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Visualizza Versione Completa : Don Fabio, le tante (troppe) vie della furbizia



BOY74
04-06-06, 22:01
Capello promette fedeltà alla Juve e accetta la corte del Real Madrid. Dagli attacchi a Giraudo alle lodi per Moggi

Fabio Capello ha molti meriti; se fa così, però, rischia di dissiparli. Ognuno di noi gli deve qualcosa. I romanisti, lo storico scudetto del 2001 (per i romanisti ogni scudetto è storico). I milanisti, il dominio dei primi Anni Novanta, e il ricordo di quando in Champions il Milan batteva il Barcellona. Gli juventini, 76 giornate in testa alla classifica. I veneti e i calabresi di Stoccarda, l'unico lampo nel Mondiale «azzurro tenebra» di Germania 1974, il gol della vana speranza contro la Polonia. Tutti quanti, il tocchetto di Wembley '73, la prima vittoria italiana in Inghilterra. Ma lui ora non dovrebbe approfittarne.

Vuole restare alla Juve e, intanto, accetta la corte dei vari candidati alla presidenza del Real Madrid. Non rinnega l'amicizia con Moggi, ma neppure quella con Sainz. Brinda nel suo dammuso di Pantelleria con l'altro possibile presidente madridista Calderon, ma fa sapere che il contratto da oltre tre milioni di euro netti con la Juve è ancora valido, in A come in C. Nessuno potrebbe disconoscere le sue qualità, compresa la furbizia. Qualcuno comincia a pensare che stia facendo il furbo.

Non sarebbe la prima volta. 18 aprile 2003: «Ho già detto che la Juve è una squadra che non mi interessa, per un discorso mio personale. Tutti vorrebbero allenare la Juve alla mia età, per quello che la Juve permette di fare. Io no». 7 febbraio 2004: «Sulla panchina della Juve, no. È una delle prime cinque società del mondo. Ma io non ci vado. È una mia precisa scelta di vita». 19 febbraio 2004: «Come ve lo devo dire? La Juve non mi stimola. Non è lei che non mi cerca; sono io che non sono interessato. Rispetto i suoi giocatori e la famiglia Agnelli, ma a 57 anni devo trovare qualcosa che mi intriga». Come Mexès, talentuoso difensore francese, strappato all'Auxerre tra le polemiche. Appena arrivato a Roma, Capello lo invitò a pranzo: «Tu e io, Philippe, faremo grandi cose». Ai giornalisti che gli chiedevano «che Roma sarà?» rispose: «Ve lo saprò dire quando ci sarà la presentazione ufficiale, quando saremo in ritiro». Il giorno dopo pranzò con Giraudo, amministratore delegato della Juventus. Che finalmente lo stimolò.

Anche il suo rapporto con Moggi è in continua evoluzione. 5 novembre 2002: «Il gruppo Gea è una cosa anomala. Sono anche amico di Moggi. Ma mio figlio non è l'amministratore di una società che tratta gli acquisti con il padre». Dopo la garbata replica di Moggi («alle stupidaggini rispondo solo dopo le 20 e questa è l'ora giusta...») che lo invitava a occuparsi dei figlioli suoi, il 7 novembre Capello chiarì: «Mio figlio è un avvocato che si occupa di sport, non fa il procuratore. È una cosa diversa: lui non ha contatti con i giocatori. Mio figlio è un libero professionista, non l'amministratore delegato di una società che tratta cessioni e ingaggi con suo padre. Sono stato chiaro?». Erano anni in cui anche con Giraudo l'amicizia era meno calorosa. «Il doping amministrativo non uccide» disse Capello quando la Juve era sotto processo per farmaci e la Roma sotto accusa per i conti in disordine. Giraudo la prese bene: «Molti non danno LIBRI E PASSIONI
la giusta importanza all'illecito sportivo di carattere finanziario; d'altronde siamo in un Paese dove qualcuno prende la residenza a Campione d'Italia per evadere le tasse». Il «qualcuno» era Capello, che rispose: «Certa gente ha il nervo scoperto».

Ora di Moggi Capello prende cautamente le difese. «Quale può essere stata la responsabilità di Luciano? Dico solo un parola: superficialità». Moggi come Craxi: «Mi sembra di rivedere la storia di Tangentopoli, quando venne preso di mira il Partito socialista.

Ecco, la Juve di oggi è come il partito socialista». Gli amici non si rinnegano: «Luciano l'ho conosciuto quand'ero alla Juve come giocatore, poi l'ho ritrovato da dirigente. Ed è un dirigente eccezionale. Sono suo amico e lo stimo». Una stima prudente: «Arbitri? Con Moggi di designazioni non abbiamo mai parlato». E, nell'euforia triste del ventinovesimo scudetto: «Questo è un tiro al bersaglio, ma aspettate, ci sarà da ridere».

Non sarebbe giusto dimenticare che Capello non è un allenatore qualsiasi. È il più bravo. Capace di vincere ovunque. Era già il più intelligente da calciatore, quando faceva girare il centrocampo della Roma, della Juve, del Milan, della Nazionale. Tre su quattro, per il momento, le ha ritrovate da allenatore. È colto, legge molto, colleziona arte contemporanea.
Ha rapporti di amicizia e di stima al di fuori dello sport, ad esempio con Francesco de Gregori. Ha l'antipatia dei cinici e dei vincenti, che proprio antipatici non sono mai. Ora però il cinismo rischia di perderlo. Oppure, più semplicemente, Fabio Capello è incerto. Nell'attesa, prende tempo. Si è trovato, con ogni probabilità incolpevole, al centro di uno scandalo di sistema, che ha tentato di derubricare a commedia con battute da Azzeccagarbugli. Ora insiste, con qualche ragione, a dire che non tutto era finto, i novantuno punti, i gol, gli scudetti e tutto. Ma nello stesso tempo cerca una via d'uscita. La Juve deve restare in A. Capello deve restare alla Juve. Certo che a Madrid hanno conservato un buon ricordo, lo chiamano Don Fabio. Hanno anche preso Cassano, il puledro di razza che solo lui aveva saputo domare. Moggi è innocente, con gli Agnelli e gli Elkann il rapporto è ottimo, con Sainz pure, e i tramonti di Pantelleria sono dolcissimi. Noi aspettiamo. Per il momento, non c'è nulla da ridere.


Aldo Cazzullo
03 giugno 2006