of nothing, the conservation of the world by God, the spirituality, individuality, substantiality, and unity of the soul, as well as its free will. In many of his writings he asserts that mere reason can come to know the immortality and the creation of the soul; in others he asserts the direct opposite; but he never denies the so-called moral evidence for these truths.

Theology with him is not a scientific study in the strictest sense of the word, as are mathematics and metaphysics, because it is not based upon the evidence of its objects, but upon revelation and authority. It is a practical science because it pursues a practical end: the possession of God. But it gives the mind perfect certainty and unchangeable truths; it does not consist in mere practical, moral, and religious activity Thus Scotus is removed from Kant and the modern Gefühlstheologen, not by a single line of thought but by the whole range of his philosophical speculation. Scotus is no precursor of Luther; he emphasizes ecclesiastical tradition and authority, the freedom of the will, the power of our reason, and the co-operation with grace. Nor is he a precursor of Kant. The doctrine regarding primacy of the will and the practical character of theology has quite a different meaning in his mind from what it has in Kant's. He values metaphysics highly and calls it the queen of sciences. Only as a very subtle critic may he be called the Kant of the thirteenth century. Nor is he a precursor of the Modernists. His writings indeed contain many entirely modern ideas, e.g. the stress he lays on freedom in scientific and also in religious matters, upon the separateness of the objective world and of thought, the self-activity of the thinking subject, the dignity and value of personality; yet in all this he remains within proper limits, and in opposition to the Modernists he asserts very forcibly the necessity of an absolute authority in the Church, the necessity of faith, the freedom of the will; and he rejects absolutely any and every monistic identification of the world and God. That he has so often been misunderstood is due simply to the fact that his teaching has been viewed from the standpoint of modern thought.

Scotus is a genuine Scholastic philosopher who works out ideas taken from Aristotle, St. Augustine, and the preceding Scholastics. He is universally recognized as a deep thinker, an original mind, and a sharp critic; a thoroughly scientific man, who without personal bias proceeds objectively, stating his own doctrines with modesty and with a certain reserve. It has been asserted that he did more harm than good to the Church, and that by his destructive criticism, his subtleties, and his barbarous terminology he prepared the ruin of Scholasticism, indeed that its downfall begins with him. These accusations originated to a great extent in the insufficient understanding or the false interpretation of his doctrines. No doubt his diction lacks elegance; it is often obscure and unintelligible; but the same must be said of many earlier Scholastics. Then too, subtle discussions and distinctions which to this age are meaningless, abound in his works; yet his researches were occasioned for the most part, by the remarks of other Scholastic philosophers, especially by Henry of Ghent, whom he attacks perhaps even more than he does St. Thomas. But the real spirit of scholasticism is perhaps in no other Scholastic so pronounced as in Scotus. In depth of thoughts which after all is the important thing, Scotus is not surpassed by any of his contemporaries. He was a child of his time; a thorough Aristotelean, even more so than St. Thomas; but he criticizes sharply even the Stagirite and his commentators. He tries always to explain them favourably, but does not hesitate to differ from them. Duns Sootus's teaching is orthodox. Catholics and Protestants have charged him with sundry errors and heresies, but the Church has not condemned a single proposition of his; on the contrary, the doctrine of the Immaculate Conception which he so strongly advocated, has been declared a dogma.

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. V, New York, 1909 (http://www.newadvent.org/cathen/05194a.htm)

Abaelardus
07-11-07, 18:29
grande duns scoto, ricordo ancora quanto mi fece penare per capire un suo scritto sull'essere, tutte le sottigliezze e i giri mentali :K

Abaelardus
08-11-07, 14:33
http://www.centrodunsscoto.it/scoto_big.jpg (http://www.centrodunsscoto.it/scoto_big.jpg)

ORA ET COGITA
COGITA ET ORA

Abaelardus
08-11-07, 14:35
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9d/Duns-Scoto-manoscrito.jpg/250px-Duns-Scoto-manoscrito.jpg, Giovanni Duns Scoto, iniziale decorata, Quaestiones di Duns Scoto, manoscritto del sec. XIV-XV

Abaelardus
08-11-07, 14:38
http://www.dunsscotus.nl/Nederlands/DunsScotus/DunsScotus11.jpg Joos van Ghent, Giovanni Duns Scoto, Serie degli uomini famosi, 1475, Palazzo Ducale, Urbino

Augustinus
08-11-08, 08:31
http://farm1.static.flickr.com/107/309759908_afaa5436d6_o.jpg Tomba del Beato Duns Scoto, Chiesa dei minoriti, Colonia

Augustinus
08-11-08, 19:58
Settecento anni fa moriva il filosofo e teologo francescano

Duns Scoto sulle tracce dell'infinito

"Pro statu isto. L'appello dell'uomo all'infinito" è il titolo del convegno organizzato a Milano dal Dipartimento di Filosofia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con la Provincia dei Frati minori della Lombardia nel settimo centenario della morte di Giovanni Duns Scoto. Pubblichiamo alcune parti dell'intervento introduttivo.

di Alessandro Ghisalberti
Università Cattolica del Sacro Cuore

"La nostra volontà può desiderare o amare qualcosa di più grande di qualsiasi fine limitato, come l'intelletto può, dal canto suo, conoscerlo. Sembra anzi che la volontà possieda un'inclinazione ad amare sommamente il Bene infinito. Infatti l'esistenza di un'inclinazione naturale nella volontà verso una cosa si arguisce dal fatto che la vuole prontamente e gioiosamente, pur non avendone l'abitudine. Ora, la volontà libera - come ci sembra di percepirla attraverso l'amore del Bene infinito - non riposa perfettamente che nel Bene sommo". Così scrive Giovanni Duns Scoto nel trattato De primo principio mentre parla dell'infinità di Dio.
La stessa considerazione è sviluppata nell'Ordinatio, dove è costruita come terza via per dimostrare l'infinità di Dio. L'esperienza interna dell'uomo, a parere di Duns Scoto, suffraga queste due constatazioni: la volontà umana, il cui oggetto è il bene, non si appaga mai nel possesso di un bene finito; il desiderio dell'uomo è sempre pronto ad appetere et amare qualcosa di maggiore, un bene più grande di qualsiasi bene finito dato. Inoltre, la volontà mostra la propria naturale inclinazione ad amare al massimo un bene infinito: l'inclinazione naturale della volontà verso qualche cosa è infatti evidenziata dal fatto che di sua iniziativa, senza un previo abito, vuole quella cosa prompte et delectabiliter, ossia immediatamente e con appagamento del desiderio, e tale è l'inclinazione della volontà umana verso il bene infinito.

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Questi dati consentono di concludere non solo che l'uomo esperisce attualmente in sé il desiderio di amare un bene infinito, ma altresì che la volontà umana non sembra acquietarsi in modo perfetto in nessun altro bene. La conferma è data dal fatto che l'uomo odia il non-essere, ossia la natura razionale rifugge da tutto ciò che si configura come distruttivo dell'ordine ontologico: se il bene infinito risultasse qualcosa di impossibile e di assurdo, qualcosa di contrario all'oggetto del volere umano, la volontà lo odierebbe, ossia lo rifuggirebbe istintivamente.
L'argomentazione di Duns Scoto mira a stabilire l'infinità come caratteristica di Dio (...). La qualifica dell'infinità esprime per il Dottor Sottile il vertice della perfezione formale di Dio; per l'uomo, l'infinità è il concetto più elevato che possa avere di Dio in questa vita, e perciò il nostro maestro si era premurato di mostrare preliminarmente la non ripugnanza dell'infinità all'ente: enti non repugnat infinitas.
Non c'è contraddizione tra il concetto di ente e il concetto di infinito, perché l'intelletto non prova alcuna ripugnanza nel pensare qualcosa di infinito, lo vede anzi come l'intelligibile più perfetto. L'aspirazione della volontà dell'uomo a un bene infinito non si presenta come una passione inutile o irrazionale di un soggetto inappagato dai risultati delle proprie azioni; essa è calata in un fondo di razionalità, quella per cui si è potuto stabilire che non solo il concetto di infinito non è intrinsecamente contraddittorio, ma anzi è, secondo le parole stesse di Duns Scoto nell'Ordinatio "il concetto insieme più perfetto e più semplice a noi possibile".

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L'intuizione come la fruizione diretta di un ente-bene caratterizzato dall'infinità non è tuttavia garantita all'intelletto finito e alla volontà finita dell'uomo viatore: l'infinito è ovviamente obiectum naturale di un intelletto e di una volontà naturalmente infiniti. Da ciò traiamo una prima considerazione (...): affermando l'esistenza di un essere infinito nell'ordine delle conoscenze, si afferma contemporaneamente l'esistenza di un ambito di conoscenze eccedente l'orizzonte delle conoscenze intellettive dell'uomo; l'intelletto infinito di Dio istituisce un sapere transmetafisico, ossia si deve ammettere che all'affermazione dell'esistenza dell'infinito consegue l'affermazione dell'ordine delle conoscenze proprio dell'essere infinito, ulteriore a ogni sapere metafisico dell'intelletto umano, e che nel linguaggio di Duns Scoto è definito la theologia in se, naturalmente intenzionata dall'intelletto divino e alla quale l'uomo ha accesso solo se una rivelazione positiva gliene offre dei contenuti articolati e resi comprensibili dalle forme del linguaggio umano.
La rivelazione appare così in una prospettiva che dice la compatibilità e l'intrinseca coerenza tra l'ordine delle conoscenze dell'intelletto umano e l'ordine delle verità rivelate, proprio perché la dimostrazione dell'esistenza dell'infinito comporta l'ammissione dell'esistenza di un sapere infinito, per sua natura sottratto all'intelletto del metafisico. La rivelazione di alcuni contenuti di questo sapere infinito assume perciò i connotati di coerente supporto alla natura dell'intelletto umano, che non dispone in proprio di possibilità alcuna di accedere per altra via alla conoscenza di quel sapere infinito, di cui ha peraltro dimostrato l'esistenza.
Una seconda considerazione consegue alla connessione esplicita operata da Duns Scoto parlando dell'infinitas Dei, tra la natura dell'intelletto divino che deve avere simultaneamente presente un'infinità di oggetti, dall'eternità, distintamente e indipendentemente dalla loro esistenza, e la volontà onnipotente o potenza causale atta a creare una infinità di cose, ossia la perfezione dell'efficienza propria della causa di tutto l'essere attuale e possibile.
L'aspirazione umana a un bene infinito risulta non velleitaria e non contraddittoria proprio perché l'infinità non ripugna all'intelletto e al volere; non siamo dunque in una prospettiva di "volontarismo", non siamo di fronte a una prevaricazione che attribuisce alla volontà totale autonomia rispetto all'intelletto, come spesso la storiografia della prima metà del Novecento ha scritto in riferimento a Duns Scoto.
Il rigoroso percorso, che consente di pervenire all'affermazione dell'ens infinitum e al riconoscimento della intrinseca validità dell'aspirazione dell'uomo all'infinito, ha messo in risalto lo stretto rapporto tra essere e bene, tra intelligenza e volontà, che la libertà della volontà non potrà mai alterare o sopprimere, perché non potrà mai decidere di annullare la propria natura più intima e costituiva, ossia la strutturale capacità della volontà di amare l'oggetto più amabile, di volere il bene più sommo, di desiderare cioè la fruizione di un bene infinito.
Il "cantore dell'infinito", come qualche studioso ama definire Duns Scoto, offre alla nostra speculazione un itinerario del tutto nuovo e peculiare, che dall'analisi dei tratti caratteristici del volto filosofico di Dio come ente infinito, riesce a dedurre i lineamenti e i connotati del volto dell'uomo; l'infinito svela il finito, rivela i tratti più reconditi e significativi di un soggetto che non solo è capace di conoscere e di amare gli enti finiti o i beni limitati, ma che è strutturalmente aperto alla totalità dell'essere e del bene, al punto che solo un abbraccio con l'infinito può saziare ogni suo desiderio.

Fonte: L'Osservatore Romano, 9.11.2008

Augustinus
08-11-08, 20:05
Quando il Dottor Sottile andava a scuola

Pubblichiamo alcuni stralci di una relazione tenuta nell'ambito delle "Lezioni Scotiste" organizzate dalla Facoltà di Filosofia e dalla Scuola superiore di studi medievali e francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma.

di Timothy B. Noone
The Catholic University of America Washington

L'ordine fondato da san Francesco non era nato, come quello dei domenicani, per estirpare eresie o, strettamente parlando, per la predicazione. L'insegnamento di una imitazione autentica di Cristo con il loro proprio esempio, come aveva fatto Francesco prima di loro, costituiva il primo e più grande ministero dei fratres minores. In questo senso l'elaborazione di un formale sistema educativo poteva sembrare un'impresa fuori luogo, se non del tutto opposta, all'intenzione fondamentale dell'ordine francescano. E tuttavia i francescani si interessarono sin dall'inizio all'organizzazione dello studio e Francesco stesso, nonostante i suoi molteplici sospetti, sembra averne riconosciuto le potenzialità come strumento per il conseguimento del fine dell'ordine. In circa una decina di anni, dalla morte di Francesco, l'ordine aveva eretto dei centri di studio a Parigi, Bologna, Oxford e Montpellier.
La forma di educazione fondamentale all'interno dell'ordine francescano era teologica e, per il periodo di cui stiamo trattando, scolastica. Statuti che risalgono sino al 1239 (ma certamente standardizzati nel 1260) danno disposizioni circa le tappe che dovevano assicurare la formazione teologica dei frati. Si sperava che ogni convento di circa trenta membri avesse uno o due lettori, che tenessero lectiones sui libri della Bibbia, su un'opera teologica standard come quella delle Sentenze e, di tanto in tanto tenessero delle disputationes su temi prescelti. Per tutto il medioevo il principale desiderio dei francescani era quello di avere lettori a sufficienza per riempire ogni casa o comunità francescana in Europa. E per creare un gruppo di docenti qualificati l'ordine istituì e seguì un programma di formazione nei suoi propri studia generalia, dei quali il più in vista si trovava a Parigi.
Ogni provincia dell'ordine poteva mandare a Parigi due frati per volta per partecipare al lettorato, così era definito il programma formativo per i lettori. Le spese per i due erano a carico della comunità di Parigi, benché sovvenzionate dal capitolo generale dell'ordine (studentes de debito); altri due frati potevano essere iscritti a spese della propria provincia (studentes de gratia). Gli studenti del lettorato non erano studenti universitari e seguivano il loro proprio curriculum ideato dall'ordine, che consisteva principalmente nello studio della Bibbia e delle Sentenze. Dopo il loro lettorato, che durava quattro anni, i frati di solito ritornavano nelle loro proprie province per iniziare l'insegnamento o altri doveri amministrativi.
Il lettorato era l'equivalente di un moderno dottorato nel sistema educativo francescano, distinto dal sistema educativo delle università medievali e coloro che ricevevano questo tipo di formazione erano qualificati per l'insegnamento negli studia delle loro proprie province e per essere riassegnati a studia di altre province. In altre parole, il lettorato, e non il magistero in teologia, era la prova di qualifica o ius ubique docendi nell'ordine francescano. Quanti continuavano per il baccellierato e il magistero in teologia emergevano all'interno del sistema universitario.
Come questa visione d'insieme possa applicarsi a Scoto e alla sua carriera letteraria e d'insegnamento non è del tutto facile da stabilire. Quando Scoto era baccelliere, la sua biografia poteva ancora essere influenzata dal sistema francescano per quanto riguarda la sua attività di insegnamento dal momento che sappiamo che i frati già baccellieri ancora insegnavano filosofia negli studia francescani. Ockham, ad esempio, insegnò le sue opere logiche a Londra dopo che era già baccalaureus formatus.
Certamente molto degli inizi della storia personale di Scoto è legato al destino dello studium francescano di Oxford. A tal proposito una delle più generali difficoltà è che, a differenza del caso di molti studia continentali, vi sono pochi documenti istituzionali sopravvissuti riguardanti direttamente questo e i documenti del capitolo provinciale sono andati in gran parte perduti.
Quanto sappiamo di Oxford è che quando Scoto vi giunse verso il 1280 era già uno studium generale all'interno dell'ordine e aveva i suoi propri corsi per il lettorato. Pertanto, era possibile che ci fosse un insegnamento di filosofia nel convento di Grayfriars e probabilmente ciò a due diversi livelli: uno di base per i frati che ricevevano l'educazione generale della provincia o che si preparavano al lettorato; un altro per il lettorato degli studenti che compivano ad Oxford il lettorato.
Sebbene molto probabilmente Scoto abbia ricevuto il suo lettorato a Parigi, la sua educazione filosofica sarebbe iniziata prima, forse ad Haddington, dove potrebbe aver completato i tre anni di logica o grammatica necessari per iniziare il processo formativo. I corsi di filosofia veri e propri che egli avrebbe fatto potrebbero essere stati compiuti in uno studium regionale, ma c'è ragione di pensare che la sua filosofia provenisse da Oxford, dal momento che è lì che Duns Scoto si recò, secondo John Mair, dopo aver lasciato la Scozia. Mi sia concesso di completare leggermente il quadro del mondo di Oxford in cui entrò Scoto verso il 1280 e ove rimase, ad eccezione della partenza per il lettorato, sino alla sua partenza per Parigi per leggere le Sentenze nel 1302. I teologi che insegnavano ad Oxford in questo periodo includevano Nicola di Ockam e Ruggero Marston. L'arcivescovo di Canterbury e dunque primate d'Inghilterra era Giovanni Peckam, mentre da qualche altra parte nell'ombra, per così dire, del convento francescano, viveva, almeno ad intermittenza, il rinomato Ruggero Bacone. Inoltre, verso il periodo della morte di Peckam nel 1292, Marston divenne ministro provinciale e fu senza dubbio il provinciale che fece da supervisore alla nomina di Scoto a leggere le Sentenze a Oxford. Da un punto di vista fisico, Grayfriars conteneva una media dai 70 ai 75 studenti e professori. Ciò significava che il numero di residenti nel convento di Oxford era leggermente inferiore alla metà di quanti si trovavano nello studium di Parigi, i cui occupanti erano 173 secondo le lettere di adesione del 1303.
Non ci è possibile sapere con esattezza cosa fu insegnato a Scoto durante il periodo in cui studiò logica e filosofia, benché sopravvivano alcuni documenti che ci aiutano ad individuarne alcuni elementi. Prima di tutto, lo studio della logica probabilmente significò lo studio della logica vetus di Aristotele, anche se lo studio di tali opere poteva essere stato aiutato da compendi come ad esempio si vede nella Summa delle Categorie di Guglielmo di Montoriel, ad opera di un frate e che circolava ad Oxford nel 1280. Secondo, sappiamo da alcune fonti come gli Statuta antiqua Oxoniensia e da opere come lo Scriptum super Metaphisicam di Riccardo Rufo che i libri letti dovevano aver compreso la Fisica, il De anima e la Metafisica di Aristotele, anche se ciò non avrebbe precluso l'uso di commentari e sintesi schematiche di autori come Averroè, Avicenna e, al tempo di Scoto, Tommaso d'Aquino.

Fonte: L'Osservatore Romano, 9.11.2008

Augustinus
20-12-08, 19:03
BENEDETTO XVI

LETTERA APOSTOLICA IN OCCASIONE DEL VII CENTENARIO DELLA MORTE DEL BEATO GIOVANNI DUNS SCOTO

BENEDICTI XVI

SUMMI PONTIFICIS

EPISTULA APOSTOLICA

Venerabili Fratri Nostro
Ioachimo S.R.E. Cardinali Meisner,
Archiepiscopo Coloniensi,
cunctisque ex toto orbe terrarum participibus
congressus scientifici internationalis
DCC annis elapsis ab obitu beati Ioannis Duns Scoti

Laetare, Colonia urbs, quae doctissimum ac pientissimum virum Ioannem Duns Scotum intra tua moenia quondam recepisti, qui die VIII mensis Novembris anno MCCCVIII e vivis discessit et ad caelestem patriam est profectus, eiusque magna admiratione ac veneratione sacras servas exuvias.

Quem porro Venerabiles Servi Dei Paulus VI et Ioannes Paulus II, Decessores Nostri, amplissimis verbis exaltarunt, illum Nos quoque nunc merita laude circumdare volumus eiusque patrocinia invocare.

Iure quidem meritoque septimum nunc ab eius pio transitu centenarium celebratur. Ac dum hac felici occasione in diversis mundi partibus in honorem beati Ioannis Duns Scoti acroases integraque opera publici iuris fiunt necnon conventus aguntur, inter quos sollemnis paratur ille Coloniensis, qui diebus V-IX proximi mensis Novembris evolvetur, muneris Nostri officium esse putamus hoc in ambitu quaedam dicere de tam eximio viro, qui bene meritus est de doctrina Ecclesiae et de scientia hominum amplianda.

Ipse enim, pietatem cum intellectuali investigatione coniungens, iuxta illam suam precem: "Primum rerum Principium mihi ea credere, sapere ac proferre concedat, quae ipsius placeant maiestati et ad eius contemplationem elevent mentes nostras",1 subtilissimo ingenio arcana veritatis tam naturalis quam revelatae ita profunde penetravit ac exinde talis generis doctrinam deprompsit, ut "Doctor Ordinis", "Doctor Subtilis" et "Doctor Marianus" appellatus sit ac dux Scholae Franciscanae necnon lux et exemplar totius populi christiani evaserit.

Animos itaque doctorum virorum et omnium credentium ac non credentium convertere desideramus ad viam ac rationem quam Scotus secutus est in statuenda concordia inter fidem et rationem, in definienda tali modo natura theologiae, ut iugiter extulerit actionem, operationem, praxim, amorem, potius quam puram speculationem; quo in opere exsequendo ductus fuit Magisterio Ecclesiae ac sano sensu critico circa incrementum notitiae veritatis, atque persuasum sibi habebat scientiam tantum valere quantum ipsa in praxim deduceretur.

In fide catholica confirmatus, veritates fidei lumine naturalis rationis conatus est intellegere, illustrare et defendere. Quapropter nihil reliqui fecit quominus veritates omnes, et naturales et supernaturales, quae ex uno eodemque Fonte promanant, in consonantiam deduceret.

Prope Sacram Scripturam divinitus inspiratam, Ecclesiae auctoritas ponitur. Ipse videtur sequi sancti Augustini effatum: "Evangelio non crederem, nisi Ecclesiae credidissem".2 Nam auctoritatem supremam Successoris beati Petri Doctor noster in peculiarem lucem haud raro ponit. Secundum sententiam eius "licet Papa non possit dispensare contra ius naturae vel divinum (quia sua potestas est utroque illo iure inferior), tamen cum sit Successor Petri, Principis Apostolorum, habet eandem potestatem quam et Petrus".3

Itaque Ecclesia Catholica quae tamquam Caput invisibile habet ipsum Christum, qui in beato Petro ac Successoribus eius suos Vicarios reliquit, a Spiritu veritatis directa, est authenticus custos depositi revelati et regula fidei. Ecclesia est firmum et stabile criterium canonicitatis Sacrae Scripturae. Ipsa enim "decrevit qui sunt libri habendi in auctoritatem in canone Bibliae".4

Alibi respondet quod "eo Spiritu expositae sunt Scripturae, quo conditae, et ita supponendum est quod Ecclesia catholica eo Spiritu exposuit quo tradita est nobis fides, Spiritu scilicet veritatis edocta".5

Postquam ex ratione theologica variis argumentis probaverat ipsum factum praeservationis Beatae Virginis Mariae a peccato originali, omnino paratus erat hanc sententiam reicere, si constaret quod repugnaret auctoritati Ecclesiae, dicendo: "Si auctoritati Ecclesiae vel auctoritati Scripturae non repugnet, videtur probabile, quod excellentius est, attribuere Mariae".6

Primatus voluntatis in lucem ponit Deum ante omnia esse caritatem. Hanc caritatem, hunc amorem, Duns Scotus prae oculis habet cum theologiam vult reducere ad unum habitum, ad theologiam practicam. Ad eius mentem, cum Deus sit "formaliter dilectio et formaliter caritas",7 bonitatis suae et amoris radios liberalissime communicat extra se.8 Revera, ex amore Deus "elegit nos ante mundi constitutionem, ut essemus sancti et immaculati in conspectu eius in caritate, qui praedestinavit nos in adoptionem filiorum per Iesum Christum in ipsum" (Eph 1,3-4).

Tamquam fidelis assecla sancti Francisci Assisiensis, beatus Ioannes assidue contemplatus est et praedicavit Filii Dei incarnationem et passionem salvificam. At caritas seu amor Christi ostenditur peculiari modo non solum in Calvariae loco, sed etiam in sanctissimo Eucharistiae sacramento, absque quo "periret omnis devotio in Ecclesia, nec exhiberetur actus latriae Deo nisi propter reverentiam huius".9 Porro, hoc sacramentum est sacramentum unitatis et amoris, quo inducimur ut amemus ad invicem, et ut amemus Deum tamquam bonum commune et condiligendum ab aliis.

Et quemadmodum hic amor, haec caritas, fuit initium omnium, ita etiam in amore, in caritate tantum erit nostra beatitudo: "volitio sive dilectio est simpliciter vita aeterna, beata et perfecta".10

Cum vero Nos ab initio officii Nostri caritatem ante omnia praedicavimus, quae Deus ipse est, laetanter cernimus huius Beati doctrinam singularem locum huic praebere veritati, eandemque nostris temporibus censemus maxime pervestigandam et docendam. Quapropter perlibenter obsecundantes precibus Venerabilis Fratris Nostri Ioachimi S.R.E. Cardinalis Meisner, Archiepiscopi Coloniensis, damus hanc Epistulam Apostolicam qua beatum Ioannem Duns Scotum cupimus honorare eiusque Nobis caelestem intercessionem efflagitare. Denique iis, qui quolibet modo in hoc internationali congressu aliisve de hoc S. Francisci eximio filio inceptis promovendis intersunt, Apostolicam Nostram Benedictionem imo ex corde elargimur.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XXVIII mensis Octobris, anno MMVIII, Pontificatus Nostri quarto.

BENEDICTUS PP. XVI
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1. DUNS SCOTUS, Tractatus de primo Principio, c. 1 (ed. MULLER M., Friburgi Brisgoviae, 1941, 1).

2. Idem, Ordinatio I d.5 n.26 (ed. Vat. IV 24-25).

3. Idem, Rep. IV d.33 q.2 n. 19 (ed. VIVES XXIV 439 a.)

4. Idem, Ordinatio I d.5 n. 26 (ed. Vat. IV 25).

5. Ibid., IV d.11 q.3 n. 15 (ed. Vat. IX 181).

6. Ibid., III d.3 n. 34 (ed. VIVES XIX 167 b).

7. Ibid., I d.17 n. 173 (ed. Vat. V 221-222).

8. Cfr idem, Tractatus de primo Principio, c.4 (ed. MULLER M., 127).

9. Idem, Rep. IV d.8 q.1 n.3 (ed. VIVES XXIV 9-10).

10. Ibid., IV d.49 q.2 n. 21 (ed VIVES XXIV 630a).

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TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

BENEDETTO XVI

SOMMO PONTEFICE

Lettera Apostolica
al Nostro Venerato Fratello
Joachim Meisner, Cardinale di S.R.C.,
Arcivescovo di Colonia,
e a quanti da ogni parte del mondo partecipano
al Congresso scientifico internazionale
in occasione del VII Centenario della morte
del beato Giovanni Duns Scoto

Rallégrati, città di Colonia, che un giorno hai accolto fra le tue mura Giovanni Duns Scoto, uomo dottissimo e piissimo, il quale l'8 novembre del 1308 passò dalla vita presente alla patria celeste; e tu, con grande ammirazione e venerazione, ne conservi le spoglie.

I Nostri Venerabili Predecessori, Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, lo hanno esaltato con elevate espressioni; anche Noi ora vogliamo circondarlo di meritata lode e invocarne il patrocinio.

Giustamente perciò e meritatamente viene ora celebrato il settimo centenario del suo pio transito. E mentre, per questa felice occasione, in diverse parti del mondo si stanno pubblicando articoli e intere opere in onore del beato Giovanni Duns Scoto e si tengono congressi, tra i quali è ora in preparazione quello solenne di Colonia, che si svolgerà nei giorni 5-9 del prossimo mese di novembre, riteniamo essere dovere del Nostro servizio, in questa circostanza, dire alcune parole su un uomo così esimio, che si è reso tanto benemerito nel contribuire al progresso della dottrina della Chiesa e della scienza umana.

Egli infatti, associando la pietà con la ricerca scientifica, secondo quella sua invocazione: "II primo Principio degli esseri mi conceda di credere, gustare ed esprimere quanto è gradito alla sua maestà e innalza le nostre menti alla sua contemplazione"1, con il suo raffinato ingegno così profondamente è penetrato nei segreti della verità naturale e rivelata e ne ha ricavato una dottrina tale da essere chiamato "Dottore dell'Ordine", "Dottore Sottile" e "Dottore Mariano", divenendo maestro e guida della Scuola Francescana, luce ed esempio a tutto il popolo cristiano.

Desideriamo pertanto richiamare gli animi degli studiosi e di tutti, credenti e non credenti, all’itinerario e al metodo che Scoto ha seguito per stabilire l'armonia tra fede e ragione, nel definire in tale maniera la natura della teologia da esaltarne costantemente l'azione, l'influsso, la prassi, l'amore, piuttosto che la pura speculazione; nel compiere questo lavoro, egli si fece guidare dal Magistero della Chiesa e da un sano senso critico in merito alla crescita nella conoscenza della verità, ed era persuaso che la scienza ha valore nella misura con cui viene realizzata nella prassi.

Ben saldo nella fede cattolica, egli si è sforzato di comprendere, spiegare e difendere le verità della fede alla luce della ragione umana. Pertanto null'altro si sforzò di fare se non di dimostrare la consonanza di tutte le verità, naturali e soprannaturali, che promanano da un'unica e medesima Fonte.

Accanto alla Sacra Scrittura, divinamente ispirata, si colloca l'autorità della Chiesa. Egli sembra seguire il detto di S. Agostino: "Non crederei al Vangelo, se prima non credessi alla Chiesa".2 Infatti, il nostro Dottore non di rado pone in speciale risalto la suprema autorità del Successore di Pietro. Secondo il suo dire, "sebbene il Papa non possa dispensare contro il diritto naturale e divino (poiché il suo potere è inferiore ad entrambi), tuttavia, essendo il Successore di Pietro, il Principe degli Apostoli, egli ha la medesima autorità che ebbe Pietro".3

Pertanto la Chiesa Cattolica, che ha come Capo invisibile lo stesso Cristo, il quale lasciò i suoi Vicari nella persona del beato Pietro e nei suoi Successori, guidata dallo Spirito di verità, è custode autentica del deposito rivelato e ,regola della fede. La Chiesa è criterio saldo e stabile della canonicità della Sacra Scrittura. Essa infatti "ha stabilito quali sono i libri da ritenersi autentici nel canone della Bibbia".4

Altrove afferma che "le Scritture sono state esposte con quel medesimo Spirito col quale furono scritte, e così si deve ritenere che la Chiesa cattolica le abbia presentate con quel medesimo Spirito con cui ci è stata trasmessa la fede, istruita cioè dallo Spirito di verità".5

Dopo aver provato con vari argomenti, tratti dalla ragione teologica, il fatto stesso della preservazione della Beata Vergine Maria dal peccato originale, egli era assolutamente pronto anche a rigettare questa persuasione, qualora fosse risultato che essa non fosse in sintonia con l'autorità della Chiesa, dicendo: "Se non contrasta con l'autorità della Chiesa o con l'autorità della Scrittura, sembra probabile doversi attribuire a Maria ciò che è più eccellente".6

II primato della volontà mette in luce che Dio è prima di tutto carità. Questa carità, questo amore, Duns Scoto lo tiene presente quando vuole ricondurre la teologia ad un’unica espressione, cioè alla teologia pratica. Secondo il suo pensiero, essendo Dio "formalmente amore e formalmente carità"7, comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della sua bontà e del suo amore.8 E in realtà, è per amore che Dio "ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1, 3-4).

Fedele discepolo di san Francesco d'Assisi, il beato Giovanni contemplò e predicò assiduamente l'incarnazione e la passione salvifica del Figlio di Dio. Ma la carità o l'amore di Cristo si manifesta in modo speciale non soltanto sul Calvario, ma anche nel santissimo sacramento dell'Eucarestia, senza il quale "scomparirebbe ogni pietà nella Chiesa, né si potrebbe - se non attraverso la venerazione del medesimo sacramento - tributare a Dio il culto di latria".9 Questo sacramento inoltre è sacramento di unità e di amore; per mezzo di esso siamo indotti ad amarci scambievolmente e ad amare Dio come bene comune e da essere coamato dagli altri.

E come quest’amore, questa carità, fu l’inizio di tutto, così anche nell’amore e nella carità soltanto sarà la nostra beatitudine: "Il volere oppure la volontà amorevole è semplicemente la vita eterna, beata e perfetta".10

Avendo Noi all’inizio del Nostro ministero innanzitutto predicato la carità, che è lo stesso Dio, vediamo con gioia che la dottrina singolare di questo Beato riserva un luogo particolare a questa verità, che massimamente riteniamo degna di essere indagata ed insegnata nel nostro tempo. Pertanto volentieri venendo incontro alla richiesta del Venerato Fratello Nostro Joachim Meisner, Cardinale di S.R.C., Arcivescovo di Colonia, inviamo questa Lettera Apostolica con la quale desideriamo onorare il beato Giovanni Duns Scoto ed invocare su di Noi la sua celeste intercessione. Infine a coloro che in qualsiasi modo partecipano a questo congresso internazionale ed ad altre iniziative riguardanti questo esimio figlio di San Francesco, impartiamo di cuore la Nostra Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 ottobre 2008, quarto anno del Nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI
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1. DUNS SCOTUS, Tractatus de primo Principio, c. 1 (ed. MULLER M., Friburgi Brisgoviae, 1941, 1).

2. Idem, Ordinatio I d.5 n.26 (ed. Vat. IV 24-25).

3. Idem, Rep. IV d.33 q.2 n. 19 (ed. VIVES XXIV 439 a.)

4. Idem, Ordinatio I d.5 n. 26 (ed. Vat. IV 25).

5. Ibid., IV d.11 q.3 n. 15 (ed. Vat. IX 181).

6. Ibid., III d.3 n. 34 (ed. VIVES XIX 167 b).

7. Ibid., I d.17 n. 173 (ed. Vat. V 221-222).

8. Cfr idem, Tractatus de primo Principio, c.4 (ed. MULLER M., 127).

9. Idem, Rep. IV d.8 q.1 n.3 (ed. VIVES XXIV 9-10).

10. Ibid., IV d.49 q.2 n. 21 (ed VIVES XXIV 630a).