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28-09-06, 22:15
Il Sardegna, 28 settembre 2006

Luce di taglio

Il nostro cinema è sentimento
Giovanni Columbu*

Alcuni giorni fa incontro due amici, Enrico Pau, di ritorno dal suo “Jimmy della Collina”, che a giudicare dal trailer e dai successi ottenuti a Locarno dev’essere molto bello, e più tardi Gianfranco Cabiddu, anch’egli reduce da una fiction per la Rai, “Disegno di Sangue”, che speriamo di vedere presto. Dunque fra i temi di cui ci troviamo a parlare ce n’è uno che pensavo quasi scontato, tanto se ne è già detto: la “cinematografia sarda”. Cos’è? Per quali tratti si caratterizza? E ancora prima, possiamo davvero definirla tale?
Bene, con una disposizione un po’ sognante che suscita la mia ammirazione, Pau richiama l’immagine di un mondo che dopo lunghi e quasi secolari silenzi ora vive l’urgenza di raccontare le proprie storie. E le racconta con grande passione.
Secondo Pau, è il forte bisogno di raccontare che accomuna i protagonisti di questa stagione culturale. Anch’io sono convinto che al fondo del fare cinema in Sardegna vi sia soprattutto un sentimento. Gli autori, sempre più numerosi perché ai nomi già noti si affiancano nomi nuovi, affrontano in modo diverso storie rurali o urbane, rivolte al passato o alla contemporaneità, ma hanno in comune la stessa profonda e irriducibile passione per la Sardegna. Ecco però, dopo Pau, Gianfranco Cabiddu, che si presenta sempre sorridente e fino a un certo punto sembra preferisca essere conciliante e invece introduce un’osservazione che suona come un rimprovero e un richiamo rivolto a tutti. I nostri film, dice, presentano alcuni tratti comuni, l’intensità, una certa ruvidezza, il ricorso ai non attori e in certi casi alla lingua sarda, e tuttavia è forse prematuro parlare di “cinematografia sarda” poiché non c’è legame né confronto tra gli autori. Scrivono di noi e ognuno di noi separatamente intrattiene rapporti col pubblico o con gli addetti alla critica, ma tra noi, gli autori, vi è un’insufficiente comunicazione sui problemi che riguardano le difficoltà del produrre e, soprattutto, non c’è confronto sul terreno che più di ogni altro potrebbe qualificare e dare impulso al lavoro di tutti: il confronto sulle opere, sui contenuti, sulle forme della narrazione, sulle tecniche e sullo stile. L’osservazione di Gianfranco induce a riflettere. Quali sono i motivi per cui manca o è ancora difficile questo confronto?

* Regista


Un saluto a Giovanni Columbu: spero faremo una “rimpatriata” con “i sardi del polimi”.

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07-10-06, 18:04
Luce di taglio


Spiriti solitari in ordine sparso
di Giovanni Columbu*

Erano i tempi di quel seminario "Fare cinema in Sardegna", organizzato negli spazi puri della neonata sede di Tiscali a Sa Illetta, quando la scrittrice Maria Giacobbe si era domandata perché i registi sardi, per dare impulso al loro lavoro, non provassero a dar vita a un gruppo o a una scuola, come la Scuola del Cinema Danese.
Sarebbe stato auspicabile riuscire a condurre una lotta comune per affrontare le difficoltà dell'impresa cinematografica, che è arte, come la letteratura, ma è anche industria con i molti problemi produttivi e commerciali che l'economia industriale comporta.
Oggi possiamo dire che un esito importante è stato raggiunto con la legge regionale sul cinema. Ma l'idea di pervenire a qualcosa di simile a un manifesto o a una riflessione a più voci sul punto della ricerca cinematografica in Sardegna appare ancora molto improbabile. Figuriamoci un'operazione come quella condotta da Lars Von Trier e compagni quando proclamarono il "Dogma" dei loro criteri di approccio alla composizione cinematografica e, implicitamente, del modo di volgere lo sguardo alla realtà.
Piani sequenza che escludano lo stacco tra campi e controcampi, ripresa sonora in diretta, niente luci aggiunte sul set, niente musiche, se non quelle che si sentono sulla scena, eccetera. Un decalogo stilistico discutibile, valso soprattutto a creare le premesse per nuovi indirizzi e libere trasgressioni, ma anche a mettere a fuoco il profilo di una ricerca e a rendere la cinematografia danese più incisiva nel panorama europeo.
La nostra cinematografia invece, lo metteva in evidenza il regista Cabiddu, continua a essere labile perché gli autori comunicano poco e la critica viene demandata ai critici. Ora ci si deve domandare se un confronto tra gli autori sia davvero impossibile, perché si raccontano storie diverse, è vero, e tuttavia dei tratti comuni alle opere sono emersi.
Ecco, respingendo i pregiudizi sullo spirito solitario dei sardi, potremmo promuovere degli incontri pubblici tra gli autori per riflettere sulle opere di ognuno. Esaminando le invenzioni narrative, le soluzioni ai problemi della rappresentazione, il modo di scegliere e dirigere gli interpreti, le tecniche e lo stile della ripresa e del montaggio.
Senza che nessuno rinunci a essere se stesso.

* Regista

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12-10-06, 22:56
Luce di taglio


Il filo sottile della nostra cultura

Giovanni Columbu*

Se si domanda a un autore chi siano i suoi "maestri", le risposte evocano nomi noti e celebrati.
Io, ad esempio, citerei Rossellini e Sergio Leone e ancora prima Kurosawa, Bergman e Dreyer.
Mi compiacerei così di avere eletto al vertice delle mie ascendenze grandi protagonisti della cultura universale. Ma che ne è dell'ambiente in cui ci troviamo a operare e delle ricerche di quegli autori a noi prossimi e contemporanei che certamente influenzano il nostro lavoro? Vediamo.
Del regista Enrico Pau, mio concittadino, posso dire che mi sono rimasti impressi soprattutto i personaggi e le ambientazioni della sua breve fiction La Volpe e l'Ape. Devo riconoscere a Enrico che con quel film ha reso palesi ai miei occhi il fascino dei sobborghi cagliaritani e il carattere quasi surrealistico di certe figure che vi si incontrano. Credo che la decisione di adottare e trasporre in Barbagia un verace cagliaritano come interprete del "cattivo" di Arcipelaghi, mi sia stata resa più facile proprio dalle rappresentazioni di Pau.
A Gianfranco Cabiddu invece sono debitore di un'immagine del suo Disamistade.
La scena è quella dei banditi incapucciati che fuggono dopo aver compiuto un furto: la macchina da presa, come uno spirito invisibile o un demone, si solleva e mostra il paesaggio via via sempre più dall'alto e in campo lungo. Un'immagine che mi colpì perché mi parve racchiudere con intensità espressionistica il compiersi fatale della tragedia. Un'immagine che ritengo di avere ripreso in Arcipelaghi, nella scena in cui i ladri fuggono dall'ovile lasciandosi alle spalle il corpo inerme di Giosuè.
Infine devo dire di Salvatore Mereu, dal quale mi pare di non avere preso niente, ma solo perché ancora non ne ho avuto l'occasione. La sua opera che più ammiro è Miguel e le figure più belle e che più sento di condividere sono in Miguel quelle degli animali. Quelle vacche che sullo sfondo del Suprammonte sembrano osservare con infinita pazienza e spirito filosofico le pazzie degli esseri umani. Figure che forse anche Mereu ha ereditato e ripreso da un altro artista dorgalese, Salvatore Fancello, autore di fantastiche raffigurazioni di animali.
Molti altri fili sottili si intersecano e legano le nostre ricerche, concorrendo a elaborare l'ordito di una comune visione del mondo sardo.

* Regista

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12-10-06, 23:07
Su primu film cun impittu de sa limba sarda suttatutuladu
Sos arcipelagos de sa beridade


Cun “Arcipelaghi” su regista Zuanne Columbu afróntat su tema tostu de sa beridade cun unu contu zuditziariu e atores non professionales. Dìat arrer unu “classicu” de balentias e vindittas, in tames est unu (bellu!) film chi faeddat de Sardigna chene ideologia a supra.

de BEPPE CORONGIU

Sa beridade paritzas vias no si podet bider totu intrea.
Est comente un'ispiju segadu in miza rucros e sos cancios si nche sunt lampados a totue.
Chie chircat de l'averiguare depet torrare a ponner paris totu sas partes chi si sunt pérdidas.
Ma su triballu est malu, andat a passu lentu, est tostu, dilicadu.
B'at impèdicos, mudimenes, birgonzas. Timoria.
Comente torrare in setiu su chi est sutzedidu in dies e nottes de machine? Chie at mortu? Chie at bidu? Chie ischit?
Sa beridade in prus podet fagher male a sos mortos e a sos vivos.
E posca, cale beridade est sa prus vera? Sa beridade de sa Zustissia, de sos delincuentes, sa de sa bidda? Sa de sos chi ischint e no faeddant?
Cun "Arcipelaghi" su regista sardu Zuanne Columbu afrontat iscaressidu su tema agrèstinu de sa chirca de su beru cun unu contu chi movet dac unu pitzinnu de battordighi annos chi est imputadu in Nùgoro de aer mortu un'istranzu pro sa festa de Carrasegare in bidda sua.
Su zuighe muttit totu sa zente chi in carchi modu at leadu parte a su chi est incapitadu, e su nichele bessit a pizu comente "arcipelagos" de beridade carrazados dae ammentos e malos visos chi torrant in sa mente de sos testimonzos.
Ma su dibattimentu pro ischire chie est su mortore lompet pro naturalesa a un'àtera morte galu prus trista, galu prus fea. Sa de Giosuè, frade minoreddu de s'imputadu, cannadu in su cuile un'annu a in antis de su carrasegare insambentadu.
Lassadu a sa sola pro carchi ora ebbia, sa criadura biet chene lu cherrer una fura de caddos. Sos furones sunt tres "mumutzos" conchi-imbolados (a s'italiana "balordi", "trucidi") chi si faghent sighire s"arrastu dae su mere torrobadu e depent torrare sos pegos pro no esser denuntziados. Si cunvinchent chi a iscoviare est istadu su pitzineddu solu in cuile e torrant a in cue pro l'arranzare. Lu diant deper fagher a timere ebbia, ma in tames lu morint chene piedade leados a conca dae su machine, dae su buffonzu e dae s'affogu.
S'istoria, chi su regista torrat a fraigare ponende paris totu sos rucros disperdidos in miza testimonias beras e farsas, ponet in conca a s'ispettadore sa chistione de su perdonu e sa netzessidade de sa zustissia.

Diat parrer unu film "classicu" a supra de sa Sardigna de sas balentias, de sas vindittas e de sa Barbagia, ma no est gasi.
Sas novidades sunt medas e no de pagu contu pro unu cinema comente cussu "sardu" in chirca de un'identidade e de una battiare sìncheru, e de cussu italianu "d'autore" chi no resesset a vias a cunvinchere prus de su tantu.
Prima sa chistione de sa limba impittada.
Su film est allegadu comente e cantu prus possibile a curtzu de sa realidade.
Sos personnazos faeddant comente unu s'issettat chi faeddent in sa vida, foras dae sa fintzione cinematografica.
Su zuighe faeddat s'italianu de sos tribunales, sos testimonzos avesados a faeddare in sardu si isfortzant de allegare s'italianu e de isterrer in cussa limba contos, ammentos, fatos e sentimentos. Sa zente de sa 'idda (Ovodda mancari no siat mai nomenada) chistionat su sardu e in limba faeddant totu sos chi trattant cun sos protagonistas.
Un'isseberu chi no est ne politicu, ne ideologicu.
Antzis, sa bellesa de custu film - proite s'obera de Columbu, est bella, deghile e piaghet a totu sos chi andant a la biere - est propiu ca est unu film chi faeddat de sa Sardigna chene fagher ideologia a supra de custu pianeta cumplicadu chi est s'isula nostra.
Issenezadore e regista (chi poi sunt sa matessi pessone) contant unu mundu e un'istoria sighende su parre e sas modas de biere, pensare e bisare de sos singulos pessonazos, chirchende de impunnare a sos balores universales de s'omine: sa zustissia, su perdonu, sa beridade.
Sa Sardigna pinturada in custu cuadru in movimentu est cussa chi connoschimus totus. Est viva, paret de bi esser in mesu. E custu in capas est fortzis su resurtadu de aer isseberadu de nche ponner a resare atores chi no sunt professionales ma chi venint issos matessi dae cuddas biddas de sa Barbagia.
Comente diat esser istadu su film resadu de atores professionales chi veniant dae foras de cussu mundu? Podiant traighere su sentimentu de cussa zente, de cuss'istoria e de cussos pessonazos? S'isperimentu de impittu de sa limba sarda est resessidu propiu ca sa farta de ideologia e de apretu politicu-lmguisticu at liberadu su regista chi at pòtidu fagher faeddare omines e ambientes cun "naturalesa".
Custa masione de Zuanne Columbu aberit como camineras noas pro su cinema in limba sarda, camineras chi andant sighidas cun professionalidade e capassidade.
Issenezadura e regìa sunt bogadas dae su lìberu de Maria Giacobbe "Arcipelaghi" e sos produtores sunt Marcello Siena pro I.C. Sire e su frantzesu Paul Sadoun pro 13 Production. S'ispainamentu est fatu dae s'Istitutu Luce.
Sos atores sunt Pietrina Menneas (Lughia), Paolu Lostia (Oreste), Giancarlo Lostia (Giosuè), Perdu Seche (Raffaele), Fiorenzo Mattu (Ventura), Badore Cottu (Flores), Vittoria Mazzette (Barbara), Barbara Begala (Angela), Elisa Soddu (Anna), Antoni ,Maccioni (Astianatte), Bobore Maccioni (Téstimonzu), Ubaldu Soddu (Testimonzu), Paulu Puddighinu (Ispettore Mazai).
Est pretzisu a sinnalare sa parte de Micheli Columbu chi faghet su preideru, ma prus che àteru sa parte de Predu s'istranzu zada dae su regista a su casteddaiu Carlo Sannais chi est gasi bravu chi paret malu aberu.
Geniosu est s'imbentu de fagher allegare su prus malu de sos balentes de sa 'idda in campidanesu: un'intzitziligada chi faghet a cumpreder cosas meda a supra de sa chistione de sa limba in Sardigna e segat sa conca cun abistentzia a sos puristas ideologos linguistas de cada zenia.
Pro acabare bos cumbidamos a andare a biere unu film chi meresset de esser bidu pro totu custas cosas ma mescamente proite est un'obera bella.
Unu "giallu", s'iat a deper narrer, chi finas a s'urtimu mamentu bos at a poderare setios e frimmos in poltrona pro ischire chic est su mortore. E comente in "L’uomo che ha ucciso Liberty Valance" su John Wayne de Barbaza chi at a isparare bos a at fagher lastima pro s'atrivimentu e sa balentia.
Sa beridade pru vera est semper cussa prus simple.


“Sardinna”. ANNU I – N° 1 – Ghennalzu - Aprile 2002

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20-10-06, 22:33
Luce di taglio


Rurale non significa senza civiltà

Giovanni Columbu*

C'è spesso qualcuno tra il pubblico sardo che dopo aver visto un film che racconta della Sardegna storie più o meno scabrose di "malavita" pastorale, avanza certe preoccupazioni per l'immagine della nostra regione.
Cosa penseranno di noi? Che effetto avrà sui possibili turisti? Perché non soffermarsi piuttosto sui bei paesaggi dell'Isola? E soprattutto, perché mostrare sempre la Sardegna rurale che in fondo costituisce un retaggio del passato rispetto a quanto in Sardegna vi è di moderno?
Ecco, la mia impressione è che il nostro pubblico, o una sua parte marginale, anche se non sempre la meno colta, sia disturbato più che dal racconto di un delitto, dal fatto che il racconto si circostanzi nel mondo paesano e rurale e dunque testimoni le radici e i trascorsi della nostra società.
Anche quando presentai un film sui sogni dei pastori, solo innocenti racconti di sogni, un discreto numero di spettatori reagì con aperta contrarietà.
E fioccarono battute sarcastiche.
Anche i pastori sognano? Figuriamoci, sogneranno pecore e formaggio! E poi, perché mai raccontare proprio i sogni dei pastori e non, per esempio, quelli degli operai? Quel film che riconosceva anche al mondo più o meno arcaico della nostra Isola una dimensione interiore e psicologica, in effetti, sottintendeva anche da parte mia una polemica.
Reagiva alle frequenti rappresentazioni che mostravano i pastori intenti alle loro attività materiali, zappare, portare al pascolo il bestiame, preparare il formaggio, come figure umane private di quanto vi è di più umano: la soggettività, le differenze individuali, le emozioni e i pensieri.
Ma ogni richiamo a quell'ambiente e alle nostre comuni radici, che alcuni vorrebbero gettarsi alle spalle e dimenticare, viene avvertito come un ostacolo all'essere e apparire "moderni", "uguali a tutti" e finalmente, come spesso si sente dire, "cittadini del mondo".
Al fondo c'è il solito dibattuto e controverso problema dell'identità.
Se i delitti di cui spesso racconta il cinema e la letteratura, testimoniando umani e universali conflitti, riguardassero l'ambiente urbano e fossero per così dire "delitti moderni", anche la reazione di quel pubblico probabilmente sarebbe diversa. In definitiva l'aspetto scabroso non riguarda i delitti ma il mondo rurale.

* Regista

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02-11-06, 18:03
Luce di taglio


Facciamo uno stile della povertà

Giovanni Columbu*

Per fare un film, in Italia, bisogna ancora andare a Roma, ma i centri ideativi stanno altrove, nelle "regioni periferiche" e da qualche anno anche in Sardegna.
Questa la tesi esposta da Goffredo Fofi, venerdì scorso a Cagliari, in occasione della presentazione del penultimo numero della rivista "Lo Straniero", dedicato alle più recenti espressioni della letteratura e della cinematografia sarda. Tesi confortante per la nostra regione e per tutte le isole e gli angoli del mondo più o meno periferici.
Con spirito ottimistico si potrebbe aggiungere alla tesi di Fofi che le intuizioni che stanno alla base della produzione ideologica e cinematografica maturano contemporaneamente e ovunque, senza risentire troppo della discontinuità territoriale. Un fenomeno favorito dalla grande diffusione della TV, del Web e dei telefoni e, dunque, dal flusso sempre più intenso delle comunicazioni. O da altri flussi che forse percorrono il pianeta da sempre, e misteriosamente affiorano nel profondo delle sensibilità individuali e collettive, dando vita anche in diversi e lontani centri del globo alle stesse passioni e agli stessi fermenti.
Dunque non siamo e non dovremmo sentirci impediti nell'elaborazione ideativa.
Tant'è che emergiamo, almeno agli occhi degli osservatori più colti e più attenti, come Fofi, e dopo tanti silenzi, scopriamo di avere molte storie da raccontare.
Il rischio, a questo punto, è che quelle voci che dalle periferie potrebbero concorrere alla cultura con apporti nuovi e originali - anziché maturare e consolidarsi, suscitare confronti e dare vita a scuole e tendenze - non riescano a dar luogo a opere concrete e alla fine si perdano. Perché non c'è esclusione dal momento creativo, ma l'esclusione rischia di esserci dopo, quando si tratta di avere a che fare col mercato, con gli strumenti e le risorse che continuano a essere concentrati altrove.
Alla presentazione della rivista, oltre a un pubblico poco numeroso ma visibilmente partecipe, erano presenti Giulio Angioni, Antioco Floris e Walter Porcedda, autori di vari articoli.
Sul problema degli strumenti e delle risorse produttive non sono emerse soluzioni, salvo l'idea che per il momento convenga orientarsi all'invenzione di opere che non richiedano troppi investimenti.
E fare della povertà uno stile.

* Regista

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10-11-06, 14:26
Luce di taglio


Adesso cortometraggi per tutti

Giovanni Columbu*

Dove trovare i due documentari di Vittorio De Seta, "Pastori d'Orgosolo" e "Un giorno in Barbagia", che la Cineteca Umanitaria, in collaborazione con la Cineteca di Bologna, ha da poco restaurato? È semplice.
Basta andare a Cagliari, in viale Trieste 126, dove ha sede l'Umanitaria, e domandare di poterli visionare. Un impiegato molto cortese vi introdurrà in un'apposita sala attrezzata con monitor e video lettori e dopo un poco vi metterà a disposizione una copia delle opere.
Se queste risulteranno disponibili potrete anche domandarle in prestito, per una più agevole visione domestica.
In un prossimo futuro lo stesso servizio potrebbe essere informatizzato e consultabile attraverso procedure del tutto spersonalizzate.
C'è ancora tuttavia un vasto e quasi inesplorato patrimonio filmografico sulla Sardegna – soprattutto cinegiornali e documentari che testimoniano la storia degli ultimi cinquant'anni - custodito negli archivi della cineteca, che presto diventerà Cineteca Regionale, e dell'Istituto Etnografico di Nuoro, che attende d'essere trascritto e messo a disposizione del pubblico.
E c'è un patrimonio recente e in divenire – quello composto dai film di certi giovani e interessanti esordienti - che per il momento è possibile conoscere solo cercando di non perderne la rara e forse unica presentazione pubblica, correndo da una rassegna all'altra.
Ed è fatale non riuscirci, anche per chi non avesse altro da fare, perché le rassegne si svolgono a oggi Cagliari e domani a Carloforte o ad Asuni o alla Maddalena.
Soddisfano l'interesse di quelli che ci sono e si incontrano e poi tutto svanisce. Sarebbe auspicabile in questo caso, almeno quando si tratta di cortometraggi, se i promotori delle rassegne, col consenso e a beneficio dei titolari dei diritti, si adoperassero per rendere disponibili copie Dvd delle opere che ormai è possibile produrre anche a bassissime tirature.
Più o meno come ogni mostra d'arte che si rispetti ha il suo catalogo. Forse non tutti sarebbero in grado di rendere questo servizio.

* Regista

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08-12-06, 01:55
Luce di taglio


Cinema nelle mani degli scrittori

Giovanni Columbu*

Un capitolo della nuova legge regionale sul cinema, che speriamo divenga presto operativa, riguarda lo sviluppo dei progetti.
Un capitolo importante, perché i progetti sono laboriosi e costosi, riguardano la forma e predeterminano la vita e i destini dell'opera filmica.
Per un film, come per un edificio architettonico, occorre avere un'idea, prevedere una struttura portante, pilastri e muri maestri, materiali e colori.
Molto si determina quando tutto è ancora nella mente degli autori o ha ancora forma di scrittura. Quando del nuovo edificio bisogna ancora scegliere il luogo in cui gettare le fondamenta e deciderne gli affacci e gli sfondi.
Perché anche i luoghi, con le loro suggestioni, concorreranno a determinare il tono e il risalto dell'opera.
Eppure, quando ci si interroga sul futuro del fare cinema in Sardegna, più che agli ideatori del progetti si guarda ai registi, deputati a comporre sul campo le azioni e gli sguardi che articoleranno il linguaggio del film.
Dai registi si attendono le invenzioni di stile, la bellezza e l'originalità delle opere che si vorrebbero capaci di interessare e persuadere il pubblico.
E solo addentrandosi nella complessità dell'impresa cinematografica, si riconoscono i determinanti apporti degli interpreti, degli autori della fotografia, dei costumisti, dei montatori, dei musicisti. Eppure, coloro che più concorrono e potrebbero risultare determinanti per le sorti del fare cinema sono clamorosamente gli ideatori delle storie, gli scrittori.
Diversi film sono stati tratti da opere letterarie.
Ma pensando alla scrittura più propria del cinema o a una letteratura suscettibile di dar luogo a soggetti e sceneggiature, è inevitabile in Sardegna pensare alla letteratura e al cinema come arti parallele, vicine e tuttavia ancora separate.
Diverse opere letterarie, infatti, per quanto bellissime, risulterebbero molto difficili da sceneggiare e tradurre in un film, perché può essere condivisa la narrazione di una vicenda, ma le suggestioni del linguaggio, lo stile, le metafore e il ritmo, non possono essere trasposti.
Solo dalla collaborazione tra scrittori e registi potrebbe scaturire l'impulso necessario alla difficile sfida della nostra cinematografia .

* Regista


Grande lezione di approccio all’opera cinematografica.
Complimenti Giovanni, spero ci rivedremo presto. :) :-:-01#19

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15-12-06, 02:13
Luce di taglio


Lingua sarda, bene da tutelare

Giovanni Columbu*


Si può promuovere il cinema o la letteratura che parla in sardo, per favorire la causa della lingua sarda. Ma un autore non dovrebbe essere mosso da ideali linguistici.
I motivi di un autore scaturiscono dalla materia del suo progetto e devono assecondare una necessità espressiva. Altrimenti rischierebbe di nuocere al proprio lavoro e di testimoniare a detrimento della causa che voleva sostenere.
Quando per un film o un documentario è capitato a me di ricorrere al sardo è stato perché gli interpreti di cui intendevo avvalermi erano più convincenti in sardo che in italiano.
In sardo la loro voce era profonda, i gesti misurati e lo sguardo fermo e intenso. E se per prova li sollecitavo a recitare le stesse battute in italiano, improvvisamente sembravano altri. Lo sguardo vagava incerto e la voce assumeva sgradevoli toni in falsetto. Perché il sardo era la loro lingua nativa. Così, prendendo parte a quello strano laboratorio che comporta il fare cinema, ho scoperto quanto l'identità linguistica investa l'identità personale.
Un curioso riscontro riguarda il film Banditi a Orgosolo, che molti ricordano come un film in sardo, sebbene sia in italiano.
La spiegazione è che Banditi a Orgosolo fu effettivamente girato in sardo – me lo confermò lo stesso De Seta - e questo valse a improntare il ritmo della parola, la mimica e i gesti degli interpreti.
Poi fu doppiato in italiano, perché era il 1961 e pareva che non si potesse fare altrimenti.
De Seta ebbe tuttavia la felice intuizione di adottare un doppiaggio del tutto privo di intonazioni regionali. Una voce impersonale e astratta, quasi una voce narrante, che lascia lo spettatore libero di cogliere tutto quanto è insito nelle immagini, anche se private dell'audio originale.
In definitiva la scelta di un codice linguistico per un autore non può che essere quella più funzionale alle sue esigenze narrative e alle sue predilezioni estetiche.
Chi presiede alla politica culturale dovrebbe invece incoraggiare e favorire il ricorso alla lingua sarda in via generale.

* Regista

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06-01-07, 14:01
Anteprime
Dalla fiction “Crimini” di Cabiddu, ambientata a Cagliari, al film di Mereu “Sonetàula” che sarà presentato a Venezia. La nouvelle vague sarda è all'opera, aspettando la legge sul cinema. di Daniela Paba


Divi e limba, l'Isola in un set

Il nuovo anno del cinema sardo inizia alla televisione.
In prima serata su Rai due, il 17 o il 19 gennaio, col film di Gianfranco Cabiddu, tratto da un racconto di Marcello Fois, sceneggiatura di Giancarlo De Cataldo per la serie in episodi di Crimini.
«Un’ora e quaranta minuti di film per una bella esperienza di cinema prettamente industriale - racconta il regista - Con Gioele Dix, Andrea Renzi, Barbara Livi, Lia Careddu e Fausto Siddi.
Tempi stretti per le riprese (quattro settimane) e una storia ambientata nella Cagliari di oggi.
E la libertà di lavorare su un copione scritto da altri che ti lascia lo spazio per improvvisare e una responsabilità limitata».
Il 2007 del cinema sardo prevede anche Passaggi di tempo, il film musicale di Cabiddu in versione Dvd con Fandango o Minimum fax.

MA COSA pensano del cinema i protagonisti della novelle vague sarda?
È il tema del documentario di Giovanni Columbu, ora in fase di montaggio:
«Si tratta di una sorta di antologia di ritratti dei registi sardi che parte dall’intervista con De Seta, considerato da tutti maestro d’elezione. Dal quadro che viene fuori, non importa l’età anagrafica degli autori e neppure che il film sia realizzato qui.
Fare cinema in Sardegna vuol dire cercare la natura profonda dei luoghi, la qualità delle persone ma anche della lingua, patrimonio immateriale sottovalutato.
Il mio progetto sui Vangeli, bocciato perché in lingua, ha trovato interesse oltremare e ci sto lavorando più che mai. Per il prossimo anno mi auguro di trovare udienza anche qui, dove la legge esiste sulla carta, ma non è operativa».
E siccome la difficoltà di fare un film è nulla in confronto alle reali possibilità di vederlo in una sala cinematografica, Enrico Pau spera di trovare al più presto un distributore per il suo Jimmy della collina, che nel frattempo continua ad accumulare premi e riconoscimenti (dopo Locarno, Villerupt, Mons in Belgio e Sulmona).
«Il film è in concorso a Bastia e io nel frattempo cerco nuove idee per la prossima sceneggiatura.
Penso di lavorare sull’accabadora, (la donna che aiutava a morire) figura che ci porta in una visione arcaica della Sardegna. Anche se immagino il film ambientato negli anni '50. Quello che mi interessa non è tanto l’aspetto antropologico, e neppure se sia esistita davvero.
Mi incuriosisce l’aspetto umano e comunitario, la morte intesa come pietas, questa idea della sciamana che dà vita e può toglierla».
Soneatàula dovrebbe debuttare alla Biennale di Venezia, spiega Salvatore Mereu impegnato nelle ultime riprese: «Come sempre in questa fase la difficoltà è nella forbice che si allarga tra la sceneggiatura, sempre molto virtuale, e le reali possibilità di girare. Il film è ambientato tra gli anni Trenta e Cinquanta, in una Sardegna in piena trasformazione, che non esiste più. Giuseppe Fiori rivela nel romanzo doti da narratore e devo dire che il suo saggio sulla Società del malessere mi ha permesso di entrare nella Sardegna di quegli anni».
Mentre la legge attende di diventare operativa, il cinema va avanti.
Il 2007 infatti vedrà ancora l’esordio di Enrico Pitzianti come regista del primo film non documentario. ■

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06-01-07, 14:07
Luce di taglio


Una bella città pacifica e civile

Giovanni Columbu*

I sondaggi sulla vivibilità delle città italiane ci hanno fatto sapere che Cagliari è in ribasso nella classifica nazionale.
Un'indagine demoscopica, volta a scoprire la percezione che i cittadini hanno della propria città, che inevitabilmente mi riporta a certe voci di aperta critica suscitate da un mio recente documentario su Cagliari, "Storie Brevi", dal quale emergerebbe "l'immagine di una città felice, priva di disagi e di contraddizioni".
Dunque, secondo quelle voci, un'immagine "falsa".
Potrei dire che il mio era un documentario commissionato per promuovere turisticamente la città e che avevo il dovere di mostrarne gli aspetti positivi.
Ma non potrei negare che strada facendo mi sono molto distratto dalle finalità convenute con i committenti e ho finito per comporre la rappresentazione in piena libertà.
Dunque non mi sento di accampare attenuanti se a qualcuno l'opera è parsa poco veritiera. Il punto su cui voglio interrogarmi riguarda invece l'oggetto della trattazione considerato alla luce di altri pareri.
Prima di intraprendere quel lavoro, avevo svolto una personale indagine fra diversi amici, tutti stranieri, per sapere come mai, dopo aver vissuto altrove e aver girato il mondo, avevano scelto di stabilirsi proprio qui, nella nostra città.
Immaginavo che le risposte riguardassero il mare, il clima e la luce o la suggestione delle architetture, che noi nativi o residenti tanto apprezziamo e lodiamo. Ma incorsi in una risposta che davvero non prevedevo.
Questi amici avevano scelto di vivere a Cagliari perché Cagliari è bella, ma soprattutto perché non ci sono guerre, non c'è criminalità organizzata, non c'è terrorismo, non ci sono cruenti conflitti sociali o religiosi.
Quelle risposte mi richiamano ancora a uno scenario più ampio che io stesso trascuravo.
Ecco, se dovessimo indicare un "disagio" del vivere a Cagliari, forse potremmo dire che in questa piccola porzione del pianeta siamo portati facilmente a dimenticare quanto accade oltre il mare e spesso sottovalutiamo le ragioni del nostro benessere.

*Regista

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06-01-07, 14:35
In alcuni articoli precedenti, si è fatto cenno alla nuova legge regionale sul cinema:
per chi volesse dare un’occhiata:


Legge regionale 20 settembre 2006, n. 15

Norme per lo sviluppo del cinema in Sardegna (http://www.regione.sardegna.it/j/v/80?s=29288&v=2&c=2133&t=1).


Fonte: BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE SARDEGNA N. 32 del 26 settembre 2006

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06-01-07, 16:56
SULLE STRADE DEL CINEMA/1

Con Pier Paolo Piludu e Gisella Vacca


UNA COMMEDIA SULLA SARDEGNA
ALLA LARGA DAGLI STEREOTIPI

‘Sa Regula’, film d’esordio del giovane regista Simone Contu, quasi interamente girato a Jerzu. Un lavoro che riflette sull’identità, attraverso la storia del conflitto tra due insegnanti…


A pochi mesi dall'approvazione della Legge Regionale sul Cinema, i progetti filmici ambientati nella nostra isola, rivelatasi duttile location, si moltiplicano. Sono state appena concluse o si stanno completando svariate produzioni, che riguardano sia registi dal curriculum, ormai, di tutto rispetto e altri alla loro prima esperienza. Dunque, mentre attendiamo il nuovo film di Salvatore Mereu o la distribuzione della rilevante pellicola di Enrico Pau (Jimmy della collina), abbiamo incontrato un neofita della regia, Simone Contu, che, in realtà, lavora già da tempo nell'ambiente cinematografico.

Contu ha recentemente terminato le riprese del suo film d'esordio: Sa regula, un lungometraggio girato quasi interamente a Jerzu, interpretato da attori di teatro come Pier Paolo Piludu, anche lui alla sua prima esperienza cinematografica, e Gisella Vacca.

Dal punto di vista dei finanziamenti, il film ha coinvolto varie amministrazioni comunali (Seui, Gesico, Cardedu, Tortolì e altri paesi dell'Ogliastra, provincia anch'essa attiva come sponsor). La preproduzione, come spesso accade nel caso di un'opera prima, non è stata facile, ma ora, a riprese terminate e con il montaggio avviato negli studi di Cinecittà, a Roma, il giovane regista sembra soddisfatto, consapevole di aver realizzato un lavoro dignitoso, con l’ambizione di raccontare una storia sarda fuori dagli stereotipi.

‘È vero, ho voluto parlare di identità regionale :-00E , andando oltre i luoghi comuni preconfezionati per il turista. È un piccolo racconto sul conflitto tra due insegnanti. In verità, ho scritto la sceneggiatura per chiarire esattamente il mio senso di identità sarda e quali conseguenze culturali, esistenziali comporti. Ho voluto anche usare, nello svolgersi della vicenda, l’ironia come spunto per riflettere su tipologie e consuetudini diffuse nella nostra isola’.

È una commedia?
‘Sì, in chiave grottesca. Anche questa sfumatura si è sviluppata meglio girando il film; probabilmente non era stata neppure prevista, ma alcune scelte di inquadratura, l’intervento degli attori, soprattutto, hanno aiutato la vicenda a definirsi in maniera nuova, più adeguata alle risorse umane. Nella nostra troupe c’era un clima sereno, disteso, ci siamo divertiti moltissimo’.

Perché hai scelto il titolo ‘Sa Regula’?
‘Sa Regula è quella della tradizione. Ci si interroga su quali ‘regole’ sia necessario recuperare per l'educazione all'identità’.

Come hai lavorato con Pier Paolo Piludu, un attore dalla grande esperienza teatrale?
‘Il film è stato scritto per Pier Paolo, che, nonostante sia alla prima esperienza cinematografica, ha sfruttato un certo suo stare sopra le righe per accentuare i connotati grotteschi del personaggio. Nello stesso tempo, ha estrapolato dal suo vissuto una serie di situazioni che hanno aiutato ad approfondire il carattere che interpretava’.

Mi pare che il confronto con gli attori sia stato determinante...
‘Sì, a partire dal lungo lavoro sul casting, che è stato veramente interessante. Solo per il ruolo del bambino abbiamo fatto provini a 300 ragazzini! In Sa regula recitano attori professionisti affiancati da esordienti. Oltre a Piludu, nel cast troviamo anche Gisella Vacca, Fausto Siddi che fa un cameo, così come fa un’apparizione anche Piero Marras, mentre il ruolo del piccolo Efisio è interpretato da Roberto Marci, alla prima apparizione sul grande schermo. Altre caratterizzazioni sono state interpretate da Armando Contu, Piero Uda e Cenzo Foddis’.

Elisabetta Randaccio
21/12/2006

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11-01-07, 19:46
Luce di taglio


Il grande cerchio del ballo tondo
Giovanni Columbu*

Ho rivisto un documentario realizzato nel 1963 dallo scrittore Giuseppe Dessì, "Sardegna: un itinerario nel tempo".
Un documentario molto poetico e interessante che sembra scaturire e prendere forma da due moventi opposti. Per un verso il racconto si sviluppa sulla scorta degli irriducibili affetti dell'autore per il mondo rurale, con le sue genti laboriose e i suoi costumi poveri e dignitosi; dall'altra sulla base della convinzione che quel mondo dovesse cambiare e forse perdersi necessariamente per lasciare spazio alla modernità.
In un'intervista compare l'allora Presidente della Regione, Efisio Corrias, il quale riferendosi alle trasformazioni che a quei tempi si intendevano imprimere all'Isola, ne riassume il senso con un'immagine metafisica: "Spezzare il cerchio del ballo tondo".
Sintesi metaforica e un po' inquietante dell'idea, allora ampiamente condivisa, che per creare un varco al mondo esterno e rendere possibile l'avvento della modernità fosse necessario determinare un mutamento drastico e definitivo nell'identità culturale dell'Isola.
Erano i tempi del banditismo, delle grandi industrie calate dall'alto, del ridimensionamento preordinato delle attività agricole e delle travolgenti edificazioni lungo le coste e nei centri storici.
Oggi lo sviluppo auspicato si richiama apertamente all'impiego delle risorse locali, all'integrazione armonica con l'ambiente, alla valorizzazione della cultura e dell'identità.
Sorprende dunque, rivolgendo lo sguardo al passato, che gli stessi valori che riconosciamo come patrimonio prezioso e irrinunciabile, venissero allora percepiti come un retaggio e un intralcio alla crescita. Ma ancor più sorprende e appare quasi inverosimile che la successiva inversione di rotta sia avvenuta in sordina, senza aver mai dato corso a una riflessione collettiva e senza aver mai reso ai cittadini, se non oggi, a distanza di oltre quarant'anni, l'esplicito proposito di realizzare una tale inversione di indirizzi.
Eppure il cambiamento è maturato tra gli anni ottanta e novanta.

* Regista

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02-02-07, 12:54
Luce di taglio


L'eterna ricerca della felicità

Giovanni Columbu

Qualcuno sorriderà se dico che ho visto "La ricerca della Felicità" per due volte e che entrambe le volte mi sono commosso. Prima quando mi è capitato di andare a vederlo senza saperne niente, salvo che era di Cuccino e che in America sbancava agli incassi; poi perché non ho potuto fare a meno di tornarci per farlo vedere anche a mia figlia, Simo, che ha tredici anni.
E forse qualcuno storcerà il naso sapendo che la storia tratta ancora una volta l'ingenuo e risaputo "sogno americano", quello dell'individuo che lottando con tutte le forze riesce alla fine a spuntarla e ad avere successo.
Un sogno che si realizza molto di rado e dunque rischia di suscitare ingiuste illusioni, occultando la condizione ben più cruda di chi non riuscirà mai a farcela.
Eppure, come credo sia accaduto a tanti che hanno fatto la fila per vedere il film, anch'io mi sono immedesimato nella storia, non solo perchè sono babbo, proprio come il protagonista, ma perché anch'io mi ritrovo ad avere dei sogni e dunque so di quanti ostacoli e sofferte prove possa essere irta la strada per la realizzazione.
Il film racconta molto bene questa parabola, descrive gli affanni, i conflitti, le incertezze, le corse senza mai sosta e le difficoltà sempre più stringenti che precedono il momento magico e catartico, gli ultimi tre minuti, in cui finalmente arrivano il successo e la "felicità".
Sul piano delle annotazioni tecniche posso aggiungere che la messa in scena riprende formule quasi documentaristiche.
Perché le location sono vere, i diseredati sono veri ed è vero anche l'affetto che lega il protagonista al figlioletto di cinque anni: il piccolo Jaden, alias Christopher, effettivamente figlio di Will Smith, nella realtà come nella finzione.
Alla fine non credo che il messaggio che perviene allo spettatore sia pacificatorio e consolante.
Al contrario, credo che ravvivi il desiderio di riscatto e di lotta che è in ognuno di noi, perché a tutti ricorda che è necessario avere un sogno e che bisogna combattere con tutte le forze per realizzarlo.

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08-02-07, 17:32
Luce di taglio


L'Isola come un grande teatro

Giovanni Columbu


Dopo aver tanto parlato di cinema un amico che si professa spettatore mi pone una domanda in apparenza così banale da sembrare quasi una provocazione. «Perché fare cinema in Sardegna?»
Come, "perché"?!
Occorrono motivi speciali?!
O dovremmo dubitare del nostro diritto di fare cinema?!
Ma il mio amico è tutt'altro che una persona banale e pacatamente mi fa notare che non si tratta di mettere in discussione dei "diritti", bensì di interrogarsi sui motivi di interesse, di interesse produttivo - precisa – che potrebbero indurre un produttore a girare delle pellicole nell'Isola.
La domanda merita una seria risposta.
Se fossimo in grado di palesare dei motivi di convenienza economica, oltre a rendere meno incerto lo sviluppo dei nostri progetti, saremmo in grado di attrarre produzioni esterne.
Proviamo dunque a riconsiderare la situazione: il nostro territorio si presenta come un complesso di "location" naturali così suggestive da rendere possibili le più diverse ambientazioni.
Inoltre, a vantaggio della cinematografia locale, si possono incontrare ovunque eccellenti interpreti ed esiste un notevole patrimonio di storie da raccontare. Potremmo dire che la Sardegna, per i luoghi, la cultura e certe naturali attitudini degli abitanti, si presenta quasi come un grande teatro che finalmente scopre la vocazione al cinema.
Dovrebbe essere incoraggiante.
Ma l'offerta di servizi per il momento è quasi inesistente.
La film commission è ai primi passi; la nuova legge sul cinema, concepita a sostegno delle piccole produzioni, non è ancora operativa; non sono previste agevolazioni fiscali e, soprattutto, non esitono studi né centri di post-produzione.
Non sorprende dunque che tra i film recentemente ambientati nell'Isola, il più consistente, L'ultima Frontiera, sia stato girato in parte all'estero.
È anche evidente che se non ci affrettiamo ad attivare i servizi, le facilitazioni e i mezzi che esistono altrove, contando sulle sole doti naturali, far cinema in Sardegna continuerà a essere un'impresa.

* Regista

Plùminus (POL)
09-02-07, 11:43
Approfitto di questo spazio sulla cinematografia sarda per postare questo articolo. Mi son chiesto se il cinema sardo, così come molta letteratura che si fa in sardegna, non si veda nella necessità , per poter vendere e dunque esistere, di proporre un'immagine della sardegna che è spesso quella classica, romanzata, stereotipata, che il grosso pubblico, che poi è quello italiano, vuole vedere. Con la conseguente difficoltà di proporre e sperimentare nuovi linguaggi e tematiche, raccontare storie differenti, aspetti diversi della nostra realtà, occhi diversi su di essa.
Insomma mi pare ci vogliono vedere bambini, e noi siamo costretti a non crescere o a farlo con difficoltà, spesso addirittura orgogliosi di questo



L'UNIONE SARDA pagina 33
9 febbraio 2007


Pellicole che vincono premi ma non approdano nelle sale e il pubblico non le vede
“Jimmy della Collina” di Enrico Pau è una di queste. Però arriva fino a Berlino.
«Bel film, le faremo sapere»


Sentir parlare di emergenza quando si tratta di cinema potrebbe far sorridere. Eppure basta accennare la parola

distribuzione per far allargare le braccia agli addetti ai lavori. Si scrive un soggetto, lo si trasforma in sceneggiatura, si trovano i denari per realizzarlo e alla fine - a volte - tutto si blocca. Perché ci sono casi (ormai sempre più numerosi), in cui non bastano premi e riconoscimenti per fare buio in sala e sentire la macchina partire. Per Jimmy della Collina va un po’ così. Enrico Pau ha lavorato tre anni per confezionarlo, per trasformare in immagini il romanzo di Massimo Carlotto. Si è messo al lavoro dopo


aver concluso Pesi leggeri . «Finito giusto in tempo per partecipare al Festival di Locarno», sottolinea il regista cagliaritano, e vincere il premio della giuria. Era agosto. Sono trascorsi sei mesi e altri quattro premi, l’ultimo a Sulmona è andato all’interpretazione di Valentina Carnelutti. Ma questo «è un tasto dolente. In Italia c’è un manipolo di persone


che decide cosa dobbiamo vedere» spiega Pau, che nel frattempo non intende arrendersi («significherebbe rinunciare al linguaggio del cinema») e continua a mantenere contatti nella speranza che il distributore giusto arrivi. Intanto nei prossimi giorni il film sarà a disposizione del mercato di Berlino, segno che c’è qualcuno che crede nelle sue potenzialità. Ma dunque, dov’è che s’inceppa il meccanismo? «Davanti a risposte di questo tipo: ”è un buon film


ma difficile da piazzare”. Che significa che secondo qualche distributore il pubblico non sarebbe maturo per andare oltre Vacanze di Natale», sintetizza Pau. «C’è alla base un serio problema politico che non si risolve

indirizzando il pubblico verso il facile consumo». Difficile spiegare quale anello della catena si spezza. Secondo il regista Gianfranco Cabiddu, per dare visibilità a un film e mandare in giro per le sale almeno due o quattro copie servono almeno 80-100mila euro per occuparsi della stampa dei manifesti e farli girare in città come Roma, Milano e Torino. «Denari che dovrebbero far parte - spiega - dei fondi in arrivo per coprire le spese di produzione quando manca il supporto dei grandi colossi come Fandango, 01 Distribuzione o Medusa. Gli esercenti poi ti impongono una pubblicità minima che arriva a costare anche tremila euro sui quotidiani. Tutto questo per avere una visibilità

minima, almeno una settimana. Bisognerebbe puntare su distributori motivati perché quelli più grossi, paradossalmente, non se la sentono di rischiare. Tutti vogliono guadagnare e si fa fatica a sopravvivere. corriamo tutti su un unico circuito: alcuni hanno la Ferrari altri la Cinquecento». I buoni produttori
però ci sono. «Sono quelli che trovano alternative. Per il mio prossimo film ho avuto delle proposte ma non ho ancora trovato quello con una forza distributiva in più». È andata meglio al regista oristanese Peter Marcias, «ma solo perché ho pochi lavori da far circolare», si affretta a sottolineare. «Con Bambini ho avuto l’attenzione di Arcopinto e ora la distribuzione nelle videoteche legata a 01». Un’alternativa potrebbe arrivare dal sito italiano Selfcinema che propone l’iniziativa “Adopta-movie” proprio per i film dei giovani autori che non vengono distribuiti nelle sale cinematografiche. Si pre-acquista il biglietto al costo di 6 euro costringendo gli esercenti a programmare la proiezione in quella città dove sono stati acquistati i biglietti (se non è possibile, allora il costo del biglietto verrà rimborsato). Succede in questi giorni con L’estate di mio fratello di Reggiani.


GRAZIA PILI

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06-04-07, 17:31
Luce di taglio


L' imprevedibilità? Governa il set

Giovanni Columbu

Tutto è previsto quando la sceneggiatura è di ferro e il piano di lavoro prevede luoghi, scene, inquadrature e movimenti di macchina. Anche allora resta molto da inventare e mettere a punto sul campo, problemi espressivi e tecnici che coinvolgono ogni componente della troupe. Ma è un'altra cosa se il film si avvale di non attori e si realizza in ambienti naturali e tende a combinare quel che è previsto dal copione con quel che accade imprevedibilmente sul set. Allora il progetto costituisce un riferimento flessibile. La capacità di improvvisare diventa essenziale, richiede un metodo e comporta una disciplina.
Il regista deve essere energico per innescare l'azione, ma appena possibile starà ai margini del set. Interviene con poche parole, dà brevi indicazioni ai collaboratori, avvia la recitazione e lascia gli interpreti in una condizione di voluta incertezza.
Perché non occorre spiegare ogni cosa, anzi può essere meglio che gli interpreti non sappiano come la storia andrà a finire, nella finzione drammaturgica proprio come accade nella realtà. E anche il regista si mette in gioco assecondando le mutevoli circostanze e gli esiti che scaturiscono dalla rappresentazione e rinunciando se necessario a una battuta che si rivelasse falsa o inefficace. Raramente i collaboratori chiedono di condividere le responsabilità di questa conduzione. In genere vogliono solo sapere cosa fare, aborriscono i dubbi, si stancano presto dei rifacimenti e non amano le variazioni di programma. Può capitare che proprio il regista, pur sapendo di essere solo nelle decisioni cruciali, si trovi in certi momenti a sollecitare un confronto e un parere e anche a difendere il proprio spazio d'incertezza e, dunque, la propria libertà di correggere o riformulare una scena. I rapporti possono essere difficili se la troupe è impreparata a questo genere di esperienza.
Ma è peggio se il regista si chiude nel proprio ruolo, se respinge a priori i suggerimenti dei collaboratori o insiste nel perseguire una soluzione che non va.

* Regista

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06-04-07, 17:49
Strutturato in capitoli e paragrafi, con un titolo ed una veste grafica appropriati, mettendo assieme gli articoli di Giovanni Columbu, si potrà disporre di un vero e proprio manuale di regia cinematografica sarda (glocal) d’Autore!

:-:-01#19

Plùminus (POL)
28-05-07, 11:31
La Nuova 25-05-07



Film in sardo su Gesù girato tra i pescatori di Marceddì

Il regista Giovanni Columbu sta lavorando anche a un progetto sui riti magici ed esoterici nell’isola

TERRALBA. Una borgata sotto i riflettori. Ieri mattina infatti Marceddì è stata scenario di una visita da parte del noto regista sardo Giovanni Colombu, che ha effettuato un sopralluogo e fatto alcune riprese. Il cineasta infatti, innamorato degli scorci del villaggio di pescatori, ha deciso di inserire Marceddì in due importanti progetti a cui sta lavorando. Il primo prevede una trasposizione cinematografica del Vangelo in Sardegna. La sceneggiatura rappresenta gli ultimi giorni della vita di Gesù. Il film sarà recitato interamente in lingua sarda. «Abbiamo presentato questa proposta al ministero prima che venisse girato il film di Mel Gibson, ma purtroppo è stata respinta perché non hanno creduto nella scelta di un film interamente in sardo - spiega Colombu -, ma ora per noi questa è diventata una sfida». Una sorta di casting si è svolto anche ieri sulla spiaggia, visto che il regista, dopo alcune inquadrature allo stagno e alla sua fauna, e alle caratteristiche stradine della borgata, ha anche coinvolto alcuni pescatori nelle riprese di una scena: «Il vangelo tra i suoi personaggi ha alcuni pescatori. Dove trovare volti migliori se non qui, tra persone reali che davvero fanno questa vita - continua Colombu -? Per questo vogliamo tornare qui per fare dei provini, perché Marceddì è un luogo di grande suggestione non solo per gli aspetti naturalistici, ma anche umani». E sempre del contributo degli abitanti del luogo ci sarà bisogno per il secondo progetto del regista, che intende girare un documentario sulla medicina alternativa, sui rituali magici e sulle leggende e fiabe caratteristiche sarde. Il progetto prevede tre tappe con altrettanti volti della sardegna, che racconteranno la medicina popolare e i suoi riti: una località di montagna, una in pianura e una di mare, per quale appunto si pensava a Marceddì. Il progetto naturalmente è ancora in fieri. È questo un riconoscimento importante per la borgata, che vede così riconosciuta la sua ricchezza non solo ambientale e naturalistica, ma anche storica e culturale, e la scelta di Colombu sembra forse indicare che sta nel suo essere rimasta intatta e quasi fuori dal tempo il segreto dell’unicità e bellezza di Marceddì. L’invito per chiunque volesse contribuire a questo lavoro di ricerca è di contattare il presidente dell’associazione Laser, Giorgio Cannas, che sta attualmente collaborando col regista, nella sede dell’associazione in via Neapolis 101.

Cristina Diana

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02-06-07, 13:13
Luce di taglio


Il grave malcostume del Cinema

Giovanni Columbu

Perché in Italia è tanto difficile produrre un film? E perché la qualità delle opere è così decaduta? Secondo gli estensori di un libro intitolato “Cinema, profondo Rosso”, diffuso giovedì scorso in allegato al quotidiano Libero, la crisi dipenderebbe dal fatto che il settore è assistito e gestito in modo clientelare: alimenterebbe una pletora di falsi produttori e darebbe corso a una quantità di film scadenti che non meriterebbero di uscire nelle sale. Diagnosi aspra a cui si accompagna l'auspicio di una terapia definita amara e provocatoria: abolire l'assistenza pubblica.
In realtà, l'idea che si debba fare giustizia del malcostume e della cattiva qualità delle opere adottando come imparziale e veritiero giudice il mercato, in Italia, ha già numerosi sostenitori. Negli ultimi vent'anni è già molto diminuito l'investimento pubblico nel cinema (oggi è un decimo di quello francese) e non è chiaro se le cose non funzionino perché il settore è assistito o perché è assistito male e con troppe contraddittorie riserve. Il Ministero ha introdotto un sistema di valutazione delle opere prime che verte sul curriculum dei produttori. Può sembrare strano, ma è proprio così: anche agli esordienti il Ministero domanda garanzie di successo. E i giovani autori, per assecondare i gusti del pubblico, sono indotti al conformismo.
C'è poi da dire che in molti ambienti del cinema, e della televisione, i fautori dell'audience e del botteghino guardano con sospetto l'impegno culturale. La battaglia contro la falsa cultura, infatti, ha finito per essere semplicemente contro la cultura. Perché cultura sarebbe sinonimo di flop. Eppure i fenomeni di malcostume permangono e fare un film continua generalmente a costare più di quel che rende. Ecco perché la correzione di rotta, a mio parere, dovrebbe essere diversa. Occorre rendere possibili nuove e diverse forme di finanziamento, anche da parte dei privati, ma occorre anche fare pace con la cultura. Il mercato avrà l'impulso che attende se daremo credito alla bellezza e all'originalità delle opere.

*Regista

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21-06-07, 19:50
Luce di taglio


Non di solo lux vive la cinepresa

Giovanni Columbu

Anche il regista Vittorio De Seta ammetteva con un certo sconforto che il modo più sicuro per filmare una farfalla è sullo sfondo di una bacheca. Infatti sarà possibile vederla perfettamente, dopo averla bene infissa con uno spillo, anche se sarà priva di vita. Questa sua osservazione mi tornava in mente qualche giorno fa, mentre per una volta toccava a me essere ripreso da una telecamera.
Si trattava di un'intervista su argomenti che avrebbero dovuto essermi familiari, poiché come al solito si parlava di cinema e di Sardegna, ma le soluzioni che il regista e il direttore della fotografia avevano convenuto per filmare la mia testimonianza si prospettavano impegnative. La giornata era molto luminosa e già piuttosto calda e tuttavia erano entrambi convinti che stavo bene al sole, con un paio di riflettenti ben orientati sul viso, affinché neppure un ombra potesse disturbare la ripresa.
Dopo la prima battuta avrei dovuto fare due passi, raggiungere un pezzo di nastro colorato fissato per terra, rivolgermi alla telecamera e concludere. Non so come sia andata l'intervista, forse bene, nonostante l'impaccio e le smorfie per difendermi dalla luce, ma posso dire che i miei pensieri erano molto distratti dal sentirmi quasi come quella farfalla di cui diceva De Seta.
Secondo un certo modo di intendere la comunicazione per immagini, le zone d'ombra e di buio sarebbero l'equivalente di un vuoto e di un'assenza di comunicazione. Tutto dev'essere illuminato. E le sfocature e i riflessi sarebbero difetti da evitare assolutamente, anche se la realtà è piena d'ombre e di riflessi. Pur esistendo da oltre un secolo, osservava ancora De Seta, le espressioni della così detta “settima arte”, soprattutto quelle documentaristiche, sembrano spesso ignorare l'esperienza di artisti come Caravaggio o Renoir, che hanno elaborato la loro poetica sulla sfocatura e le fitte campiture d'ombra. Le conseguenze, sono spesso distruttive.
Si predilige la convenzionale correttezza del linguaggio e si sacrifica la vitalità e la naturalezza del racconto.

Regista

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21-06-07, 19:53
Luce di taglio


Il fotografo e l’arte del “vedere”

Giovanni Columbu

La Città di Nuoro e l'Istituto Etnografico gli hanno dedicato una mostra, “Sardegna come l'Odissea”, che durerà fino a metà settembre.
Ma lui è schivo e si imbarazza se lo chiamano “maestro”. Recentemente Pablo Volta aveva deciso di non fotografare più, o di “fotografare” solo con gli occhi, perché quello che era accaduto in Sardegna dai tempi dei suoi primi reportages a Mamoiada e Orgosolo, negli anni 50, gli dispiaceva troppo.
I luoghi snaturati e i riti trasformati in recite.
Di lì a poco però la decisione di non fotografare più deve essergli sembrata troppo severa o gli è venuta a noia. Inoltre gli è capitata per le mani una macchina digitale e ha scoperto che rispetto a quelle a pellicola cambiava poco.
Così ha accettato di tornare ancora una volta a Mamoiada, per il carnevale. E ancora una volta a Mamoiada ha realizzato un servizio molto bello. Questa volta il paese era invaso da fotografi e turisti fotografi che sgomitavano per assicurarsi almeno un frammento di quel che forse era rimasto com'era. Tutti riprendevano cimeli, maschere, pelli di montone e campanacci.
Dettagli più o meno stretti in cui ritrovare la purezza del passato. E mentre questo accadeva e certamente comportava uno spettacolo imprevisto, grottesco e forse drammatico, Pablo ruotava l'occhio della macchina fotografica di 180 gradi e fotografava i fotografi, riabilitando i campi medi e lunghi, mostrando la realtà per quel che era effettivamente.
Il carnevale trasformato in rito di propiziazione turistica. La differenza sta in un'idea, nel capire cosa accade e tradurlo in immagine, con la mente e con gli occhi.
Le foto scattate da Pablo appaiono sorprendentemente “semplici”, come prive di un'evidente inquadratura.
Lo spettatore ha quasi l'impressione di osservare l'oggetto rappresentato senza che vi sia stata la mediazione del fotografo. Non è l'unica strada possibile per fare buone fotografie, ma Pablo la percorre in modo esemplare.
Per questo si può dire di lui che è un maestro, anche se lui si imbarazza e dice di no.

Regista

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09-07-07, 19:34
Luce di taglio


Un’Isola sconosciuta e travisata

Giovanni Columbu

Tutte le incertezze che avrebbero reso difficile e spesso scoraggiato l'impresa cinematografica in Sardegna sembrano annunciarsi in un film del 1954,
“Proibito”, di Mario Monicelli, riproposto all'ExMa di Cagliari nell'ambito della rassegna dedicata ad Amedeo Nazzari.
La storia è tratta dal romanzo “La madre” di Grazia Deledda e si svolge in Sardegna. La differenza è che il romanzo ci fa dimenticare quasi subito il luogo dell'ambientazione, perché l'intensità espressiva e immaginifica della Deledda proiettano la storia in una dimensione universale da cui chiunque è subito assorbito e travolto. Il film invece richiama di continuo la Sardegna e di continuo la presenta come un mondo simile ad altri e al contempo distante, nel quale è stranamente difficile riconoscersi.
Alcune scene, come quella del duello a fucilate tra i due rivali che corrono a cavallo, pur efficaci dal punto di vista dell'azione, rimandano apertamente ad altri contesti e ad altri generi cinematografici.
Gesti, posture e intonazioni delle voci sembrano ogni tanto richiamare la Sicilia o la Campania e mettono in forse quell'effetto che Rossellini definiva “di verità”. Solo qualche anno
dopo, nel 1961, Vittorio De Seta realizzò “Banditi a Orgosolo”, con un approccio produttivo e stilistico del tutto diverso, quasi da documentario, e con un risultato eccellente.
Altri grandi autori tentarono ancora di coniugare l'ambiente sardo con generi cinematografici conosciuti, con l'establishment e con l'industria del cinema nazionale. Tentativi giustificati e forse necessari che tuttavia diedero luogo a rappresentazioni che travisavano la realtà dell'Isola o la rappresentavano in modo stereotipato e superficiale. Alla fine si determinò nei produttori e negli autori una sorta di sfiducia, quasi che la Sardegna, per una sua misteriosa natura, fosse restia alle rappresentazioni del cinema. In realtà, come ogni altro luogo, la Sardegna ha una vocazione cinematografica e può suscitare l'immedesimazione del pubblico.
Si tratta di conoscerla e forse ogni volta di riscoprirla.

Regista

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22-07-07, 18:50
domenica 22 luglio 2007

“Rapsodia sarda”, piccolo tesoro ritrovato
Terra senza drammi né banditi
nella favola firmata da Remo Branca e Gibba (http://www.altravoce.net/2007/07/22/rapsodia.html)

di Gabriella Da Re

Medicina e Chir
22-07-07, 19:06
domenica 22 luglio 2007

“Rapsodia sarda”, piccolo tesoro ritrovato
Terra senza drammi né banditi
nella favola firmata da Remo Branca e Gibba (http://www.altravoce.net/2007/07/22/rapsodia.html)

di Gabriella Da Re
A proprosito di cinema e di teatro in Sardegna,cosa potresti dirmi su Giuseppe Pusceddu e su cada die teatro?
Grazie.

Su Componidori
05-08-07, 23:18
A proprosito di cinema e di teatro in Sardegna,cosa potresti dirmi su Giuseppe Pusceddu e su cada die teatro?
Grazie.

:-0001c

Giuseppe Pusceddu :-00w09d
link 1 (http://www.aipsa.com/Biografia_Giuseppe_Pusceddu.htm)
link 2 (http://opac.regione.sardegna.it/SebinaOpac/Opac?action=search&thAutEnteDesc=Pusceddu%2C+Giuseppe&startat=0)

http://www.cadadieteatro.it/

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05-08-07, 23:22
domenica 5 agosto 2007

Kurdistan e Sardistan, incontri virtuali
sullo schermo tra Asuni e Riola
Storie di sogni, di lotta e di illusioni (http://www.altravoce.net/2007/08/05/cinema.html)

di Mimmo Bua

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23-12-07, 17:53
Cinema e polemiche . Presentato un appello all’assessorato e alla Commissione Cultura


"Legge impraticabile" i registi sardi protestano

Presentato un appello all’assessorato e alla Commissione Cultura
I più importanti registi sardi scendono in campo a contestare duramente i decreti attuativi della legge regionale sul cinema (approvati dalla Giunta giovedì scorso) e chiedono un incontro immediato con il presidente della Regione Renato Soru e con l’assessore alla Cultura Maria Antonietta Mongiu. «I criteri approvati - spiega il film-maker Enrico Pitzianti - disattendono ogni aspettativa e falsano lo spirito della legge, fino a rendere la stessa impraticabile e inefficace rispetto alle finalità per cui è stata emanata: fare cinema in Sardegna ». Pitzianti - che cita alla lettera un documento firmato anche dai suoi colleghi Gianfranco Cabiddu, Giovanni Columbu, Antonello Grimaldi, Salvatore Mereu, Marco Antonio Pani e Enrico Pau - sottolinea che gli autori cinematografici sardi chiedono che «venga ripristinata, già nella Finanziaria corrente, la percentuale originaria poi emendata (non meno del 70 per cento destinato alla produzione di film di interesse regionale)». Poi un appello indirizzato espressamente all’assessorato e alla Commissione cultura. È’ opportuno, rileva il documento, «modificare i decreti attuativi e specificare gli stanziamenti relativi per lo sviluppo delle sceneggiature e la distribuzione dei film di interesse regionale, trattandoli con capitoli di spesa separati, come previsto dalla legge».

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23-12-07, 17:57
13 Dicembre, 2007

Considerazioni sulla Legge sul Cinema (http://www.sardegnaeliberta.it/?p=921)

di Luca Melis

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23-12-07, 18:09
Luce di taglio


Il cinema può ancora attendere

Giovanni Columbu

La legge regionale sul cinema esiste da più di un anno ma non è mai stata operativa perché priva di norme. Ora le norme ci sono e sarà possibile dare il via ai concorsi per le sceneggiature e i cortometraggi. Ma proprio i film di lungometraggio, che costituiscono l'oggetto principale della legge, dovranno attendere. Per questi infatti si prevede un “fondo di rotazione” che pare sia destinato a non entrare mai in funzione, perché non esiste una banca disposta a gestirlo. E intanto ci si è resi conto che quel “fondo” sarebbe stato quasi inutile. Nient'altro che un mutuo a tasso agevolato, da rendere fino all'ultimo centesimo, che non avrebbe ridotto il rischio economico dell’impresa cinema. Esiste nella legge anche un articolo che prevede per le opere "di rilevante interesse regionale" che la Giunta deliberi un intervento di coproduzione.
Un'eventualità che potrebbe dare adito a speranze se, però, proprio questo articolo non fosse privo di risorse finanziarie. Tutto è dunque rinviato alla possibilità che l'anno prossimo si spostino le risorse dal fondo di rotazione alla coproduzione con la Giunta.
Ci sarebbero poi altri problemi. Nella Finanziaria 2008, per esempio, con riferimento alla film commission, che come in tutte le regioni italiane si prevede sia senza fine di lucro e a prevalenza pubblica, si propone di sopprimere dalla legge le parole "senza fine di lucro" e, con riferimento all'Ente pubblico, che non sia più "socio di maggioranza".
Lo stile sintetico degli emendamenti, altrimenti definibili "norme intruse", non è nuovo.
Nella Finanziaria 2007 la dicitura della legge che stabiliva che «una quota non inferiore al 70%» delle risorse fosse destinata ai film anzichè ad attività collaterali - rassegne, corsi, studi sul cinema, eccetera, che è difficile immaginare in assenza dei film - cambiando una sola parola è stata rovesciata di senso e trasformata in «una quota non superiore al 70 per cento».
Con ostinato ottimismo potremmo compiacerci dell'esistenza di una legge sul cinema che potrà essere migliorata e ritoccata. Ma il mondo corre veloce e per ora continua ad essere molto difficile trovare produttori disposti a investire in Sardegna dovendo fare i conti con così tanti ostacoli.

Regista

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04-01-08, 16:13
I lati oscuri di una norma

Registi e produttori propongono numerose modifiche alla legge sul cinemadopo la pubblicazione dei decreti attuativi. Karel: «Così si escludono i giovani»

Tutti pronti a gioire al momento dell'annuncio. Poi, davanti ai fatti, molti dubbi e parecchie perplessità. I decreti attuativi della legge regionale sul cinema hanno lasciato in tanti con l'amaro in bocca. La norma propone lo sviluppo del cinema in Sardegna, lo riconosce come mezzo fondamentale di espressione artistica, di formazione culturale. Eppure il popolo degli scontenti è insorto davanti alle numerose imprecisioni. Registi da una parte, società di produzione dall'altra. Proteste parzialmente accolte dalla Regione che ha promesso di fare ammenda.

I REGISTI A pochi giorni dalla pubblicazione dei decreti, sette tra i più importanti registi sardi hanno chiesto un incontro immediato con il presidente Soru, l'assessore Mongiu e l'VIII commissione Cultura. «Siamo stati ascoltati con molta attenzione, ora speriamo di trovare un giusto riscontro». Enrico Pau è uno dei nomi della lista insieme a Giovanni Columbu, Gianfranco Cabiddu, Antonello Grimaldi, Salvatore Mereu, Marco Antonio Pau, Enrico Pitzianti. Chiedono a gran voce che venga ripristinata la percentuale originaria poi emendata “non meno del settanta per cento destinato alla produzione di film di interesse regionale”, resa più snella la norma della partecipazione della Regione alla co-produzione, eliminazione del requisito anagrafico per i benificiari del fodo per lo sviluppo delle sceneggiature riservato agli esordienti.

LA PRODUZIONE Sembrano invece aver messo in soffitta, o quasi, le speranze le società di produzione. «È chiaro che si tratta di criteri operativi messi in atto senza un confronto con gli addetti ai lavori - spiega Luca Melis della Karel che da dieci anni si occupa di produzioni televisive e pubblicitarie -, scopiazzando da norme europee difficilmente applicabili in Sardegna senza tenere conto della realtà, che escludono tutte le case di produzione dall'accesso ai finanziamenti». Il riferimento è allo sviluppo della sceneggiatura che metterebbe fuori gioco «le società che non hanno realizzato almeno un lungometraggio iscritto al Pubblico registro cinematografico e distribuito a livello nazionale». Norma valida anche per i corti «che dovrebbero invece rappresentare una sorta di palestra, un esercizio di stile, il passaggio obbligato per arrivare alla produzione di un film». Anche i rappresentati di alcune società di produzione sono stati ascoltati dall'VIII commissione che ha ammesso «di aver licenziato il testo con troppa superficialità e ha riconosciuto la necessità di rivedere le norme», aggiunge Melis.

CINETECA Tutto chiaro, o quasi, sul fronte della fondazione Cineteca regionale sarda che prevede la possibilità che alla Regione e alla Società Umanitaria si affianchino gli enti locali e gli altri soggetti che custodiscono audiovisivi e documenti filmici dai quali emerge la memoria collettiva della Sardegna. «Abbiamo fatto presente alla Commissione quali sono i punti ancora da definire, come il compito della Società Umanitaria - sottolinea Antonello Zanda -, la Regione ne riconosce il ruolo storico ma aspettiamo di vedere inserita la nostra cineteca in quella regionale. La soddisfazione sarà completa quando vedremo, nei prossimi mesi, l'atto costitutivo».

GRAZIA PILI

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26-01-08, 14:29
Luce di taglio


Arte e cultura nel portafoglio

Giovanni Columbu

Un’importante misura a favore del cinema è stata introdotta dalla Legge Finanziaria dello Stato per il 2008. Si tratta dell’istituzione di crediti di imposta a favore di privati cittadini i quali si trovino anche in modo episodico ad assumere le vesti di “produttori associati”. Chiunque investa nel cinema potrà farlo deducendo dalle tasse il 40% dell’investimento. La misura non è certo risolutiva per le sorti del cinema ma ha il merito di ridurre in modo apprezzabile i rischi economici dell'impresa.
La realizzazione di un film infatti può dar luogo a grandi e impreviste soddisfazioni economiche, ma si risolve più frequentemente in un guadagno inferiore al costo dell’investimento, soprattutto, è evidente, quando il film ha un carattere innovativo e culturale.
Si capisce dunque perché le ragioni che possono indurre un privato cittadino a finanziare un film debbano essere confortate dall’adesione ai contenuti del progetto e da una valutazione circa le possibilità del film di avere successo nei festival e sulla stampa, inducendo quindi benefici valutabili in termini di comunicazione, visibilità e prestigio.
Tali ragioni, pertinenti a tutto quel che in genere riguarda l’arte e la cultura, rendono obiettivamente prossima la figura del produttore associato a quella dello sponsor.
E in una società che abbia a cuore lo sviluppo dell’arte e della cultura dovrebbero essere favorite. Ecco perché il regista Franco Zeffirelli nei giorni scorsi ha denunciato l’anacronismo dei ministeri alla cultura - retaggio di regimi totalitari, a suo parere, nonché “strumenti di penetrazione politica” e “arma di ricatto per premiare gli amici” - e ha invocato la detassazione degli sponsors.
L’esenzione fiscale faciliterebbe l’ulteriore coinvolgimento dei privati nel sostegno a opere non necessariamente commerciali ma capaci di suscitare interesse, durare nel tempo e se possibile influenzare il costume. Con i suoi imparziali meccanismi inoltre renderebbe ancora meno influenti le mediazioni della politica e libererebbe gli autori dalle fatali discrezionalità delle commissioni giudicatrici.
Si tratta di soluzioni quanto mai auspicabili di cui si dovrebbe tenere conto anche nella nostra regione.

Regista

Davide Nurra
12-02-08, 00:00
Vorrei porti una domanda.

esistono esempi di doppiaggio in sardo di pellicole. In Catalogna questo esiste da decenni e si può andare al cinema e vedere film in catalano?

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13-02-08, 19:00
Vorrei porti una domanda.

esistono esempi di doppiaggio in sardo di pellicole. In Catalogna questo esiste da decenni e si può andare al cinema e vedere film in catalano?

Se la domanda è rivolta a me, non sono a conoscenza di pellicole doppiate in sardo.
Forse l’operazione risulta antieconomica per un potenziale pubblico di qualche decina di migliaia di spettatori.
Pertanto si preferisce usufruire della versione italiana, o anche di quella originale sottotitolata.

Se il film non nasce direttamente in lingua sarda, perché previsto dalla sceneggiatura, dalla regìa, dal “contesto”, la percezione e la “credibilità” potrebbe apparire falsata.
Dipende, probabilmente, dalla tipologia del film.

Per esempio, tra i 25 titoli della collezione di film sulla Sardegna in VHS , della Collana Sardegna Cinema dell’UNIONE SARDA, pur non avendoli visti tutti (nemmeno “Arcipelaghi”), non mi pare che siano stati doppiati in sardo, se non forse per qualche breve dialogo già presente.

A proposito dei film in lìngua/limba, mi sembra che le cose stiano cambiando, come si evince anche da alcuni articoli di oggi, riportati qui (http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?t=405990).

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14-02-08, 17:17
Il Consiglio, in due mosse , tira fuori la Regione dalle produzioni cinematografiche e dà scacco matto agli operatori del settore spettacolo, aprendo una vera e propria bagarre.
di Valentina Lo Bianco


Sul cinema Caos sardo

Ultima stoccata alla legge sul cinema.
Sarà sempre più difficile ottenere denaro per produrre i film. Nel giorno in cui due pellicole sarde sono state presentate al Festival di Berlino, e a due mesi dall’uscita nelle sale dei film di Enrico Pitzianti e Enrico Pau, il Consiglio ha bocciato (a scrutinio segreto su richiesta del centrodestra) l'emendamento con cui la Giunta chiedeva la risoluzione di un vuoto. La legge prevedeva che per i lungometraggi di rilevante interesse regionale, il parlamentino concedesse prestiti a tasso agevolato, mettendo da parte la cifra di 1.300.000 euro per il 2008 che forma va il cosiddetto “Fondo di Rotazione”.
La macchina non si è mossa. Il ricorso al sistema del prestito non è ben visto da chi investe nel cinema isolano e non è stato preso nessun accordo con istituti di credito che avrebbero dovuto fare da intermediario nella concessione delle somme.

SU ESPLICITA richiesta di registi e operatori, la Giunta ha proposto un emendamento: destinare una parte del fondo di rotazione a quello di co-produzione. Cioè quel fondo previsto dall'articolo 12 per finanziamenti diretti attraverso i quali la Regione diventa co-produttrice dell'opera.
Emendamento bocciato. Ma questa non è l'unica novità. Era anche prevista l' istituzione della Film Commission con partecipazione di maggioranza della Regione. Venerdì è stato approvato l'emendamento con cui la Regione non è più tenuta ad avere la quota maggioritaria. Questo significa che rinuncia al ruolo di propulsore della macchina culturale. Le film commission sono uffici senza fine di lucro, nati con lo scopo di indurre le produzioni cinematografiche e audiovisive a lavorare nelle regioni, facendo da intermediario istituzionale con gli operatori locali: albergatori, proprie tari delle location, service e maestranze.
Un modo, da parte dell'ente, di incentivare e sostenere l'attività audiovisiva e contemporaneamente promuovere il territorio attraverso l' uso di strutture sarde. La modifica è arrivata dopo che per lungo tempo operatori dello spettacolo da una parte e politici dall'altra, avevano disegnato una legge che tenesse conto dei due dati fondamentali: l' assenza dello scopo di lucro e la presenza della Regione in qualità di socio di maggioranza. Prima di venerdì la Sardegna si allinea va alle altre realtà culturali italiane.
Se si guardano alcune situazioni come quella piemontese, si scopre per esempio che non solo la Regione è il socio di maggioranza, ma che assieme ad essa opera solo il Comune di Torino.
Anche nel Lazio non solo non c'è traccia di partecipazione privata - com'è invece previsto nella legge sarda- ma la Regione ha la quota maggioritaria rispetto ai comuni che ne fanno parte.
Ancora: in Campania esistono due film commission. Una gestita esclusivamente dal parlamentino e l'altra controllata dai comuni. Ora, se è vero da una parte che non è previsto sia per forza la Regione ad avere la maggioranza, è altrettanto vero che questa è la consuetudine.
E il motivo è semplice. Chi meglio dell'ente Regione è in grado di dare attuazione alla promozione del territorio




Per fare il punto

■ La bufera sul cinema arriva nel giorno in cui due registi sardi sono presenti con le loro opere al Festival di Berlino. In concorso, corre per la statuetta Antonello Grimaldi col suo “Caos Calmo” tratto dall'omonimo romanzo di Sandro Veronesi e già presente nelle sale italiane.
Salvatore Mereu, invece, partecipa alla sezione Panorama special con “Sonetaula”, tratto dal testo di Giuseppe Fiori e ispirato a fatti di vita vissuta, sprofondato nelle radici della cultura isolana e parlato nella stretta lingua dell’entroterra isolano.
La pellicola uscirà al cinema il 7 marzo.




Le decisioni del Consiglio non piacciono agli operatori del settore


Registi e produttori d'accordo:
“tradito il senso della legge”

Le reazioni agli ultimi interventi sulla legge per lo sviluppo del cinema sono chiare.
Tuonano le dichiarazioni del regista Enrico Pitzianti: «Mi vergogno di essere rappresentato da un Consiglio regionale di così basso livello. Sono decisioni gravi e pericolose. Con un colpo di coda, il Consiglio, ha tradito il senso della legge».
E aggiunge: «Dietro queste scelte c'è anche la volontà politica di assecondare interessi privati di pochi a scapito dell'interesse comune. Non solo, ma tra gli amministratori c'è anche grande ignoranza e nessun impegno per capire che ci sono delle regole che vanno rispettate».
Federico Floris, location manager della Eja Sardinia commenta amareggiato: «Sarà sempre più difficile lavorare in Sardegna». E a proposito della decisione sulla film commission aggiunge: «La commissione deve essere un ufficio regionale. Questa decisione lancia un'ombra di dubbio sulla volontà politica e il coraggio di scommettere nell'industria dello spettacolo».
Il titolare della Karel Video, Luca Melis, sostiene che la Sardegna sia in totale controtendenza rispetto alle altre realtà italiane e straniere: «Mi viene da pensare che ci sia della malafede».
Federico De Montis, proprietario della Jana Pictures, si spinge oltre nella critica. Da Berlino, dove si trova per seguire i lavori della mostra, attacca la decisione: «È l'ennesima manovra che tradisce il senso delle film commission. Spesso gli amministratori si improvvisano esperti del settore e non si confrontano con chi realmente ci lavora». Per De Montis la situazione dello spettacolo isolano non trova giustificazione: «Fino a quando non ci mettiamo in testa di guardare oltre i nostri confini e cercare il confronto, non riusciremo a evitare decisioni come questa ultima del Consiglio». ■ (V.L.B.)

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14-02-08, 17:29
FILM COMMISSION


I nostri politici al cinema solo per la prima fila

di Enrico Pau

Il cinema è una cosa seria.
Il cinema è passione, sacrificio personale, famigliare, tempo rubato agli affetti, alla vita di ogni giorno, ai sorrisi dei tuoi figli. Il cinema è solitudine.
E’ un viaggio nell’ignoto. Il cinema è impervio come certe montagne della nostra isola, freddo come l’inverno, come la cella di una prigione nel dicembre più gelido degli ultimi anni. Il cinema è caldo come una giornata di maggio. Nessuno può negare che la nostra isola stia attraversando uno dei momenti più felici nella breve storia della sua cultura cinematografica.

Lo dimostrano i film di Antonello Grimaldi e Salvatore Mereu che sono a Berlino a misurarsi con il meglio della cinematografia mondiale. La legge sul cinema doveva rispondere con delle regole semplici a questo impulso, creare le basi perché questo fenomeno divenisse realmente qualcosa di stabile con un futuro. Non si chiedeva troppo, un sostegno della Regione, come quello che da anni ricevono la musica e il teatro, a quella che in pochi anni potrebbe trasformarsi in una delle realtà economiche più interessanti della nostra isola.
Strumenti legislativi, certezze, piccole cose. Tutto questo ancora una volta è rimasto impigliato nei riti della politica, nel più squallido baratto politico.

Era un emendamento proposto direttamente dalla giunta e dal Presidente, un emendamento che serviva a rendere operativa la legge, a creare le basi perché la Regione intervenisse in coproduzione, riconoscendo ai progetti, che dovrannno passare al vaglio di autorevolissime commissioni, l’interesse culturale regionale, cioè la capacità di un progetto di raccontare la nostra isola, le mille storie di cinema che attendono di essere raccontate. Sapete tutti come è andata, ieri, a scrutinio segreto, i consiglieri regionali dell’oppposizione, e questo, per quanto deprimente, è il loro mestiere, e alcuni invisibili della maggioranza, questo è desolante, hanno affossato l’emendamento.

Sono convinto che molti di questi consiglieri non abbiano neanche letto che cosa stavano bocciando. Era solo un rito della politica da consumarsi per fare del male a Soru, per metterlo ancora una volta in difficoltà. Alcuni di questi con la stessa tranquillità con cui ieri hanno reso la legge sul cinema inutilizzabile nella sua parte più importante, cioè quella della produzione, fra qualche tempo reclameranno il loro posto in prima fila alle anteprime sarde dei nostri film. Perché la politica è così.
L’importante è stare in prima fila.

Con queste poche righe credo di interpretare lo sgomento dei miei colleghi con i quali da anni siamo impegnati per affermare il diritto del cinema sardo all’esistenza. Esistenza che ora è messa drammaticamente in questione.
Quegli stessi consiglieri poche ore prima hanno invece votato un piccolo emendamento che toglie alla Regione la quota maggioritaria nella Film Commission, andando nella direzione opposta rispetto a ciò che succede nelle altre regioni, nelle prestigiose Film Commission del Piemonte o del Friuli che sono rigorosamente pubbliche e hanno portato con il cinema ricadute economiche e visibilità alla loro regione.

Europeista (POL)
16-02-08, 17:43
Oggigiorno il cinema non è solo luogo di promozione culturale ma anche chiaramente turistica, si potrebbero incentivare ad esempio anche le locations per l'investimento di produzioni estere. E' un sistema che oggi stà andando in vari stati dell'est Europa. Grandi major girano in loco i propri prodotti i quali dopo grazie alla grande distribuzione di cui godono consentono di mostrare al mondo le bellezze naturali ed architettoniche dei luoghi attraversati dalla narrazione.