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stuart mill
22-05-06, 22:58
rimando intanto a questa discussione, poi aggiungo questo articolo scaricato con emule :

ELEMENTI CELTICI DEL GRAAL, DI EXCALIBUR E DI MERLINO
Nella leggenda di Re Artù si ritrovano tre segni particolarmente complessi, comunque rivelatori della chiave simbolica che ne costituisce la chiave di lettura: si tratta dell’Excalibur, del Graal e di Merlino, in genere assunti come oggetti concreti, mete di concrete ricerche, non solo romanzesche. Entrambi sono stati confusi con simboli della cristianità. Ma si tratta di conclusioni improprie, profondamente inesatte, sia per quanto riguarda l’essenza materiale, sia per quanto concerne il collegamento con la religione, sia - infine - in rapporto alle origini.
L’Excalibur, innanzi tutto.
Il Medioevo pullula letteralmente di spade dai poteri straordinari (si pensi alla Joyeuse di Carlo Magno, alla Durlindana di Orlando, alla Fusberta di Astolfo, a quella di Siegfried (la spada spezzata per intervento i Odhinn: ricongiunta dal nano Minne, consente l’uccisione del drago Fafner come ci narra il ciclo wagneriano del Reingold): si può affermare che non esista cavaliere che non abbia una spada dai poteri straordinari: e il ciclo di Artù, nella sua caratterizzazione cavalleresca medievale non fa eccezione a questa regola. Tutte sono creazione di magia o connesse a poteri magici; tutte costituiscono il mezzo per compiere imprese eccezionali (basti pensare alla strage di saraceni che il Paladino Orlando compie, a Roncisvalle, prima di soccombere (Chanson de Relonad). Ma la sola Excalibur è connessa alla terra ed all’acqua. Si ritiene che fosse stata ricavata dalla punta della lancia con la quale il centurione Longino trafisse il costato del Cristo. In quanto tale, viene associata, in Germania, alla Heilinge Lance conservata nel Kunstistorische Museum di Vienna. Questa, in effetti, corrisponde alla versione cristiana del simbolo della spada che associa la stessa alla croce (tale associazione deriva dalla stilizzazione del disegno di lama, impugnature e guardamano). Ma esso è valido unicamente per l’unione del simbolo della spada all’icona del Graal. Tra i due simboli, quello dell’Excalibur è cronologicamente il più recente. L’arma dai poteri straordinari come abbiamo detto, compare nei miti di molti popoli sotto svariati nomi (Durlindana, Spada che canta, Joyeuse etc.). Di fatto però essa conquistò la celebrità soprattutto per le leggende celtiche e per il mito della "spada nella Roccia”.

stuart mill
22-05-06, 22:59
Thomas Mallory vuole che essa sia stata forgiata da Merlino e da questi sarebbe stata portata, dopo la morte di Artù, ad Avalon. Per l’anonimo autore di La mort d’Arthur, sarebbe invece stata gettata da Parsifal nel lago e restituita alla Signora del Lago. Oggi è difficile percepire il complesso significato del simbolo perché nell’Excalibur hanno finito per confluire, confondendosi, aspetti pure simbolici di svariata provenienza e di diversa significazione. Possiamo percepirne il senso solo se riusciamo a risalire alle origini del mito. Nella versione più versione (quella celtica) era simbolicamente l’equivalente della lancia. Come abbiamo visto, per i Celti, infatti la lancia era quella lancia del Dio Lugh, che gli donata uomini. Tale identificazione tuttavia subì una nuova trasformazione quando - sotto l’influsso della mitologia germanica - finirà si confuse con la lancia di Odhinn, sulla quale sono incise le rune del fato. Per entrarne in possesso Odhin restò impiccato per sette giorni e sette notti con la perdita di un occhio. Il Graal. Diversa è le genesi del Graal che proviene direttamente dalla mitologia dell’Irlanda celtica ed è molto più antico dell’Excalibur. Tradizioni esoteriche più tarde vogliono che l’Excalibur sia stata custodita da una setta esoterica detta dei "Fratelli Iniziati" (forse i Rosa Croce N.d.A.). La setta avrebbe lasciato tre indizi in forma di croce a Glastonbury, nel duomo di Modena ed in quello di Otranto; su tutte le croci compare la scritta "Hic iAcet Arturius rex in insulA Avalonia"; la combinazione di tali croce darebbe luogo ad un acrostico in cui le A sembrano individuare il circolo di megaliti di Stonehenge. Sta’ di fatto che la tradizione della “spada nella roccia” appartiene ai costumi dei cavalieri unni e sarmati; Unni e Sarmati avevano avuto contatti con il mondo occidentale avendo fornito truppe ausiliare ai romani. La leggenda era passata così in occidente e, forse, direttamente in Bretagna. Entrambi i popoli solevano infiggere la spada nel terreno per metterla in comunicazione diretta con le correnti di forza della Grande Madre. La spada si caricava di magia, modificava, per così dire, la propria struttura, diveniva “magica” e rendeva invincibile chi l’impugnasse ed era, per un guerriero, il segno del comando. Infatti la caratteristica dell’Excalibur era quella di essere “la spada dei Re”, che rendeva invincibile anche se non invulnerabile (era la sua guaina che tutelava il re dalla perdita di sangue per ferite). D’altra parte l’estrazione della spada dalla roccia era esso stesso un atto magico e la capacità di compierlo individuava, in maniera incontestabile, la persona del “Re” come capo carismatico. Ma fermiamoci di doni dei Tuata de Dannan che, oltre alla Lancia di Lug, comprendevano la Pietra di Fal, il Calderone magico e la Coppa di Dagda; Si trattava, n ogni caso, di prefigurazioni del Graal. Difatti se la lancia di Lug si sonnette in maniera più o meno diretto alla Excalibur, Pietra, Calderone e Coppa so ritrovano tutti nel Graal. In origine il Graal non fa parte della saga arturiana. Vi approda nel XII sec. con il Perceval di Chrétien de Troyes; esso ma non ha, però, una connotazione religiosa specifica. Nella successiva opera di Wolfram von Eschenbach, invece, il simbolo ha già assunto una connotazione cristiana. Né Chrétien de Troyes, né Wolfram von Eschenbach ci dicono - e noi non sappiamo - cosa fosse il Graal. Da Chrétien e da Wolfram possiamo comprendere solo che si tratta di un simbolo di redenzione, di un modo per il quale l’uomo può venir fuori dalla “vasted land”. Qualunque cosa sia il Graal (pietra, coppa o bacile), è in possesso del “Re Magagnato”, alla cui presenza viene utilizzato per una strana processione nel corso della quale il “puro folle” - Parsifal - non osa porre le domande che gli premono ed il Graal scompare mentre la terra torna ad essere “vasted”. I vaghi cenni che ne danno i bardi fanno pensare ad una pietra o ad un bacile, ma anche ad una coppa. In tutti i casi restiamo nell’ambito del mito celtico dei doni dei Tuata de Dannan, anche se l’ipotesi della coppa ci fa pensare principalmente al calderone dell’Annwn, il magico contenitore che si riempie in continuazione e che sembra una variante della cornucopia, simbolo di prosperità e benessere. Ma questa immagine non sembra soddisfare l’evidente collegamento con il “Re Magagnato”. “Magagnato” significa colpito da ferita non sanabile, inguaribile come versione personale della vasted land. In queste senso il Graal, più che alla redenzione sembra collegato all’immagine del peccato (ed, allora, perché il Graal non funziona sul Re magagnato?). In effetti ciò che ci crea perplessità è la caratterizzazione cristiana che il simbolo assume quanto passa nell’opera dei bardi del Ciclo Bretone ai quali si deve l’elaborazione della “Queste du san Graal”. Può questa nuova immagine, per quanto deformata, essere comunque corretta, cioè restare aderente al carattere originario puramente celtico della rappresentazione del rito? In questa chiave di lettura la processione descritta da Chrétien de Troyes è un rito iniziatico nel quale ci si aspetta che Parsifal faccia qualcosa che, in effetti, non fa. Parsifal-Perceval non pone le domande (che cosa è il Graal? di chi è al servizio il Graal? chi è il Re magagnato?): rimanendo muto rompe l’incantesimo e la magia si dissolve. Da ciò possiamo comprendere come nella realtà il Graal non abbia una consistenza materiale. Il suo significato va ricercato unicamente nel suo valore simbolico. La conferma viene dai versi del Preiddu Annwn attribuiti al poeta Taliesin.

stuart mill
22-05-06, 22:59
In Caer Pedryvan, dopo averlo percorso per quattro volte
raggiungemmo il calderone dell’Annwn
che portava intorno all’orlo una fila di perle.
Dal fiato di nove muse esso era riscaldato
ed esso non può cuocere il cibo di un codardo.

Sicché il Graal - o il calderone dell’Annwn o la Coppa di Dagda - altro non è se non l’essenza dell’uomo fatto di santità e di depravazione (Prima materia filosofale). E, non a caso, la mitologia celtica lo definisce dono dei Tuata de Dannan.
Posta la questione in questi termini, cominciamo a capire il significato più profondo del simbolo considerando il Graal come pietra (betile) ed associandone l’immagine a quella della spada - lancia. L’essenza di questa pietra è la stessa di quella sulla quale è infissa l’Excalibur, è il ventre della terra che forgia e riforgia la spada, la ricarica di energia vitale, la rende “magica”. Allora il mutismo di Parsifal - Perceval equivale al rifiuto della rinascita iniziatica, il rifiuto della vita ad un livello di coscienza superiore, il rifiuto di accostarsi alla magia della spada. Per questo il Re resta “magagnato”, la processione scompare, la terra si copre degli sterpi e dei pruni della devastazione, il Graal si perde. Solo l’atto di Re Artù, che accetta su di sé la responsabilità di estrarre la spada donando alla terra il re, la spada e la primavera con le energie vitali della Grande Madre, redimerà la terra dal peccato di origine. Il resto della saga arturiana è frutto della elaborazione più tarda, che vi sovrappone un significato religioso - cristiano. Re Artù non è - come Parsifal o Galaad, a seconda delle versioni - il “puro folle”: egli è macchiato dal “peccato originale” della nascita per opera di violenza (l’unione di Uther Pendragon ed Igrain) e sarà ancor più macchiato dalla unione, involontaria quanto si vuole, con la sorellastra Morgausen. Alla sua redenzione non basterà il battesimo dell’acqua, ma sarà necessario il battesimo del fuoco: la morte per mano di Mordred, il frutto del peccato, in un annientamento reciproco che ha il sapore di un vero e proprio Götterdammerung wagneriano. IL segno dell’avvenuta redenzione sarà la scomparsa del Graal e della spada che torna ad Avalon (la terra dei Tuata, degli dei) o alla Signora del Lago (il ventre della terra o all’acqua primordiale per purificarsi). Solo in questo modo la scritta “hic iacet Arcturus rex quondam in insula Avalonia” assumerà il significato di una promessa di rinascita. Che questa lettura sia corretta mi sembra confermato dal contesto nel quale si muove la vicenda arturiana che comprende due parti importantissime per una corretta comprensione: l’incombente presenza della magia druidica e la tavola rotonda. Merlino. Sul primo di questi due aspetti molto ci rivela l’onnipresenza di Merlino (il latino Mrtfimus): Myr - Ddyn il druido è un simbolo della natura, della sua forza resa visibilmente tangibile dalla spada e dalla roccia. Come si afferma nel bellissimo film Excalibur egli è l’alito del drago e il drago rappresenta la linfa che scorre nelle vene della Grande Madre, la earth force degli SCEMB; perciò Merlino è la terra. A lui una certa parte del mito attribuisce la creazione dell’Excalibur: egli allora appare più grande di Minne perché quello si era limitato a rimettere insieme i frammenti della spada di Siegmund, predisponendo quella di un altro predestinato: Siegfried. Sotto questo aspetto Myr Ddyn partecipa della natura dei Tuata de Dannan: siamo di fronte ad un segno emblematico di quelle forze che compenetrano il mondo della natura nella quale si agitano tutte le possibili forze.

stuart mill
22-05-06, 22:59
Per tale motivo nell’occidente di cultura mediterranea si preferisce parlare di “Mago Merlino”, consigliere, amico e padre spirituale di Artù. Sebbene tutto ciò mi sembri corretto e coerente con la tradizione celtica, io preferisco pensare che Merlino - Myr Ddyn sia l’emblema del vecchio mondo, quello che si identifica in Avalon e che è destinato a subire le sorti di ciò che ho definito il Götterdammerung, il crepuscolo degli dei, scomparendo nelle brume del nord per fare luogo alla nuova divinità cristiana trionfante rappresentata da St. Patrick e da Giuseppe di Arimatea. Nella leggenda, quale ci è stata riportata dal ciclo bretone queste due anime coesistono, lottano per il loro spazio vitale: ma la loro lotta non avviene sui campi della cavalleria, bensì nel cuore di Artù; finiranno col dilaniarlo come avviene in tutti i drammi interiori; essi saranno la ragione della grandezza di Artù, ma anche la causa della sua rovina. Ce lo dimostra il fatto che, fino a quando Merlino è presente nel mondo del reale, Avalon è presente e concreta e Myr Ddyn è il legame che mantiene avvinto l’antico ed il recente; quando si allontana Avalon svanisce e la rovina di Artù segna la fine della cavalleria e, con essa, del vecchio mondo. Excalibur ed il Graal, Uther Pendragon e Art Wavr tornano definitivamente nel mondo dei Tuata de Dannan. Avalon è il mondo di origine e di destinazione di Myr Ddyn, la terra che non c’è - sì proprio la Neverneverland di Peter Pan - l’Agarthi del Re del Mondo. È l’isola destinata a scomparire quando il segno della spada è sostituito dal segno della Croce: il luogo dove viene trasportato il copro di Artù morente perché con lui finisce l’epoca del mito per dare inizio alla storia. E con il mito scompare anche il suo grande campione, Merlino. Altrettanto complesso è l’altro massimo simbolo della saga arturiana, la “Tavola Rotonda”. La forma ci dice chiaramente che si tratta di un simbolo solare e, come tale, è l’icona che rappresenta la continuità del legame tra Artù, l’Orsa Maggiore (Art Wavr) e il dragone (Uther Pendragon). È, al tempo stesso, il segno del legame di Artù stesso e dei dodici cavalieri che siedono intorno alla Tavola Rotonda. Anch’esso è simbolo celtico che ci riporta con la fantasia ai fuochi di Beltane ed ai riti druidici di Avalon, ma anche ai circoli megalitici, a Stonehenge, allo zodiaco di Salisbury tutti luoghi dove si celebravano i riti della grande Madre. Ma nella rappresentazione idilliaca dei cavalieri seduti a concilio intorno alla Tavola Rotonda, è presente, fin dall’inizio il presagio della fine. Vi è infatti, un segno cabalistico che segna l’irruzione della cultura giudaico-cristiana: il nefasto numero tredici che collega il gruppo di Artù al destino che ha accomunato tutte le compagnie così costituite ad una sorte nefasta: da Cristo e dai dodici apostoli dell’ultima cena, fino ad Orlando ed ai suoi Paladini, fino ad Artù ed ai cavalieri della Tavola Rotonda. In ognuna di queste compagnie è presente un agnello sacrificale (Cristo, Orlando, Artù) e un traditore (Giuda, Gano di Maganza, Mordred): il prezzo del tradimento non è - come si potrebbe pensare - quello dei fatidici trenta denari, ma la tragica morte dell’Agnello.

stuart mill
22-05-06, 23:15
ecco: Sulle scogliere di marmo
di Julius Evola

<< Ed ora cade di parlare delle « Scogliere di Marmo ». E' opinione generale, che tale libro sia uno Schlüsselroman, cioè un romanzo a chiave, nel quale le vicende e gli stessi personaggi hanno un carattere simbolico e si riferiscono a rivolgimenti e forze in atto ai nostri giorni, avendo dunque il valore di mezzi espressivi fantastici per una idea precisa. Il centro di questo nuovo libro, scritto dallo Jünger nel 1939, è il contrasto fra due mondi. L 'uno è quello della «Marina» e dei pascoli, sovrastati dalle « scogliere di marmo »; è un mondo patriarcale e tradizionale, ove la vita nella natura e lo studio della natura hanno per controparte una superiore saggezza e un simbolo ascetico e sacrale incorporato eminentemente, nel romanzo, dalla figura di Padre Lampro. Di contro al mondo raccolto presso le « scogliere di marmo» sta quello delle paludi e dei boschi, ove signoreggia una paurosa, diabolica figura che lo Jünger chiama l'Oberförster (tradotto con « Forestaro »): è, questo, un mondo « elementare », di violenza, di crudeltà; di ignominia, di disprezzo di ogni valore umano. Il tono della vicenda fantastico-simbolica descritta con arte magistrale dallo Jünger è da « crepuscolo degli dèi ». Il mondo del « Forestaro » finisce col sopraffare quello della Marina e delle Scogliere di Marmo. La civiltà e i costumi della Marina sono alterati da processi di corruzione oculatamente diretti, l' anarchia vi si infiltra e non trova nessuna remora in uomini d'azione capaci davvero di imporsi, di far fronte al nihilismo ed alla distruzione. Nel momento del massimo pericolo, due uomini cercano di assumere l'iniziativa di una azione liberatrice. L'uno, Braquemart, incarna una volontà di potenza e una teoria del superuomo e della superazza alla nietzschiana, teoria che qui si risolve essa stessa in una forma di nihilismo ed è condannata nella sua astratta cerebralità e nella sua mancanza di spontanea grandezza, a fare il giuoco dell'avversario, a cui Braquemart cerca di contrapporsi usando le sue stesse armi. Lo Jünger, nel proposito, scrive: « In questo ambito occorreva intervenire ed erano quindi necessari ordinatori e nuovi teologi, cui il male fosse noto nelle sue apparenze e nelle sue radici; e solamente allora avrebbe giovato il taglio delle spade consacrate, a guisa di un fulmine nelle tenebre. Per queste ragioni dovevano i singoli vivere con chiarità e forza d'animo anche maggiore, secondo una disciplina più severa, testimoni di una nuova legittimità. Anche chi voglia vincere una breve corsa si assoggetta ad una adatta disciplina; ma qui erano in giuoco i beni supremi, la vita spirituale, la libertà, la stessa dignità umana. Per certo Braquemart riteneva esser, coteste, vane chiacchiere e progettava di ripagare il vecchio (il « Forestaro » ) con ugual moneta, ma aveva perduto il rispetto di se, e da ciò ogni rovina ha fra gli uomini il suo principio ». L 'altra figura del mondo della Marina è il principe di Sanmyra, simbolo di una nobiltà ormai spossata. I segni della grandezza tradizionalmente innata, la nobiltà d'animo e la prontezza al sacrificio audace ed eroico si accoppiano in lui alla decadenza propria a ciò che vive unicamente come un retaggio del passato, come un'eco, come qualcosa che è meno nostra che non una proprietà dei morti. Perciò l'unione delle due figure è come quella di una tradizione crepuscolare congiunta ad una artificiale teoria della potenza, più capace ad accrescere il deserto che non a conferire alla prima una forza nuova. Perciò i due da soli tentano un disperato colpo di mano contro il Forestaro, ma vi perdono la vita e non possono arrestare la catastrofe. Ne può arrestarla lo scendere in campo di Belovar, colui che rappresenta le forze residue della civiltà patriarcale ancora intatta. L 'opera di disgregazione sotterranea si è ormai portata troppo lontano, i « vermi del fuoco » organizzati dal Forestaro son ormai troppo numerosi e troppo potenti. Le forze scatenate del mondo della foresta e delle paludi non possono essere trattenute. Belovar cade nell'ultima, disperata battaglia, dopo di che ferro, fuoco, morte e distruzione si abbattono su tutto il mondo della Marina e delle Scogliere di Marmo. Padre Lampro, che è il custode del Mistero, della tradizione sacra e della contemplazione, scompare fra le fiamme nel crollo del suo tempio. L'ultimo suo atto è di benedire la testa mozza del principe di Sanmyra, sacrificatosi nell'estremo tentativo e quasi trasfigurato, in esso, da una luce superiore. Arde anche l'Eremo della Ruta, rifugio dello studioso e del saggio, simbolo di umanistica disciplina e di quasi goethiana contemplazione della natura. Da tutto il mondo della Marina, ormai in fiamme, solo qualcuno riesce a fuggire, con una nave, recando seco, come una reliquia, appunto quella testa mozza, la quale solo molto più tardi, incastonata nella prima pietra, doveva servir di fondamento ad una nuova cattedrale. Ma per quel ciclo, per quel mondo legato alle Scogliere di Marmo, il trionfo delle potenze scatenate dal Forestaro è l'ultima parola. E l’unica speranza nella tragedia è che proprio l'esperienza del fuoco distruttore sia, per il singolo, un principio di rinascita, la soglia per passare in un mondo incorruttibile. Nel mondo ideale proprio al nuovo libro simbolico dello Jünger si ha dunque quasi un ritorno a valori, che nel precedente non stavano di certo in primo piano. Molti elementi fanno pensare, che si tratti, qui, di una specie di bilancio negativo proprio del mondo « elementare » epperò, in buona misura, anche del mondo dell' « operaio ». Le forze scatenate che distruggono le città della Marina, dopo aver travolto sia la sopravvivenza generosa, ma pure stremata, della civiltà del Secondo Stato, sia gli artificiali, nihilistici rappresentanti della semplice volontà di potenza e, infine, in Belovar, le poche energie ancora schiette e legate alla terra - queste forze del « Forestaro » danno ben l'impressione del mondo della « mobilitazione totale » , del mondo del Quarto Stato e del « tellurismo » rivoluzionario giunto al limite e rivelante alla fine la sua vera natura. Con l'avvento di tali forze nelle terre della « Marina » non è il mondo della borghesia, dell'individualismo o del Terzo Stato che crolla, ma un mondo della qualità, della personalità, dell'ascesi, della tradizione misterica e sacra, della « cultura » in senso superiore. E' lo stesso Jünger, già assertore della guerra totale e quasi estrema istanza a se stessa, che ora riconosce che « il coraggio guerriero non è il valore supremo »; che è inevitabile andare incontro al mondo della « selva » e del Forestaro quando, insieme alla forza, non si possegga un principio superiore, una legittimazione, per così dire, dall'alto, come quella simboleggiata dalla figura dell'asceta travolto lui stesso nel crollo del tempio in fiamme, dopo l'ultima benedizione. Tolti i suoi lati apocalittici, il nuovo libro dello Jünger ha dunque un contenuto profondo. Una chiaroveggenza lo pervade, superiore di certo a quella del periodo di « Der Arbeiter », adeguata alla serietà di questi tempi. Il fenomeno dell'irruzione dell' « elementare », come si è già detto, è reale: e reale è anche il processo di enucleazione di un nuovo tipo, realistico, eroico, impersonale, capace di un controllo e d'un'azione assoluta, proteso verso una assunzione totale della vita. Anche se il mondo di questo nuovo tipo non corrisponde proprio a quello del « Forestaro », anche se esso ha lasciato dietro di se il periodo delle distruzioni e dell'anarchia e nel suo avvento non si celebrino solo varie forme di quello del Quarto Stato, pure gli orizzonti non si schiariranno, e un temibile destino non sarà prevenuto, fino a che come controparte non si avrà appunto la tradizione spirituale nel senso più alto, un Ordine non nella prima assunzione soltanto attivistico- guerresca dello Jünger, ma appunto con riferimento a valori trascendenti, alle file segrete di qualcosa « che non è di questa terra » e che forse fino ad oggi è stato ancora custodito. Il volto dell'epoca che viene dipenderà certamente dalla misura in cui, malgrado tutto, questa possibilità si realizzerà.>>







DA - L’<<OPERAIO>> E LE SCOGLIERE DI MARMO -



IN “BIBLIOGRAFIA FASCISTA”, 1943, A.XVIII N.3 PAG.143

stuart mill
22-05-06, 23:15
pare che le scogliere di marmo di junger, fossetro un velato riferimento al reich, e il forestaro fosse hitler.

stuart mill
22-05-06, 23:39
La Tradizione Primordiale

La Tradizione Primordiale

Per Tradizione Primordiale si intende il patrimonio religioso, cultuale e sociale ,in poche parole la civiltà, del popolo degli Iperborei e soprattutto la summa sapienziale dei suoi colleggi iniziatici. Gli Iperborei, lo ripetiamo, sarebbero i rappresentati una antichissima civiltà che in tempi remotissimi, nella mitica età dell'oro e comunque nell'alta preistoria (sarebbero gli antenati dei Cromagnon che dovrebbero risalire a 30.000 40.000 anni fa), abitavano nelle zone polari che all'epoca godevano di un clima delizioso. Gli Iperborei sarebbero i depositari e i diffusori di una rivelazione primordiale che poi ritroviamo negli Indoeuropei e da li in tutti i popoli che appartengono a questo ceppo. Nel tempo questa trasmissione orizzontale, cioè storica, veniva rinnovata e corroborata dalla esperienza diretta dei veggenti che riscoprivano in sé la sapienza non-umana ma divina e trascendente che venne rivelata in origine agli Iperborei. Venne rivelata a loro per il semplice fatto che, almeno per quanto riguarda il ciclo in cui viviamo, sono i progenitori dell'umanità ... almeno di una parte dell'umanità.

La dottrina degli Iperborei è come una piramide rovesciata perchè le fondamenta, i fatti, su cui si poggia è appena sufficiente per piantare uno spillo.

In primo luogo essi sono un popolo che vive nell'eta dell'oro, in un'epoca cioè in cui l'uomo è pienamente risvegliato e in pace con sé, Dio e il mondo. Gli Iperborei sono figure semidivine ,possiedono poteri taumaturgici capaci di opere mirabolanti e sono immortali. Il loro corpo non è pienamente materiale per questo antiche cronache dicono che avevano le "ossa molli" e per ciò si giustifica la mancanza di resti fossili di questi uomini. A un certo punto però una deviazione morale segna l'inizio di un nuovo ciclo e il chiudersi dell'età dell'oro. I loro discendenti migrano dalla sede originaria portando nella loro diaspora la scintilla della sapienza originaria. La causa della migrazione dei discendenti è un inverno spaventoso e senza fine, una delle glaciazioni che consegue a un evento cosmico che fa da cont'altare alla caduta interiore. Alla deviazione morale segue una declinazione dell'asse terrestre in seguito a uno spaventoso cataclisma , forse l'impatto di un enorme meteorite sulla terra. La tradizione estremo orientale porta il ricordo di questo evento :

<< I pilastri del cielo furono infranti la terra tremo alle sue fondamenta. I cieli a settentrione scesero sempre più in basso. Il sole e la luna e le stelle mutarono il loro corso. La terra si aprì e le acque racchiuse nel suo interno proruppero e inondarono i vari paesi. L'uomo si trovava in rivolta contro il cielo e l'universo cadde in disordine. Il sole si oscurò . I pianeti mutarono il loro corso e la grande armonia del cielo fu distrutta>> (Evola 1984 pag 235)

I popoli che migrarono dalle ormai gelate terre originarie portarono con sé il ricordo di questa sede primitiva e dei loro mitici antenati. Quattro antenati degli indiani Quiche memori dell'eta dell'oro e nostalgici del paradiso perduto, si narra, tentarono di ritornare a Tulla ,la patria originaria, ma giunti lì trovarono solo freddo e ghiaccio.

Il ricordo delle origini produsse un simbolismo tipico che gravita intorno a un'isola o una montagna che si trova al nord e di una razza primordiale si sapienti. Un giorno, narrano alcune tradizioni come quella tibetana , dal nord verra un eroe dei tempi antichi che restaurerà l'ordine infranto.

Ho volutamente tralasciato il consueto apparato filologico che generalmente accompagna simili esposizioni privilegiando le idee che ruotano intorno agli Iperborei. L'ho fatto perchè diventa estremamente difficile, per il lettore, orientarsi fra due o tre affermazioni e decine di citazioni e analogie prese da svariate tradizioni e mitologie. Ma la voluta semplicità e chiarezza nella descrizione di quel che si suppone si conosca di questa antica civiltà , lo ripeto, non deve indurre il lettore a credere che le fonti siano così estremamente chiare, tutt'altro .

Questa dottrina della Tradizione Primordiale ha dei lati tenebrosi e assai inquietanti che generalmente si tacciono ma che il lettore farebbe bene a porre su di essi tutta la sua attenzione.

Già nell'ottocento uno studioso delle civiltà del mediterraneo il Bachofen aveva tratto le conclusioni che le civiltà attuali erano il risultato della dialettica fra due archetipi di civiltà quella Aristocratica e quella Ginecocratica. Nei primi del ventesimo secolo, in francia il, Guenon inizia a postulare di questa Tradizione Primordiale, Nordica, e,poco più tardi, gli fa eco, in Italia, Julius Evola. Il problema è che sempre nello stesso periodo, in germania, studiosi che facevano parte del NSADP cioè del partito nazionalsocialista iniziano a pubblicare un ondata di studi sulle origini Nordiche, Ariane, della civiltà e iniziarono a tracciare i confini fra ciò che era autenticamente Ariano e ciò che non lo era considerando, le civiltà, non Ariane, non Nordiche, come degenerazione e pericolo per la purezza della razza. Specificatamente il popolo ebraico fu considerato essere l'esatta antitesi dell'Arianesimo. Per farla breve e lavorando un poco di fantasia (ci sono precise circostanze come l'appartenenza di Hitler alla società "iniziatica Tule, uno dei nomi della terra favolosa degli Iperborei) si potrebbe affermare che il nazionalsocialismo sia anche una armonica ,in chiave politica-sociale, delle dottrine esoteriche di una setta di cui Hitler aveva subito delle influenze. Il tentativo di distruggere le componenti razziali non Ariane potrebbe essere visto come la restaurazione della razza boreale e quindi la restaurazione dell'età dell'oro. Infatti il terzo Raich doveva durare mille anni nelle fantasie dei suoi gerarchi e portare alla restaurazione dei valori tradizionali della civiltà Ariana. La guerra veniva vista come un attualizzazione delle profezie che prevedevano che il ciclo attuale si sarebbe chiuso e l’età dell'oro restaurata e sarebbe durata mille anni dopo una terribile battaglia fra le armate delle tenebre, le razze non ariane e antitradizionali, e le armate della luce gli Ariani. Gli eventi tristissimi e drammatici, che tali ordini di idee, e soprattutto il volerle realizzare a tutti i costi hanno prodotto sono universalmente noti.

tratto da www.vedanta.it

stuart mill
22-05-06, 23:41
La Tradizione Occidentale

La Tradizione Occidentale

Quello che andrò a descrivere, il lettore è chiamato a porre tutta la sua attenzione su questo punto, non è storia ,benché contatti precisi con le discipline storiche ci siano, ma essenzialmente una mitologia. Un insieme di racconti, cioè, il cui scopo è anagogico e possono giovare a comprendere e ad orientarsi nel labirintico mondo dell'iniziazione così come, nel XX secolo, si è andata caratterizzando nell'occidente europeo nell ' interrelazione di studiosi, esoteristi, psicoanalisti, iniziati, occultisti, religiosi e pionieri della comparazione fra le religioni su base scientifica. In occidente mancava, fino al XX secolo, un qualcosa che in India,nell'ambito dell'induismo, è rappresentato dal Vedanta Advaita. Una Filosofia e prassi Iniziatica che si ponesse come chiave di comprensione, come momento unificante delle varie esperienze del sacro e, non ultimo, come via specifica per la sperimentazione dell'Essere , ovvero,come si dice in seguito all'influsso della metafisica orientale, per la realizzazione del Sè. Benché ogni iniziato, per ciò stesso, ha implicito in sé stesso una simile visione l'impulso a tentativi di codificazione rigorosa della visione iniziatica in occidente si ebbero, per la prima volta, grazie al Renè Guenon che per primo inizio a postulare, nell'ambito dell'esoterismo francese, una Tradizione che era la radice e l'origine delle singole tradizioni. In occidente, nel 1920, Renè Guenon inizia a propugnare che di là delle singole espressioni storicamente determinate della vita religiosa e iniziatica c'è una Tradizione che in esse si incarna ... Come lo stesso pensiero può essere espresso in diverse lingue pur rimanendo sè medesimo così é per la Verità sacra e le singole espressioni di essa che appartengono al patrimonio dottrinale, simbolico e rituale delle singole religioni e scuole iniziatiche. Dopo il Guenon vari sono stati gli studiosi che con maggiore o minore successo hanno dato contributi notevoli per la riscoperta di quello che Raphael ha brillantemente chiamato il tronco dell'Albero delle tradizioni. Personalmente ritengo che il culmine di questo movimento, quello che realmente ha portato a compimento questo compito titanico, sia Raphael in Italia e tutto il gruppo Vidya che a lui fa riferimento. Medeseimo compito ma in tonalità diversa lo ha portato a compimento Beda Griffiths nel Saccidananda Ashram in India del sud.

La Verità, che allo schiudersi dell'occhio della visione appare in tutta la sua semplice evidenza, su cui è stato possibile ,in occidente recuperare anche a livello dottrinale una visone corretta dell'essere e del Non-Essere è che :" Esiste un Fondo Comune fra le varie tradizioni sacre, i riti,le dottrine, i simboli e le tecniche ascetiche". Questo Fondo Comune è stato percepito persino nell'ambito di alcuni studiosi "profani" e di orientamento "scientifico" che hanno iniziato a cercare di delimitarlo comparando, da un punto di vista esteriore, le tradizioni religiose dei vari popoli. Per l'iniziato invece questo Fondo Comune emerge nella contemplazione, man mano la sua anima matura, perchè esso si palesa durante il cammino verso la perfezione come Dio. L'unicità di Dio è quello che ci fà vedere nella diversità delle esperienze sacre delle analogie e delle somiglianze sorprendenti, che diventano con lo schiudersi dell'occhio della visione identita essenziale.

Una Filosofia che si coniuga a una ascesi che si poggia su questa visione essenziale, in occidente, è quello che si chiama Tradizione e che si pone anche come chiave interpretativa delle varie tradizioni sacre che nel corso dei millenni si sono susseguite. In oriente nella filosofia classica indu questo ruolo lo ha assunto, lo ripetiamo, il Vedanta Advaita che per ciò stesso è vissuto, in occidente, come una delle Metafisiche più pure e ardite e a cui il discepolo della Sagezza viene indirizzato, guidato e iniziato come sicura via per la ralizzazione non, di una verità specifica di una tradizione, ma come sentiero per la realizzazione di quel Fondo Comune , della Tradizione in Sé. Questa visione essenziale della Realtà è agevole riscontrarla nelle più profonde esperienze del sacro e costituirsi come la parte più preziosa delle tradizioni sacre di cui costituisce il Cuore e, come tale , la parte irrinunciabile ed essenziale delle tradizioni. Ragion per cui è insegnamento Tradizionale che chi sperimenta il Cuore di una tradizione sperimenta il Cuore della Tradizione stessa che ,ripetiamolo , si palesa come Dio o, come dice chi è più inclinato alla Metafisica, l'Assoluto. Nel Vedanta Advaita il Cuore si è espresso come l'identità essenziale fra Brahma e L' Atman cioè fra l'anima universale e e quella individuale e nella dottrina del Nirguna Brahman.

241-242. Se la çruti con il mantra << Tat-twam-asi>> (Quello tu sei) enuncia ripetutamente l'Identità completa di Brahman con il Jiva -designati rispettivamente, il primo con <<Quello>> e il secondo con il <<Tu>>, spogliati entrambi degli attributi che normalmente vengono dati loro - occore comprendere che tale Identità deve riferirsi non nel senso letterale - ma nel senso implicito, dato che i due termini sono reciprocamente contradditori e opposti, come lo sono il Sole e la lucciola- il Re e il servitore- l'Oceno e l'onda-il monte Meru e un atono.(Viveka Cuda Mani di Shankara)

Un'immagine tradizionale offre all'intuizione la portata del sutra. L'individualita viene paragonata a una brocca e l'Atman cioè lo Spirito autocosciente che pervade il Cuore spirituale dell'uomo all'aria nella brocca, Brahman,Dio,l'Assoluto è l'aria esterna alla brocca si domanda che differenza c'è fra l'etere che pervade il vaso e quello in cui è immerso. Sicchè la Realtà principiale dell'uomo è il Vuoto come un vaso immerso nell'etere o la Pienezza come un vaso immerso nell'oceano. L'Etere onnipervadente in cui i viventi sono immersi e da cui ricevono vita e luce si palesa come pura coscienza, puro essere, pura beatitudine, in sanscrito Saccidananda un composto di tre nomi Sat,Cit,Ananda.

464. Esiste solo Brahman, l'Uno-senza-secondo,l'infinito Brahaman, senza inizio e senza fine,trascendente e senza cambiamento; in lui non vi è traccia di dualità.

465. Esiste solo Brahman,l'Uno senza secondo, la sua natura è <<Sat-cit-ananda>>. Brahman che è esente da ogni attività, in Lui non vi è traccia di dualità.

466. Esiste solo Brahman, l'Uno-senza-secondo, l'Ospite che risiede in ogno cosa. Questo Brahman è omogeneo,infinito, imperituro e onnipresente, in Lui non vi è traccia di dualità.

467. Esiste solo Brahman, l'Uno-senza-secondo; nessun potere può scalzarlo, eliminarlo e neppure afferrarlo, perchè Egli è il sostrato universale che non ha altro sostegno se non sé stesso, in Lui non vi è traccia di dualità.

468. Esiste solo Brahman, l'Uno-senza-secondo, che è aldilà di tutti gli attributi, che non è composto di parti,che è più sottile di ogni possibile sottile, in Lui non vi è traccia di dualità.

469. Esiste solo Brahman, l'Uno-senza-secondo,e la sua vera natura è incomprensibile [alla mente sensoriale]; non può essere raggiunto né dalla parola né dall'intelletto, in Lui non vi è traccia di dualità.

470. Esiste solo Brahman, l'Uno-senza-secondo, la suprema Realtà autorisplendente, autoesistente,che è Purezza ed Intelligenza assoluta, senza alcun parogone, in Lui non vi è traccia di dualità.(Viveka Cuda Mani)

Nel Buddismo sia quello indiano che nei suoi sviluppi tibetani questo Cuore è espresso come la Vacuità della realtà ultima del Buddha Shunya. Ma questo vuoto avverte il Bardho Todol non è il vuoto di un non esistente ma il vuoto delle qualificazioni che è pienezza della coscienza, puro essere, e su cui il Vedanta Advaita concorda nella dottrina del Nirguna Brahman, cioè della visione di Dio privo di attributi,Coscienza pura, puro Essere e Gioia Assoluta.

"Nobile figlio ,(un tale) ascolta: tu stai subendo ora la irradiazione della Chiara Luce di Pura Realtà. Riconoscila, nobile figlio; la tua presente conoscenza in realtà vuota, senza caratteristiche, senza colore, vuota in natura, è la vera realtà, l'universale bontà.

La tua intelligenza - che per sua natura è il vuoto, il quale non deve essere considerato come il vuoto del nulla, ma come l'intelligenza non ostacoltata, brillante, universale e felice,- è la cosienza stessa : il Budda universalmente buono.

La tua coscienza non formata in nessuna osa, vuota in verità, è l'intelligenza lieta e brillante, sono inseparabili. la loro unione è il Dharma Kaya: lo stato di perfetta illuminazione.

La tua coscienza brillante, vuota e inseparabile dal Gran Corpo di Splendore, non ha né nascita né morte: è l'immutabile Luce Amitabha Buddha.

Questa conoscenza basta. Riconoscere il vuoto della tua intelligenza come lo stato di Buddha, e considerarlo come la tua coscienza stessa, ciò significa conservarti nello spirito divino del Buddha". (pag 25,26 del Bardo Todol edito dall'Atanor )

Nella tradizione ebraica questo cuore è espresso in modo involuto in Genesi I

26. Disse Elohîm facciamo luomo con la nostra immaggine come nostra similitudine abbia dominio sui pesci del mare e gli uccelli del cielo,sulle bestie di tutta la terra e su tutte le creature che sciamano sulla terra.

27. Creo Elohîm l'uomo con la sua immaggine, con l'immaggine Elohîm lo creò, maschio e femmina li creò.

e in Genesi II

7. Formò Yhvh ElOhîm l'uomo polvere della terra, soffio nelle sue narici un alito-di (nišmat) Vita che divenne per l'uomo anima (nefeš) vivente .

Nella Cabbala Ebraica Il Cuore è espresso come Ain Soph , il Senza- Fine. Quell'Infinito e Assoluto essere che si è contratto in virtù della sua Onnipotenza per fare spazio alla sua opera creativa , il cosmo. Nello spazio che resta dal suo ritrarsi ci ha lasciato, in ricordo della sua pienezza, la fraganza del suo profumo, come di una bottiglia, dice Itsak Lurià, a cui è stato tolto il profumo ma in cui permane l'aroma . In Plotino che raccoglie l'eredità della Sophia ellenica il cuore è l'Uno. Nel cristianesimo si esprime nella identità essenziale fra le tre persone della Trinità e nella identità fra il Padre e il Logos. Giovanni scrive nel suo vangelo al capo XV.

6 Gesù gli disse : io sono la via , la verità e la vita ;nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se m' aveste conosciuto, avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l'avete veduto.8 Filippo gli disse: Signore, mostraci il Padre e ci basta.9 Gesù gli disse: Da tanto tempo sono con voi e tu non m'hai conosciuto, Filippo? Chi ha veduto me, ha veduto il Padre; come mai dici tu: Mostraci il Padre? 10 Non credi tu ch'io sono nel Padre e che il Padre è in me?Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue. 11 Credetemi che io sono nel Padre e che il Padre è in me ; se no, credete a cagion di quelle opere stesse. 12 In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch'egli le opere che fo io; e ne farà di maggiori, perchè io me ne vo al Padre; 13 e quel che chiederete nel mio nome, lo farò; affinchè il Padre sia glorificato nel Figliuolo.14 Se chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. 15 Se voi mi amate,osserverete i miei comandamenti. 16 e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore , perchè stia con voi in perpetuo, 17 lo Spirito della verità , che il mondo non può ricevere , perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perchè dimora con voi, e sarà con voi, e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani; tornerò a voi.19 Ancora un pò, e il mondo non mi vedrà più ; ma voi mi vedrete, perchè io vivo e voi vedrete . 20 in quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi. 21 Cgi ha i miei comandamenti e li osserva , quello mi ama ; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io l'amerò e mi manifesterò a lui.

La visione non può essere insegnata ma solo vissuta, le parole non hanno senso se non sono riempite dall'esperienza diretta della realtà che simboleggiano. Questa riscoperta interiore della Realtà divina è così assoluta e coinvolgente che colui che la sperimenta dà l'impulso a una serie di risonanze che possono mutare e indirizzare il mondo circostante lasciando un'Impronta Tipica. Si ha così un duplice movimento interiore ed esteriore. Man mano che ci si spinge nell'interiorità, alla riscoperta di Dio, i conseguimenti spirituali si riflettono all'esterno ordinando la vita in modo conforme e si crea arte, leggi, scienza, costumi che portano in sé un'eco della visione. Colui che ha sperimentato in una certa misura la visione poi per ciò stesso la trasmette, anche se, apparentemente, non sembra palesarla in modo esplicito.

Questa visione per sua natura è riconosciuta da pochi ed è incarnata da pochissimi . Attorno ad essa si sono poi sviluppate le varie tradizioni sacre presenti nelle varie epoche e civiltà e a una trasmissione che è essenzialmente una rivelazione del Non-Umano

cioè della Divinità al Veggente. Dice il profeta Isaia " hai schiuso i miei occhi e aperto le mie orecchie e per ciò io posso capire la tua parola, mentre a loro essa è come un libro scritto in una lingua che non conoscono". Si è formata una tradizione umana cioè una trasmissione da maestro a discepolo. Si badi bene la tradizione umana non è sorta solo per scopi puramente didattici ma è sorta perchè partecipiamo realmente alla Divinità e per ciò partecipiamo del potere demiurgico di Dio e nel microcosmo man mano che si procede nel cammino di perfezione spontaneamente creiamo e le opere che creiamo, istituzioni sociali, letteratura,arti plastiche,architettura ,scoperte scientifiche, hanno un eco in sè della nostra reale natura e la contemplazione di queste opere creative ci può pizzicare quelle corde interiori che di risonanza in risonanza ci fanno fruire della loro comune Sorgente.

Attualmente l'anima dell' iniziato occidentale vede confluire in sè diverse tradizioni che nel loro reciproco dialogo si stanno fondendo vieppiù. Si può affermare che le correnti fondamentali della spiritualità occidentale sono da un lato l'esperienza della tradizione semita, specificamente ebraica, includendo in essa il cristianesimo primitivo, dall'altro l'esperienza che potremmo chiamare indoeuropea e infine una componente che possiamo chiamare meridionale. E' probabile e anche auspicabile che nell'immediato futuro la nostra esperienza interiore si arricchirà con i resto della spiritualità africana visto la crescente presenza di popoli le cui radici sono in quel continente, in passo in più per restaurare l'unità della lingua adamitica che si franse nella diaspora di Babele. Attualmente vediamo queste esperienze dialogare e arricchirsi reciprocamente nella forma del cristianesimo, del Vedanta,sia Shankariano che quello di Madva e Ramanuja, e del Buddhismo. In passato,invece, il dialogo si svolse fra l'ebraismo,i cristiani e quella che possiamo definire l'esperienza della Sophia greca.

Si favoleggia che questo dialogo si possa ricondurre a dei popoli primordiali una, quella degli Iperborei, che ridiedeva in quelle che adesso sono regioni del polo nord e un'altra che invece aveva sede all'opposto polo quello meridionale, il sud. Si favoleggia che gli Iperborei in seguito alla glaciazione della loro sede originaria si spostarono in altri luoghi dando origine a nuovi insediamenti uno dei quali fu la leggendaria Atlantide. Si favoleggia che i Cromagnon, uno dei protouomini popolavano la preistoria, furono i discendenti di questa favolosa razza. Si è voluto identificare, sulla base anche di precisi riferimenti astronomici contenuti nei Veda, questi Iberborei con gli Indoeuropei un popolo che ha una sua precisa collocazione

nella "mitologia scientifica". Gli indoeuropei sono una popolazione le cui origini la scienza non ha individuato, ancora, ma che a un certo punto, 1400 ac, ha invaso l'india del nord, l'iran, la grecia , l'europa del nord e per inciso un gruppo di essi ha fondato fra l'alto tigre e l'eufrate il regno dei Mitanni. Il ramo di questo popolo che invase l' India si dava il nome di Arya che dovrebbe significare <<persona rispettabile>> e da cui Ariani termine che ebbe grande fortuna presso i nazisti che la considerarono la razza per eccellenza di cui i tedeschi rappresentavano la quint'essenza. Comunque sia gli Ari, nell'invadere l'india, portarono con Sè, oltre al canglore delle spade e delle lance, una tradizione religiosa che trovò la sua espressione scritta in quella che è la più antica letteratura sacra dell'India i Veda soprattutto nel Rig Veda che sembra riflettere lo strato più antico della letteratura Vedica che proprio per questo dovrebbe contenere gli echi della religiosità propria degli Iperborei e quindi di una religiosità che risale all'alta preistoria. Gli Indoeuropei incontrarono però sui territori che stavano invadendo quella popolazione di origine meridionale, pochissimo conosciuta, che si potrebbe identificare con gli antenati di quella civiltà che è chiamata, dalla paleolinguistica, Subarea che era diffusa in tutto il bacino mediterraneo. In India erano le cosiddette popolazioni pre arie o come lo chiama il Monchanin substrato dravidico. E' interessante notare che gli ebrei, che fanno parte del ceppo Semita, negli stati più arcaici del racconto biblico hanno un rapporto assai conflittuale con gli esponenti di questa religiosità mediterranea o subarea , gli eredi della civiltà del sud. L'origine dei Semiti è incerta la bibbia sembra rinvii all'armenia poi da li migrarono nella mesopotamia e in genere nel mediooriente. Sembra che provengano da siti contigui a quelli degli Indoeuropei. Queste dunque le tre arcaiche correnti che hanno contribuito, reciprocamente fecondandosi e rinnovandosi in sé attraverso l'apporto di veggenti, profeti, santi, a fecondare, dopo un dialogo di un tre o quattromila anni, l'anima dell'occidente.

tratto da www.vedanta.it

stuart mill
22-05-06, 23:41
l significato del termine tradizione - 1


IL SIGNIFICATO DEL TERMINE TRADIZIONE

PRIMA PARTE
L'idea che le varie espressioni del sacro hanno un alcunché di comune non è scoperta recente della psicologia del profondo o della comparazione delle religioni. Man mano che le religioni s’incontrarono sorsero delle voci le quali sostenevano l'opinione che le varie religioni avessero un fondo comune. Basta pensare a un Niccolò Cusano e al suo opuscolo " la Fede nella Pace", o a un Enrico Cornelio Agrippa: "Nulla affligge più il Signore che l'essere negletto e non amato e nulla gli è più' gradito che il rispetto e l'adorazione. Perciò Iddio non permette che alcuna creatura umana sia insofferente della religione. Ogni creatura eleva preghiere a lui e tutte, dice Proclo, elevano inni in suo onore. Ma gli uni pregano in modo naturale, altri in modo sensibile, altri razionalmente, altri intellettualmente, benedicendo però tutti il Signore a modo loro, secondo il cantico dei tre fanciulli. I riti e le cerimonie della religione differiscono a secondo i tempi e paesi, ma ciascuna religione racchiude alcunché di buono che si eleva sino a Dio stesso creatore di ogni cosa. (la Filosofia Occulta Vol. II Pag. 172 ed. Mediterranee) ". Queste istanze di cercare nel molteplice mondo religioso una costante comune, la quale, prima ancora che problema razionale è presente nei moti segreti e interiori dello spirito che, essendo esso stesso unità mal tollera la apparente molteplicità è emersa persino nel Concilio Vaticano II e la dichiarazione "Nostra Etate" che ne è espressione afferma: "La chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e dottrine che quantunque in molti punti differiscono da quanto essa stessa crede e propone tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini". Special modo in india l'universalità della verità religiosa a dispetto delle sue diverse espressioni formali trova il suo pieno riconoscimento ed è consacrato in un sutra della Bhagavad Ghita: "Nel modo in cui gli uomini vengono a Me io vado incontro a loro da qualunque parte (si dirigono) essi seguono sempre la mia via o Partha (B.G. IV 11 ed. Vidya) ". In occidente nel 1920 Renè Guenon inizia a propugnare che di là delle singole espressioni storicamente determinate della vita religiosa e iniziatica c'è una Tradizione che in esse si incarna ... Come lo stesso pensiero può essere espresso in diverse lingue pur rimanendo sè medesimo così é per la Verità sacra e le singole espressioni di essa che appartengono al patrimonio dottrinale, simbolico e rituale delle singole religioni e scuole iniziatiche. L'influenza del Guenon fu ed è notevole in occidente. Dopo di lui, in occidente, quest’uso particolare del termine Tradizione in contrapposizione alle singole tradizioni ha caratterizzato una vasta gamma di opere e autori che sono rappresentativi di rispettivi movimenti ... è agevole rintracciare analogie e somiglianze in questi tradizionalismi ma anche differenze. Le differenze alcune volte sono essenzialmente di natura linguistica e si ricade nell'esempio del medesimo pensiero racchiuso nelle diverse fogge date ad esso dalle singole favelle, altre volte sono dovute alla diversa " sensibilità" spirituale, altre volte c'è una diversità di sostanza. Se tutti quelli che hanno usato il binomio Tradizione tradizioni lo avessero fatto adoperandolo nello stesso significato non ci si dovrebbe preoccupare di tracciare un profilo della famiglia di significati che concorrono e competono a determinarne il senso. Questa precisazione è resa ancor più necessaria perché c'é, almeno da parte di un ramo di questi tradizionalismi un tentativo di appropriazione esclusivistica dei valori tradizionali i quali sono interpretati e piegati allo scopo di fornire una mistica per un totalitarismo politico-sociale che ogni qual volta ha raggiunto un certo grado di potere ha prodotto eventi tristissimi in totale disprezzo di qualsiasi etica.
Nel vasto mare dello spiritualismo tradizionale se c'è qualcosa che è veramente comune a tutte le correnti tradizionali è che la Tradizione è una e la spiegazione di essa e' nel contempo una spiegazione globale e unitaria del "mondo". Termine da intendere questuassimo non nel senso profano, come realtà ordinaria di tutti i giorni ma nel senso arcaico, iniziatico e Tradizionale di Creazione o manifestazione che è l'insieme della manifestazione grossolana, la realtà quotidiana; sottile, il mondo delle energie psichiche e di quelle formatrici universali rappresentate simbolicamente dalle varie gerarchie delle entità cosmiche; da quella causale ovvero germinale che, come nell'indistinzione dello stato di sonno profondo é contenuto potenzialmente il dormiente, così' essa contiene potenzialmente l'edificio cosmico. Questo "mondo" é secondo vari rami della Tradizione la parte manifesta della Divinità, Divinità che é un'abisso misterioso e imperscrutabile, terrore sacro dei veggenti e nel contempo, oceano incommensurabile di beatitudine divina.
Secondo la Tradizione questa "visione" fu cantata da quei pochi veggenti iniziati, mistici, fondatori di religioni che indagando nel loro cuore avevano raggiunto l'illuminazione spirituale. Ogni singola religione, scuola o filosofia iniziatica è un particolare angolo visuale, un particolare canto di lode a e via per giungere alla conoscenza dell'ineffabile. Di generazione in generazione questa visione è stata tramandata a coloro che nel loro cuore volevano realizzarla, sorsero così le tradizioni. Man mano che esse si incontrarono i più qualificati rappresentanti si riconobbero l'un l'altro e da allora, come scrive B.Griffiths in "vicino e inaccessibile", il credente di una determinata religione non può crescere nella sua fede senza tener conto del " fratello " di religione diversa. "E' nostro compito -noi che miriamo alla realizzazione - ,dice Raphael, "andare alla Essenza di tutte le dottrine perché sappiamo che come la Verità è una così la Tradizione è una, per quanto, come la prima, possa essere vista sotto molteplici angolazioni diverse (pag. 83 Tat Tvam Asi ed.Vidya)". E' possibile distinguere due tipi principali di tradizionalismo con tutto il ventaglio di posizioni intermedie. I due tipi di tradizionalismo differiscono perché in un caso compito dell'iniziato è quello di realizzare questo abisso incommensurabile sciogliendo le proprie facoltà psichiche e spirituali nell'oceano dell'esistenza divina, così come il sale si scioglie nell'acqua, nell'altro caso, invece, compito dell'iniziato è di coagulare un centro spirituale che sarà il nocciolo dell'individualità, nocciolo che si esprime attraverso i veivoli animici e corporei irraggiando maestà e potere e dando ai propri atti, parole ecc. un'assolutezza veridicità regale e ... divina. Nell'un caso il mondo è riconosciuto come transitorio, mutevole, nel quale vivere in armonia colle variegate note della sinfonia universa, colla visione equanime che scaturisce dalla continua contemplazione dell'essenza delle cose che è ovunque la medesima, nel secondo caso, il mondo è visto come il teatro in cui esercitare il proprio potere e imperio. Nell'un caso la conflittualità, la violenza sono vissute come onde che increspando l'oceano dell'Amore Cosmico ne turbano la visione e la Shanti, la pace, che si irradia dal cuore del veggente che contempla. Nell'altro caso sembra quasi che l'iniziato debba essere un sanguinario guerrafondaio e Dio assumere, volta per volta, diversa nazionalità e patronato politico. Spiccare teste e aprire pancie con imperturbabile animo sembra essere per questa corrente tradizionale un esercizio per guadagnare una quiete olimpica , e poi non dice la Ghita, il vangelo del guerriero Ario, "uccidi Arjuna tanto per Me loro son già morti , illuso è chi crede di essere ucciso e illuso è colui che crede di uccidere". Nell'un caso il "potere sacerdotale" e il potere temporale sono distinti e il secondo deve accordarsi al primo, nel secondo caso si propugna una necessaria coincidenza dei due poteri in capo al medesimo soggetto, un po come accadeva nella fase arcaica del diritto romano in cui i collegi sacerdotali detenevano i formulari giuridici e nel contempo esercitavano sia una funzione rituale che di responso giuridico, successivamente un eco di ciò lo troviamo fra i poteri dei magistrati dotati di imperium in cui rientrava, singolarmente da un punto di vista moderno, quello di trarre auspici. Nell'un caso pur riconoscendo le diversità formali fra popoli, razze, individui queste tendono a scolorire, a perdere importanza, perché l'attenzione innamorata dell'essenza spirituale che è la medesima, per un certo tradizionalismo, per ogni essere senziente, in essa si riposa e in essa trova il suo godimento. Prendendo a prestito qualche esempio dalla fisica atomica, che, guarda caso, per un certo ramo del tradizionalismo ,è una fisica decadente affatto innocente e anzi antitradizionale perché lo sviluppo di essa è dovuto a un sospetto interesse di troppi fisici ebrei, fra un negro ,un giallo, un ebreo, un bianco le differenze sono solo formali essendo il sostrato atomico il medesimo. Nell'altro caso invece la casta ,la razza ,il sangue assumono un'importanza fondamentale,enorme, basilare in quanto prerequisiti della perfezione spirituale .Nell'un caso le forme istituzionali non hanno importanza ,nell'altro caso l'aspetto politico assume un'importanza decisiva per cui si parla di forme di vita tradizionali civiltà tradizionali,la stessa emancipazione della donna è vista come il prodotto sovversivo dell'Antitradizione, per essa non è data perfezione spirituale pari a quella dell'uomo il suo dominio spirituale non può, per sua interna costituzione, estendersi nelle regioni superne e più rarefatte dello spirito ariano, per essa il massimo è rappresentato dai piccoli misteri, il dominio delle energie sottili, piccole e grandi magie, piccole e grandi stregonerie. Per un certo ramo della Tradizione, la tradizione è in costante lotta con l'antitradizione, l'alternarsi e la prevalenza ora dell'una ora dell'altra vista , retrospettivamente è la storia. Si ripropone così, in diversa chiave , un dualismo di tipo manicheo che vede potenze del bene e del male, di luce e di tenebra, di ordine e di disordine fronteggiarsi, il tutto dilatato nella visione dei grandi cicli cosmici, dei yuga della mitologia puranica o delle quattro età di cui ci narra Esiodo, che vede un progressivo decadimento dell'elemento spirituale, solare ed olimpico, dei valori guerrieri, a favore di una progressiva affermazione dei valori della mondanità e di una spiritualità, decadente, di tipo sacerdotale che si stinge in un femminile senso di adorazione amorosa verso Dio e di tutela di ogni forma vitale che si contrappone ad una Spiritualità Primordiale, tradizionale, virile e maschia. Questo dualismo fra Tradizione e Antitradizione non si limita alla sfera più prettamente Spirituale, ma riguarda anche le civiltà e le forme istituzionali, giuridiche e politiche di esse. Si parla di una antitesi fra civiltà dell'essere e civiltà del divenire .Civiltà dell'essere è quella basata sull'aristocrazia sull'assolutismo politico, religioso e scientifico. I valori della democrazia, della pluralità, dell'integrazione planetaria, della pari dignità dell'uomo e in genere ogni tentativo di carattere ecumenico è visto come sovversione antitradizionale. Esponenti di questo Tradizionalismo hanno affermato che il fascismo e ancor di più il nazionalsocialismo, erano movimenti di ricostruzione della civiltà tradizionale in Europa e hanno identificato le forze alleate alle armate del caos, sicché nel 1945, lo storico colpo di cannone che fece saltare sul palazzo del Reichsthag l'emblema della dittatura nazista, fù, invece che il trionfo della libertà e della giustizia, in realtà il sigillo con cui le forse del caos e della tenebra suggellarono la loro vittoria sulle forze della luce e dell'ordine. Questa corrente tradizionale ha una istintiva antipatia verso l'universalizzazione e la tolleranza basata sul riconoscimento di caratteristiche in comune di popoli, razze, religioni. Uno dei suoi più famosi rappresentanti, l'Evola, ebbe a dire che fù solo per un dovere di onesta' intellettuale se, avanti negli anni, riconobbe alcuni, e vorrei sottolineare gli alcuni, aspetti tradizionali nel cristianesimo. Questo non gli fece apprezzare il cristianesimo più di prima ,essendo, sono sue parole , il quid specifico del cristianesimo estraneo alla sua natura e con essa privo di alcuna risonanza. E lo stesso trattamento riservò al Vedanta Advaita A quei maestri, quali Vivekananda, che si permisero a dispetto della sua opinione, basata sulle sacre scritture dei Veda ,che induisti si nasce non si diventa, di insegnare all'occidente desideroso di abbeverarsi alla fonte della metafisica che non è più occidentale che orientale di destra o di sinistra, questi tradizionalisti hanno parole di fuoco, rinnegati essi sono, frutto di un promiscuo incontro fra la cultura occidentale che essi hanno conosciuto in una versione imbastardita e falsa e di una cultura orientale malcompresa e rinnegata. Tali cialtroni portatori di un vago spiritualismo plebeo e bastardo, altro scopo non hanno, in questa visione, che confondere ancora di più il già confuso spirito occidentale. Sempre in questa visione si ebbe nel cuore dei sucitati una identificazione dell'antitradizione con il popolo ebreo, collaborando, in tal modo, ad eccitare quell'odio i cui funesti risultati furono il tentativo di sterminare e saccheggiare l'intera nazione di Israele che la diaspora aveva sparso per tutto il pianeta.


Pietro Mancuso - Collaboratore Vidya Bharata
Redattore Mountain Path Vers. Italiana

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stuart mill
22-05-06, 23:42
la seconda, terza e quarta parte, li trovate sul sito, assieme a molti altri articoli: inutile che li posto tutti!

Arjuna (POL)
23-05-06, 00:23
pare che le scogliere di marmo di junger, fossetro un velato riferimento al reich, e il forestaro fosse hitler.

Diciamo che "Le scogliere di marmo" è una metafora del disfacimento della civiltà occidentale, nei suoi aspetti, per dirla alla Evola, olimpici e tradizionali e del prevalere delle forze oscure ed irrazionali rappresentate dal forestaro. il libro poi è degli anni '30 (ma non sono sicuro) quindi i paragoni con la situazione dell'epoca è molto facile. :)

stuart mill
23-05-06, 00:26
Diciamo che "Le scogliere di marmo" è una metafora del disfacimento della civiltà occidentale, nei suoi aspetti, per dirla alla Evola, olimpici e tradizionali e del prevalere delle forze oscure ed irrazionali rappresentate dal forestaro. il libro poi è degli anni '30 (ma non sono sicuro) quindi i paragoni con la situazione dell'epoca è molto facile. :)

già. Interessante hitler e il nazismo magico, di g. galli, che parla anche di questo libro.

stuart mill
06-02-07, 21:36
su!