PDA

Visualizza Versione Completa : Maestri indiani: gaudapada e sankara



stuart mill
28-07-06, 20:22
in questo thread, nizierò a raccogliere notizie sui principali maestri indù.


Testi e Filosofi
L'Advaita Vedanta, o Vedanta Non-duale, è un sistema metafisico che si fonda su un antichissimo lignaggio di filosofi, le cui radici si trovano nelle scritture Vediche. Secondo la Tradizione, il primo insegnamento proviene da Vishnu/Shiva che lo trasmise ai Rishi, i poeti veggenti dei tempi remoti, autori dei Veda e delle Upanisad, che lo trasmisero agli uomini.
Questa longeva serie di testi comprende quindi innanzitutto le opere dei filosofi che propriamente hanno codificato e insegnato la metafisica non duale, Sankara e Gaudapada (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/sankara.htm), ma si riallaccia costantemente alla tradizione vedica della Sruti (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/sruti%20e%20smrti.htm), la dottrina rivelata attraverso i Rishi, e alla Smrti (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/sruti%20e%20smrti.htm), le scritture tramandate che hanno fondamento nella Sruti.
Vedanta è il termine con cui si identificano le dottrine esposte al "termine dei Veda (http://www.vedanta.it/sastra/default.htm)" (questo il significato letterale) come compendio filosofico dell'istruzione religiosa, nei trattati delle Upanisad (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/Upanisad.htm). La parola è stata assunta, nel corso del tempo, ad indicare quei sistemi che ammettevano un unico Principio supremo come causa di ogni essere.
Advaita, o non-dualità, identifica il ramo della speculazione che ha elaborato l'affermazione delle Upanisad "Tu sei Quello" (Tat tvam asi), dove Quello è la profonda Realtà, costante, identica a sé stessa, auto-evidente, indivisibile, infinita e situata al di là del piano causale spazio-temporale.
<<L'Advaita, come tradizione, si può far risalire ai Veda e alle Upanisad.
In alcuni inni vedici, che hanno argomento metafisico, la Realtà suprema è chiamata "l'Unico Essere" (ekam sat), "Quell'Uno" (tat ekam), ecc. La dottrina dell'Uno trova una chiara esposizione nelle Upanisad che costituiscono il Vedanta, la Fine dei Veda.
I termini spesso impiegati nelle Upanisad per designare l'Unico Essere sono Brahman ed Atman Brahman, che è la base dell'universo, proclamato identico ad Atman. "Qui non vi è alcuna pluralità" dice un testo upanishadico, e soggiunge: "Dalla morte alla morte va colui che vede qui la pluralità, come se ci fosse".>> (Estratto da: Ramana Maharshi, Il Saggio di Arunachala. Ed.Mediterranee, Roma - Pubblicato sul Periodico Vidya.)
In questo senso, la scuola filosofica che si identifica con il pensiero di Gaudapada e Samkara, e dei loro successori, è da inquadrare nella vasta tradizione che discende dalla metafisica delle Upanisad (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/Upanisad.htm) (Sruti) e dalle figure dei filosofi che, all'interno di questa dottrina rivelata, postulano la realizzazione dell'identità di Atman e Brahman come scopo e fondamento di tutta la conoscenza.
Per Tradizione dunque va intesa la continuazione del metodo di indagine e la trasmissione della dottrina filosofica attraverso l'attualizzazione e la realizzazione del profondo significato delle scritture; il riconoscimento da Maestro a discepolo, l'identificazione del discepolo nella linea tradizionale, nonché dell'opera del successore all'interno del sistema antico. Tradizione è essenzialmente continuità e realizzazione nel presente.
La sistematizzazione dell'Advaita Vedanta come disciplina filosofica<<ha il suo inizio storico con Gaudapada (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/gaudapada.htm), un filosofo del VII secolo, autore del Mandukya-karika, un commento in versi sulla Mandukya Upanisad.
Gaudapada argomentò anche sulla filosofia buddista del Mahayana di Shunyava-da (vacuità). Sostenendo la non esistenza della dualità; la mente, nella veglia o nel sogno, si muove nella maya (illusione o ignoranza metafisica); e soltanto la non-dualità (advaita) è la verità finale. Questa verità è celata dall'ignoranza dell'illusione.
Non c'è alcun divenire, né da una cosa in sé o da una cosa a un'altra cosa. Non c'è infine il Sé o anima individuale (jiva), ma solo l'atman (l'Essere o spirito omnipervadente), in cui gli individui sono temporaneamente delineati, così come lo spazio in un vaso si delinea come una parte dello spazio principale: quando il vaso è rotto, lo spazio specifico torna ancora una volta parte dello spazio principale.

Il filosofo medioevale indiano Shankara (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/sankara.htm), o Shankaracarya, configurò ulteriormente sulle basi di Gaudapada, principalmente nel suo commento sul Vedanta-sutras, lo Shariraka-mimamsa-bhasya (Commentario sullo Studio sul Sé).
Shankara nella sua filosofia non inizia dal mondo empirico attraverso un processo di analisi logica ma, piuttosto, direttamente dall'assoluto (Brahman).
"Se interpretato correttamente", sostiene, "le Upanisads insegnano la natura della Realtà Assoluta (Brahman)". In questa discussione sviluppa un'epistemologia completa per rappresentare l'errore umano nella percezione del mondo fenomenico come reale.>>(Voce tratta e adattata dalla Enciclopedia Britannica)

stuart mill
28-07-06, 20:23
Testi e filosofi (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/testi_e_filosofi.htm) :

Gaudapada
Gaudapada è il primo autore noto dell' Advaita Vedanta il cui lavoro sia giunto fino a noi. Può essere definito il fondatore della dottrina Ajati Vada (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/ajati%20vada.htm) nell'Advaita Vedanta. Gaudapada è indicato come il Maestro di Govinda Bhagavatpada, Maestro di Sankara (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/sankara.htm). Esistono ben poche notizie intorno alla persona di Gadaupada. Il nome Gauda suggerisce che non fosse nativo dell'India, per cui molti luoghi, dal Kashmir al Bengala, sono stati indicati talvolta come paese di origine. [...]

Gaudapada scrisse la Gaudapada Karika (GK) che costituisce il testo espositivo della Mandukya Upanisad. La GK è suddivisa in quattro libri intitolati Agama-prakarana, Vaitathya-prakarana, Advaita-prakarana and Alatasanti-prakarana. Di questi, il primo libro è intervallato con passaggi in prosa della Mandukya Upanisad, mentre i successivi tre sono indipendenti dal testo dell'Upanisad. Altri testi attribuiti a Gaudapada sono: sAm.khyakArikA bhAshya, uttaragItA bhAshya, nRsimhottaratApanI upanishad bhAshya e alcuni lavori su SrIvidyA upAsanA - subhAgodaya e SrIvidyAratnasUtra.

Esistono delle controversie tra gli studiosi moderni attorno all'identità e alla filosofia dell'autore del Gadaupada Karika. Alcuni sostengono che ciascuno dei libri sia stato scritto da un autore differente, altri che tutti appartengano ad un unico autore. [...] Secondo la scuola Advaita i quattro libri sono stati composti da uno stesso autore umano chiamato Gadaupada, e quindi non possono essere considerati quali Sruti, sebbene il primo libro sia fondato su numerosi brani della Mandukya Upanisad. Secondo la scuola Dvaita, invece i 27 versi del primo libro non sono opera di un autore umano e sono perciò da considerarsi quali la Sruti e i passaggi della madukya upanisad.

La controversia più nota attorno alla GK verte sulla presunta influenza del buddhismo mahAyAna. [...]
E' chiaro che la GK sia scritta nella formula di un dialogo tra filosofia vedanta e le varie scuole del buddhismo mahAyAna, più propriamente le scuole yogAcAra e madhyamaka. Il quarto libro (alAtaSAnti prakaraNa) fa riferimento alla scuole buddhista Agrayana. Inoltre, la nota metafora dell'Alatacakra è di origine buddhista. L'Alatacakra è un tizzone ardente che mosso circolarmente crea l'impressione di un cerchio infuocato. E' interessante notare che Gaudapada inverte il senso della metafora buddhista. I Buddisti usano la metafora per ribadire che la figura del cerchio è un'illusione, essendoci niente altro che momentanee posizioni spaziali del tizzone. Quindi, dal punto di vista buddhista, si commette un errore attribuendo alla figura del cerchio una "propria natura" (svabhava). Gaudapada, invece afferma che il tizzone ardente è il substrato delle posizioni spaziali momentanee e che l'illusione di un cerchio è causata dal movimento impresso al tizzone.
In questo contesto, l'intera discussione sembra continuare l'antico dibattito filosofica tra svabhAva e nihsvabhAvatA e tra Atman e nairAtmya delle scuole vedantiche e buddiste. Secondo il commento di Sankara alla karika, Gaudapada usa la metafora e la terminologia buddhiste per giungere a conclusioni vedantiche sulla definitiva esistenza di un Atman indentico al Brahman come substrato (adhishThAna) di tutta l'esperienza. Il fatto che Gadaupada adoperi un linguaggio buddhista non significa che si un buddhista dissimulato e non è affatto da stupirsi che un vedantino abbia familiarità con la dottrina buddhista. La tradizione narra che il famoso compilatore del Purvamimamsaka, Kumarila Bhatta, si stato istruito da maestri buddhisti e jainisti, allo scopo di comprendere gli insegnamenti di tali scuole, prima di scrivere la sua opera. D'altra parte, nella stessa natura della filosofia indiana classica, la trattazione procede attraverso la definizione della posizione di un filosofo in relazione a quella di un altro, individuando dove esse coincidano e dove si differenzino. Una conoscenza profonda dei sistemi filosofici di altri è dunque necessaria perché tali confutazioni possano avere luogo.

(tradotto e adattato da The advaita home page (http://www.advaita-vedanta.org/avhp/) )

stuart mill
28-07-06, 20:25
Testi e filosofi (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/testi_e_filosofi.htm) :

Sankara
(Sri Adi Sankara, Shankara, Sankaracarya 788 - 820 D.C. o, secondo altre datazioni, V sec. A.C.)

La filosofia Non-duale di Sri Sankara

Introduzione
Il primo filosofo a condurre un'esposizione sistematica dell'Advaita fu Gaudapada (http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/gaudapada.htm), che fu Parama-Gura (precettore del precettore) di Sri Sankara. Un discepolo di Gaudapada era Govinda, il quale fu precettore di Sankara. A Gaudapada si deve l'insegnamento fondamentale dell'Advaita Vedanta nel celebre Mandukya Karika.
Ma fu Sankara a esprimere la perfetta forma finale della filosofia Advaita e a perfezionarla fin nei dettagli. Chi si avvicini con attenzione ai commenti di Sankara alle Upanisad principali, al Brahama Sutra e alla Bhagavad Gita, arriverà a comprendere con chiarezza il contenuto della filosofia Non-duale.
L'insegnamento di Sankara si può riassumere in un solo verso: "Brahma Satyam Jagan Mithya Jivo Brahmaiva Na Aparah" Solo il Brahman Assoluto è reale; questo mondo è irreale; e il Jiva o anima individuale non è differente dal Brahman. Questa è la quintessenza della sua filosofia.
L'Advaita insegnato da Sri Sankara è un rigoroso, assoluto monismo [non-duale]. Secondo Sri Sankara, qualsiasi cosa è, è Brahman. Brahman in Sé è assolutamente omogeneo. Tutte le differenziazioni e la pluralità sono illusori.

Brahman - L'Uno Senza Secondo
L'Atman (essenza individuale consapevole) è auto-evidente (Svatah-siddha) e non può essere dimostrato con prove estranee. Non è possibile negare l'Atman, poiché sarebbe la stessa essenza individuale a negarlo. L'Atman è la base di ogni tipo di conoscenza, inferenza e deduzione. Questo Sé è all'interno, all'esterno, prima, dopo, ad ogni lato.
Brahman non è un oggetto, poiché è Adrishya (oltre il visibile), è ciò di cui le Upanisad dichiarano : "Neti, Neti" - non questo, non questo, non quello. Non significa però che Brahman sia un concetto negativo, un'astrazione metafisica o una non-entità, o un vuoto. Non è "altro". E' la totale pienezza, infinito, senza mutamento, auto-esistente, perfetto in sé, auto-consapevole e perfetta beatitudine. Esso è Svarupa (essenza), l'essenza del conoscitore. E' il Veggente (Drashta), il Trascendente (Turiya) e il Testimone Silenzioso (Sakshi).
Il Brahman Supremo indicato da Sankara è impersonale, Nirguna (privo di Guna o attributi), Niraka (senza forma), Nirvisesha (senza caratteristiche), immutabile, eterno e Akarta (non-agente). E' situato oltre i bisogni e i desideri. E' sempre il Soggetto Testimone. Non può mai divenire oggetto poiché è al di là della portata dei sensi. Brahman è non-dualità, Uno senza secondo, poiché non vi è altri all'infuori di Esso. Ciò distrugge qualsiasi differenza, esterna o interna. Brahman non può essere descritto, poiché una descrizione implica differenziazione e Brahman non può essere distinto da altro. In Brahman non si hanno sostanze o attributi: Sat-Cit-Ananda (assoluta Esistenza, assoluta Consapevolezza, assoluta Beatitudine) costituiscono la reale essenza o Svarupa di Brahman, e non i suoi attributi.

Il Brahman Nirguna è totalmente impersonale. La forma di divinità personale o Brahman Saguna (con Guna o attributi) si manifesta soltanto attraverso l'associazione con Maya. Saguna e Nirguna non sono però due Brahman, ma lo stesso Nirguna appare come Saguna per la devozione dei fedeli. Si tratta della stessa Realtà osservata da due punti di vista: Nirguna Brahman è il Brahman Supremo, dal punto di vista trascendente (Paramarthika); Saguna Brahman è il Brahman non-supremo, ovvero dal punto di vista del relativo (Vyavaharika).

Il mondo - Una Realtà Relativa

Secondo Sankara, il mondo non è una mera illusione. Il mondo è relativamente reale(Vyavaharika Satta), mentre il Brahman è assolutamente reale (Paramarthika Satta). Il mondo è il prodotto di Maya o Avidya (ignoranza). L'immutabile Brahman appare come il mondo mutevole attraverso l'incanto di Maya. Maya è il misterioso e indescrivibile potere di Dio che nasconde e manifesta se stesso come irreale. Maya non è reale, poiché svanisce quando si realizza la conoscenza dell'Eterno, dunque è irreale perché il suo potere perdura soltanto fino al sorgere della Consapevolezza. Dunque la sovrapposizione del mondo al Brahman è dovuta all'Avidya o ignoranza metafisica.
Natura del Jiva e significato di Moksa
(Natura dell'anima individuale e significato della liberazione)
Per Sankara, il Jiva, o anima individuale, è reale solo in senso relativo. La sua individualità dura soltanto per quanto è soggetta alle Upadhi o condizioni limitanti dovute all'Avidya (ignoranza). Il Jiva identifica se stesso col corpo, la mente e i sensi finché è illuso dall'Avidya o ignoranza. Esso pensa, agisce e gode in relazione all'Avidya. In realtà esso non è differente dal Brahman o Assoluto.
Le Upanisad dichiarano enfaticamente "Tat Tvam Asi" Tu sei Quello. Come la schiuma dell'onda diventa tutt'uno con l'oceano quando si dissolve, come lo spazio all'interno di un vaso diventa tutt'uno con con lo spazio universale quando il vaso si spezza, così il Jiva o sé empirico diviene uno con Brahman quando si perviene a conoscere Brahman. Quando la Consapevolezza sorge nell'individuo, attraverso l'annichilimento dell'Avidya, questi è libero dalla propria individualità e dalla finitudine e realizza la propria essenza come Satcitananda (Essere Coscienza Beatitudine). Si dissolve l'individualità nell'oceano delle Beatitudine, come un fiume che ha raggiunto l'oceano.
La liberazione dal Samsara (ciclo di nascita e morte) significa, secondo Sankara, la totale dissoluzione dell'anima individuale nel Brahman, per dismissione delle nozioni erronee sulla separazione del sé dal Brahman. Secondo Sankara, Karma (azione rituale) e Bhakti (devozione) sono strumentali a Jnana (conoscenza) che è Moksa (liberazione).

Vivarta Vada o Teoria della Sovrapposizione.
Per Sankara questo mondo è solo relativamente reale (Vyavaharika Satta). Questa affermazione si avvale della teoria Vivarta-Vada, o teoria della apparenza o sovrapposizione (Adhyasa). Come un serpente è visto erroneamente al posto di una corda nella penombra, questo mondo e questo corpo sono sovrapposti al Brahman o Supremo Sé. Se si riesce a riconoscere la corda, l'illusione del serpente svanisce. Allo stesso modo, se si realizza la conoscenza del Brahman Imperituro, l'illusione del corpo e del mondo scompare. Secondo la teoria Vivarta-Vada, la causa produce l'effetto senza che vi sia un vero cambiamento in sé. Il serpente è solo un'apparenza sovrapposta alla corda. La corda non è stata affatto modificata in serpente. Brahman è eterno e immutabile, dunque non può modificare la sua natura come mondo. Brahman diviene causa del mondo attraversi Maya, il Suo imperscrutabile potere o Sakti.
Quando si giunge a riconoscere che, ove si credeva ci fosse un serpente, c'è solo una corda, ogni timore svanisce. Così, quando si realizza l'eterno e immutabile Brahman, non si è più affetti dai fenomeni, dai nomi e dalle forme di questo mondo. Colui che ha distrutto l'Avidya o il velo dell'ignoranza con la conoscenza dell'Eterno, che ha rimosso Mithya Jnana o falsa conoscenza con la conoscenza realizzata dell'Imperituro o della Realtà vivente, risplende di verità, purezza, divino splendore e gloria.

stuart mill
28-07-06, 20:26
sankara:

http://www.yogaadvaita.org/images/sankara-big.jpg

stuart mill
28-07-06, 20:29
Shankara

Shankara, anche denominato Sankaracarya, sono varie le ipotesi di nascita e morte (Malabar 788 - Kedarnath 820) per altri (Kaladi? 700? - Kedarnath 750?), filosofo e teologo, il più noto esponente della scuola filosofica Advaita Vedanta (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/vedanta.htm) (uno dei sei darshana bramanici), dalle cui dottrine le principali correnti del moderno pensiero indiano sono derivate. I suoi commentari sul Brahma-sutra e sulle Upanishad (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/upanishad.htm) principali, affermano l'esistenza di una realtà eterna e immutabile (Brahman (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/brahman.htm)) e l' illusione della molteplicità e della differenziazione .

Ci sono almeno 11 biografie di Shankara. Tutte sono state composte parecchi secoli dopo il periodo di Shankara e sono piene di leggende e di aneddoti incredibili, spesso in reciproco conflitto. Oggi non ci sono referenze con cui ricostruire la sua vita con la certezza. La sua data della nascita è naturalmente un problema discutibile. È consuetudine assegnargli come date di morte e di nascita 788-820. Ma queste date state recentemente messe in discussione da alcuni Shankara Math che posizionano la sua vita molto più addietro di circa 1500 anni. Questo perché e' in uso nei cenobi da lui fondati di chiamare il Pontefice col titolo di Shankaracarya, pertanto si ritiene che lo Shankara cui normalmente ci si riferisce sia stato uno Shankaracarya del Kanci Peeta.

Secondo una tradizione, Shankara è nato in una pia famiglia di brahmani Nambudiri in un tranquillo villaggio chiamato Kaladi sul fiume Curna (r Purna, Periyar), in Kerala, India del Sud. Si dice che abbia perso il padre, Shivaguru, molto presto. Rinunciò al mondo divenendo un sannyasin (asceta rinunciante) contro il volere della madre. Studiò sotto Govinda, che era un discepolo di Gaudapada. Mentre non si hanno notizie certe su Govinda, Gaudapada è molto noto come autore di importante opera del Vedanta, la Mandukya-karika, in cui l'influenza del Buddismo (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/buddhism.htm) Mahayana - una forma di Buddismo che mira alla salvezza di tutti gli essere e che tende verso il pensiero non-dualistico o monistico - è evidente, specialmente nell'ultimo capitolo.

Una tradizione narra che Shiva, una delle forme del divino principali dell'Induismo (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/induismo.htm) fosse la divinità tutelare della su famiglia e che Shankara fosse, sin dalla nascita, uno Shakta o devoto a Shakti, consorte di Shiva e personificazione femminile dell'energia divina. In seguito fu considerato un devoto di Shiva o una sua stessa incarnazione. Il suo insegnamento, comunque, è lontano dallo Shivaismo e dalla Shaktismo. Dai suoi scritti si vede il rispetto per la fede e i culti in genere, non ultimo il culto Vaisnava, dedito a Visnu. Si ritiene anche che fosse altamente versato anche nello Yoga (http://adv08.edintorni.net/affiliati/click/?q=tappetino+yoga&a=1812&e=1&y=10&j=edfsclkbycat%3D2316%26fid%3D34%26oid%3D11071it16 68%26serviceName%3Dedintorni%2Dit%2Epbm%2Dexport%2 6serviceType%3Dportal%26url%3Dhttp%253A%252F%252Fw ww%2Enewvitality%2Eit%252Findex%2Ephp%253Fnode%253 D033%2D000%2D00029%2D1668%2D1%2526azione%253Despan di&r=&x=28%2F07%2F2006+20%3A29%3A02&z=tt.lh.979f14bacbd34de5d3c58bf1a7d83bb9&i=336). Uno studio ha avanzato l'ipotesi che prima aderisse allo Yoga (http://adv08.edintorni.net/affiliati/click/?q=tappetino+yoga&a=1812&e=1&y=10&j=edfsclkbycat%3D2316%26fid%3D34%26oid%3D11071it16 68%26serviceName%3Dedintorni%2Dit%2Epbm%2Dexport%2 6serviceType%3Dportal%26url%3Dhttp%253A%252F%252Fw ww%2Enewvitality%2Eit%252Findex%2Ephp%253Fnode%253 D033%2D000%2D00029%2D1668%2D1%2526azione%253Despan di&r=&x=28%2F07%2F2006+20%3A29%3A02&z=tt.lh.979f14bacbd34de5d3c58bf1a7d83bb9&i=336) e solo in seguito sia divenuto un Advaitin.

I biografi narrano che Shankara si recò prima a Kashi (Varanasi, la vecchia Benares in dizione inglese), una città rinomata per la cultura (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/cultura_civilta.htm) e il respiro spirituale, e quindi abbia viaggiato in tutta l'India, tenendo dibattiti con i filosofi delle diverse scuole. Celebre è il confronto con Mandana Mishra, un filosofo della scuola Mimamsa, la cui moglie fece da giudice; l'evento forse rispecchia il confronto storico fra Shankara, che sosteneva la conoscenza della Realtà Assoluta (Brahman) come unico scopo dell'esperienza terrena, e i seguaci della Mimamsa che invece sottolineavano l'esatta adesione alla esecuzione dei doveri prescritti nei rituali vedici.

Secondo le fonti più accettate dalla cultura accademica, l'opera di Shankara si svolse in un'era politicamente caotica; non insegnava agli abitanti delle città. Il potere del Buddismo era ancora forte nelle città, nonostante fosse iniziato il declino, mentre il Giainismo (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/giainism.htm), una fede ascetica non teistica, prevaleva fra i commercianti e gli artigiani. L'Induismo popolare era diffuso fra la gente comune, mentre gli abitanti delle città ricercavano le comodità e i piaceri. In alcune città era presenti anche gli epicurei. Alcuni sostengono che fu difficile per Shankara comunicare la filosofia Vedanta a queste persone, e per questo motivo la diffuse ai samnyasin e agli intellettuali della provincia. Questa spiegazione viene ovviamente data solo da chi sia avvicina all'Advaita da una posizione empirica, dato che la filosofia non duale necessita per la comprensione un'apprensione diretta possibile solo attraverso una consapevole analisi fra il reale e il non reale, processo questo possibile solo a chi avesse già una determinata posizione coscienziale attraverso una sadhana. (NdR)

Sembra che Shankara abbia avuto diversi discepoli, ma solo quattro ci sono noti per i loro scritti: Padmapada, Sureshvara, Totaka (or Trotaka), and Hastamalaka. Shankara fondò quattro cenobi-monasteri, at Shrngeri (nel Sud), Puri (Est), Dvaraka (Ovest), e Badarinatha (Nord) affindandoli ai quattro discepoli principali e tenendo per sé quello centrale, a Kanci una delle sette città più sacre dell'India.(NdR) Probabilmente seguiva il sistema dei monasteri buddisti (vihara). La loro costituzione fu uno dei più importanti fattori nello sviluppo del suo insegnamento sino a divenire la filosofia principale dell'India.

Gli sono attribuiti oltre 300 lavori in sanscrito, molti dei quali però difficilmente possono essere considerati autentici, visto l'uso dei Pontefici di portare il nome di Shankara (NdR). Il suo capolavoro è Brahma-sutra-bhasya, il commentario ai Brahma sutra che è il testo fondamentale della scuola Vedanta, recentemente pubblicato per la prima volta in lingua italiana dall'Edizioni Asram Vidya (ndr). I commentari sulle principali Upanisads attribuiti a Shankara sono considerati tutti genuini con eccezione di quello alla Shvetashvatara Upanisad. Anche il commentario alla Mandukya-karika fu composto da Shankara stesso. É probabile che sia anche l'autore del Yoga (http://adv08.edintorni.net/affiliati/click/?q=tappetino+yoga&a=1812&e=1&y=10&j=edfsclkbycat%3D2316%26fid%3D34%26oid%3D11071it16 68%26serviceName%3Dedintorni%2Dit%2Epbm%2Dexport%2 6serviceType%3Dportal%26url%3Dhttp%253A%252F%252Fw ww%2Enewvitality%2Eit%252Findex%2Ephp%253Fnode%253 D033%2D000%2D00029%2D1668%2D1%2526azione%253Despan di&r=&x=28%2F07%2F2006+20%3A29%3A02&z=tt.lh.979f14bacbd34de5d3c58bf1a7d83bb9&i=336)-sutra-bhasya-vivarana, l'esposizione del commentario di Vyasa sullo Yoga (http://adv08.edintorni.net/affiliati/click/?q=tappetino+yoga&a=1812&e=1&y=10&j=edfsclkbycat%3D2316%26fid%3D34%26oid%3D11071it16 68%26serviceName%3Dedintorni%2Dit%2Epbm%2Dexport%2 6serviceType%3Dportal%26url%3Dhttp%253A%252F%252Fw ww%2Enewvitality%2Eit%252Findex%2Ephp%253Fnode%253 D033%2D000%2D00029%2D1668%2D1%2526azione%253Despan di&r=&x=28%2F07%2F2006+20%3A29%3A02&z=tt.lh.979f14bacbd34de5d3c58bf1a7d83bb9&i=336)-sutra, un testo fondamentale per la scuola Yoga (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/yoga.htm). La Upadeshasahasri, che una introduzione alla filosofia di Shankara, è l'unico lavoro non di commento considerato certamente autentico.

Lo stile compositivo di Shankara è lucido e profondo. La penetrazione interiormente e la schematicità analitica caratterizzano le sue opere. L'approccio alla verità è psicologico e e religioso oltre che logico; per questa ragione forse è considerato un eminente maestro religioso piuttosto che un filosofo dagli studiosi del XX secolo. I suoi lavori rivelano non solo che conosceva profondamente i sistemi brahmanici ortodossi, ma anche il Buddismo Mahayana. É stato considerato spesso come un buddista sotto mentite spoglie dai suoi oppositori, per la somiglianza fra il Buddismo e il suo insegnamento. Eppure nonostante questa critica, usò proprio la sua conoscenza del Buddismo per mostrarne i limiti o per condurle verso il non dualismo (http://www.riflessioni.it/enciclopedia/dualismo.htm) Vedantico, oltre che per ricondurre la filosofia vedantica precedente (contaminata dal Buddismo) alle reali radici tradizionali. La sua filosofia la potremmo dire più vicina al Sankya, un sistema filosofico di non teismo dualistico e allo yoga (http://adv08.edintorni.net/affiliati/click/?q=tappetino+yoga&a=1812&e=1&y=10&j=edfsclkbycat%3D2316%26fid%3D34%26oid%3D11071it16 68%26serviceName%3Dedintorni%2Dit%2Epbm%2Dexport%2 6serviceType%3Dportal%26url%3Dhttp%253A%252F%252Fw ww%2Enewvitality%2Eit%252Findex%2Ephp%253Fnode%253 D033%2D000%2D00029%2D1668%2D1%2526azione%253Despan di&r=&x=28%2F07%2F2006+20%3A29%3A02&z=tt.lh.979f14bacbd34de5d3c58bf1a7d83bb9&i=336) piuttosto che al Buddismo. Si narra che Shankara morì a Kedarnatha sull'Himalaya, mentre altre voci danno la sua dipartita a Kanci (ndr). La scuola Advaita Vedanta da lui fondata è sempre stata prevalente nei circoli culturali dell'India.
fonte: www.vedanta.it (http://www.vedanta.it/)

stuart mill
28-07-06, 20:32
qui: www.vedanta.it (http://www.vedanta.it)

e qui: www.advaita.it (http://www.advaita.it)

e sopratutto qui: http://www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/sankara.htm
troverete i link per le opere di sankara, alcune gratuite, altre a pagamento

stuart mill
28-07-06, 21:12
Nirguna Manasa Puja


L'adorazione dell'Essere Senza Attributi.
di Sankarakarya


Il discepolo disse:
1. Nell'indivisibile Satcitananda la cui natura è priva di condizionamenti e che è conosciuto anche come lo stato non-duale, come è dovuta l'adorazione?
2. Dove sono le invocazioni (avahana) della Pienezza e la posizione (asana) di Ciò che Tutto supporta? Come si possono lavare i Suoi piedi (padya), offrire dell'acqua (arghya) e come prenderne un sorso (achamana) per il limpido e puro Uno?
3. Come si procederà all'abluzione (snana) per l'Immacolato e alla vestizione (vasa) per il ventre dell'universo? Quale cordone brahmanico (upavita) per Colui che è senza alcun lignaggio o casta?
4. Come offriremo la pasta di sandalo (gandha) a Quello cui nulla attacca, e fiori a Colui che è senza odore? Quale sarà il gioiello per l'Indifferenziato? Quale l'ornamento per Colui che non ha forma?
5. A cosa servirà l'incenso a Colui che è senza macchia, o la lampada (dipa) per il Testimone di tutto? Che cosa può essere l'offerta di cibo (naivedyam) per Colui che è sazio solo della Sua Beatitudine?
6. - 7.Come preparare il betel (tambula) per Colui che tiene unito il cosmo? Colui la cui natuta è auto-luminosa consapevolezza, Colui che illumina il sole e le altre stelle, che è cantato nei versi della Sruti, cosa è per lui la cerimonia delle lampade (nirajana), cosa è il camminare in cerchio (pradaskina) per Colui che è Infinito? Quale prostrazione (pranama) per la Realtà Non-duale?
8. Per Colui che è inconoscibile attraverso le parole dei Veda, quale preghiera (stotra) ci è prescritta? Come officiare la cerimonia di dismissione (udavasana) per Colui che risiede ugualmente all'interno come all'esterno?

Il Maestro rispose:

9. Io venero il simbolo del Sé (atmalinga) che risplende come un gioiello ed è situato nel loto del cuore, all'interno della cittadella illusoria, con l'abluzione (abhisheka) della mente purificata dal fiume della fede, sempre, con i fiori del samadhi, a beneficio della non-rinascita.
10. "Io sono l'Uno, il Fondamento", così si deve invocare (avahayet) il Signore Shiva. Quindi si deve preparare il seggio (asana) pensando al Sé stabilito in sé stesso.
11. "Non ho alcun contatto con la polvere della virtù e del peccato", così il saggio deve offrire la lavanda dei piedi (padya), poichè questa è la conoscenza che distrugge ogni peccato.
12. Si deve riversare quell'acqua che è ignoranza senza inizio sostenuta dal tempo. Questo è la vera offerta dell'acqua (arghya) per il simbolo del Sé.
13. "Indra e gli altri esseri bevono solo una piccola frazione di una goccia delle onde dell'oceano di beatitudine dei Brahman". Questa meditazione è equivalente al sorso (achamana).
14. "Tutti i mondi sono immersi realmente nelle acque della beatitudine di Brahman l'indivisibile". Questa meditazione è l'abluzione (abhishechana) del Sè.
15. "Io sono la luce della Consapevolezza senza alcun velo". Questo pensiero è la sacra veste (sad vastram) del simbolo del Sé.
16. "Io sono il supporto della ghirlanda dei mondi che sono nella natura dei tre Guna" Questa convinzione è ritenuta essere il vero cordone sacro (upavita).
17. Questo multiforme mondo composto da numerose impressioni è supportato da me, e da nessun altro". Questa meditazione è la pasta di sandalo (chandana) del Sé.
18. Con il fiore di sesamo della rinuncia alle attività di Sattva, Rajas e Tamas, si deve sempre venerare (yajet) il simbolo del Sé, per l'ottenimento della liberazione in vita.
19. Con le foglie della non distinzione tra il Signore, il Maestro e il Sé, si deve adorare il Signore Shiva che è il simbolo del Sé.
20. Si deve pensare il Suo incenso (dhupa) come l'abbandono di tutte le impressioni. Il saggio deve mostrare la lampada (dipa) che è la realizzazione del luminoso Sé.
21. L'offerta di cibo (naivedyam) al simbolo del Sé è l'impasto di riso conosciuto come l'uovo universale di Brahma. Si beva il dolce nettare di beatitudine che è la deliziosa bevanda (upasechana) di Mrityu, quale Shiva.
22. Si deve ricordare che la purificazione dai residui dell'ignoranza con l'acqua della conoscenza, è il lavacro delle mani (hasta prakshalana) del puro simbolo del Sé.
23. Abbandonare l'uso di oggetti di attaccamento, questo è il masticare betel (tambula) del Signore Shiva, il Sé supremo che è privo si attributi, a cominciare dalle passioni.
24. Con la conoscenza della natura unica e propria di Brahman, la più splendente, e con il bruciare fino alla distruzione le tenebre dell'ignoranza, si compie il cerimoniale delle lampade (nirajana) del Sé.
25. La visione del Brahman multiforme è l'ornamento (alamkritam) delle ghirlande. Quindi si deve ricordare la visione della natura di completa beatitudine del Sé, come l'offerta dei fiori (pushpanjali).
26. "Le uova mondane di Brahman a migliaia ruotano in me, il Signore, la cui natura è e immobile e salda come di una montagna". Questa meditazione è il camminare in cerchio (pradaskina).
27. "Realmente io sono meritevole del saluto dell'intero universo. Nessun altro che il mio vero Sé è meritevole di tale saluto." Questa riflessione è realmente il saluto (vandana) del simbolo del Sé individuale.
28. L'idea della irrealtà dei doveri è designata quale l'atto sacro (sat Kriya) del Sé. Pensando il Sé al di là dei nomi e delle forme si onora il suo nome (nama kirtana).
29. L'ascolto (shravana) della dottrina di tale Dio è il pensiero dell'irrealtà delle cose ascoltate. La riflessione (manana) sul simbolo del Sé è il pensiero dell'irrealtà delle cose su cui si riflette.
30 - 31. La conoscenza dell'irrealtà degli oggetti di contemplazione è la meditazione profonda (nididhyasana) del Sé. La devozione al Sé attraverso l'assenza di illusioni e distrazioni è chiamata la perfetta stabilizzazione (samadhi) del Sé; e non la falsa credenza di coloro che hanno la mente rivolta a qualcosa altro. Questo è detto l'eterno riposo della mente (chitta vishranti) nel Brahman.
32 - 33. Perciò compiendo, in accordo col Vedanta, questa adorazione del simbolo del Sé fino alla morte o anche per un solo momento, colui che è perfettamente concentrato può liberarsi dalle illusioni e dalla impressioni negative, come ci si libera i piedi dalla polvere. E quando si siano tolti di dosso gli accumuli di ignoranza e di paura, si ottiene la beatitudine della liberazione.
[dalla versione inglese di Sw. Yogananda Sarasvati. Publ. In Tattvaloka – Apr.-Mag. 1992]

stuart mill
28-07-06, 21:46
Canto per la meditazione del mattino (Shankara)
Prathasmaranastotram


All’alba rivolgo il pensiero verso la suprema Realtà, il Sé che risplende nel cuore, l’Esistenza-Coscienza-Beatitudine, lo stato che i paramahansa cercano di raggiungere, al di là della veglia, del sogno e del sonno profondo. Io sono questo indiviso, eterno Brahman, e non un aggregato di elementi.
All’alba offro il mio amore al Signore supremo, inconcepibile e indescrivibile, la cui grazia è la fonte di tutte le parole. Offro il mio amore al non-nato, immutabile Dio degli dèi, del quale le scritture dicono “non questo, non questo!”.
All’alba rendo omaggio al perfetto Spirito supremo che splende come un sole al di là delle tenebre, all’eterno sostegno di ogni cosa, che sembra essere questo universo, come una corda sembra essere un serpente.
Colui che all’alba di ogni giorno reciterà questi propizi versi, ornamento dei tre mondi, riuscirà certamente a raggiungere lo scopo supremo della vita.
Da: http://guide.supereva.com/filosofie_orientali/interventi/2005/04/206181.shtml (http://guide.supereva.com/filosofie_orientali/interventi/2005/04/206181.shtml)

stuart mill
28-07-06, 21:59
Michel Hulin

SANKARA E IL VEDANTA
Sommario:
1. Le Upanishad (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#necessario)
2. Chi era Sankara (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#Sankara)
3. Sankara come commentatore e teologo (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#pensiero)
4. Il pensiero filosofico di Sankara (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#ragione)
5. Il principio pensante e non pensante:cit e acit (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#cit)
6. I continuatori di Sankara (http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#continuatori)

qui inserisco solo la prima domanda, il proseguio, lo potrete trovare qui: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/hulin.htm#continuatori

DOMANDA: Lei ci ha parlato dei darsana. Vuole adesso, tornando al Vedanta, parlarci di Sankara ?
Per parlare di Sankara è necessario innanzi tutto riportarsi molto indietro nella storia della filosofia indiana, perché egli non si presenta come un rivoluzionario, come un pensatore che pretende a un ricominciamento, facendo "tabula rasa"del passato. Egli è inserito, al contrario, in una lunga tradizione, tradizione che è in primo luogo quella delle "Upanishad", di cui è il commentatore più celebre. Dunque mi sembra opportuno soffermarci sulle "Upanishad".



Le "Upanishad" sono un insieme di testi, gli uni in prosa, gli altri in versi, i più antichi dei quali risalgono all'inizio del I millennio a.C. Il termine "Upanishad" è di per se stesso rivelatore. E' rimasto a lungo oscuro per la filologia occidentale, ma si è finito per trovare l'accordo su un'interpretazione che posso riassumere brevemente così: le "Upanishad" sarebbero la scienza esoterica delle corrispondenze di ogni specie, che reggerebbero i diversi livelli della manifestazione. Più in particolare le "Upanishad" si presenterebbero come la scienza dei parallelismi, delle omologie, che si possono stabilire tra il corpo o più esattamente tra la persona umana, il sacrificio e il cosmo.




Soprattutto nelle "Upanishad" più antiche un gran numero di passi ci mostrano che una certa realtà della persona corrisponde a una certa parte del sacrificio, corrisponde a una certa struttura del cosmo, nel senso, per esempio, in cui si può dire che il respiro dell'uomo corrisponde alle correnti cosmiche che fanno muovere gli astri, i pianeti o che l'occhio dell'uomo, con la luce che vi brilla, è omologo al sole, eccetera.




Come è stato possibile, a partire da queste premesse, delineare una metafisica? Perché dopo aver fatto corrispondere gli elementi costitutivi della persona, del sacrificio e del cosmo ci si è chiesti se non ci fosse un'origine comune di quelle corrispondenze, si è cercato in particolar modo, riguardo alla persona umana, se l'intimo principio della sua unità non dovesse essere, a sua volta, comparato a un altro elemento sottostante a tutti i fenomeni esterni, all'unità che sottostà ai fenomeni esterni.




Così si sono enucleate due nozioni assolutamente fondamentali, da una parte quella dell'atman, del "sé", di ciò che dall'interno unifica la persona, costituisce l'origine unica dei suoi atti, dei suoi pensieri, dei suoi comportamenti in generale. Dall'altra, prolungando la speculazione dei "Brahmana", sul sacrificio in particolare, la nozione di qualcosa che sarebbe come il fondamento nascosto dei fenomeni, il fondamento nascosto dell'organizzazione dei fenomeni in un cosmo unico, e si è chiamato brahman questa entità.




La mossa decisiva delle "Upanishad" è consistita, dopo aver messo in parallelo, l'atman e il brahman, nel superare la tappa seguente, cioè nel porre con una arditezza straordinaria il principio della loro unità. Da quel momento prendeva senso l'idea che la persona umana non fosse semplicemente un'entità minima, perduta nel divenire universale, ma che possedesse una dignità ontologica, perfettamente identica a quella dell'assoluto. Quindi le "Upanishad", almeno nelle parti più speculative dei testi, sono piene di una specie di ebrezza mistica, dell'allegrezza in cui si esprime la meraviglia di scoprire che, in un certo modo, l'interno contiene già l'esterno, che la persona umana è in un certo senso uguale alla totalità del cosmo.





Questa scoperta si è espressa prima in un linguaggio figurato, non ancora concettuale. Per fare un solo esempio, quando vogliono far comprendere che cosa è in realtà l'atman i pensatori delle "Upanishad" dicono, da una parte che risiede nel cuore, modo approssimativo per indicare che si trova al centro della persona, e dall'altra che è più piccolo del cuore stesso, più piccolo della centesima parte di un chicco di miglio. In altre parole, ci si sforza di orientare l'immaginazione verso la rappresentazione dell'infinitamente piccolo e poi, al contrario, si incoraggia l'immaginazione a slanciarsi nella direzione opposta, dicendo: questo atman, situato nello spazio del cuore, è al tempo stesso più grande del corpo, più grande della terra, più grande dello spazio tra la terra e il sole, più grande dello spazio tra il sole e gli astri più lontani. Questa specie di coincidenza dei contrari è il modo proprio dell'immaginazione di pervenire alla nozione di una entità che trascende lo spazio e trascende il tempo.




Si può aggiungere ancora che le "Upanishad" non costituiscono, beninteso, sotto questo aspetto, un inizio assoluto. Molti indizi ci inducono a pensare che un passato, una tradizione già antica di raccoglimento, di esercizi d'ascesi, di "yoga" ante litteram, ha trovato espressione in questi testi. Ciò che fino ad allora era stato oggetto di pratiche più o meno empiriche e selvagge ha trovato, ha cominciato a trovare la sua giustificazione. L'identità dell'"atman" e del "brahman" è apparsa come la chiave dei fenomeni di estasi, cercata fin qui a tentoni senza comprendere le loro autentiche condizioni di possibilità.





Un'ultima nozione vorrei ricordare, quella di karman e il correlativo samsara o "trasmigrazione delle anime". In effetti è nelle "Upanishad" antiche che quelle due nozioni cardinali del pensiero indiano classico appaiono la prima volta, per una ragione che non ha nulla di contigente.




Infatti dal momento che i pensatori delle "Upanishad" avevano messo in luce l'essenziale eternità dell'"atman", la sua intemporalità, si trovavano a dover conciliare quella intemporalità di principio con i dati immediati dell'esperienza comune e cioè l'estrema limitazione della durata della vita umana. Hanno allora immaginato che l'anima, non avendo né inizio né fine, fosse affetta da una fondamentale ignoranza, anche essa senza inizio, senza età, che la spinge a incarnarsi, la fa trasmigrare indefinitamente di corpo in corpo e la fa compiere atti che ricevono nelle successive esistenze la loro retribuzione.
Questo in sintesi il capitale di nozioni che le "Upanishad" hanno trasmesso alle età ulteriori. Ma si deve sottolineare il fatto che si tratta essenzialmente di stimoli vigorosi, profondi, alla riflessione filosofica, ma non si può ancora, a questo stadio, parlare di filosofia propriamente detta, perché la sistematicità, la logicità, la ricerca di un accordo tra interlocutori in una controversia, che sono i presupposti della discussione e della ricerca filosofica, qui non si trovano ancora riuniti. E' per questo che nelle età successive si faranno dei commenti alle "Upanishad" con cui si tenterà di dare a quei testi, di proiettare su quei testi, forse, la coerenza, la sistematicità che non possedevano ancora. Al primo posto tra quei commentatori, non il primo in senso cronologico, ma colui che per primo ha lasciato la sua impronta nel tempo, troviamo il maestro Sankara, Sankaracaria.

stuart mill
28-07-06, 22:04
Vita e opere di Shankara

(scheda didattica)

di Paolo Scroccaro

Shankara è riconosciuto come uno dei massimi esponenti della metafisica di tutti i tempi. Ciò nonostante, non è nemmeno citato nei nostri manuali di filosofia, liceali ed universitari (vi è un'unica eccezione: E. Balducci, Storia del pensiero umano). La gravissima omissione, oltre che deplorevole, è del tutto ingiustificabile, e si aggiunge alle altre che da tempo andiamo denunciando, nel tentativo di allargare gli angusti confini entro i quali si attarda la cultura "ufficiale", troppo unilaterale ed eurocentrica.


Shankara (788-820 circa)

("Benefattore" o "Creatore di pace", attributo di Shiva)
Certi dettagli riguardanti la vita non sono certi, poiché egli nelle sue opere non fornisce riferimenti biografici espliciti. Il mettere tra parentesi ciò che è di ordine individuale, è in linea con lo stile della Sophia Perennis, o Sanâtana Dharma, di cui Shankara è uno dei maggiori rappresentanti. È noto, infatti, che tale tradizione prevede l'oltrepassamento o l'estinzione dell'ego a qualsiasi livello, in vista del carattere "impersonale" della realizzazione spirituale. Per quanto riguarda la biografia, ci limiteremo perciò a segnalare solo i dati più essenziali, confermati da varie fonti (talvolta si possono trovare versioni diverse, specie per quanto riguarda le sequenze spazio-temporali, che però non alterano minimamente il contesto globale ed anzi esaltano l'opera del grande Advaitin).
Nasce nel villaggio di Kâlati, vicino all'odierna città di Alwaye, nel Kêrala (India meridionale), da una famiglia brahmanica. Ancora bambino, impara il Sanscrito, i Veda, i Purâna, i Darshana ortodossi... muovendo i primi passi verso la sâdhanâ (sentiero realizzativo, disciplina spirituale). A soli 8 anni, lascia il villaggio natio e decide di praticare la povertà volontaria, alla ricerca di maestri spirituali. Peregrinando, incontra il grande asceta Govinda (già discepolo di Gaudapâda), che lo accetta nella sua comunità, facendogli da guru (istruttore), e verificate le eccellenti qualità del giovanissimo allievo, lo esorta a commentare le Upanishad, la Baghavad Gita ed i Brahmasûtra (che nell'insieme costituiscono la triplice base del Vedânta). A questo periodo sembra appartenere anche il Vivekacûdâmani (Il Gran Gioiello della Discriminazione).
Tramite Govinda, può avvicinare anche il venerabile saggio Gaudapåda che stava preparando la sua dipartita dalla Manifestazione, vivendo appartato nell'Himâlaya, in una caverna presso le sorgenti del Gange. Il maestro dell'Asparsha-Vâda (Via del "Senza Sostegno") lo accoglie con grande favore e lo invita ad operare per risanare la spiritualità tradizionale, offuscata a causa della degenerazione di buona parte del mondo brahminico. La rivivificazione dovrebbe partire da Benares, centro spirituale per eccellenza.
La tradizione racconta poi che in Himâlaya, sul monte Kailâsa, avviene "l'unione di Shankara con il dio Shiva", culminante nella Paramadiksa (Iniziazione Suprema). Da allora viene considerato un'incarnazione del dio Shiva, una sua "Discesa" (Avatâra).
Ritornato nel mondo ordinario per la scomparsa della madre e di Govinda, in qualità di grande istruttore spirituale inizia i suoi viaggi trionfali per l'India, culminanti nel soggiorno di Benares, la città di Shiva, sacra agli Indù. Qui insegna l'Advaita Vedânta (il Vedânta della Non-Dualità) e si confronta con gli esponenti delle altre scuole (darshana), ortodosse o meno, dimostrando che la metafisica della Non-Dualità è da sempre l'espressione più universale della tradizione indù e che i contenuti più profondi dei testi sacri corrispondono perfettamente a tale metafisica. Comincia a "formare" i suoi discepoli più importanti, che ne prolungheranno l'opera.
Dopo i successi di Benares, lascia anche la città sacra per insegnare altrove l'Advaita-vâda, seguito da alcuni allievi. In questo contesto, fonda i primi monasteri e diversi ordini monastici-iniziatici, con lo scopo di rivitalizzare la spiritualità indù, riportandola ai significati più elevati e più universali, oltrepassando le chiusure letteralistiche e ritualistiche, pedanti e superficiali, sostenute da troppi brahmani incompetenti, incapaci di penetrare intellettualmente la vastità della dottrina depositata nei simbolismi dei testi sacri (molti accetteranno la guida di Shankara, altri tenteranno, vanamente, di contrastarlo).
A 32 anni, completata la rivivificazione della spiritualità secondo gli orientamenti dell'Advaita, si "ricongiunge a Shiva" ed entra in Mahâsamâdhi (Assorbimento Totale nell'Assoluto Brahman Nirguna), ritirandosi definitivamente dalla Manifestazione. Secondo la versione bengali, il Grande Samâdhi sarebbe avvenuto nel monte Kailâsa, dimora di Shiva; secondo altre versioni, a Kâñcî, dove ancor oggi si venera la sua tomba (e dove a suo tempo il re locale l'aveva accolto con grandi onori, facendogli costruire anche un importante monastero).
In genere, egli è ricordato con l'onorifico appellativo di Jagadguru, cioè Maestro del mondo, Maestro Cosmico o Universale: considerando l'ampiezza illimitata dell'Insegnamento, l'attributo è del tutto appropriato.
Opere attribuite a Shankara

Commentari (Bhâsya) a 10 Upanishad antiche, parte integrante dei Veda (Bhadâranyaka, Chândogya, Taittirîya, Aitareya, Kena, Katha, Îsa, Muñdaka, Prasna, Mâñdûkya).
Commentari ai Brahmasûtra (555 aforismi su Brahman, che danno la chiave di lettura dei testi sacri) e alla Bhagavad Gita.
Vari Inni e Canti devozionali, dedicati a Govinda, a Krishna, a Shiva e a varie divinità indù (considerate aspetti o personificazioni del Brahman nirguna che nella sua assoluta illimitatezza trascende tutte le determinazioni).Il fatto non è secondario, perché segnala una volta di più l'universalità dell'Advaita Vedânta e la capacità di superare le frammentazioni religiose, dovute a qualche forma di ristrettezza mentale, per altro inevitabile, entro certi limiti quando ci si rivolge ai più.
Molti trattati (Prakaraña) di metafisica, che insegnano a meditare su aspetti decisivi dell'Advaita Vâda:
Âtmabodha (La Conoscenza del Sé), manuale fondamentale della metafisica vedantina, poiché insegna a superare l'egoicità e le altre sovrapposizioni velanti che occultano il Sé universale.
Vivekacûdâmani (Il Gran Gioiello della Discriminazione), manuale che insegna la discriminazione (viveka) tra Realtà assoluta e illusoria, tra l'Universale-sovraformale e le forme parziali e relative. La liberazione esige il superamento delle identificazioni imprigionanti che legano al condizionato.
Aparokshânubhûti (Realizzazione o Esperienza Diretta del Sé), in cui vengono spiegati i mezzi per ottenere tale conoscenza realizzativa, a partire da certi prerequisiti indispensabili che qualificano l'ascesi.
Upadeshasâhasrî (L'Istruzione in un Migliaio di Versi), ampio trattato presentato nella forma di un dialogo tra Istruttore spirituale e discepolo. Il Maestro risponde alle obiezioni dell'allievo, aiutandolo a superare dubbi, paure e ristrettezza mentale, ostacoli ricorrenti in qualsiasi sentiero realizzativo.
Opere concise, talvolta brevissime, dedicate a qualche speciale risvolto dottrinario, forse sintesi di trattati più estesi:
Laghuvâkyavritti (Breve Esposizione della Sentenza), commenta il mantra "Io sono Brahman", in modo assai conciso.
Vâkyavritti (Esposizione della Sentenza): veloce commento della sentenza "Tat Tvam Asi "(Tu Sei Quello).
Jîvanmuktânandalaharî (L'Oceano di Beatitudine del Liberato in Vita), descrive sinteticamente tale condizione, per quanto possibile.
Âtmajñâopadeshavidhi (Istruzione sulla Conoscenza del Sé), esamina i vari involucri velanti e i vari stati di coscienza ("veglia, sogno, sonno profondo"), fino alla Coscienza Pura Universale, testimoniata dall'Âtman onnipervadente.
Pañcakaranam (La Quintuplice Ripartizione), brevissima operetta che spiega il processo di formazione del mondo, a partire dai 5 Elementi, con commento del simbolismo AUM (OM).
Sadâcarâ (La Via dell'Essere): indica alcune regole che l'aspirante deve seguire per realizzare la Purificazione e la Conoscenza.
Yâtipañcakam (Cinque Versi sull'Asceta): rapido scorcio sulla dimensione di vita dell'asceta.
Shivapañcaksharam (La Quintuplice Realizzazione di Shiva): spiega in che senso la sola realtà sia Shiva-Brahman.
Manîshâpañcakam (La Quintuplice Convinzione) descrive "l'incontro" con Shiva.
Secondo alcuni, sarebbe l'autore anche del Drig Drishya Viveka (Discriminazione tra Spettatore e Spettacolo, vale a dire tra Âtman e non-Âtman), opera perfettamente in linea con la metafisica non-dualistica ed espressione della Scuola. Che l'autore materiale, in questo caso come in altri, possa esser Shankara o qualche altro Advaitin, in fondo è un fatto che riveste un'importanza del tutto marginale.
Terminiamo questa rassegna, necessariamente selettiva e incompleta, ricordando che a Shankara viene attribuito anche il testo Sharva-Vedânta-Siddhânta-Sârasangraha (La Quintessenza del Vedânta): come recita il titolo, si tratta di un notevole manuale di dottrina della Non-Dualità, che viene organicamente compendiata in 1.006 Sûtra. Come ricorda l'ultimo Sûtra, "quest'opera è stata composta affinché possa aiutare altri aspiranti alla saggezza a disperdere i dubbi che possono sorgere nei loro cuori".
Molti tra i testi citati sono pubblicati in lingua italiana nelle Edizioni Âsram Vidyâ. La quintessenza del Vedanta si trova nelle Edizioni Ubaldini.

Da: http://www.estovest.net/tradizione/shankara.html (http://www.estovest.net/tradizione/shankara.html)

stuart mill
24-09-06, 19:48
su