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patatrac (POL)
14-12-05, 09:27
L’Italian food vince solo se c’è la multinazionale

GIAMPAOLO FABRIS


Nei giorni scorsi, a pranzo, chiedendo in un ristorante di New York dell’acqua ho avuto una conferma e una sorpresa. La conferma è che la caraffa piena d’acqua e ghiaccio, tanto abituale nella ristorazione di quel Paese, non mi è stata automaticamente portata. Coerentemente quindi l’affermazione delle acque minerali a un processo di crescente europeizzazione dei menù. Siamo in genere abituati a considerare l’altro lato della medaglia : la tendenziale, e preoccupante, macdonaldizzazione del nostro Paese. In realtà è un processo, quello degli interscambi gastronomici tra Europa e segnatamente l’Italia e gli Usa, che va virando a nostro favore. A parte la pizza, che ha ormai perduto il suo made in originario, la pasta, l’espresso, il cappuccino, il pane, il vino, l’olio extravergine e persino l’aceto balsamico stanno uscendo dai canali etnici dove erano da sempre confinati per entrare prepotentemente nelle diete degli americani. Che poi non siano le imprese italiane ad avvantaggiarsene è un altro discorso. Ma lo riprenderemo tra un attimo.
La sorpresa, invece, è venuta dal constare che l’alternativa propostami tra liscia o gasata veniva declinata da due marche inequivocabilmente italiane: San Pellegrino e Panna. Mentre di San Pellegrino, approdata da tempo dalla famiglia Mentasti alla Nestlè, è nota la presenza in giro per il mondo, per Panna, una marca non diffusissima nemmeno in Italia, lo sconcerto è stato maggiore. Presto superato realizzando che, in realtà, ambedue le marche gravitano nell’orbita Nestlè. E che vanno sostituendo, con successo, il duopolio che avevano in questo mercato i francesi con Evian acqua liscia e Perrier, acqua fortemente gasata.
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Ma c’è voluta appunto la Nestlè per imporre due marche italiane nella ristorazione dei grandi mercati globali. Credo sia anacronistico rammaricarsi che San Pellegrino e Panna siano di proprietà adesso di una grande multinazionale e che sia questo che ne consente l’apprezzamento fuori dal nostro Paese. Ma ritengo sia legittimo domandarsi come mai proprio in una delle più significative tre effe (fashion, food, furniture) che dovrebbero costituire il baluardo e la rendita di posizione del made in Italy le imprese italiane abbiano un ruolo che sarebbe generoso definire da comprimarie. Come mai dell’eccezionale goodwill che gode l’alimentazione italiana le imprese di casa nostra non raccolgano che le briciole, rinunciando a qualsiasi protagonismo. Che sia forse la sola Ferrero sia pure nel settore dolciario che meno fruisce delle positività del made in Italy ad avere una presenza significativa a livello mondiale. Eppure le indagini testimoniano che, ormai da tempo, la cucina italiana ha superato in termini di consenso la cucina francese: leader da sempre ma considerata oggi troppo sofisticata ed elaborata.
I prodotti alimentari italiani e le proposte gastronomiche del nostro Paese potrebbero godere quindi, nel contesto competitivo, di una marcia in più. I mercati in tutto il mondo straripano di alimenti che di italiano hanno soltanto il nome. Dietro o grandi multinazionali naturalmente non italiane o sconosciuti imprenditori che taroccano i nostri prodotti attingendo parassitariamente a un favore che non spetta loro. Sono semmai geniali ristoratori italiani a tenere alta la bandiera dell’italian food nel mondo, ma sono poco più che artigiani, piccoli Davide davanti a grandi Golia. Non esistono catene di ristorazione italiane anche se sono apprezzabili gli sforzi di internalizzazione di Autogrill , non ci sono brand italiani che competono da protagonisti e hanno quote di mercato significative sui mercati mondiali. Quella sfida che il mondo della moda ha accettato, e in parte vinto, il settore alimentare ha rinunciato a giocarla. Un capitale importante del sistema Paese viene così colpevolmente dilapidato. La consapevolezza di saper fare dei buoni prodotti se non si dispone poi di una distribuzione adeguata, di aggressive strategie di marketing e di comunicazione è una ben magra consolazione.

da http://www.repubblica.it/supplementi/af/2005/12/12/copertina/001fabris.html