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Genyo
13-05-06, 06:52
Giancarlo Vianello

La scuola di Kyoto

Questo patrimonio speculativo e di pensiero verrà successivamente raccolto dalla scuola di Kyoto che lo riproporrà, utilizzando gli strumenti linguistici della filosofia occidentale.

Tale scuola, che si aggregò nella prima metà del novecento attorno alla figura carismatica di Nishida Kitaro (1870-1945), si caratterizza per aver adottato come elemento unificante l’adesione ad una prospettiva ontologica che, con diversi percorsi, assume il Nulla assoluto come elemento costitutivo del reale e di questo Nulla assoluto cerca di cogliere la connessione con la storia. Si tratta appunto del tentativo di elaborare una nozione propria del pensiero religioso orientale e buddhista, come quella di sunyata, con gli strumenti propri della filosofia e del pensiero dialettico, non tanto in vista di una qualche divulgazione in direzione dell’Occidente, quanto per risolvere il conflitto tra le proprie origini culturali e i paradigmi della modernità nella quale il Giappone si è trovato coinvolto. Il gruppo della scuola di Kyoto, al quale aderiscono esponenti di spicco delle varie tradizioni buddhiste giapponesi, rimane fedele a un medesimo indirizzo di pensiero che, attraverso quattro generazioni, giunge fino ai giorni nostri. L’itinerario della scuola d Kyoto inizia con Lo studio sul Bene ( Zen no Kenkyu, 1911 ), l’opera con cui Nishida elabora la nozione di esperienza pura (junsui keiken) che rappresenta l’intuizione contenente in nuce tutto il successivo pensiero della scuola. L’esperienza pura è quella esperienza conoscitiva che si attua nell’unità di coscienza ed evento, è il momento che precede la discriminazione tra soggetto e oggetto. Questa esperienza, che si realizza prima che il dato primario venga elaborato in quella che noi chiamiamo realtà fisica -e che è solo una nostra costruzione logica-, è per Nishida l’unica realtà da assumere e da utilizzare per chiarire il mondo dei fenomeni. Inoltre l’esperienza pura, operando nella mancanza di soggetto e nella mancanza di oggetto, permette di sperimentare la realtà del Nulla assoluto. Il Saggio sul Bene è un’opera che può sostenere una doppia lettura. Da un lato dà risposte in termini filosoficamente corretti alle problematiche del clima filosofico dell’epoca - vitalismo bergsoniano, empirismo radicale di James, fenomenologia- dall’altro esprime con un nuovo linguaggio le istanze della tradizione giapponese legata allo zen. Ma soprattutto apre la strada all’altra grande elaborazione teorica di Nishida: la nozione di Mu no Basho ( il luogo del nulla).

Nel rapporto tra individuale e universale, l’individuo dotato di autocoscienza è visto come l’ultimo anello di una catena, l’ambito in cui si realizza l’universalità. Dire “il fiore è bello” significa che la bellezza si realizza nel fiore. L’universale diviene il medium tra le diverse individualità e l’universale per eccellenza, la vacuità, l’ambito che unisce e compenetra i singoli fenomeni individuali che vengono alla luce. Il Nulla assoluto è la dimensione in cui tutti gli enti si incontrano e si riflettono in una continua identità autocontradditoria. La nozione di Nulla assoluto sarà successivamente ripresa ed articolata dagli allievi e successori di Nishida: Tanabe Hajime, Nishitani Keiji, Ueda Shizuteru, Hisamatsu Shin’ichi e Abe Masao, tanto per citarne alcuni. Inevitabilmente, per una certa assonanza nei temi, entrerà in dialogo con la speculazione heideggeriana. Questa convergenza tra una certa filosofia tedesca ed un certo pensiero buddhista, che si sviluppa attraverso contatti, frequentazioni e una notevole produzione di testi, rappresenta un momento importantissimo per la costruzione di un pensiero planetario e una enorme opportunità di sviluppo sia per la filosofia sia, appunto, per il pensiero buddhista.

Heidegger è il filosofo che in Occidente riprende a confrontarsi con coerenza con il problema del nulla. E’ un autore che si colloca alla fine del ciclo metafisico occidentale e che ne ripropone una lettura completa a partire dalla riassunzione della questione dell’essere e, di converso, di quella di nulla. Con la Seinfrage -l’interrogazione sul senso dell’essere- Heidegger ripercorre a ritroso l’itinerario filosofico occidentale fino alle sue origini, cercando di recuperare dall’oblio quel diverso atteggiamento nei confronti dell’essere che avrebbe potuto evitare il processo di reificazione. Si accorge -in maniera esplicita da Was ist Metaphisik? (1929) in poi- che essere e nulla si co-appartengono. Come dirà nella Lettera sull’Umanesimo (1947, p.110): “Il pensiero che pensa l’essere pensa il nulla, perché il nulla è l’essenza dell’essere.” Cerca cioè di pensare l’essere come qualcosa di radicalmente diverso dall’ente, cioè dall’essere reificato. L’essere sarà non-ente, l’opposto dell’ente, ossia ni-ente. La storia del pensiero occidentale da Parmenide a Nietzsche è storia dell’oblio dell’essere / nulla e lascia spazio al nulla angosciante e annichilente che porta alla morte di Dio, alla svalutazione dei valori, all’accettazione rassegnata della tecnica. Il Nichilismo è proprio questo: l’esito inquietante, ma necessario, della civiltà occidentale, che si verifica nel momento in cui si trasforma in planetaria. Nichilismo non significa che l’essere è niente, piuttosto, come afferma Heidegger, “nella dimenticanza dell’essere promuovere solo l’ente: questo è Nichilismo”. Da esso non si sfugge, come lo stesso Nietzsche aveva indicato, con il pessimismo -rifiuto del presente o della storia-, nè creando a getto continuo nuovi valori. Il Nichilismo va compiuto fino in fondo, affrontando cioè il problema del nulla. Per questo una teoria del nulla, anzi, molto di più, una tradizione consolidata del nulla, quale è quella offerta dal pensiero buddhista, può rivelarsi di estrema utilità nell’affrontare i problemi speculativi di quella tradizione di pensiero che prima era solo occidentale ed ora è diventata globale.

stuart mill
13-05-06, 12:40
grazie dell'articolo

Genyo
13-05-06, 22:47
Anche se devo dire che il prof. Vianello, a mio modo di vedere, conosce bene Heidegger, un pò meno la Scuola di Kyoto.
L'enfasi che pone sul "nulla assoluto" (zettai mu), si presta a fraintendimenti, l'uso buddhista di questo aspetto è eminentemente soteriologico, quindi il "nulla" o "vuoto" (sunyata), cui si riferisce, è l'assenza di natura propria, quindi l'assenza di "ente", quindi coproduzione condizionata, impermanenza, assenza di sé, questa è l'ontologia buddhista.

Un'altro aspetto poco chiarito, e fondante per la speculazione di Nishida, è quello relativo al concetto di "identità assolutamente contradditoria", strettamente legato al concetto di tempo come inteso nella tradizione Zen di Dogen, cioè Kyoryaku, vale a dire i tre tempi (passato, presente, futuro) concentrati in questo attimo nikon o trans-presente, quindi è impossibile dirsi e dire in questo attimo, poichè esso è già altro eternamente.

stuart mill
05-10-06, 21:00
sposto i messaggi ot nel thread : essere o non essere.