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Eymerich (POL)
07-05-06, 11:03
Melchisedek, re di Salem fece portare pane e vino. Era Sacerdote dell’Altissimo, e benedisse Abramo ...” Genesi 14,18)
Questa frase in apparenza innocente ed abbastanza superficiale, ha invece dal punto di vista della tradizione giudaica, o giudeo-cristiana, insospettate profondità e significato. Si deve innanzi tutto notare che dal momento in cui Melchisedek trasmette ad Abramo il rito sacrificale del pane e del vino, egli trasmette in modo completo i poteri di sacrificare essendo egli stesso, Melchisedek, il sacrificatore dell’Altissimo.
Questo significa, a parer mio, che già in quel lontano tempo esisteva una gnosi ben articolata e che gli appartenenti sapevano molto bene dell’esistenza di un Dio unico ben superiore agli altri déi comuni. Abramo, inoltre, riceve da Melchisedek l’iniziazione, che gli conferisce la possibilità di trasmettere a tutta la sua posterità, quindi a tutto il futuro Israele, questi particolari poteri di sacrificare. Per cui si può ritrovare l’offerta del pane azzimo e del vino nel Tempio di Salomone addirittura a fianco di sacrifici propiziatori di poveri e sanguinanti animali, usanza che si perpetua con il “Rito del Seder e del Kiddouch”, vale a dire del pane azzimo e la benedizione della coppa del vino.
La Tradizione afferma che il Cristo farà di questo rito il fondamento, il fulcro di tutto il Cristianesimo, Egli dirà “... sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek” ed i suoi Apostoli riceveranno da Lui una “ordinazione”particolare la cui fonte è necessario farla risalire all’epoca d’Abramo. Pertanto questo rito, dalla semplice apparenza, si perpetua adagiandosi su elementi e antiche tradizioni di ben quattromila anni; credo che questo debba eliminare qualsiasi valenza alle tante sciocchezze, non tutte di buon gusto, che i razionalisti non mancano di alimentare alla fiaccola della grassa ignoranza. Cerchiamo dunque di calarci nelle significanze che questo misterioso Rito cela, ancora dopo tanto tempo.
Da molti è conosciuto, spero anche accettato, l’antico assioma della celebre “Tavola di Smeraldo” che dice: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, ...” per cui è facile accettare che come un nutrimento materiale, se è sano, sostiene la nostra vita materiale, così un nutrimento spirituale e psichico è in grado di sostenere la nostra vita psichica e spirituale, mentre un nutrimento materiale velenoso distrugge la vita materiale, come un nutrimento spirituale velenoso distrugge la vita spirituale. La storia ci aiuta a costatare come i popoli di tutti i tempi hanno sempre tentato di stabilire una comunione, vale a dire una comune unione, con le entità di cui supponevano l’esistenza e presenza.
I riti di questa comunione, univocamente, ci attestano l’assunzione, per via orale, di qualche alimento materiale per dei fini spirituali. Da ricordare “l’Erba dell’Immortalità” del babilonese Ut Napishtin , il “Soma ed Ahoma” dei vedici, il “Nettare e l’Ambrosia” dei greci, i “Banchetti Rituali” dei Pitagorici, il pasto delle carni del “Leviathan e Behemoth” della tradizione biblico talmudica, il “Cibo infuocato del Santo Graal” ed i “Salmoni di Sapienza” del ciclo Arturiano.
È pertanto un “Pasto Sacro” analogo in tutte le sue caratteristiche al “Pasto Sacro” della tradizione Mosaica della consumazione del “Frutto dell’Albero della Vita”. Strette analogie le troviamo in alcune pratiche della geomanzia araba, nella quale si pone sotto il viso del richiedente un vaso di terracotta con varie resine aromatiche, le quali hanno lo scopo di richiamare i “Geni”, che momentaneamente, ma realmente, hanno il possesso sul richiedente, conducendolo attraverso i vari “gradi” delle figure geomantiche.
È da non dimenticare “l’Antropofagia Rituale” di alcune tribù africane, e di altre località, i cui appartenenti si cibano ritualmente del cuore di un guerriero coraggioso, del cervello di un uomo particolarmente intelligente o della mano di un mancino. Vi sono infine gli animali immolati, questi vengono per metà consumati sull’altare dell’olocausto,per metà consumati dai Cohens, i preti d’Israele, che così facendo si uniscono con il loro dio Jaweh.
Vanno inoltre ricordati i “dodici Pani delle Proporzioni”, uno per ogni Tribù d’Israele, essi restano per sei intere giornate sulla “Tavola di Testimonianza” circondati da grani d’incenso purissimo, così permanendo nel “Tabernacolo dell’Alleanza della Shekinah” s’impregnavano dell’incenso e al settimo giorno, il Sabato, i Cohens li consumavano ritualmente con l’offerta, vale a dire la benedizione e la consumazione della coppa del vino. In quei lontani tempi al levare del sole, nel luogo più misterioso e segreto del Tempio: “naos”, interdetto a tutti i profani, il sacerdote di Osiride poneva le proprie labbra su quelle del dio, mentre nei riti agresti Orfici e Dionisiaci, a primavera: tempo del rinnovamento (Pasqua = passaggio), si divideva il capretto simbolo ed immagine del dio solare affinché potesse rivivere nel misto. Molto probabilmente queste forme, sono un po’ un’eucaristia al contrario, perché fanno rivivere nel misto un dio morto, un dio che dovrà la sua nuova vita all’uomo.
Nell’eucaristia cristiana, invece, come già nella sua prefigurazione ebraica, si tratta di far rivivere l’uomo nel Corpo Mistico di Dio. La resurrezione di Hiram della simbologia e rituaria massonica è stata comparata a quella del Cristo, credo però che sia Hiram sia Orfeo o Dioniso, rivivono nell’iniziato per lui e grazie a lui, forse sarebbe necessario fare una riflessione a questo proposito.
La tradizione cristiana cosa ci dice? Credo sia giusto e doveroso dare alla transustanziazione delle “Specie Eucaristiche” della liturgia, sia orientale sia occidentale, ortodossa o cattolica, la giusta posizione che è quella della trasposizione in modo invisibile del sacrificio di Melchisedek perpetuato in Israele da Abramo, consacrato dallo stesso Melchisedek, fino al Cristo che è un discendente della tribù di David, perciò è Pontefice e Re; tutto questo grazie al “Rito del Seder e del Kiddouch”, vale a dire del pane azzimo e della coppa del vino.
Certamente la “Cena” fu una cerimonia giudaica, veramente ortodossa, sicuramente si trattava della festività annuale della “Pasqua” quindi dell’assunzione dell’agnello e delle erbe amare, seguita dal sacrale “Rito di Melchisedek”. Le “grazie” che i vangeli dicono essere state pronunciate da Cristo, durante il banchetto, erano certamente delle preghiere rituali, queste sono certamente ancora presenti nelle attuali preghiere degli israeliti praticanti.
Questi riti sono, in pratica, sconosciuti dalla quasi totalità dei cristiani, perciò qui di seguito cercherò di dare una sintesi, cercando in ogni caso di ricordarvi quale rilievo ed eco dava quella sera, l’Eterno Liturgo, a quelle parole rimaste inalterate nei secoli.
Nel “Rito del Kiddouch”, o inaugurazione del sabato, mettendosi a tavola, il venerdì sera, l’officiante prende in mano la coppa piena di vino e dice:

Era allora il settimo giorno, il cielo e la terra e tutto ciò che contengono era terminato. Al settimo giorno o Eterno hai compiuto la Tua Opera, ed al settimo giorno ti riposasti dopo tutto ciò che avevi fatto. O Dio benedicesti il settimo giorno e lo santificasti, perché in quel giorno, o Signore, ti riposasti per tutte le Opere che avevi compiuto. Sii dunque lodato o Eterno nostro Dio, Sovrano dell’Universo, che hai creato il frutto della vigna. Sii lodato o Eterno nostro Dio, Sovrano dell’Universo, che ci hai santificato per mezzo dei Tuoi Comandamenti, che ci hai gradito come Tuo popolo e che nel Tuo Amore ci hai dato il giorno del Sabato in commemorazione della Creazione, questo giorno è la prima delle solennità, essa ricorda a tutti noi che ci hai fatto uscire dall’Egitto, è noi che Tu hai scelto e santificato sopra a tanti popoli, nel Tuo Amore, Tu ci ha dato in eredità il Santo giorno del Sabato. Sii dunque lodato o Eterno che hai santificato il Sabato”. In seguito l’officiante recita la benedizione sui due pani interi, spezza il pane dal di sopra, ne mangia e poi ne dà a ciascuno degli assistenti dicendo: “Sii lodato o Eterno, nostro Dio Sovrano dell’Universo, che ricavi il Pane dalla Terra.

Dopo il pasto recita il Salmo CXXVI (canto del ritorno): “Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare ...”. Terminato di recitare il Salmo pronuncia le “grazie”, che per brevità non riporto, queste si possono trovare nella raccolta delle “Preghiere Giornaliere” degli Israeliti di Rito Askenazita. Credo sia lecito chiedersi come poter recepire l’occulto dell’Eucarestia. È a tutti evidente, che non ci cibiamo della carne sensibile, cellulare di Colui che nel Giordano, come dice S. Agostino, rivestì l’Uomo, ed altrettanto non beviamo il sangue, rosso e suscettibile di coagulazione, come si usava nelle orge dell’antichità. Il Cristo non è certamente stato dilaniato né spezzettato in modo selvaggio da furiose e ubriache baccanti.
Nell’Eucaristia noi assorbiamo una “Sostanza occulta e Mistica” intimamente legata all’Essenza stessa del Salvatore, per una misteriosa e specifica grazia voluta da Lui, che impregnando trasmuta la materialità delle “Specie Eucaristiche”, infatti, senza lo specifico ricevimento dei “Poteri” legittimi e la pronuncia delle “Parole Sacre”, le “Specie Eucaristiche” restano quelle che erano, semplici alimenti materiali, in modo analogo la sostanza psichica e l’essenza spirituale dell’uomo diventeranno a poco a poco, per una seconda transustanziazione, analoghe a quella di Dio, è l’incorporazione dell’Uomo nel “Corpo Mistico” del Cristo.
Tutto questo come conseguenza della promessa fatta nell’Ultima Cena dal Salvatore e della specifica potenza conferita in eterno ad un Rito ordinato agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me” (Luca XXII,19). Il Divino si mescola mediante la sua promessa e si lega tramite il suo ordine, così come la “Pietra Filosofale” trasmuta il piombo in oro, così come la “Liturgia Eucaristica” legherà il frumento ed il succo dell’uva a quell’Essenza salvifica e salvatrice, di cui noi stiamo parlando e per mezzo di questa, da ormai due millenni, transustanzia nell’invisibile le “Specie Eucaristiche”. Dunque noi con l’Eucarestia assorbiamo un’occulta e misteriosa “carica”, uno speciale “Elisir di lunga Vita” che se c’impregnerà sufficientemente, durante la nostra vita terrena ci trasmuterà gradualmente, perché questa particolarissima “carica” come ogni altro elemento, è assimilata dal nostro organismo, passa dal piano fisiologico a quello psichico, da questo al “nous” o spirito. Gli ebrei ricevettero sul Sinai l’ordine di mangiare sola carne completamente esente da sangue, perché il sangue è il veicolo delle passioni di tutti gli esseri.
Tutta la Creazione decaduta con Adamo, e le coorti delle anime preesistenti che lo costituivano, risale con l’azione redentrice del Cristo, credo sia questa la ragione per cui Pietro ricevette in sogno l’ordine di considerare tutti gli alimenti, di qualunque specie, purificati per sempre. (Atti degli Apostoli X,9-16)
Questo significa che l’uomo diviene l’atanòr trasmutatore attraverso il quale la Creazione redenta necessariamente deve passare per giungere al Divino. La Reintegrazione o ricostituzione del Santo Pleroma consiste in una lenta e progressiva identificazione della “Chiesa preesistente” dispersa a causa della caduta, questa chiesa è nient’altro che il “Corpo Mistico” di Cristo, esso è simboleggiato dal pane eucaristico, per questo assorbirlo equivale ad edificare progressivamente il nostro “corpo mistico”, gli antichi Cabalisti ed i Padri della Chiesa lo chiamavano il “Vestimento di Gloria”. Senza il “Vestimento di Gloria”, dicevano gli antichi Cabalisti, nessuno è in grado di superare il “Fuoco-Principio” separatore del Creato dall’Increato. Naturalmente ogni vestimento è fatto per essere utilizzato, così ogni corpo ha la necessità di avere un’anima, ed ecco che si comincia a capire il ruolo del vino eucaristico.
Il pane è il “Corpo Mistico” del Cristo, il vino è “l’Anima Mistica”, perciò come le passioni bestiali degli animali impuri sarebbero passate nel sangue degli Israeliti, così “l’Anima Mistica del Cristo passa in ciascuno con il vino. Pertanto nel Rito Latino, il fedele ordinario si comunica con una sola “Specie”: l’Ostia, così la sua Eucaristia non è completa perché manca uno degli elementi del Mistero, che si trova invece nell’Eucaristia del prete officiante. Nel Rito ortodosso, tutti i fedeli si comunicano con le due “Specie”, però si utilizza il pane ordinario al posto di quello azzimo come nel Rito Latino, indubbiamente il pane azzimo ha una valenza simbolica superiore al pane comune; infine vi è una liturgia particolare: la “Messa Pontificale”, la può celebrare solo il Vescovo in occasioni particolari, essa ha un valore occulto e simbolico ben diverso.
La cera d’api riveste una fondamentale importanza nel registrare fedelmente le radiazioni dell’ambiente, gli occultisti sanno molto bene il ruolo evocatorio della fiamma di una candela di cera, quindi si comprende come famosi e illustri personaggi utilizzavano, ed utilizzano, candele di cera d’api accese e poste sopra i Nomi Divini, Angelici, ecc. nelle loro “Operazioni Teurgiche”. Queste conoscenze sono le stesse di quelle della “Liturgia Eucaristica”, infatti, troviamo sull’altare della Liturgia Cristiana il Crocefisso o il “Tau” eretto, che evoca e manifesta la presenza del Salvatore, e due candele di cera disposte una a destra ed una a sinistra del Crocefisso, senza queste due candele il Rito Liturgico è senza valore. Queste due candele evocano la presenza del mondo angelico ed in particolare rappresentano simbolicamente la presenza di due Arcangeli: “MICHAEL e GABRIEL” vale a dire rispettivamente l’aspetto “Solare “ e quello “Lunare”. Questi paradigmi diventano viventi sulla pietra d’altare, essa contiene, o meglio ha sempre contenuto nel passato, qualche reliquia di “Santi”.
È per mezzo di queste “Reliquie” che diventa possibile il contatto con la “Città Celeste, mentre inversamente il cranio usato dagli adepti delle “messe nere”, posto su un sudario funebre tra due ceri neri, mette il negromante in contatto con la “Città di Sotto”. Nelle Chiese d’Oriente la pietra d’altare è sostituita da una nappa di lino, chiamata, “Antimension”, essa contiene nel suo centro delle reliquie, anche nel Rito Latino troviamo il “Corporale”, che è simile all’Antimension, entrambi si piegano in “nove quadrati” e sicuramente questi oggetti rituali sono in stretta analogia con il “Quadrato Magico di Saturno”.
L’utilizzazione delle “Reliquie” nella Liturgia Eucaristica, soprattutto nell’ambito orientale, è molto antica, essa è contemporanea della prima “Liturgia” conosciuta: quella detta di Gerusalemme o di S. Giacomo. Sicuramente i primi liturgisti cristiani conoscevano bene il valore delle “Reliquie”, ecco perché hanno usato e accuratamente conservato le reliquie della Passione di Cristo: come i chiodi, la corona di spine, il legno della croce, il Sudario, ecc. I primi cristiani, quasi sicuramente, non erano né farisei, né sadducei, e con ogni probabilità neanche esseni, ma semplicemente un gruppo di persone che erano fuori della stretta osservanza religiosa ebraica. Tra le prime comunità cristiane, pertanto, non assume un particolare ruolo specifico il “tabù del cadavere”, anche se è facile capire che i discepoli del Cristo certamente conoscevano bene la tradizione ebraica sull’uso dello “Habal ha Garbin” o “Spirito delle Ossa”.
Il Vescovo quando celebra la Messa Pontificale deve, necessariamente, accendere tre candele di cera, che devono essere poste a formare un triangolo di luci, al centro di questo deve essere posto il Crocifisso, tutto questo rispetta perfettamente i canoni della tradizione teurgica dell’evocazione. Purtroppo ai nostri giorni queste conoscenze sono andate quasi completamente perdute, finiscono così gli “Arcani” per le chiese moderne. Il terzo cero evoca ritualmente la “presenza” dell’Apostolo da cui discende per successione diretta ed ininterrotta il Vescovo celebrante. È risaputo, infatti, che ogni filiazione o “successione” apostolica deve necessariamente risalire ad uno dei dodici Apostoli, perciò le chiese tradizionali hanno sempre prestato la massima attenzione nell’aggiornare le proprie filiazioni e quelle dei loro concorrenti. Stanislao de Guaita chiama “Iona” questa terza fiamma che è la “Comunione dei Santi”, la presenza invisibile del coro degli “Ishim” della tradizione kabalistica. Per costatare la realtà del mistero eucaristico, alcuni ricercatori assistettero a solenni Messe nei giorni di Natale e Pasqua, e giunto il momento in cui l’officiante elevava l’Ostia ed il Calice, essi si posero in precisi punti dell’asse della navata centrale ed esposero, alle “Specie Eucaristiche”, una sfera di cristallo, classico strumento di veggenza e potente condensatore psichico, che era stata immersa per tutta la notte precedente in acqua limpida e corrente affinché si ripulisse da ogni traccia ed irradiazione precedentemente accumulata.
Dopo l’elevazione essi riposero la sfera di cristallo in un isolante drappo quadrato di seta nera, dopo la sottoposero all’esame di sicuri e provati veggenti i quali videro ruotare la sfera di cristallo con fulgidi bagliori di rosso rubino, tale fenomeno nell’arco di dodici ore si attenuava e infine spariva del tutto. Lo stesso fenomeno non accadde esponendo la sfera di cristallo senza l’elevazione delle “Specie Eucaristiche”, questa è una dimostrazione, seppure su un piano molto “materialistico”, che l’Eucarestia non è un semplice memoriale dei cristiani. La “Presenza reale” era una cosa certa per i primi Dottori della Riforma, ma successivamente, a causa della loro maggioranza nei Sinodi, la direzione delle Chiese passò in mano a persone che non conoscevano, nel giusto modo, questi Arcani; per questo si perse a poco a poco la conoscenza di quel formidabile segreto che Dio volle confidare all’uomo. I Pastori delle Chiese Cristiane senza la “successione Apostolica”, come la Chiesa Protestante, non diedero ovviamente importanza a tutto questo, anche perché loro non possiedono la trasmissione dei “Poteri Sacramentali”, sono solo le Chiese: Orientale ed Occidentale, che detenendo questa “successione” unita al misterioso “Potere della Trasmutazione” possono ancora far perdurare, seppure non più nella loro totalità, questi grandi “Arcani”, che tutte le “Civiltà Tradizionali” hanno espresso nelle loro “Cosmogonie”.
Credo di non errare se accosto questo potere di “Trasmutazione” alla vera “Pietra Filosofale” della più pura “Alchimia Spirituale”. Nel Rito Eucaristico, l’Acqua, simbolo del Mercurio dei “Saggi” e della Chiesa, si unisce nel Calice, simbolo ed immagine del “Crogiolo”, al Vino che simboleggia il “Solfo dei Saggi” e del Cristo. A questa “Unione Mistica” del “Sole Filosofico”: il Vino e della “Luna Filosofica”: l’Acqua, a queste particolari “nozze” dello “Sposo Rosso” con la “Sposa Bianca”, secondo il noto Trattato del Ripley, si aggiunge la “Terra Filosofica”, il grano. È la fusione di questi tre aspetti, che costituisce la “Crisopea Spirituale”, per mezzo della quale l’uomo s’identifica con Dio, come nel matraccio, il vile piombo si trasmuta nel nobile oro. Nel concludere quest’excursus sull’Eucaristia, vi leggerò alcuni passi dell’Apocrifo Gnostico del I secolo, dal titolo: “Apocalisse d’Adamo”. Possiamo notare come l’anonimo autore di questo testo faccia compiere a Melchisedek ed a Sem il Rito del sacrificio del “Pane e del Vino”, proprio sulla tomba d’Adamo, come a voler prefigurare l’Antimension della tradizione orientale o quella delle Reliquie di quell’occidentale.

“Allora, Adamo, essendo prossimo alla morte corporale, fece venire a sé Set suo figlio, Enos figlio di Set, Cainan figlio di Enos e Malaleel figlio di Cainan e lasciò loro il suo testamento dicendo: - Ecco il voto che tutti i vostri figli ed i figli dei vostri figli dovranno osservare. Quando io sarò morto, voi imbalsamerete il mio corpo con mirra, incenso e cannella e lo deporrete in una caverna nascosta; quello dei miei figli che sarà in vita, quando dovrà lasciare i dintorni del Paradiso, prenderà la mia spoglia e la deporrà nel punto centrale della Terra, perché da quel luogo più tardi uscirà la mia salvezza e quella di tutti i miei discendenti -, i figli di Adamo fecero come egli aveva prescritto loro. Un giorno l’Angelo dell’Eterno scese presso Sem e Melchisedek ed apparve a loro dopo averne fortificato il cuore, disse allora a Melchisedek: prendi il pane ed il vino che ha Sem, Melchisedek prese quelle cose, come l’Angelo gli aveva detto. Essi restarono presso la tomba d’Adamo fino la sera, allora venne un gran chiarore sopra il corpo del nostro Padre comune, ed essi cantavano colmi di gioia. Quando il sole apparve, la voce del Signore giunse a Melchisedek ed egli udì ciò che essa gli diceva. Alzati e prendi dodici pietre, innalzami un altare e mettici sopra il pane ed il vino che Sem ti ha dato, poi vi comunicherete insieme tu e lui. Melchiesedek si affrettò a fare tutto ciò, e supplicò Dio di gradire le offerte. Lo spirito di Dio scese sulle Ostie del sacrificio e la montagna risplendette allora di una luce santa, allora gli Angeli dissero tra loro: sia lode a Colui che ha creato quelle creature chiamate Uomini e che ha loro rivelato dei Misteri così profondi. Allora il verbo di Dio disse a Melchisedek, apparendogli: ecco, io ti ho fatto prete, Sem e tu vi siete comunicati con il primo sacrificio che tu hai offerto, e come tu hai impiegato dodici pietre per erigere quest’altare, così, quando il tempo sarà venuto, io prenderò dodici Apostoli per le colonne solide del Mondo. Come tu hai offerto il Pane ed il Vino, io offrirò la mia carne ed il mio sangue e farò un Luogo Santo di questo luogo, dove tu hai offerto il primo sacrificio, proprio là dove è sepolto il corpo di Adamo vostro Padre. Accorderò grandi grazie a coloro che vi verranno ....”

Si può osservare da questo racconto il trasparire di un esoterismo d’impostazione gnostica, infatti, secondo la leggenda, Adamo fu sepolto dove più tardi sarà messo a morte il Cristo, quella collinetta vicino alle mura di Gerusalemme chiamata “Golgota”, che in ebraico vuol dire “Cranio”, perché il suo profilo gli è molto rassomigliante. Spero che queste mie riflessioni, volte ad approfondire il significato dell’Eucaristia, contribuiscano a tener viva in ciascuno di noi quella luce interiore che rischiara il profondo del nostro cuore.

Elio Richiardi

Fonte (http://www.zen-it.com/symbol/efcaristo.htm)

Eymerich (POL)
10-05-06, 17:26
Nelle tradizioni orientali si dice che, in una certa epoca, il "Soma"
divenne sconosciuto sicché, nei riti sacrificali, si dovette
sostituirlo con un'altra bevanda che di quel "Soma" primitivo era
soltanto una figura (1); tale ruolo fu svolto principalmente dal vino,
e a ciò si riferisce, presso i Greci, una gran parte della leggenda di
Dioniso (2). Il vino, del resto, è spesso usato per rappresentare la
vera tradizione iniziatica: in ebraico le parole "iain", «vino», e
"sod", «mistero», possono essere sostituite l'una all'altra in quanto
hanno lo stesso valore numerico (3); presso i Sufi, il vino
simboleggia la conoscenza esoterica, la dottrina riservata ai pochi e
che non è adatta a tutti gli uomini, così come non tutti possono bere
impunemente il vino. Risulta da ciò che l'impiego del vino in un rito
gli conferisce un carattere chiaramente iniziatico; tale è
segnatamente il caso del sacrificio «eucaristico» di Melchisedec (4).
Ed è questo il punto essenziale su cui dobbiamo ora soffermarci.
Il nome Melchisedec, o più esattamente "Melki-Tsedeq", di fatto non è
che il nome con cui la funzione stessa del «Re del Mondo» si trova
espressamente designata nella tradizione giudeo-cristiana. Abbiamo un
po' esitato a enunciare questo fatto, che comporta la spiegazione di
uno dei passi più enigmatici della Bibbia ebraica, ma, poiché avevamo
deciso di trattare appunto la questione del «Re del Mondo», non era
davvero possibile passarlo sotto silenzio. Potremmo riportare qui le
parole di san Paolo: «Abbiamo molte cose da dire, a questo proposito,
e cose difficili da spiegare, poiché siete divenuti lenti a capire»
(5).
Ecco innanzitutto il testo del passo biblico: «E "Melki-Tsedeq", re di
"Salem", fece portare del pane e del vino; egli era sacerdote
dell'Altissimo ("El Elion"): E benedisse Abramo (6), dicendo:
Benedetto sia Abramo dall'Altissimo, signore dei Cieli e della Terra;
e benedetto sia l'Altissimo, che ha messo i tuoi nemici nelle tue
mani. E Abramo gli diede le decime di tutto ciò che aveva preso» (7).
"Melki-Tsedeq" è dunque re e sacerdote insieme; il suo nome significa
«re di Giustizia», e nello stesso tempo è re di "Salem", cioè della
«Pace»; ritroviamo dunque qui, innanzitutto, la «Giustizia» e la
«Pace», cioè proprio i due attributi fondamentali del «Re del Mondo».
Bisogna notare che la parola "Salem", contrariamente all'opinione
comune, in realtà non ha mai designato una città, ma che, se la si
prende quale nome simbolico della residenza di "Melki-Tsedeq", può
essere considerata come un equivalente del termine "Agarttha". In ogni
caso è un errore vedere in essa il nome primitivo di Gerusalemme,
perché quel nome era "Jebus"; al contrario, se il nome di Gerusalemme
fu dato a quella città allorché gli Ebrei vi fondarono un centro
spirituale, fu per indicare che da quel momento essa era come
un'immagine visibile della vera "Salem"; bisogna notare che il Tempio
fu edificato da Salomone il cui nome ("Shlomoh"), derivato anch'esso
da "Salem", significa il «Pacifico» (8).
Ed ecco ora in quali termini san Paolo commenta ciò che è detto di
"Melki-Tsedeq": «Questo Melchisedec, re di "Salem", sacerdote
dell'Altissimo, che andò incontro a Abramo quando tornava dall'aver
sconfitto i re, che lo benedisse e al quale Abramo donò la decima di
tutto il bottino; che è innanzitutto, secondo il significato del suo
nome, re di Giustizia, poi re di "Salem", cioè re di Pace; che è senza
padre, senza madre, senza genealogia, la cui vita non ha né principio
né fine, ma che in tal modo è reso simile al Figlio di Dio; questo
Melchisedec rimane sacerdote in perpetuo» (9).
Ora, "Melki-Tsedeq" è rappresentato come superiore ad Abramo, poiché
lo benedice, e «senza possibilità di contraddizione, è l'inferiore che
è benedetto dal superiore» (10); e, da parte sua, Abramo riconosce
tale superiorità poiché gli fa dono delle decime, in segno di
dipendenza. Si tratta dunque di una vera «investitura», quasi nel
senso feudale della parola, con la differenza però che questa è
un'investitura spirituale; e possiamo aggiungere che ci troviamo qui
al punto di congiunzione fra la tradizione ebraica e la grande
tradizione primordiale. La «benedizione» di cui si parla è
propriamente la comunicazione di un «influsso spirituale» al quale
Abramo d'ora in poi parteciperà; e si può osservare che la formula
usata mette Abramo in relazione diretta con l'«Altissimo», che Abramo
stesso invoca in seguito, identificandolo con "Jehovah" (11). Se
"Melki-Tsedeq" è dunque superiore ad Abramo, così è perché
l'«Altissimo» ("Elion"), che è il Dio di "Melki-Tsedeq", è a sua volta
superiore all'«Onnipotente» ("Shaddai"), che è il Dio di Abramo,
ovvero, in altri termini, perché il primo di questi due nomi
rappresenta un aspetto divino più elevato del secondo. D'altra parte,
cosa estremamente importante, e forse mai segnalata finora, "El Elion"
è l'equivalente di "Emmanuel", avendo questi due nomi esattamente lo
stesso valore numerico (12); ciò ricollega direttamente la storia di
"Melki-Tsedeq" a quella dei «Re Magi», di cui abbiamo già spiegato il
significato. Inoltre, vi si può vedere anche quanto segue: il
sacerdozio di "Melki-Tsedeq "è il sacerdozio di "El Elion": dunque, se
"El Elion" è "Emmanuel", questi due sacerdozi sono uno solo, e il
sacerdozio cristiano, che per altro comporta essenzialmente l'offerta
eucaristica del pane e del vino, è veramente «secondo l'ordine di
Melchisedec» (13).
La tradizione giudeo-cristiana distingue due sacerdozi, uno «secondo
l'ordine di Aronne», l'altro «secondo l'ordine di Melchisedec»; e
questo è superiore a quello come Melchisedec è superiore ad Abramo,
dal quale è uscita la tribù di Levi e, di conseguenza, la famiglia di
Aronne (14). Tale superiorità è decisamente affermata da san Paolo,
che dice: «Levi stesso, che prende le decime [dal popolo di Israele],
le ha pagate, per così dire, per mezzo di Abramo (15). Non vogliamo
dilungarci ulteriormente sul significato di questi due sacerdozi; ma
citeremo ancora le parole di san Paolo: «Qui [nel sacerdozio levitico]
vi sono uomini mortali che prendono le decime; ma là vi è un uomo di
cui è attestato che è vivente» (16). Tale «uomo vivente», che è
"Melki-Tsedeq", è "Manu" il quale sussiste in effetti «in perpetuo»
(in ebraico "le-“lam"), cioè per tutta la durata del suo ciclo
("Manvantara") o del mondo che in particolare governa. Per questo egli
è «senza genealogia», poiché la sua origine «non è umana», essendo
egli stesso il prototipo dell'uomo; ed è realmente «fatto simile al
Figlio di Dio», poiché, attraverso la Legge che formula, egli è, per
questo mondo, l'espressione e l'immagine del Verbo divino (17).
Si possono fare altre osservazioni, e prima di tutto questa: nella
storia dei «Re Magi» noi vediamo tre personaggi distinti, che sono i
tre capi della gerarchia iniziatica; in quella di "Melki-Tsedeq" ne
vediamo uno solo, che però unisce in sé aspetti corrispondenti alle
medesime tre funzioni. E' così che taluni hanno potuto distinguere
"Adoni-Tsedeq", il «Signore di Giustizia», che si sdoppia in qualche
modo in "Kohen-Tsedeq", il «Sacerdote di Giustizia» e "Melki-Tsedeq",
il «Re di Giustizia»; questi tre aspetti possono di fatto essere
considerati come riferentisi rispettivamente alle funzioni del
"Brahƒtmƒ", del "Mahƒtmƒ" e del "Mahƒnga" (18). Benché il nome "Melki-
Tsedeq" designi propriamente solo il terzo aspetto, il suo significato
generalmente si estende all'insieme dei tre, quindi, se è usato a
preferenza degli altri, ciò avviene perché la funzione che esprime è
la più vicina al mondo esterno, dunque quella che è manifestata nel
modo più immediato. Del resto, si può notare che l'espressione «Re del
Mondo», come quella di «Re di Giustizia», allude direttamente solo al
potere regale; e, d'altra parte, si ritrova anche in India la
designazione di "Dharma-Rƒja", che è letteralmente equivalente a
quella di "Melki-Tsedeq" (19).
Considerando il nome di "Melki-Tsedeq" nel suo significato più
rigoroso, gli attributi propri del «Re di Giustizia» sono la bilancia
e la spada; e tali appunto sono gli attributi di "Mikael", considerato
come l'«Angelo del Giudizio» (20). Nell'ordine sociale, questi due
emblemi rappresentano rispettivamente le due funzioni, amministrativa
e militare, proprie degli "Kshatriya", funzioni che sono i due
elementi costitutivi del potere regale. Sono anche, geroglificamente,
i due caratteri che formano la radice ebraica e araba "Haq", la quale
significa al tempo stesso «Giustizia» e «Verità» (21) ed è servita,
presso vari popoli antichi, a designare appunto la regalità (22).
"Haq" è la potenza che fa regnare la Giustizia, cioè l'equilibrio
simboleggiato dalla bilancia, mentre la potenza stessa è simboleggiata
dalla spada (23). ed è proprio questo che caratterizza il ruolo
essenziale del potere regale; d'altra parte, nell'ordine spirituale, è
anche la forza della Verità. Bisogna aggiungere poi che esiste una
forma attenuata della radice "Haq", ottenuta sostituendo il segno
della forza spirituale a quello della forza materiale; tale forma
"Hak" designa propriamente la «Sapienza» (in ebraico "Hokmah"), sicché
essa si addice particolarmente all'autorità sacerdotale, come l'altra
al potere regale. Ciò è confermato anche dal fatto che le due forme
corrispondenti si ritrovano, con significati similari, nel caso della
radice "kan", la quale, in lingue molto diverse, significa «potere» o
«potenza» e anche «conoscenza» (24): "kan" è soprattutto il potere
spirituale o intellettuale, identico alla Sapienza (da cui "Kohen", a
sacerdote» in ebraico), e "qan" è il potere materiale (da cui parole
diverse che esprimono l'idea di «possesso» e, particolarmente, il nome
di "Qain") (25). Queste radici e i loro derivati potrebbero senza
dubbio dar luogo a molte altre considerazioni; ma noi dobbiamo
limitarci a ciò che riguarda direttamente l'argomento del presente
studio.
Per completare il discorso, citeremo quel che la Cabbala ebraica dice
della "Shekinah": essa è rappresentata nel «mondo inferiore»
dall'ultima delle dieci "Sephiroth", chiamata "Malkuth", cioè il
«Regno», designazione abbastanza interessante dal nostro attuale punto
di vista. Ma è ancor più rilevante che, fra i sinonimi dati talora a
"Malkuth", si trovi "Tsedeq", il «Giusto» (26). L'accostamento di
"Malkuth" e di "Tsedeq", ossia della Regalità (il governo del Mondo) e
della Giustizia, si ritrova nel nome di "Melki-Tsedeq". Si tratta qui
della Giustizia distributiva e propriamente equilibratrice, nella
«colonna di mezzo» dell'albero sephirotico, che va distinta dalla
Giustizia opposta alla Misericordia e identificata col Rigore, nella
«colonna di sinistra», perché si tratta di due aspetti diversi (e del
resto in ebraico vi sono due parole per designarli: la prima è
"Tsedaqah" e la seconda è "Din"). Di questi due aspetti, il primo è la
Giustizia nel senso più stretto e più completo insieme, implicante
essenzialmente l'idea di equilibrio e di armonia, e legata
indissolubilmente alla Pace.
"Malkuth" è a il serbatoio in cui si riuniscono le acque che vengono
dal fiume che sta in alto, cioè tutte le emanazioni (grazie o influssi
spirituali) che essa poi diffonde in abbondanza» (27). Tale «fiume che
sta in alto» e le acque che ne discendono ricordano stranamente il
ruolo attribuito al fiume celeste "Gangƒ" nella tradizione indù: e si
potrebbe anche osservare che la "Shakti", di cui "Gangƒ" è un aspetto,
presenta indubbiamente alcune analogie con la "Shekinah", se non altro
per quanto riguarda la funzione «provvidenziale» che è loro comune. Il
serbatoio delle acque celesti è naturalmente identico al centro
spirituale del nostro mondo: da lì partono i quattro fiumi del
"Pardes", dirigendosi verso i quattro punti cardinali. Per gli Ebrei,
questo centro spirituale si identifica con la collina di Sion alla
quale dànno l'appellativo di «Cuore del Mondo», comune per altro a
tutte le a Terre Sante». Essa diventa così, per loro, in certo modo,
l'equivalente del "Mˆru" degli Indù o dell'"Alborj" dei Persiani (28).
«Il Tabernacolo della Santità" di Jehovah, la residenza della
"Shekinah", è il Santo dei Santi che è il cuore del Tempio, il quale è
esso stesso il centro di Sion (Gerusalemme), come la santa Sion è il
centro della Terra d'Israele, come la Terra d'Israele è il centro del
mondo» (29). Ma ci possiamo spingere ancora oltre: non solo tutto ciò
che è enumerato qui, prendendolo nell'ordine inverso, ma anche, dopo
il Tabernacolo nel Tempio, l'Arca dell'Alleanza nel Tabernacolo e,
sull'Arca dell'Alleanza, il luogo dove si manifesta la "Shekinah" (fra
i due "Kerubim"), rappresentano altrettante approssimazioni successive
al «Polo spirituale».
In modo analogo Dante presenta proprio Gerusalemme quale «Polo
spirituale», come abbiamo avuto occasione di spiegare in altra sede
(30); ma, se appena si esce dal punto di vista propriamente giudaico,
ciò diviene soprattutto simbolico e non costituisce più una
localizzazione in senso stretto. Tutti i centri spirituali secondari,
costituiti in vista di adattamenti della tradizione primordiale a
condizioni determinate, sono, come già abbiamo mostrato, immagini del
centro supremo; Sion, in realtà, potrebbe non essere altro che uno di
questi centri secondari e tuttavia identificarsi simbolicamente col
centro supremo in virtù di tale similitudine. Come indica il suo nome,
Gerusalemme è effettivamente un'immagine della vera "Salem"; ciò che
abbiamo detto e che ancora diremo della «Terra Santa», la quale non è
soltanto la Terra d'Israele, permetterà di capirlo senza difficoltà.
A questo proposito è assai significativa, quale sinonimo di «Terra
Santa», l'espressione «Terra dei Viventi»: tale espressione designa
chiaramente il «soggiorno d'immortalità», sicché, nel suo significato
più vero, può essere attribuita al Paradiso Terrestre o ai suoi
equivalenti simbolici; ma tale appellativo è stato esteso anche alle
«Terre Sante» secondarie, e in particolare alla Terra d'Israele. Si
dice che la «Terra dei Viventi comprende sette terre», e, secondo il
Vulliaud, «questa terra è Chanaan, dove si trovavano sette popoli»
(31). Questo è indubbiamente esatto in senso letterale; ma,
simbolicamente, queste terre potrebbero benissimo corrispondere, come
d'altronde quelle di cui si parla nella tradizione islamica, ai sette
"dwŒpa" che, secondo la tradizione indù, hanno il "Meru" come centro
comune. Ma di essi torneremo a parlare più avanti. Parimenti, quando i
mondi antichi o le creazioni anteriori alla nostra sono raffigurati
mediante i «sette re di Edom» (il numero settenario è qui in rapporto
con i sette «giorni» del "Genesi"), vi è una rassomiglianza, troppo
evidente per essere casuale, con le ere dei sette "Manu" contate
dall'inizio del "Kalpa" fino all'epoca attuale (32).

N. 1. Secondo la tradizione dei Persiani, vi furono due specie di
"Haoma": quello bianco, che poteva essere raccolto soltanto sulla
«Montagna sacra», da essi chiamata "Alborj", e quello giallo, che
sostituì il primo dopo che gli antenati degli Iraniani ebbero
abbandonato il loro habitat primitivo, ma che poi, a sua volta, andò
perduto. Si tratta di due fasi successive dell'oscuramento spirituale
che avviene gradualmente attraverso le varie età del ciclo umano.
N. 2. Dioniso o Bacco ha molti nomi, corrispondenti ad altrettanti
aspetti diversi; sotto almeno uno di questi aspetti la tradizione lo
fa venire dall'India. Il racconto secondo cui egli nacque dalla coscia
di Zeus poggia su una assimilazione verbale estremamente curiosa: la
parola greca "mˆros", «coscia» è stata sostituita al nome del "Mˆru",
la «montagna polare» al quale foneticamente è quasi identica. N. 3. Il
numero di ciascuna di queste due parole è 70.
N. 4. Il sacrificio di Melchisedec è abitualmente considerato come una
«prefigurazione» dell'Eucarestia; e il sacerdozio cristiano si
identifica così col sacerdozio stesso di Melchisedec, applicando a
Cristo le seguenti parole dei Salmi: «Tu es sacerdos in aeternum
secundum ordinem Melchisedec» (Salmi, CX, 4).
N. 5. "Epistola agli ebrei", V, 11.
N. 6. Il nome "Abram" non era ancora stato cambiato in "Abraham";
nello stesso tempo (Genesi, XVII), il nome della sua sposa, "Sarai",
fu cambiato in "Sarah", in modo che la somma dei numeri di questi due
nomi rimase la stessa.
N. 7. Genesi, XIV, 19-20.
N. 8. Va anche notato che la stessa radice si ritrova nelle parole
"Islam" e "moslem" (musulmano); la «sottomissione alla Volontà divina»
(che è il senso proprio della parola "Islam") è la condizione
necessaria della «Pace»; l'idea qui espressa deve essere accostata a
quella del "Dharma" indù.
N. 9. "Epistola agli Ebrei", VII, 1-3.
N. 10. Ib., VII, 7.
N. 11 . Genesi, XIV, 22.
N. 12. Il numero di ciascuno di questi nomi è 197.
N. 13. Questa è la giustificazione completa dell'identità che abbiamo
indicato sopra; si badi però che la partecipazione alla tradizione può
non essere sempre cosciente; in tal caso essa tuttavia non è meno
reale, come mezzo di trasmissione degli «influssi spirituali», ma non
implica però l'accesso effettivo a un qualche rango della gerarchia
iniziatica.
N. 14. Sulla base di quanto precede, si può dire che tale superiorità
corrisponde a quella della Nuova Alleanza sull'Antica Legge ("Epistola
agli Ebrei", VII, 22). Sarebbe opportuno spiegare perché Cristo è nato
dalla tribù regale di Giuda e non dalla tribù sacerdotale di Levi (si
veda ib., VII, 11-17); ma tali considerazioni ci porterebbero troppo
lontano. - L'organizzazione delle dodici tribù, discendenti dai dodici
figli di Giacobbe, si ricollega naturalmente alla costituzione
duodenaria dei centri spirituali.
N. 15. "Epistola agli Ebrei", VII, 8.
N. 16. Ib., VII, 8.
N. 17. Nella "Pistis Sophia" degli Gnostici alessandrini, Melchisedec
è qualificato come «Grande Ricevitore della Luce eterna»; ciò si
addice alla funzione di "Manu", che riceve infatti la Luce
intelligibile mediante un raggio direttamente emanato dal Principio,
per rifletterla nel mondo che è il suo regno; perciò "Manu" è detto
«figlio del Sole».
N. 18. Esistono anche altre tradizioni relative a "Melki-Tsedeq";
secondo una di queste, egli sarebbe stato consacrato nel Paradiso
terrestre dall'Angelo "Mikael", all'età di 52 anni. Il numero
simbolico 52, d'altra parte, ha un ruolo molto importante nella
tradizione indù, dove è considerato come il numero totale dei
significati inclusi nel Veda; si dice inoltre che a tali significati
corrispondano altrettante pronunce diverse del monosillabo "Om".
N. 19. Il nome o piuttosto il titolo di "Dharma-Rƒja" è attribuito,
nel "Mahƒbhƒrata", a "Yudhishthira"; ma dapprima fu attribuito a
"Yama", il «Giudice dei morti», che è in stretto rapporto con "Manu",
come già abbiamo osservato.
N. 20. Nell'iconografia cristiana, l'angelo "Mikael" è raffigurato con
questi due attributi nelle rappresentazioni del «Giudizio universale».
N. 21. Parimenti, presso gli antichi Egizi, "Mƒ" o "Maƒt" era nello
stesso tempo la «Giustizia» e la «Verità»; la si vede raffigurata in
uno dei piatti della bilancia del Giudizio, mentre nell'altro sta un
vaso, geroglifico del cuore. - In ebraico, "hoq" significa «decreto»
(Salmi, II, 7).
N. 22. La parola "Haq" ha per valore numerico 108, che è uno dei
numeri ciclici fondamentali. - In India il rosario shivaita è composto
di 108 grani; e, nel suo significato primo, il rosario simboleggia la
«catena dei mondi», cioè il concatenarsi causale dei cicli o degli
stati d'esistenza.
N. 23. Tale significato potrebbe riassumersi in questa formula: «la
forza al servizio del diritto», se i moderni non avessero troppo
abusato di tale formula prendendola in un senso del tutto esteriore.
N. 24. Si veda "L'Esotérisme de Dante", 1957(4), p. 58.
N. 25. La parola "Khan", titolo dato ai capi dei popoli dell'Asia
centrale, si ricollega forse alla medesima radice.
N. 26. "Tsedeq" è anche il nome del pianeta Giove, il cui angelo è
chiamato "Tsadqiel-Melek"; la somiglianza col nome di "Melki-Tsedeq"
(cui è soltanto aggiunto "El", il nome divino che forma la desinenza
comune a tutti i nomi angelici) è troppo evidente per insistervi. In
India, il medesimo pianeta porta il nome di "Brihaspati", che ha
anch'esso il significato di «Pontefice Celeste». Altro sinonimo di
"Malkuth" è "Sabbath", il cui significato di «riposo» si riferisce
evidentemente all'idea della «Pace», tanto più che tale idea esprime,
come abbiamo già visto, l'aspetto esterno della "Shekinah", mediante
il quale essa comunica al «mondo inferiore».
N. 27. P. Vulliaud, "La Kabbale juive", I, p. 509.
N. 28. Presso i Samaritani, il nome "Garizim" ha il medesimo ruolo e
gli vengono dati gli stessi appellativi: è la «Montagna benedetta», la
«Collina eterna», il «Monte del Retaggio», la «Casa di Dio» e il
Tabernacolo dei suoi Angeli, la dimora della "Shekinah"; è anche
identificato con la «Montagna primordiale» ("Har Qadim") dove era
l'"Eden" e che non fu sommersa dalle acque del diluvio.
N. 29. P. Vulliaud, "La Kabbale juive", I, p. 509.
N. 30. "L'Esotérisme de Dante", 1957(4), p. 64.
N. 31. P. Vulliaud, "La Kabbale juive", II, p. 116.
32. Un "Kalpa" comprende quattordici "Manvantara"; "Vaivaswata", il
presente "Manu", è il settimo di questo "Kalpa", detto "ShrŒ-Shwˆta-
Varƒha-Kalpa" o «Era del Cinghiale bianco». Altra osservazione
curiosa: gli Ebrei dànno a Roma l'appellativo di "Edom"; ora, la
tradizione parla di sette re di Roma, il secondo dei quali, "Numa",
considerato il legislatore della città, porta un nome che è
l'inversione sillabica esatta di "Manu", e può essere anche avvicinato
alla parola greca "nomos", «legge». Si può dunque pensare che i sette
re di Roma altro non siano che una rappresentazione particolare dei
sette "Manu" per una particolare civiltà, come i sette saggi della
Grecia sono, d'altra parte, in condizioni similari, una
rappresentazione dei sette "Rishi" nei quali si sintetizza la saggezza
del ciclo immediatamente anteriore al nostro.

Fonte (René Guénon. IL RE DEL MONDO. Adelphi Edizioni, Milano 1977.)

psynerd
01-12-07, 21:42
Sempre a riguardo del sōma inteso come corpus dei (haoma, ambrosia, amrita etc.), riporto la voce Sōma dall' "Enciclopedia delle Religioni", diretta da M. Eliade, storico rumeno delle religioni; ebbe anche una corrispondenza epistolare con R. Guènon.

SOMA è il nome sanscrito di un dio, di una pianta e dal succo ricavato da quella pianta. Questi referenti rappresentano, individualmente quanto nell'insieme, tre delle più importanti componenti del pensiero e della pratica religiosa dell'India vedia.
Nei primi inni del Rgveda (circa 1200 a.C.) il termine soma è riferito ad una pianta e al suo succo spremuto, che i poeti dell'India antica descrivevano come una bevanda eccitante e persino allucinogena che si diceva portasse salute ed immortalità a coloro che godevano delle sue virtù. Le analisi condotte sui testi rituali e su altri documenti dimostrano che il soma non era un liquido fermentato o distillato, pertanto i suoi effetti alteranti non si possono considerare come il risultato delle virtù inebrianti dell'alcool. Coloro che celebravano i rituali nel periodo vedico veneravano Soma come un dio, onorato come una fonte di potere creativo, e trovavano nelle loro pozioni di estratto di soma, il somapavamana, l'ispirazione per le immagini visionarie testimoniate in molti degli inni sacri vedici. L'intero Samaveda, una raccolta di canti rituali, è dedicato a Soma, e meravigliose invocazioni a lui dirette arricchiscono i versi del Rgveda di vivide descrizioni dell'estasi cinetica. Secondo il Rgveda, la dimora originaria della pianta di soma è in paradiso, ma un'aquila mitologica, capace di volare molto in alto, ne ha portato un po' sulla terra, dove ha attecchito in alta montagna. Lì venne raccolta dai sacerdoti vedici, che schiacciarono poi la pianta con delle pietre in una ciotola di legno, filtrarono il succo derivato con dei tessuti di lana e cosparsero il liquido con del burro chiarificato. Gli storici hanno usato il termine rituale del soma per comprendere un ampio numero di riti vedici solenni di differente complessità, alcuni dei quali celebrati secondo "stadi" (sattra) successivi che potevano durare anche più di dodici giorni. I più importanti tra questi riti sono la consacrazione del re (rajasuya), il sacrificio del cavallo (asvamedha), il rito della 'bevanda di piacere' (vajapeya), e i vari riti di passaggio basati sulla cerimonia del fuoco, l'agnistoma. Durante questi rituali, i sacerdoti versavano l'estratto di soma nel fuoco rituale, facendolo salire al cielo con il fumo ed inviandolo quindi agli dei che accoglievano con entusiasmo i suoi effetti. Incoraggiati e rinvigoriti dal soma, gli dei (più spesso Indra, una divinità uranica guerriera) trovavano allora la forza ed il coraggio per ingaggiare le battaglie cosmiche contro il potere dei demoni e degli altri nemici della comunità vedica. Dopo aver compiaciuto gli dei con le offerte di soma, i sacerdoti-poeti, a loro volta, assumevano la bevanda con risultati strordinari. Ispirati dal soma, per esempio, "i ciechi riescono a vedere e gli storpi camminano" (Rgveda 8,79,2). L'estasi provata da coloro che hanno bevuto il soma è comune: "Io, con il mio immenso potere, ho superato il cielo e questa immensa terra", esclama un visionario. "Io sono grande! Potente! Capace di volare fino al cielo! Non ho forse bevuto il soma?" (Rgveda 10,119,8;12). "Abbiamo bevuto il soma e siamo diventati immortali! Siamo arrivati alal luce e abbiamo trovato gli dei! Cosa ci può fare ora l'odio e la cattiveria di un mortale?", dice un altro. "Le magnifiche gocce che ho sorseggiato mi hanno reso libero" (Rgveda 8,48,3;5).
Ricerche condotte recentemente hanno suggerito che l'estratto di soma potrebbe essere l'essenza purificata del fungo Amanita Muscaria, ma questa conclusione non ha incontrato il consenso generale. Diverse prove indicano le origini eurasiatiche di questa pratica vedica indiana dell'estasi rituale ottenuta attraverso l'assunzione dell'estratto allucinogeno di tale pianta. Dati linguistici dimostrano che le culture degli Urali erano a conoscenza di un fungo allucinogeno già nel 6000 a.C. Le mitologie religiose indoeuropee includono concetti come l'avestico haoma (il termine usato dagli zoroastriani per indicare la bevanda rituale dell'immortalità, al quale la parola soma è etimologicamente e mitologicamente collegata) e il greco ambrosia o nettare. Inoltre, miti cinesi più recenti includono descrizioni del lingzi, il fungo dell'immortalità. Questi temi mitici hanno portato alcuni storici a credere che l'individuazione di una pianta importante era frequente nel mondo antico lungo gli itinerari nei quali avvenivano gli scambi culturali. L'analisi di testi religiosi vedici recenti induce a pensare che intorno al 1000 a.C. la pianta di soma fosse sostituita nei riti con altri surrogati. Questo porta a pensare che, nel corso della storia, l'estratto originario del soma non fosse più a disposizione di quelle popolazioni indoeuropee orientali che, nel III e II millennio a.C., si erano trasferite dalle steppe e dalle montagne boscose dell'Eurasia verso le pianure e le valli attraversate dai fiumi dell'Asia sudoccidentale e meridionale e che, di conseguenza, non fosse più disponibile per la comunità rituale vedica. Le comunità religiose del periodo postvedico diedero maggiore importanza ad altri mezzi (come la meditazione o la devozione verso un dio personale) per ottenere l'esperienza dell'immortalità e dell'estasi.

fonte: Enciclopedia delle Religioni (Mircea Eliade) Volume 9: Induismo.

Eymerich (POL)
02-12-07, 14:52
L'articolo è interessante, anche se alcuni suoi passi possono lasciare adito ad interpretazioni errate: in particolare quando si parla del tentativo di identificare le "sostituzioni" del Soma con l'irreperibilità di certe sostanze vegetali, o dell'identificazione dello stesso (e dei suoi analoghi in altre tradizioni) con sostanze "allucinogene" (creando confusioni deplorevoli fra espressioni, come quelle del Rig Veda, che si riferiscono a stati metafisici, con altre -assenti nei testi tradizionali- tipiche dei fenomeni psichici dissolutori provocati dall'uso di sostanze psicotrope).

Regina di Coppe
29-12-07, 11:06
L'articolo è interessante, anche se alcuni suoi passi possono lasciare adito ad interpretazioni errate

è il rischio che corre chi legge Eliade senza adeguata preparazione.
Infatti avevo già notato il difetto di questo autore in un altro post di POL


in particolare quando si parla del tentativo di identificare le "sostituzioni" del Soma con l'irreperibilità di certe sostanze vegetali, o dell'identificazione dello stesso (e dei suoi analoghi in altre tradizioni) con sostanze "allucinogene"....d'altra parte, c'è chi confonde il Soma o suoi sostituti con certi miscugli [nota di SATTWA: è bene non nominare nemmeno certe deviazioni propriamente sataniche]... :rolleyes:

Khorlo Dèmchok
30-12-07, 18:19
Nel Tantrismo il Soma viene identificato con l'Amrita , la bevanda dell'immortalità prodotta dal "frullamento dell'Oceano" o, altrimenti noto, come lo "sbattimento del mare".

E' necessario pertanto narrare per sommi capi la leggenda tratta dal Vishnu Purana. Ne esistono anche altre varianti nel Ramayana e nel Mahabharata.

Questo mito, "il frullamento dell'Oceano", è passato nel buddhismo indiano ed è stato perciò tradotto anche in tibetano. La lotta tra Deva e Asura intorno "all'Albero che esaudisce tutti i desideri" viene raffigurata nella "Ruota della Vita".


Il racconto inizia con i Deva che, indeboliti dalla lunga guerra di dominio con gli Asura, si rivolsero a Vishnu per supplicarlo affinchè li aiutasse a diventare immortali.
Vishnu li consigliò di stringere un' alleanza fra di loro con lo scopo di estrarre l'Amrita, la bevanda dell'immortalità, dall'Oceano.
Brahma e Vasuki (il Re dei Naga) vennero in aiuto ai Deva ed agli Asura per capovolgere il monte Mandara, mettendo la cima del monte sul guscio di Akupara, la Tartaruga Gigante (avatar di Vishnu) e tenuto fermo da Brahma, mentre Vasuki, il Grande Serpente, si arrotolò intorno al monte come se fosse una corda intorno ad un bastone (asse del mondo o meglio, monte polare) e tirato da una parte e dall'altra dai Deva e dagli Asura. Con questo movimento i Deva e gli Asura cominciarono a sbattere il mare, la materia primordiale, che si trasformò in latte, il quale si trasformò in burro ed iniziarono così a manifestarsi sulla superficie dell'Oceano oggetti straordinari ed esseri meravigliosi. Per ultimo apparve Dhanvantari, il medico celeste, con in mano Kumbha, il Vaso Sacro contenente la "bevanda dell'immortalità", l'Amrita. Appena lo videro, gli Asura si impadronirono del Vaso prima che intervenissero i Deva. Allora Vishnu assunse le sembianze della bellissima Mohini e mentre gli Asura ne erano soggiogati, i Deva presero possesso di Kumbha. Gli Asura infuriati si rifugiarono nel mare ai piedi del monte Meru (stati inferiori), mentre i Deva guadagnarono le dimore celesti (stati superiori).



Nel buddhismo vi è il Buddha Amitayus (Vita Infinita) di colore rosso che ha in mano il "Vaso della Vita" ricolmo di Amrita. Nei rituali e nelle iniziazioni di Amitayus, l'Amrita viene reso visibile o "sostituito" da una bevanda alcolica (con la "pillola di lunga vita") e ne vengono donate alcune gocce ai praticanti dello yoga del Buddha Amitayus.


KD