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Visualizza Versione Completa : "Cambiare pelle".



Eymerich (POL)
09-05-06, 01:52
Il simbolismo dello scorticamento indica la liberazione di un essere, vittima di un "incantesimo", dalla forma sotto la quale è dissimulato: così, l'individuo autentico esce dalla pelle sotto la quale era nascosto.

Ad esempio, nel sacrificio Indù il fine è quello di far sorgere dall'individuo vecchio quello nuovo, il sè reale del sacrificante, atto paragonato al gesto di estrarre una freccia dalla faretra o un serpente dalla sua pelle. Apala (Psiche), consorte di Indra, è tagliata a pezzi tre volte, ed alla fine appare con una "pelle solare", cioè un corpo di gloria.

In un Sacrificio è sempre una vittima consenziente che impone a se stessa la "passione", e allo stesso tempo è vittima innocente di una passione che le viene imposta ingiustamente; sono due modi diversi di considerare un solo e medesimo "accadimento". Si ricordi, fra i tanti, il caso esemplare del Sacrificio del Cristo, ed il "dimezzamento" di Vritra, del quale si dice sia che "Indra lo taglia in due", sia che "Si taglia in due da se stesso".

Per ritornare al riferimento al "corpo di gloria", come non ricordare il simbolismo delle "tuniche di pelle" in autori quali Proclo, Filone d'Alessandria o Gregorio Nisseno, i quali contengono espliciti riferimenti alla "nudità primordiale" ed ai "vestiti di pelle" indossati da Adamo dopo la caduta e dei quali bisogna spogliarsi per far nascere "l'uomo nuovo", per reintegrarsi cioè nello Stato Primordiale. Anche nelle Metamorfosi di Apuleio il protagonista, trasformato in asino, si spoglia delle sue fattezze animali, delle pelle asinina e riprende sembianze umane, reintegrando l'essere umano autentico grazie ai riti di iniziazione ed alla partecipazione ai sacri misteri.

Analoghe realtà sono adombrate nel mito delle "donne-foche" della tradizione gaelica, che si spogliano della loro pelliccia ed appaiono sotto forma di belle fanciulle; solo il matrimoni con un essere umano rende permanente questo disincanto temporaneo. Nel matrimonio fra un essere femmineo ed uno maschile, uno ambivalente ed uno chiaramente determinato, uno mutevole ed uno stabile è chiaro il riferimento alle nozze di Psiche con Amore, dell'Anima con lo Spirito, della Bella del Cantico dei Cantici con il suo Sposo. Ed è ciò che accade a coloro che, nel senso "paolino", rinascono. Si può anche riconoscere questo tema nel vastra-harana (furto degli abiti), quando Krishna sottrae le vesti delle gopi che, come le donne-foche e le vergini-cigni, fanno il bagno nude.

Eymerich (POL)
09-05-06, 13:22
Platone nell'Eutidemo (285) fa un paragone fa lo scorticamento e le rinascita nel bene:

"E Ctesippo: «Anch'io, Socrate», disse, «sono pronto a offrirmi agli stranieri, anche se vogliono scorticarmi ancor più di quanto mi scorticano ora, purché la mia pelle non finisca in un otre, come quella di Marsia, ma nella virtù."

Il riferimento a Marsia è presente anche nella Divina Commedia:

"Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue."

Il "trarre dalla vagina" ricorda per l'appunto una rinascita; l'equivalenza simbolica fra la vagina, la faretra ed il fodero della spada (cfr. Isidoro, Etymologiae, XVIII, IX) rimanda ancora al mito indù cui avevamo accennato. L'invocazione ad Apollo richiama ancora la necessità dell'intervento del principio attivo solare nel processo di scorticamento/rinascita. Processo che parte dal cuore ("entra nel petto mio"), centro dell'essere umano. E' significativo il fatto che questo riferimento allo scorticamento/rinascita si trovi proprio nel primo canto del Paradiso, che segna l'accesso ai "mondi superiori".


Molto significativo è anche il riferimento di Macrobio nei Saturnalia (I, 20, 2), dove si fa un paragone esplicito fra il rinnovamento del sole e la muta del serpente/dragone:

"Ideo ergo simulachris eorum iunguntur figurae draconum, quia praestant ut humana corpora velut infirmitatis pelle deposita ad pristinum revirescant vigorem, ut revirescunt dracones per annos singulos pelle senectutis exuta: propterea et ad ipsum solem species draconis refertur, quia sol semper velut a quadam imae depressionis senecta in altitudinem suam ut in robur revertitur iuventutis."

Eymerich (POL)
14-09-07, 17:45
Di significato analogo alle donne-foche o alle vergini-cigni c'è la tradizione delle donne-serpente. In essa è sempre presente il tema di un elemento femminile che si presenta alternativamente sotto due aspetti (di donna e di serpente, o a volte di donna e di drago). Il tema del "cambiamento di pelle" è qui evidenziato due volte: una volta dal passaggio fra uno stato e l'altro (passare da serpe a donna o viceversa, è come cambiare pelle) ed un'altra dalla presenza della serpe che richiama il simbolo della "muta del serpente".
Nella maggior parte dei casi la donna è vittima di un incantesimo dal quale può essere liberata solo tramite l'intervento di un principio maschile (in genere colui che la sposa), ma non sempre si narra di un successo. Spesso la donna fugge via strisciando in forma di serpe o volando in forma di drago, perchè l'uomo non ha compiuto determinate azioni o non si è astenuto dal compierne altre.

Particolarmente significativa a questo riguardo ci pare "La Fabula del Pistello dell'Agliata", riassunta da L. Valli in appendice al suo "Il Linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore". La "favola" presenta un particolare interesse per via della presenza oltre che del tema della donna-serpente, anche di quello vecchia-fanciulla sovrapposto ad essa. Riportiamo qui di seguito per intero il riassunto che ne fa il Valli, compresi i suoi commenti da prendersi cum grano salis.


Nella prima pagina il manoscritto porta la figura di una sibilla che con un piede tiene chiuso un libro (il libro del significato ermetico) mentre con la mano ne mostra aperto un altro (quello del significato apparente). L'autore comincia con la sua «fabula» così:


Io non posso narrar la mia sciagura,
ché son per gioco alla fortuna dato:
però vengo a contarvi una ventura,
la qual sol' ebbi da poi che son nato.

Poi narra come sia andato per cercare un luogo «che de fortuna non fusse in possanza». (Fortuna, sempre contrapposta dai «Fedeli d'Amore», ad Amore e Intelletto). Egli va per lochi aspri e selvaggi. Trova una vecchia scapigliata e nuda (è la dottrina della verità che si dissimula in luoghi selvaggi sotto aspetto strano). La vecchia si offre d'accompagnarlo, lo guida attraverso oscuri cammini in un luogo dove si va difficilmente «pian pian che al fondo arriva poca gente», lo conduce in un antro, gli dà da mangiare col servizio di gente invisibile, lo porta a giacere con sé, ma a letto la donna, dice il poeta, mi parve altramente. Essi dimorano insieme in un piccolo piano rigato da quattro fonti, dolcissimo. Vi è una casa brutta di fuori ma dentro bellissima e ornata. La vecchia per avere uno che la serva, mette dei panni indosso al pestello dell'agliata e insegna al giovane delle parole che trasformano il pestello in un famiglio, ma accade il solito guaio del folletto evocato e non dominato, che darà poi materia di poesia anche a Goethe. L'autore dice al folletto di andare a prendere l'acqua e quello ne porta tanta e tanta e di continuo, sì da allagare la casa senza che l'inesperto incantatore possa fermarlo.

L'autore è rimasto alcun tempo con diletto insieme alla donna perché «fortuna nol sapeva», altrimenti si sarebbe opposta. Con diletto perché la vecchia, che di giorno appariva orribile, di notte era invece «giovin bella, gagliarda et ben facta». Ma il giovane di notte non la può vedere quantunque ne goda (è il rovesciamento della situazione che si ha nella favola mistica e iniziatica di Psiche). Alle preghiere del giovane la donna risponde: «A tempo me vedrai». (L'iniziato non deve pretendere d'avere prima del tempo la conoscenza intera della verità nascosta della quale pur gode). Essa racconta però la sua storia, che è proprio la storia della dottrina della Santa Sapienza affidata a un sacerdozio corrotto (maritata a un cattivo vecchio) che ne è geloso, che ha sospetto di un pastore (il vero pastore di anime, quello riconosciuto dalla setta segreta) e che per questo con arti negromantiche l'ha tramutata in aspetto di vecchia quantunque sia giovane (ha costretto la Vera Sapienza a dissimularsi sotto aspetti inferiori). Non può essere vista tutta se non da chi sia stato con lei quattro anni (da chi abbia percorso i quattro gradi).

Ma il giovane innamorato è impaziente di vederla, e al solito, accende un lume di notte. La contempla, la vede bellissima, ne ammira il corpo meraviglioso, ma ella si desta e immediatamente si trasforma in serpe e fugge.


[Tratto da L. Valli, Il Linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore, ed. Luni, pp.681-682]

SATTWA
15-09-07, 10:28
«La parola «conversione» può venire intesa in due sensi totalmente diversi: il suo significato originario è quello che la fa corrispondere al termine greco metanoia, termine che esprime propriamente un cambiamento di nous, o, com’è stato detto da A.K.Coomaraswamy, una «metamorfosi intellettuale». Tale trasformazione interiore, come del resto è indicato dall’etimologia stessa della parola latina (da cum-vertere), implica sia un «raduno», o una concentrazione delle potenzialità dell’essere, sia una sorta di «ribaltamento» in virtù del quale quest’essere passa «dal pensiero umano alla comprensione divina». La metanoia, o «conversione», è perciò il passaggio cosciente dalla mente intesa nel suo significato originario e individuale, e concepita come rivolta verso le cose sensibili, a ciò che di quest’ultima è la trasposizione in senso superiore, nel quale la mente si fa uguale all’hēgemōn di Platone o all’antaryāmī della tradizione indù. È evidente come questa sia una fase necessaria nel processo globale dello sviluppo spirituale; si tratta perciò, è il caso di insistere su questo punto, di un fatto di natura puramente interiore, il quale non ha assolutamente nulla in comune con qualsivoglia cambiamento esteriore e contingente, che appartenga cioè semplicemente alla sfera «morale», come troppo spesso si tende a credere oggi (in questo senso si arriva addirittura a tradurre metanoia con «pentimento»), o anche alla sfera religiosa e più genericamente esoterica. [NOTA: Su questo argomento, cfr. A.K. Coomaraswamy: On Being in One’s Right Mind (Review of Religion, numero di novembre, 1942).»

(R. Guénon, Sulle «conversioni», in “Iniziazione e realizzazione spirituale”, pag.79, Luni Editrice)

SATTWA
18-09-07, 11:39
Il rivestimento di una forma, o secondo l’espressione biblica, di una «tunica di pelle» e della sua «trasformazione» è tema di capitale importanza nei Testi Sacri. Riportiamo qui di seguito un breve passaggio tratto dall’opera di A.K. CoomaraswamyLa Dottrina del Sacrificio ove trattando del “volto oscuro dell’Aurora” l’autore riporta un’altra versione della processione delle Aurore, la storia di Apâlâ il cui nome significa «senza protezione», vale a dire donna libera e senza marito. Nell’inno che la riguarda, Indra è il Sole e la fanciulla (kanyâ), che è ostile al suo (antico) marito (patidvishah), pensa: «E se andassimo con Indra, e lo sposassimo?». Segnaliamo solo i raffronti che si potrebbero svolgere secondo un’altra prospettiva con la vicenda dell’incontro tra la Morte e Nachikētas così come è narrata nella Katha Upanishad o sempre sul tema del “cambiare pelle”, nella tradizione cristiana, con il battesimo di S. Paolo («E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista») e la conversione di Santa Caterina d’Alessandria (cfr. la discussione “S.Caterina d’Alessandria” in questo forum). Circa l’ultima considerazione presente nel testo qui riprodotto, sull’abito «immangiabile» e su Sûryâ sposa del Sole, sarebbe invece interessante considerare il passo evangelico Matteo 13, 36-42 («[…]Allora i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro.»). Rimandiamo infine il lettore alla lettura completa dell’opera citata e alle relative note che per la loro ampiezza non ci è permesso qui riprodurre.

«Indra la tira attraverso i tre orifizi (kha) del suo carro (solare) e, purificandola (pûtvî) in questo modo, le dà una «pelle solare» (sûryatvacam). Secondo la leggenda, molto intelligibile, citata da Sâyana, Apâlâ, figlia di Atri, in realtà soffre di una «malattia cutanea» e le tre pelli che Indra le levò diventarono dei rettili. Secondo il Jaiminîya Brāhmana (I, 220), Apâlâ desiderava essere liberata dal suo «malo colore» (pâpam varnam). Dopo le prime due purificazioni, diventa successivamente una lucertola (godhâ) e un camaleonte (krikâlasa), dopo la terza diventa samshvishtikâ (evidentemente «sbiancata»; nella versione dello Shâtyayana Brâhmana si legge samshlishtikā, «che attira le carezze») e la sua forma è definita «la più bella delle forme». Secondo la versione similare del Pañcavimsha Brâhmana (IX, 2, 14), «C’era un’Angirasî chiamata Akûpârâ (letteralm., identica ad «Aditi», «In-finita»). La sua pelle era come quella di una lucertola (cioè rettiliana e squamosa). Indra, avendola purificata tre volte per mezzo del sâman (chiamato akûpârâ), le fece una pelle solare; era in verità ciò che lei desiderava».
La descrizione dell’abito «inzozzato» respinto da Sûryâ è significativa: «rozzo, ruvido, aspro, piccante, velenoso e immangiabile» (X, 85, 34); la curiosa espressione «immangiabile» (na…attavê) si ritrova nell’Atharva Vêda (I,11,4), in cui si dice che il coron (jarâyu, termine applicato alla muta di un serpente, cfr. ibid., I,27,1) è «cibo per cani» (shunê…attavê) In ogni caso, è chiaro che le vecchie pelli sono sostituite da una pelle gloriosa che rende Apâlâ degna di essere la sposa di Indra – o Sûryâ quella del Sole.»

harunabdelnur
03-10-07, 16:53
Nigra sum, sed formosa....
nolite me considerare quod fusca sum
Cantico dei Cantici, I, 4-5

" L'episodio delle Nozze di Sir Gawain, e più generalmente quello della trasformazione della Dama Laida, ben noto a tutti gli studiosi dei romanzi arturiani, è stato spesso trattato. (1) L'interpretazione corretta è senza dubbio quella data da R.S. Loomis, (2) che identifica la Dama laida alla Dea Terra e quindi alla Sovranità - il regno, il potere e la gloria che gode colui che possiede la Terra -, la quale nelle fonti celtiche è naturalmente la Sovranità dell'Irlanda (Eriu).

(1) Per esempio, G.L. Maynadier, The Wife of Bath's Tale, London, Grimm Library XIII, 1901; L. Sumner, The Weddyng of Sir Gawen and Dame Ragnell, Northampton, Mass., Smith College Studies in Modern Languages, V. n.4, 1924; M.Slauch, The Marital Dilemma in the ' Wife of Bath's Tale', in PMLA, XLI, 1946, pp. 416-430; G.B. Saul, The Wedding of Sir Gawain and Dame Ragnell, New York, 1934; A.C.L. Brown, The Origin of the Grail Legend, Cambridge, Mass., 1943, cap. VII: " The Hatefukl Fée Who Represents the Soverreignty"; J.W. Beach, The Loathly Lady (tesi di laurea, Harvard, 1907).
(2) R.S. Loomis, Celtic Myth and Arthurian Romance, New York, 1927, in particolare le pp. 221-222 e il cap. XXIX.

"Loomis ha in particolar modo ragione nel riconoscere che il modello archetipo è il tema mitologico delle nozze del dio Sole (Lug) con la Terra (Eriu, Ire-land); e così pure nel bel passo in cui egli espone il fondamento metafisico delle nozze molteplici di Gawain ( e degli altri eroi solari): i suoi molti amori non sarebbero che "differenti manifestazioni, nomi differenti della stessa divinità primordiale" che è anche "Iside (3), Europa, Artemide, Rea, Demetra, Ecate, Persefone, Diana; e si potrebbe continuare indefinitamente".

(3) Che "è venerata in tutto il mondo in maniere diverse, con vari riti, e sotto molti nomi" (Apuleio, L'asino d'oro, libro XI). Cfr. A. Jeremias, Die eine Madonna, in "Der Alte Orient", XXXII, 1932, pp. 12-13; M.Durand-Lefebure, Étude asur l'origine des vierges noires, Paris, 1937. L'identità della Vergine con la Dea Terra è affermata iconograficamente nelle Natività cristiane più antiche ( per esempio a Palermo, e in molte icone russe), dove la più consueta 'stalla in rovina' è sostituita da una montagna aperta, o 'grotta'; cfr. Rowland in "Bulletin of the Fogg Art Museum", VIII, 1939, p.63: " La ragione originaria della 'scelta' della grotta nella montagna - o meglio la 'necessità' di questa scelta - giace morta e sepolta nella mente di coloro che crearono la leggenda cristiana, che conservavano ancora memoria dei fondamenti cosmologici di tutte le grandi religioni del mondo semitico, a cominciare da Sumer".

Pertanto " Gawain non era un amante frivolo, perchè nonostante i suoi molti matrimonii, era sempre la stessa dea ch'egli amava". Con parole quasi identiche A.B. Cook giustifica i molti amori di Zeus - il " Padre comune, Salvatore e Protettore del genere umano" di Dione di Prusa (4).

(4) A.B. Cook, Zeus: A Study in Ancient Religion, 3 Vvoll., Cambridge, 1914-1940, vol. I, p. 779: " Zeus in quanto cielo-padre è essenzialmente connesso a una terra-madre . Il nome della terra-madre varia da luogo a luogo e di epoca in epoca..... ovunque e sempre, patente o latente, la terra madre è là, come correlativa e consorte necessaria del cielo-padre". Per Dione, si veda ibid., vol.III, p.961. [Cfr. Era, sorella di Zeus, Iliade, XVIII,356 ].

A questo stesso riguardo si sarebbero potuti citare Indra, Krisna - e Cristo, perchè come disse il "platonico e puritano" Peter Sterry, "il Signore Gesù ha le sue concubine, le sue regine, le sue Vergini; Santi.... che si conservano puri per gli stretti abbracci del loro Amore". Lo Spirito Solare, l'Eros Divino, Amor, è inevitabilmente e necessariamente 'poligamo', sia in sè sia in tutte le sue discese, perchè tutta la creazione è femminile rispetto a Dio, e ogni anima è la sua sposa promessa (5). Il racconto della Dama Laida compare in vari contesti irlandesi, tra i quali può essere considerato tipico quello dei cinque figli di Eochaidh narrato nel Temair Breg e nell'Echtra mac Hechdach Mugmedòin. (6)

(5) Infatti fino a che gli uomini continuarono a comprendere la reale natura dei loro miti, non si scandalizzarono della loro "immoralità". In realtà i miti non sono mai 'immorali', ma, come ogni forma di teoria (visione), 'amorali'. Anche sotto questo riguardo essi vanno tenuti distinti dalle allegorie frutto di invenzione; il loro modello può essere 'imitato' ritualmente, e nel rito vengono compiute molte cose che, umanamente parlando, potrebbero apparire sconvenienti. Il contenuto dei miti è più intellettuale che morale; essi vanno capiti - "senza tale consapevolezza, sarebbe stato perverso ed empio per le generazioni successive inventare tali bassezze circa il loro dio supremo, padre del loro eroe ideale. Gli antichi miti sulla natura non sono però invenzioni, ma il riconoscimento in forma articolata di eventi che erano percepiti e pertanto innegabili" (E. Siecke, Drachenkämpfe, Leipzig, 1907, p.64 ). Come l'ordine di "odiare" il padre e la madre , il fratello e la sorella (Lc., 14, 26 ) non voleva essere una regola per la vita attiva, così, quando Re Pariksit non riesce a comprendere a comprendere il comportamento di Sri Krisna, Sri Sukadeva dice: " Ascolta, o Re! Tu non cogli la differenza, ma stai giudicando il Signore come se fosse un uomo" (Prema Sagara, cap. XXXIV). I miti e le fiabe non sono trattati di morale, ma supporti per la contemplazione; e chiunque condanni la 'moralità' dell'eroe s'è già fatta un'idea sbagliata sulla natura di questo genere letterario.
(6) Per i racconti a cui si fa riferimento in questo paragrafo, si vedano A.C.L. Brown, The Origin of the Grail Legend, cit., cap. VII, e le altre opere menzionate sopra, alla nota 1; S.H. O' Grady, Silva Gadelica, Edinburgh, 1892, Vol. I, pp. 327-330, vol. II, pp. 369-373 e 489-548.

segue

italiano 99
03-10-07, 17:47
" Circa il sacrificio, in un testo, la cui antichità non è dubbia, si legge che il Brahman, "che in origine era tutto l'universo", "creò una forma più alta e più perfetta di se medesimo", dal che procedettero gli "dei dei guerieri".

"Secondo il suo senso originario il tipo di sacrificio a cui ci riferiamo corrisponde ad una azione del genere, generatrice di un dio o eroe, o alla ripetizione di essa, legata alla tradizione sacrificale facente capo a quel dio o a quell'eroe, ripetizione che rinnova la forza efficace di quel dio o la riproduce e sviluppa nell'ordine di una data comunità"

Julius Evola "Rivolta contro il mondo moderno" pag 74-75

harunabdelnur
03-10-07, 18:17
seguito

" I cinque fratelli a turno si recano a una fonte per ottenere un sorso della sua "acqua della virtù", fonte che però è sorvegliata da una strega dall'aspetto davvero ripugnante che esige un bacio come prezzo per un sorso.(7) Soltanto il fratello più giovane, Niall, che come molti altri eroi era stato allevato in esilio, le getta le braccia al collo "come se fosse stata da sempre sua moglie" , dopo di che essa diviene una bellissima fanciulla e predice il regno di Niall su Tara".

(7) Sono perfettamente d'accordo circa l'equivalenza prposta da A:C:L: Brown, della fata custode di un' "acqua meravigliosa" e della damigella custode del Graal. Aggiungerò che esse sono tutte, per così dire, delle 'Esperidi'. Concordo pienamente anche con quanto fa osservare Brown, che "non è inverosimile che tutti questi personaggi [ la sorella, la cugina, e la moglie di Perceval, e la messaggera del Graal, che Miss Mallon considera equivalenti ] fossero in origine differenti manifestazioni di un'unica terra-madre soprannaturale che controllava lo svolgimento degli avvenimenti"; e concordo pure con l'ipotesi che Cundrîe, l'orrenda messaggera del Graal, che in Wauchier "si trasforma in una bellezza" , sia "una fata che assunse un aspetto orrendo allo scopo di mettere alla prova il piú grande di tutti i cavalieri" ( The Origin of the Grail Legend, cit., pp. 211, 217, note 6 e 24).

"Come dapprima tu mi hai veduta brutta" essa gli dice " ma poi bella, così è anche il potere regale. Senza battaglie non lo si può conquistare, ma poi è piacevole e bello per ognuno". Similmente, nella storia di Lughaid Laighe, soltanto colui che osa ed acconsente a dormire con la Dama Laida è il re predestinato; quando le viene domandato chi sia, essa risponde che con lei dormono i Grandi Re, e che è "il regno di Alba e di Eriu".
In modo del tutto simile la dea indiana Sri (-Laksmi) è " la personificazione del diritto a regnare ... [lo] Spirito della Sovranità.... e in particolar modo quando il rapporto con lei è .... di tipo coniugale". (8)

(8) J.C. De, On the Hindu Conception of Sovereignty, in The Cultural Heritage of India, Calcutta, s.d. [1937], vol.III, pag.258. Si veda anche G.Hartmann, Beiträge zur Geschichte der Göttin Laksmi, Wertheim, 1933.

.............................. "Iniziamo dalle nozze di Indra, il "Grande Eroe" del Rg Veda, con Apala, la "non protetta". (9)

(9) RV. , VIII, 91: si vedano tutti i dettagli e i riferimenti in H.Oertel, Brahmana Literature, II: Indra cures Apala, in JAOS, XVIII, 1987, pp. 26-31, e in Coomaraswamy, The darker Side of Dawn, 1935, p.1, . Apala è una pati-dvis, "che odia il suo [precedente] signore e padrone", così come l'onni-generante Terra che in AV, XII,1, 37, "scrollandosi di dosso il serpente, sceglie non Vrtra ma Indra".

Nota n° 11: " " Queste sono, almeno secondo uno dei significati possibili, le "lande deserte" che Indra "riempe" e "popola" (RV,IV,19,7) Indra è il tipico "campione del Graal" vedico. Il padre di Apala è Atri; nel suo caso i "capelli" da fargli riavere sono probabilmente raggi di luce. Il "campo" (urvara, terreno fertile, terra) è, senza dubbio, il grembo stesso di Apala (della Terra); cfr. AV.XIV,2,14, dove la sposa è chiamata "campo animato" (atmanvi urvara); ............. Sui "capelli " = vegetazione, cfr. TS, VII, 4,3,1: " Questa terra era spoglia e senza capelli; essa desiderò "che le piante e gli alberi si moltiplichino su di me""; .......... dove i capelli sono rappresentati da germogli d'erba e di orzo [ si vedano anche BU,III,2,13 e Ovidio, Metamorfosi, IV, 660]. L'assenza di capelli in Apala è una conseguenza della sua " malattia della pelle" : troviamo un parallelo di questo in Perlesvaus dove la Messaggera del Graal ha perduto i capelli al momento del Corpo Doloroso e predice che le cresceranno nuovamente quando l'Eroe del Graal porrà la domanda fatidica; .............................".


Nel breve testo del Rg. Veda non si trova detto espressamente che Apala fosse laida, ma lo si può desumere dal fatto che Indra la purifica tre volte facendola passare tre volte attraverso i mozzi del suo carro solare, si da renderla infine "dalla pelle dorata" . Le versioni più lunghe dei Brahmana pongono in evidenza che Apala è in origine "di un colore cattivo" e che le purificazioni servono a rimuovere le sue pelli squamose di rettile, si che dalla terza lustrazione essa riappare nella più bella delle forme tale da invitare all'abbraccio.


Tratto da "il grande brivido" di A. Coomaraswamy: "La sposa laida"

SATTWA
04-10-07, 18:52
Ringrazio Italiano 99 e Harunabdelnur per i loro utili contributi.

Ein Tirol
09-11-07, 10:23
Sulle tuniche di pelle e sul "cambiare pelle" ho letto l'ottimo libro di Panayotis Nellas "Voi siate dei".