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Visualizza Versione Completa : Un bel dibattito tra Domenico Letizia e Luciano Nicolini sul mensile Cenerentola



Domenico Letizia
27-04-09, 07:34
Un bel dibattito tra Domenico Letizia e Luciano Nicolini sul mercato, l'anarchia e lo stato, sulle pagine del mensile Cenerentola:

http://brigantilibertari.blogspot.com/2009/04/lidea-liberale-di-mercato-distorta.html

oggettivista
27-04-09, 12:43
Grazie per la segnalazione anche se, essendo iscritto al tuo blog, sicuramente non mi sarei perso questa interessante intervista :)

Domenico Letizia
27-04-09, 17:52
Grazie per la segnalazione anche se, essendo iscritto al tuo blog, sicuramente non mi sarei perso questa interessante intervista :)


:chefico:

Gian_Maria
27-04-09, 18:54
Appena possibile leggerò l'articolo.

Questa è una mia lettera inviata un paio d'anni fa a un quotidiano locale:


Il mercato

Il mercato è il luogo in cui si scambiano i beni prodotti. Lo scambio (compravendita) è oggi necessario perché i beni appartengono a diversi individui o gruppi di individui in competizione che possiedono dei mezzi di produzione (terra con le sue risorse naturali, fabbriche, uffici, ecc.).
Tale organizzazione sociale poteva avere senso finché le risorse produttive nel mondo non erano sufficienti per garantire una vita soddisfacente a tutti. Ma oggi, che è da decenni che lo sono, che senso ha continuare a competere nella produzione? Secondo me nessuno. Come umanità è volersi fare del male.

Se decidessimo democraticamente di far diventare i mezzi di produzione di tutti per gestirli democraticamente, diventerebbero automaticamente di tutti anche i beni e i servizi prodotti con essi, rendendo obsoleto lo scambio, quindi il mercato e il denaro, e facendo sparire nel giro di poco tempo la fame e la povertà nel mondo, assieme ai tantissimi problemi sociali provocati da quest’ultima (criminalità, migrazione, guerre, ecc.). Non ci resterebbe altro che distribuire tutto ciò che produciamo volontariamente per renderlo liberamente accessibile a tutti, secondo il principio “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.

oggettivista
27-04-09, 20:21
Appena possibile leggerò l'articolo.

Questa è una mia lettera inviata un paio d'anni fa a un quotidiano locale:

Come si comporterebbe la società socialista di cui auspichi la nascita nei confonti di un individuo che partorisce un'idea e trova altri individui disponibili a finanziare il suo progetto ?.
E come si regolerebbe nei confronti di chi dovesse scegliere di offrire un servizio a qualcuno dietro il pagamento di una somma di denaro (ex. aiuto ad anziani, lavori domestici etc...) ?.
E se un individuo avvertisse vuoi per carattere vuoi per le più disparate ragioni di secedere dal paradiso dei lavoratori ?.
Non credi che la soluzione sia una società panarchica dove ognuno sceglie liberamente il sistema di vita sociale che desidera ?.

Gian_Maria
28-04-09, 10:29
Come si comporterebbe la società socialista di cui auspichi la nascita nei confonti di un individuo che partorisce un'idea e trova altri individui disponibili a finanziare il suo progetto ?.
Il termine finanziare non avrà senso nella società socialista, in quanto non esisterà il denaro (né il baratto). Quell’individuo potrà proporre la creazione di una libera associazione di produttori in cui tutti i lavoratori coinvolti (compreso lui) avranno lo stesso potere decisionale sull’impiego dei mezzi di produzione impiegati. Ma non per produrre qualcosa da vendere su un mercato. Tutto ciò che sarà prodotto sarà liberamente accessibile da tutti i membri della società (immaginati grandi magazzini in cui la gente sarà libera di prendere senza pagare tutto ciò di cui ha bisogno).


E come si regolerebbe nei confronti di chi dovesse scegliere di offrire un servizio a qualcuno dietro il pagamento di una somma di denaro (ex. aiuto ad anziani, lavori domestici etc...) ?.
Non sarà possibile fare ciò nella società socialista (vedi la risposta sopra).


E se un individuo avvertisse vuoi per carattere vuoi per le più disparate ragioni di secedere dal paradiso dei lavoratori ?.
Beh, non sarà un paradiso, ma sarà sicuramente una società molto migliore.
La società socialista sarà una società (veramente) democratica. Una persona, per es. un ex riccone egoistone, sarà libero di esprimere il suo desiderio di tornare a una società basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sullo sfruttamento, e sarà anche libero di formare un gruppo politico con l’obiettivo di raggiungere la maggioranza. Una volta raggiunta la maggioranza, cosa molto improbabile visto i grandi vantaggi che la società socialista offrirà alla travolgente maggioranza della popolazione (lavoratori in primis), si ritornerebbe al capitalismo o a una qualsiasi altra società di classe.


Non credi che la soluzione sia una società panarchica dove ognuno sceglie liberamente il sistema di vita sociale che desidera ?.
No, perché penso che un sistema globale, quale è oggi il capitalismo, possa essere sostituito solo da una altro sistema globale (socialismo), pena una grave regressione dell’umanità.

oggettivista
28-04-09, 17:08
Tutto ciò che sarà prodotto sarà liberamente accessibile da tutti i membri della società (immaginati grandi magazzini in cui la gente sarà libera di prendere senza pagare tutto ciò di cui ha bisogno).


In tal caso non si potrebbe registrare una contrazione dell'offerta ?.

Gian_Maria
28-04-09, 18:18
In che senso? Pensi che senza profitto/salario non ci sarebbe più lo stimolo a produrre (lavorare)?

oggettivista
28-04-09, 20:33
In che senso? Pensi che senza profitto/salario non ci sarebbe più lo stimolo a produrre (lavorare)?

Non comprendo l'espressione "tutti potranno prendere tutto quello di cui hanno bisogno".
Temo che alcuni possano prendere più di altri e che altri ancora possano ritrovarsi con il carrello vuoto o semivuoto.
Temo i prepotenti e coloro i quali senza salario non trovano incentivi per lavorare o per fare lavori usuranti che relegherebbero volentieri al loro prossimo.

Gian_Maria
28-04-09, 20:56
No, perché penso che un sistema globale, quale è oggi il capitalismo, possa essere sostituito solo da una altro sistema globale (socialismo), pena una grave regressione dellumanità.
Inoltre oggi ci troviamo di fronte a gravi problemi, come il surriscaldamento atmosferico e la grande povertà del cosiddetto terzo mondo, che possono essere affrontati solo a livello globale con un sistema sociale non basato sul profitto.

oggettivista
28-04-09, 21:24
Non ho motivo di ritenere che il tuo progetto di società sia utopistico alla luce del successo riscosso dalle rivoluzioni sociali ucraina e spagnola.
Mi viene cmq spontaneo pormi mille domande dal momento che vivendo in una società capitalista siamo per forza di cose condizionati da un modo di pensare proprio di questa società.

Matteo
30-04-09, 11:31
Appena trovo del tempo da dedicarvi preparerò un testo di ricostruzione di questo dibattito intorno al mercato perchè ci sono molti punti importanti che vengono capovolti e molti luoghi comuni spacciati per verità scientifiche a mò di robinsonate stile secolo XVII tipo: lo scambio è naturale e basta.

Matteo
30-04-09, 15:33
Tra virgolette inserisco i passi citati dall'articolo, mentre in grassetto metterò le mie osservazioni in modo da rendere agevole la lettura.
- "Il mercato, lo scambio è la cosa più naturale che avviene tra gli uomini, l’uomo è fatto e basa la sua esistenza sullo scambio dalle opinioni al commercio. Quello che lo stato sta cercando di abbattere è l’idea di mercato non il capitalismo perché il capitalismo come lo conosciamo è sempre esistito in quanto collaboratore dello stato e suo strumento, il vero mercato è quello non assistito, quello libero, quello decentrato, contro i cartelli e monopoli, insomma quel mercato che appartiene all’idea del liberalismo classico mai applicato dai governi"
Qui regna la confusione concettuale. "Il mercato, lo scambio", l'errore sta nella virgola; non sono assolutamente la stessa cosa, si può dare scambio senza mercato (e la storia millenaria della civiltà è caratterizzata per il predominio temporale di scambio senza mercato). Il mercato implica circolazione di merci (per ora tralasciamo la circolazione del capitale che è una circolazione peculiare), viceversa lo scambio non implica necessariamente mercificazione dei prodotti del lavoro; è una confusione dell'economia volgare (cfr. p. es. John Stuart Mill).
"... è la cosa più naturale che avviene tra gli uomini". Si potrebbero fare talmente tante osservazioni intorno a questa idiozia che devo di necessità essere breve.
1) Quando si parla di relazioni sociali tra uomini, ficcarci in mezzo una "naturalità" è già un modo per imbrogliare definitivamente la faccenda; meglio, nel momento in cui si da una produzione che non può più essere considerata come originaria (ovvero è già un prodotto storico di relazioni umane sviluppate - e questo passaggio avviene quasi subito, non tanto temporalmente quanto categorialmente: a volte 1000 anni per lo sviluppo contano quanto 1 mese) già si ha una relazione storicamente determinata (nel senso di modificata) dall'uomo e la natura diventa oggetto (seppur essenzialissimo) da soggetto in coabitazione con gli uomini quale era.
2) Che significa che è la cosa più naturale? Che è una relazione originaria? Certamente no, gli uomini nascono come animali sociali (attenzione: non politici, ma eventualmente potenzialmente politici) e di certo non hanno bisogno di scambiarsi alcunché perchè vivono in comunità dove la proprietà individuale non esiste ma eventualmente esiste una forma collettiva di proprietà. Lo scambio è solo una forma storica di rapporti di produzione che cesserà con una società comunista (questa volta non più originaria, ma coscientemente sviluppata); quindi identificare un determinato rapporto storico con qualche presunta legge eterna di natura non è altro che fare l'apologia di una determinata società! Altro che trasformazione, questa è ideologia conservatrice.
- "Quello che lo stato sta cercando di abbattere è l’idea di mercato non il capitalismo perché il capitalismo come lo conosciamo è sempre esistito in quanto collaboratore dello stato e suo strumento".
Questa proposizione semplicemente non ha nessun senso, nè pratico nè logico. Lo Stato cercherebbe di abbattere il mercato (sostrato essenziale, ma non sufficiente del capitalismo), quindi lo Stato vorrebbe abbattere il capitalismo, ma poi si afferma che lo Stato è da sempre suo (del capitale) collaboratore!!! Non-sense.
- "il vero mercato è quello non assistito, quello libero, quello decentrato, contro i cartelli e monopoli, insomma quel mercato che appartiene all’idea del liberalismo classico mai applicato dai governi".
Il vero mercato non esiste! Come non esistono gli alberi, ma solo questi determinati alberi (pioppi, abeti, faggi ...): gli universali non esistono, ma invece esistono solo particolari, che sono manifestazioni dell'universale. Detto questo, occorre chiedersi: perché durante il corso storico del Capitale si sono avute (e si hanno ancora, come vedremo) fasi caratterizzate da concorrenza che poi si rovesciano in monopolio (mai assoluto, ma sempre relativo)? Questa è una delle caratteristiche immanenti (sue proprie) del capitalismo, ed essendo questo una contraddizione in processo, in movimento,non può che essere una caratteristica che si muove dialetticamente (quindi non meccanicisticamente (non meccanicamente perchè sono concetti diversi). Cosa vuol dire? In estrema sintesi: per la trasformazione del denaro in capitale (non come cose, ma come rapporti sociali) occorre una loro grandezza minima determinata, oltre cui si ha un salto (dalla quantità si ha la qualità, diversa); e per leggi immamenti al capitale questa quantità aumenta costantemente (è questo uno dei fattori della caduta tendenziale del tasso di profitto); quindi se alle origini molti possessori individuali di valore di scambio autonomizzato (denaro) potevano acquistare tutti i mezzi per intraprendere un processo di lavoro e valorizzazione (oltre che, e soprattutto, di creazione di sopravalore); con il passare del tempo la grandezza minima è diventata inaccessibile e contemporaneamente (sempre per arginare la caduta del tasso di profitto) i molti capitali si centralizzano (e accentrano, i 2 processi sono diversi, ma reciprocamente condizionantesi), aumentandola (la grandezza minima) ancora. Au fond (alla fine) si hanno dei monopoli. Quindi la domanda sorge spontanea: (ed è una domanda non da poco visto che ci è cascato persino Bucharin) avremo alla fine un monopolio unico (teoria del super o ultraimperialismo (cfr. Karl Kautsky)? No! Perchè abbiamo visto che la relazione concorrenza / monopolio è dialettica, perciò il monopolio produce una nuova concorrenza (oltre che per il fatto che la lotta tra monopoli è comunque una forma di concorrenza, e questa volta tra titani); la ri-produce semplicemente per il fatto che la grande produzione crea costantemente la piccola come suo parto peculiare (cfr. i moderni contratti di sub-fornitura, i sub-appalti, il finto lavoro autonomo ... per arrivare giù giù fino al nuovo lavoro a domicilio). Insomma, il capitale - nella sua brama di plusvalore - rivoluziona costantemente la propria composizione di valore (ed anche tecnica, perciò necessariamente anche la composizione organica) creando nuove branche produttive, nuove tecnologie ... dove si hanno ancora sprazzi di concorrenza, ma questa volta (in regime di imperialismo, e le categorie si considerano in base alla loro importanza per l'economica globale) a comandare sono i grandi monopoli che lasciano terreno ai piccoli produttori finché non maturano le condizioni (essenzialmente i margini per l'estrazione conveniente di plusvalore), per poi divorarseli.....come Saturno che genera figli semplicemente per mangiarseli!
Che un governo possa applicare un'idea "pura" di mercato, è come pretendere che un uomo sia un uomo "puro" senza altre aggettivazioni! Cos'è? Un uomo di pura carne senza cervello o senza sentimenti? Le idee pure non esistono se non nella teoria, ma qui sono semplicemente modelli che servono da astrazioni che però poi devono essere nuovamente arricchite di materiale concreto; come diceva Lenin: il concreto è concreto perchè sintesi del molteplice! Quelle scuole (come la marginalista) che pretendono di costruire modelli matematici (preferibilmente) di funzionamento del sistema, si ritrovano sempre con in mano un pugno di mosche (per giunta morte!). Si veda il metodo del passaggio dall'astratto al concreto (io, precisamente non io, lo definisco il circolo concreto-astratto-concreto) per comprendere come si opera con le categorie. Quello che i governi si trovano a dover gestire è una ben determinata società (non una società in astratto, che non esiste), e oltretutto (ma su questo punto sto ancora lavorando, quindi non credetemi) ritengo (il parto non è evidentemente mio) che procedendo nella semplificazione (per arrivare ad una purezza) si faccia il contrario di quello che s'intende (per una sorta di legge di contrappasso); provo a spiegare. Se si mira ad operare con una infrastruttura (non uso il termine struttura che non condivido) economica totalmente pura (priva di impacci ideologici, politici, giuridici ...) si finisce per dimenticare che quella infrastruttura è sur-determinata (sovradeterminata, deriva da overdetermination, traducetelo come credete, basta capirsi sul senso) dalla sovrastruttura che le sta sopra, e per giunta in maniera complessa e con relazioni che s'intrecciano continuamente e dialetticamente (come le frecce di co-implicazione); quindi non si potrò mai depurarla (la infrastruttura), ma anzi in questo tentativo paradossalmente si giunge ad una base economica che di economico ha veramente poco e probabilmente si arriva all'assurdo di ottenere una base economica originaria (temporalmente) dove le sur-determinazioni sono più forti di prima (un po' come nella schiavitù antica); insomma la si depotenzia a tal punto da renderla perciò schiava di altre determinazioni.
Il testo è già ricco così. Se interessa questa critica farò seguire altre puntate.
Saluti comunisti

Gian_Maria
01-05-09, 11:40
A me interessa. :)

Gian_Maria
01-05-09, 15:14
"Il mercato, lo scambio è la cosa più naturale che avviene tra gli uomini, l’uomo è fatto e basa la sua esistenza sullo scambio dalle opinioni al commercio.
Sulle opinioni OK, ma lo sa Domenico che gli esseri umani per un paio di milioni di anni hanno vissuto senza scambiarsi niente se non piccoli oggetti ornamentali?

oggettivista
01-05-09, 15:47
Sulle opinioni OK, ma lo sa Domenico che gli esseri umani per un paio di milioni di anni hanno vissuto senza scambiarsi niente se non piccoli oggetti ornamentali?

Erano altri tempi ed il sistema di vita era estremamente più semplice rispetto a quello attuale. Il punto, però, è un altro. Se nella società socialista un individuo volesse stampare le sue monete per utilizzarle come mezzo di scambio nell'ambito di un circuito da lui creato, potrebbe esercitare questo suo sacrosanto diritto oppure verrebbe immediatamente impiccato in pubblica piazza, additato al pubblico ludibrio, ghettizzato etc... ?.

Gian_Maria
01-05-09, 15:56
Erano altri tempi ed il sistema di vita era estremamente più semplice rispetto a quello attuale.
Vero, ma oggi disponiamo di tecnologie produttive fantascientifiche rispetto a quei tempi. Ti consiglio la lettura dell'articolo "Cacciati dall'Eden?" che tra un po' pubblico.


Il punto, però, è un altro. Se nella società socialista un individuo volesse stampare le sue monete per utilizzarle come mezzo di scambio nell'ambito di un circuito da lui creato, potrebbe esercitare questo suo sacrosanto diritto oppure verrebbe immediatamente impiccato in pubblica piazza, additato al pubblico ludibrio, ghettizzato etc... ?.
Lo potrebbe fare solo per gioco, perché si troverebbe in una società basata sul valore d'uso, non sul valore di scambio.

oggettivista
01-05-09, 21:48
Vero, ma oggi disponiamo di tecnologie produttive fantascientifiche rispetto a quei tempi. Ti consiglio la lettura dell'articolo "Cacciati dall'Eden?" che tra un po' pubblico.


Lo potrebbe fare solo per gioco, perché si troverebbe in una società basata sul valore d'uso, non sul valore di scambio.

Mi dai sempre delle ottime risposte. Grazie :)

Domenico Letizia
02-05-09, 17:55
una bella discussione, matteo ha scritto delle cose interessanti, ma appena avrò un pò di tempo scriverò qualcosa, ora vorrei solo dire due cose, il mercato e lo scambio possono essere la stessacosa, perchè a deciderne le regole sono sempre le due parti volontariamente, quindi se si accetta il libero scambio si accetta anche il libero mercato, ricordando di capire cosa intendiamo per mercato. punto primo: la parola cane non morde, quindi quando parliamo di mercato (e ci tengo a sottolinare che si parlava di mercato tra libertari, se poi vogliamo far un discorso tra comunisti cambia tutto, perchè entrano logiche marxiste, e ne parlerò un altra volta)
punto2: nella comunità primitive lo scambio esisteva è sempre esistito, ciò che invece si sta sputtandando col le ricerche è la collettivizzazione che una certa cultura marxista diceva di certi villaggi originari della germani, è stato dimostrato il contrario, e anche quando la collettivizzazione avveniva c'era se3mpre ciò che riomanva privato e del clan familiare, quandi non collettivizzazione.
ritornado al mercato, vi siete dimenticati di sottolineare e di analizzare le parole di adamo, li c'era la centralità del discorso per il resto, il mercato continuate ad intenderlo in logica capitalista, e per chi vuole conferma di contrario ci sono ben due libri di Kevin Carson che dividono totalmente mercato e capitalismo (e kevin carson è un neomutualista non anarcocapitalista sia chiaro), poi per il resto un invito leggete questo scritto di corvaglia:


Premessa:


- Quando io uso una parola, - disse Humpty Dunty in tono d'alterigia, - essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno.
- Il problema è, - disse Alice, - se voi potete dare alle parole tanti diversi significati.
- il problema è, - disse Humpty Dunty, - chi è il padrone....



Lewis Carroll, Attraverso lo specchio

Alle parole, al contrario che ai numeri, possiamo dare il senso che vogliamo. Non è necessario frequentare persone che hanno avuto la sventura di essere definite psicotiche per rendersene conto. Si pensi all’etichetta “guerra preventiva”. Una delle migliori strategie di riprogrammazione e riforma del pensiero utilizzata da chi voglia far persuasione coercitiva (in slang americano, mindfucking) è proprio la ridefinizione del linguaggio. Tale ridefinizione, come superbamente messo in rilievo da Orwell, è un modo di ridefinire la realtà stessa. In 1984, in un totalitarismo in cui è contemplato lo “psicoreato”, gli inventori della “neolingua” mirano a “semplificare al massimo le possibilità di pensiero”. Esistono sicuramente forme “benigne” di inganno linguistico. La Groenlandia, “terra verde”, è una distesa di ghiacci, l’Oceano Pacifico è decisamente poco pacifico, il Capo di Buona Speranza è un posto che lascia invero poche speranze al navigatore. Qui il ribaltamento ha connotati, se vogliamo, chiaramente - e pertanto venialmente – truffaldini.
La benignità è nel fatto che basta sottoporre a verifica la nostra aspettativa di trovarci in una terra verde, in un mare placido o in una rilassante regata lungo costa con l’esperienza sul campo per invalidare l’idea precedente. Se sopravviviamo, sulla nostra mappa ci è facile annotare che il Capo di Buona Speranza è un posto consigliabile solo ai nemici. E’ ciò che Popper definiva “falsificabilità”. La nostra conoscenza procede appunto in questo modo. La nitidezza della nostra visione del territorio aumenta aggiornando di continuo le nostre “mappe” grazie alle invalidazioni. Ne deriva che il vero motore della conoscenza è l’errore. E’ l’errore che ci informa sulla non validità della nostra “mappa cognitiva” e ci impone di rivederla. Detta diversamente, cioè con un personaggio de Il nome della rosa di U. Eco, “il dubbio è il nemico di ogni fede”, pertanto è il dubbio, non la certezza, la spinta di ogni ricerca, di ogni indagine. L’importante, quindi, è che le idee siano almeno in potenza invalidabili. Altrimenti la cosa diventa maligna e, in taluni casi, porta a vere metastasi cognitive. E’ il caso delle fedi religiose e politiche. Incluso l’anarchismo.


Ossimori falsi e ossimori veri

Kevin Carson, individualista americano, definisce la propria visione politica, cioè una sorta di mutualismo di stampo proudhoniano, “libero mercato anti-capitalista”. A prima vista, soprattutto ad un europeo intriso di marxismo, la definizione può apparire un ossimoro. Come dire “Capo di Buona Speranza Negativa”. E invece no. Perché si abbia ossimoro è necessario che le due parti della definizione confliggano in termini concettuali. Cosa che si pone solo se ai termini “libero mercato” e “capitalismo” diamo delle connotazioni e non se ne diamo altre. Lo abbiamo detto, alle parole, come Humpty Dunty, possiamo dare il significato che vogliamo. Il problema qui, però, è che a inchiodare indelebilmente le etichette sui legni dove sono crocifissi i concetti è il martello delle ideologie. E le ideologie non sono propense a modificarsi neanche in base alle evidenze che potrebbero invalidarle. Le ideologie sono certe, non si discutono, non ammettono dubbi. Cioè, sulla scorta di quanto detto, non ammettono la crescita della conoscenza.
Galileo sapeva di poter dimostrare quanto diceva, se solo i preti avessero voluto guardare nel suo cannocchiale. Ma non vollero. Così, secondo una preponderante massa di critici del sistema economico vigente, libero mercato e capitalismo sarebbero pressoché sinonimi. Il motivo è che l’uno e l’altro vedono la proprietà privata – cioè il “furto” proudhoniano, l’ “appropriazione originaria” di Rousseau – quale base di effettualizzazione. Se si rigetta la proprietà - brutta, sporca, cattiva -, da rifiutarsi sono anche le sue conseguenze. Pensare ad un mercato anticapitalista è, dunque, uno “psicoreato”. Di cui, probabilmente, si è macchiato perfino Proudhon, che dello scambio fu un apologeta. Secondo, invece, i partigiani del liberismo duro e puro (esempio più compiuto gli "anarco-capitalisti" seguaci di Murray Rothbard), dirsi anti-capitalisti ed essere collettivisti è tutt’uno. Pertanto, persone come Carson – o lo scrivente – sono da contemplare nell’elenco dei parassiti per motivi di attitudine e di dignità.
Esistono molti argomenti logici atti a smontare queste semplicistiche concezioni, se gli interlocutori fossero disposti ad accrescere la loro conoscenza, a migliorare la propria mappa cognitiva. Ma, in genere, questi signori, mai sfiorati dall’ombra del dubbio, si palesano quali varie incarnazioni dei preti che rifiutarono di guardare nel cannocchiale di Galileo. Se ci guardassero vedrebbero che l’etichetta “libero mercato” descrive la concezione di autopoiesi, libero confronto e sperimentazione, sociale ed economica, che è cara ai libertari di ogni “obbedienza”. Il capitalismo, di contro, è termine storico che designa lo strutturarsi di un sistema sclerotizzato di sfruttamento grazie all’intervento statale nell’economia, cioè, non più come sistema autopoietico e cibernetico. In definitiva, il capitalismo è esattamente l’opposto del libero mercato. Lo diceva Korzibski in un abusato aforisma: la mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata. Sono i concetti vivi che scalciano una volta imbrigliati nelle etichette morte.
Un esempio storico renderà più chiara la distinzione.

Ode alla Grecia ( la storiella mi assolverà)

Con la rivoluzione del 1821 la Grecia si liberò della dominazione turca che si protraeva da circa quattro secoli. Estremamente interessante leggere una descrizione di quanto avvenne nella fase di "vuoto di potere" succedutosi alla cacciata degli ottomani. La gestione del territorio, infatti, fino ad allora in mano ai rappresentanti del potere ottomano, una volta cacciate le nobili famiglie turche che detenevano le terre presso le quali gli autoctoni lavoravano in condizioni di semi schiavitù, erano diventate res nullius.
Se in Oklahoma furono organizzate delle competizioni per accaparrarsi la terra durante la corsa all'Ovest, in Grecia, nella provincia dell'Elide, il problema della distribuzione della terra fu risolto dividendola in lotti, ad opera degli stessi abitanti, e, come procedura per l'assegnazione, si organizzarono delle corse con i cavalli.
La cosa funzionava così: ogni famiglia esprimeva un cavaliere, e terminata la gara, il vincitore avrebbe scelto la porzione a lui più congeniale. Il secondo classificato sceglieva un altro lotto, e così via, fino che tutte le terre coltivabili non fossero state divise.
Le vedove e gli orfani, affinché anch'essi potessero avere una fonte di sostentamento, non dovevano attendere la fine della gara, in quanto le comunità avevano stabilito quali terre assegnargli in precedenza.
In questo modo, cioè in modo autopoietico, senza intervento esogeno e senza particolari frizioni, la vita prese un suo stabile ritmo, e i braccianti, per la prima volta dopo secoli, divennero “proprietari” delle terre che coltivavano. Il surplus di produzione che in pochi anni fu realizzato grazie alla fertilità della terra rese possibile l’inizio degli scambi con altre regioni e paesi stranieri. La vita procedeva tranquilla. L’amministrazione delle comunità affidata alle riunioni di rappresentanti non professionisti (capifamiglia, anziani, ecc.) e, cosa che dispiacerà ai fans di Hobbes, pur in totale assenza di polizia, gli atti di reciproca aggressività assolutamente limitati. Ma il giorno arrivò. il governò centrale di Atene finalmente si diede una struttura, emanò le prime leggi, e formò un esercito nazionale. il potere, in altri termini, si coagulò nella forma della dominazione. “Stato” è il termine che indica "chi ha il monopolio della forza su un dato territorio". La definizione è di Walter Benjamin. Una delle prime leggi emanate riguardava la nazionalizzazione delle terre. Procedura molto democratica. Infatti, durante la gloriosa guerra di Spagna, anche gli anarchici parteciparono al governo che emanò il decreto di collettivizzazione operaio del governo autonomo di Catalogna. “In nome del popolo greco”, tutte le terre divenivano proprietà dello stato.
Il primo compito dell'esercito ellenico neoformatosi fu di espropriare con la forza le terre ai contadini che nel frattempo le avevano lavorate. In nome del popolo, ovviamente.
Quelle stesse terre, poi, furono rivendute dal governo, e finirono in gran parte in mano ai grandi latifondisti dei quali il governo stesso era espressione ed emanazione. Qualche contadino riuscì a ricomprarsi la propria terra, ma le tasse che nel frattempo il governo aveva imposto rendevano impossibile trarre guadagno dalla coltivazione diretta di piccole proprietà. Per tale motivo, questi dovettero subito rivendersele per ritornare a fare i braccianti. Ma ora i padroni non parlavano più turco, parlavano greco. Su queste basi è nato il moderno stato greco, liberale, democratico e capitalista (fino alla parentesi del regime militare).
Questa storia greca ha, come le favole del conterraneo Esopo, una morale. Questa storia istruisce. Non ci insegna certo che l'optimum sia l’arcadia agricolo-pastorale, la “buona selvatichezza” rousseauiana o simili romanticismi da salotto radical-chic. E’, infatti, una storia che riguarda una organizzazione sociale che è più "comunità" che "società", nel senso di Tonnies, con tutti i difetti connessi a ciò. Ciò non toglie che le vicende dell’anarchia greca offrono numerosi spunti di riflessione. Ad esempio, sembra che l' "ontogenesi" dello stato greco ricapitoli, per così dire, la "filogenesi" della statualità storica. In altri termini, rappresenti la replica a uso e consumo dei moderni dell'opera di conquista del territorio che generò il leviatano. Non già, quindi, di quella evoluzione darwiniana dalla selvaggia orda primordiale allo stato perfettamente evoluto che sarebbe avvenuta a seguito di un' improbabile accordo universale; cioè quella cosa che Rothbard definì ironicamente "l' immacolata concezione dello stato". Ciò che, però, più conta ai fini del nostro discorso è che la divisione dei “mezzi di produzione” e delle ricchezze non avveniva mediante atti violenti (i "mezzi politici" di cui parla Hoppenheimer), ma in base ad un comune accordo (i "mezzi economici"). Questo accordo si può, senza pudori, definire mercato, ma si ha estrema difficoltà a definirlo capitalismo. Non nel senso “volgare” del termine.
Con ciò, si ribadisce, non si vuol affatto dire che sia auspicabile un ritorno a forme sociali più semplificate e, quindi a sistemi di scambio meno soggetti allo “sfruttamento capitalistico”. No, le preferenze sono individuali e la società non fa che organizzarsi sulla base di queste. Solo il moralismo che contraddistingue chi è uso rifiutare di guardare nei cannocchiali può ardire di porsi a missionario che annunci questo o quel rigore. Di questa schiera fanno spesso parte gli anarchici classici, di tradizione socialista, i quali, invece, spacciano per alternative alle logiche di mercato situazioni di mercato primitive, compra-vendita equa e solidale, autoproduzioni. Queste, in realtà, sono piena espressione del libero scambio, cioè di un sistema basato su incentivi individuali. Il "mercato" non è dotato di una moralità sua propria o addirittura di una (im)moralità esogena impostogli, è bensì espressione dei valori dei singoli partecipanti al sistema. Si tratta di mercati, solo più piccoli e meno redditizi. Minor godimento, si deduce, minor peccato. Una comune in cui viga la gratuità rientra perfettamente nella logica di un “mercato” similmente inteso.
No, con questo discorso si vuole portare l’attenzione soprattutto sull’altro polo della questione, quello statale, cioè sul fatto che il primo gesto che lo stato appena formatosi ha compiuto è stato togliere le terre ai contadini che le coltivavano e il concederle ai ricchi protettori latifondisti, che con i loro mezzi avevano permesso la formazione della elite governativa. E le tasse, imposte dal governo centrale per il proprio mantenimento, hanno fatto in modo che non risultasse più vantaggioso per i piccoli proprietari il mantenimento dei loro limitati possedimenti. Ciò ha posto le basi per un’economia, quella che ha poi prodotto Onassis, che, per quanto più “arretrata” rispetto alla gran parte di quella dell’Occidente residuo, può dirsi di tipo capitalistico, anche se si ha difficoltà a definire “di libero mercato”. Messa così, si badi, sono anti-capitalisti anche i cosiddetti anarco-capitalisti. Insomma, il dato storico ricalca perfettamente il noto criterio che David Friedman utilizza per descrivere cosa è mercato e cosa no. E’ mercato qualunque situazione in cui le risorse vengono utilizzate in base a regole condivise – qualunque regola, inclusa la corsa coi cavalli – ed è non-mercato ogni situazione in cui il problema venga risolto con la forza. Quest’ultimo, dice Friedman, è talmente poco conveniente che “viene utilizzato solo da bambini piccoli e grandi nazioni”. Appunto.
La questione sulla quale questa storia ci invita a riflettere, in definitiva, è: favorisce di più il privilegio e l'accumulazione illegittima la libera contrattazione - da sempre accusata di essere il terreno di coltura del "capitalismo da rapina" - o la regolazione dell'economia sotto la tutela di organizzazioni sovrapersonali – sia uno stato (liberal-democratico a proprietà privata diffusa o socialista a “capitalismo di stato”) o anche un governo su modello del "Comitato delle Milizie" spagnolo -, teorico garante dei "diritti" di tutti i "cittadini"? Ognuno è libero, ovviamente, di pensarla come vuole, ma chi ritiene che la prima condizione sia auspicabile e la seconda deleteria persegue un “libero mercato anti-capitalista”. Grazie di aver guardato nel cannocchiale.


Conclusioni: la realtà non è vera

"Abbiamo una regola. Marmellata domani e marmellata ieri, ma mai marmellata oggi." "Ma qualche volta ci deve essere il giorno della ‘marmellata oggi’," obiettò Alice. "No, no, impossibile," disse la Regina. "La marmellata è prevista a giorni alterni e oggi, sai, non è affatto giorno alterno, lo vedi da te."

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio

Alice al tè dei matti dice “è certamente la mia lingua ma io non la capisco”. Difatti, una povera organizzazione psichica, oltre a rendere le etichette, i “significanti”, di scarsa utilità nel definire i significati, comporta anche che la logica si sviluppi sulla base di sillogismi che hanno come premesse e come conclusioni sentenze fatue e discutibili. Sentenze espresse sulla base di “costrutti” poveri, direbbe George Kelly, fondatore del “costruttivismo cognitivo”. E sentenze povere generano mindfucking. Self-mindfucking. Come già detto, ci aveva avvertiti Korzibski. Non bastasse, ce lo ha poi ricordato Gregory Bateson. La mappa non è il territorio. Ogni essere vivente, nel conoscere la realtà, la costruisce. Naviganti nel mare magnum, viandanti nel paese delle meraviglie, noi tracciamo mappe col solo fine di costruirci uno spazio per orientarci e prevedere gli eventi. Non esistono mappe più vere di altre. Esistono però mappe migliori di altre. Esistono mappe più articolate, più ricche, che reggono meglio alle invalidazioni e riescono ad avere maggiore capacità predittiva. Che, continuando la metafora, non ci fanno perdere con troppa facilità. Ora, i costrutti sono binari. Bello e brutto, capitalismo e socialismo, libero mercato e pianificazione, individualismo-socialismo, razionalità e trascendenza, ecc. Un sistema di costrutti semplice avrà dei problemi davanti alle invalidazioni. Per un tizio convinto dell’esistenza del plusvalore, l’idea che sia più “socialista” il mercato dello stato è cognizione che si vorrebbe non incontrare, soprattutto se la struttura è semplicemente “comunismo-capitalismo”. Se cade l’una non rimane che l’altra. Inaccetabile. E' una "dissonanza cognitiva" (Festinger). Come Bandler & Grinder dicono di chi si trova in queste impasse, “la difficoltà non sta nel fatto che essi effettuano la scelta sbagliata, ma che non hanno abbastanza scelte: non hanno un'immagine del mondo messa a fuoco con ricchezza". Gli Innuit (eschimesi) dispongono di circa duecento parole per definire la neve nelle sue diverse manifestazioni, le quali sfuggono a chi non ha tale elemento quale unico ambiente. La mappa dell’innuit non è più vera, è più adatta a orientarsi nel suo ambiente. Edward Konkin III, conosciuto per essere il fondatore della corrente anarco-capitalista nota come “agorismo”, descrive tre tipi di imprenditore: 1: l’imprenditore (buono), che corre rischi, innova, è vera forza produttrice e progressista; 2) il capitalista non statalista (neutrale), relativamente poco innovatore; 3) il capitalista statalista (cattivo) definito “il più grande male del regno politico”. Non siamo molto distanti dal pensiero del “socialista” Carson. Bene, quella di Konkin non sarà la ricchezza del dizionario Innuit alla voce neve, ma è già ben più del costrutto elementare di imprenditore - sempre cattivo “a sinistra” e sempre buono “a destra” - generalmente utilizzato. La semplificazione del pensiero, si ricordi, era il fine della neolingua orwelliana.
La stessa nozione di "proprietà" può articolarsi ben più di quanto in uso presso le tribù che ne fanno totem o tabù. Ad esempio, Bud Spangler distingue, in buona compagnia, fra "proprietà nel senso di un ingiusto stato privilegiato e proprietà nel senso del verificarsi di un fenomeno etico sostenuto da un ampio consenso" aggiungendo che la proprietà acquisita tramite libero scambio e sostenuta dal consenso dei partecipanti "sarebbe difendibile grosso modo come si potrebbe difendere il “possesso” in un sistema di proprietà usufrutto", concludendo che "Questa teoria della proprietà, (...) attualmente fornisce le basi per una rivoluzionaria redistribuzione della proprietà, da una plutocrazia alleata con lo stato, ai lavoratori."
Preservare costrutti inadeguati, insomma, è possibile solo tramite l’elusione (“non ci guardo nel cannocchiale”), l’immunizzazione (“sarà una deformazione della lente”) o l’ostilità (“Il cannocchiale te lo do in testa”). Crescere in complessità, invece, prevede la disponibilità all’esplorazione, la tendenza a mettere a rischio i proprio costrutti, invalidarli, creandone di nuovi più articolati, più comprensivi, più fini, che rendano le successive invalidazioni più rare e meno traumatiche. Significa, insomma, creare incessantemente sé stessi ed il mondo anche a costo di dolorosi riaggiustamenti (gli “accomodamenti” di Piaget). Non è facile, certo, ma è il minimo che si possa chiedere a chi si definisca “libertario”. Altrimenti, diceva Korzibski - “Ci sono due modi di attraversare facilmente la vita: credere ad ogni cosa o dubitare di ogni cosa. Entrambi ci salvano dal pensare.”

http://tarantula.ilcannocchiale.it/

Matteo
02-05-09, 18:21
Domenico continua far finta di non capire. La parola cane non morde proprio perchè non è la parola cane ad esistere, ma quel cane! Continua a parlare di scambio e di mercato in generale, come se fossero mai esistiti scambi e mercati in generale. Lo scambio di mercato è il qui ed ora, e farne la critica (se si capisce cosa vuol dire criticare) è farne la sua critica, non la critica del concetto, anche perchè non esistono concetti, quando mai qualche fortunato troverà da qualche parte un mercato in generale, sarò ben felice di mettermi a tacere, per ora... i fatti sono ostinati (e nemmeno vale la regola: tanto peggio per i fatti). "si parla di scambio tra libertari, se si vuole parlare di scambio tra marxisti...", questo è proprio parlare per parlare, detta ideologia (nel senso di esistenza mistificata); come se si potesse decidere liberamente di cosa poter discutere (figuriamoci se si può pensare a fortiori di decidere liberamente come agire!!!): ecco come dimenticarsi della storia passata liquidandola come fantasma; ricordo a Domenico che siamo condizionati non solo dai vivi, ma anche dai morti, il passato ci porta sempre in dote qualche bel grattacapo. La storia porta con sè condizionamenti per l'agire futuro e questo ha delle implicazioni talmente ovvie che non serve nemmeno dilungarsi troppo: non è indifferente il fatto che la storia fino ad ora esistita ci abbia condotti fino a dove siamo ora e non abbia preso un'altra strada (p. es. 150 anni fa) cosìcchè ci troveremmo (nell'altro ipotetico oggi) in un presente diverso e l'oggetto su cui staremmo discutendo sarebbe diverso da quello dell'oggi reale. Non si decide dove e quando nascere!
- "nella comunità primitive lo scambio esisteva è sempre esistito, ciò che invece si sta sputtandando col le ricerche è la collettivizzazione che una certa cultura marxista diceva di certi villaggi originari della germani, è stato dimostrato il contrario, e anche quando la collettivizzazione avveniva c'era se3mpre ciò che riomanva privato e del clan familiare, quandi non collettivizzazione". Errore di riferimento a parte (nelle Forme economiche pre-capitalistiche, Marx parlando delle comunità originarie non si riferisce ai Germani, ma a comunità Indiane, Peruviane, Russe ...); l'errore madornale è l'hegeliano punto di partenza. Qui basta Darwin. L'uomo ha un'origine animalesca e gli antenati più prossimi (le scimmie antropomorfe) non vivevano isolate (e perciò in rapporti di scambio), ma in branchi senza il concetto di proprietà individuale (privata è un altro paio di maniche). Ripeto il concetto già espresso l'altra volta: l'individuo si isola nel corso del processo storico; non sono le condizioni di appartenza organica uomo-mezzi di produzione che devono essere spiegate, ma il processo della loro separazione. Capito ora? E le ricerche non sono minimamente marxiste (smettiamola di attribuire ogni virgola del discorso di Marx, a Marx stesso), ma sono di studiosi di antropologia che erano tutto fuorchè marxisti (vedersi i nomi nelle fonti citate)
Riguardo a Smith; parlava solo di mercato capitalistico, niente altro. Niente storia, niente prospettive future, solo l'oggi. Le boiate del pescatore e del cacciatore rimangono boiate degne al massimo di scherno. Se interessa basta studiarsi il metodo marxiano di critica del modello pratico-storico che fungerebbe (in quanto pratico) da sostanza ferrea (nel senso di bella dura ed a prova di critica) per il proprio discorso: il cacciatore isolato non è altro che la proiezione dell'ideale borghese dell'individuo isolato, altro che origini!

Domenico Letizia
02-05-09, 20:43
Lo scambio di mercato è il qui ed ora

alitalia è mercato?
la banca centrale è mercato?
la banconota creata dwegli stati è mercato?
i sussidi alle fiat e resto è mercato?
la porno tax e simili è mercato?
i cari giornali e l'infomrazione da quella idiota di rai tre a quella stupida di fede è mercato?
dove lo vedi il mercato?
io vedo capitalismo di stato, con elitè di politici che danno la mano ai politici e chi difende lo stato è con loro.


caro matteo questo mi sembra facile da capire..

il PCl di ferrando voleva la nazionalizzazione delle banche, berlusca lo stava facendo
questo matteo dalla destra dei fascisti ( che son comunisti basta ricordare bombacci) alla sinistra del rafaniellineomarxistipostleninisti e stronzate varie questo è semplicemnte rafformzamento dello stato

a destra ci siete voi fascisti e comunisti defensori dello stato
a sinistra ci siamo noi libertari antistatalisti per il possibilismo e il liberescambismo.
difficile?
non mi sembra.


in una società anarchica cosa prevedi?
collettivizzazione della terra?

se volontaria si può fare!

proprietà privata?

se il proprietario decide così così sia!

tu che dici?

o dobbiamo affidarci allo stato?

Matteo
03-05-09, 12:21
Alle domande iniziali, rispondo semplicemente: sì, è il mercato, eccome se lo è. E anche il capitalismo di stato è mercato, mi spiace per la tua teoria armata di ferri di legno che non lo riesce a comprendere, ma fa parte proprio della tua teoria antiquata non poterlo necessariamente capire; una teoria che opera con metodi presi a prestito dalle scienze del '500-'600 non potrà mai capire una realtà in movimento (e la realtà in quanto tale è solo in movimento); mi spiego meglio, con la tua teoria "analitica" pensi di poter staccare elementi dall'insieme ed analizzari (stacchi il mercato dallo Stato e li analizzi), ma questo è un metodo delle origini delle scienze (un metodo metafisico), e tralasciando i nessi mobili che legano (qui stato e mercato) non si possono mai comprendere oggetti reali, ma sono categorie ipostatizzate e perciò morte. Questo ti conviene cominciare ad indagarlo o rimarrai per sempre prigioniero di ragionamenti astrattamente vuoti (ci sono anche le astrazioni concrete, fidati).
Per quanto riguarda destra-sinistra.... ti ringrazio di adoperare quei termini nell'identico modo in cui li adoperò Stalin per isolare volta per volta i propri nemici, a seconda della circostanza si è di destra e di sinistra, e le posizioni di classe concrete svaniscono .... e così tutto si mette sotto il tappeto dell'ideologia.
Per quanto riguarda le nazionalizzazioni, ci tornerò sopra con calma perchè noto anche qui una grossa lacuna di concetti. E per la società anarchica ... non prevedo mai l'impossibile, figuriamoci se do ricette per i secoli a venire, non sono uno stupido.
Saluti.

Domenico Letizia
03-05-09, 17:34
Alle domande iniziali, rispondo semplicemente: sì, è il mercato, eccome se lo è. E anche il capitalismo di stato è mercato, mi spiace per la tua teoria armata di ferri di legno che non lo riesce a comprendere, ma fa parte proprio della tua teoria antiquata non poterlo necessariamente capire; una teoria che opera con metodi presi a prestito dalle scienze del '500-'600 non potrà mai capire una realtà in movimento (e la realtà in quanto tale è solo in movimento); mi spiego meglio, con la tua teoria "analitica" pensi di poter staccare elementi dall'insieme ed analizzari (stacchi il mercato dallo Stato e li analizzi), ma questo è un metodo delle origini delle scienze (un metodo metafisico), e tralasciando i nessi mobili che legano (qui stato e mercato) non si possono mai comprendere oggetti reali, ma sono categorie ipostatizzate e perciò morte. Questo ti conviene cominciare ad indagarlo o rimarrai per sempre prigioniero di ragionamenti astrattamente vuoti (ci sono anche le astrazioni concrete, fidati).
Per quanto riguarda destra-sinistra.... ti ringrazio di adoperare quei termini nell'identico modo in cui li adoperò Stalin per isolare volta per volta i propri nemici, a seconda della circostanza si è di destra e di sinistra, e le posizioni di classe concrete svaniscono .... e così tutto si mette sotto il tappeto dell'ideologia.
Per quanto riguarda le nazionalizzazioni, ci tornerò sopra con calma perchè noto anche qui una grossa lacuna di concetti. E per la società anarchica ... non prevedo mai l'impossibile, figuriamoci se do ricette per i secoli a venire, non sono uno stupido.
Saluti.


l'anaticia è collegata al postmodernismo quindi è quanto più ci sia di moderno, perchè parte da presupposti della scuola austriaca, e marginalista, beh se essere possibiliste è antiquato, il comunismo di qualsiasi matrice sia è quanto di più ci sia di moderno, ecco, la vostra cecità.
e per favore siamo chiari, stalin, ecc... ricorda saluti comunisti l'hai scritto tu, quindi stalin se deve appartenere ad un modno appartiene al vostro.
il concetto di classe esiste in funzione di antistatalisti e statalisti, con la vostra teoria che parte bene e finisce male come il manfiesto agorista dimostra, un piccolo imprenditore tartassato dallo stato, dove lo posizionate? nel proletariato? non si può! nella classe sfrutttratrice? si quella sfruttata dalla stato.

i ragionamenti sono lunghi, ma un pò di scuola austriaca farebbe bene a tutti, consiglio una visione dell' istituto bruno leoni, così per rinfrescarci le idee....

Matteo
03-05-09, 18:01
Postmoderno.... dopo questo richiamo al post (poi vengono il post-fordismo, il post-marxismo ....) mi defilo perchè capisco molte cose. E comunque ti ripeto che ti sbagli di grosso sul metodo analitico, la scuola marginalista (Pareto, Walras & c.) l'hanno ereditato dalle scienze naturali (biologia, fisica, chimica ...), ma da quelle scienze come lo erano ai loro inizi quando si trattava di produrre quante più conoscenze possibili per la successiva elaborazione e se ti guardassi la storia delle scienze ti ricrederesti allegramente; già Darwin non usa più la semplice analitica perchè quel metodo mai ti porterebbe a capire i nessi tra le specie e tanto meno ti potrebbe far capire perchè nello sviluppo possono nascere fattori che - se trovano contingenze favorevoli - permettono l'evoluzione (Darwin parlava - da buon hegeliano - di cambiamenti puramente quantitativi che ad una certa determinata grandezza variabile producevano cambiamenti qualitativi). L'analitica invece è servita agli albori di quelle scienze per classificare gli oggetti dello studio (e serve solo ancora per quello), i nessi reciproci non li sa (nè può) percepire.
Mi prendo sulle spalle anche gli errori-orrori dello stalinismo se ti fa piacere (ho spalle larghe e coscienza felice, non infelice come qualcuno), proprio perchè so chi siamo, posso accettare chi crede (Stalin) di appartenerci, io non faccio come quei furbetti che sentenziano: lo dissi e mi salvai l'anima!
Un piccolo imprenditore è un capitalista punto e basta, la sua posizione di classe dipende dalla sua collocazione nel ciclo di riproduzione del capitale sociale complessivo (produzione immediata + circolazione), perciò io che difendo gli interessi della classe dominata, sto già in buona compagnia senza dover essere costretto ad accogliere sulla scialuppa altri loschi inquilini: niente grassi! Che poi il proletariato nella sua battaglia storica si trovi costretto ad instaurare alcune alleanze tattiche in vista del proprio rafforzamento ... beh ... l'abbiamo sempre fatto (mai con i bottegai e i piccoli padroni, questo è sicuro), e che lo spettro classista sia - in quanto spettro - un arcobaleno di posizioni intermedie tra i 2 poli di proletari e capitalisti ... beh ... l'abbiam sempre saputo, ma ripeto: questo riguarda la tattica, non la teoria generale.
Saluti leninisti (meglio?)
P.S. Sulla scuola austriaca c'è un bel volume di Nicolao Merker - Il socialismo vietato: miraggi e delusioni da Kautsky agli austro marxisti, Laterza, 1996; per quanto riguarda una breve ma intensa e definitiva distruzione del metodo analitico - Louis Althusser - Sul giovane marx, in Per Marx, mimesis, 2006.

Domenico Letizia
03-05-09, 20:34
grazie per i libri, leggere fa sempre bene.

Domenico Letizia
03-05-09, 20:36
grazie per i libri, leggere fa sempre bene.


un invito però leggi il manifesto agorista se t'interessa approfondire.

oggettivista
04-05-09, 09:49
Invito il compagno leninista a riflettere sul fatto che lo stalinismo è un prodotto del vostro sistema. E' figlio del leninismo e del totalitarismo collettivista.

Gian_Maria
04-05-09, 19:02
Saluti leninisti (meglio?)
Peggio! Era molto meglio saluti comunisti.

Matteo
04-05-09, 20:11
Sto preparando una critica alla "teoria di classe agorista"; la metto qui o apro una nuova discussione?

Gian_Maria
04-05-09, 20:39
Come preferisci. Forse è meglio se apri una nuova discussione.

Domenico Letizia
23-12-09, 12:22
continua il dibattito con l'intervento di Luciano Lanza direttore di Libertaria:

Il mercante e il tecnocrate


Mercato o pianificazione? Sono questi i due poli che raccolgono sostenitori dell’una e dell’altra parte sia in ambito libertario sia sulle pagine di questa rivista. Con una prevalenza dei sostenitori della pianificazione definita libertaria. Uno dei maggiori esponenti di questa tendenza è sicuramente Michael Albert (“Il libro dell’economia partecipativa. La vita dopo il capitalismo”, 2003 e “Oltre il capitalismo. Un’utopia realistica”, 2007). Preceduto nel 1936 dall’anarcosindacalista Pierre Besnard (“Il mondo nuovo”). Sul versante mercato abbiamo sicuramente Pierre-Joseph Proudhon (“Sistema delle contraddizioni economiche. Filosofia della miseria”, 1846), preceduto dal famosissimo “Che cos’è la proprietà” (1840), ma seguito da “La teoria della proprietà” (1886).

Mentre Pëtr Kropotkin con “La conquista del pane” (1892) supera la dimensione economica attraverso il «mutuo appoggio». Ma va sottolineato, come peraltro ho fatto diverse volte, che analizzare il pensiero economico in quelli che sono considerati i padri dell’anarchia significa individuare più un’assenza che una presenza, perché l’attenzione è rivolta più alla critica del potere nella sua manifestazione di dominio che non alle forme dell’economico in una società libertaria. Un modo di essere che Errico Malatesta porta fino alle estreme configurazioni: «Quali le forme che prenderanno la produzione e lo scambio? Trionferà il comunismo (...), o il collettivismo (...), o l’individualismo (...) o altre forme composite che l’interesse individuale e l’istinto sociale, illuminati dall’esperienza potranno suggerire? Probabilmente tutti (...) fino a che la pratica avrà insegnato quale è la forma o quali sono le forme migliori (...). Ma veramente più che le forme pratiche di organizzazione economica (...) l’importante, dico, è che esse sieno guidate dallo spirito di giustizia e dal desiderio del bene di tutti e che vi si arrivi sempre liberamente e volontariamente» (“Qualche considerazione sul regime della proprietà dopo la rivoluzione”, in Il Risveglio, 30 novembre 1929). Per arrivare all’americano Josiah Warren (1798-1874) che indica il prezzo di un bene nel tempo di lavoro e nelle difficoltà incontrate per produrlo.

Il luogo dello scambio. Ha senso allora pensare che in una società libertaria i rapporti basati su beni e servizi avvengano attraverso il mercato? E poi cos’è il mercato? E qui bisogna distinguere fra mercato quale creazione sociostorica che accompagna l’uomo nei rapporti con i suoi simili e il mercato come concettualizzazione ideologica delle pratiche mercantili. Cioè quel luogo reale e al contempo componente dell’immaginario sociale che produce una visione particolare del mondo: la società di mercato. Quella in cui viviamo.

Il luogo della pianificazione. Dall’altro lato abbiamo quella forma economica basata sulla previsione delle necessità complessive e la ripartizione degli incarichi aziendali per soddisfarle. In questo caso si tratta di una programmazione basata sulla raccolta dei dati che provengono dai consumatori e trasferite con un metodo di democrazia diretta ai produttori. La comunità, la società si interroga e fornisce le risposte per soddisfare questa sua domanda.

Il luogo dell’economico. Bisogna però interrogarsi su un problema di fondo: che posto occupa l’economia in una società libertaria? Secondo Cornelius Castoriadis: «Dovremmo volere una società nella quale i valori economici abbiano smesso di essere centrali (o unici), in cui l’economia sia rimessa al suo posto di semplice mezzo della vita umana e non il fine ultimo» (“La montée de l’insignifiance”, in Les carrefours du labyrinthe IV, 1996). A questa posizione schiettamente libertaria dobbiamo però aggiungere un’altra riflessione. Il mercato attuale crea diseguaglianza e sfruttamento, mentre la pianificazione anche la più libertaria possibile ha un «luogo» creatore di diseguaglianza sociale: la lettura dei dati per poter
decidere quanto, come e dove produrre e poi distribuire. Questo è il luogo di coltura di una nuova classe dirigente che potremmo definire «tecnoburocrazia libertaria». E che nonostante l’aggettivazione mantiene quelle connotazioni tipiche di una classe dirigente. Cioè di una categoria di persone che non possiede i mezzi di produzione, ma ha le conoscenze per gestire il processo produttivo e distributivo. Sia di una piccola o di una grande comunità. Determinando una distanza sociale che si accresce nelle relazioni con i pianificatori delle altre comunità con cui bisogna intercambiare beni e servizi.

Questo dualismo, mercato o pianificazione, non si risolve immettendo nei due «sistemi» tanta buona volontà libertaria, o processi decisionali libertari. Che ovviamente devono esserci. No, qui si tratta di analizzare e comprendere «il luogo dell’economico» (materiale e immaginario) che si muove in parallelo e intersecandosi con «il luogo del politico» (materiale e immaginario). Castoriadis propone una «compressione» dell’economico per sottometterlo all’uomo. Idea quanto mai affascinante, ma è sufficiente?

E poi bisogna proprio restare in questa dicotomia: o mercato o pianificazione?

E qui, dopo aver lanciato questi sassolini, mi fermo. Anche perché ho esaurito lo spazio affidatomi.



Luciano Lanza

Cenerentola (http://www.cenerentola.info/archivio/numero114/articoli_n.114/dib.html#2)

Gian_Maria
25-12-09, 11:08
la pianificazione anche la più libertaria possibile ha un «luogo» creatore di diseguaglianza sociale: la lettura dei dati per poter
decidere quanto, come e dove produrre e poi distribuire. Questo è il luogo di coltura di una nuova classe dirigente che potremmo definire «tecnoburocrazia libertaria». E che nonostante l’aggettivazione mantiene quelle connotazioni tipiche di una classe dirigente. Cioè di una categoria di persone che non possiede i mezzi di produzione, ma ha le conoscenze per gestire il processo produttivo e distributivo. Sia di una piccola o di una grande comunità. Determinando una distanza sociale che si accresce nelle relazioni con i pianificatori delle altre comunità con cui bisogna intercambiare beni e servizi.
Sul piano pratico questa affermazione non ha nessun valore, perché una "pianificazione libertaria" non è ancora stata realizzata.
Sul piano teorico, invece, non capisco perché dovrebbe accedere ciò, visto che le decisioni sul come, quanto e dove produrre sarebbero prese democraticamente dall'intera comunità (lavoratori in primis) a livello locale, regionale e mondiale.