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Visualizza Versione Completa : Il ruolo della Chiesa e del clero sardo, nel processo di liberazione.



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02-01-06, 19:03
Considerata l’importanza dell’argomento sollevato nel 3d “La lingua nazionale nella liturgia”, mi è sembrato utile, per “stimolare” ed allargare il dibattito, proporre alcuni interventi significativi in proposito risalenti al 1984, pubblicati sulle pagine de “il Solco” a firma di Gigi Sanna, Italo Ortu, e Nino Runchina.
Per facilitarne la lettura, li riporterò separatamente.

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02-01-06, 19:07
Ma il clero sardo che ruolo vuole assumersi nel processo di liberazione?
Nei momenti cruciali del nostro passato quella isolana è stata una chiesa resistente. E adesso?

GIGI SANNA

Credo che si possa legittimamente affermare che nel processo avviato in Sardegna sul decondizionamento e ricondizionamento delle strutture della personalità, mortificate da lunghi processi di colonizzazione, un ruolo del tutto marginale, se non di indifferenza ha svolto la chiesa sarda. Neppure ai più nobili livelli della gerarchia essa ha saputo esprimere uomini capaci di rompere con il modello, fortemente consolidato, di un clero attento più ad una prassi ed una filosofia amministrativa che ad un comportamento politico.
Cause storico-politiche, facilmente individuabili, hanno spinto il clero sardo, soprattutto dopo l'avvento del fascismo, a norme ed atteggiamenti culturali che sono stati spesso, con l’andar del tempo, data l'importanza dei parroci come mediatori di conoscenze all'interno delle comunità, una delle cause principali dello sradicamento dei sardi dalla loro storia, dalla loro lingua, dalle loro tradizioni, dal loro, insomma, specifico modo di essere.
Quando Pietro Casu, nella prefazione alla Divina Commedia tradotta in sardo, si scandalizzava dei colleghi che non solo mostravano di non aver coscienza della loro lingua materna per l'importanza che essa rivestiva nella cultura complessiva ma erano persino incapaci di fare, “sos ammonitorios”, registrava evidentemente un momento di frattura in atto. In esso
il clero sardo, soggiacendo ai modelli di una cultura ritenuta superiore e/o incapace di procedere alla dovuta mediazione, abbandonava la sua specificità resistenziale.
Sarà appena il caso, per fare qualche esempio, di ricordare il ruolo tenuto dal clero sardo nella rivolta angioiana con i martiri sul patibolo, lo sforzo culturale fatto da intellettuali preti come lo Spano ed il Porru con i vocabolari e le grammatiche, come Salvatorangelo De Castro con la rivista «Meteora» impegnata non solo nel rendere italiana ed europea la periferica cultura sarda ma anche nel preservarne il meglio della autenticità.
Da questo pulito di vista una storia sul clero in Sardegna ed in particolare sul ruolo da esso assunto, sulla sua importanza nei momenti cruciali della storia isolana, non è stata ancora fatta, ma certe appaiono nel passato, anche da un frettoloso esame, la caparbia resistenza alla imposizione di modelli esterni, la collocazione in genere progressista e persino una certa audacia che tanto contrasta con la ben nota timidezza e rassegnazione, se non viltà di tanta parte della borghesia sarda.
Invece non solo con il fascismo, ma anche alla caduta di questo, la chiesa in Sardegna sembra aver perso la sua specificità e identità, accettando in blocco - com'è noto – e acriticamente una posizione antisardista anomala (non solo in termini partitici), alimentata ad arte per impedire una possibile convergenza politica cattolico-sardista che non avrebbe permesso, nella ricomposizione di un nuovo ordine borghese italiano, il controllo di un’isola che aveva dato non poche preoccupazioni al precedente tentativo di «ordine» del generale Gandolfo.
Le cose in Sardegna sono andate da questo dopoguerra come tutti sanno: la chiesa sostanzialmente, dove più dove meno, ha preferito rivolgere la sua attenzione, e quindi convogliare il suo determinante elettorato, su partiti moderati ed in particolare sulla DC. Di questi, inevitabilmente, ha finito per accettare idee e comportamenti culturali, non sempre riconducibili alla specificità della coltura e della stessa religiosità sarda (quanta lingua mozzata, quante tradizioni abbandonate, quanta storia rinnegata).
Questo ha fatto sì che in Sardegna, come in altri luoghi, non poche persone abbiano
nutrito e nutrano una certa diffidenza verso le istituzioni religiose, soprattutto chi, proprio perché profondamente religioso, sa che la chiesa per sua natura non può stare a guardare, mettersi della parte del più forte, che è, il più delle volte prepotente ed arrogante, defilarsi nei momenti più importanti e decisivi per una collettività. Nelle condizioni drammatiche in cui ci troviamo c'è bisogno di tutti e quindi anche della chiesa. Sono fermamente convinto che le sorti del popolo sardo non potranno veramente migliorare se non con una formidabile convergenza di forze dove ognuno, com'è regola costante in ogni grande e serio movimento collettivo, debba cercare di vedere e rivisitare se stesso, debba avvicinarsi il più possibile al suo onesto compagno di viaggio.
Non si prenda ciò come un maldestro invito ad un «fortza paris» strumentale. E’ semmai un invito della Chiesa del concilio, del dialogo e della mediazione, così come lo ha espresso padre Sorge in un articolo di Civiltà Cattolica: « Che cosa impedisce - si chiede- che c'incontriamo con tutti gli uomini di buona volontà - al di là dei blocchi ideologici, culturali o d'altra natura – su valori che oggi sono condivisi da tutti e sui quali spesso i «laici» si sono mostrati in passato più sensibili dei Cristiani? Perché dovrebbe essere “compromettente” - come qualcuno teme – realizzare tutti insieme una società fondata sul rispetto della libertà di coscienza, sul principio che tutti gli uomini sono uguali hanno tutti gli stessi diritti umani e civili, sul diritto dei popoli all'autodeterminazione, sulla libertà di cultura e della ricerca scientifica, sul principio della tolleranza e del pluralismo anche quando erra?». Un’esortazione quindi anche la nostra alla riflessione da parte del clero, sui compiti che egli assolve in Sardegna, soprattutto in un momento di straordinarietà.


“il Solco”, 15 aprile 1984.

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02-01-06, 19:12
Nella nostra identità c'è posto per la religiosità"

I parroci rivoluzionari del Logudoro, l'esilio in Corsica e poi, col fascismo, ecco allentarsi l’impegno per la questione sarda.


ITALO ORTU

Le «scienze umane» ci hanno chiaramente dimostrato che esistono, strutture sociali, mentali, politiche, culturali, linguistiche, etniche che costituiscono, nel loro complesso, l'identità di un popolo a cui offrono basi sicure su cui fondare le proprie decisioni.
A pieno titolo anche il fatto religioso è parte integrante, insostituibile e caratterizzante della cultura, dell'identità di un popolo, contribuendo a costituire, condizionandolo, il più intimo e profondo equilibrio spirituale ed etico dello stesso.
Ogni forma di acculturazione, esplicita o velata, violenta o meno, non può che sconvolgere equilibri consolidati di carattere culturale, psicologico e sociale elaborati e costituitisi nel corso dei secoli: l'acculturazione di carattere religioso non può che conseguire gli stessi effetti devastanti e sconvolgenti. Da qui la resistenza, il rigetto o, peggio, io ritengo, l'accettazione passiva che non penetra e vivifica, non condivisa, né sentita.
Ne consegue uno spegnersi progressivo di quel vivo senso della religiosità che faceva partecipare e vivere, forse anche ingenuamente, ma intensamente e fermamente la fede degli avi.
Chiunque abbia del popolo sardo conoscenza, anche epidermica, non può non evidenziare, inconfondibile e solare, la sua identità religiosa. Sono i momenti e i fatti della più comune vita quotidiana; il lavoro, il vivere sociale, la famiglia, la comunità, la festa, la gioia, il dolore, il canto ed il pianto a essere permeati ed espressi in forme originali di religiosità, che non è folklore, ma cultura viva, vita vissuta, scelta consapevole, convinzione profonda.
Sulla religiosità ancestrale dei sardi che menhirs e betili, Madri mediterranee e pozzi sacri ci rivelano diffusa e fervida, la Chiesa cattolica ha innestato e poi sviluppato, nel corso di tanti secoli, una fede intensa che fa vibrare, in ogni sua più intima fibra, il popolo sardo. E sono presbiteri, abati, semplici monaci e vescovi che, ancor prima della caduta dell'Impero romano d'Occidente ed in epoca posteriore, fondano cenobi e monasteri, centri dove si elaborano e da dove si diffondono idee per tutta l'Isola.
La Chiesa sarda in stretta relazione con la Chiesa africana, entrambi coesistenti nell'ambito dell'Esarcato d'Africa, conosce e fa tesoro della prestigiosa cultura elaborata da apologeti e filosofi cristiani della grandezza di un Tertulliano e di Sant'Agostino. I rapporti sono tanto intensi e continui che, nel tempo, la stessa lingua sarda, come lingua neolatina, va sviluppandosi sull'antico ceppo della parlata latina meridionale, e cioè sardo-africana. La Chiesa sarda può vantare allora prelati intellettuali, la di cui fama, per santità e dottrina, va molto oltre lo stretto ambito isolano, come avviene per Lucifero ed Eusebio; ed ancora dopo, si illumina della saggezza e del pensiero di Fulgenzio.
La vita civile, la politica, l'economia e l'arte in Sardegna conoscono, specialmente in periodo giudicale, un rapporto costante e stretto con la Chiesa. Le cancellerie giudicali si avvalgono, molto di sovente, della preziosa collaborazione di ecclesiastici: fioriscono, ovunque, veri gioielli d'arte purissima, le chiese romaniche che ospitano le assemblee popolari convocate dai giudici; ad opera dei monaci si bonificano e si dissodano le terre, si introducono colture diverse, viene arricchito il patrimonio zootecnico.
Quando, ad opera dei dominatori di turno, la lingua sarda viene emarginata dalla cultura ufficiale egemone, ritrova spazio e salvezza negli scritti di ecclesiastici poeti e prosatori, quali il Cano, l'Araolla e Carboni, Mele, Matta, Casu per non citare che alcuni dei tanti ed illustri.
Si ritiene, e si afferma spesso, che la Chiesa sarda abbia spesso abbandonato ai lupi famelici venuti, in tempi diversi, dal mare, il proprio gregge e compiuto nefanda opera di intermediazione con il colonizzatore. Tali affermazioni meritano un esame più attento e, quanto meno, è sempre opportuno non generalizzare. Perché è vero anche che, in tempi non troppo lontani, il clero minore, certamente indigeno, più vicino agli interessi del popolo sardo, della parte più povera e dolorante del gregge cristiano, sul finire del settecento, fu a fianco delle masse contadine e dei pastori contro i baroni, contro la prepotenza e lo sfruttamento feudale, contro i piemontesi.
I parroci del logudoro, insieme alla emergente borghesia illuminata locale, guidarono la sollevazione antifeudale ed antipiemontese delle plebi rurali dando vita alla grande ed esaltante rivoluzione nazionalitaria e sociale del popolo sardo che ebbe, come suo maggior leader, Giovanni Maria Angioy. Prete Muroni, il sacerdote Sanna Corda e molti altri ancora, per questo loro gesto per questo loro gesto generoso dovettero affrontare il sacrificio supremo lasciando la loro testa sul patibolo o morire combattendo.
Don Michele Obino, sacerdote e docente universitario, e tanti altri dovettero abbandonare l'isola, esuli in Corsica ed in Francia per il loro sconfinato desiderio di libertà per la propria terra e la propria gente.
Ha ragione Gigi Sanna allorché afferma (Il Solco, n.2) che la Chiesa in Sardegna allentò il suo impegno nei confronti della «questione sarda», se addirittura non passò sull'altra sponda, nel periodo che intercorre tra gli anni trenta ed i nostri ultimi decenni. Forse il trionfalismo e l'equivoco del 1929 portarono lo smarrimento in molte coscienze, e l'oblìo dell'impegno e della trincea che fu della Chiesa, in Sardegna, per molti secoli. Ma sono queste, questioni che vanno anche viste, direi soprattutto considerate ed interpretate, nel contesto ed in prospettiva storica.
Con la lettera enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, (dell’11 aprile 1963, tempi nuovi si annunziano e si auspicano. La suprema autorità della Chiesa Cattolica richiama i potenti, gli imperialisti, le potenze egemoni al rispetto, ad atti di giustizia nei confronti delle minoranze etniche. Rivendica per i popoli subalterni il diritto alla libertà, allo sviluppo «con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse ed iniziative economiche».
Il Concilio Vaticano II, nello spirito di questa enciclica, in due sue Costituzioni (“Sacrosanctum Concilium” e “Gadium et Spes”) nel mentre consente nella liturgia l'uso della lingua nazionale “che può riuscire di grande utilità per il popolo”, richiama i pubblici poteri ad assicurare alle, minoranze etniche condizioni e sussidi atti a promuovere la loro vita culturale e riconosce giusta la loro preoccupazione di voler salvaguardare i propri diritti. .
Sono affermazioni e disposizioni che richiamano il mondo cattolico ad una maggiore attenzione ed aggiornata lettura dei problemi relativi alle minoranze etniche. Ed ecco che la lotta delle nazionalità oppresse per la conquista di adeguati spazi di libertà e di autogoverno ritrova sempre più presente l'assenso, il sostegno delle Chiese locali e del relativo clero: In Irlanda, tra il popolo basco, nella Catalogna come nel Friuli.
La Chiesa sarda non è, a sua volta, totalmente insensibile e sorda ai problemi della libertà della nazione sarda. Le sue grandi e nobili tradizioni riemergono, anche se lentamente e senza troppi clamori, da un passato lontano e recente. La lingua sarda, con maggiore frequenza, riecheggia sonante sotto le volte dei templi con canti, preghiere, prediche, cerimonie e riti religiosi che si riallacciano alle più belle e genuine tradizioni, alla cultura del nostro popolo.
Tra il clero sono ormai tanti coloro che, a tutti i livelli della gerarchia ecclesiastica, hanno ripreso un rapporto diretto e verace con la vita, la cultura del popolo. Di recente un vescovo sardo ha esortato gli intellettuali, che ne abbiano la capacità, al lavoro di traduzione in sardo delle Sacre Scritture augurandosi, in tempi brevi, la celebrazione della Messa in lingua sarda. Una più larga e decisa presenza e partecipazione dei clero sardo al movimento brucerebbe i tempi, riguadagnando alla nazione sarda tanto del troppo tempo perduto.


“il Solco”, luglio? 1984.

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02-01-06, 19:15
Meriti e colpe del clero e della chiesa in Sardegna

Salvo pochi casi sono stati sempre dalla parte del potere politico ed economico ma qualcosa può cominciare a cambiare


NINO RUNCHNA

Il discorso aperto sul nostro giornale circa il ruolo sociale e politico oltre quello peculiare religioso, svolto dalla Chiesa in Sardegna, merita di essere approfondito e discusso perché non credo che possa sfuggire la sua importanza nel quadro politico-culturale del popolo sardo. Concordo con gli appunti stringati e puntuali di Gigi Sanna sul n° 2 del Solco come pure trovo sagge e rispondenti alla verità storica le osservazioni di Italo Ortu sul n° 5.
Vorrei aggiungere alcune considerazioni che aiutino a mettere a fuoco la questione di non poca importanza.
Nessuno può negare i meriti grandissimi e le altrettanto grandi responsabilità e colpe del clero sardo nella storia e nel divenire del popolo sardo. Non bisogna dimenticare però che, salvo poche e rare eccezioni, il clero e la Chiesa sono stati sempre appaiati al potere politico ed economico.
Gli esempi ci sono, purtroppo e numerosi, anche oggi; ma se qualcuno volesse approfondire la conoscenza dei fenomeno socioantropologico, consiglio di leggere l'interessante documento “Diario di un parroco di villaggio” di Clara Gallini edito da «Documenti e Opinioni», una collana delle Edizioni democratiche sarde. Tale diario è lo spaccato socio-antropologico-politico-religioso di una piccola comunità dell'interno montagnoso sardo, tra il 1880 e il 1914.
Cruciali mi sembrano due annotazioni della Gallini che rileva come l'aforisma sottoscrivibile dal nostro parroco in calce al suo Diario sarebbe senza alcun dubbio «LA STORIA NON SI RIPETE».
Ma c'è da dire - osserva la studiosa - che si “ripete” perché si pretende che si ripeta. E ciò avviene anche e soprattutto nel rituale cosiddetto sacro, delle feste e delle ricorrenze, basato sul piano della prassi e della ideologia sul «si deve fare così» per cui si assimila l'eterno e giusto ritorno del ciclo naturale all'inadeguato e ingiusto, o modificabile comunque, ciclo comportamentale sclerotizzato nella consacrazione e nel timoroso conservatorismo di maniera.
Questo infelice accoppiamento Chiesa-Potere che purtroppo resiste anche ai giorni nostri, rivela il carattere intermediario, più spesso succube e talvolta, più raramente, ricco di fermenti, dei clero sardo che si inserisce in «sa idda» come elemento sacralizzante e ufficializzante di poteri costituiti senza il benché minimo accenno ad una funzione critica e contestativa non solo nel campo economico e sociale ma nemmeno in quello religioso apparente.
“Sos meres” onoravano la Chiesa della loro austera e autoritaria presenza, mentre le donne del basso ceto avvallavano con la loro presenza le ingiustizie subite dai loro uomini e dai loro figli e fratelli. Oggi è confortante notare un po' meno nella gerarchia e più nel clero, una tendenza critica e distaccata nei confronti del potere.
A riprova di questa osservazione riporterò testualmente alcuni brani della relazione sulla «Situazione socio-religiosa delle Popolazioni della Sardegna, fatta dal canonico Piero Marras di Tempio al Convegno del clero sardo tenuto a Cala Gonone il 15.10.1981. “La Sardegna è entrata solo da qualche decennio nell'ambito dell'economia industriale capitalistica propria dell'occidente. Tutto questo è avvenuto in assenza di una spinta interna all'isola ma in base ad una politica economica che ordinava lo sviluppo delle aree depresse alle situazioni dei paesi già sviluppati.
«Si è trattato in sostanza di una industrializzazione non intesa a valorizzare le risorse locali ma affidata a calcoli speculativi del grande capitale privato e spesso prosegue il canonico Marras - a mire di avventurieri. In fondo è una industrializzazione precaria, che ha assorbito enormi capitali pubblici, ha provocato continui terremoti in campo occupazionale e sociale, ed oggi è pressoché al fallimento. Tra gli attori di questo dramma, che proprio in questi giorni si chiama disoccupazione una classe politica isolana impreparata o impotente ed una opinione pubblica condizionata e imbavagliata (vedi acquisto dei quotidiani sardi da parte del capitale monopolistico).
"Si è potuto così parlare di sviluppo dipendente - di società assistita - di colonialismo interno- tutti termini che denotano una ormai storica dipendenza della Sardegna dal mondo esterno. In questo rapporto, come, avviene sempre in ogni processo colonialistico, tra i dominatori esterni e le popolazioni subordinate, i ceti superiori isolani hanno agito da cerniera, come intermediari e rappresentanti degli interessi esterni. Anche l'apparato ecclesiastico - prosegue il canonico Marras – in quanto ceto socialmente privilegiato, si è trovato a svolgere oggettivamente questo ruolo».
Dopo un'analisi attenta e accurata delle strutture ecclesiali e della religiosità in Sardegna, Piero Marras chiude così la sua relazione al convegno ecclesiastico regionale: «Si possono modificare gli assetti economici ma non è detto che le culture debbano seguire la stessa sorte quando sono radicate in un passato così remoto, com'è il caso della Sardegna. E’ più facile distruggere un popolo che una cultura. Una volta che lo sviluppo materiale, pure attraverso tante contraddizioni, ha fatto loro oltrepassare lo stadio della economia di sussistenza, si aprono ai popoli spazi di libertà e di responsabilità nei quali essi possono giocare come vogliono il loro destino”
Questa relazione è stata letta davanti a 8 Vescovi e 300 sacerdoti di tutta la Sardegna. I punti salienti di essa sono stati citati diverse volte nel documento finale che ha concluso i lavori del convegno ecclesiastico sardo.
Ci sono, mi sembra, le premesse per un dialogo fra sardismo e Chiesa, ricco di spunti rinnovatori e di spinte nuove e progressive nell'interesse primario delle genti sarde. Un dialogo da coltivare a tutti i livelli ma soprattutto nella base giovanile cattolica ricca di fermenti autentici di sardità che non devono essere sottovalutati.


“il Solco”, 16 settembre 1984.

Pisittu
02-01-06, 21:43
da allora non è cambiato una virgola,certo in una parte del clero ci potrebbe essere un'apertura culturale e mentale, ma sicuramente la maggior parte non vedrebbero di buon occhio il cambiamento(indipendentismo), anche per il rischio della perdita dei privilegi!in questo momento poi, nel vaticano prevale di molto la corrente reazionaria e conservatrice, al massimo possiamo fare come in inghilterra!:D

juanna maria
02-01-06, 23:49
...difattis...MAI intesu de carchi pritteru o de sa creja...chi appat picatu..o nattu carchi cosa es: contra sas bases...sos toscos...e via discorrendo

Vincent II
03-01-06, 11:47
La carattertizzazione anticlericale del vostro partito, non a caso laico e di sinistra, è uno dei motivi che gli ha impedito (anche se il problema è molto più complesso) di diventare partito nazionale di massa quali sono l'UV, la SVP, il PNV, lo SNP e quant'altro, caso tra l'altro più unico che raro in tutto il continente.
Io sono cattolico praticante come una parte notevole della popolazione sarda. Non è molto intelligente autoghettizzarsi escludendo me e loro dal sentirci parte di un progetto nazionale serio.:-0#09o
A proposito, quando si parla di progetto di lberazione o di nazionalitarismo mi sento tanto un abitante di qualche paese sottosviluppato del sud America o dell'Africa in fase di decolonizzazione. Il mio consiglio è di cambiare il lessico terzomindista.
Cordialmente

Pisittu
03-01-06, 12:20
La carattertizzazione anticlericale del vostro partito, non a caso laico e di sinistra, è uno dei motivi che gli ha impedito (anche se il problema è molto più complesso) di diventare partito nazionale di massa quali sono l'UV, la SVP, il PNV, lo SNP e quant'altro, caso tra l'altro più unico che raro in tutto il continente.
Io sono cattolico praticante come una parte notevole della popolazione sarda. Non è molto intelligente autoghettizzarsi escludendo me e loro dal sentirci parte di un progetto nazionale serio.:-0#09o
Cordialmente


io parlo a titolo personale,secondo me hai un pò frainteso,nessuno è contro la religione cattolica!ma ci dev'essere una distinzione netta tra stato e chiesa!,perchè ,io che sono ateo,o un'altro di diversa religione , dovremmo essere obbligati a seguire e/o a fare "sacrifici"economici per la chiesa cattolica? !tu invece (sinceramente)come vorresti che "funzionassero" le cose?

Vincent II
03-01-06, 12:29
io parlo a titolo personale,secondo me hai un pò frainteso,nessuno è contro la religione cattolica!ma ci dev'essere una distinzione netta tra stato e chiesa!,perchè ,io che sono ateo,o un'altro di diversa religione , dovremmo essere obbligati a seguire e/o a fare "sacrifici"economici per la chiesa cattolica? !tu invece (sinceramente)come vorresti che "funzionassero" le cose?
MENO PARTITINO IDEOLOGICO LAICO E SOCIALISTA (con risultati fallimentari), PIU' PARTITO PIGLIATUTTO (aperto alla società sarda come è e non con come vorreste che fosse).
Faccio presente che lo SNP e la SVP sono partiti orgogliosamente cattolici: i loro risultati elettorali parlano da soli, i vostri anche.

Pisittu
03-01-06, 12:38
MENO PARTITINO IDEOLOGICO LAICO E SOCIALISTA (con risultati fallimentari), PIU' PARTITO PIGLIATUTTO (aperto alla società sarda come è e non con come vorreste che fosse).
Faccio presente che lo SNP e la SVP sono partiti orgogliosamente cattolici: i loro risultati elettorali parlano da soli, i vostri anche.


cioè?scusa l'ignoranza,che sono snp e svp?

Pisittu
03-01-06, 12:47
io ti dico come io vorrei che andassero le cose;
1-tutti i privilegi al clero azzerati.
2-costituzione di un partito cattolico,con vescovi e preti che si possono anche candidare!se questo partito raggiunge la maggioranza per governare,allora prende le decisioni che vuole!tutto alla luce del sole,non come adesso,che senza nessuna maggioranza legittima si vorrebbe imporre il proprio volere anche a chi non è cattolico!
mi pare di non aver detto niente di così strano,la democrazia funziona così!
saresti d'accordo?

Vincent II
03-01-06, 14:22
cioè?scusa l'ignoranza,che sono snp e svp?
Ho fatto un errore: PNV (non SNP) e SVP.
Il resto ve lo commentate da soli.:-00w09d

Pisittu
03-01-06, 16:10
Ho fatto un errore: PNV (non SNP) e SVP.
Il resto ve lo commentate da soli.:-00w09d

parla al singolare,io rappresento solo me stesso,non so lo stesso cosa sono quelle sigle!,per il resto, perchè non discuterne?,di la tua,il forum è fatto per questo,mi pare di non aver detto niente di male!:-:-01#19

juanna maria
03-01-06, 21:39
La carattertizzazione anticlericale del vostro partito, non a caso laico e di sinistra, è uno dei motivi che gli ha impedito (anche se il problema è molto più complesso) di diventare partito nazionale di massa quali sono l'UV, la SVP, il PNV, lo SNP e quant'altro, caso tra l'altro più unico che raro in tutto il continente.
Io sono cattolico praticante come una parte notevole della popolazione sarda. Non è molto intelligente autoghettizzarsi escludendo me e loro dal sentirci parte di un progetto nazionale serio.:-0#09o
A proposito, quando si parla di progetto di lberazione o di nazionalitarismo mi sento tanto un abitante di qualche paese sottosviluppato del sud America o dell'Africa in fase di decolonizzazione. Il mio consiglio è di cambiare il lessico terzomindista.
Cordialmente



chin tottu su rispettu...sa limba in sa liturgia...o misssa..non est tra sos problemas mannos chi tenimus in SARDIGNA
:lol

Su Componidori
04-01-06, 02:27
La carattertizzazione anticlericale del vostro partito, non a caso laico e di sinistra, è uno dei motivi che gli ha impedito (anche se il problema è molto più complesso) di diventare partito nazionale di massa quali sono l'UV, la SVP, il PNV, lo SNP e quant'altro, caso tra l'altro più unico che raro in tutto il continente.
Io sono cattolico praticante come una parte notevole della popolazione sarda. Non è molto intelligente autoghettizzarsi escludendo me e loro dal sentirci parte di un progetto nazionale serio.:-0#09o
A proposito, quando si parla di progetto di lberazione o di nazionalitarismo mi sento tanto un abitante di qualche paese sottosviluppato del sud America o dell'Africa in fase di decolonizzazione. Il mio consiglio è di cambiare il lessico terzomindista.
Cordialmente
Mi pare che alcune tue concezioni sul PSd’A. siano approssimative. Andiamo per ordine.
Il PSd’A non mi risulta essere anticlericale, da cosa evinci questa affermazione?
Ciò non toglie che tra i militanti qualcuno potrebbe esserlo.
Sul fatto che sia laico, lo ritengo un elemento qualificante, in quanto non si ispira esplicitamente alla Chiesa, ma gli insegnamenti del cristianesimo, in qualche modo sono “interiorizzati”.
Il PSd’A è una organizzazione politica democratica, in cui vige il massimo rispetto personale, basta leggersi l’Art. 4 dello Statuto:

ART. 4 - VALORI SOCIALI
Il “ Partidu Sardu - Partito Sardo d'Azione" esalta i valori della libertà, dell'uguaglianza e della fratellanza fra gli uomini e fra i popoli. Si batte affinché tutti gli uomini e le donne godano di pari diritti, pari opportunità e abbiano gli stessi doveri. Combatte ogni forma di razzismo e di sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Tutela la libertà religiosa, di manifestazione del pensiero, di parola, d’informazione, di comunicazione, di sindacato e di associazione.
Rifiuta il primato della guerra nella risoluzione delle controversie e adotta la non violenza come metodo di lotta politica. Difende i diritti fondamentali di tutto il popolo sardo ed in particolare il diritto al lavoro ed il diritto alla libertà di impresa. Valorizza e tutela il territorio della Sardegna, in un quadro di sviluppo economico e di partecipazione delle popolazioni.

Credo comunque che la maggioranza dei sardisti siano cattolici, non so in quale percentuale praticanti.
Potrei aggiungere che Sacerdoti e appartenenti ad ordini religiosi, come i Francescani, hanno avuto un passato sardista…


***

Sul fatto che il Partito sia “di sinistra”, mi sembra si voglia ricadere in categorie politiche di schieramento, che rende i sardisti insofferenti, semplicemente perché non ci riconosciamo in nessuno dei partiti della “sinistra italiana”; ma su questo mi sono già espresso nel 3d “Sussulti di parte: http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=213677 .
Buttando lì una definizione “estemporanea” preferisco il termine “progressista” di tipo “azionista-socialista-liberale-sardo”.


***

Leggendo il tuo post, questo pomeriggio ho voluto/dovuto acquistare il testo del Prof. Gigi Sanna: Pulpito, politica e letteratura, pubblicato nel 2002.


http://img424.imageshack.us/img424/6130/pulpito6jy.jpg (http://imageshack.us)
Riporto la presentazione di Don Antonio Pinna, che può contribuire a chiarire le idee:


PRESENTAZIONE

La ricerca di Gigi Sanna sulla storia della predica in Sardegna nasce all'interno dei corsi di Storia della Chiesa presso l'Istituto di Scienze Religiose di Oristano. Studioso che non si lascia intimorire dalle sfide, egli accettò la nostra proposta di integrare gli aspetti locali sardi nei corsi fondamentali, senza rimandarla a successivi corsi opzionali. L'intento era che gli studenti dell'Istituto, tanto gli insegnanti di Religione nelle scuole pubbliche quanto i collaboratori nelle attività ecclesiali, non terminassero gli studi di teologia nelle medesime condizioni degli studenti e dei preti usciti dal Seminario di Cuglieri a partire dal 1928, e anche, almeno in parte, delle ultime generazioni che escono dalla Facoltà Teologica trasferita a Cagliari nel 1971: sapendo molto della storia della chiesa universale, e niente o quasi della storia della chiesa locale sarda. Non si tratta, certo, di restringere gli orizzonti in tempi di globalizzazione. Si tratta invece di ritrovare il senso fondante di un logos fatto carne. Dimenticando l'incarnazione, la verità evangelica diventa filosofia perenne, l'universalismo diventa colonialismo, l'unità diventa uniformità.
Dalle Memorie storiche pubblicate nel 1912 per il secondo centenario del Seminario Arcivescovile di Oristano, veniamo a sapere che un simile intento fu presente tra il 1904 e il 1907 nel piano di studi teologici di allora. La relazione quasi burocratica delle notizie viene d'improvviso interrotta da una pagina quanto mai personale, che vogliamo rendere pubblica, anche perché aiuta a capire il senso dell'accostamento tra «pulpito, politica e letteratura»: «Si è pensato pure ad istituire una cattedra di storia dedicata specialmente ai monumenti ed alle memorie isolane, affinché nei giovani leviti rimanesse caldo l'amore della patria, e vivessero nello spirito dei nostri antenati, e parlassero il loro linguaggio, con significato di nobile protesta contro la invadenza e le usanze di popoli stranieri, che hanno sempre spadroneggiato, infeudato e sfruttato l'isola cara [ ... ] Quanti sono in Sardegna che conoscono la storia dei nostri maggiori? Quanti pochi han pensato al contenuto letterario e storico dei nostri archivi [ ... ] Anche i sacerdoti devono essere sardi, forti di disciplina morale e di nazionale fierezza, di spirito di sagrifizio e di abnegazione; anch'essi sappiano apprezzare le virtù eroiche che li rende fieri e gelosi della loro indipendenza, mal sopportando la vicinanza dei cupidi nemici e il contatto dei disprezzatori del loro paese [ ... ] Ricordiamoci tutti che a nessuno il passato deve far ira, ma a tutti deve il presente causare vergogna e l'avvenire paura».
Ma subito dopo questa pagina ispirata, leggiamo: «Nobile adunque il pensiero di un insegnamento di storia patria; se bene deva per ora ritardarsi l'attuazione. Col programma degli studi di S. S. Pio X, il Seminario attuò tutto l'insegnamento ufficiale con orario regolare, senza più pensare a maggior numero di materie». Successe dunque che, per ottemperare a un programma di studi universalmente stabilito, la "nobile" intenzione di favorire una più incarnata identità dei "sacerdoti sardi" restò soltanto una bella pagina dimenticata, e per certi segni destinata a rimanere tale.
Riguardo al contenuto, la prima comunicazione orale dello studio presso l’Istituto di Scienze Religiose e i condizionamenti pratici della ricerca spiegano la focalizzazione sulla predica in sardo nel territorio arborense1. Questo limite territoriale, di cui l'autore è ben consapevole, sottolinea l'aspetto di «sfida» implicito nel tema stesso della ricerca, sia per lo stato iniziale della conoscenza degli archivi sia per la diffusa sfiducia, discussa più volte nel testo, circa l'interesse storico, letterario, e anche religioso, di ciò che si trova o si potrebbe "ancora" trovare. Il lettore, di qualsiasi lingua, sentirà tra le righe l'invito ad acquisire una maggiore conoscenza dell'identità della propria ed altrui cultura, invertendo i frutti di un'educazione allo sradicamento e alla disincarnazione, che faceva e fa assimilare più il disprezzo per il proprio paese che la corretta inculturazione di una fede universale. A sentire certe rituali e solenni, ma generiche dichiarazioni di principio, non corroborate da precise analisi e non seguite da decisioni concrete, potrebbe sembrare che ai sardi non resti ormai altro destino che lasciare in eredità ai loro posteri (ancora «sardi»?) una sterile «ira» per il passato. Cresce, tuttavia, l'interesse per rispondere alla domanda su "quanti pochi han pensato al contenuto letterario e storico dei nostri archivi". Se questi pochi aumenteranno, stimolati anche dall'interesse e dagli interrogativi suscitati dal libro di Gigi Sanna, e se all'interesse per gli archivi si affiancherà la consapevolezza della propria identità e dignità, allora il presente avrà meno motivi di vergogna e l'avvenire meno ragioni di paura. Deus bollat e aici siat.


Antonio Pinna
Direttore dell'Istituto Scienze Religiose di Oristano

1 Il cap. 7 avanza l'ipotesi di una "scuola oratoria" arborense. A supporto, faccio presente che nell'archivio del Seminario di Oristano sono conservate, per gli anni dal 1904 al 1947, 43 locandine graficamente curate con F«elenco dei predicatori» per i tre generi di esercitazione (spiegazione del vangelo, panegirici, mese mariano). Inoltre, il "Diario di cappella" di mons. Serci nota che gli alunni cominciarono a predicare per il mese mariano nel 1893, e che '1e feste patronali interne" (seguendo lo schema delle feste patronali delle ville) sono celebrate a partire dal 1834. La dicitura Aa spiegazione dei vangelo è in dialetto» appare nelle locandine dal 1904 fino al 1928, anno in cui la sezione di teologia termina e inizia il Seminario Regionale di Cuglieri, affidato ai Padri Gesuiti della Provincia Sardo-Piemontese.


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GIGI SANNA
Pulpito, politica e letteratura.
Predica e predicatori in lingua sarda. 2002, pp. 344, 17x24, euro 52,00.

Un’opera si presenta come un originale contributo critico nell'ambito degli studi sulla lingua e sulla letteratura sarda. In essa infatti viene tracciato un percorso storico sulla predicazione e sulla predica in sardo in Sardegna dalle origini sino alla prima metà del '900. L’autore si sofferma in alcuni capitoli sulla natura della predica e sulle qualità dei predicatori nell'Ottocento e nel Novecento (Arangino, Soggiu, Cossu, Carboni, Sanna, Casu, Marras ecc.) con riferimento documentario a testi già pubblicati e, in particolare, a più di 500 autografi in variante campidanese di area arborense. Il lavoro viene corredato alla fine da un'antologia di prediche, quasi tutte inedite, per agevolare il lettore impossibilitato a procurarsi testi rari e ad accedere alle fonti dirette.


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Ancora: ci mancherebbe altro che il PSd’A. voglia “autoghettizzarsi” escludendo i cattolici dal partecipare ad “un progetto nazionale serio” come tu lo chiami.
Come vedi anche questo potrebbe essere un lessico “terzomondista”, che in effetti considerato il periodo degli articoli riportati, appartiene agli anni ’70 e ’80.
Tuttavia, non ti sembra che molte delle problematiche del rapporto tra la Sardegna e lo Stato si possano, ancora oggi, configurare in senso “coloniale”?


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Infine: il PSd’A. non può essere ricondotto ad un “partitino ideologico laico e socialista” e non credo nemmeno voglia essere un “partito pigliatutto”, ma è aperto alla società sarda così com’è, con l’ambizione (testimoniata dalla sua storia politica) di indicare la strada per il riscatto e la crescita civile, culturale, economica, politico-istituzionale “de Su Populu Sardu”, in una parola di una Nazionalità a pieno titolo, nel contesto europeo, passando, se necessario, da quello italiano.
Gli esempi dell’UV, SVP,PNV. hanno origini diverse.

Altrettanto cordialmente.

Pisittu
05-01-06, 22:34
vincent che ne pensi della mia proposta?

juanna maria
05-01-06, 22:39
interessante su libru...peccato chi costas 5o neuros!

pesso chi non l'ait chin tecus...custe pure idet Comunistas in tottue!

Pisittu
05-01-06, 22:50
pesso chi non l'ait chin tecus... che significa?:confused: .

juanna maria
06-01-06, 16:14
...traduzione: penso che non l'aveva con te...riferito a su Componidori
chao...e sa saluta sa Marmilla

repubricanu
06-01-06, 18:51
Purtroppo manca un vero grande partito di massa, aperto a tutti.
Un pò come Progetto Sardegna che neppure si è posto il problema di trasversalismi....
Ma non è indipendentista.
Il socialismo non rappresenta certo tuttta la popolazione,per questo il ps d'az non potrà mai rappresentare tutti.
Poi Soru si è anche accorto che i soldi non bastavano per arrivare ai vertici e si è dovuto trovare un polo con cui allearsi:
Un aprova concreta che le storie sui trasversalismi sono fesserie.

Su Componidori
08-01-06, 00:57
Allora…
Nel PSd’A, sono sempre convissute diverse “anime”, sensibilità ed orientamenti che in alcune circostanze, vedi Congressi, elezioni politiche o amministrative, nel tentativo di farle prevalere ed affermarne le idealità, da sempre all’avanguardia nell’interesse esclusivo del Popolo Sardo, hanno di volta in volta prevalso; mi pare semplicistico ricondurli ad un “socialismo” così generico.
Il PSd’A è anche un partito “di centro”, nel senso che le proposte, i programmi, le aspirazioni del sardismo sono sempre state AL CENTRO del dibattito politico in Sardegna, salvo poi trovare ostacoli ed annacquamenti da parte dei partiti “italiani”, quando non sono state affossate.
Il PSd’A vuole essere un partito di massa aperto a tutti coloro che ne condividono il progetto, i programmi ed i metodi per realizzarli, ed è pronto a discuterne.
Comunque l’analisi, e l’autocritica, di ciò che il Partito è stato negli ultimi 15/20 anni, sarà necessario affrontarla; per aver deluso le aspettative del consenso elettorale ricevuto nella seconda metà degli anni ’80 e, soprattutto, per successivi errori e diatribe interne, il Partito ha pagato.
Tuttavia, proprio il momento di maggiore difficoltà, conseguente ai risultati e vicende delle ultime elezioni “regionali”, ha richiamato e ricompattato “vecchi”e “nuovi” militanti, me compreso. Naturalmente queste sono considerazioni molto sommarie ed esclusivamente personali.