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Visualizza Versione Completa : VI e il V secolo A.C.



mosongo
24-05-06, 04:01
1) ERACLITO
"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)

http://www.filosofico.net/eraclito.jpg (http://www.filosofico.net/eraclito.jpg)Eraclito, vissuto ad Efeso tra il VI e il V secolo a.C., è di famiglia aristocratica (addirittura discendente da famiglia regale) e lo stile stesso in cui scrive risente di questa influenza aristocratica (nella sua opera arriverà a dire: "uno è per me diecimila, se è il migliore"). Nel suo libro Peri fusewV (Sulla natura) traspare palesemente un atteggiamento di disprezzo per la massa popolare (definita come un branco di "cani" che gli abbaiano contro). Va subito precisato, però, che l'aristocraticismo di Eraclito non è molto legato alla vita politica, quanto piuttosto a quella intellettuale e culturale. Secondo la tradizione, Eraclito avrebbe depositato il suo libro (di cui ci sono pervenuti parecchi frammenti) nel tempio di Artemide ad Efeso: egli compie questo gesto senz'altro per il fatto che il tempio era il luogo più sicuro per la custodia (all'epoca le biblioteche non c'erano) , ma anche perchè era tipicamente aristocratico riallacciarsi al sapere della casta sacerdotale ed arcaica. Eraclito ritiene dunque che il tempio sia l'unico luogo idoneo a custodire il suo scritto: egli infatti nutre grande sfiducia nella possibilità che il messaggio da lui consegnato allo scritto possa essere compreso dalla maggior parte degli uomini. Ciò dipende dai contenuti di esso, lontani dalle esperienze della vita comune, ma anche dal linguaggio e dalla forma nei quali questi contenuti sono espressi. In effetti ancora oggi non si è riusciti a comprendere la natura dell'opera di Eraclito, sebbene possediamo numerosi frammenti (oltre 100): essa era infatti costituita di aforismi, vale a dire paginette autonome e singole. Il fatto che fosse un libro "aforistico" non significa che fossero idee campate in aria o che Eraclito saltasse di palo in frasca, cambiando in continuo argomenti: ogni frase, ogni pagina può in qualche modo essere collegata ad altre in modo argomentativo. Va senz'altro notato che Eraclito fu probabilmente il primo a fare collegamenti forma-contenuto : dal momento che i contenuti erano complessi , anche lo stile e la forma dovevano essere complessi: è come se Eraclito volesse sottolineare la difficoltà del contenuto tramite la difficoltà della forma (tant'è che veniva spesso denominato "l'oscuro" o "il piangente"): Aristotele stesso, nel tratteggiare le qualità stilistiche proprie dei filosofi, cita Eraclito come esempio in negativo. Socrate stesso dice che per penetrare nel senso dei discorsi di Eraclito occorrerebbe essere dei "palombari di Delo". Ma Eraclito era pienamente consapevole della difficoltà di interpretazione del suo libro: da buon aristocratico, diceva che non tutti gli uomini erano in grado di capire cosa dicesse: solo i migliori ce l'avrebbero fatta. In Eraclito perfino gli accenti sono ambigui: il termine greco "bios" (bioV) , ad esempio, letto "biòs" significa "arco" , ma letto "bìos" significa "vita" (sono addirittura antitetici i significati: l'arco è un qualcosa che provoca la morte, che è l'opposto della vita). E' interessante e famoso il frammento in cui Eraclito dice "la natura ama nascondersi" (fusiV filei kruptein) : con ciò, egli intende sottolineare che non è facile trovare la realtà, ma occorre aprire bene gli occhi; lo stesso stile eracliteo – così oscuro - può allora essere inteso come un invito a stare in guardia. In Eraclito vi è una convinzione di fondo: che l'intera realtà sia governata da un solo principio (come dicevano i Milesi), a cui tutto è collegato. Dirà che questi legami che legano la natura sono dettati dal LogoV (Logos) : nel mondo c'è una ragione che lo fa andare avanti e un discorso che lo lega. Sia ragione sia discorso vengono proprio tradotti ambedue con "logos", termine che riveste una miriade di significati. Logos è anche il discorso che Eraclito consegna al suo scritto, che in questo senso si presenta come espressione adeguata del logos cosmico. Questo è comune a tutti gli uomini, ma essi non sono in grado di comprenderlo perchè restano rinchiusi nel loro orizzonte privato . Eraclito paragona questi uomini a coloro che dormono e li chiama "dormienti", in contrapposizione con coloro che son desti: quale è la differenza tra le due categorie? Quando siamo svegli siamo in grado di mettere in comune le esperienze: non siamo soli , ma c'è un comune terreno d'intesa . Quando invece dormiamo e ciascuno di noi vive nei sogni in un mondo interamente suo. I dormienti quindi, nel caso degli uomini che Eraclito così definisce, sono coloro che rinunciano al logos cosmico, che ci consente di capire insieme la realtà. Certo suona strano che un aristocratico parli di logos comune-cosmico: in realtà la questione è che quel "comune" logos "cosmico" si riferisce non a tutti gli uomini, ma a pochi : solo ai migliori , e non ai dormienti. Ma cerchiamo di comprendere che cosa Eraclito intenda con "logos comune, cosmico": come accennato, la parola logos è polisemantica ed è quindi bene non tradurla. Essa si riconnette al verbo greco "lego", che in origine significava "legare" ma che poi passò a significare "parlare". Logos vuol dire, tra le varie cose, discorso: c'è l'idea di più parole che vengono tra loro legate per assumere un significato. Può anche significare "discorso interiore" in quanto prima di parlare, si effettua un ragionamento, un dialogo interno a noi stessi. Quindi passò a significare "ragionamento" e da qui "ragione", ossia la facoltà di effettuare ragionamenti. Per Eraclito però i significati della parola logos sono essenzialmente tre: 1) La ragione che governa l'universo 2) Il pensiero che comprende questa ragione universale 3) il discorso che esprime questa conoscenza (dunque il discorso che Eraclito pone per iscritto nel suo testo). Così come abbiamo un logos dentro di noi (la ragione) , Eraclito dice che anche nella realtà ci deve essere un logos cosmico, dove logos ha valenza di "ragione" : il logos è quel qualcosa che fa funzionare l'universo. Eraclito afferma che il logos che abbiamo nella nostra mente non è diverso da quello cosmico. Per arrivare a dire questo, probabilmente, Eraclito si deve essere sagacemente chiesto: "come è che quello che noi pensiamo esiste anche nella realtà?". Questo è anche un modo per rispondere alla domanda: "come si ricollegano le leggi della natura e del mondo? ". Di fatto, Eraclito nega l'esistenza di un dio, ma ammette quella di una ragione universale: c'è un nesso tra la ragione che governa il mondo e quella che governa la nostra mente: sono la stessa cosa e dunque l’ambiguità espositiva nell'opera "Perì fuseos" è dettata dal logos stesso, che fà sì che la natura ami nascondersi. Certo è difficile comprendere questo logos universale, ma non è impossibile: l'uomo ce la può fare usando quel frammento di logos a sua disposizione, insito dentro di lui : la ragione, che non è nient'altro che un pezzettino di logos universale di cui tutti disponiamo. Quindi tutti partiamo dallo stesso livello, ma solo i migliori riescono ad emergere e ad avvicinarsi al logos cosmico. I dormienti sono coloro che non ci riescono nè ci provano: per raggiungere il logos universale bisogna cooperare, non agire da soli e nel proprio interesse: Eraclito dice "bisogna seguire ciò che è comune; infatti ciò che è è comune di tutti . Ma pur essendo il logos di tutti , la folla vive come se avesse un proprio ed esclusivo criterio per giudicare". Eraclito era del parere che una città per funzionare avesse bisogno delle leggi: come il logos cosmico governa il mondo, così le leggi governano la città. Anche le leggi (nomoi), come la mente umana, rappresentano un frammento di logos universale. In Eraclito matura l'idea che la legge umana derivi da quella naturale, della fusiV (natura). Tutte le leggi umane - nella misura in cui sono giuste - attingono ad un'unica legge cosmica. A quei tempi vi era anche chi diceva che le leggi umane fossero puramente convenzionali e non c'entrassero nulla con la natura. Sebbene Eraclito arrivi ad ammettere che il principio sia il logos, un'entità assolutamente astratta, tuttavia egli sente il bisogno di incarnarlo in qualcosa di materiale, e più precisamente nel fuoco.
Continua.....

mosongo
24-05-06, 08:08
2)....continuazione.

Eraclito dice che l'universo non è il prodotto di dei o uomini, ma un ordine universale unico ed eterno. Egli lo identifica con "il fuoco sempre vivente" . Con il riferimento al fuoco, Eraclito non intende soltanto introdurre una variazione rispetto alla tesi, tradizionalmente attribuita agli ionici a partire da Aristotele (Metafisica, I), dell'unicità del principio. Intende piuttosto insistere sulla peculiarità di comportamento del fuoco: si accende e si spegne regolarmente secondo una misura, come appare anche dal sole, che ora brilla (di giorno) e ora si spegne (di notte). La vicenda cosmica in tutti i suoi aspetti e nelle sue incessanti trasformazioni è infatti regolata da una misura. La mobilità del tutto non è un divenire casuale o disordinato, ma è regolata secondo ritmi precisi. Eraclito sostiene che non si tratti solo della successione di un opposto all'altro, del giorno alla notte, della vita alla morte e così via. La guerra (polemoV) assurge a simbolo e insieme regola di tutto ciò che avviene nell'universo: questo è caratterizzato da un'armonia superiore consistente nell'unità e identità degli opposti in tensione tra loro (coincidentia oppositorum). Quindi anche per Eraclito la ricerca dell'unità, al di sotto dell'apparente molteplicità e dispersione di ciò che appare ai più, è l'obiettivo primario. La guerra ("Polemos è signore di tutte le cose") tra gli opposti non è espressione di ingiustizia, come ritengono i più e come aveva detto Anassimandro: il divenire di tutte le cose è il risultato del perenne conflitto che permea il tutto e si esprime nell'incessante tensione e trasformazione di un contrario nell'altro. Il fuoco suggerisce bene l'idea di questo costante divenire, di dinamicità, di trasformazione e di identità degli opposti: dove c'è il fuoco c'è la vita, ma il fuoco porta anche la morte (come "bios" denota sia la vita sia l’arco mortifero). Eraclito polemizzerà moltissimo con i Pitagorici (ed in particolare con Pitagora che definirà "inventore di coltelli", vale a dire dell'arte tagliente della retorica, che mira ad affascinare l'ascoltatore con dialoghi raffinati, ma privi di verità), che sostenevano la pace e l'armonia dei contrasti e che vedevano nella musica la struttura numerica della realtà. Per lui la vera armonia è la tensione tra i contrasti (armonia discors): se prendiamo un arco o una lira, notiamo che essi funzionano fin tanto che la struttura data dal contrasto e dalla tensione degli opposti regge. Divenire significa proprio passare da un opposto all'altro. Mentre nella nostra società si tende a dare un valore negativo alla guerra, Eraclito (e in forza di ciò sarà amatissimo ad esempio da Hegel) dice che polemos (la guerra) è il padre di tutte le cose, è ciò che rende liberi o schiavi gli uomini. Da notare che non si può conoscere pienamente una cosa se non si conosce il suo opposto: non si può conoscere davvero la schiavitù se non si sa che cosa sia la libertà. Per Eraclito la guerra è una grande cosa anche perchè determina quali siano gli uomini più valevoli e quelli inferiori: anche nella guerra c'è dunque un frammento di logos universale. Per Eraclito c'è armonia solo quando i contrari sono in tensione. In un suo frammento, Eraclito afferma che il diametro del sole sia di un piede umano, il che è un'assurdità e lui lo sapeva bene: con quest'affermazione sconcertante egli vuole dire che, così come è assurda la sua affermazione, tali sono anche tutte quelle che si arrestano all’apparenza, giacchè "la natura ama nascondersi". In un altro frammento dice di aver indagato se stesso ("ho indagato me stesso"): salta all'occhio questa affermazione perchè sul tempio di Apollo a Delfi c'era scritto gnwqi sauton (conosci te stesso): lui dice di aver indagato se stesso ed emerge il legame di Eraclito con il mondo arcaico e sacro, tipicamente aristocratico, quel mondo a cui aveva voluto affidare il proprio scritto. Probabilmente quest'affermazione va riferita ad un'importante constatazione di Eraclito: voleva conoscere il logos dell'anima e dice di aver scoperto che l'anima non ha dimensioni, non è definita: "per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". Dice che il suo logos è profondo, quasi con l'idea dello scavare in profondità alla ricerca dell'anima. Eraclito biasima anche Esiodo, l'autore di quella specie di Bibbia dei Greci che è la "Teogonia", che tra le varie coppie di contrari aveva individuato il giorno e la notte, ma che non le aveva individuate come identità di opposti. In un frammento Eraclito dice "la via in su ed in giù è unica ed identica": un qualsiasi percorso in pendenza è sia salita sia discesa e ciò significa che le stesse cose possono contemporaneamente essere opposte ed identiche ed in particolare traspare l'identificazione degli opposti: la salita e la discesa sono tra loro opposti, ma si identificano. Interessante è il frammento in cui dice: "il fulmine governa tutte le cose" ; il fulmine è strettamente connesso al fuoco, che governa tutto ed è l'attributo principale di Zeus, il padre degli dei. Gli Stoici pensavano che vi sarebbe stato un grande anno in cui vi sarebbe stato un incendio che avrebbe portato alla conflagrazione del mondo (ekpurosiV) e che dopo ciò ne sarebbe nato uno nuovo. Essi amavano Eraclito perchè pensavano di leggere nei suoi frammenti idee simili, quali la conflagrazione. In effetti c'è un frammento eracliteo in cui si dice che il fuoco può cambiarsi in tutte le cose e che tutte le cose si possono cambiare in fuoco, ma Eraclito intende semplicemente dire che una parte di cose viene di continuo cambiata in fuoco, e una parte di fuoco viene di continuo cambiata in cose. C'è un equilibrio: Eraclito non intendeva assolutamente parlare di conflagrazioni: si tratta di interpretazioni errate da parte degli stoici. Uno dei frammenti senz'altro più famosi di Eraclito è quello che dice : "negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " : troppo spesso è stato interpretato come il manifesto della "filosofia del divenire", del panta rei ("tutto scorre"), come se Eraclito ci stesse suggerendo che non possiamo mai bagnarci due volte nelle stesse acque di un fiume, giacchè esse si rinnovano incessantemente. In realtà l’indirizzo dell’incessante divenire che regola la realtà sarà intrapreso, più che da Eraclito (nel quale pure non è assente), dal suo discepolo Cratilo (futuro maestro di Platone): egli estremizzerà le posizioni di Eraclito e diventerà il filosofo del "tutto scorre": a suo avviso è addirittura impossibile dare i nomi alle cose perchè esse cambiano di continuo (noi chiamiamo Po un fiume ma non è corretto, perchè le acque si rinnovano in continuazione e il fiume non è mai lo stesso); si fissa artificialmente una cosa che non è fissabile perchè in continua mutazione. Cratilo con il "panta rei" arriva a dimostrazioni sofistiche: è impossibile conoscere qualcosa che cambia sempre. Quindi in teoria, dal momento che non si possono attribuire nomi, bisognerebbe limitarsi ad indicare le cose col dito, senza chiamarle per nome. In realtà Eraclito, con il frammento del fiume, sta argomentando in favore della coincidenza degli opposti, mettendo in luce come quando ci immergiamo in un fiume siamo in esso e al contempo non siamo in esso (poiché nel fiume le acque cambiano di continuo). Circa l'identità degli opposti, egli dice anche che "il mare è l'acqua più pura e impura, per i pesci potabile e salutare, per gli uomini imbevibile e letale" : in questo frammento si può anche scorgere il famoso relativismo assoluto di Protagora, ad avviso del quale il miele c'è chi lo sente dolce e chi lo sente amaro, ma non si può effettivamente dire se esso sia amaro o dolce: dipende da come ciascuno lo sente. Durissima è la critica condotta da Eraclito contro i sapienti del suo tempo (Pitagora, Ecateo, Esiodo, Omero, tutta "gente dalla doppia testa"), accusati di polumaqia, il "sapere molte cose": la vera conoscenza dev’essere quella dell’unico logos.

mosongo
24-05-06, 08:17
ll Buddismo Nel VI-V secolo a.C. un principe divenuto monaco,Buddha, si stacca dall’Induismo (http://web.tiscalinet.it/smsverdi/pakistan/testi/religione.htm#Induismo) e insegna che ogni uomo, senza preghiere e sacrifici, può con le sue forze liberarsi dal dolore e raggiungere la pace. Per fare ciò deve rinunciare al mondo, ai piaceri e farsi monaco. Come la statua di sale che si scioglie nell’Oceano, così anche il buddista deve annullare la propria persona nel nirvana, l’esistenza tutta quiete, priva di ogni desiderio e volere.
Buddha, l’illuminato
Nella giungla del Terai, ai confini del Nepal, nell’anno 560 a. C.,a Suddhodana, potente capo del bellicoso clan sakya, nasce un figlio maschio di nome Gautama o Siddhartha, che significa "Colui che ha raggiunto il suo fine". Dopo aver vissuto nel lusso e nei piaceri, all’età di ventinove anni il principe Siddhartha lascia i genitori, moglie e figlio per cercare la verità e la perfezione e si fa monaco mendicante.
Ma neppure dopo sei anni di digiuni e di meditazioni trova nelle dottrine ciò che cercava. Un giorno a Urubilva, mentre è in raccoglimento sotto un fico sacro, riceve in dono dagli dei la bodhi, l’ illuminazione. Il principe così diventa il Buddha, l’illuminato. Ora possiede la verità tanto cercata e a Benares con cinque compagni dà vita alla prima comunità buddista.
Buddha morirà nel 483 e sarà considerato un dio da molti discepoli.

mosongo
24-05-06, 08:26
"Ciò che il bruco chiama la fine del mondo, per il resto del mondo è una bellissima farfalla" Lao Tse

TAO TE CHING
Il Libro del Tao e della virtù (Tao Tê Ching), considerato come una delle vette del pensiero cinese è opera di Lao-tse (o Lao-tzu), nato intorno al 570 a. C. Ogni capitolo comincia di solito con qualche paradosso e lo sviluppa con rilievi paralleli, introdotti dalla parola " perciò" . Una parola che, comunque, non è da intendere in senso causale: difatti, a differenza della logica occidentale, la logica cinese prevede che la causa possa essere un effetto e un effetto possa essere una parte della causa: per i cinesi, ha scritto lo studioso Lyn Yutang, "causa ed effetto non sono aspetti successivi, ma solo aspetti simultanei della stessa verità".
I - DELINEA IL TAO

Il Tao che può essere detto
non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato
non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio
del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.
Perciò chi non ha mai desideri
ne contempla l'arcano,
chi sempre desidera
ne contempla il termine.
Quei due hanno la stessa estrazione
anche se diverso nome
ed insieme sono detti mistero,
mistero del mistero,
porta di tutti gli arcani.

II - NUTRIRE LA PERSONA

Sotto il cielo tutti
sanno che il bello è bello,
di qui il brutto,
sanno che il bene è bene,
di qui il male.
È così che
essere e non-essere si danno nascita fra loro,
facile e difficile si danno compimento fra loro,
lungo e corto si danno misura fra loro,
alto e basso si fanno dislivello fra loro,
tono e nota si danno armonia fra loro,
prima e dopo si fanno seguito fra loro.
Per questo il santo
permane nel mestiere del non agire
e attua l'insegnamento non detto.
Le diecimila creature sorgono
ed egli non le rifiuta
le fa vivere ma non le considera come sue,
opera ma nulla si aspetta.
Compiuta l'opera egli non rimane
e proprio perché non rimane
non gli vien tolto.

III - TENERE TRANQUILLO IL POPOLO

Non esaltare i più capaci
fa sì che il popolo non contenda,
non pregiare i beni che con difficoltà s'ottengono
fa sì che il popolo non diventi ladro,
non ostentare ciò che può desiderarsi
fa sì che il cuore del popolo non si turbi.
Per questo il governo del santo
svuota il cuore al popolo
e ne riempie il ventre,
ne infiacchisce il volere
e ne rafforza le ossa
sempre fa sì che non abbia scienza né brama
e che colui che sa non osi agire.
Poiché egli pratica il non agire
nulla v'è che non sia governato.

IV - QUEL CHE NON HA ORIGINE

Il Tao viene usato perché è vuoto
e non è mai pieno.
Quale abisso!
sembra il progenitore delle diecimila creature.
Smussa le sue punte,
districa i suoi nodi,
mitiga il suo splendore,
si rende simile alla sua polvere.
Quale profondità!
sembra che da sempre esista.
Non so di chi sia figlio,
pare anteriore all'Imperatore del Cielo.

V - L'USO DEL VUOTO

Il Cielo e la Terra non usano carità,
tengono le diecimila creature per cani di paglia.
Il santo non usa carità
tiene i cento cognomi per cani di paglia.
Lo spazio tra Cielo e Terra
come somiglia a un mantice!
Si vuota ma non si esaurisce,
si muove ed ancora più ne esce.
Parlar molto e scrutare razionalmente
vale meno che mantenersi vuoto.

VI - COMPLETA L'IMMAGINE

Lo spirito della valle non muore,
è la misteriosa femmina.
La porta della misteriosa femmina
è la scaturigine del Cielo e della Terra.
Perennemente ininterrotto come se esistesse
viene usato ma non si stanca.

VII - OCCULTARE LA LUCE

Il Cielo è perpetuo e la Terra perenne.
La ragione per cui
il Cielo può essere perpetuo e la Terra perenne
è che non vivono per sé stessi:
perciò possono vivere a lungo.
Per questo il santo
pospone la sua persona
e la sua persona viene premessa,
apparta la sua persona
e la sua persona perdura.
Non è perché è spoglio di interessi?
Per questo può realizzare il suo interesse.

VIII - TORNARE ALLE QUALITÀ NATURALI

Il sommo bene è come l'acqua:
l'acqua ben giova alle creature e non contende,
resta nel posto che gli uomini disdegnano.
Per questo è quasi simile al Tao.
Nel ristare si adatta al terreno,
nel volere s'adatta all'abisso,
nel donare s'adatta alla carità,
nel dire s'adatta alla sincerità,
nel correggere s'adatta all'ordine,
nel servire s'adatta alla capacità,
nel muoversi s'adatta alle stagioni.
Proprio perché non contende
non viene trovata in colpa.

IX - TENDERE ALL'INCOLORE

Chi colma ciò che possiede
meglio farebbe a desistere,
chi batte a fino ciò che è appuntito
non lo mantiene a lungo intatto.
Un palazzo colmo d'oro e di gemme
non si può conservare,
chi si fa arrogante perché ricco e nobile
procura da sé la sua rovina.
Ad opera compiuta ritrarsi
è la Via del Cielo.

X - SAPER AGIRE

Preserva l'Uno dimorando nelle due anime:
sei capace di non farle separare?
Pervieni all'estrema mollezza conservando il ch' i :
sei capace d'essere un pargolo?
Purificato e mondo abbi visione del mistero:
sei capace d'esser senza pecca?
Governa il regno amando il popolo:
sei capace di non aver sapienza?
All'aprirsi e al chiudersi della porta del Cielo
sei capace d'esser femmina?
Luminoso e comprensivo penetra ovunque:
sei capace di non agire?
Fa vivere le creature e nutrile,
falle vivere e non tenerle come tue,
opera e non aspettarti nulla,
falle crescere e non governarle.
Questa è la misteriosa virtù.

XI - L'UTILITÀ DEL NON-ESSERE

Trenta raggi si uniscono in un solo mozzo
e nel suo non-essere si ha l'utilità del carro,
s'impasta l'argilla per fare un vaso
e nel suo non-essere si ha l'utilità del vaso,
s'aprono porte e finestre per fare una casa
e nel suo non-essere si ha l'utilità della casa.
Perciò l'essere costituisce l'oggetto
e il non-essere costituisce l'utilità.

XII - REPRIMERE LE BRAME

I cinque colori fan sì che s'acciechi l'occhio dell'uomo,
le cinque note fan sì che s'assordi l'orecchio dell'uomo,
i cinque sapori fan sì che falli la bocca dell'uomo,
la corsa e la caccia fan sì che s'imbesti il cuore dell'uomo,
i beni che con difficoltà si ottengono
fan sì che sia dannosa la condotta dell'uomo.
Per questo il santo
è per il ventre e non per l'occhio.
Perciò respinge l'uno e preferisce l'altro.

XIII - RESPINGERE LA VERGOGNA

Favore e sfavore fanno paura,
pregiar la propria persona è gran sventura.
Che significa
favore e sfavore fan paura?
Il favore è un abbassarsi:
nell'ottenerlo s'ha paura,
di perderlo s'ha paura.
Questo significa
favore e sfavore fan paura.
Che significa
pregiar la propria persona è gran sventura?
La ragione per cui ho gran sventura
è che tengo alla mia persona,
se non tenessi alla mia persona
quale sventura avrei?
Per questo
a chi di sé fa pregio a pro del mondo
si può affidare il mondo,
a chi di sé ha cura a pro del mondo
si può confidare il mondo.

XIV - INTRODUCE AL MISTERO

A guardarlo non lo vedi,
di nome è detto l'Incolore.
Ad ascoltarlo non lo odi,
di nome è detto l'Insonoro.
Ad afferrarlo non lo prendi,
di nome è detto l'Informe.
Questi tre non consentono di scrutarlo a fondo,
ma uniti insieme formano l'Uno.
Non è splendente in alto
non è oscuro in basso,
nel suo volversi incessante non gli puoi dar nome
e di nuovo si riconduce all'immateriale.
È la figura che non ha figura,
l'immagine che non ha materia:
è l'indistinto e l'indeterminato.
Ad andargli incontro non ne vedi l'inizio,
ad andargli appresso non ne vedi la fine.
Attieniti fermamente all'antico Tao
per guidare gli esseri di oggi
e potrai conoscere il principio antico.
È questa l'orditura del Tao.

XV - APPALESA LA VIRTÙ

Quelli che in antico eccellevano come adepti del Tao
penetravano l'arcano e comunicavano col mistero,
erano profondi da non poter essere compresi.
Proprio perché non possono essere compresi
io mi sforzerò di darne i tratti.
Irresoluti erano come chi d'inverno guada un fiume,
guardinghi erano come chi teme i vicini ai quattro lati,
rispettosi erano come chi è ospite,
frammentati erano come ghiaccio che si va fondendo,
schietti erano come legno non ancora sgrossato,
vuoti erano come valli,
torbidi erano come acqua motosa.
Chi è capace d'esser motoso
per fare illimpidire piano piano riposando?
Chi è capace d'esser placido
per far vivere pian piano rimuovendo a lungo?
Chi s'attiene a questa Via
non brama d'esser pieno,
e proprio perché non si riempie
può starsene nell'ombra senza innovar l'antico.

XVI - VOLGERSI ALLA RADICE

Arrivare alla vacuità è il culmine,
mantenere la quiete è schiettezza:
le diecimila creature insieme sorgono
ed io le vedo ritornare a quelle,
quando le creature hanno avuto il lor rigoglio
ciascuna fa ritorno alla sua radice.
Tornare alla radice è quiete,
il che vuol dire restituire il mandato,
restituire il mandato è eternità.
Chi conosce l'eternità è illuminato,
chi non la conosce insensatamente provoca sventure.
Chi conosce l'eternità tutto abbraccia,
tutto abbracciando è equanime,
essendo equanime è sovrano,
essendo sovrano è Cielo,
essendo Cielo è Tao,
essendo Tao a lungo dura
e per tutta la vita non corre pericolo.

XVII - LA PURA INFLUENZA

Dei grandi sovrani il popolo sapeva che esistevano,
vennero poi quelli che amò ed esaltò,
e poi quelli che temette,
e poi quelli di cui si fece beffe:
quando la sincerità venne meno
s'ebbe l'insincerità.
Com'erano pensosi i primi nel soppesar le loro parole!
Ad opera compiuta e ad impresa riuscita
dicevano i cento cognomi: siamo così da noi stessi.

XVIII - LO SCADIMENTO DEI COSTUMI

Quando il gran Tao fu negletto
s'ebbero carità e giustizia,
quando apparvero intelligenza e sapienza
s'ebbero le grandi imposture,
quando i sei congiunti non furono in armonia
s'ebbero pietà filiale e clemenza paterna,
quando gli stati caddero nel disordine
s'ebbero i ministri leali.

XIX - TORNARE ALLA PUREZZA

Tralascia la santità e ripudia la sapienza
e il popolo s'avvantaggerà di cento doppie,
tralascia la carità e ripudia la giustizia
ed esso tornerà alla pietà filiale e alla clemenza
paterna,
tralascia l'abilità e ripudia il lucro
e più non vi saranno ladri e briganti.
Quelle tre reputa formali e insufficienti,
perciò insegna che v'è altro a cui attenersi:
mostrati semplice e mantienti grezzo,
abbi poco egoismo e scarse brame.

XX - DIFFERENZIARSI DAL VOLGO

Tralascia lo studio e non avrai afflizioni.
Tra un pronto e un tardo risponder sì
quanto intercorre?
Quel che gli altri temono
non posso non temer io.
Oh, quanto son distanti e ancor non s'arrestano!
Tutti gli uomini sono sfrenati
come a una festa o un banchetto sacrificale,
come se in primavera ascendessero ad una torre.
Sol io quanto son placido! tuttora senza presagio
come un pargolo che ancor non ha sorriso,
quanto son dimesso!
come chi non ha dove tornare.
Tutti gli uomini hanno d'avanzo
sol io sono come chi tutto ha abbandonato.
Oh, il mio cuore di stolto
quanto è confuso!
L'uomo comune è così brillante
sol io sono tutto ottenebrato,
l'uomo comune in tutto s'intromette,
solo io di tutto mi disinteresso,
agitato sono come il mare,
sballottato sono come chi non ha punto fermo.
Tutti gli uomini sono affaccendati
sol io sono ebete come villico.
Sol io mi differenzio dagli altri
e tengo in gran pregio la madre che nutre.

XXI - SVOTARE IL CUORE

Il contenere di chi ha la virtù del vuoto
solo al Tao s'adegua.
Per le creature il Tao
è indistinto e indeterminato.
Oh, come indeterminato e indistinto
nel suo seno racchiude le immagini!
Oh, come indistinto e indeterminato
nel suo seno racchiude gli archetipi!
Oh, come profondo e misterioso
nel suo seno racchiude l'essenza dell'essere!
Questa essenza è assai genuina
nel suo seno ne racchiude la conferma.
Dai tempi antichi sino ad oggi
il suo nome non passa
e così acconsente a tutti gli inizi.
Da che conosco il modo di tutti gli inizi?
Da questo.

XXII - L'UMILTÀ CHE ELEVA

Se ti pieghi ti conservi,
se ti curvi ti raddrizzi,
se t'incavi ti riempi,
se ti logori ti rinnovi,
se miri al poco ottieni
se miri al molto resti deluso.
Per questo il santo preserva l'Uno
e diviene modello al mondo.
Non da sé vede perciò è illuminato,
non da se s'approva perciò splende,
non da sé si gloria perciò ha merito,
non da sé s'esalta perciò a lungo dura.
Proprio perché non contende
nessuno al mondo può muovergli contesa.
Quel che dicevano gli antichi:
se ti pieghi ti conservi,
erano forse parole vuote?
In verità, integri tornavano.

XXIII - IL VUOTO NON-ESSERE

Il parlar dell'Insonoro è spontaneità.
Per questo
un turbine di vento non dura una mattina,
un rovescio di pioggia non dura una giornata.
Chi opera queste cose?
Il Cielo e la Terra.
Se perfino il Cielo e la Terra non possono persistere
tanto più lo potrà l'uomo?
Perciò compi le tue imprese come il Tao.
Chi si dà al Tao s'immedesima col Tao,
chi si dà alla virtù s'immedesima con la virtù,
chi si dà alla perdita s'immedesima con la perdita.
Chi s'immedesima col Tao
nel Tao si rallegra d'ottenere,
chi s'immedesima con la virtù
nella virtù si rallegra d'ottenere,
chi s'immedesima con la perdita
nella perdita si rallegra d'ottenere.
Quando la sincerità vien meno
si ha l'insincerità.

XXIV - LA PENOSA BENIGNITÀ

Chi sta sulla punta dei piedi non si tiene ritto,
chi sta a gambe larghe non cammina,
chi da sé vede non è illuminato,
chi da sé s'approva non splende,
chi da sé si gloria non ha merito,
chi da sé s'esalta non dura a lungo.
Nel Tao queste cose sono avanzumi ed escrescenze,
che le creature hanno sempre detestati.
Per questo non rimane chi pratica il Tao.

XXV - RAFFIGURA L'ORIGINE

C'è un qualcosa che completa nel caos,
il quale vive prima del Cielo e della Terra.
Come è silente, come è vacuo!
Se ne sta solingo senza mutare,
ovunque s'aggira senza correr pericolo,
si può dire la madre di ciò che è sotto il cielo.
Io non ne conosco il nome
e come appellativo lo dico Tao,
sforzandomi a dargli un nome lo dico Grande.
Grande ovvero errante,
errante ovvero distante,
distante ovvero tornante.
Perciò
il Tao è grande,
il Cielo è grande,
la Terra è grande
ed anche il sovrano è grande.
Nell'universo vi sono quattro grandezze
ed il sovrano sta in una di esse.
L'uomo si conforma alla Terra,
la Terra si conforma al Cielo,
il Cielo si conforma al Tao,
il Tao si conforma alla spontaneità.

XXVI - LA VIRTÙ DEL GRAVE

Il grave è radice del leggero,
il quieto è signore dell'irrequieto.
Per questo il santo viaggia tutto il giorno
senza discostarsi dal bagaglio,
anche se possiede palazzi regali
placidamente se ne sta distaccato.
Che sarà se il signore di diecimila carri
leggero si fa nel mondo?
Se è leggero perde il fondamento,
se è irrequieto perde la sua signoria.

XXVII - L'USO DELL'ABILITÀ

Chi ben viaggia non lascia solchi né impronte,
chi ben parla non ha pecche né biasimi,
chi ben conta non adopra bastoncelli né listelle,
chi ben chiude non usa sbarre né paletti
eppure non si può aprire,
chi ben lega non usa corde né vincoli
eppure non si può sciogliere.
Per questo il santo
sempre ben soccorre gli uomini
e perciò non vi sono uomini respinti,
sempre bene soccorre le creature
e perciò non vi sono creature respinte:
ciò si chiama trasfondere l'illuminazione.
Così l'uomo che è buono
è maestro dell'uomo non buono,
l'uomo che non è buono
è profitto all'uomo buono.
Chi non apprezza un tal maestro,
chi non ha caro un tal profitto,
anche se è sapiente cade in grave inganno:
questo si chiama il mistero essenziale.

XXVIII - TORNARE ALLA SEMPLICITÀ

Chi sa d'esser maschio
e si mantiene femmina
è la forra del mondo,
essendo la forra del mondo
la virtù mai non si separa da lui
ed ei ritorna ad essere un pargolo.
Chi sa d'esser candido
e si mantiene oscuro
è il modello del mondo,
essendo il modello del mondo
la virtù mai non si scosta da lui
ed ei ritorna all'infinito.
Chi sa d'esser glorioso
e si mantiene nell'ignominia
è la valle del mondo,
essendo la valle del mondo
la virtù sempre si ferma in lui
ed ei ritorna ad esser grezzo.
Quando quel ch'è grezzo vien tagliato
allora se ne fanno strumenti,
quando l'uomo santo ne usa
allora ne fa i primi tra i ministri.
Per questo il gran governo non danneggia.

XXIX - NON AGIRE

Quei che volendo tenere il mondo
lo governa,
a mio parere non vi riuscirà giammai.
Il mondo è un vaso sovrannaturale
che non si può governare:
chi governa lo corrompe,
chi dirige lo svia,
poiché tra le creature
taluna precede ed altra segue,
taluna è calda ed altra è fredda,
taluna è forte ed altra è debole,
taluna è tranquilla ed altra è pericolosa.
Per questo il santo
rifugge dall'eccesso,
rifugge dallo sperpero,
rifugge dal fasto.

XXX - LIMITARE LE OPERAZIONI MILITARI

Quei che col Tao assiste il sovrano
non fa violenza al mondo con le armi,
nelle sue imprese preferisce controbattere.
Là dove stanziano le milizie
nascono sterpi e rovi,
al seguito dei grandi eserciti
vengono certo annate di miseria.
Chi ben li adopra
soccorre e basta,
non osa con essi acquistar potenza.
Soccorre e non si esalta,
soccorre e non si gloria,
soccorre e non s'insuperbisce,
soccorre quando non può farne a meno,
soccorre ma non fa violenza.
Quel che s'invigorisce allor decade:
vuol dire che non è conforme al Tao.
Ciò che non è conforme al Tao presto finisce.

XXXI - DESISTERE DALLE OPERAZIONI MILITARI

Ecco che son le belle armi:
strumenti del malvagio
che le creature han sempre detestati.
Per questo non rimane chi pratica il Tao.
Il saggio, che è pacifico, tiene in pregio la sinistra,
chi adopra l'armi tiene in pregio la destra.
Ecco che son l'armi:
strumenti del malvagio
non strumenti del saggio,
il quale li adopra solo se non può farne a meno.
Avendo per supreme pace e quiete,
ei vince ma non se ne compiace,
chi se ne compiace
gioisce nell'uccidere gli uomini.
Ora chi gioisce nell'uccidere gli uomini
non può attuare i suoi intenti nel mondo.
Nelle gesta fauste si tiene in onore la sinistra,
nelle gesta infauste si tiene in onore la destra.
Il luogotenente sta alla sinistra,
il duce supremo sta alla destra:
assume il posto del rito funebre.
Quei che gli uomini ha ucciso in massa
li piange con cordoglio e con tristezza:
la vittoria in guerra gli assegna il posto del rito
funebre.

XXXII - LA VIRTÙ DEL SANTO

Il Tao in eterno è senza nome,
è grezzo per quanto minimo sia,
nessuno al mondo è capace di fargli da ministro.
Se principi e sovrani fossero capaci di attenervisi,
le diecimila crature da sé si sottometterebbero,
il Cielo in mutuo accordo con la Terra
farebbe discendere soave rugiada
e il popolo, senza alcuno che lo comandi,
da sé troverebbe il giusto assetto.
Quando si cominciò ad intagliare
si ebbero i nomi.
Tutto quello che ha nome viene trattato come proprio,
perciò sappi contenerti.
Chi sa contenersi
può non correre pericolo.
Paragona la presenza del Tao nel mondo
ai fiumi e ai mari cui accorrono rivi e valli.

XXXIII - LA VIRTÙ DEL DISCERNIMENTO

Chi conosce gli altri è sapiente,
chi conosce sé stesso è illuminato.
Chi vince gli altri è potente,
chi vince sé stesso è forte.
Chi sa contentarsi è ricco,
chi strenuamente opera attua i suoi intenti.
A lungo dura chi non si diparte dal suo stato,
ha vita perenne quello che muore ma non perisce.

XXXIV - CONFIDARE NEL PERFETTO

Come è universale il gran Tao!
può stare a sinistra come a destra.
In esso fidando vengono alla vita le creature
ed esso non le rifiuta,
l'opera compiuta non chiama sua.
Veste e nutre le creature
ma non se ne fa signore,
esso che sempre non ha brame
può esser nominato Piccolo.
Le creature ad esso si volgono
ma esso non se ne fa signore,
può esser nominato Grande.
Poiché giammai si fa grande
può realizzare la sua grandezza.

XXXV - LA VIRTÙ DELLA CARITÀ'

Verso chi tiene in sé la grande immagine
il mondo accorre,
accorre e non riceve danno
ma calma e pace grandi.
Attratto da musiche e bevande prelibate
si ferma il viator che passa,
ma quel che al Tao esce di bocca
com'è scipito! non ha sapore.
A guardarlo non riesci a vederlo,
ad ascoltarlo non riesci ad udirlo,
ad usarlo non riesci ad esaurirlo.

XXXVI - L'OCCULTO E IL PALESE

Quei che vuoi che si contragga
devi farlo espandere,
quei che vuoi che s'indebolisca
devi farlo rafforzare,
quei che vuoi che rovini
devi farlo prosperare,
a quei che vuoi che sia tolto
devi dare.
Questo è l'occulto e il palese.
Mollezza e debolezza vincono durezza e forza.
Al pesce non conviene abbandonar l'abisso,
gli strumenti profittevoli al regno
non conviene mostrarli al popolo.

XXXVII - ESERCITARE IL GOVERNO

Il Tao in eterno non agisce
e nulla v'è che non sia fatto.
Se principi e sovrani fossero capaci d'attenervisi,
le creature da sé si trasformerebbero.
Quelli che per trasformarle bramassero operare
io li acquieterei
con la semplicità di quel che non ha nome
anch'esse non avrebbero brame,
quando non han brame stanno quiete
e il mondo da sé s'assesta.

XXXVIII - ESPONE LA VIRTÙ

La virtù somma non si fa virtù
per questo ha virtù,
la virtù inferiore non manca di farsi virtù
per questo non ha virtù.
La virtù somma non agisce
ma non ha necessità di agire,
la virtù inferiore agisce
ma ha necessità di agire.
La somma carità agisce
ma non ha necessità di agire,
la somma giustizia agisce
ma ha necessità di agire,
il sommo rito agisce
e se non viene corrisposto
si denuda le braccia e trascina a forza.
Fu così che
perduto il Tao venne poi la virtù,
perduta la virtù venne poi la carità,
perduta la carità venne poi la giustizia,
perduta la giustizia venne poi il rito:
il rito è labilità della lealtà e della sincerità
e foriero di disordine.
Chi per primo conosce è fior nel Tao
e principio di ignoranza.
Per questo l'uomo grande
resta in ciò che è solido
e non si sofferma in ciò che è labile,
resta nel frutto
e non si sofferma nel fiore.
Perciò respinge l'uno e preferisce l'altro.

XXXIX - UNIFORMARSI AL FONDAMENTO

In principio questi ottenner l'Uno:
il Cielo l'ottenne e per esso fu puro,
la Terra l'ottenne e per esso fu tranquilla,
gli esseri sovrannaturali l'ottennero
e per esso furono potenti,
la valle l'ottenne e per esso fu ricolma,
le creature l'ottennero e per esso vissero,
principi e sovrani l'ottennero
e per esso furon retti nel governare il mondo.
Costoro ne furono resi perfetti.
Se il Cielo non fosse puro per esso
temerebbe di squarciarsi,
se la Terra non fosse tranquilla per esso
temerebbe di fendersi,
se gli esseri sovrannaturali non fossero potenti per esso
temerebbero d'annullarsi,
se la valle non fosse ricolma per esso
temerebbe d'inaridirsi,
se le creature non vivessero per esso
temerebbero di spegnersi,
se principi e sovrani non fossero nobili e alti per esso
temerebbero di cadere.
Il nobile ha per fondamento il vile,
l'alto ha per basamento il basso.
Perciò quando principi e sovrani chiamano sé stessi
l'orfano, lo scarso di virtù, l'incapace,
non è perché considerano lor fondamento il vile?
Ahimé, no!
Quando hai finito d'enumerare le parti del carro
ancor non hai il carro.
Non voler essere pregiato come giada
né spregiato come pietra.

XL - DOVE ANDARE E CHE ADOPERARE

Il tornare è il movimento del Tao,
la debolezza è quel che adopra il Tao.
Le diecimila creature che sono sotto il cielo
hanno vita dall'essere,
l'essere ha vita dal non-essere.

XLI - EQUIPARA LE DIVERSITÀ

Quando il gran dotto apprende il Tao
lo pratica con tutte le sue forze,
quando il medio dotto apprende il Tao
or lo conserva ed or lo perde,
quando l'infimo dotto apprende il Tao
se ne fa grandi risate:
se non fosse deriso non sarebbe degno d'essere il Tao.
Perciò motti invalsi dicono:
illuminarsi nel Tao è come ottenebrarsi,
avanzare nel Tao è come regredire,
spianarsi nel Tao è come incavarsi,
la virtù somma è come valle,
il gran candore è come ignominia,
la virtù vasta è come insufficienza,
la virtù salda è come esser volgo,
la naturale genuinità è come sbiadimento,
il gran quadrato non ha angoli,
il gran vaso tardi si completa,
il gran suono è una sonorità insonora,
la grande immagine non ha forma.
Il Tao è nascosto e senza nome,
ma proprio perché è il Tao
ben impresta e completa.

XLII - LE TRASFORMAZIONI DEL TAO

Il Tao generò l'Uno,
l'Uno generò il Due,
il Due generò il Tre,
il Tre generò le diecimila creature.
Le creature voltano le spalle allo yin
e volgono il volto allo yang,
il ch'i infuso le rende armoniose.
Ciò che l'uomo detesta
è d'essere orfano, scarso di virtù, incapace,
eppur sovrani e duchi se ne fanno appellativi.
Perciò tra le creature
taluna diminuendosi s'accresce,
taluna accrescendosi si diminuisce.
Ciò che gli altri insegnano
anch'io l'insegno:
quelli che fan violenza non muoiono di morte
naturale.
Di questo farò l'avvio del mio insegnamento.

XLIII - LO STRUMENTO UNIVERSALE

Ciò che v'è di più molle al mondo
assoggetta ciò che v'è di più duro al mondo,
quel che non ha esistenza
penetra là dove non sono interstizi.
Da questo so che v'è profitto nel non agire.
All'insegnamento non detto,
al profitto del non agire,
pochi di quelli che sono sotto il cielo arrivano.

XLIV - IL FERMO AMMONIMENTO

Tra fama e persona che è più caro?
Tra persona e beni che è più importante?
Tra acquistare e perdere che è più penoso?
Per questo
chi ardentemente brama certo assai sperpera,
chi molto accumula certo assai perde.
Chi sa accontentarsi non subisce oltraggio,
chi sa contenersi non corre pericolo
e può durare a lungo.

XLV - L'IMMENSA VIRTÙ

La grande completezza è come spezzettamento
che nell'uso non si rompe,
la grande pienezza è come vuotezza
che nell'uso non si esaurisce,
la grande dirittura è come sinuosità,
la grande abilità è come inettitudine,
la grande eloquenza è come balbettio.
L'agitazione finisce nell'algore,
la quiete finisce nel calore:
la pura quiete è la regola del mondo.

XLVI - ESSER PARCO NELLE BRAME

Quando nel mondo vige il Tao
i cavalli veloci sono mandati a concimare i campi,
quando nel mondo non vige il Tao
i cavalli da battaglia vivono ai confini.
Colpa non v'è più grande
che secondar le brame,
sventura non v'è più grande
che non saper accontentarsi,
difetto non v'è più grande
che bramar d'acquistare.
Quei che conosce la contentezza dell'accontentarsi
sempre è contento.

XLVII - SCRUTARE CIÒ CHE È LONTANO

Senza uscir dalla porta
conosci il mondo,
senza guardar dalla finestra
scorgi la Via del Cielo.
Più lungi te ne vai meno conosci.
Per questo il santo
non va dattorno eppur conosce,
non vede e più discerne,
non agisce eppur completa.

XLVIII - OBLIARE LA SAPIENZA

Chi si dedica allo studio ogni dì aggiunge,
chi pratica il Tao ogni dì toglie,
toglie ed ancor toglie
fino ad arrivare al non agire:
quando non agisce nulla v'è che non sia fatto.
Quei che regge il mondo
sempre lo faccia senza imprendere,
se poi imprende
non è atto a reggere il mondo.

XLIX - CONFIDARE NELLA VIRTU'

Il santo non ha un cuore immutabile,
ha per cuore il cuore dei cento cognomi.
Per me è bene ciò che hanno di buono,
ed è bene anche ciò che hanno di non buono,
la virtù li rende buoni;
per me è sincerità ciò che hanno di sincero,
ed è sincerità anche ciò che hanno di non sincero,
la virtù li rende sinceri.
Il santo sta nel mondo tutto timoroso
e per il mondo rende promiscuo il suo cuore.
I cento cognomi in lui affiggono occhi e orecchi
e il santo li tratta come fanciulli.

L - TENERE IN PREGIO LA VITA

Uscire è vivere, entrare è morire.
Seguaci della vita sono tre su dieci,
seguaci della morte sono tre su dieci,
gli uomini che la vita
tramutano in disposizione alla morte
son pur essi tre su dieci.
Per qual motivo?
Perché vivono l'intensità della vita.
Or io ho appreso che chi ben nutre la vita
va per deserti senza incontrar rinoceronti e tigri,
va tra gli eserciti senza indossar corazza e arme:
il rinoceronte non ha dove infilzare il corno,
la tigre non ha dove affondar l'artiglio,
il guerriero non ha dove immergere la spada.
Per qual motivo?
Perché costui non ha disposizione alla morte.

LI - LA VIRTÙ CHE NUTRE

Il Tao le fa vivere,
la virtù le alleva,
con la materia dà loro la forma,
con le vicende dà loro la completezza.
Per questo le creature tutte
venerano il Tao e onorano la virtù:
venerare il Tao e onorare la virtù
nessuno lo comanda ma viene ognor spontaneo.
Quindi il Tao fa vivere,
la virtù alleva, fa crescere,
sviluppa, completa, matura,
nutre, ripara.
Le fa vivere ma non le tiene come sue
opera ma nulla s'aspetta,
le fa crescere ma non le governa.
Questa è la misteriosa virtù.

LII - VOLGERSI ALL'ORIGINE

Il mondo ebbe un principio
che fu la madre del mondo.
Chi è pervenuto alla madre
da essa conosce il figlio,
chi conosce il figlio
e torna a conservar la madre
fino alla morte non corre pericolo.
Chi ostruisce il suo varco
e chiude la sua porta
per tutta la vita non ha travaglio,
chi spalanca il suo varco
ed accresce le sue imprese
per tutta la vita non ha scampo.
Illuminazione è vedere il piccolo,
forza è attenersi alla mollezza.
Chi fa uso della vista
e torna ad introvertere lo sguardo
non abbandona la persona alla rovina.
Questo dicesi praticar l'eterno.

LIII - TRARRE PROFITTO DALLE PROVE

Se avessimo grande sapienza
cammineremmo nella gran Via
e solo di agire temeremmo.
La gran Via è assai piana,
ma la gente preferisce i sentieri.
Quando il palazzo reale è troppo ben tenuto
i campi son del tutto incolti
e i granai son del tutto vuoti.
Indossar vesti eleganti e ricamate,
portare alla cintura spade acuminate,
rimpinzarsi di vivande e di bevande
e ricchezze e beni aver d'avanzo,
è sfarzo da ladrone.
È contrario al Tao, ahimé!

LIV- COLTIVARE E CONTEMPLARE

Chi ben si fonda non vien divelto,
a chi ben stringe non vien tolto:
con questa Via figli e nipoti
gli offriranno sacrifici ininterrotti.
Se la coltiva nella persona
la sua virtù è la genuinità,
se la coltiva nella famiglia
la sua virtù è la sovrabbondanza,
se la coltiva nel villaggio
la sua virtù è la reverenza,
se la coltiva nel regno
la sua virtù è la floridezza,
se la coltiva nel mondo
la sua virtù è l'universalità.
Per questo
contempla le persone dalla sua persona,
contempla le famiglie dalla sua famiglia,
contempla i villaggi dal suo villaggio,
contempla i regni dal suo regno,
contempla il mondo dal suo mondo.
Come so che il mondo è così?
Da questo.

LV - IL SIMBOLO DEL MISTERO

Quei che racchiude in sé la pienezza della virtù
è paragonabile ad un pargolo,
che velenosi insetti e serpi non attoscano,
belve feroci non artigliano,
uccelli rapaci non adunghiano.
Deboli ha l'ossa e molli i muscoli
eppur la sua stretta è salda,
ancor non sa dell'unione dei sessi
eppur tutto si aderge:
è la perfezione dell'essenza,
tutto il giorno vagisce
eppur non diviene fioco:
è la perfezione dell'armonia.
Conoscer l'armonia è eternità,
conoscer l'eternità è illuminazione,
vivere smodatamente la vita è prodromo di
sventura,
con la mente comandare al ch'i significa indurirsi.
Quel che s'invigorisce allor decade:
questo vuol dire che non è conforme al Tao.
Ciò che non è conforme al Tao presto finisce.

LVI - LA MISTERIOSA VIRTÙ'

Quei che sa non parla,
quei che parla non sa.
Chi ostruisce il suo varco,
chiude la sua porta,
smussa le sue punte,
districa i suoi nodi,
mitiga il suo splendore,
si rende simile alla sua polvere,
dicesi accomunato col mistero.
Per questo costui
non può essere attirato
né può essere respinto,
non può essere avvantaggiato
né può essere danneggiato,
non può essere nobilitato
né può essere umiliato.
Per questo è il più nobile del mondo.

LVII - RENDERE PURI I COSTUMI

Quando con la correzione si governa il mondo
con la falsità s'adopran l'armi:
il mondo si regge col non imprendere.
Da che so che è così?
Dal presente.
Più numerosi ha il sovrano
i giorni nefasti e le parole proibite
più il popolo cade in miseria,
più numerosi ha il popolo
gli strumenti profittevoli
più i regni cadono nel disordine,
più numerosi hanno gli uomini
gli artifizi e le abilità
più appaiono cose rare,
più si fa sfoggio di belle cose
più numerosi si fanno ladri e briganti.
Per questo il santo dice:
io non agisco e il popolo da sé si trasforma,
io amo la quiete e il popolo da sé si corregge,
io non imprendo e il popolo da sé s'arricchisce,
io non bramo e il popolo da sé si fa semplice.

LVIII - ADATTARSI ALLE VICISSITUDINI

Quando il governo di tutto si disinteressa
il popolo è unito,
quando il governo in tutto si intromette
il popolo è frammentato.
La fortuna si origina dalla sfortuna,
la sfortuna si nasconde nella fortuna.
Chi ne conosce il culmine?
Quei che non corregge.
La correzione si converte in falsità,
il bene si converte in presagio di sventura
e ogni dì lo sconcerto del popolo
si fa più profondo e più durevole.
Per questo il santo
è quadrato ma non taglia,
è incorrotto ma non ferisce,
è diritto ma non ostenta,
è luminoso ma non abbaglia.

LIX - MANTENERSI NEL TAO

Nel governare gli uomini e nel servire il Cielo
nulla è meglio della parsimonia,
perché solo la parsimonia antepone l'ottenere.
Anteporre l'ottenere significa accumulare virtù.
Chi accumula virtù tutto sottomette,
quando tutto sottomette
nessuno conosce il suo culmine,
quando nessuno conosce il suo culmine
ei può possedere il regno.
Chi possiede la madre del regno
può durare a lungo.
Questo si chiama
affondare le radici e rinsaldare il tronco,
via della lunga vita e dell'eterna giovinezza.

LX - STARE NELLA DIGNITÀ REGALE

Governare un gran regno
è come friggere pesciolini minuti.
Quando si sovrintende al mondo con il Tao
i mani non mostrano la potenza loro.
Non che i mani non abbiano potenza
ma la potenza loro non nuoce agli uomini,
non che la potenza loro non nuoccia agli uomini
ma il santo non nuoce agli uomini.
Questi due non si nuocciono fra loro,
per questo le virtù loro insieme confluiscono

LXI- LA VIRTÙ DELL'UMILTÀ

Il gran regno che si tiene in basso
è la confluenza del mondo,
è la femmina del mondo.
La femmina sempre vince il maschio con la quiete,
poiché chetamente se ne sta sottomessa.
Per questo
il gran regno che si pone al disotto del piccolo regno
attrae il piccolo regno,
il piccolo regno che sta al disotto del gran regno
attrae il gran regno:
l'uno si abbassa per attrarre,
l'altro attrae perché sta in basso.
Il gran regno non ecceda
per la brama di pascere ed unire gli altri,
il piccolo regno non ecceda
per la brama d'essere accetto e servire gli altri.
Affinchè ciascuno ottenga ciò che brama
al grande conviene tenersi in basso.

LXII - PRATICARE IL TAO

Ecco che cosa è il Tao:
il rifugio delle creature,
tesoro per il buono,
protezione per il malvagio.
A parlarne con elogio si può tener mercato,
a seguirlo con rispetto si può emergere sugli altri.
Degli uomini malvagi quale può essere respinto?
Per questo si pone sul trono il Figlio del Cielo
e si nominano i tre gran ministri.
Anche se costoro hanno il gran pi
per ottenere precedenza alla loro quadriga,
è meglio che se ne stiano seduti
ad avanzare in questo Tao.
Quale era la ragione per cui gli antichi
apprezzavano questo Tao?
Non dicevano forse: ottiene chi con esso cerca,
con esso sfugge chi è in colpa?
Per questo è ciò che v'è di più prezioso al mondo.

LXIII - L'INIZIO FAVOREVOLE

Pratica il non agire,
imprendi il non imprendere,
assapora l'insapore,
considera grande il piccolo e molto il poco,
ripaga il torto con la virtù.
Progetta il difficile nel suo facile,
opera il grande nel suo piccolo:
le imprese più difficili sotto il cielo
certo cominciano nel facile,
le imprese più grandi sotto il cielo
certo cominciano nel piccolo.
Per questo il santo non opera il grande
e così può completare la sua grandezza.
Chi promette alla leggera trova scarso credito,
chi reputa tutto facile trova tutto difficile.
Per questo al santo tutto pare difficile
e così nulla gli è difficile.

LXIV - ATTENERSI AL PICCOLO

Quello che è fermo con facilità si trattiene,
quello che non è cominciato con facilità si divisa,
quello che è fragile con facilità si spezza,
quello che è minuto con facilità si disperde:
opera quando ancora non è in essere,
ordina quando ancora non è in disordine.
Un albero che a braccia aperte si misura
nasce da un minuscolo arboscello,
una torre di nove piani
comincia con un cumulo di terra,
un viaggio di mille li
principia da sotto il piede.
Chi governa corrompe,
chi dirige svia.
Per questo il santo
non governa e perciò non corrompe,
non dirige e perciò non svia.
La gente nel condurre le proprie imprese
sul punto di compierle sempre le guasta,
se curasse la fine come il principio
allora non vi sarebbero imprese guaste.
Per questo il santo
brama quello che non è bramato
e non pregia i beni che con difficoltà si ottengono,
studia quello che non viene studiato
e ritorna su quello che gli altri han travalicato.
Per favorire la spontaneità delle creature
non osa agire.

LXV - LA PURA VIRTÙ

In antico chi ben praticava il Tao
con esso non rendeva perspicace il popolo,
ma con esso si sforzava di renderlo ottuso:
il popolo con difficoltà si governa
poiché la sua sapienza è troppa.
Perciò governare il regno con la sapienza
è la rovina del regno,
governare il regno non con la sapienza
è la prosperità del regno.
Chi sa queste due cose diviene simile al modello,
saper divenire simile al modello
è la misteriosa virtù.
Profonda e imperscrutabile è la misteriosa virtù
e contrapposta alle creature,
ma alla fine arriva alla grande conformità.

LXVI - POSPORRE SÉ STESSO

La ragione per cui fiumi e mari
possono essere sovrani di cento valli
è che ben se ne tengono al disotto:
perciò possono essere sovrani di cento valli.
Così chi vuole stare disopra al popolo
con i detti se ne pone al disotto,
chi vuol stare davanti al popolo
con la persona ad esso si pospone.
Per questo il santo
sta disopra ed il popolo non ne è gravato,
sta davanti ed il popolo non ne è ostacolato.
Così il mondo gioisce
di sospingerlo innanzi e mai ne è sazio.
Poiché ei non contende
nessuno al mondo può muovergli contesa.

LXVII - LE TRE COSE PREZIOSE

Tutti al mondo dicono che il mio Tao è grande
ma che sembra non esser simile a nulla.
Proprio perché è grande
sembra che non sia simile a nulla,
se fosse simile a qualcosa
l'impaccerebbe la sua piccolezza.
Io ho tre cose preziose
che mi tengo ben strette e custodisco:
la prima è la misericordia,
la seconda è la parsimonia,
la terza è il non ardire d'esser primo nel mondo.
Sono misericordioso e perciò posso essere intrepido,
sono parsimonioso e perciò posso essere generoso,
non ardisco d'esser primo nel mondo
e perciò posso esser capo degli strumenti perfetti.
Oggi si è intrepidi trascurando la misericordia,
si è generosi trascurando la parsimonia,
si è primi trascurando di posporsi.
È la morte!
Chi è misericordioso
nel guerreggiare è vittorioso,
nel difendere è saldo.
Quei che il cielo vuol salvare
facendolo misericordioso lo preserva.

LXVIII - RENDERSI EGUALE AL CIELO

Chi ben fa il capitano non è irruente,
chi ben guerreggia non è impetuoso,
chi ben vince il nemico non dà battaglia,
chi bene adopera gli uomini se ne pone al di sotto:
questa è la virtù del non contendere,
questa è la forza dell'adoprar gli uomini,
questo è rendersi eguale al Cielo,
il culmine per gli antichi.

LXIX - L'USO DEL MISTERO

Sull'adoperar gli eserciti c'è un detto:
non oso far da padrone e faccio l'ospite,
non oso avanzar d'un pollice e indietreggio di un piede.
Questo vuol dire
che non vi sono truppe da schierare,
che non vi sono braccia da denudare,
che non vi sono armi da impugnare.
Sventura non v'è maggiore che osteggiare alla leggera.
Se osteggio alla leggera
son vicino a perdere quel che m'è più prezioso.
Perciò quando gli eserciti
si mettono in campagna per scontrarsi,
quello che è più pietoso vince.

LXX - LA DIFFICOLTÀ DI INTENDERE

Le mie parole facilmente si intendono
e facilmente si attuano,
ma nessuno al mondo sa intenderle,
nessuno al mondo sa attuarle.
Le mie parole hanno un progenitore,
le mie imprese hanno un principe,
ma appunto perché non le intendono
non intendono me.
Poiché quelli che mi intendono sono rari
quelli che mi imitano sono da tenere in pregio.
Per questo il santo indossa rozze vesti
e cela nel seno la giada.

LXXI - IL DIFETTO DELLA SAPIENZA

Somma cosa è l'ignoranza del sapiente,
insania è la sapienza dell'ignorante.
Solo chi si affligge di questa insania
non è insano.
Il santo non è insano
perché si affligge di questa insania.
Per questo non è insano.

LXXII - AVER CURA DI SÉ

Quando il popolo non teme la tua autorità
allora sopravviene la grande autorità.
Non trovare angusto ciò che ti dà pace,
non disgustarti di ciò che ti fa vivere,
poiché solo chi non se ne disgusta
non disgusta.
Per questo il santo
di sé conosce ma di sé non fa mostra,
di sé ha cura ma di sé non fa pregio.
Perciò respinge l'uno e preferisce l'altro.

LXXIII - QUEL CHE LASCIA AGIRE

Muore chi nell'osare pone il coraggio,
vive chi nel non osare pone il coraggio:
di questi due l'uno è profitto e l'altro è danno.
Di quel che il cielo ha in odio
chi conosce la ragione?
Per questo il santo reputa difficile il primo.
La Via del Cielo
è di ben vincere senza contendere,
è di ben suscitar risposta senza parlare,
è di ben attrarre senza chiamare,
è di ben divisare con ampiezza.
La rete del Cielo tutto avvolge,
ha maglie larghe ma nulla ne sfugge.

LXXIV - REPRIMERE GLI INGANNI

Quando il popolo non teme di morire
a che vale impaurirlo con la morte?
Se faccio si che il popolo sempre tema di morire
e quei che induce in inganno
io possa prenderlo e metterlo a morte,
chi sarà tanto ardito?
Sempre mandi a morte chi ne ha la potestà,
mettere a morte in vece di chi ne ha la potestà
significa maneggiar l'ascia in vece del gran mastro.
Quelli che maneggian l'ascia in vece del gran mastro
raramente non si feriscono le mani.

LXXV - I DANNI DELLA CUPIDIGIA

Il popolo soffre la fame
perché chi sta sopra divora troppe tasse:
ecco perché soffre la fame.
Il popolo con difficoltà si governa
perché chi sta sopra s'affaccenda:
ecco perché con difficoltà si governa.
Il popolo dà poca importanza alla morte
perché chi sta sopra cerca l'intensità della vita:
ecco perché da poca importanza alla morte.
Solo chi non si affaccenda per vivere
è più saggio di chi la vita tiene in pregio.

LXXVI - GUARDARSI DALLA FORZA

Alla nascita l'uomo è molle e debole,
alla morte è duro e forte.
Tutte le creature, l'erbe e le piante
quando vivono son molli e tenere
quando muoiono son aride e secche.
Durezza e forza sono compagne della morte,
mollezza e debolezza sono compagne della vita.
Per questo
chi si fa forte con le armi non vince,
L'albero che è forte viene abbattuto.
Quel che è forte e robusto sta in basso,
quel che è molle e debole sta in alto.

LXXVII - LA VIA DEL CIELO

La Via del Cielo
come è simile all'armar l'arco!
Quel ch'è alto viene abbassato,
quel ch'è basso viene innalzato,
quello che eccede viene ridotto,
quel che difetta viene accresciuto.
La Via del Cielo
è di diminuire a chi ha in eccedenza
e di aggiungere a chi non ha a sufficienza.
Non è così la Via dell'uomo:
ei diminuisce a chi non ha a sufficienza
per donare a chi ha in eccedenza.
Chi è capace di donare al mondo
ciò che ha in eccedenza?
Solo colui che pratica il Tao.
Per questo il santo
opera ma nulla s'aspetta
compiuta l'opera non rimane,
non vuole mostrare di eccellere.

LXXVIII - PORTARE IL FARDELLO DELLA SINCERITÀ

Nulla al mondo è più molle e più debole dell'acqua
eppur nell'abradere ciò che è duro e forte
nessuno riesce a superarla,
nell'uso nulla può cambiarla.
La debolezza vince la forza,
la mollezza vince la durezza:
al mondo non v'è nessuno che non lo sappia,
ma nessuno v'è che sia capace di attuarlo.
Per questo il santo dice:
chi prende su di sé le sozzure del regno
è signore dell'altare della terra e dei grani,
chi prende su di sé i mali del regno
è sovrano del mondo.
Un detto esatto che appare contraddittorio.

LXXIX - OTTEMPERARE AI PATTI

Se cancelli un'offesa, ma un po' offeso
rimani ancora, credi che sia un bene?
Se, per contratto, il saggio è creditore,
dal debitore non esige nulla.
Adempie al proprio impegno chi è virtuoso;
bada agli impegni altrui chi non è virtuoso.
La Via del cielo non fa parentele,
ma sta costantemente con il buono.

LXXX - ISOLARSI

Piccoli regni con pochi abitanti:
arnesi da lavoro in luogo d'uomini
(sian dieci o cento) il popolo non usi.
Tema la morte e fuori non emigri.
Se anche vi son navigli e vi son carri,
il popolo non tenti di salirvi;
se anche vi son corrazze e vi son armi,
mai e poi mai le tiri fuori il popolo.
E ritorni ad usar nodi di corda;
e trovi gusto in cibi e vesti suoi;
ed ami la sua casa, i suoi costumi.
Se stati vi vedessero vicini
tanto che cani e galli se ne udissero,
invecchino così, fino alla morte
quei due popoli: senza alcun contatto.

LXXXI - L'EMERSIONE DEL NATURALE

Parole autentiche non sono adorne;
parole adorne autentiche non sono.
Colui che è buono, non sfoggia parole,
e chi sfoggia parole, non è buono.
Chi sa di tutto, certo con è saggio;
né chi è saggio, di certo, sa di tutto.
Il vero saggio per sé non provvede:
se si spende negli altri, per sé acquista;
e, più dona, più ottiene per se stesso.
La Via del cielo aiuta, non fa danni;
la Via del saggio agisce senza lotta.

mosongo
24-05-06, 08:30
Del Taoismo non è possibile stabilire con precisione cronologica l'epoca originaria di formazione, ma la sua apparizione si può far risalire al periodo della dinastia Chou ( 1027-481 a.C.).
Il taoismo si distingue per la notevole forza polemica, per lo spirito critico, per la sua posizione anticonformista; recupera l'antico patrimonio religioso del popolo cinese e lo interpreta come impegno totalizzante della persona, con esperienze mistiche, magiche, astrologiche, divinatorie che investono l'intero piano dell'essere, proponendo una via salvifica personale all'individuo.
Tuttavia il taoismo, anche quando si organizza in "chiesa" e si inserisce nella vita cinese, non diventerà mai religione di stato.
Due furono i momenti storici dello sviluppo del taoismo. Il primo fu il taoismo sviluppatosi fra il settimo e il quinto secolo a.C., all'epoca della prodigiosa fioritura di scuole di pensiero in Cina.
È rappresentato da tre grandi filosofi: Lao-Tzu, (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/Lao-Tzu.html) Chuang-Tzu, Lieh-Tzu .
Il secondo fu il taoismo religioso o popolare che apparve sotto la dinastia degli Han.
Guidava le masse contadine affamate e desiderose di un ordine nuovo, una specie di visionario taumaturgo, Chang Chiao. Ma ben presto i ribelli furono annientati dall'efficiente macchina statale che ristabilì l'ordine con feroci repressioni nelle quali morirono migliaia di contadini.
Verso il quinto secolo d.C., il taoismo pare consolidato come chiesa con le sue strutture gerarchiche opposte a quelle buddhiste e confuciane.
A capo della chiesa vi è il maestro celeste: T'ien-Shih, il "papa taoista"; le varie comunità sono presiedute da maestri e shih. Vi sono poi i Signori (Chu-chih) e i Maestri dei talismani mentre i membri che non fanno parte della gerarchia costituiscono il "popolo taoista".
Tra i tanti imperatori cinesi (alcuni ostili, altri indifferenti e solo pochi favorevoli al taoismo) ricordiamo:
Li Shih- min: uno dei più grandi imperatori della Cina, che ampliò con la sua politica gli orizzonti culturali e religiosi del paese, sostenendo il taoismo nella sua diffusione.
Kao- Tsung: visitò Poh-Chow (patria di Lao-tzu) e dispose che i funzionari alle cariche pubbliche studiassero il Tao Teh-ching.
Lung-chi: subì l'influenza del misticismo taoista, ordinò il culto di stato per Lao-tzu e fece erigere un'accademia per lo studio dei classici taoisti
In questo periodo furono riconosciuti al confucianesimo e al taoismo uguali funzioni e diritti.
Più avanti nei secoli, il taoismo dovette subire il confronto con altre dottrine e, a seconda dell’imperatore regnante, fu approvato o messo al bando.
Fino al 1311 il taoismo fu rappresentato ufficialmente nell’amministrazione pubblica, dove si sviluppò al di fuori dell’ufficialità come una delle forze più autenticamente cinesi e costituì l’unica vera alternativa spirituale, fino a giorni nostri, per chi intendeva inserirsi nella tradizione religiosa nazionale cinese.

mosongo
24-05-06, 08:31
CHUANG TZU
Chuang Tzu visse all'epoca del principe Houei di Leang, che regnò dal 370 al 318 a C. e del principe Siuan di T'si (319-301 a.C.). Il suo vero nome era Chuang Chou, originario della città di Mong, nel piccolo stato feudale di Sung, dove la dinastia imperiale dei Chou aveva confinato i discendenti della precedente dinastia Shang, affinché potessero continuare i loro riti ancestrali. Nella letteratura cinese precedente all'era volgare, gli abitanti di Sung sono spesso ridicolizzati e presi in giro, quasi fossero autentici cretini. Tipico l'aneddoto del contadino di Sung che, per far crescere alcune piante più in fretta, ne sollevava da terra i germogli con le mani. Questo atteggiamento della cultura dominante in Cina non è che il riflesso della condanna di una cultura diversa da quella confuciana, una cultura sicuramente più antica, di probabile origine sciamanica, non accettata dal razionalismo confuciano. Chuang Tzu nacque quindi in un ambiente culturale particolare, che fece germogliare l'essenza della sua vita e della sua opera. Ma non bastò a non farlo apparire un folle agli occhi e al giudizio dei confuciani.
Era sposato e molto povero, "vestito con un abito di ruvida tela tutto rappezzato e con scarpe di stracci", porta il testo storico. In gioventù era stato funzionario in una manifattura di gomma... come che sia, vi rinunciò assai presto per scrivere e vivere in armonia con il Tao. Occupare un posto da funzionario era contrario al suo pensiero e alla naturale libertà che amava. "Povertà non vuol dire infelicità. Quando l'uomo di lettere non può mettere in pratica la propria dottrina, questa è infelicità. Con un abito rappezzato e le scarpe bucate egli è povero, non infelice. Significa soltanto che non ha incontrato un'epoca felice."
Ecco come racconta lui stesso un episodio che rivela l'intima natura del grande maestro spirituale:
"Mentre Chuang Tzu pescava con la lenza sulla riva del P'ou, il re di Chou gli inviò due alti funzionari per fargli delle offerte. 'Il nostro principe', gli dissero 'desidererebbe affidarvi la responsabilità del suo territorio'. Senza sollevare la lenza, senza neanche volgere la testa, Chuang Tzu disse loro: 'Ho sentito dire che c'è a Chou una tartaruga morta da più di tremila anni. Il vostro re ne conserva il carapace in un paniere avvolto in un panno nella parte alta del tempio dei suoi avi. Ditemi se quella tartaruga non avrebbe preferito vivere trascinandosi la coda nel fango'. 'Avrebbe preferito vivere trascinandosi la coda nel fango', dissero i funzionari. 'Andatevene dunque', disse Chuang Tzu, 'anch'io preferisco trascinare la coda nel fango'.
Il Tao Te Ching (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/tao-te-ching.html) - che Lao Tzu (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/Lao-Tzu.html) avrebbe scritto sollecitato da un discepolo, poco prima di ritirarsi sulle montagne a morire espone i principi della via e della virtù, ma le parole di Chuang Tzu li spiegano, li riprendono, con uno spirito mistico particolare, denso di aneddoti, dialoghi, allusioni mitiche. E' lui che dà al taoismo il profondo senso mistico del Tao, della via; con Chuang Tzu si penetra nell'infinito del Tao: "... i saggi non discutono di ciò che oltrepassa la sfera terrestre, neppure per negarne l'esistenza. Parlano invece delle cose di questo mondo, ma senza giudicarle". Per Chuang Tzu il saggio è un uomo libero dal pensiero, libero da qualsiasi filosofia - Confucio e il pragmatico confucianesimo sono il suo bersaglio. Nel vero saggio il Tao agisce spontaneamente e senza ostacoli.
La naturalezza del wu wei, del lasciar correre, del lasciar scorrere, distingue Chuang Tzu da altri grandi spiriti. Per lui, la naturalezza, la semplicità danno quella serenità che apre all'immensità del Tao. La semplicità sarà difesa come il bene supremo da Chuang Tzu, per tutta la vita: ad essa sono legati la felicità spirituale ed il raggiungimento del distacco dall'illusione dei sensi e dall'identità mondana. L'idea che nel mondo tutto è relativo, che nessuno è completamente bianco né completamente nero, che il bene non è tutto bene né il male veramente male non vuol dire per il saggio taoista seguire "la giusta misura", avere un comportamento ragionevole come indica Confucio. All'uomo della giusta misura il saggio taoista contrappone l'uomo naturale. Quello che conta è il movimento, la trasformazione infinita della vita. Il bene e il male, la fortuna e la sfortuna, la sorte e la malasorte non sono definitivi ma parte del movimento della vita. Ecco la ragione del wu wei, del lasciar scorrere gli eventi così come vengono, senza interferire mai. Chuang Tzu dice: "Colui che professa il vero senza vedere il falso, l'ordine senza vedere il disordine, non comprende nulla dell'universo e della natura reale degli esseri. Egli è simile a colui che professa il Cielo senza vedere la Terra, l'oscurità senza vedere la luce. La sua azione è necessariamente votata alla sconfitta".

mosongo
24-05-06, 08:33
PRINCIPI FONDAMENTALI
Secondo il pensiero taoista (che in questo non si discosta da quello confuciano) esiste un'armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo: terra, uomo e cielo.
Il principio su cui si fonda il Taoismo è il tao, termine di difficile interpretazione, tanto che un verso del Taodeing recita: "Il tao che può essere definito col nome non è il tao costante". Il tao, che è presente in ogni cosa e la condiziona, è un flusso vitale che ha dato origine a tutto, e che scorre incessantemente, mutando sempre e rimanendo sempre lo stesso.
Associata al tao è la concezione dello yinyang.
E' Spirito Anima Genio, è presenza di natura unitaria e ancestrale, precedente la separazione e la differenziazione propria dell'esistente. l suo volto è umano e mostra lineamenti decisi e sereni. Il suo corpo è spire di serpente avvolte e riavvolte. Esso riunisce e fa vivere in sé i due principi complementari contemporanei , concentrici e coincidenti, inscindibili e opposti, e proprio non è possibile depennare nemmeno uno di questi attributi in cui l'Unità si è differenziata nell'Esistenza.
La tradizione taoista chiamò Yin e Yang questi inseparabili principi intrinseci al vivere.
Yin e yang sono i due princìpi che mantengono l'ordine naturale del tao:
yin è il principio femminile, passivo ed oscuro, identificato con la luna;
yang il principio maschile, attivo e luminoso, identificato con il sole.
Yin e yang sono opposti e complementari tra di loro, relativi (si può essere yin sotto un certo aspetto e yang sotto un altro) e non antitetici, tanto che nella pienezza dell'uno è implicita l'origine dell'altro. Il loro alternarsi determina tutte le cose.
http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/daoismo_big.gifIl simbolo del Tao è formato da due spirali (SERPI), una che si avvolge e l'altra che si svolge a partire da un unico Centro.
Le due spirali rappresentano la discesa ed ascesa degli aspetti opposti di ogni energia del cosmo.
Il Simbolo pertanto è una simmetria rotazionale ciclica : la spirale bianca ha l'inizio dove finisca la spirale nera; essa si avvolge ed aumenta fino ad un massimo ma poi manifesta in se stessa la sua tendenza opposta (puntino nero) che appunto a partire da questo momento si svolge. Anche questo aspetto raggiunge un massimo finchè si manifesta la tendenza opposta (puntino bianco), che si avvolge e così via, ciclicamente.
Questo ciclo unifica nella monade Universo tutte le energie del cosmo nei loro aspetti opposti rendendoli così complementari.In modo analogo il taoismo concepì l'antico genio dal corpo di serpe in forma duale e ne precisò dualità di forme, caratteri, nomi.
Nella mitologia cosmogonica taoista due leggendari Augusti, Fuxi e Nugua avevano corpi di spire, sovente intrecciati l'un l'altro.
Essi furono gli ordinatori del mondo. Più volte introdotti come fratello e sorella, come sposi o come amanti, Fuxi e Nugua valgono nel mito la coppia primigenia da cui l'umanità discende. Erano certo tempi diversi in cui uomini e animali vivevano in totale unione.
Anche Yao e Shun, due degli antichi primi Cinque Imperatori, precisa Lieh tse il maestro taoista, avevano parti del corpo di forma animale e sudditi e truppe animali. Nell'iconografia antica, il Genio primitivo dalla coda di serpente ha dunque due forme e due nomi. Forse molti di più. Non vi è qui metamorfosi tra l'uno e l'altro aspetto. La metamorfosi, la trasformazione ci insegna ancora Lieh tse, è propria dell'esistente. Egli, il Genio Mostruoso, è principio e essenza e semplicemente vive, assoluto e immutabile, contemporaneamente e senza contraddizione presente in differenti e complementari espressioni. Il Genio Mostruoso ha dunque due forme e due nomi ed entrambi i nomi introducono al Fuoco, il movente del calore vitale. Egli è Zhu Long, il Drago Fiammeggiante, e parimenti egli è Zhu Yin, l'Oscurità Fiammeggiante. Sono queste le due forme in cui e da cui si esprimono le forze vitali del mondo, il principio e la sorgente stessa di tutti i fenomeni e gli venti di natura. "Zhu Long il Drago Fiammeggiante vive a nord alla Porta delle oche Selvatiche.
Se ne sta chiuso nei Monti Wei Yu, dove non si vede mai il sole.
Questo Spirito ha volto di uomo e corpo di drago. Non ha piedi."

L'obiettivo del Taoismo filosofico è quello di raggiungere la santità, lo stato di perfetta armonia con il mondo naturale, uno stato che si acquista uniformandosi ad esso tramite meditazione ed estasi, che permettono l'identificazione con il tao. La natura non deve essere alterata dall'azione umana, e per questo il taoista pratica e predica il "non agire" (wu wei) in tutti i campi (anche in quello politico), non lasciandosi turbare né dai mutamenti, né dalla morte. Nel Zhuangzi è messa in risalto anche la necessità di non fare distinzioni, di raggiungere lo stadio di una "non conoscenza", la quale si ottiene solo dopo aver conosciuto.
Come religione popolare, il Taoismo mise in atto diverse pratiche per potenziare e per rendere immortale il corpo: diete alimentari di vario tipo (inclusa l'ingestione di prodotti ottenuti tramite ricerche alchemiche), tecniche respiratorie (come lo yoga cinese), ginniche, sessuali, e contemplative.
Nelle numerose leggende taoiste, un posto di rilievo è assegnato ai cosiddetti "Otto Immortali" (Baxian), un gruppo di personaggi (uomini e donne) che, avendo ottenuto in vita poteri soprannaturali, sono stati santificati dopo morti. Oltre agli Immortali, e accanto a Laozi - identificato spesso con Huanlao (Il Vecchio Giallo), uno dei cinque creatori del cosmo -, c'è un numero elevatissimo di divinità eterogenee, organizzate gerarchicamente, come i protettori di mestieri e dei fenomeni atmosferici; gli spiriti degli elementi della natura; le anime di diverse località (cimiteri, luoghi, guadi, strade); i demoni; le anime degli impiccati, degli annegati e degli antenati; i santi taoisti, confuciani e buddhisti, eccetera.
MISTERI TAOSTI
Il Genio dal corpo di serpente che si esprime in Zhu Long ed in Zhu Yin, diviene così il centro e il movente di luce e di calore dei luoghi santi del mistero e del sogno taoista.
Antichi testi taoisti ci introducono a questi misteri.

"Il Genio del Monte Zhong si chiama Zhu Yin, Oscurità Fiammeggiante. Quando apre gli occhi, viene il giorno. Quando li chiude, viene la notte. Quando espira viene l'inverno. Quando inspira, viene l'estate. Non beve, non mangia, non respira. Quando respira viene il vento. Il suo corpo grande mille misure si trova ad est del paese di Senza Polpacci. E' un essere dal volto umano e dal corpo di serpente, è di colore rosso e abita ai piedi del monte Zhong, il Monte della Campana." Shan Hai Jing. Cap. 8° - Trad. R. Mathieu
"Il Giardino delle delizie sui Monti Kun Lun dove si trova con esattezza? I Nove Piani dei suoi bastioni a quale altezza giungono? Le sue Porte, rivolte verso le Quattro Direzioni, chi ne garantisce la guardia? L'apertura che vi è a Nord Ovest in che modo i Soffi la attraversano? Vi è lì un luogo che il sole non raggiunge?
E in che modo Zhu Long il Drago Fiammeggiante lo illumina?" Chu Ci Tian Wen. - Trad. E.Rochat de la Vallée e C. Larre.
Quintessenza e protettore del principio naturale; Zhu Long lo Spirito Uomo e Serpente rappresenta il capostipite della variegata ed immortale stirpe dei draghi cinesi, che da un passato remoto e regale è giunta intatta fino ad oggi e tutt'oggi vive nel centro della tradizione e del culto popolare cinese.
Come è carattere del pensiero taoista, la stirpe dei draghi si esprime secondo la polarità duale delle presenze archetipiche di cui è discendenza. Da Zhu Yin e Zhu Long derivano così due famiglie fra loro complementari dei draghi, depositarie e matrici, l'una della valenza Yin delle forze e degli eventi di natura, l'altra della complementare valenza Yang. Ne deriva l'esistenza di draghi di natura Yin e di draghi di natura Yang, sovente in rapporto con la Luna e con il Sole che dei due principi Yin Yang sono le forme celesti, come per altro con l'Acqua e con la Terra, con la pioggia e con la secchezza, con il vento, con le nuvole, con il sereno.


"Cavalcando Fei Long il Drago Volante
formo il mio carro di molte e varie pietre preziose...
Conduco gli otto draghi che ondeggiano, tengo alto il mio stendardo di nuvole che si elevano in spire..." Chu Ci Li Sao. - Trad. E. Rochat de la Vallée e C. Larre.

Cavalcatura di saggi ed illuminati, il Drago Celeste è il destriero che giunge a testimoniare e sancire la riuscita di una vita. E' la via che rende possibile e realizza la grande ricerca del mondo taoista, il raggiungimento dell'immortalità con il corpo,da intendersi non come simbolo ma come effettuale testimonianza di una raggiunta riunione con il Principio.
Antichi racconti ci regalano sprazzi di conoscenza in visioni di draghi volanti che discendono dalle nuvole agli uomini meritevoli ed accolgono saggi imperatori insieme a tutte le loro corti sul dorso e li conducono così nei cieli in galoppate eterne.Il Cielo e la Terra, lo Spirito e il corpo riconoscono così la loro reale coincidenza,al di là delle nostre altrettanto reali limitazioni e paure.
Tanto accadde a Huang Di, il mitico Imperatore Giallo, e a Ying Long, il leggendario drago suo destriero.

mosongo
24-05-06, 08:33
CULTO

Verso il quinto sec., il taoismo appare consolidato anche in quella che è la struttura gerarchica, con lo sviluppo di una propria mitologia e di un culto.
Esiste una triade taoista, i Tre Puri: “Puro Giada”, “Puro Superiore”, “Puro Supremo”, che risiedono nei Tre Cieli, formatisi quando, attraverso il processo cosmologico l’etere cosmologico si frazionò.
Il primo (Giada) è il sovrano del Cielo. Il secondo è il regolatore dell’alternanza cosmica yin-yang e del flusso del tempo. Il terzo, che è lo stesso Lao-tzu, dimora nel terzo cielo e gli si deve culto per aver predicato agli uomini la dottrina salvifica.
Attorno a questa triade si sviluppa una vivace attività cultuale. Si ignora però il sacrificio e il culto si fonda sulla pratica ascetica e sugli inni di glorificazione del tao. Vi sono varie liturgie destinate ad esprimere il ringraziamento o la richiesta fiduciosa al tao, e tutte presentano molti elementi di magia:
vi è la liturgia della pioggia e quella dell’acqua, la liturgia del fuoco, quella del Signore del Cielo e quella del Nuovo Anno.
Tali liturgie erano delle vere e proprie feste religiose perché spesso precedute da digiuni e da isolamento per ottenere la remissione dei peccati,ed erano presiedute dai bonzi,i quali raccoglievano le offerte dei fedeli.Dopo la recita della preghiera si procedeva all’offerta di un piatto al Dio del Cielo. Per ogni cibo si rinnovava la cerimonia (preghiere, canti, musica, lettura dei nomi degli offerenti per la benedizione divina) che durava fino a sera.
La pratica ascetica sviluppò le comunità monastiche maschili e femminili. Dopo un rituale di iniziazione, il novizio accettava i voti e le regole disciplinari, vivendo secondo norme di astinenza e di digiuno, di segregazione e di purezza. Il monaco ha per scopo di raggiungere l’immortalità, ma svolge anche attività che stanno tra il sacro e il profano:
evocatore sciamanico degli spiriti dei defunti, medico, mago, astrologo, indovino……
Tutte le tecniche praticate - la reintegrazione (morte – risurrezione mistiche), l’estasi (conoscenza nuova che sottrae alla morte e al dolore), l’ascetismo (annullamento della personalità per un tempo più o meno lungo), la pratica sessuale (la tecnica erotica taoista a carattere sacralizzante e cosmico: è un rito che appartiene alla più antica civiltà cinese) – mirano a fare di un uomo comune un “Uomo Realizzato” , un Immortale, o un Santo, uno che ottiene la “Lunga Vita” poiché “niente ha presa sul corpo quando lo spirito non è turbato. Niente può nuocere al saggio, avvolto nell’integrità della sua natura, protetto dalla libertà del suo spirito” (Lieh-tzu,II).

mosongo
24-05-06, 08:34
LIBRI SACRI

Durante l'epoca T'ang (618 - 906 d.C.), i taoisti provvidero alla compilazione del proprio canone che assunse il nome di Tao-ts'ang (canestro del tao) redatto sull'esempio di quello buddhista. I taoisti cominciarono a raccogliere i circa millecinquecento circa scritti, che costituirono il suddetto Tao-ts’ang. Il canone taoista è così composto:

Il TAO TEH - CHING (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/tao-te-ching.html). È l'opera fondamentale del taoismo ed è attribuita a Lao-tzu, composta di cinquemila parole e scritta su richiesta di Yin-Hsi, mentre l'autore si accingeva a lasciare il suo paese. Il testo è diviso in 81 paragrafi e fu ufficialmente riconosciuto nel 678 a.C., sotto la dinastia dei T'ang. Il Tao Teh-ching è opera di notevole valore poetico, parte in prosa ritmica, parte in versi liberi. In Occidente è stato variamente interpretato e vi sono stati tentativi di accostamenti analogici, erronei, tra il pensiero taoista e l'ascetica cristiana.
Il CHUANG -TZU (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/Chuang-Tzu.html). È la raccolta di dialoghi, aneddoti, e apologhi scritti da Chuang-tzu, vissuto tra il 369 e il 286 a.C. L'opera che è considerata dagli studiosi della civiltà cinese come una delle più interessanti e briose per stile e varietà di contenuto, sviluppa ed espone la dottrina fondamentale del taoismo. Il Chuang-tzu è diviso in 33 capitoli, tutti ricchissimi e coloriti per la capacità dell'autore di evocare e descrivere il mondo mitico taoista con un linguaggio fresco e brillante. Per tale ragione Chuang-tzu è ritenuto il più grande scrittore della Cina antica.
Il LIEH - TZU. È la raccolta di scritti filosofici e metafisici del taoismo, attribuita a Lieh-tzu, vissuto nel IV-III sec. a.C., di cui manca ogni notizia storica. Il testo è diviso in otto capitoli e contiene un frammento dell’opera di Yang-tzu, sostenitore della “Scuola dei legisti”, sorta in contrapposizione ideologica al confucianesimo.

mosongo
24-05-06, 08:35
TECNICHE TAOISTE

Con il passare dei secoli i taoisti misero a punto tecniche complesse per la purificazione della mente e del corpo con l’ideale intento di raggiungere ciò che essi chiamavano “immortalità”.
Immortale (Hsien) è colui che arriva a purificare la propria carne dal decadimento per il tramite di pratiche specifiche. Queste erano tecniche di concentrazione mentale e meditazione connesse con esercizi respiratori per la circolazione del Ch’i (Ch’i Kung).
Essi impararono inoltre ad utilizzare erbe medicinali per promuovere e preservare la vitalità. Furono studiati speciali esercizi ginnici (Tao Yin) per la salute del corpo. Ricordiamo a questo proposito anche i già citati esercizi dei cinque animali inventati dal medico taoista Hua To. Si sviluppò in modo particolare l’alchimia che fu suddivisa in:

Alchimia Esteriore (Wai Tan) che veniva utilizzata per realizzare droghe, elisir e medicinali destinati soprattutto a prolungare la vita umana.


Alchimia Interiore (Nei Tan) che utilizzava tecniche di meditazione e di respirazione durante le quali si pensava che l'Essenza (Ching, in pratica l'energia sessuale e l'energia ottenuta dalla digestione dei cibi e che è rappresentata da alcuni liquidi che circolano nel corpo umano), venisse raffinata nel Tan T'ien, tramite la respirazione, in Energia Interna (Ch'i) e che questa a sua volta venisse raffinata in Energia Spirituale o Mentale (Shen).

mosongo
24-05-06, 08:35
ARTI MARZIALI

Il Taoismo ha influenzato in modo determinante le Arti Marziali Tradizionali Cinesi.
Per il principio del Wu Wei il Kung Fu non è un'arte violenta, ma esclusivamente difensiva. Non bisogna infatti “agire” attaccando, ma semplicemente adattare la nostra azione a quella dell'avversario.
Lo stesso Lao Tzu dice:

“Un buon guerriero non è bellicoso”.
“Un buon combattente non è collerico”.
“Un buon vincitore non dà battaglia”.
La morbidezza e la cedevolezza sono qualità essenziali nella pratica delle arti marziali. Non bisogna infatti opporsi alla forza dell'avversario, ma bisogna utilizzare la sua forza per batterlo. Ecco perché Lao Tzu afferma che:


“Fra due combattenti vince colui che cede”.

Nel Tao Te Ching è inoltre messa in evidenza l'importanza di non prendere sottogamba il proprio avversario:

“Non c'è disgrazia più grande di prendere alla leggera il proprio avversario;
se faccio così rischio di perdere i miei tesori”.
L'umiltà deve essere una delle virtù fondamentali di un capo:

"Un buon comandante è un uomo umile”.
Anche le tecniche taoiste fisiche, di respirazione, di meditazione, di circolazione del Ch'i hanno avuto un'importanza determinante sullo sviluppo del Kung Fu.

Il più importante contributo del Taoismo alle arti marziali è stata comunque la creazione del T'ai Chi Ch'üan (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/Taoismo/tai.html), attribuita al monaco taoista Chang San Feng.
Tutti i principi del T'ai Chi Ch'üan sono in perfetto accordo con gli insegnamenti del Taoismo.
Il T'ai Chi Ch'üan può infatti considerarsi un'arte marziale in cui il principio della morbidezza e della cedevolezza è di fondamentale importanza; può considerarsi inoltre una forma di ginnastica destinata a conferire longevità e salute al corpo umano ed infine una forma di meditazione dinamica grazie alla quale possiamo giungere ad unificarci con il Tao.

mosongo
24-05-06, 08:36
AFORISMI DI LAO TSE

Chi vince gli altri è muscoloso, chi vince se stesso è forte.
Lao Tse
È meglio accendere una lampada che maledire l’oscurità.
Lao Tse
Quando due amici si comprendono completamente, le parole sono soavi e forti come profumo di orchidee.
Lao Tse
Quello che il bruco chiama la fine del mondo, il maestro la chiama la nascita di una farfalla.
Lao Tse
Se hai un problema e puoi risolverlo è inutile che tu ti preoccupi, se non puoi risolverlo è altrettanta inutile la tua preoccupazione.
Lao Tse
Un viaggio lungo mille chilometri inizia con un piccolo passo.
Lao Tse

mosongo
24-05-06, 08:39
1) Le religioni in Cina
Le tre dottrine e la religione popolare.
Non c'è e non c'è mai stata religione in Cina, se si intende per «religione» un insieme di credenze relative ad un dio (o a più divinità), in relazione ad una concezione del destino umano, espressa in una organizzazione ecclesiastica, con un rituale: la Cina non è il paese delle religioni, ma quello delle dottrine.
Si diceva spesso che i Cinesi avevano tre religioni: il taoismo (fondato nel VI secolo a.C. da Lao-Tse), il confucianesimo (le cui origini sono pressappoco contemporanee a quelle del taoismo) e il buddismo; in cinese, questi tre sistemi si chiamano le «tre dottrine».
Da molti secoli queste dottrine hanno soltanto un interesse storico, poiché il popolo cinese si forgiò nel corso dei secoli una religione popolare, che riunisce, alla rinfusa, credenze primitive, prestiti dalle «tre dottrine», culti ad eroi o a personaggi più o meno divinizzati, ecc. E, poiché non si è trovato mai, in Cina, un organismo centrale per codificare e unificare questa spumeggiante mistura, la religione popolare cinese non è stata, in effetti, che un immenso mosaico religioso e mitologico.
L’Evoluzione religiosa fino all'epoca contemporanea.
All'inizio del XX secolo, nessuna delle tre dottrine aveva veramente dei fedeli: un cinese buddista poteva partecipare a cerimonie taoiste o popolari, così come, per esempio, un italiano del XX secolo può professare una filosofia atea, sposarsi in chiesa, battezzare i suoi figli e andare alla messa di mezzanotte a Natale.
C'era tuttavia, prima della rivoluzione e della costituzione della Repubblica Popolare Cinese, un clero importante: bonzi buddisti, religiosi taoisti, mandarini seguaci di Confucio. Questi monaci e chierici esercitavano tutte le attività sacerdotali classiche, sacrifici, invocazione degli antichi, erano profeti, guaritori, ecc., e, nell'insieme, le loro interpretazioni personali della dottrina, alla quale aderivano, erano profondamente influenzate dalla religione popolare.
Riassumendo, la domanda: «Quale era o quali erano le religioni dei cinesi prima dell'avvento del comunismo?» non può ricevere alcuna risposta soddisfacente; alcune statistiche indicavano 150 milioni di buddisti in Cina nel 1951; bisogna diffidare di esse: in realtà questi «buddisti» erano imbevuti di credenze popolari, partecipavano a culti taoisti, ecc. Con Mao Tse-tung la fisionomia religiosa della Cina è cambiata. La rivoluzione comunista ha estirpato le vecchie radici religiose della società feudale cinese; l'insegnamento nelle scuole - anche nelle campagne lontane dalle città - respinge, definitivamente, le superstizioni, l'idolatria, la stregoneria. Le sette buddiste e taoiste si sono rifugiate a Formosa e questo senza grande scandalo: la vita politica cinese, infatti, non ha mai strumentalizzato le forze religiose come in Europa o nei paesi musulmani. Lottando contro l'analfabetismo, Mao Tse-tung ha lottato anche contro le superstizioni della religione popolare.
Il Signore del cielo, il Dio del suolo e altre divinità.
Anticamente veniva officiato un culto essenzialmente aristocratico. Le principali divinità erano il Signore del cielo, il Dio del suolo e gli antenati del re. Il Signore del cielo, chiamato in modo più completo Shangti («il supremo imperatore dell'augusto cielo»), è indicato nelle antiche scritture in forma umana, ciò che fa pensare ad una concezione antropomorfica del cielo. Il Signore del cielo, a volte indicato come un gigante che abita nell'Orsa maggiore, protegge gli stati ed i re, punisce i delitti, protegge e vendica gli innocenti, accoglie giuramenti e preghiere. Leggende, che risalgono ad epoche posteriori, presentano più signori del cielo che si aggiungono all'originario, tanti quanti sono i punti cardinali: un Imperatore bianco per l'occidente, uno verde per l'oriente, uno rosso per il mezzogiorno, uno nero per il settentrione e, da ultimo, uno giallo per il centro.
In contrapposizione al Signore del cielo, si trovano il dio del suolo imperiale (Hou t'u) ed i suoi subordinati, gli dei del suolo regionali e locali. Il dio del suolo era in origine un albero piantato sopra un tumulo in mezzo ad un bosco sacro; l'albero era un pino nel centro, una acacia a settentrione, una tuya ad oriente, un castagno ad occidente, una catalpa a mezzogiorno. Dal tumulo del dio del suolo imperiale si toglieva una zolla di terra destinata ad essere il nucleo del dio del suolo dei nuovi feudi creati dal re. Il dio del suolo è una divinità crudele alla quale si offrono anche sacrifici umani, in particolare al ritorno da guerre vittoriose; egli protegge i principi ed i re in tutte le attività connesse al loro potere, come giuramenti, guerre, occupazioni di nuove terre.
Il dio della morte (Se-ming) è un'altra divinità, che proprio per la sua stessa definizione, presiede al destino ultimo degli uomini. Altre divinità locali si riferiscono ai fiumi, ai laghi, ai mari, tra queste è da ricordare il Conte dei fiumi (Ho po), riferito al fiume Giallo, che prevedeva un rituale ogni anno con il sacrificio di una giovane sposa.
L'anima.
Gli antichi Cinesi credevano che l'uomo avesse due anime: il p'o e il hun. Dopo la morte il hun saliva al cielo, alla corte del Signore del cielo; il p'o invece abitava con il cadavere nella tomba e si nutriva di offerte fatte al defunto. Queste usanze comportavano un curato e attento servizio per il nutrimento del defunto, altrimenti questi, affamato, poteva rivolgere la sua ira verso i discendenti.
Legato a questa credenza si sviluppò l'uso di seppellire schiavi, prigionieri e concubine insieme al defunto in modo che gli facessero compagnia durante il viaggio verso il cielo. Nelle tombe di An-yang, della dinastia Yin, sono stati trovati gli scheletri di oltre un migliaio di vittime con le teste tagliate e sepolte altrove: forse prigionieri di guerra.
I sacerdoti e la divinazione.
I riti e le manifestazioni del culto erano, nell'antica Cina, privilegio del re, dei principi, dei funzionari e dei nobili. Tutti i riti prevedevano una serie di sacerdoti officianti secondo norme rigide: vi erano dapprima i priori (chu), i quali conoscevano i sacrifici che il re offriva al Signore supremo, e quelli che recitavano le preghiere dei morti.
Gli auguri erano destinati ad interpretare le risposte degli antenati interrogati sui più vari avvenimenti della vita: dal raccolto alle guerre. Essi si servivano di scaglie di tartarughe perforate che venivano avvicinate al fuoco e, secondo le screpolature prodotte, si deducevano le risposte dell'antenato.
Più semplice era il metodo di divinazione mediante cinquanta bastoncini di achillea, metodo sopavvissuto fino ai giorni nostri ed adottato anche in Giappone. L'indovino, per avere un responso, toglieva un bastoncino dal mazzo, ne faceva quindi due parti, una pari e l'altra dispari, e susseguentemente, ne sceglieva una a caso, scartando l'altra; se era pari segnava una linea spezzata, se era dispari una linea intera. Ripetuta l'operazione sei volte, otteneva così un esagramma, composto da sei linee spezzate o intere. Ad ognuno dei sessantaquattro esagrammi possibili, corrispondeva, secondo un libro che ci è stato conservato (I King), un'interpretazione.
Tra i numerosissimi operatori di divinazione esistenti nell'antica Cina, sono da annoverare gli interpreti dei sogni e dei fenomeni celesti, i musici ciechi che attraverso vari strumenti, campane, tamburi, flauti, comunicano a degli scribi, seduti loro accanto, i responsi degli antenati.
I sacerdoti non costituivano un corpo a sè; essi erano nobili che ricoprivano una carica speciale, cui adempivano solo in occasioni particolari.
I templi, i luoghi di culto e i riti religiosi.
Il culto si svolgeva prevalentemente all'aria aperta: un altare rotondo, dedicato al cielo, ed un altare quadrato, dedicato alla terra, sorgevano a mezzogiorno della città capitale; il sole aveva un altare a levante e la luna una fossa a ponente della città. Le divinità celesti avevano altari rotondi su cui venivano bruciate le vittime: le divinità terrestri avevano invece delle fosse, in cui si seppellivano le vittime. Il tempio del cielo a Pechino può fornirci un'idea abbastanza vicina a quella dei più antichi templi della Cina.
Nella liturgia antica cinese si incontrano per primi sette inni sacri, che venivano cantati, durante le cerimonie, da bambini: il primo è destinato ad esseri trascendenti che giungono dal cielo su carri tirati da draghi volanti per assistere al sacrificio; il secondo descrive la discesa del Signore del cielo sull'altare; i quattro successivi si riferiscono ai quattro signori dei punti cardinali e delle stagioni corrispondenti; il settimo è un'invocazione dell'imperatore al Signore del cielo e al Signore della terra.
A primavera, il re dà inizio all'anno religioso con il sacrificio al Signore del cielo, cui segue la cerimonia dell'aratura primaverile dedicata al Signore della terra. Il re traccia nel campo sacro tre solchi cui fanno seguito cinque solchi tracciati dai ministri, nove dai feudatari.
Alla fine dei lavori agricoli, dopo i raccolti, i contadini celebravano una grande festa in onore dei Pacha, gli otto spiriti: il primo mietitore, il primo oratore, il primo costruttore di dighe, il primo scavatore di canali, il primo costruttore di capanne; in onore, altresì, degli spiriti dei gatti distruttori dei topi, delle tigri distruttrici dei cinghiali e degli altri spiriti propiziatori dell'abbondanza delle messi. Partecipavano alla festa i principi e i nobili, vestiti da contadini, e si mangiavano tutte le offerte in un grande banchetto.
Il culto degli antenati.
Il culto degli antenati doveva essere continuo. Nel corso di ogni pasto, il padre di famiglia faceva una libagione ed offriva un po' di cibo agli antenati, una parte delle primizie secondo le stagioni. Si celebravano quattro grandi feste annuali in corrispondenza delle quattro stagioni, feste durante le quali si portavano le tavolette degli antenati al banchetto.
Il tempio degli antenati sorgeva all'interno delle case, al lato orientale della corte principale. Il tempio, nella sua costruzione, presentava caratteristiche differenti secondo il grado del proprietario della casa: per i re le colonne erano lucidate, per un principe soltanto squadrate e piallate, per un nobile solo squadrate.
La sala era divisa in sette cappelle per il re, in cinque per i principi, in tre per i grandi ufficiali, mentre i cittadini comuni ne avevano una sola. Nelle cappelle gli antenati occupavano diversi posti secondo il loro grado, ed ogni tavoletta di legno, che serviva quale dimora per lo spirito, era conservata in un cofano di pietra da cui veniva tolta soltanto nelle grandi cerimonie.
I primi vasi destinati al culto degli antenati erano in legno o terracotta, in seguito furono sostituiti da vasi di bronzo, che conservarono però la forma e l'uso di quelli più antichi. Le iscrizioni incise su questi vasi di bronzo costituiscono forse i più antichi documenti della letteratura cinese. I disegni rudimentali dei vasi più antichi fanno pensare ad una scrittura resa per immagini e testimoniano, per la loro forma primitiva, la nascita di una nuova civiltà. L'età dei vasi più antichi, di quelli adoperati durante la dinastia Shang-hin, si fa risalire al 1500 a.C. Una linea nobile ed elegante caratterizza le loro forme, che vanno da quella del bue per il vino nelle libagioni, a quelle a forma di corno di rinoceronte, quindi a forme di gufi, tigri ed altri quadrupedi, che fanno pensare ad emblemi dei clan.
Il culto degli antenati appare vivo soltanto nel medioevo dell'antica Cina, mentre nelle epoche successive va lentamente affievolendosi, sino a ridursi a semplice rituale, intorno al 200 a.C., riservato alle famiglie più nobili ed ai feudatari; la religione degli antenati, in altri termini, perde il suo contenuto dogmatico e sentimentale, sostituito dalle nuove dottrine: taoismo, confucianesimo e buddismo.
(continua....)

mosongo
24-05-06, 08:53
2) continuazione.....
Origine e libri fondamentali.
• Lao-Tse è un personaggio leggendario che la tradizione fa nascere nel 604 a.C.; il nome stesso significa «il vecchio maestro» (certi autori pensano che sarebbe esistito un letterato chiamato Li-Ful, che avrebbe preso in seguito il nome di Lao-Tse). Questo personaggio avrebbe incontrato Confucio e gli avrebbe consigliato di essere più umile (ciò è puramente leggendario: ci sono nel taoismo idee che erano sconosciute al tempo di Confucio). Divenuto vecchio Lao-Tse sarebbe partito verso l'Occidente a dorso di bufalo; prima di lasciare la Cina, avrebbe composto un piccolo libro di 5000 caratteri: il Tao-Tö-King («libro della via e della virtù») chiamato anche il Lao-Tse.
• I libri sacri del taoismo. Oltre al Tao-Tö-King, di cui ignoriamo la data di composizione (forse il IV secolo a.C. ma gli eruditi non sono d'accordo su questo punto), due altri libri sono considerati fondamentali:
- Il Chuang-Tse (il maestro Chuang), che si riferisce ad un certo Chuang che sarebbe vissuto circa fra il 370 e il 300 a.C.
- Il Lie-Tse, raccolta di pensieri, attribuito al filosofo Yang Chu, che visse nel IV secolo a.C.; infatti il Lie-Tse è stato scritto all'inizio dell'era cristiana.
- Quanto al canone taoista , il Tao-Tsang , è formato da più di 5.000 parti.
La dottrina.
• Tutti i paesaggi sono belli, solo l'uomo è vile. Il taoismo è all'inizio una filosofia scettica, e i taoisti sono spesso, nei primi tempi, eremiti, uomini che rifiutano la vita sociale. Certe massime di Yang-Chu o di Lao-Tse hanno un suono pessimista: perché vivere, se non si sa dove si va? Sembra che la ricerca dell'immortalità sia all'origine dell'alchimia taoista, di una ampiezza e di una complessità sconcertanti.
• Il Tao è calmo come l'eternità stessa . L'io individuale relativo è disprezzabile; invece il Tao, cioè la totalità assoluta, la sostanza unica in cui tutto scorre, possiede una specie di «bontà» fondamentale e uno dei grandi principi del taoismo è di agire conformemente al Tao, conformemente alla natura, fino ad identificarsi nelle sue leggi. Come la filosofia stoica il taoismo è un misticismo naturalista.
• Wu-Wei. Poiché tutto, nella nostra esistenza, è relativo, un solo precetto è importante: «Non agire» (in cinese: Wu-Wei), ossia non fare niente che non sia secondo natura, al fine di penetrare i misteri di ordine naturale:
«In verità più si va lontano e meno si comprende: ecco perché il saggio sa senza studiare, non fa niente, e tuttavia porta tutto a buon fine» (Lao-Tse).
I primi testi taoisti lasciano trasparire tutti questo anarchismo filosofico molto diverso da quello dello yoga o dei guru moderni: il saggio, meditando sulla inesistenza delle cose, cerca di arrivare ad uno stato nirvanico, un certo statuto metafisico, mentre il seguace del taoismo vive la sua vita su di un piano concreto, ma con noncuranza. Nel ChuangTse, lo Spirito delle Nubi vuole guidare gli uomini e domanda a più riprese al Caos un consiglio; il Caosche va qua e là battendosi le cosce e saltellando come un uccello gli risponde ogni volta:
«pftt!... io mi diverto!... tuffati dunque nell'Oceano dell'esistenza, libera il tuo spirito, diventa tranquillo come un oggetto inanimato! ».
• Questo meraviglioso distacco non è durato. Il saggio taoista è divenuto cosciente del suo sapere e della sua importanza e ha cercato la potenza. Il primo dei «precettori celesti» fu Shang-Tao-Ling (I secolo a.C.) i cui discendenti ottennero dall'imperatore un vero feudo nel Kiang-Si (e lo possedettero fino al 1927), vero stato taoista racchiuso nell'Impero e dove si è sviluppata la setta chiamata Cheng-Yi (essa è ancora attiva a Formosa).
Così una delle dottrine più antistatali e anarchiche del pensiero orientale è diventata, con una svolta inattesa, una dottrina di governo e per di più feudale. Tuttavia essa ha largamente contribuito, per la forza delle sue concezioni relative all'autonomia individuale, a sviluppare nei cinesi l'individualismo e una certa «arte di vivere».
Pratiche.
• Nella sua rivalità con il buddismo e il confucianesimo, il taoismo ha utilizzato un vasto patrimonio mitico lasciato da parte da queste due dottrine: la magia. Tutti i sacerdoti taoisti (i taoshen ) espellono i demoni, fabbricano filtri ed elisir di lunga vita, praticano la veggenza e la divinazione. Alla base di questo occultismo sta l'opposizione di due forze nella natura: lo yang, principio maschile, e lo yin, principio femminile; il taoshen, con la sua conoscenza della proporzione ottimale dello yang e dello yin in un essere, può allora conferirgli una efficacia suprema.
Il taoismo insegna così che il mondo intero è sotto la dipendenza degli dei, in particolare di una trinità suprema, i «Tre Preziosi»; questa credenza si oppone al buddismo, religione atea che vede, nelle divinità, esseri inferiori ai Budda, cioè agli uomini che sono stati raggiunti dall'Illuminazione.
Filosofia cinese antica.
Nella religione cinese antica non esiste una netta demarcazione tra pensiero filosofico e pensiero religioso: a differenza dei filosofi greci, lo studio e la ricerca dei problemi metafisici sono essenzialmente rivolti alla definizione di una morale sociale, della vita e dello stato.
Confucio.
Confucio è il nome latinizzato di K'ung Fu-Tse (Maestro Kung), il più celebre dei filosofi cinesi; come per tutti i fondatori di religione, la tradizione ha abbellito la sua vita.
Le antiche leggende fanno risalire la nascita di Confucio al 551 a.C. nello stato di Lu, odierno Shantung, padre settantenne, e dicono che la madre, rimasta prematuramente vedova, lo allevò in condizione di ristrettezze economiche. Ricoprì diverse funzioni pubbliche, prima di abbandonare il suo paese con alcuni discepoli e iniziare un vagabondaggio nell'intero continente. Vecchio, tornato in patria, istituì una scuola e morì nel 479 a.C. circondato dai suoi discepoli.
Le sue idee, come quelle di Socrate, ci sono state trasmesse dai suoi discepoli.
Il suo insegnamento comprendeva:
1) lo Shih King, il libro dei versi, una raccolta di canzoni popolari dei diversi stati nei quali la Cina era divisa, di inni e di canti che si cantavano alla Corte e riportavano gli atti gloriosi della dinastia;
2) lo Shu King , il libro delle storie, giunto a noi in un'edizione incompleta e interpolata, in cui sono raccolti, in forma storica, leggende e discorsi dei primi imperatori;
3) l' I King , il libro delle mutazioni, il libro di divinazione adoperato dagli indovini per interpretare i responsi della tartaruga e dell'achillea;
4) le Cronache dello stato di Lu , il cui commento contiene le notizie più importanti concernenti non solo la vita politica, ma anche le credenze, i costumi e le istituzioni degli antichi.
Formavano oggetto di studio presso la sua scuola anche i riti e le cerimonie pubbliche e private, il loro significato e la loro importanza, come si desume dal Li Ki , compilazione posteriore della sua scuola.
Confucio afferma di non voler insegnare niente di nuovo, ma solo trasmettere gli insegnamenti degli antichi. In questa sua attività, in effetti, egli integra e completa gli insegnamenti degli antichi con qualcosa di nuovo; non risolve i problemi religiosi, ma purifica la religione degli antichi cinesi e dà ai suoi concittadini un'idea semplice per guidarli sulla via dei doveri sociali. Secondo Confucio l'uomo nasce con una predisposizione al bene, sono i cattivi esempi ed i cattivi insegnamenti che gli trasmettono il male; occorre quindi una buona guida per giungere al bene seguendo gli esempi degli antichi. Ma gli antichi di Confucio sono piuttosto un'astrazione, sono cioè quelli che il filosofo immaginava che fossero riferendosi soltanto ai loro riti e credenze.
Si rimprovera una certa freddezza negli ideali di altruismo del filosofo, i cui insegnamenti non potevano essere capiti dalle classi subalterne non dotate di necessaria istruzione. La sua morale è certamente lontana dalla carità cristiana anche se le due religioni hanno in comune uno dei precetti fondamentali: «Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te».
La dottrina.
É un'arte di vivere, senza pretesti religiosi o metafisici.
Per essere felice, un uomo deve vivere in pace con sé stesso e coi suoi simili; per questo deve seguire la «via media», quella della moderazione che conduce alle virtù cardinali: pietà filiale, armonia affettiva familiare, equità, senso dell'onore, integrità, sincerità, cultura, pace universale.
Nel quadro di questa morale del giusto mezzo, si inscrive la prescrizione del culto degli antenati:
Servire i morti come se essi fossero ancora vivi è la suprema pietà filiale
dichiarava Confucio. Questo culto, non era nuovo in Cina e i relativi riti erano nel contempo il pagamento di un debito di riconoscenza verso gli antenati e verso la società che ne era il prodotto.
Confucio ammetteva d'altra parte l'esistenza di ciò che chiamava il Cielo (T'ien), conformemente alle credenze della religione popolare del suo tempo. Senza dubbio intendeva con ciò la natura, in quanto totalità assoluta delle cose, e forse una forza morale presente nell'Universo. Ma non vi è di più in Confucio: egli non si preoccupa di sapere da dove viene il mondo e quale possa essere il destino dell'uomo dopo la morte: Voi che non comprendete niente della vita, come potete comprendere la morte? .
La dottrina di Confucio è essenzialmente aristocratica, essa ha lo scopo di insegnare ai principi, ai nobili, agli studiosi, la gerarchia dei loro doveri, lo spirito di disciplina e sacrificio, che sono necessari per l'esercizio della funzione sociale loro affidata. Il popolo può seguire, anche senza capire, quanto gli viene proposto dall'aristocratico ed imitarne i riti necessari a raggiungere il bene.
Merito di Confucio e della sua dottrina è quello di aver dato un grande impulso alla religione cinese, allontanandola da credenze superstiziose e preparando il popolo a capire le dottrine filosofiche che si svilupparono nei secoli successivi.
Confucio, come il suo discepolo Mencio, credeva nella bontà di fondo dell'uomo e nella possibilità della instaurazione di uno stato stabile e felice, da dove sarebbero state bandite le guerre e l'ingiustizia.
La sorte del confucianesimo fu prodigiosa. Fino al 1905 in Cina si diventava mandarino, cioè alto funzionario, dopo aver superato un esame sui classici di Confucio; e, a partire dal 195 a.C. si rese a Confucio un culto quasi divino. Ancora nel XIX secolo, nei templi, la statua di Confucio troneggiava in una sala volta verso il nord, assieme alle statue dei «quattro discepoli» Yang-Hiung, Meng-Tse, Tchang-Tsai, Che-Tse.
Accanto a queste 5 statue fondamentali, vengono quelle dei «dodici saggi» (fra cui Shu-Fu-Tzu, che visse nel XII secolo), quelle degli antenati di Confucio e di un centinaio di letterati e di notabili confuciani.
Nel 1934 il maresciallo Chang Kai-shek, nel quadro della sua politica di restaurazione dei valori tradizionali, proclamò il 27 agosto, anniversario tradizionale della nascita di Confucio, festa nazionale della Cina. Nell'attuale Repubblica popolare cinese si è sviluppato un movimento di opposizione alla morale e alla dottrina di Confucio, i cui classici sono stati banditi.

mosongo
24-05-06, 08:58
http://www.pietrofix.it/img_gif/quale_dio.gif

Gli animali che hanno come distinzione due soli arti motori che sono chiamati piedi, hanno sempre cercato di dare risposte ad avvenimenti, giustificandoli in qualche modo con responsabilità definite spesso DIVINE o SOPRANNATURALI. Riflettendo sui come i quando ed i perché, sono stati creati libri ritenuti dai popoli, come testi SACRI. Spesso gli stessi, vengono poi utilizzati molte volte, in situazioni con forti caratteristiche deviate, dichiarate MAGICHE.

Popoli indigeni come Atzechi, Toltechi e Maya, allocate nel Centro America, in Honduras, Yucatan e Messico, hanno espresso religioni con divinità identificate con vari nomi come Quetzacóatl o simili.
Nel Nord America l'adorazione degli abitanti tramite i Totem, erano adoratori di Manitù (ricordo dei film Western). Non dobbiamo poi dimenticare, i molti Dei delle civiltà greche e romane come Marte, Zeus, Jupiter, Apollo, Diana ecc... Insomma, là dove vive l'uomo, nasce sempre una religione.

Ha avuto molto significato nel nostro vecchio continente, l'identificazione di ODINO (http://www.pietrofix.it/odino.htm); quest'ultimo è stato, per i popoli nella mitologia germanica, il dio supremo, creatore degli uomini e del mondo; esercitava la sua potenza sia nel bene che nel male; era il dio della guerra e della magia; il suo potere però soggiaceva al fato. Era detto figlio di Borr e di Bestla, marito di Frigg e padre di Baldr.

Le religioni attuali del nostro tempo, che contano un numero sensibile di adepti, le possiamo identificare come origine, maggiormente in Oriente e Medio Oriente; troviamo il BUDDISMO (http://www.pietrofix.it/budda.htm) che scorre in molti paesi del nostro pianeta. L'INDUISMO (http://www.pietrofix.it/induismo.htm), allocato prevalentemente in India con oltre un miliardo di abitanti.

Cliccando sui link delle religioni citate, si potranno leggere brevi pensieri filosofici, che dimostrano la non differenza tra i vari popoli. L'unica forma che porta differenza, è la pretesa di voler essere al di sopra di tutti, senza alcuna umiltà.






IL COSMO BIBLICO

Il mondo che noi vediamo, è così concepito nelle descrizioni che ce ne dà la BIBBIA:
la TERRA è una grande isola in mezzo all’Oceano terrestre sostenuta da colonne sotto le quali vi sono gli Inferi o sheol, soggiorno dei morti. Ai lati dell’Oceano, le cosiddette Montagne eterne sostengono il Firmamento, grande calotta sferica cui sono fissate le stelle; in esse hanno la loro sede il Sole e la Luna.
Al di sopra del Firmamento, l’Oceano celeste con in mezzo, il Monte di Dio, o il cielo dei cieli.

Ricordo che il cambiamento concettuale del pensiero astrologico, ha avuto molti scontri con il fondamentalismo ostile religioso, fino a quando si è passati in un balzo, dal sistema geocentrico (Tolomeo, sec. II d.C.) al sistema eliocentrico (Copernico, sec. XVI d.C.), ormai riconosciuto vero ed accettato, da chiunque su questo pianeta.
Quello che invece non ha avuto adeguamento, per le revisioni di pensiero, è stato proprio quello, che è legato al credo religioso; quot capita, tot sententiae.


http://www.pietrofix.it/img_jpg/mondo_biblico.jpg

A seguito della nota precedente, verranno evidenziate delle esposizioni bibliche, che hanno dato vita ai vari credo come quello EBRAICO, MUSULMANO e CATTOLICO. Su ogni esposizione originale citata, verrà espresso un breve appunto critico. Da qui si comprende che tutti hanno, come origine comune, il dettato dell'Antico Testamento.
La Bibbia sviluppa nella sua estensione, un racconto romanzato degli accaduti, mentre il Corano, che é il libro Sacro Musulmano, é più un racconto interpretativo.
Tutto verrà fatto, senza soffermarsi sui vari protestantesimi, che hanno costellato i vari firmamenti religiosi. Quello che verrà detto inoltre, sarà espresso senza favoritismi, con espressione da buon laico quale sono. Verrà perciò riconosciuta, l'uguaglianza di tutte le religioni, senza privilegio alcuno.


).


http://www.pietrofix.it/img_gif/bibbia_mini.gif
La Bibbia non é già un libro ma bensì il dichiarato "Libro dei Libri". Una raccolta quindi di scritti, epoche e lingue diverse.
Il numero dei libri che compongono la Bibbia varia da credo a credo. Gli Ebrei infatti, riconoscono solo l'Antico Testamento, mentre i protestanti non v'includono i libri deuterocanonici.
Pur scritti in lingue diverse ed in tempi molto lontani tra loro i libri della Bibbia, sotto il profilo teologico, si integrano perfettamente. Essi infatti hanno un solo autore assoluto: Dio e se dunque l'autore é Dio, la Bibbia é un Libro Divino.

Ma andiamo per ordine analizzando il Pentateuco, che è il primo libro della Bibbia. Questo ha come argomento principale, le origini del mondo, oltre a quello che è definito il popolo di Dio (!).
Secondo la tradizione, l'autore del libro chiamato Pentateuco, è stato Mosè, ma pare che sia stato compilato come sembra, verso la seconda metà del 5° secolo a.C., spingendo le sue radici nel passato più remoto d'Israele.
É in assoluto il libro principale di Israele, identificato e chiamato come Torah(Legge). Il termine greco "Pentateuco", definisce un insieme di cinque(Penta) libri, i cui nomi sono i seguenti:

http://www.pietrofix.it/img_gif/genesi.gif (http://www.pietrofix.it/la_bibbia.htm) inizia con la creazione del Mondo, il peccato originale ed il diluvio universale e la storia di Abramo e Sara, con Ismaele e Isacco ecc...
http://www.pietrofix.it/img_gif/esodo.gif (http://www.pietrofix.it/la_bibbia.htm) racconta la storia del popolo di Israele, dalla fuga dall'Egitto, fino agli avvenimenti del Sinai, con la visione della Terra Promessa.
http://www.pietrofix.it/img_gif/levitico.gif (http://www.pietrofix.it/la_bibbia.htm) contiene varie disposizioni culturali e normative di comportamento regolato dalle norme di Dio.
http://www.pietrofix.it/img_gif/numeri.gif (http://www.pietrofix.it/la_bibbia.htm) riporta in apertura, tutti i censimenti fatti nel deserto e quelli successivi, fino alla conquista della Transgiordania.
http://www.pietrofix.it/img_gif/deuteromio.gif (http://www.pietrofix.it/la_bibbia.htm) riproduce, nelle parole di Mosè, il racconto della peregrinazione nel deserto e una nuova versione della legge mosaica.

Dopo questi primi cinque libri del Veccio Testamento, che trattano gli argomenti della Promessa Divina (il Pentateuco), gli succedono altri libri scritti verso il quinto secolo a.C., che trattano argomenti storici fino al'orizzonte della nascita di Gesù.

stuart mill
24-05-06, 11:11
mosongo, una cortesia: i prossimi messaggi lunghi, potresti suddividerli in più post? faciliteresti la lettura, grazie :)

stuart mill
24-05-06, 11:38
AFORISMI DI LAO TSE

Chi vince gli altri è muscoloso, chi vince se stesso è forte.
Lao Tse
È meglio accendere una lampada che maledire l’oscurità.
Lao Tse
Quando due amici si comprendono completamente, le parole sono soavi e forti come profumo di orchidee.
Lao Tse
Quello che il bruco chiama la fine del mondo, il maestro la chiama la nascita di una farfalla.
Lao Tse
Se hai un problema e puoi risolverlo è inutile che tu ti preoccupi, se non puoi risolverlo è altrettanta inutile la tua preoccupazione.
Lao Tse
Un viaggio lungo mille chilometri inizia con un piccolo passo.
Lao Tse

lao tze era un grande, ottimo il suo ao te ching, e ottimi questi aforismi.
fra l'altro la penultima frase :[Se hai un problema e puoi risolverlo è inutile che tu ti preoccupi, se non puoi risolverlo è altrettanta inutile la tua preoccupazione.] è uguale a quella di aristotele(se c'è soluzione, perchè agitarsi, se no c'è soluzione, perchè agitarsi?)...
Lao Tse

mosongo
24-05-06, 12:43
hgjw

mosongo
24-05-06, 14:16
fghjde

mosongo
24-05-06, 14:28
ufkrz

mosongo
24-05-06, 14:28
ERACLITO
(540-480 a.C. circa)


Eraclito visse ad Efeso, colonia ateniese sulle coste della Lidia, discendente di una famiglia di stirpe reale. Pare che conducesse vita appartata e che nutrisse un profondo disprezzo per le masse e per le istituzioni democratiche del tempo, disprezzo riassumibile nella sua frase "un uomo solo ne vale diecimila, ammesso che sia il migliore".

Questo suo carattere non facilitò certo la sua agiografia: di lui si racconta che scrivesse i suoi aforismi su sottili lamine d'oro che faceva conservare nelle casseforti del tempio, pensieri da rendere noti solamente dopo la sua morte. Sempre secondo la tradizione leggendaria, si diede egli stesso la morte all'età di sessant'anni nella piazza di Efeso facendosi divorare dai cani, non senza essersi prima cosparso di sterco.

Il pensiero di Eraclito ruota attorno a quattro punti fondamentali: il divenire, la contrapposizione tra i contrari, il Lògos, e il fuoco come stoichèion, come sostanza fisica identica nella diversità delle cose esistenti.
Il divenire. Il divenire è il continuo mutare di tutte le cose da uno stato all'altro. Tutta il cosmo è un continuo mutare, niente permane nella stessa forma. Lo stesso vivere è un continuo mutare da una condizione all'altra. Pànta Rhei, tutto scorre e tutto va, incessantemente, ed è questo continuo mutare che costituisce il senso stesso del cosmo, il suo principio fondamentale, il suo significato ultimo. Per dirla come Eraclito "non ci si bagna mai nello stesso fiume e non si può toccare due volte una sostanza sensibile nello stesso stato".
Il divenire, per Eraclito, costituisce il principio sul quale poggia il mondo, è l'arché. Ciò che vi è di identico e non muta, nell'ambito del mutare di tutte le cose, è lo stesso mutamento. Ogni cosa, infatti, si trova, ad un certo punto della sua esistenza, in una situazione per la quale essa è opposta a tutte le altre, ogni cosa è tutto quello che non è altro. Per essere qualcosa ogni cosa ha quindi bisogno del molteplice per ricavare la sua specificità dal confronto con le altre cose.
Il divenire, il mutamento, è nell'evidenza stessa del tempo: ogni cosa è soggetta alla temporalità, ogni aspetto del mondo muta perché e il tempo che necessita questo stesso mutamento: il tempo si esprime nel passaggio delle cose da uno stato all'altro, e questo passare (questo diventare altro), costituisce l'essenza stessa del cosmo (il cosmo è ciò che è perché in esso si assiste ai molteplici spettacoli del mutamento delle cose).
Ma ancora prima di interpretarla come riflessione sul tempo, la testimonianza di Eraclito produce un senso del divenire ben preciso: il divenire, il mutare delle cose, è determinato dalla stessa contrapposizione tra le cose, il mutare è connaturato (necessariamente legato) alla contrapporsi delle cose contrarie.
L'opposizione tra i contrari ('polemos'). Dunque, ogni cosa è ciò che è proprio perché ha delle altre cose che ne delimitano l'essenza (ad esempio sappiamo che è giorno perché conosciamo la notte: quindi definiamo il giorno come ciò che si oppone alla notte, se non ci fosse la notte, non potremmo sapere cosa è il giorno). Eraclito afferma che non esisterebbe luce senza buio, salute senza malattia, sazietà senza fame, ogni cosa raggiunge la sua definizione dal confronto con le altre.
Ogni cosa per esistere e per definirsi ha bisogno delle altre cose in modo da esprimere la propria identità rapportandosi alle altre. Questo concetto è definito da Eraclito come polemos ("contesa", "guerra", "opposizione"), o contrasto tra i contrari. Le cose esistono e continuamente subentrano alle altre (ad esempio il giorno subentra alla notte, il freddo al caldo, l'umido al secco), ed è proprio questa contesa a creare quell'equilibrio necessario a perpetuare l'esistenza di ogni cosa.
"La strada in salita e in discesa è una sola e la medesima". Con questa metafora Eraclito testimonia che il molteplice mutare delle cose divenienti (rappresentate dalla discesa e dalla salita) è pur sempre soggetto allo stesso principio (la strada, ovvero l'esistenza stessa): cose opposte e contrarie fra loro sono indissolubilmente legate le une alle altre (se non esistesse la salita, non esisterebbe nemmeno la discesa).
"Tutte le cose sono uno" come afferma lo stesso Eraclito, ovvero ogni cosa che si contrappone alle altre ha in comune con le altre un determinato aspetto: l'opposizione, la relazione necessaria con le altre cose dalla quale scaturisce necessariamente il loro significato.
Nella polemos si esprime un'armonia, una forma di giustizia universale: la contrapposizione permanente di ogni aspetto della realtà genera un equilibrio che non permette ad alcun elemento di prevaricare sugli altri (ciò sarebbe ingiustizia). Nessun elemento può quindi prevaricare sugli altri in quanto non può essere tolto dal suo contesto di relazioni senza perdere il suo stesso significato.
Il 'Logos'. La legge suprema che governa il mondo, ciò che esprime l'equilibrio tra i contrari permettendo l'armonia del cosmo, viene identificato con parola "logos". A questa parola possono essere attribuiti diversi significati: "discorso"", "ragione", "intelligenza", "legge", "pensiero", "logica", "regola fondamentale del tutto", tutti significati accomunabili nel senso di ragione che rispecchia il funzionamento del cosmo in tutti i suoi aspetti.

Il logos rispecchia e rende evidente la struttura di tutte quelle opposizioni tra le cose che rendono possibile il divenire e la vita stessa dell'universo, il logos è la stessa struttura, la legge che esprime la totalità delle relazioni.
Tutte le cose del cosmo, come visto, sono accomunate dall'opposizione, ovvero dalla relazioni necessarie che si instaurano tra loro, il logos rappresenta l'insieme stabile di queste relazioni, la loro stessa mappa.
Il rapporto degli uomini con il logos esprime il rapporto con la verità. "La legge e l'ordine del Tutto sono una sempiterna 'Parola' (logos) che si offre all'ascolto di tutti. I più la sentono, ma non sanno ascoltarla. Ogni giorno vi si imbattono e tuttavia non la intendono. Vivono quindi con in sogno, separati come sono da ciò che è 'comune', ossia dalla divina legge del Tutto". (E. Severino, La filosofia antica).
Eraclito divide gli uomini in dormienti e svegli (questi ultimi sono i sapienti, i filosofi, i secondi la gente comune). La legge espressa dal logos, ovvero la comprensione delle vere relazioni che si instaurano tra le cose, è alla portata di tutti, ma tutti gli uomini non sono uguali, alcuni intendono questa legge meglio di altri in virtù delle rispettive capacità intellettive. Chi più sarà in grado di rivolgersi alla comprensione del logos più avvicinerà la verità e la sapienza autentica. Per Eraclito non è sapiente colui che sa un gran numero di cose, bensì colui che sa cogliere meglio di altri la natura delle relazioni che si instaurano tra le cose.

Il fuoco come 'stoichèion'.Se il principio unitario che accomuna tutte le cose del mondo è il divenire, per Eraclito l'elemento fisico del quale tutti gli altri elementi sono composti (lo stoichèion), è il fuoco. Questo perché il fuoco è visto come elemento destabilizzante, in grado di provocare quel cambiamento che permette alle cose di mutare da uno stato all'altro.

Secondo Eraclito, dal fuoco si sprigionano dei gas, i gas diventano acqua, l'acqua stessa, una volta evaporata, lascia dei residui che vanno a comporre tutti i solidi. Questa idea del fuoco come elemento distruttore e creatore, sarà ripreso più tardi dagli stoici (http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Stoicismo.html#4) (assieme al concetto di lògos).

mosongo
24-05-06, 14:29
http://www.forma-mentis.net/Immagini/Filosofia/Pitagora.gif (http://www.forma-mentis.net/Immagini/Filosofia/Pitagora.gif)


PITAGORA

(570-500 a.C. circa)


Pitagora nacque sull'isola di Samo attorno al 570 a.C. Da giovane viaggiò nel vicino oriente (forse si spinse fino in India) stabilendosi poi a Crotone, per sfuggire alla dittatura ateniese di Policrate. A Crotone fondò una scuola di matematica che ben presto assunse i tratti esoterici della setta: la dottrina era trasmessa in segreto agli iniziati e tramandata a voce, solo gli appartenenti alla setta potevano conoscerne i precetti.
Pitagora stesso, più che a un filosofo, si atteggiava a despota bizzoso: gli allievi che volevano accedere alla sua scuola dovevano seguire alcune rigide regole non sempre fondate sulla logica, tra le quali il divieto di mangiare fave e di toccare galli bianchi.

La setta pitagorica riuscì in seguito a dominare numerose colonie trasformandosi in movimento politico-religioso ma la sua connotazione fortemente dispotica e aristocratica provocò una rivolta delle popolazioni che portarono alla distruzione della scuola e alla fuga di Pitagora a Metaponto, dove morì (ma si narra anche che sia morto in seguito al rifiuto di attraversare un campo di fave che gli precluse la ritirata).
La matematica di Pitagora pare non fosse identica a quella odierna: più che alla pratica, essa si rivolgeva alla teoria e alla ricerca dell'armonia nascosta delle cose (numerologia esoterica).

Il numero, la numerologia. L'arché, per Pitagora, era il numero. Il numero non era un concetto astratto come lo intendiamo oggi (un simbolo che si riferisce alla quantificazione delle cose), il numero possedeva una propria dimensione geometrica (per cui esistevano numeri triangolari, quadrati, rettangolari, cubici).
In Particolare, Pitagora sosteneva che tutte le cose sono oggetti geometrici e, come tali, sono composti da numeri, i quali ne costituiscono la struttura. I numeri erano comunque entità materiali (dotati di estensione), simili agli atomi formulati più tardi da Democrito.

I numeri dispari erano maschili e perfetti, benevoli, i numeri pari femminili e imperfetti, doppi. Il numero 1 era oggetto di una vera e propria venerazione, in quanto esprimeva l'unità originaria di cui tutti gli altri numeri erano composti (e quindi tutte le cose). Il numero 1 esprimeva quindi l'originaria unità del tutto, mentre il due già dimostrava, alla stregua del concetto di contrasto tra gli opposti, l'opposizione doppia degli elementi contrari.

Alcuni numeri avevano un significato magico: la duplicità era simbolo di doppiezza e inaffidabilità. Il 2, il primo numero pari, esprimeva per Pitagora la contrapposizione al vero sapere, ovvero l'1, l'unico.
La triplicità esprimeva sin dall'antichità il divino. Esso non è solo un simbolo riscontrabile nella Trinità cristiana, ma anche nella Trimurti orientale.

Il 4 esprimeva la quadruplicità della natura: quattro erano le stagioni.
Il 7 godeva invece della stima del numero perfetto.
L'armonia celeste. Anche la musica, come del resto tutta la realtà, era una combinazione di numeri. Pitagora basava la sua tesi sull'osservazione di alcune stringhe di uguale spessore e tensione ma di diversa lunghezza che faceva vibrare.
La musica era un rapporto numerico misurato secondo intervalli, le note dipendevano dalla quantità di vibrazioni emesse. Da questa intuizione affermò che le sfere celesti (Pitagora sosteneva la sfericità dei pianeti), a causa del loro movimento, emettevano una musica continua, un'armonia celestiale, che l'orecchio non sentiva perché ne era ormai assuefatto.
La metempsicosi. Forse conseguenza dei suoi viaggi in oriente, Pitagora sosteneva la trasmigrazione delle anime. L'anima era immortale ed era condannata da una colpa originaria a trasferirsi da una sostanza corporea all'altra (compresi gli animali) finché non si fosse purificata. Le regole per interrompere il ciclo di reincarnazioni erano quelle esclusivamente matematiche dell'armonia e della proporzione.

Per Pitagora la Terra "era una sfera, girava su se stessa da est a ovest ed era divisa in cinque zone: artica, antartica, estiva, invernale ed equatoriale e con gli altri pianeti formava il cosmo". (Storia dei Greci, Montanelli).

mosongo
24-05-06, 18:44
"La vita è breve, l'arte lunga, l'esperienza ingannevole, il giudizio difficile".

http://www.filosofico.net/ippocrate.gifNato sull’isola di Cos in una data imprecisata che può spaziare dal 460 al 450 a.C., Ippocrate è destinato a diventare nei secoli il simbolo stesso dell’arte medica. A quest’aura di leggenda, che sempre circondò la sua figura, si devono le innumerevoli e fantasiose tradizioni fiorite intorno alla sua esistenza e il confluire sotto il suo nome di uno stuolo di opere appartenenti ad altri autori, note nel loro complesso col titolo di Corpus Hippocraticum. Le uniche notizie piuttosto attendibili sulla vita di Ippocrate (che dovette terminare la propria esistenza poco dopo il 380 a.C.) sono quelle che lo vogliono figlio del medico Eraclide e dedito a frequenti viaggi: molto probabilmente, egli soggiornò infatti ad Atene e pure ad Abdera, dove fu in contatto con Democrito, concludendo infine la propria esistenza in Tessaglia. L’esistenza di un sistema ippocratico, che trascende le semplici osservazioni empiriche sulle varie affezioni, pare confermato da un passo del Fedro (270 c) di Platone, in cui il metodo del medico di Cos si dice finalizzato alla conoscenza del corpo in connessione con la natura del tutto, secondo quella corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo già intuita da Alcmeone: anche per lui, come per Ippocrate, la salute consiste nell’equilibrio degli opposti, identificati nei quattro umori circolanti nel corpo (sangue, flegma, bile gialla e bile nera).

il celebre Giuramento di Ippocrate:
"Affermo con giuramento per Apollo medico e per Esculapio, per Igea e per Panacea – e ne siano testimoni tutti gli Dei e le Dee – che per quanto me lo consentiranno le mie forze e il mio pensiero, adempirò questo mio giuramento che prometto qui per iscritto. Considererò come padre colui che mi iniziò e mi fu maestro in quest’arte, e con gratitudine lo assisterò e gli fornirò quanto possa occorrergli per il nutrimento e per le necessità della vita; considererò come miei fratelli i suoi figli, e se essi vorranno apprendere quest’arte, insegnerò loro senza compenso e senza obbligazioni scritte, e farò partecipi delle mie lezioni e spiegazioni di tutta intera questa disciplina tanto i miei figli quanto quelli del mio maestro, e così i discepoli che abbiano giurato di volersi dedicare a questa professione, e nessun altro all’infuori di essi. Prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni, e li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa. Giammai, mosso dalle premurose insistenze di alcuno, propinerò medicamenti letali né commetterò mai cose di questo genere. Per lo stesso motivo mai ad alcuna donna suggerirò prescrizioni che possano farla abortire, ma serberò casta e pura da ogni delitto sia la vita sia la mia arte. Non opererò i malati di calcoli, lasciando tal compito agli esperti di quell’arte. In qualsiasi casa entrato, baderò soltanto alla salute degli infermi, rifuggendo ogni sospetto di ingiustizia e di corruzione, e soprattutto dal desiderio di illecite relazioni con donne o con uomini sia liberi che schiavi. Tutto quello che durante la cura ed anche all’infuori di essa avrò visto e avrò ascoltato sulla vita comune delle persone e che non dovrà essere divulgato, tacerò come cosa sacra. Che io possa, se avrò con ogni scrupolo osservato questo mio giuramento senza mai trasgredirlo, vivere a lungo e felicemente nella piena stima di tutti, e raccogliere copiosi frutti della mia arte. Che se invece lo violerò e sarò quindi spergiuro, possa capitarmi tutto il contrario".