Eymerich (POL)
25-03-06, 17:43
Difficile capire se il documentario "Mondovino" di Jonathan Nossiter, impropriamente spacciato come film persino al festival di Cannes 2004, sia un piccolo capolavoro involontario o un grandioso atto di denuncia malriuscito.
Nossiter, diplomato "sommelier" a New York, conosce perfettamente il mondo del vino: la sua gente, i suoi umori, il suo commercio, i suoi protagonisti. Sembra non prendere mai posizione tra le due grandi concezioni che dominano il mercato.
Da una parte, l'ideologia dei piccoli produttori, i cultori del "terroir", i cantori del vino come espressione diretta della cultura e delle tradizioni del territorio in cui è prodotto. Come dice il vecchio Aimé Guibert: "Il vino rappresenta un rapporto quasi religioso tra l'uomo, gli elementi naturali e l'immateriale. Ci vuole un poeta per fare un grande vino".
Dall'altra, l'ideologia dei grandi produttori, i fautori della globalizzazione dell'industria vinicola, gli esteti del gusto vanigliato e del legno giovane. Come dice Bob Mondavi , fondatore della Robert Mondavi Winery, con sede nella Napa Valley, una delle più grandi aziende enologiche del mondo: "Qui in California abbiamo le migliori condizioni climatiche del mondo, per fare il vino. Dovevamo solo imparare a fare i nostri vini".
La Mondavi ha imposto un modo di fare il vino e c'è chi sostiene che fra l'"Opus One" californiano e l'"Ornellaia" toscana, i due vini più cari del mondo, non esistano troppe differenze. Sono anche dello stesso padrone, la Mondavi appunto.
Nossiter non prende posizione: col cuore sembra stare dalla parte dei vignaiuoli ma con la ragione è tutto schierato coi Mondavi, coi Frescobaldi, con gli Antinori, nei cui confronti sembra patire una certa soggezione.
L'internazionale del vino si regge su una triade potente: l'enologo francese Michel Rolland, che ha trasformato la cantina in laboratorio, il critico di "Wine Spectator" Robert Parker (ecco un critico che conta: una sua recensione determina la fortuna economica di un'azienda!) e la famiglia Mondavi. I tre sono molto amici.
[Fonte:http://filmleo.blogosfere.it/2006/03/il_vino_come_po.html]
Nossiter, diplomato "sommelier" a New York, conosce perfettamente il mondo del vino: la sua gente, i suoi umori, il suo commercio, i suoi protagonisti. Sembra non prendere mai posizione tra le due grandi concezioni che dominano il mercato.
Da una parte, l'ideologia dei piccoli produttori, i cultori del "terroir", i cantori del vino come espressione diretta della cultura e delle tradizioni del territorio in cui è prodotto. Come dice il vecchio Aimé Guibert: "Il vino rappresenta un rapporto quasi religioso tra l'uomo, gli elementi naturali e l'immateriale. Ci vuole un poeta per fare un grande vino".
Dall'altra, l'ideologia dei grandi produttori, i fautori della globalizzazione dell'industria vinicola, gli esteti del gusto vanigliato e del legno giovane. Come dice Bob Mondavi , fondatore della Robert Mondavi Winery, con sede nella Napa Valley, una delle più grandi aziende enologiche del mondo: "Qui in California abbiamo le migliori condizioni climatiche del mondo, per fare il vino. Dovevamo solo imparare a fare i nostri vini".
La Mondavi ha imposto un modo di fare il vino e c'è chi sostiene che fra l'"Opus One" californiano e l'"Ornellaia" toscana, i due vini più cari del mondo, non esistano troppe differenze. Sono anche dello stesso padrone, la Mondavi appunto.
Nossiter non prende posizione: col cuore sembra stare dalla parte dei vignaiuoli ma con la ragione è tutto schierato coi Mondavi, coi Frescobaldi, con gli Antinori, nei cui confronti sembra patire una certa soggezione.
L'internazionale del vino si regge su una triade potente: l'enologo francese Michel Rolland, che ha trasformato la cantina in laboratorio, il critico di "Wine Spectator" Robert Parker (ecco un critico che conta: una sua recensione determina la fortuna economica di un'azienda!) e la famiglia Mondavi. I tre sono molto amici.
[Fonte:http://filmleo.blogosfere.it/2006/03/il_vino_come_po.html]