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Visualizza Versione Completa : Marxismo. L’ultimo rifugio della borghesia?



Gian_Maria
24-01-10, 16:48
La parte importante del titolo di questo lavoro postumo di Paul Mattick (morto nel 1981) è il punto di domanda, in quanto Mattick non considera per nulla il Marxismo “borghese”. Egli, tuttavia, voleva spiegare come il “Marxismo” è divenuto un’ideologia dei regimi e dei movimenti che non hanno assolutamente nulla a che fare con il fine di Marx di una comunità mondiale senza classi, Stati e salari.

La prima parte del libro si occupa di una discussione dell’economia marxiana, dove Mattick inizia a spiegare il perché così tanti accademici si sono ritrovati a immaginarsi marxisti senza avere compreso per nulla quale era il fine di Marx. Così molti saggi sono stati pubblicati sul valore, sul prezzo, e sul così detto problema della “trasformazione” di uno nell’altro, senza che gli autori capissero che Marx puntava all’abolizione del sistema dei prezzi e che per lui “valore era una categoria storica [che] è destinata a scomparire con la fine del capitalismo”. Chiaramente, il “problema della trasformazione” sbiadisce nell’insignificante di fronte alla proposta di abolire il prezzo e il valore. Similmente, questi accademici, che usano le idee di Marx per dare raccomandazioni politiche ai governi, non hanno realizzato che “la teoria marxista punta non a risolvere ‘problemi economici’ della società borghese ma a mostrare la loro insolubilità”. Come scrive Mattick, “Marx era un socialista, non un economista”.

Quando Mattick scrive sull’economia marxista, quindi, è sulla nostra stessa lunghezza d’onda, anche se noi non possiamo sempre concordare con lui. Come, per esempio, sul supposto collasso economico del capitalismo in cui Mattick aveva creduto per tutta la sua vita politica e che ancora, nel suo ultimo libro, egli si aspettava accendesse la rivoluzione socialista.

La seconda parte del libro (che è più lucida e può essere letta separatamente prima, o senza, la più ostica prima parte) tratta del “Marxismo” come un movimento politico e ideologico. Qui Mattick ha delle cose assai pertinenti da dire, sottolineando che la socialdemocrazia tedesca nel suo periodo d’oro prima della Prima Guerra Mondiale vedeva il socialismo non come l’abolizione del sistema del lavoro salariato e il controllo della produzione da parte dei produttori [lavoratori], ma come il controllo di un governo democraticamente eletto di un Grande Cartello verso il quale questi vedevano tendere il capitalismo.

Questa concezione di capitalismo di Stato del “socialismo” fu più tardi abbandonata dai socialdemocratici (in favore di una franca accettazione dello status quo capitalista misto privato/statale) ma fu ereditata, e in gran parte raggiunta, dai bolscevichi. La Rivoluzione Russa, dice Mattick, era “una sorta di rivoluzione borghese” nella quale “le funzioni storiche della borghesia occidentale erano state assunte da un partito all’apparenza antiborghese”. E il seguente commento potrebbe essere venuto agevolmente da noi:

“Il regime bolscevico non aveva nessuna intenzione di abolire il sistema del lavoro salariato e non era quindi impegnato nel portare avanti una rivoluzione nel senso marxiano”

“Il sistema capitalistico fu modificato ma non abolito. La storia fatta dai bolscevichi era ancora storia capitalista nel travestimento ideologico del Marxismo”

In questo modo il “Marxismo” divenne l’ideologia dei regimi a capitalismo di Stato, una teoria del controllo totalitario della società da parte di una minoranza, mentre Marx aveva sempre parlato di una società senza classi e senza mezzi di coercizione. È un peccato che non ci saranno più libri scritti dalla penna di Mattick per far notare questo.

(Socialist Standard, gennaio 1985)