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09-02-06, 02:57
Da “LA NUOVA” di mercoledì 8 febbraio.
IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Sardegna capofila contro la devolution di Bossi.
Venerdì a Roma 15 Consigli regionali depositeranno la richiesta in Cassazione.
CAGLIARI. Venerdì a Roma quindici Consigli regionali, con la Sardegna capofila, depositeranno la richiesta di indizione del referendum sulla devolution in Corte di Cassazione. La delegazione sarda è guidata dal presidente Giacomo Spissu. Il testo di modifica della parte II della Costituzione è stato approvato in seconda lettura dalla Camera dei deputati il 20 ottobre 2005 e dal Senato il 16 novembre (sempre con i voti del Centrodestra). L'assemblea legislativa sarda (con una maggioranza nettamente più ampia rispetto a quella che ha vinto le elezioni nel 2004) è stata la prima in Italia ad approvare, nella seduta del 24 novembre, la delibera di indizione del referendum costituzionale. Che è stata immediatamente comunicata ai Consigli di tutte le altre regioni. Alla richiesta della Sardegna si sono aggiunte, con analoga decisione, Campania, Lazio, Lombardia, Valle d'Aosta, Toscana, Calabria, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Liguria e Abruzzo.
L'articolo 138 della Costituzione prevede che se una legge di modifica costituzionale non è approvata da entrambi i rami del Parlamento con la maggioranza dei due terzi, questa può essere sottoposta a referendum popolare confermativo, entro tre mesi dall'ultima approvazione. La richiesta può essere fatta da un quinto dei membri della Camera, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali. E' la prima volta nella storia repubblicana che le Regioni esercitano la possibilità di richiesta di referendum prevista dalla Costituzione.
Oltre che trasferire competenze su sanità, sicurezza e scuola (rischiando così - secondo gli oppositori - di minare l'unità nazionale nell'offerta dei servizi ai cittadini - la devolution introduce una nuova forma di supremazia dello Stato sulle Regioni: facendo riferimento al cosiddetto «interesse nazionale», il governo può bloccare una legge regionale, esercitando di fatto una sorta di controllo (che era stato abolito). Le opposizioni si sono opposte anche anche all'aumento dei poteri del premier sul Parlamento.
Segue una intervista a Giacomo Spissu…..a mio parere complessivamente deprimente.
- Presidente Spissu, com'è che stavolta la Sardegna è arrivata prima?
«Il recupero del protagonismo sui temi dell'autonomia ha un grande significato politico e non è casuale».
- Dove nasce?
«C'è stato un lungo anno di lavoro soprattutto con le altre Regioni a statuto speciale».
- Con quali iniziative?«Ci siamo fatti sentire in Parlamento e con il governo. Prima siamo riusciti a salvare la differenza tra Regioni speciali e Regioni ordinarie».
-Con grande dispiacere del lombardo Formigoni.
«Ci siamo riusciti mobilitando i parlamentari siciliani, tutti del Centrodestra, il cui voto è decisivo».
- Ma perché a chiedere il referendum c'è anche la Lombardia?«Per ragioni opposte alle nostre, per difendere i vantaggi delle aree forti».
- Il primo ad annunciare il ricorso al referendum era stato il campano Bassolino. C'è stata una corsa per diventare capofila?«No. Solo che il nostro Consiglio regionale può deliberare autonomamente, senza l'iniziativa della giunta. L'iter è più rapido».
- Il Centrodestra ha votato la devolution per confermare l'alleanza con la Lega di Bossi, voi siete accusati s di chiedere il referendum s solo per fare campagna elettorale. E' così?
«E' una visione che svilisce e un'iniziativa storica. Non è colpa nostra se la richiesta di
referendum scade il 18 febbraio, nel periodo dello scioglimento delle Camere».
- Come giudica che vi sono arrivati anche adesioni dal Centrodestra?
«Positivamente, è segno di maturità politica e istituzionale, che abbiamo dimostrato anche noi quando siamo stati all'opposizione. Ed è stato apprezzato che l'iniziativa sia stata proposta dal capogruppo dei Riformatori, Vargiu, che infatti è stato nominato delegato, dopo di me, per la procedura del referendum».
- La raccolta delle firme degli elettori, invece, sta procedendo a rilento e a fatica. Come lo spiega?
«Perché l'argomento è oscurato da una campagna elettorale avviata con largo anticipo e in modo gridato da un Berlusconi onnipresente sulle tv».
- O perché il tema interessa soprattutto gli addetti ai lavori?
«Forse c'è anche questo, l'argomento è un po' ostico».
- Per attirare l'attenzione anche la politica deve essere gridata su temi più semplici e popolari?
«Purtroppo è così. Ma attenzione, la devolution riguarda direttamente i cittadini, tocca interéssi diretti, di tutti: pensiamo alla sanità, all'istruzione, alla sicurezza. Le aree meno ricche del Paese saranno ancor meno garantite».
- La Sardegna compare di più sulla scena nazionale per via dell'effetto Soru?
«Sarà per l'effetto Soru, sarà per altre iniziative, fatto sta che la nostra Regione è tornata a farsi ascoltare».
- C'è chi critica il fatto che sia la giunta a dettare i temi al Consiglio.
«Per la verità in questa vicenda la giunta non ha svolto alcun ruolo. Il Consiglio s'è mosso autonomamente ed è stato ugualmente ascoltato».
- C'è un fronte molto compatto di Regioni. Più che su una proposta, però, l'unità è sul «no». E'un limite?
«E' vero solo in parte. Certo, dire no è più facile. Ma dopo le riforme del governo Berlusconi oggi c'è più consapevolezza e passeremo presto dalla fase destruens a quella costruens».
- Cosa la fa essere ottimista?«Con gli Statuti le Regioni, e penso innanzitutto a quelle speciali, stanno già ridisegnando i confini della grande riforma. Hanno iniziato il Friuli e la Sicilia, ci stiamo per arrivare anche noi».
- Pensa che gli italiani bocceranno la devolution?
«Mi auguro di sì. Anche perché noi proponiamo, per il dopo, un percorso bipartisan, in modo che nessuno pensi più a cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza».
- Il Centrodestra fa a voi lo stesso rimprovero.
«Nel 2001 il Centrosinistra ha cambiato solo il titolo quinto della Costituzione, approvando un testo che era stato precedentemente concordato con la Cdl».
- Fu comunque un errore?
«Forse sì. Ma se loro oggi dicono che fu uno sbaglio, perché lo hanno ripetuto?».
- Friuli e Sicilia, lo ha ricordato lei, sono più avanti della Sardegna nella definizione del nuovo Statuto. Perché questo ritardo?«Il ritardo c'è, ma non è poi così grave. Abbiamo gettato le basi, ora si può marciare».
- Quando sarà approvato il nuovo Statuto?
«La prima commissione ha già esitato il testo sull'istituzione della Consulta, che ora è stato inviato per il parere al Consiglio delle Autonomie. Poi sarà votato dall'aula».
- Prima o dopo le elezioni politiche?«Possiamo farlo entro la fine di febbraio».
- Ripeto: quando si avrà il nuovo Statuto?«Abbiamo individuato questo percorso: sei mesi di tempo alla Consulta per fare la proposta, cinque-sei mesi al Consiglio per esaminarla, approvarla e inviarla al Parlamento».
- Prende l'impegno che il testo del nuovo Statuto sarà pronto nel febbraio 2007?
«Possiamo puntare a farcela anche entro il 2006».
- Quali sono le ragioni per confermare la specialità?«Le stesse del 1948: ragioni storiche, geografiche, linguistiche, culturali.
- Ma oggi tutte le Regioni si considerano speciali.
«Ciascuno rivendica la titolarità del proprio territorio, ma certe peculiarità, che sono le radici dell'autonomia, non si inventano».
-L'ex presidente Soddu dice che, in epoca di globalizzazione, l'autonomia non serve più e che occorre puntare sulla sovranità, cioé al diritto di fare le scelte che ci riguardano insieme allo Stato e all'Unione europea.
«Se Soddu sostiene che non si può vivere di separazione, sono d'accordo. Non valeva nel passato, vale ancora meno oggi».
- Ma è possibile conciliare la specialità con i nuovi poteri dell'Ue e dello Stato?
«Sì. Prima la spinta in Europa era verso l'unificazione, oggi va verso la valorizzazione delle diversità».
- La Regione rivendica più poteri da Roma, ma è accusata di neo-centralismo da Province e Comuni. E' una contraddizione?
«Non sempre il sistema politico e la classe dirigente riescono ad avere consapevolezza della portata degli avvenimenti».
- Quali avvenimenti?
«Le riforme. Sono di grande portata, assolutamente decisive. Toccano interessi consolidati, capisco che diano fastidio. Mentre la dinamica del centro e della periferia visti in contrapposizione è uno schema vecchio».
- Province e Comuni sbagliano a fare rivendicazioni?«No, ma devono prendersela con chi li minaccia».
- Chi?
“I tagli del governo Berlusconi”.
- E' così. Ma di tagli è accusato anche Soru.«Province e Comuni vedono nella Regione un interlocutore in grado di rimediare e per questo la trasformano in controparte».
- Nega che avanzi un neo-centralismo regionale?«Certo che lo nego. C'è anzi uno sforzo contrario, la delocalizzazione delle decisioni verso gli enti locali».
- Province e Comuni dicono il contrario.
«Abbiamo già varato leggi importanti di decentramento, come le Unioni dei Comuni e le Comunità montane, il Consiglio delle Autonomie, i servizi per l'impiego, i servizi alla persona. E le commissioni stanno discutendo le riforme dei Consorzi industriali, di quelli di bonifica, eccetera. L'impianto generale è validissimo».
- E cosa dice delle proteste sul Piano paesaggistico?«La co-pianificazione è una prassi nuova, tutta da verificare e sperimentare. Capisco che ci possano essere incomprensioni».
- Ma la riforma del titolo quinto della Costituzione, votata dal Centrosinistra, mette Regioni, Province e Comuni sullo stesso piano gerarchico. Con il Piano paesaggistico, invece, la Regione assume competenze altrui.
«E' un modo diverso di programmare il territorio per evitare il localismo. Le decisioni vanno prese insieme».
- I Comuni dicono che le ha prese solo la Regione.«Comuni come Palau e Villasimius, per fare due esempi, devono essere protagonisti, ma il bene di cui dispongono, la costa, è di interesse generale. Per la gestione del bene pubblico occorre una visione più ampia».
- Sarebbe una riforma da fare insieme?«Purché siano tutti d'accordo che è una riforma da fare. Perché noi vogliamo che questa sia una legislatura costituente».
- Giusto fare le riforme dicono anche i sindacati ma occorre gestire l'emergenza.«Vero, ma attenzione. Sarebbe come cambiare le ruote senza fermare la macchina».
- Ma la Sardegna non si può fermare ad aspettare le riforme.
«Ma è urgente anche cambiare. Le riforme non sono mai indolori. Spesso si invoca il momento giusto, che però, guarda caso, non arriva mai».
- Lei viene dalla scuola socialista: riformismo non fa rima con gradualismo?
«Sono d'accordo. Ma il gradualismo è comunque un cambiamento».
- A costo, per citare il caso della formazìone professionale, di lasciare duemila ragazzi a casa e provocare mille licenziamenti?«Spero che non ce ne sia neanche uno. L'obiettivo è spostare la formazione su altri livelli».
- La vertenza entrate della Sardegna si sta scontrando anche con la controffensiva di Formigoni. E' preoccupato?«Io contesto i conti di Formigoni. Lui cita solo una piccola parte dell'intervento dello Stato in Lombardia».
- Cosa non cita?
«Ad esempio le grandi infrastrutture. Bisognerebbe fare il calcolo complessivo. Si scoprirebbe che la Lombardia riceve dallo Stato molto di più di quello che versa con le imposte».
- E' l'accusa che Formigoni fa soprattutto alle Regioni speciali.
«Ed è, per quanto ci riguarda, esattamente il contrario.
Se si guarda bene la realtà, si vedrà che è il Sud a finanziarla il Nord: ad esempio facendo
laureare i propri ragazzi, che emigrano per arricchire chi è già più forte».
- Visto che Formigoni si lamenta, lei farebbe cambio tra i fondi pro-capite che riceve la Lombardia e quelli che riceve la Sardegna?
«Non accetterebbe lui».
- Come spiega allora la sua offensiva?
«Sono stati introdotti elevati tassi di egoismo. La solidarietà non è più un valore».
- L'idea del riequilibrio ha speranze di successo?«Se gli altri, come Formigoni, evitano di fare calcoli poco rispettosi del passato».
- In che senso?«Non si può far finta che si può ripartire considerando tutti nella stessa situazione».
- Condivide tutto quello che fa Soru?«Tutto no».
- Cosa condivide?
«Ha molte idee buone, è spinto da passione politica e sociale, si sente investito da una mission, quella di cambiare la Sardegna. E'un'esperienza positiva».
- Cosa non condivide?«Certi strappi, la difficoltà a rapportarsi al sistema politico dei partiti e delle parti sociali, ma ha già fatto molta strada verso la comprensione delle ragioni degli interlocutori».
- Cosa pensa del conflitto di interessi?«Che Soru ha presentato un buon disegno di legge».
IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Sardegna capofila contro la devolution di Bossi.
Venerdì a Roma 15 Consigli regionali depositeranno la richiesta in Cassazione.
CAGLIARI. Venerdì a Roma quindici Consigli regionali, con la Sardegna capofila, depositeranno la richiesta di indizione del referendum sulla devolution in Corte di Cassazione. La delegazione sarda è guidata dal presidente Giacomo Spissu. Il testo di modifica della parte II della Costituzione è stato approvato in seconda lettura dalla Camera dei deputati il 20 ottobre 2005 e dal Senato il 16 novembre (sempre con i voti del Centrodestra). L'assemblea legislativa sarda (con una maggioranza nettamente più ampia rispetto a quella che ha vinto le elezioni nel 2004) è stata la prima in Italia ad approvare, nella seduta del 24 novembre, la delibera di indizione del referendum costituzionale. Che è stata immediatamente comunicata ai Consigli di tutte le altre regioni. Alla richiesta della Sardegna si sono aggiunte, con analoga decisione, Campania, Lazio, Lombardia, Valle d'Aosta, Toscana, Calabria, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Liguria e Abruzzo.
L'articolo 138 della Costituzione prevede che se una legge di modifica costituzionale non è approvata da entrambi i rami del Parlamento con la maggioranza dei due terzi, questa può essere sottoposta a referendum popolare confermativo, entro tre mesi dall'ultima approvazione. La richiesta può essere fatta da un quinto dei membri della Camera, da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali. E' la prima volta nella storia repubblicana che le Regioni esercitano la possibilità di richiesta di referendum prevista dalla Costituzione.
Oltre che trasferire competenze su sanità, sicurezza e scuola (rischiando così - secondo gli oppositori - di minare l'unità nazionale nell'offerta dei servizi ai cittadini - la devolution introduce una nuova forma di supremazia dello Stato sulle Regioni: facendo riferimento al cosiddetto «interesse nazionale», il governo può bloccare una legge regionale, esercitando di fatto una sorta di controllo (che era stato abolito). Le opposizioni si sono opposte anche anche all'aumento dei poteri del premier sul Parlamento.
Segue una intervista a Giacomo Spissu…..a mio parere complessivamente deprimente.
- Presidente Spissu, com'è che stavolta la Sardegna è arrivata prima?
«Il recupero del protagonismo sui temi dell'autonomia ha un grande significato politico e non è casuale».
- Dove nasce?
«C'è stato un lungo anno di lavoro soprattutto con le altre Regioni a statuto speciale».
- Con quali iniziative?«Ci siamo fatti sentire in Parlamento e con il governo. Prima siamo riusciti a salvare la differenza tra Regioni speciali e Regioni ordinarie».
-Con grande dispiacere del lombardo Formigoni.
«Ci siamo riusciti mobilitando i parlamentari siciliani, tutti del Centrodestra, il cui voto è decisivo».
- Ma perché a chiedere il referendum c'è anche la Lombardia?«Per ragioni opposte alle nostre, per difendere i vantaggi delle aree forti».
- Il primo ad annunciare il ricorso al referendum era stato il campano Bassolino. C'è stata una corsa per diventare capofila?«No. Solo che il nostro Consiglio regionale può deliberare autonomamente, senza l'iniziativa della giunta. L'iter è più rapido».
- Il Centrodestra ha votato la devolution per confermare l'alleanza con la Lega di Bossi, voi siete accusati s di chiedere il referendum s solo per fare campagna elettorale. E' così?
«E' una visione che svilisce e un'iniziativa storica. Non è colpa nostra se la richiesta di
referendum scade il 18 febbraio, nel periodo dello scioglimento delle Camere».
- Come giudica che vi sono arrivati anche adesioni dal Centrodestra?
«Positivamente, è segno di maturità politica e istituzionale, che abbiamo dimostrato anche noi quando siamo stati all'opposizione. Ed è stato apprezzato che l'iniziativa sia stata proposta dal capogruppo dei Riformatori, Vargiu, che infatti è stato nominato delegato, dopo di me, per la procedura del referendum».
- La raccolta delle firme degli elettori, invece, sta procedendo a rilento e a fatica. Come lo spiega?
«Perché l'argomento è oscurato da una campagna elettorale avviata con largo anticipo e in modo gridato da un Berlusconi onnipresente sulle tv».
- O perché il tema interessa soprattutto gli addetti ai lavori?
«Forse c'è anche questo, l'argomento è un po' ostico».
- Per attirare l'attenzione anche la politica deve essere gridata su temi più semplici e popolari?
«Purtroppo è così. Ma attenzione, la devolution riguarda direttamente i cittadini, tocca interéssi diretti, di tutti: pensiamo alla sanità, all'istruzione, alla sicurezza. Le aree meno ricche del Paese saranno ancor meno garantite».
- La Sardegna compare di più sulla scena nazionale per via dell'effetto Soru?
«Sarà per l'effetto Soru, sarà per altre iniziative, fatto sta che la nostra Regione è tornata a farsi ascoltare».
- C'è chi critica il fatto che sia la giunta a dettare i temi al Consiglio.
«Per la verità in questa vicenda la giunta non ha svolto alcun ruolo. Il Consiglio s'è mosso autonomamente ed è stato ugualmente ascoltato».
- C'è un fronte molto compatto di Regioni. Più che su una proposta, però, l'unità è sul «no». E'un limite?
«E' vero solo in parte. Certo, dire no è più facile. Ma dopo le riforme del governo Berlusconi oggi c'è più consapevolezza e passeremo presto dalla fase destruens a quella costruens».
- Cosa la fa essere ottimista?«Con gli Statuti le Regioni, e penso innanzitutto a quelle speciali, stanno già ridisegnando i confini della grande riforma. Hanno iniziato il Friuli e la Sicilia, ci stiamo per arrivare anche noi».
- Pensa che gli italiani bocceranno la devolution?
«Mi auguro di sì. Anche perché noi proponiamo, per il dopo, un percorso bipartisan, in modo che nessuno pensi più a cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza».
- Il Centrodestra fa a voi lo stesso rimprovero.
«Nel 2001 il Centrosinistra ha cambiato solo il titolo quinto della Costituzione, approvando un testo che era stato precedentemente concordato con la Cdl».
- Fu comunque un errore?
«Forse sì. Ma se loro oggi dicono che fu uno sbaglio, perché lo hanno ripetuto?».
- Friuli e Sicilia, lo ha ricordato lei, sono più avanti della Sardegna nella definizione del nuovo Statuto. Perché questo ritardo?«Il ritardo c'è, ma non è poi così grave. Abbiamo gettato le basi, ora si può marciare».
- Quando sarà approvato il nuovo Statuto?
«La prima commissione ha già esitato il testo sull'istituzione della Consulta, che ora è stato inviato per il parere al Consiglio delle Autonomie. Poi sarà votato dall'aula».
- Prima o dopo le elezioni politiche?«Possiamo farlo entro la fine di febbraio».
- Ripeto: quando si avrà il nuovo Statuto?«Abbiamo individuato questo percorso: sei mesi di tempo alla Consulta per fare la proposta, cinque-sei mesi al Consiglio per esaminarla, approvarla e inviarla al Parlamento».
- Prende l'impegno che il testo del nuovo Statuto sarà pronto nel febbraio 2007?
«Possiamo puntare a farcela anche entro il 2006».
- Quali sono le ragioni per confermare la specialità?«Le stesse del 1948: ragioni storiche, geografiche, linguistiche, culturali.
- Ma oggi tutte le Regioni si considerano speciali.
«Ciascuno rivendica la titolarità del proprio territorio, ma certe peculiarità, che sono le radici dell'autonomia, non si inventano».
-L'ex presidente Soddu dice che, in epoca di globalizzazione, l'autonomia non serve più e che occorre puntare sulla sovranità, cioé al diritto di fare le scelte che ci riguardano insieme allo Stato e all'Unione europea.
«Se Soddu sostiene che non si può vivere di separazione, sono d'accordo. Non valeva nel passato, vale ancora meno oggi».
- Ma è possibile conciliare la specialità con i nuovi poteri dell'Ue e dello Stato?
«Sì. Prima la spinta in Europa era verso l'unificazione, oggi va verso la valorizzazione delle diversità».
- La Regione rivendica più poteri da Roma, ma è accusata di neo-centralismo da Province e Comuni. E' una contraddizione?
«Non sempre il sistema politico e la classe dirigente riescono ad avere consapevolezza della portata degli avvenimenti».
- Quali avvenimenti?
«Le riforme. Sono di grande portata, assolutamente decisive. Toccano interessi consolidati, capisco che diano fastidio. Mentre la dinamica del centro e della periferia visti in contrapposizione è uno schema vecchio».
- Province e Comuni sbagliano a fare rivendicazioni?«No, ma devono prendersela con chi li minaccia».
- Chi?
“I tagli del governo Berlusconi”.
- E' così. Ma di tagli è accusato anche Soru.«Province e Comuni vedono nella Regione un interlocutore in grado di rimediare e per questo la trasformano in controparte».
- Nega che avanzi un neo-centralismo regionale?«Certo che lo nego. C'è anzi uno sforzo contrario, la delocalizzazione delle decisioni verso gli enti locali».
- Province e Comuni dicono il contrario.
«Abbiamo già varato leggi importanti di decentramento, come le Unioni dei Comuni e le Comunità montane, il Consiglio delle Autonomie, i servizi per l'impiego, i servizi alla persona. E le commissioni stanno discutendo le riforme dei Consorzi industriali, di quelli di bonifica, eccetera. L'impianto generale è validissimo».
- E cosa dice delle proteste sul Piano paesaggistico?«La co-pianificazione è una prassi nuova, tutta da verificare e sperimentare. Capisco che ci possano essere incomprensioni».
- Ma la riforma del titolo quinto della Costituzione, votata dal Centrosinistra, mette Regioni, Province e Comuni sullo stesso piano gerarchico. Con il Piano paesaggistico, invece, la Regione assume competenze altrui.
«E' un modo diverso di programmare il territorio per evitare il localismo. Le decisioni vanno prese insieme».
- I Comuni dicono che le ha prese solo la Regione.«Comuni come Palau e Villasimius, per fare due esempi, devono essere protagonisti, ma il bene di cui dispongono, la costa, è di interesse generale. Per la gestione del bene pubblico occorre una visione più ampia».
- Sarebbe una riforma da fare insieme?«Purché siano tutti d'accordo che è una riforma da fare. Perché noi vogliamo che questa sia una legislatura costituente».
- Giusto fare le riforme dicono anche i sindacati ma occorre gestire l'emergenza.«Vero, ma attenzione. Sarebbe come cambiare le ruote senza fermare la macchina».
- Ma la Sardegna non si può fermare ad aspettare le riforme.
«Ma è urgente anche cambiare. Le riforme non sono mai indolori. Spesso si invoca il momento giusto, che però, guarda caso, non arriva mai».
- Lei viene dalla scuola socialista: riformismo non fa rima con gradualismo?
«Sono d'accordo. Ma il gradualismo è comunque un cambiamento».
- A costo, per citare il caso della formazìone professionale, di lasciare duemila ragazzi a casa e provocare mille licenziamenti?«Spero che non ce ne sia neanche uno. L'obiettivo è spostare la formazione su altri livelli».
- La vertenza entrate della Sardegna si sta scontrando anche con la controffensiva di Formigoni. E' preoccupato?«Io contesto i conti di Formigoni. Lui cita solo una piccola parte dell'intervento dello Stato in Lombardia».
- Cosa non cita?
«Ad esempio le grandi infrastrutture. Bisognerebbe fare il calcolo complessivo. Si scoprirebbe che la Lombardia riceve dallo Stato molto di più di quello che versa con le imposte».
- E' l'accusa che Formigoni fa soprattutto alle Regioni speciali.
«Ed è, per quanto ci riguarda, esattamente il contrario.
Se si guarda bene la realtà, si vedrà che è il Sud a finanziarla il Nord: ad esempio facendo
laureare i propri ragazzi, che emigrano per arricchire chi è già più forte».
- Visto che Formigoni si lamenta, lei farebbe cambio tra i fondi pro-capite che riceve la Lombardia e quelli che riceve la Sardegna?
«Non accetterebbe lui».
- Come spiega allora la sua offensiva?
«Sono stati introdotti elevati tassi di egoismo. La solidarietà non è più un valore».
- L'idea del riequilibrio ha speranze di successo?«Se gli altri, come Formigoni, evitano di fare calcoli poco rispettosi del passato».
- In che senso?«Non si può far finta che si può ripartire considerando tutti nella stessa situazione».
- Condivide tutto quello che fa Soru?«Tutto no».
- Cosa condivide?
«Ha molte idee buone, è spinto da passione politica e sociale, si sente investito da una mission, quella di cambiare la Sardegna. E'un'esperienza positiva».
- Cosa non condivide?«Certi strappi, la difficoltà a rapportarsi al sistema politico dei partiti e delle parti sociali, ma ha già fatto molta strada verso la comprensione delle ragioni degli interlocutori».
- Cosa pensa del conflitto di interessi?«Che Soru ha presentato un buon disegno di legge».