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Visualizza Versione Completa : 20 Gennaio - anniversario della conversione di Ratisbonne



Augustinus
27-11-03, 13:20
http://www.marypages.com/Ratisbonne.jpg N. Musio, Maria appare ad Alfonso Ratisbonne

Probabilmente il più famoso miracolo attribuito all'intercessione di Maria, per mezzo della medaglia miracolosa, fu la conversione immediata e totale alla fede cristiana di Alphonse Ratisbonne.
Questi, nato a Strasburgo il 1° maggio 1812, era un ebreo non praticante, proveniente da una ricca famiglia di banchieri (di cittadinanza francese). Frequenta il Collegio reale di Strasburgo, poi un Istituto protestante; consegue il Baccellierato in Lettere. Conseguita la laurea in Giurisprudenza a Parigi, tentò un inserimento nell'ambiente bancario della famiglia a Strasburgo, ma non si sentiva portato.
Il fratello più anziano Teodoro si era già convertito al cattolicesimo ed era diventato persino sacerdote, con grande scandalo di tutta la famiglia e anche del fratello Alfonso (Teodoro a Parigi lavorava alla Parrocchia di Nostra Signora delle Vittorie).
Si fidanzò con Flora, sua nipote (figlia del fratello maggiore Adolfo); Flora nel 1842 aveva solo 16 anni mentre Alfonso aveva 30 anni: per questo, la ragazza pensò di posporre le nozze. Alfonso, nel frattempo, intraprese un lungo viaggio di piacere a Marsiglia, a Napoli, a Roma.
A Roma, Alfonso incontrò un amico di infanzia, il barone Gustavo de Bussieres, il quale gli presentò il fratello Thèodore de Bussières il quale, da protestante era divenuto cattolico.
Il barone T. de Bussieres era molto religioso e discusse a lungo con Alfonso Ratisbonne, gli parlò della medaglia miracolosa e dell'apparizione della Vergine dodici anni prima a S. Caterina Laboure e Rue de Bac (Parigi). Gli regalò, quindi, una medaglia e gli propose di pregare una giaculatoria.
Solo per cortesia Alfonso accondiscese, in realtà disprezzava il cattolicesimo e tutte le devozioni. Il barone, uomo di grande fede, affida alla Vergine l'ebreo amico, ed iniziò a recitare per lui la preghiera di S. Bernardo del Memorare, «Ricordatevi o pietosissima Vergine...», al mattino e alla sera. Alfonso era restio a discutere di problemi religiosi in casa del barone, convinto che si trattasse di superstizioni, di «sortilegi» e di «magie». Egli affermava: «È tempo perso volermi convertire. Non otterrete nulla da me, perché mi sento più israelita che mai... Ditemi, posso io abbracciare il cattolicesimo dopo le bestemmie che vomito contro il vostro Dio, la Madonna, il vostro culto?».
Il 20 gennaio 1842, verso mezzogiorno, Alfonso accompagnò l'amico barone nella Basilica romana di Sant'Andrea delle Fratte, nella via omonima, nella zona tra Piazza di Spagna e Via del Tritone, officiata dai Minimi di san Francesco di Paola.
Qui, in attesa che l'amico Teodoro tornasse dalla sacrestia, dove si era recato per prendere gli ultimi accordi sul rito funebre da celebrare in suffragio dell'amico, il conte Augusto La Ferronay, anch'egli un convertito che aveva tanto pregato per la conversione di Alfonso, avvenne il miracolo.

Che cosa avvenne di preciso nell'ora della grazia, lo descrive lo stesso Ratisbonne in alcune lettere e nella deposizione giurata al Vicariato di Roma, per appurare la verità del fatto.

"La chiesa di s. Andrea è piccola, povera e deserta...; credo di esservi rimasto quasi solo; ...nessun oggetto d'arte attirava la mia attenzione. Camminavo meccanicamente, con lo sguardo in giro, senza fermarmi su alcun pensiero: mi ricordo soltanto di un cane nero che saltellava dinanzi a me... Presto quel cane scomparve, tutta la chiesa disparve, non vidi più nulla... o piuttosto, mio Dio!, vidi una sola cosa! Come potrei parlare? Oh! No, la parola umana non deve tentare d'esprimere l'inesprimibile; ogni descrizione, per quanto sublime possa essere, non sarebbe che una profanazione dell'ineffabile verità. Ero là, in ginocchio, in lacrime, il cuore fuori di me stesso, quando il signor de Buissiéres mi chiamò alla vita".

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Ed ancora, depose il veggente al processo canonico:

"Vidi come un velo davanti a me. La chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella. Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce, e vidi sull'altare della medesima, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile nell'atto e nella forma, all'immagine che si vede nella Medaglia Miracolosa dell'Immacolata. Mi fece cenno con la mano di inginocchiarmi. Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: Basta così. Non lo disse ma capii.

"A tal vista caddi in ginocchio nel luogo dove mi trovavo; cercai, quindi, varie volte di alzare gli occhi verso la Santissima Vergine, ma la riverenza e lo splendore me li faceva abbassare, ciò che, però, non impediva l'evidenza di quell'apparizione".

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"Fissai le di Lei mani, e vidi in esse l'espressione del perdono e della misericordia. Alla presenza della Santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse parola, compresi l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica, in una parola compresi tutto. (...)

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"Provavo un cambiamento così totale che mi credevo un altro. Cercavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo... La gioia più grande si sprigionava dal fondo della mia anima; non potetti parlare; non volli rivelar niente; sentivo in me qualche cosa di solenne e di sacro che mi fece chiedere un sacerdote... Vi fui condotto, e solo dopo averne avuto l'ordine positivo ne parlai come mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante. (...)

"Tutto quel che posso dire, è che al momento del prodigio, la benda cadde dai miei occhi; non una sola benda, ma una quantità di bende che mi avevano avvolto disparvero una dopo l'altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l'azione di un sole cocente.

"Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo... Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell'abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza. (...)

"Ma si domanda come appresi queste verità, poiché è accertato che non ho mai aperto un libro di religione, non ho mai letto una pagina della Bibbia, e che il dogma del peccato originale, totalmente dimenticato o negato dagli Ebrei dei nostri giorni, non aveva mai occupato un istante il mio pensiero; dubito anche di averne sentito il nome. Come sono arrivato, dunque, a questa conoscenza? Non saprei dirlo. Questo io so: che entrando in chiesa ignoravo tutto; che uscendone vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento che con l'immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d'un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione. (...)

"Qualunque cosa ne sia di questo linguaggio inesatto e incompleto, il fatto positivo è che io mi trovavo in qualche modo come un essere nuovo, come una tabula rasa... Il mondo non era più niente per me; le prevenzioni contro il cristianesimo non esistevano più; i pregiudizi della mia infanzia non avevano più la minima traccia; l'amore del mio Dio aveva talmente preso il posto di ogni altro amore, che la mia stessa fidanzata mi appariva sotto un altro aspetto. L'amavo come un oggetto che Dio tiene nelle sue mani, come un dono prezioso che fa amare ancora di più il donatore.

"Ripeto che scongiuravo il mio confessore, il reverendo Padre Villefort, e il signor de Bussières, di mantenere un segreto inviolabile su ciò che mi era avvenuto. Volli seppellirmi al monastero dei Trappisti per occuparmi solo delle cose eterne; lo confesso, e pensavo anche, che nella mia famiglia mi avrebbero creduto folle, che mi avrebbero tacciato di ridicolo, e che così avrei preferito fuggire totalmente il mondo, le sue chiacchiere e i suoi giudizi.

"Però i superiori ecclesiastici mi fecero capire che il ridicolo, le ingiurie, i falsi giudizi, facevano parte del calice di un vero cristiano; mi invitarono a berlo dicendomi che Gesù Cristo aveva predetto ai suoi discepoli pene, tormenti e supplizi. Parole così gravi, lungi dallo scoraggiarmi, infiammarono la mia letizia interiore; mi sentivo pronto a tutto, e chiesi con insistenza il battesimo. Vollero ritardarlo. 'Ma come! Esclamai, gli Ebrei che ascoltarono la predicazione degli Apostoli furono battezzati immediatamente, e voi volete rimandarmelo, dopo aver io ascoltato la Regina degli Apostoli?' I miei sentimenti, i miei acuti desideri e le mie suppliche toccarono gli uomini pietosi che mi avevano accolto, e mi fecero la promessa, per sempre felice, del battesimo!".

Ora egli aveva trovato la vera Luca, doveva impegnarsi perché altri potessero ritrovarla. Il 31 gennaio, nella Chiesa del Gesù, Alfonso Ratisbonne fa la sua abiura pubblica tra le mani del Cardinale Patrizi e riceve il Battesimo, prendendo anche il nome Maria. Scrisse tre lettere in cui descriveva la vicenda miracolosa dell'apparizione della Madonna e della sua conversione. Una era diretta alla sua carissima Flora il 21 gennaio, e due allo zio a Strasburgo il 22 gennaio e il 15 febbraio, quello zio che sperava di fare di Alfonso il capitano della sua finanza.
Scrisse a Flora: «Te lo giuro, mia cara, le disposizioni subitanee, nelle quali io mi trovo, non sono dovute che a un miracolo... Questo miracolo tu lo conoscerai; io non voglio parlartene ancora oggi, non che ti creda indegna di conoscerlo; no, ché troppo io mi sto tranquillo sui sentimenti tuoi, ma bisogna che tu sia preparata ad aggiungervi fede».
Dopo mesi di deposizioni e testimonianze, il cardinale Costantino Patrizi firmò un decreto in cui si riconosceva come "istantanea e perfetta" la conversione di Alphonse-Marie dall'ebraismo, a seguito dell'apparizione realmente avvenuta.
Dio aveva dei progetti su Alfonso. Entrato nella Compagnia di Gesù e compiuti gli studi nell'Istituto teologico di Laval, ricevette l'ordinazione sacerdotale il 23 settembre 1848. Egli però sentì profondamente nell'anima il richiamo dell'Oriente, per vivere la sua vicenda divina tra i suoi fratelli ebrei. Il 18 dicembre 1852, autorizzato da Pio IX, entrò nella Società dei Preti di Nostra Signora di Sion fondata dal fratello Teodoro e partì missionario in Terra Santa. Qui costruì orfanotrofi per gli orfani di Sion, si fece povero tra i poveri. Morì sulla collina della Visitazione, povero ma santo, il 6 maggio del 1884. Il suo corpo riposa ad Ain-Karim.

Augustinus

http://www.marypages.com/Rome.jpg Luogo dell'apparizione nella Chiesa di S. Andrea alle Fratte, in Roma

http://www.marypages.com/AndreaPaus.jpg Il Papa dinanzi all'altare dell'apparizione il 6 giugno 1987

Augustinus
27-11-03, 13:53
La fulminea conversione al Cattolicesimo di Alfonso Ratisbonne

di Vittorio Messori

da "Jesus", 1999, fasc. n. 1, p. 80-83:

Riprendiamo il nostro discorso cercando di riportare alla luce uno degli eventi "mariani" che ebbe più influenza nella Chiesa dell'Ottocento: la fulminea conversione al Cattolicesimo del giovane Alphonse Ratisbonne, nella Roma papale del 1842. Il misterioso episodio è legato direttamente alle altrettante misteriose apparizioni, nella parigina rue du Bac, all'allora novizia Caterina Labourè. Da quegli eventi, sembra essersi messa in moto una sorta di catena, cui non è estranea nemmeno Lourdes, dove la Vergine si definirà "l'Immacolata Concezione". Ebbene: sul modello di medaglia che Maria stessa "commissionò" a Caterina stava scritta l'affermazione che soltanto nel 1854 fu definita come dogma: "Oh Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi".

Comunque, il primo "anello" della catena, dopo le apparizioni in rue du Bac (che si svolsero tra il luglio e il novembre del 1830), sembra stare nell'ispirazione avuta dal parroco della chiesa parigina di Nostra Signore delle Vittorie, Charles Dufriche-Desgenette, afflitto perché nella Parigi di quei primi decenni dell'Ottocento la sua chiesa era disertata dalla gente. Il 3 dicembre 1836, mentre celebra la messa all'altare della Vergine, l'abbè sente una voce interiore che gli ingiunge: "Consacra la tua parrocchia al santo e immacolato cuore di Maria". Il sacerdote pensa a un'illusione, ma la voce si ripete quando torna in sacrestia. Subito, don Charles fonda un'associazione dedicata al Cuore di Maria Immacolata, che ha un subitaneo e inspiegabile irradiamento in tutto il mondo, giungendo a superare i 20 milioni di membri in pochi anni. Ciascuno di questi associati, come da regolamento, assume l'impegno di portare sempre su di sé una "Medaglia miracolosa" e ripetere almeno una volta al giorno la preghiera che vi è incisa.

Un'ulteriore "tappa" di questa storia misteriosa è quella di cui vogliamo parlare e che si verifica a Roma, il 20 gennaio del 1842, nella chiesa (officiata dai Minimi di san Francesco di Paola) di Sant'Andrea della Fratte, vicino a piazza di Spagna e al luogo dove sorgerà la celebre colonna in onore dell'Immacolata, a ricordo del dogma di Pio IX. È in Sant'Andrea che ha luogo la sconvolgente conversione del ventottenne Alphonse Ratisbonne: la Madonna gli appare con le braccia abbassate e le mani aperte, nel gesto esatto di quella "Medaglia" che il giovane ebreo ha accettato di portare al collo.

Il Ratisbonne appartiene a una delle più ricche e influenti famiglie della numerosa comunità ebraica di Strasburgo. Il figlio maggiore, Théodore, convertitosi al Cristianesimo, era stato ordinato sacerdote nel 1830, l'anno stesso delle apparizioni a Santa Caterina Labourè. Don Thèodore diventerà uno dei principali collaboratori del parroco di Nostra Signora delle Vittorie e, come tale, propagandista entusiasta e instancabile della devozione all'Immacolata della "Medaglia miracolosa", cui raccomanderà ogni giorno il fratello Alphonse.

In effetti, il giovane Alphonse, fedele all'Ebraismo più come riti e tradizioni che come pratica, sente doveroso battersi per l'assistenza e il riscatto dei fratelli nella fede d'Israele. La sua ostilità verso il Cristianesimo in generale, e il Cattolicesimo in particolare, non solo non è nascosta, ma è pubblicamente manifestata. Innamorato di una cugina, Flore, ha fissato con lei la data di un matrimonio vantaggioso anche sul piano sociale, ma voluto dai due soprattutto per amore. Prima di sposarsi, decide di fare un viaggio che lo porti sino a Gerusalemme, per vedere la terra dei suoi padri. Con una imprevista variazione, però, al suo programma, sceglie di visitare anche Roma. Arrivato nel giorno dell'Epifania del 1842, una delle sue prime visite è al Ghetto, dove vivono gli oltre quattromila ebrei romani. "Ho capito", scriverà ai familiari a Strasburgo, "quanto sia meglio far parte dei perseguitati piuttosto che dei persecutori".

A Roma, il Ratisbonne seppure di malavoglia viene in contatto con il gruppo dei ferventi cattolici francesi (molti dei quali convertiti) dei quali fa parte il barone Thèodore de Bussières, venuto dal Protestantesimo e amico del fratello sacerdote. Il de Bussières non solo impegna gli amici perché preghino per quel giovane ebreo, ma quasi come per una sfida lo convince a portare su di sé la "Medaglia miracolosa". Di più: ottiene da lui la promessa (poi mantenuta) di ricopiare il testo della famosa preghiera di san Bernardo che inizia con il Memorare, quel "Ricordati, Vergine Maria, che non si è mai sentito al mondo che qualcuno abbia invocato il tuo soccorso e sia stato abbandonato…".

Malgrado abbia già prenotato la partenza in diligenza per Napoli(per proseguire poi da qui, in bastimento, verso Instambul e da lì in Palestina) Alphonse, spinto da una forza misteriosa, decide di restare ancora qualche giorno a Roma. Nella tarda mattinata del 1842 accompagna il barone de Bussières nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, dicendo che resterà sulla carrozza mentre quel suo conoscente (più che amico) deve intendersi con i frati per l'organizzazione di un funerale. Malgrado l'intenzione di trattenersi su quel veicolo nobiliare, restato solo con il cocchiere, la curiosità di vedere l'interno della chiesa lo spinge ad entrare. E qui del tutto inaspettato, giungerà il "colpo di fulmine" che sconvolgerà radicalmente la sua vita, cambiandola per sempre. Diamo a lui la parola, traducendo il testo che Renè Laurentin (dedicatosi per anni anche alla ricostruzione critica di questo caso) ha ricostruito sulle fonti più sicure.

"All'improvviso, mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi come scendere un velo davanti a me. La chiesa mi sembrò tutta oscura, eccettuata una cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là. Non posso rendermi conto di come mi sia trovato in ginocchio davanti alla balaustra di quella cappella: in effetti, ero dall'altra parte della chiesa e tra me e la cappella c'erano, a sbarrare il passo, gli arredi che erano stati montati per un funerale. Levai comunque gli occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi sull'altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall'aria misericordiosa, la santa vergine Maria, simile nell'atto e nella struttura all'immagine della Medaglia che mi era stata donata perché la portassi. Cercai più volte di alzare gli occhi verso di lei, ma il suo splendore e il rispetto me li fecero abbassare, senza impedirmi però di sentire l'evidenza dell'apparizione. Fissai lo sguardo, allora, sulle sue mani e vidi in esse l'espressione del perdono e della misericordia. Con quelle stesse mani, mi fece segno di restare inginocchiato. Ma una forza irresistibile mi spingeva verso di lei. Alla sua presenza, benché ella non abbia detto alcuna parola, compresi di colpo l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica: in una parola, compresi tutto, di colpo".

La sconvolgente testimonianza di Ratisbonne termina con una frase che, per tutta la vita, amò ripetere: "Elle ne m'a rien dit, mais j'ai tout compris" ("Lei non mi ha detto nulla, ma ho capito tutto").

Come divorato nel desiderio di ricevere il battesimo (la cui importanza era stata rivelata), undici giorni dopo è ammesso al sacramento, assumendo il semplice nome di "Maria", che non abbandonerà neppure entrando nell'Ordine dei Gesuiti. Ordinato sacerdote nel 1848, resterà nella Compagnia con soddisfazione sua e dei superiori per alcuni anni: l'abbandonerà, in pieno accordo anche con il Papa, per unirsi al fratello Thèdore (prete già dal 1830, come sappiamo) che aveva fondato una congregazione quella di Notre Dame de Sion, ancora esistente per la conversione degli ebrei al Vangelo. Morirà in Terra Santa, ad Ain Karin, il luogo tradizionale della Visitazione di Maria a Elisabetta. Curiosa l'annotazione che ho trovato nel Diario di Paul Claudel, alla data del 14 marzo 1950: "La Provvidenza riservava a un giudeo convertito, padre Alphonse Ratisbonne, l'onore di ritrovare, sotto l'ammasso di rifiuti da lui acquistati a Gerusalemme, il lastricato autentico del Litostroto, il luogo dell'Ecce Homo". In effetti, è proprio così: il luogo comprato a Gerusalemme dai due fratelli Ratisbonne, nel 1856, si rivelerà uno dei più illustri della storia evangelica, addirittura il posto dove Pilato aveva stabilito il suo tribunale la fatale mattina di quel venerdì che precedeva la Pasqua. In terra Santa, comunque, il lavoro dei due fratelli convertiti sarà massacrante e sarà posto soprattutto a favore degli orfani e, in genere, dei giovani (musulmani, ebrei, cristiani) privi di mezzi di sussistenza.

Sulla conversione di Alphonse più ancora che su quella di Thèodore si accanirà l'opposizione violenta da parte dei membri della sua numerosa famiglia e dei correligionari sparsi in mezza Europa. Questa conversione, seguita all'esperienza del 20 gennaio 1842 a Sant'Andrea delle Fratte, fu sottoposta a processo davanti al tribunale canonico del Vicario di Roma. Sfilarono molti testi giurati, e dopo mesi di lavoro, il cardinale Costantino Patrizi firmava un decreto (porta la data del 3 giugno 1842) che così si conclude:"Consta pienamente la verità dell'insigne miracolo operato da Dio onnipotente per intercessione della Beata Vergine Maria, cioè la istantanea e perfetta conversione di Alfonso Ratisbonne dall'Ebraismo".

Alle diffamazioni che accompagnarono la vita di "padre Maria", come volle sempre essere chiamato, si sono poi unite le divagazioni psicologiche o psicanalitiche, per ridurre a fenomeno patologico la visione che determinò la conversione. Non è qui il caso di entrare in discussioni di questo tipo. Basti però ricordare quale sia stata la forza dell'evento di quel 20 gennaio 1842: per 42 anni, sino alla morte (sopravvenuta nel mese "mariano" di maggio, del 1884), Alphonse Ratisbonne mai mise in dubbio la verità di quanto gli era successo e fu fedele alla sua assistenza di sacrificio, come religioso impegnato al contempo nella preghiera e nell'azione. Poco prima della morte uscì in espressioni come questa: "Perché mi tormentate con le vostre cure? La Santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto ". All'avvicinarsi della fine, pur ribadendo di sentirsi peccatore, confidò ai suoi che lo assistevano di non temere la morte ma di desiderarla, per vedere finalmente faccia a faccia la Signora che gli era apparsa splendente di luce, per pochissimi minuti, in quel lontano inverno romano. Una "illusione" una "manifestazione patologica"; i cui effetti vanno così in profondità e durano tanto? Tutti quei decenni di fedeltà al lampo nella cappella di Sant'Andrea sono la migliore smentita.

Vittorio Messori*

FONTE (http://holy.harmoniae.com/apparizioni_ruedubac.htm)

http://img208.imageshack.us/img208/8742/madojb0.jpg

http://www.marypages.com/AlphonseRatisbonne.jpg Alphonse Marie Ratisbonne

http://www.dioezese-linz.at/einrichtungen/sion/webgrafiken/fotos/sion/kongregation_1/fr_theodore_01.jpg Theodore Ratisbonne

http://www.cattolicesimo.com/immsacre/mado.jpg http://www.cattolicesimo.com/immsacre/rome.jpg Pala dell'altare dell'apparizione

Augustinus
27-11-03, 14:04
L'ebreo convertito dalla Vergine della Medaglia

di Alberto Azzimonti

La conversione istantanea e straordinaria di Alfonso Maria Ratisbonne. Un ebreo colto, libero pensatore, anticattolico, con un avvenire assicurato lascia la sua religione per abbracciare il cattolicesimo. Dopo una apparizione di Maria. A Roma...

È a causa di qualche patologia psichica o solo per suggestione che un uomo di 29 anni, ebreo, laureato brillantemente in giurisprudenza alla Sorbona di Parigi, con una carriera finanziaria assicurata, prossimo al matrimonio e anticattolico dichiarato, afferma di aver visto la Madonna in una chiesa di Roma? E per questo si converte istantaneamente al cattolicesimo, noncurante delle decisa opposizione della sua famiglia e di tutto l'ambiente ebraico? Evidentemente no, c'è dell'altro.
Nei fatti, Alphonse Ratisbonne non potè più prescindere da quella visione, tanto che i successivi 42 anni della sua vita, mai dubitando della verità di quanto accaduto, furono una continua risposta alla chiamata della Vergine Maria, dedicati totalmente alla preghiera e al servizio del prossimo.
Alphonse Ratisbonne nasce il 1° maggio 1812 a Strasburgo da una ricca famiglia ebraica di banchieri. A sedici anni perde il padre e passa sotto la tutela dello zio materno Luigi, il quale poi lo assumerà, una volta terminati gli studi, nella banca di sua proprietà.
Già in questo periodo l'avversione di Alphonse per la fede cattolica si manifesta ad ogni occasione, inasprendosi ulteriormente in seguito alla conversione al cattolicesimo del fratello Thèodore. Il quale verrà ordinato sacerdote nel 1830, anno in cui avvennero le apparizioni della Vergine a S. Caterina Labourè, nella cappella di Rue de Bac a Parigi.
Anche qui vi furono una serie di apparizioni importanti per la nostra, in cui la Madre di Gesù affidò all'umile novizia, Figlia della Carità di S. Vincenzo de' Paoli, il compito di far coniare una medaglietta con sopra incisa l'immagine che Maria stessa mostrò a Caterina durante le visioni, con la scritta "Oh Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi". La Vergine, inoltre, si rivolse a S. Caterina dicendole: "Fa coniare una medaglia su questo modello, le persone che la porteranno benedetta al collo con fiducia riceveranno grandi grazie !"
Questa medaglia, stampata nel 1832, fu subito denominata Medaglia Miracolosa, per il gran numero di grazie spirituali e materiali che si ottengono portandola con devozione e ripetendo spesso la giaculatoria sopra incisa.
Don Thèodore fu un gran promotore di questa medaglia, alla cui protezione affiderà ogni giorno il fratello.
Alphonse, intanto, fissa la data del suo matrimonio con la cugina Flore. Prima di sposarsi, però, decide di recarsi a Gerusalemme, per visitare la terra dei suoi padri. Ma a causa di una avaria alla nave che lo trasporta, è costretto a sostare alcuni giorni a Roma.
Qui incontra il barone de Bussières, fervente cattolico e amico del fratello sacerdote.
Sfidando l'anticlericalismo viscerale di Alphonse, una sera il barone gli dona una Medaglia Miracolosa, di cui era devotissimo. Il Ratisbonne accetta di mettersela al collo, più che altro per non dispiacere all'amico. Nel frattempo decide di prolungare di qualche giorno la sua permanenza a Roma.
La mattina del 20 gennaio 1842 è sulla carrozza del barone de Bussières, che si sta recando alla chiesa di S. Andrea delle Fratte nei pressi di piazza di Spagna, per organizzare il funerale di un diplomatico. Anche se l'intenzione iniziale è quella di attendere in carrozza, Alphonse non resiste alla curiosità di visitare l'interno della chiesa. Non sa ancora che vi avrebbe trovato ben altro che suppellettili d'oro e qualche opera d'arte.
Ma lasciamo il racconto di quanto accaduto allo stesso Ratisbonne: "All'improvviso mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi scendere un velo davanti a me. La chiesa mi sembrò tutta oscura, eccettuata una cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là... Levai comunque gli occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi sull'altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall'aria misericordiosa, la Santa Vergine Maria, simile, nell'atto e nella struttura, all'immagine della medaglia che mi era stata donata perchè la portassi... Alla sua presenza, benchè ella non abbia detto alcuna parola, compresi di colpo l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica: in una parola, compresi tutto di colpo".
Comprese tutto, di colpo, senza esser stato istruito alla vera fede, senza avere mai letto alcun libro di religione cattolica.
Undici giorni dopo viene ammesso al battesimo, per lui ormai indispensabile, assumendo il nome di Maria, Dopo essersi riappacificato con il fratello, decide di diventare gesuita e il 24 settembre 1848 è ordinato sacerdote.
Nello stesso anno dell'apparizione, il Vicariato di Roma istituisce una commissione d'inchiesta per appurare l'autenticità di quanto accaduto. Dopo mesi di deposizioni e testimonianze, il cardinale Costantino Patrizi firma un decreto in cui si riconosce come "istantanea e perfetta" la conversione di Alphonse-Marie dall'ebraismo, a seguito dell'apparizione realmente avvenuta.
Dopo alcuni anni con la Compagnia di Gesù, comprende che la sua missione è accanto al fratello Thèodore, nella Congregazione di Notre Dame de Sion da lui fondata per convertire gli ebrei al cattolicesimo.
Lascia i gesuiti (su licenza di papa Pio IX) e si trasferisce in Terra Santa, dove muore il 6 maggio 1884 ad Ain Karin, il luogo, secondo la tradizione, della Visitazione di Maria a Elisabetta.
I fatti narrati, documentati, riattualizzano ancora una volta le illuminazioni improvvise e destabilizzanti di Dio che, quando si manifesta (anche in modi più ordinari di quelli raccontati) trasforma sempre il cuore dell'uomo con la sua grazia, vincendone l'incredulità e l'avversione.
Non fece eccezione AlphonseMarie Ratisbonne, che abbandonò senza indugio la religione di origine per aderire a quella che comprese essere la sola vera.
La sua conversione fu così profonda che anche la morte non era per lui più motivo di timore, ma anzi il mezzo per poter rincontrare definitivamente la Vergine apparsa a Roma. Dichiarò, infatti, prima di morire, nonostante si sentisse peccatore: "Perchè mi tormentate con le vostre cure? La santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di Lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto!".
Solo autosuggestione? Improbabile davvero!

FONTE (http://www.amiciziacristiana.it/ratisbonne.htm)

uva bianca
17-01-06, 23:24
il giorno 20 gennaio ricorre l'anniversario della subitanea e totale conversione dell'ebreo Ratisbonne alla fede Cattolica, avvenuta per intercessione di Maria santissima a Roma nel 1842.

http://www.lepanto.com.br/Imagens/Ratisbonne.jpg

di questo argomento se ne è parlato più volte qui in Pol:

http://www.politicaonline.net/forum/showpost.php?p=756944&postcount=2

http://www.politicaonline.net/forum/showpost.php?p=756964&postcount=3

http://www.politicaonline.net/forum/showpost.php?p=756985&postcount=4

Augustinus
19-01-06, 17:40
http://www.traditioninaction.org/SOD/SODimages/017Ratisbonne.jpg

Augustinus
19-01-06, 17:49
Our Lady of the Miracle – January 20

(Madonna del Miracolo)

Prof. Plinio Corrêa de Oliveira

In 1842, a 28-year-old French Jew named Alphonse Ratisbonne was visiting Rome. He was the youngest son of an important banking family in Strasbourg, a close relation of the Rothschilds. As often happens with European Jews, a family takes the name of a city. The French Ratisbonne comes from Ratisbona, the Latin name for Regensburg, a famous German city near Munich. Alphonse was a Jew by race and religion, virulently anti-Catholic, and libertine in his customs.

Alphonse Ratisbonne was making a tour of Europe and the East before settling to marry his cousin Flore and assume a partnership at his uncle’s bank. Ending by coincidence in Rome instead of Palermo as he had intended, he was well received by the French diplomatic circle residing there. He reluctantly made a call on Baron Theodore de Bussières, a very fervent Catholic. Even though the Jew seemed quite far from any conversion, the Baron, undaunted by his sarcasm and blasphemy, saw in him a future Catholic and encouraged his visits.

http://www.traditioninaction.org/SOD/SODimages3/112_Ratisbonne.jpg After his conversion, Alphonse Ratisbonne became a Jesuit priest, took the name Marie-Alphonse, and later co-founded the Order of Sion to convert Jews.

One afternoon, during a lively conversation in which Ratisbonne was ridiculing the superstitions of the Catholic religion, the Baron challenged Ratisbonne to submit to a simple test and wear the Miraculous Medal. Taken aback but wanting to prove the ineffectiveness of such religious baubles, Ratisbonne consented and allowed the Baron’s young daughter to put the medal around his neck. Baron de Bussières also insisted that Ratisbonne recite the Memorare once a day. Ratisbonne promised, saying, “If it does me no good, at least it will do me no harm.”

The Baron and a close circle of aristocratic friends increased their prayers for the skeptical Jew. Notable among them was a devout Catholic who was seriously ill, Count Laferronays, who offered his life for the conversion of the “young Jew.” On the same day he entered a church and prayed more than 20 Memorares for this intention, he suffered a heart attack, received the last Sacraments, and died.

The next day, his friend Baron de Bussières was on his way to arrange the Count’s funeral in the Basilica of St. Andrea delle Fratte when he met Ratisbonne. He asked him to accompany him and wait in the church until he had arranged some matters with the priest in the sacristy.

Ratisbonne did not accompany his friend into the sacristy. He wandered through the church admiring the beautiful marbles and various works of art. As he stood before a side altar dedicated to St. Michael Archangel, Our Lady suddenly appeared to him. It was January 20, 1842.

Standing over the altar, Our Lady appeared wearing a crown and a simple long white tunic with a jeweled belt around her waist and blue-green mantle draped over her left shoulder. She gazed at him affably; her hands were open spreading rays of graces. Her bearing was quite regal, not just because of the crown she was wearing. Rather, her height and elegance gave the impression of a great lady, fully conscious of her own dignity. She transmitted both grandeur and mercy in an atmosphere of great peace. She had some of the characteristics of Our Lady of Graces. Alphonse Ratisbonne saw this figure and understood that he was before an apparition of the Mother of God. He knelt down before her and converted.

http://www.traditioninaction.org/SOD/SODimages3/112_MirMedal.jpg The Miraculous Medal Ratisbonne was wearing when Our Lady appeared to him.

Returning from the sacristy, the Baron was surprised to see the Jew fervently praying on his knees before the altar of St. Michael the Archangel. He helped his friend to his feet, and Ratisbonne immediately asked to go to a confessor so he could receive Baptism. Eleven days later, on January 31, he received Baptism, Confirmation and his First Communion from the hands of Cardinal Patrizi, the Vicar of the Pope.

His conversion had enormous repercussions over all Christendom. The entire Catholic world became aware of it and was impressed by it. Afterward, Ratisbonne became a Jesuit priest. Ten years later, he and his brother Theodore, who also had converted from Judaism, founded a religious congregation – the Congregation of Sion – turned to the conversion of the Jews.

The Significance of the Miracle

Shortly after the apparition, based on the description of Fr. Ratisbonne, a picture was painted representing Our Lady who had appeared to him that day in Sant' Andrea delle Fratte. When the picture was completed, he viewed it and said that it only vaguely depicted the beauty of the apparition he had seen. This is not difficult to believe since the actual beauty of Our Lady must far surpass any mere representation. The picture was placed on the exact spot where she had appeared to him, and became know as Madonna del Miracolo, Our Lady of the Miracle, referring to the two-fold miracle, her apparition and the instantaneous conversion of Alphonse Ratisbonne.

Obviously, that apparition represented a great benefit for the soul of Ratisbonne. It also represented a benefit for the Catholic Church with the foundation of the Congregation of Sion, with its special mission to work for the conversion of the Jews. This congregation expresses well the Church’s position toward the Jews. Her position is not to hate the Jews, but rather to defend herself against their attacks. To the measure that they attack the Church, she defends herself. But above all, she desires their conversion, the eradication of Judaism as a religion, and the entrance of the Jews into the Catholic Church, which is the true continuation of the chosen nation.

But in the doctrinal and psychological context of those times, the Ratisbonne miracle had a more profound significance. In the 19th century, the Revolution was strongly promoting Rationalism, a school of thought that today has become outdated. Then the Revolution was emphasizing this point: the rational man, the man who tries to determine everything according to reason, cannot find the necessary supports in reason to believe that God exists, that the Catholic Church is the true Religion, and that she was founded by Jesus Christ. Therefore, the Revolution concluded, the entire Catholic edifice of doctrines cannot be accepted by human reason.

Those revolutionary assertions were just myths, like the Roman mythology or legends of the indigenous and African peoples. Most of the rationalist arguments were chicaneries or sophisms, with only a few proceeding from captious arguments. But because the Revolution insisted relentlessly on those points and presented a torrent of objections to Catholic doctrine, many people of that time lost their faith.

To counter this unrelenting wave of attacks against the Catholic Faith, Our Lady appeared and made miracles in several places.

The miracle of Ratisbonne’s conversion that took place in Rome shook up all of Christendom. In those times there was not this accursed ecumenism we are witnessing today. Then, the separation of the religions was much deeper and, therefore, so also was the gorge that separates truth from error, and good from evil. A wealthy and influential Jew, with absolutely no reason to favor the Catholic Church, suddenly converted because he saw Our Lady. He gave proof of his sincerity by giving up his positions in the world and breaking his advantageous engagement. He embraced the religious life, and founded a religious congregation to convert other Jews and to combat Judaism. It is impossible to imagine a more objective proof of the truth of the apparition. This episode had an enormous impact throughout Italy and France, and then the whole Catholic world.

http://www.traditioninaction.org/SOD/SODimages3/112_Madonna.jpg http://www.traditioninaction.org/SOD/SODimages3/112_SantaAndrea.jpg The painting of Our Lady of the Miracle, placed over the side altar in the Church of Sant' Andrea delle Fratte in Rome.

It was evidently a miracle, a miracle that fell from Heaven like a drop of water on a parched mankind that was being influenced by the rationalist myths of the Revolution.

Divine Providence had done something very similar already in 1830 with the apparitions at Rue du Bac (Paris) to St. Catherine Labouré. There, among other things, Our Lady gave the world the Miraculous Medal, opening a torrent of graces and miracles for mankind. Our Lady also appeared in the grotto at Lourdes in 1858, and soon after there were reports of many miracles of healing for those who bathed in its waters. The miracles of Lourdes constitute the longest series of miracles ever to occur in the History of the Church. Inserted in this general sequence is the apparition of Madonna del Miracolo to Alphonse Ratisbonne.

This series of apparitions and miracles was the blow Our Lady chose to give to the Revolution at that time. She counter-attacked with a skillful strategy, very well calculated. It was her way to smash the head of the serpent. The very head of Judaism was smashed by the public witness of an important Jew who affirmed that the Catholic Church is true.

We should, therefore, analyze the miracles Divine Providence gives, looking for the higher rule that governs them. Miracles become more frequent in the epochs when they are more necessary.

http://www.traditioninaction.org/SOD/SODimages3/112_Lourdes.jpg At Lourdes, Our Lady appeared and worked miracles of healing to counter the Rationalism of the times.

The Miracle Needed Today

Today we have reached the situation where the action of the Devil is becoming more evident with each passing day. I am speaking not only about UFOs and the hippy revolution. It is clear, in my opinion, that these phenomena are linked to a preternatural invasion.

I am referring also to the death of rationality in public opinion. That men effectively stopped using their reason – as they did in the ‘80s and ‘90s – and acted only by temperamental impulses is something that cannot be explained except by a special action of the Devil. He is making an enormous effort to keep the Revolution going, notwithstanding its failure to convince public opinion. Since we cannot explain this preternatural action, it is also difficult to combat it efficiently. It continues to grow and is reaching such an apex that it seems to me an astounding miracle is necessary..

What kind of miracle will it be? What would be the miracle that could move contemporary man to return to the Catholic Faith? The mysterious designs of God are beyond the knowledge of man. But this does not prevent us from speculating based on what He has done in the past.

Contemporary man has reached such a hardness of heart that he is no longer touched by miracles like the one that took place with Ratisbonne, nor the series of miracles at Lourdes.

In my opinion two miracles are necessary:
First, we are in need of a miracle that would move the good Catholics to be unafraid to disagree with the prevailing opinion of the revolutionary milieu around them. They should become indifferent to that opinion. Further, they should take the offensive against it. This is the first part of what is necessary. It was what happened at Pentecost. Tongues of fire appeared over the Apostles, and they left the Cenacle with the courage to face everyone. Before this, they were cowards, but with this they became invincible fighters.

Was it something interior or exterior that took place there? I do not know. The whole city of Jerusalem heard an enormous exploding sound that came from the Cenacle. Therefore, it seems that it was not only an interior action within their souls, but that it was preceded or followed by some exterior miracle. What really happened there we do not know. But since today commemorates the Madonna del Miracolo, we should ask Our Lady to give us a similar miracle to transform us into the Apostles of the End Times predicted by St. Louis Grignon de Montfort.

Second, this divine intervention should be a chastisement that would punish the world for its acceptance of and concessions to the Revolution, and especially for the sin committed within the Catholic Church. To be more clear, for the acceptance of Progressivism within the Church even to her highest summits.

I am referring to the chastisement Our Lady predicted in Fatima in which many nations will disappear. The miracle of the sun that left its orbit and raced toward the earth seems to prefigure a cosmic chastisement where the very equilibrium of the sun may be altered in obedience to a command of Our Lady. What would be the consequences in our solar system if the sun would actually shake and change its course for a short period of time? Such a cosmic disequilibrium could produce all kinds of meteorological catastrophes on the face of earth, destroying countless things and people.

Even after that, many of the people who survived these catastrophes would still need the miracle of a conversion like the one Ratisbonne experienced.

Both of these perspectives point to grandiose miracles necessary to make contemporary men return to the right path and make possible the Reign of Mary, as Our Lady predicted in Fatima.

In order to be prepared for such miracles, I would advise praying the Memorare, the prayer that Ratisbonne said before his conversion. We should pray it often, asking the Madonna del Miracolo to give us these two miracles and the victory of the Holy Church over the Revolution.

FONTE (http://www.traditioninaction.org/SOD/j112sdOLMiracles_1-20.htm)

Augustinus
19-01-06, 17:54
http://www.romecity.it/santandreadellefratte05.jpg

Augustinus
19-01-06, 17:59
Nella Cappella di Miracolo, S. Massimiliano M. Kolbe celebrò la sua prima Messa.

Augustinus
19-01-06, 18:00
http://www.giovannirinaldi.it/page/rome/santandreadellefratte/andreadellefratte_5115.jpg

Augustinus
19-01-06, 18:05
Festa della Medaglia Miracolosa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149657)

Immacolata Concezione di Maria (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=149653)

S. Caterina Labouré, religiosa (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=479053)

S. Massimiliano Maria Kolbe, martire (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=144812)

Dall'ateismo a Dio. La conversione di Vittorio Messori (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=470910)

Links esterni:

psicologia e metodologia della conversione (http://apologetica.altervista.org/psicologia_metodologia_conversione.htm)

la testimonianza dei convertiti (http://apologetica.altervista.org/testimonianza_convertiti.htm)

Augustinus
19-01-06, 21:10
posto alcune storie "analoghe" di conversioni. Cominciamo con Adolphe Retté (Parigi 25 luglio 1863 - Beaune 8 dicembre 1930). Dapprima un seguace della corrente letteraria simbolista. In seguito, mentre persegue idee anarchiche e socialiste, si volge ad una più sentita ispirazione naturalista. Convertitosi al cattolicesimo, scrisse, nel 1907, "Dal diavolo a Dio" (Du diable à Dieu), raccontando il suo passaggio dall'occultismo al satanismo ed infine a Dio. In seguito pubblica altri grandi successi letterari, tra cui "A piedi a Lourdes".
Morirà giusto un 8 dicembre, giorno della festa dell'Immacolata Concezione. La sua lapide porta l'iscrizione: In te Domine speravi ... .

Il miracolo della Pasqua si ripete
di Mons. ANGELO COMASTRI

Dal Diavolo a Dio

La singolare storia della conversione di Adolfo Retté, scrittore pornografico francese dell’inizio del secolo XX.

La sera del Venerdì Santo, mentre alcuni scendevano dal Calvario e altri osservavano da lontano la scena terribile e umiliante della crocifissione, non erano pochi a pensare che la veloce carriera del giovane Profeta di Galilea fosse definitivamente conclusa; e in un fallimento totale e irreversibile!

Ma il Profeta di Galilea… era Dio, Dio fatto uomo per amore di ogni uomo: e la sua morte era una divina avventura di amore, per riaccendere l’amore nel gelido freddo della storia umana. Un’avventura degna soltanto di Dio!

"E il terzo giorno risuscitò": appunto! Unico caso nella storia, perché era unico il personaggio. E, dalla sera di quel giorno di Pasqua, è possibile incontrare Cristo dovunque. È Lui, sempre Lui, dovunque Lui…inatteso, eppure rispondente alle attese del cuore umano.

Dal ‘Diario’ di Adolfo Retté

Adolfo Retté, uno scrittore pornografico dell’inizio del secolo XX, così sintetizza la sua vita: dal Diavolo sono passato a Dio!

Nel suo ‘Diario’ egli racconta l’ultimo decisivo passo verso l’abbraccio della salvezza. Questo passo, però, era precluso dalla relazione impura con la "donna dagli occhi neri".

Ella, nel frattempo, si era accorta che qualcosa di strano stava accadendo nell’uomo che, per anni ed anni, aveva dominato con le sue seduzioni; lottò per riconquistarlo e, alla fine, quando si accorse che non aveva più il potere di seduzione di un tempo, prese da sola la decisione di allontanarsi per sempre. Adolfo Retté racconta questo fatto con lo stupore di chi capisce che è stato un dono di Dio, un intervento della Grazia, un laccio tagliato dall’Alto.

Intanto ritorna a Parigi e, presentato da Francesco Coppée (poeta e scrittore famoso, fervente cattolico), si reca da un Sacerdote pio e dotto, Vicario di San Sulpizio. Esita prima di entrare, ritorna la paura e riaffiora la vergogna; vorrebbe scappare… ma poi bussa alla porta e una voce buona lo invita ad entrare: e trova davanti a sé un Sacerdote anziano, con gli occhi pieni di luce e con il volto amabilmente sorridente.

Inizia il dialogo interrotto dal pianto, dal silenzio: il sacerdote ascolta, incoraggia, parla di "festa del perdono", di "gioia di Dio per il ritorno del figlio perduto". E spalanca nuovi orizzonti di luce e di speranza.

Ad un certo punto il Sacerdote, come se fosse una cosa scontata, dice ad Adolfo Retté: "Facciamo un bel segno di Croce!". Retté abbassa la testa e sussurra: "Padre, non l’ho mai fatto. Non so come si fa!". Il Sacerdote glielo insegna, ripetendolo più volte e… poi lo invita a tornare a casa per riposarsi a dovere: "Si vede che lei è stanco per tante notti insonni. Ci rivedremo domani, alla stessa ora".

Retté torna a casa con l’anima liberata dall’angoscia e, prima di addormentarsi, esclama: "Madre del mio Dio, mi affido completamente alle Vostre mani e Vi dono l’anima mia. DegnateVi di presentarla al Vostro Figlio!". Ripeté il segno della Croce e si addormentò d’un sonno tranquillo, che da tanto tempo non conosceva più. Quando arriva Dio, arriva la pace.

Da allora la sua vita divenne un canto di gioia. E, dopo la Prima Comunione ricevuta allora, in età adulta, esclama: "Perché non si può arrestare il tempo in quest’ora solenne di calma e di innocenza? Durante la giornata che seguì la Santa Comunione, vissi in una specie di sogno luminoso. Tutti i miei pensieri si volgevano al Signore; mi pareva che ogni cosa avesse assunto un aspetto festoso. Alla lettera: vedevo l’universo con occhi nuovi".

Anche Gilberto Chesterton, nel 1922, dopo la sua conversione e la prima Confessione, esclamò: "Quando mi inginocchiai davanti al Sacerdote e confessai le mie colpe, il mondo si rovesciò davanti a me.. e divenne dritto".

Questi sono i veri miracoli che Cristo continuamente compie, quando un cuore gli apre umilmente la porta della libertà. È il miracolo della Pasqua che si ripete nel tempo…

Mons. Angelo Comastri

FONTE: Madre di Dio, 2004, fasc. n. 4 (http://www.stpauls.it/madre06/0404md/0404md07.htm)

Augustinus
19-01-06, 21:59
La fede trovata

di Gianni Santamaria

L'ateo Retté crollò di fronte a una domanda. Kourdakov fu cambiato da coloro che arrestava. Convertiti: le sorprese di Dio del XX secolo. In un volume di Comastri il racconto delle «svolte» di un ex agente del Kgb e di un poeta maledetto francese - Avvenire

Un poeta francese, ateo e materialista, nemico giurato di Cristo e della Chiesa, che come può sbeffeggia, cerca la pace che la sua vita dissoluta non gli dà in un bosco e, leggendo la Divina Commedia, inizia a dubitare della sue certezze. Si convertirà.

Così come nel cuore di un picchiatore della polizia sovietica fa breccia la testimonianza di una ragazza che incontra più volte consecutivamente nel corso dei suoi raid, con i quali cerca a forza di botte di far desistere i cristiani dalle loro preghiere clandestine. Si convertirà.

Un filo rosso lega le esperienze di Adolphe Retté e di Sergei Kourdakov a quelle di tanti convertiti famosi del Novecento - André Frossard, figlio del primo segretario del partito comunista francese, lo scrittore Giovanni Papini, il bandito Pietro Cavallero - e di due ebrei che hanno abbracciato Cristo, Edith Stein e il rabbino di Roma Eugenio Zolli. E questo filo rosso è il fatto che non aspettavano Cristo, anche se l'inquietudine del loro cuore ci dice che in fondo lo cercavano, ma era lui ad aspettarli. E pian piano ha fatto breccia.

Queste «storie di conversioni del XX secolo» vengono raccontate dall'arcivescovo prelato di Loreto, Angelo Comastri, nel volume Dov'è il tuo Dio?. Si tratta di una serie di meditazioni che il pastore ha proposto nella sua diocesi durante la scorsa Quaresima e che adesso vengono proposti in un libro interessante anche nella prospettiva dell'Avvento. In questo contesto, colpiscono particolarmente le storie del poeta Retté e del poliziotto Kourdakov, sia per l'essersi avvicinati alla fede da posizioni davvero "estreme", sia perché entrambi poco noti. Del primo, infatti, sono usciti in Italia due libri per una piccola editrice, Effatà, che ha pubblicato nel 1999 un'opera post-conversione A piedi a Lourdes. Cronaca di un pellegrinaggio e nel 2002 il diario dell'esperienza di cambiamento Dal diavolo a Dio.

Del russo è apparsa in italiano l'unica opera Perdonami, Natasha (Elledici, 1986). A incrinare le certezze di Rettè era stato un giardiniere che lo aveva avvicinato dopo una conferenza, nella quale come al solito lo scrittore (allora piuttosto popolare in Francia) aveva deriso la religione e l'idea di Dio. L'uomo gli chiese come la scienza spieghi, allora, l'inizio del mondo e della vita. Domanda tutta interna al dibattito positivista di allora, che insinua una difficoltà.

Dopo l'esperienza nella selva con Dante, un amico letterato lo va a trovare e gli confessa il suo tormento e la sua intenzione di riavvicinarsi alla Chiesa: lui lo investe con una salva di bestemmie e di ragionamenti blasfemi. Difesa scomposta di chi è ormai alle corde. Ma ancora molti passi dovrà compiere la sua anima. Durante le passeggiate nel bosco di Fontainebleau, affina la sua percezione positiva della Chiesa, finché trasferitosi nel paese di Arbonne non si imbatte nel santuario di Cornebiche e vi prega la Madonna. Da qui la scelta di lasciare la donna con cui ha una relazione e l'inizio a Parigi di un cammino di direzione spirituale.

Più vicina a noi nel tempo la vicenda di Sergei Kourdakov, il «poliziotto catturato da Dio». Nato in Siberia nel 1951 e cresciuto nell'ateismo di Stato, rimane un fervente comunista nonostante i nonni fossero morti in un carestia del 1928 e il papà fucilato nel 1955. La fede gli è estranea. Fa carriera e inizia a conoscerla in modo crudele: dal 1969 è capo di uno squadrone incaricato di reprimere i «religiozniki». Lui e alcuni del suo gruppo sono colpiti dal fatto di trovare in diverse riunioni sempre la stessa giovane, Natasha Zdanova. Perché?, inizia a chiedersi. Legge il Vangelo in samizdat sequestrato alle sue vittime. Poi, in un altra occasione, sta per picchiare una vecchietta, ma si ferma col braccio già alzato: lei sta pregando non per sé e la sua salvezza, come sarebbe naturale, ma per lui, per il suo carnefice. Come è possibile? Anche qui il cammino è lento, ma una volta presa la decisione non c'è verso di tornare indietro. Sergei deve anche sfidare un regime che non perdona. Nel 1971 si imbarca su un sottomarino spia e ne scappa mentre questo naviga a poche miglia dalla costa canadese. Chiede asilo. E due anni dopo lo trovano morto per un colpo di pistola: ha incarnato perfettamente quel Vangelo appena conosciuto.

«Dov'è il tuo Dio?», (Edizioni San Paolo, pagine 142, euro 9,50) è il libro in cui l'arcivescovo prelato di Loreto, Angelo Comastri, racconta le storie di sette conversioni al cristianesimo del XX secolo. Ogni racconto di queste maturazioni alla fede di chi si era precedentemente imbevuto delle più vuote ideologie - classiste o estetizzanti - è preceduto o seguito da intermezzi in cui appaiono altri personaggi dalle storie affini: Carducci, l'ex leader maoista del Sessantotto, Aldo Brandirali, Paul Claudel, Curzio Malaparte, il terrorista Marco Pisetta. Insieme a riferimenti ai gradi convertiti della storia: Agostino, Paolo, Francesco. Ogni capitolo è concluso da un preghiera.

FONTE (http://www.acquaviva2000.com/LIBRI/fede%20trovata.htm)

http://www.itacalibri.it/System/12640/ISBN882154978.jpg

http://www.forgivemesergei.com/images/multimedia/sergeiOnTV.jpg Sergei Kourdakov nel 1972

http://www.forgivemesergei.com/images/multimedia/youngSergeisailor.jpg Sergei Kourdakov nella Marina

http://www.forgivemesergei.com/images/multimedia/showimage3.jpg

http://www.ccel.us/images/sergei2.jpg

Augustinus
19-01-06, 22:18
Alessandra Carlotti Di Rudinì (1876-1931): L'amante di D'Annunzio diventa monaca

Alessandra, ribattezzata Nike per il fisico statuario, era figlia del presidente del consiglio italiano in carica nel 1896, Antonio Starabba di Rudinì, e della marchesa Maria de Barral. Nacque il 5 ottobre 1876, a Napoli. La mamma depose nel cuore della piccola i primi germi della fede, ma Alessandra, rimasta presto priva di lei, crebbe in un ambiente brillante e mondano dove conobbe i tipi più illustri dell'Europa del suo tempo.
Ricevuta una rigida educazione in collegio, conobbe e s'innamorò del marchese Marcello Carlotti Del Garda, che sposò e dal quale ebbe due figli.
Rimase presto vedova, dopo appena quattro mesi dal matrimonio, essendo il marito morto nel 1900.
Alessandra, poco dopo, conobbe d'Annunzio e ne fu sedotta nel novembre del 1903, vivendo con lui una passione travolgente; nell'inverno successivo la loro relazione divenne pubblica, tanto che la famiglia le tolse la potestà sui figli e ridusse la pensione del marito al minimo.
Nel 1904 fu insediata alla Capponcina al posto della Duse. Diventata morfiniomane in seguito ad alcuni interventi chirurgici durante i quali fu assistita da d'Annunzio, che chiese il divorzio dalla moglie per sporsarla nel 1905, venne abbandonata nel 1906. Abbandonata, ritorna agli antichi richiami religiosi.
A Renata, figlia del D'Annunzio, la quale era credente, un giorno disse: «Te beata! E prega Dio che ti sia risparmiata la terribile angoscia del dubbio che a me toglie ogni serenità. Tu non sai che cosa sia cercare e non trovare la luce: è infelicità della vita».
Coltissima, plurilingue, poteva leggere di tutto, dai Vangeli e San Paolo, ad Harnak e Rénan. Immersa nel positivismo e nella negazione di Dio, non trovava risposta alcuna ai grandi interrogativi dell'esistenza che la dilaceravano: «È il problema terribile della vita e della morte che la filosofia materialista lascia insoluto».
Don Serenelli, interessato per la morte del marito, la aiutò molto, ma in modo più decisivo la aiutò l'abate Gastone Gorel, che Sandra aveva chiamato dalla Francia, nel 1909, come cappellano di Villa Carlotti a Verona.
Quando don Gorel si accorse che il demone di Sandra era il positivismo razionalistico, tagliò corto e la invitò a recarsi a Lourdes.
Là, alle falde dei Pirenei, l'umile Vergine di Nazareth attendeva la nobildonna inanellata di diamanti, ma povera nel cuore, più di una zingara.
Aveva scritto in una lettera: «L'abisso è davanti a me. L'umano cade. È caduto. E il divino sfugge. L'orrore di questo vuoto atroce non può essere detto da parola umana. Perché viviamo? Beato chi risponde con sicurezza alla domanda eterna» Partì da Verona, guidando la sua lussuosa auto, ella stessa. Nel cuore una grande speranza. Nella mente il dubbio che ancora la rodeva. Tuttavia, consapevole che nel Cristianesimo, in fondo, stava la Verità, aveva già ripreso a frequentare i sacramenti. Ma voleva la fede di una mente illuminata e sicura, non «all'acqua di rose».
Giunta a Lourdes, fu colpita dallo spettacolo di quella immensa sofferenza ai piedi della Vergine Immacolata. Una signora francese, completamente cieca, era guarita invocando la Madonna, sotto gli occhi di Sandra.
Il dottor Boissarie, il medico presidente dell'Ufficio che constatava i «miracoli», le documentò, con prove ineccepibili, la verità del fatto della guarigione straordianaria della povera cieca. Sandra le oppose tutte le difficoltà possibili, poi si arrese: era un vero miracolo, o almeno un fatto inspiegabile.
E Sandra fece pure esperienza del miracolo della carità che fioriva presso la Grotta. Incontrò una contessa che si dedicava alla cura degli infermi. Un ex-colonnello si era fatto umile portamalati. La nobildonna ne provò un'impressione grandissima.
La Madonna santissima la guardava dalla grotta. Nel cuore agiva con forza potente il Cristo Gesù. Fu per Sandra la salvezza. Tutti i sistemi, tutti i dubbi, le obiezioni caddero davanti alla luminosa realtà della fede che le sgorgava in cuore nella cittadella di Maria.
Il naturalismo? Il positivismo? Il razionalismo? Erano tutte chimere. Solo il Cristo era la Verità. E Sandra abbracciò il Cristo per sempre, il Cristo che le offriva in dono sua Madre, Maria, l'Immacolata.
Nella chiesetta del Carmelo di Lourdes, Sandra entrò in Confessione, poi si accostò alla Comunione. Aveva detto un giorno Gesù: «Io faccio nuove tutte le cose» (Ap. 21,5). Sandra possedeva, per Sua grazia, un cuore nuovo. Scrisse ad un sacerdote: «Quando penso a quel che ero e a quel che ora sono, non mi riconosco più. I miei pregiudizi, le mie idee sono sparite. Il miracolo più grande è quello della mia conversione in questo luogo privilegiato». E ancora. «Uno dei miei errori era stato quello di pensare che si poteva ritornare alla fede del battesimo con mezzi naturali, con la propria intelligenza, il proprio giudizio, i propri studi: devo ammettere che essi sono insufficienti e inefficaci. Solo la grazia divina può comunicare la fede facendola rinascere ad una vita nuova».
Nella sua villa sul Garda cominciò a vivere come una carmelitana. La parola «Carmelo» si era già, nel passato, affacciata alla sua mente, come un traguardo lontano, ma che Sandra vedeva realizzabile.
Ora dormiva su un ruvido saccone. Ai piedi portava solo sandali. Trascorreva lunghe ore in preghiera ai piedi del Tabernacolo. Imparò la recita del brevario e non la lasciò più. Lesse le opere di Teresa d'Avita e di Giovanni della Croce.
«La marchesa Carlotti o diventerà pazza o si farà santa» - commentava il parroco. Le cameriere erano trasecolate, fuori di sé.
Intanto i due figli, Andrea e Antonio, cresciuti in collegio, non erano molto legati alla madre. Pensavano di darsi alla carriera militare. Dal 1908 Sandra li aveva voluti con sé. Erano svogliati nello studio e refrattari alla fede.
Mentre nutrivano grandi sogni per l'avvenire, il male che aveva ucciso il loro padre si manifestò anche in loro.
Sandra decise: sarebbe diventata carmelitana a Paray-le-Monial in Francia, nel convento della Trinità. C'era ancora la difficoltà dei figli da sistemare, ma Sandra portò ragioni così forti che la priora dovette accettarla. Nell'ottobre 1911 a trentacinque anni, la marchesa Alessandra Di Rudinì diventò nel monastero del Carmelo «Suor Maria di Gesù».
Tra il 1916 e il 1917 le morirono i due figli. Seguì la morte del fratello Carlo. Suo padre era morto nel 1908. Scriveva Suor Maria di Gesù: «Non ho più su questa terra alcun legame, nessun amore, nessuna tenerezza umana: i miei ricordi migliori si riassumono nella Croce».
Rimase in quel monastero fino al 1927.
Con l'elezione a priora, fondò tre monasteri: Montmartre, Valenciennes, le Reposoir, dove morì nel 1931, dopo aver subito quattro operazioni chirurgiche.

Per maggiori informazioni, v. QUI (http://www.preghiereagesuemaria.it/bambini/strade%20nuove%20con%20la%20mamma.htm).

Augustinus
20-01-06, 00:09
Andrè Frossard, famoso giornalista, narratore e biografo francese contemporaneo, figlio di genitori atei fino all'estremo, ateo convinto anch'egli, sui vent'anni entra in una chiesa a Parigi nel quartiere latino e cade in ginocchio: crede! E diventa un cristiano fervente. Nel 1969 ha costituito un vero e proprio caso editoriale con la pubblicazione del libro: Dio esiste io, l’ho incontrato. Un libro tradotto in più lingue, recensito da 330 giornali, che racconta la sua conversione, una storia d’amore con Dio, come lui ama definirla. Fino agli ultimi anni, fino agli ultimi giorni, non ha fatto altro che dire: 'Da quando ho incontrato Dio, io non riesco ad abituarmi al mistero di Dio. Ogni giorno è una novità per me. E se Dio esiste, io lo devo dire; se Cristo è il figlio di Dio, io lo devo gridare; se la vita eterna c'è, io lo devo predicare».

La storia del popolo cristiano è soprattutto storia di conversioni, le quali oggi sono innumerevoli.

Una delle conversioni più clamorose degli ultimi decenni è quella di André Frossard, celebre scrittore, nato il 14 gennaio 1915, figlio di Ludovic-Oscar Frossard, deputato e ministro durante la III Repubblica francese, e primo segretario nazionale del Partito comunista francese, fu educato nel perfetto ateismo.

André, lavorando come giornalista, stabilisce una forte amicizia con il collega di lavoro André Viemen, cattolico intelligente e praticante. Un giorno Frossard, a 20 anni, viaggia in automobile con il suo amico. Questi, a un certo momento, esce dall'auto e gli dice: "Ora, o mi segui o mi attendi". Attraversa la strada ed entra in una chiesa a pre*gare e a confessarsi. L'amico Frossard, stanco di attendere, entra in quella stessa chiesa.

Scorge sull'altare, tra fiori e candele accese, un disco dorato in cui è esposta l'Ostia santa, il Santissimo Sacramento, ma lui non lo sa. Vi sono delle Suore in preghiera. Ode una voce sussurrargli: "Vita interiore! Vita interiore!" Vale a dire: vita religiosa! In quell'i*stante è conquistato dalla grazia di Dio! Egli stesso scriverà: "Vidi un cristallo indistruttibile, un'infinita trasparenza di una luminosità quasi insostenibile: un grado di più mi avrebbe annientato.

Un mondo, un altro mondo di tanto splendore. È l'evidenza di Dio, l'evidenza di Colui che i cristiani chiamano Padre nostro ... Tutto è vero! Dio esiste! Tutto è vero!" Prosegue: "Entrato alle 17,10 in una Cappella per cercarvi un amico, ne sono uscito alle 17,15 in compagnia di una amicizia che non era di questa terra. Entratovi scettico e ateo di estrema sinistra, preoccupato di ben altre cose che di Dio, sono uscito, qualche minuto dopo, cattolico, apostolico e romano, trascinato, sollevato, risucchiato dall' onda di una gioia inestinguibile" (dal suo libro "Dio esiste, io l'ho incontrato").

Entrato in Marina nel settembre 1936 vi rimase sino al 1941. Arrestato dalla Gestapo il 10 dicembre 1943, è internato nella “Baraque aux juifs” del forte Montluc. Egli fu uno dei sette scampati della Baraque. Infatti, su 79 detenuti, ben 62 furono massacrati a Bron il 17 agosto 1944. Uscito dal carcere, egli fu nuovamente reimpiegato in Marina sino al dicembre 1945. Fu decorato con la Légion d’honneur a titolo militare e promosso ufficiale dal Generale De Gaulle.
Dopo la guerra, fu redattore capo della testata "Temps présent", dove successe a Hubert Beuve-Méry, chiamato a fondare "Le Monde".
Successivamente o simultaneamente fu redattore capo de "L’Aurore", del "Nouveau Candide", cronista del "Point" e della "R.T.L.", editorialista del "Paris-Match", etc.
Dal 1946, egli redasse un bollettino quotidiano (il “Rayon Z” dell’Aurore, in seguito il “Cavalier seul” del "Figaro").
Sino al 1990, egli aveva scritto 15.000 articoli.
Ogni anno teneva numerose conferenze in Francia ed all'estero, principalmente in Italia, a Ravenna, di cui ricevette la cittadinanza onoraria nel 1986.
La maggior parte dei suoi libri sono di ispirazione religiosa.
Nel 1990, Giovanni Paolo II lo insignisce della Gran Croce dell'Ordine equestre di Pio IX.
Eletto all'Académie française, il 18 giugno 1987, succedendo al duca René de Castries (il 2° seggio), occupando il posto che fu di Dumas figlio, ricevette l'onorificenza il 10 marzo 1988 da R.P. Carré.
Morirà il 2 febbraio 1995.

Ecco come racconta, per intero, la sua esperienza nel libro "Dio esiste. Io l'ho incontrato" (Dieu existe, je L'ai recontré, Fayard, Paris, 1969):

Dieci minuti e basta

"Ignoro di trovarmi di fronte al Santissimo Sacramento - scrive Frossard nel suo libro - il significato di tutto quell'apparato mi sfugge completamente. In piedi accanto alla porta cerco con gli occhi il mio amico."

"Mi vengono suggerite queste parole: "vita spirituale" - continua Frossard, che subito dopo viene investito da una silenziosa esplosione di luce - "una luminosità quasi insostenibile, un grado di più mi avrebbe annientato, e piuttosto azzurrina, un mondo un altro mondo, di uno splendore e di una densità che rimandano di colpo il nostro tra le ombre fragili dei sogni irrealizzati. Questo mondo è la realtà, la verità: la vedo sulla sponda oscura sulla quale sono ancora trattenuto. C'è un ordine nell'universo e alla sommità al di là di questo velo di nebbia risplendente, l'evidenza di Dio...nello stesso tempo mi viene data una nuova famiglia: la Chiesa."

“Entrato alle cinque e dieci di un pomeriggio (era l'8 luglio 1937) in una cappella del Quartiere Latino a Parigi per cercarvi un amico, ne sono uscito alle cinque e venti in compagnia di una amicizia che non era di questa terra. Entratovi scettico e ateo, e più ancora che scettico e ateo, indifferente e preoccupato di ben altre cose che da un Dio che non pensavo neppure più a negare, tanto mi pareva ormai passato e lontano, ne sono uscito qualche minuto dopo, trascinato, sollevato, ripreso, risucchiato dall’onda di un gioia inestinguibile, per sempre cattolico, apostolico, romano. ... Non nascondo ciò che una conversione come questa, per la sua caratteristica di subitaneità improvvisa, può avere di stridente, d'inammissibile addirittura, per gli spiriti contemporanei che preferiscono le vie del razionalismo ai mistici colpi di fulmine e che apprezzano sempre meno gli interventi del divino nella vita quotidiana.”

“L’ho incontrato per combinazione – dovrei proprio dire: per caso, se il caso avesse qualcosa a che fare in questa sorta di avventura –; l’ho incontrato con lo sbalordimento di chi, girato il solito angolo della solita strada di Parigi, si vedesse davanti agli occhi, invece della piazza e dell’incrocio di tutti i giorni, un mare inaspettato che si estende all’infinito, lambendo con le onde i muri delle case. Un momento di stupore che dura ancora. Non mi sono mai abituato all’esistenza di Dio.”

Augustinus
20-01-07, 09:09
Una lama lucente di pugnale luccicava sinistra nella tasca sotto la giacca. Bruno Cornacchiola: reduce dalla guerra di Spagna, nel 1939, l'aveva comprato per uccidere il Papa Pio XII. Sull'impugnatura aveva scritto: «A morte il Papa». Aspettava il momento giusto e... avrebbe vibrato il colpo. Così «il mondo sarebbe stato libero - come lui diceva - da una bestia dell'Apocalisse».

Era nato nel 1913 da una famiglia di povera gente. Suo padre non aveva un mestiere preciso ed ogni sera tornava a casa ubriaco. Sua madre faceva la lavandaia. Avevano cinque figli e vivevano tutti nella stessa stanza. Mangiavano quanto potevano, se ne avevano. Se la fame era forte, andavano a rubare.

Andò a scuola un anno - la prima elementare - poi abbandonò la scuola e visse un'adolescenza da sbandato fino al servizio militare. Tornato dalla caserma, si sposò... Quando la moglie aspettava il primo bambino, Bruno decise di arruolarsi nella guerra di Spagna.

In Spagna, nella truppa, conobbe un tedesco: era un luterano, che ce l'aveva a morte con la Chiesa cattolica, soprattutto con i preti. Agguerrito nelle sue idee, fanatico, fece a Bruno un vero lavaggio del cervello così che nella sua mente, maturò un terribile progetto: «Ucciderò il Papa! ».

Quando rientrò a Roma, distrusse tutte le immagini sacre che aveva in casa. Calpestò un quadro della Madonna, fece a pezzi il Crocifisso, costrinse la moglie ad abbandonare ogni pratica di fede.

Intanto era nata la sua seconda bambina. E lui aveva trovato lavoro come bigliettaio dell'azienda tranviaria di Roma. Nacquero altri due figli, Carlo e Gianfranco. Era sempre iscritto al Partito d'Azione. Ma nella mente sempre rimuginava il suo progetto: assassinare il Papa.

Non c'era che da attendere il momento fatale. Per anni andò in giro per Roma con la lama luccicante, fredda nella tasca, sotto la giacca.

Ai figli insegnava a sputare addosso ai preti. Lui stava ore ed ore in piazza S. Pietro, in agguato al Papa.

12 aprile 1947

Era sabato. Bruno Cornacchiola, tranviere, libero dal lavoro. Prese i suoi figli, ed uscì di casa. In mano aveva un taccuino e una Bibbia protestante, una penna: avrebbe approfittato del tempo libero per scrivere il discorso da pronunciare all'indomani su una piazza ad un gruppo di giovani protestanti.

Qui lasciamo la parola allo stesso Bruno: «Esco per tempo da casa con i miei figli: Isola di dieci anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro. Ho intenzione di portarli ad Ostia per trascorrere qualche ora al mare. Quando arriviamo alla stazione il treno è già partito. Allora decido di raggiungere con i figli la zona delle Tre Fontane, dove ci sono grandi distese di prati.

Arrivati alle Tre Fontane, ci fermiamo su un'altura, accanto ad una grotta. Mi avvicino alla grotta per accertarmi che non ci siano pericoli, poi lascio che i miei bambini comincino a giocare e mi apparto all'ombra di un albero per prendere appunti in vista del discorso che avrei dovuto fare il giorno dopo.

Passa un po' di tempo e mi sento chiamare dai bambini: la palla con cui stavano giocando è finita in una scarpata tra i cespugli. Mi alzo e, accompagnato da Carlo, vado a cercarla. Intanto Isola si è messa a raccoglie i fiori e Gianfranco se ne sta buono seduto sull'erba.

Carlo ed io non riusciamo a trovare la palla. Ogni tanto da lontano, chiamo Gianfranco che dapprima mi risponde, poi tace. Preoccupato sospendo le ricerche e mi dirigo verso il punto dove il più piccolo dei miei figli stava seduto sull'erba. Non c'è più. Mi guardo in giro e finalmente lo vedo davanti alla grotta.

È in ginocchio: le mani giunte in preghiera. La scena mi stupisce. Nessuno ha mai insegnato al bambino a pregare... Mi avvicino alla grotta. Gianfranco è lì, con lo sguardo fisso verso l'imboccatura della grotta e dice:

«Bella Signora, bella Signora...». Continua a ripetere la stessa frase all'infinito.

Intanto anche Isola si è avvicinata a noi. Le scivolano i fiori che aveva raccolto. Si inginocchia e si mette a pronunciare la stessa frase del fratellino: «Bella Signora, bella Signora... ». Mi volto verso Carlo e vedo che anche lui si è inginocchiato e ripete le stesse parole.

Mi assale una rabbia terribile. Cerco di scuotere i bambini, di sollevarli dalla loro posizione, ma sono pesanti, - quanto pesanti! - e non riesco a muoverli di un centimetro. Sento una grande confusione nella testa.

Allora mi volto verso la grotta e grido: «Chiunque tu sia, esci di lì». Nessuno risponde. Comincio a tremare e a piangere. Sono sconvolto e grido: «Dio, salvaci tu!» e mi accorgo che quelle parole escono dalla mia bocca come se non fossi io stesso a pronunciarle.

Improvvisamente percepisco la forma di due mani bianchissime che mi strappano dagli occhi una sorta di velo che annebbia il mio sguardo. Attraverso la nebbia comincio a distinguere una luce sempre più forte, sempre più intensa. Non c'è altro intorno a me: sparita la grotta, spariti gli alberi, spariti i figli. Ed ecco che La vedo, è davanti a me, scalza, avvolta in una veste candida, con una dolcissima espressione negli occhi.

È proprio la bella Signora che hanno visto i miei figli e che anch'io adesso posso ammirare. Mi parla:

«Sono Colei che sono nella Trinità divina, sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti, ma d'ora in poi non sarà più così e sarai tu ad adoperarti per la conversione di tante anime. Quando racconterai la tua esperienza, non ti crederanno, ma tu dovrai aver fede.

Cercherai un sacerdote che ti saluterà con queste parole: Ave Maria, figliuolo, che cosa vuoi?, e ti indicherà un altro sacerdote con queste parole: Quello fa al caso tuo, raccontagli tutto. Rientra nell'ovile ed obbedisci».

Poi aggiunse altre cose per il Papa, per la Chiesa, per i sacerdoti e per i religiosi.

Dopo più di un'ora di colloquio, la meravigliosa Visione scomparve agli occhi di Bruno. Rimase davanti alla grotta immobile, senza la forza di muoversi... Gli si avvicinarono i figli e lo scossero. Tornarono a casa, quella sera del 12 aprile '47 e raccontarono l'accaduto.

Erano tutti molto perplessi. La notizia si diffuse e qualcuno cominciò a gridare al miracolo. «Perdonatemi, Santo Patre! »

Sembrava sotto choc, sembrava delirare. Andava in giro a cercare i preti. Erano tutti stupiti di lui. Passarono sette giorni e Bruno non ne poteva più. Decise che se non avesse incontrato il prete che cercava, avrebbe ammazzato la moglie e figli, poi si sarebbe ammazzato.

Uscì di casa. Si diresse verso la parrocchia e lì incontrò un prete che gli parlò con la frase che attendeva: «Ave Maria, figliolo, che cosa vuoi?». Si sentì invadere di gioia. Il sacerdote gli indicò un confratello: «Quello fa al caso tuo, raccontagli tutto».

Si recò dal sacerdote. Parlò. Riacquistò la pace e riprese il suo lavoro di tranviere. Alle Tre Fontane cominciò il pellegrinaggio della gente. Bruno si riconciliò con la Chiesa. Trascorsero due anni. In occasione di un'udienza concessa da Pio XII ai tranvieri romani, Bruno Cornacchiola riuscì a vedere da vicino il Papa. Quel Papa che lui aveva giurato di uccidere. Portò con sé il pugnale e la Bibbia protestante.

Finita l'udienza, Pio XII disse: «So che qualcuno di voi deve parlarmi... ».

Bruno si inginocchiò davanti a lui: «Sono io, Santità».

Il Papa gli si avvicinò. Bruno gli disse: «Debbo chiederti perdono, Santo Padre, volevo uccidervi, ero come pazzo».

Pio XII lo guardò sorridendo:

«Tu volevi uccidermi? Non avresti fatto altro che regalare un nuovo martire alla Chiesa». «Perdonatemi, Santità» implorò Bruno.

«Il mio perdono, continuò il Papa, sta nel tuo pentimento».

Bruno Cornacchiola si alzò e mise nelle mani del Papa la Bibbia e il pugnale.

Uscì dall'incontro con Pio XII, felice. Iniziava per lui una vita nuova. Meglio, era già iniziata, due anni prima, il giorno dell'incontro con la Madonna, alla grotta delle tre Fontane, ma ora il Papa lo inviava nel mondo, per essere «apostolo».

Da allora dedicò tutto se stesso all'apostolato: quello di far conoscere ed amare il Cristo ai fratelli che incontrava. Nel 1950 fondò un'associazione laicale che ha la sua sede a Roma, capace di ospitare, nel nome del Signore, persone di diversa provenienza. Molti di loro sono chiamati a svolgere missioni in Italia e all'estero. Dal 1950 ad oggi Bruno e i suoi amici hanno tenuto, su invito dei Vescovi, migliaia e migliaia di conferenze e di meditazioni, pur continuando a vivere del loro lavoro.

Una vita vissuta nel nome di Cristo e per il Cristo.

FONTE (http://www.preghiereagesuemaria.it/bambini/strade%20nuove%20con%20la%20mamma.htm)

Augustinus
20-01-07, 09:15
L'autobiografia di Sergei Kourdakov (in inglese): The Persecutor (http://www.ccel.us/sergei.toc.html)

http://www.pandora.ca/pictures177/963761.jpg

Augustinus
20-01-07, 09:22
http://www.nettunocitta.it/OPERE/maria%20goretti/foto/maria-goretti-097.jpg Il pentimento di Alessandro Serenelli

http://www.nettunocitta.it/OPERE/maria%20goretti/foto/maria-goretti-099.jpg Mamma Assunta e Alessandro Serenelli nel giugno 1954

La posizione singolare di uccisore di una Santa gli ha assegnato un ruolo scomodo ed oscuro. Con lui non sono teneri i primi biografi di Manetta ed un anonimo cronista de "II Messaggero" in data 8 luglio 1902 definisce Alessandro Serenelli la "belva umana".

Molti che hanno conosciuto più intimamente il suo dramma non hanno esitazioni a definirlo la vera vittima di questa vicenda.

C'è sempre il timore di "non capire", di ridere o di piangere con lo stato d'animo di chi "non saprà mai".

Alessandro Serenelli ha lasciato molte tracce del suo passato.

Della sua lunga esistenza sono rimaste testimonianze attendibili e lui stesso più volte ha cercato di "spiegare" le ragioni ed i torti che sono alla base della sua notorietà.

Si tratta di un personaggio certamente complesso e contraddittorio, protagonista dì una vicenda chiacchierata e passionale.

Violento nell'odio e prepotente nell'amore, un uomo dal doppio itinerario di vita.

Abbiamo voluto comporre il suo "ritratto" partendo da lontano, cercando le ragioni più che il fatto in sé, meditando sulla storia scritta tra le righe più che su quella conosciuta da tutti, facendo "parlare" le motivazioni più che il "personaggio".

La ricerca è stata lunga e paziente ed ispirata ad una rigorosa indagine metodologica: nulla a che vedere con un tentativo qualunquista di riabilitare e ricondannare tout-court il personaggio Serenelli.

Delineare i contorni della personalità di un individuo, vissuto in un contesto storico definito ed in una realtà culturale diversa da quella attuale, presenta non poche difficoltà.

L'indagine retrospettiva, che deve tener conto di episodi accaduti ed ormai scolpiti nel tempo, senza considerare e il processo di interazione ed un'attenta analisi relazionale, è forzatamente una indagine riduttiva.

Tuttavia, tenendo ben presenti questi limiti, sappiamo anche che il comportamento umano nella sua problematica, nel suo vivere quotidiano è la manifestazione di una memoria genetico-culturale dalle dinamiche evolutive spesso remote.

I progressi raggiunti dalle scienze antropologiche hanno avuto il merito di presentare la personalità di un uomo come un "continuum" nella dinamica ricerca della propria realizzazione.

In questa prospettiva dinamica il presente non può essere "ritratto" come una realtà staccata ed isolata da quello che è stato il background della persona. Tante volte ne è la sintesi, l'attualizzazione o addirittura anche il superamento.

Considerare il passato di un individuo non significa solo analizzare un fatto accaduto. Il suo codice genetico, l'ambiente culturale visto come spazio di vita dove avviene l'interazione, sono variabili determinanti.

Nella vita di Alessandro Serenelli emergono due atteggiamenti significativi e solo apparentemente contraddittori: l'errore ed il riscatto.

Il ventenne Serenelli, che in quel pomeriggio del luglio 1902 si rende protagonista di uno dei delitti più feroci di quel tempo, non sembra aver qualcosa in comune con l'altro Serenelli, che nella notte di Natale 1934 chiede perdono in ginocchio dinanzi a mamma Assunta.

Tra i due momenti, le tracce di una maturazione sofferta, il ruolo guida della Goretti ma anche la conferma che si tratta del medesimo Serenelli. Le ragioni del suo errore e del suo riscatto hanno radici lontane.

Alessandro nasce a Paterno (An) il 2 giugno 1882, "il giorno in cui morì Giuseppe Garibaldi" come lui stesso ricorda.

Il padre si chiama Giovanni, la mamma Mengoni Cecilia: hanno 8 figli, ad eccezione di Lucia tutti morti tragicamente.

Non conosce la mamma, morta dopo qualche mese dalla sua nascita, in una casa di cura per malattie mentali.

Questa figura materna gli mancherà sempre e lo stesso Serenelli attribuisce a questo ruolo assente la causa dei suoi problemi.

Vive la sua infanzia tra la casa di suo cugino e quella del fratello, ma nessuno si cura veramente della sua formazione (7). La sua carenza affettiva è ingigantita dal distacco con cui il padre interpreta il suo ruolo e dai continui cambiamenti di ambienti e di legami.

A 12 anni va a Torrette, frazione di Ancona, come aiuto marinaio, poi ad Olevano Romano ed infine a Paliano nella tenuta del senatore Scelsi.

L'esperienza frustrante di una famiglia incompleta ed il continuo mutamento di habitat e di amicizie, accentuano in lui quella tendenza alla solitudine, tanto da venir descritto dai suo contemporanei come un tipo taciturno, introverso e con tratti schizoidi.

Dalle testimonianze raccolte sembra che il suo hobby preferito siano le letture; unico e falsato contatto con un mondo che deve apparirgli estraneo e indecifrabile.

Una fuga dal quotidiano costellato di scarse stimolazioni ambientali e culturali che, unite alla precarietà della vita, accrescono il senso di frustrazione, elemento immancabile nella eziologia dell' aggressività.

Inoltre la morte di un fratello in un ospedale psichiatrico svolge un ruolo traumatizzante nella crescita psichica di Alessandro.

Siamo del parere che una presenza diversa della figura paterna ed una forte motivazione religioso-esistenziale potevano mitigare il "quadro" precedente, ma dalle dichiarazioni del Serenelli stesso esse sono del tutto trascurabili.

Circa il grado di istruzione frequenta la seconda elementare e non è il caso di parlare di veri interessi culturali.

La sua biblioteca personale non va al di là di qualche numero di "Tribuna Illustrata" e de "II Messaggero", unici e discutibili momenti di "recupero" motivazionale.

In passato si è attribuita un'importanza eccessiva all'incidenza di queste letture nella personalità di Alessandro. Si è parlato di pagine equivoche e figure oscene.

Consultando le annate del 1901 e 1902 sia de "II Messaggero" sia della "Tribuna Illustrata" ci si accorge che è una supposizione questa da ridimensionare: sono fatti di cronaca ed illustrazioni di dubbia capacità istigativa.

Inoltre studi sulla personalità e ricerche nel campo della criminologia tendono a considerare il problema in contorni diversi.

Il discorso non va posto in termini di stimolo ma di personalità e quella di Alessandro ha delle caratteristiche compromesse.

Il Serenelli, in un tentativo di ricostruzione dal profondo della sua vita, attribuisce un peso considerevole nella sua formazione alle amicizie contratte a Torrette, da lui definite dubbie; una variabile che possiamo solo riferire senza documentazione.

Nel 1896 a Paliano la famiglia Serenelli conosce i Goretti: un incontro-chiave che segnerà la personalità di Alessandro.

Da una parte la famiglia Goretti: una struttura familiare dai ruoli distinti, evidenti ed interiorizzabili, dotata inoltre di buone trame relazionali.

Dall'altra, la sua famiglia: un nucleo incompleto con ruoli e potenzialità inespresse.

L'avvenimento è certamente conflittuale per Alessandro adolescente e quindi in una fase delicata della costruzione del proprio io.

Inevitabile la nascita di un atteggiamento di ambivalenza affettiva verso i Goretti e soprattutto verso le donne di questa famiglia: idealizzazione di una figura femminile cui Alessandro mai riuscì ad assegnare un posto "normale".

Sarà questa ambivalenza a giocare un ruolo decisivo sia nell'errore sia nel riscatto.

Tenendo presenti le capacità di recupero che sono nel cuore di ogni uomo ed il ruolo straordinario della Marietta, l'esperienza di vita con la famiglia Goretti avrà un valore notevole nella "riabilitazione" del Serenelli.

Da mettere in risalto anche la vita di relazione tra le due famiglie, che a Le Ferriere soprattutto è intensa e pregnante, avendo in comune il tetto, la cucina, il lavoro, le preoccupazioni e la stessa preghiera.

Dai dati raccolti risulta problematico determinare fino a che punto le due famiglie conservano la rispettiva identità e probabilmente ruoli e dinamiche sono in costante fluidità.

Anche tra i ragazzi dei due nuclei i rapporti sono improntati a grande familiarità, almeno fino alla prime "avances" di Alessandro a Marietta. Mamma Assunta prega più volte Alessandro di insegnare a leggere alla Goretti ed è il Serenelli a guidare i buoi con la cassa il giorno del funerale di Luigi.

È solo negli ultimi mesi che l'atteggiamento di Alessandro verso Marietta diviene ambiguo. La trama relazionale descritta svolge un ruolo facilitatore di un coinvolgimento emotivo, che in una personalità dalla difficile problematica affettiva, come quella del Serenelli, tende a proiettarsi.

Il 5 luglio del 1902 Alessandro Serenelli scrive la pagina più buia della sua storia. Non è un raptus improvviso, ma la conclusione di un progetto freddamente studiato nei particolari.

Dalle testimonianze risulta che è il terzo tentativo ed Alessandro questa volta sceglie anche la sanzione in caso di nuovo smacco:
"Dopo il secondo tentativo nella mia mente si formò più che mai il proposito di riuscire nello sfogo della mia passione e concepii anche l'idea di ucciderla se avesse continuato ad opporsi alle mie voglie" (8).

Quando scende la sera di quel pomeriggio di luglio, nella Cascina Antica rimane la malinconia dei perché. Partono tutti quel giorno ed il vento spinge fino all'orizzonte l'orrore del sacrilegio: nessuno tornerà più tra quelle mura.

Alessandro e Maria si incontreranno in un sogno colorato di gigli, nella cella del carcere di Noto.

Racconta Alessandro che durante il sonno gli apparve Marietta tutta vestita di bianco che raccoglieva in un giardino dei gigli e li porgeva a lui.

Al momento della consegna, i gigli si trasformano in tanti lumicini accesi. Per il Serenelli è la fine di un tunnel, il momento determinante della sua resurrezione.

Nella memoria, il disprezzo dei "cafoni" della palude, quei gradini della scalinata, il viaggio verso Nettuno, Regina Coeli, il processo e la condanna a 30 anni. Evita l'ergastolo perché minorenne.

Poi la peregrinazione nelle varie case di pena: dal 16 ottobre 1902 al 1918 vive nel carcere di Noto, dal 1918 al 1919 in Augusta, dal 1919 al 1924 in Mamone, dal 1924 al 1929 in Alghero.

Oltre il sogno della Marietta, un'altra tappa decisiva nella via della sua conversione è il colloquio che ha nel carcere di Noto con il vescovo della città Mons. Blandini.

In data 10 novembre 1910 il Serenelli, in una lettera inviata allo stesso Blandini, riconosce la gravità del suo gesto ed il proposito di riscattarsi.

Dopo 27 anni di detenzione è graziato per buona condotta e quando esce dal carcere è un altro Alessandro.

Il ruolo scomodo di ex-carcerato lo vive nella totale dimensione di Dio. Sopporta umiliazioni e malintesi, più volte viene indiziato di reati solo perché si chiama Serenelli.

La notte di Natale del 1934 in Corinaldo, inginocchiato dinanzi a mamma Assunta, in una atmosfera di struggente commozione, chiede pubblicamente perdono del suo delitto: "Perdonami Assunta.
"Se vi ha perdonato lei", risponde Assunta "vi ha perdonato Dio, vi perdono anche io".

In seguito il desiderio di riscattarsi senza formalismi e rinascere nel significato evangelico diviene il programma della sua vita.

Il carattere riservato, l'incomprensione dei più, la delusione per una società che in fondo non lo perdonerà mai, la ricerca di Dio nel silenzio e nella preghiera, suggeriscono ad Alessandro l'idea del chiostro.

A Nettuno passò tante volte vicino al convento di S. Rocco: un fascino rimasto intatto dopo anni di oscurità.

Si è molto ricamato sulle ragioni che sono alla base della scelta decisa da Alessandro Serenelli.

Per l'ex carcerato, l'adattamento alla nuova realtà sociale si mostra più problematico del previsto. Più volte si trova al centro di malintesi e di pettegolezzi che bruciano sul nascere i tentativi di un normale inserimento.

Si sente estraneo in un mondo da cui ha ricevuto torti e ragioni.

Non è una rinuncia od una fuga, nel suo gesto cogliamo la volontà di un recupero sul piano esistenziale, un'esigenza che dice già molto sulla profondità della sua rinascita.

Alessandro scrive due lettere: una al Rettore dei Passionisti di Recanati, l'altra al Superiore dei Cappuccini di Ascoli: "Andrò da chi mi risponderà per primo" conclude il Serenelli.

Rispondono per primi i Cappuccini e nel convento di S. Serafino in Ascoli l'ex carcerato percorre a grandi falcate la via della sua completa guarigione interiore.

"Non era un frate - dichiara un religioso - ma visse tra di noi come un vero figlio di S. Francesco".

Il 15 gennaio 1970 mentre si reca in chiesa per ascoltare la S. Messa cade e si frattura una gamba.

È solo l'inizio della fine che avviene la mattina del 6 maggio 1970, all'età di 88 anni. Nel giorno e nel mese in cui settanta anni prima morì anche Luigi Goretti.

Tra gli effetti personali, il P. Urbano cappuccino trova una lettera sigillata che contiene uno scritto datato 5 maggio 1961.

È il suo testamento spirituale, un messaggio di grande nobiltà d'animo, uno sguardo in profondità nel mistero di un uomo che caparbiamente ha ritrovato la sua dignità.

Lo trascriviamo interamente in segno di rispetto e di stima:
"Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una falsa strada, la via del male che mi condusse alla rovina.
Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli ed i cattivi esempi, che la maggior parte dei giovani segue quella via, senza darsi pensiero ed io pure non mi preoccupai.
Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva verso una cattiva strada. A 20 anni consumai il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo.
Maria Goretti, ora santa, fu l'angelo buono che la Provvidenza aveva messo dinanzi ai miei passi per salvarmi.
Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me e intercedette per il suo uccisore.
Seguirono 30 anni di prigione, se non fossi stato minorenne sarei stato condannato a vita.
Accettai la sentenza meritata, rassegnato espiai la mia colpa.
La piccola Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice: con il suo aiuto mi portai bene nei 27 anni di carcere e cercai di vivere onestamente, quando la società mi accettò tra i suoi membri.
I figli di S. Francesco, minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto tra di loro non come servo ma come fratello e con loro convivo da 24 anni. Ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracdare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore ed alla sua cara mamma Assunta.
Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, seguire il bene sempre.
Fin da fanciulli pensino che la religione con i suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno ma è il vero conforto, l'unica via sicura in tutte le circostanze anche le più dolorose della vita.
Pace e bene".

La nostra analisi della personalità di Alessandro Serenelli non poteva trascurare il ruolo avuto dalla fede nel cammino verso il suo riscatto.

Dopo il sogno di Marietta avuto in carcere ed il colloquio a Noto con il vescovo Giovanni Blandini, Alessandro inizia un processo di maturazione religiosa che traspare in maniera inequivocabile dalla lettura del suo testamento spirituale e che raggiunge la sua espressione più alta nel giorno del perdono chiesto a mamma Assunta.

La problematica religiosa non è mai del tutto assente dalla vita del Serenelli; molti documenti riferiscono della sua frequenza saltuaria alla S. Messa, anche prima di quel 5 luglio 1902.

Tuttavia è in seguito il valore più rilevante della sua esistenza di uomo che ha sbagliato, ma che ha riconosciuto il suo errore.

In Alessandro Serenelli la vicenda di un uomo dalla personalità complessa e per tanti versi contraddittoria, ma anche la realizzazione di un progetto di rinascita dove la fede in Dio è una presenza di salvezza e di ricostruzione dell'uomo dal- di-dentro.

Ancora un duro colpo alla teoria della fede come alienazione cara alla ideologia vetero e neo-marxista e liberal-massonica.

NOTE

(7) CIOMEI F. - II pugnale dei tanti rimorsi - pag. 10 - 1988.

(8) PR. IMF. f. 160.

FONTE (http://www.nettunocitta.it/OPERE/maria%20goretti/pagine/santa%20maria%20goretti%2012.html)

Augustinus
20-01-07, 09:24
Tra la cenere di Nagasaki una piccola croce brillava
TAKASHI NAGAI E LA SUA SPOSA MIDORI

Il dottor Paolo Takashi Nagai, radiologo e preside della facoltà di Medicina dell’università di Nagasaki, la mattina del 9 agosto 1945 si trovava al suo posto di lavoro, poco distante dall'epicentro dell'esplosione. Ha scritto un libro, “Le campane di Nagasaki”, nel quale di quel giorno ricorda: «è quasi perfettamente nitido il cielo, ma, lassù, proprio sopra la testa, c’è una strana nuvola, dalla forma curiosa come di una mela. Il rumore viene da lassù. Appena qualche istante dopo, un puntino d’argento esce dalla nuvola, un B29».

Alle ore 11 di quella mattina un bombardiere americano B29 sganciò una bomba sulla città; ma quella volta, stranamente, non ci fu subito l’esplosione. Tra l’altro, l’apparizione dell'aereo non aveva nemmeno allarmato la popolazione. Infatti, il B29 volava troppo ad alta quota per poter eseguire un regolare bombardamento. Gli abitanti di Nagasaki ormai queste cose avevano imparato a conoscerle bene. «Lanceranno volantini, stamattina» immaginò qualcuno.

Invece, quella mattina gli abitanti di Nagasaki conobbero una nuova, terrificante realtà: la bomba atomica. Dopo l’esplosione, tutto attorno non rimase che morte e cenere.

Secondo il comando militare americano la bomba atomica era una necessità. Perché non si trattava di piegare una resistenza armata ma l’idea, molto viva tra i giapponesi, che Dio era dalla loro parte e che, contro ogni evidenza, il “vento divino” avrebbe alla fine sbaragliato i nemici. Il rischio, dunque, era quello di una guerra senza fine. L’atomica avrebbe potuto scalfire questa certezza, andando a colpire così il fondamento dello shintoismo, la religione di stato del Giappone.

Nella realtà, per un misterioso disegno del destino, la bomba più che al cuore della religione giapponese colpì in pieno il quartiere cattolico di Nagasaki, il più importante e numeroso centro della Chiesa in estremo oriente. La comunità cattolica contava allora più di dodicimila fedeli. Perirono quasi tutti. L'epicentro dell'esplosione era stato proprio la loro cattedrale che, tra l'altro, in quel momento era affollata di fedeli in coda davanti al confessionale per prepararsi alla festa dell'Assunzione.

Nel posto dove c’era stata la sua casa, il dottor Nagai notò resti di ossa carbonizzate. Per la sua esperienza di radiologo, non ebbe difficoltà a identificare, in quei resti, sua moglie Midori. Ma tra le ossa della mano, qualcosa brillava: la corona del santo rosario e una piccola croce. Sua moglie era morta così, mentre pregava con il rosario tra le dita.
La cattedrale di Nagasaki sorgeva in una bella posizione, sulla collina di Urakami. Era molto cara al dottor Nagai: proprio lì era avvenuta la sua conversione alla Chiesa cattolica.

Takashi Nagai era diventato cattolico incontrando la famiglia di colei che poi prenderà come moglie. Era la notte della vigilia di Natale e il papà di Midori l’aveva invitato ad andare alla messa con loro. «Ma io non sono cristiano!» aveva esclamato lui, sorpreso. «Nemmeno i pastori e i Magi erano cristiani quando andarono alla grotta» scherzò il papà di Midori.

Nella notte di quel Natale, anche Nagai salì sulla collina della cattedrale. Affascinato dallo straordinario spettacolo di popolo e dalla bellezza della liturgia cui assistette, aderì alla Chiesa. Al battesimo prese il nome di Paolo, per ricordare il martirio di san Paolo Miki che, alla stessa maniera di Nostro Signore, su un'altura di Nagasaki era stato crocifisso.

In quella giornata di agosto del 1945 la cattedrale e il quartiere cattolico erano stati ridotti a cumuli di rovine. L'obiettivo del bombardamento doveva essere la popolazione giapponese e le sue credenze religiose. Ma su quel calvario furono innalzate le croci dei fedeli della Chiesa di Nagasaki. Come, del resto, era capitato tante altre volte; come a san Paolo Miki e lungo secoli di persecuzione anticristiana.

Nel crollo della cattedrale, la campana, cadendo dal campanile, era rimasta intatta. Qualche mese dopo - era la vigilia di Natale - si riuscì a rimettere in funzione la campana; i rintocchi che invitavano all’Angelus furono il primo segnale della vita che riprendeva dove non doveva esserci che il deserto atomico.

Il dottor Nagai, nel frattempo, si era costruito una capanna sul posto del disastro, ancora sommerso da quindici centimetri di cenere. «Voglio essere il primo a ritornare lì» aveva detto.

Dopo la bomba, Takashi Nagai, malato, sopravvisse ancora qualche anno. Ma per molto tempo ancora, chi arrivava alla stazione di Nagasaki poteva sentire risuonare dagli altoparlanti una canzone che narrava la sua storia. Una canzone che era diventata l’inno di Nagasaki risorta e che faceva così:

Io ho ripreso il cammino della vita
Senza la mia donna cara.
Le mie lacrime amare
Cadono sui grani del suo Rosario.
Io ascolto le campane di Nagasaki
Che mi consolano come un amico.

FONTE (http://www.webalice.it/paolotritto/Takashi_Nagai.html)

Augustinus
20-01-07, 09:28
Nagai, Takashi Paolo (Isumo, 1908 - Nagasaki, 1951)

Takashi Nagai nacque nel febbraio del 1908 a Isumo (vicino a Nagasaki) in Giappone, in una famiglia di cinque figli di religione scintoista. Dimostrando una spiccata attitudine per gli studi, il padre, esperto di medicina orientale, gli trasmette la passione per questa disciplina e, nel 1928, Takashi si iscrive alla Facoltà di Medicina. Racconta nel suo diario: «fin dagli studi liceali ero diventato prigioniero del materialismo [...]; alla Facoltà di medicina mi fecero sezionare cadaveri: la struttura meravigliosa del corpo, l'organizzazione minuziosa delle sue minime parti, tutto ciò provocava in me ammirazione. L'anima? Un fantasma inventato da impostori per ingannare la gente semplice».

Nel 1930 sua madre subisce un colpo apoplettico e, senza poter parlare, gli rivolge un ultimo sguardo: per Takashi l'addio della madre segna una svolta determinante nella sua vita. «Quella donna —scrive Nagai— che non si era mai concessa un istante di tregua nel suo amore per me, negli ultimi istanti di vita mi parlò molto chiaramente. Il suo sguardo mi diceva che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte. Tutto ciò era un'intuizione, un'intuizione che aveva il sapore della verità». Il futuro medico giapponese inizia così a leggere Pascal e rimane colpito dalla sua fede di scienziato: decide di provare a conoscere la religione cattolica, allo stesso modo con cui normalmente si verificano in laboratorio le ipotesi. Cerca e trova una famiglia cattolica che lo ospiti durante gli studi: i coniugi Moriyama, umili fattori, famiglia cattolica da 250 anni, che hanno una figlia, Midori. Tutti e tre i componenti della famiglia iniziano subito a pregare per la sua conversione.

Nel 1932 il giovane studente, colpito da un'otite, diventa sordo dall'orecchio destro: deve dire addio alla medicina ordinaria, non può più usare lo stetoscopio. Si rivolge allora con entusiasmo alla radiologia, agli esordi nel suo paese, e intuisce subito che questa nuova scienza sarà fondamentale per la diagnostica. Lo stesso anno, la notte di Natale del 1932 è invitato dal sig. Moriyama a partecipare alla S. Messa di mezzanotte in cattedrale: «Non potrà mai credere, se non verrà a pregare in chiesa». La sua conversione e il battesimo con il nome di Paolo (in onore di San Paolo Miki), avverranno però solo nel giugno del 1934, dopo altre vicende che segneranno la sua vita: salva la vita a Midori, colpita da appendicite acuta e in pericolo di vita, viene reclutato nell'esercito e inviato in Manchuria (Cina) a combattere: porta però con sé un piccolo catechismo regalatogli Midori. Torna in Giappone, provato e sconvolto dalla guerra. Entrato per la seconda volta nella cattedrale di Nagasaki, incontra un sacerdote giapponese che lo ascolta per lungo tempo e lo conforta. Legge di nuovo Pascal e si sofferma su un pensiero: «vi è abbastanza luce per coloro che desiderano vedere, ed abbastanza oscurità per quelli che sono in una disposizione contraria». Adesso Takashi non ha più dubbi sulla sua chiamata al cattolicesimo.

Sposa Midori nel settembre del 1934 e la rende consapevole dei rischi corsi nella sua attività medica mestiere (i radiologi dell'epoca non avevano i mezzi per proteggersi dai raggi X adeguatamente); la moglie lo sostiene e condivide tutte le sue scelte. «Il compito del medico —scrive il dott. Nagai— è quello di soffrire e di rallegrarsi con i suoi pazienti, di sforzarsi di diminuire le loro sofferenze, come se fossero le sue proprie […]. In fin dei conti, non è il medico che guarisce l'ammalato, ma la volontà di Dio. Una volta che si è capito questo, la diagnosi medica ingenera la preghiera».

Dal giugno del 1937 al marzo del 1940 Nagai è di nuovo coinvolto nella guerra cino-giapponese. È un medico militare eroico: la sua abnegazione è totale ed è per tutti: soldati giapponesi e cinesi, uomini, donne, bambini e anziani, vittime di carneficine orribili. Rientrato in Giappone scopre da solo sulle sue mani i primi segni di una malattia derivata dalle esposizioni ai raggi X. Lavora sempre di più (negli ultimi tempi trascorre giorno e notte facendo radiografie ai feriti dei bombardamenti e salvando in questo modo molte vite umane, senza mai tirarsi indietro); è sovente spossato e, solo quando è sfinito, si chiude nel suo ufficio, recita il rosario guardando la statua della Vergine Maria, ritrovando così la sua pace interiore. Nel giugno del 1945 si fa un’auto diagnosi: leucemia con ipertrofia della milza: durata della vita 3 anni. «Signore —così accoglie la notizia della sua malattia— non sono che un servo inutile. Proteggi Midori e i nostri due figli. Avvenga di me quello che Tu vuoi». La mattina dopo, ricevuto il sostegno della moglie, è al lavoro come sempre, pieno di nuova forza e con il sorriso che lo accompagnerà e lo distinguerà sempre.

Il 9 agosto del 1945 è una giornata con un cielo perfettamente nitido; ma siamo ormai ai drammatici esiti finali della Seconda guerra mondiale: improvvisamente esplode la bomba atomica sul quartiere cattolico a nord di Nagasaki, Urakami. Muiono 8000 cristiani. La cattedrale, affollata di fedeli, è distrutta. Era la comunità cattolica più importate e numerosa dell'Estremo Oriente. Nagai, Preside della Facoltà di medicina, lavora nel suo laboratorio a 700 metri dal centro dell'esplosione: è una visione apocalittica. È ferito, ma lavora senza sosta per soccorrere i feriti, non si ferma nemmeno un attimo. L'11 agosto ritrova la sua casa ridotta in cenere, recupera i resti carbonizzati della moglie (i due figli erano in montagna con la nonna al sicuro); nelle ossa della mano destra della moglie trova intatto il suo rosario, che brilla nella polvere: «Dio mio —prega il marito tra le lacrime— ti ringrazio di averle permesso di morire pregando. Maria, madre del dolore, ti ringrazio di averla accompagnata nell'ora della morte». Moribondo a settembre, perché le radiazioni della bomba atomica hanno aggravato il suo male, Takashi si affida al Signore. Gli viene portata dall'acqua di Lourdes e prega Massimiliano Kolbe (proclamato beato nel 1971 e santo nel 1982). Esce dal semicoma la mattina dopo. Il protarsi di 6 anni di vita, nonostante la diagnosi di morte sicura della sua malattia, verrà attribuita da Takashi all’intercessione di Massimiliano Kolbe.

Il medico radiologo diventa un “esempio vivente”: invita a perdonare immediatamente e incoraggia tutti a credere nella Provvidenza Divina che trae sempre il bene dal male; torna per primo a vivere nel quartiere distrutto, costruendosi una capanna con delle lamiere nel luogo una volta c’era casa sua, e lì ritrova il Crocifisso di famiglia: «mi è stato tolto tutto, dice; ho ritrovato solo questo crocifisso». In occasione di una Messa da Requiem gli viene chiesto di prendere la parola: «Nagasaki —dice ai suoi concittadini— non era forse la vittima scelta, l'agnello immolato, olocausto offerto sull'altare del sacrificio, morta per i peccati di tutte le nazioni, durante la seconda guerra mondiale? … Siamo riconoscenti che Nagasaki sia stata scelta per tale olocausto! Siamo riconoscenti perchè, attraverso questo sacrificio, la pace è stata data al mondo e la libertà religiosa al Giappone».

Nella primavera del 1947 Nagai si aggrava e deve mettersi a letto. Lascia la professione, ma decide di mettersi a scrivere: «la mia testa funziona ancora», si dice. «Gli occhi , le mani e le dita sono ancora in buono stato». Il primo scritto è per i suoi figli, ancora piccoli: «Miei cari figli, amate il vostro prossimo come voi stessi. Ecco il motto che vi lascio. Con esso comincerò questo scritto, probabilmente lo finirò con esso e sempre con esso riassumerò».

Pubblica in quattro anni quindici volumi; scrive di notte perché fin dalla mattina riceve visitatori: «mi disturbano —scrive nel suo diario— ma poiché hanno al gentilezza di venire, non devo provare a versare un po' di gioia nel loro cuore e a parlar loro della nostra speranza cattolica? Non posso mandarli via»; ma allo stesso tempo afferma che «anche i malati devono lavorare con tutta la loro forza». Nei suoi libri offre un resoconto di quanto accaduto nell'esplosione atomica, attraverso la sua esperienza e la sua competenza. Considera ormai la sua vocazione quella di propagare il messaggio cristiano attraverso il quale soltanto si può trovare ed instaurare una pace duratura. I suoi libri dal 1948 si leggono ovunque in Giappone e hanno contribuito notevolmente all’educazione sociale e all'evangelizzazione del suo paese. Nel best seller Le campane di Nagasaki (da cui è stato tratto un film), si chiede: «l'umanità sarà felice nell'era atomica, oppure misera? Di quest'arma a doppio taglio nascosta da Dio nell'universo ed ora scoperta dall'uomo, che farne? Un buon uso farebbe progredire a grandi passi la civiltà; un cattivo uso distruggerebbe il mondo. La decisione sta nel libero volere dell'uomo. Egli tiene in mano il proprio destino. Pensandoci, ci si sente assaliti dal terrore e, per conto mio, credo che un vero spirito religioso sia l'unica garanzia in questo campo... In ginocchio nella cenere del deserto atomico, preghiamo perchè Urakami sia l'ultima vittima della bomba. La campana suona... O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te».

Nel marzo del 1951 il suo stato di salute si fa preoccupante ma non gli fa perdere il suo buonumore. Nell’aprile di quello stesso anno Nagai riesce a terminare il suo ultimo libro. Il 1° maggio, il primo giorno del mese dedicato a Maria, Takashi Paolo muore a 43 anni per un'emorragia celebrale, tenendo in mano il Crocifisso di famiglia. Al suo funerale accorre una folla immensa, in un corteo che dalla cattedrale (ricostruita) si muove con molta difficoltà per raggiungere il cimitero. L'anno dopo è già inaugurato il "Nagai Memorial Museum", visitato ogni anno da 150 mila persone.

Maestro di "spiritualità della pace", definito il "Gandhi giapponese", Takashi (che in giapponese significa "nobiltà") ha vissuto l'ideale cristiano dell'amore verso il prossimo annullando davvero se stesso. Il "santo di Urakami" o il "santo di Nagasaki", come era già chiamato in vita, fu esempio di umiltà nella ricerca appassionata della verità, di abnegazione e di spirito di sacrificio. Ha voluto porre come epitaffio sulla sua tomba la frase evangelica che forse sintetizza al meglio il suo atteggiamento nella vita: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quel che dovevamo fare» (Lc 17,10).

Valeria Ascheri

Bibliografia:

Dottor "Nobiltà", di O. Paliotti, 10 settembre 2006 (http://www.cittanuova.it/art_ul01.asp?ID=15398)
Lettera di Dom Antoine Marie osb agli amici dell'Abbazia benedettina di San Giuseppe di Clairval (Flavigny-sur-Ozerain, Francia) del 4 ottobre 2000 (http://www.clairval.com/lettres/it/2000/10/04/6041000.htm)

Siti web dedicati a Takashi Paolo Nagai:
sito 1 (http://www1.city.nagasaki.nagasaki.jp/na-bomb/nagai/nagae01.html)
sito 2 (http://base.mng.nias.ac.jp/k15/Nagai.E.html)
Nagai Museum Memorial (http://base.mng.nias.ac.jp/k15/Nagai3kinenkane.html)

FONTE (http://www.disf.org/ScienziatiCredenti/Nagai.asp)

Augustinus
20-01-07, 09:35
http://saints.sqpn.com/saintb3g.jpg

Dottoressa

Benedetta nasce a Dovadola, piccolo paese in provincia di Forlì, dall'ingegner Guido Bianchi Porro e da Elsa Giammarchi, l'8 agosto 1936. E' la seconda di sei figli. Colpita a pochi mesi da poliomielite, resta con una gambina menomata. I ragazzetti del paese la chiamano "la zoppetta", ma lei non se ne offende: "dicono la verita' ".

Allo scoppio della II guerra mondiale la sua famiglia sfolla a Pasticciano; presso Bertinoro.

Nel 1944, quando la linea gotica viene travolta dall'avanzata anglo-americana, la Romagna e' percorsa dalle truppe tedesche in ritirata. Ma della guerra vi e' solo un bagliore riflesso nei diari che la bimba tiene diligentemente aggiornati, fin dai cinque anni, per volonta' materna. Si tratta di notazioni rapide, naturalmente rapportate alla sua eta', che riguardano piu' spesso la famiglia, la natura, i giochi, il primo confuso sbocciare dei sentimenti.

Benedetta e' una bimba sensibile e delicata, intelligente e volitiva. Gioca festosamente coi fratellini e con gli altri bambini, ma talora si ritrae in pensosi silenzi: sono i momenti in cui Benedetta guarda stupita il miracolo della vita che trionfa in tutte le cose, nei fiori, nei prati pieni di sole, nella sua piantina di ciliegio che innaffia quotidianamente, nell'aurora meravigliosa. Allora confida al suo diario la gioia delle sue scoperte. "C'e' l'universo incantevole. Che bello vivere!" Corre a vedere la mietitura del grano, si ferma incantata ad ascoltare il canto degli agricoltori, si confonde nelle aie dei contadini con gli altri bimbi, poi sale sul cipresso: "lassu' fra i suoi rami ho formato la mia casina".

Il ritorno alla pace rappresenta per la bimba di nove anni solo un'allegra avventura in piu': il trasloco a Forlì dove, eccettuato un breve soggiorno a Brescia, ospite della famiglia Rabotti, Benedetta rimarra' fino al '51.

La vita riprende tranquilla, in compagnia dei genitori e dei fratellini. Ha saltato una classe e studia dalle suore Dorotee. Sono anni sereni quelli trascorsi in Romagna; vita di provincia: le festicciole di compleanno, un po' di catechismo, le lezioni di pianoforte, il vestito bello la domenica.

"Ti ricordi, Manuela, come eravamo felici quando alla domenica la mamma ci portava a San Mercuriale e tutti volevamo stare attaccati a lei, come eravamo felici allora! E non sapevamo di esserlo".

Frequenta a Forlì la scuola media "Biondo Flavio" e il ginnasio. Nel '51 la famiglia Bianchi Porro si trasferisce a Sirmione del Garda. Benedetta parla con entusiasmo della sua villa affacciata sul lago: "bianca, dalle persiane verdi, un terrazzo di legno sul davanti, cancello piccolo a lato le camere ampie e spaziose danno un senso di liberta'...". Sirmione e' bella, e alla ragazzina piace vivere nella sua villa tra gli ulivi, così come le piacciono le discussioni coi fratelli, la politica, lo sport, le lunghe nuotate nel lago, le voci, le risa, le barche, la gente, le cose.

Benedetta si appassiona a tutto; le piace molto studiare e trascorre ore al piano. Ma la sua ardente gioia di vivere ha un'ombra di tristezza, un presagio ineffabile, un nascosto tremore: "guardando questo spettacolo il mio animo e' preso da ricordi, e da un terribile bisogno di indefinito, di lontano, di silenzio. Un bisogno di essere fuori dal mondo, lontana da tutti, e un bisogno di qualcuno cui confidare i dolori della mia vita; di uno, insomma, che mi consoli. Basta, per confortarmi, alzare il pensiero a Dio".

Per evitare la malformazione alla schiena deve portare un busto che l'opprime e la condiziona. Comincia inoltre ad accusare una perdita dell'udito. Di giorno in giorno cresce l'inquietudine del suo spirito. Assetata d'amore, comunica ad Anna, la più cara amica dell'adolescenza, i suoi più profondi e delicati sentimenti. "Tu sei la mia prima amica e amica per me vuol dire qualcosa di piu' di quel che gli altri intendono. L'amica deve essere qualcosa di noi stessi e tu sei per me la meta' dell'anima mia, l'acqua in cui io mi specchio".

Quando per la lontananza non puo' godere della sua rasserenante presenza, Benedetta avverte ancora di piu' la solitudine interiore. La sordita' avanza. Si spegne il sussurro delle cose, la festa della vita: "... il cielo è grigio e nebbioso e le cose sono annoiate e piangono invece di ridere per la mia anima". Le si apre una vita nuda d'amore: quanti desideri e speranze destinati a morire! Rimpianto, smarrimento, angoscia. La prova si fa sempre più dura. Benedetta trema: "... temo che tutto sia illusione e l'illusione mi fa tremare piu' della disperazione".

Ad Anna, ancor piu' che alle pagine del suo diario, confida il tumulto del suo spirito. "Anch'io sono assetata di pace e desidero abbandonare le onde del mare e rifugiarmi nella quiete di un porto. Ma la mia barca e' fragile, le mie vele sono squarciate dal fulmine, i remi spezzati e la corrente mi trascina lontano".

Benedetta conosce il gelo dello scetticismo, l'allucinante paura del vuoto e invoca aiuto: "Sapessi, Anna, come ho bisogno del tuo aiuto. Desidero la verita', non desidero che questo, ma nessuno ne sa nulla".

Ma quella Verita' che lei cercava comincia a farsi sentire nella voce della sua anima. La tempesta a poco a poco si placa. In questa drammatica esperienza umana si prepara la sua risurrezione. Benedetta scopre dentro di se' la ricchezza della vita interiore. E' in seconda liceo, al "Bagatta" di Desenzano quando annota nel diario: "Sono stata interrogata in latino; ogni tanto non capivo quello che il professore mi chiedeva. Che figura devo fare ogni tanto, ma cosa importa? Un giorno forse non capiro' niente di quello che gli altri dicono, ma sentiro' sempre la voce dell'anima mia: e questa e' la vera via che devo seguire".

Benedetta opera la scelta di una vita che trova il suo senso e la sua giustificazione nei valori dello spirito.

Autunno 1953. Dopo aver saltato la III liceo si iscrive all'Università di Milano; ha 17 anni. Il padre le suggerisce l'idea di laurearsi in Fisica e Benedetta, per compiacerlo, acconsente. Ma ben presto s'avvede di non essere fatta per quel genere di studi e passa a Medicina. "Affrontai il nuovo studio con ardore. Avevo sempre sognato di diventare medico. Voglio vivere, lottare, sacrificarmi per tutti gli uomini". La sordita' e' quasi totale. Benedetta e' costretta a farsi accompagnare dalla giovane amica Anna perche' risponda in sua vece all'appello.

Completamente sorda e costretta a far uso del bastone per una insorta difficolta' motoria, si appresta a diventare medico. Le difficolta' sono enormi ma e' decisa a resistere con tutte le sue forze per guarire e per riuscire: "Mi basterebbe di arrivare ad esercitare, anche come l'ultimo dei medici..."

1955: esame fondamentale del primo biennio. Benedetta attende trepidante che il professore le rivolga per iscritto le domande che non puo' piu' udire, ma il libretto universitario vola contro la porta. Nell'aula c'e' chi ride. Il professore grida: "Non si e' mai visto un medico sordo!" Benedetta, in silenzio, con le lacrime agli occhi, si alza, raccoglie il libretto e avvicinandosi al docente gli dice in tono pacato: "Scusi, professore, non volevo offenderLa". Alla mamma che le chiede l'esito dell'esame, Benedetta risponde: "Il professore e' stato buono perche' non mi ha rovinato il libretto". Per intervento del Rettore l'esame viene ridato; l'esito e' positivo e provvisoriamente le e' concesso di proseguire gli studi.

Natale 1956: si manifestano i primi, chiari, gravi sintomi di una malattia di cui, evidentemente, la sordita' e' solo una manifestazione. Dopo numerosi consulti, risultati peraltro vani a definire il genere della malattia, Benedetta riesce da sola a diagnosticare il suo terribile male: neurofibromatosi diffusa.

27 giugno 1957: viene operata, per la prima volta, alla testa. Le radono il capo. Forse Benedetta, in quel momento, rivide uno scorcio della sua infanzia: il contadino, chiamato Natale, che in un piovoso giorno di settembre tagliava la lana ad una pecora mentre la nebbia saliva fino a ricoprire il piccolo paese di Bertinoro: "Mentre mi tagliavano i capelli, mi sentivo come un agnello cui tagliano la lana e pregavo il Signore che mi facesse forte e piccola. Il Signore, mamma, vuole da noi grandi cose. Ho sofferto tanto e ho domandato al Signore di essere una pecorella nelle sue mani".

Accenna a questa operazione in una lettera a Maria Grazia, amica carissima: "In occasione dell'operazione mi tagliarono i capelli a zero ed ora la mia testa assomiglia molto ad una spazzola per abiti... Ti confesso che a volte mi sento terribilmente depressa... Inoltre in seguito all'intervento, mi si e' paralizzato il facciale sinistro, sono semiparalizzata al viso; devo fare una plastica, ahime'! In tanto in attesa di tempi migliori (ma verranno?) sono costretta a interrompere gli studi: cosa mi costi, lo sa il cielo! Beh, pazienza, l'importante e' conservare la serenita' ".

E' tale la sua forza di volonta' che l'anno successivo, in autunno, riesce a sostenere con esito positivo gli esami di patologia medica e patologia chirurgica. Eppure "sapeva", tanto che un giorno, tornando vittoriosa ma disfatta da un esame, confida alla madre: "Si, mamma, anche questo e' andato bene, ma a che serve?... tra poco...". Dopo breve, infatti, la neurofibromatosi si sarebbe manifestata in tutta la tragicita' del suo rarissimo quadro.

29 giugno 1959: Benedetta sostiene, con esito negativo, l'ultimo esame (Igiene). Non drammatizza neppure questo: "...il professore e' un pignolo che parte in curva per niente... beh, lo ridaro' !".

7 agosto: viene operata al midollo spinale. Da questo momento rimarra' totalmente paralizzata agli arti inferiori, costretta dapprima su di una poltrona, poi a letto per oltre quattro anni. A poco a poco perde il gusto, il tatto, l'odorato. In questi anni dolorosi Maria Grazia le e' accanto, sempre; silenziosamente l'aiuta. Benedetta le confida le sue fatiche di ogni giorno e la gioia segreta di certi istanti: "ho molte tentazioni sempre e tu prega per me. Se diro' delle cose a vuoto, domandaGli per me di farmi tacere. Mi accade di trovarmi a volte a terra, sotto il peso di una croce pesante. Allora Lo chiamo con amore, ai suoi piedi e Lui dolcemente mi fa posare la testa sul suo grembo. Capisci, Maria Grazia? Conosci tu la dolcezza di questi istanti?"

Tramite Maria Grazia, Nicoletta entra nella sfera degli amici di Benedetta e le sara' di grande aiuto spirituale.

Tanti altri amici approderanno a questa riva in una pienezza di comunione che fara' della sua stanza un "crocevia di vite". "Si andava in compagnia a trovarla. Il suo non era piu' un letto; al di la' di ogni evidenza Benedetta ci faceva dimenticare di essere presso una persona ammalata. Tutto il giorno, a turno, comunicavamo con lei; c'erano momenti in cui si rideva, sì, si cantava insieme, si recitava nona e vespro". (Dalla testimonianza di Paola). Gli amici le sono accanto nella sua grande spirituale avventura. Benedetta li ama tutti teneramente, profondamente, e insieme formano una cosa sola. Quando non possono andare a trovarla, giungono a lei, come un dono divino, le loro lettere.

"Cara Nicoletta, grazie della tua lettera. Mentre me la leggevano io pensavo mi fosse giunta una grazia e che tale gioia mi fosse scesa dal cielo... Dice S. Agostino. Ti ho gustato ed ora ho fame e sete di te; mi hai toccato ed ora ardo dal desiderio della tua pace".

Di questa sete e di questa fame sono brucianti le lettere che faticosamente Benedetta scrive agli amici e ai familiari: "... quanto a me, faccio la vita di sempre, pure a me sembra così completa... e' pero' vero che la vita in se' e per se' mi sembra un miracolo, e vorrei poter innalzare un inno di lode a Chi me l'ha data ... Certe volte mi chiedo se non sia io una di quelle cui molto e' stato dato e molto sara' chiesto..."

Nel maggio del '62 Benedetta parte, la prima volta, per Lourdes, col treno-ospedale dell'Unitalsi. E' grande il suo abbandono in Dio, anche se ha ancora un progetto tutto suo: "Desidero guarire per farmi suora. Ho fatto voto".. Al ritorno scrive: "Sono andata a chiedere la guarigione, ma il criterio di Dio supera il nostro ed Egli agisce sempre per il nostro bene".

Accanto a lei, davanti alla Grotta, una giovane donna paralizzata giace in barella: e' Maria D.B. Si dispera e piange. Benedetta la consola, poi le prende una mano e la stringe fra le sue, congiunte come in un'unica preghiera: "La Madonnina e' lì, la Madonna ti guarda. Maria! Diglielo alla Madonnina che ti aiuti", e si raccoglie in un profondo silenzio. Di lì a poco si vede Maria scendere dalla barella e camminare. Al ritorno Benedetta scrive: "Nel nostro pellegrinaggio abbiamo avuto una miracolata: che emozione e che gioia! La misericordia di Dio è senza limiti".

Benedetta riprende il suo faticoso salire, nella spoliazione sempre più grande di se': "...a Lourdes avevo una forte aridita', ma ne sono tornata con tanta fede e umilta'. Ci vuole umilta', cioe' riconoscersi poveri, per chiedere e per riconoscere la verita'..."

27 febbraio 1963. Clinica Citta' di Milano. Benedetta viene operata alla testa, per l'ultima volta. Ha paura. Maria Grazia le scrive le parole di Bernanos dal Diario di un curato di campagna, modificando lievemente il testo perche' non comprenda che il curato allude alla propria morte: "Se avro' paura, diro' senza vergogna - Ho paura - e il Signore sapra' rassicurarmi". Benedetta legge, e ripete queste parole a mezza voce, in completo abbandono, e ringrazia l'amica con straordinaria dolcezza.

28 febbraio 1963. E' il giorno più tragico e forse il piu' grande nella vita di Benedetta. Diventa cieca. Il viaggio nel mistero di Dio e' ormai compiuto. Seguono ore disperate: "...stava molto male; respirare le era penoso. Si agitava mentre le applicavano le fleboclisi, dolorose, nelle vene del dorso della mano sinistra. Usando l'altra sua mano, che le avevano lasciata libera, si cercava di "parlarle" per spiegarle di stare ferma. Con disperazione tentavamo, per la prima volta, di provare a "parlare" a lei, sorda e cieca, con l'alfabeto muto che conosceva, atteggiando le dita della sua mano a formare le singole lettere convenzionali. Ma non era ancora abituata a questo esercizio di eroica pazienza. Era disperata e ci respinse. Poi, quasi d'improvviso, l'invade una gran pace. La cecita', che fino al giorno prima era per lei un'ipotesi terrorizzante, ora e' una realta', un fatto, e Benedetta l'accetta, come espressione della volontà di Dio".. (dalla testimonianza di M. Grazia)

Sorda, totalmente paralizzata, cieca, Benedetta comunica con gli altri attraverso quel fil di voce che le e' rimasto e gli altri le "parlano" piegando le dita della sua mano destra e premendogliele sul corpo e sul volto secondo un alfabeto muto convenzionale. In questo modo le vengono trasmesse le lettere degli amici, le pagine dei libri, le notizie del mondo, i pensieri di tutti. Una mano e un fil di voce, unici ponti col mondo.

Una difficile serenità si riflette nelle lettere che Benedetta detta alla mamma per gli amici: A Franci: "... Nella tristezza della mia sordita', e nella piu' buia delle mie solitudini, ho cercato con la volonta' di essere serena per far fiorire il mio dolore; e cerco con la volonta' umile di riuscire ad essere come Lui vuole: piccola, piccola, come mi sento sinceramente quando riesco a vedere la Sua interminabile grandezza nella notte buia dei miei faticosi giorni".

Intanto, sopraggiunta l'estate, Benedetta viene trasportata a Lourdes, per il suo secondo ed estremo pellegrinaggio: "...vado ad attingere forza dalla Mamma celeste, poiche' non so abituarmi come vorrei a vivere felicemente nel buio, nell'attesa di una luce piu' viva e piu' calda del sole". Il miracolo di Lourdes, e' la scoperta della sua autentica vocazione alla croce: "...ed io mi sono accorta piu' che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo. E' stato questo per me il miracolo di Lourdes, quest'anno".

Chiusa in un deserto sconfinato, Benedetta canta la gioia di vivere e ringrazia senza fine il Signore per il meraviglioso dono della vita. Spesso ripete questo canto negro: A volte mi sento come un bimbo senza mamma a volte mi sento come un'aquila nell'aria. Una mattina luminosa e bella deporro' il mio fardello, distendero' le ali e fendero' l'aria, potrete seppellirmi all'est potrete seppellirmi all'ovest ma quella mattina gli angeli apriranno le grandi ali e io udro' le sante trombe suonare.

Poi venne l'ultima estate. Le voci del lago, lo splendore e il profumo dei fiori sono ormai l'eco d'un sogno. Nel paesaggio di tenebra, Benedetta ricerca il suo Dio: "...i giorni passano nell'attesa di Lui che io amo nell'aria, nel sole che non vedo piu', ma che sento ugualmente nel suo calore quando entra attraverso la finestra a scaldarmi le mani, nella pioggia che scende dal cielo a lavare la terra..."

Il 1 Novembre ‘63 l'amica Giuliana, di ritorno dalla processione al cimitero, sente di dover passare da Benedetta che, appena sa della sua presenza, si mostra ansiosa di comunicare: "Ti devo dire una cosa importante:... sono entrata in un cimitero di Romagna, c'era una sola tomba aperta, illuminata da una luce tanto forte che la mia vista non riusciva a sostenerla e in mezzo a questa luce ho visto una rosa bianca. Tu cosa ne dici?" A Giuliana che esitava a rispondere, Benedetta soggiunse: "Non parlarne con nessuno." Il racconto e' seguito anche dalla sorellina Carmen, presente a insaputa di Benedetta.

Si avvicina l'ultimo suo Natale, "e Benedetta diceva di pregare perche' in quella notte la pace scendesse sul mondo e diceva che lei aveva chiesto una grande grazia al Signore, di farla rinascere in quella notte con Lui. Io le portai un crocifisso. Benedetta volle toccarlo, poi disse - Anch'io così, ma sempre in letizia" (dalla testimonianza di Giuliana).

Già da tempo Benedetta si preparava al suo mistico Natale: "Adesso io cammino per la strada che conduce a Betlemme: alla stalla dove il Bimbo nasce, mistero di amore e di dolore."

A fine anno i suoi la trasportano a Milano, e' l'ultimo addio agli amici che l'attendono: "Mi sembra di essere desiderata e contesa: che ridere, Maria Grazia!”

La realta' di questo avvento, della nascita di Cristo in lei, era anticipata nella lettera a padre Gabriele del luglio '63: " Nelle prove mi raccomando alla Madre che ha vissuto prove e durezze le piu' forti, perche' riesca a scuotermi e a generare dentro il mio cuore il suo figlio così vivo e vero come lo e' stato per Lei."

A Capodanno Benedetta deve lasciare Milano: di ritorno a Sirmione trova il telegramma di Roberto. La mamma glielo "trasmette" come al solito, attraverso la mano: "Congregavit nos in unum Christi amor. Exultemus" Queste parole la fanno trasalire di gioia e volgendosi alla mamma: "...Leggi adagio, mamma, la gioia e' troppo grande, e' la Chiesa che mi parla."

Poi sembra che perfino la Chiesa taccia, mentre Benedetta si avvia al suo Getsemani di solitudine: "Sai, mamma, per molti Benedetta e' gia' morta. Eppure molti mi ricorderanno; rimpiangeranno di non essermi stati accanto in quest'ora. La fine e' vicina, ma non dovrai mai sentirti sola, mamma; ti lascio tanti figli, tanti figli da guardare".

Benedetta sente avvicinarsi il momento dell'Incontro. "In questi ultimissimi giorni sono peggiorata di salute; spero, percio', che la "chiamata" non si faccia attendere troppo... ti diro' che ho gia' sentito la voce dello Sposo. Sono lenta nelle preghiere, ma offro tutto, così come sono: Lui, che e' generato in me, voglia guidarmi fino in fondo". "Ti diro' anche che in questi giorni mi sento spesso piena di Spirito Santo".

Sirmione, mattino 23 gennaio 1964, giorno dello sposalizio della Vergine. Benedetta chiede alla madre di "leggerle" la pagina conclusiva, ove e' l'atto di offerta, de La storia di un'anima.di S.Teresa di Lisieux. La madre le e' accanto e per parlarle le muove lentamente la mano perche' Benedetta appare molto stanca. Un uccellino si posa sulla finestra; la mamma lo comunica a Benedetta che, priva da vari mesi anche della voce ridotta a penoso balbettio, intona una vecchia canzone: "Rondinella pellegrina". La sua voce limpida e nuova stupisce i presenti. Emilia, l'infermiera, piena di commozione esclama: "Signora, non sente, questa e' una voce che viene dal cielo. Benedetta muore!". Sono gli ultimi istanti della sua vita terrena. Una rosa bianca fiorisce fuori stagione nel giardino. Nell'apprenderlo dalla madre, Benedetta le dice, forse ricordando la visione comunicata all'amica Giuliana: "E' un dolce segno"..Aveva tante volte ripetuto: "Per coloro che credono, tutto e' segno". Poi chiede alla mamma di "trasmetterle" l'ultima lettera di Lucio che, citando S.Paolo, le parla del trionfo della croce. Ricorda anche lo studente di medicina che in un'amara lettera pubblicata su "Epoca" si professava incapace di amare e percio' di credere: "Mamma,...Epoca ... muoio ... digli ... gli voglio bene". E in un sussurro appena percettibile: "... Mamma... ricordi la leggenda?...".La madre non capisce e tace pensosa. Solo alcuni giorni dopo le tornera' alla mente la leggenda di Tagore: " Il mendicante e il re".

"Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando, nella lontananza, apparve il tuo aureo cocchio come un segno meraviglioso; io mi domandai: Chi sara' questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze e pensai che i miei giorni tristi sarebbero finiti; stetti ad attendere che l'elemosina mi fosse data senza che la chiedessi, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere. Il cocchio mi si fermo' accanto. Il tuo sguardo cadde su di me e scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita. Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano dritta dicendomi: - Cosa hai da darmi?- Ah!, qual gesto regale fu quello di stendere la tua palma per chiedere a un povero! Confuso ed esitante tirai fuori lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e te lo diedi. Ma qual non fu la mia sorpresa quando, sul finir del giorno, vuotai per terra la mia bisaccia e trovai nello scarso mucchietto un granellino d'oro! Piansi amaramente di non aver avuto il cuore di darti tutto quello che possedevo".

Frasi Celebri di Benedetta Bianchi Porro

Lo scoraggiamento è una forma segreta di amor proprio che dispera alla vista delle proprie miserie.

FONTE (http://www.nonsolobiografie.it/biografia_benedetta_bianchi_porro.html)

http://www.sanpaolo.org/madre03/0101md/images/0101md24.jpg Benedetta riceve la comunione dalle mani di P. Gabriele Casolari

Augustinus
20-01-07, 09:40
Il testamento spirituale di Benedetta Bianchi Porro

"La carità è abitare negli altri"

Una studentessa avviata verso la gloria degli altari e il suo messaggio semplice e commovente che ha raggiunto il mondo intero: "Io credo all’Amore disceso dal cielo, a Gesù Cristo e alla Sua croce gloriosa. Sì, io credo all’Amore!.."

di MARIA DI LORENZO

"Non ho conosciuto personalmente Benedetta mentre era in vita. E’ accaduto anche a me, come a tanti altri, di incontrarla dopo, sulla mia strada. Da tempo, ormai – confessa il card. Carlo M. Martini – mi ha chiamato in causa come vescovo di Milano, la città in cui questa ragazza, tra gli anni cinquanta e sessanta, ha compiuto i suoi studi universitari di Medicina, intralciati e infine compromessi da una dolorosa serie di interventi chirurgici dovuti a una neurofibromatosi: fu un autentico Calvario; ma anche, stando ai fatti, un suo Tabor, una specie di trasfigurazione delle ‘vesti della sua mortalità’, di quel male inesorabile che l’ha consumata e, insieme, trasformata in un essere di luce".

Conciliare in sé la croce e la gioia: come è possibile? Eppure, proprio in questo apparente paradosso si è compiuta la vita, splendida e terribile, di Benedetta Bianchi Porro, ora avviata verso la gloria degli altari. Benedetta non ha fondato congregazioni o istituti assistenziali, non è partita missionaria in terre lontane. Il suo viaggio, breve come una meteora, appena 27 anni di vita, si è realizzato tutto dentro il misterioso territorio del dolore.

Benedetta ha saputo far fiorire il dolore, e dicendo sì alla Croce ha trovato inspiegabilmente la gioia. Oggi in tanti si aspettano di vederla Beata. La grande famiglia dei suoi amici sparsi per il mondo attende con trepida speranza che la Chiesa, che l’ha già dichiarata Venerabile con Decreto del dicembre 1993, voglia annoverarla presto tra i suoi santi.

"Che cosa meravigliosa è la vita"

Benedetta Bianchi Porro viene alla luce a Dovadola, in provincia di Forlì, l’8 agosto 1936. Appena nata è colpita da una emorragia e la madre le conferisce il battesimo di necessità con acqua di Lourdes. A tre mesi s’ammala di poliomielite che le lascia la gambina destra più corta, crescendo dovrà portare una pesante scarpa ortopedica. I bambini la chiamano "la zoppetta" ma lei non si offende: "Dicono la verità".

Nel maggio 1944 nella piccola Chiesa dell’Annunziata a Dovadola fece la prima Comunione. Le regalano in quell’occasione una corona del Rosario che avrà sempre carissima, non se ne staccherà mai. Un giorno, da studentessa universitaria, le capiterà di perderla per poi ritrovarla fortunosamente, e la sua gioia sarà incontenibile: "Che è mai tutto il resto – risponde a chi gliene domanda il motivo – in confronto alla mia corona!"

Il padre, che è un ingegnere termale, nel ‘51 porta la famiglia a Sirmione, sul lago di Garda. Benedetta frequenta il liceo classico a Desenzano. Tornando da scuola, un giorno annota nel suo diario: "Oggi sono stata interrogata in latino: ogni tanto non capivo quello che il professore mi chiedeva. Che figure debbo fare ogni tanto! Ma che importa? Un giorno forse non capirò più niente di quello che gli altri dicono, ma sentirò sempre la voce dell’anima mia: e questa è la vera guida che devo seguire".

http://www.sanpaolo.org/madre03/0101md/images/0101m22b.jpg Secolari cedri del Libano accolgono i visitatori all’ingresso del parco della Badia, il complesso benedettino del XII secolo al cui interno riposano le spoglie mortali di Benedetta.

Già da qualche tempo aveva dovuto indossare un busto ortopedico per evitare la deformazione della schiena, a cui adesso si aggiungeva anche una incipiente sordità. Ma Benedetta non se ne cruccia più di tanto. "Che cosa meravigliosa è la vita", dice, e fa tanti progetti per il suo avvenire: "Vorrei poter diventare qualche cosa di grande…".

Nel ‘53 si trasferisce a Milano per frequentare l’università: sceglie Fisica per compiacere il padre, ma la facoltà non le piace e cambia dopo un mese passando a Medicina. È convinta che la sua vocazione sia quella di dedicarsi agli altri come medico. Negli studi è molto brava, ma la malattia avanza, inesorabilmente.

"Non si è mai visto un medico sordo!", le grida un giorno infuriato il titolare della cattedra di anatomia scagliandole il libretto per terra. Benedetta non si arrende, ma continuare è duro. "Mi sembra –lei scrive – di essere in una palude infinita e monotona e di sprofondare lentamente…".

Speranze, rinunce, ribellioni, una lunga via crucis di interventi chirurgici, fino alla diagnosi che lei stessa formulerà per prima: neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen. Un morbo rarissimo e incurabile che progressivamente la priva della vista e dell’udito, del gusto e dell’odorato immobilizzandola in un letto.

Benedetta allora era sola, Dio non era ancora il suo sostegno. Sono giorni difficili, rischiarati appena dall’amicizia con una ragazza, Nicoletta, che di lì a poco tempo dopo partirà missionaria. Chiusa nella sua stanza, paralizzata a letto, la giovane inferma vive giorni di buio e di lotta. Il dolore è il suo pane quotidiano.

http://www.sanpaolo.org/madre03/0101md/images/0101m23a.jpg Anche Benedetta, come migliaia di pellegrini infermi di ogni parte del mondo, si recò a Lourdes per chiedere la grazia a Maria: ottenne la guarigione interiore.

Crocifissa nella gioia

Nel maggio del ’62 Benedetta va a Lourdes col treno bianco dell’UNITALSI, un viaggio lungamente desiderato. "Attraverso un periodo di aridità, spero di passarlo con l’aiuto della S. Vergine che è la più dolce delle madri". Piena di fiducia nella Consolatrice degli afflitti, Benedetta ha un sogno: "Desidero guarire per farmi suora. Ho fatto voto".

Ma altri erano i disegni di Dio su di lei. La seconda volta che ci va, l’anno seguente, il miracolo di Lourdes sarà la scoperta della sua vocazione: la croce. "Dalla città della Madonna – scrive a un’amica – si torna nuovamente capaci di lottare, con più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta, più che mai, della ricchezza del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes, quest’anno".

Giorno dopo giorno Benedetta si apre all’azione della grazia in un sofferto cammino di fede e di abbandono che la purifica e la rende una creatura che lentamente si spoglia di tutto per divenire dono per gli altri. Tanti le scrivono o vanno a trovarla, in quella stanza dove lei consuma la sua offerta trasformandosi come l’ostia sull’altare.

Benedetta scrive molte lettere, risponde a tutti, da sola finché può farlo e con molta fatica, con la sua scrittura sempre più incerta e tremolante, in seguito con l’aiuto della mamma attraverso un alfabeto muto convenzionale i cui segni venivano formati sul suo viso con le dita della mano destra, unica parte del suo corpo rimasta sensibile.

La sua cameretta diventa un crocevia di vite e il suo letto un altare attorno al quale si crea uno straordinario cenacolo d’amore: ragazzi e ragazze che da lei ci vanno non per pietà, ma per quello che da Benedetta riescono ad imparare: un amore grandissimo per la vita. Una suprema lezione di fede e di coraggio proprio da lei, nella sua carne offesa e umiliata, nella sua infermità: è il "mistero" di Benedetta.

"Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora – lei scrive – ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli...". Il mondo di Benedetta, il suo mondo interiore, affascina quelli che la vanno sempre più spesso a trovare. I suoi pensieri, "dettati" alla madre, sono come perle di luce che, riflettendo Dio nella sua anima, affacciano su di un abisso vertiginoso, una dimensione "altra", intraducibile, che ha il sapore dell’eterno. Frammenti d’interiorità che, consegnati ai suoi testi oggi tradotti in tutto il mondo, hanno incendiato il cuore di tanti, sacerdoti e artisti, medici, scrittori, ammalati e detenuti, tutti conquistati dal suo messaggio semplice e commovente: abbandonarsi a Dio totalmente e godere della gioia che nasce da questo abbandono.

Il dolce segno di Maria

"Tutta la vita di Benedetta – afferma don Divo Barsotti – sembra più o meno coscientemente modellarsi sulla Vergine, ritta, sulla montagna, ai piedi della Croce". Bisogna infatti guardare al suo rapporto con Maria per riuscire a comprendere il suo singolare cammino di fede e di santità. Maria le è maestra: alla scuola del Calvario come a quella del Magnificat. "Il dolore è stare con la Madonna ai piedi della Croce", lei dice. "Prego molto la Madonna. Lei conosce cosa sia soffrire in silenzio... Nelle prove mi raccomando alla Madre che ha vissuto prove e durezze le più forti, perché riesca a scuotermi e a generare dentro il mio cuore il suo figlio così vivo e vero come lo è stato per Lei".

La prima volta andò a Lourdes per chiedere di guarire, la seconda volta per pregare per gli altri, perché, come diceva lei, "la carità è abitare negli altri". "La Madonna – confesserà poi al ritorno – mi ha ripagato di quello che non possiedo più…". Ha ottenuto infatti la cosa per lei più importante: la guarigione interiore. Un’esperienza così trasfigurante che le farà affermare: "La vera gioia passa per la Croce. Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati che se noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose…".

E il giorno dell’Incontro si avvicina. La mattina del 23 gennaio 1964, memoria dello Sposalizio della Vergine, una rosa bianca fiorisce, fuori stagione, in giardino. Quando lo sa, Benedetta dice: "E’ un dolce segno". Solo due mesi prima, infatti, aveva sognato di entrare in un cimitero di Romagna e di aver trovato in una tomba aperta una rosa bianca da cui emanava una luce abbagliante.

Benedetta moriva e una rosa quel giorno sbocciava, fuori tempo, nel suo giardino. Aveva detto: "Fra poco io non sarò più che un nome; ma il mio spirito vivrà, qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano."

Maria Di Lorenzo

FONTE: Madre di Dio, 2001, fasc. n. 1 (http://www.sanpaolo.org/madre03/0101md/0101md22.htm)

Augustinus
20-01-07, 09:45
http://www.sion-ein-karem.org/photos/pere-marie.jpg

Augustinus
20-01-07, 09:52
LA CONVERSIONE DI ALFONSO RATISBONNE

L'apparizione della Madonna del Miracolo nella Chiesa di Sant'Andrea delle Fratte a Roma (20 gennaio 1842)

Alfonso Ratisbonne appartiene a una delle più ricche e influenti famiglie della numerosa comunità ebraica di Strasburgo. Il figlio maggiore, Théodore, convertitosi al Cristianesimo, era stato ordinato sacerdote nel 1830, l'anno stesso delle apparizioni a Santa Caterina Labourè. Don Thèodore diventerà uno dei principali collaboratori del parroco di Nostra Signora delle Vittorie e, come tale, propagandista entusiasta e instancabile della devozione all'Immacolata della "Medaglia miracolosa", cui raccomanderà ogni giorno il fratello Alphonse.

In effetti, il giovane Alphonse, fedele all'Ebraismo più come riti e tradizioni che come pratica, sente doveroso battersi per l'assistenza e il riscatto dei fratelli nella fede d'Israele. La sua ostilità verso il Cristianesimo in generale, e il Cattolicesimo in particolare, non solo non è nascosta, ma è pubblicamente manifestata. Innamorato di una cugina, Flore, ha fissato con lei la data di un matrimonio vantaggioso anche sul piano sociale, ma voluto dai due soprattutto per amore. Prima di sposarsi, decide di fare un viaggio che lo porti sino a Gerusalemme, per vedere la terra dei suoi padri. Con una imprevista variazione, però, al suo programma, sceglie di visitare anche Roma. Arrivato nel giorno dell'Epifania del 1842, una delle sue prime visite è al Ghetto, dove vivono gli oltre quattromila ebrei romani. "Ho capito", scriverà ai familiari a Strasburgo, "quanto sia meglio far parte dei perseguitati piuttosto che dei persecutori".

A Roma, il Ratisbonne seppure di malavoglia viene in contatto con il gruppo dei ferventi cattolici francesi (molti dei quali convertiti) dei quali fa parte il barone Thèodore de Bussières, venuto dal Protestantesimo e amico del fratello sacerdote. Il de Bussières non solo impegna gli amici perché preghino per quel giovane ebreo, ma quasi come per una sfida lo convince a portare su di sé la "Medaglia miracolosa". Di più: ottiene da lui la promessa (poi mantenuta) di ricopiare il testo della famosa preghiera di san Bernardo che inizia con il Memorare, quel "Ricordati, Vergine Maria, che non si è mai sentito al mondo che qualcuno abbia invocato il tuo soccorso e sia stato abbandonato…".

Malgrado abbia già prenotato la partenza in diligenza per Napoli (per proseguire poi da qui, in bastimento, verso Instambul e da lì in Palestina) Alphonse, spinto da una forza misteriosa, decide di restare ancora qualche giorno a Roma. Nella tarda mattinata del 1842 accompagna il barone de Bussières nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, dicendo che resterà sulla carrozza mentre quel suo conoscente (più che amico) deve intendersi con i frati per l'organizzazione di un funerale. Malgrado l'intenzione di trattenersi su quel veicolo nobiliare, restato solo con il cocchiere, la curiosità di vedere l'interno della chiesa lo spinge ad entrare. E qui del tutto inaspettato, giungerà il "colpo di fulmine" che sconvolgerà radicalmente la sua vita, cambiandola per sempre. Diamo a lui la parola, traducendo il testo che Renè Laurentin (dedicatosi per anni anche alla ricostruzione critica di questo caso) ha ricostruito sulle fonti più sicure.

Apparizione di Maria ad Alfonso Ratisbonne

"All'improvviso, mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi come scendere un velo davanti a me. La chiesa mi sembrò tutta oscura, eccettuata una cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là. Non posso rendermi conto di come mi sia trovato in ginocchio davanti alla balaustra di quella cappella: in effetti, ero dall'altra parte della chiesa e tra me e la cappella c'erano, a sbarrare il passo, gli arredi che erano stati montati per un funerale. Levai comunque gli occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi sull'altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall'aria misericordiosa, la santa vergine Maria, simile nell'atto e nella struttura all'immagine della Medaglia che mi era stata donata perché la portassi. Cercai più volte di alzare gli occhi verso di lei, ma il suo splendore e il rispetto me li fecero abbassare, senza impedirmi però di sentire l'evidenza dell'apparizione. Fissai lo sguardo, allora, sulle sue mani e vidi in esse l'espressione del perdono e della misericordia. Con quelle stesse mani, mi fece segno di restare inginocchiato. Ma una forza irresistibile mi spingeva verso di lei. Alla sua presenza, benché ella non abbia detto alcuna parola, compresi di colpo l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica: in una parola, compresi tutto, di colpo".

La sconvolgente testimonianza di Ratisbonne termina con una frase che, per tutta la vita, amò ripetere: "Elle ne m'a rien dit, mais j'ai tout compris" ("Lei non mi ha detto nulla, ma ho capito tutto"). Come divorato nel desiderio di ricevere il battesimo (la cui importanza era stata rivelata), undici giorni dopo è ammesso al sacramento, assumendo il semplice nome di "Maria", che non abbandonerà neppure entrando nell'Ordine dei Gesuiti. Ordinato sacerdote nel 1848, resterà nella Compagnia con soddisfazione sua e dei superiori per alcuni anni: l'abbandonerà, in pieno accordo anche con il Papa, per unirsi al fratello Thèdore (prete già dal 1830, come sappiamo) che aveva fondato una congregazione quella di Notre Dame de Sion, ancora esistente per la conversione degli ebrei al Vangelo.

Morirà in Terra Santa, ad Ain Karin, il luogo tradizionale della Visitazione di Maria a Elisabetta. Curiosa l'annotazione che ho trovato nel Diario di Paul Claudel, alla data del 14 marzo 1950: "La Provvidenza riservava a un giudeo convertito, padre Alphonse Ratisbonne, l'onore di ritrovare, sotto l'ammasso di rifiuti da lui acquistati a Gerusalemme, il lastricato autentico del Litostroto, il luogo dell'Ecce Homo". In effetti, è proprio così: il luogo comprato a Gerusalemme dai due fratelli Ratisbonne, nel 1856, si rivelerà uno dei più illustri della storia evangelica, addirittura il posto dove Pilato aveva stabilito il suo tribunale la fatale mattina di quel venerdì che precedeva la Pasqua. In Terra Santa, comunque, il lavoro dei due fratelli convertiti sarà massacrante e sarà posto soprattutto a favore degli orfani e, in genere, dei giovani (musulmani, ebrei, cristiani) privi di mezzi di sussistenza.

Sulla conversione di Alphonse più ancora che su quella di Thèodore si accanirà l'opposizione violenta da parte dei membri della sua numerosa famiglia e dei correligionari sparsi in mezza Europa. Questa conversione, seguita all'esperienza del 20 gennaio 1842 a Sant'Andrea delle Fratte, fu sottoposta a processo davanti al tribunale canonico del Vicario di Roma. Sfilarono molti testi giurati, e dopo mesi di lavoro, il cardinale Costantino Patrizi firmava un decreto (porta la data del 3 giugno 1842) che così si conclude: "Consta pienamente la verità dell'insigne miracolo operato da Dio onnipotente per intercessione della Beata Vergine Maria, cioè la istantanea e perfetta conversione di Alfonso Ratisbonne dall'Ebraismo".

Alle diffamazioni che accompagnarono la vita di "padre Maria", come volle sempre essere chiamato, si sono poi unite le divagazioni psicologiche o psicanalitiche, per ridurre a fenomeno patologico la visione che determinò la conversione. Non è qui il caso di entrare in discussioni di questo tipo. Basti però ricordare quale sia stata la forza dell'evento di quel 20 gennaio 1842: per 42 anni, sino alla morte (sopravvenuta nel mese "mariano" di maggio, del 1884), Alphonse Ratisbonne mai mise in dubbio la verità di quanto gli era successo e fu fedele alla sua assistenza di sacrificio, come religioso impegnato al contempo nella preghiera e nell'azione. Poco prima della morte uscì in espressioni come questa: "Perché mi tormentate con le vostre cure? La Santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto". All'avvicinarsi della fine, pur ribadendo di sentirsi peccatore, confidò ai suoi che lo assistevano di non temere la morte ma di desiderarla, per vedere finalmente faccia a faccia la Signora che gli era apparsa splendente di luce, per pochissimi minuti, in quel lontano inverno romano. Una "illusione" una "manifestazione patologica"; i cui effetti vanno così in profondità e durano tanto? Tutti quei decenni di fedeltà al lampo nella cappella di Sant'Andrea sono la migliore smentita.

Vittorio Messori

Fonte: Jesus, 1999, fasc. n. 1

Augustinus
20-01-07, 09:55
La nostra signora del miracolo.
(Madonna del Miracolo)

Alphonse Ratisbonne nasce il 1° maggio 1812 a Strasburgo da una ricca famiglia ebraica di banchieri. A sedici anni perde il padre e passa sotto la tutela dello zio materno Luigi, il quale poi lo assumerà, una volta terminati gli studi, nella banca di sua proprietà.
Già in questo periodo l'avversione di Alphonse per la fede cattolica si manifesta ad ogni occasione, inasprendosi ulteriormente a seguito della conversione al cattolicesimo del fratello Thèodore, che verrà ordinato sacerdote nel 1830, anno in cui avvennero le apparizioni della Vergine a S. Caterina Labourè, nella cappella di Rue de Bac a Parigi.
La Madre di Gesù affidò a Caterina Labourè, figlia della Carità di S. Vincenzo de' Paoli, il compito di far coniare una medaglietta con l'immagine che Lei le mostrò durante le visioni, con la scritta "Oh Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi". La Vergine, inoltre, si rivolse a S. Caterina dicendole: "Fa coniare una medaglia su questo modello, le persone che la porteranno benedetta al collo con fiducia riceveranno grandi grazie !"
Questa medaglia, stampata nel 1832, fu subito denominata Medaglia Miracolosa, per il gran numero di grazie spirituali e materiali che si ottengono portandola con devozione e ripetendo spesso la giaculatoria sopra incisa.
Don Thèodore fu un gran promotore di questa medaglia, alla cui protezione affiderà ogni giorno il fratello.

http://www.tanogabo.it/religione/images/112_Ratisbonne.jpg Dopo la sua conversione, Alphonse Ratisbonne ha preso il nome di Marie-Alphonse e successivamente ha fondato l'ordine di Sion per convertire gli ebrei.

http://www.tanogabo.it/religione/images/112_MirMedal.jpg La medaglia miracolosa che Ratisbonne stava portando quando la Madonna gli è apparsa.

Alphonse, intanto, fissa la data del suo matrimonio con la cugina Flore. Prima di sposarsi, però, decide di recarsi a Gerusalemme, per visitare la terra dei suoi padri. A causa di una avaria alla nave che lo trasporta, è costretto a sostare alcuni giorni a Roma.
Qui incontra il barone de Bussières, fervente cattolico e amico del fratello sacerdote.
Sfidando l'anticlericalismo viscerale di Alphonse, una sera il barone gli dona una Medaglia Miracolosa, di cui era devotissimo. Il Ratisbonne accetta di mettersela al collo, più che altro per non dispiacere l'amico. Nel frattempo decide di prolungare di qualche giorno la sua permanenza a Roma.
La mattina del 20 gennaio 1842 è sulla carrozza del barone de Bussières, che si sta recando alla chiesa di S. Andrea delle Fratte nei pressi di piazza di Spagna, per organizzare il funerale di un diplomatico. Anche se l'intenzione iniziale è quella di attendere in carrozza, Alphonse non resiste alla curiosità di visitare l'interno della chiesa. Non sa ancora che vi avrebbe trovato ben altro che suppellettili d'oro e qualche opera d'arte.
Ma lasciamo il racconto di quanto accaduto allo stesso Ratisbonne: "All'improvviso mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi scendere un velo davanti a me. La chiesa mi sembrò tutta oscura, eccettuata una cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là... Levai comunque gli occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi sull'altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall'aria misericordiosa, la Santa Vergine Maria, simile, nell'atto e nella struttura, all'immagine della medaglia che mi era stata donata perchè la portassi... Alla sua presenza, benchè ella non abbia detto alcuna parola, compresi di colpo l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica: in una parola, compresi tutto di colpo".
Comprese tutto, di colpo, senza esser stato istruito alla vera fede, senza avere mai letto alcun libro di religione cattolica.
Undici giorni dopo viene ammesso al battesimo, per lui ormai indispensabile, assumendo il nome di Maria, Dopo essersi riappacificato con il fratello, decide di diventare gesuita e il 24 settembre 1848 è ordinato sacerdote.
Nello stesso anno dell'apparizione, il Vicariato di Roma istituisce una commissione d'inchiesta per appurare l'autenticità di quanto accaduto. Dopo mesi di deposizioni e testimonianze, il cardinale Costantino Patrizi firma un decreto in cui si riconosce come "istantanea e perfetta" la conversione di Alphonse-Marie dall'ebraismo, a seguito dell'apparizione realmente avvenuta.
Dopo alcuni anni con la Compagnia di Gesù, comprende che la sua missione è accanto al fratello Thèodore, nella Congregazione di Notre Dame de Sion da lui fondata per convertire gli ebrei al cattolicesimo.
Lascia i gesuiti (su licenza di papa Pio IX) e si trasferisce in Terra Santa, dove muore il 6 maggio 1884 ad Ain Karin, il luogo, secondo la tradizione, della Visitazione di Maria a Elisabetta.
I fatti narrati, documentati, riattualizzano ancora una volta le illuminazioni improvvise e destabilizzanti di Dio che, quando si manifesta (anche in modi più ordinari di quelli raccontati) trasforma sempre il cuore dell'uomo con la sua grazia, vincendone l'incredulità e l'avversione.
Non fece eccezione AlphonseMarie Ratisbonne, che abbandonò senza indugio la religione di origine per aderire a quella che comprese essere la sola vera religione.
La sua conversione fu così profonda che anche la morte non era per lui più motivo di timore, ma anzi il mezzo per poter rincontrare definitivamente la Vergine apparsa a Roma. Dichiarò, infatti, prima di morire, nonostante si sentisse peccatore: "Perchè mi tormentate con le vostre cure? La santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di Lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto!".

L'importanza del miracolo

http://www.tanogabo.it/religione/images/112_Madonna.jpg Il dipinto della Madonna del Miracolo, disposto sopra l'altare laterale nella chiesa delle Fratte di Sant 'Andrea a Roma.

Subito dopo l'apparizione, basata sulla descrizione del Ratisbonne, un'immagine è stata verniciata per rappresentare la Madonna che era apparsa a lui quel giorno nel delle Fratte di Sant 'Andrea. Quando l'immagine è stata completata, ha detto che ha descritto soltanto vagamente la bellezza dell'apparizione. Ciò non è difficile da credere poiché la bellezza reale della nostra Signora è indescrivibile. L'immagine è stata disposta sul punto esatto in cui era comparsa ed è venerata come Madonna del Miracolo, per il doppio miracolo della Sua apparizione ed della conversione istantanea di Alphonse Ratisbonne.

Ovviamente, quell'apparizione ha rappresentato un notevole beneficio per l'anima di Ratisbonne. Inoltre ha rappresentato un beneficio per la chiesa cattolica con la fondazione della congregazione di Sion, con la relativa missione speciale della conversione degli ebrei.

Nel contesto dottrinale e psicologico di quel periodo, il miracolo di Ratisbonne ha avuto un'importanza più profonda. Nel diciannovesimo secolo, la rivoluzione stava promuovendo fortemente "il razionalismo" che dava risalto a questo punto: l'uomo razionale, l'uomo che prova a determinare tutto secondo motivo, non può trovare i supporti necessari nella ragione che il Dio esiste. Di conseguenza l'intera struttura cattolica delle dottrine non può essere accettata da motivo umano.

Quelle asserzioni rivoluzionarie erano miti giusti, come la mitologia romana o le leggende della gente indigena ed africana. La maggior parte delle discussioni razionalistiche erano sofismi. Ma poichè la rivoluzione presenta un torrente di obiezioni alla dottrina cattolica, molta gente di quel tempo ha perso la fede.
Per sopperire a questa ondata inesorabile di attacchi contro la fede cattolica, la Madonna è apparsa e fatto i miracoli in parecchi luoghi.
Il miracolo della conversione di Ratisbonne ha agito su tutta la cristianità. Un ebreo ricco ed influente, con nessun motivo di favorire la chiesa cattolica, si è convertito improvvisamente perchè ha visto la Madonna. Ha dato la prova della sua sincerità dando rilievo alla sua nuova posizione e rompendo con i suoi vecchi e convenienti agganci. Ha abbracciato la vita religiosa ed ha fondato una congregazione per convertire altri ebrei e per combattere il giudaismo. E' impossibile immaginare una prova più obiettiva della verità dell'apparizione. Era evidentemente un miracolo, un miracolo che è caduto dal cielo come una goccia d'acqua su un'umanità seccata che stava per essere influenzata dai miti razionalistici della rivoluzione.

La Divina Provvidenza aveva fatto già qualcosa di molto simile nel 1830 con le apparizioni a S. Caterina Labourè il 27 novembre 1830, a Parigi (140, Rue De Bac ove, tra l'altro, la nostra signora ha dato al mondo la medaglia niracolosa, aprendo un torrente delle tolleranze e dei miracoli per l'umanità .

La Madonna, inoltre, è apparsa nella grotta di Lourdes nel 1858

Questa serie di apparizioni e di miracoli era il colpo che la nostra signora ha scelto di dare alla rivoluzione di quel tempo. Ha controbattuto con una strategia abile, calcolata molto bene, ed assumeva un senso fracassare la testa del serpente. La testa stessa del giudaismo è stata fracassata dal testimone pubblico di un ebreo importante che ha abbracciato la chiesa cattolica.

FONTE (http://www.tanogabo.it/religione/Madonna_del_Miracolo.htm)

Augustinus
20-01-07, 09:58
20 gennaio

Festa della Madonna del Miracolo
Anniversario dell’apparizione della SS. Vergine
all’ebreo Alphonse Ratisbonne,nella chiesa di S. Andrea delle Fratte (Roma)

Il pellegrino chi se trova a Roma, spostandosi nella zona tra Piazza di Spagna e Via del Tritone, si imbatterà nella Basilica di Sant'Andrea delle Fratte, nella via omonima. Forse penserà che si tratti di "una in più" tra le belle e storiche chiese della Città Eterna. Entrandoci, però, si accorgerà che si tratta di un Santuario dove è accaduto qualcosa di straordinario. Infatti, entrando dalla porta principale, vedrà subito alla sua sinistra un altare particolarmente illuminato, sull'arco del quale si leggono queste impressionanti parole: "Qui apparve la Madonna del Miracolo - 20 gennaio 1842". Sotto l'arco c'è un gran dipinto che raffigura la Madonna che sovrasta le nuvole e sparge dalle mani raggi luminosi.

A sinistra di chi guarda l'altare c'è una placca, con evidenti segni di non essere recente, scritta in francese che dice: "Il 20 gennaio 1842, Alphonse Ratisbonne da Strasburgo venne qui da ebreo ostinato. Questa Vergine gli apparve così come tu la vedi. Cadde ebreo e si alzò cristiano. - Forestiero, portati a casa il prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della Vergine."

Più in basso, ecco un'altra placca, più recente con queste parole: "In questa cappella la Madonna apparve all'ebreo Alfonso Ratisbonne convertendolo a Cristo il 20-1-1842". Un po’ più giù si vede una colonna sulla quale poggia un'imponente busto di marmo raffigurante il privilegiato Ratisbonne, con la sua folta barba e uno sguardo che scruta l'infinito.

Facendo pendant dal lato destro si trova il busto di San Massimiliano Maria Kolbe presso il quale una placca registra un fatto: "In questa cappella dell'apparizione San Massimiliano M. Kolbe celebrò la sua prima Messa il 29-4-1918".

Ma, ricapitolando in breve i fatti, che cosa era accaduto in quei giorni?

"Vidi sull'altare, in piedi, viva, grande, maestosa,

bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria"

Vediamo ciò che registra il piccolo ma sostanzioso opuscolo La Madonna del Miracolo (Postulazione Generale dei Minimi, Roma, 1980), che raccomandiamo vivamente ai nostri cari lettori (i sottotitoli sono nostri, tranne l'ultimo. I lettori desiderosi di approfondire questo straordinario evento potranno consultare le seguenti fonti: La conversione miracolosa alla fede cattolica di Al'[fonso] M'[aria] Ratisbonne, tratta dai processi autentici formati a Roma nel 1842, Roma, 1892; cf pure Conversion de M.M.A. Ratisbonne, racontée par lui-même, Le Mans 1842):

Il 20 gennaio 1842, sul mezzogiorno, miracolo nella parrocchia romana dei Minimi.

A Sant'Andrea delle Fratte, l'israelita ventisettenne Alfonso Ratisbonne, di Strasburgo, con un'apparizione dell'Immacolata com'è coniata nella Medaglia Miracolosa, istantaneamente illuminato dalla grazia si convertì al cattolicesimo.

Che cosa avvenne di preciso nell'ora della grazia, lo descrive lo stesso Ratisbonne in alcune lettere e nella deposizione giurata al Vicariato di Roma, per appurare la verità del fatto.

"Vidi come un velo davanti a me - depose il veggente al processo -. La chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella. Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce, e vidi sull'altare della medesima, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile nell'atto e nella forma, all'immagine che si vede nella Medaglia Miracolosa dell'Immacolata. Mi fece cenno con la mano di inginocchiarmi. Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: Basta così. Non lo disse ma capii.

"A tal vista caddi in ginocchio nel luogo dove mi trovavo; cercai, quindi, varie volte di alzare gli occhi verso la Santissima Vergine, ma la riverenza e lo splendore me li faceva abbassare, ciò che, però, non impediva l'evidenza di quell'apparizione.

"Fissai le di Lei mani, e vidi in esse l'espressione del perdono e della misericordia. Alla presenza della Santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse parola, compresi l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica, in una parola compresi tutto. (...)

"Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre"...

"Provavo un cambiamento così totale che mi credevo un altro. Cercavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo... La gioia più grande si sprigionava dal fondo della mia anima; non potetti parlare; non volli rivelar niente; sentivo in me qualche cosa di solenne e di sacro che mi fece chiedere un sacerdote... Vi fui condotto, e solo dopo averne avuto l'ordine positivo ne parlai come mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante. (...)

"Tutto quel che posso dire, è che al momento del prodigio, la benda cadde dai miei occhi; non una sola benda, ma una quantità di bende che mi avevano avvolto disparvero una dopo l'altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l'azione di un sole cocente.

"Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo... Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell'abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza. (...)

...Come "un cieco nato che vedesse la luce tutto d'un colpo"

"Ma si domanda come appresi queste verità, poiché è accertato che non ho mai aperto un libro di religione, non ho mai letto una pagina della Bibbia, e che il dogma del peccato originale, totalmente dimenticato o negato dagli Ebrei dei nostri giorni, non aveva mai occupato un istante il mio pensiero; dubito anche di averne sentito il nome. Come sono arrivato, dunque, a questa conoscenza? Non saprei dirlo. Questo io so: che entrando in chiesa ignoravo tutto; che uscendone vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento che con l'immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d'un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione. (...)

"Le prevenzioni contro il cristianesimo non esistevano più"

"Qualunque cosa ne sia di questo linguaggio inesatto e incompleto, il fatto positivo è che io mi trovavo in qualche modo come un essere nuovo, come una tabula rasa... Il mondo non era più niente per me; le prevenzioni contro il cristianesimo non esistevano più; i pregiudizi della mia infanzia non avevano più la minima traccia; l'amore del mio Dio aveva talmente preso il posto di ogni altro amore, che la mia stessa fidanzata mi appariva sotto un altro aspetto. L'amavo come un oggetto che Dio tiene nelle sue mani, come un dono prezioso che fa amare ancora di più il donatore.

"I superiori ecclesiastici mi fecero capire che il ridicolo, le ingiurie, i falsi giudizi, facevano parte del calice di un vero cristiano"

"Ripeto che scongiuravo il mio confessore, il reverendo Padre Villefort, e il signor de Bussières, di mantenere un segreto inviolabile su ciò che mi era avvenuto. Volli seppellirmi al monastero dei Trappisti per occuparmi solo delle cose eterne; lo confesso, e pensavo anche, che nella mia famiglia mi avrebbero creduto folle, che mi avrebbero tacciato di ridicolo, e che così avrei preferito fuggire totalmente il mondo, le sue chiacchiere e i suoi giudizi.

"Però i superiori ecclesiastici mi fecero capire che il ridicolo, le ingiurie, i falsi giudizi, facevano parte del calice di un vero cristiano; mi invitarono a berlo dicendomi che Gesù Cristo aveva predetto ai suoi discepoli pene, tormenti e supplizi. Parole così gravi, lungi dallo scoraggiarmi, infiammarono la mia letizia interiore; mi sentivo pronto a tutto, e chiesi con insistenza il battesimo. Vollero ritardarlo. 'Ma come! Esclamai, gli Ebrei che ascoltarono la predicazione degli Apostoli furono battezzati immediatamente, e voi volete rimandarmelo, dopo aver io ascoltato la Regina degli Apostoli?' I miei sentimenti, i miei acuti desideri e le mie suppliche toccarono gli uomini pietosi che mi avevano accolto, e mi fecero la promessa, per sempre felice, del battesimo!" (cfr. op. cit., pp. 5, 6, 39-43).

FONTE (http://digilander.libero.it/avemaria78/madonna_del_miracolo.htm)

Augustinus
20-01-07, 11:40
MANZONI E LA MADONNA DEL MIRACOLO

La storiografia dei nostri giorni, nella ricostruzione degli avvenimenti del passato, non si limita più a riportare criticamente soltanto quanto attestato dalle fonti dirette, ma, attraverso un approccio diacronico, indaga pure su come i contemporanei hanno colto e, soprattutto, trasmesso l’evento stesso. Di qui il nuovo interesse che gli storici stanno rivolgendo verso la letteratura, studiata come fonte per individuare in che misura un fatto eccezionale ha influito sulla produzione di uno scrittore e quali ricadute, attraverso l’opera letteraria, il medesimo ha prodotto nella vita dei lettori.

Un’efficace esemplificazione su quanto sia interessante uno studio del genere è offerto dalla lettera scritta da Alessandro Manzoni il 7 settembre 1842 all’amico Marco Coen, in cui l’illustre scrittore accenna indirettamente all’apparizione della Vergine Ss.ma nella nostra chiesa di S. Andrea delle Fratte. Prima di esaminare il riferimento manzoniano, riportiamo integralmente il testo epistolare, tratto dal vol. Manzoni A., Lettere, a cura di C. Arieti, 2, Milano 1970, p. 661-663. In corsivo abbiamo posto l’accenno alla Madonna del Miracolo, per facilitarne l’identificazione.

"A Marco Coen a Venezia

Milano, 7 settembre 1842

Pregiatissimo Signore,

Proverei un vero rimorso d’aver lasciato passare alcuni giorni senza rispondere alla cordialissima e importantissima sua lettera, se un tal ritardo non fosse stato cagionato da occupazioni urgenti e di stretto dovere; le quali mi costringono anche a rispondere più brevemente che non vorrei.

Non che io sia pazzamente presontuoso da attribuir valore e efficacia alle mie parole: ma, quali si siano, le devo in tale argomento, quando mi son richieste. E con tutto ciò, cosa posso io dirle che Lei non sappia, anzi che non abbia detto meglio di quello, che potrei far io? Il Dio de’ suoi padri Le ha concesso il dono ineffabile di conoscere il senso e l’adempimento della promessa fatta a loro: Lei sente il dovere di corrispondere a un tal dono; vede benissimo che le difficoltà, le quali potrebbero in qualunque caso esser preponderanti, in questo caso non son nulla: non Le manca che la risoluzione. Questa, Uno solo la può dare; e la dà infallibilmente a chi desidera e prega; e insieme fa dal canto suo quello che può. Veda dunque (Le parlo con quella libertà che m’è non solo concessa, ma imposta dalla sua confidenza), veda di non continuare a combattere, quando il Signore Le abbia già dati aiuti sufficienti per vincere. Quelli che Le potrebbero essere ancora necessarii, son forse preparati in ricompensa al primo sforzo generoso, che Lei sia per fare. E chi sa quali nuove grazie son preparate, non solo a Lei, ma a chi è da Lei, con tanta ragione, amato e venerato? Chi sa che Lei non sia il primo chiamato in una famiglia, sulla quale Iddio voglia estendere la sua misericordia? Intanto il dovere d’ubbidire a Lui, Le impone un altro dovere caro e facile: d’essere in tutto il rimanente, figlio più tenero, più rispettoso, più sommesso che mai, e di far vedere che non antepone all’autorità paterna, se non quella che n’è l’origine e la consacrazione. In quanto al mondo e ai suoi giudizii, che si può temere attaccandosi a Quello che lo ha vinto? E del rimanente anche in questo tristo mondo, non saran pochi quelli, che, conoscendo il dono di Dio, si rallegreranno in Lei e con Lei. E da questi (chè sicuramente Lei ne vede molti intorno a sè) potrà fin d’ora aver consigli e coraggio; giacchè il Signore ha voluto che la sua forza arrivi spesso a un uomo per mezzo degli altri, e divenga anche strumento e vincolo di carità. Ma soprattutto la domandi a Lui, per l’intercessione potente di quella santa, benedetta, gloriosa, misericordiosa Figlia di David, che recentemente ne ha dato un segno così manifesto e così consolante.

Scusi gli scarabocchi, e la confusione di questa lettera buttata giù in fretta, e che finisco per forza, non avendo tempo che di ringraziarla d’avermi procurata una così cara e preziosa conoscenza, come quella dell’avv. Manin del quale la fama m’aveva già detto molto, ma non abbastanza.

Col più sincero ed affettuoso rispetto

Dev.mo Oss.mo Servitore

Alessandro Manzoni"

Dal tenore della missiva emerge l’impegno del Manzoni per aiutare l’ebreo Coen a convertirsi al Cattolicesimo. Tra le tante argomentazioni, adduce un segno "così manifesto e così consolante" operato dal Signore per l’intercessione di Maria, che lo avrebbe aiutato a superare le sue ritrosie nell’abbracciare la fede cattolica. Qual è il segno a cui il Manzoni si riferisce?

Tenendo presente che la missiva del Manzoni è scritta il 7 settembre 1842 e che in essa si accenna ad un miracolo avvenuto "recentemente", risulta che l’unico "segno" a cui il Manzoni si può riferire è costituito dalla miracolosa conversione di Alfonso Ratisbonne. Al di là del fatto che sia il Ratisbonne che il Coen erano ebrei, il miracolo di S. Andrea delle Fratte è l’unico ad essere avvenuto, poco tempo prima della lettera manzoniana, tramite la mediazione della Madonna. Inoltre, esiste una perfetta coincidenza a livello temporale tra quanto successo a Roma e quanto scritto dal Manzoni. Il miracolo, avvenuto il 20 gennaio 1842, venne dichiarato autentico il successivo 3 giugno, vale a dire tre mesi prima della lettera al Coen.

Da ultimo non si può far a meno di evidenziare la capacità di dialogo del Manzoni che, nonostante la "fretta", è sempre molto rispettoso della fede altrui. Infatti, nel suggerire al Coen come ottenere la stessa grazia concessa al Ratisbonne, volutamente non scrive né Maria né Madonna, ma "Figlia di Davide" che, pur indicando la stessa persona, tuttavia è il titolo più vicino alla fede eberaica. Si tratta di un’ulteriore dimostrazione, ove mai ve ne fosse bisogno, delle raffinatissime capacità espositive ed argomentative del Manzoni che, da abile apologeta, per non arrestare il cammino di conversione dell’amico, stava molto attento a non urtare la sua suscettibilità di ebreo.

P. Rocco Benvenuto

FONTE (http://www.sanfrancescodipaola.it/lavoce/uno/manzoni.html)

Augustinus
20-01-07, 11:44
L'HO VISTA, L'HO VISTA

20 gennaio 1842: Apparizione della Madonna ad Alfonso Ratisbonne
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Giovedì 20 gennaio 1842 verso le 12.45, il giovane Alfonso Ratisbonne accompagna, per pura cortesia, l’amico Teodoro de Bussière nella Chiesa di S. Andrea delle Fratte in Roma. Mentre l’amico è in colloquio con il Parroco, Alfonso visita curioso, con sguardo freddo ed indifferente la Chiesa, dove si stanno facendo i preparativi per il funerale del conte di Laferronnays. Passati non più di 10 minuti, rientrato in Chiesa, l’amico Teodoro trova Alfonso inginocchiato davanti alla cappella di S. Michele, profondamente assorto, quasi in estasi. «Ho dovuto toccarlo tre o quattro volte – scrive due giorni dopo al fratello di Alfonso – e poi finalmente volse verso di me la faccia bagnata di lacrime, con le mani giunte e con un’espressione impossibile a rendersi... Poi estrasse dal petto la Medaglia Miracolosa, la coprì di baci e di lacrime e proferì queste parole: “Ah! Come sono felice, quanto è buono Dio, che pienezza di grazia e di felicità!”».1
Passata la commozione del momento, Alfonso viene accompagnato prima in albergo e poi nella Chiesa del Gesù, dal Padre Filippo Villefort che gli ordina di raccontare quanto ha visto e sperimentato. Alfonso, stringendo in mano la Medaglia Miracolosa, con commozione la bacia ed esclama: “L’ho vista, l’ho vista, l’ho vista!”. A stento poi, dominando la forte emozione, continua il suo racconto: «Stavo da poco in Chiesa, quando all’improvviso l’intero edificio è scomparso dai miei occhi, e non ho visto che una sola cappella sfolgorante di luce. In quello splendore è apparsa, in piedi, sull’altare, grande, fulgida, piena di maestà e di dolcezza, la Vergine Maria, così come è nella Medaglia Miracolosa. Una forza irresistibile mi ha spinto verso di Lei. La Vergine mi ha fatto segno con la mano di inginocchiarmi e sembrava volesse dirmi: “Così va bene!”. Lei non ha parlato, ma io ho compreso tutto!».1 Nella deposizione del Processo canonico del 18/19 Febbraio 1842, Alfonso completerà: «Alla presenza della SS. Vergine, quantunque non mi dicesse una parola, compresi l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica: in una parola capii tutto!».1
Il 31 gennaio, nella Chiesa del Gesù, Alfonso Ratisbonne fa la sua abiura pubblica tra le mani del Cardinale Patrizi e riceve il Battesimo, prendendo anche il nome Maria. Diventerà Gesuita, Sacerdote e lavorerà con il fratello P. Teodoro, anche lui convertito, fondatore della Congregazione di Nostra Signora di Sion in Gerusalemme.
Alfonso Ratisbonne, penultimo di dieci figli, appartiene ad una famiglia ebrea di banchieri molto facoltosa, ma il cui senso religioso della tradizione ebraica e la fede nell’unico Dio si erano assai affievoliti, cedendo il posto all’interesse per il denaro. Orfano della mamma a quattro anni e del papà a quattordici, Alfonso è seguito dallo zio Luigi, ricchissimo banchiere senza figli, che provvede ai suoi studi. Frequenta il Collegio reale di Strasburgo, poi un Istituto protestante; consegue il Baccellierato in Lettere e quindi, a Parigi, la Laurea in Diritto.
Nella lettera autobiografica del 12 aprile 1842 al Padre Dufriche-Desgenettes, così descrive se stesso: «Amavo solo i piaceri; gli affari mi impazientivano e l’aria degli uffici mi soffocava: pensavo che nel mondo si vivesse solo per godere... Non sognavo che feste e piaceri e ad essi mi abbandonavo con passione... Ero un ebreo solo di nome, poiché non credevo nemmeno in Dio! Non aprii mai un libro di religione, e, nella casa di mio zio, come presso i miei fratelli e sorelle, non si praticava la minima Prescrizione del giudaismo».1
In mezzo a questa povertà spirituale, Alfonso ha due richiami a valori più nobili e degni di essere vissuti. Il primo è la conversione al cattolicesimo (1827) del fratello maggiore Teodoro, più anziano di lui di 12 anni, che diventerà Sacerdote e fondatore della Congregazione di Nostra Signora di Sion in Gerusalemme; il secondo è il fidanzamento (1841) con la nipote Flora, di appena sedici anni, figlia del fratello Adolfo.
La conversione del fratello Teodoro ha suscitato la reazione ostile di tutta la famiglia, come se avesse tradito il suo popolo. Alfonso dal canto suo rompe ogni relazione con lui e, quando Teodoro partendo saluta i familiari, assicurandoli che avrebbe pregato per tutti loro, Alfonso ride sarcasticamente.
Flora Ratisbonne, bella ed intelligente, minore di 11 anni rispetto ad Alfonso, è troppo giovane ed ancora in età minorile. Gli anziani della famiglia decidono di prendere tempo e di allontanare Alfonso da Strasburgo, con un lungo viaggio turistico, dovunque gli sia gradito. Egli decide per l’Oriente, attraverso la Costa Azzurra, l’Italia, Malta e l’Egeo, e Costantinopoli come meta finale. Flora, preoccupata per la sua salute e più per la sua fede ebraica, gli fa giurare di non visitare Roma perché vi perversa la malaria, e perché il centro della cattolicità è un pericolo di perversione.
Invece, per un insieme di contrattempi imprevisti e coincidenze non volute, Alfonso da Napoli giunge a Roma dove, per un semplice atto di cortesia verso il Barone Teodoro de Bussière, amico del fratello, accetta di portare al collo la Medaglia Miracolosa e di recitare la preghiera di S. Bernardo Ricordati piissima Vergine.
La Madonna lo attende nella Chiesa di S. Andrea delle Fratte il giovedì 20 gennaio, lo abbaglia e lo converte come S. Paolo sulla via di Damasco.

Don Mario Morra SDB

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NOTE

1. Relazione autentica del barone Teodoro de Bussières seguita dalla Lettera di Maria-Alfonso Ratisbonne al sig. Dufriche-Desgenettes, Fondatore e Direttore dell’Arciconfraternita di N. S. delle Vittorie (Torino, La Salute 1933).

FONTE: Rivista di Maria Ausiliatrice, 2002, fasc. n. 1 (http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/calendario/2002-2003/La%20Madonna%20e%20Alfonso%20Ratisbonne.html)

Augustinus
21-05-07, 22:48
«PAPÀ, SEI CREDENTE?»
«CERTO, CREDO IN DIO»

A cinquant’anni dalla morte di Arturo Toscanini (16.1.1957), mentre si celebra la sua arte e si esalta il suo impegno civile, viene spontanea la domanda: Toscanini credeva in Dio? I numerosi articoli e le biografie in circolazione tacciono sull’argomento: è noto che Toscanini era estremamente riservato. Anche nelle sue innumerevoli lettere, «dove scrive di tutto», «non vi è alcun accenno a Dio». Un agnostico, dunque? Un indifferente? Stando a ricerche più approfondite, però, risulta che avesse una fede cristiana semplice, ma sentita, appresa in famiglia e mai dimenticata.

http://www.karadar.com/Jpg/Perosi_(left)_with_Toscanini.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/la/b/b9/PerosiToscanini.jpg Un’inedito giovane Toscanini, anticlericale, con un prete, Lorenzo Perosi, insigne musicista, prima della rappresentazione del Mosè, Milano, 1901.

Tra le sue interpretazioni più ispirate vi sono quelle di musica religiosa, soprattutto del Requiem di Verdi e della Missa Solemnis di Beethoven. In una lettera, ricordando un esecuzione di quella Missa scrisse: «Allora piansi tutte le mie lacrime». Questo suggerisce quanto fosse stato coinvolto da quella musica sacra . Nel 1899, direttore artistico alla Scala da appena un anno, volle farvi conoscere la musica di don Perosi, dirigendo personalmente l’oratorio La risurrezione di Lazzaro e dando, con la sua fama, una grande pubblicità al sacerdote e alla sua musica.

Nella biografia scritta nel 1972 dalla figlia Wally con la sorella Wanda, parlando di Toscanini vecchio si legge: «Da qualche tempo in me era sorto un problema di carattere morale e religioso: mi domandavo se papà fosse credente o no. Se dovevo chiamare un sacerdote per la confessione. Un giorno mi feci coraggio e affrontai anche questo argomento. Chiesi: "Tu, papà, sei credente?". Mi guardò sorpreso. In tutta la vita non aveva mai parlato volentieri dei suoi sentimenti più intimi. Restò per alcuni secondi in silenzio, poi mi rispose: "Certo, io credo in Dio. Non credo molto nei preti, a meno che non siano santi come don Gnocchi"».

http://www.leggievai.it/wp-content/photos/foto_arturo_toscanini.jpg Il direttore d’orchestra Arturo Toscanini (1867-1957): credente oppure no?

Nel 1946, al ritorno in Italia, Toscanini si recò a visitare la casa natale a Parma e poi alla chiesa dell’Annunciata. Si fermò nella cappella dell’Immacolata in raccoglimento. Al frate che lo accompagnava, disse: «Qui, in questa cappella, venivo da piccolo per le lezioni di catechismo e qui, in questa bella chiesa, ho fatto la prima comunione. Era allora parroco padre Antonio Rigoni da Busseto e ricordo ancora la buona catechista che istruiva noi monelli».

Giuseppe Valdengo, celebre baritono e amico di Toscanini, ha raccontato un episodio risalente al 1950, prima di un concerto a New York. Mentre Valdengo si raccomandava a una madonnina che aveva in tasca, «Toscanini rise e disse: "Guarda qui". Tirò fuori di tasca un piccolo portafotografie nel quale aveva i ritratti di tutti i suoi cari e spiegò: "[...] ecco la Carla, e i miei figli Walter, Wally, Wanda, [...] E poi qui e accennò con la mano alla tasca della giacca dalla parte del cuore c è quello che salva tutto". Ma non disse di cosa si trattava. "Sai - aggiunse - più si invecchia e più bisogna avvicinarsi al Padre Superiore. Quando si è giovani si crede che tutto debba andare in quel determinato modo, ma quando si è vecchi si capisce che va bene se Lui vuole che vada bene!". Solo in seguito [...], seppi che il ‘Padre Superiore’ era un crocefisso. Ed è probabile che lo invocasse. Prima di ogni esecuzione, infatti, era sua abitudine rimanersene solo, per qualche attimo, nel camerino. [...] Forse, in quegli attimi, rivolgeva la tacita invocazione al ‘Padre Superiore’. Alla sua morte quel crocefisso gli fu posto sul petto, come mi informò Assandri che ne vegliò la salma nella camera ardente».

FONTE: Madre di Dio, 2007, fasc. n. 5 (http://www.stpauls.it/madre/fatti.htm)

Augustinus
03-06-07, 11:18
ANNIVERSARIO
Noto anticlericale, teneva però un crocifisso nel frac. A 50 anni dalla morte, indagine sulla fede del grande direttore

Toscanini: Dio e bacchetta

Del maestro emiliano, amico di don Gnocchi, sono noti gli scatti d’ira e il rigore d’interprete, non il rapporto con lo spirito. Dai ricordi delle figlie un uomo di forte moralità che seguiva la «religione della musica»

Di Roberto Beretta

Bestemmiatore incallito. Furioso e implacabile nei frequenti scatti d'ira. Donnaiolo impenitente. Assolutamente non praticante. Eppure credente... Davvero rischia di diventare un ritratto almeno parzialmente inedito, questo Toscanini dolce tiranno che dovrebbe riepilogare «la vita, l'arte, la fede nel racconto delle figlie e degli amici» del grande direttore d'orchestra parmigiano, del quale quest'anno ricorrono il 50° della morte e (proprio in questi giorni) il 140° di nascita; soprattutto per quel terzo termine - la fede - che in effetti risulta sottaciuto dalla maggior parte delle biografie, compreso il recente Toscanini di Gustavo Marchesi (Bompiani). All'impegnativa dimostrazione si è accinto per Àncora (pp. 240, euro 15) Renzo Allegri, giornalista di lunga navigazione, che riepiloga così molti decenni di critica musicale, con relativi incontri e interviste a testimoni toscaniniani, cominciando da un memoriale trascritto negli anni Settanta e personalmente riveduto dalle figlie del maestro, Wally e Wanda Toscanini. Dunque: non è facile trasformare in un quasi «buon cristiano» un artista del quale sono noti (insieme all'enorme talento, alla leggendaria memoria che gli permetteva - primo al mondo - di dirigere senza spartito, alla capacità di lavoro, al perfezionismo tecnico) gli apocalittici scoppi d'ira, conditi da esplicite offese a Dio: «Tirava bestemmie - attesta un collega - che sembravano fulmini». Così come sono risaputi i tradimenti della moglie, compreso un rapporto extraconiugale che gli diede un figlio, e sono note certe lettere che riportano - ammette lo stesso Allegri - «forti invettive di tipo anticlericale» (dall'America Toscanini criticò la Chiesa perché non aveva preso posizione chiara contro il fascismo: che peraltro lui stesso, agli inizi aveva sostenuto...). Né aiutano troppo le osservazioni del biografo sull'educazione cattolica impartita al piccolo Arturo dalla severa madre Paola, e non rassicura nemmeno la notizia ch e - durante la quasi decennale frequenza da convittore interno al conservatorio - il futuro genio della bacchetta fu soggetto per regolamento alle preghiere quotidiane e alla messa domenicale (cui «si ribellò una sola volta»...). Semmai colpiscono altri dettagli, come la visita effettuata in incognito nel 1945 (Toscanini aveva già 78 anni) alla chiesa della sua prima comunione, rientrando a Parma dall'esilio in America, o ancor più il fatto che il prestigioso direttore tenesse nella tasca interna della giacca, dalla parte del cuore, un crocifisso, e spesso lo cercasse con la mano quando era sul podio: qui «c'è quello che salva tutto», disse una volta in una delle sue rarissime confidenze "religiose" a un amico fidato, il «Padre Superiore». Mentre alla figlia Wally, che gli chiedeva se fosse credente, Toscanini rispose altra volta da inveterato emiliano: «Certo, io credo in Dio. Non credo molto nei preti, a meno che non siano santi come don Gnocchi...». Si tratta comunque di annotazioni relative alla vecchiaia del musicista, quando - scrive il biografo - «non è che avesse ritrovato la fede» però «aveva abbassato la guardia della sua spietata riservatezza e lasciava intravedere un po' del suo animo in cui la presenza viva di Dio non era mai stata cancellata». Forse dunque lo stesso Allegri converrà se, leggendo il suo pur appassionato saggio, il lettore verrà convinto del «cattolicesimo» toscaniniano non tanto dalle (poche) manifestazioni esteriori di fede pazientemente accumulate, quanto dalla levatura morale e artistica del maestro - quella sì indiscutibilmente «religiosa». La durezza anzitutto verso se stesso e poi verso orchestrali e cantanti, per rispetto del suo lavoro e della musica; la disponibilità a mettersi in gioco senza calcoli e anzi contro il proprio interesse medesimo per cause di passione e di giustizia (vedi il patriottismo che lo porterà a dirigere gratis un'orchestra militare fino a Monte Santo appena conquistato, fino a Fiume liberata da D'Annunz io, oppure il sostegno dato al rilancio della Scala); la responsabilità verso la famiglia d'origine, da lui mantenuta fin da giovanissimo; lo scrupolo di onestà che non gli permetteva di accettare lo stipendio per i giorni in cui non aveva effettivamente diretto l'orchestra, né i privilegi che gli erano dovuti per il suo status; persino il senso di colpa che gli derivava dalle infedeltà coniugali e la cura con cui seguì il figlio illegittimo, gravemente handicappato: sono questi - senza dubbio - gli indizi più caratterizzanti di una fede in Toscanini. Che poi essa fosse esplicitamente cattolica, questo è altro conto. Lo era culturalmente, però: per il sentimento del dolore e del peccato, per l'assunzione personale di responsabilità e la mai deposta coscienza della propria vocazione. Per l'umiltà di sentirsi al servizio di qualcosa di superiore, la musica: comunque un dono dall'alto e - chissà, forse - persino dall'Altissimo. Fu «un artista perfettamente sano completamente onesto e assolutamente sincero», ha riconosciuto un biografo. «Io gli devo - rivela un altro ammiratore - il senso religioso della musica, inteso come dono divino che si deve meritare e non profanare». E ha completato un critico: «Per questo adoratore del suono, del canto, ogni elemento della musica ha essenziale importanza». Che avesse dunque ragione don Carlo Gnocchi quando, essendo amico di famiglia, fu invitato dai parenti di Toscanini a recarsi in America per convincere il vegliardo a confessarsi almeno da lui e rispose invece: «Non è necessario. Ha fatto tanto bene nella sua vita e non ha bisogno della mia assoluzione»?

Fonte: Avvenire, 21.3.2007 (http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2007_03_21/articolo_737893.html)

Augustinus
19-01-08, 19:15
Maria Alphonse Ratisbonne

A converted Jew, born at Strasburg on 1 May, 1814; died at Ain Karim near Jerusalem, on 6 May, 1884. He belonged to a wealthy and prominent Jewish family in Alsace. After studying law at Paris he became a member of his uncle's famous banking firm, and in 1841 was betrothed to the daughter of his oldest brother. As she was only sixteen years old, the marriage was postponed, and Ratisbonne entered upon a pleasure trip to the Orient. Though nominally a Jew, he was a radical infidel, a scoffer at religion, and, after the conversion of his brother Theodor, a rabid enemy of everything Catholic. On his intended tour to the Orient, he came to Rome, where on 20 January, 1842, he was miraculously converted to Catholicism in the Church of S. Andrea delle Fratte by an apparition of the Blessed Virgin. After his conversion he assisted his brother, Theodor, in founding the Sisterhood of Our Lady of Sion in 1843, was ordained priest in 1847, and entered the Society of Jesus. Desirous, however, to devote himself entirely to the conversion of the Jews, he left the society with the consent of Pius IX, transplanted the Sisters of Sion to Jerusalem in 1855, and built for them in 1856 the large Convent of Ecce Homo with a school and an orphanage for girls. In 1860 he erected the Convent of St. John on the mountain at Ain Karim, together with a church and another orphanage for girls. Here Alphonse laboured with a few companions (Pères de Sion) for the conversion of Jews and Mohammadens until his death. For boys he erected the orphanage of St. Peter, near the Gate of Jaffa outside of Jerusalem, with a school for mechanical arts in the city.

Bibliography

De Bussière, L'enfant de Marie (Paris, 1859); Hewit, Two miraculous conversions from Judaism in Catholic World, XXXIX New York, 1884), 613-26; Rosenthal, Convertitenbilder aus dem 19, Jahrh.,III,I (Schaffhausen, 1869), 194-237; Narrazione storica della prodigiosa apparizione di Maria SSma Immacolata e istantanea conversione alla fede cattolica dell' ebreo Maria Alfonso Ratisbonne, avvenuta in Roma il 20 gennaio 1842, nela chiesa parrocchiale di S. Andrea delle Fratte, de' PP. Minimi di S. Francesco di Paolo (Rome, Vatican Press, 1892).

Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XII, New York, 1911 (http://www.newadvent.org/cathen/12659a.htm)

Augustinus
20-01-08, 09:32
Capitolo XLIII

UN EBREO E UNA MEDAGLIA

Può essere utile riportare alla luce uno degli interventi «mariani» che ebbe più influenza nella Chiesa dell’Ottocento e che oggi sembra, ancor più che dimenticato, rimosso quasi con imbarazzo.
Vogliamo parlare, cioè, della fulminea, impensabile conversione al cattolicesimo del giovane ebreo Alphonse Ratisbonne, nella Roma papale del 1842. Nell’attuale clima ecclesiale appare come «ecumenicamente scorretto» parlare di conversioni; e più che mai se si tratta di israeliti. Stando ad alcuni, ciascuno dovrebbe vivere e morire nella tradizione religiosa (o irreligiosa) in cui si è trovato: non a caso, in molti Paesi, ci sono persino membri del clero che vorrebbero scoraggiare chi bussasse alla porta cattolica per entrare nella Chiesa…
Evidentemente, però, le categorie divine sono diverse e non aspettano il placet degli uomini. Fu lo stesso ebreo Ratisbonne, facendosi sacerdote e vivendo un pieno impegno cristiano per più di 40 anni, fino alla morte, a testimoniare la solidità – e, dunque, la verità – dell’evento misterioso che cambiò di colpo tutta la sua esistenza. Del resto, subito dopo l’evento, il Papa incaricò il suo Cardinal Vicario di celebrare un regolare processo canonico, che si concluse con il riconoscimento del carattere miracoloso di quella conversione, ottenuta da una Madonna apparsa sotto le parvenze con le quali è effigiata nella Medaglia Miracolosa.
In effetti, il misterioso episodio è legato direttamente alle altrettanto misteriose apparizioni, nella parigina rue du Bac, all’allora novizia Caterina Labouré. Da quegli eventi (di cui abbiamo più volte parlato) sembra essersi messa in moto una sorta di catena, cui, come sappiamo, non è affatto estranea Lourdes, dove la Vergine si definirà «l’Immacolata Concezione». Sappiamo, infatti, che sul modello della medaglia che Maria stessa «commissionò» a Caterina stava scritta l’affermazione che soltanto nel 1854 fu definita come dogma: «Oh Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi».
Comunque, il primo anello della catena, dopo le apparizioni in rue du Bac (che si svolsero tra il luglio e il novembre del 1830), sembra stare nell’ispirazione avuta dal parroco della chiesa parigina di Nostra Signora delle Vittorie, Charles Dufriche-Desgenettes.
Quel pastore era afflitto perché, nella Parigi di quei primi decenni dell’Ottocento, la sua chiesa era disertata dalla gente. Il 3 dicembre 1836, mentre celebra la Messa all’altare della Vergine, sente una voce interiore che gli ingiunge: «Consacra la tua parrocchia al santo e immacolato Cuore di Maria». Il buon curato pensa a un’illusione, ma la voce si ripete quando torna in sacrestia. Subito, decide di fondare un’associazione, dedicata al Cuore di Maria Immacolata, che ha un immediato e inspiegabile irradiamento in tutto il mondo, giungendo a superare i 20 milioni di membri in pochi anni. Ciascuno di questi associati, come da regolamento, assume l’impegno di portare sempre su di sé una Medaglia Miracolosa, quella della Labouré, e di ripetere almeno una volta al giorno la preghiera che vi è incisa, con l’invocazione alla «concepita senza peccato».

Un’ulteriore tappa di questo percorso misterioso, dove davvero tout se tient con mille fili talvolta evidenti, talaltra discreti, è quella che annunciavamo all’inizio e che si verifica a Roma, il 20 gennaio del 1842, nella chiesa (officiata dai Minimi di san Francesco da Paola) di Sant’Andrea delle Fratte, vicino a piazza di Spagna e al luogo dove sorgerà la celebre colonna in onore dell’Immacolata, a ricordo del dogma di Pio IX. È in Sant’Andrea che ha luogo la sconvolgente conversione del ventottenne Alphonse Ratisbonne: la Madonna gli appare con le braccia abbassate e le mani aperte, nel gesto esatto di quella famosa Medaglia che il giovane ebreo, per sfida un po’ beffarda, ha accettato di portare al collo.
Il Ratisbonne appartiene a una delle più ricche e influenti famiglie della numerosa comunità ebraica di Strasburgo. Suo fratello maggiore, Théodore, convertitosi al cristianesimo, era stato ordinato sacerdote nel 1830, l’anno stesso delle apparizioni a santa Caterina Labouré. Don Théodore diventerà uno dei principali collaboratori del parroco di Nostra Signora delle Vittorie e, come tale, propagandista entusiasta e instancabile della devozione all’Immacolata, cui raccomanderà ogni giorno il fratello Alphonse. Una preghiera che sarà clamorosamente accolta dall’apparizione della Madonna stessa, come vedremo presto.
Il giovane Alphonse, fedele all’ebraismo più come riti e tradizioni che come fede, sente doveroso battersi per l’assistenza e il riscatto dei fratelli in Israele. La sua ostilità verso il cristianesimo in generale, e il cattolicesimo in particolare, non solo non è nascosta, ma è pubblicamente manifestata. Innamorato di una cugina, Flore, ha fissato con lei la data di un matrimonio vantaggioso anche sul piano sociale, ma voluto dai due soprattutto per amore. Prima di sposarsi, decide di fare un viaggio che lo porti sino a Gerusalemme, per vedere la terra dei suoi Padri. Con una imprevista variazione al programma, sceglie di visitare anche Roma. Arrivato nel giorno dell’Epifania del 1842, una delle sue prime visite è al ghetto, dove vivono gli oltre quattromila ebrei romani. E questo rafforza l’ostilità, già viva e militante, verso il cattolicesimo e il governo pontificio.
A Roma, il Ratisbonne – seppure di malavoglia – viene in contatto con il gruppo di ferventi cattolici francesi (molti dei quali convertiti), giunti a nutrirsi della spiritualità romana e dei quali fa parte il barone Théodore de Bussières, venuto dal luteranesimo e amico del sacerdote fratello di Alphonse. Il de Bussières non solo impegna gli amici credenti perché preghino per quel giovane ebreo, ma – quasi come per una scommessa – riesce a convincerlo a portare su di sé la famosa Medaglia. Di più: ottiene da lui la promessa di ricopiare il testo della famosa preghiera di san Bernardo che inizia con il Memorare, quel «Ricordati, o misericordiosissima Vergine Maria, che non si è mai sentito al mondo che qualcuno sia ricorso al tuo patrocinio, abbia chiesto il tuo aiuto e la tua protezione e sia stato abbandonato». Continua così quella invocazione, che ci piace ricordare nella sua interezza, poiché tanta parte ha avuto nel segreto di tante coscienze e di tanti cuori ed è stata foriera di grazie che Dio solo conosce: «Spinto da questa fiducia, io vengo, o Vergine delle vergini, o Madre mia, a gettarmi tra le tue braccia. E, gemendo sotto il peso dei miei peccati, mi prosterno ai tuoi piedi. O madre del Verbo, non respingere le mie preghiere, ma degnati di accoglierle con favore e di esaudirle! Amen».

Malgrado abbia già prenotato la partenza in diligenza per Napoli (per proseguire poi da qui, in bastimento, verso Istanbul e da lì in Palestina) Alphonse, spinto da una forza misteriosa, decide di restare ancora qualche giorno a Roma. Nella tarda mattinata del 20 gennaio di quel 1842 accompagna il barone de Bussières nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, dicendo che resterà sulla carrozza, mentre quel suo conoscente (più che amico, a causa della sua diffidenza verso i cattolici) deve intendersi con i frati per l’organizzazione di un funerale. Restato, però, solo con il cocchiere, la curiosità di vedere l’interno della chiesa lo spinge a entrare. E qui, del tutto inaspettato, giungerà il «colpo di fulmine» che sconvolgerà radicalmente la sua vita, cambiandola per sempre.
Diamo al protagonista la parola, traducendo il testo che l’instancabile René Laurentin (dedicatosi per anni anche alla ricostruzione critica di questo caso) ha ricostruito sulle fonti più sicure: «All’improvviso, mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi come scendere un velo davanti a me. La chiesa mi sembrò oscura, eccettuata una cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là. Non posso rendermi conto di come mi sia trovato in ginocchio davanti alla balaustra di quella cappella: in effetti, ero dall’altra parte della chiesa e tra me e la cappella c’erano, a sbarrare il passo, gli arredi che erano stati montati per un funerale. Levai comunque gli occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi sull’altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall’aria misericordiosa, la santa Vergine Maria, simile – nell’atto e nella struttura – all’immagine della Medaglia che mi era stata donata perché la portassi. Cercai più volte di alzare gli occhi verso di lei, ma il suo splendore e il rispetto me li fecero abbassare, senza impedirmi però di sentire l’evidenza dell’apparizione. Fissai lo sguardo, allora, sulle sue mani e vidi in esse l’espressione del perdono e della misericordia. Con quelle stesse mani, mi fece segno di restare inginocchiato. Ma una forza irresistibile mi spingeva verso di lei. Alla sua presenza, benché ella non abbia detto alcuna parola, compresi di colpo l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della fede nel Vangelo: in una parola, compresi tutto, di colpo».
Continua la testimonianza autografa di Alphonse: «Non potrei rendere conto delle modalità con cui, in un solo momento, acquisii la conoscenza della fede. Tutto ciò che posso dire è che, nell’attimo del gesto di quelle mani, una benda cadde dai miei occhi; anzi, non una sola, ma una moltitudine di bende che mi avevano avviluppato sparirono successivamente e rapidamente come la neve, il ghiaccio, il fango sotto l’azione del sole pieno. Vedevo, al fondo dell’abisso, le miserie estreme dalle quali ero tolto per un atto di misericordia infinita…».
La drammatica testimonianza di Ratisbonne termina con una frase che, per tutta la vita, amò ripetere: «Elle ne m’a rien dit, mais j’ai tout compris» («Ella non mi ha detto nulla, ma io ho capito tutto»).
Quasi un secolo dopo, un altro francese, anch’egli agnostico se non ateo e almeno in parte ebreo – André Frossard – visse l’esperienza, che egli stesso riconobbe analoga, di una conversione radicale e istantanea, giunta del tutto imprevista e dagli effetti durati per tutta la vita. Pure per Frossard il fenomeno mistico fu esclusivamente «visivo», senza parole; egli pure disse più volte di «avere capito tutto, di colpo, senza avere udito nulla». Entrambi i francesi, quello dell’Ottocento e quello del Novecento, sino al momento dell’«incontro» non avevano alcuna idea precisa sul cattolicesimo (lo detestavano senza conoscerlo), ma quando fu spiegato loro il catechismo dissero che quell’insegnamento non faceva che confermare quanto già avevano appreso dalla visione mistica.

Per tornare a Ratisbonne: come divorato dal desiderio di ricevere il battesimo (la cui importanza gli era stata rivelata in quel lampo di conversione), undici giorni dopo fu ammesso al sacramento, assumendo il semplice nome di «Maria», che non abbandonerà neppure entrando nell’Ordine dei Gesuiti. Consacrato sacerdote nel 1848, resterà nella Compagnia – con soddisfazione sua e dei superiori – per alcuni anni: l’abbandonerà, in accordo anche con Pio IX, per unirsi al fratello Théodore (prete già dal 1830, come sappiamo) che aveva fondato una congregazione – quella di Notre Dame de Sion, ancora esistente – per la conversione degli ebrei al Vangelo. Così descriverà l’incontro con lui che, confidando nell’intervento mariano, non aveva dubitato della sua conversione: «Siamo rimasti inginocchiati sullo stesso inginocchiatoio per più di mezz’ora, senza poter dire una sola parola, ma singhiozzando di felicità e di riconoscenza». Tra le iniziative prese insieme, la fondazione di una casa per catecumeni a Parigi: nella folla di ebrei che giungevano in Occidente dai grandi insediamenti dell’Est, erano molti coloro che avrebbero voluto un’educazione cristiana per sé e per i loro figli. Alphonse morirà nel 1884, a 70 anni, in Terra Santa, ad Ain Karin, il luogo tradizionale della Visitazione di Maria a Elisabetta. Tra le sue ultime parole: «La mia fiducia in Maria è giunta a quella che, a viste umane, è temerarietà. Null’altro ho voluto che tentare di essere una sorta di segnale che indichi ai fratelli la Vergine, la cui intercessione è onnipotente».
Curiosa l’annotazione che ho trovato nel Diario di Paul Claudel, alla data del 14 marzo 1950: «La Provvidenza riservava a un giudeo convertito, padre Alphonse Ratisbonne, l’onore di ritrovare, sotto l’ammasso di rovine e detriti da lui acquistati a Gerusalemme, il lastricato autentico del Litostroto, il luogo dell’Ecce Homo, dove gli ebrei avevano gridato: “Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!”».
In effetti, è proprio così: il terreno comprato a Gerusalemme dai due fratelli Ratisbonne, nel 1856, si rivelerà uno dei più illustri della storia evangelica, addirittura il posto dove Pilato aveva stabilito il suo tribunale la fatale mattina di quel venerdì che precedeva la Pasqua. In Terra Santa, comunque, il lavoro dei due fratelli convertiti sarà incessante: di predicazione, di apostolato ma anche di attività in favore degli orfani e, in genere, dei giovani (musulmani, ebrei, cristiani) privi di mezzi di sussistenza.
Su Alphonse – più ancora che su Théodore – si accanirà la calunnia: stando alla testimonianza di René Laurentin, l’archivio del Sant’Offizio conserva (nella sua parte ancora riservata) un dossier con le testimonianze della diffamazione che accompagnò la vita di questo convertito «scomodo». Violenta e implacabile, in effetti, fu l’opposizione dei membri della sua numerosa famiglia e dei correligionari israeliti sparsi in tutta Europa. Durissimo fu anche il distacco da Flore, l’amata fidanzata che lo attendeva, preparandosi alle nozze. Comunque, pure questa eroica rinuncia all’amore umano è garanzia della realtà e della forza della sua conversione che, tra l’altro, fu sottoposta a processo davanti al tribunale del Vicariato di Roma. Sfilarono molti testi e, dopo mesi di indagine, il cardinale Costantino Patrizi firmava un decreto (porta la data del 3 giugno 1842) che così conclude: «Consta pienamente della verità dell’insigne miracolo operato da Dio onnipotente per intercessione della Beata Vergine Maria, cioè la istantanea e perfetta conversione di Alfonso Ratisbonne dall’ebraismo».
Alle diffamazioni – provenienti non soltanto da ambienti ebraici – che accompagnarono la vita di «padre Maria», come volle sempre essere chiamato, si sono poi unite le solite, banali divagazioni psicologiche o psicanalitiche, per ridurre a fenomeno patologico la visione che determinò la conversione. Non è qui il caso di entrare in discussioni di questo tipo. Basti però ricordare quale sia stata l’energia dell’evento scatenatosi in quei pochi istanti del 20 gennaio 1842, e che secondo Guitton sembra ripetere quanto avvenne a Paolo di Tarso alle porte di Damasco: per 42 anni, sino alla morte (sopravvenuta, come desiderava, nel mese mariano di maggio e sulla tomba volle che si scrivesse soltanto Père Marie), Alphonse Ratisbonne mai mise in dubbio la verità di quanto gli era avvenuto e fu fedele alla sua esistenza di sacrificio e di preghiera, da religioso impegnato al contempo nella contemplazione e nell’azione. Al solo nome della Madre di Cristo, i suoi occhi si inumidivano di commozione e di riconoscenza.
Poco prima della morte, uscì in espressioni come questa: «Perché mi tormentate con le vostre cure? La Santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di Lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto!». All’avvicinarsi della fine, pur ribadendo di sentirsi peccatore, confidò a coloro che lo assistevano di non temere il distacco bensì di desiderarlo, per rivedere finalmente la Signora che gli era apparsa splendente di luce, per pochissimi istanti, in quel lontano inverno romano. Una nostalgia che ricorda quella, altrettanto struggente, di Bernadette: «La Grotta era il mio paradiso». Una «illusione», una «manifestazione patologica», quella di Alphonse, un caso da psichiatra o da psicoanalista i cui effetti vanno così in profondità e durano tanto? Tutti quei decenni di fedeltà al lampo nella cappella di Sant’Andrea sono davvero la migliore smentita.

A fugare ulteriori sospetti su questa conversione (anche se, lo sappiamo, non amata da alcuni, nella Chiesa stessa, e sulla quale oggi vorrebbero che si tacesse), a confermare il mistero che aleggia su quanto avvenne in Sant’Andrea delle Fratte, contribuiscono tanti altri aspetti. L’abbé Laurentin, nella sua ricostruzione – condotta tra molti ostacoli e diffidenze che gli furono frapposti –, ne ha rilevati parecchi.
Basti ricordare questo: riportando la testimonianza di Alphonse, vedemmo come parlasse degli arredi per un funerale che, occupando la navata centrale della chiesa, avrebbero dovuto impedirgli di trovarsi di colpo davanti alla cappella dell’apparizione. È proprio per prendere gli ultimi accordi per delle esequie che l’amico Théodore de Bussières era venuto in quel tempio romano. Alphonse non ne sapeva nulla, non conosceva nemmeno il nome del defunto. Eppure, quando, sconvolto, bacia la Medaglia che ha al collo e dice frasi emozionate, sconnesse, sull’amore di Dio e sulla misericordia della Vergine, quando è condotto verso l’uscita, si volta verso il catafalco ed esclama ad alta voce: «Quanto ha pregato per me quel signore!». Così, sotto giuramento, fu testimoniato al processo. Quel «signore» era il conte de La Ferronay, già ministro dell’ultimo dei Borboni, il re di Francia Carlo X, cattolico fervente, morto all’improvviso di infarto un paio di giorni prima. Gli amici gli avevano parlato del giovane ebreo di Strasburgo. Soltanto dopo la sua morte, si seppe che aveva chiesto un permesso al suo confessore: quello di potere offrire la vita per la conversione di quell’israelita, che di persona non conosceva, ma la cui salvezza gli importava assai.
Evidentemente, di quel «tutto» che Alphonse disse di avere capito in un istante, faceva parte anche la rivelazione che quel funerale che si preparava nella chiesa aveva misteriosamente a che fare con la sua esperienza mistica: Dio aveva accettato l’offerta eroica del conte de La Ferronay. Così come aveva esaudito la preghiera del gruppo di cattolici di cui l’illustre defunto faceva parte e quella della Confraternita di Parigi, a Nostra Signora delle Vittorie. Non sembra, dunque, avere torto Jean Guitton (che a questa conversione ha dedicato un libro denso di riflessioni teologiche e filosofiche) quando parla di un «miracolo della Comunione dei Santi». In una prospettiva di fede, fu la rete di preghiere e di voti stesa attorno ad Alphonse che provocò l’intervento divino, operato, come tante altre volte, attraverso la Vergine.

Fonte: V. Messori, Ipotesi su Maria. Fatti, indizi, enigmi, Milano, 2005, p. 445 ss.

Augustinus
25-01-09, 12:39
Maria secondo Zola

Pochi sanno della conversione alla fede cristiana dello scrittore Émile Zola. Già alcuni suoi romanzi, scritti quando ancora irrideva la fede, rivelano una nascosta nostalgia di una fede perduta. E non mancano alcuni tratti mariani che fanno pensare.

«Diffida della tua devozione alla Vergine». Dice così, con voce misteriosamente ammonitrice, frère Archangias a Serge Mouret nel romanzo La faute de l’abbé Mouret, scritto da Émile Zola nel 1875. Di questo scrittore francese (1840-1902) tutti sanno quanto sia stato lontano dalla fede e dalla vita cristiana. Pochi, però, sanno del suo ritorno a Dio e alla Chiesa cattolica, nel 1896.

Già avanti negli anni, lo scrittore si era fratturato un piede. La ferita continuava ad aggravarsi, si pensava già all’amputazione dell’arto. Ma ecco che, la vigilia del Natale 1896, egli si vede in sogno entrare in una chiesa. Sul muro, una Signora regge in braccio un Bambino. Nel sogno intona un canto di chiesa. L’indomani, quando la moglie gli richiama il canto, egli le chiede di andare in chiesa ad accendere una candela innanzi all’altare della Madre di Dio. La signora Zola va, ed egli subito avverte insoliti stiramenti al piede malato. Tenta di alzarsi: con grande meraviglia non sente più dolore al piede. Era guarito.

La conversione del romanziere

Émile Zola non solo mise per iscritto l’avvenuta guarigione, ma insieme si convertì a quella fede che aveva tanto denigrata. Il 18 aprile 1898 pubblicò un documento, una sorta di confessione pubblica, in cui fra l’altro scrive: «Oggi, io sono pienamente convinto di essere stato per trent’anni nell’errore. Conosco bene su quale base poggia tutto il sistema della frammassoneria, di cui ho diffuso la dottrina, inducendo anche altri a diffonderla [...]. Di tutto mi pento con sincerità. Illuminato da Dio, mi rendo conto di tutto il male che ho così commesso. Pertanto, io respingo la frammassoneria e me ne dissocio, confessando i miei errori dinanzi alla Chiesa. Chiedo perdono a Dio di tutto il male che ho fatto con il mio esempio [...] e invoco il perdono dal nostro Sommo Pastore, Sua Santità il Papa Leone XIII».

http://www.stpauls.it/madre/0806md/images/0806md14.jpg Lo scrittore francese Émile Zola (1840-1902), padre del naturalismo.

Quasi a commento di questi fatti, ritorniamo alla misteriosa parola di frère Archangias all’abbé Mouret: «Diffida della tua devozione alla Vergine». Il primo libro del suddetto romanzo è tutto incentrato sulla devozione del Mouret alla Vergine. Se è vero che nella «grande lotta della natura e della religione», intrapresa da Émile Zola, tale devozione è ricondotta a un’alienazione sociale, è anche vero, ci sembra, che l’autore del romanzo nasconde nell’animo un segreto rimpianto della fede perduta e un sopito affetto di pietà filiale verso la Madre del Signore. Il capitolo XVII del romanzo si chiude con una lunga e accesa preghiera dell’abbé Mouret all’Immacolata Concezione: una preghiera che andrebbe sicuramente purificata da talune crude espressioni e pronunciata con fede umile e sincera, ma che tradisce comunque un animo naturaliter cristiano e mariano e, nel suo compositore, la nascosta nostalgia di una fede perduta.

La devozione del Mouret alla Vergine

Nell’ultima parola dettagli da frère Archangias, il Mouret ravvisa addirittura «una specie di bestemmia», nonché un cocente rimprovero, come se la sua devozione alla Vergine fosse un furto a Dio e una mollezza d’animo indegna dei forti.

Peccato che Zola abbia tracciato queste pagine soltanto come romanziere naturalista. Esse, comunque, nascondono quella segreta inquietudine che traspare anche nel romanzo Lourdes (1894). Le masse dei fedeli a Lourdes danno luogo a quadri memorabili, tipicamente zoliani. Anche notevole, perché meno frequente nello scrittore, la sicurezza psicologica nel tratteggiare la crisi del protagonista. Il quale, se non trova a Lourdes la fede perduta, non riesce però a vincere il dubbio tormentante: se si abbia il diritto di togliere all’umanità affaticata la sola illusione, la speranza da cui può vivere. Malgrado le ripetute affermazioni di fede razionalista, par di cogliere qui un’incertezza, un’inquietudine rivelanti una più austera pensosità nello scrittore avviato al tramonto.

Ci sembra che la misteriosa parola di frère Archangias all’abbé Mouret, richiami l’attenzione alla frase del Vaticano II: «La vera devozione procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù» (Lumen gentium 67). Semmai, la colpa dell’abbé Mouret (e nostra) sarà quella di ridurre la devozione a Maria a uno sterile e passeggero sentimentalismo. Sì, perché l’esser veri devoti di Maria è impegno a essere veri discepoli di Cristo.

Alberto Rum

Fonte: Madre di Dio, 2008, fasc. n. 6 (http://www.stpauls.it/madre/0806md/0806md14.htm)

Augustinus
25-01-09, 12:45
Gli interventi di Dio nelle vicende degli uomini

L’aiuto a ritrovare la strada verso Dio

Ogni generazione è tentata di abbandonare Dio e di perdere il senso della vita. Gli interventi soprannaturali, soprattutto quelli materni di Maria, esprimono la sollecitudine di Dio per gli uomini.

Gli interventi soprannaturali, quelli in genere e quelli che hanno la Vergine come protagonista in specie, sono sempre espressione della sollecitudine di Dio per gli uomini, a partire dalla situazione concreta in cui questi si trovano. Faremo una carrellata di queste situazioni, riferendo eventi lontani nel tempo e recenti: ovviamente si tratterà solo di un campionario limitato, perché il campo è vastissimo.

Sperando di non essere accusato di conformismo, penso che la situazione più difficile e pericolosa in cui l’uomo può venire a trovarsi è certamente quella di entrare in crisi con la sua fede e di conseguenza con il senso della sua vita; questo sia per motivi personali sia per motivi sociali, dovuti, quindi, a eventi che coinvolgono intere comunità. Lo sconvolgimento dei valori porta a scelte e ad azioni che possono essere gravide di conseguenze.

http://www.stpauls.it/madre/0708md/images/0708md10.jpg Processione notturna con la suggestiva fiaccolata verso il santuario di Nostra Signora di La Salette.

Il prete che aveva venduto l’anima al diavolo

A questo riguardo forse converrà citare il più celebre miracolo mariano del Medioevo, ossia quello di Teofilo: se leggenda o fatto veramente accaduto, o comunque con un nucleo storico, non ci è dato di appurarlo, ma la sua importanza è stata tale che c’era un’antifona liturgica che accennava alla storia di Teofilo. Le tradizioni sono tante, per cui la storia è narrata in diverse versioni, ma per sommi capi si tratta di un prete orientale vissuto intorno al VI secolo che, per fare carriera, aveva venduto l’anima al diavolo, redigendo e firmando un regolare documento. Pentito del suo terribile gesto, aveva supplicato a lungo, e con tutte le forze che aveva, la Vergine perché l’aiutasse. Questa aveva accolto tali preghiere ed era riuscita a strappare dalle mani del diavolo quel documento e a distruggerlo, liberando in tal modo il povero Teofilo dalla condanna eterna.

Questo racconto è tanto famoso che viene riportato all’inizio di tutte le raccolte dei miracoli della Vergine, che fino al 1500 rappresentavano degli autentici bestseller in fatto di letteratura popolare.

Questo racconto testimoniava dell’estrema sollecitudine della Vergine per la salvezza delle anime e come ella era particolarmente potente, fino a riuscire a strappare le anime quasi dalle fauci del demonio. E certo la Vergine, colei che a Cana ci ha raccomandato di fare quello che il Figlio ci avrebbe detto (cf Gv 2,5), è veramente interessata, e in modo attivo, a che suo Figlio sia amato e ascoltato. In fin dei conti il senso profondo degli interventi di Maria, sia soprannaturali che no, è proprio quello di facilitare i nostri rapporti con Cristo suo Figlio.

Spesso in campo mariano la retorica prende la mano agli scrittori, soprattutto nei tempi passati; così sono state create delle frasi ad effetto. Una di queste dice che Maria è «la debellatrice di tutte le eresie».

Lasciando da parte quello che può essere retorica, la frase ha un suo fondo di verità: infatti l’attaccamento al culto mariano in tante occasioni è stato un elemento essenziale per la salvaguardia della fede cattolica in tanti posti e anche per il ritorno stesso alla fede.

http://www.stpauls.it/madre/0708md/images/0708m11a.jpg Fedeli in preghiera sul luogo preciso delle apparizioni a La Salette.

In Svizzera diversi sono stati gli episodi in cui la presenza di un santuario mariano ha rafforzato gli animi dei fedeli e ha permesso loro di resistere sia alle seduzioni che alla stessa violenza dei riformati. A quel tempo (siamo attorno al 1530) spesso si decideva se rimanere cattolici o passare alla Riforma attraverso una pubblica disputa davanti ai magistrati e al popolo: a Locarno, per rispondere al predicatore riformato, fu chiamato un frate della Madonna del Sasso (che sorge su uno sperone roccioso sopra la città): la vittoria fu sua. A Lugano i cittadini, per celebrare la memoria della vittoria di un canonico della città sul predicatore riformato, fecero voto di fare un pellegrinaggio ogni anno al santuario dedicato alla Beata Vergine di Loreto.

Soprattutto è da ricordare la battaglia di Gubel, avvenuta nel 1531 e combattuta vittoriosamente da poco più di seicento montanari cattolici contro l’esercito riformato: il grido di guerra era «Maria Madre di Dio»; inoltre, per tutto il tempo delle ostilità, un gruppo di diciotto vedove era stato inviato a pregare nel celebre santuario di Einsiedeln. Sulla cima del Gubel a ricordo dell’evento, che ha significato l’arresto dell’avanzata del protestantesimo in Svizzera, è stato eretto un santuario a Maria Ausiliatrice.

Ritorno al cattolicesimo grazie alla Vergine

Il ritorno delle popolazioni alla fede cattolica spesso è stato determinato da apparizioni o da altri fenomeni soprannaturali che hanno la Vergine come protagonista.

Uno dei più interessanti è avvenuto nella Lituania, presso il santuario di Siluva, che è il più celebre della nazione baltica. Quando verso la metà del 1500 il feudatario di quel posto divenne calvinista, egli costrinse la popolazione, come allora regolarmente avveniva, ad aderire alla nuova religione. Prevedendo la piega degli eventi, il vecchio parroco, aiutato dal sagrestano, aveva interrato in una robusta cassa la statua che si venerava nel santuario assieme alle suppellettili liturgiche più preziose. Il santuario venne raso totalmente al suolo e il suo sito trasformato in terreno agricolo.

Nel 1608 dei bambini stavano giocando proprio su tale campo, mentre facevano pascolare il gregge. Apparve loro una Signora con in braccio un bimbo, in atto di piangere come in preda ad una profonda amarezza. Scomparsa la visione, i bambini divulgarono il fatto; ne venne a conoscenza anche il pastore calvinista, che redarguì severamente i bambini. Ma il mattino seguente tutto il villaggio era sul prato e quando arrivò il pastore, contrariato, anche lui vide la Signora piangente. Allora ebbe la forza di chiederle il motivo di tale dolore, e la Vergine rispose: «Ci fu un tempo in cui mio Figlio qui era venerato dal mio popolo. Ma questo terreno sacro ora è stato abbandonato al ferro dell’aratro e al pascolo».

http://www.stpauls.it/madre/0708md/images/0708m11b.jpg Il santuario della Natività a Siluva, in Lituania.

Il vecchio sagrestano, ancora vivo e ormai del tutto cieco, fu informato del fatto e si fece portare sul posto; lì riacquistò prodigiosamente la vista e fu così in grado di indicare il luogo dove era sepolta la cassa con la statua e i paramenti liturgici.

Questo episodio ha significato il ritorno al cattolicesimo della Lituania e un ritorno convinto, tale da sfidare secoli di persecuzioni.

La tentazione di allontanarsi da Dio e la materna sollecitudine di Maria

Penso che si possa affermare, senza troppo timore di essere smentiti, che la rinascita del cattolicesimo francese dopo la bufera della Rivoluzione e del periodo napoleonico è dovuta in buona parte all’influsso delle apparizioni che si sono avute in quel periodo: la Medaglia miracolosa (1830), la Salette (1846), Lourdes (1858).

Ci basta accennare a La Salette. Siamo nel 1846, in uno sperduto villaggio alpino della Francia sud-orientale. La Vergine appare a due ragazzi umanamente sprovveduti: Melania di quattordici anni, analfabeta, mandata a servizio presso dei contadini sin da quando aveva sei anni, e Massimino, di undici anni, orfano di madre, anche lui analfabeta. Maria appare piangente e ne spiega così il motivo ai ragazzi attoniti: «Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sono costretta a lasciar libero il braccio di mio Figlio. Esso è così forte e così pesante che non posso più sostenerlo».

Sappiamo che questa apparizione, dal linguaggio estremamente concreto, ha avuto un sorprendente efficacia non solo sul posto, ma in tutta la Francia e anche fuori.

Ci sarebbe da parlare, e a lungo, dei fenomeni recenti, di cui tanto si parla e che tutti più o meno conosciamo. Essendo recenti, essi non sono ancora accertati; tuttavia, presi globalmente, rappresentano l’espressione della sollecitudine materna e spesso drammatica della Vergine per questa nostra generazione, tentata, come del resto ogni altra generazione, di allontanarsi da Dio e minacciata di sperimentare, di conseguenza, che cosa significa vivere in una società in cui Dio viene tenuto da parte o addirittura rinnegato.

Domenico Marcucci

Fonte: Madre di Dio, 2007, fasc. 8-9 (http://www.stpauls.it/madre/0708md/0708md10.htm)